1
ECO
DELLE VALLI VALDESI
Sig. rSYPOT Arturo
Via C. Cabella 22/5
16122 GENOVA
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 108 - Num. 15 ABBONAMENTI j L. 3.000 per I’interno Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70 TOKKE PELLICE - 9 Aprile 1971
Una copia Lire 80 L. 4.000 per l’estero Cambio di indirizzo Lire 100 Amra.: Via Cavour 1 - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33094
^ e il Nuovo Testamento riportasse
^ soltanto la notizia della vita, del
ministero, della predicazione, dell’attività pratica di Gesù, della sua morte
sulla croce per decreto del governatore Ponzio Pilato, della sua sepoltura
nel sepolcro di proprietà del consigliere Giuseppe di Arimatea, senza l'annuncio della risurrezione, il suo racconto costituirebbe un capitolo degno
di l'gurare fra i migliori classici della
spiritualità, della religione e dell’etica,
ma si tratterebbe di una storia appartenente ormai al passato, in rapporto
di analogia con tutti i fatti della storia, e non rappresenterebbe in nessun
modo una novità che contrasta tutti i
fatti della storia e crea il dinamismo
insonne del rinnovamento.
Se l’avvenimento di Gesù, la sua predicazione e i suoi atti, le sue promesse e le sue invettive, i suoi appelli e i
suoi ammonimenti, le sue dichiarazioni e i suoi imperativi, i suoi incredibili « Io sono », « Io vi dico » si fossero conclusi col processo davanti al Sinedrio per bestemmia religiosa, con la
condanna davanti alle autorità romane per sedizione politica, Gesù parteciperebbe alla problematicità di tutto
ciò che è storico e non avrebbe l’autorità di contestare e mettere in crisi
tutti gli altri aspetti e gli altri momenti della storia.
Il fatto stesso della croce non potrebbe assumere in questo caso un significato e un valore di assoluto, valevole per tutti i tempi e di dimensioni
universali: dovrebbe essere giudicato
come un fatto ambiguo alla stessa
stregua di tutti gli avvenimenti della
storia, rientrerebbe nella categoria
della loro infinita discutibilità e del
pluralismo delle loro possibili interpretazioni. Potrebbe al massirno (ma
in questo caso accanto a molti altri)
essere assunto a supremo simbolo dell’insensatezza della vita e degli avvenimenti storici, per cui tutta la vicenda umana, nelle sue realizzazioni e nei
suoi fallimenti, nelle sue speranze e
nelle sue delusioni, nelle sue elevatezze e nelle sue bassezze, si risolve nella
morte.
Cosicché, pur ammettendo il carattere non usuale, eccezionale della vicenda di Gesù, anche nel suo caso la
regola fatale non avrebbe subito ecqezioni: l’avventura di Adamo sulla
terra, nella successione dei suoi cicli
storici, nell’urto dei suoi sistemi, fin
nella sua più sublime espressione dell’Adamo Gesù, non può superare il limite insuperabile che costituisce la
sua oppressione e il suo incubo: « finché tu ritorni nella terra donde fosti
tratto; perché sei polvere e in polvere
ritornerai » (Genesi 3: 19). Anzi la storia dell’uomo Gesù si distinguerebbe
dalle storie di tutti gli altri uomini
soltanto per la strana, paradossale autoesaltazione da cui è stata animata,
che avrebbe tradito una inaudita incoscienza di questo limite, per poi ricadere tanto più pesantemente al momento supremo della disperazione più
angosciosa (Marco 15: 29-34).
La storia evangelica avrebbe insomma come capitolo conclusivo Tamara
frustrazione dei delusi e depressi discepoli di Emmaus, i quali ricordano
con oppressiva nostalgia « il fatto di
Gesù Nazareno, che era un profeta potente in opere e in parole dinanzi a
Dio e a lutto il popolo » (Luca 24: 19).
Ma hanno d’altra parte la realistica
coscienza che i potenti di questo mondo hanno avuto il sopravvento anche
su di lui e sono riusciti a farlo « condannare a morte ». E quindi non possono fare altro che dichiarare che la
loro speranza si era illusa: « Ora noi
speravamo che fosse lui che avrebbe
riscattato Israele; invece, con tutto
ciò ecco il terzo giorno da che queste
cose sono avvenute » (Luca 24: 21).
IyI a il Nuovo Testamento non riporta soltanto la notizia della
vita, del ministero, della predicazione,
dell’attività pratica di Gesù e non conclude con un avviso funebre e con una
commemorazione illustrativa delle
esemplari benemerenze di un trapassato. 11 Nuovo Testamento riporta anche la notizia della risurrezione di
questo Gesù: o piuttosto la risurrezione è il motivo decisivo per cui tutte le
altre notizie sono strappate all’oblio e
riportate fin nei minimi particolari,
son fatte oggetto non solo di memoria
storica o di meditazione etica, ma di
proclamazione liberatrice.
« Si potrebbe al limite giungere a
concepire un Nuovo Testamento che
contenesse soltanto la storia e il messaggio di Pasqua, ma in nessun caso
un Nuovo Testamento che non li contenesse. Appunto perché la storia e il
messaggio di Pasqua contengono tutto
il resto, mentre tutto il resto senza di
essi sarebbe campato in aria come
una astrazione. Nella prospettiva del
Nuovo Testamento si crede in Gesù
Cristo risorto oppure non si crede affatto in lui » (Karl Bartu).
paradosso della risurrezione
Certo si tratta di un avvenimento
attestato da testimoni che hanno divulgato per ogni dove la loro testimonianza e che hanno trasmesso la loro
deposizione sulTavvenimento stesso
come una consegna profetica a uomini di epoche successive (1 Corinzi 15:
3-11; Giovanni 1: 1-3; Atti 1: 21), si
tratta di una storia reale che si è verificata in un preciso momento del
nostro tempo storico e in un determinato luogo del nostro spazio terreno:
anche se questo avvenimento e questa storia non sono constatabili secondo i mezzi e i metodi della scienza storica moderna, la quale, vincolata a certi assiomi delle rappresentazioni e delle concezioni del mondo
proprie dell’uomo figlio del razionalismo illuministico, giudica il racconto di quelTavvenimento e di quella
storia, qual è stato redatto da uomini
delTambiente giudaico-ellenistico del I
secolo, come vincolato a rappresentazioni e concezioni del mondo proprie
della loro epoca e a noi estranee. Ma
questo avvenimento e questa storia
si pongono su di un piano che sta al
di là delle questioni di metodologia e
di linguaggio: hanno un significato
decisamente escatologico, definitivo.
Perché Gesù è risorto i discepoli
hanno avvertito che necessità era loro
imposta di annunciare al mondo la
sua novità e la sua portata decisiva
per ogni vita d’uomo, definitiva per la
storia stessa del mondo. « Nella storia
di Pasqua è avvenuto che i loro occhi
si sono aperti su quest’uomo, su questa storia, sul carattere salvifico di
questa storia che prima era rimasta
per loro velata e sulla unicità di questo avvenimento avvenuto una volta:
hanno veduto in che cosa questo avvenimento si distingueva da tutti gli avvenimenti della loro propria vita e da
altri avvenimenti del passato e al di
sopra di tutto il resto si qualificava
come qualcosa di avvenuto assolutamente una volta sola » (Karl Barth).
risurrezione di Gesù non può infatti essere considerata alla stregua di tutti gli altri fatti, come un
fatto avvenuto una volta e che poi è diventato un fatto del passato, un fatto
che sta dietro a noi: paradossalmente, contro ogni possibilità logica, è il
fatto che sta davanti a noi, di fronte
al quale noi, con tutti i nostri fatti,
siamo sempre ancora al diqua.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiMmiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiii MiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
L'AVVENIRE DELLA CHIESA
La vecchia e la nuova fede
che rompe gli schemi e supera i limiti
della storia, nei cui confronti tutti gli
avvenimenti e tutta la storia del passato, del presente e del futuro appartengono al mondo delle cose vecchie
e trapassate.
Se Gesù non fosse risorto, allora il
messaggio cristiano sarebbe un messaggio insensato, senza fondamento,
senza giustificazione, senza prospettive, un vaneggiante chiacchiericcio, simile alla valutazione che in un primo
momento i discepoli disorientati diedero alle parole delle donne di ritorno dal sepolcro vuoto (Luca 24: 11).
Se Gesù non fosse risorto, la fede dei
discepoli, la cui testimonianza ha dato luogo alla predicazione e alla missione cristiana e ha determinato la
fede dei credenti nei secoli, sarebbe
fondata sul vuoto e si configurerebbe
come la storia vana e miserabile di
una illusione e di una delusione, la
cui funzione non sarebbe stata altro
che pascere l’umanità di favole evasive, alienanti dalla realizzazione dei
compiti storici pratici e immediati.
Senza risurrezione si sarebbe forse
costituita una società di studi storicoreligiosi, ma non vi sarebbe stata
Chiesa, cioè accoglimento di una tra
QuaTè il messaggio cristiano? Cos’è
TEvangelo? QuaTè la Parola di Dio alla
quale la Chiesa si deve sottomettere?
QuaTè l’idea centrale del Nuovo Testamento? Questi interrogativi delimitano
uno dei temi più importanti trattati al
congresso dei teologi cattolici svoltosi
a Bruxelles alcuni mesi or sono ma di
cui solo ora sono stati resi noti in Italia gli atti e i documenti.
Cos’è TEvangelo? Può a prima vista
sconcertare che dei credenti, per di
più teologi, si pongano questa domanda. Difatti: come si può essere cristiani se non si sa cos’è TEvangelo? Non è
forse in base alTEvangelo che si diventa cristiani? Prima occorre conoscere
TEvangelo, sapere appunto cos’è e poi
se mai si diventa cristiani. Ci troveremmo oggi nella situazione paradossale di
considerarci cristiani anche senza saper bene cosa sia TEvangelo? Non si
può negare che in un certo senso le cose stiano proprio così. Abbiamo premura di qualificarci cristiani ma che cristianesimo è quello che non è al chiaro
neppure sulTEvangelo? Se c’è confusione o incertezza su questo punto,
come non ce ne sarà su tutti i punti?
Se il fondamento non è saldo, quale
sarà la solidità dell’edificio? La miseria di tanta parte della cristianità
odirena non dipende forse proprio dal
fatto che essa non sa più o non sa ancora cosa sia TEvangelo. Le antiche
confessioni di fede e le stesse formule
bibliche vengono fedelmente riprodotte. Ma che cosa comunicano? Il messaggio? Ma il messaggio non consiste
in discorsi, aggiornati quanto si vuole, bensì « in dimostrazione di Spirito
e di potenza» (I Corinzi 2, 4). Certo,
l’aggiornamento del linguaggio e dei
concetti ci vuole: ogni generazione di
credenti deve cercare e trovare una
formulazione delTEvangelo adatta al
proprio tempo, consona alla mentalità
di quelTepoca storica e di quel ciclo
culturale. A Bruxelles lo si è ribadito:
« è nostro dovere cercare un’espressione del messaggio cristiano che sia adatta agli Anni Settanta ma dobbiamo renderci conto che un altro congresso nell'anno 2000 sarà verosimilmente poco
soddisfatto della nostra formulazione »
(R. E. Brown). Una proposizione conclusiva del congresso (Tesi n. 6) afferma che « il messaggio cristiano deve
essere continuamente riespresso in formulazioni veramente nuove ». La comunicazione dell’ Evangelo « deve tener
conto, costitutivamente, della concreta
situazione delViiditore » (K. Rahner).
Tutto questo è senza alcun dubbio vero e guai a colui che pensasse di poterlo ignorare. La predicazione della
Chiesa è molto, forse troppo legata alle
formulazioni antiche del credo cristiano: un’opera di svecchiamento in questo settore si impone. È però lecito
chiedersi se il problema sia solo quello
di una nuova formulazione del messaggio, più vicina alla odierna sensibilità
spirituale e culturale. In fondo, formulazioni di questo genere non mancano;
e se quelle che già esistono non soddisfano, non è impossibile forgiarne ancora di migliori. È probabile però che
il problema sia più di fondo e che non
lo si risolva con una nuova formulazione del messaggio ma soltanto con una
« dimostrazione di Spirito e di potenno? Nel rispondere il congresso di BruPaolo.
Qual è dunque il messaggio cristiano?Nel rispondere il congresso di Bruxelles ha senz’alt, ■ imboccato la via
giusta condensando tutto il suo discorso in un nome solo: Gesù Cristo. « Il
messaggio cristiano è Gesù Cristo stesso. Il Signore crocifìsso, risuscitato e
attualmente vivente è il criterio di ogni
predicazione e di ogni azione della Chiesa cristiana. Anche se conserva gli ideali cristiani, un cristianesimo senza fede
nella persona di Gesù perde il suo fondamento. L'esperienza dello Spirito di
La croce di Cristo è a resta
una provocazione per questo
mondo. Ma anche se ciò fosse
predicato ogni domenica, ce ne
renderemmo ancora conto? Tutto ciò significa che la Chiesa non
vive più della croce e sotto la
croce e che le occorre una cosa
sola: essere richiamata alla
croce.
Noi viviamo in una pace che
non è la pace di Cristo : è la accettazione dell’esclusione del religioso dalla vita di ogni giorno.
Ma la vita di ogni giorno è proprio il luogo ove la fede deve
verificare la sua validità, mentre
i culti non sono che l’alimento
per la vita quotidiana del creden
Segyire Gesù
te. Perciò « seguire Gesù » dovrebbe essere il tema dominante
di ogni predicazione e la prima
regola di ogni progetto organizzativo. Ciò che non serve a questo scopo non può sopravvivere
nel processo di atrofia cui la
Chiesa va incontro.
Questo significa che noi dobbiamo non solo proclamare il sacerdozio universale di tutti credenti, ma attuarlo, subordinando
ad esso tutte le cariche e le funzioni che esistono nella chiesa.
In futuro vi sarà una sola forma di cristianesimo, quella missionaria, che è poi quella che
avrebbe sempre dovuto esistere,
e chi non avrà parte alla missione, non potrà più essere considerato cristiano. Le esigenze religiose devono essere soddisfatte
altrove.
Gesù dice a ciascuno di noi:
« seguimi! » e con ciò ci conferisce un incarico che può venire
solo da lui. Posto che ognuno di
noi ha le sue caratteristiche, le
sue capacità e debolezze, i suoi
particolari doni e i suoi limiti,
questo compito non genera uniformità ma varietà, permettendo
di far presa in mille modi diversi.
Sarà davvero una cosa che ci
impegnerà a fondo e richiederà
una continua opera di formazione.
Ernst Kasemann
Gesù nella comunità vivente rende possibile questa fede nella sua persona »
(Tesi n. 4). Due punti di questa bella
proposizione debbono essere sottolineati.
Il primo è la vigorosa affermazione
delTàssoluta centralità di Gesù Cristo.
Tale affermazione è stata propiziata
dalTintervento di Hans Küng che più e
meglio degli altri oratori ha contribuito a determinare la concentrazione in
Cristo di tutto il messaggio cristiano.
« Qual è il contenuto comune dei ventisette scritti del Nuovo Testamento?
Qual è il contenuto comune dei venti
secoli di storia e di predicazione cristiana? Un solo nome: Gesù Cristo. Il
messaggio cristiano si formula con una
parola: Gesù, il Cristo... È lui la formula chiave della storia, è lui il messaggio cristiano, è lui ciò che di decisivo vi è nel cristianesimo ». Chi non
vorrà sottoscrivere questa bella confessione? Essa allarga il cuore, tanto
fedelmente riecheggia la testimonianza
concorde del Nuovo Testamento. Effettivamente non vi sono dubbi o esitazioni: il messaggio cristiano non è altro
che Gesù Cristo. Su questo punto un
accordo ecumenico è facile e già esiste.
La croce è l’evento culminante del ministero terreno di Gesù: essa non è né
un mito né un simbolo ma « un solido
e tremendo fatto storico » e costituisce
« il grande elemento distintivo che differenzia radicalmente la fede cristiana
e il suo Signore dalle altre religioni e
dai loro dèi ». Anche questa affermazione non pùò che essere interamente condivisa dalla fede evangelica. In sostanza l’affermazione decisiva fatta a Bruxelles secondo cui « il messaggio cristiano è Gesù Cristo stesso » soddisfa
appieno il credente protestante. Il quale, tutt’al più, desidererà sottolineare
maggiormente il fatto che Gesù Cristo
non solo è il contenuto della predicazione cristiana ma ne è il contenuto
esclusivo. Gli apostoli hanno annunciato Gesù Cristo in modo tale che non
c’era posto per altro; non solo hanno
annunciato lui, ma soltanto lui. Né Maria né i Santi né la Chiesa né alcun’altra creatura possono far parte del messaggio cristiano (fanno parte della storia cristiana ma non del messaggio cristiano). Il messaggio cristiano è esclusivamente Gesù Cristo.
Dire Gesù Cristo non significa dire
un’idea, un programma, una dottrina,
ma una persona: ecco il secondo aspetto positivo della tesi sopra citata. « Anche se conserva gli ideali cristiani, un
cristianesimo senza fede nella persona
di Gesù perde il suo fondamento ». Il
messaggio cristiano non è un insieme
di verità da accettare mentalmente, è
una persona vivente con cui confrontarsi. Credere in senso cristiano non è
avere rapporti con gli ideali ma avere
a che fare con quella persona. Ë proprio la persona di Gesù che conta. Certo la sua predicazione, le sue opere, la
sua vita e più ancora la sua morte
rivestono una importanza fondamentale, ma il centro coordinatore e l’anima
di tutto è la persona vivente di Gesù,
Paolo Ricca
{continua a pag. 3)
dizione di contestazione radicale al
mondo.
giusto e necessario rifiutare di
vedere nella risurrezione di Gesù un avvenimento sottoponibile alla
verifica storico-scientifica, ma non è
possibile risolvere la risurrezione nella fede della risurrezione, come tende
a fare una certa teologia odierna.
La risurrezione di Gesù indica che
l’estrema frontiera di questo secolo
è stata superata e che la frontiera del
secolo veniente è apparsa; rappresenta la fine della storia, la conclusione
della vicenda del vecchio Adamo, Tinizio della storia del nuovo Adamo, Tintroduzione del nuovo mondo di Dio e
della sua libertà nel vecchio mondo
della costrizione, del peccato, dell’ingiustizia, dell’egoismo, dell’oppressione e della schiavitù, della sofferenza e
della morte. In un punto l’incontestabile dominio delle cose vecchie è stato contestato, si è prodotta una breccia nel sistema di difesa che era ritenuto invincibile e tutto Tapparato difensivo minaccia quindi di crollare.
Infatti questo punto non è un punto
qualunque, ma il punto della più munita, dell’ultima e irriducibile resistenza. Su questo punto Dio ha attaccato
il mondo e il punto ha ceduto.
Se quello che Gollwitzer ha chiamato il dogma inattaccabile dell’uomo
attuale, per cui tutto è incerto, la morte soltanto è certa, il dogma della
morte, col suo carattere assoluto, definitivo, inamovibile, è stato intaccato,
allora anche tutto il resto è irrimediabilmente incrinato. Non solo le malvagità individuali, ma anche le ingiustizie sociali che sono insediate nella
storia in una dimensione che supera
e coinvolge l’individuo, le strutture
politiche che reggono i rapporti fra
gli uomini e fra gli Stati e conferiscono a questi rapporti una parvenza di
legittimità e di giustizia, le istituzioni
ecclesiastiche con la loro solenne atmosfera sacrale, le validità religiose, le
onorabilità morali, il peso della sofferenza e della malattia, sino alla realtà ultima della morte, che pareva appunto non superabile, tutto è scosso,
tutto ha perso solidità, tutto è entrato in crisi, più niente ha ancora fondamenta sicure né inevitabilità indiscutibili. Perché non è più in gioco
una concezione, un sentimento, una determinata visuale delle cose, una interpretazione che possono lasciare ed
effettivamente lasciano sempre le cose come sono: si tratta di un avvenimento, delTavvenimento che decide
della storia, dell’età presente e dell’età a venire.
^ uffa base di questo avvenimento
e dell’annuncio che ne è dato, siamo chiamati alla fede che in Cristo
tutte le cose sono fatte nuove, sono
rese libere dalla servitù della corruzione e introdotte nella realtà totalmente altra e definitiva del Regno di
Dio. Nella risurrezione di Gesù ha
fatto irruzione nel vecchio mondo
della storia la realtà ultima verso cui
tendono tutte le cose come al loro fine. Ma in Cristo l’avvento della realtà
nuova si è già verificato soltanto a
guisa di primizia, di anticipazione vicaria limitata alla sua persona; il mondo è sottoposto all’attesa che il rinnovamento trapassi da Cristo a tutto
il creato, chiamato a entrare nella libertà dei figli di Dio (Romani 8: 21),
a essere un nuovo cielo e una nuova
terra (Apocalisse 21: 1), nel giorno della sua manifestazione definitiva.
Ne\VinterÌ7n che contraddistingue il
tempo fa l’Ascensione e la Parusìa
(nuovo avvento di Cristo, n.d.r.) e in
cui coesistono in paradossale coesistenza le strutture del mondo vecchio
e l’annuncio del mondo nuovo, con i
fermenti e i segni che Taccompagnano, la predicazione evangelica chiama
coloro che hanno orecchie per ascoltarla a prendere esatta coscienza dei
termini della situazione.
Questa presa di coscienza è una nuova mentalità, con cui si considerano
le cose in una prospettiva totalmente
nuova e che determina un rivolgimento radicale nel comportamento di fronte all’esistenza. « Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino: ravvedetevi e credete alTevangelo » (Marco
1: 15). Il concetto neotestamentario
di vicinanza esprime una tensione dialettica fra quell’avvento già realizzato
e quell’avvento ancora da realizzare
del Regno di Dio.
Prendere coscienza di questa tensione significa impostare il proprio tnodus vivendi come se il mondo a venire
fosse già al posto del mondo vecchio,
ma sapendo che il mondo vecchio non
è ancora abolito e che non ci si può illudere di abolirlo anzitempo, quindi
nonendosi in una posizione di speranza attiva verso l’adempimento ultimo.
Vittorio Subiti a
(da: L’Evangelo della contestazione).
2
pag. ¿
N. 15 — 9 aprile 1971
Gioupnni mieoGa uomo di PRoniieRp
PER CONOSCERE LA BIBBIA
3 - Il problema ecumenico
" Miìn «i>n'/ì4 rQCTWìrwr» Am/-\o /?ì »» ovj -1. / tr. <
La dimensione ecumenica protestante del pensiero di Miegge è così scontata che non è neppure il caso di presentarla. Si esprime nella profonda comunione di pensiero col Protestantesimo estero, di cui egli informa altresì
quello italiano; sono sintomo di questa comunione i numerosi riconoscimenti che Miegge ottiene da Facoltà
Teologiche d'oltralpe ed i corsi di cui
è richiesto dalle stesse, che non sempre le sue condizioni di salute gli permettono di tenere.
È interessante, invece, studiare succintamente il pensiero di Miegge sull’ecumenismo extra-protestante e, in
particolare, sul problema del cattolicesimo.
Senso dell'unità
e della divisione
Il senso dell’unità sta nelle parole
della preghiera sacerdotale di Giovanni 17; è l’unità che « induce il mondo
a credere ». Miegge scrive in un corso
sul quarto Evangelo, in alcune pagine
inedite, non ciclostilate insieme alla
esegesi di Pagine scelte del Vangelo di
Giovanni che certamente qualche lettore conosce: (l’unità della chiesa)
« non ha il senso dello spettacolo maestoso della unità istituzionale, rituale
e dogmatica e nemmeno... quello dello
spettacolo edificante dell’amor fraterno; ma (si ha) per la motivazione profonda dell’uno e dell’altro: perché l’amore e l’unità testimoniano di un
orientamento radicalmente non-mondano, di una comunità unicamente determinata e dominata dall’attesa del Regno, anzi, dalla presenza del Regno
nella presenza di Cristo ». L’unità della chiesa non è dunque qualcosa a
buon mercato, non è un semplice accordo umano, ma, al limite, anche senza divisioni umane può non esserci
l’unità della chiesa.
Non basta a ricostituire l’unità il riconoscimento che nelle chiese vi sono
tracce della Chiesa, anche in quelle
più lontane confessionalmente da noi;
nemmeno si può « ricostituire l’unità
della chiesa riducendo la fede professata ad un residuo incolore, esposto,
d’altronde a tutte le interpretazioni »,
come potrebbero essere gli articoli fondamentali della fede cristiana, comuni a tutte le confessioni. (V. gli articoli
Vestigia ecclesiae, in « Protestantesimo » 1957, pagg. 117-134 e II problema
degli articoli fondamentali nel ’Nubes
testium' di Giovanni Alfonso Turrettini
nel voi. « Ginevra e l’Italia », Firenze,
1959, pag. 505-538). Anzi, forse il concetto di « tracce della chiesa », vestigia ecclesiae, è senza domani nel movimento ecumenico, perché è troppo
poco per vi\'ere l’unità riconoscersi reciprocamente solo delle « tracce ».
La divisione attuale è troppo profonda perché la si possa prendere alla
leggera. Si sarebbe tentati, ad esempio, di dire che essa riguarda solo l’esitenza mondana della chiesa, ma che
la sua essenza e la fede nell’unico Signore sia già una sola nelle varie chiese cristiane. Miegge nega recisamente
che sia così: « Sarebbe un errore...
pensare che i mali c le divisioni che
affliggono la Chiesa siano propri soltanto del suo ’corpo’, della sua materialità storica e visibile, e che l’anima
della chiesa sia una, pura, mentre la
gravità dello scandalo, e la difficoltà
del problema che pone, è che appunto
l’anima della Chiesa è divisa, che la
divisione è nelle più decisive determinazioni spirituali, nella coscienza stessa dei credenti in quanto credenti. Vi
è un senso di doloroso stupore, per
chiunque cerchi sinceramente di risolvere queste divergenze, nel dover constatare come non si possono onestamente superare; nell’avere la certezza
che si ama uno stesso Dio e si crede
in uno stesso Cristo, e al tempo stesso si rimane divisi sul terreno stesso
di questa alta, preziosissima fede comune. È un’esperienza che si deve ammettere con sincerità, senza cercare di
obliterarla con pie generalità, che non
cambiano nulla nella realtà dei rapporti » (Per una fede, pag. 168). La divisione esiste, dunque, sul terreno stesso della fede in Cristo. Questo non ci
autorizza, tuttavia, a ritenerla definitiva.
Possibilità e limiti
del dialogo col Cattolicesimo
« Possibilità e limiti di un dialogo »
è il sottotitolo di una rassegna su Ecumenismo e Cattolicesimo in « Protestantesimo » 1957. Potremmo dire che
il suo pensiero è sempre oscillato tra
la ricerca delle possibilità e la lucida
identificazione dei limiti. È necessario
dire questo perché, anche sul tema dell’ecumenismo, l’eredità di Miegge è, ai
nostri occhi post-conciliari, un po' ambigua. Il Concilio ci ha posto di fronte
alla necessità di dire se erano più forti le possibilità o più forti i limiti. Una
minoranza in seno al Protestantesimo
italiano è stata del primo avviso; la
maggioranza è stata del secondo avviso. Probabilmente la prospettiva dell’ingresso della Chiesa cattolica nel
Consiglio Ecumenico radicalizzerà ancora l’opposizione fra due tesi che, al
tempo di Miegge, si potevano valutare
contemporaneamente e porre sullo
stesso piano. Anche su questo punto,
dunque, l’eredità di Miegge non appartiene a nessuno oggi. Può farci dispetto, ma è così.
I limili del dialogo sono ben chiari.
Miegge non ha nessuna simpatia per
il cattolicesimo. Si è occupato a diver.se riprese di alcuni aspetti chiave di
questo: il problema del dogma e del
culto di Maria; e quello della libertà
religiosa. Su entrambi i problemi ha
condensato il suo pensiero in una pubblicazione specifica: La Vergine Maria,
pubblicato dalla Claudiana; e La liberté religieuse, pubblicato prima in inglese, poi in francese, a Neuchâtel, nel
1962, e mai in italiano. Su questi problemi specifici, come su tutto l’apparato dogmatico ed ecclesiastico del
cattolicesimo il suo rifiuto è netto e
deciso, espresso a volte con una violenza tutt’altro che ecumenica. Sarebbe troppo lungo elencare gli articoli
sui giornali della nostra chiesa volti a
dare all’anticattolicesimo valdese una
forza meglio impostata ed anche più
decisa dell’anticlericalismo di tipo risorgimentale. È la sua penna che mette in guardia i valdesi dalle truffe dell’anno santo (1949) o dagli appelli al
« gran ritorno ». Ë anche Giovanni
Miegge che sottolinea gli equivoci di
una preghiera comune per l’unità della chiesa, sia pure fatta con intenzioni diverse; i cattolici per il ritorno alla Chiesa di Roma; i protestanti per il
ritorno all’Evangelo. Questa era la proposta del padre Carlo Boyer, nel 1955.
Miegge notava: « ...non possiamo nascondere l’impressione, che quando le
intenzioni particolari vengono troppo
esclusivamente al primo piano, esse
non possono non turbare, e quasi obliterare l’intenzione generale che dovrebbe unirci nella preghiera; e allora
si potrà pregare nelle stesse date e per
un lontano fine comune; ma non si
prega più insieme, e in realtà neppure per lo stesso fine. E viene fatto di
domandarsi se non sarebbe preferibile precisare meno le intenzioni particolari della preghiera, e fare un maggiore affidamento nella Provvidenza,
domandando a Dio che ci renda capaci di intendere le sue vie » (« Protestantesimo », 1955, pag. 115).
Messi in risalto i limiti, Miegge si c
anche sempre curato, come dicevamo,
di non chiudere le possibilità. L’articolo da cui abbiamo tratto la citazione precedente si chiude con queste parole; « "La possibilità di pregare interdice di proclamare impossibile la
fine delle divisioni’’, dichiara il Padre
Boyer. A queste parole non si può aggiungere altro che VAmen della speranza cristiana » (pag. 120). La fine degli anni ’50 porta dei segni di speranza, che Miegge raccoglie subito puntualmente: il cattolicesimo, nei suoi
uomini più avvertiti, cerca di capire il
protestantesimo anziché di squalificar
lo; al protestantesimo, per conseguenza, sono date nuove possibilità di capire con onestà e senza prevenzioni il
cattolicesimo. « L impossibile dialogo
è una realtà, e... non potrà che essere
fecondo. Se Dio lo vuole; o meglio:
perché Dio lo vuole» ("Protestantesimo”, 1957, pag. 80).
Nel ’61, anno della scomparsa, Miegge affronta ancora una volta il problema in uno studio critico, di cui la
seconda parte esce postuma, in "Protestantesimo”, segnalando, ancora una
volta, opere cattoliche che, pur rappresentando una minoranza « tra tanta
letteratura conformista e a dir poco
superata fin dal suo apparire », affrontano con onestà e coscienza il problema ecumenico e in cui persino il logoro concetto del ’gran ritorno’ comincia a scricchiolare. « E da parte nostra
si deve pur dire: il giorno in cui veramente la Chiesa cattolica Romana
accettasse di essere così rinnovata dallo Spirito, non soltanto da integrare
in sé le varie cristianità orientali e riformate, ma da lasciarsi veramente ingrare da esse, accogliendo il loro spirito nella sua robusta individualità
storica e non in qualche edizione ridotta, al formato di una nuova controriforma, quel giorno la Chiesa di Roma avrebbe cessato di essere la Chiela latina d’Qccidente, per risorgere in
una nuova cattolicità, comprendente
in una larga “complexio oppositorum"
(= unione di cose opposte) tutto ciò
che di vivo e vitale è sorto sul tronco
millenario della fede cristiana.
« Si dirà che quel giorno non verrà
rnai, o comunque è molto lontano. E
sia pure. Ma se, nonostante tutto, quel
giorno dovesse venire, anche il problema dell’unità si porrebbe in termini
del tutto nuovi » ("Protestantesimo”,
1961, pag. 153).
* * *
Come si vede, la meditazione ecumenica di Miegge si conclude con un
« se »: « se quel giorno verrà ». Direbbe oggi che è venuto? La sintesi cattolica conciliare o post-conciliare è
un’integrazione in Roma, o « in tutto
ciò che di vivo e vitale è sorto sul
tronco millenario della fede cristiana »? La domanda è rimasta senza risposta da parte di Miegge. Per alcuni
è valida la prima alternativa; per alcuni la seconda. Resta di Miegge, agli
uni e agli altri, l’amen della speranza
cristiana, affinché la fine delle divisioni sia affrettata dallo Spirito del Signore, il quale ci dia di vivere in « una
comunità unicamente determinata e
dominata dall’attesa del Regno, anzi,
dalla presenza del Regno nella presenza di Cristo ». M. C. TRON
Non senza ragione Amos è stato
chiamato profeta della giustizia.
Tuttavia nulla ci autorizza a pensare che egli fosse il rappresentante di
una classe sociale povera ed oppressa
in lotta contro i possidenti del suo
tempo. La contestazione di Amos affonda le sue radici nella vocazione che
Dio gli ha rivolto, ha gli accenti della
profezia biblica, non quelli di una pura e semplice lotta di classe.
Fatta questa premessa, nessuno s’illuda sul linguaggio di Amos e sul contenuto della sua predicazione. Amos
non pronunzia un discorso retorico e
non fa il demagogo; guarda la realtà
m faccia, denunzia le oppressioni dei
ricchi e dei potenti, chiama con il loro
nome gli atti che si compiono tra credenti, oggi diremmo tra fratelli in Cristo, a danno della giustizia e della solidarietà. Il profeta non manca di coraggio quando si rivolge al popolo per
ammonirlo nel nome dell’Eterno; contesta severamente le false pratiche religiose, però le sue parole sono tutt’altro che morbide o-evasive quando afferma che l’osservanza del Patto di
Dio non riguarda unicamente la sfera
religiosa o cultuale della vita, ma si
estende ai rapporti umani e sociali in
tutta la loro concretezza.
Ascoltiamo ora il linguaggio del
mandriano di Tekoa, e la sua contestazione. come profeta dell’Eterno. Lo
scandalo contro cui egli si erge è innanzi tutto lo sfruttamento dei poveri
da parte dei ricchi oppressori: « essi
vendono il giusto per denaro e il povero se deve loro un paio di sandali;
perché bramano veder la polvere della terra sul capo dei miseri e violano
il diritto degli umili» (2: 6-7). Il denaro corrompe ogni cosa; per un debito
di minima entità ma con interessi cospicui il giusto ed il povero possono
essere venduti come schiavi; ma la cupidigia di denaro non ha limiti, non si
ferma neppure davanti ai miseri i quali sono costretti a coricarsi sulla polvere della ferra o addirittura ad esserne coperti. Il denaro corrompe, divide
gli uomini, impedisce la comunione dei
credenti, diventa fonte di privilegi ingiusti e di sopraffazioni. Anche oggi il
ricco esce dai suoi guai più facilmente del 'povero il quale non ha gli aiuti
ed i mezzi necessari.
Ma la predicazione del profeta continua e denunzia altri peccati: « Voi
sopprimete il giusto, accettate regali e
fate torto ai poveri alla porta. Guai a
anelli che vivono tranquilli in Sion e
fiduciosi sul monte di Samaria. Giacciono su letti d'avorio, si sdraiano sui
loro divani, mangiano gli agnelli del
gregge, bevono il vino in larghe coppe,
ma non s'addolorano per la rovina di
Dissenso cattolico
e CEC
La scorsa settimana, in una sua lettera
al direttore. Poppino Orlando, un giovane
stiuUoso cattolico genovese, a proposito del
problema dibattuto delVeventuale ingresso
dello Chiesa di Roma nel Consiglio ecumenico delle Chiese, scriveva: « Mentre
la nostra chiesa fa dell'ecumenismo la sua
nuova frontiera, essa emargina ed esclude
con violenza la discussione alVinterno e
cerca di impedire la nascita di comunità
di base impegnate in un libero confronto
con il Vangelo e con la realtà politica e il
mondo attuale. Questo doppio atteggiamento non vi crea nessun imbarazzo? lo come
cattolico posso partecipare a qualsiasi attività ecumenica, ma non posso partecipare. senza incorrere in sanzioni gravi, ad
attività del dissenso (...). Allora io vi chiedo. come fratello altrettanto preoccupato
dell' avvenire dell' Evangelo nel mondo:
come potete stare a questo gioco? Non si
tratta cioè di porre la questione se entra
o meno, ma di mettere la nostra chiesa davanti alla sua realtà di chiesa di Casaroli
e. di Mazzi ».
Non aveimmo aggiunto nota redazionale. perche condividiamo il pensiero del nostro lettore. Ma c'e chi ci ha fatto notare
che il silenzio, in questo caso, era d'argento e poteva dare Vimpressione di tepidezza
o di distanza. Non possiamo ovviamente,
qui. rispondere a nome della Chiesa Valdese, ma .solo a nome della redazione, e
ripetiamo quanto è già stato scritto, in
particolare negli articoli di Paolo Ricca, e
cioè che il dissenso cattolico deve (se
vuole) trovar posto in un rapporto nuovo
che venisse a crearsi fra la Chiesa di Roma e il C.E.C. Riteniamo che. nelle loro
prese di posizioni, le chiese, le conferenze
distrettuali e il sinodo debbano tener fortemente conto di questo aspetto. Ricordiamo che in questa direzione già si è mosso
il Sinodo Valdese 1969 (A. S. art. 20)
quando fra le linee di riflessione e di azione proposte alle chiese, ha indicato lo
« approfondimento dello studio e delVincontro con i gruppi cattolici che esprimono una maggiore capacità di rinnovamento ».
Il « dissenso cattolico » è. lo sappiamo,
una realtà molto complessa, profondamente diversificata: e resta aperto il problema
dei rapporto delle varie correnti che lo
compongono, .sia coìi l'Evangelo. sia con la
struttura della Chiesa di Roma (che è
quella che è): e fra Valtro resta anche
aperto il problema se il dissenso cattolico,
o almeno certi settori del medesimo, desiderino entrare in un organismo qual è il
C.E.C. Ma a parte tutto quesCordine di
problemi (incluso quello, complicato, del
modo di questa rappresentanza), riteniamo che una comunione aperta qual è. nel
suo intento profondo, il Consiglio ecumenico. debba essere particolarmente sensi
bile alla domanda che il nostro lettore ci
pone. Tanto dovevo, per chiarire equivoci
che potevano sorgere dal silenzio; e mi
scuso del ritardo: quandoque clormitat, talvolta sonnecchia, il redattore!
Gino Conte
Un culto-radio
Un lettore, da Genova:
Caro direttore.
Solo pochi giorni fa mi è stata recapitata una copia del testo del Culto Radio
del 22 Novembre 1970 del Pastore Girardel.
Sono rimasto addolorato per il contenuto
decisamente contrario airinsegnamenlo biblico ed « accomodato » alle ideologie umane i cui riflessi e le cui implicazioni riducono il Cristianesimo ad un movimento
sociologico cd il Cristo a dimensioni di un
Riformatore sociale. Rimango poi perplesso al pensiero che a Ire mesi dalla trasmissione di tale discorso, nessuno dei responsabili delle Opere Fa angeliche in Italia e dei colleghi pastori abbia sentilo Ìl
dovere di dire una parola di dissenso. Per
me questo è un silenzio grave, accusatore.
Ho al contrario ascoltalo voci di aperto
dissenso da parte di moltissimi membri di
Chiesa, disorientali <hil contenuto di tale
messaggio.
venuto il tempo in cui non possiamo
più ascoltare il Culto Radio, né possiamo
consigliare simpatizzanti cd amici ad ascoltarlo. e ciò personalmente mi è tanto doloro.so al pensiero che nel lontano Febbraio
1946 fu proprio il Culto Radio a determinare la min conversione alFEvangelo.
II Pastore Girardet. nella Radiotrasmissione del Noveml^fe scorso, partendo dalla
T Lettera di S. Giovanni al cap. 4. vv. 7-12,
dopo essersi rifatto alla dottrina della
« morte di Dio » e dopo aver eliminato
con argomentazioni puramente umane e
non bibliche alcune asserzioni che il credente fa senz'altro sue. conclude dicendo
che : « è possibile riaprire il discorso su
Din. soltanto quando ci mettiamo seriamente davanti all'altro uomo, a tu per
tu »; ed inoltre « quando ci chiudiamo in
una precisa interpretazione della Bibbia come fonte, di dottrine, non pos.siamo incontrare Dio ».
Tutta la Parola di Dio ci dice che il credente deve innanzitutto avere una relazione personale con il Suo Signore e Salvatore
e solo nella fede in Cristo Gesù noi abbiamo la remissione dei nostri peccati, la
conversione e la vita abbondante.
Senza Dio. la fede in Lui e la consacrazione a Lui. noi « non possiamo far nulla ».
I/amore del prossimo che si manifesta
nelle opere è soltanto la conseguenza di
questa fede e consacrazione. È .solo 1 amore di Cristo che ci determina alFamore del
prossimo (Il Corinzi 5: 14).
Per questo, il compito principale della
Chiesa, assegnatole dal Cristo, c quello di
annunziare la Buona Novella delFamore
di Dio. la necessità della nuova nascita.
L'Apostolo Paolo, al caj). Xn della Lettera ai Romani condiziona 1 osservanza di
quelle sublimi esortazioni che sono luce e
forza per il nostro cuore di credenti alla
realtà benedetta deH'amore di Dio, sentito
e vissuto nella nostra vita, liberata dal
male — a Io vi esorto dunque, per le compassioni di Dio. a presentare i vostri corpi in sacrificio... » (Romani cap. 13).
L amore di Dio è quindi la « conditio
sine qua non ». senz'esso nessuno mai potrà amare e lavorare efficacemente per il
proprio simile.
La vera fonie dell'amore del prossimo è
nell'amore di Dio. E (|ui dovremmo a[>rire un altro discorso per precisare cosa vuol
dire amare il prossimo e impegnarci
per Ini.
Gesù ci ha insegnalo una via che è quella del servizio personale, della continua
donazione, del dimenticare se stessi per
vivere heneficaiulo continuamente gli altri.
(Marco 16; 4.3-45; Atti 20; 35).
Certo, questo deve essere il nostro programma d’azione ; .spendere le nostre forze.
il nostro tempo e se il Signore lo permette,
le nostre sostanze per il bene dei nostri
simili.
Inoltre mi sorprende ancora nel discorso
del Past. Girardet l’as.serzione che Dio non
s’incontra nella lettura e nella meditazione
della Parola, nella Rivelazione. Ma. di
grazia, dove si può incontrare?
Nella Bibbia è scritto che rincontro vero
con Dio è nellascollo della Sua Parola
(Matteo 7; 24; 13; 23; Luca 8; 12). nel
compiere la Sua volontà, espressa nella
Parola, nella lettura attenta e nella meditazione della Sua Parola. « L’Evangelo.
(l’anminzio della Buona Novella) è la Potenza di Dio a .salvezza » (Romani 1 ; 17)
e « la fede viene dall’udire e l’udire si ha
per mezzo della Parola di Cristo » (Romani 10; 17). Per noi cr(;dcnti nell’Evangelo.
non c’e altro mezzo di conoscenza e di
salvezza, a meno che non si creda piti nella
Parola di Dio e non .si abbia sperimentalo
nella propria vita la potenza rigeneratrice
della Parola fatta carne.
Quanto ho dello è .suffragato anche dalla
mia ormai lunga esperienza pastorale.
Quante anime, tutte, sono venule alla conoscenza del Signore leggendo, ascoltando
e meditando la Parola di Dio! E mai, proprio mai. quando abbiamo fatto azione sociale. quando abbiamo risolto per molti il
problema del pane, i cuori si sono aperti
aH'amore di Dio!
Ecco perche, pur e.s.sendo .sensibili ed
impegnandoci per i bisogni materiali del
nostro prossimo, crediamo che il vero compito della Chiesa e dei credenti sia quello
di « adoperarsi non per il cibo rlie perisce, ma per quello che non perisce e dura
in vita eterna » (Giov. 6; 27).
Pastore E. Santilu
Giuseppe », cioè d’Lsraele (5: 12
6: 1-6). A questo punto le ingiustizie
.sono anche il frutto della sensualità.
II profeta non mastica le sue parole e
non fa complimenti; alle ricche e voluttuose donne di Samaria egli dice;
« Ascoltate questa parola, vacche di
Basan... voi, che opprimete gli umili,
che maltrattate i poveri, che dite ai
vostri Signori: 'Portate qua, che beviamo!'» (4: 1). La ferra di Basan, ad
oriente del Giordano, era ricca di pascoli e di bestiame. L’immagine piuttosto robusta adoperata da Amos, cioè
« vacche di Basan » sottolinea la corruzione di quelle donne; vogliono un
pascolo abbondante, ricco di lusso e
di piaceri sensuali, perciò esortano i
loro mariti a maltrattare i poveri e dicono loro; « Portate qua, che beviamo! ».
Sullo sfondo di questa situazione
morale, non ci stupiremo se la parola
proclamata da Amos assumerà il tono
di un severo giudizio sul popolo di Dio.
Per bocca del suo profeta, l’Eterno
contesta il culto in Israele, un culto
ricco di forme e di riti, estraneo alla
pratica della giustizia negli alti della
vita quotidiana. La predicazione di
Amos diventa una vera e propria requisitoria, non contro il culto dcll’Elerno, ma contro il suo grave pervertimento: « Io odio, disprezzo le vostre
feste, non prendo piacere nelle vostre
solenni radunanze. Se m’offrite i vostri olocausti e le vostre oblazioni, io
non le gradisco; e non faccio conto
delle bestie grasse che m’offrite in sacrifizi di azioni di grazie. Lungi da me
il rumore dei tuoi canti! ch’io non oda
più la musica dei tuoi salteri! Ma corra il diritto come l’acqua e la giustizia
come un rivo perenne! » (5: 21-24).
Questa pagina della profezia di
Amos è diventata, in questi anni, uno
dei manifesti della contestazione che
intende richiamare le comunità cristiane ad una fede attiva e impegnata,
contro un Cristianesimo che troppo
spesso si è accontentato di conservare
i santuari invece di operare per la trasformazione della società. Il richiamo
è giusto ed è anche giustificato dalle
colpe dei cristiani e dai compromessi
della Chiesa. L’Iddio della Bibbia è
certamente un Dio il quale vuole la
giustizia e il diritto; anche Gesù diceva ai suoi ascoltatori: « Perché mi
chiamate Signore, Signore, e non fate
quello che dico? » (Luca 6: 46). Ma la
contestazione è andata oltre e va oltre
quando, facendo di ogni erba un fascio, coinvolge nello stesso giuaizìo ii
culto e il pervertimento del culto, l’adorazione del Signore in « spirito e verità » e l’ipocrisia religiosa, la ricerca
dell’Iddio vivente e l’ingiustizia che
sempre ci minaccia. Il culto di Dio giustifica pienamente l’adunanza dei cristiani e non è condizionato da luoghi,
forme o riti particolari; ma i cristiani
per primi debbono convincersi che un
culto ricco di « religiosità » può essere
al tempo stesso estremamente povero
in fatto di ubbidienza, se l’adorazioiie
di Dio ci lascia indifferenti di fronte
alle ingiustizie che si commettono nel
mondo ed a quelle di cui siamo, purtroppo, direttamente responsabili.
L’ora viene, ed è sempre venuta, in
cui la voce di Dio si fa ascoltare, solenne ed ammonitrice; « I vostri olocausti non li gradisco... lungi da me il
rumore dei tuoi salteri! » Tuttavia questa voce non attenua affatto l’e.sortazione apostolica a « non abbandonare
la nostra comune adunanza... tanto
più che vedete avvicinarsi il gran giorno » (Ebrei 10: 5).
Quante cose giuste potremmo compiere se veramente « il diritto corresse
come l’acqua e la giustizia come un
rivo perenne! ». Cose ed azioni giuste,
in un mondo diviso e disumanizzalo,
per aiutare il prossimo invece di opprimerlo, per impedire che la tristezza di molti si muti in disperazione,
che la ricchezza provochi l’affanno e la
fame, che le minoranze oppresse non
abbiano altra scelta al di fuori della
violenza, per fare agli altri quello che
vorremmo fosse fatto a noi, per il nostro bene anziché per la nostra maledizioi ,e.
Potremmo ampliare il campo delle
nostre riilessioni e parlare di tante ingiustizie e di tanti problemi che potrebbero essere risolti. L’apostolo Giovanni ci aiuta a meditare davanti a
queste sue parole: « Se sapete che egli
è giusto, sappiate che anche tutti quelli che praticano la giustizia sono nati
da lui», cioè da Dio (I Giov. 2: 29).
Ermanno Rostan
iiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Doni Eco-Luce
Emilia Regali Gianotti. Ivrea 1.000: Giovanni Roneaglìone, Pont Can. 2.000; Barberina
Mengiardi. Firenze 1.000; Giovanni Morello,
Svezia 500; Alice Coisson, Angrogna 500; Otto Wòlckner, Zurigo 1.000; Maria Frache, Villar Pellice 1.000: Norberto Ferrerò, Villar Perosa 500; Regis Beiix, id 500: Valdo Giaiero,
Rivoli LOGO; Vaifro Rossi. Brescia 500: Giulio Ce.sarò. Palermo 2.000: Maurizio Quagliolo
Caslellamonte 500; Paul Cornuz, Svizzera
4.000: Teresa Prando, Livorno 5.000; Irene
Proietti Bounous. Rivoli 500: Olivero Fernando, Villaslellone 500; Ernesto Micol, Massello 300: Marco Ricca. l'irenze 2.000.
Grazie!
( continuo )
3
9 aprile 1971 — N. 15
pag. 3
Le Chiese a confronto con le religioni: il CONFUCIANESIMO la vecchia e la nuova fede
Dallo statalismo etico e aristocratico di Coofocio
Fra le religioni i cui fedeli sono o
sono stati più di cento milioni, oltre
a quelle di cui si è parlato in precedenti articoli è ancora da menzionare
la religione dei cinesi.
La più antica delle scritture di que
ratore"^“'^“ leggendario impe
latorc vissuto intorno ai 3000 a. C. Anche questa, come molte altre scrii tur
religiose, fu tramandata oralmenic
Pc parecchi secoli e fu probabilmen120o"r*C iscritto solo intorno al
tratti di questo libro (si
tratta di oracoli e simboli) e di molti
altri apparsi successivamente, si pos
r abbisi"''" idee fondamenti
che^Ì^ - semplici, come quella
s?ùn j?ggctto a cicli di na
scita, di vita e di morte, e che all’inilo di ogni ciclo vi è una entità, l'Al
scinde°nH^® si
scinde nella creazione e dà luoeo al
de o e ® relazioni fra il
r ^y^'crigono attraverso
FigUo deT'cieÌa "
esaminare
corne avvenga la creazione, come si
fiS^deTr'^i fra il cielo, il fi
glio del cielo e la terra (cioè gli uomini), le cose si complicano tremendamente: tutto ciò è riportato in numirosi scritti, tradizioni, riti, interpr^l
ziom che riguardano ogni specie di
c.?se- gli elementi, i colori, i punti cardinali, le stagioni, i segni dello Zodiaco, le parti del corpo, i frutti dei campi, gli cintenati^ ecc. ecc.
Non si può e non avrebbe senso entrare m un esame particolare di tutta
questa complicata materia. L’avervi
accennato e la menzione di qualche
esempio rende comprensibile come ne
Siano derivate dottrine, credenze sette assai diverse le une dalle altre.'
•I VL*? motivi di complicazione è
Il fatto che nelle relazioni fra il cielo
e la terra intervengono una quantità
di spiriti, di entità che possono assumere il rango di dei: c’è il dio del sole e la dea della luna, c’è la dea dei bachi da seta, il dio della guerra, gli dei
dei luoghi, delle tombe, dei boschi, del
miglio, dei muri, delle sorgenti e via
dicendo. A tutti questi dei, il cui spirito può, a seconda delle circostanze
proteggere o tormentare gli uomini’
vanno aggiunti gli spiriti degli antenati che si comportano nello stesso
modo. Perciò bisogna mostrare rispetto per gli antenati e tributare loro un
culto per ingraziarsi il loro spirito cosi come lo si fa per molti altri dei.
Peio non sempre si riesce a soddisfarti e allora diventano maligni e in questo caso occorre proteggersi da loro.
Uuesto può anche avvenire in modo
assai semplice: ad es. davanti alla porla di casa si costruisce, a breve distanza, un muro, detto appunto muro degli spiriti, perché questi sono troppo
sciocchi per rendersi conto, passando
davanti alla casa, che dietro il muro
c e la porta, e così non entrano. Gli
angoli dei tetti delle case sono ricurvi
verso l’alto e ornati di draghi (un animale favorevole all’uomo) perché gli
spiriti maligni e balordi, volando attorno possono ferirsi, ne restano spaventati e fuggono. M’è accaduto non
molti anni fà nelle Hawai di sentire
una lunga e violenta sparatoria fatta
m occasione di nozze, non già per festeggiare gli sposi, ma per spaventare
e tener lontani gli spiriti maligni. Altre circostanze della vita richiedono
particolare cura: il neonato dev’essere
tenuto almeno per otto giorni in un
amoiente costantemente illuminato,
perche gli spinti approfitterebbero del
buio per avvicinarlo e tormentarlo; e
naturalmente non si deve mai dire ad
riha voce che si tratta di un bambino
bello o sano perché sentendolo gli spiriti sarebbero tanto più invogliati a
lare qualche cattiveria al bimbo.
La moltitudine degli dei da tener
buoni dà ovviamente luogo a una
quantità di riti, di feste, saghe, processioni. I riti più importanti sono celebrati dall’imperatore, figlio del cielo.
Quando una calamità generale colpisce la nazione, è lui responsabile e aeve preoccuparsi di ottenere l’assistenza e la protezione del dio appropriato. I riti meno importanti sono celebrati dai principi e dai potenti. Il popolo assiste e partecipa alle feste, alle
saghe, ai pellegrinaggi. Fra le cerimonie più importanti v’è, come presso altre religioni, la celebrazione del solstizio d’inverno.
Un’osservazione particolare va fatta
a proposito del culto degli antenati. E
chiaro che l’imperatore, i principi, i
grandi conoscono i loro antenati, anche per molte generazioni c sono perciò in grado di tributare loro un culto
degno con adeguati sacrifici per tenerseli buoni. Il poveraccio, l’uomo del
popolo spesso non ha conoscenza precisa del proprio albero genealogico,
ignora dove sono sepolti gli antenati
non immediati, e allora, anche per motivi d’indigenza, non riesce a tenerseli
buoni. Fino al sec. a. C., sempre per
tener buoni gli antenati, quando uno
moriva, si seppellivano vive con lui diverse persone, la moglie o il marito,
l’amante, dei servi, qualche amico, per
tenergli compagnia. Per la morte di
certi principi furono sepolte così decine e decine, qualche volta più di cen
al pielisino quietista di laa tse
Come rinduismo, la religione dei cinesi è passata attraverso
un millenario processo evolutivo, trasformandosi e scindendosi in molti rami: confucianesimo, taoismo, shintoismo etc.
to persone. La gente povera però non
trovava facilmente qualcuno da seppellire col parente defunto, e allora
facevano dei pupazzi di legno e di
stracci, come simbolo, in sostituzione.
È logico che in queste condizioni gli
antenati dei poveri fossero malcontenti e i loro spiriti perseguitassero in
conseguenza i loro discendenti che
continuavano così a rimanere disgraziati.
Nel 6°-5“ secolo a. C. questi usi e
credenze incontrarono diverse critiche,
e apparvero alcuni filosofi che tentarono di sfrondare e inquadrare usi e credenze secondo particolari orientamenti. I principali fra questi furono quattro: Confucio, Mo ti, Yang chu, Lao
tse. Le dottrine di Confucio e di Lao
tse prevalsero sulle altre.
Il successo di Confucio fu sicuramente dovuto al fatto che, come l’imperatore Costantino, vide nella religione un mezzo per governare il popolo
e di riflesso un codice morale che i
principi dovevano osservare per ben
governare. Se si pensa che i sacerdoti
(se così si possono chiamare) di questa religione sono i principi stessi, e
primo l’imperatore, e che così sono
particolarmente legati all’osservanza
dell’etica della loro religione, si comprende come questa concezione sociale conservatrice e aristocratica abbia
trovato largo consenso in tutti gli strati della popolazione. E ciò tanto più
dati i principi etici del confucianesimo. Richiesto se ci fosse una parola
che potesse valere come regola per
tutta la vita, Confucio rispose: «L’amore del prossimo: ciò che non desideri per te stesso, non farlo a nessun
altro ». Ma disse pure: « Fra tutti i
mezzi necessari per guidare l’uomo, la
istituzione dei riti è la più necessaria.
Esistono cinque specie di riti, ma nessuna è così importante come il sacrificio ». E per esaltare il dovere del
principe disse: « Chi guida il governo
con la virtù somiglia alla stella polare, che sta immobile al suo posto e
perciò è onorata dalle altre stelle ».
Nella dottrina di Aio ti, l’amore per
il prossimo è il sommo bene etico e
sociale, è un dovere eguale per tutti,
non ci devono essere privilegi. Egli dichiara che le guerre sono delitti contro
il cielo e sono dovute all’egoismo dei
principi, alla loro cupidigia di bottino.
Come si vede è possibile stabilire un
certo parallelismo fra Lutero e Confucio da una parto, e Müntzer e Mo ti
dall’altra. I primi riconoscevano diritti e doveri dell’aristocrazia, e la religione doveva portare il popolo all’obbedienza e al rispetto verso il principe; per i due ultimi invece il bene del
popolo non coincideva con l’interesse
dei principi, i cui privilegi, ambizioni
e cupidigie erano a danno del popolo.
Al loro tempo, i primi due ebbero molto maggior succc.sso, e gli altri furono
presto dimenticati, mentre oggi la più
recente teologia riscopre le idee di
Müntzer e i giovani rivoluzionari cinesi citano parole di Mo ti e respingono
quelle di Confucio.
Poco seguito ebbe anche Yang chu,
idealista dell’egoismo, per il quale ogni
restrizione agFistinti è una limitazione della vita, la quale va goduta senza
privarsi dei pi. ceri: i corpi dei morti
sono tutti eguali.
Lao tse infine contrastò lo statalismo etico ed aristocratico di Confucio affermando i valori mistici della
religione, e la .alidità di un pietismo
quietistico, distaccato da ogni attività
organizzativa e sociale e indirizzato a
ricercare la via (il Tao) della saggezza
nella meditazione, nella speculazione
sulla natura, nell’estraneità ad ogni
passione. L’ideale politico, anziché
quello di un grande stato organizzato
dall’alto, è quello di piccole comunità
patriarcali, disarmate, autosufficienti c
distaccate. Questa religione prese il
nome di Taoismo ed assunse notevole
estensione durando fino ai nostri giorni. Subì anch’essa non poche trasformazioni, fra cui la più importante appare quella di aver adottato, in una
sorta di sincretismo, forme e contenuti buddistici, con lo scopo di contenere l’espansione del buddismo stesso. L’ascesi, gli esercizi di respirazione, la creazione di comunità di monaci appaiono fra i caratteri delle ultime forme del Taoismo.
Con l’avvento della repubblica cinese nel 1912 e la caduta della dinastia
Manciù, scomparve il figlio del cielo,
e il confucianesimo ne fu scosso. Successivamente con la rivoluzione popolare e in presenza dell’ateismo professato dal marxismo, tutte le religioni
hanno perso terreno in Cina e tendono
a ridursi a minimi gruppi. Sembra infatti che esistano ancora comunità
buddistiche e taoistiche, alle quali sarebbe stato consentito di sussistere a
condizione che i monaci lavorino per
il proprio sostentamento e non vivano
più di doni come in passato.
* *
Di fronte a questo quadro appare ovvio che, pur notando le poche relative
analogie che queste religioni possono
aver mostrato, nel corso della storia,
col cristianesimo, non è pensabile un
dialogo. Lo stesso può dirsi dello Shintoismo, la principale religione del
Giappone, anch’essa per secoli religione di stato, con imperatori figli del
cielo, l’ultimo dei quali, tuttora vivente e tuttora imperatore, non è però
più figlio del cielo. La conseguenza di
questo evento è stata la nascita di
moltissime sette, alcune delle quali
chiaramente colorate di orientamenti
politici, mentre altre sono volte verso
una sorta di misticismo concreto, se
così si può dire, come ad es. lo Zen,
che sta trovando molti seguaci anche
in America e in genere nel mondo occidentale.
Sembra pertanto opportuno terminare ora il discorso descrittivo molto
sommario fin qui fatto sulle grandi
religioni per ritornare prossimamente
su di esso con alcune note conclusive
sui limiti e contenuti di un possibile
dialogo.
Gustavo A. Comba
miimimimiimiimiiiiiiimmimminmimmmmmim mimmmmimmmmimiiimiiMiimimmimmmiimimmiMimmimummimmaiHiimmmmuimi immmimiiiimi
Dopo la scissione della Chiesa evangelica gabonese
Chiuso il Centru Fumiiial Evangéliquu
Espulsi dal Gabon tutti i missionari; in via temporanea o definitiva?
Probabilmente i lettori ricorderanno la notizia apparsa nel n. 12 del 19
marzo scorso del nostro giornale, dalla quale si veniva a conoscenza che,
come conseguenza della grave crisi che
da anni tormenta quella giovane Chiesa, il capo dello Stato, Albert Bernard
Bongo, aveva disciolto i due consigli
sinodali antagonisti richiedendo nel
contempo si riunisse al più presto un
sinodo nazionale alla presenza dei
membri delle comunità evangeliche, allo scopo di eleggere un « consiglio valido e leale ». D’altro canto, il ministro
dell’interno aveva ricevuto ordini rigorosi circa l’espulsione, entro la fine di
marzo, di tutti i pastori non originari
della Repubblica gabonese.
Riceviamo ora una lettera dalla missionaria sig.na Gay, datata 29 marzo,
nella quale ella ci annunzia con dolore che il Centre Familial Evangélique
è chiuso fino alle future decisioni della Chiesa evangelica del Gabon.
La missionaria Gay ci scrive da
Yaundé (Cameroun), che ha appunto
raggiunto colla sig.na Violette Baudraz
dopo la loro forzata partenza dal
Gabon.
La signorina Gay ci precisa che l’il
marzo il presidente della Repubblica
del Gabon ha preso le suddette decisioni contro la Chiesa evangelica a seguito del disordine ivi causato da dissensi fra pastori africani. Un gruppo
MiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiMiiiiiimiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiii
Per un servizio civile in Spagna
Ginevra (hip). - A Madrid, nel luglio 1970,
le Cortes hanno rinviato al governo, senza
nemmeno metterlo in discussione, il progetto
di legge che consente agli obiettori di coscienza di eflPettuare un servizio civile sostitutivo.
Intanto, 187 giovani, testimoni di Geova e
avventisti, attualmente in carcere, vi rimarranno fino all’età di trent'anni, prima di essere finalmente « graziati ».
Un fatto nuovo: dal 16 gennaio scorso anche un giovane ingegnere cattolico si trova in
prigione per obiezione di coscienza. Per solidarietà con questo obiettore, 5 giovani spagnoli hanno iniziato una marcia pacifica da
Ginevra fino alla frontiera spagnola. Molto
simbolicamente i marciatori si presenteranno
al posto di frontiera 1*11 aprile, giorno di Pasqua, posto dove con tutta probabilità saranno
arrestati e messi in prigione.
Da Ginevra a Bourg-Madame i marciatori,
accompagnati da amici olandesi, svizzeri, inglesi. americani e francesi, hanno partecipalo a numerosi incontri e avuto contatti con
ambienti sindacali, pacifisti e nonviolenti, come pure con autorità protestanti e cattoliche.
Scopo di questa coraggiosa iniziativa è
quello di riuscire ad ottenere anche in Spagna Tistituzione di un servizio civile, sostitutivo di quello militare.
IIIIIMIIIinillllllllllillllMllllllillllllllllllllllllllllllllimilll
Le Chiese battiste a Cuba
Zurigo (hip). - « Le Chiese battiste di Cuba
sono molto attive e prospere », hanno affermalo due pastori battisti dell’Avana durante
una conferenza che ha riunito in Svizzera tutti
i responsabili battisti europei.
I due pastori hanno parlato a lungo della
vita religiosa a Cuba. I battisti sono circa
16 mila. La convenzione battista dell’est rappresenta 110 Chiese e 9 mila membri; quella
occidentale comprende 7 mila membri e 98
Chiese. II seminario dell’Avana accoglie 22
studenti. Tutte le Chiese battiste hanno la
loro autonomia finanziaria e provvedono esse
stesse ai loro pastori che sono a pieno tempo.
Esse hanno il diritto di effettuare tutte le funzioni che desiderano, ma non sempre all’aperlo. La maggioranza degli evangelisti cubani
che erano stati arrestati sono ora liberi.
lllllllllllllllllllllllllllllllllillllIMMillllllllilllllllilllllllllll
NELLA GERMANIA ORIENTALE
Restrizioni alle Chiese
Berlino (Relazioni Religiose) - Il governo
(Iella Repubblica Democratica Tedesca ha stabilito che dal 1° marzo in poi tutte le manifestazioni religiose devono essere notificate alla
))olizia ed avere quindi un permesso apposito.
I/obbligo di notifica colpisce soprattutto i
sinodi e le sessioni di comitati ecclesiastici,
alle quali potranno partecipare solo persone attive nel servizio della Chiesa, non quelle che
svolgono normalmente il loro servizio pastorale al di fuori della Chiesa.
di pastori dissidenti, per ottenere i
posti direttivi della Chiesa (affidati ad
altri pastori africani da un sinodo regolare del 1970) ha chiesto l’appoggio
di ministri influenti facendone una
questione politica. Chi ne ha « guadagnato » per il momento, sono i pastori e i missionari non Gabonesi, che sono stati espulsi. Per quanto particolarmente riguarda il « Centre », non essendo le educatrici gabonesi in grado
di lavorare da sole, è stato appunto
momentaneamente chiuso.
La signorina Gay ha ottenuto un visto per il Cameroun che le scadrà il
22 aprile e aspetta colà le decisioni
della Società delle Missioni di Parigi.
Intanto la signorina Baudraz riprende
il lavoro alla maternità di Bangwa nel
Cameroun aspettando l’evoluzione della situazione gabonese: esprimiamo
loro la nostra fraterna solidarietà.
Sono notizie che ci colpiscono dolorosamente e ci asteniamo da qualsiasi
giudizio in merito, non conoscendo
esattamente la situazione. Non possiamo che ripetere quanto già detto e
cioè che è assai sconfortante che si
sia reso necessario l’intervento dello
Stato per richiamare cristiani litigiosi
alle loro responsabilità.
Naturalmente forniremo notizie man
mano che ci sarà dato di averne e
frattanto, nel confermare che la nostra iniziativa per il Terzo Mondo continua, preghiamo i sottoscrittori di inviare le loro olTerte al conto corr. postale n. 2/39878 intestato a: Roberto
Peyrot, corso Moncalieri 70, 10133 Torino.
Pubblichiamo intanto un nuovo elenco delle ultime sottoscrizioni pervenuteci:
Da Pomaretto: G. Laetsch L. 5.000.
Da Angrogna: R. M. F. C. 2.000.
Da Como: T. Bongardo 3.000; L. Malacrida 10.000.
Da Riclarelto: E. Viglielmo 5.000.
Da Torre Pellice; S. Longo 2.000.
Da Firenze: D. Boria 5.000.
Da Venezia: D. Ispodamia 2.500; G. Ispodamia 2.500; fam. Viti 1.000; sorella Zecchin 3.000.
Da Campobasso: P. Corho 2.000.
Da Torino: E. e A. Balma 5.000; C. P. 500.
Da Frauenfeld (CH): D. Di Toro 5.000.
Da Pinerolo: G. e I. E. 60.000.
Totale L. 113.500; prec. L. 171.785; in
ca.ssa L. 285.285.
(segue da pag. 1)
senza la quale l’Evangelo va in fumo •
perché diventa idea.
Il messaggio cristiano, dunque, è Gesù Cristo in persona, non una somma
di ideali tinteggiati di cristianesimo.
Essere cristiani significa stabilire un
rapporto personale con Gesù. Come?
Mediante « l’esperienza dello Spirito di
Gesù », cioè mediante lo Spirito Santo,
dicono i teologi cattolici. Giusto, ma
non bisognava dimenticare la Parola
dell’Evangelo (che i teologi hanno invece dimenticato di menzionare), senza
la quale lo Spirito Santo è come muto e non suscita la comunione e il dialogo col Cristo. E cosa accade nel rapporto personale con Gesù? Accade anzitutto la scoperta di Dio come amore:
« in Gesù Cristo, Dio rivela se stesso
senza ambiguità come amore riconciliante »; in secondo luogo accade la scoperta della libertà nel dono di sé: « in
Gesù Cristo l’uomo... fa l’esperienza della sua libertà dandosi per amore ai
suoi fratelli » (Tesi n. 5). Belle formule, che conveniva integrare con la menzione deWandar dietro a Cristo portando la croce, opportunamente messo in
evidenza da Küng nel suo intervento
ma lasciato cadere nella stesura della
tesi conclusiva posta in votazione.
In conclusione: quale sarà il messaggio che la Chiesa di domani annuncerà agli uomini? Nella misura in cui
essa sarà fedele al suo mandato, cioè
ubbidiente alla Parola di Dio, tale messaggio non potrà essere altro che una
predicazione di Cristo morto, risorto
e vivente. Signore e Salvatore degli uomini. Domani come oggi, oggi come
ieri, come sempre, la Chiesa non ha da
annunciare altro che Gesù. Tutto il suo
discorso non potrà essere altro che una
proclamazione e illustrazione di questo nome. La Chiesa non ha altro da
dire perché non c’è bisogno di dire
altro. La Chiesa non ha altro da offrire
perché in Gesù tutto è offerto: in lui
si ha tutto pienamente.
Parallelamente, la fede delle nuove
generazioni, la fede della Chiesa di domani, nella misura in cui resterà fedele alla testimonianza del Nuovo Testamento, sarà una fede nella persona di
Gesù Cristo, che si esprime nel seguire
Gesù portando la croce e nel confessare
francamente il suo nome davanti agli
uomini.
Ma dove ci porta, oggi, tutto questo?
Ecco l’interrogativo che i teologi cattolici riuniti a Bruxelles non hanno affrontato in maniera esplicita, ma che
non può cristianamente essere eluso.
A che giova infatti sapere qual è il messaggio se poi non si cerca il modo appropriato di viverlo? A che giova ascoltare se poi non si mette in pratica? Due
gravi pericoli incombono sulla Chiesa
di oggi: il primo è di essere una Chiesa
senza messaggio, una Chiesa muta che
non osa o non vuole più dire nulla; il
secondo è di essere una Chiesa che non
vive il messaggio che porta. Una Chiesa senza messaggio è come un corpo
senz’anima, inservibile e ingombrante.
Una Chiesa senza ubbidienza al messaggio che reca è come un’anima senza
corpo, senza peso, senza consistenza.
Paolo Ricca
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIII!IMIIII
La Chiesa nel mondo
L’ordine di lasciare il Sud Africa
prima del 22 maggio, che è stato notificato al pastore Trumbull ed alla moglie, missionari della Chiesa del Cristo
degli Stati Uniti, ha suscitato vivaci
proteste. Non è stata data nessuna ragione per giustificare un tale comportamento.
La Commissione della Chiesa unita per i ministeri nel mondo ha lodato
la Chiesa d’Africa per il suo rifiuto di
lasciarsi intimidire dalla decisione presa dal governo durante l’incontro con
i suoi dirigenti. Il moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa Scozzese, M. H. G. Douglass, ha dichiarato di
essere rimasto sorpreso e scioccato
venendo a conoscenza, durante la sua
visita nel Sud Africa, che George MacArthur, assistente sociale, non aveva
riottenuto il permesso di entrata nelle
regioni africane (nere) della Provincia
del Transkei. Egli fu responsabile dei
giovani ad Umtata dal 1957.
In Rhodesia, due giornalisti cattolici hanno dato le dimissioni per protestare contro l’evidente resa del loro
vescovo al governo in favore della legge sul regime fondiario (Land Tenore
Act). I due dimissionari sono T. McLoughlin, direttore della rivista cattolica « Shield » ed il suo assistente, A.
Chennels. In febbraio la conferenza dei
vescovi ha decretato che le scuole multirazziali della Chiesa si sarebbero inserite fra quelle governative pur dichiarando il loro dissenso.
Durante l'anno 1969-70 il numero
dei membri delle 230 Chiese degli USA
è aumentato di 35.348 unità, con un
guadagno dello 0,03% sull’anno precedente. Questo è il tasso più basso dei
tempi moderni. Il numero totale dei
membri di chiesa negli Stati Uniti è
attualmente di 128.505.084
(Soepi)
Alla redazione di questa pagina
hanno collaborato Claudia e Roberto Peyrot.
4
pag. 4
N. 15 — 9 aprile 1971
Comitato
Collegio Valdese
Doni pervenuti dall’Italia nel periodo
1° Giugno 1970 - 10 Marzo 1971
Un documento diffnso dal Servizio "Istrnzione ed Edncaziene " della federaziene delle Chiese Evangeliche in Italia
Da Amici:
« In memoriam » del Pastore Alberto Ricca;
Aime famiglia, Torre Pellice, L. 30.000; Allasina e Molinatto, Bobbio Pellice 3.000; Bellion Bruno, id. 2.000; Bertinat Giovanni Giacomo, id. 500; Bertinat Giovanni Giacomo, id.
500; Bertolé doti. Leopoldo, Torino 5.000;
Berton Stefano, Bobbio Pellice 500; Bonjour
Daniele, id. 1.000; Bonjour Davide, id. 1.000;
Bonjour Giuseppe, id. 1.000; Bonjour Paolo
Daniele, id. 2.000; Catalin Augusto Davide,
id. 1.000; Catalin Eliseo Emilio, id. 1.000;
Catalin G. Pietro, id. 300; Catalin Paolo, id.
500; Charbonnier Bandiera famiglia, id. 500;
Charbonnier Giuseppe, id. 500; Charbonnier
Paolo, id. 1.000; Charbonnier Stefano, id.
500; Davit Maddalena, id. 2.000; De Pilla
Annetta, Helvetia ved. Cambi, Èva ved. Medie,
Firenze 25.000; Favat-Baridon Margherita,
Bobbio Pellice 2.000; Favatier Stefano, id.
500; Fostel Giovanni Giacomo id. 1.000; Gay
Giovanni id. 2.500; Geymonat Daniele, id.
1.000; Geymonat G. Daniele, id. 1.000; Gönnet Emilio, id. 1.000; Grand Paolo, id. 500;
Grand Paolo, id. 500; Guigou Jou Laesie, USA
6.210; Kitchen Geymonat Ada, Pinerolo
5.000; Lausarot Davide, Bobbio Pellice 1.000;
Lausarot Giovanni Giacomo, id. 500; MelliBertinat Maria, id. 1.000; Michelin Giovanni,
id. 2.000; Michelin Paolo, id. 500; Mondon
Stefano, id. 1.000; Negrin Giovanni Eliseo,
id. 1.000; Negrin Giovanni Eliseo, id. 1.000;
Negrin Giovanni Luigi, id 500; Pontet Aldo,
id. 5.000; Pontet Ernesto, id. 1.000; Pontet
Natale, id. 1.000; Pontet Paolo, id. 1.000; Revel Ermanno, id. 1.000; Rostagnol Francesco,
id. 1.000; Rostagnol Giuseppe, id. 1.000; Rostagnol Paolo, id. 3.000; Ricca Armanda, Firenze 50.000; S.M.G., Bobbio Pellice 10.000.
« In memoria » del Dott. Roberto Meynet:
Peyrot Dott. Enrico e Nora, Luserna San Giovanni 50.000.
« In memoriam » della mamma Carolina
Decker: i figli 50.000.
« In memoriam » del Dott. E. Quattrini:
Leonie et Henry Gaydou, Massello 10.000.
«In memoriam » del Sig. Marco Peyrot:
Pennington De Jongh Lilian, Roma 10.000.
« In memoriam » di Matteo Prochet nel centenario 1870/1970: Pennington De Jongh
Lilian, Roma 50.000.
« Ricordando i suoi cari e Roberto Revel »:
C. P., Torre Pellice 5.000.
« Per una borsa di studio al Collegio Valdese »; Vola Ernesta, Luserna S. Giovanni
50.000.
« Per lascito Sig.ra Albergante Luisa ved.
Olearis »: Vola Rag. Aldo, Torre Pellice
50.000.
<( Per vendita Stemmi Valdesi »: Rihet
Dott. Guido. Torino 61.000.
« Per concessione locali Collegio Mostra
Pittura»: Hurzeler Jean, Torre Pellice
150.000.
« Per concessione Aula Magna »: Sottocomitato Croce Rossa Italiana, Torre Pellice,
15.000.
Ayassot Emma, Torre Pellice 10.000; AngioliUo Dott. Guglielmo, Roma 2.000; Balmas
Carlo Alberto, Luserna S. Giovanni 10.000;
Bastia Rag. Enrico, Torre PeUice 20.000;
Bottoni Revel Emilia, Roma 20.000; Bert
Dott. Guido, Torino 20.000; Buffa Elvino, Pra
del Torno Angrogna 5.000; Castagno Ines, Pomaretto 10.000; Coisson Müller Luisa, Roma
10.000; Corsani Emilio, Genova 5.000; Corsani Mary. Genova 5.000; D’Ari Prof.ssa Ada
e Enrico, Rimini 10.000; Faitta Seavamacchia
Irene, Torre Pellice 2.000; Ganz Emilio, Torre Pellice 15.000; Ghigo Alberto e Ada, Perrero 20.000; Gonin Emma, Luserna S. Giovanni 50.000; Henking Ruggero, Genova 15.000;
Leotta Alfio Catania 20.000; Long Adele, Eugenio, Laura, Luserna S. Giovanni 30.000;
Long Adelina, Alice, Cesare, Pinerolo 10.000;
Mathieu Guido e Berla, Bordighera 20.000;
Mathieu-Vidossich Luigia, Pinerolo 50.000;
Micol Giovanni Emanuele, Perrero 20.000;
Odin-Bonino Emma, Luserna San Giovanni
10.000;Pampuro Renalo e Armida. Genova
1.000; Peyrot Dott. Giovanni e Wanda, Pinerolo 30.000; Peyrot Elena. Genova 10.000;
Peyrot Maria, id. 5.000; Prochet Adriana,
Bobbio Pellice 10.000; Ribel Ing Giovanni,
Torino 20.000; Ricca Armanda, Firenze
10.000; Rivoira Margherita, Pinerolo 20.000;
Rosa-Brusin Giuliana, Coazze 10.000; Rostagno Bruno, Torre Pellice 8.250; Salmo 23.
Torre Pellice 10.000; Serafino Avv. Ettore,
Pinerolo 10.000; Tourn rag. Franco, Torino
50.000; Tron Elsa e Prof.ssa Speranza, Torre
Pellice 10.000; Tron Emanuele e Ida, Genova
5.500; Vola Fiorella e Dott. Renato, Pinerolo
10.000; Una Valdese da Roma, Roma 5.000;
Kitchen Ada e William, Pinerolo 10.000:
Ippolito Ayassot Elcna, Roma 500.
Da Allievi Collegio:
Cougn Leila, III Media 10.000; Gardiol
Paolo I Liceo 12.500; Grand Paola, III Media
15.000; Ghirardi Roberto. I/B Media 10.000;
Lincesso Ester. IV Ginnasio 10.000; Manera
Aurelio I/B Media 7.400; Savio Maurizio
I/B Media 7.400.
Da Chiese Valdesi;
Bari 150.000; Coazze 63.000; Colleferro
35.000; Corato 50.000; Ivrea 100.000; Diaspora Canavcsana 10.000; Pramollo 125.000; Rimini 50.000; Roma, Piazza Cavour 103.000;
Roma. Via IV Novembre 500.000; Rorà
50.000: Sanremo 100.000; Susa 63.000; Diaspora Riviera di Ponente 22.000; San Germano Chisone 226.000: San Secondo di Pinerolo 200.000; Torre Pellice 750.000; Torinono 55.000; Vallecrosia 150.000; Villar Pellice 313.000; Villasccca 150.000.
Da Collette
eseguite in occasione Concerto Trombettieri
del Baden a:
Angrogna Serre 10.000; Bobbio Pellice
17.230; Pramollo 11.010; Torre Pellice
21.100; Villar Perosa 13.765; Luserna S. Giovanni e Rorà 34.240.
eseguite presso Foresteria Valdese in Torre
Pellice: i i t> p
in occasione conferenza tenuta dal Prot.
A. Soggin 23.450; in occasione conferenza tenuta dal Fast. G. Rivoir 13.000.
(continua a pag. 5, col 5)
11 servizio « Istruzione ed Educazione » della Federazione, nella sua riunione deiril febbraio u. s., ha precisato le linee del suo lavoro secondo i
mandati ricevuti daH'Assemblea del
novembre scorso.
Come è noto, il servizio accoglie in
sé, attraverso i suoi membri, due organismi già attivamente all'opera nel
nostro evangelismo italiano: il Consiglio Nazionale delle Scuole Domenicali
e PAssociazione Insegnanti Cristiani
Evangelici. Proprio la volontà di avvalersi di questi importanti apporti, ha
ritardato in qualche misura l'azione
propria di questo settore della Federazione che però, ora, è in grado di
offrire alle nostre Comunità un servi
I membri del Servìzio Istruzione-Educazione della Federazione delle Chiese Evangeliche
d'Italia, nel travagliato e difficile momento
attraversalo dalla scuola italiana, espongono in
questo documento la loro posizione di fronte
ad alcuni fondamentali problemi e lo sottopongono alPattenzione delle comunità.
A. - SITUAZIONE
I contenuti ed i valori
La scuola, così com’è strutturata oggi, non
è in grado di promuovere una formazione e
di trasmettere dei contenuti validi, perché non
fa riferimento alla realtà e perciò non guida
gli studenti a capire quali sono i problemi
veri della vita attuale. Per esempio, lo studente di oggi manca di una preparazione per ciò
che riguarda l'educazione civica; affronta marginalmente la storia contemporanea, mentre
studia gli avvenimenti lontani nel tempo in
maniera passiva, senza che queste nozioni lo
arricchiscano interiormente o lo aiutino a capire le vicende di oggi; si impossessa di un
bagaglio di nozioni e di metodi scientifici praticamente superati dalle più recenti scoperte;
ignora quali siano i problemi della vita di
fabbrica, quale importanza abbia un contratto
dì lavoro e quali siano le contraddizioni della
società in cui viviamo (emigrazione, ineguaglianze sociali, fenomeni razziali, sottosviluppo).
A questo stato di cose, la maggior parte
degli insegnanti non reagisce, continua a
svolgere il proprio programma in accordo con
la situazione che si è venuta creando. Non ci
si rende conto cioè che la passiva accettazione
di piani e programmi ci trasforma in silenziosi
ingranaggi di un sistema che è contrario alla
formazione piena, critica, autonoma dell’uomo del XX secolo.
Ecco un esempio. L’insegnamento religioso
nella scuola pubblica (direttamente, con le
« lezioni » dì religione, e indirettamente, attraverso Timpostazione tipica dei libri di te
Copie del a documento », ed in numero sufficiente per la discussione nelle Comunità, possono essere richieste al
segretario del Servizio : pastore Aurelio Sbaffi - via C. Correnti 15 - 20123
Milano.
Coloro che non sono ancora abbonati a « La Scuola Domenicale », potranno ricevere un numero « in omaggio » scrivendo al pastore Thomas Soggin - via della Signora, 6 - 20122 Milano.
La segnalazione degli a insegnanti » evangelici va inviata alla Sig.ra
Vera Long - vìa Davico, 7 - 10064 Pinerolo (To). Si prega di usare il seguente schema : Nome e Cognome - a]>itazìone - età - ordine scolastico - materia
insegnata.
zio effettivo ed efficace sia per quanto concerne l’istruzione data attraverso le nostre scuole domenicali, sia affrontando i molteplici e complessi problemi della scuola pubblica.
Il tramite fra il Servizio e le Comunità sarà la rivista « La Scuola Domenicale » che i nostri monitori già ben
conoscono e che allargherà il suo interesse ai problemi della scuola in genere.
Nella riunione del febbraio scorso
sono state prese, in particolare, due
decisioni. La prima è quella di promuovere un « censimento » di tutte le
persone che si dedicano alTinsegnamento nelle nostre scuole domenicali
(e questo attraverso i segretariati o
comitati delle Chiese della Federazione), nonché di tutti gli insegnanti
(maestri, professori) membri delle nostre Comunità e che in esse ci risultano essere molto numerosi. Per affrontare seriamente il problema della scuola e poter dire una parola evangelica
sui suoi problemi, è infatti necessario
l’apporto di persone che per studio e
per esperienza ne conoscano a fondo
i problemi. Per tale motivo, anche attraverso la nostra stampa, invitiamo
pastori e consigli di chiesa a voler collaborare per segnalarci, nel più breve
tempo possibile, i nominativi dei membri delle loro Comunità che si dedicano all’insegnamento.
Come secondo atto, si è deciso di
inviare alle Comunità un primo docu
mento su « la scuola » che ci auguriamo possa essere al più presto dibattuto all’interno delle stesse. Sono infatti
le Comunità, in prima persona, a portare la responsabilità della testimonianza evangelica da dare anche in
questo campo.
Si tratta, evidentemente, di un « primo » documento, che non pretende di
esaurire l’argomento, ma si propone
piuttosto il fine di suscitare una discussione ed una presa di coscienza
del problema. Una indicazione, dunque, e non una « soluzione »! Le risposte che ci perverranno dalle Comunità
ci permetteranno di approfondire il
discorso e di portarlo avanti in modo
efficace.
La scuola pubblica
sto neU'affrontare certi problemi, a tutti i
livelli, attraverso la preghiera mattutina, i programmi, ecc.) mira soprattutto a inculcare il
sentimento deU’obbedienza, della passività, della acritìcità, atteggiamenti che sono tutti in
contrasto con l’Evangelo. Questi ed altri motivi
su cui sarà possibile ritornare sono alla base
del nostro rifiuto per tale insegnamento nella
scuola pubblica.
Per questa sua natura, la scuola dimostra
di voler essere un elemento di conservazione
dell'assetto dei rapporti sociali esistente.
Per questo, la scuola trasmette i valori,
i comportamenti, i modelli culturali tipici della società attuale (arrivismo, competitività,
egoismo) e dunque perfettamente funzionali
al mantenimento dello status quo.
Dequalificazione professionale
I casi citati già lasciano intravedere come la
scuola non qualifichi professionalmente, vale
a dire come non procuri una valida preparazione al lavoro. Scegliamo a caso qualche tipo
di scuola che abbia uno sbocco diretto sul
campo del lavoro e che rilasci un titolo « abilitante » alla professione:
— l'istituto magistrale non raggiunge lo scopo. poiché ì programmi di psicologìa e di
pedagogia — materie, queste, fondamentali per il futuro maestro — sono estremamente ridotti, puramente informativi e
la attività di tirocìnio, aneli'essa limitata,
si riferisce ad una realtà artificiale che non
può qualificare l'opera svolta dal tirocinante (prestazioni saltuarie, ignoranza della
mentalità dei bambini, lezioni prefabbricate):
— gli istituti tecnici non preparano alla professione di geometra e di ragioniere; è dimostrato. infatti, che i licenziali da questo
tipo dì istituto devono pensare ad una
lunga e non sempre facile pratica fuori
dalla scuola al termine degli studi; tale
pratica professionale avviene in sede aziendale secondo le varie esigenze tecnologiche,
comportando naturalmente un’ulteriore sul)ordinazìone della scuola al .sistema di produzione;
— le stesse università si dimostrano inefficienti: fra i tanti casi, gli insegnanti di lingue o di matematica i quali, oltre a dover
sopperire alle diverse carenze della loro
preparazione, sanno poco o nulla di psicologia. pedagogia, didattica e, nel lavoro,
si affidano al Imon senso.
Questi pochi casi bastano per dimostrare
come attualmente la scuola, oltre a non trasmettere dei contenuti validi, non promuova
una qualificazione professionale dello studente.
Inoltre si constata che, con l’aumento dell'automazione, la capacità di assorbimento della manodopera diminuisce sen.sibilmente : alla
scuola è affidata la funzione di « parcheggio »
(attraverso la scolarizzazione prolungata) di
una potenziale manodopera disoccupata che,
uscita dalla scuola, difficilmente conseguirà
un impiego corrispondente al titolo di studio.
Selezione
La scuola, accettando come validi certi contenuti e certi programmi, giudica e seleziona
(promozione e lioccialura; classi normali, differenziali, di aggiornamento, speciali; ecc.)
in base a questi parametri. Dietro alla facciata deiroggettività delle prove, delle interrogazioni, dei voli (è stata addirittura messa a
punto una scienza della valutazione : la docimologia!), esìste tutta una serie di ingiustizie
dovute all'incuranza più o meno volontaria
delle condizioni di partenza, dell'ambiente socio-culturale di provenienza, delle reali capacità e limitazioni del soggetto. La denuncia
contenuta in Lettera a una professoressa dei
ragazzi di Barbiana è più che documentata.
1 metodi non possono andare disgiunti dai
contenuti a cui si applicano. Una presentazione puramente cronologica della storia, oppure una presentazione descrittiva (e non politico-economica) della geografia si avvale sempre di un metodo passivo (la spiegazione da
parte dell'insegnante), autoritario (non ci si
preoccupa se esiste o no nello studente una
motivazione per occuparsi di un argomento),
dogmatico (la verità è sempre dalla parte di
chi insegna), individualistico (rifiuto del lavoro a gruppi, della discussione, o mistificazione
attraverso le « ricerche »).
Questo tipo di metodo, adatto soltanto ad
un lavoro ripetitivo, esclude a priori qualsiasi
altra forma di « intelligenza » : creatività, invenzione, produttività; es.dla l'attività di riproduzione (spiegazione/iiìlcjTOgazione; dimostrazione/applicazione, per esempio della matematica o nelle scienze) trascura l’ampio
settore delle attività comunitarie (discussione,
messa a punto, scelta dì argomenti e programmi) e dell'iniziativa personale dello studente.
In ¡pratica, si può dire che i metodi passivi
e autoritari abbiano conu' conseguenza necessaria la selezione, lo sca; ;o di un buon numero di individui non dotuli delle capacità o
attitudini richieste dai jirogrammi. Molte
volte, la determinazione dt'l Q. I. (quoziente
intellettuale) di un ragaz-'o attraverso i test
psicologici ricalca questo .stesso errore, perché
le domande costitutive dr< test si riferiscono
ad un certo ambiente e ad una certa cultura
dove sembrano necessari .deuni valori, mentre
altri sono secondari.
Pertanto, la richiesta di una revisione dei
metodi di insegnamento c di uno spostamento dell’asse deU'attcn/.ione dai problemi
deH’insegnamento a quelli dell’apprendere
corrisponde ad una esigenza di liberazione del
singolo e di rispetto per la sua personalità.
Di solito, nel nostro si>iema scolastico, chi
non assimila i contenni! previsti dai programmi e non ne dà prova viene emarginalo
attraverso i metodi della liocciatura, delle classi differenziali, ecc. Nella maggior parte dei
casi, gli emarginali non arrivano neppure ad
assolvere lobbligo scolastico, mancano di un
diploma e vanno ad ingrossare le file di una
sub-umanità male occupala c sfruttata.
tanto che l'erede è fanciullo, non differisce in
nulla dal servo, benché sia padrone di tutto;
ma è sotto tutori e curatori fino al tempo prestabilito dal padre. Cosi eravamo tenuti in servitù sotto gli elementi del mondo; ma quando
giunse la pienezza dei tempi, Iddio mandò il
suo Figliolo, nato di donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione di figlioli » (Calati 4; 1-5).
A questa vocazione non c’è alternativa : o
si resta inerti sotto la legge o si sceglie la via
dell'azione.
In quest'opera di liberazione e di affrancamento, i genitori devono sentirsi parte in causa : la scuola è un servizio e, come tale, deve
mirare alla promozione deU'uomo. I genitori,
corresponsabili del funzionamento della scuola
e della formazione-preparazione dei loro figli,
devono discutere questi problemi, avanzare
proposte, sostenere l’azione di rinnovamento
dei contenuti e dei melodi.
Hepressione.
Si definisce « repressiva » quella situazione
in cui aU’individuo si impongono delle scelte, senza esser interpellalo o lasciato libero di
accettare o di rifiutare ciò che gli è proposto.
Riferendoci all analisi che abbiamo riportato,
siamo dell avviso che la scuola sia un esempio
di situazione repressiva. La metodologia generale adottala è fatta di autoritarismo, di invito
alla passività, di carrierismo, di prevalenza di
lezioni cattedratiche ed è carente per ciò che
concerne la volontà di instaurare dei rapporti
non mortificanti docente-studente, delle abitudini alla discussione, delle occasioni di espressione personale e creativa.
Di fronte a questa situazione, la classe degli studenti si è sentila in dovere dì reagire,
promuovendo assemblee, scioperi, discussioni;
c resistenza stessa di un o movimento studentesco » trova la sua motivazione più profonda
e giustificazione nell'opposizione a questa condizione dì repressione.
B. - PROSPETTIVA
Per l'analisi fin qui condotta e le proposte
che intendiamo fare, ci siamo serviti degli
strumenti di cui oggi disponiamo, ma la motivazione di fondo che ci ha portali a fare questo discorso è ispirata aU'Evangelo, il quale ci
annuncia la liberazione in Cristo e ci vincola
ad una costante ricerca della liberazione dell'uomo da ogni condizionamento e stalo di
mortificazione e alla sua restituzione allo stato
di piena re.sponsahilita. Ci riferiamo all indicazione deU'aposlolo Paolo: «Or io dico. Fin
C. - PROPOSTE
Proponiamo quindi che tutte le nostre comunità diventino coscienti e responsabili della situazione attuale della scuola e dei problemi che la travagliano, chiedendo o provocando delle riunioni, dei dibattiti con persone
competenti, e che i credenti discutano per
trovare migliori soluzioni. Questa presa di
coscienza si dovrà tradurre concretamente in
un impegno aU'interno di quegli organismi
che agiscono sul piano locale (comitali scuolafamiglia, comitato di quartiere). I problemi
da porre in discussione devono riguardare la
gestione della scuola, i criteri di selezione, le
metodologie adottate, i contenuti trasmessi,
avendo sempre presente il pericolo di una possibile strumentalizzazione da parte di autorità
scolastiche conservatrici ai fini della repressione, oppure di uno svuotamento che riduca
questi organismi ad occuparsi di problemi insignificanti (i bambini devono o no mettere il
grembiule? si organizza o no una determinata
gita?...).
A titolo indicativo suggeriamo alcuni argomenti e temi dì discussione per le comunità;
1) i programmi vigenti ed i metodi di insegnamento; 2) i libri di testo; 3) gli orari scolastici; 4) tempo pieno e doposcuola.
Come gli studenti della Scuola Media l/aldesi; di
Terza eia; il problema della difficile
Si è discusso nelle classi della Scuola Media del Collegio il grave problema della difficile situazione degli anziani in Italia e si è
svolto sull’argomento un tema.
Veramente notevole è l’acutezza della osservazioni di questi ragazzi dagli undici ai
quattordici anni e singolare la vivacità della
esposizione, specialmente quando riferiscono
esperienze personali. Quindi senz’altro do loro
la parola. Patrizia Peyrot (III Media): « Oggi
nel mondo vi sono tantissimi problemi e quello della vecchiaia è più o meno trascurato,
perché altri più urgenti sorgono ogni giorno ».
Un quadro vivo della dura realtà
Riguardo alla situazione attuale quasi tutti
gli allievi mettono in evidenza sia il problema
economico che quello morale. Ascoltiamo alcuni studenti dì I Media : « Il problema finanziario è quello delle pensioni troppo scarse; i
pensionati non possono vestirsi e mangiare se
pagano l’affitto; e se non lo pagano vengono
messi alla porta. Il problema morale è quello
della solitudine degli anziani, bisogna pensare agli anziani soli senza parenti, né nipotini. Questi anziani non sorridono più, c’è come un muro tro loro e gli altri. Essi, abbandonati, sono come i cani randagi, perché sono
scartati dalla società, come viene scartato un
cane » (Valter Cesan).
« In Italia una forte percentuale è isolata
e rifiutata dalla società, perché non sono Utili,
essi si possono paragonare a degli oggetti;
quando si rompono o sono fuori uso, si buttano via o si lasciano in disuso » (Massimo
Eynard).
« Molti anziani o perché sono noiosi o perché sono invalidi e nella famìglia tra i più
giovani darebbero fastidio e si troverebbero a
disagio, vivono soli e fanno delie economie impressionanti per potere andare avanti. Sono
messi da parte da lutti e finiscono con il vìvere soli 0 negli ospizi per vecchi. Una signorina, che ha più di settanta anni e che vive
sola, abita vicino a me ed un giorno mi ha
detto che un uovo le serve per Ire pasti! » (Ccsan Carla).
Le loro esperienze
Gli studenti Ricca, Caffaro, Campra e Vergnano si rendono conto che il problema più
difficile da risolvere è quello degli anziani invalidi « che non hanno nessuno che li aiuti »
e « non possono fare niente perché sono immobilizzati o nel letto o su una sedia a rotelle » ed il grave problema « è come e dove
sì può ricoverarli in un Istituto ».
« L’autunno viene accolto con meno gioia
della primavera, perché se la primavera è venula con il sole, l'autunno viene con le foglie
morte e il gelo, nascono i dolori e per i vecchi
inizia la stagione dei dottori e degli ospedali:
chi è caduto sul ghiaccio, chi ha dolori alle
gambe, chi ha la polmonite... » (Valter Michelin Salomon).
Questi ragazzi non si limitano a fare un
quadro vìvo della dura realta, ma }>resenlano
delle proposte e delle soluzioni.
Roberto Ghirardi afferma che « per non
ricoverare gli anziani negli Istituti si potrebliero mandare a casa delle assistenti per far
loro da mangiare e tener loro compagnia ».
Daniela Rivoira : « I vecchi senza parenti
non dovrebbero essere buttali negli Istituti
come cani, ma hisognereljbe che delle suore o
dei volontari anifassero nelle loro case per
curarli». Ma Cristiana Isaia non ha dubbi:
« Per conto mio lo Stato dovrebbe aumentare
la pensione dei vecchi, perché loro hanno
pure diritto di vivere ».
Alcuni studenti di U1 Media aggiungono a
queste altre idee ; « Sono in progetto delle cas* di ricovero dove il vecchio potrebbe avere
una camera tutta sua, che potrebbe ammobiliare con mobìli pure suoi. Di queste case ve
ne sono già alcune, ma per adesso il prezzo è
molto alto e quindi abitarvi è solo un privilegio di pochi vecchi » (Rita Avondet).
Mauro Albertengo vorrebbe che si creassero
« dei circoli, in cui i vecchi potessero passare
le loro giornate allegramente e serenamente
trascorrere gli ultimi anni della loro vita, senza dover pensare alla morte ».
C’è anche chi sente la propria responsabilità
come Grazia Bertin: «Ma senza pensare tanto a quello che potrebbe essere fatto da xma
parte e dall'altra, cosa potremmo fare noi per
rendere felici, almeno per una giornata, questi vecchietti? Una parola, una visita, una
chiacchierata amichevole, l'ascolto interessato
dei racconti della loro gioventù servirebbe a
far passare loro una bella giornata. E se tutti
a Natale provassero a ospitare una vecchietta
o un vecchietto si potrebbe farli molto felici ».
Luciano Prìotto cita una sua esperienza :
« lo conosco due vecchietti che abitano su in
montagna, essi vivono in miseria, in una casa
mezzo diroccata, nessuno dei due lavora, perché non sono in grado, prendono una pensione mollo misera, vanno solo in paese ogni 15
giorni per fare le commissioni. Io conosco tre
giovani che ogni settimana li vanno a trovare
per aiutarli in qualche lavoro che essi non
possono fare ».
Gli allievi della III Media inoltre rivelano
nelle loro osservazioni un forte senso della
realtà. Si stupiscono che nel ventesimo secolo questo problema non sia stato ancora risolto: « Nell'anno 1970, dopo che l’uomo è andato sulla Luna, l’epoca delle scoperte lunari,
le scoperte che insegnano all’umanità quanto
è grande Tunìverso, sulla terra rimane il problema della vecchiaia » ((Valter Michelin Salomon » ...« Non sembra possibile che al giorno d'oggi, in cui l’uomo va sulla luna, delie
persone anziane debbano ancora morire abbandonale » (Mauro Albertengo ).
Il dramma della vecchiaia è particolarmente messo in evidenza da Daniela Pascal : « Oggi la vita di una persona anziana non è più
uguale a quella di una volta... Ora è messa
da parte, non è quasi più tenuta in considerazione. Quasi sempre viene messa in una casa
di riposo, come fosse un pacchetto ingomhranle da mettere in una stanza oscura.
Quando la famiglia non può o non vuole pagare la pensione, è il comune che ci pensa.
Ma un povero vecchio chiuso in una Casa, è
come se avesse perso la sua libertà... ».
Armanda Pontet di Bobbio c Lia Armand
Ugon di Villar Pellice ci presentano in modo
vivo degli esempi assai significativi. Ascoltiamole : Ci sono delle persone vecchie al mio
paese che lavorano come persone dì Irenl'anni. lo conosco una donna che ha novantaseltc
anni e che, con una scala, sale sul tetto di
casa sua ad aggiustare le tegole e che si arrampica in cima ad un pero per raccogliere
le pere. Mentre ce ne sono delle altre che
non possono più alzarsi dal letto e che sono
curate dai vicini o perché sono senza figli o
perché questi ultimi non si occupano di loro ».
« Molti vecchietti continuano a vivere in povere baite sprovviste di ogni comodità con
la sola compagnia di due o tre capre e di
qualche pecora, andando a tagliare la legna,
anche poi faticando per portarla fino a casa.
I loro figli o parenti, molte volte, insistono
per farli andare ad abitare con loro, ma essi
rifiutano, attaccati come sono alle loro tradizioni ».
La pensione, è molto
ma l’affetto è di più
Sono due ragazze di III Media che si rendono conto di quanto può fare la famiglia per
sollevare il pesante fardello che la vecchiaia
impone. Marisa Bigo: « Se è grande cosa avere una pensione per poter vivere modesta-
5
9 aprile 1971 — N. 15
pag. 5
“Voce amica” a Sanremo DUE POETI RIESINI
Avviato un servizio nuovo: la trasmissione telefonica di un breve messaggio evangelico, con la possibilità, per chi chiama, di porre domande
e richiedere un colloquio; nelle 2 prime settimane oltre 1.600 chiamate
Qualcuno ricorderà che alcuni anni
fa, a Vallecrosia, si era provveduto a
installare un’apparecchiatura per la trasmissione telefonica di un breve messaggio biblico, ogni giorno diverso (”Tele-evangelo"). Il servizio ebbe inizio il
24 settembre 1966 e terminò il 25 giugno
1968 (con alcune brevi interruzioni), e
in questo periodo giunsero 18.736 chiamate, con una media di venti chiamate
nelle 24 ore. Poi l’apparecchio cominciò
a non funzionare come avrebbe dovuto,
le spe.se crescevano, i doni erano pochi, e si era finito per rinunciare.
Da domenica 7 marzo Pesperimento è
stato ripreso con un nuovo apparecchio
(si può telefonare al 77038) e a qualunque ora del giorno o della notte si può
udire, durante due minuti e mezzo, un
commento all’Evangelo; chi ascolta, se
10 desidera può pure parlare, porre domande, chiedere chiarimenti o colloqui,
sì che il pastore può poi rispondere a
chi si è fatto conoscere. Durante le prime due settimane del nuovo servizio
oltre 1.600 persone hanno chiamato
“Voce amica” per ascoltare il messaggio quotidiano. Alcuni hanno aggiunto
11 proprio nome, il proprio saluto e il
proprio “grazie”, altri hanno chiamato
il pastore direttamente, per fargli le domande più diverse.
Questo servizio implica un impegno
quotidiano notevole e anche una spesa
considerevole: ci auguriamo che chiamate sempre più numerose confermino
la sua validità, e che offerte di fratelli
lo sostengano anche finanziariamente,
poiché le spese non sono affatto indifferenti. Un tale impegno spirituale e materiale dev’essere sorretto dalla presenza viva della comunità.
Il 17 Marzo il Pastore Giovanni Peyrot ha
tenuto nel salone l’annunziata conferenza su
« Chi è Cristo j)er noi, oggi? », che è stata seguita da una settantina di persone. Anche a
questa, come alle precedenti conferenze, l’attenzione del pubblico è stata viva e alcune domande sono state rivolte all’oratore.
Questa serie di conferenze si concluderà a
fine Aprile quando speriamo di avere il Prof.
Bruno Corsani, titolare della cattedra di Nuovo Testamento alla Facoltà Valdese di Teologia.
I ragazzi della Scuola Domenicale sono stati molto riconoscenti alla sorella Ruth Boeri
che il 6 marzo ha organizzato per loro un pomeriggio ricreativo. Pienamente riuscito, è il
primo esperimento di questo genere e speriamo possa ripetersi, favorendo l’affiatamento dei
nostri bambini, la cui Scuola Domenicale è
vivace in modo rallegrante.
Illlliliiiiilllllllllllllllllllilllllllllimi lllllllllllllllllllllllll
'Visita del past. Aldo Comba
a chiese calabro-sicule
II past. Aldo Comba, accompagnato dalla
sua Signora, ha visitato in marzo le chiese di
Cosenza, Caltanissetta, Agrigento, Grotte e
Riesi. Nelle riunioni ecclesiastiche egli ha
trattato il tema delle posizioni sinodali sul matrimonio. e in quelle pubbliche, le più numerose, il tema : Il cristiano di fronte alla politica degli anni ’70. Queste conferenze hanno lasciato larghi echi sia per la maestria
con cui Targomento è stato trattato, sia per
la chiarezza veramente eccezionale della trattazione.
Come già le precedenti, dei proff. Valdo
Vinay e Alberto Soggin e del past. Renzo Bertalot, queste serie di conferenze aiutano le nostre chiese nei contatti con la città in cui
operano e di questo siamo grati ai fratelli
che ci hanno visitato.
S. G.
Torre Pellice vedono il problema della vecchiaia
Situazione degii anziani in Italia
mente, per una persona anziana il fatto di
poter godere dell’affetto dei propri figli, per i
q:uali magari si sono fatti tanti sacrifici nella
vita, costituisce una gioia immensa ». Silvana
Pons : « La vecchiaia è un periodo triste, è
il periodo che precede la morte e tocca agli
uomini più giovani, i figli o i nipoti, occuparsi di queste persone j>er rendere loro più
piace\oli questi ultimi anni della loro vita. Il
vecchietto più felice è quello che può stare
insieme alla sua famiglia ».
Quello che ci stupisce nelle esposizioni di
questi ragazzi è il fatto che hanno esaminato
il problema sotto molti diversi aspetti. Per
esempio lo studente di I Media Mario Charhonnier ha notato che c’è un aspetto particolare della questione : il tempo lìbero. « Ci
sono molti vecchi che non sanno occupare il
tempo libero e cosi sentono molta malinconia
e certe volte pensano che anche se morissero
non importerebbe niente, perché ormai non
lavorano come quando erano giovani, invece
altri vecchietti sanno occupare il tempo libero
con dei lavoretti ».
Sensibili alle discriminazioni
I giovani di solito sono molto sensibili .alle
discriminazioni; per questo sentono l’urgenza
di rimediare alle ingiustizie sociali di cui sono
particolarmente vittime gli anziani. È ancora
Marco Charbonner che denunzia : « In Italia
ci sono solo sei ospedali geriatrici cioè ospedali che curano i vecchi quando sono soggetti alle lunghe malattie della vecchiaia. In
Italia ci sono dei ricoveri per i vecchi che
rassomigliano a delle prigioni e le persone
anziane che sono povere non hanno i soldi
per permettersi un ricovero più bello e più
ospitale e così sono costrette a rimanere in
questi brutti ricoveri che quasi gli crollano
addosso. Ci sono anche dei ricoveri dove i
vecchi stanno molto bene, però se lo possono
permettere solo i ricchi che hanno una forte
pensione. E Armanda Pontet ribadisce questo
concetto; «Se prendiamo una persona ricca,
lier es. un direttore di fabbrica, questi una
^olta vecchio ha una grossa pensione, e se
])oi si ammala ha la possibilità di pagarsi delle infermiere e dei dottori, ecc. Questo ^ secondo me non è giusto, perché siamo tutti di
carne e ossa, e secondo il mio parere le persone dovrebbero avere la stessa pensione ».
Voglio citare ora 1 intervento di Franco Cairus che ha messo a fuoco con precisione la
difficile odierna situazione delle persone anziane ed anche delle loro famiglie : « Di solito. (juando ve ne è la possibilità, i figli cercano di tenere con loro i genitori anziani, ma
a volte quando in una famiglia i coniugi devono lavorare entrambi per poter far fronte alle innumerevoli spe.se che vi sono giornalmente, si vedono costretti a dover far ricoverare i propri genitori, perché di solito gli
anziani hanno bisogno di molta più assistenza
0 perché sono ammalati o perché non possono
j>iìi muoversi dal letto ed allora occorre sempre una persona per as.sisterli, altre volte i
vecchi non ci vedono più, oppure non sanno
più cosa si fanno ».
1 rapporti fra vecchi e sfiovani
Gli allievi della I B e della II hanno trattalo il iiroblema degli anziani con particolare
riguardo ai rapporti tra vecchi e giovani : « La
gioventù d'oggi trascura troppo i vecchi, non
li comprende e questi ultimi si sentono .soli e
amareggiati. Noi nella nostra scuola ci dividiamo a gruppi e andiamo a far visita a persone anziane e ci accorgiamo che la nostra
visita è utile e facciamo de! bene a quelle
persone » (Gabriella Genre).
« Tanti anni fa i vecchi che noi conosciamo e che magari non rispettiamo erano un
tempo anche giovani come noi, giocavano, saltavano, proprio come noi. poi pian piano co
minciarono a mettere i capelli grigi poi bianchi e poi magari incominciarono a mettere un
po’ di gobba per il peso che dovevano portare
sulle spalle quando erano giovani per mangiare. Adesso queste persone non le salutiamo
nemmeno... » (Luciano Priotto).
L’allieva Gisella Avondetto ricerca i motivi
di questo abbandono degli anziani da parte
dei giovani: « Nel tempo passato i giovani non
avevano le automobili e perciò restavano più
facilmente a casa e si dedicavano anche di più
ai genitori, invece adesso non hanno più tempo sufficiente ».
Transizione o frattura
fra le generazioni?
L’analisi del noto confllitto tra vecchi e
giovani non manca nei temi degli studenti ed
anzi alcuni di loro si dilungano con sincerità
sull’argomento esponendo le loro idee e parlando delle loro esperienze personali.
Maria Rostagnotto, allieva di I A, è molto decisa nelle sue affermazioni: «Fra giovani e vecchi vi è una grande differenza di idee,
cioè i vecchi sono contrari a tutte quelle manifestazioni di protesta (a volte molto chiassose) che piacciono tanto ai giovani, non vorrebbero che i loro figli o nipoti fossero capelloni oppure che le ragazze portassero audaci
minigonne; anche in politica, sport e per i
nuovi metodi scolastici non sono sempre d’accordo con i giovani. Però i giovani hanno
spesso idee giuste e per molte cose migliori dì
quelle degli anziani ».
Alessandro Parodi, alunno della stessa classe, accenna alle sue esperienze personali:
tt Posso parlare dei rapporti tra i miei nonni e
miei; un abisso ci separa, dal modo di pensare
al modo di vivere. Gli anni dì differenza .sono
evidentemente troppi! Infatti quando sento i
miei nonni discorrere con altre persone pressapoco della loro età, noto che essi si lamentano dei giovani d’oggi e dicono che i ragazzi
moderni non hanno molto rispetto verso gli
anziani. Forse questo è vero, però io penso
che non lo facciano per cattiveria, ma per il
semplice fatto che i giovani d’oggi hanno le
idee completamente diverse da quelle delle
persone anziane ».
Massimo Impiglia è più comprensivo ; « Secondo me, gli anziani devono essere rispettati
da noi giovani, perché con i loro consigli ci
aprono una strada nella vita e ci aiutano a
sopportare ed a superare i primi dolori della
vita stessa ».
Riferendo il pensiero dei preadolescentì sul
grave problema della situazione degli anziani
nella famiglia e nella società, non posso tacere quanto Roberto Del Pero osserva con
un’analisi veramente molto acuta per un ragazzo della sua età, sulla nuova posizione in
cui viene a trovarsi l’uomo anziano nell’era
moderna : « Nell’anno 1970, anno del progresso economieo e meccanico, le persone anziane si trovano, ovunque abitino e in qualsiasi modo vivano, un po spaesate. L esistenza
di queste persone è stata a poco a poco condizionata dalle nuove scoperte meccaniche e
dalle recenti conquiste sociali che hanno rivoluzionato la loro vita e hanno cambiato il
loro tran tran giornaliero da tranquillo a movimentato. È, secondo me, proprio questo essere indietro con le idee, che sminuisce 1 importanza di una persona saggia, come lo sono
i vecchi. nelTinsieme delle persone di una
nazione... Noi dobbiamo molto alle persone
anziane perché sono state loro a mettere la
prima pietra per creare il mondo attuale in
cui noi ora viviamo cosi bene ».
Ho raccolto questi pensieri da più dì cento
temi, senza fare modifiche; essi non hanno bisogno di commento, perché nella loro ingenuità e schiettezza, si commentano da soli.
Anma Mariillo
Al Centro Dibattiti abbiamo avuto
due poeti riesini: Ernesto Puzzanghera
ed Ernesto Naso: il primo insegnante
a Reggio Calabria, il secondo pastore
a Taranto. Il nostro intendimento era
di un incontro fra i due col loro popolo, la maggior parte del quale non
li conosce. Eravamo, però, preoccupali perché quelli che hanno studiato, i
notabili, eccetto pochi fra loro, a sera
giuocano a carte e nessuno può distoglierli. Se, per esempio, venisse a Riesi Mao farebbero una rapida scappata
per osservare come egli porta il giubbone eppoi di nuovo... al tavolo delle
carte! Gli altri, agricoltori o minatori,
avrebbero compreso le liriche dei due
poeti? o ancora sarebbero venuti addirittura ad ascoltarli? Infine e, per di
più, avviandoci al Centro vediamo una
piccola folla ad ascoltare un cantastorie. Una volta i cantastorie erano anche essi poeti ma ora la categoria è degenerata. Hanno un grammofono e
fanno solo il gesto di aprire e chiudere la bocca, o poco più. Il grande cartellone del cantastorie in questione
portava il titolo; « La sacra vendetta ». Perplessi e timorosi per la serata,
dunque.
La sala si è riempita totalmente e,
anzi, anche la saletta d’ingresso.
Di più gente non poteva starcene. Ha
introdotto un altro poeta, il Dr. G. Lo
Presti, di Caltanissetta. Ha spiegato
il senso della serata. Poi Ernesto Naso ha detto che cosa significava per lui
la poesia ed i temi che in essa trattava. Quindi ha letto delle liriche. Altrettanto ha fatto Ernesto Puzzanghera
dopo un’analoga introduzione.
Tutta la piccola folla era tesa ad
ascoltarli, sottolineava con applausi le
poesie più sentite. Per noi vero stupore. Due poeti che parlavano ad un popolo semplice e questo li ascoltava
con commozione visibile e con grande
attenzione.
Ne è seguita una lunga discussione
che potremo dire originale per un simile convegno. Non si andava a temi
astratti di estetica, come in altri luoghi sarebbe avvenuto, ma al senso della vita come i poeti lo avevano espresso e come gli uditori lo percepivano.
Si andava ai temi più vivi di oggi, ai
grandi problemi di questa città, _ ai
suoi carusi, alla miniera, alla fatica
dei campi... oppure ai temi del mondo attuale, alle sue divisioni, alla sua
pazzia, per ritornare all’impegno di vita che ognuno deve avere per portare
le proprie responsabilità.
La serata è stata proprio un dialogo bello fra i poeti ed il loro popolo.
iimiiimmiiiininiiiiiiiiMiiiiiiiiiiimii'iiiiimiiiiiiiiiiiiii
Bordighera
Vallecrosia
Ventimìglia
Domenica 27 Febbraio u. s. i membri elettori si sono costituiti in Assemblea subito dopo
il culto nel tempio dì Bordighera per procedere alla nomina del Con-siglio di Chiesa i cui
membri erano scaduti per compiuto quinquennio.
Allo spoglio delle schede sono risultati eletti
quale Anziano di Chiesa il sig. Sergio Nisbet
(neo-eletto), e quali Diaconi riconfermati i
sigg. Guglielmo Jalla. Giovanni Grill. Massimo Kegler. e Cesare Reynaudo. e neo-eletta
la Signora Eletta Jalla. Per la prima volta,
crediamo, nella storia della Comunità è cosi
entrata a far parte del Consiglio di Chiesa una
sorella.
Coiigralulandoci con ì membri del Consiglio vecchi e nuovi auguriamo loro che un
l)uon lavoro collettivo ed individuale possa
essere compiuto per il bene della Comunità
tutta.
La Domenica della Gioventù è stata celebrata domenica 7 Marzo corr. nel tempio di
Bordighera con un culto i>resieduto da un
gruppo di giovani e dal Pastore. Sergio Nisbet e le sorelle Albana, I,oretta e Tamara
Scarinci hanno tenuto la parte liturgica e fatto le letture bibliche, ed il Pastore la meditazione. Un esperimento nuovo che ha lasciato un’ottima impressione in tutti e dal quale
abbiamo ricevuto un particolare beneficio spirituale.
Domenica 21 Marzo ha avuto luogo l’assemblea di chie.sa per l’esame dell’argomento
all’o.d.g.; Il battesimo e la confermazione.
Dallo scambio dì idee è emerso un orientamento favorevole alla decisione delTullimo Sinodo su questo tema, ma con una accentuazione di pieno rispetto per le libertà di quei
genitori che continuassero ad avere una convinzione pedobattista; e con l’invito ai genitori di tendenza « battista » a voler presentare i propri figliuoli sia per dar modo alla
Comunità di raccogliere la loro promessa dr
allevarli « in disciplina e ammonizione del
Signore », sia per rendere sensibile la Comunità alla comune responsabilità al riguardo.
L’Assemblea è stata unanime circa le « ammissioni » o «confermazioni» non a data
Un’altra assemblea di chiesa si è riunita
Domenica 28 Marzo nella sala delle attinta
di Vallecrosia per studiare il problema dei matrimoni misti in riferimento alle nuove disposizioni su quel tema in campo cattolico. In
una assemblea successiva sara studiato il problema della entrata della Chiesa Romana nel
Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Domenica pomeriggio 14 marzo siamo stati
lieti di essere fra il numeroso pubblico riunito nel salone del Palazzo dell’Ente Turismo di
Bordighera per udire la interessante conferenza del nostro confratello dott. Antonio
Stauble attualmente professore di Letteratura
italiana all’Università di Losanna, sul tema:
«Il dottor Antonio» di Ruffini. in connessione con le celebrazioni del 5° centenario
della fondazione della città di Bordighera.
Rinnoviamo all’oratore le nostre vive congratulazioni.
Stamane al culto ha predicato Ernesto Naso. Poi ha preso la parola, con
intima commozione, Ernesto Puzzanghera. L’uno e l’altro si ritrovavano
dopo lungo tempo nella loro antica
chiesa. Ad un tratto, però, un operaio,
presente al convegno della sera precedente, si fa avanti e prende la parola
per ritornare a quel che era avvenuto.
« Siamo andati ad ascoltare i poeti —
ha detto — convinti che si trattasse di
parole messe in rima... ed, invece, abbiamo avuto la sorpresa di sentire che
si trattava di un messaggio vero che
ci era rivolto ed al quale abbiamo partecipato ».
La sorpresa era anche nostra perché
non ci aspettavamo che questo popolo
dalla vita tanto rude fosse così sensibile ed aperto ad un discorso poetico.
T. V.
ERNESTO NASO
Gemito della creazione
La creazione che « geme insieme ed è in
travaglio » ma « con brama intensa aspetta »
la sua liberazione « dalla servitù della corruzione », secondo le celebri affermazioni di S.
Paolo (Rom. 8: 19 sgg.), ha ispirato Ernesto
Naso, pastore valdese a Taranto, nelle liriche
che ha recentemente pubblicato
« Gemito della Creazione » è infatti il titolo della prima lirica come dell’intera raccolta; « Nuovi cieli e nuova terra » il titolo
delLultima. Fra questi due poli: la situazione
e la speranza, si muove la poesia, che è essenzialmente una rappresentazione, stringata
e precisa, dell’umana sofferenza e dei volti diversi che essa assume. Nella contemplazione
delle aride dell’Italia del Sud, nel pensiero
dei campi di sterminio dell’ultima guerra, nella fatica perennemente uguale dei contadini e
nel cadere sistematico delle speranze umane
più diverse,
« antico patimento
mi sommerge,
universale
male della vita
travaglio e gemito
della creazione ».
Sono i versi di un uomo che partecipa alla
sofferenza che descrive :
« quante volte
il male della vita m’ha incontrato;
il
cuore mio
non trova a tanto male una ragione
coglie una pena
dove un fiore è colto
un passero colpito
raccoglie il gemito
della creazione ».
Partecipa con l’animo del credente che sa
discernere, nell’agonia del mondo tormentato
]>erché « sottoposto alla vanità », i segni del
nuovo che Dio compie, e a cui apre fiducioso
il cuore e le mani, che Dio, giudice e redentore, riempirà di quella grazia che Lui solo
può dare :
c( 11 mio Signore
nel fuoco getterà
le mie speranze
disperderà nei venti
i miei ricordi
mi chiederà la vita
la fine del mio mondo.
Ma in cambio mi darà
coll’altra mano
un’altra vita
ed un altro mondo ».
S. R.
ERNESTO PUZZANGHERA
Chi in questo nostro tempo di produzìonismo vuole ancora ascoltare una voce che appartiene al regno della creazione per riceverne
forza e stimolo a certe meditazioni, non manchi di leggere il bel volumetto di liriche di
Ernesto Puzzanghera, Io e la speranza edito da La Procellaria Editrice.
Il volumetto che viene ad arricchire la poetica di Puzzanghera viene a confermare che
per questi la poesia non è davvero un hobby
ma una vera vocazione, R suo profondo essere
e a segnare neUa sua opera ancora un passo
avanti; come ogni vero poeta, infatti, Pozzanghera non vive di rendita, si rifiuta di rimanere ancorato aUo sfruttamento di vecchi filoni, va alla ricerca di nuovi filoni, di una nuova tematica, ampia, profonda, sofferta e, quando comunque tratta motivi particolarmente a
lui consoni, « suoi », egli lo fa senza dubbio,
con un nuovo respiro, con un nuovo senso di
sofferenza, di problematica, dandoci cosi quasi
sempre una lezione di misura appassionata, di
forza, di speranza.
Non vogliamo con questo dire che Puzzanghera abbia rinnegato se stesso, al contrario
vogliamo affermare che in lui è avvenuto un
superamento senza rotture, senza rinnegamenti : infatti sempre fedele ad una linea di
probità intellettuale respingendo tutti gli estetismi di moda e le varie alchimie artistiche di
corto respiro egli continua ad essere fondamentalmente se stesso, quello che è stato: un
testimone, una voce di speranza, di amore e
di giustizia; la sua poesia è l’uomo, o meglio
Tuorao Puzzanghera. l’uomo credente appassionato impegnato in tutta la vita è la sua poesia; e quando diciamo testimonianza non vogliamo davvero diminuire il valore del messaggio di questo poeta : c’è testimonianza e
testimonianza; quella di Puzzanghera è sincera esistenzialmente impegnata, derivata certo da sostanza evangelica.
Una vena dolorosa di sofferenza percorre
buona parte delle poesie di questo volumetto
(« Vento d’apocalissi »; « Tu non sai cosa
vuol dire »; « C’è un tempo »; « Oggi o domani che importa? »; « Quanto è lunga la
strada », ecc.) ma non si tratta mai di disperazione e tanto meno di svenevoli luoghi comuni; voglio dire che questa sofferenza piu
che fatto psicologico è sofferenza « teologica »,
coscienza di peccato, del male, del disamore
dell’uomo per Dio, della fuga dell uomo da
Dio :
« La città è deserta.
vuoti i templi, morti gli dei...
Pietà ancora Signore,
per il giorno che cade come una pietra
sopra dei cuori di pietra... »
(Pomeriggio domenicale)
« Dio della vita...
perdona!
se mille e mille più volte
ho pronunciato invano il Tuo nome...»
(Dio perdona!)
« Mi spaurisce a volte guardare dentro
questa mia anima. Mi pare di buttare
gli occhi in fondo ad un abisso
di anni e di travaglio:
dentro il seno stesso della terra
Allora mi sembra di udire il millenario
grido delle creature e delle cose
legato alla mia carne... »
(Mi spaurisce)
Tutto comunque è superato nella visione
della speranza, l’ultima compagna, la sola in
.senso a.ssoluto nel lungo cammino della vita:
« Soli, poveramente soli :
io e la speranza... »
(Quanto è lunga la strada)
« ...Oltre Teffimero amore
Teffimera gloria
resta pur sempre la speranza... »
(Melpomene)
una speranza certo non a buon mercato ma
difficile, sofferta:
« ...un fiore invece che nasce, che muore
e poi ancora rinasce... »
(Oggi o domani che importa?)
' E. Naso, Gemito della creazione. La Procellaria Editrice, Reggio Calabria 1970, pp.
54, L. 1.000.
lo e la speranza
Sarebbe stata certo desiderabile una maggiore qualificazione in senso evangelico della
speranza; pensiamo che R messaggio di Puzzanghera ne avrebbe guadagnato non solo in
chiarezza e profondità (qualità davvero preziose oggi per la confusione che c’è in giro!)
ma in ricchezza, in verità in ispirazione; come
anche l’abbbandono deciso di alcuni residui di
poesia « minore » : la raccolta ne avrebbe guadagnato in omogeneità e continuità di forza.
Queste piccole note comunque nulla tolgono
al pregio di questo piccolo ma prezioso volumetto.
Ernesto Naso
Ernesto Pozzanghera, Io e la speranza. La
Procellaria Editrice, Reggio Calabria. 1970.
L. 1.000.
tiiiMiiiiiiiMiiiiiiimiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiii
Comitato Collegio Valdese
(segue da pag. 4)
eseguita al pranzo del XVII Febbraio:
San Secondo di Pinerolo 21.270.
Contributi di Enti e
Pubbliche Amministrazioni :
Associazione Amici del Collegio, Torre Pellice 4.000.000; Comune di Torre Pellice
300.000; Istituto Bancario San Paolo di Torino-Pinerolo 45.000.
Totale doni ed offerte ricevute a tutto il
10 Marzo 1970 dalTItalia L. 9.153.415.
AVVISI ECONOMICI
CERCASI ragazza-donna 16-40 anni per servizio alberghiero 1/2 montagna (1.300 m.).
Trattamento familiare in ambiente evangelico. Rivolgersi Libreria Claudiana. Torre
Pellice.
Mon rocher, ma forteresse,
mon asile protecteur,
mon recours dans la détresse
c’est Jésus, le Rédempteur.
I familiari di
Marta Sappè
ved. Michelin Salomon
esprimono la loro gratitudine a tutti
coloro che l’assistettero con amorosa
sollecitudine e in modo particolare al
Dott. Enrico Gardiol.
Ringraziano pure tutti coloro che
con scritti, fiori e di presenza, presero parte al loro dolore.
Luserna S. Giovanni, 9 aprile 1971.
È mancato alTaffetto dei suoi cari
Giovanni Enrico Griot
dì anni 83
I familiari ringraziano sentitamente tutti coloro che, con scritti, fiori,
parole di conforto, presenza ai funerali, opere di bene hanno dimostrato
la loro simpatia nella triste circostanza.
Un ringraziamento particolare alla
Signora Direttrice ed a tutto il personale della Casa Ifaldese di Riposo
di San Germano Chisone.
S. Germano Chisone, 29 marzo 1971.
6
pag. 6
N. 15 — 9 aprile 1971
I NOSTRI GIORNI
UOMINI, FATTI, SITUAZIONI
La sentenza
di Fort Benning
Il ten. William Calley è stato riconosciuto colpevole e condannato ai lavori forzati a vita per aver ucciso « almeno » 22 civili sudvietnamiti con premeditazione (fra cui dei bambini) durante la strage di Song My. Ricorderemo che, in tale frangente, vennero
uccise diverse centinaia di civili ed
anche il suo diretto superiore, capitano Medina, è in attesa di processo con
la medesima imputazione.
La vicenda comunque si trascinerà
per parecchio tempo, fra appelli e controappelli, fino al presidente Nixon,
che nel frattempo lo ha fatto scarcerare. Calley, intanto, ha rilasciato la sua
prima intervista, nel corso della quale
ha detto di poter essere « estremamente orgoglioso se Song My mostrasse al
mondo che cos’è la guerra, e che il
mondo ha bisogno di qualcosa che
ponga fine a tutte le guerre ». Ci sia
consentito dubitare fortemente della
sincerità di queste affermazioni che ci
paiono più dettate da una precisa linea di difesa che non da un senso di
pentimento. Queste frasi infatti difficilmente sarebbero state pronunciate
se non ci fosse stato il processo, nel
quale, comunque, dopo Norimberga (e
non contro un nemico vinto) è stato
affermato il principio della disubbidienza a ordini iniqui.
Qui il discorso si allarga: il tenente
Calley non è che uno dei soliti pesciolini che cadono nella rete, mentre i veri responsabili e mandanti rimangono
nell’ombra (anzi, in questo caso, in
piena luce). Uno dei tanti esempi da
fare? Il col. Herbert, ex combattente
in Vietnam, e uomo dal patriottismo
insospettabile, ha colà assistito a casi
di tortura o di uccisioni di prigionieri. Qgni volta ha denunciato la cosa
ai superiori: gli è stato detto di tacere o di dimettersi. Giudicato « ingombrante » è stato rispedito negli Usa dove appunto ha denunciato i suddetti
fatti ai giornali, proprio nei giorni
scorsi.
In effetti, una parte sempre maggiore dell’opinione pubblica americana
(si legga l’estratto, qui inserito, di un
articolo apparso sulla New York Times
Book Review) si chiede — e noi con
loro — perché debbano solo sempre
pagare i piccoli, certo colpevoli, mentre i mandanti, gli strateghi, coloro
che ordinano i bombardamenti a tappeto, col fosforo o col napalm, o gli
avvelenamenti coi defolianti non solo
Crimini di guerra
Neil Sheehan, ex corrispondente americano in Vietnam, scrive nell’ultimo
numero della « New York Times Book
Review » :
« ...se le leggi della guerra devono
essere applicate alla condotta degli americani, allora i dirigenti che hanno governato gli Stati Uniti da almeno sei
anni potrebbero senz’altro essere colpevoli di crimini di guerra, Nixon compreso...
Dal 1965, almeno 150 mila civili
sudvietnamiti, e vale a dire 68 persone
al giorno, fra uomini, donne e bambini
da sei anni a questa parte, sono stati
uccisi nel Sud da militari americani o
da armi fornite a Saigon dagli Stati
Uniti. Inoltre, ne sono stati feriti, anche in modo irrimediabile, oltre 350
mila, secondo cifre ufficiali, suscettibili certamente di notevole aumento...
Il governo americano ha condannato
e fatto impiccare nel 1964 il generale
giapponese Yamashita. ritenuto responsabile della morte di 25 mila non combattenti nelle Filippine... Si può fare
una distinzione giuridica e morale fra
gli assassini commessi da Yamashita, da
lui pagati colla vita, e le morti di civili che i dirigenti americani durante
la guerra del Vietnam hanno ordinato o hanno lasciato che avvenissero?...
Nixon inoltre ha esteso i bombardamenti in Laos e in Cambogia, provocando altre migliaia di morti e di feriti civili.
Se i generali hanno commesso dei
crimini in Vietnam, li hanno commessi
colla piena conoscenza dei civili che
hanno dato il loro consenso... Ecco perché non ci si può attendere che il governo Nixon possa essere d’accordo che
venga svolta una indagine seria sui
crimini di guerra... Se il Congresso non
inizierà un’inchiesta avente imlore nazionale, allora alle nostre colpe si aggiungerà l’ipocrisia ».
restano impuniti ma possono arrivare
a decidere se un loro ordine è stato
rettamente inteso ed eseguito.
E questo l’aspetto che non ci stancheremo mai di denunciare c di combattere nella guerra odierna. Se già
quelle del passato hanno sempre costituito una violazione dell’universalità dell’uomo, oggi, che non è più assolutamente possibile distinguere fra
guerra di difesa e di offesa, non solo,
ma che i civili costituiscono l’enorme
maggioranza delle vittime, è semplicemente pazzesco, oltre che criminale, il
pensare di poter risolvere le questioni
internazionali coll’uso delle armi, e
quali armi!
Il massacro del Bengala
Mentre scriviamo queste righe, la situazione del Pakistan orientale, o Bengala, si fa sempre più tragica e confusa e pare che ormai i morti ammontino a centinaia di migliaia. Un’altra
incognita è data dall’atteggiamento
dell’India cui è assai difficile assistere
passivamente ad una strage di simili
proporzioni proprio alle soglie di casa
sua. I prossimi giorni ci diranno se la
« spedizione punitiva » del Pakistan occidentale terminerà in un vero e proprio genocidio o se avrà altri sbocchi.
Assistiamo ad un’altra tragedia del
post-colonialismo. Com’è noto, i due
Pakistan, occidentale e orientale, formanti sulla carta un unico Stato, sono
fra loro divisi da oltre 1500 km. con
l’India in mezzo: si tratta chiaramente di confini assurdi e arbitrari improvvisati dalle ex potenze coloniali,
interessate a mantenere certe situazioni.
L’origine dell’attuale rivolta e della
feroce repressione è data dal mancato
riconoscimento, da parte del governo
centrale, alla schiacciante affermazione politica riportata da uno dei capi
politici della provincia orientale, Muibur Rahman (che pare sia stato catturato e imprigionato) il quale, nelle recenti elezioni, ottenne la maggioranza
assoluta dei seggi nell’assemblea parlamentare. L’ex ministro Bhutto non
è apparso disposto ad accettare tale
nuova maggioranza che avrebbe iniziato una politica di autonomia economica ed amministrativa.
È stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso: il Bengala,
sfruttato per secoli, decimato dalla
malaria, dal colera, dalla sottoalimentazione ed infine dal tremendo ciclone
di pochi mesi fa (ricordiamo con angoscia la lentezza e l'indifferenza dei
soccorsi alle vittime), il Bengala, dicevamo, ha reagito proclamando la secessione col nome di Bangla Desìi e
provocando appunto il massiccio intervento delle truppe.
A questo punto si inserisce un’altra
considerazione, sottaciuta dalla nostra
stampa di informazione, e che ci pone
ancora una volta di fronte alle nostre
responsabilità di cristiani e di occidentali nei riguardi dei sempre più
massicci massacri che avvengono in
Oriente. Alludiamo alle armi fornite
appunto dalle potenze occidentali, che
hanno consentito e consentono all’esercito pakistano un intervento così
brutale e feroce.
Il giornale americano Washington
Post afferma che parecchie armi americane vengono adoprate dal governo
pakistano contro quelli che esso proclama essere propri cittadini e deplora vivamente la cosa.
Anche la Francia — come osserva
Le Monde — che « assiste » militarmente il Pakistan sia come nazione a
sé che come facente parte di un consorzio internazionale (sarebbe interessante sapere se ne fa parte anche l'Italia) ha fornito e fornisce armi — fra
cui i famigerati Mirage, gli elicotteri
Alouette e mezzi navali — per i quali
si è anche impegnata a formare il personale militare e tecnico.
Ma la cosa più odiosa e tragicamente assurda è che la maggior parte del
denaro per pagare queste armi all’occidente proviene appunto dalla « miserabile » provincia orientale, primo
produttore al mondo di juta, e che
« finanzia » così la propria distruzione.
Roberto Peyrot
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
POSSONO FIDARSI DELL’ONU?
■jF Di fronte ad una situazione politica di così grande vastità e complessità come quella del M. Oriente, occorre (a parer nostro) il massimo sforzo
d’obiettività per raccogliere ogni genere d’informazioni possibili. Per aiutare il lettore ad orientarsi personalmente nella difficilissima questione, riportiamo perciò la prima parte d’un interessante articolo nel quale J. Helle
(sul «Journal de Genève» del 30.3.’71)
espone un punto di vista oggi prevalente nell’opinione pubblica israeliana.
« Israele non ha l’intenzione d’accontentarsi di garanzie internazionali alle
proprie frontiere, che vengano concesse con la promessa di difendere le medesime sul posto.
Israele giustifica con veemenza il
proprio rifiuto, nel modo seguente.
“Anzitutto non siamo stati noi a
chiedere una garanzia simile.
In secondo luogo, perché dovremmo
essere noi il solo paese al mondo che
affidi a delle potenze straniere il compito di difenderlo? Le garanzie internazionali sono un’illusione. Noi ne abbiamo fatto l’amara esperienza nel
\9(YÌ.Infatti Nasser decretò il blocco
del golfo di Akaba: ma le potenze marittime e gli USA si rivelarono incapaci d’assicurare la libertà di navigazione.
Noi abbiamo dei dubbi sul disinteressamento delle grandi potenze. Quando esse si preoccupano delle piccole
nazioni, allora immancabilmente esse
creano una Monaco, o una Yalta. O il
desiderio di pace è sincero, e allora
perché ricorrere alle garanzie internazionali? Oppure non lo è, e allora a cosa possono servire quelle garanzie?
Ammettiamo in terzo luogo che noi
ci ritirassimo sulle linee del 4 giugno
1967, forniti di garanzie internazionali.
Nessun accordo di pace sarà stato firmato fra noi e gli Stati Arabi, così come nessun vincolo politico od economico sarà stato allacciato: semplicemente le grandi potenze garantiranno
le nostre frontiere. Supponiamo che
una rivoluzione scoppi improvvisamente in uno dei paesi arabi, e che i
nuovi capi aizzino il popolo contro
Israele, che ricordino che nulla è stato ancora concluso, e che la vergogna
del mondo musulmano tuttora sussista. Supponiamo poi che si arrivi ad
una concentrazione militare alle frontiere. Quale sarà allora la reazione
delle grandi potenze? Probabilmente
esse non si muoveranno. La loro immobilità non sarà dovuta alla loro debolezza, anzi all’eccesso della loro potenza. In un primo tempo, esse temeranno d’essere implicate in un conflitto capace di condurre ad una guerra mondiale: esse lasceranno la situazione degenerare, poi la stessa degenerazione le obbligherà ad agire separatamente ,con buona pace dei propri
interessi.
Sempre grande è la tentazione di seguire gli elementi estremisti che vanno al potere: ci si lusinga di saperli
trattenere, ma infine si va loro dietro.
Nel 1967, i dirigenti dell’Egitto e della Siria diedero il via ad un processo
che mise la pace in pericolo. L'URSS,
dalla quale quelle due nazioni dipendevano, ammise quel processo, oppu
re non fu in grado di fermarlo. Il risultato fu la guerra dei Sei Giorni”.
In Israele si pensa che la formazione
d’una forza di polizia internazionale
non può che aggravare la situazione,
perché le grandi potenze saranno più
direttamente e più profondamente impegnate che nel passato. Le loro truppe dovranno bivaccare sulla linea di
fuoco. Basta che parta un colpo che
uccida un soldato americano e russo,
ed ecco l’incidente internazionale: nasce una questione di prestigio, vengono subito coinvolti interessi politici ed
economici, dipendenti dalla reazione
della potenza che ha subito il danno.
È forse un caso, che le grandi potenze non sono mai state capaci di
mettersi d’accordo sulla formazione di
una forza efficace, da tenere a disposizione deU’ONU? Quando l’QNU venne
fondata, era stato previsto d’includere
nello Statuto certe disposizioni atte a
porre sotto il controllo dell’QNU una
forza combinata, ad opera delle grandi potenze. Ma ciò non fu mai possibile. Quando una crisi richiedeva l’intervento d’una simile polizia, si trovava che l’uno o l’altro dei due Supergrandi era parte interessata nel conflitto.
Fino ad oggi, l’URSS si oppose sempre alla formazione d’una polizia di
questo genere. Ma ecco che ora essa
se ne dichiara favorevole, e proprio
per il solo caso del M. Oriente. Questa
premura è sospetta. Perché immaginare che, nella regione più tormentata del mondo, la presenza d’un contingente russo-americano farebbe dei miracoli? ».
Noi non ci sentiamo in grado di giudicare le opinioni qui espresse. Soltanto diciamo che desidereremmo ardentemente che quelle di Ben-Gurion, il
vecchio e grande statista, finissero per
prevalere in Israele (v. « La Luce » del
2.4.’71, n. 14).
UNA INFAME CONCORRENZA
«Il governo di Pretoria (SudAfrica) ha inviato in Europa (alla fine
di marzo) una missione incaricata di
prendere dei contatti con le industrie
d’armamenti, capaci d’aiutare l’esercito sud-africano a rinnovare o a rimodernare l’armamento proprio. Si tratta di una delegazione di tecnici e di
militari, in realtà non autorizzata a
negoziare veri e propri contratti con
rappresentanti ufficiali. Essa tuttavia,
in un primo tempo, s’è rivolta a dei
costruttori di materiali bellici, costruttori che sono in grado di servire come
intermediari per ottenere, dai governi
da cui dipendono, le necessarie autorizzazioni d’esportazione.
Nessuno dei principali paesi europei, produttori d’armi, è stato escluso
da questo giro d’affari. La Francia e
l’Inghilterra, che si fanno la concorrenza nel mercato sudafricano, hanno
accolto la missione di Pretoria, il cui
scopo dichiarato è d’informarsi .sugli
armamenti navali e sui materiali di
lotta anti-sottomarina progettati in
entrambi i paesi.
Il gruppo industriale francese Bréguet - Dassault ha proposto, da parte
sua, agli esperti sud-africani, di vendere i suoi aerei di sorveglianza marittima, i “Bréguet-Atlantic” che costano
Prostituzione ed educazione sessuaie
A proposito del corso di educazione sessuale per
genitori ed educatori organizzato a Torre Pellice
Questa iniziativa che sta ottenendo molto
favore ci semljra altainenle lodevole perché
è ovunque necessaria una maggiore informazione sui problemi sessuali ed è bene che gli
educatori tutti ■— genitori e insegnanti —
vengano preparati.
Gli oratori che sono stati incaricati del corso
sotto l’egida del Consiglio della Val Pellice e
dellassessore all’Igiene e Sanità del comune di
Torino, prof. Frida Malan, anche nella sua
qualità di membro del consiglio direttivo dell'A.I.E.M.P. (Associazione per ÌTgiene e
1 Educazione Matrimoniale e Prematrimoniale), sono in gran parte gli stessi che hanno tenuto un corso di educazione sessuale a Torino
nel 1970, organizzato dall’A.LE.M.P.
II 23 marzo u. s. il prof Filippo Franchi
(noto docente in Dermosifilopatia) ha parlato
sul tema « Igiene ed educazione sessuale. Malattie veneree ». Da persona presente alla conferenza abbiamo saputo che egli, pur riconoscendo che la legge Merlin ha posto fine a
uno schiavismo, ha aggiunto che essa è anche
causa del dilagare delle malattie veneree, per
cui sarebbe opportuno completarla con una
legge sanitaria che obbligasse tutti coloro che
sono affetti da quelle malattie a esser denunciati come portatori di morbi contagiosi. Se
sono stata bene informata si sarebbe anehe
parlato di un referendum.
Ora è bene si sappia che dal 25 luglio 1956
esiste una legge intitolata cc Riforma della legislazione vigente per la profilassi delle malattie veneree ». La sen. Merlin nel suo primitivo progetto aveva predisposto 8 articoli sulla
protezione della salute pubblica, ben sapendo
che su questo argomento si sarebbero appuntati gli strali degli oppositori (v. il mio opuscolo edito dalla Claudiana nel 1970, La prostituzione e i suoi problemi, pag. 24). La commissione senatoriale competente stralciò dal
progetto Merlin la parte sanitaria e il governo
presentò invece un altro progetto che divenne
la legge n. 837. Questa, come riferisce la
« Gazzetta sanitaria » dell’ottobre 1958 in un
articolo firmato dal prof. V. Puntoni, direttore
deiristituto di Igiene delTUniversità di Roma,
si basa su tre capisaldi :
a) l’obbligatorietà della cura per chiunque sia affetto da malattie veneree e la sua
completa gratuità;
b) la facoltà per il medico provinciale di
ordinare alla persona malata di sottoporsi alla
visita medica provvedendo, se necessario, al ricovero ospedaliero;
c) il rafforzamento delle strutture sanitarie per la lotta antivenerea mediante appositi dispensari per la profilassi e la cura delle
malattie celtiche.
Purtroppo la legge del 1956 entrò in vigore sette anni dopo, perché fino al 1963 non
era stato pubblicato il necessario regolamento;
ma ora siamo nel 1971 e non è più lecito ignorare detta legge né attribuire alla legge Merlin l’aumento dei casi di sifilide, aumento che
era già in atto, come in altri paesi, tre anni
prima dell’abolizione del regime regolamentarista italiano: e per regime regolamentarisla
intendiamo, logicamente, non solo Tistituzione
delle case chiuse, ma tutte le norme che regolavano da parte dello Stato l’esercizio del
meretricio, compresa la famigerata tessera :
esistevano prostitute regolamentate anche al
di fuori delle « case » (per maggiori particolari vedere il mio già citato opuscolo).
Intorno all’anno 1955 .si ebbe un incremento nella morbilità venerea in tutto il mondo
per diverse cause fra cui il rilassamento dei
costumi, l'aumento delle relazioni sessuali e
dell’omossessualità maschile, il maggiore spostamento delle popolazioni, l’assuefazione agli
antibiotici impiegati in tante malattie ccc.
Questi fatti vennero autorevolmente affermati
al XXII Congresso della Federazione Abolizionista Internazionale in Atene (1963) da vari
autori e dal prof. F. Flarer, direttore della clinica dermosifilopatica delTUniversità di Padova.
Occorre perciò incoraggiare Tinstaurarsi di
una coscienza igienica anche nel campo delle
malattie veneree come in quello delle altre
malattie infettive e i medici devono denunciare i casi di malattìe celtiche come denunciano
quelli di morbillo, scarlattina, ecc.
La stessa sen. Merlin mi diceva nel settembre 1968 (v. la rivista a Ali » n. 11/12 1968,
pag. 175) che essa come l’eminente magistrato
Germano di Torino (v. « La Stampa » del 14
settembre 1968) sarebbe favorevole alTistituzione di una scheda sanitaria individuale per
tutti i cittadini (non solo per le prostitute,
come vorrebbero ancora i medici antiabolizionisti) perché la profilassi di qualunque malattia contagiosa va considerata un servizio
sociale e non una misura poliziesca.
Per tornare alla non conosciuta legge sanitaria del 1956 va aggiunto che il suo regolamento definisce senza equivoci le circostanze che conferiscono all’autorità sanitaria e
solo a questa la possibilità di sottoporre una
persona qualunque (quindi anche la prostituta) al controllo sanitario quando essa è portatrice di una malattia contagiosa (quindi an
llmlllllllllllllllllllllllllllll>lll■l«l■l<>l'‘'l’'”>"””">’l’l’*
40 milioni di franchi francesi ciascuno,
e i suoi aerei d'attacco '‘Mirage-Milan"
dotati, anteriormente alle fusoliere, di
certe due alette retrattili, che ne migliorano le caratteristiche di volo.
GVinglesi sembrano meglio qualificati per vendere, oltre ad alcuni elicotteri '‘Wasp" d’antico modello, anche
delle fregate per la lotta anti-sottomarina. La concorrenza resta viva nel
campo degli armamenti per la difesa
aerea o dei missili mare-mare. In questo campo, tuttavia, la Francia è in
leggero vantaggio, avendo essa già fornito dei missili terra-aria (i “Crotali")
e in procinto di fornire dei missili mare-mare (gli “Exocet" e gli “Otomat”)».
(Da «Le Monde» del 3.4.71).
che della sifilide). Per l’osservanza della legge
sarebbe utile, secondo il prof Flarer. Tistfiuzione di un corpo speciale di polizia sanitaria
che, naturalmente, non avesse nulla a che fare
con quella giudiziaria.
Non è il caso, dunque, di parlare di referendum allo scopo di modificare per ragioni
sanitarie la legge Merlin : la legge sanitaria contro le malattie veneree esiste; occorre
applicarla.
Dal punto di vista sociale, poi, non ripetole considerazioni già esposte nel mio opuscolo.
Rilevo solo che lo scorso gennaio il sindaco di
Milano (città ove il fenomeno della prostituzione non assume certo aspetti meno evidenti
che a Torino) ha rilasciato alla rivista « Nuova Comunità » importanti dichiarazioni sulla
prostitu'ziono. Aldo Aniasi ha detto: «Si tratta di un fenomeno che pone certamente dei
problemi morali e igienici, ma soprattutto che
deve porre alla coscienza di ciascuno di noi
il problema della nostra responsabilità, della
organizzazione sociale nella quale viviamo,,
che questo fenomeno crea e incrementa. Chi
ritiene che alTorigine vi sia l’abolizione della,
prostituzione di Stato si comporta come Io
struzzo che nasconde la testa nella sabbia per
non vedere il pericolo.
« Non possiamo dimenticare che il numero di coloro che sono disponibili ad offrire il
proprio corpo come merce in cambio di denaro non deriva dalla regolamentazione legislativa, ma è strettamente legato alle condizioni e alle contraddizioni della società in cui
viviamo... AlTorigine di tutto vi sono i crescenti squilibri economici, l’immigrazione massiccia, le dìfiicoltà di integrazione sociale, la società dei consumi che pone il denaro al primo
posto nella scala dei valori, Yorganizzazione
sociale basata su discriminazioni di classe, di
sesso, di razza e di religione... La molla che
spesso spinge alla prostituzione va individuata
soprattutto nelle difficoltà di integrazione in
una società estranea...
« L’abolizione della vecchia regolamentazione della prostituzione ha affermato dei principi di libertà, di dignità umana, di eguaglianza che sono basilari per tutti; ha evitato che lo
sfruttamento di una situazione di bisogno o
di debolezza che spesso occasiona la prostituzione potesse significare un marchio indelebìleper tutta la vita. A questi principi, che rappresentano una conquista sociale, non si può rinunciare... Molta strada resta da fare per la
emancipazione della donna per affermare la
piena parità fra i sessi: non basta la parità di.
salario, occorre riformare il diritto di famiglia e più ancora operare per un rinnovamento
profondo di costumi e tradizioni sociali.
« Io penso che una più giusta organizzazione della società, una parificazione effettiva
tra uomo e donna, una maggiore libertà sessuale che nasca da scelte consapevoli e responsabili. una concezione della vita non legata al denaro come simbolo del successo siano gli elementi capaci di consentire la riduzione ad area trascurabile se non l’eliminazione completa della prostituzione ».
Margherita Gay Meynier
IIIIIIIIIIIIIIllllllllllllllllllllinillllillllllllllllllllMiiiiiiiim
I Navajos a scuala
La più numerosa tribù indiana degli Stati
Uniti, i Navajos, sta attuando un programma
educativo grazie all’autorizzazione ricevuta dal
Dipartimento degli interni di Washington, di
reinvestire un capitale di 10 milioni di dollari
in titoli capaci di rendere un interesse pù alto.
Questo capitale era in precedenza investito in
obbligazioni del Tesoro statunitense e rendeva
il 4%; grazie ai nuovi investimenti potrà rendere il 7% e forse più.
I Navajos — la cui « riserva » si stende
sulle terre desertiche e sui pascoli degli State
delTUtah, delTArizona e del New Mexico —
ricavano la maggior parte dei loro redditi dall’affitto di terreni petroliferi, dalle royalties
versate dalle compagnie petrolìfere, e dall’allevamento.
Sui 118.500 abitanti della riserva, vi sono
circa 44.000 bambini in età scolare, cioè circa
il 38% della popolazione. Si ritiene che il 36
per cento di questi ragazzi proseguiranno gli
studi in istituti superiori. A partite dal gennaio 1971 i Navajos hanno un loro junior college, che può ospitare 300 pensionanti.
Per coloro che non parlano l’inglese, l’insegnamento è dato in lingua navajos e vi sono
corsi speciali sulla storia e la cultura degli
Indiani. Oltre il 55% degli insegnanti sono
Navajos.
(Inf./Unesco)
VACANZE AL MARE
Pensioni familiari e
alberghi confortevoli
Bassa stagione da L. 1.800-2.000
Alta stagione da L. 2.300-2.900
Informazioni: Sig. Revel Egidio
presso Hôtel Elite
47045 Miramare di Rimini
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre Pellice (Torino}