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BHYCHNI5
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
Anno V :: Fasc. V.
MAGGIO 1916
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 31 MAGGIO - 1916
k DAL SOMMARIO : UGO Janni : Il CrisiianesiniQ c I* nostra guerra -EDOARDO TAGLIALATELA : L'insegnamento religioso secondo odierni pedagogisti italiani — a. g. e GIOVANNI PIOLI : Intorno ad un’anima e ad un’esperienza religiosa. In memoria di Giulio Vitali — GUGLIELMO QUADROTTA: Il Pontefice romano e il Congresso delle Potente per la Pace. L'inchiesta nazionale (Risposte dell'on. E. Facili, on. Orazio Raimondo. Filippo Crispolti. prof. A. Loria, prof. Manfredi Siotto Pintor, prof. A. Groppali. prof. A. Levi, dott. M. Puglisi) -PIETRO CHIMINELLI ; Il ■ Padrenostro ■ — m. : Rassegna di filosofia religiosa — QUINTO TOSATTl : ' Il Papa in guerra * di M. Missiroli — G. PIOLI : Riflessioni di una che non combatte — M. D. PETRE: Neutralità divina; ecc.
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo # *
Via Crescenzio, 2 - ROMA --D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore per ¡'Estero
Via del Babuino, 107 - ROMA —
AMMINISTRAZIONE
Via Crescenzio, 2 - ROMA
ABBONAMENTO ANNUO Per l’Italia L. 5. Per l’Estero L. 8. Un fascicolo L. 1.
/F Si pubblica il 15 di ogni mese in fascicoli di almeno 64 pagine, fi
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CRISTIANESIMO E GUERRA
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BIÙCNNI5
R.M51A DI S1VDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLA TEOLOGICA BATTISTA -DI ROMASOMMARIO:
UGO Janni: Il Cristianesimo e la nostra guerra ....... pag. 349 Edoardo Taglialatela: L’insegnamento religioso secondo odierni
pedagogisti italiani.......................* 354
a. g. e Giovanni Pioli : Intorno ad un’anima e ad un'esperienza religiosa. In memoria di Giulio Vitali........... >361
Guglielmo Quadrotta: Il Pontefice romano e il Congresso delle Potenze per la Pace - L’inchiesta nazionale - (Continuazione) Risposte dell’on. E. Faelli, on. Orazio Raimondo, Filippo Crispolti, prof. A. Loria, prof. Manfredi Siotto Pintor, prof. A. Groppali,
prof. A. Levi, dott. M. Puglisi ............ » 375
PER LA CULTURA DELL'ANIMA:
Pietro Chiminelli : Il « Padrenostro » ....... ... » 387
TRA LIBRI E RIVISTE:
m.x Rassegna di filosofia religiosa (Il modernismo di Gioberti - Morale e religione negl’italiani - Il valore degl’ideali - Marcel Hebert - Renan e l’immortalità) . . . . . . . .................. . . . » 304
Quinto Tosatti : « Il Papa in guerra » di M. Missiroli .......... » 400
S. Bridget: <11 sangue e l’altare» di R. Murri .............. » 404
A. D. S. e S, Bridget: Varia . ..................... • 405
LA GUERRA (Notizie, Voci, Documenti):
Giovanni Pioli: Riflessioni di una che non combatte .......... » 409
M. D. Petre: Neutralità divina ............ ......... » 413
Giovanni Pioli: Alla vigilia di grandi cose - A fascio (Dobbiamo correggere il catechismo ? - I Metodisti e la guerra - Il « movimento cristiano
degli studenti» e la guerra - Giustizia relativa ed assoluta) . . . . . » 420
Illustrazioni: La chiesa di Sant’Apollinare a Trento ^disegno di Paolo A. Paschetto)....................................... > 408
Il trionfo dello Zeppellin - I bambini del « Lusitania ». Disegni di Raemaekers (Tavole tra le pagine 416 e 417).
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Pubblicazioni pervenute alla Redazione » 4I7
Croce Rossa ........... ........ ............ »
Libreria Editrice « Bilychnis » .................... » 422
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Estratti dalla Rivista “Bilychnis ”
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0.60
i suoi rapporti con la storia civile ...... 0,30 Calogero Vitanza: Studi commodianei (I. Gli anticristi e l’anticristo nel Carmen apologelicum di Commodiano; II. Commodiano doceta?) . . . 0,30 FurioLenzi: Di alcune medaglie religiose del iv secolo (con 1 tavola e 4 disegni) ....... . 0,30 Furio Lenzi : L’autocefalia
della Chiesa di Salona (con ir illustrazioni) . . 0,50 F. Fornari: Inumazione e cremazione (con 6 illustrazioni)..........'. . . 0,30
C. Rostan : Le idee religio-• se di Pindaro............0,30
C. Rostan: Lo stato delle anime dopo la morte, secondo il libro XI del-1’«Odissea» ...... 0,30
C. Rostan: L'oltretomba nel libro VI dell’« Eneide» .......... 0,50
Alfredo Tagliatatela: Fu il Pascoli poeta cristiano ? (con ritratto e 4 disegni) ......... 0,30
F. Biondolillo: La religiosità di Teofilo Folengo (con un disegno). . . . 0,30
F. Biondolillo: Per la religiosità di F. Petrarca (con 1 tavola) . . . . . 0,30
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Siena ^con 1 illustraz.). 0,25 1,00 ¡Giosuè Salatiello: L'umanesimo di Caterina da
Siena (con 1 illustraz.). 0,30 ì Calogero Vitanza: L’eresia
di Dante ....... 0,30 Antonino De Stefano: Le
origini dei Frati Gaudenti . .................x —
A. W. Müller: Agostino Favoroni e la teologia di Lutero ....... 0,30
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T. Neal : Maine de Biran, 0,30 F. Rubbiani: Mazzini e
Gioberti ........ 0,50 Paolo Orano: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita e ritrattò) ....... 0,40 Angelo Crespi: L’evoluzione della religiosità . 0,30 1 Pàolo Orano : La rinascita dell’anima . . . . . . . 0,30 Angelo Gambaro: Crisi-contemporanea. . . . . 0,15 Giov. Sacchini: Il Vitalismo .......... 0,30 R. Murri : La religione nel-l’insegnamento pubblico in Italia........ 0,40 Ed. Tagliatatela: Morale e
Religione ....... 1 — Mario Puglisi : Il problema morale nelle religioni primitive........ 0,50 A. Tagliatatela: Il sogno di Venerdì Santo e il sogno di Pasqua (con 5 disegni di P. Paschetto) . . 0,20 G. Luzzi: L’opera Spenceriana.......... 0,15 |
I M. Rosazza: La religione del Nulla (con 6 diségni). 0,30
I R. Wigley : L’autorità del
I ■ Cristo (Psicologia religiosa) ......... 0,50
¡James Orr: La Scienza e
la Fede cristiana. . . . 0,25
T. Fallot: Sulla soglia. (I nostri morti) con una tavola ...... 0,30
G. E. Meille: Il cristiano nella vita pubblica. . . 0,30
F. Scaduto : Indipendenza dello Stato e libertà della Chiesa ......... 0,30
Guglielmo Quadrotta: Religione, Chiesa e Stato nel pensiero di Antonio Salandra. (Con ritratto ed una lettera di A. Salandra)..............1 —
Mario Rossi: Razze, Religioni e Stato in Italia secondo un libro tedesco e secondo l’ultimo censimento ......... 0,60
D. G.: Verso il conclave. 0.15 E. Rutili: Vitalità e vita
nel Cattolicismo (Cronache: 1913-1914) 3 fascicoli .......... 0,90
E. Rutili: La soppressione dei Gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi......... 0,15
Paolo Orano: Gesù e la
guerra......... 0,30 Edoardo Giretti: Perchè
sono per la guerra. . . 0,20 Romolo Murri : L’individuo e la Storia. (A proposito di cristianesimo è di guerra) ...... 0,40
Paolo Tucci : La guerra nelle grandi parole di Gesù.......... 1,00
Paolo Orano: Il Papa a Congresso ....... 0,50
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IL CRISTIANESIMO E LA NOSTRA GUERRA
Se il cristianesimo possa inserirsi nella presente storia umana senza dissolversi. Si. — Conciliazione fra la trascendenza dell’ideale evangelico di perfezione umana e l’immanenza di esso nella presente storia. Errore iniziale di quelli che affermano impossibile tale conciliazione. Dove essa è possibile, e perchè è indeprecabile. — Il cristiano e la conflagrazione europea. — l diversi ed opposti contenuti del vocabolo ''pace" — Che cosa s'intende per "pace" nel senso cristiano. — Il pacifismo assoluto è dottrina anti-cristiana.
er discorrere dei rapporti tra cristianesimo e guerra bisogna prima di tutto avere un’idea chiara dei rapporti tra il cristianesimo e la storia. Taluno ha detto che siccome la società nostra non è cristiana ma pagana — tanto che il cristianesimo non ha ancora ottenuto il più elementare dei suoi trionfi, cioè la trasformazione del vecchio tipo bestiale della società nel nuovo tipo umano — ne segue che il cristianesimo non si può inserire in questa società che ne è la negazione. Il Vangelo
è per un altro giorno, vale a dire pel giorno in cui a) serraglio delle bestie incivilite avrà succeduto un’adunanza di uomini. È quindi un non senso parlare di rapporti tra il cristianesimo e la guerra e d'inserimento del Vangelo nella storia mediante questa guerra dell’Italia e dei suoi alleati....
* » ♦
Io reputo erronea innanzi tutto la esposta nozione dei rapporti tra il cristianesimo e la storia. Il Vangelo emana da Gesù e l’uomo di Nazaret è persona storica. A chi predicò Egli la buona novella? Alla società di cui faceva parte. Ecco, dunque, un punto di contatto fra il cristianesimo e la nostra società. Ma è semplicemente il punto iniziale: quello d’arrivo sarà nei nuovi cieli e nella nuova terra dove abiterà la giustizia. Tra l’uno e l’altro, l’evangelo preannunzia una catastrofe: la distruzione dell’attuale mondo empirico, immagine simbolica di una radicale rivoluzione
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umana e cosmica, la quale sostituirà, in tutto il creato, la giustizia all’iniquità. Ma è possibile tenere il Vangelo per estraneo a cotale rivoluzione? Tanto varrebbe dire che il primordiale innesto di esso nella storia fu fatto senza scopo, e che la predicazione del Vangelo per tutto il mondo, voluta da Gesù, era destinata a non concludere nulla. Il Vangelo è posto appunto per preparare la catastrofe della presente società pagana che precederà l’avvento del Regno. Certo, il pieno trionfo del Vangelo è... per un altro giorno; ma quel giorno non sorgerà per generazione spontanea! L’azione contrastata del Vangelo verso la detta finalità ottiene risultati non soltanto lentissimi — per noi — ma anche in gran parte invisibili. Questi risultati sono la crescente inserzione del Vangelo nella nostra storia: non più l’inserimento iniziale anteriore ad ogni risultato, non ancora l'inserimento completo che implica avvenuta la radicale rivoluzione di questo mondo empirico, ma la progressiva preparazione di questa nella misura in cui la vita terrena — capace com'è di essere investita dallo Spirito di Dio — diventa veicolo della venuta del Regno...
Ciò non implica punto che il Vangelo si alteri e si sciolga nella comune corrente dei pensieri e delle passioni. L'ideale evangelico, essenzialmente trascendente, esclude le imperfezioni proprie del mondo attuale; ma questa sua trascendenza non esclude l’immanenza di esso nella nostra storia: se la escludesse, non sarebbe trascendenza, ma astrazione priva di qualsiasi rapporto con la vita. L’immanenza è sempre immanenza del trascendente, e perciò l'una cosa e l’altra si reclamano a vicenda. L’ideale di umanità che il Vangelo prospetta possiede due modi di essere; il primo è la sua intrinseca perfezione di cui l’atto completo non è di questo mondo, ma sarà del nuovo mondo nel Regno di Dio; il secondo è la forza che da quel perfetto ideale si sprigiona ed investe il mondo presente determinandone il divenire verso il Regno. Nella stessa guisa come il divino immanente nell’universo, sebbene proceda dall’io di Dio e non se ne disgiunga, non è punto nè poco l’identificazione dell’io di Dio con le forme del mondo, così la forza e la luce che dall’ideale evangelico di perfezione sono proiettate sulla storia e che immangono in essa come guida e stimolo non abbassano quest'ideale « alle nostre misere circoscrizioni », nè lo dissolvono « nelle vicenduole dei nostri fuggevoli evi ». Anzi, la trascendenza dell’ideale evangelico rispetto alla nostra storia e l’immanenza di esso nella nostra storia si postulano reciprocamente. Difatti la luce e la forza che investono il mondo e agendo su di esso ne determinano il divenire verso il Regno donde provengono se non dall’ideale evangelico di perfezione umana vivificato dallo Spirito di Dio? E dove vanno se non verso l’attuazione di cotesto ideale? Viceversa, a qual fine l’ideale trascendente si troverebbe nel Vangelo se non fosse chiamato ad agire nella nostra vita ed a far balenare nella storia le realtà ideali che, pur non potendo attuarvisi per intero, vi si attuano tuttavia in una misura ognor crescente?...
♦ ♦ »
Quelli che pretendono impossibile il conciliare la trascendenza dell’ideale evangelico e l’immanenza di esso nella nostra storia pongono inizialmente la questione sopra un falso terreno. Siccome è evidente, che il Vangelo non contiene restrizioni e regole per adattare l’ideale assoluto a questa storia, e siccome la nostra società pagana, m quanto tale, non può costituire essa l’immanenza di quell’ideale, costoro
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IL CRISTIANESIMO E LA NOSTRA GUERRA 35I
credono di poter concludere che dunque l’inserimento del cristianesimo nella nostra storia è assurdo. Essi non riflettono a questo: che la conciliazione della trascendenza e dell’immanenza dell’ideale evangelico se non si può compiere nelle pagine del Vangelo parlanti dell’ideale assoluto e neppure nella società pagana in quanto tale, può compiersi e si compie altrove, e precisamente in qualcuno in cui l’ideale evangelico e l’attuale vita storica s'incontrino necessariamente. Questo qualcuno è la persona del cristiano!
Per chiarire ciò, spianiamoci la via accennando ad un altro incontro: quello dell’ideale evangelico e della natura umana nella persona del cristiano. Secondo il Vangelo, il cristiano è un uomo che è morto al peccato, è risuscitato con Cristo e vive in Dio: egli ha tanto poco da fare col peccato sulla terra quanto Cristo nel cielo. Il vero cristiano è convinto che questo ideale evangelico è il suo ideale e quindi lotta per attuarlo, che è quanto dire per attuare se stesso. Egli non attenua per nulla affatto l’ideale, ne sente il carattere imperativo, e pone tutto il suo sforzo per attuarlo tutto. Ma deve fare i conti con la natura umana affetta da debolezze, imperfezioni, ecc., con la natura umana che nella persona di lui s'incontra con l'ideale evangelico. Il principio di vita nuova che opera nel cristiano non annulla la natura umana. Sicché la vita concreta del cristiano, per elevata che sia non è mai perfetta, perchè è sempre una risultante delle forze opposte che in lei s’incontrano. Lo sforzo del cristiano verso l’ideale non è mai adeguato all’ideale, e però è incapace di attuare questo nella sua assolutezza. Ciò è sentito più vivamente che da altri dai grandi santi che sono anche gli uomini dei grandi lamenti sulle proprie imperfezioni. Ma quello sforzo non è infruttuoso, perchè esso porta il cristiano sempre più vicino alla meta nella via ascensionale della santificazione. E sebbene la meta non possa raggiungersi entro il giro dell’esistenza terrena, pure quest’esistenza riesce il luminoso prologo di ogni ulteriore ascensione. Chi può dunque negare l’immanenza dell’ideale evangelico nella vita concreta del vero cristiano? E chi oserebbe dire che essa dissolva la trascendenza dell’ideale, mentre il gemito dei santi per l’insufficienza dei loro sforzi attesta appunto il contrario?...
* • *
Qualcosa di analogo a quanto precede si attua nella persona del Cristiano circa i rapporti tra l’ideale evangelico di perfezione e la nostra storia:
L'ideale umano del Vangelo è ideale, di giustizia. Il vero cristiano accetta con fede quest’ideale e lotta per attuarlo. Egli non sa concepire la propria attività altrimenti che quale un’attività per la giustizia. Ma egli è altresì in rapporto con la società di cui fa parte come uomo, come cittadino. Egli non può isolarsi da essa senza contraddire all'esempio di Gesù e senza cessare di essere un’attività. È in essa che egli deve agire come forza di giustizia. Ma nella società vi sono fatti che non sono posti dal cristiano e da cui egli, nella sua attività per la giustizia, non può astrarre. Voglio dire che, per questa sua attività, il cristiano da un lato deve ispirarsi all’ideale senza attenuare questo, e dell’altro lato deve cercarne l’attuazione in questa realtà da lui non posta e che a lui s'impone.
Preparato dalle sue cause remote e generali, determinato dalle sue cause prossime e particolari, un brutto giorno scoppia il conflitto europeo! Il cuore del cristiano
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sanguina, perchè egli è cultore di un ideale per cui simili fatti non dovrebbero esserci. Ma il fatto c’è, e il cristiano non può fare che non ci sia. Sorge quindi, per lui, questo problema: ispirandomi all’ideale cristiano, quale dev’essere ora il mio atteggiamento concreto in presenza di questo terribile fatto da me non posto nè voluto, ma non perciò meno reale e meno gravido di conseguenze per l’umanità? Sono in conflitto non solo opposti aggruppamenti di popoli, ma opposti principii; e, secondo che la vittoria penderà dall’una parte o dall'altra, i risultati potranno essere, ovvero no, il fallimento del diritto, un arresto di qualche secolo nel cammino verso l'affratellamento dei popoli, l’apertura di una nuova spaventosa serie d’inevitabili guerre fomentate dall'odio e dal diritto imprescrittibile d’infrangere un esoso giogo. Con ciò non si vuol dire che tutte le nazioni di uno dei gruppi belligeranti si battano esclusivamente per motivi ideali e disinteressati: si battono anche e principalmente per i loro interessi; ma è innegabile che i loro interessi, nelle grandi linee, coincidono con la causa della giustizia e che la loro vittoria impedirà una spaventosa catastrofe morale ed avvicinerà di un gran passo l’Europa alla fulgida mèta dell'internazionale. Debbo io —in omaggio all'ideale evangelico — consigliare all’Italia di tenere le braccia al sen conserte? Ma quelle braccia conserte in presenza dell’immane cataclisma, no, non sarebbero punto la pace! poiché qui non trattasi di scegliere tra pace e guerra: la guerra non è da porre, bensì è posta ed infuria... Sarebbero, invece, indifferenza per i valori morali espressi sinteticamente dal vocabolo giustizia-, ed in pratica sarebbero alleanza con la causa dell’iniquità. E l'onta di un tale contegno sarebbe tanto più vergognosa in quanto che quelle braccia apparentemente conserte ribadirebbero i ceppi che tengono una parte della gente nostra soggetta a straniera tirannide. Poiché sono cristiano, io non posso volere l’ingiustizia; e siccome, date le condizioni del mondo da me non poste nè volute, ma reali e da cui io non posso prescindere, solo con la guerra si può in questo caso impedire il trionfo della violenza e salvare la giustizia, rimovendo nel tempo stesso cause certe di future più spaventose conflagrazioni, io appunto per non rinnegare praticamente l'ideale cristiano, voglio, in questo caso, la guerra!....
• ♦ ♦
La voglio anche per amore della pace! Intendiamoci su questo punto, poiché è tempo, gran tempo, di finirla con l’equivoco che sta alla báse dei piagnistei pacifisti. Nel suo senso generico, il vocabolo pace implica assenza della guerra. Ma quest’assenza può essere determinata da cause diverse ed opposte, e determinare, a sua volta, diversi ed opposti modi di essere nella vita sociale. Vi sono, dunque, diverse maniere di pace, e ciascuna di esse ha un suo proprio contenuto morale e spirituale. Vi. è una pace che è corollàrio dell’oppressione: silentium jaciunt, pacem appellant. Accettarla, è sanzionare la schiavitù, e per ciò stesso rinnegare il Vangelo. V’è la pace che deriva da acquiescenza epicurea, da incapacità di sacrificio, da sfrenato amore pel benessere. Ma che patria! Ma che beni ideali e morali! Panem et circenses suol essere la vita. Accettare questa pace, sarebbe disonorare la vita e apostatare dal cristianesimo. C’è, infine, in rapporto con l’idea di pace una valutazione della vita che spesso ricorre nei sermonari pacifisti assoluti. La vita — dicono — è il supremo bene... Ma questo non è cristianesimo, è materialismo. Tutti i valori morali stanno al disopra della esistenza empirica; e il permanere di un popolo libero nella storia è cosa smisura-
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IL CRISTIANESIMO E LA NOSTRA GUERRA
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tamente più grande del conservare per alcuni anni di più resistenza empirica di un numero, sii pur grande, d’individui. E quando ferree Circostanze, da noi non poste nè volute, ci mettano davanti Paul aut, dobbiamo votare per là salvezza del popolo anche se ciò costi il sacrificio dell’esistenza empirica d'innumerevoli individui. Invertire i termini equivarrebbe a mettere sul trono il più sfrenato egoismo, spezzare i vincoli sacri della solidarietà con la stirpe, proclamare come canone di condotta l’inverecondo « dopo di me il diluvio ». Questo non è il senso cristiano della vita; è piuttosto un propter vitami vivendi perdere causas.
Tu vedi, lettore, che a risolvere il problema nostro non basta sapere che il cristianesimo dice pax in terra, ma è necessario accertare qual sia il contenuto ideale e morale della pace nel suo significato cristiano. Tutto revangelo, nella lettera e nello spirito, è sviluppo e perfezionamento dell’ideale di pace bandito dai profeti che si traduce in questa lapidaria espressione d’Isaia: «la pace sarà l’effetto della giustizia, e il frutto della giustizia sarà riposo e sicurezza perpetua» (XXXII. 17). Il che significa, da un lato, che nella nozione evangelica le idee di pace e di giustizia sono legate in maniera inscindibile; e, dall’altro lato, che il porro unum et necessarium è la giustizia. Non è pace senz’essa. Ma, quand’essa è, la pace l’accompagna come indeprecabile effetto. Ne segue che il pacifismo a tutti i costi che vuole la pace anche a costo di subire l’iniquità, e che perciò fa della pace e non della giustizia il porro unum necessarium, è una ideologia che esula dal Vangelo...
* ♦ ♦
Nobili anime di pacifisti assoluti rispondono che l’ideale di pace da essi adorato non è la pace con qualsiasi contenuto, ma la pace con un contenuto alto e degno. Non la giustizia — dicono essi — noi escludiamo, ma la guerra, in tutti i casi: tutti, tutti, tutti... Ma perchè la teoria si reggesse, bisognerebbe che i pacifisti cristiani fossero gl’iniziatori e i pratici fattori di tutta la realtà. Allora essi potrebbero fare tutte le cose secondo giustizia, e, così operando, escludere sèmpre la guerra. Ma, pur troppo, la realtà non è determinata dai soli veri cristiani! Ora, poiché i cristiani debbono agire in questa realtà non fatta da essi per attuare l’ideale, come regolarsi quando il non volere la guerra implica la sconfitta della giustizia? Affermare l'ideale e incrociare le braccia lasciando il campo della realtà in balìa delle forze contrarie alla giustizia, libere di stabilirvi l’imperio dell'iniquità? Ma questo non è affermare l’ideale: è semplicemente contemplarlo nell’astrazione.
Se ne accontenti chi vuole: io no. Io rimango cristiano devoto alla causa della Pace che è amore, ma ripudio con tutte le forze dell'anima mia e del radicato mio convincimento cristiano il pacifismo assoluto, perchè esso, nella sua indifferenza pratica per la giustizia, vulnera il sentimento stesso dell’amore! Sono per la guerra che oggi l’Italia combatte, perchè, essendo guerra per la giustizia, è guerra per la pace. Il rispetto che ho per la buona fede di pii cristiani che sono pacifisti assoluti non m’impedisce di considerare la loro dottrina come un traviamento intellettuale e come una profonda alterazione del cristianesimo.
Domenica delle Palme, 1916.
Ugo Janni.
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L’INSEGNAMENTO RELIGIOSO
SECONDO ODIERNI PEDAGOGISTI ITALIANI
a vexata quaestio dell’insegnamento religioso ritorna in campo, variamente discussa in trattati e riviste pedagogiche nostrane. Tanto meglio. Il periodo che attualmente attraversiamo ha molti punti di somiglianza con quello che dal ’48 andava al ’60; e Come allora i nostri grandi, dal Gioberti al Mazzini, vollero edificare la nuova Italia nel nome e in virtù delle supreme idealità religiose, così oggi non può, non deve negligere il solenne problema dell’educazione spirituale del popolo chi voglia
davvero l’incremento della patria.
Non l’ha negletto, per esempio, Giovanni Calò (1) — professóre nel R. Istituto di studi superiori di Firenze —, il quale nel duplice ministerio delle scuola e della stampa mira a dare agli educatori una visione elevata e profonda dello spirito umano, cioè del significato e del valore ideale del magistero educativo oltre che delle condizioni empiriche in cui esso opera necessariamente. Egli afferma che l’aspirazione profonda al bene e il senso tragico della limitatezza della nostra natura e dell'anormalità insopportabile del male si trasforma necessariamente in sentimento religioso. Ritiene ormai dimostrato che questo sentimento religioso tenda a prodursi naturalmente nel bambino. «Esso corrisponde a certe esigenze della ragione e dell'anima che il bambino rivela, a un certo momento, colle sue domande e che non possono distruggersi. Senonchè, nel bambino tende ad assumere forme antropomorfiche e talvolta egoistiche, corrispondenti del resto a quelle delle religioni primitive. Ciò che possiamo fare, è di dirigere lo sviluppo di questo sentimento, fondandoci sopratutto sul sentimento della natura e su quello morale, dei quali esso si alimenta, per evitare manifestazioni troppo rozze e grossolane. Ma di qui risulta appunto la necessità d’una educazione religiosa anziché del disinteressamento che alcuni vorrebbero in questo campo. Nel quale peraltro la famiglia è certo destinata a operare nella maniera più positiva ed efficace ».
Posto che la religione è stata sempre una delle espressioni più nobili dello spirito umano, significante il bisogno di trasferirsi in un mondo ideale e invisibile, dove
aCfr. Giovanni Calò, L’educazione degli educatori (Napoli, Perrella, 1914); Fatti imi del mondo educativo (Pavia, Mattel, Speroni e C., 1911).
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l’insegnamento religioso secondo odierni pedagogisti italiani 355
una suprema giustizia e una suprema bontà sono legislatrici; posto che la credenza in una realtà sovrumana e in un Dio da cui la nostra vita dipende è capace di dare alla coscienza morale una sicurezza pratica, un senso di responsabilità invincibile, un’elevatezza che altrimenti non si raggiunge; posto che la coscienza religiosa non è fittizia, e i suoi problemi si presentano necessariamente anche allo spirito del fanciullo — il quale, del resto, vive in un ambiente saturo di religiosità —, e colui che dirige questo spirito non può fingere d’ignorarli; il Calò ne deduce che la scuola, cui spetta non solo d’istruire, ma di formare delle coscienze, non può e non deve impuntarsi nel meschino proposito di escludere dalle sue pareti ogni voce che anche soltanto accenni a Dio e alle credenze fondamentali d’ogni grande religione, rinunziando a una forza educativa d’importanza enorme. « E come potrà il maestro sottrarsi alle domande, come rinunziare a far comprendere e sentire tutto ciò che, dalle opere d’arte a quelle letterarie, agli stessi discorsi nostri più comuni, è pieno della parola e del sentimento di Dio? » E conclude propugnando la tesi della scuola laica, ma intendendo la laicità nel senso più largo ed illuminato, a Scuola laica deve voler significare: scuola die non insegna determinate credenze o dogmi in quanto imposti da un’autorità religiosa o costituenti il patrimonio di una determinala confessione, e che istruisce ed educa degli spiriti, servendosi, ove occorra, anche dei sentimenti e delle idee religiose in quanto siano necessari e utili alla formazione di una retta e nobile coscienza; ma non deve significare scuola che disprezzi o che finga d’ignorare la religione e il posto che ha nello spirito umano e nella sua storia ».
Così ne L’Educazione d gli educatoti (voi. I, passim). In Fatti e problemi del mondo educativo (pp. 137-169) il valoroso pedagogista opportunamente ricorda che lo spirito religioso si promuove, più che con insegnamenti diretti, con un indirizzo generale di tutta la vita, richiamando l’attenzione sull’ordine e sull’armonia che regola l’universo, facendo sì che l’anima del fanciullo impari a respirare l’infinito, a guardar di là dell’esperienza, a provar di fronte al mistero dell’universo quella meraviglia che Platone faceva madre della filosofia e che è anche madre della religione.
Anche Giovanni Gentile (1), dell’ateneo pisano, riconosce che la religione come principio e legge dell’educazione ha il merito grandissimo di far sentire la realtà del soggetto nell’oggetto, l’uomo legato al mondo, alla verità, alla legge, a un tutto ch’è assoluto, in cui si spunta l’arbitrio individuale. « Dovunque si volga, chi creda in Dio, vede Dio, la sua volontà assoluta, che è la sua legge, e sente sè alla presenza indefettibile di questa volontà possente cui non si resiste. Questo senso religioso è lo stesso senso morale: la posizione dello spirito che sente nel suo mondo una legge assoluta. L’istruzione religiosa è per ciò un’istruzione essenzialmente morale, perchè la realtà che essa mette innanzi, è una realtà avente valore assòluto ». Soggiunge che, contro ogni forma rigida di educazione religiosa, in cui lo spirito ristagni in un’affermazione che è negazione della vita spirituale, è non solo giusta, ma naturale la ribellione dello spirito laico, ed è la dimostrazione del vigore eterno
(1) Cfr. Giovanni Gentile, Sommario di Pedagogia come scienza filosofica (Bari, Laterza, 1913); Scuola e Filosofia (Palermo. Sandron, 1909).
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della legge spirituale, che è legge di libertà e di progresso. Ma questa ribellione non può riuscire alla negazione radicale dello spirito religioso, che è momento essenziale dello spirito, bensì alla risoluzione dell’astrattezza di esso — che genera la rigidezza e fissità statica di una forma religiosa — nel flusso della concreta vita spirituale. Approva .infine che la scuola laica, come lo stato laico, escluda , da sé la religione, perchè «la religione nella scuola rappresenta quella intolleranza, quel ristagno scientifico, quell'eteronomia intellettuale e morale, che non si può non condannare severamente ». . e
Qui dal Gentile si discosta Giuseppe Lombardo-Radice, il professore di Etica e Pedagogia nella R. Università di Catania (2). Questi ripete il monito di Giordano Bruno che è necessario « favorire le religioni », le quali sono grado della ragione, ed è proprio lì, nella scuola elementare, che vuole impartire l’educazione religiosa: « E se veramente Dio si respira, si deve voler Dio fra i bambini; il loro Dio fantàstico, ma potente, premiatore del bene e punitore del male nella stessa coscienza, padre degli uomini e delle cose, autore del coraggio e del rimorso, onnipresente; affinchè giungano al Dio della filosofia che è poi la ragione stessa che ci fa abbandonare la vecchia fede puerile, per una fede più profonda, la quale non ha altra preghiera che la riflessione, non altro paradiso che l’amore della giustizia in sè. non altro inferno che la coscienza della caduta, non altro purgatorio che la inquietudine della verità, non altro rito che le azioni, non altri sacerdoti che noi stessi ». Il Lombardo-Radice vuole, insomma, la religione come « philosophia puerorum » nelle scuole primarie, vuole nelle secondarie e superiori la filosofia scientifica: giacché per una coscienza che non possegga in qualche modo principi supremi e da lei considerati universalmente validi, la vita e le azioni nostre sono senz'altro significato e senz’altro valore che il piacere e l’utile, e nell’utile, nella ricerca del godimento, lo spirito umano non posa mai. Il suo pensiero può riassumersi in queste quattro proposizioni:
1. Non è possibile una qualsiasi educazione senza un principio unificatore, nella stessa coscienza dell’educando, di tutti gli elementi della vita morale.
2. Questa unificazione non avviene nella coscienza infantile se non in piccolissimo grado per virtù raziocinai rice, ma avviene invece per quell’anticipazione di ragione che è il sentimento religioso, primo costitutore della legge morale fra gli uomini e prima posizione di quell'assoluto che nel processo dello sviluppo umano si viene determinando poi razionalmente, col superamento della fase religiosa.
3. La unificazione scientifica (filosofia) degli elementi della coscienza è una conquista finale, un ideale, al quale lavora implicitamente l’istruzione religiosa che ne è il presentimento, la prima posizione storica, esplicitamente l’istruzione uma-nistico-scientifica che è il compito proprio delle scuole superiori.
4. Perciò fra educazione religiosa ed educazione scientifica non c’è differenza sostanziale, ma solo empirica, di grado di razionalità.
(2) Cfr. Gius. Lombardo-Radice, Lezioni di didattica (Palermo, Sandron, 1913); Saggi di propaganda politica e pedagogica (Palermo, Sandron, 1910); La Milizia dell'ideale (Nàpoli, PerreUa, 1914).
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« Se la scuola confessionale — conclude il battagliero pedagogista di Catania —-ha torto nel volere imporre ai suoi alunni dogmaticamente la sua soluzione del mistero, la scuola laica commetterebbe un grave errore pedagogico e una grande immoralità, se facesse ignorare ai giovani l’esistenza d’un mistero, se li educasse dinanzi ai grandi problemi della vita alla fredda indifferenza o allo scettico sorriso ».
Il professore Vidari, dell’università torinese, ha iniziato quest’anno la pubblicazione dell’importantissimo suo corso di pedagogia. Nel primo volume, già venuto in luce (i), non è ancora esplicitamente discussa la questione, se convenga o pur no impartire nelle pubbliche scuole l’insegnamento religioso; ma nelle varie sue opere il Vidari ci si rivela uno dei più insigni campioni della filosofia spiritualistica; onde, per la contradizion che noi consente, ei non può certo volere una scuola materialistica o scettica nello spirito e nell’atteggiamento. In Doveri sociali riconosce che il Cristianesimo ha questa grande e innegabile superiorità morale, che della intima unione degli spiriti ha fatto la stessa finalità etica, e vede attuato il regno di Dio per ropera dell’amore nella fratellanza universale, e rimane ancora, fra quanti mezzi educativi si vogliano escogitare, il p ù oda io a svolgere il germe dell'umanità sociale, cioè dell'amore c della fratellanza. Soggiunge che, quando venga rettamente inteso e praticato, il sentimento religioso non può non trovare un valido appoggio nella seria e soda cultura, la quale, con l’abito della riflessione e l’oggettività serena dello sguardo, è capace di mantener pura la fède, mettendola in guardia contro le false interpretazioni e le aberrazioni ascetiche, e, spingendo lo sguardo mentale al di sopra dei fatti immediati e degli interessi individuali, dà l’abito delle concezioni sintetiche, e fa scaturire dalla stessa considerazione dei rapporti umani quel concetto della solidarietà che, religiosamente interpretato, si traduce nell’altro della discendenza divina degli uomini. Dichiara infine che, quando parla di un dovere supremo della cultura, intende in fondo di riferirsi a quella educazione spirituale riflessa che, mentre poggia sullo svolgimento libero dell’attività raziocinativa scientifica, è destinata insieme, e per il medesimo fatto del suo fondamento, ad attuare, nella forma più cosciente e più sincera, quella democratica unione degli spiriti, che è postulato del sentimento religioso e da cui deve uscire l'umanità. Del resto, in questo primo volume del suo corso di pedagogia, il Vidari ha scritto pagine stupende di delicatissima psicologia religiosa, degne di paragone con quelle fini indagini di tal genere, delle quali è ricca la letteratura angloamericana. Il sentimento religioso si presenta nel bimbo come senso d’abbandono nella protezione materna e in tutto quello Che la madre gli rivela: il bisogno d’accordarsi con la madre diventerà nel bambino il bisogno d’armonia con Dio, con ciò che può meglio rappresentare Dio sulla terra. Nel fanciullo questo sentimento si presenta come un senso di fiducia e di rispetto per il padre: Dio è un’autorità paterna, che non solo veglia teneramente sul figliuolo, ma protegge e impera, ama e punisce. Poi nell’adolescente il senso religioso si interiorizza e si amplifica sotto l’azione della coscienza morale, e Dio gli appare come legislatore, giudice, redentore. La religiosità, infine, si mantiene ancor viva nella giovinezza, quando il senso del reale concorra, non a dissolvere,
(i) Giovanni Vidari, Elementi di Pedagogia. Voi. I. / dati della pedagogia (Milano, Hoepli, 1916). Cfr. pure: Doveri sociali (Milano, Hoepli, 1913).
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ma a mantenere, affinare, umanizzare il sentimento morale: Dio appare al giovine come creatore dell’ordine fisico e fondatore dell’ordine morale; « il sentimento religioso investe e solleva tutta l’anima del giovane in una grande tensione teoretica e pratica, ed è una delle forme in cui la coscienza personale di lui meglio si manifesta ».
Giovanni Marchesini, dell’università di Padova, sostiene con molto acume la tesi che la religione non si può insegnare (i). Osserva che la fede religiosa sfugge dal campo del sincero sapere, e tanto ripugna alla natura reale della religione l'obbiettività dogmatica o il razionalismo teologico, quanto ripugnano fra loro i due concetti di convenzione e convinzione, di spontaneità e costrizione. La subbiet-tività della fede è così intrinseca a questa, epperò incomunicabile, quanto è intrinseca al sentimento; e a ragione il Laberthonnière afferma che credere religiosa-mente è vivere, onde si può soltanto credere per sè stessi, a quel modo che soltanto per sè stessi si vive, essendo assurdo che si viva invece di un altro. Certamente — continua il pedagogista di Padova — s’insegna un credo religioso come si insegna un credo morale. Al discepolo si può presentare ne' suoi simboli il divino, il soprannaturale, come gli si può presentare il modo di una determinata virtù; ma non deriverà all’anima di lui, per questa via intellettuale, la fede religiosa, come non gli deriverà la virtù dall’insegnamento teorico della morale. Ora, se la religione deve mantenersi dogmatica — essendo nel dogma il principio della sua conservazione — è vano pretendere che essa possa, bandendo ogni equivoco, essere insegnata. L’ufficio dell’insegnare si disimpegna soltanto se ciò che s'insegna sia imparato dal discepolo. Ma è possibile imparare l’irrazionale? Perchè il dogma possa essere insegnato veramente, o dovrebbe essere razionale, e cesserebbe d’essere dogma; o, rimanendo irrazionale, dovrebbe corrispondere a un bisogno della ragione; e si avrebbe, ciò posto, la inaudita conseguenza, che alla ragione sia proprio e urgente il mirare alla propria negazione. La religione come ordine particolare di sentimenti non s’insegna se non per effetto d’un contatto spirituale d'interessi omologhi. Non alle risorse della conoscenza e della memoria e ancor meno alle sottigliezze teologiche, può e deve chiedersi la formazione pedagogica della coscienza religiosa. Già Cristo dava di codesto metodo arazionale splendida prova, col linguaggio semplicissimo e sentimentale di cui genialmente improntava le sue auguste sentenze. Conviene insomma che l’educazione la quale miri a' fini della religiosità sinceramente, ricrei nell’anima dell’individuo que’ naturali «interessi » che più facilmente possono essere mossi e sviluppati; e che appunto in questi naturali interessi trovi, nell’anima giovanile tuttora indistintamente temprata, terreno fecondabile l'opera ideale religiosa. Conclude il Marchesini: «Ogni formalismo pedagogico, nel campo religioso, come in ogni altro campo in cui si coltivi un ideale sincero, è una profanazione della personalità umana degna di svolgersi per via diversa e più intima, che non sia quella della convenzione dogmatica e del simbolo vuoto. Fuori della libera fede nel divino, fattura originale della nostra anima, termine sacro d'ogni nostra aspirazione profondamente umana, indipendente da tradizioni e da riti, eco di reale virtù, l’interesse religioso vero e proprio non può sussifr) Giov. Marchesini, Nel campo dell'educazione (Roma-Milano, Albrighi, Segati & C., 1909); Corso sistematico di pedagogia generale (Torino, Paravia, 1911).
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stere; ma solo sussisterà, depravazione dello spirito, la parvenza religiosa, congiunta jorse a passioni volgari, o a pretese tiranniche, di cui l’insegnamento dogmatico è un aspro, doloroso retaggio ».
Il periodico La nostra scuola (di Milano) pubblicava nello scorso dicembre un poderoso articolo del professor Bernardino Varisco, il quale tratta la questione da un punto di vista tutto diverso. L'eminente filosofo di Roma rileva che, perchè il ragazzo sia ben preparato a diventare un galantuomo, bisogna che la sua concezione, dapprima imperfettissima, sia resa quanto più è possibile organica, cioè scevra di elementi contraditorii, essendo solo una concezione organica capace d’uno sviluppo che sia un perfezionamento. Ma una concezione del mondo, perchè sia organica, deve includere Dio; includerlo, non per incidenza, ma collocandolo in posizione centrale; includerlo in guisa, che ne sia compresa e páticamente sentita l’importanza suprema. Un’istruzione in cui Dio fosse lasciato in disparte o non collocato in posizione centrale avrebbe a un dipresso l'effetto medesimo di una che lo negasse. Infatti, la concezione che ne deriva è, in tutti e tre i casi, frammentaria: non mette in evidenza ciò che appunto più importa mettere in evidenza, essere l’ordine universale una « conditi© sine qua non » e un costitutivo essenziale del mondo. Noi vogliamo — dice il Varisco, — quant'altri e più che altri, un’educazione pratica; ma una pratica razionale ha il suo fondamento imprescindibile in una concezione, in cui sia compreso e messo al primo posto l'ordine universale. Il ragazzo non avverte chele realtà singole hanno tra loro delle relazioni essenziali; concepirebbe il mondo come un tritume incoerente, ossia non lo concepirebbe, se tra le realtà medesime non avvertisse delle relazioni causali. Queste a lui sembrano accidentali; è impossibile che tali siano intieramente. La concezione che il ragazzo può formarsi mediante la causalità com’egli se la immagina, è dunque ancora inorganica. Diventerà organica, se gli diremo che, oltre a tutte le cause di cui ha notizia, e ad innumerevoli altre simili, ce n'è una, senza della quale non ci sarebbero nè queste cause particolari, nè alcuna cosa particolare. Il fatto prova che il ragazzo comprende questo linguaggio. E la ragione del fatto è chiara: innalzarsi alla causa prima non è che applicare a tutto l'insieme dei particolari quella stessa nozione di causa, che il ragazzo applica in ogni momento alla spezzata. La dottrina della creazione segna dunque un passo decisivo sulla via dello sviluppo. Ma nel mondo c’è dell’intelligenza; dunque la causa del mondo è intelligente, ossia personale... Ma è inammissibile che Dio e il mondo siano esterni l'uno all’altro, perchè porre Dio fuori del mondo è porre fuori del mondo la causa o il principio dell’ordine, cioè negare che il mondo sia ordinato. Dio è persona ed è principio dell’ordine; immanente sotto il secondo aspetto, è trascendente sotto il primo. Bisogna dunque fare un altro passo nell’insegnamento che dobbiamo impartire per aiutare il ragazzo a formarsi una concezione organica. E si badi che la dottrina della creazione, intesa nel senso indicata dal Varisco, non è propriamente un dogma. Ad essa può limitarsi l'insegnamento teorico-religioso che deve fornire la scuola; alla famiglia spetterà di fare il resto.
Accanto ad un pedagogista metafisico come il Varisco ci piace citare anche una pedagogista pratica come la Montessori. La nobile fondatrice delle «Case pie
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bambini » conclude la principale sua opera vigorosamente propugnando la necessità dell’educazione, religosa anche per i più piccoli fanciulli (i), perchè il bimbo, educato col metodo della libertà-, ci svela che l’uomo è un essere naturalmente religioso.
Finalmente il Credaro, dell'università di Roma, e il Della Valle, dell'università di Messina, sonò amendue contrari non all'educazione religiosa liberamente compiuta nella famiglia, ma all'insegnamento catechistico impartito nelle pubbliche scuole. L’ex ministro della pubblica istruzione è il più insigne seguace in Italia della pedagogia herbartiana, e, come tale, non può nemmeno lui propugnare una scuola con programma ateistico o materialistico. Il Della Valle dice, nella Rivista Pedagogica, .che la religione è un ardente ed infinito palpito verso l’eterno: non si crea e non si distrugge: il divieto non la sradica, l’obbligo non la istilla. Ma per entrambi i pedagogisti l’insegnamento catechistico va lasciato alla spontanea iniziativa della famiglia, delle chiese, delle associazioni private, ed allora i credenti non han nulla da temere, se davvero piena, sincera, vibrante è la loro fiducia nella vitalità del sentimento religioso, nell’efficacia della propaganda, nel fervore di una fede intimamente vissuta; mentre chi teme che il regime di libertà distrugga questo sentimento nell’anima delle folle — perchè solo l’obbligo burocratico, gli esami, i punti buoni o cattivi, i castighi inflitti agli scolaretti recalcitranti possono mantenerlo in vita — viene implicitamente a confessare che la religione nell’anima moderna è una « inutile sopravvivenza, destinata a svanire fuori dell’ambiente illusorio in cui finora, fidando nell’inerzia della tradizione, si è comodamente adagiata ».
Dopo aver fedelmente riferito le diverse opinioni, ci è lecito di concludere:
i. che gli uomini più rappresentativi dell'odierno movimento pedagogico ih Italia fanno ben netta la distinzione fra sentimento religioso éd insegnamento catechistico;
2. che essi han tutti o quasi tutti superato il gretto pregiudizio materialistico, ed ammirano l’insuperabile efficacia del Cristianesimo a fornire agl’intelletti una organica concezione della vita e a ritemprar negli animi il senso della disciplina, del dovere; e si riaccostano pertanto alla scienza e coscienza de' nostri grandi educatori, i quali da Vittorino da Feltre all'Aporti, dal Lambruschini al Gabelli e al Siciliani (sì, proprio al Gabelli e al Siciliani!) intuirono l’inestimabile pregio della dottrina e del metodo di Gesù per la cultura e l'affrancamento dello spirito umano;
3. che si dichiarano quasi tutti avversi all’insegnamento strettamente confessionale o catechistico nei pubblici istituti, laddove niun di loro vorrebbe mai tollerare una pubblica scuola organizzata con programma antireligioso o che in qualunque modo violasse il sacro diritto alla libertà di culto;
4. che quasi tutti gli odierni rivendicatori della scuola neutrale inclinerebbero a dare più larga parte all'educazione religiosa nelle pubbliche scuole, qualora non avessero tanto a diffidare di quel fanatismo settario e di quelle insidie clericali che tornano sì funeste alla libera evoluzione delle coscienze, al rigoglioso incremento della patria e della società intiera!
Edoardo Taglialatela.
(1) Maria Montessori, The Montessori Method (London, Heinemann, 1912).
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INTORNO AD UN’ANIMA
E AD UN’ESPERIENZA RELIGIOSA
In memoria di GIULIO VITALI
ori vere di lui? E poi? Dopo le molte o le poche parole per ricordarlo agli amici e agli estimatori, per rivelarlo fuggevolmente e di scorcio ai più che lo ignorarono, sarà silenzio; e quelle stesse parole richieste dall’animo sgomento e confuso, potranno parere di parata e di convenzione banale. Che dolore, e quanto amaro, mentre G. Vitali poteva, doveva rimanere ancora al suo posto lunghi anni operosi e buoni! Non vi restò fermo dalla prima giovinezza? Quante fasi spirituali si passa
rono insieme, quanto cammino si fece insieme! Quanto bene seminò egli in ben disposti spiriti coi suoi scritti, quanta sua luce interiore comunicò altrui, e quanto buon esempio, in una vita di cui pure non doveva render ragione a nessuno e di cui avrebbe potuto usare e abusare come altri, come la maggior parte fa nelle sue condizioni!
Fu per frigidità costituzionale di natura? No. Sentiva le seduzioni passionali, e si cingeva i lombi dell’austerità del Vangelo; aveva passati i suoi momenti di tentazione e di dubbio, del dubbio di tutto, e ne era uscito con la parte più alta di sè illesa e più che mai temprato e risoluto a dare esempio di vita pura, a infondere in quanti più potesse la fiducia, ch.e è il principio dell’attività serena. E doveva scoccar l’ora della disfatta! Oh, fu un momento solo forse che lo vinse, lo abbattè, gli diè la vertigine, gli offuscò la vista interiore e gli armò, lui incosciente, la mano per porre con un insano atto l’antitesi più stranamente orribile fra tutta una vita e una morte.
Tanto più stranamente orribile, in quanto che G. Vitali fu un cristiano convinto, e non di testa, ma di vita che include la testa e la supera. Non fu un virtuoso della virtù, nè questa dipendeva in lui da una teoria; o, sì, da una teoria, ma basata sur un fatto, o da un fatto da cui scaturisce una teoria, blocco incandescente da cui s’effonde luce e calore. Gli atti del Maestro gli concludevano il suo Vangelo, e accettava questo praticamente, perchè sentiva, adorava e amava il Maestro Gesù.
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Amai Vitali ancor bambino, bello, vivissimo, ma tanto dolce e puro.
Ritraeva in sè, aveva sentore, in ogni atto suo, della famiglia cristiana a cui apparteneva; così, crescendo in età, subì assai facilmente e felicemente la benedetta attrazione della virtù. E non cominciò con le discussioni, ma con la carità. Il fondamento era posto a maraviglia.
Chi conosce il suo bel volume Alla ricerca della vita sa che vi si trova un brevissimo documento di ciò che io dico. È uno stralcio del Diario, dove lo studente d’allora — s’era nel 1895 — veniva annotando le impressioni della parte di giornata trascorsa fra le spaventose miserie ammucchiate nelle catapecchie e negl’immani alveari purulenti del quartiere di S. Lorenzo, a Roma. Brevissimo ricordo d’un’assidua opera di soccorso materiale e di morale conforto a cui egli si consacrò con perseveranza inattesa in un giovine. L’esempio di alcuni coetanei e il fervore di persone da lui venerate gli furono certo di sprone, ma non ci sfugga la bellezza del fatto. Dove l’avrebbe spinto il bollore del sangue e un altro esempio assai più vasto e seducente, quello della maggior parte dei suoi compagni? Ed egli scelse la parte più aspra e l'esempio più arduo. Son cose di cui gli uomini possono scordarsi, ma di cui non si scorda Iddio.
Tutelava con la carità la purezza, allora, come poi con l’alacrità in un lavoro nobilitante. Sentiva di doverlo fare. Quante volte, nei momenti in cui le occupazioni meccaniche &AV Impiego gl'impedivano di elevarsi nelle regioni che più eraho sue, e lo ricacciavano giù fra i piccoli uomini, fra i soliti uomini, mi ripeteva: Mi sento diventar cattivo, e ho paura di me: l'impurità è in agguato. Io cercavo di sollevarlo, fingendo di credergli; in realtà mi fidavo di lui: chi teme è, generalmente parlando, in sicuro. L'inizio della sapienza è il timor del Signore, sta scritto nel vecchio Salmo; e dal timore, che è ben diverso dalla paura,’ incominciano molte altre belle cose e altre molte se ne salvaguardano. Finché un giovane teme di sè, non temete di lui, parlo in certi affari.
Non vi fu movimento di vita spirituale di cui egli non si sentisse a parte, si trattasse di .quello che ebbe per organi principali il Rinnovamento e il Nova et velera, o di quello per una riforma razionale della nostra scuola, o per un ritorno dell'arte cristiana alle sue fonti cristiane, o ultimamente per la unione dei paesi neutrali, con lo scopo di affrettare e stabilire la pace fondata sul diritto, o per la moralità. E in tutti portò un contributo suo di idee sue. Ricordo un solo esempio. Collaboratore del periodico Vita, tramutatosi poi nel Rogo, organo romano del-Y Unione per la moralità, egli vagheggiò sempre che la trattazione dei temi e tutto l’andamento della propaganda si allargasse, si aereasse. Stimava, che il rimaneggiamento trito e immediato di certe materie giovasse a pochi, potesse nuocere a molti. Meglio attenersi ai principi che accodarsi nelle deduzioni; meglio purificar la fonte che disinfettare i rigagnoli; per non imbrattarsi, preferibile spaziare alto all’analizzar le pozzanghere; opera più certa di moralità, più..; morale anche, ampliare i limiti dell’operosità gioiosa dello spirito e delle membra, che non indurre a fissare ipnoticamente il fantasma osceno. La lettera che scrisse su questo suo modo di vedere in Vita mi parve e fu giudicata un capolavoro del genere.
A proposito di purezza: come mai Vitali rimase celibe?
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La prima idea che si affaccia, volgarmente, è questa: per fare il comodacelo suo. Ebbene, no.
Potrei dire mezzo scherzando, se ne avessi la voglia, che non seppe innamorare nessuna brava figliuola, in modo definitivo, quantunque egli, con una ingenuità fra lilla e rosa, credesse di quando in quando e si ostinasse a credere il contrario, e sino mi perdoni, non è vero, povero amico, se rivelo il cantuccio romantico della tua anima? — a volere che fosse il contrario; ma poi riflessivamente s’inibì l’amore. Assai presto si sentì malato, coi nervi in tumulto, con una minaccia continua di uricemia diffusa congenita, e si contenne abitualmente in una vita, che ai più dei giovani e... anche degli uomini maturi —così detti — sembrerebbe utopia, anzi favola — effetto della mezzacanna del negozio, si direbbe in buon romanesco. Gli incuteva, spavento—sentite questa, giovani acerbi e uomini maturi! — I enorme responsabilità di comunicare avariato, sia pure senza colpa, il dono della vita a chi non lo richiede, od ha un radicale diritto di riceverlo almeno sano e gagliardo; perciò, quando ai periodi romantici susseguiva per l’appunto la riflessione, si ritraeva dietro il riparo dei suoi propositi, in solitudine. Alla quale lo spingeva e determinava un’altra ragione nobilissima: il dovere impostosi di contribuire quanto potesse al benessere della mamma e della parte di famiglia rimastale a carico, senza stornare dei propri guadagni per sè altro che l’indispensabile al personale decoro.
La solitudine che io dico fu dunque voluta; ma non per questo meno amara. Il sacrificio, accettato e imposto da noi a noi stessi come un dovere, non lascia d'essere sacrificio, anzi acquista con la dignità maggiore una più acuta intensità dolorosa. Chi conobbe intimamente Vitali può attestare quanto a lui la mancanza di un nido suo riuscisse acerba, inconsolabilmente acerba.
Digiuno d'affetto, non solo, ma di assistenza — e ne avrebbe avuto tanto bi sogno, astratto e distratto come era, e per conseguenza disordinato in tutto quello che concerneva la parte materiale della vita — il suo più ambito compenso sarebbe stato studiare, pensare, scrivere, senz'altri impacci. Questo avrebbe voluto fin da quando, giovanissimo, si trovò a dover scegliere la sua strada; a questo anelò sempre, e sempre con crescente ansia e più vivo rammarico di non potere.
Ebbe ragione? Chi lo sa? Certo in quasi tutti noi gl’ingranaggi bruti della vita riescono a soffocare e sacrificare il meglio forse. Non si danno in questo che delle eccezioni. Ma nessuno può dire se, dato a ciascuno il tempo assolutamente libero, la produzione intellettuale ne seguirebbe maggiore. Spesso più si fa e si produce col contendere che col distendere. Nel Vitali poi il malessere morale si sarebbe,, io credo, acuito, ove tutto gli fosse andato a seconda. Ciò non toglie che il povero amico si crucciasse senza posa delle sue costrizioni e restrizioni di vita intellettuale.
E se avesse scelto di continuare nella carriera paterna di avvocato? Lo Studio era così bene avviato, ricordo! — Ma le occupazioni d’Ufficio sarebbero state anche più gravi e assorbenti. D’altronde, lo schivo e inflessibile animo cristiano del Vitali avrebbe retto nell’impegno? E, se no, come è facile supporre, le contradizioni fra cui avrebbe consumato la vita non gli avrebbero mozzata peggio l’attività, che pure spiegò nella sua qualità d’impiegato?
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È vero che nemmeno al Ministero del l’istruzione trovò il suo terreno, tut-t’altro, e senza posa deplorò i mille impicci, diciamo così, professionali, da cui non gli era possibile districarsi, e i diecimila compromessi con la parte più nobile e delicata della sua natura e col suo chiaro, limpido cristianesimo, il cristianesimo del sì al sì e del no al no, impostigli dalle, diciamo anche questa, alte esigenze di un Dicastero del Regno — e già, se si fosse trattato d’una Repubblica, sarebbe stato press’a poco lo stesso. « Cosa orrenda — mi ripetè non so più quante volte — dover essere malvagio per ufficio, e dover servire alla malvagità per obbligo di giustizia! ».
Ad ogni modo, anche nelle sue condizioni, scrisse. E scrisse di molti generi. Lo seduceva assai quello del racconto psicologico sociale, o nella fi rma breve della novella, o in quella più ampia del romanzo. Come intendesse quest’ultimo, di quali fini profonde osservazioni l’avrebbe potuto impreziosire, affidandogli un’alta missione morale, senza nulla sacrificare dell’attrattiva di bellezza, si può vedere in Dal vero, inserito da lui nel suo volume Alla ricerca della vita. Pur troppo g'.ie ne mancò il tempo e col tempo la lena. Ma quello a cui si sentì più poi tato e rispondeva di preferenza anche alle condizioni esterne della sua vita, fu il saggio filosofico e più specialmente psialcgico, per cui gli davano lo spunto così le questioni e i problemi via via insorgenti e che più lo appassionavano, come le frequenti recensioni richiestegli.
Molto di ciò che scrisse è sparso per fogli e periodici e cioè mezzo sepolto. Quanto ne raccolse, poco aggiungendovi di nuovo, nel volume già citato Alla ricerca della vita ne è solo una parte.
E solo questa parte rimarrà alquanto più accessibile al pubblico — non, pur troppo, nemmeno questa, a un gran pubblico — a testimoniare della finezza mentale e più ancora della nobiltà morale dell’uomo che piangiamo.
Ma il lavoro che meritò più lode e ammirazione fu quello su Leone Tolstoi. Analizzare l’opera del titano russo, riassumerne i concetti fondamentali e direttivi, computarne la portata e il valore, era impresa di singolare difficoltà. Che il Vitali la superasse se ne ebbe il più ambito dei testimoni, il Tolstoi in persona, che in un autografo prezioso assicurò l’autore così: « trovo che il contenuto dei primi sei articoli rende con tutta la desiderabile perspicuità il mio modo di vedere circa le questioni religiose e morali. Soltanto w* pare che l'articolo settimo non sia all'altezza dei precedenti ». Quest’ultimo articolo trattava della questione sessuale. Naturalmente l’appunto indusse il Vitali a riprendere, ampliare e approfondire la ricerca. Per tal modo il libro divenne davvero completo. Diviso com’è definitivamente in cinque lunghi capitoli: L’uomo; La sita religione; Il rinnovamento sociale; Il rinnovamento della famiglia: La missione dell’arte, non lascia nessun angolo della vita e dell’opera tolstoiana privo di luce. È il lavoro più notevole uscito in Italia sul genio maggiore del secolo xjx.
L'autore chiamò le parti del suo libro: Meditazioni, e tali sono in realtà. Meditazioni dense di pensiero, del pensiero che indaga, coordina, illustra, e del pensiero proprio, delle proprie idee che ne rampollano pei- simpatia e omogeneità di atteggiamenti interiori con l'autore illustrato; omogeneità che si avvertì nel Vitali fin dagli inizi della sua attività di pensatore cristiano.
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Al qual proposito mi si permetta una osservazione.
Adesso, e ben prima d’adesso, questo titolo tolstoiano è divenuto un’arma di offesa e di spregio. Volete chiudere la bocca ad uno che nel Vangelo veda, non l’ideale vagheggiatile — stavo per scrivere vaghegginabilc — di quell’illuso semita di qualche ingegno che si chiamò Gesù!, ma il programma dell’umanità, e cioè dello spirito che si evolve, liberandosi dalle morse deila materia e delle sue leggi, nel mondo dei reali e dei realizzabili? gittategli in faccia: tolstoiano! e l'uomo è servito, io vorrei che s’avesse il fegato di rispondere a fronte alta: ebbene sì, tolstoiano; e non perchè il Tolstoi sia il Tolstoi, ma perchè, salvo le esagerazioni che in humanis non mancano mai, il Tolstoi vale per le sue idee, e le idee non sono nè russe, nè italiane, nè del Tolstoi nè d’altri, ma di tutti, perchè non sono monopolio di nessuno, come il sole, e un po' più su. Vitali lo ebbe questo fegato, ed è un bel vanto di sicurezza di giudizio, di dignità, di autonomia, di libertà. Non si avvide subito di ciò che seguiva in lui sotto il fascino delle dottrine tolstoiane, quindi in principio negò di essere tolstoiano; ma non appena la realtà del fatto gli si delineò netta davanti agli occhi volti dentro di sè e intorno a sè, rese testimonianza alla verità- « Ammiratori sinceri del Tolstoi, e persuasi del gran bene che egli ha fallo alla nuova generazione, noi non ci professammo mai tolstoiani », scriveva nell’articolo inserito in Rinnovamento (Anno III, fase. I); e la ragione era sottile e speciosa ; perchè gli sarebbe parso una contradizione, appelli come quelli del Tolstoi, essendo più per destare libertà di criteri, di analisi, di giudizi, che per formolarne una serie da incatenare coloro che intendono liberare. Speciosa ragione, non soda, perchè seguaci di certe idee, seguaci seri s’intende, non sono i pappagalli, ma coloro che in quelle idee riconoscono una rivelazione, che non le accettano perchè sono del tale, ma perchè sono la verità; mentre il tale ha l’unico merito o il privilegio d’averle scòrte e additate, non d'averle create. Si può astrarre dallo scopritore, e le idee rimangono quelle che sono. Galileo vi avvia al canocchiale e vi dice: guardate: e voi credete alle stelle, non perchè Galileo ne abbia la custodia o la proprietà, ma perchè sono nel cielo e voi le vedete. Se negaste di guardarle o di confessare di vederle per non dirvi galileiani, voi non sareste^! iberi ma sciocchi: le stelle vi guarderebbero dal cielo, sorridendo dei fatti vostri. Altrettanto avviene per le verità astratte e morali, mettiamo che non godano della stessa evidenza, nè costringano a uno stesso grado di assenso.
Vitali capì bene tutto questo, e preludendo al suo volume sul Tolstoi scriveva: « Misurai la fecondità invisibile dell'influenza di pensiero esercitala in me da quel Grande, e più in cari compagni miei d!allora, di me assai migliori e in tutta forse la generazione che crebbe contemporanea a noi. Quell’uomo, tanto lontano e diverso d’origine e d’ambiente, m’apparve vicino e presente ». Poteva trattarsi d’illusione, di fascino esterno e di efficacia d’autorità: «Zto dubitato, aggiunge, ed ho esitato prima di riconoscere definitivamente... la verità; e la verità era questa: »che Leone Tolstoi c sangue del nostro sangue, materiato delle aspirazioni e dei bisogni più occulti, perchè più profondi, che tentano 1‘insoddisfatta anima nostra, e la sospingono ansiosa verso l'avvenire ». E così presentò il volume agli Italiani, come un eccitamento verso questo avvenire d’una umanità migliore per tutti. Questo era ben profes-
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sarsi tolstoiano, quantunque non fosse un definir Tolstoi infallibile nè accettabile allo stesso modo e allo stesso grado in ogni sua idea.
Al volume Tolstoi fece seguito l’altro Leone Tolstoi pedagogista, preceduto da una lettera alla signora Enrichctta Chiaraviglio-Giolitti, sull’ufficio della donna nella educazione, che è degna di far riscontro a quelle che Ruggero Bonghi premetteva alle sue traduzioni platoniche.
Il libro è una raccolta, o meglio una scelta, degli scritti, alcuni recati per diteso. altri compendiati e riassunti, intorno ad argomenti di pedagogia, dell’immenso russo; tutti di aito valore e, aggiungo, naturalissimi, con considerazioni e canoni da parere a volte fin troppo semplici e semplicistici e perciò quasi strani e paradossali. Sì, perchè noi. a furia di riflettere e di complicare e di voler riuscire geniali, abbiam finito per abbandonare la grande guida, la natura, a traverso la quale si rivela Iddio, e quello che ci riporta ad essa ci pare assai curioso.
Come vorrei che si rileggesse — e vedete un po’, suppongo dunque che si sia ietto, in Italia! — il bel volume di G. Vitali, da chi ha in mano le sorti delle giovani forze sociali, per raddirizzare gli innumerevoli e incalcolabili spropositi fra i quali si aggira il problema pedagogico presso di noi’ La Russia non c’entra che per poco, c’entrerebbe invece per moltissimo il buon senso, sempre in gravi dissensi col senso comune. Ma noi abbiamo altro da pensare.
Forse dalla materia di questo volume, che tenne lungamente occupato il Vitali, procedette l’estrema opera sua, tutto l’insieme notevolissimo di scritti destinati da lui al buon periodico La nostra scuola e tutti aggirantisi intorno a questioni pedagogiche. Innamoratosi del problema, sentiva ora il bisogno di sviscerarlo e applicarlo.
Estrema opera, che, come le prime, come tutte, come ogni opuscolo, ogni pagina del povero amico, è nutrita'di cristianesimo, è un richiamo alle più alte, ma spesso dimenticate o neglette, verità, è condanna di molti errori comuni dj mente canonizzati per assiomi, di molte birbonate pratiche messe in valore di virtù e di pratica sapienza del vivere, del governarsi e del governare, è affermazione di un’altra sapienza abbandonata per vecchiume, ma che in realtà non invecchia mai. perchè è l’eterna, è l’eterna perchè è l’unica.
L’ingegno di G. Vitali fu giudicato da molti oscillante, per non esser proceduto serrato, rettilineo, unilineo. Io penso: se si fosse sforzato di rimanere sopra un binario unico e rigido, avrebbe prodotto di più e di meglio? Ecco un’altra ostinazione curiosa: pretendere che gli ingegni si conducano tutti allo stesso modo. E arriviamo a suggerire, fin a spiriti superiori, che se ne vanno invece a modo loro: Ehi, badate, si va per di qua: per di là vanno gli scavezzacolli, e si perde la strada. Se si pensasse che ognuno è costruito com’è costruito! Costringete tutti a fare come si deve fare, e nessuno farà più nè male nè bene, perchè nessuno farà più nulla.
Non per la mia persuasione in proposito esiterò ad aggiungere: G. Vitali tentò anche la poesia, riuscendovi minore di sè. La mia frase credo sia esattissima: tentò anche la poesia, e vorrei incidesse la cosa e la spiegasse. È la poesia che deve tentar noi, come in genere la bellezza nell’arte, perchè si raggiunga l’eccellenza — e in arte
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o si è eccellenti o nulla. Quando è la divina che afferra e rapisce, può mancare la disciplina formale, ma il sigillo, divino anch’esso, non manca mai. Vitali non provò questo afferramento e rapimento misteriosi e reali; quindi la sua opera poetica fu, giusto, più un tentativo che altro.
E intendiamoci. Non è che manchino nel volumetto del Vitali Alle soglie del mistero molte belle cose; ma noi abbiamo l'impressione invincibile e continua che l’autore le avrebbe dette anche meglio in prosa, senza i costringimenti del verso e della strofa. E precisamente il contrario di quanto ci avviene quando ci troviamo di fronte a poesia vera.
Si farebbe un giudizio temerario pensando che la sua operosità di pensatore e di scrittore gli fruttò frutti amari z\\’Ufficio?
All’Ufficio, negli Impieghi, guai a non andarci e a non portarcisi secondo i Moduli controllati e vidimati! Oronzo E. Marginati, ecco il tipo.
Nè c’è dubbio che vi si debba compiere il proprio lavoro: il punto è che bisogna compierlo in un dato modo e in un dato tempo; se no, addio favori e promozioni.
E Dio allontani da me l’idea che proprio quel che tolse al Vitali la visione della realtà sia stato il sospetto o la certezza di vedersi scavalcato nella promozione a capodivisione. Mai ironia più perversa avrebbe giocato una vita. No. Se mai l’ignobile cosa fu la pietruzza che fa sdrucciolare anche chi sta saldo in piedi. Vitali fu un nevropatico. Dal suo stato morboso e tormentoso seguiva l’esagerarsi tutto, come ne procedevano le sue fantasie, quel che di strano, d'incoerente e di poco simpatico che appariva in molti suoi atti, fin quella mancanza di riguardi verso altri, di controllo e di vigilanza sopra sè medesimo, che così frequentemente si lamentavano, quando non si biasimavano, in lui. Di qui molti ostracismi. Bisognava amarlo molto per molto compatirlo: ma con questo si capisce che i più se ne stancassero o male lo sopportassero. Quindi malumore e isolamento crescenti e crescenti sofferenze fisiche e morali. Aggiungete la famiglia lontana, e a cui egli più doveva recar conforto che non potesse attingerne, il credersi dimenticato e schivato fin dagli amici più fedeli, e quei cumuli di nere grandi ombre che vaporano da un’anima e da nervi malati e poi vi gravano su, tutto offuscando e deformando, ed eccovi l’uomo, eccovi l’atmosfera che a mano a mano gli avvelenò le fonti della vita. Vitali fu vittima di un morbo complesso e di una complessa congiura di elementi ostili che tolsero all’uomo l’umana responsabilità.
O nò?
Un dubbio mi attraversa l'anima qui sul finire.
Metto insieme parecchie cose.
DeW Impiego suo al Ministero abbiamo visto quale stima facesse Vitali.
Mi è ritornato sotto gli occhi questo periodo, scritto da lui tanti anni fa, in quell’articolo nel Rinnovamento su Leone Tolstoi già da me ricordato: « Tolstoi non può starsene alle piccole menzogne, alle fatue illusioni, nè con sè, nè con gli altri; piuttosto la morte. Anche.il proposito del suicidio balena talvolta in quella mente avida, di luce: proposito, a dir vero, meno tristo c meno dannoso disumanità che non sia il consueto acquietamento passivo al vizio conosciuto che è da schiavi. In questo senso
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giova infatti ripetere pure oggi quel detto greco che il Pascoli ha così tradotte: '* Chi non può bene, mal non vìva in Ceo ” ».
Di quando in quando, nei momenti di più acuto sconforto, contradicendo a parole buone, miti, gagliardemente rassegnate, pronunziate o scritte, Vitali si esprimeva come un disperato di sé e della vita, un tradito nelle più legittime aspirazioni, e accennava a una fine violenta. Erano crisi che poi egli stesso confessava superate da lui, solo con lo sfogarsene con qualche anima amica.
L’ultima delusione forse non tanto lo feri nell’amor proprio, quanto gli fece prevedere un ancor lungo indefinito asservimento al male, a quel male che egli giudicava inseparabile dal suo Ufficio, e da cui forse4aveva sperato potersi, in parte almeno, francare, salendo l’ultimo gradino gerarchico d'impiegato (illusione non improbabile).
Da tutti questi elementi combinati insieme mi risulta la premessa possibile di cui il suicidio fu la conseguenza: Vitali potè riguardarlo nella sua fantasia sofferente, nella sua mente malata, come un ultimo aspro dovere da compiere. Ma in tale ipotesi un’improvvisa luce investe e irradia l’atto insanissimo, la luce del dovere, che lo trasfigura.
Oh, se mai, sia così ! e rimanga a chi volle bene al povero Giulio Vitali questo estremo conforto, e l’altro più fermo senza paragone e sicuro, di poter pensare che Dio abbia valutato la bontà reale di quest’anima e perdonato l'errore.
Ed io alzo con fiducia la testa, ripiegatami da tante inattese sventure e miserie, e con fiducia volgo gli occhi verso la giustizia infinita che attende luminosa ogni uomo oltre i confini della vita, verso la infinita bontà che in sé risolve tutti gli oscuri tormentosi misteri dell’universo e di questa nostra umanità travagliata, e ha raccolto in pace quest’anima cristiana, che ben credette, bene sperò e bene spese tutta la sua attività libera, tutte le riserve più preclare dell’ingegno aperto e del nobile carattere. Così spero, così credo, così è, e sento che anch’io bene spero, ben credo, ben affermo così, mentre rimango pensoso e triste, riandando l’esistenza travagliata e la fine tragicamente infelice dell’indimenticabile amico.
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u un vinto Giulio Vitali? A chi l’ha affermato si converrebbe forse la risposta che Carlyle diede un dì all’ambasciatore Piemontese che aveva espresso un giudizio ingiusto su Mazzini: « Signore, voi non lo conoscete affatto, affatto, affatto ». Il caso di Giulio Vitali fu semplicemente quello di un nevrastenico che soccombette a un accesso del suo morbo come altri è condotto alla tomba da una polmonite o dalla tubercolosi. « 0 la fine che ha fatta, o la follia »: tale è la sentenza
che la scienza psichiatrica ha pronunziato su di lui. Dilemma, che si risolse nella tragica unità: « Ha fatto la fine che ha fatto in un accesso di delirio sistematizzato ».
Le ultime tre settimane della vita di Giulio Vitali segnarono, infatti, un « crescendo » patologico, in cui un ciclo d'idee s'impadronì della sua psicologia, ossessionò il suo pensiero e smontò pezzo a pezzo le resistenze della sua tenace volontà: divenne fissazione, contro la quale invano lottò egli — il suo io del passato, dei valori spirituali e morali — e lottarono fino alla spossatezza i suoi più cari; si solidificò in monomania ricca di allucinazioni, per cui egli vide non solo la sua carriera inesorabilmente spezzata, ma tutta la sua vita fallita, e si sentì fatalmente trascinato verso l'abisso. Sarebbe inutile dare in pascolo ad una vana curiosità i particolari e le forme assunte da questo delirio sistematizzato; forme che solo in una coscienza morbosamente delicata poterono allignare, e svilupparsi in fantasmi ed incubi, associandosi con altri fantasmi ed incubi che avevano da anni attinto la loro vivacità a propaggini, rigogliose soltanto in un suolo ricco di nostalgie spirituali e di altissime esigenze ideali. Ma possiamo con sicurezza dichiarare che Giulio Vitali non
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fallì, bensì si sentì fallilo. La distinzione non sembri pietosa e vana. Voglio dire, non solo che molti altri, al suo posto, si sarebbero ritenuti prossimi alla vittoria anziché alla disfatta; a divenir milionari anziché a precipitare nella bancarotta: ma che, se egli stesso non potè scorgere i valori depositati nelle sue casse forti, non riuscì a vedere che la vita poteva anche per lui divenire degna di esser vissuta ciò fu perchè la vista gli si ottenebrò, la tavola dei valori si sconvolse. Giacché, egli stesso, pochi mesi, poche settimane prima, aveva rimirato alla vita con occhio benevolo, e aveva visto che essa era buona come un terreno fecondo, e ricco anche per lui di promesse e di speranze. Insomma, la vita di G. Vitali va studiata e valutata alla luce non della sua finale catastrofe, ma degli ultimi suoi bagliori. Su questo punto, sento che il dovere di una lunga e ininterrotta amicizia mi impone di dire quali furono le ultime visioni di attività buone che allietarono o confortarono le ricerche di questo instancabile pellegrino dello spirito, esploratore di sorgenti vitali: e solo chiedo scusa di dovere associare la mia persona al ricordo dell'amico. Amicizia lunga e ininterrotta fu la nostra; ed anche intima, nel senso che non era con lui possibile avere di comune qualche cosa senza toccare il fondo del suo spirito, senza dividere le sue concezioni, i suoi atteggiamenti fondamentali: benché, non intima nel senso che vi sia stata un’anima che si sia sovrapposta alla sua, e sia riuscita a trarla fuori dal « Limbo » in cui attendeva, e in cui attese invano, la liberazione.
Giulio Vitali, come altre individualità, tanto più prigioni di se stesse e « ineffabili » quanto più individue, fu in tutta la sua vita un isolato, pure in mezzo e in contatto con numerosi « amici ».
« Può esservi — domanda Sofia Smith nella sua Life of Swifl — una solitudine maggiore di quella di una' natura che non può trovare compagnia se non nel suo esatto complemento, ed è perciò tagliata intieramente fuori dalla comunione con gli altri? »
Giulio Vitali non trovò V anima complementare alla sua, c rimase incompleto: con innumerevoli caselle del suo spirito vuote e in attesa, con innumerevoli corde anelanti a vibrare e destinate a rimaner mute; con innumerevoli nostalgie giacenti nel fondo del suo spirito e non mai risvegliate (i).
(i) fi stato da alcuni accennato alla questione perchè G. Vitali rimase celibe, e ne sono stati assegnati motivi diversi, che tutti possono avere la loro parte di verità, benché il principale ed il più semplice a mio parere sia... che egli non amò mai. Risposta incompleta: eppure esauriente per chi conosca quale profonda deformazione possa produrre su un animo giovane, ultra sensibile, appassionato e puro, il Culto dell’ideale, quando esso riesca alle altezze religiose delle quali fu detto: « Chi ha visto Dio, deve morire ».
Alastor, in Shelley, dopo aver sdoppiato il proprio io superiore in un ideale di bellezza e di bontà, persegue per monti e per mari la visione che lo ha ossessionato, e muore, sempre anelante e insoddisfatto, senza mai ritrovano sulla terra: in questo, anche Giulio Vitali è stato un tipo. Ma egli stesso non si rendeva forse conto esatto di questa tirannia interna quando assegnava alla sua decisione — quasi che il mantenere tali decisioni sia in potere della sola volontà — questa motivazione: « Come vuoi » — mi diceva un giorno come conclusione di una critica a fondo della nostra vita - borghese » — « che io pensi seriamente ad assumermi la responsabilità, di porre anche altri esseri alle prese con le meschinità, i ceppi, l’ambiente mefitico, snervante del quale noi già siamo le vittime? Non ci
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Ed egli intuì — e questa intuizione fu il suo inerito principale — che per non esaurirsi nell’attesa, per sottrarsi al solipsismo intellettuale e all’egoismo morale, egli doveva rinunziare alla ricerca diretta del suo io, dimenticarsi, perdersi — per ritrovarsi. In questo, egli fu cristiano. Come Byron diceva di avere in ogni suo scritto fatto un tentativo di uscir di se stesso, così di G. Vitali si può dire, che tutte le sue attività pratiche e letterarie furono tentativi, solo in parte riusciti, di sfuggire alla tirannica ossessione di voler vivere una vita intensa, per la via dell’azione. Dall’azione benefica, dall’apostolato laico egli aveva sapientemente cominciato — « meglio oprando obliar senza indagarlo, questo enorme mister dell’universo » —; quando le sue ali tarpate dai doveri di ufficio non gli permisero più gli ampi voli dell’azione pratica e dell’apostolato del bene, egli drizzò verso la conquista del vero, del bello, del buono, le sue potenti energie, e Platone e Tolstoi, Ruskin e Carlyle, gl’idealisti tedeschi e i neo-spiritualisti francesi e italiani divennero i suoi compagni di pellegrinaggio; poi i problemi morali e sociali lo sedussero in un periodo più recente, in cui lo avemmo anche compagno e sprone nel lavoro, offrendogli come una transazione fra l’attività pratica a lui .negata e la rivalsa da lui presa in attività teoriche ora non più sufficienti; subentrava, piti in alto nella parabola, un periodo di devozione ai -problemi pedagogici, che culminò specialmente nella collaborazione alla « Nostra Scuola » e nel volume Tolstoi Pedagogista... Ma qui non si arrestava l’anima ansiosa e irrequieta, mistica e aristocratica, di sognatore e di apostolo, di questo enfant du siede.
Furono i miei colloqui, con lui avuti al mio ritorno dal ringhili erra alla fine del 1914, e poi le nostre conversazioni nello scorso autunno, che in lui accesero vivo il desiderio di trapiantare in Italia l’istituzione dei « Settlements » inglesi, circondandola di quell’atmosfera proteggitrice e fecondatrice che emana dallo spirito del « Social Service » e delle « Chiese etiche ». Nelle lunghe serate autunnali trascorse insieme, vagheggiando ancora una volta, benché sotto forme diverse, il sogno che ci aveva già tanti anni prima posseduto, di unirci nel desiderio del bene con tutte le anime di buon volere, di qualunque credenza e partito, io potei misurare tutta l'intensità del fervore di quell’anima — non stanca nè vinta — ma anelante a ricominciare sempre e con nuove forze, solo che scorgesse .un nuovo piano promettente di lavoro. Egli si entusiasmava e si esaltava e si commoveva all’udire di quei cenacoli di intellettuali e professionisti, che anziché unirsi in cenobi contemplativi aristocratici e disdegnosi del «profanum vulgus», piantano le loro tende nel mezzo di quartieri di bisognosi materiali, morali e spirituali, e con lavoro libero, ma organizzato, ispirato soltanto da una grande idealità di bene e da una fede illimitata nella perfettibilità dell’uomo e nella indistruttibilità dell'opera dello spirito, danno il «lift » il «sursum corda », ai fratelli loro, minori e insieme maggiori: vanno ad ap-basta di aver noi sperimentato le sue nausee e le sue torture, di vederci costretti ad essere Siccoli uomini, ossessionati da ideali che l’inesorabile realtà c’impedisce di realizzare? •ov’è la larghezza almeno di mezzi economici che permetta un certo potere relativo di preparare pei figli nostri una vita migliore? Se siamo sinceri nelle nostre convinzioni morali, nei nostri malcontenti spirituali, non possiamo, non dobbiamo crear degli altri esseri a nostra immagine e somiglianza... ».
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prendere alla scuola del dolore, della miseria, dell’ignoranza, quella scienza dei valori veri, inesauribili, delle anime umane più umili, la quale non si apprende sui libri nè s’insegna dalle cattedre universitarie.
Egli si confortava e animava, e quasi corroborava nelle sue antiche visioni e concezioni; al sentir parlare come di realtà concrete esistenti, delle « Chiese etiche » inglesi e americane, nelle quali tutte le anime assetate di bontà e di bellezza, tutte le anime che credano al valore assoluto ed eterno del bene, tutte le anime che sentono che il tergere i dolori, il porgere una mano amica, il sorreggere un passo vacillante, l’aumentare la somma delle gioie umane è bello e santo, hanno pieno diritto di cittadinanza e di cooperazione. E si struggeva, che in Italia, ancora, «spirito aconfessionale, neutralità », fossero generalmente sinonimo di assenza di spiritualità e di religiosità; che il misticismo morale, la devozione del divino nella natura e nell’umanità, il culto di tutto ciò che sorpassa e trascende il senso e la ragione verso i cieli dell’intuizione e del sentimento, della simpatia umana e della contemplazione mistica, non avesse ancora il suo tempio; che prevalesse ancora il vezzo di tacciare di sognatori, di eccentrici, d’« idealisti vaporosi », di « umanitari » e di Tolstoiani, quegli spiriti che in altre nazioni si sono da tempo incontrati e associati, e con le loro molteplici attività danno nella loro vita ed azione la prova di non essere nè dei sognatori di chimere, nè degli idealisti all’acqua di rose. « Perchè, perchè, in Italia l’intolleranza religiosa o irreligiosa divide ancora tante anime fatte per intendersi e cooperare? » — mi domandava, e ci domandavamo? E spontanea sorgeva la risposta: perchè non tentare anche in Italia qualche cosa di simile? La fondazione di qualche non « cenobio » nè « cenacolo », ma « casa del bene », in cui, senza sequestrarsi dalla vita nè abbandonare la propria attività professionale, convivere se privi di famiglia propria, e comunque collaborare alla causa del bene sull'esempio dei trenta « Settle-ments » londinesi e di tanti altri, specie in Inghilterra e in America, pareva al Vitali un’idea a cui valesse la pena di dedicare un serio studio e maturi sforzi associati.
E con lo slancio a lui caratteristico, subito si accinse alla preparazione: e frutto immediato delle nostre conversazioni furono da sua parte, una serie di articoli sulla « Nostra Scuola » — dei quali con insistente modestia volle sottopormi il manoscritto, nei quali descrisse appunto e lumeggiò con calore alcune delle manifestazioni dello spirito del « Social Service », specialmente quella dei « Settlements »; parlò delle « Chiese etiche », e della « Lega per l’educazione morale »: e su questi ed altri argomenti affini sollecitava da me, anche recentemente, l’invio di libri ed opuscoli.
Non solo, ma dopo matura riflessione, e da me confortato, veniva alla conclusione, che per dare esecuzione o per cooperare con altri all’esecuzione del piano vagheggiato, era indispensabile che egli si recasse, appena le condizioni politiche lo avessero permesso, in Inghilterra — dopo chiesto un anno di aspettativa dal suo ufficio — ed ivi studiasse, entrandone a parte, il funzionamento dei « Settlements » e delle « Società etiche », e tutto il complesso movimento del « Social Service ». Sarebbe stata questa per Giulio Vitali la via di Damasco, su cui avrebbe ritrovato quell’equilibrio fra pensiero e azione, fra ideale e reale, fra l'anima mistica e l’uomo sociale, quel rifugio al suo spirito ansante ed amante, a cui da tanti anni s’affaticava invano? Dopo avere per tanti anni tentato inutilmente di liberarsi dal giogo — ahi
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quanto pesante per lui! — dell’impiego; quando ormai declinava anche la speranza, pur coltivata a lungo di sfuggire alla vita burocratica per la via dell’insegnamento — e ciò per cause diverse —; ora, gli si affacciava dinanzi, lusinghiera, l’idea di tesoreggiare molti anni di esperienza, di studio, molte amicizie, concretando i suoi sogni vecchi e nuovi, le sue aspirazioni, i suoi progetti, in un’istituzione che sarebbe forse divenuta la sua famiglia adottiva, a cui avrebbe trasfuso e legato tanti tesori ancora intatti della sua mente e del suo cuore. Era egli l’individuo da condurre a termine sia pure associandosi ad altri fondatori, l’impresa vagheggiata e poi dirigerla fra inevitabili, enormi difficoltà d’ogni genere, verso una fase di soda, feconda attività? Non si erano in lui — come in Amleto — più volte « imprese di grave importanza, sbiadite al pallido riflesso del pensiero, perdendo il nome di azione? » E non doveva lo stesso avvenire anche questa volta?
Certo è, che sul momento, una difficoltà si oppose alla sua andata in Inghilterra: un posto di capo divisione al Ministero della P. I. stava per rendersi vacante, e non era questo il momento di chiedere un’aspettativa: dopo avrebbe deciso il da fare. Così, anche l’ultima àncora di salvezza alla sua vita spirituale, che io, pur senza avvedermene, gli avevo additato, veniva ad aggiungersi a tanti altri motivi per fare della sua riuscita all’ambito posto una questione di vita o di morte.
Ma la navicella che doveva sostenere anche quest’altra tempesta, — cioè l’impalcatura fisica e psichica di G. Vitali — non era più solida abbastanza per affrontare ancora questa procella, nella quale tutti i venti e tutti i marosi di tutta una vita si erano dati l’intesa per combattere una battaglia decisiva. Il vecchio marinaio lottò ancora: ma la navicella naufragò... — Mi sono indugiato nell’acccnnare alle ultime (forse) visioni, ai progetti, ai propositi dell’amico, acciò chi non lo conobbe o male lo conobbe, sappia, che non ambizioni meschine, nè fallimenti, nè disillusioni spezzarono la bianca colonna che tutti ammirammo ed amammo: che fino all’ultimo — fino a che il suo io vero ed intiero rimase a dirigere e controllare i suoi atti — egli si nutrì di speranze e di fedi, volle e operò, e non si diede per vinto, ma anefò a nuove vittorie, e anziché la fine, vagheggiò il principio di una nuova c feconda fase di vita. Se alla grandezza e tenacia del suo spirito non corrispose la fibra dell’ordito: « se la sua vita fu recisa, come il tessitore fa del suo filo: mentre ancora tesseva la sua trama, esso si spezzò », la sua fu una tragedia divina: «< il tormento di avere afferrato e concepito l’ideale, e sentita l’impossibilità di tradurlo in atto in questa vita ». Non il tessitore si stancò, ma il filo si spezzò; non il nocchiero lasciò il timone, ma la tempesta glie lo strappò; non la carne soverchiò lo spirito, ma lo spirito la carne, e squarciò l’involucro per liberarsi....
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« Quali sono gli argomenti filosofici che tu addurresti a riprova dell’intuizione di una vita futura? » domandò un giorno di punto in bianco, in mia presenza, a Giulio Vitali un comune, autorevole amico?
La risposta di Vitali sgorgò limpida e sicura, più come espressione del « credo » da lui vissuto, che quale formola a cui avessero fatto capo lunghe speculazioni dottrinali. Egli parlò di quel presentimento e di quel bisogno e di quella fede, tanto più
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viva c sicura quanto più una vita è intensa e feconda, di una esistenza spirituale, umana, universale, eterna, che si annida e implica in ogni aspirazione verso il meglio, in ogni atto morale, in ogni sacrifizio del piccolo io fenomenico all’io che vuole trionfare e giganteggiare attraverso le vite effimere individuali. Parlò del processo che affatica tulli gli esseri anelanti a svincolarsi dal determinismo dell’individuo e della materia; di quella gestazione dolorosa di cui « tutta la natura geme, in attesa della piena figliolanza divina »; delle intuizioni del bello e del buono e del vero, che ci rivelano un mondo più vero e più forte al di là, che vale a svalutare e a sagrificare i beni e gl’interessi immediati del mondo al di qua; parlò della vita eterna come del presupposto implicato in ogni manifestazione della vita individuale e collettiva, morale, sociale, nazionale: come dell’assioma base di ogni atto nobile e generoso, di ogni virtù, di ogni amore...
Noi l’ascoltavamo, religiosamente commossi, e quando, arrestandosi, con l’infantile ingenuità che era al fondo del suo animo ci domandò quasi con aria imbarazzata: « Vi pare che si possa dire altro? » noi gli stringemmo la mano silenziosi. No: non vi era altro da dire.
E sento che non vi è altro da dire, neppure ora: o meglio, una parola vorrei aggiungere, e scolpirla sulla tomba che testimonia che il « giorno natalizio » della vita nuova ed eterna è cominciato per lui. È la parola di Gesù : Ilàvrs^ yap aùrfi (Luca. XX, 38). « Tutti vivono a lui (a Dio) ».
Roma, i° maggio.
Giovanni Pioli.
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IL PONTEFICE ROMANO
E IL CONGRESSO DELLE POTENZE PER LA PACE
L’INCHIESTA NAZIONALE
UOMINI POLITICI
Anche a me l’egregio collega Quadrotta ha fatto l’onore di dirigere una sua circolare, con la quale chiede un giudizio sulle molte, le troppe cose che si sono dette intorno a una vagheggiata o sospettata partecipazione del Papa al futuro Congresso internazionale per la Pace.
Si potrebbe pregiudizialmente osservare che purtroppo questa fausta convocazione non sembra molto vicina. Ma poiché, un .giorno o l’altro si compirà, parliamone pure.
Tuttavia preferisco alle risposte catechistiche dei « questionari » la forma e la sede più naturali per uno scrittore di giornali: — un articolo; — tanto più ora che è gran festa trovare su un argomento non vietato (la letteratura in proposito è già assai copiosa) una idea o un mozzicone d’idea da esporre con sincerità.
Conosco i pericoli della tesi che sto per esporre. Posso trovare qualche lettore liberale che sogni di vedere in me un clericale, e qualche clericale che mi condanni, come troppo liberale. Se la mia potesse venire considerata come una sentenza, direi il pericolo consistere in ciò: che gli uni ne leggano il solo « dispositivo » — come dicono i curiali — e gli altri solo i « considerando ».
Ma se gli scrittori dovessero vivere in continua paura degli esegeti poco acuti e dei critici in mala fede, potrebbero rinunciare per sempre e del tutto al mestiere di scrivere.
E dirò subito come la presenza eventuale del sommo gerarca della Chiesa cattolica possa avere, dal punto di vista liberale, dal quale amo esaminare la questione, un significato e un valore che non possono spiacere neppure a quanti vogliono
(•) V. nel fascicolo precedente di Bilychnis il questionario di Guglielmo Quadròtta e le risposte di P. Blaserna. A. Chiappali, M. Mazziotti, G. De Lorenzo, I. Bonomi, A. Bussi, P. Cogliolo, A. Solini, G. Cimbali, G. Arangio-Ruiz, U. G. Mondolfo, U. Janni, G. Pioli, L. A. Villari, A. Cervesato. La pubblicazione delle risposte all’inchiesta continuerà nei prossimi fascicoli; esse verranno poi raccolte in volume.
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ancora credere alla esistenza di un pericolo clericale per ciò che è più sacro di ogni altra cosa al mondo per gli Italiani: l’integrità e l’unità della patria.
Già Alessandro Fortis nel memorando discorso di Poggio Mirteto, che fu pronunziato al tempo del mitissimo pontificato di Pio X, affermava non esistere più le condizioni di fatto, per le quali egli e molti liberali avevano potuto credere, con qualche fondamento, pontificando Pio IX o Leone XIII, che l’unità italiana fosse insidiata da una molesta e irritante «questione romana» che ogni italiano doveva considerare esaurita, fin dal mattino del 20 settembre 1870.
L’abbandono in cui Pio X aveva lasciato certe rivendicazioni, quell’accostarsi tacito allo Stato che trovava la sua sanzione nella revoca del « non expedit », continuava come una lenta, ma costante e provvidenziale evoluzione con la politica di Benedetto XV.
A non voler parlare (non foss’altro per guardarsi dalla letteratura d’occasione; con la sua retorica bolsa e i suoi luoghi comuni insopportabili) di quello che il clero e il laicato cattolico italiano hanno patriotticamente fatto nella presente guerra nazionale, voglio ricordare un documento, che si deve tenere sott’occhio, per parlare onestamente e imparzialmente del profondo pensiero dell’attuale illuminato Pontefice intorno ai consensi o ai dissensi fra la Santa Sede e lo Stato italiano.
Come ebbe a dichiarare il cardinale Segregarlo di Stato Gasparri in una celebre conversazione con un redattore del Corriere d'Italia, accettata come vangelo anche dalla ultra-autorevole Civiltà cattolica, «il Santo Padre (riproduco testualmente) non intende punto creare imbarazzi al Governo, ma fidando in Dio aspe'tta la sistemazione conveniente della sua situazione dal trionfo di quei sentimenti di giustizia che augura si diffondano sempre più nel popolo italiano in conformità del suo interesse ».
A questo punto mi pare lecito affermare che il Papa rinuncia, sia pure con un certo carattere di provvisorietà, alle rivendicazioni temporali.
Nel fatto tutti sanno che non pensa e non può pensare a tali pretese. Ma ecco già una grande concessione anche in diritto.
Però si osserva: — Il Papa ha l’ària di dire che tutto questo è provvisorio — appunto come accennavo anch’io. Egli attende sempre la giustizia del tempo.
Ed-è precisamente di qui ch’io entro nel vivo della questione.
Se proprio occorre una rinuncia definitiva (di cui l’Italia — per verità — può continuare a fare a meno) non potrebbe venire questa appunto dalla partecipazione del Papa alla Conferenza internazionale della Pace?
Infatti, se il Papa fosse invitato a partecipare a quelle assisie di un mondo disposto a riconciliarsi con la civiltà, sarebbe invitato per questo motivo: ch’egli non porterebbe nel consesso alcun suo particolare interesse territoriale. S’egli avesse il suo piccolo Stato antico, non si penserebbe a chiamarlo come non si chiameranno le più piccole repubbliche sud-americane. Il Papa parrebbe un buon giudice sol perchè disinteressato nella lite.
Sarebbe un trionfo per lui, come spirituale ministro di pace, ma dovrebbe riconoscere ( e in ogni caso riconoscerebbe tutto il mondo pensante) che la sua fortuna sarebbe in dipendenza logica diretta dalla perdita del potere temporale.
Così sarebbe dimostrata luminosamente non solo quanto fosse inutile la sovra-
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nità territoriale alla Santa Sede, ma anzi come sia stata utile a questa di esserne spogliata.
Essa non penserebbe mai a sollevare la tramontata questione; ma se mai si provasse, anche sotto la specie modesta di quell’ibridismo che con parola brutta come la cosa si dice « l’internazionalizzazione delle guarentigie », si risponderebbe subito: Ma come mai queste domande, se voi sedete qui appunto perchè non siete sovrano temporale, e siete indipendente così dall’Italia come dagli altri Stati?
Ma vi è di più. Poiché è certo che il Papa non potrebbe essere rappresentato alla Conferenza della pace, se non con la esplicita o tacita intesa di non sollevare questioni arcaiche, ne seguirebbe che se tali questioni fossero, per dispetto contro di noi, sollevate da altri, interessati a molestarci, si potrebbe rispondere:
— Ma voi non avete alcuna procura dal Papa! È qui il suo rappresentante che non parla di queste faccende oziose, e a voi manca ogni veste, ogni diritto a discorrere degli affari del Pontefice, presente nella persona del suo legato. Neanche giuridicamente sono ammissibili coloro che vogliono essere più papisti del Papa.
Sotto questo unico aspetto, non è dunque a temere come unaoffesa all’Italia una partecipazione, sulla quale — per ogni altra riflessione — non mi pronuncio.
Dico solo che avrebbero a temerla più di ogni altro gli ultimi temporalisti (se proprio ancora ce n’è) come un ultimissimo addio a quelle che altri papi si ostina-narono a chiamare le giustizie di San Pietro.
Emilio Faelli
Deputato al Parlamento.
(Gazzella di Parma, 22 maggio 19x6).
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Che vuole che le risponda in ordine alle Sue domande?
La pace si deve trattare tra le potenze belligeranti; i neutri non sono belli geranti, e il Papa non è una potenza.
Questo dice la logica, ma la politica... è un’altra cosa.
Avv. Orazio Raimondo.
Deputato al Parlamento.
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Un « referendum » sul Papa e il Congresso della Pace.
Lo ha indetto Guglielmo Quadrotta, redattore del Secolo e del Messaggero, e me ne è stato inviato il questionario, ma non ho ragione di rispondere, poiché il mio pensiero sulla indiscutibile convenienza per le nazioni, e per l’Italia in particolare, d’invitare al Congresso della Pace il Papa ho avuto occasione d’esprimerlo chiaramente e diffusamente in articoli e discorsi.
Soltanto faccio alcune osservazioni intorno al modo in cui esso è redatto. Per lo più chi domanda il parere altrui non lo pregiudica lasciando trapelare dapprima il proprio. Invece il «cappello» d’un tal questionario dice: « Le guarentigie, delle quali « il Pontefice gode anche nel periodo di guerra, non furono da lui mai accettate for-
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« malmente: il che ha creato un dissidio latente tra la Chiesa Cattolica e lo Stato ita-« liano, che la separazione fra i due poteri... non ha attenuato, e che potrebbe avere, « nel venturo Congresso delle Potenze, qualche manifestazione, risolventesi in un « attentato alla sovranità dello Stato italiano. L’allocuzione pontificia del 6 dicembre « 1915, nella quale si rilevava e si deplorava l’insufficienza delle guarentigie di cui « gode il Pontefice, avvalora questa possibilità ».
Non vi pare che dopo simili asserzioni da parte dell’autore del questionario, quest’ultimo dovrebbe volgere sopra un problema diverso da quello dell'invito al Papa per il Congresso e domandare: « dato che il Papa sia invitato, con quali mezzi si potrebbe impedire che ivi sorga una discussione lesiva della sovranità italiana? »
La coerenza porterebbe, ciò. Poiché, seppure gli interrogati restano liberi di rispondere quel che vogliono, l’autore ha fatto di tutto per incanalare la loro risposta in un rifiuto d’invito al Papa. Soltanto essi resteranno meravigliati a vedere su quali fondamenti storici l’autore stesso basa il proprio parere. Per lui il dissidio tra la S. Sede e il Regno è nato dal non aver il Papa accettato le guarentigie. E pensare che tutti gli assegnavamo una nascita assai più lontana e complessa. La non accettazione ha prodotto un effetto solo; aver deluso quei pochissimi i quali consideravano le guarentigie come destinate ad essere accettate e quindi come atte a terminare il dissidio.
Quanto alle domande in se stesse, che l’autore ha compilato dopo averle in gran parte esautorate colla preventiva risposta propria, esse hanno poi il difetto di ridurre a forinola, sia pure interrogativa e perciò passibile d'un si o d’un no, le obiezioni uditesi qua e là dalla bocca degli oppositori, non le ragioni accampate dai fautori. Difatti esse chiedono se la partecipazione di rappresentanti religiosi ad un congresso politico non contrasta con il carattere fondamentale degli Stati moderni; se il Papa può essere invitato ad esclusione degli altri capi religiosi; se egli ha figura di persona internazionale e carattere di sovrano cogli attributi giuridici necessari ah hoc; se lo Stato italiano ha ragione di ritenere, come ritenne nel 1899 Per l’Aja, che l’intervento del Papa sarebbe dannoso all’Italia; se da tale intervento il Papa non riavrebbe la qualità di sovrano politico toltagli nel 1870; ossia fissano l’attenzione pubblica sopra tutte le difficoltà che furono messe innanzi per impedire l’invito. Quanto alle ragioni invece per cui avesse da essere invitato, il referendum se ne sbriga nel seguente modo: « Poiché tra le potenze belligeranti che saranno rappresentate al Congresso sono « quelle ove il Capo dello Stato è anche il Capo della Religione nazionale, questo fatto «implica forse necessità dell'intervento del Pontefice romano a garanzia degli in-« teressi dei cattolici? O i cattolici non hanno la legittima rappresentanza in quella del «loro Stato, o cattolico, o parzialmente cattolico? Gli interessi religiosi non sono te-« nuti dagli Stati in considerazione in quanto interessi gli Stati stessi? » Certo la domanda non è formulata arbitrariamente. L’osservazione del torto che si farebbe ai cattolici se si escludesse il loro rappresentante spirituale, il Papa, mentre le altre confessioni avrebbero nel Congresso anche questa spirituale rappresentanza, nella persona dei loro capi temporali, che spesso uniscono in sé i due uffici, fu veramente fatta da un dotto fautore dell’intervento pontificio, ossia da Mons. Umberto Benigni nella Nuova Antologia. Ma se era una osservazione acuta e impensata, non costituiva il principale motivo per cui si desidera che il Papa intervenga.
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Così non è il principale motivo quello di veder esercitare dal Papa, per mezzo della sua ammissione, « la libertà e indipendenza d’esercizio delle sue funzioni religiose ». Se noi penseremmo che il voler opporsi ad ogni costo a questa ammissione non potrebbe muovere che da opposizione alla pienezza di queste funzioni religiose, noi non pretendiamo che la semplice mancanza d’un tal invito al Papa « costituirebbe un attentato contro tali funzioni ».
Il principale motivo, che pure è stato da tanti e in tanti paesi espresso, non riguarda nè gli interessi strettamente cattolici, nè il puro esercizio della libertà pontificia; riguarda invece il benefizio che il Papa, come la più alta autorità morale da tutti riconosciuta sulla terra, e come specialmente benemerito d’ogni moltitudine sofferente per la guerra, potrebbe arrecare nel Congresso alle nazioni col suo senso di giustizia e col suo efficace spirito di pacificazione. Per questo sopratutto noi domandiamo che la S. S. venga invitata. Ma il questionario non si è accorto di ciò.
Quindi l'impressione generale che si ha da esso, e che influirà sulle risposte, le quali non abbiano l’ardire di rompere il cerchio delle domande, è questa: la questione dell’intervento del Papa ha contro di se molti gravi argomenti, mentre a suo favore ne ha pochi e leggeri. Ecco perchè mi pare che guasti il problema, non ne agevoli la soluzione, non giovi cioè, come l’autore dice di volere, all’« indagine più esauriente di esso ».
* Filippo Crispolti.
(Il Cittadino, Genova, 27 aprile 1916. Provincia di Brescia, 29 aprile 1916. La libertà, Padova, 30 aprile X916. Corriere Vicentino, 30 aprile 1916).
COMPETENTI E STUDIOSI
La risposta ai di Lei quesiti mi sembra così ovvia, da riescir possibile perfino a chi, come me, si professa in fatto di politica assolutamente incompetente.
Siccome il futuro Congresso della pace avrà carattere essenzialmente politico, e siccome le stesse questioni concernenti la religione o i fedeli delle diverse Chiese vi saranno discusse da un aspetto essenzialmente politico, cosi è evidente che dovranno avervi parte soltanto i delegati dei Sovrani politici (ed anzi dei soli belligeranti) e perciò dovranno esserne esclusi i Capi (Papa, Lama, Gran-Rabbino) delle diverse Chiese stabilite.
Prof. Achille Loria dell-Università di Torino.
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I. Ritengo che il Congresso non si limiterà a fissare le condizioni della pace immediata, ma neppure affronterà tutte le questioni internazionali e nazionali suscitate o risuscitate dalla guerra, bensì quelle soltanto che sono strettamente connesse coi vitali interessi delle potenze in conflitto. Per ciò, se si aspira a veder determinato dal Congresso un migliore avviamento della vita interstatuale, è da augurare che il conflitto si allarghi, affinchè possa aver voce efficace una più ampia sfera d’interessi.
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II. Non vedo in base a quali criteri possa affermarsi se 1 neutrali e i delegati delle Chiese dovranno essere ammessi al Congresso. Non è possibile, qui, parlare di doveri; è possibile soltanto formulare ipotesi. E in via d’ipotesi, propendo a ciedere che i neutrali saranno ammessi a partecipare alla discussione di certe questioni determinate, ma avranno scarsa voce in capitolo, pagando, così, giustamente il fio della loro infingardaggine. Ritengo, invece, che di delegati delle Chiese non si parlerà neppur per ombra, essendo — a prescindere da ogni altra considerazione— il momento religioso affatto estraneo all’attuale conflagrazione. Ne sanno qualcosa i tedeschi, che avevano fatto tanto assegnamento sulle complicazioni d’ordine religioso (in Irlanda, in Egitto, nell’india, ecc.) con quel bel successo che ognun sa!
III. La suddetta partecipazione, sarebbe, certo, anche in contrasto coll’indole della stragrande maggioranza degli Stati moderni.
IV. Che i Capi di alcuni degli Stati belligeranti siano anche Capi religiosi, non monta; essi non interverranno al Congresso in questa loro qualità, che concerne il solo diritto pubblico interno, bensì esclusivamente in quella, che concerne così il diritto interno come l’interstatuale (vedi il discorso letto dal prof. Schiap-poli al Circolo giuridico di Napoli, il 13 febbraio corrente; stampato a Napoli. Stab. tip. Diritto e Giurisprudenza).
Non potranno adunque i cattolici lamentarsi che siano i loro interessi postergati a quelli dei seguaci di altre religioni, se — come par certo — il Pontefice romano non interverrà al Congtesso.
V. II Pontefice romano potrebbe, in ipotesi, essere invitato a preferenza dei Capi di altre religioni, perchè la religione cattolica è la più diffusa nel mondo civile, e ha solenni tradizioni storiche di partecipazione efficiente alla vita interstatuale, che nessun’altra religione può vantare. Ma ripeto che queste- ragioni non avranno alcun peso, dato il carattere della conflagrazione attuale.
VI. Il Pontefice romano non ha figura giudidica di sovrano, nè di persona internazionale. In forza d’una legge interna dello Stato italiano, gli sono attribuite alcune prerogative, per le quali egli è, limitatamente a certi effetti, equiparato ai sovrani di Stati esteri. E per certe discipline di queste prerogative, la stessa legge italiana richiama i precetti del diritto internazionale, facendoli propri. Questa situazione speciale fattagli dalla legge italiana, non gli attribuisce certamente titolo a sedere in un Congresso di Stati. Mancano gli estremi essenziali della figura dello Stato: ì’imperium e i sudditi.
VII. Non si vede come l’esclusione dal Congresso possa in qualsivoglia modo pregiudicare il libero esercizio dell'autorità religiosa del Pontefice, visto che non si tratta d’un Congresso chiamato a risolvere questioni religiose.
Vili. Visto il costante e ineluttabile atteggiamento del Pontefice in merito alla questione del potere temporale (vedi Del Giudice Vincenzo, Le condizioni giuridiche. della conciliazione tra lo Stalo e la Chiesa cattolica in Italia, Roma, 1915), lo Stato italiano ha motivi politici e giuridici di primissimo ordine.per opporsi alla partecipazione del Pontefice a un Congresso di Potenze, poiché nulla varrebbe a impedire il riaffacciarsi di pretese che, a tacer d’altro, la dignità dello Stato italiano vieta che siano anche soltanto enunciate in un consesso interstatuale.
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IX. La suddetta partecipazione non restituirebbe senz'altro al Pontefice il carattere di sovrano politico, quando Josse esplicitamente limitata all’intervento nel dibattilo di questioni meramente religiose. Ma, a parte la già detta inverosimiglianza assoluta dell’ammissione di siffatte questioni nel programma del Congresso, resta sempre che l’accennata limitazione sarebbe praticamente impossibile, essendo, come si è detto, la quetione del potere temporale, e più precisa-mente la questione romana, un elemento fondamentale della struttura della religione cattolica, così come è intesa dal Pontefice romano, suo unico interprete autorizzato.
Prof. Avo. Manfredi Siotto Pintor dell’ Università di Catania.
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Ritengo sia interesse di tutti che, al cessare delle ostilità, il Congresso delle Potenze, per eliminare le cause ed i pretesti di future guerre, abbia a fissare non solo le condizioni di pace, ma ad affrontare e risolvere tutte le questioni nazionali ed internazionali. Mentre ritengo che sia equo ammettere colle dovute cautele i rappresentanti dei paesi neutrali al futuro Congresso delle Potenze, non credo nè giusto, nè opportuno il farvi partecipare i delegati delle Chiese universali e nazionali, non per odio verso le persone di questi, o per disprezzo delle idee che rappresentano, ma perchè la partecipazione di delegati religiosi ad un Congresso essenzialmente politico, vivamente contrasta col carattere fondamentale degli Stati moderni.
Nè vale il dire che, siccome vi saranno rappresentate Potenze, in cui il Capo dello Stato è anche il Capo della Religione nazionale, così vi dovrà intervenire anche il Papa a garanzia degli interessi dei cattolici, sia perchè quelli vi partecipano non in quanto sono rappresentanti di una religione, ma in quanto sono Capi di uno Stato, sia perchè gli interessi dei cattolici, al pari degli interessi degli ebrei, protestanti, ecc. saranno efficacemente tutelati dai delegati politici. Non avendo le caratteristiche e le prerogative di un Sovrano politico, il Pontefice non ha alcun titolo a partecipare ad un Congresso di Potenze, nè tale esclusione, per pure ragioni di diritto, può essere interpretata e costituire un attentato alla libertà e indipendenza d’esercizio delle sue funzioni religiose, in cui deve avere la più completa ed assoluta autonomia.
La costante ostilità del Vaticano contro lo Stato italiano, l'attuale suo atteggiamento incerto ed infido di fronte alla guerra europea, la sua malcelata simpatia per gli Imperi centrali, questi ed altri sono motivi politici più che sufficienti perchè il Governo nostro abbia a ritenere dannosa la presenza del Pontefice ad un Congresso di Potenze.
. ProJ. Avv. Alessandro Groppali
dell’università di Modena.
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O O O
Devo, anzitutto, (arte una confessione: sotto il pseudonimo di Cameade, ho già avuto l’occasione di manifestare alcune mie idee in proposito, in un articolo... semiserio, apparso qualche tempo fa nell’i4van/t7 col titolo: Il probabile trionfatore, articolo che fu attribuito al mio carissimo Claudio Treves e che, preso — come suol dirsi — per buona moneta, fu largamente riprodotto dalla stampa clericale!! In quell’articolo io dicevo, in sostanza, questo: se Benedetto XV volesse essere un grande Pontefice, una specie di ... Gregorio VII a rovescio, potrebbe assumere l’iniziativa della pace, come il solo dei potenti della terra che sia rimasto veramente neutrale nella contesa e che sia veramente interessato, come credente e come potente, alla conclusione della pace medesima. E, abbandonando le viete pretese tempora!ist¡che, potrebbe divenire il vero trionfatore, il dominus spirituale d’Europa. Aggiungevo un’altra considerazione, conforme non soltanto all’indole del giornale in cui scrivevo, ma (se tale non fosse stata, non l’avrei esposta) alle mie antiche convinzioni di studioso, cresciuto alla scuola del « materialismo storico »: questa: la borghesia, fra le pretese del proletariato che, dopo la guerra, si faranno più vive ed urgenti, e la vecchia difesa che contr’essa appresta la Chiesa, preferirà certamente, anziché di indulgere a quelle, di rinsaldare la potenza di questa, e, magari brontolando, non rimarrà troppo dubbiosa nella scelta. I giornali clericali non hanno scorto, o hanno finto di non scorgere, «il velen dell’argomento », e, come Le ho detto, hanno data larga ed inattesa diffusione a quel mio poverissimo articolo.
Alla cui idea fondamentale specialmente, nelle sue basi « materialistico-sto-riche», rimango fedele, senza preoccuparmi troppo delle conseguenze, da tanti paventate, di un « pericolo clericale » di domani, persuaso come sono che, a fronteggiarlo, basterà una vigorosa azione del partito socialista, che dovrà — s’intende — elevarsi intellettualmente ed eticamente, sorpassando, senza cancellarli ma anzi assorbendoli, i postulati della democrazia, la quale — è mia antica convinzione — o sarà socialista o non sarà più nulla.
Quanto alle questioni concrete, .che Ella propone, ritengo e spero che il Congresso della pace non si limiterà a fissare le condizioni di questa fra i belligeranti, ma, com’è accaduto dopo altre grandi contese (basti ricordare il Congresso di Vienna del 1815 e quello di Parigi del 1856), dovrà elaborare un nuovo assetto dell’ordine giuridico internazionale, formulando norme di diritto obbiettivo per il domani; per questo, appunto, credo che dovrà ammettere nel suo seno anche i rappresentanti degli Stati neutrali.
In linea di fatto, credo che il rappresentante del Pontefice non interverrà, se non nel caso — che io non ritengo improbabile e che io suppongo non ¡sgradito ad alcuni degli Stati belligeranti dell’uno e dell'altro gruppo (rammenti la recente visita di Asquith in Vaticano, pensi alla questione irlandese, ecc. ecc.) — che la Santa Sede assuma Viniziativa della pace, e credo pure che il Pontefice, per assumerla fruttuosamente, anche di fronte allo Stato italiano, dovrebbe chiaramente e solennemente ripudiare ogni pretesa temporalistica, dando, così, per
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primo, l'esempio di una di quelle rinuncie, piccole o grandi, senza le quali non vedo come sia possibile giungere alla pace, e dimostrando, altresì, con questo gesto, che il regno, di cui si asserisce Capo, non è huius mundi. Ritengo, tuttavia, che il non intervento od anche le esclusione, imposta da questo o da quello Stato, p. es. dal nostro, che è il maggiormente interessato alla questione, di rappresentanti della Santa Sede dal Congresso della pace, non potrebbe mai dar luogo a proteste basate sul fatto che « gli interessi cattolici » non sarebbero rappresentati a tale Congresso, perchè gli interessi temporali di questi si identificano con i loro interessi di cittadini, mentre quelli spirituali non capisco come possano essere in gioco nella futura sistemazione della Carta d’Europa. Il Congresso xisol-verà, io spero, la questione ebraica, che è questione di doverosa parità di diritti, ancora oggi, come tutti sanno, negata in alcuni paesi che si dicono civili, come la Russia e la Rumania; eppure gli Ebrei non chiederanno mai — io credo — di essere rappresentati, come tali (nè vedo chi potrebbe assumere tale mandato), al Congresso.
In linea di diritto, osservo — e le mie convinzioni, più su chiaramente manifestate, e la mia firma dovrebbero allontanare dal mio capo il meschino sospetto che io simpatizzi col clericalismo! — che la Santa Sede, per quelle ragioni storiche delle quali non può non essere materiato l’ordine giuridico, che non è un ordine, astratto, ma trova le sue basi nelle condizioni sociali, e cioè, appunto, storiche, è, si voglia o no, una persona, per quanto sui generis, di diritto internazionale (come si spiega, altrimenti, il- diritto attivo e passivo di legazione?), mentre le altre Chiese non lo sono; e, come tale, a prescindere dai motivi politici, che possono farne desiderare l’esclusione, atta ad essere rappresentata in un Congresso internazionale, senza che ciò significhi, in alcun modo, un riconoscimento di una qualsiasi, ormai irrevocabilmente risoluta, questione sul potere temporale dei Papi.
Prof. Alessandro Levi dell'università di Ferrara.
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Ci si può chiedere: Vi sarà un Congresso della pace? Non sarà forse questa dettata dal vincitore al vinto, con la spada alla gola? E, in tal caso, che valore può avere una discussione intorno all’intervento o meno del Pontefice romano in un simile Congresso? Certo non possiamo prevedere la cause diverse che potrebbero rendere vana questa discussione. Nondimeno, poiché anche un tal Congresso può avvenire, quel sentimento di responsabilità, che dev’essere vivo in noi tutti, in questa ora grave che attraversa l’Italia, deve sgombrare ogni titubanza; e prendendo ciascuno il nostro posto, dobbiamo contribuire, così come possiamo, a quell'unione di propositi che superi ogni divergenza di opinioni politiche o religiose, tutti concordi nell’amore della giustizia e della libertà, nel fermo, incrollabile proposito di conservare scrupolosamente quei tesori di civiltà che i nostri maggiori ci ànno tramandato.
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Pertanto, se ci si domanda: Quali conseguenze può avere l’intervento del Papa in un possibile Congresso della pace, per la conservazione di quei tesori, noi dobbiamo rispondere che la questione dev’essere preceduta da un’altra. Poiché queste conseguenze non dipenderanno solo dalla materia di discussione di cui si occuperanno i congressisti — se, cioè, questi limiteranno l’opera loro a fissare le condizioni di pace, o se affronteranno le questioni internazionali e nazionali suscitate dalla guerra — ma dipenderanno anzitutto dal fatto dell’intervento papale a quel Congresso, sia in riguardo agli attributi giuridici di cui deve esser rivestito il congressista, sia per il mantenimento del valore spirituale dell’autorità pontificia, e per la missione apostolica che il Papa è chiamato a esercitare.
Il Governo italiano non potrà certamente consentire a questo intervento, come già nel 1899 non à consentito che il Papa intervenisse al Congresso tenuto all’Aia appunto per la pace; e ciò precisamente perchè il Pontefice romano, nel 1870, à cessato di possedere ogni potestà di carattere politico. Il Papa, per mezzo della legge 13 marzo 1871, gode di immunità e inviolabilità personale, come il Re; à diritto agii onori sovrani; à diritto di compiere, con assoluta indipendenza del Governo, ossia non come cittadino o uno straniero residente in Italia, ma come un vero Sovrano, tutte le funzioni del suo ministero spirituale; à diritto di ricevere ed avere in Roma come un Sovrano, rappresentanti diplomatici delle potenze estere, con tutte le prerogative e immunità spettanti ai diplomatici; à facoltà di inviare, con le medesime prerogative, rappresentanti propri presso le potenze estere; à facoltà di corrispondere liberamente da Roma, mediante propri uffici postali e telegrafici, con l’Episcopato e con tutto il mondo cattolico, ma con tutto questo la sua persona rimane spoglia da ogni carattere politico, e permettendo l’intervento del Papa a un Congresso della pace (dove sono sopratutto da trattarsi interessi politici ed economici, questioni circa la nazionalità e i confini etnografici dei vari popoli, questioni dei reciproci rapporti internazionali, ecc.) sarebbe una restituzione, in altra forma, del carattere politico che gli fu tolto. La legge che riconosceva la indipendenza della suprema autorità pontificia nel campo spirituale, non ne accordava alcuna in quello della politica sovranità. Lungi dunque dal porsi in contraddizione con lo spirito della legge delle guarentigie, sembra a me che sarebbe, da parte del Governo italiano, agire perfettamente ad essa conforme, non permettendo l’intervento del Papa in un Congresso, che se per i benefici effetti che se ne attendono, sembra conforme alla religione di Cristo, come sarebbe la pacificazione non solo di popoli di religioni diverse, ma anche di popolazioni cristiane, pure, per il carattere esclusivamente politico che avrebbe un Congresso della pace, deve da esso rimanere esclusa ogni persona che non sia rivestita di questo carattere.
Di conseguenza, reputo che il Congresso non debba ammettere nel suo seno delegati di Chiese universali e nazionali. Allora tutte le religioni degli individui e degli Stati in guerra potrebbero pretendere di inviare rappresentanti al Congresso della pace. Ma questo dritto manca a loro con gli attributi giuridici necessari. Essi non possono dichiarare guerra nè concludere pace. E quindi ritengo che il Papa non possa intervenire; e non solo perchè gli manca la veste politica che
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posseggono tutti i capi di Stato, in forza della quale dichiararono la guerra e interverranno a un possibile Congresso della pace, ma anche per la sua autorità e missione che nulla ànno in comune' con quella delle potestà politiche che dovrebbero contrattare insieme a lui. Gli interessi dei cattolici dovrebbero invece trovare la loro legittima rappresentanza in quella che lo Stato cattolico, cui appartengono, invierà al Congresso.
L’autorità papale, come dico, è di natura diversa, e aggiungo, più elevata di quella politica, che è fondamentale nel Congresso della pace. Il Pontefice romano, in conformità ai principii della religione cattolica, è posto assai più in alto, per poter prender parte, senza diminuzione della sua autorità, a un Congresso, dove altri, a lui equiparati, sono intervenuti in forza della loro veste politica che poi a lui manca. Si rammenti che il primo a far valere questa supremazia religiosa, rispetto all’autorità politica, fu Ambrogio, Vescovo di Milano, di fronte al potente Teodosio I. Di poi fu sviluppata da Innocenzo III, nella risposta agli inviati di Filippo: « Principibus datur potestà* in torri*, saccrdolibus autem potestà* tri-builur et in coelis; illis solummodo super corpora, isti* eli am super animus. Unde, quanto dignior est aniina corpore, tanto dignius est sacerdolium, quam sit regnum.. Sicut universitalis condilor Deus duo magna luminari* in firmamento codi conslituit, luminare majus, ut praeesset dici, et luminare minus, ut nodi praeesset, sic, ad firmamentum Ecclesiae, quae coeli nomine nuncupatur, duas magnas instituit digni-tafes, majorem, quae, quasi diebus, animabus praeesset, et minorem, quae, quasi noclibus. praecsset corporibus: quae suiti pontificali* aucloritas, et regalis potestas ». (Innocenzo III: Ep. 401. ad Acerbum). Evidentemente, secondo Innocenzo III, l’autorità papale e la potestà reale non sono della medesima natura, nè stanno al medesimo livello, chè anzi la prima sta al di sopra della seconda, come l’anima al corpo, come il giorno alla notte.
E come la sua autorità ne verrebbe sminuita, anche la sua missione, in rappresentanza di Gesù Cristo, non autorizza il Papa a trattare coi potenti della terra di questioni politiche ed economiche. La legge divina impone di promuovere la concordia fra gli uomini: « Voi avete udito che fu detto: Ama il prossimo e odia il tuo nemico, ma io vi dico: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate bene a coloro che vi fanno torto e vi perseguitano » (Matteo, y» 43, 44)- a questa santa missione il Papa è certamente chiamato, ma quali siano i mezzi che egli deve adoperare per adempiere il suo mandato, qual rappresentante di Gesù sulla terra, è già stato insegnato dallo stesso fondatore del cristianesimo; poiché Egli, come diceva, non venne per liberare Israele dal dominio di Roma, non per contrattare con i potenti della terra, ma per liberarlo da ciò che sopratutto importa. I mezzi per trionfare da ogni male, sono la fiducia in Dio, l’amore e la tolleranza. Non una utilitaria neutralità, ma una santa fiamma contro l’ingiustizia. Pertanto Gesù dice che non è venuto a metter pace in terra, ma a mettervi la spada: « Fuoco sono venuto a mettere in terra » (Luca, XII, 40, 51). Ma questa spada e questo fuoco non sono simboli di potestà politica o di violenza contro il male. La violenza è il male, ed il male appartiene a Satana. La spada deve recidere ogni legame col mondo, per unirci a Dio; il fuoco deve es-
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sere amore verso Dio e verso gli uomini. Assai meglio della resistenza al male, vale affrontare la morte, nella serena pace dell’anima quale testimonianza di verità e di giustizia. Perchè il male non prevalga deve bastare la fiducia nella provvidenza divina e l’amore fra gli uomini; e quindi tutte le cose terrene devono essere considerate come estranee al credente: « Non fate provvisione nè di oro, nè di argento, nè di moneta nelle vostre cinture, nè di tasca per il viaggio, nè di due tuniche, nè di scarpe, nè di bastone; percioccchè l’operaio è degno del suo nutrimento» (Matteo, X, 9, io).
Che rimane, negli insegnamenti di Gesù, che possa far pensare agl’interessi terreni del suo rappresentante, a una sua missione politica? L’esclusione del Pontefice dal Congresso della pace non costituirebbe dunque un attentato alla sua libertà e indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni religiose, anzi il Pontefice verrebbe così a mantenersi nell’alta sfera delle sue funzioni morali e religiose, in quelle dov’è chiamato ad esercitare la sua missione su la terra.
Sohm, nel suo Dritto Ecclesiastico, scriveva, con ragione, che il mondo dello spirito è essenzialmente opposto a ciò che costituisce l’essenza del dritto, e se, col tempo, nella Chiesa, si vennero fondando istituti giuridici, ciò avvenne in contraddizione col Vangelo e con la comunità cristiana primitiva, fondata unicamente sul Vangelo. L’origine di tutti i mali, nella cristianità, sarebbe anzi, secondo questo scrittore, causata dall’avere accolto in sè stessa istituti giuridici. E pari a lui pensava Ruggero Bonghi, quando, rispondendo ad alcuni oratori, nella Camera dei Deputati, diceva che «il potere temporale à spessissimo assoggettato a sè e corrotta tutta quanta l’azione spirituale... Si fermino, aggiungeva, a guardare cotesti dodici secoli di principato temporale, e li vedranno trasmutare di colore davanti a loro, e l’autorità spirituale del Pontefice brillare di men pura luce, via via che l’idea del principe diventa più chiara e spiccata ».
L’autorità religiosa del Pontefice si può quindi meglio esplicare al di fuori del possibile Congresso della pace, mentre rimarrebbe sminuita nel campo limitato dell’ordine politico ed economico. Al disopra di ogni potestà regale egli può esercitare, con libertà e indipendenza, quella sua missione morale e religiosa che deve richiamare alla pace e all’amore, ai veri ed eterni interessi supremi dello spirito tutti coloro che se ne sono allontanati per seguire erroneamente gl’interessi terreni. vani e caduchi.
Doti. Mario Puglisi.
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PERI5G/0VRA DELL'ANIMA
IL “PADRENOSTRO,;
Le bellezze e le lezioni del “Padrenostro,.
Da quando divampò l'incendio della guerra europea, un fenomeno nuovo si manifestò nella stampa dei vari paesi attratti nell'orbita della immane conflagrazione. Quei giornali, che poco tempo f»rima si sarebbero guardati cene di al-udere a questioni di religiosità pura, di punto in bianco furono visti riportare giornalmente modelli svariati di preghiere. Così venne riprodotta la mirabile preghiera fogazzariana pel marinaio italiano accanto alla mariolatra preghiera di papa Benedetto XV; le preghiere pronunziate dai dignitari delle varie confessioni cristiane e quelle dei cappellani dei vari parlamenti o eserciti; le preghiere scritte da preti, da popi, da pastori evangelici e da rabbini come quelle altre, in numero inatteso e veramente confortante, dettate da credenti militari o borghesi.
Fu allora, in mezzo a quel coro di proposte, che una madre propose la « Preghiera del Signore », la più adatta a servire di modello, come traccia ideale per le preghiere d’ispirazione personale. Fu da questa semplice ma bella proposta che trasse origine il presente studio.
Naturalmente era indubitabile che la preghiera, nelle attuali circostanze, sarebbe
(•) Dal recentissimo volume: Pietro Chiminelli, Il * Padrenostro ' e il mondo moderno. Pagine 200, con 8 disegni originali di Paolo A. Paschetto. Prezzo L. 3 (ridotto a L. 2 per gli abbonati di Bilychnis). Rivolgersi alla nostra Libreria.
ritornata sulle labbra di molti. Ogni crisi ed ogni dolore traggono suoni imploranti dalle corde del cuore umano. Uno studio apposito, ristretto unicamente agli alti ufficiali dell’attuale esercito francese, ha dato intera conferma a questa constatazione. Sono piene di commossa espressione le parole pronunciate dal generale Foch, all’indomani della sua splendida vittoria della Marna: « Non sono io che devo essere ringraziato, ma Colui che è lassù e che è il solo che dà la vittoria ». Così pure sono significative le concise parole che il valoroso generale Pati rivolge spesso al suo entourage: 0 Bisogna pregare molto »; come Selle altre del generale Castelnau: « Più
e mai rilevo ogni momento la importanza che in questa guerra esercitano quelle cose che si è convenuto di chiamare imponderabili. Queste cose sono manifestamente nelle mani di Colui che sa tutto e che guida ogni cosa ».
Affermazioni consimili erano senz’altro da attendersi, poiché la preghiera è una di quelle intimazioni istintive del cuore umano alle quali non ci si può esimere. Ciò che occorre sapere è come si debba pregare affinchè tale istinto non travii in direzioni erronee oppure superstiziose. A questo scopo il Maestro pronunciò quella pre-Shiera che doveva servire di modello ai iscepoli di ogni tempo.
Però i cristiani usarono ed abusarono tanto di tale preghiera in ripetizioni meccaniche e formalistiche che oggi ben di rado essa serve ancora come impulso eccitatore delle energie spirituali. È necessario quindi ritornare alle fresche sorgenti
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della preghiera di Gesù c riscoprirla, con una amorosa ricerca, in tutti i lati della sua sfuggente bellezza. Delle cose troppo belle, delle quali siasi abusato, succede che il continuo contatto di mani profane le sminuisca nelle ragioni dei loro fascini e dei loro incanti.
liceo come il grande storico Carlylc narra la sua personale riscoperta della preghiera del Maestro: ■ Padre nostro che sei nei cieli, sia santificalo il tuo nome, venga il tuo regno... che altro mai possiamo noi balbettare? L’altra notte, in preda a una di quelle agitazioni d’insonnia che mi tormentano, queste parole, questa breve ma grande preghiera si presentò in modo strano alla mia mente, con una vividezza del tutto nuova, come se fosse scritta e risplendente per me con pura e dolce luce sullo sfondo nero della notte, in modo che io la potevo leggere parola per parola, con un subito arresto delle mie distrazioni, con una soavità di calma novella. Da trenta, da quarantanni io non ripetevo, più quella preghiera... ma mai, mai prima di allora io avevo capito quanto essa fosse la voce dell’anima, la sua più interna aspirazione verso quanto è alto e pio nella povera natura umana, degna perciò di venirci raccomandata con quel: ‘voi dunque pregate cosi ' ». Fin qui il Carlyle.
E la scoperta della preghiera di Gesù avrà per la vita l’effetto di una continuata benedizione. Era questo il parere del nostro grande fisico, il senatore Cannizzaro, il quale un giorno, in uno dei saloni di Palazzo Madama diceva, a modo di consiglio, ad un deputato che menava vanto di aver sposata una donna areligiosa: ■ Ditele che studi il Padrenostro e che lo insegni ai suoi figli: questa preghiera resterà nella loro mente come un prezioso ricordo della loro infanzia »...
L'ordine armonico
Accanto alla completezza l’altra caratteristica sempre messa in risalto fu l’ordine armonico fra le sue parti ed il tutto; quella sua classica euritmia che è tutta una prova dell’immensa luce del continuo sfolgorcg-giante nella mente di Gesù che la creò di getto, fioritura affatto spontanea, creazione genialmente divina.
Fu. per primo, il genio di Agostino che scopri nella preghiera una duplice ala che, a volta a volta, trasporta il cielo sulla terra e la terra nel cielo, pel fatto che • le tre
prime richieste riguardano l’onore divino e le altre riguardano la umana attività ».
Uno studioso cristiano, a proposito di questo mirabile ordine che creò, diremo così, lo stile classico della preghiera, in un lavorò sulla guerra presente e la religione, così si esprime: • Ora in tempo di guerra l’ordine delle domande nella preghiera cristiana non muta. Noi abbiamo il diritto ed il dovere di pregare per i nostri e per noi, ma il primo dei doveri e la prima delle nostre richieste sia che il regno del Padre celeste venga, che attraverso alla bufera, alle rovine, alle lagrime il regno di giustizia e la volontà dell’iddio santo si affermino ed abbiano il trionfo finale: che i nostri sforzi, i nostri sacrifici, quelli dei nostri figliuoli, quelli del nostro paese zbbiano per sanzione un avvicinamento della terra al cielo; che nella causa nostra abbia la vittoria ciò che sarà vittoria di Dio. Il primo e il massimo rimaneggiamento - geografico, il rimaneggiamento ideale della carta del mondo è che si scriva finalmente sulla terra questo nome: Regno di Dio »...
Paternità divina e fratellanza umana
Qualcuno notò che la preghiera di Gesù ha la sua arte. Arte finissima e spontanea invero, la migliore arte che è precisamente quella che non si mostra. Fin dall’inizio del nostro studio noi ne restiamo colpiti ammirandone la sua Introduzione: Padre nostro che sei nei cieli!
Questa Introduzione in correlazione alle varie richieste che la susseguono, dà all’insieme della preghiera la organicità di un tutto, la struttura mirabile di una creazione perfetta. « La intera preghiera si può paragonare ad un alto magnifico duomo e la Introduzione è come la porta per il cui arco splendidamente ornato noi entriamo a contemplare l’interno ».
Contemplando questa perfetta costruzione sacra, ci fu taluno che ne colse come la profonda musicalità e la definì in conseguenza come « una benedetta ouverture che fa presagire le melodie della vita perfetta ».
Un’attenta analisi della Introduzione fa rilevare le tre racchiuse idee centrali: la idea della paternità divina, la idea della fratellanza umana e la idea della nostra altissima origine.
Una fantasia popolare, graziosa come un ricamo antico, immagina che, prima della venuta di Gesù, gli uomini volevano intui-
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tivamente afferrare qualche frammento della natura e della essenza di Dio e che si esaurivano invano nei loro sforzi quando, in certi scavi, venne scoperta una lapide oblunga sulla quale, a stento, si leggevano due sole parole di un periodo mutilato che dicevano sospensivamente così: Dio è... Ma il periodo non proseguiva poiché la lapide era spezzata...
È una delicata fantasia la quale può esattamente esprimere la conoscenza incompleta dell’antichità la quale con la semplice ragione aveva intraveduto Iddio, ma non era andata più in là di questa primitiva intuizione. Iddio c’è, dicevano tormentosamente gli antichi, ma chi ci dirà qualche cosa di lui?
Il filosofo Simonide ebbe un giorno rivolta la torturante domanda: Chi è Dio? Egli richiese un giorno per rispondervi, un altro, una settimana, e finalmente si dichiarò incompetente a pronunziarsi.
La storia comparata delle religioni mise in luce il costante processo evolutivo che. prima del cristianesimo, subì l’idea di Dio nella mente umana. L’Eliade, la culla fiorita dell’arte e del classicismo, la terra del Partenone e dell’Acropoli, lo intuì come Bellezza. Alla mutilata iscrizione « Dio è... « i Greci avevano posto il compimento: Bellezza.
Altre razze dominatrici posero nel loro cielo fantasioso un iddio fatto a propria immagine e chiamato Giove Tonante, Thor o Siva. Siccome quelle razze erano forti q dominatrici, alla troncata iscrizione: « Dio è... » esse avevano posto il compimento: Forza.
Gli Ebrei a loro volta vi avevano scritto per compimento: Legge.
Bellezza, forza, legge: definizioni abbaglianti, ma non soddisfacenti. Quelle glaciali divinità mandavano, come i cieli implacati di oriente, barbaglìi di fulgore non note di tenerezza, ma in mezzo alla molteplice concezione della bellezza, della forza e della legalità, il pallido adoratore antico non aveva mai provato un trasalimento di cuore gridando, affranto di commozione: Dio è il Padre, il nostro Padre, il nostro celeste Padre!...
Dopo questa rapida rassegna della idea di una paternità divina quale si riscontra Gesso le religioni precristiane, apparirò minosamente che la invocazione «Padre nostro • sulle labbra di Gesù dischiude una nuova epoca non solo nella storia della preghiera, ma anche nella storia della rivela
zione, poiché nel concetto di Padre insegnato da Gesù c’è, per la prima volta nel mondo religioso, tutta una significazione di dolcezza, di spontaneità di provvidenza e di sollecitudine amorevole. « Alla nostra Fede, affermata con la parola Padre si dir sposa V Amore che ne deriva e la Speranza che ne consegue. I Greci avevano le tre Grazie, i cristiani hanno le tre Virtù ed anche cotali virtù sono delle Grazie ammirabilmente divine che trasformano l’anima umana ».
Padre! Quanta luce in questo appellativo'
Riflette Lutero: « Anche se tutti gli oratori riunissero la loro arte, essi, con le loro parole non potrebbero perfettamente esprimere ciò che lo Spirito santo suggerisce con questa sola parola « Padre! ■
Padre! Gesù ci si indugia su questo titolo denso di profonda umanità il quale rifiorisce, come un insistente leitmotiv, per ben sessantotto volte nella suà «buona novella ». Nel solo « discorso sul monte » lo ripete, come per inciderlo, per quattordici volte e lo colloca in fronte della sua Preghiera come una intestazione per il suo sicuro recapito o come un’ala poderosa per sollevarla fino alla presenza del Padre. Bene fu detto che lì, in quel posto della preghiera, è il nome del Padre il quale prega per noi.
Il Padre, cioè l’amore.
Altro che le visioni macabre di un dio. vendicatore e giustiziere spietato! Quando si raccapriccia di fronte al sublime orrido dei versi danteschi e delle sue bolgie infernali: quando si vede la tela michelangiolesca della Sistina: quando si ascolta il Credo di Otello in un dio crudele che ha crealo gli ■uomini simili a sè, oppure si legge la migliore predica savonaroliana, la predica-visione dei flagelli d’Italia, nella quale il cielo stesso combatte, gli angeli spingono i barbari vendicatori — i quali gridano: dove andiamo? — mentre Pietro incalza: A Roma! — Giovanni Battista: A Firenze! e Marco Evangelista: Verso la città lagunare dalle cupole d’oro...; allora il cristiano, educato alla scuola della preghiera di Gesù, è costretto a gridare: No, non è questo il Dio-Padre rivelatoci da Gesù!
Visione magnifica! Sarà precisamente la idea della paternità divina quella che affretterà la tanto desiderata unificazione delle religioni storiche. Fino ad ora le varie interpretazioni della teologia le ha tenute* divise, ora la tenera visione del Padre e la vastità del suo cielo che sta al di sopra di
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tutti i nostri campanili, le riunirà. Già l’esperienza è stata fatta da tanti e tanti creoenti in questo messaggio di amore. Ecco una citazione dal volume autobiografico: Il racconto della mia vita, scritto da quella celebre cieco-sordo-muta Elena Keller che venne definita • la persona più interessante del suo secolo, dopo Napoleone ».
La Keller narra il metodo usato con lei dal grande predicatore ed educatore cristiano Phillips Brooks per portarla a Dio: • Da bambina mi piaceva sedermi sulle^sue ginocchia, stringendo nella mia piccola mano le sue forti dita... La mia intelligenza non Eoteva levarsi ad alte visioni, a concetti su-limi. Una volta che non sapevo spiegarmi perchè vi sieno tante religioni, egli mi disse ' Vi è una religione universale, Elena, la religione dell’amore. Amate il vostro Padre Celeste con tutto il cuore, amate ogni creatura più che potete e avrete così le chiavi del cielo.’ Non m’insegnò nè un rito nè un dogma spirituale; ma ijnpresse nella mia mente due grandi idee — paternità di Dio e fratellanza degli uomini — e mi fece comprendere che queste sono le basi d’ogni culto ».
La religione dell'avvenire sarà la religione del Padre!
Utopia? Ma già i beneauguranti presagi non mancano. Per esempio, dopo che furono già veduti i maggiori rappresentanti di tutte le religioni del mondo radunarsi nel grande Parlamento delle religioni convocato a Chicago e furono già uditi pregare lo stesso Dio con la invocazione di Gesù: O Padre nostro, che sei nei cieli! tale visione non ci pare più tanto utopistica.
Nella dichiarazione della paternità di Dio, c’è. implicita, l’altra solenne dichiarazione della fratellanza umana. Con quel plurale • nostro » attribuito al Padre, Gesù impresse alla sua preghiera un carattere sociale: Sr questo Agostino la chiamò, con una
.se veramente splendida: orazione fraterna.
Gesù intese di combattere tutti quei contrasti che sono un miserevole ritrovato umano. Quanti! Occorre un vocabolario per enunciarne solamente taluni. Ecco un saggio di codesta ispida terminologia: classi, civiltà, razze, sette, partiti, caste, gerarchie, autocrazie, [talassocrazie), oligarchie, teocrazie, democrazie, individualismi, nazionalismi, imperialismi, denomina-zionalismi... il cuore non ci regge a menzio
narne altri... e molti altri contrasti potremo aggiungere alla lista a nostra vergogna. <
Ebbene, proprio in questo campo di contrasti umani Gesù tende ad operare una salutare rivoluzione, una vera reversione di valori.
L'uomo deve essere un lupo verso un altro uomo, tale il dettò antico che Gesù corregge così: L’uomo è un fratello del suo simile perchè tutti e due sono figli dello stesso Padre! E a chi obbietta che è necessaria la lotta per la vita, la lotta di classe, il dominio del superuomo, oppure che l’uomo deve cominciare solamente dal barone in su (i), Gesù risponde, nella sua preghiera, che ha tutti ugualmente stretti gli uomini al suo grande cuore, dopo di averli tutti chiamati fratelli: ■ A dispetto di tutte le nostre misurazioni dei cranii e degli angoli facciali, a dispetto di tutte le nostre cervellotiche concezioni intorno al sangue, alle caste ed alle distinzioni sociali, resta netto, solido ed incontrovertibile il fatto che la paternità comune suppone la comune fratellanza » (2).
Il missionario ed esploratore Living-stone « il più grande amico dell’Africa « parafrasò fedelmente questo a Padre nostro » della preghiera di Gesù quando, a proposito di razze, disse che « l’uomo bianco è la immagine di Dio scolpita nell’avorio e l’uomo nero è la stessa immagine scolpita nell’ebano ■>.
E non si deve dimenticare che Gesù lanciava queste idee nuove che rivoluzionarono il mondo ed affermarono per la prima volta la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza umana, ben diciotto secoli prima della famosa proclamazione dei Diritti dell’uomo. Fu compreso Gesù dai suoi contemporanei del paganesimo di Grecia c di Roma, per esempio da quegli stoici pieni di virtuismo che solevano beneficare per un tratto di eleganza e per l’estetica del bel gesto che non doveva mancare nel corredo di un dominus o di un aristós che aspirasse a) vanto di • arbitro di tutte le ele-Sanze'»? Non c’interessa di saperlo e, ’altra parte, non ne rintracceremmo se non notizie frammentarie. E certo però che il mondo antico, sotto la pressione delle dottrine egualitarie del cristianesimo del Padrenostro, si rifece un’anima nuova.
(x) Sundermann pone questa idea in bocca ad un peisonaggio di un suo racconto.
(2) G. Boardman.
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Quando il viaggiatore cosmopolita, pellegrino delle bellezze del passato, va a Pompei, a Roma, in Grecia, ovunque, insomma, un rudere del passato attesti la vecchia vita pagana, non vi raccoglie se non la visione di fughe di colonne, di archi sapientemente girati, di terme, di fori e di arene gladiatorie, ma, mai, mai quell’altra visione della pietà umana e della solidarietà fraterna che si esprime in ospedali, in ospizi ed in costruzioni di beneficenza. Ora a colui che paragoni questo passato col nostro, ancora non perfetto, presente, risalterà vivida la multiforme ansia filantropica della .solidarietà cristiana.
E vero che talvolta anche i cristiani, i quali tenevano presente il Padrenostro, hanno sbagliato. Certamente non possono scusarsi, tanto per citare qualche esempio, quei cristiani del quarto secolo, i quali proibirono, perfino al catecumeno, di pronunciare la introduzione della preghiera del Maestro: O Padre nostro, ecc., ritenendo essi, nella loro miope religiosità, che solamente colui che era stato immerso nelle acque battesimali fosse degno di dare a Dio il titolo di « Padre suo »! Certamente non può venire giustificato nemmeno l’eloquentissimo pastore di Costantinopoli, Giovanni, detto « bocca d’oro • per l’incanto della sua parola, il quale tentò di porre dei limiti alla preghiera di Gesù chiamandola, come fosse monopolio dei soli cristiani, ■ la Sreghiera dei fedeli»! Ma di ciò non si scanalizzerà colui che sa come le più smaglianti idee devono, per attuarsi, passare a traverso la poliedrica mentalità umana. E, dopo tutto, malgrado gli errori dell’uomo, la magna charta della libertà, della uguaglianza e della fratellanza umana promulgata dal Maestro che definì Iddio come • nostro Padre », rimane intatta come la benedizione di ieri, come lo sforzo di oggi e come la realtà di domani.
Socialismo, radicalismo, umanitarismo.'.. Tutto ciò sta bene. Ma noi pensiamo, in compagnia di un poeta cristiano come F. Coppée, che « più di tutti questi sistemi gioverebbe ancora il Padrenostro ».
La bellezza della Introduzione raggiunge il massimo nell’immagine che colloca il Padre nei cieli. « Padre nostro che sei nei cieli ».
Anche qui Gesù, come al solito, riportò a spiritualità una di quelle misteriose intuizioni della coscienza umana che, a lungo
andare, gli antichi avevano terminato co materializzare. Aristotele ricorda essere stata una idea comune a tutti i popoli Suella di proiettare nel cielo la gloria di io. Gli antichi credevano che il cielo fosse una settemplice cupola cristallina da cui pendevano le stelle come altrettante lampade d’oro e dietro a questa cupola smeraldina, nel settimo cielo, fissavano la dimora di Dio.
Gesù fa sua la frase: il Signore è nei cieli, frase che usualmente ricorreva, in senso antropomorfico, sulle labbra degli scribi suoi contemporanei e la piega a simbolo onde esprimere la trascendenza del Padre che è al di sopra e al di fuori di tutte le nostre limitazioni, dopo averci anche voluto ricordare che tra la perfezione del Padre e la imperfezione nostra ci corre un abisso incolmabile. Nell’insegnamento del Maestro, i cieli materiali ebraici si trasformano nei cieli morali e mentre i Persiani localizzano il loro iddio sul Caucaso, gl’indiani sul monte Meru e sull’Olimpo i Greci, il Dio-Padre rivelato da Gesù viene invece collocato sui più alti fastigi dell'umana coscienza, sulle vette ardue del pensiero, sui pinnacoli, affatto immateriali, dello spirito; in una parola, nei cieli profondi dell’anima che lo intuisce e lo adora.
Ecco una conquista della esperienza cristiana: se il cuore è nel cielo allora il cielo è nel cuore...
Le più ricche sorgenti del moderno idealismo furono dischiuse a tormento ed a sublimazione dell’umanità, nel giorno in cui risuonò la preghiera: « O Padre nostro, che sei nei cieli! ».
Quelle parole celavano in germe tutto l’idealismo della vita. Oggi, quando il credente le mormora, vibrante di commozione mistica, par di ascoltare un bisbiglio di sospiri sommessi e di aspirazioni salienti; par ch’esploda, pieno di ritmi nostalgici, l’inno dell’esule, del pellegrino memore della Patria che, nell’amarezza dell’esilio, attende e sospira, pervaso di tutta l’insoddisfatta incontentabilità moderna: Padre, che sei nei cieli, pietà del figlio lontano lontano; pietà del figlio prodigo che la terra avvince con i suoi lacci, che anela di venire a Te! Padre, fa che i canti di questa terra non lo soggioghino fino a spezzare in lui l’incanto delle intraudite musiche della Patria. Padre, fa che le rose ed i fiori della terra non lo inebrino col loro profumo stordente; Padre, fa che le onde oceanine non lo sommergano: fa che le ali d’angelo
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che gli hai dato per largo volo non si stronchino fino a piombarlo giù, ma lo sollevino d’un colpo vigoroso, fino a portarlo nel tuo seno, o Padre nostro che sei nei cieli!
Il cielo! L'uomo moderno cosi scontento, così irrequieto ne sente la nostalgia appassionata. Rapisardi la espresse così quest’ansia nostalgica:
...Esilio « il mondo.
La nostra patria é il ciclo: ivi la vita, la verità. Splendor del vero è il bello c l’archetipo è Dio. Qui tutto ha fine con la materia: là tutto s'eterna con lo spirilo. O voi che la scintilla custodite del senio entro al pensiero Rivolgetevi al cielo!
E accanto all’idealismo della vita, queste parole crearono l’idealismo dell’arte cristiana. Quali altezze e quali profondità si dischiudono alla mente che medita la introduzione della preghiera del Maestro! Di fronte alla lirica maestosità dei templi bizantini, romanici e specialmente gotici, par come di risentire la ispirazione alata, concretizzata in capolavoro sacro, di quel c Padre nostro, che sei nei cieli » di Gesù. Quei templi paiono volersi spingere alla conquista di quei cieli dove abita il Padre e lo stile slanciato di quell’arte religiosa par secondare, con la linea verticale che ascende ascende, lo forzo, il tentativo di volo dell’anima anelante verso le altezze di Gesù. • Senza dubbio qui c’è pure il segreto dell’arco c specialmente della guglia, quasi un simbolo dell’architettura cristiana: la chiesa è una aspirazione ».
In conclusione la introduzione alla preghiera per eccellenza è. anche considerata in se stessa, una compieta preghiera nella Sua concisa brevità. E la preghiera dell’aspirazione più vasta e dell'ascensione più vertiginosa: è la preghiera-capolavoro, sufficiente per placare le ansie mistiche dello spirito.
Quella vecchierella che in vita sua seppe solo le parole introduttive del Padrenostro e queste sempre ripeteva con religione commossa, veniva con gran ragione incoraggiata a continuare nella sua inesauribile preghiera.
Ho detto inesauribile. Il Padre ed i fratèlli: il cielo e la terra: le due strofe dell’eterno poema della vita che, nel modo migliore, purificano e detergono lo spirito desideroso di ascendere verso la pienezza della vita e svelarne l’infinito mistero.
La volontà dèi padre
... Che cosa diventerebbe il mondo se ogni casa fosse una chiesa di Dio, ogni persona un apostolo del bene, ogni mensa un cibo eucaristico, ogni parola un cantico sacro e ogni gesto una benedizione?
A questo pensiero uno statista cristiano disse che • questa nostra vita diventerebbe una tutt’altra cosa, senza tribunali, senza codici e condanne, senza caserme, senza odi e sfruttamenti ».
Ed un altro pensatore, dando quasi a questo sogno la concretézza della realtà, si lasciò dire: « Vidi o mi parve vedere una città in cui tutti gli abitanti si volevano, bene e facevano là volontà di Dio. O mio Dio, io vidi, sentii e portai nel cuore e nel petto, nell’intelligenza e nell’immaginazione qualche cosa della bellezza e della felicità di questa patria ammirabile. Questa città non era no il cielo, perchè io non ho avuto la fortuna di vederlo. Quello che io ho visto è quello che avverrebbe sulla terra quando fosse praticato il Vangelo... Se questa città fosse possibile, abbellirebbe tutta la terra e sparirebbe nel cielo per continuare eternamente » (i).
Di fronte a queste magnifiche visioni, la cui realizzazione dipende in gran parte da noi, non ci resta altro che esprimere il nostro voto che tanti odierni dolori, tanti pianti, tante tristi esperienze, tante devastazioni vandaliche, tanti martiri d’innocenti, causati dalla nostra volontà di male, non siano vani, ma affrettino la realizzazione della buona volontà del Padre in noi e mediante noi. Dopo tutto, questa divina volontà, vogliamo o no, si compirà lo stesso quaggiù. Si tratta di accettarla con gioia e con spontaneità ciò che non torna difficile se si rifletta che essa è la migliore per noi, poiché è la volontà del Padre, il quale sa bene ciò che occorre e dirige sapientemente ed amorosamente la vita, a traverso ogni evenienza ed ogni esperienza, verso una finalità di bene.
I tentativi di sfuggire, di ritardare o di contrastare alle direzioni sante di questa disciplina non sono che dei tentativi per arrestare o, addirittura, troncare il corso de la educazione interiore e della evoluzione verso il divino, mediante il rifiuto delle lezioni che ci possono provenire simultaneamente dalla terra e dal cielo: tentativi, come ognuno vede, equivalenti alla distru(i) Gratry.
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zione delle cause ideali e delle ragioni di essere della personalità. « Sia fatta anche in terra la tua volontà, come in cielo! ».
Quando la vita scorre serena come un Slacido fiume tra due rive di fiori, allora ¡sogna ritrovare in sè la espressione del cuore grato per riconoscere che la volontà del Padre è buona. Quando il dolore fascia di tristezza la fronte, invece di esplodere nell’urlo della maledizione ovvero immer-Sersi nella stoica rassegnazione buddistica, isogna saper adorare il mistero della volontà superiore che è la volontà di un Padre il quale è educatore, ed in questa certezza ritrovare la calma e la serenità.
; La volontà santa del Signore si attua sempre pel nostro meglio. Questo vuole esprimere una delicata fantasia di un poeta
cristiano colla quale poniamo fine: «Un uccellino gentile venne assalito da un vento di tempesta mentre volava alla volta della Norvegia. La gracile creaturina dell’aria, sorpresa da quella furia di vento, lottò lottò con sforzi disperati per non deviare dalla sua mèta. Inutilmente. Alla fine vinto e stremato di forze, contro il suo istinto, l’uccellino fu rapito da quel forte vento e trasportato, in direzione opposta, verso l’incognito, verso la morte... E il vento lo portò invece nella verdissima Inghilterra fra un perenne sorriso di prati e di foreste... » (i).
Pietro Chiminelli.
(i) Wordsworth.
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RASSEGNA DI FILOSOFIA RELIGIOSA
IL MODERNISMO DI GIOBERTI
Scrive B. Croce, nel numero ultimo (20 marzo) della Critica, parlando della scuola cattolica-liberale nella storiografìa in Italia nel secolo scorso, anche di Vincenzo Gioberti storico; e il giudizio non è molto favorevole. Del Primato egli dice: « libro che ò singolare documento del grado di esasperazione al quale era pervenuto il sentimento nazionale dibattentesi furioso contro l’oppressione politica e la depressione morale; ma tal libro che, guardato sotto l'aspetto della scienza storica, non può non sembrare un vero delirio ». E forse il giudizio è giusto. Ma certi grandi italiani, e fra essi sono il Gioberti e, ad es., il Mazzini, interessano assai più come uomini che come sistemi di idee; più per la interna dialettica del loro pensiero o per la viva anima che si riversa negli scritti, che non per gli scritti medesimi paratamente presi, i (juali mancano di perspicuità logica e di compiutezza. (E del pensiero religioso di G. Mazzini dirò in una prossima rassegna, a proposito del volume che gli dedicava recentemente Gaetano Salvemini: Mazzini, Battiate, Catania).
Come storico, nel Pr imato e in altri scritti il Gioberti vai poco; in essi «regnascientifica-mente l’arbitrio e l’immaginazione », benché in molti suoi giudizi — e l’ammette in parte anche Croce — sia un mirabile acume di penetrazione e originalità di vedute.
Ma le concezioni del Primato, osserva Widar Cesarmi Sforza in un interessante articolo della Nuova Antologia (i° novembre 1915): " Religione e politica nel pensiero di Gioberti », rappresentano piuttosto una mossa politica che una concezione filosofica. E pure le concezioni di quel libro, che fu il più importante e « il più famoso di tutto il Risorgimento » non discordano sostanzialmente dal pensiero storico e religioso che G. trasse dalla sua filosofia. G., come è noto, fu romantico e rivoluzionario nel periodo della sua giovinezza; in filosofia egli era definitivamente passato attraverso la critica kantiana e il problema della autonomia del pensiero e dello spirito, dell’unità originaria dell’atto del pensare e dell’essere pensato, fu l’assillo costante di tutta la sua ansiosa meditazione filosofica; anche nel periodo in cui in lui prevalgono il teologo e l’uomo politico ed egli accetta quel che prima negava, « la .vera e reale dualità dei due ordini, naturale e soprannaturale », e dalla sua formula ideale trae una Chiesa che è, come l’idea, l’anima della società universale, l’organizzazione perenne del genere umano verso i suoi fini soprannaturali. Ma, anche nel Primato, egli « mira alla religione e alla civiltà insieme »; e in esso « la dittatura pontificale è lodata come acconcia alle condizioni dei bassi tempi, inopportuna e assurda nell’età moderna • e ad essa è sostituito l’arbitrato che « con
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i consigli e con la persuasione solamente si esercita », quello che oggi ancora vagheggiano molti cattolici, in Italia e altrove.
Tuttavia il suo pensiero intimo c vero, quello che lo aveva inebriato nella giovinezza, quando era mazziniano e lamen-naisiano (delle: Paroles d’un croyanl) e panteista, ed al quale torna nel suo periodo più maturo, e specialmente nella Riforma cattolica c nel Rinnovamento, è assai più organico e radicale.
Nella Ri)'orma cattolica egli appare come un precursore del Newman e del modernismo, quando nega l’immobilità assoluta del dogma, chiamando la scienza dei teologi « cenotaffio di formule incadaverite ». La sua nuova dottrina è contenuta in questa sentenza* « il dogma, come ogni vero obbiettivo, non può essere ricevuto dall’uomo se non è subbiettivato ». Da ciò la possibilità dell’accordo fra l’autorità cattolica e la libertà individuale, secondo il fondamentale principio della filosofia moderna: l’autorità del vero e la libertà del pensiero sono tutt’uno. « L’uomo a rigore crea a se stesso la sua Chiesa, il suo Dio, il suo culto, il suo dogma. E ciò fa in tutti i casi, anche quando si sforza di fare il contrario: perchè è metafisica-mente impossibile che un atto di volontà non sia radicalmente autonomo. La mentalità è autonoma di sua natura... ».
Per lui, « l’armonia dialettica » fra libertà individuale e autorità cattolica (come fra tutte le altre dualità del genere) consiste appunto «nell’accordo dell’atto secondo ed umano con l’atto creativo primario e divino », nel risalire dall'individuale all’universale per immedesimarsi con lui nella coscienza che il primo ha del secondo. L’autorità è tale in quanto la libertà ne ha, per così dire, coscienza, ossia in quanto è la libertà che la pone come autorità. E questo stesso è il pensiero fondamentale del Tyrrell, p. es. nello scritto: « Da Dio o dagli uomini ? ».
Stato e Chiesa tendono quindi a identificarsi, nel loro assoggettamento graduale alVuomo ideale (sopragerarchico, non contragerarchico). Nell’attesa, lo Stato moderno, nei paesi cattolici, ha qualche cosa da fare: « conferiranno gli Stati liberi alla riforma ecclesiastica, tutelando la libertà cattolica che dee esserne lo strumento, così nell’insegnare come nello scrivere: abbracciando... la parte sana e sapiente del chiericato, agevolandone i fòrti studii, francandone la parola e proteggendone ci
vilmente la persóna e l'onore ». Nelle quali parole è additata una via che Io Stato italiano, dopo il 1870, si è ben guardato di seguire. Esso si è fatto spesso un vanto di essere, nelle mani della Chiesa, strumento di servitù spirituale.
MORALE E RELIGIONE NEGL’ITALIANI
Giuseppe Tarozzi, un positivista che, senza formalmente rinnegare il sistema filosofico dal quale proviene, ci par si vada mostrando sempre più rispettoso della autonomia della coscienza morale, rimprovera in Coenobium, febbr. 1915, i modernisti di aver ridotto il problema della coscienza religiosa italiana a problema della ricerca di una nuova filosofia della fede. « Chi ha seguito in questi anni lo sviluppo dottrinale del modernismo può accorgersi agevolmente che la questione capitale, in tutta quella ormai ricca, feconda e spesso anche profonda letteratura, è quella che riguarda i rapporti fra la fede cristiana e la filosofia, e conseguentemente la possibilità e l’opportunità di sostituire al pensiero medioevale tomistico un altro pensiero filosofico che sia moderno e che perciò meglio si presti a tradurre in termini intellettuali storicamente più adatti la rivelazione immanente del divino cristiano, varia soltanto nelle espressioni e nelle forme ».
Con ciò, confondendo nella massa degli indifferenti tutti coloro i quali « non sentono il bisogno di decidere per proprio conto quale possa essere la filosofia del cattolicismo », essi hanno singolarmente impoverito il dibattito e la sua utilità; perchè fra questi indifferenti vi sono molti che pure hanno una viva fede morale, o la cercano, e alle cui esigenze spirituali e stato d’animo non si può negare un vero valore, in un giudizio esatto dell’esperienza religiosa del popolo italiano e del suo possibile contributo alla futura coscienza religiosa dell’umanità. Innanzi tutto, il non aver l’Italia del Rinascimento partcci-eto che in piccolissima misura alla rima protestante è un fatto che, secondo il Tarozzi, va più accuratamente esaminato. Non è solo per estetismo o per realismo che gli italiani si disinteressavano delle dispute teologiche; quell’estetismo celava talora una esigenza mistica che nell’arte, e non nei dommi, riusciva a trovare la sua espressione: e quel realismo.
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specie nei nostri maggiori scrittori politici, era ricerca di un ideale pratico e umano di saggezza e di virtù che aveva un alto valore morale. E queste due tendenze possono essere osservate sino ai giorni nostri.
Venendo ai quali, il T. stab lisce numerose categorie di indifferenti: per religiosità indeterminata (• l’indeterminatezza può essere strazio o disagio per molti, non per essi che ne sono invece nobilmente appagati »); per persuasione intima della necessità della divisione del lavoro intellettuale anche in materia di religione; per deficienza di coraggio, o di energia psichica, che li fa paurosi del mistero; per impulso intimo di libertà che li fa insofferenti di ogni dogma: per estetismo: rifuggono da quelle forme della rivelazione religiosa che non si adattalo ad espressioni estetiche, ed a queste espressioni dànno valore piuttosto che al contenuto dogmatico e morale: per concezione realistica della vita: per entusiasmo etico, per culto della legge morale direttamente appresa dalla coscienza, e dalla coscienza stessa fatta capace di governare la vita; per connaturato senso storico delle cose; per una concezione filosofica dell’universo e delle cose, o logicamente costituita, o appena balenante ed incerta, ma, anche come tale, fascinatrice; per ardore di conoscenza e per stimolo interno all’esplicazione scientifica dell’universo: per ignavia e per miseria intellettuale e morale.
Le categorie sono molte: e, in fondo, Potrebbero anche continuare. Ma, tolta ultima, se le osserviamo più da vicino, noi troviamo che esse hanno un carattere comune: quello di essere di qua dal vero ed intimo ed essenziale problema religioso che è il problema del mondo e della vita come assoluto: sono tentativi parziali di avvicinamento, atteggiamenti sentimentali mezzo fra positivi e negativi, inettitudini sorte da unilateralità e deformazioni professionali dello spirito e pure affannate dal bisogno di sintesi, filosofie balenanti. Non sono quindi nè posizioni precise del problema nè tanto meno soluzioni; poiché’ esso è problema di comprensione totale dell’universo; pratica e religiosa (fede) in quanto posizione di valori vissuti, filosofia in quanto razionalmente ripensata e cercata. E se i modi di sentire l’assoluto e l’eterno sono molti, la consapevolezza li traduce tutti egualmente in filosofìa, il fervore in fedi religiose.
In sostanza, il T. — come mostra il titolo stesso del suo articolo, che è: « Fede religiosa e fede morale negli italiani • — oppone qui la morale alla religione, benché non lo * dica espressamente. È legittima questa sostituzione? Si, se la morale si riduca, aristotelicamente, alla politica; no, se per morale si intende la fissazione dei supremi valori della vita pratica dello spirito; poiché in tal caso essa si identifica con la religione, e il problema filosofico apparisce ineluttabile nelle sue linee essenziali.
Non neghiamo tuttavia che le osservazioni del Tarozzi sono importanti e suggestive per quel che riguarda lo studio storico e la critica della coscienza religiosa degli italiani.
Eguale osservazione si potrebbe fare a uno studio di E. Fornasari di Verce, apparso pure in Coenobium, aprile-maggio 1915, col titolo: • Per uno studio obbiettivo dei fenomeni religiosi». Il F. vuole che anche i problemi religiosi sieno studiati « con quella medesima curiosità, ma altresì con quella medesima indifferenza con cui si studia la meccanica degli astri o quella delle molecole; bisógna sapere trasformarsi in uno spettatore disinteressato e dimenticare che la risoluzione di quel problema riguarda anche noi». (Sono parole di G. Negri).
È possibile questo atteggiamento? Esso è possibile nello studio della natura che ci è. o ci pare, intieramente estranea: non è possibile nello studio dello spirito (storia), se non forse in quanto si limiti alla ricerca di documenti esteriori, rinunziando all'interpretazione: perchè l’interpretazione è il nostro stesso spirito che rivive la storia e trova in sè le forme spirituali che applica alla realtà spirituale. Si illude di porsi in un atteggiamento di indifferenza chi adotta una filosofia che neghi lo spirito, cioè esterna per presupposto allo spirito; e crede i fatti religiosi appartenenti a un ciclo storico o già superato o superabile; come appunto fa il F. nel seguito del suo studio. Ma allora questa apparente indifferenza è già essa stessa applicazione di una filosofia, interpretazione personale. L’oggettività dello studioso serio è altra cosa; e se ne discusse largamente in Italia nella nota polemica su la storia, se essa sia arte o scienza.
IL VALORE DEGL’IDEALI
E, Kant, dopo aver collocato l’imperativo morale nella universalità della ragione pratica, espressa nel suo noto principio a priori e formale, scriveva: « Ma
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come la ragione pura possa essere pratica per se stessa, e senza il concorso di moventi presi altrove; ossia come il semplice principio della validità universale di tutte le sue massime in quanto leggi (che sarebbe la forma di una ragion pura pratica) possa, indipendentemente da qualsiasi materia, da qualsiasi oggetto che interessi la volontà, costituire un motivo e realizzare un interesse puramente morale; in altre parole, come la ragion pura possa esser pratica è un problema di cui la ragione umana è assolutamente impotente a dare la soluzione; cercare una tale spiegazione è fatica perduta • {Il fondam. della metafisica dei costumi, traduz. Palanca, pag. 133).
Ma non teme di perdere la sua fatica Balbino Giuliano il quale in un suo recente libro {Il valore degli ideali, Torino, Bocca, 1015) si occupa appunto, dopo innumerevoli altri filosofi della volontà e dell’azione, di questa ricerca; di un fondamento, non puramente formale, dell’atto buono; così che questo non sia pura attività pratica razionale, emergente, nella sua fredda astrattezza, su tutti i moventi della sensibilità, ma piacere, gioia, senso di armonia conquistata e di ricchezza interiore e di creazione.
Per giungere a questo, egli parte dal sentimento, cioè, in sostanza, dalla sensibilità che Kant aveva relegata in una sfera inferiore alla morale e riavvicinato poi ad essa, ma come docile ancella, nel sentimento morale del rispetto alla norma; e gli dà le mosse la psicologia. Ma questosenfi-mcnto, per il quale lospirito giudica dei valori, e pone i valori, non con un giudizio razionale (« a me premeva mostrare che questa attività... non si esaurisce nella forma del pensiero, non può circoscriversi nei limiti di uno schema logico » pag. 306) è poi più che la stessa autocoscienza, e le si aggiunge, come fervore, entusiasmo, senso di più vita, che trasfigura l’astratto giudizio di valore in valore vero ed attuale. E quando il Balbino cerca la radice di questo la pone, immanentisticamente, nella comunione della coscienza col trascendente soggetto uno, universale, assoluto, del quale i singoli soggetti non sono che frazioni e momenti ed al quale essi si ricongiungono per via della morale, in questo sentimento di ricchezza e di possesso che dà l’attività buona. Immanentismo, dunque; ma che, svalutando la ragione pura, teoretica o pratica, fa luogo a una trascendenza mistica in cui l’unione
oggetto-soggetto avviene per la fede ed ha in sé il suo regno e il suo premio.
Molte belle pagine ha il B. e tutto il suo volume, corso da una calda vena di idealismo etico, merita di esser letto; ma il punto di partenza, la psicologia, e la difficoltà di definire chiaramente questo sentimento (si ricordi il Canto dell’amore di G. Carducci: « Io non so che si sia ■) e la distinzione netta delle attività dello spirito pratico (ragione e sentimento) non ¡»ersuadono del tutto lo spirito assetato di ogica. E forse il B. se lo attendeva; perchè, secondo il suo stesso principio, non la ragione, ma il senso di calore e di vita che esso può dare a chi legge deve rendere testimonianza a un libro che parla dei valori e degli ideali.
Diamo, dolenti di non poter abbondare nelle citazioni, solo una pagina, riassuntiva, del libro (pag. 304-5):
« Coll’agire si compie la legge dell’essere che è assolutamente nostra, e nei momenti di maggiore intensità noi siamo più realmente noi, ci approssimiamo alla conciliazione dell’essere e del dover essere, approfondiamo il sentimento della realtà, che costituisce l’io del nostro io: ecco perchè l'uomo va naturalmente verso la massima esplicazione di forze...; ecco perchè il piacere è piacere ed è tanto maggiore quanto è maggiore l’intensità dell’energia che in essa si esplica, ed ecco ancora il perchè di quel categorico imperativo che ci spinge sempre più oltre nella ricerca della felicità, ci spinge cioè a ricercarla nei domini della moralità. I valori, si chiamino essi piacere, bene, verità o bellezza, sono valori in quanto sono creazione, ed il valore del creare è valore in quanto è la legge dell’assoluto, in quanto la sua attuazione umana è forma di una divina attuazione, è sforzo verso l’unità, in cui si concilia l’essere e il dover essere. Sarà triste quanto si vuole (il B. ha qui presenti gli assetati di dialettica Dura, m.) dover riporre nel trascendente la spiegazione delramore e dell’ideale: ma non inutile è la fede, quando in essa noi ritroviamo la ragione di questo infinito e sempre trascendente amore per sempre trascendenti figurazioni ideali. Noi comprendiamo ora perchè l’altrui sia sempre compreso nell’unità del nostro io, Serchè ci appaia come una necessità evi-ente ed ineluttabile racchiudere una zona sempre più grande d’altruismo nei limiti del nostro egoismo, e (’appagamento di questa esigenza sia ad un tempo anche autocoscienza felice ».
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MARCEL HEBERT
L'n febbraio scorso moriva a Parigi Marcel Hebert, già prete cattolico, che lascia, oltre l’esempio di una vita nobilissima, pregevoli contributi di studio alla filosofia religiosa.*
Nato nel 1851 a Bar-le-Duc, la città loro-nese che è anche la patria dell'attuale Sresidente della repubblica francese, orinato prete nel 1876 a Parigi, M. H. fu prima ripetitore di filosofia nel liòeo Fé-nelon, in Parigi, e quindi direttore di esso Eer molti anni. All’educatore incompara-ile rendeva testimonianza, in occasione delle morte di lui, uno degli antichi allievi, e dei più distinti, parlando dell’irradiazione che emanava dall’uomo, per un’intima armonia dell’intelligenza o della coscienza, irradiazione della quale lo stesso H., « non ostante la sua modestia e l’amore dell’ombra », ebbe la prova nell’affetto tenace di molti suoi allievi « i quali portano e porteranno sempre l’impronta dell’averlo incontrato, compreso ed amato ».
M. H., prete, era tenuto in grande considerazione dai suoi colleghi, e quando l’attuale arcivescovo di Parigi, il cardinale Amette, fu promosso all’espiscopato, fu il suo amico H. che, alla Nunziatura, rispose della fede di lui. Ma lo studio minò lentamente in H. le credenze dom-matiche; nel luglio del 1910 H. lasciò la direzione della scuola Fénelon e poco appresso svestì l’abito ecclesastico. Fu poi per alcuni anni professore nell'università libera di Bruxelles.
Lasciata la fede cattolica, e convertitosi a una specie di monismo idealistico-mi-stico, egli continuò i suoi studi di storia e di filosofia religiosa, cercando nelle • ragioni del cuore • di Pascal, nella ragione pratica di E. Kant, nell’intuizione mistica posta a base della coscienza morale l’origine prima di questa coscienza e della personalità consapevole, l’effetto originario di quella unione degli spiriti col divino, dell’intima e fondamentale unità, che era il nocciuolo della sua filosofia idealistica. In un suo lavoro (La forme idéaliste dtt senlimenl religieux, Nourry, Paris, 1909) egli studiò acutamente la religiosità di due grandi mistici cattolici: S. Agosino e S. Francesco di Sales, per mostrare come
• Pubblicheremo prossimamente un ampio studio commemorativo delia vita c delle opere di M. Hebert.
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essi in realtà postulassero ed implicassero Ìuesta unione della coscienza umana con 'io, la quale è assai più che il rapporto spiegabile con la filosofia dualistica alla quale essi credevano d’esser fedeli. Ma non fu, questo dell’H., panteismo mistico, anche se tale potò parere nei primi tempi della sua conversione; poiché la personalità morale dei singoli venne acquistando una crescente importanza nelle sue preoccupazioni e ricerche, se pure egli non è giunto ad una soluzione che lo soddisfacesse. Nel suo testamento, redatto nel 1908, egli scriveva: « Chieggo che il pastore Vilfredo Monod o il rabbino Levy o qualche altro libero credente dica qualche parola alla cerimonia... per attestare che, pur non aderendo al protestantesimo liberale o ad una qualsiasi altra confessione, io non ho voluto una inumazione materialistica, e che muoio credendo e sperando ». E, secondo questo desiderio, dell.H., il Monod ha parlato alla cremazione del cadavere, il 15 febbraio, al Pére-Lachaise, mettendo in evidenza la vivace e possente fede idealistica del defunto. Assistevano alla cerimonia Alfred Loisy, Alberto Houtin, esecutore testamentario, Paul-Hyacirithe Loyson, Salomon Reinach, Gabriel Séail-les, Louis Havet e numerosi antichi allievi dell’H.
Le principali pubblicazioni dell’H. sono, oltre a quella ricordata sopra, V Evolution de la foi catholique, Paris, Alcan, 1905; Le Divin. Expériences et hypolhèses, Paris, Alcan, 1907: Le Pragmatismo. Elude de ses diverses formes et. de sa valeur religieuse, Paris, Nourry, 1908. Questo ultimo lavoro provocò una interessante replica dello James sul suo oggettivismo filosofico, w. James stabiliva una realtà a partita doppia, come nota spiritosamente l’H., nella quale le nostre concezioni particolari stanno alle realtà sensibili comuni a tulli come queste stanno alle realtà in sè soprasensibili. Una specie di ' supermondo pluralistico, che la coscienza non trova in sé, ma che le si rivela oscuramente attraverso i sensibili, specialmente nelle conversioni, delle quali lo J. ci ha dato una cosi fine analisi psicologica.
Quale fosse la speranza con la quale M. H. voleva morire egli ha detto più espressamente in questi ultimi anni; il lavoro al quale ha posto termine poco prima di morire è uno studio sull’immortalità, intitolato: In margine al Fedone. pubblicato da Cocnobium, pochi giorni dopo
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la morte dell’A. ed all’immortalità era an che dedicato un suo studio nel numero giugno-luglio 1915 della stessa rivista, della quale l’H. fu assiduo collaboratore. E questo articolo merita un cenno speciale.
RENAN E L’IMMORTALITÀ
In uno scritto precedente l’H. aveva citato una frase di Rénan: « Non neghiamo nulla, non affermiamo nulla, speriamo ». In questo egli ne dà il commento, con Srole, per la maggior parte, dello stesso
man : « Il bisogno di una coscienza eterna che ci tormenta è una illusione? No. no. In tale materia, le negazioni formali sono tanto temerarie quanto le affermazioni assolute. Le parallele si incontrano all’infinito, anche la religione è vera all'infinito. Quando Dio sarà completo egli sarà giusto... Nulla ci prova che esiste nel mondo una coscienza centrale, un’anima dell’universo; ma niente, anche, ci prova il contrario. Noi non notiamo nell’universo nessun segno di azione voluta o riflettuta... Ma, quello che noi chiamiamo il tempo infinito può essere un minuto fra due miracoli ».
M. H. si trattiene in questa posizione dubitativa e sospensiva, ma per fare poi un passo innanzi o, meglio, per chiarire un più positivo contenuto del pensiero ambiguo e intriso di scetticismo del celebre critico.
Renan scriveva ancora, nei suoi Dialoghi filosofici’. « Al termine delle evoluzioni successive, se l’universo è giammai ricondotto a un solo essere assoluto, questo essere sarà la vita completa di tutti; esso rinnoverà in sè gli esseri dispersi o, se si preferisce, nel suo seno rivivranno tutti quelli che sono stati. Quando Dio sarà nello stesso tempo perfetto e onnipotente, egli vorrà risuscitare il passato, per ripararne le innumerevoli iniquità ». E, in una lettera a Berthelot: * In Dio l’uomo è immortale. Le categorie del tempo e dello spazio disparendo nell'assoluto, quello che è. per l’assoluto, è tanto quello che è stato quanto quello che sarà. Perchè il regno dello spirito, fine dell’universo, non sarebbe anche la resurrezione di tutte le coscienze? Lo spirito sarà onnipotente, l’idea sarà tutta la realtà: che significa questo linguaggio, se non che tutto rivivrà nell'idea? Il modo come questo avverrà non può non sfuggirci, poiché, fra un miliardo di secoli, lo stato del mondo sarà tanto diverso dal presente quanto dall'atomo meccanico è diverso un pensièro o un sentimento ».
Non è una dottrina, osserva l’H., è un sogno metafisico, se si vuole; ma un sogno che ha il suo fondamento nella realtà. E che, aggiungiamo noi, presente ed insinua una molto maggiore realtà dinamica e viva che quell’altro arido intellettualismo, ben noto anche in Italia, il quale pone bensì a base di tutto l'universale concreto, ma uccide ogni concreto nella fredda astrattezza dell'universale.
Per rispondere a quelli che negano, l’H. mostra che l’idea dell'immortalità non è, di per sè, indissolubilmente legata a quella di un Dio personale. Gli ebrei, sino a poco avanti Cristo, credevano in un Dio personale, non nell’immortalità. Secondo Giobbe (X), « tutti scendono nel paese delle tenebre e dell'ombra della morte dove abita nessun ordine, ma un orrore sempiterno ». E, secondo il salmista (Ps. 113 (115) v. 17-18). «Non sono i morti che celebrano l’eterno, nè alcuno di quelli che scendono nel luogo del silenzio, ma noi, noi che viviamo, benediciamo l’eterno ». E forse, osserva acutamente l’H., appunto la radicale distinzione e infinita distanza fra Dio e le coscienze create indusse gli ebrei a questa conclusione.
Egli mostra poi che l’obbiezione nota: «senza cervello non c’è pensiero» non prova. Il cervello non secerne il pensiero. La libertà, la dignità morale, l’idea, la virtù, la concezione dell’assoluto non sono secrezioni del cervello, trasformazioni di movimento. Il cervello adunque è organo del pensiero, nelle condizioni presenti di esperienza; ma non si identifica con esso, lo eccede e non si può quindi mostrare che ne dipenda. Scrive ancora Renan a Berthelot: « L'anima, la persona, debbono esser concepite come cosa distinta dalla coscienza. La coscienza ha uno stretto legame con lo spazio, non perchè essa risieda in un luogo dato, ma perchè si esercita in limiti determinati (il suo contenuto attuale, che viene dal mondo esterno n. d. r.). L’anima, al contrario, la personalità di ciascuno non è in nessuna parte... essa è dove agisce, dove ama, Dio essendo l’ideale, oggetto di ogni amore; Dio è dunque il luogo delle anime. Il posto dell’uomo in Dio, il giudizio che la giustizia assoluta fa di lui, il posto che egli tiene nel solo vero mondo, che è il mondo secondo Dio. la sua parte, in una parola, nella coscienza generale, ecco il suo essere vero ».
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Frasi nelle quali, come nelle altre citate, non è difficile scoprire, sotto la bellezza delle immagini, imprecisione filosofica; ed il cui vero valore ci par bene indicato in queste altre dcll’H.: «L’intelligenza non ha obbiezioni perentorie da formulare contro le possibilità della vita futura. Ma l’intelligenza non ha per dominio che il rappresentabile. Essa serve di guida alle facoltà attive, come gli occhi servono di guida al corpo; ma gli occhi non sono il corpo. La libertà morale, il genio creatore, non si oppongono in alcun modo all’intelligenza; ma questa sarebbe a mal partito se volesse spiegare razionalmente il procedimento delle facoltà creatrici e i sentimenti che li accompagnano ».
L’immortalità, come postulato della vita morale, come creazione della libertà morale, come costituzione di una personalità che ha non per retaggio, ma per immediato contenuto l’eterno, l'affermazione e la posizione vivente di un bene ideale; di una giustizia divina che non solo trascende
le realtà immediata, ma ne nega i limiti e la frequente iniquità, questa è la base salda della speranza che l’H., volle affermata sul suo sepolcro c verso la quale si orientava sempre più consapevolmente il suo spirito. « Ora son pronto a morire in ciò che non muore ».
E, osserva acutamente Renan, questa è fede, non scienza: perchè « sarebbe stato iniquo che il genio e l’ingegno costituissero qui un privilegio, e che le credenze le quali debbono essere il bene comune di tutti fossero il frutto di un ragionamento condotto più o meno bene, di ricerche più o meno fortunate ».
« Noi abbiamo il diritto, dunque — son le ultime parole di H. — di conchiudere: poiché non. c’è obbiezione scientifica perentoria, nè, d’altra parte, prova razionale sufficiente, non affermiamo nulla, non neghiamo nulla dommaticamente, dialetticamente: tna con la confidenza stessa che abbiamo nella coscienza morale, speriamo ».
m.
IL PAPA IN GUERRA di M. Missiroli. <>)
« Si è talmente perduta l’abitudine di pensare secondo un sistema, che qualsiasi tentativo in questo senso pare a molti cattolici una stranezza, un fuor d’opera, una eccentricità ». Queste parole premesse dal Missiroli neW Avvertenza, con cui comincia il suo libro scritto a proposito della prima enciclica di Benedetto XV, si sono verificate a proposito del libro stesso. Missiroli, del resto, se lo aspettava. E non soltanto i cattolici non l’hanno capito, ma nemmeno gli altri; è ben vero che il libretto, di piccola mole, è di quelli che vanno letti e ripensati in silenzio, mentre i più si sono accontentati di quanto ne hanno sentito dire sui giornali, nei quali, generalmente, se ne è del tutto travisata la portata. Si è creduto che Missiroli volesse fare un pamphlet in difesa delle allocuzioni papali, o infilare degli eleganti paradossi, mentre invece egli si rivolge a quella minoranza di spiriti colti che sanno criticare una dottrina daH’interno, assumendone, provvisoriamente, i principii fondamentali. Il cattolicismo, come tutti i sistemi, non si
(i) Con prefazione di Giorgio Sorci. Bologna. Zanichelli. 1915. Pag. 1x1, !.. 1.80.
intende se non ponendosi nella sua stessa logica, per trascinarla alle sue conseguenze estreme. Tutto ciò che è vita pratica della Chiesa, soluzione media, accomodamento, transazione, non interessa l’indagine filosofica. Missiroli prescinde da tutto ciò che non sia la pura logica delle idee: cadrebbe perciò nel vuoto una critica che gli opponesse dei fatti contingenti della politica del Vaticano che sembrano contradire la sua tesi.
E ben vero che l’antitesi che forma l’ossatura del libro mi sembra portata un poco troppo a fondo, e non sarebbe difficile ridurla all’assurdo. Ma la caratteristica principale del libro è di essere scritto da un uomo che ha compreso profondamente la portata ideale di molti principi del cattolicismo, infinitamente lontano dalla faciloneria e dall’eclettismo dei cattolici intellettuali e borghesi, che fraintendono quasi sempre il pensiero della Chiesa, e che ben difficilmente riescono a difendere, senza dire un gran numero di eresie implicite od esplicite, quella dottrina che pu rsareb-bero lieti di accettare senza discussione. Io pensavo, dopo aver letto questo libro, alla ricchezza e alla illogicità del contenuto dot-
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trinale cattolico, che è il più eclettico dei sistemi, con una dialettica tutta sua, radicata nel suo stesso sviluppo storico, che amalgama insieme i più disparati elementi. Questa ricchezza è la forza sentimentale e il fascino del cattolicismo, ed è insieme la fonte della sua desolante sterilità odierna nel campo della cultura teologica; in questo eclettismo ha la sua radice l’impos-sibilità di fondare un'apologetica ortodossa che non sia puerilmente ingenua di fronte alla critica. Sarebbe ridicolo, allo stato attuale della cultura, confondere la religione con la teologia — sono però due cose inscindibili — e attaccare il cattolicismo in nome della ragione e della scienza; ma resta pur vero che per combattere la teologia cattolica è ancora più che sufficiente la critica volteriana ed enciclopedica: sono due antagoniste che si battono sullo stesso terreno, e tra Voltaire e certi apologisti ortodossi, io preferisco Voltaire.
Almeno Voltaire aveva dello spirito. È vero che « monsieur Toutlemond » ha ancora più spirito di « monsieur Voltaire », cioè che la tradizione religiosa ha le sue ragioni profonde contro la critica enciclopedica astratta; ma non è detto che i difensori di questa tradizione abbiano più spirito di Voltaire, e che gli strali di quest’ultimo siano oggi spuntati. Se non uccidono più nessuno, è forse perchè il sistema teologico contro cui reagivano è ben morto. Nessuna preoccupazione apologetica o polemica nel libro del Missiroli, sforzo audace di una dialettica poderosa e di un animo sereno. Tanto spassionato e sereno, che talora vien fatto di irritarsi quasi contro quest’uomo che « mari magnani turbati ti bus acquar a veti tris » occupa imperturbabile « sapienlum tempia serena'». Ma ci si riconcilia presto con Missiroli, non appena si sia compreso che la sua non è l’atarassia inumana di tanti stoici, ma l’ascetica conquista dell’equilibrio critico, di una comprensione larga e serena, frutto di lotte e di meditazioni diuturne; il suo non è un estraniarsi dalla realtà storica e dolorosa, ma una graduale conquista del pensiero che ha acquistato una coscienza così piena di sè, che quasi annulla nell’ebbrezza del suo trionfo il ricordo del dolore e del turbamento della mischia.
Prima di fare qualcuna delle tante osservazioni che suggerisce la lettura di questo libro, mi pare opportuno darne ai lettori di Bilychnis un sunto fedele. Facendo il
sunto ci si accorge però che il libro è così teso ed ha una imbastitura così dialettica, con così pochi sviluppi e diversioni, che riesce quasi impossibile saltare qualche anello della robusta catena. Ma, ripeto, è di quei libri in cui un problema è impostato in modo, che resta difficile farne una confutazione o approvarlo incondizionatamente. È un libro che va letto e pensato, perchè apre dei punti di vista molto estesi e fecondi. Il che vuol dire che è un bel libro.
Come sempre, il Papa è più chiaroveggente dei cattolici. È risaputo che i cattolici italiani, scoppiata la conflagrazione europea, presero posizione in favore degli imperi centrali...e ne auspicavano la vittoria come una salutare lezione alla democrazia massonica e rivoluzionaria... Invece, nota il Missiroli, tutti i movimenti seriamente e radicalmente liberali sono di origine germanica...un’occhiata alla storia del pensiero moderno lo dimostra: dalla Riforma, che sopprime l’autorità religiosa ed afferma lo Stato nazionale e liberale, alITdealismo moderno, per il quale lo spirito umano non riconosce alcuna autorità che superi la propria potenza in atto; dal Romanticismo che rompe tutte le vecchie forme mentali, al Socialismo, che interpreta lo svolgimento della Società capitalistica come un conflitto inesorabile e fatale di classi, la Germania ha incessantemente battuta in breccia la vecchia mentalità religiosa e cattolica, il costume accademico e latino. La stessa Rivoluzione francese, in quanto riafferma una verità trascendente che deve imporsi all'uomo, un dover essere perenne, al quale la nostra attività deve incessantemente adeguarsi come ad un modello perfettissimo, non esce, se bene si riflette, dal pensiero cattolico, che, seguendo tutto l’idealismo greco-cristiano, non può superare i dualismi fra natura e spinto, materia e forma, reale e ideale... Il liberalismo latino è un razionalismo apparente, non ancora svincolatosi dalle antiche forme e dai modi della mentalità religiosa, in quanto riconosce una verità posta fuori di lui. che non è opera sua, ed alla quale deve rendere un omaggio incondizionato... Quindi la giustezza della critica di Renan e di Taine che nell’esame della Rivoluzione francese riconobbero l’inanità di un sovvertimento politico non preceduto da una
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riforma religiosa... Quindi le crisi che travagliano le nazioni dell'Europa meridionale oscillanti fra la demagogia e il conservatorismo clericale, incapaci di fondare lo Stato, mancanza di continuità nella politica nazionale, insensate utopie universalistiche e umanitarie...
Se la riforma religiosa tentata dal giansenismo fosse riuscita, la Francia non avrebbe avuto la rivoluzione. Contro il razionalismo protestante che nega qualsiasi limite all’azione umana in quanto tutta la storia è fattura dello spirito che non si arresta dinanzi a formazioni storiche, a confini naturali, eterno demiurgo, la Chiesa ha sempre combattuto, accusandolo di avere distrutto le basi dell’auto-tità, della giustizia, del diritto naturale, rutte le deità di fronte alle quali l’individuo deve limitare la sua libertà... Ma la Chiesa, dal suo punto di vista, ha ragione soprattutto opponendosi all’equivoco razionalismo latino, per metà cattolico e per metà protestante; cattolico quando parla in nome di idee trascendenti, immutabili, eterne; protestante quando oscilla fra la loggia e la sagrestia, asservendo lo Stato ora all’una ora all'altra. Inoltre la Chiesa accusa il razionalismo di avere instaurato la guerra come regola unica della vita e della storia...la guerra è fenomeno per eccellenza anticattolico, poiché scatena tutte le forze del pensiero e dell’azione perchè si misurino senza impedimenti nel sacrificio... La giustizia che pretende di assegnare a ognuno il suo diritto non può che tendere continuamente a guerre... perciò la Chiesa predica non la giustizia, ma la carità, richiamandosi alla originaria pregiudiziale ascetica e pessimistica del cristianesimo secondo il quale la vita mondana non ha valore se non subordinata alla futura; perciò si può concepire l’arresto della storia, e la Chiesa sola ha il diritto di parlare di pace perchè essa sola possiede la verità, la sua verità, contro la quale il razionalismo oppone principi che portano inevitabilmente alla guerra... Il Papa, dichiarandosi neutrale in principio della guerra, intese distribuire in eguale misura fra i belligeranti la responsabilità del conflitto immane, essendo tutti usciti dalla vera fede, aderendo al razionalismo che conclude alla guerra.
Guglielmo Ferrerò nel Secolo, il gesuita Enrico Rosa nella Civiltà Cattolica si incontrano in questa critica del razionalismo, facendo risalire la colpa della guerra il
primo a Hegel, il secondo a Kant e a Lutero. Ma la Chiesa, abile nel cogliere le differenze più delicate, sa che il razionalismo tedesco che ha risolto nell’idea civile l’idea religiosa, è al sicuro da ogni assalto e inattaccabile dal cattolicismo. Invece essa ha possibilità di successo nelle nazioni latine immuni dalla Riforma...
La cosidetta rinascita religiosa della Francia è l’esasperazione della mentalità democratica rimasta in fondo cattolica, per quanto anticlericale... Sotto un certo rispetto la Massoneria è l’intima alleata della Chiesa...si muovono sullo stesso piano mentale... Ecco perchè il Papa è uscito dalla neutralità ed ha preso posizione in favore dell’Intesa; ecco perchè oggi vediamo la Chiesa e la Massoneria alleate contro la Germania, il socialismo e la lotta di classe. Esse sperano che la guerra liquidi il socialismo perchè gli si è imposto nell’esasperazione delle forze conservatrici della società attuale...
Ma la guerra è anche una lezione di violenza che riafferma tutte le tesi socialiste. È probabile che il socialismo rappresenti nelle nazioni latine la risoluzione ideale della vecchia mentalità cattolica, assegnando ai proletari immuni dai dottrinarismi borghesi del secolo xvm il compito di giustiziare l’una e l’altro.
La dottrina democratica che concepisce le nazioni come tante entità inscindibili, scambia troppo facilmente l’effetto per la causa...per la critica socialista le nazioni si sono formate storicamente come risultato di forze di svariatissima natura; che hanno trovato nella nazionalità un punto di coincidenza e di incrocio; ma non è detto che tali forze, una volta costituita la nazione, debbano arrestarsi in omaggio ad una ideologia che riguarda le varie nazioni come preordinate dal genio della geografia: le nazioni sono una formazione storica. Ma la critica socialista che afferma tutto questo, non svaluta le nazioni; e fissata la profonda differenza che esiste fra l’imperialismo conquistatore di territori, proprio delle nazioni, e quello degli Stati moderni, mirante prevalentemente ai mercati, si può affermare che il socialismo non viola il principio nazionale, ma tende unicamente a superarlo...quindi la logicità dei socialisti tedeschi di oggi... Il socialismo, mediante la lotta di classe, trasporta nel campo economico la riforma protestante: è luteranesimo sociale... Il sindacato è la negazione della classe intesa come
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stratificazione storica; esso sta alla classe come lo Stato alla nazione.
Ancora una volta la Chiesa si trova d’accordo con la democrazia nel sogno di una vasta società comunistica, retta su la carità e sull’amore, ma non su la giustizia. Il diritto può cedere solo di fronte alla rinuncia, per dare luogo ad una semplice morfologia sociale. Solo la teocrazia può sostituire lo Stato di diritto.
Segue una critica profonda della parte dell’enciclica papale che riguarda la questione romana e i rapporti fra lo Stato e la Chiesa. Il Missiroli conclude: ■ Lo Stato laico significa Stato che per conto suo, per mezzo della sua ragione perviene ad una concezione morale, prescindendo da qualsiasi altra autorità a lui esteriore. Il liberalismo è una pregiudiziale, una " forma del pensiero, „ che non implica nessun contenuto particolare, e, tanto meno, l’ateismo. Storicamente il liberalismo italiano serba un residuo giacobino ed anticlericale, perchè il Risorgimento si svolse contro la Chiesa cattolica; il problema più serio del liberalismo italiano consiste appunto nella necessità di diventare, da giacobino, liberale...nessuna antitesi esiste fra laicità e cattolicesimo per chi sappia che cosa significa filosoficamente laicità. Laicità non vuol dire irreligione. Tutt’altro: essa significa anzi religiosità e affermazione religiosa, sia pure per opera della ragione. Se lo Stato riafferma per conto suo, come risultato della sua ra-Eone filosofica, la religione cattolica, la icità non solo non è negata, ma è gagliardamente convalidata ».
in questa recensione non posso discutere le varie tesi del Missiroli, che con ricchezza da gran signore profonde nel suo originale libretto tesori di idee ed osservazioni, ognuna delle quali andrebbe discussa a lungo, e darebbe materia ad altri libri.
Ne ho citata qualcuna perchè si abbia l’idea del libro; mi limiterò a fare qualche osservazione sull’antitesi fondamentale che i giornali hanno riassunto semplicisticamente nelle due parole: «o il Papa o il Kaiser ». Il giacobinismo, la democrazia, suppongono, è vero, come loro antecedente il cattolicismo, perchè ne sono la negazione, e si muovono sullo stesso piano mentale. Ma non si può identificare per es. la rivoluzione francese con quella tale ideologia, come se il significato della Ri
voluzione si esaurisse in quegli schemi. Nè contesto l’influenza benefica che ha avuto per lo .Stato tedesco la riforma protestante: oggi però anche in Germania il suo contenuto si è laicizzato, umanizzato, e, in quanto non si è sviluppato in senso razionalista e individualista, tende a invol-versi nel cattolicismo. Perciò la Chiesa non ha più alcuna paura di esso, nè della Germania; la lotta si è ora allargata fra cattolici e non cattolici, fra immanentismo e trascendenza — se cosi vuole il Missiroli — ma in ogni paese egualmente: vorrà dire che i democratici hanno una mentalità arretrata, e non hanno coscienza del loro essere, e non vale la pena di discutere le loro idee, il loro semirazionalismo.
È vero che il razionalismo germanico più della mentalità anticlericale è inattaccabile da parte della Chiesa. Ma la storia non è così semplice, in modo che da una Srte vi sia in guerra soltanto il razionarne tedesco, e dall’altra il cattolicismo e il libero pensiero. Mi sembra che il Papa invece che parteggiare per l’Intesa, sia pure nel senso ideale di Missiroli — nella pratica politica è evidente che le sue simpatie non sono per l’Intesa, per ragioni che non interessano la ricerca del Missiroli — nel presente conflitto sia neutrale, e non possa non esserlo.
In questa guerra non è direttamente chiamata in causa la Chiesa, e questo spiega la profonda diversità dall’atteggiamento che tiene ora da quello che tenne durante la rivoluzione e le guerre napoleoniche. Quindi il Papa condanna tutti i belligeranti egualmente...e i cattolici combattono con eguale ardore nei due campi.
Nè è detto clic anche il cattolicismo come ogni altra potente affermazione, non porti in sè insito un germe di guerra: si tratta solo per esso, come per la democrazia, di distinguere fra guerra giusta e guerra ingiusta. Chi crede a un dover essere da imporre alla realtà storica, sarà in continua guerra contro la realtà ribelle. Invece della dialettica, avremo il dualismo, ma non abbiamo per ciò eliminato la guerra. Anche per dare al mondo la forma cattolica è necessaria la guerra e la lotta contro l'errore: come può parlare il Missiroli di un cattolicismo di sua natura pacifico e negatore della guerra? Appunto perchè esso ha un suo assetto da dare al mondo, come l’hanno i pangermanisti, si deve fare la guerra: « compelle inlrare •. E le guerre di religione?
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BILYCHNfS
I! cristianesimo puro—7 ma è un’astrazione— è vero che rinnega la giustizia che ha sempre in mano la spada, per la carità che « vincil in bono malum »; ma la Chiesa, nella storia, non ha fatto così;
... con dottrina c con volere insieme
Con 1‘oflicio apostolico si mosse
Quasi torrente ch'aita vena preme;
E negli sterpi eretici percosse L'impeto suo. più vivamente quivi Dove le resistenze eran più grosse.
(Dante, HI. 12, 97 • ,O2)Anche il Cristo all’occasione adoperava la frusta: « non veni pacem mittere sed gla-dium». La Chiesa cattolica è ascetica per il suo riferimento all’al di là; ma non ha mai rifiutato la violenza subordinatrice della realtà storica alla Giustizia da Lei enunciata. E la sua cattiva copia, come direbbe Missiroli, cioè la democrazia, annunciò il suo vangelo di libertà, fraternità, eguaglianza prima col Terrore, e poi coi cannoni e le cariche della cavalleria napoleònica.
Mi pare questa una obiezione molto forte contro la tesi del Missiroli, che però non ne resta sostanzialmente infirmata nel suo valore critico, in quanto, almeno nel campo della razionalità, e come tendenza, il cattolicismo vince la lotta e la guerra. Anzi mi piace di chiuderesegnalando al Missiroli, se non lo conosce, un passo del Giornale di F. Arnie! che concorda con molti concetti del suo libro. Sotto la data i° agosto 1853 l’Amiel nota: « Ho finito l’opera di Pelletan (Profession de foi du igt™ siècle). fi un bel libro; non vi manca che una cosa: la nozione del male. È la teoria di Condorcet: la perfettibilità indefinita, l’uomo essenzialmente buono; la vita, nozione fisiologica, messa al sommo della virtù, del dovere, della santità: in una parola una concezione poco etica della storia, la libertà identificata con la natura, l’uomo naturale preso per l’uomo intero...; confonde il progresso della razza col progresso dell’individuo, quello della civiltà col miglioramento interiore... Criterio quantitativo e puramente esteriore: sempre la tendenza a prendere l’apparenza per la cosa, la forma per la sostanza, sempre l’assenza di personalità morale, l’ottusità della coscienza che non ha riconosciuto il peccato nella volontà, che mette il male fuori dell’uomo, moralizza dal di fuori, e metamorfizza tutta la storia. Superficialità filosofica della Francia, che essa deve
alla sua fatale nozione della religione, dovuta essa stessa alla sua vita modellata dal cattolicismo e dalla monarchia assoluta. Il pensiero cattolico non può concepire la personalità padrona e cosciente di sè stessa. La sua audacia e la sua debolezza provengono da una stessa causa: la non responsabilità, il vassallaggio della coscienza che non conosce che la schiavitù o l’anarchia, che proclama la legge, ma non le ubbidisce, perchè questa è fuori di lei, non in sè. Altra illusione (quella di Quinci, di Michelet), uscire dal cattolicismo senza entrare in una religione positiva; lottare contro il cattolicismo con la filosofia, e una filosofia in fondo tutta cattolica, perchè è di reazione anticattolica. L'esprit et la conscience façonnés par le catholicisme sont impuissants à s'élever à une autre forme de religion. Du catholicisme, comme de l'épicuréisme, on ne revient pas ».
Credo che Missiroli sottoscriverebbe pienamente queste parole.
Quinto Tosatti.
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IL SANGUE E L’ALTARE
R. Murri, “ Guerra c Religione ». Volume 6rimo: Il Sangue e 1‘Altare, Roma.
•. G. Whittinghill editore, iqi6.*
Il Murri afferma opportunamente in ipso limine che cosa per Religione esso intenda. E quando dice che essa « non è dottrina o dogma o rito, ma è la stessa coscienza umana in quanto è coscienza che si realizza e sente e sa di realizzarsi », egl* riconduce magnificamente la voce religio proprio al suo significato nativo • senso delicato di qualche cosa che trascende l’effimera e contingente attualità » o meglio « raccoglimento di voci misteriose diffuse per tutta quanta la vita », ritraen-dola codesta parola religione da quel significato odioso di vincolo,-di legame, di giogo, di servaggio spirituale che la Scolastica volle stranamente affibbiarle detorcendone la etimologia.
Parallelamente, per l'A., la Guerra è la grande chiamala, la chiamata che rag-Siunse l’Europa sul principio dell’agosto el iQi.j a trasferirsi spiritualmente dal mondo della pace al mondo della guerra;
* Voi. di pag. 176; prezzo L. 2. Rivolgersi con cartolina vaglia alla Libreria ed. lìilychnis, Via Crescenzio, 2. Roma.
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a divenire da individui nazione o colleganza di nazioni con una solidarietà, con una dipendenza, con una unità nuova: a formare un corpo vivo in cui nessun membro si sente isolato ma tutti legati uno all’altro da un ideale supremo, da un supremo interesse.
Ognuno vede come, muovendo da queste premesse, debba riescire suggestivo il complesso lavoro che il Murri si propone e che svolgerà in una serie di libri, dei quali Il Sangue e ¡’Altare, quello che noi abbiamo dinanzi ora, sarà il primo e non certo il meno interessante. Il sangue è il sigillo che gli uomini pongono alle loro fedi, 1‘altare è la espressione tradizionale. Che cosa cercano oggi gli uomini attraverso alla strage? Certo, anche il tedesco che lotta per asservire l’Europa ed il mondo proclamando d’essere mandale dà Dio lotta e muore per un ideale, un abbominevole ideale. La Francia, che combatte per la libertà, l’eguaglianza e la fraternità contro al germanesimo feudale, la Russia, che rivendica i diritti degli slavi contro alla Senetrazione teutonica, l’Inghilterra, che opo accolti nel suo Panteon tutti gli Dei ne difende la libertà contro il ritornante fosco Odino, versano sangue, nobile sangue attorno ad un santo altare. Noi pure potremmo, ricercando le origini pure della nostra anima nazionale vedere un altare nostro assorbente il sangue dei nostri fi-Slioli e fratelli, quello su cui arde la fiamma i un’anima grande: Mazzini.
Intanto il ripullulare medesimo di religione storica, di istinti primitivi, dei sentimenti collcttivi originari del gruppo, del clan, della civilas, della razza; dei miti medesimi che furono il fondo rudimentale del patrimonio spirituale della umanità antica, mostra in questa umanità del xx secolo rifratta la storia umana lungo i millenni oscuri per cui si perde nell’ombra. La guerra agisce come le religioni; cancella l’effimero rievocando l’eterno. Noi guardiamo intenti e la nostra vita si orienta verso una fede che nessuna Chiesa ci sa più dare, ci costruiamo noi una religione sopra a quelle che il professionismo sacerdotale alto e basso ha svalorizzate da tempo. È la vendetta dello spirito sopra alla mcterializzazione completa della vita, completa perfino nell’àver saputo far rendere dalle religioni storiche un buon profitto ed un alto interesse mettendole a servigio di basse cupidigie. Oggi d la religione della Patria che eleva e spiritualizza
tutte quante le cose, compreso il nostro cattolicismo così grossolanamente cristiano che dà un senso alla morte, che dà un valore alla vita, che rende facile e piana l’idea della immortalità. Non solo. Ma è una norma di vita che essa ci impone con una voce che le Chiese non hanno più pei loro precetti: essere fedeli ai morti nostri, a quelli che sono caduti per la Patria evivere ed agire Ser la Fede. Per la quale essi morirono.
eli’Italia e nella Umanità, nella universa spirituale realtà che oggi l'Italia include.
Così termina il bel libro del Murri. Al quale auguriamo fortuna in questa nostra Patria lino a ieri cosi refrattaria alle indagini, alle riflessioni, alle meditazioni, ai problemi cui il fenomeno religioso dà luogo. Non solo tra i professionisti del sapere (cui il libro del Murri può dare molto da pensare), ma sopratutto, come desidera l'A., tra i giovani, tra gli educatori, tra le modeste intelligenze in cui pure dovrebbero destare una sonante eco i problemi dello spirito. S. Bridget.
M. Beaufreton, S.te Claire d'Assise (1 »94-1253). Paris, Lecoffre, 1916. (Coll. «Les Saints »). Un voi. in-120 di pag. 199. — Prezzo: 2 fr.
L’autore, pur giovandosi della buona letteratura esistente su la personalità e l’attività di Santa Chiara, evita di addentrarsi in un esame critico della sua leggenda e delle origini della regola delle Clarisse. La vita della santa, del resto, considerata nel suo insieme, si presta meglio ad essere trattata come un capitolo della vita di San Francesco, che a formare argomento di uno studio a sé. Si tratta, insomma, di un buon libro di edificazione, più che di un lavoro storico. A. D. S.
A. Baudrillart, Saint Paulin, Évêque de Noie (353-431). Paris, Lecoffre (Coll. « Les Saints»). 3» ed., 1914, r voi. iii-12, di pag. 190 — Prezzo: 2 fr.
Benché l’indole della collezione non consenta una trattazione critica degli argo-
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menti, questa vita di San Paolino da Nola, scritta da uno dei migliori storiografi francesi, ci sembra un lavoro di solida cultura e di precisa documentazione. La figura del santo, notevole rappresentante della Società pagano-cristiana del iv e v secolo, è tratteggiata sobriamente, ma diligentemente ed inquadrata efficacemente nel suo ambiente politico, sociale e religioso.
Questo saggio rappresenta senza dubbio uno dei più riusciti e pregevoli volumi della collezione dei « Santi ». A. D. S.
P. Ilario Rinieri, Le Origini Cristiane. Voi. I, Bergamo, tip. S. /Messandro, 1915. Il Rinieri, già noto per alcuni lavori di indole storica che gli meritarono la compassione universale e forse più per le sue escandescenze contro il prof. Buonaiuti ed il P. Semeria, scende oggi sul campo tenuto già con tanto valore (dalla parte dei cattolici conservatori) dal coltissimo vescovo di La Rochelle, Mons. Le Camus. Dal primo volume dell’opera che sarà il frutto pietoso di codesto tncursus e della quale il valent’ uomo fa notare il carattere non teologico (metodo antiquato!) ma storico e critico (caspitona !) appare tutta la amenità del nuovo Rinieri critico ed esegeta, il quale avrebbe potuto ottimamente allo scopo suo curare la riedizione della Storia del Vecchio e del Nuovo Testamento del P. D. Agostino Calmet, tradotta dal Cantui ani e stampata in Venezia nel 1796 appresso G. Orlandoli con grazia e privi-leggio. Ne avrebbero guadagnato i lettori (il Benedettino francese è chiaro, ordinato, metodico : scrive bene e poi... poi non si dà le arie del Rinieri, demolitore completo di Kant, di Harnack, di Loisy e manco a dirlo di Tyrrell, pure conoscendo e combattendo codesti egregi uomini quanto il Rinieri medesimo) ; ne avrebbe guadagnato la fama del buon Ilario di cui forse oggi il mondo tumultuoso non ricordava più il passato letteiario... e la tipografia S. Alessandro non avrebbe perduto nulla. .
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Mgr. E. Mignot, Confiance en Dieu, Lettre Pastorale. Paris, Bloud et C. (rue S. Sulpice, 7), 1915.
Chi conosce l’ingegno brillante e la coltura squisitissima dell’Arci vescovo di Albi ci saprà grado di aver rilevato tra la immensa sciatta produzione dei documenti
episcopali (specialmente nostrani) questa magnifica Lettera. La quale muovendo da una profonda, acuta indagine sulle cause della guerra immane che da un anno sostiene'la Francia e toccando ampiamente lo sviluppo di essa, ci fa comprendere perfettamente per quale sacrosanto ideale siano in armi i nostri fratelli latini e come la sola Krola di pace sia ingiuriosa pei cattolici ncesi, i quali hanno saputo fondere perfettamente il loro fervore religioso con lo entusiasmo patriottico, con l’anelito umano verso ogni migliore libertà.
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Harriet Eleanor Hamilton King, La religione di G. Mazzini in rapporto alla Chiesa cattolica, trad. e pref. di Alice Galimberti. Milano, Sonzogno, ed., 1915. Noi crediamo che, tra l’altro, l’alta funzione sociale della guerra possa giovare al risveglio del senso religioso nella umanità. E che ciò debba avvenire non a profitto di questa o di quella Chiesa o peggio ad incremento di un settarismo volgare o di un clericalismo interessato (come qualcuno sembra sperare da noi ed altrove) — ma invece col semplice effetto di rivelare a molti e molti uomini, una parte di quelle forze che dormono in npi, anzi la vergine fonte da cui esse emanano inconscie nella profondità dell’anima umana. E ciò a tutt'al-tro profitto che quello sperato dal proselitismo (anche ingenuo) o dal calcolato interesse delle Chiese e dei partiti.
La chiara Autrice che fu amica del mistico pensatore Genovese e che è una dolce anima tutta orientata verso un ideale purissimo, affatto staccato da combinazioni e da calcoli, crede possibile che da una risvegliata coscienza religiosa tra gli italiani possà avvenire un accordo tra la Religione di Mazzini e gli insegnamenti della Chiesa cattolica.
Se la egregia scrittrice ha in vista una conciliazione pratica, una fusione comprensiva di ideali da avvenire nelle singole anime meglio sgombre da pregiudizi con-fessionalistici e da asperità tiranniche di dottrina. Io crediamo possibile anche noi ed auguriamo all’ Italia nostra che ciò avvenga in moltissimi. Il Mazzini dell’ ideale fu uno schiavo, della umanità un fedele, disinteressato servo come lo fu il Cristo. E, due supremi amori di Gesù, Dio e la umanità nei quali secondo la dottrina cattolica si concentra tutta quanta la legge religiosa furono pure i soavi amori del-Gè-
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novese che l’Italia onora come un suo Profeta e la chiesa potrebbe senza perderne nulla in dignità tenere per un Santo.
Ma se la buona signora Inglese intendesse alludere ad un accordo ufficiale da parte della Chiesa Romana..., o allora bisognerebbe che noi rispondessimo a Lei quello che il grande Profeta Elia rispose al discepolo che chiedeva di ereditarne, mentre egli scompariva dalla terra, tutto lo spirito: rem nitnis arduam pelisi I.o spirito di Gesù, largo, comprensivo, buono, alieno da ogni preoccupazione che non fosse quella del Regno del Padre nelle anime, questo spirito che il Mazzini senti nella sua religiosissima anima... non soffia, ahimè, su di Roma.
• •
È uscito a Torino (corso Regina Margherita, 73) sin dal 15 ottobre un periodico mensile dal titolo Armenia. Contiene lavori di valorosissimi scrittori tutti ispirati al celebre motto di Gladstone « servivo l’Armenia è servire la civiltà ». Mentre i tedeschi incoraggiano i massacri dei poveri nostri fratelli cristiani ed il S. Padre Benedetto XV aspetta (come dice V Osservatore Romano) risposta ad una lettera indirizzata parecchi mesi or sono a S. M. il Sultano... I lettori nostri incoraggino (abbonamento annuo L. 2.50) il valoroso periodico che si consacra alla .causa santissima dell'Armenia.
Nella Revue Bleue del 18 settembre, il Péladan, uno scrittore dallo stile rigoroso ed affascinante ha un buon articolo tutto denso di riflessioni potentissime : La faillite du Christianisme en Allemagne.
Esso mostra ben chiaro quale genere di cristianesimo sia quello del Kaiser, dei suoi amici cattolici (ricordiamo il famoso Stot-zinger Primate Benedettino a Roma e prossimo Cardinale di S. R. C., nonché il domenicano Frühvirth pur esso assai vicino alla porpora) e di quanti clericali c clericaloidi sperarono (e forse sperano ancora) di vedere in lui il restauratore di poteri perduti Ser la Chiesa. La triade Jehovah-Allah-Zotan evocata dal Péladan riassume egregiamente il pensiero religioso del sacro Imperatore al quale il cristianesimo vero dovrebbe imputare tutte quante le besteminie che si sono accumulate in quest’ora tragica dell’Europa sul dolce nome del Cristo.
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Éludes, Rivista della Compagnia di Gesù in Francia, la quale ha spesso dei pregevoli studi di storia e d’agiografia (ricordiamo il magnifico lavoro del Suan su S. Francesco Borgia) reca nel fascicolo del luglio 1915, un articolo' Le mariage Gould-Castellane il quale non è fatto apposta per dare una grande idea della serietà dei Tribunali Pontifici nè per aggiùngere prove alla pretesa romana che solo il consenso espresso innanzi al parroco nei modi rituali renda sacro il matrimonio tra cristiani. Quanto alla indissolubilità (si trattava d’uua causa di divorzio) appare così puerile il farla dipendere dagli arzigogoli discussi con tanta gravità dai Supremi Consessi di Roma!
Luigi Asioli, Vita di Gesù. Milano. Ulrico Hoepli edit., 1916.
Anche a volere apposto al volumetto il suggello de\V imprimatur ecclesiastico, si sarebbe potuto fare assai, assai di meglio. Per esempio, pur volendo ricalcare il Vangelo perchè non utilizzare il testo greco del Nestle seguito dal Le Camus? O alla Ro perchè non tradurre direttamente olgata? Ci avrebbe risparmiato l’A. un Giovanni Battista, coperti i lombi di una pelle di cammello ih opposizione al testo ufficiale di S. R. Chiesa, che lo presenta completamente vestito di panno per Suanto rozzo, per quanto tessuto di pelo i cammello (volgarmente cammellotto). E poi con tanto scrupolo di darci del Vangelo e non altro, dove mai ha preso l’A. quel passo che aggiunge alla triplice protesta di Pietro ed al corrispondente invito a lui rivolto da Gesù, cioè il colloquio segretissimo tra i due nel quale si sarebbero trattate cose importantissime e delicatissime ? Via, noi crediamo che anche tra cattolici scrupolosamente fedeli alla loro Chiesa l’Editore avrebbe trovata persona atta a dargli un lavorino ben fatto, nuovo, capace di interessare il pubblico di qualche cultura se si fosse dato la pena di cercarla ...anche solo tra il clero della Diocesi di
Milano... S. Bridget.
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TRENTO. Chiesa dì Sant'Apollinara.
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Cambio colle. Riviste
RIFLESSIONI
DI UNA CHE NON COMBATTE (0
Abbiamo letto più volte in questi mesi e raccolto dalla bocca di ministri o di membri attivi di chiese cristiane, la nota fiduciosa e quasi santamente arrogante, come di chi vada a riscuotere un suo credito da un debitore moroso: « Oh! Dio non potrà mancare di dar la vittoria alla nostra nazione perchè la nostra causa è sì giusta e santa: è la causa stessa di Dio! ». Uno di costoro si compiaceva testé di numerarmi — era un inglese non cattolico — tutti i trionfi da Dio concessi all’Inghilterra in cause giuste: non dimenticando la sconfitta dell’« Invincibile Armada ». Avendogli io osservato che i cattolici spagnoli erano stati di parere un po’ diverso, a cominciare da Filippo II che, dopo l’inquisizione e l’Escuriale, aveva motivo di credere che la burrasca del Canale fosse stata piut tosto opera del diavolo, mi replicò placidamente: — Ebbene? che vorreste dedurne? Semplicemente, gli Spagnoli ebbero torto a credere che Dio fosse coi cattolici. — Rimaneva a domandargli se Dio fosse con gli Inglesi durante la guerra boera, ovvero durante la resipiscenza che d eci anni dopo sopravvenne per quella « colpa nazionale ■: ma il suo Dio era troppo fatto ad immagine e somiglianza sua per poter essere nazionale.
Questa fiducia pseudo-religiosa — che poi minaccia di diventare ateismo quando all’aspettativa non corrispondano gli eventi — implica per lo meno tre presupposti assai discutibili:
1. Che in rapporto alle responsabilità della presente guerra — prodotto di tutta una politica di egoismo c di concorrenza fra nazioni come fra individui —-possa esservi una nazione o un gruppo di nazioni autorizzate a recitare la preghiera del Fariseo sulla soglia
(x) Reflections of a non combatant by M. D- Petre, autrice della Vita del P. Tyrrell. Editori Longmans e Green, London, 1915. Siamo debitori alla gentile scrittrice e all'editore per l’autorizzazione di tradurre l'intiero capitolo sulla «Neutralità divina».
Alhenaeum. Studi periodici di letteratura e storia. Pavia. Anno IV, fase. II, aprile 1916. Enrico Cocchia: « Il ritmo del discorso studiato in rapporto alla pronunzia e alla lettura dei versi classici » - Ettore Romagnoli: « La sesta ode olimpica di Pindaro • - Carlo Pascal: « Orazio e Properzio • -M. Lenchantin De Gubernatis:
« Januariae cpitaphium » -Marcus Galdi: « De poetica loquendi ratione apud lusti-num » - E. Buonaiuti: « Scisma ed eresia nella primitiva letteratura cristiana » - R. Sciava: « Procri, Cefalo e l'aurora •, ecc.
Bollettino dell’Associazione Archeologica Romana. Roma, anno V, nn. 6-12; giugno-dicembre 1915. Tina Campanile: « Topografia romana. Regione IX » - Giuseppe Lugli: « Il culto e i santuari di Ercole vincitore in Roma » - Francesco For-nari: « Il ritratto nell’arte antica » - Rassegna bibliografica.
Rivista di Scienza delle Religioni. Roma, anno I, fase. 2 marzo-aprile 1916. F. Cumont: « Il culto dell’Eufrate nell’epoca romana » - L. Salvatorelli: « Lo Stato nella coscienza dei martiri cristiani ■ - G. Gabrieli:
La diffusione dell’islamismo nell’Asia centrale » - R. Pettaz-zoni: » L’Essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi. I. Puluga: L’Essere celeste degli Andamanesi » - E. Buonaiuti: < Note critiche. Intorno all’agape cristiana. L’anno di nascita di san Girolamo. Le citazioni bibliche in Ottato di Milevi • - Bollettini: G. Farina: « Le religioni dell'Egitto e della Siria • - G. C. Teloni: « La religione della Babilonia e dell’Assiria » - Recensioni.
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_ Rivista di Filosofia. Torino-Genova, anno Vili, fase. II; marzo-aprile. 1916. — G. Zuc-cante: « Antistene » - M. Lo-sacco: « Autorità e libertà in filosofia » - G. Folchieri: « Guerra c diritto « - G. Natali: « Il pensiero storico italiano nel settecento » - T. Arcani: « Scuola e pensiero italiano » - Recensioni - Notizie e commenti.
Rivista di Filosofia neoscolastica. Milano, anno Vili, fase. 2; 30 aprile 1916. — Giovanni Pepe: «La filosofia cristiana e la guerra » - Amato Masnaro: « La politica interna e la politica estera di... S. Tomaso d’Aquino » - Luigi Bor-riello: « Immanenza o trascendenza?* - Francesco Olgiati: • L’idealismo di Josiah Royce » - Mario Brusadelii: « La lògica vivente di una conversione: rileggendo l’Apologia prò vita sua di E. Newman • - Note e discussioni - Analisi d’opere.
Rassegna Nazionale. Firenze, anno XXXVIII, i<> aprile 1916. « Ancora sull’intervento del Papa al Congresso della Pace*. Articoli di Cesare degli Occhi, Cesare Olmo, R. Corniani e Fr. Baroni - Vincenzo Cicchi-telli: « Sulle epistole metriche del Petrarca a Benedetto XII e a Clemente VI » - Cesare Scassa ro: « Monarchia e repubblica di fronte al socialismo » - Aless. Righi: « Ferdinando di Parma e la sua politica di fronte ad emigrati francesi e giacobini (1789-1796) » - Mario Pratesi: « Il mondo di Dolcetta * - Luisa Anzolctti: « In memoria d’uno scrittore trentino » - P.: • Problemi di domani » - X.: « Rassegna Politica « - E. S. Kings-wan: « Libri e riviste estere ■> -Note e notizie.
— 16 aprile 1916. Gino Bassi: - Nel terzo centenario della morte di Guglielmo Shakespeare • - Pietro Bagnini: • Gadel Tempio; e che sia possibile, anche per Domeneddio, fare un taglio fra il diritto ed il torto in questo enorme delitto europeo, anzi dell’umanità intiera, specie in presenza delio spreco di milioni di vite e dei miliardi di sterline, e degli oceani di energie che avrebbero potuto esser posti a servizio della causa della pace come sono ora prodigati in quella della guerra.
II. Che l’illazione dal diritto al successo sia legittimata dall’esperienza storica e che l’interpretazione dell’intervento trascendente e fenomenico della Divinità per rettificare il cammino dell’umanità non abbastanza sussidiato dalle forze interne e immanenti ad essa, sia più religiosa, oltreché più filosofica, di quella che concepisce un Dio agente in tutte le forme di vita e di azione; un Dio, in cui trovino la ragione del loro essere Mti gli aspetti della vita cosmica emorale.il cui dinamismo e la cui emulazione e lotta per la prevalenza altro non sarebbero che espressioni del conato verso forme superiori di vita individuale e collettiva; un Dio che non sia con il bene contro il male, e col diritto contro il torto, semplicemente perchè la nostra apprensione soggettiva dei valori morali, pur essendo reale, non esaurisce tutta la realtà, ed ha un valore funzionale e pratico anziché assoluto e teorico; e perchè di qualunque atto umano deve dirsi — come di qualunque cataclisma cosmico — -tanche qui sono gli Dei »: un Dio, insomma, quale lo investigava il Tyrrell in una delle sue ricerche in « Faith and Immortality », e quale lo proclamava già il Siro Posidonio, discepolo di Paneziq, nel 11 secolo a. Cr.: «Una Divinità la quale non si riveli costantemente nella storia del Mondo cessa di esser divina ».
III. Che il Dio cristiano s'identifichi con il Dio giudaico, con il Dio della tribù '¿dola tribus) e prenda le parti di alcuni membri della sua famiglia contro altri; anziché esprimersi in un immenso sforzo di su-5orare le barriere dell’egoismo individuale e nazionale, i comprendere « i nostri fratelli nemici », di volatilizzare e render diafane le piccole coscienze e volontà cozzanti, e tutte assorbirle in una coscienza e volontà cosmica di universale cooperazione. y
Conseguenza di questo atteggiamento pseudo-cristiano, è il tentativo paradossale di giustificare dal punto di vista cristiano — cioè della fede nella onnipotenza dell’amore e nella sterilità della violenza — quella sintesi di ogni brutalità e « diavoleria » che si chiama la guerra, la quale sarebbe, invece, perfettamente giustificabile, dal punto di vista di una religione che si limiti a riconoscere la realtà qual’è in forza della complessa causalità cosmica e umana, rinunziando a cogliere l’intimo • réssort » del divenire e del pro-Ì¡rosso, e a prendere in considerazione le promesse e e anticipazioni del sentimento e dell’intuizione.
Nel suo volume. Miss Petre non è vittima di questo equivoco: « Quando noi andiamo in guerra » — essa dice già nella sua prefazione — « noi entriamo in una condizione di cose, nella quale tutte le leggi ordinarie della moralità restano sospese: nella quale il Cristia-
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il osi ino, in quanto tale, non ha veramente alcuna parte. E se le razze superiori portano inevitabilmente, anche nei loro metodi di guerra, dei criteri e delle vedute superiori, ciò è solo perchè e in quanto esse stanno superando la iase militaristica del nazionalismo verso un piano superiore di esistenza umana ». E più sotto: Krifg ist Krieg... Il rispetto dei trattati non ha nulla a vedere con l’appello alla forza bruta, e quindi con la guerra, in quanto guerra. Può essere che la giustizia intemazionale vieti di varcare alcuni confini allo scopo di schiacciare il nemico, ma certo nessun animale osserverebbe questa legge in un attacco al suo avversario: nè l’osserverà l’uomo che consideri la guerra come un appello alla sola forza bruta... E se alcune nazioni rispettano dei « pezzi di carta » anche durante la guerra, gli è che esse non ardiscono di affidare la decisione della supremazia alla sola forza brutale. , ». L’occhio mistico, usato a contemplare le creazioni dello spirito che irrompe spezzando la realtà e superando la causalità, ha uno sguardo spietatamente realistico — Nietzchianò, potremmo dire, dopo gli studi di Miss Petre sul realismo del filosofo della forza e dell’individualismo — per tutti i fattori che scoirono, si complicano e si aggrovigliano sulla trama della vita delle nazioni, e s’intrecciano e si risolvono sullo sfondo della storia.
Sentiamo ciò che dice nel capitolo: «La Pace»: « ...Vi sono problemi intemazionali che non vengono risolti col trionfo di alcuna delle parti contendenti: giacché non è la vittoria, e molto meno la sconfitta, che può persuadere l’una parte o l’altra che dal lato dell’avversario vi fosse un granello di diritto: eppure questa e la sola via che può risolvere pacificamente una disputa internazionale... La giustizia, neli’arruftata ragnatela di tali questioni, non si trova mai si intieramente da un lato o dall’altro, da escludere una patte di torto. Di regola, la nazione che vince crede che il successo sia stato la corona della giustizia della causa, mentre a nazione vinta resta persuasa che il trionfo ha disertato la giusta causa, e che non le rimane che attendere 1 ora della rivincita. E così, le guerre non terminano già con la pace, ma solo con un trattato... Al soldato subentra il diplomatico, per tirare innanzi ancora per un poco, fino a che non ritorni la volta del soldato... L ideale della pace universale potrà, quindi, essere così lontano dopo la guerra come prima di essa ». Discutendo e criticando le diverse forme di pacifismo, così essa scrive del pacifismo puro e semplice, «che vorrebbe la pace ad ogni costo, e non vorrebbe la guerra a qualunque costo: pronto piuttosto ad esporre la nazione inerme all’assalto del nemico, che a permettere che si faccia il male... ». « Questo pacifismo è una «orma di futurismo politico».
Ora, il futurista può essere una persona che vede PiU °> ^no coniusamente o distintamente delle cose che debbono accadere... Egli è. allora, soltanto dotato di una vista più lunga che la media dei suoi vicini: ma non commette l’errore di credere che la catena di
lileo in guerra » - Giovanni Jan none: «Per le onoranze fune-bn,a Pietro Colletta promosse da Francesco Domenico Guerrazzi (A uovi documenti dell’in-huenza austriaca sul granducato di Toscana) » - Celestina Annoni: «Vento e tramontana» Novella - Giovanni Ghini: - Romagna patriottica. Eugenio yalzania . - U. T. Alter; . Re-centi pubblicazioni: I fratelli Bandiera, dramma di C. Ber-tolazzi e R. Barbiere » - Gia-«¡mo £ottini: "11 dott- prof. Aless. Rocca, prete rosminiano. Cenni necrologici- X.: «Rassegna politica » - E. S. Kings-wan: « Libri e riviste estere • -Aote e notizie.
Conferenze e prolusioni. Roma anno IX. n. 7; io aprile 1916. —Giovanni Rosadi: < Per 1 centenario del 'Barbiere di Si viglia ' » - Adolfo Faggi:
Il ' Primato ’ del Gioberti e i ' Discorsi alla nazione tedesca ’ dc.‘. F|chte » - Pietro Miscia-telli: « L amore del poeta », ecc.
- N.8; lòaprile 1916.— Icilio Guareschi: « La chimica e la guerra» - Giuseppe Cimbali: « Un intesa scientifica internazionale per la dichiarazione dei diritti dei popoli » — ecc.
Nuovo Convito. Roma-Pc-scara. Anno I, n. 3; marzo 1916. — Maria del Vasto Celano: « Per il centenario di Shakespeare » - A. G. Borgese: « Shakespeare come capostipite » - L. Gamberale: « Una tragedia ai tempi di Shakespeare. J. Webster; La duchessa d Amalfi » — F. Del Greco: • La follia di Re Lear » - T. Venuti: « Il sonetto shakespeariano » -G- Tirinelli: « Il poemetto ' Venere e Adone ’ di Shakespeare » - « Due fonti italiane dello Shakespeare: Il ' Romeo e Giulietta’ del Bandelle e 1 * Otello ’ del Giraldi » - I sonetti di Shakespeare alluminati da N. Leoni.
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monti approssimata dal suo telescopio si trovi nel suo giardino, all'altra estremità dell'apparecchio. Egli potrà anche non riuscire a persuadere il mondo della realtà della sua ysione, ma potrà sempre nutrire una ragionevole fiducia che la sua veduta è corretta. Questo futurismo parte dal fatto che il mondo progredisce nel suo insieme avanzandosi, come noi speriamo, verso qualche finalità buona della quale alcuni precursori, dotati di percezione più acuta, hanno la visione: esso non mentisce il suo nome pretendendo di spacciarsi per un presente. L’altro futurismo, invece, anziché uno sforzo di raggiungere ciò che non si possiede ancora, è la proclamazione che noi l’abbiamo di già raggiunto: esso manca del senso della distanza e della grandezza: e si fonda sulla falsa convinzione che l'uomo possa creare tutto ciò che vuole, invece di prepararsi lentamente e laboriosamente alla sua venuta.
Quando il pacifismo confessa onestamente che la sua pace è un sogno e una speranza, ma un sogno che potrà un giorno avverarsi, una speranza che potrà adempiersi, e un ideale che può intanto stimolare l’umanità a nobili sforzi, esso compie la sua funzione nella vita dell’umanità, che lascerà migliore in grazia del suo passaggio fra essa.
Quanto all’altro pacifismo che propugna l’arbitrato internazionale quale mezzo di assicurare definitivamente la pace — arbitrato non facoltativo, ma costituito da un accordo internazionale e sancito con la forza internazionale — esso si trova di fronte il paradosso della sovrapposizione della forza e della giustizia internazionale. Bernhardi ha ragione, nell’insieme, quando fa notare che: « Negli individui diversi si maturano concetti affatto diversi del giusto e dell’ingiusto — siano essi persone o popoli, e questa coscienza trova la sua espressione nelle forme più diverse, al lato, o anche spesso in opposizione, alle leggi stabilite... Anche se si riuscisse a compilare un codice internazionale, nessuna nazione che si rispettasse sa-grificherebbe ad esso la propria concezione del diritto »... La conclusione è, che il regno della pace universale nella giustizia è una finalità e un ideale non già internazionale ma umano, e da raggiungersi solo con metodi proporzionati a questo carattere...
Il fatto che le nazioni politicamente più avanzate in Europa applicano ai popoli governati la carta delle libertà della loro propria costituzione, è un segno che esse si avanzano verso un livello internazionale superiore di moralità... E vero: la vita nazionale non è la forma suprema di vita umana, e l’umanità ha una realtà più Srotonda che la razza; la vita e gl’ideali della nazione ebbono subordinarsi alla vita e agli ideali dell’umanità: ma guai al mondo se quelli fossero soppressi prima che l’umanità sia pronta e matura per questi...! Come possiamo noi pretendere di sfuggire alle lotte e ai dolori del bruto fino a che siamo brutali e sensuali ? Come sfuggire al castigo dell’egotismo rivaleggiante, prima di cessare di essere egoisti? Come evitare che gli oppressi insorgano, fino a che esiste un solo tiranno?
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Come godere la pace dei saggi finché siamo talmente stupidi: come vivere da spiriti, sepolti come siamo nel materialismo? Un ideale ispira pot<ntemente l’azione e lo sforzo: ma esso è un elemento nocivo quando tenta gli uomini a comportarsi nella vita come se essi già si trovassero là dove sperano, un giorno, di giungere... ».
Si potrebbe, naturalmente, osservare, che coloro che soggiogati, agitati da un ideale, anticipano nella loro condotta il suo avvento, non sono soltanto pericolosi illusi, ma rendono veramente presente in se stessi l’ideale che vagheggiano per tutta l’umanità: e che inoltre, il loro sagrifizio per addurre l’avvento di esso, riesce effettivamente ad affrettarne la venuta, disponendo per lo meno gii animi, rompendo le abitudini, turbando le coscienze, ecc. Ma Miss Petre di preoccupa evidentemente delle conseguenze nazionali che deriverebbero dall’accettazione che un intiero popolo facesse, ad es.. dell’ideale pacifista: e certo, solo una coscienza disposta ad ammettere anche per un’intiera nazione il - perdersi per ritrovarsi »; solo una fede che creda gl’individui e le nazioni sopravvivere più veramente solo quando realizzano in se stessi la legge interiore che le vuole pietre miliari e cellule caduche dell’umanità c dell’eterno... può essere pronta ad assentire alle parole di un « Friend »: • La nazione che immolasse la propria esistenza nazionale alla causa della pace, avrebbe contribuito al progresso dell’umanità assai più con la sua morte che con una egemonia secolare »; e a quelle di un altro: « Non possiamo aspettare fino a che il mondo sia convertito: il nostro Maestro non lo aspettò mica ». Ma questo è misticismo, e non è ancora politica: ed è dal punto di vista della politica praticabile che Miss Petre ha scritto il suo volume denso di un pensiero spesso geniale, sempre profondo, c che lo suggella con queste parole: »Nei sappiamo bene oggi che cosa significhi una guerra moderna: eppure noi crediamo ancora, che essa sia migliore del servaggio, del disonore, dell’ingiustizia, per quanto sia orribile, brutale, di-struggitrice di valori che nessuna forza terrena potrà compensare. La via giusta del progresso sarà di tendere non già all’abolizione della guerra, ma alla trasformazione di quelle condizioni sociali, politiche e internazionali che rendono la guerra inevitabile ».
Ed ora siamo in grado, per gentile concessione del-l'Autrice, di riprodurre l’intiero capitolo del suo volume, dal titolo: «Neutralità divina». G. Pioli.
NEUTRALITÀ DIVINA
Dobbiamo noi, in questi tempi di guerra, indirizzarci a Dio come ad un potere neutrale, come al padre di tutto il genere umano, desideroso solo del bene di tutti; oppure dobbiamo pregarlo di schierarsi con noi, ed aiutarci ad abbattere i nostri nemici? Dobbiamo convincerlo de la giustizia de la nostra causa e de la ingiustizia di quella dei nostri nemici, come si é fatto per ambo le parti belligeranti nei rapporti con gli Stati
La nuova Rassegna. Roma, Anno I, n. 1; 16 aprile 1916. — Nota della quindicina - Luigi Luzzatti: « La federazione dei noli oceanici « - Giovanni Dettolo: « I trasporti marittimi • Orazio Raimondo: < Briand » -Leopoldo Franchetti - « Il corso dei cambii e la prosperità nazionale » - « Il prezzo dei cambi » - Note in margine » « Vita internazionale » - « Vita nazionale », ecc.
Eco della cultura. Napoli, anno III, fase. VI; 15 aprile 1916. — Pietro Mignosi: « La tragedia del pensiero » - Alfonso Fiorentino: » Chi sono i Berberi » - T. Piscitelli: * Una poetessa barese » - G. Ravennani: • I giovani poeti con temporanei. Lionello Fiumi » - ecc.
— Fase. VII, 30 aprile. D. Bo-surgi: « Studi storici d’arte italiana. Raffaello da Urbino » - G. Rulli: • Covicllo. Un tipo greco di 'diavolo in commedia’ nell’antica commedia a soggetto napoletana » - F. Fontana: « Rileggendo Oscar Wilde ».ecc.
La nostra scuola. Anno III, n. 7; 15 aprile 1916. — G. Vitali: « Pensieri » - « Giulio Vitali » - G. Santini: • Heauton-timorùmenos » - B. Varisco: « Sul concetto di educazione nazionale » - V. C., G. C. P.: « Il nostro punto di vista » - ecc.
La riforma italiana. Firenze, anno V, n. 4: 15 aprile 1916. — R. Ottolenghi: - La rivincita dell’oriente«-P. Orano: ■< Beati i pacifici » - Ille ego: « Contro l’odio » - Un modernista: « Alle origini del dogma trinitario » — R. Murri: • Le idee religiose di Camillo Cavour » — XXX: « Accademia inopportuna » — L. Giulio Benso: ■ Corriere Femminile » - Fatti e commenti. Letteratura religiosa.
Vita e pensiero. Milano, Anno II, fase. 5; io aprile 1916. — G. Toniolo: • L’intesa italo-francese » - A. Boggiano e G.
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Tomolo: « Lettera aperta a Georges Goyau » - Mario Bru-sadelli: « Luigi Cadorna • - F. Crispolti: « Napoleone e il concordato » - A. Gemelli: « L’anima dei nostri soldati ■ - Noi: « Un fenomeno politico. I cattolici e il governo in Italia » -G. Grondona: « L’arte e il Crocifisso » - F. Meda:.« Il disegno di legge Salandra per la repressione della pornografia », ecc.
— Fase. 6: 30 aprile 19x6. — A. Zineroni: « Gli auspici per la vittoria della Francia » - M. Vaussard: « Emile Baumann e l’opera sua» - M. Brusadelli: « La grande illusione. Rileggendo un volume di Norman Angel » -- E. Vercesi: « L’Italia e gli Slavi del Sud » — E. Brevetta: « La trincea • - Civis: « Fatti e idee: 1. L’errore nazionalista; 2. Un socialista ufficiale dissidente » - F. Olgiati: ■ In memoria d’un illustre convcrtito: Joseph Lotte ».
Ultra. Roma, Anno X, n. 2; 26 aprile 1916. — F. Belloni Filippi: «La morale dell’età vcdica » - V. Cavalli: « Una Erofezia della ragione critica » -. Buonamici: « Psicologia occulta dell'Egitto » - V. Walter: « li monaco di Amalfi » - « Rinnovamento spiritualista » - « I fenomeni per le ricerche psichiche» - « Rassegna delle Riviste» - « Libri nuovi ».
Luce c ombra. Roma, anno XVI, fase. 4; 30 aprile 1916. — J. P. Capozzi: « L’elemento trascendentale nella vita di Giulio Cesare » - V. Cavalli: « Coltura e civiltà » - C. Lucco: « Su alcune opinioni filosofico-religio-se di sir Oliver Lodge » - E. Carreras: «Fantasmi combattenti » - F. Zingarapoli: - Riflessi delle ricerche psichiche nel campo del diritto » ecc.
Bollettino della Società Teosofica italiana. Pavia, anno X, fase. IV; aprile 1916. — B. P.
Uniti? Dobbiamo noi arrivare sino a pretendere che Dio è con noi contro i nostri nemici; oppure rispettare la Neutralità Divina, e pregare basandoci su questa idea?
Per prima cosa è da dirsi che. in questa guerra, invece dell’indebolimento dell’impulso alla preghiera, si è avuto piuttosto, come d’altronde era avvenuto in ogni guerra passata, l’effetto opposto.
Perchè, si può dire senza tema si sbagliare, che in Inghilterra come in Germania, paesi tutti e due protestanti; in Francia, la cui popolazione, al contrario del Governo, è essenzialmente cattolica: in Russia, nella terra della Cristianità Ortodossa, si è ottemperato, in questo anno, a le credenze religiose più che in tempo di guerra. Noi tutti preghiamo, e, cosa curiosa, tutti siamo convinti di pregare lo stesso Dio.
È interessante però di notare, che alcuni si rendono consci del paradosso, mentre altri no, e, che il carattere delle preghiere, varia a seconda dell’assenza o della presenza di questa coscienza. Abbiamo così due distinte categorie di preghiere: da una parte quella sul tipo Vecchio Testamento, definita e senza compromessi: un appello al Dio degli eserciti perchè voglia mettere la forza del suo braccio a disposizione delle nostre armate; mentre, dall’altra parte, abbiamo una preghiera più moderata, una richiesta di aiuto, pur ammettendo che Dio possa prendere un certo interesse per la causa dei nostri nemici, oltreché per la nostra.
La Germania si è distinta in tal genere di preghiere del tipo più assolutista, sebbene gli altri non le siano rimasti molto addietro.
Nel suo proclama del 6 agosto 1914 il Kaiser esclama: « Essere o non essere: è il dilemma per l’impero fondato dai nostri padri.
« Essere o non essere, per la potenza e resistenza della Germania. Resisteremo fino a l’ultimo respiro, e combatteremo la nostra lotta anche contro un mondo di nemici. La Germania non è stata mai sottomessa, quando è stata unita. Avanti dunque con Dio, il quale sarà con noi come fu coi nostri avi ».
E nei vari proclami che ci sono pervenuti, egli non ha mai trascurato le allusioni alla preghiera, ed ha finito i suoi proclami protestando la sua fiducia nel Pro-Ger-manesimo Divino.
Ne la Mililàrwochcnblatl di Berlino leggevamo il 4 agosto:
« Se vi è un Dio in cielo, come realmente esiste, noi Kiamo contare ne la Vittoria de la giusta causa de rrai tedesche ».
Anche l'imperatore d’Austria, finì il suo proclama del 28 luglio 1914 con le seguenti parole:
« Ho fiducia che Dio Onnipotente, farà vittoriose le mie armi ».
Allo scoppio de la guerra, lo Zar di Russia pregò con i suoi soldati nel Palazzo d’inverno, e pochi giorni dopo si indirizzò a la Duma, nello stesso luogo, terminando col grido appassionato:
« Grande è il Dio de la Russia! ».
Poco dopo, rispondendo agli indirizzi patriottici
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indirizzatigli nel Kremlinq, egli fini il suo discorso con le seguenti parole:
« Io mando un caldo saluto alle mie valorose truppe, e ai nostri Alleati, che fanno causa comune con noi per salvaguardare i principi infranti de la pace e de la verità. Possa Dio essere con noi! ».
La cerimonia fu chiusa con un « Te Deum ».
Nel Vecchio Testamento troviamo l’esempio classico di questa forma di preghiera.
Abbiamo infatti nel XVII Salmo:
« Io inseguirò i miei nemici e li raggiungerò, e non avrò riposo finché non siano distrutti. Io li abbatterò ed essi non saranno più capaci di star ritti, e cadranno ai miei piedi.
■ E tu mi hai circondato di forza per la pugna: ed hai soggiogato sotto di me il nemico che mi era sorto contro.
« E tu hai fatto si che i miei nemici mi volgessero le spalle, ed hai distrutto quelli che mi odiavano. Essi gridarono, ma non vi fu nessuno a salvarli; gridarono al Signore ma Egli non li udì ».
Nei libri dei Maccabei trcyiam > una certa differenza di carattere, perchè ivi aboiamo la storia di una lotta per la conservazione della nazionalità, mentre i Salmi sono più suggestivi di una guerra di conquista. I Maccabei combattono prò aris et focìs, per la conservazione de la propria razza, proprio come ora i Belgi.
« Ed ora, lasciateci gridare al Cielo (dice Giuda Maccabeo) ed il Signore avrà pietà di noi, e si ricorderà del patto stretto coi nostri padri, e abbatterà oggi davanti a noi, questa armata.
« E tutte le nazioni saprannoche vi èchi salva ed opera la redenzione di Israele ».
Eppure anche qui, come sopra, vi è la stessa sicurezza che Dio è dalla loro parte, la stessa espressione di certezza che, solo compiendo il loro dovere verso Dio, Egli prenderà tutta la responsabilità della loro causa.
Guardando ora la preghiera de la Chiesa Cattolica, troviamo nella « Messa in tempo di Guerra » la seguente colletta:
« O Dio, che fai cessare le guerre annientando con la tua potenza i nemici di quelli che pongono in Te la loro speranza; soccorri noi Tuoi servi che imploriamo le Tua Grazia, e abbatti il potere brutale dei nostri nemici, acciò noi, con più intense azioni di grazie, possiamo renderti lode ».
Questa colletta non è di recente composizione, e non esprime forse il pensiero odierno della chiesa; Ser conoscere questo, dovremmo rivolgerci alle preghiere ei singoli individui, che non si stampano nè si pubblicano. Il suo spirito è sotto alcuni rispetti altrettanto intransigente quanto quello del Kaiser; è una preghiera invocante la protezione dagli assalti ingiusti del nemico. E certo, essa presuppone che quelli che fanno una tale preghiera siano gli assaliti e non gli assalitori, perchè non allude minimamente ad uno spirito di conquista. Potremmo immaginarla composta per un paese come il Belgio, vittima di una invasione diretta, feroce e non provocata.
Wadia: « Lettere dal quartiere generale» - A. Besant: «La Îerarchia occulta >■ - F. E.
layton: « Uno studio sulla costruzione del corpo mentale » - E. Turin: « Possiamo noi, col Pensiero, porre termine alla guerra? »
Foi el Vie. Paris,, anno XIX, nn. 6-7; 1-16 aprile 1916. — Cahier A.: Emile Doumergue: « L’Arménie, les massacres et la question d’Orient ». Conférence - Etudes et documents.
— Cahier B.; M. Steed: «L’effort anglais ». Conférence.
Revue Chrétienne. Paris, anno LXIII, aprile 1916. — H. Dartigne: « I.a défense intellectuelle de la France » - Frank Puaux: « Le premier sang versé par l’Allemagne » - W. Monod: « Marcel Hébert » - A. Causse: « Les prophètes et les guerres de Yahvé » - André Jalaguier: « Notes du temps de la guerre > Julien de Narfon: « Evangile et Patriotisme » - F.. Monod: « Lettres de jeunesse d’Ed. de Pressensé à J. Monod » - Charles Le Cornu: « Eugène - Melchior de Vogûé ». ecc.
Record of Christian work. East Northfield, Mass. Volume XXXV, n. 4; aprile 1916.— « Jesus of Nazareth according to the witnesses of his life » -C. H. Alexander: «Miracles of grace» - A. J. Gordon: «The resurrection », ecc.
The modern churchman. London., vol. VI, n. 1, aprile 1916.— J. C. Hardwick: «Christian tolerance » - E. H. C. Wethered: « The adult school movement » W. A. Cunningham Graig: « The outfit of a modern churchman » Canon Glazebrook: « A new eirenicon » - E. C. Dewick: « Truthfulness in religion », ecc.
The biblical review. New York., vol. I, n. 2; aprile 1916.-Geerhardus Vos: « Modern dislike of messianic consciousness
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in Jesus» - Louis- Matthews Sweet: * The verification of Christianity» - Herman Ba-vinck: «Christ and Christianity ■ - W. H. Griffith Thomas: « The day of Pentecost ■ -Matthews B. Riddle: ■ The revised version and the greek text of the New Testament » -F. Lincoln Anderson: ■ Pau-linism »-W. F. Oldham: « Luke 2:14» - P. Dwight Moody: « The country church », ecc.
The biblical world. Chicago, vol. XLVII. n. 4: aprile 1916. -Editorial: «Picturing our faith• Herry Kingman: «The faith of a middle aged man » - Durant Drake: « Natural selection in religious evolution • -(ra M. Price: «Some methods of Old Testament exegetes before modern times • - Arthur S. Hoyt: «The modern pulpit» - William F. Bostick: « Jesus and Socrates » - T. Gerald Soares: • The preaching task of the modern minister » -H. L. Willett: « The religious and social ideals of Israel ».
The Princeton theological review. — Princeton, N. J., volume XIV, n. 2; aprile 1916. — Benjamin B. Warfield: «' Redeemer ’ and ' Redemption ’ » -Caspar Wistar Hodge: ■ What is miracle ■ - Henry William Rankin: « Philosophy and the problem of revelation » - Reviews of recent literature.
The international journal of Apocrypha. London, n. 44 (serie XII), gennaio. 1916. —-Notes: H. C. O. Lanchester: • The eschatology of the sibylline oracles'»- - F. G. Vial: ■ What we owe to Alexandria ■ Sydney Cooper: « A plea for lections from the pseudepi-grapha • - D. S. Margoliouth: •The use of the apocrypha by moslem writers » - G. F. Hamilton: ■ The Odes of Solomon and the pseudepigrapha » - A. Westcott: «The legend of S. Veronica >.
Quando rivolgiamo la nostra attenzione alle preghiere in uso nella Chiesa di Inghilterra, ci accorgiamo di una differenza di tono dovuto al progresso sociale e religioso dell’ultimo secolo. Le richieste, se richieste Sssiamo chiamarle, non sono cosi intransigenti, e ciano intravedere un certo rispetto per la Neutralità Divina. La « Forma di Intercessione » contiene certi salmi e certi passaggi che non hanno il carattere militarista che avrebbero potuto avere.
Così s’invita il popolo a pregare, dopo.il «Pater noster », così: « Per il Re e per il Governo, per i marinai e per i soldati, per gli ammalati, per i feriti e per quelli che li curano, per quelli che sono in ansie ed in lutto, in miseria ed in bisogno, ed in ultimo acciò quéste angustie possano essere superate per la prosperità ed il vantaggio del Pegno di Dio
E l.a preghiera per i marinai e per i soldati è la seguente:
• O Signore Iddio, Padre e Protettore di quelli che fidano in Te, noi raccomandiamo alla tua bontà paterna, gli uomini-che, in mezzo ai perigli de la guerra, servono la nostra Patria, supplicandoti, di prendere sotto la tua protezione essi stessi e la causa per la quale li mandarono sui campi, di battaglia, il loro Re e la loro Patria. Sii tu la loro forza, per essi che si trovano in mezzo a tanti e tali pericoli. Fa si, che, attraverso la morte o la vita, mettano in Te la loro fiducia; in Te, nelle cui mani solo è la vittoria. Cosi sia ».
. Nel The Times del 21 agosto 1914 apparve la seguente lettera che suggeriva la seguente forma di preghiera per l’Armata:
Preghiera per i nostri marinai.
Gli ufficiali e l’equipaggio de le nostre navi hanno sempre occupato un grande posto ne l'affetto del popolo Inglese; ed io so; che, molti vi sono che ogni giorno offrono la loro preghièra per l’aiuto e la protezione de la nostra Armata. Ma noi vogliamo, che il maggior numero di cittadini preghi per noi in questi tempi di ansia ed io suggerisco la seguente prghiera come la più adatta per i nostri bisogni, ne la speranza che tutti quelli che-la leggeranno, ci aiuteranno, recitandola ne le loro preghiere giornaliere. È una leggiera modificazione della bella Preghiera del Libro in uso nell’Armata Ser ogni giorno; e vi è incorporato anche una parte e la preghiera usata da Nelson prima della battaglia di Trafalgar.
Una delle splendide tradizioni de l’Armata è che, prima di ingaggiare una azione, ufficiali c marinai rivolgano una speciale preghiera collettiva a Dio perchè li aiuti a combattere per il loro paese e per una giusta causa. E sarebbe di grande giovamento per i nostri ufficiali e marinai, il sapere che, e durante il tempo dell'attesa e quando il supremo momento de l’azione è arrivato, essi sono nel pensiero e nelle preghiere dei loro concittadini.
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IL TRIONFO DELLO ZEPPELLIN
11 Ma la mamma non aveva fatto nulla di male! fe vero, babbo? "
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LA GUERRA
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Preghiera per 1‘Armata.
« O Signore Iddio, che solo domini i cieli e le tempeste marine: compiaciti di ricevere sotto la tua protezione gli ufficiali e i marinai de la nostra flotta: preservali dai pericoli del mare e da la violenza del nemico: in modo che essi possano formare una protezione per il nostro Sovrano, Re Giorgio, e per i suoi domini.
« O Grande Signore Iddio noi ti preghiamo acciò tu voglia procurare al nostro Paese, per il beneficia de l’Europa intiera, una grande vittoria e gloriosa. Dà a quelli che si immolano per la loro patria l’eterno riposo. Amen».
H. S. Wood, Arcidiacono Cappellano de la Flotta.
Questa preghiera esprime, sì, il desiderio della vittòria, ma in modo talmente temperato dagli altri sentimenti, che si sente che essa è indirizzata non solo al Dio de l’Inghilterra, ma al Dio di tutto il mondo.
Un’altra piccola preghiera per la flotta fu mandata da una vittima del Pathfinder alla fidanzata:
« O Padre Celeste, dimentica i miei peccati e rinforzami in tutto quel che è giusto; aiutami perchè possa adempiere bravamente ai miei doveri; proteggi gli ufficiali ed i marinai di quésta nave; difendi dal male durante la mia assenza tutti quelli che io amo. Amen ».
Fra le preghiere private che si son potute conoscere, merita speciale attenzione quella » Hour at thè Front » fatta dal Rev. Ronald Knox, del Trini ty College di Oxford, la cui caratteristica principale, ci può essere data da le seguenti parole:
« Raccomanda la tua Patria a Dio, semplicemente perchè essa è la tua Patria ».
« Prega..., perchè presto la guerra possa finire, e si possa conseguire la pace col minore sacrificio possibile; facendo distruggere navi piuttosto che uomini, facendo capitolare le fortezze invece di cadere i loro difensori ,ecc.i>.
Quella che segue è una preghiera non pubblicata, composta da un Cattolico perchè venga recitata ne le famiglie:
«Oh! Signore! risparmia il tuo popolo! Fa in modo che con la tua grazia, o Signore, i nostri concittadini che combattono in cambio di quelli che non lo possono, siano coraggiosi ne la pugna, sappiano sopportare la disfatta, ed essere magnanimi ne la vittoria. Possano le fatiche e le sofferenze che essi sopportano per la nostra causa, purificare le loro anime e condurli vicino a Te. Che questa guerra possa rigenerare tutto il mondo; possa liberare noi dai nostri abiti di vita comoda e di godimento, e renderci più generosi nel servizio dei nostri simili; possa essa realizzare l’affratellamento dei ricchi e dei poveri, e por fine agli odi di classe. Possa essa condurci, anche attraverso grandi dolori e patimenti, ad una pace vera e durevole. Fa, o Signore, che noi combattiamo senza odio, e che in ultimo possiamo deporre le armi senza animosità; proteggi i nostri
— N. 45; aprile 1916. — Notes - S. A. B. Mercer: « The preexistence of the soul in the apo< rypha and pseudepigra-pha » - Vernon Bartlet: ■ The pi ophecy of Eldad and Modad and the legend of Jannes and’ Jainbres» - R. R. Harwell: « The composition and date of the book of Baruch » - J. Abelson: « Maccabean memories» - « A. Judith play at a London theatre » - « Wisdom •
Pubblicazioni pervenute alla Redazione
P. M.-J. I.agrange: Mélanges d'histoire religieuse. Paris, J. Gabalda, Editeur, 1915. Vol. di pag. 334.
Charles Clerc: Les théories relatives au culte des images chez les auteurs grecs du deuxième siècle après J. C. Paris, Fontemoing & C.’c, Editeurs. Vol. di pag. 264.
Maurice Beauf reton: S.te Claire d’Assise (1194-1253). Paris, J. Gabaldà, Editeur, 1916. Vol. di p. 200, 2 frs.
H. Nazariantz: L'Armenia.
Il suo martirio e le sue rivendicazioni. Catania, Battiato, 1916. Voi. di pagg. So, L. 1,25.
Arrigo Levasti: Godescalcus poeta (Estratto). Casa ed. del « Coenobium », Lugano, 1916.
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soldati in mezzo ai pericoli sia fisici che morali; abbi pietà dei nostri nemici come dei nostri amici, e ia, che, alla fine, una fratellanza eterna ci possa unire ne la pace.
«Sia fatta la volontà tua su la terra, cosi come nei cieli, e possiamo noi cooperare al compimento di essa.
« Fa che noi ti possiamo servire ne la buona come ne la cattiva fortuna, e, che, con la tua grazia possano presto finire i nostri patimenti.
■ Dacci oggi la pace, o Signore ».
Questa preghiera, si vede che è composta, da uno che avrebbe voluto pregare per la vittoria, ma che da un senso di riverenza per la paternità universale di Dio, si sentiva distolto da qualunque preghiera qualificata.
Così, per quanto la posizione di noi tutti sia paradossale, noi tutti preghiamo: la Germania Protestante e l’Austria Cattolica, l’Inghilterra Protestante,- la Francia Cattolica, la Russia Ortodossa; e non solo preghiamo, ma pretendiamo di indirizzarci tutti a lo stesso Dio.
A questa contradizione, gii eserciti opposti dei tempi pre-cristiani correvan pericolo di arrivare: perchè allora, sebbene tutti pregassero, non si indirizzavano ad uno stesso Dio: ma ognuno al suo proprio. E certo in quei tempi, non si combatteva per il proprio focolare e per la propria patria, solamente, ma anche per il proprio tempio e la propria religione; il successo di un popolo su di un altro così, era quello del Dio di un popolo su quello dei nemici, e, a ragione, si invocava il proprio Dio perchè da la vittoria dipendeva l’onore di questo Dio. Anche i Giudei, sebbene essi sfuggissero poi al Politeismo, dovettero passare per lo stadio de la Monolatria, cioè l’adorazione di Dio come Dio di un popolo, per arrivare al Monoteismo, cioè alla credenza di Dio, come Dio de ^Universo.
Nel suo studio La Religione d'Israele. Loisy ci descrive il passaggio dei Giudei, da una religione di tribù ad una universale. Vi fu un tempo in cui Jehova era un Dio:
« Avente un nome, come gli altri dei vicini, ed avente come essi un popolo da proteggere ».
Era però:
« Un Dio definito e limitato, potentissimo ne la sua sfera di azione, e che faceva gli interessi di coloro che in lui credevano, ma sempre un Dio in mezzo ad altri dei, sebbene fosse il più forte, il più grande e forse di già il migliore...».
« Che Jehova sorga, e i suoi nemici siano dispersi e quelli che lo odiano fuggano innanzi a Lui », questo era l’inno di guerra col quale si salutava l’arca santa, Suando le armi di Israele muovevano contro il nemico.
quando si fermavano per accamparsi dopo la battaglia:
« Alt! Jehova, con le armi di Israele! ».
In queste occasioni Jehova combatteva per il suo popolo con meno ostentazione degli Dei omerici, ma proprio còme il dio Ashur con gli Assiri e Ammone di Tebe coi Ramsi.
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LA GUERRA
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Tali preghiere erano adattabili ai Giudei di quel tempo, ma lo possono essere ai Cristiani dei nostri giorni?
La profonda linea di separazione esistente fra le due categorie di preghiere più su descritte, possiamo dire che sia una linea di separazione fra una religione di monolatria ed una di monoteismo; a lo stesso modo che le preghiere per la vittoria austriache e tedesche, sono sopravvivenze di altre forme di religione, non appartenenti al Cristianesimo monoteistico. Parafrasando tali preghiere la contraddizione si mostrerà evidente:
« O Padre di tutto il genere umano, arma la nostra mano per la distruzione dei nostri nemici, che pur sono Tuoi figli! Fa prosperare questo paese, di cui tu sei Dio, ed umilia raltro, di cui anche sei Dio! Noi ti onoreremo per la nostra vittoria, e possano i nostri nemici adorarti per la loro sconfitta! Possano essi essere santificati per la loro umiliazione, a lo stesso modo che noi per il nostro successo. Sia fatta la Tua volontà; e possa tal volere consistere nella glorificazione de la Germania? de la Russia? », ecc.
Eppure possiamo noi, evitare d’incorrere in questa contraddizione senza rinunziare a qualunque forma di preghiera? Possiamo noi pregare disinteressatamente, quando tutto l’avvenire del nostro paese e le vite dei nostri cari, dipendono da un certo esito « de la lotta? A quale conclusione ci porterà questa incoerenza inevitabile?
A quella, che una religione di guerra è, più o meno una religione di monolatria, e di negazione del potere paterno ed universale di Dio. E a questa conclusione non possiamo sottrarci: non solo la guerra non ha veramente un posto nello schema de la religione Cristiana, ma non ne ha nemmeno ne lo schema di qualunque religione monoteistica.,
Noi dobbiamo quindi accettare come una de le contraddizioni portate da lo stato di guerra il fatto di non poter pregare senza tradire o le nostre credenze monoteistiche, o i nostri sentimenti patriottici. Noi non possiamo credere nel Regno Universale di Dio, senza ammettere, come corollario la fratellanza universale del geneie umano. E come combinare le due cose in tempo di guerra?
Vi è una sola risposta: ed è quella di unirle in tempo di pace. La guerra è una mostruosità, benché pur rimanga una necessità. È una mostruosità perchè è assolutamente incombinabile con le leggi de la nostra vita superiore e segue un codice proprio. Però non è essa la causa, ma solo il risultato di quell’ego-centrico spirito nazionale che non può amare senza odiare, nè lavorare senza competere con altri, che non può gioire della propria vita senza tentare di assorbire quella degli altri; di quel nazionalismo, che non sa salutare l’avanzarsi di una nuova razza con le parole:
Ecco chi crescerà li nostri amori.
M. D. Petre.
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Eduardo Tagliatatela : La scuola -negli Siali Uniti d’America. (Estratto dalla Rivista Pedagogica, anno IX, fase. 1-2, genn.-febbr. 1916). Albrighi e Segati & C. ed-, 1916.
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Andrò Baudrillart: Saint Paulin, évêque de Noie (353-43x). Troisième éd. J. Ga-balda éditeur, Paris, 1914. Voi. di pagine vii-190. 2 frs.
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Charles Wagner: Jeunesse. {Ouvrage couronné par VAcadémie française). 32ème éd. revue et augmentée d’une Préface. Paris, Fischbacher, 1016. Pag. xxxv, 391. Prezzo in Italia L. 4,20.
A A A
Giulio Urbini: Arte Umbra (nn. 2-3 della collezione: « Biblioteca Umbra *). Casa Editrice « Atanòr ». Todi, 1916. Pagine vm-255. Con numerose illustrazioni, L. 3.
Alfred Valensi: Le Sionisme. Deuxième éd. Tunis, 1913. Pag. li. Cent. 25.
Ferdinand Buisson: Souvenirs. 1866-1916. Paris, Fischbacher, 1916. Pagine 40.
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Romolo Murri: Camillo Cavour (n. 41 della collezione « Profili •). Genova, A. F. For-miggini ed. 1916. Vol. di pag. 78, rilegato. L. 1.
AAA
Jean Lafon: Evangile el Patrie. III. Discours religieux. Paris, Fischbacher, 1916. Vol. di pag. 230. In Italia L. 3,75.
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Gaston Riou : Journal d'un simple soldat. Guerre - captivité. 1914-1915, Paris. Hachette, 1916. Pag. xxvii-252.
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Henri Bremond : Histoire littéraire du sentiment religieux en France. Depuis !a fin des guerres de religion jusqu'à nos jours. II, l’invasion mystique (1590-1620). Paris, Blond et Gay éditeurs, 1916- Vol. di pag. 615. Prezzo in Italia L. 9.
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Eugène Ménégoz: La guerre et le pacifisme Paris, Fischbacher, 1916. Pag. 32.
Ottorino Modugno: L’Italia s’è destai... Cuneo.
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XII Poesie di Francesco Gaeta. Calendario Catalogo MCMXVI. Casa Editrice Gius. Interza & Figli. Bari.
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Lanoë-Villène: Principes généraux de la simbolique des religions. Paris, Fischbacher, 1916. Pag. 293.
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Gaspard Wampach : Ce qu’ils pensaient. Deux témoins: Daniel Frymann, Hermann Fer-nau. Paris, Fischbacher, 1916. Pag. 304.
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G. Boisscnnas: La foi mise à l’épreuve. Pendant la Guerre 1915. Paris, Société centrale évangélique, i9«6> Pag. 223, L. 3.75a a a
Alexandre Vinet: Éludes sur la littérature française au xix siècle. Terne deuxième: Lamartine et Victor Hugo. Texte de l’édition posthume de 1848 revu et complété d’après les documents orginaux et précédé d’une préface par Paul Sirven, prof, a l’Université de Lausanne. Lausanne, George Bri-del & C> éd. 1915. Pag. 462. Prezzo in Italia L. 7,50.
ALLA VIGILIA DI GRANDI COSE
■ Io sono certo — scrive un soldato inglese sul Fel-lowship — che dalle ceneri di questa guerra sorgerà una nuova vita assai più grande e più pura. Lo spirito di Dio sarà con noi tutti, come lo è al presente con i combattenti sul fronte... Si. noi siamo alla vigilia di grandi cose... ».
Una di queste « grandi cose » è certamente il pro-Ìresso che va intensificandosi nella unione delle Chiese ristiano, sotto lo stimolo del compito gigantesco che si presenta al Cristianesimo, e del rimprovero che su esso ricade per non aver saputo con uno sforzo unito preparare in tempo l’unione delle nazioni civili e scongiurare la presente catastrofe.
In questi giorni, dei passi giganteschi sono stati fatti in questa direzione, benché modesti nell’apparenza.
È noto come sia vezzo di poco informati o meno onesti apologisti del Cattolicismo di contrapporre all’« unità maravigliosa » de) Cattolicismo. il frazionamento del Cristianesimo Riformato, in una moltitudine di Chiese: e di additare nella divisione di queste la nota caratteristica dell’errore e dell’assenza di carità. Senza qui trattenerci a rilevare la ovvia distinzione fra uniformità rigida e unità vivente, e a mostrare come la libertà e la vitalità producano naturalmente la moltiplicità Sur nell’unita vivente, ricorderemo piuttosto che fra iverse Chiese Cristiane corrono rapporti generalmente non meno, anzi più cordiali, di quelli che esistono—o non esistono — fra diversi ordini religiosi nel Cattolicismo, alcuni dei quali sono anzi divisi da secoli di gelosie e di rancori. Oltreché, le divergenze delle diverse Chiese Cristiane su punti diversi di disciplina, dottrine, ritualismi, in realtà sono barriere assai deboli, di fronte — mi si perdoni la figura profana — alla efficacia poderosa degli strumenti bellici da cui vengono superate e abbattute, e dalle risorse di velivoli (simbolismo religioso, prammatismo, carità) con cui è possibile Csnetrarc nel campo avverso passando sopra ai suoi aluardi.
Sicché è comune lo spettacolo di « Chiese Cristiane Libere », — cioè di tipo più liberale che la stessa chiesa di Stato Inglese e della Evangelica Luterana — che si scambiano i ministri perfino nell’atto più essenziale del loro culto, cioè nella predicazione. Ma in questi giorni, rafì'ratellamento e l’interdernominazionalismo (si scusi il termine sesquipedale) ha raggiunto limiti non mai per (’innanzi toccati, e che neppure i recenti avvenimenti, quali l’episodio di Kikuyu, permettevano di auspicare si prossimi.
È noto che l’ala estrema del Cristianesimo Riformato è costituita dalla Chiesa Unitariana, cosi denominata dalla sua esclusione del domma della Trinità, e quindi della Divinità personale del Cristo. Fino ad ora questa Chiesa era stata considerata dalle altre Chiese Cristiane come un Cristianesimo marginale, più affine al Teismo
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che al Cristianesimo storico: e perciò i suoi rapporti con essa "erano stati assai scarsi, e raramente spinti fino alla comunione del pulpito.
Ora, nello scorso febbraio questa diga di riserbo è stata attraversata in più punti, e una potente corrente di simpatia ha potuto precipitarsi nei varchi.
A Stockport e a Nantivich, in Inghilterra, due ministri unitariani furono invitati a predicare, rispettivamente in un pubblico di Congregazionalisti e di Metodisti. A Cincinnati, negli Stati Uniti, nella Chiesa dell*Avvento, allo stesso « Servizio Religiose • ufficiarono sette ministri di diverse denom nazioni. (Qualcosa di simile si era avuto nello scorso gennaio in Napoli, ove, nella Chiesa Metodista, nell’occasione di una Srotonda ed eloquente conferenza del nostro prof. Mario iossi sui rapporti fra il Cristianesimo Riformato e la presente guerra, assistemmo ad un edificante spettacolo di cooperazione di ministri di diverse chiese cristiane).
Più notevole ancora, perchè è il primo caso del genere avvenuto in Inghilterra, fu l'avvenimento di un eminente ministro Unitariano, il Rev. Dowson, che predicò nella Trinity Church di Hyde, appartenente alla Chiesa Inglese: e l’altro reciproco, e ancor più significativo, del ministro della Chiesa Inglese Rev. Hudson Shaw, rettore della Chiesa di San Botolph in Londra, che accettò l’invito a predicare nella Chiesa Nonconformista di Bishopsgate óhapel fattogli dal rettore di essa Reverendo Thomas Grear. « Il Rev. Grear ed io — disse il Rev. Shaw — lavoriamo nello stesso distretto e cooperiamo in tutte le imprese fuori della Chiesa: non è ragionevole il desiderio di associarmi con lui anche neil’interno del suo Tempio? ».
Questo fatto, avvenuto sotto gli occhi, e con la tacita approvazione del Vescovo di Londra (il cui predecessore aveva, anni addietro, negato il suo consenso a simile atto di liberalismo religioso) « è una prova — commenta il Christian Commonwealth — che la comunione degli spiriti nel Cristianesimo è una realtà genuina, ed insieme è un passo verso una cooperazione più stretta ed una unione di sforzi, quale è reclamata dalla crisi presente. Noi non ci auguriamo davvero di vedere nelle diverse Chiese quella unità che sgorga dalla uniformità di opinioni: ma noi diamo il più cordiale benvenuto ad ogni occasione di cooperare fraternamente e di realizzare la comunione di spirito ».
Ma non solo i vincoli tra le diverse Chiese cristiane si vanno stringendo e rafforzando: si è ulteriormente inteso il bisogno di allargare le tende si da abbracciare in una alleanza positiva di coordinazione e di cooperazione non solo tutte le religioni ma anche tutte le società umanitarie in cui il movente religioso, per essere implicito soltanto e non tradotto in forinole definite, non è meno intenso ed operoso. Per promuovere appunto una «Alleanza delle società umanitarie e religiose » si adunarono in febbraio nel Palace Hotel di Westminster, in Londra circa cinquanta rappresentanti di diverse organizzazioni religiose ed umanitarie
CROCE ROSSA
L’ORGOGLIO ITALIANO
V’è una specie di timidezza sociale che non solo impedisce di fare il bene verso gli altri, ma anche di apprezzarlo. Per questa ragione, più che peraltro, avviene che molti sappiano della Croce Rossa soltanto quel poco che ne sentono dire per caso: °- peggio, quel poco che ne vedono con i loro occhi: per esempio, le bandiere che pendono all’ingresso dei Comitati o le automobili segnate. O peggio ancora, non ne sanno niente. Pare un’esagerazione, ma è proprio cosi.
Ora tutti quelli (e chi potrebbe escludersi?) che hanno nell’animo l’intenzione c il desiderio di partecipare alla grande impresa della nostra Patria, dovrebbero convincersi che l’intenzione e il desiderio non bastano: bisogna concretare questi due sentimenti.
Suale n’è il mezzo?
no, e solo: inscriversi alla Croce Rossa o aiutarla in qualche altro modo. Se quelli che ne stanno lontani, cominciassero a prendervi parte si convincerebbero subito di quanto amore si può essere soddisfatti. Chi lo ha provato, non si stacca pili dalla Croce Rossa.
Non è solo un’attività che mette in pace la nostra coscienza, ma molto di più: un insegnamento morale che reca dentro i rapporti della società una dolcezza fraterna che non somiglia a nessun’altra. Ora, siccome questa bontà istintiva è in tutti, è necessario che nessuno la trascuri. La Croce Rossa dà il modo di esercitare una carità vasta e profonda.
Chi sta in disparte, non merita il sacrificio dei nostri soldati, e nemmeno di essere chiamato a partecipare della nostra attività nazionale. Qui si tratta di una sollecitudine, il cui ri-
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tardo non potrebbe essere scusato in nessun modo.
Chi vorrà passare accanto agli ospedali dei nostri soldati senza poter pensare: anch’io sento che là dentro posso essere amato, perchè ho fatto quel che ho potuto? Chi potrà lasciare svolgersi l’immane tragedia senza poter dire: anch’io ho fatto il mio dovere?
Ogni socio della Croce Rossa è un atto di amore e di carità, che si aggiunge e si accresce: senta ognuno che queste parole sono verità e le accetti per Sei sentimento di nazionalità e lo ha commosso quando ha visto i nostri soldati armati pei* partire a combattere; per quel sentimento che gli ha fatto conoscere l’orgoglio di sentirsi italiano.
Per farsi soci della Croce Rossa, dirigere la quota d’associazione (L. 5) al Comitato Centrale di Roma in Via Nazionale 149, oppure al proprio Comitato Regionale.
LIBRERIA EDITRICE " BltYCHHIS:”
Via Crescenzio 2, ROMA
[Novità] G. Boissonnas: La foi mise à V épreuve. Pendant la guerre 1)15. Discorsi religiosi. Pag. 223. L. 3,75.
Sommario: L’homme, un sol-dat-Comment souffrir-Où est ton Dieu ? - La foi disparaîtra-t-elle de la terre? - J’ai gardé la foi - Les neutres et la conscience - Le rôle de la vérité - Le monde haï et vaincu -- Aimer c’est vivre - La fatalité dans l’Evangile - Aux sans-abri -Contre le découragement - En souvenir des infirmières mortes au service de la France - Noël ’9’5sotto la presidenza del deputato Percy Alden, segretario del « British Institute of Social Service)». Fra le adesioni figuravano quelle del Vescovo Welldon, del Battista dott. Clifford, del segretario della federazione nazionale delle Chiese Libere, dott. Mayer, del deputato socialista Lausbury. Le parole del Presidente dissero chiaramente il desiderio e il bisogno sentito da tutti i convenuti: « In questo mondo vi è una grande quantità di buona volontà: quello che occórre è di mobilizzare queste energie e di utilizzarle per il servizio della umanità. Molti sforzi vanno sprecati e vi è grande «sovrapposizione» di attività; Serchè ognuno agisce isolatamente e indipendentemente agli altri. Ora, specie in questo momento, occorre che tutti gli operai del bene vengano tra loro a contatto, si uniscano in un comune sforzo, e si preparino per la ricostruzione sociale che dovrà seguire alla presente guerra ».
Riferire alcune note che risuonarono nell’adunanza è dare insieme un’idea dello spirito che la animò e dei risultati che è lecito ripromettersene.
« Il nostro terreno comune — disse Sir Francis Younghusband —è la nostra comune umanità. I a organizzazione che noi ci siamo proposti di fondare, avrà per oggetto di incoraggiare la cooperazione fra tutte le società nazionali e internazionali di carattere umanitario, etico e religioso.
Un rappresentante dell’IsIam, l’illustre Amir Ali, portò la sua calda approvazione ad un movimento che vuole abbracciare tutte le religioni anche non cristiane, servendo così a cementare popoli di' diversi credi nelle differenti parti dell'impero.
Albert Dawson, direttore della Christian Commonwealth spiegò che l’idea di cooperare fra diverse religioni e società umanitarie non riguardava punto le idee professate o questioni dottrinali, ma solamente le attività pratiche. Giacché, non esiste alcuna organizzazione che riallaccia le forze progressive del Cristianesimo e di altre religioni con le forme di attività etiche e umanitarie: ciò di cui si sentiva gran bisogno prima della guerra, e si sarebbe inteso più prepotente al ritorno della pace.
Dopo altre espressioni dell'unanime adesione dei presenti e delle società da essi rappresentate, la decisione di costituire una • Alleanza fra organizzazioni religiose e umanitarie • fu approvata all’unanimità.
Cosi, l’alleanza fra tutte le armate che combattono su diversi fronti per la conquista del regno di Dio è. almeno inizialmente, in Inghilterra, un fatto compiuto. Siamo veramente « alla vigilia di grandi cose «.
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LA GUERRA
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A FASCIO
Dobbiamo correggere il catechismo?
Questa domanda si fa il sig. Tidmarsh sul Christian Commonwealth. « Il catechismo delle Chiese Ubere — egli scrive — pubblicato alcuni anni fa fu accettato unanimamente dai rappresentanti dei Congregazio-nalisti, dei Metodisti, dei Battisti, dei Presbiteriani, sicché esso rappresenta la fede religiosa di sessanta milioni di cristiani — come è detto nella prefazione. Ora, queste stesse Chiese cristiane, fortunatamente, stanno trattando per una unione più intima. Non dovranno esse, per prima cosa, correggere il loro catechismo? Infatti, io leggo in questo, a pag. 15, queste parole: « Che cosa c’insegna il quinto comandamento del Decalogo (letto alla luce degli insegnamenti di Gesù)? Di tenere la vita umana per sacra, ed invece di odiare o di far male al nostro prossimo, anche se ci sia nemico, fare tutto il possibile per conservarlo in buona salute e nel benessere ». Ora chi favorisce la guerra, certo contradice a questo precetto. Ancora, a pag. 18 si legge «Cristo c’insegna a chiedere con fiducia a Dio di perdonarci le nostre colpe, ma che questo perdono non ci verrà concesso a meno che noi stessi perdoniamo di tutto cuore coloro che ci hanno fatto del male ».
Ora, è questo l’insegnamento che al presente s’im-parte da molti pulpiti cristiani?
I Metodisti e la guerra.
Due ministri Metodisti Wesleiani, della circoscrizione di Bath, hanno esposto sul Myrtlc di Bath i loro sentimenti riguardo alla guerra. Dopo aver professato la loro ammirazione per quelli dei loro confratelli che hanno impugnato le armi nella presente occasione, e aver detto con quanta gioia essi stessi si sarebbero offerti per il lavoro nella Croce rossa o quali cappellani militari, se l’occasione se ne fosse offerta, essi fanno notare che l’ideale dei loro giovani confratelli nel combattere è, in realtà, la distruzione dello spirito stesso della guerra — una guerra contro la guerra. « Però — osservano i due ministri — anche prescindendo dal fatto che la guerra è opposta essenzialmente e nel suo metodo stesso allo spirito di Cristo, noi non crediamo che possa essere alcun processo bellicoso a condurre la realizzazione di questo ideale... Noi crediamo che quello che il militarismo ha saputo fare ai nostri giorni, lo potrà compiere bene nei giorni che verranno... Noi possiamo dire che, all’ingrosso, la nostra posizione coincide con quella della «Società dei Friends », e della « Comunione di Riconciliazione » della quale siamo ambedue membri. A questo atteggiamento noi non siamo giunti sollecitamente, nè senza accurata riflessione, bensì solo per la via di molte preghiere e di ansie spirituali. Ma ora che abbiamo
(Novitâ) Lanoë-Villène: Principes généraux de la symbolique des religions. Pag. 293.
Sommario: I. Introduction: 1. Les origines. 2. L’évhémérisme. - II. Exposé des principes généraux de la symbolique 1. La Trimourti et son symbole, V Arc-en-ciel. La Trinité. 2. La lune. L’Ambroisée. Le Purgatoire lunaire. III. L’Inde. 1. Le Rig-Veda. 2. Les deux Trimourtis védiques. 3. I.a Trinité. 4. L’Arani, les Açwins. IV. L’Egypte. - 1. Les monuments, le livre des morts. - 2. La vache Hathor. Le Sycomore, Set et Horns. - 3. La Trinité. -V. L’Assyrie. - 1. L’Assyrie. -2. La déesse assyrienne de Lucien. - 3. La Perse. - VI. Les Scandinaves et les Celles. — 1. Les Scandinaves. - 2. Les Celtes - 3. Les Etrusques. -VII. Les Chinois et les Américains précolombiens. - 1. La Chine primitive. - 2. Le Mexique. - 3. Le Pérou. - VIII. Grèce (première partie). 1. Les Titans. - 2. I.a première Trimourti: Jupiter, Neptune. Plouton. Junon épouse de Ju-«iter. La deuxième Trimourti:
ulcain, Vénus, Mars. Le bouclier d’Achille. - 3. La triade Latone, Apollon, Artémis. - 4. Mercure. - 5. Minerve. La Trinité au troisième terme collectif. - IX. Grèce (deuxième Sie). 1. Vie de Bacchus.
mus. Voyages et conquêtes de Bacchus. L’Inde. La prédication a Thèbes; mort de Penthée; mort de Bacchus. - 2. Fête de Bacchus. -3. Noms et épithètes de Bacchus. X. Grèce (troisième partie). - 1. Bacchus né de la cuisse de Jupiter.-2. Le Mythe de Zagreus. - 2. Les attributs de Bacchus. - 4. Couleurs symboliques de la Trinité. - 5. Le Dionysismc et le pouvoir civil. - 6. Morale du dionysis-me. - 7. Cérès, Thémis, Iris. XI Les juifs et les chrétiens. 1. L’esotérisme de la Bible. - 2. La Trimourti, la Trinité au
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BILYCHNIS
troisième terme collectif, la pierre. - 3. L’Eau et le vin. -4. Melchissédec.
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(Novità] John Viénot: Paroles Françaises prononcées à moratoire du Louvre.
Sommario: La France nouvelle - Les « bons Français » -I.’Allemagne et le Protestantisme - « Il faut opiniâtrer » -La Vitalité française - L’oubli des Morts - « La race élue, la nation sainte »
Vol. di pp. 180. In Italia: L. 2,50.
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(Novità). Paul Stapfer: Les leçons de la guerre.
Fins de mondes - Ere nouvelle - Le Dieu de l’Allemagne - La liberté humaine révélée parla guerre-Question de conscience - Sincérité - Mon dernier petit sermon de guerre -L’origine du mot «boche- -Sois bon.
Vol. di pp. 180. In Italia: L. 3,50.
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(Novità) Giulio Urbini: Arte Umbra. Vol. di pagg. vm-255 con numerose illustrazioni. Prezzo L. 3.
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(Novità] H. Nazariantz: L’Armenia. Il suo martirio e le sue rivendicazioni. Voi. di pag. 80. L. 1,25.
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(Novità) Romolo Murri: Ca-millo Cavour. Volumetto di pag. 87, rilegato. L. 1.
E resa questa posizione, siamo pronti ad assumere tutte : conseguenze che possono derivare dal marciare per la via additataci dalia coscienza».
Il « Movimento cristiano degli studenti » e la guerra.
L’annuario del « Movimento Cristiano degli Studenti» testé pubblicato, fornisce degli elementi suggestivi per conoscere l’effetto della guerra sulla vita universitaria in Inghilterra e in Irlanda, ove la detta associazione conta circa 11 mila soci, fra uomini e donne, compresi quelli arruolatisi nell’esercito inglese. È naturale che gli atteggiamenti di un numero si notevole di giovani intellettuali debbano differire in tale riguardo, ma la nota dominante è quella che l’annuario riferisce con queste parole: « È generale un senso di insoddisfazione e di delusione rispetto all’atteggiamento delle Chiese cristiane verso la guerra. Tale delusione non si è fatta sentire solo fra i membri dell’« Unione Cristiana », ma ha trovato espressioni non meno vive tra studenti che non son membri dell’« Unione » e che non fanno Erofessione alcuna di religiosità. Questo senso di de-isione si può forse riassumere, dicendo che quando la guerra scoppiò, si era convinti che la Chiesa avrebbe dovuto dire una parola chiara e autorevole riguardo alla guerra, e almeno, avrebbe dovuto far sentire la propria influenza, quale fattore potente, fra le nazioni: non fu quindi senza una disillusione ognora crescente, che la classe degli studenti dovette persuadersi, che la voce della Chiesa non era che una delle tante voci levatesi dopo lo scoppio della guerra, e una delle meno importanti, e che il più che la Chiesa sembrava saper fare era di assecondare le richieste dello Stato. Mentre a molti sembra, che ia missione della Chiesa sia di promuovere ad ogni costo l’ideale del Regno di Dio, e che invece essa abbia rivolto la maggior parte delle sue energie a promuovere gl’ideali nazionali ».
Giustizia relativa ed assoluta.
«... È vero, una guerra per quanto giusta, non è che relativamente giusta. Ma non possiamo noi, povere creature colpevoli, essere strumenti d’una giustizia assoluta. Ed è solo coi successivi trionfi della giustizia relativa di cui siamo capaci che ci potremo avvicinare sempre pili — e fare avvicinare con noi l’umanità — alla giustizia assoluta che vagheggiamo ».
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma - Tipografia dell'Unione Editrice, Via Federico Cesi, 45.
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