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Anno 126 - n. 2
12 gennaio 1990
L. 1.000
Sped. abbonamento postale
Gruppo II A/70
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a : casella postele - 10066 Torre Pellice
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
CRISI DI PANAMA
Politica
e morale
La « missione è compiuta. Tutti gii obiettivi sono stati raggiunti » ha dichiarato, mercoledì
3 gennaio, il presidente degli
Stati Uniti, George Bush. Il generale Manuel Antonio Noriega,
l’uomo forte di Panama, colui
che aveva tenuto in scacco per
due armi gli ultimi due presidenti della nazione più potente
dei mondo, era finalmente nelle mani dell’esercito americano
e mia Corte degli Stati Uniti
è pronta a processarlo.
Il bilancio dell’operazione
« giusta causa » è molto pesante: 30 morti tra i civili e 320 tra
i militari, l’uccisione per « errore » di jm giornalista spagnolo,
la violazione « per errore » da
parte dei « G. I. » americani delle regole del diritto internazionale verso i diplomatici nicaraguensi e cubani, la violazione
delle norme internazionali circa
la non ingerenza negli affari interni di uno stato sovrano. Panama. Tutto ciò è all’origine della condanna contro il governo
degli USA adottata a maggioranza daU’ONU.
Sul piano politico, poi, gli USA
hanno affermato l’idea che i paesi del Centroamerica (e tutta
l’America latina) sono « il loro
giardino di casa » nel quale sono ammesse operazioni «igieniche » di « pulizia », come le ha
chiamate Bush.
I grandi di questo mondo
hanno il diritto di comandare
a casa d’altri? E’ la domanda
ricorrente che ci viene costantemente alla mente in occasione
delle crisi internazionali. Tucidide, 2.000 anni fa, aveva osservato che la sola regola che i potenti seguono è quella della loro potenza. Questa è la morale
della politica internazionale. Contro di essa il pacifismo ha pensato che dovessero esistere regole per risolvere le controversie ed organismi preposti per far
le osservare.
Dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, le Nazioni
Unite sono l’organismo preposto.
Ma rONU è in crisi: non riesce
che parzialmente ad adempiere
ai suoi scopi statutari. Dieci anni fa la colpa di ciò era indicata,
in occidente, nella politica aggressiva dell’URSS: g^uardate
l’Afghanistan! Oggi la cosa si è
modificata. L’URSS ha capito
che la politica interventista non
paga e si è ritirata dall’Afghanistan, lasciando così sviluppare
un movimento di libertà nei paesi che Jaita aveva lasciato alla
sua «infiuenza ».
Ad esercitare la politica del
bastone « per le giuste cause »
sono oggi solo gli USA che, oltre a Panama, sono intervenuti
militarmente neU’ultimo anno
nelle Filippine, per difendere la
Aquino, ed in Colombia, per lottare contro , il narcotraffico.
Bush, forse, ha bisogno della politica dei muscoli per mantenere il consenso interno. E’ chiaro
però che questa politica non paga a livello internazionale. Oggi
sono molti di più coloro che
pensano che il diritto deve essere salvaguardato e che l’etica
deve entrare in politica. Il principio deH’autodeterminazione dei
popoli, che sta faticosamente avanzando all’est, non può essere calpestato all’ovest e nessuno
poi può erigersi a gendarme del
mondo.
Giorgio Gardiol
GERUSALEMME: ISRAELIANI E PALESTINESI INSIEME PER MANIFESTARE
60.000 mani unite per ia pace
Ebrei, musulmani, cristiani e non credenti, di diverse nazionalità, chiedono una soluzione
politica alla tragedia del Medio Oriente - Ruolo delle chiese e partecipazione evangelica
Sessantamila mani che si stringono. L’altoparlante che canta le
vecchie canzoni pacifiste di Boib
Dylan e di John Lennon. Voci
che parlano italiano, inglese,
francese. Il sole primaverile, i
volti che sorridono ai passanti
e ai poliziotti. Gli scatti delle
macchine fotografiche... proprio
come queiraltro 30 dicembre di
sei anni prima, all’ultima dimostrazione nonviolenta davanti ai
cancelli della base di Comiso urima deU’arrivo dei missili nucleari, prima della sconfitta del movimento per la pace europeo.
Impossibile sfuggire all’emozione. 'Perché aH’interno del cerchio
formato dalla catena umana non
si sviluppa il reticolato di una
base militare occidentale, più volte spettatrice in passato di manifestazioni come questa, ma sorgono invece le mura di Gerusalemme. Perché le mani che si
stringono sono mani di donne e
di uomini israeliani, palestinesi,
europei, americani; sono mani
di ebrei, di musulmani, di cristiani, di non credenti, di bianchi
e di neri. Perché in due anni di
Intifada non si è mai tenuta a
Gerusalemme una manifestazione così grande e perché così tanti israeliani e così tanti palestinesi non si sono mai trovati a
manifestare uniti. Perché la rabbia che abbiamo provato, visitando le famiglie delle vittimé dell’occupazione israeliana nei territori occupati si mescola con lo
sgomento provato visitando « La
mano e il nome », il museo del
l’olocausto di Gerusalemme
ovest. Perché ci siamo lo stesso,
anche se ieri alcuni di noi, e più
di tutti l’europarlamentare italiana Dacia Valent, e con lei alcune donne palestinesi, hanno pagato con le botte e con il fermo
di polizia la semplice comparsa
di una bandiera rossa, verde,
bianca e nera durante il primo
corteo unitario di donne palestinesi, israeliane ed europee. Perché tutto questo accade al termine di un 1989 che ha segnato
la fine di tanti incubi e il rinascere di tante speranze.
« Il crollo dei muri e l’autodeterminazione democratica nella riconciliazione con i popoli vicini — scrive Willy Brandt ai pacifisti riuniti a Gerusalemme —
non sono questioni che riguardano soltanto Berlino, la Germania e l’Europa, ma sono altrettanto valide per Gerusalemme,
Israele, la Palestina e il Medio
Oriente. La mia speranza è che
l'iniziativa "1990: tempo di pace"
rappresenti un contributo in questa direzione ».
E’ la speranza con la quale l’estate scorsa un pugno di pacifisti italiani dell’Associazione per
la pace, dell’ARCI e delle AGLI
ha proposto l’iniziativa all’ottava convenzione europea per il
disarmo nucleare (END) a Vitoria, in Spagna, ottenendo l’adesione formale di tutti i principali movimenti per la pace e l’impegno concreto di pochi, come i
coordinamenti mondiale (ICCP)
ed europeo delle organizzazioni
Dopo due anni di rivolta, è sempre più urgente la necessità di una
soluzione politica alla questione palestinese.
non governative sulla questione
palestinese e Pax Christi olandese.
E’ la speranza con cui pochi
volontari dell’associazione, facendo tesoro delle esperienze accumulate a Comiso e negli anni
successivi del movimento per la
pace in Italia, si sono sobbarcati l’intera organizzazione della
partecipazione internazionale e in
gran parte anche la responsabilità della costruzione del programma insieme con il movimento israeliano « Peace now » e con
il comitato palestinese appositamente creato dall’Intifada.
DONO E RICONOSCENZA
Il linguaggio
della vita
« Ed ora a voi che dite: Oggi o domani andremo neila tal città e vi staremo un anno, e trafficheremo e guadagneremo ; mentre non sapete
quel che avverrà domani! Che cos’è la vita vostra? Poiché siete un vapore che appare per un
po’ di tempo e poi svanisce. Invece di dire: Se
piace al Signore, saremo in vita e faremo questo
o quest’auro» (Giacomo 4: 13-15).
Chi di noi può vivere senza fare dei programmi, senza darsi delle scadenze, senza cercare in
qualche modo di organizzare il proprio tempo e
il proprio spazio? Chi di noi non sa che i propri
progetti possono non trovare alcuna realizzazione,
che i nostri piani possono essere del tutto sconvolti da un momento all’altro e che perfino la
vita può esserci tolta da un momento all'altro?
Viviamo nel provvisorio e nell'incerto, e tuttavia non possiamo fare a meno di programmare
la nostra vita.
Ma Giacomo non è contrario a chi organizza
le proprie cose perché le organizza; è contrario
allo spirito che ci sta dietro.
Il linguaggio di questi uomini d'affari è sintomatico: si tratta di persone abituate a comandare e disporre, che non riconoscono al dì sopra
di sé alcuna autorità; si muovono in uno spazio
che è loro e il guadagno è il fine di tutta la loro
attività. Ed è questo linguaggio che viene criticato, perché rivelatore di una aridità di rapporti umani che conduce alla morte. Il vapore che appare
e poi svanisce non è la creatura umana in generale, ma l'uomo che usa questo linguaggio sterile.
A questo linguaggio se ne contrappone un al
tro. Anche questo programma, fa dei piani, traccia un disegno per il futuro, ma premette urta condizione, la famosa conditio jacobea, « se piace al
Signore ». Che cos'è questa premessa? Una semplice percezione della provvisorietà della vita.? Non
è necessario essere credenti per saperlo: chiunque,
credente o no, bianco o nero, ricco o povero, sa
che la vita è qualcosa di provvisorio. Ma qui Giacomo dice qualcosa di diverso: la vita è un dono
di Dio e noi la possiamo vivere non nella dimensione dolorosa della provvisorietà, ma appunto nella consapevolezza che essa è un dono e dunque
in ultima analisi nella riconoscenza.
Anche lo spazio e il tempo che ci stanno davanti sono un dono e come tali vanno vissuti.
Ci troviamo sulla soglia di un nuovo anno; anzi, ci troviamo sulla soglia di un'epoca nuova. Tante cose, bloccate da decenni, si sono messe in
movimento; tutto lascia ben sperare per il futuro.
Forse non è il caso di lasciarsi andare alle illusioni, forse è più prudente essere realistici, con i
piedi sulla terra. D'altra parte perché limitare la
speranza, perché temere che i sogni non si realizzino?
La parola di Giacomo non è soltanto un'espressione pia, da spendere quando vogliamo apparire
umili, modesti; ma è la consapevolezza che la vita, e quindi il futuro e la nostra possibilità di
azione sono un dono. Vissuti in tale prospettiva
non come una cosa nostra, ma come qualcosa che
ci è dato, anziché terminare nel vuoto, conducono
alla vita.
Luciano Deodato
E’ la speranza sulla quale più
di 900 pacifisti italiani, un centinaio di francesi, altrettanti statunitensi, una ventina di olandesi e piccole delegazioni da una
dozzina di altri paesi, compresi
rURSS e l’Ungheria, 17 parlamentari europei e circa altrettanti parlamentari di varie nazioni
europee hanno giocato le vacanze di fine anno e in moltissimi
casi anche la tredicesima, più o
meno consapevoli che per qualcuno di loro il prezzo sarebbe
potuto essere anche molto più
alto, come è purtroppo accaduto
a Marisa Manno.
E’ anche la speranza con la
quale ci siamo mossi come delegazione evangelica italiana, i tre
«ufficiali » e i quattro che si sono aggiunti a noi.
EGEI, FDEI, EGEI, Consiglio
ecumenico giovanile in Europa,
Federazione mondiale cristiana
studenti regione europea. Conferenza delle chiese europee, e
« L’eco delle valli valdesi » e « La
luce » non hanno speso male le
loro adesioni. Ogni giudizio a caldo su « 1990: tempo di pace »
non può essere che altamente positivo, almeno per chi si riconosca nella piattaforma politica dell’iniziativa: « Due stati per due
popoli; negoziati di pace tra Stato d’Israele e OLE; rispetto dei
diritti umani e civili; fine dell’occupazione; conferenza internazionale di pace; diritto del popolo
palestinese all’autodeterminazione; pace e sicurezza per entrambi i popoli ». Anche secondo le
due testate in inglese di Gerusalemme, l’israeliano « Jerusalem Post » e il palestinese « AlFajr », la rinnovata tensione fra
Likud e laburisti all’interno del
governo israeliano è un sogno dell’impatto politico di « 1990: Time for Peace », in un momento
in cui la questione delle trattative con rOLP è ormai ampiamente dibattuta in Israele e il
movimento dei kibbntz legato al
socialista Mapam ha già raccolto l’adesione di un migliaio di
cittadini israeliani pronti a partire fra poche settimane alla volta del Cairo, dove forse saranno
accolti dallo stesso Arafat.
(continua a pag. 2)
Bruno Gabrielli
2
commenti e dibattiti
12 gennaio 1990
Ci sono giunte in questi giorni molte
lettere in relazione al '"culto di Natale"
teletrasmesso in TV. Ne pubblichiamo
qui quattro con qualche taglio redazionale. Ci scusiamo con molti altri lettori che, invece, ci hanno scritto sollevando altri problemi. 1 loro scritti non
sono dimenticati, ma semplicemente
rinviati ai prossimi numeri.
A COLLOQUIO CON I LETTORI
culto in televisione
IL PROBLEMA E’
LA COMUNICAZIONE
Il culto teletrasmesso della vigilia
di Natale ha dato luogo ad una serie
di interventi fortemente critici sul nostro giornale e di tono così polemico
che stupisce, o potrebbe stupire se
non si prendesse in considerazione
la portata del problema.
La questione, infatti, non mi sembra essere soltanto quella di una trasmissione, della sua opportunità o
meno, del modo più o meno confacente con cui è stata condotta, ma
della nostra immagine e, più profondamente ancora, della comunicazione
o meno del messaggio evangelico. E'
su questo livello che vorrei spostare
il dibattito. Prescindiamo subito dalle
questioni nostre, interne, e guardando
quella sera lo schermo con gli occhi di un italiano medio (e per me
è quello che riconosce come personaggi rappresentativi della nostra patria la coppia Sordi-Andreotti, come
si è visto in un recente show televisivo) , cosa si recepiva dal programma di « Protestantesimo »?
Dirò subito la mia impressione:
qualcosa di interessante, che fa riflettere, di nuovo ma di non comunicato; andava tutto bene, diceva molte cose ma non le comunicava. Dopo
eri come prima, passavi alla bottiglia ed allo spumante e dimenticavi.
Si dirà: colpa della TV, strumento
infame che distrugge le cose vere
ed appiattisce tutto sul banale, che
spettacolarizza ogni cosa, mentre l’evangelo non è spettacolo, ecc, ma in questo caso hanno ragione gli amici di
« Protestantesimo »: non resta che
chiudere la rubrica e fare altro, se la
si fa se ne corrono i rischi.
Si dirà: questioni tecniche: era studiata con cura non sufficiente, bisognava fare meglio; probabilmente molte cose si potevano fare meglio, con
più tempo e mezzi, migliorare sempre, certo, ma non è tutto qui. Quand'anche fosse stato tutto più curato
e studiato, fosse stato un culto in
diretta (prescindiamo un istante dal
fatto se sarebbe stato possibile tecnicamente o meno), se le parti canore fossero state più integrate nel
contesto del culto, se l'assemblea fosse stata « reale » e non « fittizia » (accettando come legittima questa distinzione che ha poco senso per degli
evangelici che si recano all'ascolto
della Parola con i loro fratelli) che
immagine si sarebbe data e cosa si
sarebbe comunicato di più e di meglio? Questa è la questione.
Me la sono posta durante tutta la
serata senza trovare risposta. Ho cercato di dare una risposta facendo,
come probabilmente molti altri fratelli,
il va' e vieni sulle tre reti televisive
ed accostando così il pontificale in
S. Pietro, il concerto di Pavarotti ed
il nostro culto. Gli accostamenti erano stupefacenti (quelli di « Blob » sul
Terzo, la sera alle 20, fanno sorridere al confronto) ; la processione papale entra in S. Pietro con la maestà
e la ritualità che conosciamo nel momento in cui al tavolo il pastore donna spezza il pane, la ripresa dei cardinali seduti si sovrappone a quella
dei fratelli che prendono il pane della Cena, il papa incensa l'altare e
Pavarotti canta ['Ave Maria nel momento in cui l'assemblea canta (a sua
lode con l’inno, ecc.
Da qui nasceva l'immagine nostra:
il pontificale affascina, senza dubbio,
e solo chi abbia letto ed assimilato
Isaia, Calvino, Voltaire e Barth resiste alla suggestione, aH’impatto di
quella perfetta costruzione formale; Pavarotti commuove, e non in senso banale, superficiale, da romanticheria
sentimentale, commuove nel senso di
toccare e far vibrare realtà profonde
dell’animo; rimpianto, sogno, dolore, il
sentimento, l'intimo, il profondo come
via di una presa di coscienza di sé
è tutt’altro che banale e superficiale.
Il nostro culto non affascinava né
commuoveva, nella migliore delle ipotesi stupiva. Cerano molti elementi
che potevano creare stupore (o per
10 meno interesse, se non vogliamo
usare un termine così impegnativo):
11 locale disadorno, i « paramenti » degli officianti (la toga), il fatto che vi
fosse una donna « sacerdote », la distribuzione della Cena, la predicazione
(un lungo, lunghissimo discorso sulla
responsabilità, la vita, con allusione alia fede ed alla teologia di non immediata percezione), il canto della assemblea eoe. Ma passato il primo stupore e l’interesse per la novità ti accomodavi in una tranquilla e distaccata spettatorietà (se così possiamo
dire), nella condizione cioè di uno che
• guarda ». Perché insomma non ti veniva voglia di andare da quella gente,
in quel posto, per vedere meglio, sapere di più, rispondendo in qualche
modo ad un appello come uno che
ha scoperto quello che cercava? Forse è accaduto a qualcuno, non dico
di no, ma non era immediato, pregnante: tutto vero, interessante, moderno,
ragionevole, nuovo, ma là davanti a
me e fuori di me.
Un amico con cui ho riflettuto a
lungo a questo culto attribuiva questa
distanza, questo distacco alla inautenticità di quel pomeriggio. Inautenticità non significa falsità, affatto, né
tocca la convinzione delle persone
singole e della loro partecipazione, ma
esprime il fatto che quella assemblea
era, lo si voglia o no, e senza che
suoni rimprovero per alcuno, una assemblea » costruita » o per lo meno
composita: in qualche misura la predicazione stessa ne è stata condizionata nel senso che si' rivolgeva ad una
assemblea generica, ipotetica, più che
a quei fratelli e sorelle lì presenti,
era, per fare un parallelo opinabile,
una predicazione « sinodale ».
Qra ciò che rende autentico il nostro culto, o ciò che lo fa essere
quello che è, non è forse proprio il
60.000 mani unite
(segue da pag. 1)
D'altra parte, l'Intifada — anche se ¡1 morale dei palestinesi
è altissimo — non potrà durare
aH’infìnito con il suo tremendo
costo di vite umane. Il tempo
stringe.
La delegazione evangelica italiana, dal canto suo, immediatamente prima della sua partenza
la vigilia di Natale, era stata incaricata dei rapporti con l’ecumene cristiana di Gerusalemme.
Se ne sarebbe dovuto occupare Jean-Marie Lambert, il pastore riformato francese, coordinatore, dagli uffici del Consiglio ecumenico a Ginevra dell’ICCP: il
governo israeliano eli ha vietato
l’ingresso nel paese per « motivi
di sicurezza ». Grazie anche alla
benedizione impartitaci da Desmond Tutu al culto di Natale
in chiesa anglicana, l’aspettativa
dei cristiani di Gerusalemme nei
confronti di « Time for Peace »
era tuttavia talmente alta che
nel giro di pochi giorni abbiamo ottenuto non soltanto ampia
udienza presso i patriarchi e gli
arcivescovi cattolici, ortodossi e
anglicani della città, ma anche
la piena adesione loro e di quasi tutte le altre confessioni cristiane alla catena umana e alla
veglia ecumenica per la pace, celebrata la sera dello stesso giorno presso l’abbazia benedettina
della Dormizione, dove in una
chiesa gremita i rappresentanti
delle varie tradizioni teologiche,
etniche e linguistiche si sono avvicendati, unendo alla solennità
del rito orientale la semplicità
potente dell’Evangelo della liberazione.
Che il Signore della promessa
dia a noi tutti, israeliani, palestinesi e cittadini del resto del
mondo, l’intelligenza e la forza
per stabilire al più presto una
pace giusta nella terra dove ha
scelto di dimorare da uomo.
Bruno Gabrielli
fatto che la Parola è rivolta a chi sta
lì seduto in una contestualità di ricerca e di dialogo, teso alla scoperta
ed aH’ascolto della verità evangelica?
Non è la comunità che fa la Parola,
certo, ma come non abbiamo mai celebrato la S. Cena da soli (mentre lo
fu la messa per secoli) non si può
predicare la Parola senza la volontà
esplicita di « comunicare », più che « dire », le realtà di Cristo.
Il pontificale non aveva bisogno di
questo, e neppure della parola, le
omelie papali sono nel genere un unicum, un dire le cose che tutti sanno
e dirle al mondo intero quasi fosse
quella poltrona il centro dell'universo;
il pontificale è la gestione del sacro
nella sua forma più perfetta ed elaborata, o forse meglio è la gestione
del mistero nelle forme della ritualità
sacrale e come tale basta a se stesso.
Come mai però l'emozione deH’arte
(Pavarotti) e il fascino del religioso
(la messa di mezzanotte) parlano e
la sobria, essenziale rievocazione dell’Evangelo non si comunica, o molto
meno? Come detto sopra non ho trovato risposta: c’è chi la risposta l’ha
già trovata: la vostra fede è incomunicabile perché la forma evangelica
del cristianesimo è finita con il secolo XX, la cristianità è cattolico-romana o non è; il mondo ha bisogno di
immagini e di simboli, non di meditazione; di carità, non di parole, ecc.
Mi sono chiesto però se questa
mancata o scarsa comunicazione (che
mette a nudo il problema della evangelizzazione) non derivi dal fatto che
accettiamo la nostra condizione di minoranza integrabile senza batterci con
la consapevolezza di dover conquistare
spazi nuovi all’evangelo nel mondo religioso ed irreligioso che ci circonda.
Forse non si tratta tanto di dire: Vieni a stare con noi » quanto « Vieni
a battagliare con noi ».
Quel culto mi sembra dunque, al
di là delle piccole questioni contingenti, un esempio fondamentale della
nostra presenza in Italia con tutti ì
suoi rischi, i suoi equivoci ed i suoi
interrogativi su cui vale la pena riflettere; rivederlo in cassetta e discuterlo mi sembra esercizio fondamentale per trovare risposta ai nostri interrogativi e non fosse che per questo tentativo arrischiato dobbiamo essere grati all’équipe di « Protestantesimo ».
Giorgio Tourn, Torre Pellice
UN’OCCASIONE
DI TESTIMONIANZA
Caro Direttore,
da un lato ci troviamo d’accordo
nel criticare alcuni aspetti dell'operazione che ci sono sembrati negativi,
dall’altro però pensiamo che l'iniziativa di un culto teletrasmesso contenga
anche elementi positivi.
Iniziamo con il far rilevare quegli
aspetti che ci trovano fondamentalmente concordi con Giorgio Peyrot, per
poi passare alle considerazioni successive.
Ci siamo chiesti innanzitutto per quali ragioni il culto sia stato presieduto
dal moderatore. La chiesa di Torino
non ha forse dei pastori? Noi pensiamo che la presenza del moderatore,
mentre quasi contemporaneamente andava in onda il papa su Raiuno, non
possa che aver indotto e rafforzato
un'interpretazione distorta in chi ci
guarda dal di fuori. E’ normale che per
la maggioranza degli italiani, abituati
ad una' concezione ecclesiastica di tipo cattolico gerarchico, il moderatore
altri non possa essere che il ■ papa
dei valdesi », titolo peraltro attribuitogli in più occasioni dai media, spesso
disinformati e superficiali nell affrontare la presenza di una minoranza religiosa, quale la nostra.
Allo stesso modo ci è parso inopportuno l’invito rivolto ad un vescovo
0 ad un rappresentante della chiesa
cattolica. Riteniamo che il formulare
inviti ufficiali ad esponenti della gerarchia cattolica sia in un certo senso un riconoscimento dato alla loro
autorità. Un’autorità che come protestanti respingiamo. Inoltre tale prassi
non si addice alla nostra chiesa, non
ci appartiene, ma è invece intimamente legata ad un’altra chiesa, quella cattolica appunto, presente nella duplice
veste di chiesa e di stato, con tanto
di rappresentanze diplomatiche. Lascia
mo dunque gli inviti ufficiali alle altrui
diplomazie (...).
Pensiamo allora che ad invitare
noi e gli altri debba essere l’unico e
solo Signore, Gesù Cristo, in quest’ottica, in veste di semplici credenti come chiunque altro, potranno sedere accanto a noi tanto vescovi quanto papi,
che riconosciamo come fratelli in Cristo (...).
Noi non crediamo che il « culto di
mezzanotte », così com'è stato ribattezzato, costituisca un così grave attentato alla nostra identità.
Se è vero che il culto di mezzanotte non appartiene alla nostra tradizione, è però anche vero che, almeno
alle Valli, ha luogo il culto alle nove
di sera, la vigilia di Natale, e che
comunque il culto di mezzanotte non
è del tutto sconosciuto all'interno del
mondo protestante, come ad esempio
avviene nelle chiese luterane tedesche.
Ora, ci pare che il discutere ed il
polemizzare su questioni che ci sembrano più attinenti a studi sul fuso
orario che alla fede sia il sintomo di
un certo orgoglio spirituale da cui
non è esente una parte consistente
di valdesi e che spinge ad aver paura delle novità ed a conseguenti atteggiamenti di isolamento ohe rendono difficile l'accesso di ehi proviene
dall'esterno. Per fortuna sappiamo riconoscerlo, almeno una volta all'anno durante il Sinodo...
Se però sappiamo superare questo
orgoglio che alle volte ci rende un
po’ miopi, allora riusciamo forse a vedere del buono anche laddove, a prima vista, ci sembra che non ve ne
sia.
Possiamo capire le esigenze tecniche di effettuare le riprese televisive
con alcuni giorni di anticipo e ritenere
che la sincerità e la veridicità del culto non sta nell'ora e nel giorno in
cui esso ha luogo, ma nella predisposizione di ciascuno a ricevere ed a
mettere in pratica la Parola di Dio.
Quanti culti « veri » rimangono per noi
una finzione se da essi non sappiamo
trarre alcun vantaggio per la nostra
vita di credenti?
Pertanto pensiamo che anche il
« culto fiction » possa essere stato
partecipato con sincerità sia da coloro ohe erano presenti che dai telespettatori.
Per concludere è indubbio che le
chiese evangeliche italiane stiano vivendo anni particolari della loro presenza in questo paese. Come giustamente ha scritto Giorgio Bouchard nel
libro ■■ I valdesi e l’Italia », « nell'ultimo decennio valdesi e metodisti sono
passati bruscamente da minoranza emarginata o ignorata a componente sociale ascoltata, riconosciuta e talvolta
corteggiata ». Se questo è potuto accadere (si potrà condividere oppure
dissentire), è certo perché si è fatto
largo uso di quegli strumenti oggi così importanti quali i mezzi di informazione. Non del tutto, è vero, è stato compreso che un pastore si distingue da un parroco e che un esecutivo come la Tavola sia la massima
autorità della nostra chiesa; permane,
insomma, un retroterra della cultura
dominante ed egemone. Ma malgrado
queste incomprensioni, che con gli anni
ci si augura possano cessare per fare
spazio ad un pluralismo religioso teso e presente nelle trasformazioni della società e disposto alla rinuncia a
quelle forme di » religiosità » che non
sempre coincidono con la fede in Cristo, occorre dare fin da ora la nostra
disponibilità nella costruzione di un
domani privo dell’eredità della controriforma, con i suoi santi e le sue
processioni.
Ed in questo senso riteniamo che
un culto teletrasmesso può essere
un’occasione di testimonianza diversa
e alternativa al pontificale di Giovanni
Paolo II. trasmesso da Raiuno.
Sergio Franzese, Domenico Abate,
italo Pons, Attilio Sibille, Roberto
Charbonnier, Giorgio BoagliO', Torre
Pellice
IL TEATRONE
Giorgio Peyrot ha certamente avuto
torto a scrivere sul culto televisivo
di Natale prima di averne visto lo
svolgimento, anche se, ormai, certe
cose sono assai facili da prevedere,
mentre le sue riserve erano, d’altra
parte, appuntate anche ad alcune co
se che già si sapevano, non solo a
cose che si prevedevano.
Ora è possibile discutere la cosa
a posteriori e credo che proprio per
questo il suo giudizio duro vada appoggiato.
Quel culto è stata una messa in
scena non perché è stato un teatrino,
ma perché è stato un teatrone; non
perché ha richiesto uno spostamento
di orario rispetto agli orari consueti, non perché è stato teletrasmesso
in differita, ma perché ha dato intenzionalmente un'immagine falsa di quello che siamo.
1) Innanzitutto si è voluto dare una
immagine falsa da un punto di vista
statisticio. Per riempire il tempio di
corso Vittorio si è fatto appello a
tutte le chiese evangeliche e a tutta
la geografia del Piemonte. In questo
modo abbiamo voluto ingannare i telespettatori, facendo credere che siamo
molto più numerosi e molto più ■< praticanti » di quello che siamo.
2) In secondo luogo abbiamo dato
un'immagine falsa da un punto di vista teollagico e questo è molto più
grave. Il telespettatore medio che ha
visto tutti quei pastori in toga non
può non averne ricavato l'impressione
di una passerella dei preti protestanti in funzione gregaria nei confronti
del Moderatore. La toga — ammesso
che la si voglia mantenere, cosa che
il Sinodo del 1972 considerava per lo
meno discutibile (cfr. SI 1972, atto
59) — è nella tradizione riformata il
segno della predicazione. Di questo si
è tenuto conto nel culto teletrasmesso del 3 settembre a Torre Pellice, che
è stato di gran lunga più condivisibile
nella forma.
In sostanza abbiamo voluto ingannare gli altri e noi stessi, con tanto
di reprimenda ai pastori delle chiese
che hanno dimostrato poco entusiasmo
per l'iniziativa. Mi domando se una
reprimenda altrettanto dura sia inflitta
a chi non si adegua alle decisioni
sinodali.
Grazie a Dio, le chiese evangeliche
sono normalmente più beile dell’immagine che hanno dato di se stesse
nel corso di quest’anno.
Cordialmente.
Claudio Tron, Perrero
INCONGRUENZE
...CULTUALI
Bravo, bravissimo Giorgio Peyrot,
che nel n. 50 del 22.12.'89 di questo
settimanale ha messo il dito sulla piaga di un certo conformismo, che proprio a molti di noi evangelici — vaidesi 0 no — non piace affatto!
Ma, a pensarci un po’ di più, nei
due culti teletrasmessi del 3.9 e 24.12.
'89 si possono rilevare certe cose
che danno da pensare:
1) i pastori officianti (eccettuato
l’ospitante Tourn a Torre Pellice) vestono la toga;
2) sono ricomparsi i lettori della
Sacra Scrittura;
3) i due templi erano strapieni.
Ora, una delle due: o si ritorna al
passato, oppure bisognerà pur chiarire, almeno a livello ecclesiologico
se non teologico, perché in questi
ultimi tempi si è lasciata libera scelta sia nell’uso o no della toga, sia
nella pratica della lettura biblica fatta da un membro della comunità prima del sermone (come avviene solitamente a Colleferro). Tutti sanno che,
anticamente, nelle comunità delle valli valdesi, c’era il « lettore », e questa funzione era adempita normalmente dal maestro della scuola locale.
Ma, guarda un po’ come vanno a finire certe faccende nostre, ho sentito con le mie proprie orecchie qualche cattolico apostolico romano esclamare: To’, i valdesi ci stanno imitando! Infine, auguriamoci che le nostre
chiese si riempiano sempre più almeno nell’ora del culto domenicale! Oppure è destino che ciò avvenga solo
in occasioni speciali, cioè quando interviene la televisione oppure nei funerali?
Giovanni Gönnet, Roma
l’eco
delle valli valdesi
Via Pio V n. 15 - 10125 Torino
tei. 011/655278.
■Registrazione n. 175 Tribunale di
Pinerolo. Resp. F. Glampiccoli.
Tariffe abbonamenti a pag. 8.
Stampa: Coop. Subalpina Torre Pel-
3
12 gennaio 1990
commenti e dibattiti
APRIAMO UN DIBATTITO TRA I LETTORI
Crisi del comunismo e coscienza cristiana
Per più di una generazione di credenti evangelici l’impegno cristiano per la giustizia e la solidarietà si è tradotto
in una militanza nell’« area comunista » - Oggi è in crisi il comunismo o il « socialismo reale »? - Due contributi
Non posso
applaudire
Vorrei offrire uno stimolo alla
discussione tra fratelli, delle Più
diverse convinzioni politiche contingenti, tralasciando ogni forma
di polemica, su un tema che ci
coinvolge tutti: « il comunismo ».
Non voglio qui riflettere né
su muri che crollano né su socialismi reali che diventano tigri
di carta bagnata, né voglio rammaricarmi per la fine del più
grande partito progressista italiano che ha deciso di « uccidere
il padre » cambiando cognome.
Il pensiero va ad una parola significante: « comunismo ». Comunismo come utopia, ovvero: possibilità di praticare una politica
liberatrice che va ben al di là del
breve e del medio termine.
« Utopia » infatti non significa:
impossibilità, irrealizzabilità, chimera, ma anzi « realtà » che non
ha luogo per esprimersi. E « comunismo » è questo: crescere
nella storia per cambiarla (« Finora i filosofi hanno interpretato
la realtà, ora scopo della filosofia
è cambiarla », Karl Marx, Manoscritti economico-fìlosofici), fare
politica per cercare di raggiungere il sogno, con un'approssimazione aH’infinito.
Chiunque di noi può dirsi « repubblicano, craxiano, partigiano,
monarchico, ecc. »; in politica, la
tessera di un partito corrisponde
ad una totale adesione.
Dirsi comunisti invece significa accettare realisticamente di
sperare in un’utopia. Dirsi comunisti significa un agire politico
che rompe con la contingenza e
accetta la propria inadeguatezza
rispetto all’obiettivo: un obiettivo molto semplice, l’.abbattimento, anche forzato, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
In quanto evangelico non credo che 1’« utopia » della libertà e
della giustizia sociale esaurisca
l’uomo: per questo mi confesso
cristiano e di nuovo mi trovo a
confessare una scelta (Cristo) a
cui mai sarò adeguato e che nessuna scelta mia mi potrà dare e
nessun uomo mi potrà togliere.
Oggi, dopo che la cronaca ci
mostra la crisi del « socialismo
reale » (e non del comunismo) mi
trovo a dover compiere due scelte chiare: come comunista e come cristiano. Due scelte di campo che vivono su due piani paralleli ma non contraddittori e non
interferenti fra loro.
Come comunista, non posso
che applaudire alla trasiparenza
politica ( « solo la libertà è rivoluzionaria », Lenin), non posso
che pensare e sperare che la fine
della logica dei blocchi favorirà
il « comunismo ».
Ma, proprio come comunista,
non posso applaudire una trasformazione selvaggia che è solo
apparentemente democratica e
progressiva, ma che in realtà sog
SlAHO-^TinOHí
PI AW^KIMPHTI
PI FoRrrmA
STORICA
TRAHQPIOO/
CHE H^5UKi0
ri CH1AHBRA"H/U
La crisi dell’Est europeo
giace alle peggiori logiche di potere: la chiesa cattolica polacca
di Glemp, il fascismo ungherese,
i miti occidentalisti del consumismo e della droga.
Non posso applaudire facendo
parte della stessa claque dei massacratori del Salvador, dei Contras, del sistema di sfruttamento
del Terzo e Quarto Mondo, degli
assertori di un mito democratico che per i tre quarti dell’umanità si traduce o in violenza diretta o in fame indotta.
Come comunista apprezzo il discorso in Campidoglio di Gorbaciov che, citando Lenin, ha sostenuto la capacità progressiva del
socialismo di trasformarsi, e distruggere le sue stesse cristallizzazioni. Ma non accetto che
1’« utopia » venga barattata con
un governo di coalizione, con ima
lattina di coca-cola, con una dose
di eroina... e fin qui come comunista.
Come riformato mi chiedo:
cosa hanno trovato i tre milioni
di curiosi che hanno affollato
Berlino ovest? Non certo i valori
della Repubblica di Ginevra né le
istanze libertarie di Thomas
Miintzer; hanno forse trovato il fascino del « mondo », il fascino del
giocattolo proibito. Ma noi evangelici in occidente sappiamo che
è un giocattolo rotto.
Come cristiano evangelico, rifacendomi alTo.d.g. del Sinodo ’89
sui rapporti fra Primo e Terzo
Mondo, voglio invitare me stesso
e i fratelli ad una semplice riflessione: se tra est e ovest crollano
i muri, tra nord e sud, tra paesi
ricchi e poveri, tra potere e emarginazione, tra opulenza e fame i
muri si innalzano (chi ha fame
ha ancora voglia di utopia, di comunismo). Due nuovi grandi blocchi si solidificano: il blocco della ricchezza che produce ricchezza e il blocco della miseria che
produce ricchezza per gli altri.
Come evangelico credo che solo
questo conti e che la sola buona
volontà non basti. Occorre forse
ricordare oggi quelle analisi sul
capitale monopolistico e sottosviluppo che mai sono state così attuali e altrettanto rimosse.
Come evangelico credo indispensabile ed urgente una riflessione e un dibattito su questo
giornale tra tutti i fratelli di tutte le tendenze politiche nel noto
tema: « Pace, giustizia e integrità del creato » in termini non solo astratti ma storici, tali da coinvolgere il socialismo reale, il
complesso di colpa post-stalinista, il comunismo come utopia,
ecc., tenendo presente che oggi
confessarsi cristiani e dirsi comunisti non è certamente un binomio necessario, ma sicuramente praticabile all’interno della
fede e della comunità evangelica.
Paolo Cerrato
Ne parlano la stampa, la radio,
la televisione. Ogni giorno ci troviamo dinanzi a nuovi episodi del
franare di un mondo che era considerato stabile e verso il quale
per lunghi anni erano andate speranze di tanti uomini e donne anche nella nostra Italia.
Le vicende del mondo ex comunista mi hanno portato a rileggere pagine di un libretto che avevo
acquistato a Roma già nel 1947 e
che portavo con me nei dibattiti
politici: Lenin, U estremismo,
malattia infantile del comunismo (Società Editrice « L’Unità », Roma, 1944). Fu scritto da
Lenin il 27 aprile 1920 e indirizzato ai partiti comunisti dell’Europa occidentale per indicare ad
essi la giusta strategia della rivoluzione. Ci permettiamo di citare una pagina che riteniamo di
particolare importanza. Il tema
è: « Una delle condizioni principali del successo dei bolscevichi ». Parla Lenin:
« E anzitutto sorge la domanda: in che modo si mantiene la
disciplina nel partito rivoluzionario del proletariato? In che modo
viene controllata? In che modo
viene rafforzata? In primo luogo,
mediante la coscienza dell’avanguardia proletaria e la sua devozione alla rivoluzione, la sua fermezza, il suo spirito di sacrificio,
il suo eroismo. In secondo luogo,
mediante la capacità di questa
avanguardia di collegarsi, accostarsi, di fondersi, se volete, fino
a un certo punto, con le grandi
masse dei lavoratori, in prima
linea con le masse proletarie, ma
anche con le masse dei lavoratori
non-proletari. In terzo luogo, mediante la giusta direzione politica, che viene realizzata da questa avanguardia, mediante la sua
giusta strategia politica e la giusta tattica, a condizione che le
grandi masse si siano convinte
per propria esperienza che Tuna
e l’altra sono giuste. Senza queste condizioni, la disciplina in un
partito rivoluzionario, che sia effettivamente capace di essere il
partito della classe avanzata che
deve abbattere la borghesia e
trasformare l’intera società, è irrealizzabile » (op. cit., p. 7).
Il vento di libertà che ha attraversato i paesi dell’Est ha inaugurato
nuove progettualità e nuovi scenari politici.
Il fallimento del comunismo si
è verificato proprio perché le condizioni presupposte da Lenin non
si sono verificate, né si potevano
verificare. Lenin sognava « uomini nuovi » per realizzare un
« mondo nuovo » e non si è reso
conto che l’uomo è sempre lo
stesso, col suo egoismo, con la
sua pretesa di cambiare gli altri
rimanendo egli sempre con i suoi
difetti, con le sue storture consce ed inconsce, con lo sfrenato
amore del potere e con le ambiguità dei suoi idealismi e integrismi. C’è stato Stalin, ma è assurdo attribuire alla perversione di
un uomo le infamie di un sistema: Stalin ha agito perché ha
trovato non un’avanguardia di
eroi purissimi, ma una massa di
gente che ha cercato il proprio
tornaconto, la realizzazione delle
proprie ideologie sulla pelle delle
masse. E’ stata l’aberrazione di
ogni integrismo, di ogni pretesa
di realizzare nella storia il mito
dell’età dell’oro, dell’innocenza
primordiale. Non è il primo mito che crolla, lasciando dietro di
sé sterminio e miseria « in nome
dell’uomo nuovo », volendo realizzare un « mondo nuovo ». E’
INCONTRI DI AGAPE
Le nuove tendenze
all'Est europeo
Il programma degli incontri di fine settimana di Agape
prosegue nel week-end del 27 e 28 gennaio con l’esame del
tema: Rassegna sui paesi deU’Est europeo.
Questo il programma:
sabato 27 gennaio:
ore 11: «I cambiamenti e le rivoluzioni dell’Est europeo »
(introduzione generale all’incontro);
ore 15: « Esame dei casi di Polonia, Ungheria, Germania
democratica, Cecoslovacchia, Romania »;
ore 21: «Il ruolo delTUnione sovietica».
Domenica 28 gennaio:
ore 9,30: « Il prezzo della libertà. Liberalizzazione economica
o nuova dipendenza? »;
ore 15: « Dove va l’Est europeo? Mercato capitalistico o socialismo democratico? ».
Per informazioni ed iscrizioni rivolgersi a Segreteria di
Agape, tei. 0121/807514.
Costo dell’intero incontro lire 45.000.
stato così per la fase più radicale
della Rivoluzione francese, ma è
stato così anche per la civiltà cristiana che nel nome di Cristo ha
seminato distruzioni e crudeltà
senza fine. Anche per essa, una
avanguardia di « santi » avrebbe
dovuto stabilire il Regno di Dio
in terra, portando a Cristo .— per
amore o per forza ■— l’umanità.
Queste riflessioni ci dovrebbero
aiutare a farci un giudizio sereno degli avvenimenti ai quali
assistiamo: non si tratta del
trionfo del « capitalismo » o della
reale capacità « mediatrice » delle
istituzioni ecclesiastiche, ma della realtà dell’uomo e della esatta
interpretazione delTEvangelo che
ha in sé la prospettiva del Regno
di Dio, ma non lo confonde mai
con la storia, che indica la possibilità dell’« uomo nuovo », ma
attraverso una costante conversione, alla quale ciascuno è chiamato tutti i giorni della sua vita.
Non esiste un momento in cui
uno sia diventato un « uomo nuovo »; non esiste una conversione
di un momento, da stabilire in
una data. Illudersi di questo significa confondere TEvangelo con
la ristrettezza della propria mente. Perciò guardiamo al dramma
dei comunisti senza ergerci a
giudici, senza considerarci dei
« puri » che condannano dei reprobi e viviamo nel quadro della
nostra società non come nei confini del mondo migliore, ma nella
esperienza della nostra umanità,
nel mezzo della quale siamo chiamati ad essere testimoni delTEvangelo, entro la quale dobbiamo
vivere la tensione fra il vecchio
e il nuovo di cui parla l’apostolo
Paolo. Annunciamo la conversione sapendo che noi stessi dobbiamo ogni giorno convertirci. Molti
si chiedono perché Dio permetta
il male; for.se il fallimento del comunismo ci fa capire meglio
l’economia del Signore che non
usa campi di sterminio, inquisizioni, torture, dittature opprimenti, ma che ci ha insegnato la
via della libertà mediante la croce di Cristo. E’ certamente un
cammino molto lungo, aspro e
difficile, ma è quello attraverso
il quale si è manifestata la potenza liberatrice di Dio. Ad una
umanità che rifiuta l’imposizione
di una pretesa giustizia umana,
TEvangelo indica la via di una vera giustizia e libertà, non con
l’impegno di un sol giorno, ma
con Timpegno di tutta la vita, con
pazienza, costanza, speranza.
Alfredo Sonelli
4
fede e cultura
12 gennaio 1990
IN LIBRERIA
Educazione protestante
Un’accurata ricerca sulle iniziative pedagogiche nel secolo scorso
- Osservazioni didattiche valide ancora oggi - Le scuole nelle valli
30 ANNI FA MORIVA ALBERT CAMUS
Cercò un senso
oltre l’assurdo
Il 1989 sarà probabilmente ricordato dagli storici futuri della Chiesa valdese come un anno
di curioso ritorno alla storiografia agiografica da parte degli
storici di oggi, suircnda delle
celebrazioni del « Glorioso Rimpatrio ». A questo ritorno ci sono, tuttavia, alcune pregevoli eccezioni nel nostro piccolo mondo evangelico come il libro del
prof. Gastaldi sui movimenti dì
risveglio e come quello di Andrea Mannucci su « Educazione
e scuola protestante » ‘.
Quest’ultimo testo si presenta
come una ricerca accuratissima
svolta su una documentazione
molto ampia — sia pure quasi
completamente di origine evangelica — sulle iniziative educative del secolo scorso, fino all’età giolittiana. Una seconda parte del volume presenta in dettaglio le scuole evangeliche in Toscana; Rio Marina, Livorno, Pisa e Lucca, Orbetello, Siena, Carrara e Firenze.
Forse l’interesse maggiore è,
tuttavia, rappresentato dalla prima parte — più o meno metà
del volume — in cui sono esposti i principi generali a cui si è
ispirata l’opera educativa evangelica del secolo scorso in ordine alle finalità e scopi delle
scuole evangeliche, alla struttura e organizzazione, alle figure
dei maestri e alla didattica. La
ricerca è svolta soprattutto sulle iniziative valdesi, ma non mancano le informazioni su quelle
delle « Chiese evangeliche libere »
e su quelle delle Chiese battiste.
Le finalità delle scuole sono
viste soprattutto nella direzione
della lotta contro l’oscurantismo
cattolico, in quel periodo piuttosto ostile a tutte le iniziative
culturali, e in quella dell’evangelizzazione. L’impostazione è
quindi chiaramente confessionale, ma questo non teglie alunni
alle nostre scuole, che sono in
molti casi preferite a quelle cattoliche e a quelle comunali per
la serietà del lavoro che vi si
svolge.
Sempre intralciate da problemi finanziari — naturalmente —
le scuole evangeliche non trascurano, per questo, la preparazione e l’aggiornamento dei
maestri. Dal 1874 viene lanciata
l’iniziativa di « Conferenze pedagogiche » da tenersi il mese di
agosto a Torre Pellice per i
maestri « brevettati o no » al servizio della Chiesa valdese sia
nelle valli sia nella missione. Solo nel 1881 analoga iniziativa di
aggiornamento sarà assunta dal
ministro Baccelli.
Talune osservazioni didattiche
possono essere considerate valide anche oggi, dopo gli studi
piagettiani sullo sviluppo dell’intelligenza. Per esempio nel 1876
un articolista de « L’educatore
evangelico » dà le seguenti indicazioni:
■ E' cosa riconosciuta dai
pedagogisti che il bambino ha
un bisogno urgente di toccare
e di vedere gli oggetti e grazie a quel bisogno egli acquista delle nozioni sopra una
quantità di cose. Ma il fanciullo ha bisogno di essere diretto
nelle sue operazioni e d'imparare a nominare ciò che colpisce i suoi sensi ».
Come dire: la fase delle operazioni concrete del Piaget.
Per altre osservazioni, invece,
siamo a livelli non ancora realizzati neanche oggi. Si vedano,
per esempio, queste osservazioni
sulla pratica degli esami:
• Tutte le scuole evangeliche
della Chiesa valdese si chiudono alla fine di giugno, per
riaprirsi poi il 1° settembre. In
tutte ha luogo prima della chiusura la prova annuale ed in
quasi tutte, questa prova segna il grado di profitto deiTalunrro durante l’anno scola
stico. Si tiene, salvo alcune
eccezioni, poco o punto conto
deH'applicazione del discente
durante l'intero anno. Errore gravissimo secondo noi, che trae
dietro a sé le più fatali conseguenze. Abbiamo conosciuto
dei giovani sveglissimi d’ingegno, fare brillanti esami quantunque essi abbiano fatto disperare tutto l'anno i loro maestri. Per contro vi sono giovani
che hanno avuto una condotta
eccellente, che hanno fatto
grandissimi sforzi per tenersi all'altezza dei loro compagni, giovani in cui la perseveranza supplisce largamente al difetto di
ingegno, i quali fanno meschinissimi esami... Del resto è
impossibile che alcuni esaminatori possano in alcune ore
apprezzare il merito di uno scolaro. Non condanniamo certamente gli esami, ma vorremmo
che l'apprezzamento su di essi
avesse per base il lavoro dell’intero anno scolastico ».
Sono osservazioni che molte
Commissioni degli esami di maturità ignorano ancora oggi.
Un libro da leggere, dunque,
non solo per conoscere meglio
un aspetto della nostra storia
passata, ma anche per gli stimoli
che può dare al mondo degli educatori e degli insegnanti.
E anche un libro da imitare.
Stranamente non esiste ancora
una ricerca analoga globale sulle scuole Beckwith delle valli.
Sappiamo che qualcosa è in preparazione e speriamo che veda
presto la luce. Ci sembra utile,
tuttavia, approfittare di questa
recensione per dare alcune informazioni che abbiamo raccolto
nel corso di una ricerca di argomento più generale.
Nel 1858 — anno in cui la Tavola inizia a presentare il suo
rapporto a stampa al Sinodo —
abbiamo alle valli 140 scuole,
con 4.700 alunni. Ma la Tavola
stessa si lamenta perché mancano maestri sufficientemente preparati. Fin dal 1854 funzionava
una « scuola di metodo » per l’aggiornamento dei maestri, ma
forse in qualche caso era necessaria quasi un’opera di alfabetizzazione. Dopo il 1859 questa
« scuola di metodo » sarà oggetto di cure crescenti e funzionerà più tardi nelle due valli: a
Torre Pellice e a Pomaretto. Ogni anno un centinaio di maestri
frequenteranno questi corsi nei
periodi di chiusura delle scuole.
Gli « aggiornatori » erano spesso
i pastori che cercavano soprattutto di perfezionare la cultura
generale dei maestri, più che di
trasmettere una cultura pedagogica.
Anche alle valli l’insegnamento
nelle scuole di quartiere era soprattutto centrato sulla Bibbia,
che era il libro di lettura più
importante. I risultati dell’insegnamento lasciavano talvolta a
desiderare se nel 1872 il pastore
di Prarostino si lamenta in questo modo dei suoi catecumeni:
« Quello che manca loro in generale è la scienza, l’educazione
e la serietà. Parecchi non sanno
né leggere né scrivere. Nel 1877,
dalla disperazione, il pastore della stessa chiesa farà dei corsi di
catechismo in dialetto per coinvolgere i più ignoranti. In generale, comunque, tutte le chiese
si lamentano dei loro catecumeni — alcune soprattutto dei maschi — fino alla fine del secolo.
In questo periodo le scuole domenicali si sono diffuse in tutte
le parrocchie e sembrano dare
buoni risultati.
Un argomento interessante è
il rapporto fra scuole pubbliche
e scuole domenicali. Durante tutto il secolo scorso la frequenza
alle scuole domenicali non è di
massa, dato il carattere biblico
anche della scuola pubblica. Ci
sono addirittura alcuni pastori
ostili al Risveglio, che vedono
con occhio poco favorevole questa attività.
Diamo nella tabella seguente
il totale degli alunni, calcolato
sulla media annuale di ogni decennio, rispettivamente della
scuola pubblica e della scuola
domenicale:
Scuola pubblica
1870
4.727
1870
2.859
1880
4.845
1890
4.759
1900
4.325
Scuola domenicale
1880
3.354
1890
3.654
1900
3.512
1910
3.750
1910
3.136
Come si vede la forbice tra
alunni della scuola pubblica e
alunni della scuola domenicale
si accorcia progressivamente.
Nel 1922 la Conferenza distrettuale sancirà l’obbligo della
scuola domenicale per tutti i
bambini valdesi per la loro successiva ammissione al catechismo. Questa decisione era stata assunta in precedenza da alcune chiese locali.
In ogni caso le chiese si preoccuperanno ancora fino agli anni
’50 e ’60 dell’insegnamento biblico e del francese — in qualche situazione pure del canto
— anche nella scuola pubblica
passata allo stato dopo il 1912.
Il numero massimo di alunni
nelle scuole gestite dalla Tavola
(Valli - Torino - America del
Sud) è quello del 1888: 5.052,
in 202 scuole.
Qaudio Tron
‘ A. MANNUCCI, Educazioiie e Scuola protestante, Luciano Manzuoli Editore, Firenze, 1989, pp. XVU-237, L.
28.500.
« La prima volta che questo flagello compare nella storia e per
colpire i nemici di Dio ». Così
padre Paneloux, uno dei protagonisti, si esprime nella sua predica
rivolta ai fedeli di Orano, Algeria,
dove nel romanzo omonimo di
Camus (’47) è scoppiata la peste.
L’autore del libro, scrittore angosciato daH’inutilità dell’essere,
accostato all’esistenzialismo da
cui tuttavia prese le distanze più
volte (sia dalla versione atea di
Sartre, sia da quella di Jaspers
o dalle ascendenze di Kierkegaard), moriva trent’anni fa per
un incidente d’auto.
Diverse generazioni, chi per effettiva adesione, chi per moda,
chi criticamente hanno contribuito alla diffusione delle sue opere.
Lo straniero (1942) è stato letto
nelle scuole, tradotto in due (discutibili) film senza trovare il tono giusto per rendere l’angoscia
che pervade le pagine di Camus.
Era l’angoscia di non sapere quale sia il proprio posto nel mondo,
di reagire corr indifferenza a una
vita che non coinvolge, nemmeno quando l’impiegato Meursault,
antieroe, si trova di fronte alla
perdita della madre, all’uccisione
che compie, senza rendersene conto, di un altro uomo, alla corte
che lo condannerà a morte.
Ancora più significative sul piano artistico sono forse le opere
teatrali Caligola (193844) e II malinteso (1942-44), quasi una parafrasi della parabola del figliol
prodigo: l’atmosfera tesa, la suspense rendono meno accademiche le riflessioni sulla vita e sulla
morte, sulla mancanza di prospettive. Il tema dell’esilio, dai
forti richiami biblici, non è appesantito dall’ideologia, ma nel
meccanismo teatrale esprime
tutte le sue ambiguità e i suoi risvolti inquietanti.
Camus, scrittore-filosofo, si era
formato elaborando una tesi universitaria sul neoplatonismo di
Plotino e su Sant’Agostino, arrivando ad affermazioni che ci coinvolgono come protestanti: « Se è
vero che l’uomo non è nulla e che
il suo destino è tutto intero nelle
mani di Dio, che le opere non bastano ad assicurare all’uomo la
ricompensa, (...), chi dunque raggiungerà questo regno di Dio?
(...) L’uomo non può arrivarci e
solo la disperazione gli è aperta.
Ma allora l'Incarnazione porta la
sua soluzione. Dato che l’uomo
non può raggiungere Dio, Dio
scende sino a lui ».
Sono parole dense e drammatiche, che testimoniano come il
mondo, agli occhi di chi non riesce a « vivere » la fede, apparisse
come disperato. « L’assurdo, (...)
stato metafisico dell’uomo cosciente, non conduce a Dio », scriveva nel saggio II mito di Sisifo
(1942).
Così, in questa incapacità di
cogliere dei segni del messaggio
cristiano di liberazione, si colloca la metafora (non certo nuova,
e tuttora riproposta dal terrorismo ideologico che alcuni fanno
sull’AIDS) della peste. Il romanzo è tutto pervaso — come ha
scritto un critico — dalla « nostalgia del sacro »: i personaggi
compiono, come disse Camus
stesso, « un’odissea sotto un cielo
vuoto ». Portano ognuno la propria storia e la propria individualità, la propria crescita e le proprie sconfitte. Ma la loro personalità si azzera di fronte agli
eventi e alla possibilità che, alla
fine dell’epidemia, si ripropongano in un domani imprecisato:
« La peste — disse ancora lo
scrittore — segna l'equivalenza
profonda dei punti di vista individuali di fronte allo stesso assurdo ».
Alberto Corsanì
UN CANTAUTORE EVANGELICO
Le antiche voci del femminile
I cantautori tornano di moda.
Ma vi è qualcuno che non ha mai
smesso la sua ricerca anche controcorrente, curando il contenuto
e il messaggio, al di fuori dei circuiti del consumismo di massa,
rapportandosi in modo più capillare, più diretto con il suo pubblico, non dimenticando la lezione deH’underground, della fine
anni ’60. E’ questo il caso di Tullio Rapone, di cui è recentemente
uscito un trentatré giri che raccoglie le sue ultime interpretazioni: testi e musiche talora suoi,
talora di altri autori, quali Maurizio Chiararia, Rolando Proietti,
Francesco De Gregori, con arrangiamenti dello stesso autore e di
Arrigo Tommasi.
C’è un filo del discorso musicale e poetico comune a canzoni
e autori diversi? Il titolo del trentatré giri è quello di una canzone di Chiararia, La porta, che
racconta l’insolita bellezza di un
amore di oggi: con la divisione
dei ruoli messa in crisi e sfumata, con il ritmo del lavoro femminile nella convivenza, con la difficoltà dell’espressione dei sentimenti (Perché a quell’ora ti alzi
e fai / colazione da sola / e dopo
vai in ufficio / come prima vai a
scuola, / senza guardarci in faccia e senza dire una parola. / E
senza stare insieme / però sperimentiamo / che ci vogliamo bene / lo stesso da lontano / ma il
momento più bello / è quando tu
ritorni / un momento che si ripete / per fortuna tutti i giorni).
Se l’elemento musicale comune
è intessuto dal vibrare delle corde della chitarra di Tullio Rapone, appositamente costruita per
la registrazione del disco da un’abile liuteria milanese, il discorso
poetico si può certamente trovare in un femminile, antico e nuovo, in un diverso sguardo sulla
storia collettiva o personale, un
diverso rapportarsi e sentire. Visi, luoghi, situazioni e momenti
del femminile. Così la « piccola
manina nera » della bambina cubana, che « mi trascina per il
mondo », così la donna che canta
una tradizionale ninnananna, così la novità di Ermanna, la « single » che coraggiosamente e allegramente combatte per un inedito modo di vivere; imprendibile
per i mille impegni; «Stavolta, infine, per sbaglio t’ho trovata /
che stavi a casa, ma l’avevi allagata. Con secchi e stracci contro
quell’alluvione / svolgevi assorta
l’ennesima funzione / di donna
saggia che dice / è proprio vero,
/ senza marito non è tornare indietro ».
E poi c’è il passato, Mary, la regina che muore per amore del
suo re partito per la guerra (De
Gregori), la vecchia signora incontrata a Berlino est nel grande
parco del « cimitero degli ugonotti » (Biermann), che fa la giardiniera e « Racconta sempre del
’18: Novembre, Revolution, / sparavano gli spartachisti / scappavano il Kaiser ed i suoi ».
Ma anche c’è una sensibilità
particolare in cui si esprimono
le scelte tematiche di un cantautore evangelico: c’è l’attenzione
alla storia del passato, ai testi
che conservano le tracce di secolari ingiustizie. E’ questa la canzone dedicata al processo per
stregoneria a Clara Botzi ed altre, avvenuto nel 1585: testo e
musica di Proietti, che Rapone interpreta con particolare partecipazione. Ma il tentativo più ardito, nel panorama musicale italiano, così lontano da questo tipo di suggestioni, è immaginare
una dolcissima storia d’amore,
Marsiglia 1904 (testo e musica di
Tullio Rapone) a partire da alcuni versetti del Cantico dei Cantici 2; 11-16, nella traduzione di Daniele Garrone: l’amata qui è una
Matilde dalle « labbra colorate /
quel rossetto pieno di malinconia ». Il protagonista è un emigrato in Francia forse dalle valli
valdesi all’inizio del secolo, che
fa la miseria, vive in soffitta e fa
il lavapiatti e poi si ammala per
gli stenti, ma di sé dice: «Camminavo con la Bibbia di mia madre / e leggevo la sua dedica
sbiadita; "Sii grande, sii forte,
sii fedele” / e nella mente ritornava una canzone ». E qui i versetti biblici riecheggiano, rielaborali nella semplicità dei sentimenti elementari di ogni tempo;
« Ti prego dolce amore / ritorna
a primavera / quando sulla collina / si fa festa fino a sera. / E
tornano a cantare / sui rami gli
usignoli / che rincorrevi sempre
/ ma ne ignoravi il nome ». E vicino al letto d’ospedale, tra gli
intrugli e gli sciroppi, « sul tavolo la foto di Matilde, che cantava
in costume alla sfilata... ».
Piera Egìdi
Tullio Rapone, La porta, 1989,
Musicando Edizioni Musicali,
Torino.
5
12 gennaio 1990
ecumenismo
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CECOSLOVACCHÌA: PARLA MILAN OPOCENSKY
MARTIN LUTHER KING
Speranze e memoria
Un paese che si avvia sulla strada della democrazia e dei pluralismo - Il problema economico e le responsabilità che hanno i credenti
DaH’8 al 12 dicembre 1989 sono stato a Praga, per vedere con i
miei occhi la situazione nel momento della rivolta e della crisi.
Ho potuto parlare con i responsabili di molte chiese. Ho avuto
un lungo incontro con 5 studenti
africani, che seguono i corsi di
teologia alla Facoltà Comenius.
Domenica sono stato al culto nella mia comunità, della quale sono
un anziano. Il pomeriggio sono
intervenuto alla dimostrazione di
massa (200.000 persone), nel corso
della quale sono state comunicate
sia le dimissioni del vecchio capo
dello Stato, sia la formazione di un
governo di intesa nazionale. Lunedì mattina ho avuto una conversazione telefonica con il past. Josef Hromàdka, che era delegato
all’Assemblea generale ARM a
Seoul e che nel nuovo governo
occupa il posto di vice primo ministro.
Come si presenta, nell’insieme,
la situazione? Dopo molte dimostrazioni di massa seguite al sanguinoso venerdì 17 novembre, in
cui, durante una manifestazione
nonviolenta, autorizzata, parecchi
studenti erano stati selvaggiamente percossi e feriti ^ sembra che la
gente sia soddisfatta del corso degli eventi. C’era un’atmosfera lieta ed euforica fra i dimostranti di
piazza Venceslao. Molte delle loro richieste erano state accolte.
Il ruolo-guida del Partito comunista era stato cancellato dalla Costituzione, il marxismo aveva cessato di essere l’ideologia ufficiale
sulla quale si fondava l'istruzione,
i vecchi capi finalmente messi da
parte (compresi Jakes e Husàk, i
personaggi di maggiore spicco nel
regime post 1968). La spedizione
punitiva condotta contro Praga
nell’agosto ’68 da parte dei cinque
paesi del Patto di Varsavia è stata
dichiarata incostituzionale ed erronea da parte di coloro che vi
avevano preso parte. Tutto ciò è
molto positivo. La Cecoslovacchia
si trova ora sulla strada della democrazia e del pluralismo. Il nuovo governo dovrebbe preparare il
terreno per nuove e libere elezioni.
11 Partito comunista sarà in lizza
con gli altri, e deve riacquistare la
credibilità che ha perduto.
Gli studenti mi hanno spiegato
le ragioni per cui continuano a
scioperare. Molte persone sono rimaste ferite il 17 novembre, e la
cosa è ancor più tragica perché si
trattava della commemorazione
della repressione nazista all'inizio
dell’occupazione tedesca nel ’39.
Gli studenti esigono una spiegazione esauriente degli attacchi feroci portati contro di loro dalle
unità speciali nel corso di una dimostrazione pacifica. Foto e testimonianze di osservatori documentano una realtà spaventosa. L’azione, condotta con armi da taglio,
cani c bastoni, è stata più brutale di quanto non sia apparsa all'esterno. Il nuovo governo sta sicuramente cercando di dare il via a
un processo di rinnovamento c di
ricostruzione. Ma le vecchie strutture sono ancora in piedi e si adoperano a creare confusione e disordini con minacce, diffamazioni,
intrighi c azioni terroristiche. 11
mondo esterno può dare una mano agli studenti di Praga e di altre
città in lotta, tenendo desta l’attenzione sul problema dei feriti e
degli scomparsi. Questo è l’aspetto disturbante della rivoluzione di
Praga che deve essere chiarito.
II grosso problema è ora: quale
sarà il futuro sistema economico?
Lo scrittore Vaclav Havel, prima oppositore al regime, è ora presidente — non comunista — della Cecoslovacchia.
Saranno mantenuti i fondamenti
socialisti della Cecoslovacchia, cercando di renderli più efficienti introducendovi l’economia di mercato? O finirà che gli esperti di
Praga abbracceranno acriticamente il modello economico occidentale? Si è detto che la posizione di
partenza della Cecoslovacchia è
diversa da quella della Polonia e
dell’Ungheria e che quindi non ha
bisogno di dipendere dai crediti
occidentali. Resta una grossa responsabilità, per i credenti dell’Est
e dell’Ovest: stare all’erta. Essi
devono sforzarsi di tener desta la
sensibilità nei confronti della giustizia sociale: per tutti i poveri,
gli isolati, gli emarginati che sono
nel proprio paese e fuori di esso.
11 futuro sistema politico e il futuro ordine sociale in Cecoslovacchia dovrebbero riuscire a coniugare libertà e democrazia in tutti
gli aspetti della vita con la giustizia sociale e la sicurezza per tutti.
I problemi dello sfruttamento, del
la fame, della malnutrizione nel
cosiddetto Terzo Mondo non possono mai essere completamente
messi da parte nel momento in
cui cerchiamo di ricostruire per
noi una nuova società. I diritti
umani, personali e sociali, non
possono essere considerati separatamente: sono infatti complementari.
Questi sono solo alcuni dei temi scottanti in questi giorni a
Praga. Affrontarli è responsabilità
specifica delle chiese e dei singoli
cristiani. Rallegriamoci della libertà appena conquistata ma non
usiamola male...e non dimentichiamo il nostro prossimo, vicino
o lontano.
Milan Opocensky
segr. gen. ARM
1 Teologo, pastore della Chiesa evangelica dei Fratelli Cèchi.
- Fra questi Thomas Opocensky, figlio di Milan.
La Bibbia in mano
Martin Luther King può essere considerato un valdese in incognito? Senza dubbio no. Nonostante ciò vi sono parecchie somiglianze tra la direzione del
movimento per i diritti civili in
America condotta da King e
quella di Arnaud durante il duro
inverno del 1689 alla Balsiglia.
Entrambi comandarono con la
Bibbia in mano, pronunciando la
parola di Dio come ordini di
marcia per la vita quotidiana.
Entrambi predicarono il vangelo
delle libertà civili basandosi profondamente sulla esperienza di
Israele nell’Antico Testamento.
King fu d’esempio ai predicatori neri che guidarono il loro popolo nei quartieri di schiavi delle
piantagioni del Sud e nei ghetti
urbani del Nord, proprio come
Arnaud fu d’esempio ai pastori
che fortificarono la fede nel loro
ghetto alpino. Anche se Arnaud
guidò una banda di uomini armati mentre le armi di King erano
quelle della nonviolenza, entrambi condussero movimenti che facevano affidamento non sulla forza umana, bensì sul « forte braccio destro di Dio ». Entrambi
brandirono la spada dello Spirito, la Parola di Dio con magistrale abilità, e audace brio. Entrambi furono prima di tutto predicatori che, in seguito alla chiamata del Signore, organizzarono
e capeggiarono dei movimenti.
Molti degli interpreti di King
lo ritraggono come un pensatore
modellato dai suoi professori di
teologia. Ne tracciano lo sviluppo da Rauschenbusch attraverso
Hegel, Marx, Tillich, i fratelli
Neibuhr e lo dicono ispirato da
Gandhi, Gesù e Thoreau. Ma ciò
facendo creano una separazione
fittizia tra il pensiero di Martin
Luther King e il mondo entro
cui si muoveva. Martin Luther
King fu per prima cosa soprattutto e sempre un predicatore
nero per cui le parole non sono
una base teorica per l’azione. Per
i predicatori neri le parole sono
un’azione che non può essere disgiunta dalle battaglie, le tentazioni, la sofferenza e le speranze del popolo che vive grazie alla
Parola.
CAMALDOLI
10 anni di colloqui ebrei-cristiani
Da dieci anni ormai, a Carnaidoli, nella foresteria del monastero, hanno luogo colloqui ebraico-cristiani. Nei primi giorni del
dicembre 1989, in occasione del
decennale, è stata raccontata ai
numerosi partecipanti, giunti da
ogni parte d'Italia, la nascita di
questa occasione di incontri. Cominciata su iniziativa di un gruppetto di fiorentini, sorto nel clima aperto del dopo-La Pira, la
possibilità di queste giornate di
incontro si è fatta via via più sicura; ora costituisce un momento importante di verifica e
raccoglie responsabili delle amicizie ebraico cristiane di Firenze,
Roma, Torino, Ancona, Forlì e
Napoli e membri di gruppi di lavoro e di ricerca di altre città
italiane, raccolti per il momento
intorno a interessanti riviste
(SipiC, OOL, SEFER).
L’incontro di quest’anno si è
svolto dal 6 al 10 dicembre sul
tema: Il nostro essere — ebrei e
cristiani — sulla terra di tutti:
cercate lo slialom del paese (Geremia 29: 7) Il primo giorno Elio
Toaff, rabbino capo ^i Roma, e
Martin Cunz, pastore riformato
a Zurigo e direttore della rivista
Judaica, hanno riflettuto sulla
lettera del profeta Geremia agli
esuli di Babilonia (« Cercate il bene della città dove io vi ho fatti
condurre in cattività e pregate il
Signore per essa; poiché dal be
ne di essa dipende il vostro bene »): è emersa negli interventi e
nel dibattito soprattutto la necessità di riflettere oggi su quella
che è stata definita la « struttura
di esilio » dei credenti, dovunque
essi vivano. Qualcuno ha accostato questa « struttura dell'esilio »
al « vivere nella diaspora » di cui
è piena la riflessione in molti ambienti di credenti della nostra generazione e che accomuna ebrei e
cristiani di oggi.
La ricerca è continuata il giorno dopo con gli interventi di Daniele Garrone, docente alla Facoltà valdese di teologia, Carmine Di
Sante, membro romano del
SIDIC — un organismo internazionale di promozione del dialogo tra ebrei e cristiani nato in
occasione del Concilio Vaticano
II —, ed Elia Kopciovski, rabbino
a Milano: si è così avuto modo di
riflettere sulle contraddizioni tra
resistenza « nella terra » e « fuori dalla terra » di ogni creatura
umana (dove la parola « terra »
può significare « paese », oppure
«mondo», oppure «luogo agricolo per eccellenza » e quant’altre
cose ancora...).
Il terzo giorno Benedetto Canicci e Piero Stefani, ri.spettivamente docenti a Roma ed a Ferrara, il primo ebreo ed il secondo cattolico, hanno presentato alcune tesi sul significato di una
ricerca odierna sul tema della
terra (e in particolare della terra
di Israele). Cinque gruppi di studio e una tavola rotonda conclusiva hanno completato le possibilità di riflessione su un tema
che, a giudizio di tutti i partecipanti, è troppo ampio per poter
essere discusso in così poco tempo: moltissimi hanno proposto il
rilancio deH’argomento (con tutte
le implicazioni, anche di ordine
politico!) in occasione del prossimo incontro, nel dicembre del
1990.
Forse, dopo questa rapida presentazione dell’incontro, vale la
pena ancora di segnalare da una
parte l’apertura spirituale e culturale offerta dagli organizzatori,
abbastanza rara in questo periodo (era prevista anche la partecipazione di un docente di letteratura islamica, che all’ultimo momento purtroppo ha dovuto dare
forfait) per un confronto serrato,
vero, sincero, che non mette sotto silenzio aspetti anche difficili,
delicatissimi: inoltre il lavoro dei
gruppi di studio: uno di essi
(« Ebrei e cristiani: quale impegno comune? ») ha prodotto anche una lettera di protesta al ministero dell’Istruzione sull’ora di
religione cattolica e un appello in
favore di un insegnamento di storia delle religioni nelle scuole secondarie, ampiamente discussi
nella giornata conclusiva.
Eugenio Rivoir
Dr. Luther King, Jr.
January 15, 1929
Aprii 4, 1968
Per due volte sono stato presente a raduni per udire Martin
Luther King predicare. Entrambe le volte fummo travolti da entusiasmo e spinti ad agire. La
prima volta fu nella chiesa battista Shiloh di Cleveland, nell’Ohio. Compresa la cantoria vi
erano 2.000 posti; ma la folla si
riversò in due edifìci adiacenti,
collegati da un impianto acustico. Come al solito King predicò
in un crescendo all’unisono con
la risposta del pubblico fino al
famoso : « Noi trionferemo oggi! ». Il mattino seguente in
10.000 marciammo a favore dell’integrazione nel sistema scolastico pubblico.
La seconda volta che udii predicare il dott. King fu il 28 agosto 1963. Con altri 14 pullman
stipati di gente avevo viaggiato
tutta la notte da Cleveland a 'Washington per la ormai famosa
marcia su Washington. Ognuno
era pieno di apprensione. Il direttore del Federai Bureau of Investigation, J. Edgar Hoover, si
aspettava subbugli e aveva mobilitato la Guardia nazionale e
l’esercito. Il presidente John
Pitzgerald Kennedy guardava
da una finestra della Casa Bianca. Ovunque si vedevano soldati
e poliziotti.
Ma le guardie ebbero poco da
fare, a parte starsene in piedi a
guardare, e alla fine sorridere e
salutare con le mani i 150.(K)0 che
marciavano. Di nuovo Martin
Luther King predicò e la grande
folla divenne un unico organismo vivente, ed egli raggiunse il
suo crescendo dicendo « Io ho un
sogno... ». Questa volta Martin
Luther King e i suoi ascoltatori
commossero un’intera nazione e
il suo Presidente, che lo invitò alla Casa Bianca e divenne suo sostenitore.
Quando il movimento per i diritti civili si divise e parecchi divennero sostenitori del potere nero, e calò la fede nella totale
nonviolenza, la chiesa congregazione di Luther King a Montgomery fu pastore del suo predicatore quando egli tornava a casa
dopo le sue varie traversie. Nei
suoi sermoni esprimeva la sua
angoscia e la sua depressione.
« Probabilmente sono chiamato ad essere un servo che soffre.
Così sia. Se sono chiamato al
calvario ci andrò. Se ciò significa
sacrificarsi, salirò per quella dura via. Se significa morire andrò
per quella via ».
Pochi giorni dopo a Memphis
marciava con gli spazzini in sciopero. Quella sera, sul balcone del
motel in cui alloggiava, morì tra
le braccia degli amici, colpito
da un assassino. Nella sua preoccupazione per la trasformazione
dell’ordinamento sociale e civile,
Martin Luther King era simile a
tanti pastori evangelici italiani di
oggi che sono a metà tempo ministri di culto della loro congregazione, e per il resto del tempo
evangelizzatori e trasformatori
della società e della cultura di
questo Paese. La loro forma di
espressione è diversa, ma il loro
obiettivo sarebbe certamente stato sottoscritto a viva forza da
Martin Luther King ...un popolo modellato e forgiato dalla Parola di Dio di pace, giustizia e integrità del creato.
Kenneth Hougland
6
6 prospettive bìbliche
12 gennaio 1990
ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA
"CHE SIANO TUTTI UNO
II
(La preghiera di Giovanni 17)
« ...io non sono più nel mondo,
ma essi sono nel mondo,
e io vengo a te.
Padre santo, conservali nel tuo nome,
essi che tu m'hai dati,
affinché siano uno,
come noi» (v. 11).
« ...Io non ti prego che tu li tolga dal
mondo,
ma che tu li preservi dal maligno »
(v. 15).
« ...Santificali nella verità;
la tua parola è verità» (v. 17).
Il problema affrontato
da Giovanni 17
Dal 18 al 24 gennaio si svolgerà, come di consueto, la « Settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani ». Il tema della settimana, e i relativi
testi biblici, sono stati preparati quest’anno da un gruppo misto delle
chiese di Spagna. La proposta dei credenti spagnoli è quella di riflettere
sul capitolo 17 dell’Evangelo di Giovanni.
Si tratta di uno dei capitoli più densi e fascinosi, ma anche per questo tra i più difflcili da capire, del IV Evangelo.
In questo, e nel numero successivo, pubblichiamo uno studio del prof.
B. Corsani, della cattedra di Nuovo Testamento presso la Facoltà valdese di teologia in Roma, con l’intenzione di fornire ai lettori elementi
utili alla comprensione del testo giovannico. (red.)
Si racconta che Spener, uno dei
leader del pietismo tedesco, non predicò mai sul cap. 17 di Giovanni, per
la difficoltà di misurarsi con un testo
così profondo. Quando poi morì, volle che quel capitolo fosse letto per
intero al suo funerale.
Certo, se si paragona questo capitolo ad altri esempi di « ultime parole » attribuite a grandi personaggi della storia biblica, si nota subito la grande differenza che separa
quei brani delle Scritture d’Israele
dal cap. 17 di Giovanni. Mi riferisco
alla benedizione di Giacobbe in Gen.
49, alle ultime parole di Mosè in
Deut. 32 e 33, alle ultime parole di
Davide in I Cron. 29; 10-19. Solo l’ultimo di questi brani ha qualche somiglianza con Giovanni 17, perché si
tratta veramente di una preghiera.
Ma non si può dire che questo o gli
altri passi indicati siano stati un modello per il cap. 17 di Giovanni. L’ammirazione e lo sgomento di Spener
erano dunque giustificati? Alla luce
di questi precedenti, dovrei dire di
sì. Ma se si legge il cap. 17 avendo
in mente il resto del vangelo di Giovanni, si vede che ne riflette l’atmosfera, le prospettive, e ne riprende
molti temi e molte espressioni. L’ammirazione riverente del lettore (e del
predicatore) non deve andare soltanto al cap. 17, ma a tutto il contenuto del quarto vangelo, così ricco, profondo ed attuale in ogni sua parte.
lì nasce anche la promessa che i discepoli potranno conoscere il Padre
apertamente e non più solo per similitudini (16: 25).
La partenza di Gesù e il rimanere
dei discepoli è anche il problema
centrale intorno a cui ruota tutto il
cap. 17. Esso è formulato al v. 11:
« Essi sono nel mondo, e io vengo
a te ».
Di fronte a questa situazione, la
preghiera di Gesù non chiede per loro rivelazioni straordinarie o esperienze nuove e diverse, ma si articola in tre richieste che ora esami
neremo.
Custodiscili
nel tuo nome (v. 11)
La preghiera di Giov. 17 affronta
un problema che è anche quello di
tutto il gruppo di capitoli da 14 a
17 (o da 13 a 17): la partenza di Gesù e la situazione dei suoi discepoli,
privi come saranno della sua presenza fra loro.
Quando Gesù lava i piedi ai discepoli, egli sa che sta per tornare a
Dio (13: 1), e dopo aver mangiato
con loro, parla del fatto che ancora
per poco sarà in mezzo ai suoi discepoli, e che dove egli va non potranno seguirlo (13: 33). Da lì nascono
parole di conforto come « Il vostro
cuore non sia turbato... Io vado a
prepararvi un posto » (14: 1-2), e « Il
Padre vi darà un altro Consolatore.
Non vi lascerò orfani » (14: 16-18).
Da lì nascono anche le esortazioni a
portare molto frutto per essere dei
veri discepoli (15: 8), o a sopportare l’odio del mondo (15: 18-21). Da
Questa prima preghiera è quella
che si collega maggiormente alla situazione di distacco dai discepoli:
Gesù sa che fino a quel momento
ha provveduto lui a « custodire » i
discepoli, a dar loro fiducia e sicurezza (per esempio, quando li aveva
raggiunti sulla barca, nella tempesta,
o quando aveva sfamato la moltitudine di fronte alla quale i discepoli
si sentivano smarriti).
Ora Gesù non sarà più presente
con loro come durante la sua esistenza terrena, perciò li affida al Padre.
E’ come uno scambio di consegne;
prima — dice Gesù — « erano tuoi
e tu me li hai dati » (v. 6); ora è
Gesù che li restituisce al Padre perché egli li custodisca.
Ma il modo della protezione non
cambierà. Infatti Gesù dice: « Mentre ero con loro, io li conservavo nel
tuo nome » (v. 12). Il « nome », nel
mondo biblico, indica l’essenza stessa della persona, la sua realtà più
autentica, profonda ed efficace (c’è
ancora un riflesso di questo significato biblico del « nome » quando il
culto cristiano inizia « nel nome del
Padre », o — come si dice — con la
« invocazione del nome di Dio »: è
la presenza stessa di Dio che è cercata in preghiera dalla comunità riunita). La prima richiesta di Gesù al
Padre è: «Custodiscili nel tuo nome»
(v. 11 ). Con la partenza di Gesù cambia il « custode », ma non il modo
della custodia, la potenza attraverso
la quale si esercita.
Questa seconda preghiera vuole evitare che i discepoli, dopo la par
tenza di Gesù, prendano una posizione sbagliata di fronte al mondo.
La tentazione ricorrente è sempre
quella di isolarsi dal mondo, giudicato malvagio, oppure di diventarne
succubi « per non essere diversi dagli altri », o di volerlo dominare. Tutte e tre queste tentazioni si sono registrate nella vita dei cristiani e delle chiese: la fuga, al tempo degli .anacoreti e poi fra gli evangelici (separarsi dal « mondo malvagio » per isolarsi nella torre d’avorio dei « convertiti » — e spesso la separazione
dal « mondo » è stata identificata con
il non bere, non fumare, non occuparsi di politica...); il cedimento al
mondo è più frequente nelle chiese
di massa, che sono tentate di strutturarsi come centri di potere (politico, economico, culturale), ma può
accadere anche in quelle di minoranza, quando la trasmissione della fede avviene (o si crede che avvenga)
in modo automatico, e le norme di
comportamento del « mondo » diventano anche quelle della maggioranza
dei credenti (sacrificare i principi per
avere i soldi; mettere l’interesse o
il piacere personale al di sopra del
servizio e della testimonianza, ecc.);
la sopraffazione del mondo è meno
diffusa, ma la storia ne ricorda numerosi esempi o tentativi, al tempo
delle lotte fra papato e impero, della lotta per le investiture, ed ancora
oggi nei non pochi sforzi del cattolicesimo per imporre agli stati laici
di adottare nella legislazione civile le
norme confessionali (su divorzio, controllo delle nascite, aborto, insegnamento della religione cattolica, ecc.).
10 non ti prego che tu li
tolga dal mondo, ma che tu
11 preservi dal maligno (v. 15)
Non essere determinati o condizionati dal mondo — però rimanere
nel mondo: questa è la vocazione
dei discepoli e della comunità. « Nel
mondo » essi hanno la loro missione. Per questo Gesù chiede al Padre: « Io non ti prego che tu li tol
ga dal mondo, ma che tu li preservi
dal maligno ». Essere preservati dal
male (o dalle suggestioni del maligno): è così che si esercita la tutela
divina sui discepoli, che impedisce
loro di avere un rapporto sbagliato
con il mondo, cioè di cadere in una
delle tentazioni descritte qui sopra.
Santificali nella verità.
La tua parola è verità (v. 17)
Per capire il significato di questa
terza preghiera, bisogna osservare attentamente da quali parole è preceduta e seguita. Essa è compresa fra
due dichiarazioni relative alla presenza dei discepoli nel mondo (w.
15-16 e 18). Dunque, è probabile
che anche la preghiera « Santificali
nella verità » si riferisca al tema discepoli-mondo.
Quest’impressione è rafforzata da
due passi giovannici che parlano della missione di Gesù con quello stesso verbo. Uno è il v. 19: « Per loro io
santifico me stesso »; l’altro è il v.
36 del cap. 10, dove Gesù parla di
se stesso come di « colui che il Padre ha santificato e mandato nel
mondo ». Dunque, nel linguaggio giovannico « santificare » non ha un significato morale: è usato come nel
linguaggio liturgico delle Scritture di
Israele, dove significava: « messo a
parte per il servizio sacro del Signore » (cfr. Gen. 2: 3; Esodo 29;
43; Gerem. 1:5). *
Contro queste possibili tentazioni
della sua comunità, Gesù prega perché i suoi discepoli stiano sì nel
mondo, ma senza farsene condizionare. Pur essendo « nel mondo », non
devono essere « del mondo ». Non devono appartenergli — ma c’è di più:
non «essere del mondo», nel testo
greco, vuole anche dire: non lasciarsi
determinare dal mondo, non trarre
dal mondo la definizione della propria identità, non farne la matrice
della propria esistenza. Vuol dire non
essere « di quaggiù » (8: 23), « del
diavolo » (8: 44), « della terra » (3:
31) come erano gli avversari di Gesù, increduli e ostili al suo insegnamento.
Queste osservazioni, che vengono
da passi diversi, suggeriscono che la
terza richiesta di Gesù per i discepoli volesse dire; « Fa’ di loro degli
strumenti dedicati al tuo servizio nel
mondo », cioè alla testimonianza.
La consacrazione dei discepoli al
servizio di Dio nel mondo deve avvenire « nella verità ». Anche qui, come già a proposito del « nome » (al
V. 12), si deve forse tradurre « mediante la verità » (così la traduzione
TILC). E’ la verità portata da Gesù,
cioè la rivelazione di Dio, la conoscenza di Dio donata agli uomini
(cfr. Giov. 1: 17-18). Questa verità
ne fa degli strumenti per il servizio
di Dio nel mondo.
Il servizio per il quale sono messi
a parte, e la consacrazione mediante la conoscenza di Dio recata da
Gesù, fanno sì che la loro missione
nel mondo possa essere dichiarata
simile a quella di Gesù stesso: « Come tu hai mandato me nel mondo,
anch’io ho mandato loro nel mondo »
(v. 18).
Brano Corsani
(continua al prossimo numero)
L’espressione « preghiera sacerdotale »
che la Riveduta mette come titolo a Giov.
17 è stata usata per la prima volta dal
Cythraeus, morto nel 1600. Può essere stata suggerita dalla situazione di questo
capitolo, subito prima della passione in
cui Gesù offre se stesso per i suoi fratelli (cfr. anche il v. 19). Ma l’espressione
è impropria in un vangelo così poco « sacerdotale » come quello di Giovanni.
j
7
12 gennaio 1990
storia religiosa
UN VOLUME DAI MOLTI PREGI
Alle origini delia disputa tra
battisti e riformati
Verità interna ed esterna, chiesa visibile e chiesa invisibile - Una comunità con le caratteristiche di una chiesa
libera - La nuova dottrina del ravvedimento e la « sola gratia » - I possibili paralleli con il Risveglio del 1825
Per approfondire la conoscenza circa le origini storiche del
battismo disponiamo del bel volume di Fritz Blanke, Fratelli in
Cristo. Storia della più antica comunità anabattista: Zollikon
15251. E’ un autentico gioiello,
sia dal punto di vista editoriale
che per il suo contenuto. L’autore, deceduto nel 1967, fu uno dei
più eminenti studiosi della storia della Riforma in Svizzera. Meno noto — almeno tra di noi —
chi ha curato l’Introduzione —,
il collega Salvatore Francesco Romano, delle Università di Trieste
e Udine, autore tra l’altro di opere su Temi e problemi dell’anabattismo italiano del Cinquecento, 1974, e su Riflessi zwingliani
nella divulgazione protestante in
Italia, 1985.
Il volumetto del Blanke, pubblicato neH’ormai lontano 1955 ^
non arreca nulla di nuovo a quel
che si sapeva già sull’anabattismo svizzero grazie anche ad Ugo
Gastaldi e alla sua insostituibile Storia dell’anabattismo^, ma
ha il pregio di offrire al pubblico italiano — grazie alla scorrevole traduzione di Saverio Guarna — un profilo quanto mai esauriente del « primo tentativo di
realizzare », all’interno del protestantesimo, « una comunità ci}istiana indipendente dallo Stato
e basata sull’adesione volontaria » *. Anche se quel tentativo
« era condannato a fallire ai suoi
primi passi », esso però è ancora
oggi di straordinaria attualità
perché ci illumina, a più di quattro secoli e mezzo di distanza,
sui problemi sempre vivi di quel
che dovrebbe essere una chiesa
« risvegliata » nel senso più neotestamentario del termine.
La Riforma a Zurigo
I fatti sono noti, ma non nuoce rievocarli in breve sintesi. Nell’ottobre del 1522 il futuro riformatore di Zurigo, Ulrico Zwingli
— da tre anni parroco al Grossmùnster — rinuncia al suo ufficio di prete e, per volontà del
Consiglio cittadino, si trasforma
in predicatore evangelico: è da
quella data che ha inizio la Riforma, resa definitiva tre anni
dopo con l’abolizione della messa. Tra i suoi seguaci più ferventi ci sono due laici ben preparati,
forti di studi umanistici, Konrad
Grobel e Felix Manz.
Nelle tre « dispute » pubbliche
(gennaio e ottobre 1523 e gennaio
1524), dove i cittadini discussero
di tutto ciò che occorreva fare
per trasformare lo Stato e la
Chiesa in due istituzioni più conformi all’Evangelo ^ si giunse
ben presto ad affrontare un grosso dilemma: in base a quale autorità si dovevano compiere tutte quelle riforme? E soprattutto
era meglio farle subito, oppure
compierle progressivamente a
gradi, lasciando che l’assidua pre
dicazione dell’Evangelo operasse
nei cuori e negli intelletti il miracolo della trasformazione, senza traumi né per il cittadino né
per il fedele?
Le due autorità
Zwingli se la cavò facendo subito due distinzioni: la prima,
tra verità interna e verità esterna della Scrittura, nel senso che
la verità interna risultasse sempre ben chiara dalla predicazione ma che spettasse al Consiglio cittadino metterla in opera
quale verità esterna; la seconda,
tra chiesa visibile e chiesa invisibile, cioè tra una chiesa che
faceva tutt’uno con il popolo
(Volkskirche) ed una chiesa composta soltanto dei credenti conosciuti ' da Dio (Sonderkirche).
Zwingli era convinto che, riformando la chiesa, si riformava
anche il popolo, del quale è responsabile il magistrato a pari
merito con il pastore.
Il dissenso
anabattista
Ma ecco sorgere le prime obiezioni di Grebel e Manz e dei
loro adepti: l’autorità della Scrittura non può stare alla pari con
quella dello Stato, e le riforme
desiderate si devono eseguire subito, specialmente la messa da
sostituire con la Cena del Signore, e il battesimo da liberare da
ogni incrostazione sacramentale.
In questo contesto, assume un
Martin Lutero,
nell’incisione realizzata
da Filippo Scroppo
in occasione del
V centenario della
nascita del riformatore
(1983).
valore significativo la lettera
scritta a Thomas Mùntzer in Sassonia il 5 settembre 1524, il cui
contenuto anticipa alcune delle
proposizioni degli Articoli di
Schleitheim del 1527, considerati
come il « manifesto » degli anabattisti di tutto il mondo: la comunità cristiana non può contare che pochi membri, quelli che
credono e vivono rettamente secondo l’Evangelo; i suoi culti si
terranno piuttosto nelle case private che nei templi, e in questi.
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caso mai, senza forme esteriori,
senza canti, senza scritte bibliche
parietali; alla Cena del Signore
sia restituito il suo simbolo di
unione tra i fratelli nel Corpo
di Cristo, e al battesimo sia ridato il suo duplice significato di
testimonianza del pentimento e
di proposito del camminare d’ora
in poi in novità di vita e di spirito. La cosa era notevole, se si
pensi che, fino a quel tempo,
« Zwingli e gli altri pastori riformati celebravano sugli altari
delle chiese di Zurigo la messa
cattolica in latino (omettendo,
però, ciò che potesse significare
ripetizione del sacrificio del Cristo), indossavano le pianete, rifiutavano il calice alla congregazione, e battezzavano i bambini
secondo l’uso cattolico, cioè alitando, esorcizzando il demonio,
facendo il segno di croce, bagnandoli con la saliva ed ungendoli
con olio » Dunque, in breve,
niente chiesa multitudinista, dove si è membri « di padre in figlio »; niente unione con lo Stato, anzi separazione dal mondo,
dalla sua giustizia e dalle sue
competizioni e guerre; niente
giuramento e niente battesimo
dei bambini, incapaci di credere
e comprendere...
L’urto insanabile
con Zwingli
Fu proprio sulla questione del
battesimo che scoppiò l’urto tra
il riformatore e i dissenzienti, già suoi fedelissimi sostenitori, in tutto non più di una
quindicina di persone. Un appello al Consiglio della città perché
favorisse il passaggio dalla chiesa di popolo alla chiesa del popolo di Dio rimase senza risposta; riunioni preliminari per
giungere insieme ad un accordo
fallirono anch’esse per l’intransi-'
genza delle parti; ma quel che
fece traboccare la goccia dal vaso fu la promulgazione da parte
del Consiglio di due decreti che
ingiungevano l’uno di battezzare
immediatamente i bambini non
ancora battezzati, e l’altro di non
riunirsi in privato, pena l’esilio
entro 8 giorni!
La nascita
di Zollikon
Di fronte all’alternativa di ubbidire o di andarsene, il gruppo
dei dissenzienti non solo non fece battezzare i propri bambini,
ma si fece addirittura ribattezzare vicendevolmente: era la sera
del 21 gennaio 1525, probabilmente in casa di Felix Manz a Zurigo, e il giorno dopo, di domenica. la Cena del Signore veniva
celebrata da Konrad Grebel in
casa di Jacob Hottinger a Zollikon. Da quel giorno arresti e vessazioni a non finire, fino alla pena di morte mediante affogamento nel fiume Limmat per i ricalcitranti, ciò che successe al Manz
il 5 gennaio 1527: il primo maVtire anabattista in terra protestante!
Ora, il volumetto del Blanke
segue passo passo questa storia
fino alla costituzione della comunità di Zollikon, a pochi chilometri a sud di Zurigo, sulla sponda orientale del lago omonimo:
una comunità di Brüder in Christo, che però ebbe una durata
molto breve, appena 8 mesi, tra
gennaio e agosto del 1525. I suoi
membri, guidati dal pastore Brötli, erano tutti agricoltori indipendenti, in genere viticoltori,
proprietari di grandi o piccole
aziende, cioè non poveri. Poiché
essi praticavano a turno nelle loro case la predicazione, il battesimo degli adulti, la Cena del Signore ed anche la disciplina mediante il ripristino deH’ammonizione reciproca secondo Matteo
18: 15-18, la loro comunità aveva tutte le caratteristiche di una
« chiesa libera ».
Il risveglio
anabattista
Come il Blanke chiarisce molto bene, l’esperimento di Zollikon costituì il primo « movimento di risveglio » della Riforma
cinquecentesca, basato essenzialmente sulla coscienza del peccato, sull’implorazione del perdono
di Dio e sulla richiesta del battesimo come segno della grazia
di Dio e del riconquistato amore
fraterno. Non era pietismo, e
nemmeno letteralismo biblico,
nel significato consueto dei due
termini. Le sue spinte « teologiche » consistevano in una nuova
dottrina del ravvedimento (può
essere battezzato solo chi è ravveduto!. e soprattutto nell’insistere sul sola gratia: non solo il
perdono dei peccati ma anche la
spinta al ravvedimento sono doni di Dio, e il Blanke ci tiene
ad insistere sul fatto che qui gli
anabattisti di Zollikon si distinguevano dai valdesi medioevali ^
per altro così simili in tanti altri punti del loro comune radicalismo evangelico, come per esempio circa l’indipendenza nei
confronti sia della Chiesa ufficiale, sia dello Stato: di fatto, a prescindere dalla sua totale dipendenza da Dio e dalla sua Parola,
il credente sarà ubbidiente e rispettoso verso i suoi onorati Signori in ogni cosa che non contraddica la volontà dell’Eterno*,
e ciò distingue i Fratelli di Zollikon anche sul terreno più scabroso dei rapporti sociali: « Quei
contadini si preoccupavano non
di denaro o di beni, ma della loro colpa dinnanzi a Dio e della
liberazione da questa colpa » *.
Le spinte profetiche
Il Blanke si sofferma anche su
un caso emblematico: una processione di uomini, donne e bambini che nel giugno 1525 si recò
da Zollikon a Zurigo per annunciare alla città il giudizio di Dio,
se gli zurighesi non si pentivano,
ed in cui Zwingli è addirittura
figurato come il drago dell’Apocalisse. I paralleli con i « guai
a te! » di Geremia 13: 27 e di Matteo 11: 21 sono evidenti. A prescindere dagli aspetti profetici
escatologici ed anche sociali di
questo fatto, vorrei ricordare una
altra circostanza altrettanto significativa, che concerne resistenza stessa di una « chiesa libera »
come si era costituita a Zollikon
nel 1525.
La testimonianza
di Lutero
Esattamente un anno dopo, nel
prologo alla liturgia della Deutsche Messe, Lutero così si esprimeva:
« Coloro che vogliono seriamente essere cristiani e professare l’Evangelo con gli at
Vn’immagine di Ulrico Zwingli.
ti e con le parole, scrivano i
loro nomi in un registro e si
riuniscano a parte, eventualmente in qualche casa, per
pregare, leggere la Scrittura,
celebrare il battesimo, ricevere la Santa Cena e impegnarsi in qualche attività cristiana. In tali riunioni sarà facile
riconoscere coloro che non si
comportano da cristiani, riprenderli, escluderli dalla comunione, secondo Matteo 18:
15-18. Si potrebbe anche consigliare e attuare una colletta comune a favore dei bisognosi, né si avrebbe bisogno
di canti numerosi e lunghi. In
ogni modo, se si potesse contare su persone che desiderano veramente essere cristiane,
gli ordini e le forme del culto
sarebbero presto creati ».
Purtroppo, la chiusa del riformatore è malinconica:
« Ma, non disponendo per il
momento di tali persone, non
posso né voglio ancora organizzare una simile assemblea
(Gemeinde). Se facessi a modo mio, la cosa si trasformerebbe in un movimento settario »
Quanti ricordi e quanti paralleli tra le esperienze fatte nel secolo scorso e nel presente, con
il « Risveglio » di Neff nel 1825
alle valli valdesi e con la creazione delle comunità casalinghe
nel Lazio e in Abruzzo!
Giovanni Gönnet
* Roma, Edizioni «Il Seminatore»,
1989, p. 96.
* L’originale, di eui si è servito il
traduttore, porta la data del 1975 : si
tratta induldìiamente ili una ristampa.
* Torino, Claudiana, 2 volumi, 1972
e 1981.
* Blanke, p. 85.
■' Ivi, p. 17-20.
'■ Ivi, p. 20.
^ Ivi, p. 43-45.
' Ivi, p. 45.
“ Ivi, p. 48.
Gastaldi, op. cit., I, p. 42.
8
8 vita delle chiese
12 gennaio 1990
XV CIRCUITO
CORRISPONDENZE
Verso rAssemblea BMV n nuovo pastore
Esaminati i documenti preparatori - La questione del battesimo proposta diversa: non è possibile parlare di «nla nnllahnrpyii
Una
sola collaborazione?
L’Assemblea del XV Circuito
si è riunita a Reggio Calabria
il 17 dicembre. Era presente, come invitata, la delegazione della
Chiesa battista di Reggio Calabria, guidata dal past. Salvo Rapisarda e composta da Eugenia
Marzotti Canale e Paolo Canale.
Il fratello Enzo Canale, che doveva far parte della delegazione
battista, ha dovuto assentarsi
per motivi di salute e l’Assemblea gli ha mandato il suo fraterno saluto con l’augurio di
pronta guarigione.
Il culto di apertura dell’Assemblea è stato presieduto dal
past. Salvo Rapisarda, che il
Consiglio di Circuito aveva nominato predicatore d’ufficio, superando gli steccati denominazionali. L’Assemblea ha approvato
con un voto l’operato del Consiglio di Circuito e ha deciso di
dare la parola a tutti i membri
della delegazione battista per le
materie di comune interesse.
Scopo dell’Assemblea era di fare i primi passi verso l’Assemblea-Sinodo del ’90. A questo
scopo, la Tavola valdese ci aveva fatto pervenire, dietro nostra
richiesta, i quattro documenti
preparatori con un certo anticipo, quando cioè non avevano
ancora ricevuto la forma definitiva per la stampa.
Incontro comune
di formazione
In preparazione dell’Assemblea di Circuito, era stato previsto anche un incontro dei due
Consigli di chiesa battista e valdese di Reggio Calabria per il
15 dicembre. Ma questo incontro non ha potuto aver luogo
per tre ragioni; la malattia del
fratello Enzo Canale, che è figura assai importante per i battisti e anche per i valdesi di Reggio Calabria; la convocazione a
Reggio Calabria della terza Conferenza « mafia - stato - società »
nei giorni 15-17 dicembre da parte del Consiglio Regionale della
Calabria e alla quale alcuni evangelici erano stati invitati; la
tendenza ad aspettare che sui
documenti preparatori dell’Assemblea-Sinodo ’90 si pronunciasse in prima istanza l’Assemblea di Circuito.
Il sovrintendente ha introdotto i lavori, insistendo sulla questione del metodo che va dalle
chiese locali all’Assemblea-Sinodo e dall’Assemblea-Sinodo alle
chiese locali. Pertanto le chiese
locali dovranno assumersi la responsabilità di pronunciarsi in
prima istanza con molto coraggio e franchezza, sia per esprimere i loro consensi che per
esprimere i loro dissensi, riserve e suggerimenti migliorativi.
Bisognerà evitare le discussioni polemiche sul battesimo e
il reciproco riconoscimento delle chiese, delle persone e dei
ministri delle chiese dovrà basarsi sulla nostra fede comune
in Gesù Cristo e non sulle nostre specificità ecclesiologiche e
sacramentali.
Abbonamento
1990
Italia
Annuo L. 42.000
Costo reale L. 65.000
Sostenitore L. 80.000
c.c.p. 20936100 intestato AIP
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Dobbiamo domandarci se Cristo solo ci basta. La novità del
momento consiste nell’aver riconosciuto, con l’aiuto del Signore, che da secoli ci stiamo portando dietro dei residui di cattolicesimo romano. Ad esempio, la
Confessione augustana del 1530
contiene un « et-et » tra Cristo
e sacramenti che la Riforma aveva rifiutato ad altri livelli. La
Confessione augustana dice infatti che la Chiesa è la congregazione dei santi dove l’Evangelo è puramente insegnato (pure docetur) e i sacramenti sono
rettamenti amministrati (recte
administrantur). Ora siamo arrivati al punto di domandarci se,
per caso, non debba bastare la
pura e semplice predicazione
dell’Evangelo.
Cristo unisce, il
battesimo divide?
L’esperienza dei nostri rapporti con le chiese battiste ci insegna che tutti i problemi si pongono non appena si voglia precisare che cosa significhi quel
« recte administrantur » a proposito dei sacramenti. Abbiamo
capito che Cristo unisce e il
battesimo divide.
Noi dovremmo arrivare a riconoscerci come chiese di Gesù
Cristo e fratelli in Cristo, seguendo l’esempio di S. Paolo nei
suoi rapporti con la chiesa di
Gerusalemme, guidata da Giacomo, fratello del Signore. Mai
l’apostolo delle genti si ridusse
a chiedere a « quelli della circoncisione » di rinunciare alla
loro specificità prima di riconoscerli come chiesa e come fratelli. S. Paolo si batteva perché
la circoncisione non fosse assunta dai gentili come opera necessaria alla salvezza, ma lasciava ai giudeo-cristiani la libertà
di continuare a fare come avevano fatto sempre. Noi non dobbiamo dimenticare che S. Paolo
fu arrestato a Gerusalemme proprio mentre esprimeva la sua
solidarietà in Cristo con i giudeo-cristiani.
La sorella Eugenia Marzotti
Canale ha riferito su quanto battisti e valdesi hanno fatto e
fanno insieme a Reggio Calabria,
già da molti anni, sia pure con
alti e bassi e spiacevoli interruzioni. Abbiamo saputo che a
Reggio Calabria l’intercomunione non fa problema, gli studi
biblici sono stati fatti ad anni
alterni in locali battisti e in locali valdesi, la Scuola domenicale si fa in comune con due monitori, uno battista e l’altro valdese, l’Unione giovanile è unica
e la collaborazione a livello di
Unione femminile, di Corale, di
organizzazione di bazar e recite
ha solide tradizioni.
Una cura pastorale
abbinata
Sulla questione della cura pastorale abbinata delle due Chiese battista e valdese di Reggio
Calabria, i battisti si sono pronunciati favorevolmente. Si sono anche posti il problema di
fondo che riguarda il perché
mettersi insieme. Si tratta di cercare di essere credenti e di essere chiesa in una città mafiosa, non per parlare a noi stessi
o di noi stessi, ma per rendere
testimonianza della nostra fede.
Si sta elaborando anche un progetto di centro culturale che potrebbe diventare anche centro
polivalente ed offrire a battisti
e valdesi una buona occasione
per lavorare insieme.
I quattro documenti preparatori sono stati illustrati dai pastori Lento, Giambarresi, Rapisarda e Milaneschi.
Nella discussione, il past. Rapisarda ha fatto rilevare che, nei
documenti, si propone la collaborazione nelle tre aree del territorio, dell’evangelizzazione e
del giornale unico. Ma si dice
che questa collaborazione sarà
possibile solo a condizione del
reciproco riconoscimento. Rapisarda ha detto: « E’ proprio necessario questo reciproco riconoscimento? ».
Nei documenti si dice che battisti e valdesi hanno una comprensione simile del battesimo.
Questo non è vero, dice Rapisarda. In realtà, i valdesi e i
metodisti riconoscono come valido il battesimo cattolico che è
nullo per i battisti. Gli stessi
valdesi e metodisti continuano a
battezzare i bambini, hanno firmato la Concordia di Leuenberg
e dovrebbero poter essere accolti, a tutti gli effetti, come membri di chiese battiste anche se,
per le chiese battiste, sono membri soltanto quelle persone che
hanno reso pubblica testimonianza della loro fede mediante il
battesimo e dopo aver dato prova di una vita eticamente conforme all’Evangelo.
A detta di Rapisarda, dovrebbe bastare che l’Assemblea-Sinodo dichiarasse la ferma volontà
di collaborare, senza reciproci
riconoscimenti e senza stravolgere la concezione che i battisti
hanno del membro di chiesa.
Giornata
comunitaria
Vi è stato anche un vivace dibattito circa il contenuto da dare alla giornata comunitaria del
21 gennaio. Alcuni volevano infatti che questa giornata avesse
il carattere di un convegno per
studiare insieme, su base biblica, il significato del battesimo.
Altri non erano contrari al convegno, ma volevano farlo verso
marzo per avere il tempo di prepararlo. Altri ancora temevano
che un convegno-dibattito sul
battesimo finirebbe con il creare più divisione che unità.
Alla fine, l’Assemblea ha chiuso questa discussione con la votazione dei due seguenti atti:
— L’Assemblea, dopo aver udito l’illustrazione dei quattro
documenti preparatori dell’Assemblea-Sinodo del 1990, decide di non formulare alcun
parere orientativo, ritenendo
che debbano pronunciarsi in
prima istanza le chiese locali.
(Atto n. 14).
— L’Assemblea, udita la proposta di organizzare una giornata comunitaria BMV per la
domenica 21 gennaio 1990,
l’approva e chiede al Consiglio di Circuito di organizzarla.
(Atto n. 15).
E’ passata così la proposta di
' limitarsi, per il 21 gennaio, ad
un culto in comune da celebrarsi nella Chiesa battista di
Reggio Calabria e ad un incontro
comunitario.
L’Assemblea di Circuito si è
anche occupata di questioni interne alla Chiesa valdese. E’ stata espressa una valutazione positiva dello stand organizzato a
Torre Pellice durante il Sinodo
del tricentenario del Rimpatrio
e si è votato il seguente atto
sul pastore a Reggio:
— L’Assemblea accoglie con
gioia la notizia del trasferimento del past. Pietro Santoro a Reggio Calabria, a partire dall’ottobre 1990, e ringrazia vivamente la Tavola valdese per l’attenzione che sta
rivolgendo in questi ultimi
tempi alla chiesa di Reggio
Calabria.
(Atto n. 8).
Samuele Giambarresi
FIRENZE — L’Assemblea per
la designazione del pastore ha
avuto luogo domenica 3 dicembre nella sala del Centro comunitario valdese di via Manzoni.
E’ stata presieduta dal rappresentante della Commissione
esecutiva del 3° distretto, Leonardo Casorio, ed era composta
da 85 membri elettori su 109.
Il Concistoro ha presentato il
curricolo pastorale dei due candidati, i pastori Gino Conte e
Valdo Benecchi. La scelta dell’Assemblea si presentava difficile, perché entrambi i candidati
sono pastori altamente stimati
per il ministero finora svolto
nelle chiese, pur avendo doni
diversi. Qualcuno, nei giorni precedenti, aveva detto: « Ci vorrebbero tutti e due! ».
Purtroppo questo non era possibile e l’Assemblea ha dovuto
scegliere; la votazione ha dato
la maggioranza al pastore Gino
Conte, pur avendo espresso anche la grande stima di cui era
oggetto il past. Valdo Benecchi.
Al past. Gino Conte, quindi, diamo fin d’ora il benvenuto.
• E’ deceduto improvvisamente il prof. Giovanni König. Ai
funerali, svoltisi il 14 dicembre,
ha partecipato una grande folla,
segno della stima che lo circondava. A Maja, a Bettina e a
Martin Valdo l’affettuosa solidarietà della chiesa.
La corale battista
di Pordenone
VICENZA — Il 3 dicembre si
sentiva che vi era un’aria di festa prima ancora che il culto
avesse inizio. Da tempo era attesa la visita della Corale della
Chiesa battista di Pordenone.
Con la sua venuta ci si sentiva in famiglia, sia perché alcuni metodisti della Chiesa di
Vicenza trasferiti a Pordenone
fanno parte di quella chiesa e
non tornano certo come estranei fra noi, sia perché quando
gruppi di evangelici, forzatamente in minoranza nelle nostre città, si ritrovano, si crea subito
queU’atmosfera familiare caratteristica della nostra identità
protestante che ben conosciamo.
Ci siamo così rallegrati per
il canto dei coristi che non era
solo il frutto di capacità naturali e di studio, ma vissuto come vocazione e testimonianza.
Dopo aver cantato durante il
culto presieduto da Mario Casonato, altri canti sì sono sentiti per le strade di Vicenza e
al ristorante « Il Duca di Francia ». Infatti dopo il pranzo offerto con generosa fraternità
dal sig. Casonato ai coristi e à
membri della comunità di Vicenza, i gerenti hanno chiesto
l’esecuzione di un inno, ai piedi di un grande albero di Natale, nella hall.
Nel pomeriggio, sempre nella
nostra chiesa di Vicenza la Corale ha eseguito inni e canti
vari, anche di tradizione popolare, suscitando gioia e ammirazione. C’era inoltre un motivo
in più per rallegrarsi per le due
comunità: la nascita di Luca Perissinotti, figlio di Claudio e Miriam Rucco, Come si vede è stato particolarmente bello accogliere l’invito rivolto dal Sinodo
e per esso dalla Tavola valdese di fraternizzazione BMV!
I diritti degli
immigrati
SALERNO — Si è svolto mercoledì 13 dicembre scorso un interessante convegno cittadino
per dibattere il tema dei diritti
degli immigrati extracomunitari.
Gli organizzatori del convegno
(che si è svolto nel salone di rappresentanza della Provincia) sono stati: i sindacati confederali,
le ACLI, Pax Christi, Senza
Frontiere, Collettivo politico uni
versitario, la locale Chiesa metodista e varie associazioni di
volontariato.
Il convegno è stato aperto da
una relazione del past. Giovanni
Anziani il quale, a nome della
Chiesa metodista, ha impostato il
tema dei diritti per gli immigrati nel contesto della battaglia per
i diritti dei lavoratori del nostro
Mezzogiorno. E’ stato ribadito
che l’attuale legislazione, pur riconoscendo i diritti dei lavoratori terzomondiali, di fatto non
pone in essere strumenti per risolvere i problemi vitali di questi
lavoratori: lavoro, casa, studio,
salute.
Molto ascoltato e applaudito è
stato l’intervento del rappresentante dei giovani senegalesi di
Salerno. Egli ha affermato che i
lavoratori extracomunitari vogliono integrarsi nella vita italiana, ma incontrano grosse e
dolorose difficoltà sia a livello
economico che a livello di vera
accoglienza.
Il vicepresidente della FCEI,
Fulvio Rocco, ha illustrato i programmi della Federazione, che
con il proprio Servizio Migranti
intende operare per costruire soprattutto una cultura della accoglienza.
Il dibattito è stato ricco e articolato. Esso ha voluto sottolineare la necessità di una « Convenzione antirazzista » come progetto politico perché tutte le forze
sociali della provincia di Salerno
sappiano operare per affrontare
e risolvere i problemi degli immigrati senza chiudersi in una burocratica e nebbiosa osservanza
di regolamenti polizieschi.
Una ’’palestra
di discepolato”
RIESI — Due serate, a fine novembre, di grande respiro culturale con un pubblico d’eccezione.
Giorgio Bouchard ha ripercorso
davanti a un pubblico numeroso
i contenuti del suo libro « I vaidesi e l’Italia ».
In Sicilia — è stato detto —
i valdesi sono arrivati perché i
siciliani hanno invitato i vari Malan. Gay... per avere un « vestito
su misura », cioè per sentire una
parola nuova con cui dar senso
alla propria vita.
Bouchard ha sottolineato il
quadro internazionale in cui si
muove quella «palestra di discepolato cristiano » che è la chiesa
valdese, popolo animato e sorretto dalla conoscenza biblica e da
un costume democratico.
Al dibattito, cui hanno contribuito Nunzio Cosentino, il cattolico L. Amarù e Jean-Jacques
Peyronel, si sono precisati alcuni
dei contenuti dell’analisi di Bouchard. Si è parlato dell’ignoranza che ancora circonda i valdesi,
fonte di continui equivoci ; di
« diakonia » come punto d’incontro tra chiesa e società.
E non sono mancate le contestazioni: don Pino Giuliana ha
criticato la collocazione ideologico-politica che i valdesi hanno
verso l’area social-comunista, ma
lo stesso ha dovuto incassare il
fatto che Chiesa cattolica e DC
(c’era ancora nell’aria la battuta
del cardinale Poletti : « Vi costi
anche sacrificio e ripugnanza, ma
votate ancora DC») vivono coh
ben altra profondità l’identificazione con il potere.
Le conclusioni, dopo un bel dibattito che ha visto un’ampia
partecipazione, sono di largo respiro : si tratta di vivere una spiritualità biblica, un « socialismo
luterano » e una femminilità evangelica. Più che il rigore conta
l’autenticità, più che i privilegi
la realtà. Sì, quindi, a un discepolato autentico, nel tentativo di
essere testimoni responsabili del
Regno. E sì alla scommessa ecumenica, purché fondata sulla Parola.
9
12 gennaio 1990
vita delle chiese ^
TRIESTE: CHIESA METODISTA
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Testimonianze di fede Giornata cevaa
Undici ammissioni in chiesa alla vigilia di Natale: storie e persone diverse animate tutte, però, da un’unica fede di evangelici
Domenica 24 dicembre è stata una giornata molto speciale
per la Chiesa metodista di Trieste, non solo perche si trattava
della vigilia di Natale, ma perché ben 11 nuovi membri venivano ammessi alla comunità.
Undici persone che costituiscono un « campionario umano »
quanto mai vario e tale da simboleggiare in maniera molto realistica la società nella quale questa chiesa è stata chiamata a
compiere la sua opera di evangelizzazione. Infatti sia l’età che
le condizioni e le professioni dei
nuovi membri sono quanto di
più diverso possibile: dai 16 ai
72 anni, maschi e femmine, operai, impiegati, pensionati, studenti, professionisti. Un dato però risulta comune a dieci tra
loro: si trattava di persone che
si sono convertite a Cristo provenienti da esperienze di vita
assai diverse le une dalle altre.
Molti tra essi appartenevano alla categoria dei cristiani anagrafici, altri daH’ateismo, altri dall’associazionismo cattolico, altri
da esperienze fondamentaliste.
Uno solo, il più giovane, ha percorso la sua esperienza di fede
proveniendo da una famiglia e
da una comunità evangelica.
Val la pena di riportare alcuni stralci delle loro confessioni
di fede rese durante il culto.
Per Maria Cristina Vilardo —
studentessa di lingue e programmista regista della RAI — la
fede è la strada lungo la quale
l’amore di Dio ci raggiunge e
poi ci accompagna lungo tutta la
nostra vita, un amore sul quale
si può veramente contare.
Livio Taverna — impiegato
bancario — ha dichiarato: « Ho
trovato una chiesa che risponde
al mio bisogno di spiritualità,
che sa guardare in alto camminando con i piedi ben piantati
sulla terra, che ci chiama ad
impegnarci come cristiani perché
le cose comincino ad andare meglio già in questa vita. Una chiesa dove non ho scorto forme di
bigottismo e di fanatismo, una
chiesa antica e moderna insieme, sobria, essenziale, che affonda saldamente le radici nelTEvangelo e nelle Scritture.
Leda Zega, psicoioga, italiana
di cittadinanza jugoslava, ha citato l’esperienza dell’apostolo
Paolo sulla via di Damasco dicendo fra l’altro: « Il primo culto al quale ho assistito quasi per
curiosità è stato un culto di Pasqua. Sono salita quella mattina
a Scala dei Giganti da atea ma
durante il servizio ho compreso
che la scritta che campeggia sul
muro ’’Dio è amore” era la parola dell’Evangelo per me. Così,
come accadde a Wesley 250 anni fa, ho sentito anche il mio
cuore aprirsi allo Spirito di Dio
ed ho compreso che ero arrivata
a casa, tra persóne che mi amano, che posso amare e che come me vivono della misericordia e della grazia di Dio ».
Sabrina Censky — 20 anni —
ha aggiunto: « In tutti questi anni, giorno dopo giorno, quasi
inavvertitamente, il Signore mi
ha accompagnato per mano verso una fede che non è stata più
solo religiosità ed abitudine.
Mettendo in onda i programmi
di Radio Trieste evangelica (è
un tecnico di RTE, ndr) ho imparato molte cose e partecipando ai culti del martedì sera ho
imparato a pregare e a parlare
con Colui che so essere sempre in ascolto, attento ai problemi grandi e piccoli delle sue
creature.
Radio Trieste evangelica ha
avuto un ruolo molto importante nel cammino di fede di
queste ed altre persone.
Giorgio e Vittoria Palmisano
— portieri del palazzo delTINA
a Trieste — sono entrati così a
contatto con la Chiesa metodista: « Abbiamo cominciato ad a
scoltare per caso, poi è diventata un’abitudine. Un giorno abbiamo telefonato, dopo una trasmissione , biblica, e abbiamo
chiesto una visita del pastore.
Con lui abbiamo imparato a leggere la Bibbia, a liberarci dagli
argomenti assurdi che i nostri
parenti Testimoni di Geova ci
spacciavano per certezze. Gesù
Cristo è per noi non solo il Figlio ma veramente TEmmanuele,
il Dio con noi, annunciato dai
profeti e dagli angeli a Betlemme ».
Il lavoro costante, umile, faticoso, tra mille difficoltà tecniche e finanziarie di RTE che
dura da oltre sette anni ha consentito a molte persone un cammino di alfabetizzazione biblica
e di approfondimento. Le lettere, le telefonate, le visite, le richieste di aiuto materiale e spirituale sono tante. Oltre ad essere uno strumento con il quale la comunità parla con la città, essa si è rivelata uno straordinario mezzo di ascolto per
le persone che sono in ricerca,
sole, ammalate, che hanno alle
spalle esperienze di delusione e
di fallimento esistenziale. Un la-voro di evangelizzazione cominciato prima della radio e portato avanti quotidianamente che
ha visto, in sei anni, l’adesione
di oltre trenta persone.
Sinteticamente le testimonianze di Laura Johnson e Matteo
Martelli (il più giovane, di quasi 16 anni). La prima ha detto:
« Ho scoperto che ero da sempre protestante anche senza saperlo, prima che la comunità mi
aiutasse a capire ». Il secondo
ha aggiunto: « Il mio cammino
di fede mi ha visto sempre in
compagnia di persone che mi
hanno testimoniato il Signore: i
miei genitori, il mio insegnante
di scuola domenicale, le persone
che incontro in chiesa. Fiosso
dire che oggi credo non solo per
quello che loro mi hanno insegnato ma perché, personalmente, ho creduto che Gesù Cristo
è il mio Signore e Salvatore ».
Anche Carlo, Piera, Claudia
(operaio saldatore il primo, pensionate le altre) hanno con brevi parole testimoniato la loro
fede.
Vittorio Gant
OSPEDALE EVANGELICO DI GENOVA
Il sistema
informativo clinico I
t..'. '
Il primo presidio sanitario interamente computerizzato in Italia - Uno strumento moderno
Nel mese di luglio di quest’anno è stata conclusa l’installazione
del sistema informativo clinico
deirOspedale evangelico internazionale di Genova. Tale sistema,
secondo un recente sondaggio effettuato da una commissione del
C.S.S., fa del nostro ospedale il
primo presidio sanitario d'Italia
integralmente computerizzato,
portandolo a livello dei più moderni centri d’Europa e d’oltreoceano.
A realizzare il sistema informativo è stata la società C.S.A. (Consci- Sistemi Avanzati) di Roma,
che aveva già realizzato diverse
installazioni del proprio sistema
Medisystem operanti in ambienti clinici divisionali e dipartimentali.
Ovviamente nel nostro caso si
trattava di trasferire le esperienze accumulate in tali installazioni
ad un sistema più ampio, valido
per tutto l’ospedale.
Si è così passati alla fase di
analisi delle esigenze informative dei reparti, servizi, ambulatori e Day Hospital ed ai meccanismi che ne regolano l’interscambio di informazioni: richieste, prescrizioni, invio di risultati,
refertazione, ecc.
Le singole stazioni di lavoro
sono state collocate nei luoghi
dove le informazioni cliniche si
rendono più necessarie o dove
tradizionalmente vengono raccolte.
Innanzitutto nelle infermerie di
reparto e negli studi medici, dove arrivano direttamente le schede di accettazione dei pazienti,
complete dei dati anagrafici. Lì
vengono completate dai medici
con i dati clinici riscontrati nel
corso della visita al ricovero. Dalle stesse stazioni di lavoro vengono inoltrate le richieste ai singoli servizi diagnostici, dove vengono preparate automaticamente
le liste delle prescrizioni. Una volta effettuate le indagini, il singolo referto viene caricato sulle sta
zioni di lavoro del servizio. A
questo punto tali referti sono direttamente consultabili dal reparto così come lo sono tutti i risultati delle analisi provenienti direttamente dal laboratorio centrale.
Inoltre, nella divisione di ostetricia e ginecologia vengono gestiti anche i dati specifici di sala
parto e del nido e nella chirurgia
il refetto dell’intervento chirurgico e il cartellino di anestesia. In
breve, tutti i dati clinici dei pazienti del nostro ospedale sono
gestiti, controllati, archiviati ed
immediatamente consultabili attraverso il sistema computerizzato.
Ovviamente i vantaggi che ora
vengono riscontrati sia da parte
del personale sanitario che della
direzione sono notevolissimi. Innanzitutto la completezza dei dati e la loro rapidità di consultazione garantiscono una qualità
dell’assistenza al paziente notevolmente superiore.
Inoltre, il colloquio via computer tra reparti e servizi ottimizza
le procedure organizzative interne preesistenti c garantisce una
indiscussa efficienza dell’intera
struttura clinica. Tale efficienza
si traduce in risparmi di tempo e
quindi ottimizzazione dei costi di
gestione.
Dati questi benefici ed il grado
di accettazione del sistema, stiamo accarezzando l’ipotesi di ampliare in futuro il sistema con
alcuni moduli integrativi della
C.S.A., come l'archivio ottico delle immagini diagnostiche e le stazioni di lavoro mobili per le visite di reparto. In definitiva, i sistemi computerizzati nel nostro
ospedale sono diventati una realtà concreta e vengono visti da
parte del personale sanitario come un moderno strumento di lavoro in grado di assisterlo quotidianamente nella pratica clinica.
Luciano Giuliani
TORRE PELLICE — Domeni
ca 14 gennaio, alle ore 15, presso la casa unionista, in occasione della giornata della CEVAA,
avrà luogo una giornata comunitaria. Parteciperà il coretto e
sarà proiettato un film sulla
missione in Madagascar.
• L’Evangelo della resurrezione è stato annunciato più volte
nelle ultime settimane, in occasione dei funerali di Vittorio Carignano, Febe Allosio, Luigia Frache, Enrico Comba, Lidia Rivoire
Geymet; alle famiglie in lutto
esprimiamo la cristiana simpatia della comunità tutta.
• Domenica 21 gennaio, dopo
il culto, avrà luogo un’assemblea
di chiesa sui rapporti ecumenici.
Note liete
e tristi
POMARETTO — Ida e Vitale
Jahier hanno festeggiato il loro
50° anniversario di matrimonio;
che lo spirito del Signore continui ad accompagnarli negli anni
che verranno.
• Presso l’ospedale di Pinerolo è deceduta la nostra sorella in
fede Gemma Galliano; il servizio funebre ha avuto luogo presso il tempio di Villar Porosa. La
comunità esprime ai familiari la
sua cristiana simpatia.
Grazie!
PRAMOLLO — Ringraziamo di
cuore il pastore Paolo Ribet che
ha presieduto il culto del 24 dicembre, portandoci un messaggio molto coinvolgente ed effi
• Ci ha lasciati improvvisamente, dopo un brevissima ricovero presso l’ospedale di Pomaretto, il fratello Levy Long
(Pellenchi) all’età di 75 anni.
La comunità tutta è vicina ai
familiari ed in modo particolare alla moglie, esprimendo la
propria fraterna solidarietà cristiana.
Lutto
VILLASECCA — L’Ev-angelo
della resurrezione e della vita
eterna in Cristo è stato anmmciato in occasione della morte
della sorella in fede Lidia Leger
ved. Rostan. Ai familiari tutti
rinnoviamo l’espressione della
simpatia umana e della comunione di fede di tutta la comunità.
Riunioni quartierali
ANGROGNA — Le riunioni di
gennaio sul tema delTecumenismo continuano al Capoluogo il
15, al Martel il 16, al PrassuitVernè il 17 e agli Odins-Bertot
il 18, sempre alle ore 20.
• Il Concistoro si incontra sabato 20 alle ore 20,30 per l’esame della situazione finanziaria a
chiusura dell’anno ’89.
PRALI — Le riunioni quartierali del mese di gennaio seguiranno il seguente calendario: 16
Malzat, 17 Pomieri Giordano, 18
Orgere, 23 Ghigo; l’argomento
delle riunioni sarà la proposta di
ristrutturazione di Radio Beck■with, e non l’Epifania, come
annunciato su « La Lucerna ».
• L’Unione femminile si riunisce giovedì 18 gennaio presso
il presbiterio, alle ore 14.
In questa rubrica pubblichiamo le
scadenze che interessano più chiese
vaidesi delle valli. Gii avvisi vanno fatti
pervenire entro ie ore 9 dei lunedi
precedente la data di pubbiicazione
del giornale
Giovedì 11 gennaio
a COLLETTIVO BIBLICO
ECUMENICO
TORRE PELLICE — L’attività del gruppo prosegue con la riunione alle 'ore 21,
presso il Centro d’incontro.
Domenica 14 gennaio
□ ASSEMBLEA
DELLE CORALI
PINEROLO — Alle ore 15, presso i
locali della chiesa vadese di via dei
Mille, si riunisce l’assemblea delle corali; all’ordine del giorno: festa di canto 1990; corale del Madagascar; varie.
Domenica 14 gennaio
□ COPPIE
INTERCONFESSIONALI
PINEROLO — L’incontro, presso la
chiesa valdese di via dei Mille 1, ha
come tema; « Carta dei diritti delle
coppie interconfessionali: discussione
ed eventuale approvazione ■>; introduce
il gruppo di Torino.
___ Lunedì 15 gennaio
□ COORDINAMENTO
FGEI
PINEROLO — Alle ore 21, presso i
locali della chiesa valdese in via dei
Mille 1, si riunisce il coordinamento
FGEI valli, aperto a tutti i .giovani interessati; tema dell'incontro: « la paura ».
Domenica 21 gennaio
□ ASSEMBLEA DEL
1°CIRCUIT0
LUSERNA S. GIOVANNI — Presso
la Sala Beckwith di Luserna S. Giovanni, alle ore 15. è convocata l’assemblea
del I Circuito. Partecipano il past.
battista Emmanuele Paschetto e il membro metodista della Tavola G. Paolo
Ricco, per introdurre la discussione
sulla Assemblea battista e Sinodo congiunti che avrà luogo in autunno.
Domenica 28 gennaio
□ ASSEMBLEA TEV
TORRE PELLICE — Alle ore 15, presso i locali di viale Mazzini, si svolge
l'incontro mensile della TEV.
MESTRE — Venerdì 19 gennaio, alle ore 17,30, presso il tempio valdese
di via Cavallotti 8, il past. Alfredo
Berlendis presenta il libro di don Luigi Sartori: « L'unità della chiesa. Un
dibattito e un progetto ». Presiede l'Incontro Sandro Dell'Aquila.
CORATO — Nel quadro di un programma di corso biblico sull’Esodo or
ganizzato dal XIV Circuito, Il prof.
Michele Sinigàglia terrà una lezione
presso la chiesa valdese sabato 13
gennaio alle ore 17. Informazioni 080/
333091.
TARANTO — Il prof. Michele Sinigaglia terrà una lezione sull'Esodo
presso la chiesa valdese alle ore 17
di sabato 20 gennaio. Informazioni
099/331017.
10
10 v^alli valdesi
12 gennaio 1990
TORRE RELUCE: GALLERIA D’ARTE CONTEMPORANEA
Nel futuro una fondazione
Seri e
dignitosi
L’affare Brasile continua, seguendo le regole del più classico
’’feuilleton" di bassa lega, improbabile, assurdo, monotono e triviale. A tre settimane da quando
si è sparsa la voce di un’eventuale permanenza della Nazionale di
calcio brasiliano all’Hótel Gilly
di Torre Pellice, in occasione del
campionato del mondo, ancora
non è emersa alcuna risoluzione
e si limitano ad affiorare, giorno
dopo giorno, tutte le scorie di
quell’universo fasullo che è la galassia del miliardario mondo pallonaro. Il dio pallone passa sopra
— è risaputo — alle baraccopoli
italiche e alle favelas sudamericane, macina quattrini sugli entusiasmi popolari, sazia con una pedata ataviche e legittime fami,
con una pedata colma languori
effimeri e fa ricchi i nuovi affamatori.
E’ legittimo, è possibile, è credibile, è corretto, è proponibile, è
auspicabile, è giustificato prestarsi a questo gioco? La domanda
non è nostra: fluttua fra la gente
dopo tre settimane di tira-e-molla
fra il Brasile e i suoi piccoli dei
e il nostro comitato di valle che
vorrebbe essere protagonista, per
un mesetto scarso, delle cronache
mondiali. Nella prima riunione
pubblica sull’argomento il presidente della Comunità montana
vai Pellice, Longo, ha detto:
« Dobbiamo fare una cosa seria,
dignitosa, possibile ». E queste
parole erano serie e dignitose, e
come tali sono state accolte e rispettate. Ma adesso questi limiti
sono ampiamente superati. Siamo fuori: non più seri, perché
non solo ci si arrampica sui vetri ma ci si arrampica su vetri
che non ci sono (il Brasile forse
verrà; il Gilly sarà ampiamente
all’altezza della situazione; ma le
migliaia di persone al seguito dove le mettiamo? Forse al Pra?).
Non più dignitosi perche ormai
si parla chiaramente di tangente,
una parolina che combattiamo (a
parole) tutti i giorni, che contemporaneamente usiamo per giustificare in qualche modo errori politici, errori sociali, malcostume
imperante e incalzante. Certo, è
sempre il malcostume degli altri;
certo, è il malcostume che riguarda l’altra Italia, il malcostume
della mafia, della ’ndrangheta e
della camorra, non il nostro.
Ma tangente è anche la richiesta plateale di una contropartita,
tangente è dire e pretendere: io
faccio questo ma però tu fai quello. Tangente è forzare la mano
artatamente in una situazione
ineluttabile che non può essere
modificata comunque. E questa
tangente è scritta a caratteri cubitali su tutti i giornali. Siamo
sicuri di non saperla vedere e
discernere, e capire e individuare? O siamo accecati dai sogni di
gloria? Siamo all’altezza di affrontare fino in fondo questa
grande presa per i fondelli di chi
vuole mungere prima il soggiorno, poi le strutture, poi l’assistenza medica e adesso anche il rimborso delle spese di viaggio?
Se non altro, il gioco al rialzo
sta per finire. Entro il 15 gennaio
infatti anche i carioca, come tutti, dovranno comunicare al Col
e alla FIFA il loro alloggiamento
per i mondiali. E se i tecnici
avranno optato per Torre Pellice,
ci verranno comunque, al di là
delle nostre pretese esche o, piuttosto, delle somme che saranno
riusciti a fagocitare. Se invece gli
interessi saranno diversi, "Hasta"
la vistai
Stelio Armand-Hugon
Stenta a decollare la
stemazione all’ex casa
Tante, tantissime persone hanno voluto circondare del loro affetto Filippo Scroppo in occasione della festa indetta per il suo
80° compleanno, sabato scorso a
Torre Pellice. Giornalisti, critici
d’arte, ex allievi, amici, fratelli e
sorelle di fede hanno voluto essere presenti al simipatico pomeriggio.
L’incontro ha anche fornito
l’occasione per una riflessione su
un problema vecchio ma sempre
attuale, e cioè la necessità e l’importanza di trovare una sede adeguata per la mostra di arte contemporanea, che ha visto proprio
il pittore Scroppo fra i promotori. Come è noto infatti, fino ad alcune stagioni or sono i quadri,
dono di molti e prestigiosi artisti, erano esposti al pubblico nello stesso edificio che ospitava il
museo valdese; ma al momento
del trasloco di quest’ultimo si è
avvertita la necessità di una nuova e adeguata sede. Si sono formulate in questi anni varie ipotesi ed infine si è individuata quale
possibile sede la cosiddetta ex
casa Bert, un edificio adiacente il
municipio di Torre Pellice, da
tempo acquistato dalTamministrazione comunale, ma sul quale
sono necessari interventi di ristrutturazione consistenti. Dove
reperire i soldi necessari ai lavori?
« C’è molta difficoltà a reperire fondi per la cultura », ha detto alla festa di Scroppo il presidente della Comunità Montana
Piercarlo Longo, aggiungendo:
«Sembra ci sia maggiore interesse
ad occuparsi dell’arrivo in valle
della nazionale di calcio brasiliana che di dare l’adeguato risalto
a questa mostra^. Perché, è chiaro, al di là del valore commerciale dei quadri, queste opere
d’arte rappresentano anche una
forma di comunicazione; ma come si può avere comunicazione se
i dipinti restano al chiuso, senza
poter essere visti dalla gente?
Dunque veramente i tempi per
la nascita di questa mostra sono
cosi lunghi?
« Il discorso — ci ha detto il
sindaco Armand Hugon — non è
per niente nuovo, nel senso che
già nel momento di presentare le
nostre candidature come amministratori nel 1985 avevamo davanti il problema, prevedendo come possibile soluzione una parte
dell’ex casa Bert. In questi anni
però, almeno due fatti hanno inciso negativamente sulla rapidità
della soluzione: la non disponibilità da parte della Regione a finanziare l’operazione in quanto
già impegnata nel museo valdese,
e la necessità di indirizzare le sue
possibilità di mutuo verso le
scuole di viale Dante, nella misura di 400 milioni, una cifra che
era prevista a copertura di una
prima trancile dei lavori all’edifìcio destinato alla galleria ».
Dunque il progetto di massima
vedrà un rinvio al 1990 per quanto riguarda l’eventuale concessione di un mutuo statale; quanto si
prevede di spendere per questi
lavori?
« La cifra prevista va ben al di
là del miliardo, per cui è chiaro
che il Comune di Torre Pellice da
solo non potrà che andare avanti
molto lentamente. Una ulteriore
ipotesi concreta potrebbe derivare dalla prospettiva di costituire
una ’’fondazione" mista a carattere pubblico e privato, con il concorso di tutti coloro i quali, fin
qui, si sono dichiarati disponibili
(per ora solo a parole) a sostenere il progetto.
Detta "fondazione" potrebbe anche "solo" avere il compito
di gestire tutta l’operazione, una
volta messa in piedi, e sarebbe già un grosso passo avanti. Al
momento stiamo studiando una
bozza di associazione in grado di
dar gambe al progetto ».
Piervaldo Rostan
realizzazione della sede permanente - La siBert - Nuove difficoltà nel reperire i fondi
L’ex casa Bert
pare destinata
ad ospitare
la galleria d’arte
contemporanea.
TRE INCONTRI A PINEROLO
Affrontare i problemi
deirhandicap
Una tutela efficace e autentica dei disabili
mentali - Situazioni diverse per età e gravità
Da pochi mesi è sorta nella
nostra zona la sezione Valli pinerolesi dell’ANFFAS (Associazione nazionale famiglie fanciulli
adulti subnormali), che dal 1958
opera per la tutela dei diritti
dei disabili mentali di ogni età
e gravità (ritardati, insufficienti mentali, sindrome di Down,
cerebrolesi, psicotici, autistici,
ecc.) ed ha ottenuto nel 1964 il
riconoscimento giuridico da parte dello Stato.
L’ANFFAS si occupa dei vari
problemi che riguardano Thandicap mentale: prevenzione, riabilitazione, integrazione scolastica ed inserimenti lavorativi,
strutture diurne dopo la scuola
delTobbligo e quelle residenziali
per gli orfani o per quelli i cui
genitori, anche temporaneamente — specie se anziani — non
possono più occuparsene adeguatamente.
Ma per poter affrontare le varie questioni in modo globale
ed efficiente, per intraprendere
le lotte per la tutela dei diritti
degli handicappati, per collaborare criticamente con le istituzioni per la migliore riuscita delle strutture come risposte diversificate ed adeguate ai molteplici
e vari bisogni degli utenti, occorre essere numerosi, partecipi
e solidali.
Alcuni problemi sono già stati
affrontati dalla società con risultati non sempre ed ovunque positivi, altri devono ancora essere affrontati in modo coerente
ed efficace.
Per questi motivi la sezione
ANFFAS Valli pinerolesi, che ha
competenza statutaria sui territori delle USSL 42-43-44, richiede
la collaborazione sia dei familiari dei portatori di deficit intellettivo, che vivono sulla propria
pelle la loro difficile situazione,
sia di quei cittadini che, sensibili al problema, vogliono contribuire alle nostre azioni con
idee, proposte, aiuti concreti.
A tale scopo la sezione Valli
pinerolesi ha indetto tre incontri di discussione, riflessione e
proposte su argomenti di grande attualità ed impegno, il primo dei quali ha già avuto luogo
nello scorso dicembre alla presenza di un pubblico non folto,
ma attento e partecipe.
Sono emersi i vari problemi
della scuola riguardanti l’integrazione scolastica degli handicappati, in modo particolare quelli
legati al sostegno, di cui
l’ANFFAS ha preso buona nota
per i suoi interventi presso il
Ministero ed il Provveditorato
agli studi di Torino.
I prossimi incontri si terranno: venerdì 12 gennaio 1990, ore
15, sul tema: « Dopo la scuola
delTobbligo che cosa si prospetta per gli handicappati psichici? »
(si tratterà di formazione professionale, C.S.T., inserimenti lavorativi, cooperative, ecc.) e venerdì 26 gennaio 1990, ore 15,
sul tema: « Che cosa sarà dei
nostri figli handicappati psichici ’’dopo di noi” »? (si parlerà
di comunità alloggio, case protette, ecc.).
Le due riunioni avranno luogo presso la scuola elementare
« Cesare Battisti » in via Brignone 2 a Pinerolo.
Re. Nard.
Manca l’acqua
Il gelo di queste ultime settimane ha gelato lontane e tubi
dell’acquedotto in parecchi comuni delle valli. Particolarmente
grave è la situazione di Prarostino dove si è dovuti ricorrere
ad autobotti che riforniscono
giornalmente i serbatoi dell’acquedotto. Grave è anche la situazione idrica a Fontane (nel
comune di Salza) dove è gelata
una parte dell’acquedotto appena costruito e i pochi abitanti
sono privi di acqua potabile.
Una sola USSL
PINEROLO — La Democrazia Cristiana si batterà « per una
sola USSL per tutto il pinerolese ». Infatti la DC è « cosciente che se restasse confermata
l’autonomia delle valli, gli svantaggi che avrebbe TUSSL 44 si
ripercuoterebbero anche su di
esse perché la struttura ospedaliera di Pinerolo può essere solo potenziata con l’ampliamento
del territorio ».
Finalmente parole chiare a Pinerolo, mentre nelle valli gli esponenti democristiani la pensano alToppcsto. Ma di chi sono
le responsabilità della gestione
deU’USSL 44, che non riesce nemmeno a spendere i soldi che ottiene dalla Regione? Perché le
assemblee che sono convocate
per approvare il bilancio vanno
deserte per mancanza persino di
parte del Comitato di gestione?
Alla USSL di Pinerolo, la DC è
maggioranza assoluta (ma governa insieme ai socialisti).
A quando ¡1 gas?
BOBBIO PELLICE — « La gen
te vuole il gas, e questa amministrazione ha preso l’iniziativa
di farlo arrivare il più presto
possibile »: queste in sintesi le
proposte che il sindaco Aldo
Charbonnier ha fatto all’assemblea convocata dalTamministrazione comunale venerdì 5 gennaio.
Le proposte sul tappeto sono
due. La prima, della ditta Lampogas, prevede la costruzione di
un grande serbatoio nei pressi
del concentrico e di altre piccole cisterne per le borgate. In
questi serbatoi verrebbe stoccato propano liquido che verrebbe
distribuito agli utenti attraverso
una canalizzazione. L’allacciamento per ogni punto di utenza
dovrebbe costare circa 700.000
lire, ma l’utente dovrebbe modificare completamente il proprio
impianto. In pratica dovrebbe
dotare la propria abitazione di
una caldaia nuova.
La seconda è quella dell’estensione anche a Villar Pellice e
Bobbio della rete del metano
delTItalgas, che arriva oggi fino
ai Coppieri di Terre. Il costo di
allacciamento sarebbe più o meno uguale, mentre i lavori da
fare si limiterebbero al cambio
del bruciatore. Per Giuseppe
Berton, consigliere comunale ma
anche idraulico del paese, quest’ultima soluzione sarebbe migliore e l’altra dovrebbe invece
essere attuata per le borgate
sparse.
Il Comune chiederà nei prossimi giorni progetti precisi alle
due imprese e convocherà una
ulteriore assemblea degli abitanti.
VISUS
di Luca Regoli & C. s.n.c.
OTTICA - Via Arnaud, 5
10066 TORRE PELLICE (To)
Il posto degli occhiali
L’OTTICO DI LUSERNA
di Federico Regoli & C. s.n.c.
Via Roma, 42
10062 LUSERNA S. GIOVANNI (To)
11
12 gennaio 1990
valli valdesi 11
RACCOLTA DIFFERENZIATA DEI RIFIUTI
C’è chi non la conosce
Volontariato e punti di raccolta a cura dei Comuni - Buona l’abitu- —Amnesty international
dine a raccogliere il vetro, ignorati i farmaci - Un utile libretto
La raccolta differenziata rappresenta in molti casi un modo
significativo di rispondere all’aumento crescente di rifiuti da
smaltire, con relativi oneri a carico dei cittadini. Ci sono paesi
in cui si effettuano ben sette diversi tipi di raccolta « a monte »,
cioè nelle abitazioni domestiche,
riducendo la quantità di rifiuti
anche del 50%. Da noi questi livelli sono ancora ben lontani,
tuttavia da alcuni anni tentativi
concreti si sono realizzati; in alcuni casi il tutto viene affidato a
gruppi di volontariato, in altri
i Comuni hanno istituito dei punti di raccolta.
Come ci si è mossi nelle valli
pinerolesi? Quanto la raccolta
differenziata è entrata nella mentalità generale, diventando alla
fine un’abitudine?
Abbiamo fatto un giro per le
valli, intervistando delle persone
a caso; da Pinerolo a Perosa a
Bricherasio, si può dire che tutti
conoscano resistenza della raccolta del vetro, anche perché i
punti di raccolta sono ben evidenti; analoghe le risposte per le
pile usate. Diversamente accade,
ad esempio, per quanto riguarda
la raccolta dei farmaci scaduti o
degli oli esausti, dalla metà circa
degli intervistati ignorata.
Abbiamo anche incontrato, a
Pinerolo, dei giovani che ci hanno
risposto che « l’eliminazione delle bottiglie dai rifiuti avviene p^r
ridurre i rischi di infezione per
i netturbini », oppure che « i farmaci scaduti, con un semplice
trattamento, possono essere ’’rigenerati” e rimessi in commercio »: si tratta ovviamente di risposte che ci fanno capire quanto sia ancora necessaria non soltanto una cultura ecologica, ma
anche una semplice e corretta informazione.
Rispetto alla Comunità Montana Val Penice USSL 43 va segnalato a questo proposito un libretto che, edito in alcune migliaia di
copie, verrà posto in distribuzione nei Comuni della valle e reca
tutta una serie di indicazioni.
Realizzato in qollaborazione con
membri del comitato ambiente
vai Pellice, presenta nella prima
parte l’illustrazione delle buone
ragioni per operare un recupero di molti rifiuti: produrre
carta, vetro, lattine ecc. costa,
non soltanto in termini di materia prima, ma anche di energia,
molto di più che riciclarli.
Secondo quanto comunicato
con il libretto, in valle sarebbe
attivata la raccolta di vetro, car
Cinema
Occorre cercare presto nuove vie allo smaltimento dei rifiuti.
ta, farmaci scaduti, ferro, pile,
olio esausto. In realtà in molti
Comuni esistono ancora difficoltà
a reperire gli appositi contenitori, oppure risultano, in particolare per il vetro, moltp spesso stracolmi, con il risultato che la gente lascia le proprie bottiglie accanto ai contenitori con evidenti
rischi di successive rotture. La
stessa raccolta carta è spesso
molto limitata e quella dei farmaci scaduti, in appositi contenitori esterni alle farmacie, risulta allo stato attuale un pro.getto.
Nelle valli Chisone e Germanasca la raccolta dei farmaci avviene tramite gli ambulatori e le
farmacie: l’USSL ritira i contenitori e ne cura lo stoccaggio. La
raccolta delle pile avviene, analogamente alla vai Pellice, tramite
i negozi che le vendono, mentre
la raccolta vetri, effettuata a livello comunale, si avvale di un
camion attrezzato dalla Comunità montana.
Per quanto riguarda i cosiddetti rifiuti ingombranti (vecchi frigoriferi, lavatrici, ecc.), mentre in
vai Pellice alcuni Comuni si sono
dotati di appositi cassoni, nel territorio deU’USSL 42 esiste un cassone posizionato a rotazione nei
vari Comuni.
Sono stati, infine, resi noti alcuni dati rispetto a quanto realizzato: per quanto riguarda il vetro l’ACEA, che ha iniziato tale
raccolta nel 1986, ha comunicato
un aumento dai 5 Kg prò capite
dell’inizio a 9 Kg/persona per il
1989.
L’iniziativa per la raccolta della
carta è partita tramite l’ACEA
a Pinerolo nel 1988, sia con mezzi
propri, sia affidando per un certo periodo ad una cooperativa di
Pinerolo l’incombenza.
Per la carta si è ben lontani dal
VALLI CHISONE E GERMANASCA
E le pluriclassi?
k
Il secondo incontro sul futuro
delle scuole pluriclassi sulle quali tra poco cadrà la scure della
« razionalizzazione », o meglio
della soppressione, ha avuto luogo il 21 dicembre nella sede della
Comunità Montana, con scarsa
partecipazione.
Si trattava di raccogliere esperienze di insegnanti che mettessero in luce come in montagna si
possa raggiungere un buon livello di istruzione anche con pochi
alunni, avvalendosi delle tecniche
didattiche ormai diffuse ovunque.
Si può pensare che soltanto
le scuole della città con monoclassi, fornite di laboratori e di
ogni aggeggio moderno, siano
produttive sul piano educativo.
In realtà questo modello scolastico non è il solo possibile: nei
piccoli centri una scuola inserita nell’ambiente, con un basso
numero di alunni in diverse clas
si, rappresenta un nucleo vitale
per tutta la popolazione e consente l’acquisizione di conoscenze che i bambini di città non si
sognano :nemmeno.
Questo è stato detto e ripetuto
nelle relazioni e durante gli interventi, ma anche se tutti ne siamo abbastanza convinti chi decide si baserà unicamente sulle nude cifre e queste sono purtroppo
a sfavore delle valli Chisone e
Germanasca, dove la denatalità è
fortissima.
Ma l’Europa del ’93 potrà permettersi la desertificazione delle
Alpi, nel bel mezzo del suo territorio? O si dovrà far qualcosa
per mantenere la gente in montagna, con mezzi per vivere e conseguentemente le scuole per i figli?
E’ una domanda che per il momento non trova risposte.
riciclaggio totale, in quanto le
cartiere, pur dimostrando sforzi
tecnologici innovativi nel ciclo
produttivo, trovano ancora molte
difficoltà per le impurità complesse e quindi costi elevati per
la loro rimozione.
L’azienda ha distribuito in 14
scuole cittadine 14 campane: dal
mese dì marzo ’89 si è anche iniziata la raccolta presso il Comune
di S. Secondo di Pinerolo.
Più complesso il discorso per i
metalli.
Il quantitativo di ferro presente nei rifiuti solidi urbani rappresenta il 2-3% ed è concentrato nei
rifiuti ingombranti, quali elettrodomestici, mobilio, carcasse di
autoveicoli, tv e lattine per conserva in banda stagnata.
Il piombo è essenzialmente presente negli accumulatori per autoveicoli.
L’alluminio è il metallo più importante e quello più presente nei
RSU (rifiuti solidi urbani) ed in
Italia si calcola un consumo di
1.400 milioni di lattine.
Nei programmi deH’ACEA vi è
la proposta di raccogliere le lattine con apparecchiature che riducano volume e costi.
Piervaldo Rostan
Mauro Meytre
Dibattiti
PINEROLO — Il dibattito in corso
nel POI e l'interesse verso I temi che
ne stanno alla base hanno indotto il
partito comunista di Pinerolo ad organizzare tre incontri pubblici nel corso
del mese di gennaio, il primo dei quali si svolgerà presso la sede del PCI
in corso Torino 18, lunedì 15 alle
ore 21; tema della serata sarà: « Il
vento dell'Est »; relatore Franco Livorsi, docente universitario presso la facoltà di Scienze politiche a Torino.
PINEROLO — Venerdì 12 gennaio
alle ore 21 presso il Centro sociale
di via Lequio si terrà un incontro pubblico sulla situazione in Palestina. Claudio Canai, che ha partecipato alla marcia pacifista e alla catena umana, riferirà la sua esperienza nei campi profughi e a Gerusalemme.
Spettacoli
BOBBIO PELLICE — Sabato 13 gennaio, alle ore 20,30, presso la sala
polivalente di via Sibaud, si svolgerà
una serata ricreativa, con l'esecuzione di brani musicali revival ed una
esibizione del mago Harry Waldis;
l'introito verrà devoluto a favore della ristrutturazione dell'ospedale valdese di Torre Pellice.
Lettere all'Eco delle Valli
RICORDANDO
NINO SUPPO
L. V.
Caro Direttore,
un tempo ero molto contrario al
culto dei morti. Quando un partigiano
moriva i compagni si preoccupavano
di fare il « ricordino » stampato con la
fotografia, e qualcuno rischiò la vita
per andare in tipografia. L'elogio era
sempre senza riserve. Ora la mia irritazione è diminuita e, com’è naturale per l'età, mi sento più vicino ai
morti. Ci pensavo prima di andare al
funerale di Nino Sup. Nino Suppo,
Lo ricordo una volta quasi ventenne
con i pantaloni corti sopra il ginocchio
e un'arma, un moschetto credo, su
un'altura forse sulla destra della Val
Pellice, Poche parole. Sapeva perché
combatteva. Dopo la guerra l'ho incontrato raramente, capitava che non
lo riconoscevo.
Penso qualche volta ai giovani che
oggi hanno l'età che lui aveva quarantacinque anni fa. Li conosco poco
e loro sanno poco di noi. C'è stata
a Torre una riunione sull'autunno del
1943. Non sono venuti: non saranno
stati sufficientemente sollecitati, ma
anche poco gliene importava. E poco
importa il passato anche alla generazione intermedia e perfino a chi quel
passato l'ha vissuto. L'orizzonte geografico si è allargato, la dimensione
storica si perde per molti, o piuttosto geografia e storia si presentano
come una gran confusione da cui
prendere pezzi che volta per volta incuriosiscono. Si è cittadini di un mondo un po' caotico. E' difficile farsi
delle bussole per orientarsi. Sembra
che tutti abbiano torto e ragione, nei
fatti, e nella storia, un po' di torto
e un po' di ragione. Così, lottizzata la
verità o neanche presa in considerazione, sembra di non aver problemi
di scelta. E' come per un certo ecumenismo, che va anche oltre il cristianesimo, Che vuoi distinguere? Non
siamo già quasi in un paradiso beiate, o esso è da raggiungere al più
presto? E i problemi sono tante di
lunga durata da dissolversi in una
atemporalità, almeno per quanto riguarda il passato. 0 questa è una faccia della medaglia e l'altra è la disperazione?
Il fifty-fifty non serve a nulla. Non
serve a capire né la Resistenza né il
Rimpatrio (v, per esempio gli articoli
su L'indice e Geodes). Il dubbio, la
critica, la consapevolezza del fatte
che non si fan le frittate senza rompere le uova, che le mani si sporcano sempre non vogliono dare ragione all'uno e all'altro al 50%. Quel
che è giusto o vero raramente sta nel
mezzo. Neanche Salomone lo voleva.
(Anche se poi nero su bianco significa
soltanto un grigio scuro su un grigio
chiaro).
Esagero? Non è sempre così. Pare
certo. Ma per dare un senso alle cose, contro I'“ entropia » è importante
riannodare il filo della storia. E' lecito rinnegare le radici, ma non si può
abolirle in un arco che va dal passato
all'avvenire mentre ci si può anche
illudere, o seriamente credere o tentare, di diventare padroni dell'Llniverso.
Che paroioni. E' solo un tentativo
di dialogo fra vecchi che non muoiono e giovani che non si rendono conto di invecchiare. Per ora basta. Saluti.
Gustavo Malan, Torre Pellice
TORRE PELLICE — Giovedì 11 gennaio, ore 16,45, avrà luogo al Centro
d'incontro (via Repubblica 1) una riunione con il seguente o.d.g.; a) Azione urgente: Somalia, condanne a morte. b) Azione urgente: El Salvador,
tre leader sindacalisti minacciati di
morte, recenti attentati ed uccisioni
di leader dei sindacati e delle cooperative. c) Pena di morte: ultime notizie dal mondo, d) Assistenza all'ex
prigioniero turco Ali R. Duman.
RINGRAZIAMENTO
« Giustificati, dunque, per fede,
noi abbiamo pace con Dio per
mezzo di Gesù Cristo, nostro
Signore »
(Rom. 5: 1)
I parenti di
Lìdia Leger ved. Rostan
ringraziano tutti coloro che hanno dimostrato stima ed affetto verso la loro
cara. In particolar modo ringraziano i
vicini di casa, il past. A. Rutigliano, il
dr. Meli.
Riclaretto/Trossieri, 31 dicembre ’89.
RINGRAZIAMENTO
« Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa,
ho serbato la fede »
(II Timoteo 4: 7)
I familiari di
TORRE PELLICE — Nel prossimo fine settimana II, cinema Trento ha in
programma « L’attimo fuggente », sabato 13 (ore 20 e 22,15] e domenica
14 (ore 15,45, 18, 20,15, 22,25).
Levy Long
POMARETTO — Il cinefórum ha in
programma, venerdì 12, ore 21, « Pranzo reale »; la rassegna si svolge presso il cinema Edelweiss.
ringraziano sentitamente tutti coloro
che con scritti e presenza hanno partecipato al loro grande dolore, in particolare il personale medico e paramedico dell’Ospedale valdese di Pomaretto,
il dott. Broue, il pastore Vinti e l’Associazione alpini.
Pramollo, 3 gennaio 1990.
RINGRAZIAMENTO
(( Alzo gli occhi ai monti,
donde mi verrà l’aiuto? »
(Salmo 121: 1)
La famiglia di
Susanna Rostan
ringrazia tutti coloro che le sono stati
vicini in questi giorni tristi.
Un grazie particolare a tutto il personale dell’Ospedale valdese di Pomaretto, al dott. Meli e al pastore G. Piescan.
Frali, 6 gennaio 1990.
E’ mancato all’affetto dei suoi cari
Teodoro Peyrot
medico chirurgo
Lo annunciano, a funerali avvenuti,
i parenti tutti.
Torre Pellice, 7 gennaio 1990.
RINGRAZIAMENTO
« Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa,
ho serbato la fede »
(II Timoteo 4: 7)
I familiari, commossi, ringraziano
quanti hanno preso parte al loro dolore
per la perdita di
Marco Ayassot
Pinerolo, 7 gennaio 1990.
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Croce Verde Porte: Tel. 201454.
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(Distretto di Pinerolo)
Guardia medica :
Notturna, prefestiva, festiva: Tele
fono 2331 (Ospedale Civile].
Ambulanza :
Croce Verde Pinerolo: Tel. 22664
USSL 43 - VAL PELLICE
Guardia medica ;
Notturna, prefestiva, festiva; Telefono 932433 (Ospedale Valdese].
Guardia farmaceutica ;
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909031.
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CRI Torre Pellice: Telefono 91.996.
Croce Verde Bricherasio: tei. 598790
12
12 fatti e problemi
12 gennaio 1990
Nello scorso mese di dicembre
rintifada, la lotta disarmata del
popolo palestinese, è entrata nel
suo terzo anno di vita o, meglio,
di morte.
La situazione
Si calcola che nei due anni trascorsi ammontino a circa 700 i
palestinesi uccisi dagli israeliani,
mentre i feriti superano i 40.000.
Sempre nello stesso lasso di tempo almeno altri 40.000 palestinesi sono entrati o usciti di prigione, mentre altri 10.000 si trovano
tuttora, senza processo, nel lager Ansar III, nel deserto del
Negev.
Come noto, l’Intifada è un’espressione della resistenza di
massa alla più che ventennale
occupazione israeliana. Da un lato la Cisgiordania, sottratta ad
88.000 abitanti palestinesi in ragione di oltre il 53%, e data a
50.000 « coloni » israeliani. Dall'altro la striscia di Gaza, in cui un
terzo della terra è stato distribuito ai coloni, mentre i 650.000
abitanti sono stati stipati in ghetti che di umano hanno poco.
Il mensile « Arabies », edito a
Parigi e dedicato al mondo arabo, ha pubblicato nel numero
dello scorso dicembre due servizi
su questa drammatica situazione,
comprendenti, l’uno, un reportage nei luoghi stessi dell’Intifada
e l’altro una intervista al leader
deirOlp. Arafat.
Innanzitutto, si ha la conferma
che rintifada è un movimento
giovanile, anche se dietro ad esso vi è la intera società palestinese: oltre la metà della popolazione della Cisgiordania e di
Gaza ha meno di vent’anni.
Le prime forme di strutturazione del movimento sono state
espresse tramite comitati, che oggi si sono assunti specifiche funzioni socio-politiche: cure mediche, attività scolastiche, aiuti all’agricoltura, approvvigionamenti
PALESTINA
Intifada, anno terzo
1 comitati di organizzazione e il
zionalista e quello islamico: le
ruolo dei giovani - Il gruppo naconvergenze e le incompatibilità
vari, ecc., nella prospettiva del
ritiro delle truppe israeliane ed
in vista della creazione di uno
Stato palestinese.
I gruppi
Anche in questa situazione però (e vi è in ciò qualche analogia con il frazionamento del movimento di resistenza in Afghanistan) vi sono fondamentalmente
due gruppi: quello nazionalista,
comprendente il Fath di Arafat,
il Fplp di Habbash, il Fdlp di
Hawatmeh, il partito comimista
palestinese, e che è relativamente
omogeneo per quanto riguarda la
linea strategico-politica.
L’altro gruppo è quello islamico,
a sua volta scisso in due correnti principali: l’Hamas e la Jihad.
La prima, che si definisce una delle ali della confraternita dei Fratelli musulmani in Palestina, è
da ritenersi la seconda forza politica dopo il Fath di Arafat. La
seconda, per contro, è costituita
da piccoli gruppi radicali, fautori della lotta armata, che peraltro, da quando è sorta spontanea l’intifada, ha sospeso l’uso
delle armi per non danneggiare
questo movimento.
Sul piano più strettamente politico, rOlp ha implicitamente
riconosciuto lo Stato di Israele
e vuole creare accanto ad esso
uno Stato palestinese che, come
afferma la Dichiarazione di indi
L'explosion démographique
En militons
dtabHanls
0 Populallon mondiale
Population des pays développés
Population des pays en développement
0 Pourcentage de la population urbaine
B Densité des pays les plus développés
B Densité de la population mondiale
B Densité de la population des pays
en développement
B Pourcentage de la population
des pays développés par rapport
à la population mondiale
densità
pouicenlage
Population
des pays
développés
. t?---r'---7r:r..^ ......................................{
Année 1 .
après J.C.i 1000 : 1200
pendenza, deve basarsi su « un
regime parlamentare democratico fondato sulla libertà di pensiero ». Invece, il programma della fazione islamica preconizza la
« creazione di uno Stato islamico proclamato dall’alto delle moschee »: la Palestina « è una terra santa e non la si può abbandonare né del tutto, né in parte ».
In sostanza, l’idea di due Stati
fianco a fianco è respinta al pari
di un sistema democratico pluralista. Il reportage in oggetto precisa che senza dubbio il rapporto delle forze è largamente a favore dei nazionalisti e che eventuali azioni frontali dei movimenti islamici potrebbero ritorcersi
contro gli stessi.
Le prospettive
Nella sua conclusione, il servizio adombra tre scenari possibili, oltre a quello definito « ottimista », che prevede libere elezioni nei territori occupati, da
svolgersi sotto controllo internazionale (è il cosiddetto « piano
Mubarak », presentato dall’Egitto
l’anno scorso e respinto dal premier israeliano Shamir):
— la disaggregazione, data dalla rivalità fra le fazioni e favorita dall’immobilismo diplomatico e politico adottato dagli attuali dirigenti israeliani;
— la radicalizzazione, che porterebbe ad una vera e propria
lotta armata e che implicherebbe un tragico apnesantimento del
bilancio delle vittime palestinesi
senza portare ad una soluzione;
— l’adattamento, con il ritorno allo status quo: « E’ piuttosto improbabile — conclude il
servizio — che i palestinesi, dopo aver guadagnato qualche spazio di libertà, possano accettare
di ritornare ad essere delle ombre che rasentano furtivamente
i muri ».
Arafat
Quanto all’intervista ad Arafat,
due punti meritano di essere segnalati. Il primo ribadisce ancora il programma di ima « pacifica coesistenza fra i due Stati,
basata sul diritto all’autodeter
minazione dei palestinesi e sul
dialogo diretto fra Olp e Israele
nel quadro di una Conferenza internazionale ».
Il secondo, dalle inquietanti
prospettive, pone in guardia non
solo Israele, ma l’opinione pubblica mondiale: « Fin qui, la popolazione dei territori occupati
che si raggruppa massicciamente
intorno all’Olp è riuscita a mantenere il suo sangue freddo e non
è ricorsa alle armi. C’è però da
temere che il prolungarsi dell’occunazione israeliana, con le sue
terribili pratiche repressive, possa compromettere gravemente
questa politica di sangue freddo
fin qui perseguita ».
Frattanto, l’inizio del terzo anno di Intifada ha già portato nuove violenze e nuovi lutti. Bene
hanno fatto le nostre chiese, assieme ad altre e con diversi movimenti pacifisti, ad aderire alle
iniziative a Gerusalemme in favore di una giusta soluzione del
problema israelo-palestinese (si
veda l’Eco-Luce del 22 dicembre
1989), iniziative brutalmente represse dalle milizie israeliane con
sistemi degni di un Pinochet.
Abbiamo assistito in questi ultimi tempi ad eventi straordinari ed incoraggianti, seppure culminati nelle sconvolgenti vicende romene. Cadono i regimi dittatoriali, cadono i muri: è possibile che non possa cadere il
muro di odio e di separazione
che divide ancora, alle soglie del
Duemila, questa terra dove, —
come ha scritto tm giornalista
— « nessuno può giudicare straniero un arabo o un ebreo »?
Roberto Peyrot
DEMOGRAFIA
La popolazione mondiale
ieri e
Come noto, l’umanità non ha
mai conosciuto un’esplosione demografica come quella che sta
vivendo dalla fine del secolo scor
Populatlon an milliardt d'habltanl^ so
1400 1600 1800 2000
Nel primo anno della nostra
era, il mondo era abitato da circa 300 milioni di persone. Sono
occorsi quindici secoli perché
questa cifra raddoppiasse. L’aumento accelera a partire dal 1750,
da quando cioè il raddoppio della popolazione avveniva in 150 anni. Il suo tasso di crescita annua
si stabilizza attorno allo 0,5%
dalla metà del XVIII secolo sino all’inizio del XX. Poi balza
all’1% verso gli anni ’50 per stabilizzarsi oggi sul 2%. Risultato:
la popolazione mondiale, che era
di 1,7 miliardi nel 1900, raggiungerà i 6,1 miliardi a fine secolo,
moltiplicandosi cioè per 3,6.
Questo balzo senza precedenti
concerne in modo particolare il
terzo mondo, la cui popolazione
passerà da 1,7 miliardi del 1950
a 6,4 miliardi nel 2020 con la seguente densità: 21 abitanti per
km. quadrato nel 1950, 82 nel 2020
mentre, nella stessa epoca, dovrebbe stabilirsi a 24 nei paesi
sviluppati.
Fra queste due stesse date, la
parte della popolazione dei paesi industrializzati diminuirà della metà in rapporto a quella
mondiale, scendendo dal 33 al
17%. L’urbanizzazione subirà forti accelerazioni, infatti la percentuale della popolazione mondiale che vive nelle città passerà
dal 29 al 57%, sempre fra il 1950
ed il 2020, e si stabilizzerà sul
77% nei paesi sviluppati, contro
il 53% dei paesi in via di sviluppo. Per contro, la percentuale
della popolazione mondiale impiegata nell’agricoltura scenderà
esattamente della metà, calando
dal 64% del 1950 al 32% nel 2020.
Il divario nord/sud
Nel 1950 la popolazione dell’India e della Cina era inferiore a
quella dell’Europa, URSS compresa. Qualche anno dopo, la so
la Cina superava l’Europa in questo settore, come pure l’India alla metà degli anni ’80. Secondo
le previsioni, la popolazione della Cina sorpasserà quella del totale dei paesi sviluppati al principio del prossimo secolo, come
avverrà pure per la penisola indiana qualche anno prima.
La crescita demografica di certi paesi è vertiginosa. Ad esempio, la popolazione del Kenia
(Africa) era di 5,1 milioni nel
1950 e raggiungerà i 74,1 milioni
nel 2020, vale a dire con una moltiplicazione per 14 in 70 anni.
Questa forte crescita incentrata nel terzo mondo è essenzialmente dovuta all’abbassamento
della mortalità, il cui tasso scenderà dal 24 al 7 per mille : in modo particolare, la mortalità infantile passerà dal 180 al 30 per
mille. Questo abbassamento
manterrà la crescita demografica
fra ri e il 2%, anche se il tasso
di fecondità femminile scenderà
da 6,1 bambini a 2,4. Sempre nel
terzo mondo, la speranza di vita
crescerà dai 44,1 anni del 1950
ai 69,5 del 2020.
In queste condizioni, le differenze di pressione demografica
fra paesi o regioni e in modo
particolare fra paesi sviluppati e
in via di sviluppo, e le relative
differenze di livellp di vita, comporterarmo dei movimenti migratori di una ampiezza senza precedenti.
Ad esempio, la popolazione della zona del bacino mediterraneo
passerà dai 360 milioni di abitanti odierni a 550 milioni nel
2025. In modo particolare, il rapporto fra popolazione del nord
e del sud di questo bacino, che
è attualmente di 2 a 3, scenderà ad 1 a 3 entro una trentina
d’anni.
R. P.
(Fonte: Unesco)
Le différentiel nord/sud
Source : Wotìd d^mogrttphie tsUmtHP* 0nd prof9eHon». 1950 S025, Org^nfwiton d»t Nnllon» Untt-i, 195/1.