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ECO
DELLE mu VALDESI
BIBLIOTECA VALDESE
10066 TORRE PEIL ICE
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 110 - Num. 6 ABBONAMENTI / L. 3.500 per l’interno Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70 1 TORRE PELLICE - 9 Febbraio 1973
Una copia Lire 100 l L. 4.500 per l’estero Cambio di indirizzo Lire 100 1 Amm. : Via Cavour, 1 bis - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33094
FEBBRAIO VALDESE
LA NOSTRA VOCAZIONE
Il valdismo: un movimento evangelico radicale per una chiesa libera, povera, fraterna.
Due pesi, due misure
Recentemente il pastore Giorgio BouCHARD ha scritto un bell’apuscolo, pubblicato dalla Claudiana nella collana
dell’« Attualità protestante », dal titolo: I Valdesi, una storia da rileggere.
E’ proprio da rileggere la nostra storia
sia perché la stiamo rapidamente dimendicando (è impressionante l’ignoranza che ne hanno non solo le giovani
generazioni, come si è soliti pensare,
ma anche quelle non giovani) sia perché i vaghi e confusi ricordi che sopravvivono in noi risalgono a una interpretazione romantico-patriottica del
nostro passato, che non è la più idonea
a dischiudercene il vero significato. .Ma
un altro ottimo scritto, dovuto al prof.
Amedeo Molnàr di Praga e diffuso (troppo poco) nel 1966 come « Quaderno della Gioventù Evangelica Italiana » col
titolo La protesta valdese e la prima riforma, ci fa comprendere che la nostra
storia, oltreché da rileggere, in certi
suoi momenti e aspetti è da rivivere.
Rivivere non vuol dire copiare e ripetere ma tradurre in termini moderni e
quindi nuovi quella antica esperienza
di fede e di vita evangelica.
Dopo aver descritto a grandi linee le
idee maestre del valdismo originario,
considerato come « prima Riforma »
insieme al movimento hussita (da Giovanni Hus, riformatore e martire evangelico), il prof. Molnàr scrive: « La prima Riforma dei valdesi e degli bussiti
con le loro ramificazioni rappresenta
sino ad oggi il tentativo più coerente
di una presenza cristiana nel mondo
che rinunci allo statuto costantiniano
(cioè a sistemarsi nel mondo, accordandosi con l’ordine costituito e facendosene complice o garante). Questo
tentativo fu certo largamente condizionato dalla situazione storica di un’epoca per noi superata, e non potrebbe
d’altì onde essere applicato alla nostra
situazione attuale. Ciò nonostante esso
offre alla nostra riflessione dei problemi teologici autentici che sarebbe sbagliato trascurare. Meditata seriamente
e in tutta sobrietà di fede, la prima Riforma rivela una sorprendente giovinezza ».
E’ in questa linea che ci dobbiamo
porre in vista del 17 febbraio: non siamo chiamati a « celebrare » la nostra
storia ma a comprenderne il senso e la
portata per la nostra odierna testimonianza di credenti evangelici. L’anno
prossimo ricorre l’8° centenario della
nascita del movimento valdese (sorto
appunto intorno al 1174, con la conversione di Valdo) e l’ultimo nostro Sinodo ha invitato le chiese a fare di questa ricorrenza non « un tema di autoglorificazione » ma « un’occasione per
una presa di coscienza e un ripensamento ». In sostanza siamo chiamati a
individuare nell’esperienza e nella testimonianza dei primi valdesi diversi elementi della fede cristiana che, rivissuti
nelle situazioni della vita moderna,
sembrano in grado di restituire alla nostra presenza e alla nostra azione quel
sapore evangelico e quella incidenza
storica che attualmente difettano.
Quindi: nessuna fuga aH’indietro,
nessun intento archeologico, nessuna
retorica celebrativa. Piuttosto: capire
chi siamo stati e chi possiamo essere
(dei primi valdesi si diceva, ad esempio: « seguono nudi un Cristo nudo »),
conoscere il nostro passato non tanto
perché, come qualcuno ha detto (del resto non senza ragione) « abbiamo tutti
bisogno delle nostre radici » ma perché
abbiamo bisogno di una linea di .azione
e di predicazione e prima ancora di
una prospettiva di conversione e di
missione, di un progetto evangelico
coerente su cui far convergere gli sforzi della nostra testimonianza e del nostro impegno. E’ la questione non della
vocazione (che appartiene a Dio) ma
dei suoi contenuti storici specifici (che
siamo chiamati di volta in volta a riconoscere e vivere).
Molti sono i temi tipici della protesta valdese medioevale che sembrano
particolarmente fecondi per il nostro
tempo e potrebbero diventare parte
integrante della nostra identità evangelica odierna o almeno essere proposti alle chiese come indicazioni e termini di confronti per il loro cammino
presente e futuro. Ne menzioniamo
tre: povertà, missione e posizione nella
società.
1. POVERTÀ’
I primi valdesi si chiamavano « poveri di Lione » e « poveri Lombardi ». A
noi oggi non verrebbe in mente di chiamarci così e comunque non potremmo
farlo. Siamo una chiesa povera? Se lo
siamo, è per scelta o per necessità. Se
non lo siamo, i motivi che hanno determinato l’abbandono della condizione di
povertà originaria sono motivi legittimi dal punto di vista dell’Evangelo oppure sono motivi discutibili e persino
dubbi? E comunque: è possibile oggi
come chiesa scegliere la povertà evangelica? E se è possibile, è auspicabile
in vista della testimonianza? E in che
cosa dovrebbe e potrebbe consistere?
Il vendere i propri beni e darli ai poveri (e così diventare poveri) è un gesto
di libertà interiore e di solidarietà
esterna oppure è anche un atto politico
ben preciso?
2. MISSIQNE
Si sa quale importanza decisiva ebbe
fra i primi valdesi la libera predicazione della parola di Dio. Si può anzi dire
che il valdismo fu fondamentalmente
un movimento di predicazione, riconosciuta come « il mezzo per eccellenza
di cui Cristo si serve per diventare egli
stesso il centro di ogni attenzione » (A.
Molnàr). Particolare efficacia ebbe il
modello di predicazione itinerante, che
è poi il modello apostolico e che non si
capisce perché sia caduto in disuso q
quasi del tutto negletto dalla cristianità contemporanea. L’esigenza di adottarlo di nuovo non sarebbe dettata dal
desiderio di riprodurre gli schemi della
chiesa apostolica ma dalla necessità di
dotare la chiesa odierna di strutture
missionarie permanenti.
3. CQLLQCAZIQNE
NELLIA SQCIETA’
È noto che i primi valdesi (come pure gli bussiti radicali) rifiutavano di
giurare, coine''preScrivé Gesù'nel Sermone sul Monte (Matteo 5: 33-37). Nella società di quel tempo questo rifiuto
aveva, oltre al significato religioso di
una ubbidienza radicale alla parola di
Dio, anche una portata politico-sociale
molto rilevante, che il prof. Molnàr illustra in questi termini: « Si sa in qua
le larga misura il sistema feudale si
servisse del giuramento. Con ogni sorta
di giuramenti il fedele era tenuto a un
certo comportamento verso i suoi superiori e le istituzioni stabilite. In parecchie regioni, l'unità politica e la pace sociale si basavano sul giuramento
personale: infrangerlo significava diventare uno spergiuro, un fuorilegge.
Simile atteggiamento comportava gravi pene religiose e legali. Rifiutare di
prestare giuramento equivaleva a non
piegarsi all’ordine costituito, dubitare
della sua legittimità. In piena feudalità
sacralizzata gli uomini della prima Riforma ebbero il coraggio di incamminarsi per questa stretta via. Con ciò,
socialmente essi sostituirono alla fedeltà verticale e palernalista un impegno
orizzontale e fraierno. Rifiutare il giuramento fu obbedire a Dio piuttosto
che agli uomini, preferire la lealtà del
Regno a venire alla lealtà cieca
davanti a un ordine umanamente
stabilito ». Che a >sa può significare per
le nostre chiese di oggi il rifiuto di giurare tipico dei pi imi valdesi? Non siamo troppo leali verso l’ordine di questo
mondo? Quali sono le nostre obiezioni
di coscienza? Qual è il fronte della nostra resistenza evangelica in presenza
di un « ordine » tutt’altro che cristiano?
Siamo o non siamo delle chiese integrate nella società ii: cui viviamo e quindi
poco indicative del Regno che viene?
Impareremo di nuovo, come valdesi,
il rifiuto del giu amento, non come rifiuto di una formila — questo va da
sé — ma come rifiuto di un ruolo sociale?
* i *
È nel contesto éi ^questi interrogativi
e di queste prospettive che appare non
solo auspicabile ma doveroso un libero
e aperto confrùnto fra tutti i valdesi,
in occasione del ceiìtenario dell’anno
prossimo, di cui quesio 17 febbraio costituisce in qualche modo il preludio.
Paolo Ricca
Sul nostro numero del 19 gennaio
avevamo pubblicato una corrispondenza del past. P. V. Panasela sull’intervento che il Centro Diaconale di Palermo
aveva compiuto nelle zone alluvionate
del Messinese. Ecco ora un corsivo
pubblicato sul quotidiano palermitano
«L’Ora» (19/20-1-1973); senza commento. red.
È certamente un caso emblematico,
di quelli che pur appartenendo alla
cronaca per così dire minore, sono
simboli e sintomi di come lo stato, nelle sue varie articolazioni si pone, vuole porsi verso la gente del sud.
II centro diaconale della chiesa Valdese di Palermo, dopo un primo immediato intervento di assistenza alle
popolazioni colpite dalla alluvione della Sicilia occidentale ed in particolare di Novara di Sicilia, cui fra il 6 e
l’8 gennaio portò con alcuni camion
coperte, indumenti, latte in polvere e
formaggi, riuscì ad organizzare un
aereo di soccorsi dalla Germania.
- In pochi giorni 14 tonnellate di viveri (coperte, indumenti, generi di conforto ed alimentari) furono caricati su
un aereo che da Francoforte li portò
direttamente a Palermo. Nessuno può
affermare che le popolazioni alluvionate non ne avessero bisogno. Basta
leggere le cronache di quei giorni per
verificare il contrario. Eppure il reverendo Panasela, della chiesa Valdese
di Palermo, non riuscì, malgrado interminabili anticamere, ad ottenere alcun aiuto dalle cosiddette autorità costituite.
In Prefettura, cui chiedeva dei camion per il trasporto del materiale alle zone alluvionate, lo palleggiarono
da un funzionario all’altro e poi gli
dissero un « NQ secco e tondo.
Ma c’è di più. Arrivatò l’aereo, la
merce doveva essere sdoganata, doveva passare cioè attraverso il controllo doganale e quindi fiscale. Il dubbio
era se doveva essere esentata o no, visto che si trattava di generi di soccorso per una pubblica calamità; nel silenzio e nel disinteresse della Prefettura alla Dogana non rimase che porre il quesito al Ministero via fonogramma.
I VALDESI NEL 1560-61 E I LORO PASTORI
Piina e dopo la battaglia, la proghiora,
lina volta decisa la resistenza annata
Riprendiamo ancora per un momento il discorso relativo alle condizioni
dei Valdesi durante la prima crociata
organizzata nel 1560/61 contro di loro,
discorso motivato dalla recente pubblicazione curata da E. Balmas {Histoire
memorable de la guerre... Claudiana)
di uno dei testi che si riferiscono a tale periodo.
UHistoire mémorable, in quanto
scritta immediatamente dopo gli avvenimenti che vi sono presentati, va letta non troppo superficialmente, ma
esaminata con molta attenzione, nel
suo valore di fonte autentica, perché
quasi ogni frase mette in luce degli elementi di estremo interesse, che risolvono in parte le nostre curiosità, e in
parte anche ne suscitano di nuove.
Così, ad esempio, tornando sul problema della resistenza armata, troviamo sempre sottolineato il fatto che le
azioni di guerra (se tale può essere
chiamata una campagna in cui le truppe ducali erano in buona parte costituite di rapinatori e saccheggiatori)
erano precedute dall’invocazione in
ginocchio della presenza di Dio: anzi
tale fatto finiva col turbare assai i nemici, che vedevano non un atto di fede
nell’Iddio degli eserciti, ma una pratica magica destinata ad esorcismi ed
incantesimi; così pure, ad azione terminata, i combattenti valdesi si inginocchiavano ancora a ringraziare l’Éterno dell’aiuto che aveva loro dato.
Risulta anche dalla lettera del Lentolo che accompagna VHistoire mémorable, che i Valdesi « hanno sempre
con loro qualche ministro »: e che cioè
le loro azioni militari erano seguite
dai loro « direttori spirituali ». Ci viene anzi narrato un episodio relativo a
tale presenza, da cui risulta che l’intervento del pastore impedì uno spargimento di sangue inutile dei nemici già
vinti e sbandati: « se non fosse stato
per la presenza di un ministro che lo
evitò, non se ne sarebbe salvato manco uno per portare la notizia ai suoi ».
Ci viene peraltro detto che la preghiera prima del combattimento, in
assenza del pastore, era detta da qual
cun altro dei presenti: ed anche questa notizia è di estremo interesse, perché ci rivela che la consapevolezza del
sacerdozio universale era ben presente tra i Valdesi, e che la loro azione di
guerra era una « giusta e santa querelle », un modo di testimoniare a cui
aveva condotto la fatalità delle vicende.
Un punto interrogativo rimane peraltro non soddisfatto a proposito di
questa campagna: chi furono i capi dei
combattenti valdesi? Le azioni vengono sempre presentate come condotte
da « quel popolo » o da « quelle povere
genti », in una visione anonima e collettiva che è abbastanza interessante,
ma non soddisfacente, perché è chiaro
comunque che qualche responsabile ci
doveva essere, seppure a livello di comunità o di villaggio. Si potrebbe in
tal senso anche congetturare che la
« direzione » degli affari di guerra fosse affidata ai pastori: è un’ipotesi che
può reggere, dato il carattere di « guerra sacra » e di « difesa sacrosanta »
che vennero prendendo gli avvenimenti, ma non è suffragata per il momento da nessun documento preciso. Possiamo se mai ricordare che oltre un
secolo più tardi, il condottiero Janavel scriveva nelle sue ben note « istruzioni », che i pastori, pur presenti ai
fatti d’armi, dovevano assolutamente
astenersi dal combattimento e dai consigli di guerra; ma il periodo in cui
Janavel scriveva era caratterizzato,
nell’ambito delle Valli Valdesi e del
Protestantesimo in genere, da un concetto diverso del clericalismo, diretto a
isolare il corpo pastorale in una sfera
particolare, quella dei « ministri della
Parola »: tale concetto non aveva nel
’500 le medesime proporzioni, ed i pastori erano più integrati ed accomunati con i fedeli.
Sicché potrebbe darsi che i capi della gente valdese nella guerra del 15601561 fossero davvero i loro pastori.
Sotto questo profilo è utile vedere
per un momento anche il sorgere della
cosidetta « compagnia volante ». Racconta VHistoire mémorable: « Duran
te questi fatti giunsero in nostro aiuto
dalle località di Villar, Bobbio e Tagliaretto ben cento uomini circa, i quali avevano visto, da lontano e da luoghi
più elevati, come erano andate le cose;
per questo tagliarono la strada,... ».
L’episodio è di per sé molto interessane, in quanto mette in primo luogo
in risalto il fatto che la resistenza valdese era organizzata non soltanto a
livello di comunità o di borgata, ma
anche di valle; che quindi i Valdesi
avevano la coscienza chiara della loro
entità civile-religiosa, già consacrata
nel patto d’unione del 21 gennaio al
Podio di Bobbio, e che esisteva un’organizzazione militare a livello di vallata per lo meno.
La nostra Histoire non ci dice di
più: ma lo storico Pietro Gilles, ben
informato, oltreché dai documenti, dalla viva voce del padre partecipe degli
avvenimenti, ci racconta: « Si formò
rapidamente una compagnia di cento
archibuggieri scelti, i più liberi e decisi, che fossero sempre pronti ad accorrere presso chi ne avesse più bisogno, e che fu chiamata per questo
compagnia volante. Si stabilirono anche due pastori destinati a tale scopo, l’uno dei quali doveva sempre avere la sovrintendenza su questa compagnia, onde fossero osservati i regolamenti e si opponesse ad ogni eccesso,
e soprattutto per le preghiere, gli atti
di ringraziamento e le esortazioni necessarie ».
I « cento uomini » della Histoire trovano nel racconto del Gilles una maggiore identificazione: ma sì noti come
anche il comando della compagnia volante, o per lo meno la « sur intendance », spettava ad un pastore, che oltre
alle funzioni di cappellano esercitava
un compito più vasto. E il Gilles queste cose le sapeva, perché proprio suo
padre, l’ultimo dei barbi Gilles dei
Gilles, aveva ricoperto tale incarico!
Ci troviamo pertanto di fronte a
mentalità e problemi assai diversi dai
nostri, molto lontani nel tempo: e tut
Con tutta la buona volontà mostrata
dai responsabili della Dogana palermitana certe regole non si possono infrangere, anche in casi calamitosi.
Sempre per via fonogramma il « nulla osta ministeriale » finalmente arrivò ma dopo quattro giorni e così, con
i camion dati dalla Croce Rossa, finalmente i soccorsi poterono arrivare ai
legittimi destinatari.
Qra non è per fare sterile polemica
regionalista e religiosa ma da questo
fatto due domande sorgono spontanee. Se si fosse trattato di assistere
alluvionati lombardi e se al posto della
Chiesa evangelica fosse stata la Pontificia Qpera di assistenza a portare
aiuti dall’estero, il prefetto si sarebbe comportato con altrettanta nonchalance?
Ma tant’èl Per gli alluvionati siciliani e calabri se un « pronto soccorso »
deve bastare è soltanto quello governativo. E così di assistenza in assistenza, lo Stato spende un po’ di soldi per
tenere buone le « popoltizioni sinistrate », non fa quello che invece dovrebbe e cioè creare strutture moderne e
civili di convivenza, posti di lavoro; e
intanto, come insegna il Belice, gli anni passano e le genti emigrano.
G. G.
La riforma della RAI
secondo « The Times »
Secondo « The Times » di Londra la
riforma della RAI è una « patata bollente » nelle mani del governo Andreotti. Il quotidiano londinese, che si
occupa per la prima volta dei problemi relativi al monopolio radiofonico
in Italia, dopo aver riferito sulla proroga di 12 mesi della concessione in
monopolio alla RAI da parte dello Stato, la inquadra nella situazione generale: « Mentre si avvicina la scadenza
del termine previsto per la presentazione di proposte di riforma da parte
del presidente del Consiglio, non è difficile pensare che Andreotti senta tutta la gravità di una decisione che si
presenta come la più difficile e la più
pericolosa della sua attività di governo. Non sono gli attacchi dell’opposizione i più pericolosi. Esistono invece
alcuni democristiani che vorrebbero
allargare la maggioranza di governo,
con la conseguenza di cambiare il primo ministro. Questa, per qualcuno tra
i rivali di Andreotti, potrebbe anche
essere un’occasione da non trascurarsi nel caso in cui si presentasse concretamente il pericolo di una sostanziale riforma della situazione^ di monopolio esistente. Il monopolio della
radiodiffusione rappresenta senza dubbio in Italia l’unico vero centro di potere al servizio degli specifici interessi
cattolici e, in quanto tale, è d’importanza vitale sia per la DC sia per i
gruppi di potere del Vaticano ».
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La rubrica televisiva
« PROTESTANTESIMO »
N. 6 - giovedì 8 febbraio
ore 18.30, Il canale
Con la presenza in studio del past. Mario
Sbaffi, presidente della FCEI, sarà illustrata
la nascita della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e le motivazioni che stanno
alla base della sua costituzione. Successivamente la ’’puntata”, curata da Roberto Sbaffi
per la regia di Giampaolo Taddeini e condotta in studio da Aldo Comba, presenterà alcuni aspetti dell’attività della FCEI, in particolare nel settore dell’emigrazione; parteciperà
la prof. Giovanna Pons, che per un anno ha
svolto un’attività di assistenza spirituale e
sociale tra emigrati italiani in Germania.
N. 7 - giovedì 15 febbraio
Alla data storica, per il protestantesimo italiano, del 17 febbraio spà dedicata questa
trasmissione curata da R. Sbaffi per la regia
di Elisabetta Siili e condotta in studio da A.
Comba. Il past. Luigi Santini, il giudice Aldo
Ribet e il giovane valligiano Amato Genre ricorderanno gli avvenimenti storici per legarli
poi alla battaglia condotta dai protestanti italiani per la libertà religiosa, dal Risorgimento
al fascismo, alla Resistenza e fino ai giorni
nostri.
tavia anche per queste pagine, come
per tutta la storia valdese, sussiste il
denominatore comune: il modo cioè
con cui i credenti hanno pensato e F>otuto nel loro tempo vivere o testimoniare della loro fede, nella ricerca sempre nuova e sempre pressante di una
costante aderenza alla Parola.
Augusto Armano Hugon
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pag. 2
N. 6 — 9 febbraio 1973
LA VIA PER ECCELLENZA
IN MARGINE AL PROSSIMO OTTAVO CENTENARIO VALDESE
_ f
Se non ho carità Valdesi e Pentecostali
« ...divento un rame risonante
ed uno squillante cembalo »
(I Corinzi 13: 1-3)
Con queste parole ha inizio l’inno alla carità che costituisce senza dubbio
una delle pagine più belle della Sacra
Scrittura.
La parola « carità » non esprime in
italiano tutto il significato del termine
originale: « agape », cioè l’amore di Dio
che si dona agli uomini con un ineguagliabile atto di carità. La carità nel linguaggio umano ha subito non poche deformazioni che l’hanno svuotata del
suo contenuto. Ci siamo ridotti a dire
che l’elemosina è la carità, vale a dire
l'agape; per evitare questo pericolo,
tanto varrebbe adoperare al posto del
termine « carità » il termine « agape »,
a condizione che l’agape non rimanga
semplicemente una bella parola ma
esprima veramente un rapporto nuovo
e concreto di Dio con noi e di ognuno
di noi con i fratelli. Dio è AGAPE, cioè
amore; l’agape di Dio non è un concetto sentimentale, ma è invece un atto
o una serie di atti che hanno in Cristo
la loro perfezione, il loro adempimento.
Anche la « carità », cioè l’agape fra gli
uomini non rimane un concetto astratto, non si nasconde nel segreto della
nostra vita interiore, ma assume la
forma di atti di amore concreti e significativi.
Non senza ragione l’apostolo scrisse
il suo inno alla carità dopo aver ragionato sull’unità della chiesa e sui doni
spirituali largiti ai credenti. Il termine
greco « Charisma » significa « dono »,
ma nel linguaggio paolinico essa possiede un senso più ampio, cioè quello
di un dono « spirituale » o di una « grazia » largiti ai fedeli dallo Spirito Santo in vista di un servizio; trattandosi
poi di un servizio reso al prossimo, il
_« Charisma » è un « dono spirituale che,
insieme ad altri doni dello stesso Spirito, contribuisce alla edificazione della
chiesa ed al consolidamento del vincolo comunitario.
* * *
Nella chiesa di Corinto esisteva una
grande varietà di doni spirituali. Ma i
credenti correvano il rischio di apprezzare le manifestazioni più spettacolari
ed entusiasmanti, come il parlare in
lingue, i miracoli, le guarigioni. I fedeli
potevano gloriarsi dei loro privilegi di
fronte ad altre comunità; perciò Paolo
ricorda loro che i doni spirituali non
debbono divenire un motivo d’orgoglio e di divisioni, perché sono dati per
la testimonianza della chiesa. La tentazione di considerare i doni dello Spirito come motivo di orgoglio e di prestigio personale è sempre una minaccia
ed una fonte di giudizi unilaterali e severi nella comunità cristiana; quando
ciò avviene, invece di operare per l’edificazione della comunità, si lavora per
la sua divisione ed il suo impoverimento. Quante comunità cristiane si sono
divise a motivo dell’orgoglio spirituale
e del prestigio (o del vanto) di alcuni
fedeli preoccupati assai più di se stessi
che non della chiesa, come « Corpo di
Cristo »!
Alla comunità di Corinto, ricca di
doni spirituali, ma divisa. Paolo scrive
queste parole: « Ora vi mostrerò una
via, che è la via per eccellenza », quella della carità.
« Quand’io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho carità,
divento un rame risonante o uno squillante cembalo. E quando avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e avessi tutta la
fede da trasportare i monti, se non ho
carità non sono nulla. E quando distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i
poveri, e quando dessi il mio corpo ad
essere arso, se non ho carità, ciò niente mi giova ».
Soltanto la carità conta, essa dà un
senso alle nostre azioni e un contenuto
alle nostre più belle parole. Molti fedeli di Corinto stimavano la « glossolalia », cioè il parlare in lingue alla gloria di Dio come un dono eccezionale,
la sola autentica manifestazione dello
Spirito Santo. Paolo non contesta l’autenticità di quel dono; egli però constata che c’è chi parla in lingue e poi
non ama i fratelli; senza la carità anche i doni spirituali più ambiti vengono ridimensionati e perdono la loro
efficacia nella testimonianza dei credenti. L’esaltazione religiosa e l’attivismo ecclesiastico senza l’agape, sono
una musica senza suono o con un suono monotono e falso: « divento un rame risonante e uno squillante cembalo ». La via per eccellenza è quella
della carità.
Anche il dono della profezia o della
predicazione ha bisogno della carità.
La « teologia », la « conoscenza dei misteri di Dio e dei suoi piani di salvezza,
persino il dono della fede sono compromessi dalla mancanza di carità. I
teologi ed i predicatori possono essere
dotati di doni particolarmente qualificati, ma una teologia o una predicazione senza carità non edificano la comunità, anzi ne rallentano il cammino e
spesso rendono inefficace la sua testimonianza: « Se non ho carità, non sono
nulla ». Queste cose le diceva Paolo,
che era pure buon teologo e buon predicatore. A maggior ragione debbono
esser dette a noi, pensando ai doni che
abbiamo ricevuto!
* * *
Infine, con un ragionamento paradossale l’apostolo ci pone alcune domande
inquietanti: se distribuissimo tutti i
nostri beni ai poveri e giungessimo addirittura a dare la nostra vita in favore
degli oppressi è proprio vero che ciò
« niente ci giova? » Spogliarci dei nostri beni e accettare anche il martirio
non sono forse atti di carità spinta al
sacrifizio? Questo linguaggio ci ricorda
che ci può essere una carità senza
« agape » e priva di umiltà: una carità
ostentata, per far parlare di noi, una
carità interessata, con ambizioni umane e carnali. Si tratta di casi limiti che,
nella mente di Paolo, hanno lo scopo
di mettere in evidenza la priorità assoluta della carità. La comunità cristiana non possiede ambizioni di potere e
di comando, non è giudicata dai suoi
entusiasmi superficiali, dalla sua prosperità finanziaria e dall’altezza del suo
pensiero teologico, dal suo impegno nel
mondo sociale e politico, bensì dalla
presenza dell’agape, che è il dono per
eccellenza, la via che dobbiamo percorrere e ripercorrere insieme dopo
averla spesso abbandonata. « Se non
ho carità, divento un rame risonante e
uno squillante cembalo: non sono nulla, ciò niente mi giova » .
Vedremo prossimamente, come scrive Barth in uno dei numerosi volumi
della sua Dogmatica, che la carità che
conta è anche la carità che trionfa e
che permane.
Qggi ci fermiamo qui e rifiettiamo,
come se ognuno di noi fosse direttamente interpellato sul tema della carità.
Ermanno Rostan
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L’opuscolo
del 17 febbraio
Già nel clima di preparazione alle celebrazioni deirS“ centenario del movimento valdese, la Società di Studi Valdesi ha deciso di
dedicare a questo tema Topuscolo che annualmente, in occasione del « 17 febbraio », essa
largamente diffonde nelle nostre comunità;
scritto dal pastore Giorgio Tourn, membro
della SSV, esso, con il titolo Verso il centenario di Valdo (pp. 20, L, 200, 4 tavole f.t.),
presenta vivacemente e illustra il senso e il
contenuto che s’intende dare alle celebrazioni.
Non manchi in nessuna delle nostre case.
ed il consolamentum... cataro
Caimninan! Gon Dio
La voce
dei profeti
Il profeta Michea, più di 700 anni prima della nascita del Signore Gesù Cristo, aveva chiaramente detto che cosa l’uomo deve
fare: « O uomo. Egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene; e che
altro richiede da te l'Eterno, se non che tu pratichi ciò ch'è giusto, che tu ami la misericordia, e cammini umilmente col tuo
Dio? » (Mich. 6: 8). Regola molto semplice a prima vista, e che
comunque sarebbe bene che ognuno di noi tenesse sempre ben
presente; ma assai difficile a mettere in pratica, perché contrasta
con le tendenze naturali dell’uomo. Naturalmente ognuno vorrebbe che gli altri la mettessero in pratica nei suoi riguardi; ma
quando devo io applicarla nelle mie relazioni col prossimo, allora non lo so fare. Che cos’è giusto se non ciò che giova al mio interesse? Che cos’è la misericordia? E soprattutto che vuol dire
« camminare umilmente con Dio? ». Con Dio vogliamo avere soltanto relazioni che non ci disturbino, lo vogliamo invocare quando ci fa comodo, quando abbiamo esaurito, tutti i nostri mezzi
umani nel fare ciò che a noi pare giusto; ma non comprendiamo
che si possa e si debba « camminare umilmente » con lui. Eppure la Bibbia parla di un uomo che « camminò trecento anni con
Dio e poi disparve, perché Iddio lo prese » (Ger. 5: 22, 24); il patriarca Enoc, il padre del tanto conosciuto Matusalemme.
A parte ogni considerazione storica su questi fatti che sono
fuori dalla storia, possiamo essere certi che è possibile camminare con Dio ed essere poi alla fine « presi » da lui. Il Signor Gesù Cristo lo ha fatto per noi, e noi possiamo e dobbiamo farlo
con lui, qui ed ora, se vogliamo alla fine dei tempi, rimanere in
piedi dalla parte di Dio. LINQ DE NICQLA
Quanto Roberto Nisbet riporta del
giudizio del Léonard sul protestantesimo italiano (Come uscire dalla stasi
evangelistica, n. 42 del 20 ottobre 1972)
è senz'altro pertinente. Infatti più volte, nei passati Sinodi, si sono sentite
voci invocanti un maggior mordente
spirituale da parte delle nostre comunità, il cui languore contrasterebbe penosamente con l’entusiasmo delle Assemblee di Dio. Si avveri dunque il
pronostico dello storico francese, almeno nella sua prima parte, cioè che
« la vecchia Chiesa Valdese » riceva
« una seria dose di ispirazione pentecostale », ma si lasci per carità agli
stessi pentecostali la libertà di giudicare se vogliano o no assorbire per conto loro « un poco della... tradizione
valdese ». Ne dubito. Piuttosto, l’essenziale non è qui. Giustamente Roberto
Nisbet parla dei successi pentecostali,
e ne vede la ragione nel fatto che per
quei fratelli in fede l’opera dello Spirito Santo è al centro, e non alla periferia, della loro vita ecclesiastica; e,
quasi a mo’ d’inciso, egli vien fuori
con la proposta che « nel programma
delle celebrazioni dell’ottavo Centenario Valdese qualcuno dei nostri storici
ci illustri il posto che il consolamentum aveva nella dottrina e nella vita
dei primi Valdesi ». Qra, senza pretendere con ciò di essere l’unico giudice
in materia, mi preme dire subito che
il consolamentum non aveva nessun
posto presso gli antichi Valdesi per la
semplice ragione che non era un rito
valdese, bensì solo cataro.
I Catari avevano un certo numero
di riti o usi liturgici, la cui celebrazione era in funzione della distinzione
esistente nelle loro chiese tra credenti
e perfetti, cioè tra i comuni fedeli e i
loro ministri. Così, l'atto di adesione
al catarismo fatto dai credenti si com
ECHI DI UN CONVEGNO SUL DISSENSO
E L’INFORMAZIONE RELIGIOSA IN ITALIA
Rivalutata la prospettiva teologica
e la ricerca della "specificità" cristiana
Nel precedente articolo apparso sul
n. del 12-1-73, ho cercato di fare un bilaincio, più che una cronaca, delle novità maturate nella esperienza politica
delle comunità cattoliche di base cosi
come sono emerse nel dibattito svoltosi al convegno di Firenze sul tema « Informazione religiosa e opinione pubblica in Italia ». Tenterò ora di fare altrettanto per quanto attiene alle esperienze più specificamente religiose ed
ai problemi dell'informazione ad esse
connesse, non senza avvertire che nel
dibattito il politico ed il religioso sono
apparsi strettamente legati e in modo
tale che è impossibile operare la distinzione fra l’uno e l’altro se non sul piano puramente concettuale. E’ ad esempio impossibile — ma forse è anche
inutile — indagare se il dissenso religioso delle comunità, di base è il riflesso
religioso del dissen|o politico o viceversa: l’indagine sarebbe viziosa, quello che importa è la preminenza delle
motivazioni e degli scopi ultimi.
C’è stato un momento, forse inevitabile, in cui è sembrato che la costruzione di una teologia alternativa a quella
della chiesa cattolica storica procedesse più sulle fondamenta di un nuovo
umanesimo sociale nei confronti del
quale il fatto religioso appariva mero
rivestimento ideologico, che sul passo
di un faticoso quanto voluto ritorno
alle fonti evangeliche. Il tuffo nel mare
della storia rischiava di essere senza
emersione.
Il rischio di smarrire il senso della
specificità dei problemi della fede, pur
tenendo conto della necessità di una
loro incarnazione in impegni storici
concreti, è stato rilevato da padre Balducci che così si esprime nella relazione introduttiva: « È cresciuta così, in
questi ultimi anni, la convinzione che,
in larghissima misura, la vicenda della
chiesa non sia che un epifenomeno della vicenda politica della società occidentale e che quindi gran parte della
problematica infraecclesiale non sia
che un capitolo accessorio della crisi
della classe egemonica di quella società. In modo esplicito o implicito,
questo giudizio ha condizionato la contestazione ecclesiale di questi ultimi
cinque anni. Di qui la crescente sfiducia nel discorso teologico come tale,
divenuto sospetto quasi fosse niente altro che una versione sacra della ideologia della classe dominante. Di qui la
tendenza ad applicare, anche nella chiesa, gli schemi dell’analisi di classe senza la dovuta considerazione di ciò che
della chiesa è il proprium non riducibile a nessuna categoria sociologica o
antropologica ».
Queste considerazioni valgono specialmente per quelle comunità (Isolotto, Qregina) che non si sono sottratte
alla tentazione di un impegno politico
diretto ed in prima persona, nel senso
di fungere da centri autonomi di elaborazione e di azione politiche, quasi
da segnali indicatori di una utopica via
cattolica al socialismo. Ciò si spiega
forse con la ripulsa verso ogni forma
di religiosità alienante tutta fatta di intimismo e di geloso privatismo e con
l’ansia di offrire ai poveri ed agli oppressi l’immagine di una chiesa libera
da un mistificante spiritualismo neutrale; il che può avere accresciuto agli
occhi delle comunità di base la forza
di attrazione della lotta politica come
antidoto all'individualismo religioso e
alla coniplice acquiescenza allo status
quo.
Ho già detto quali sono stati, e per
certi aspetti rimangono, i limiti delTesperienza politica diretta e nei gruppetti ,del cattolicesimo del dissenso:
minoritarismo, settarismo, spirito elitario, l’uso di categorie religiose e morali nella lotta politica, incomprensione quindi della logica politica, ecc. Ho
già anche rilevato che nel convegno si
è insistito con vigore sulla necessità
di non cadere in un nuovo temporalismo, anche se di segno politico opposto a quello della chiesa ufficiale.
Per evitare questo rischio si è precisato non solo che occorre rinviare la
lotta politica nelle sedi storiche del movimento operaio e che quindi bisogna
accettare su quel terreno forme soltanto laiche di lotta, ma anche che l’inserimento del credente nei partiti di .sinistra, nei sindacati e nel ’ movimento
non deve avvenire in questa veste ma
come militanti fra militanti. Questo
non tanto per superare i riconosciuti
limiti politici già visti, ma soprattutto
perché una simile impostazione del
problema è l’unica che consenta un
pieno recupero della propria identità
di credenti. Non si tratta più soltanto
di partecipare attivamente ad un generale processo di liberazione umana, sociale, economica e politica di tutta la
società, ma occorre ritrovare, in quanto cristiani, i segni evangelici che legittimino sul piano religioso l’impegno politico e nello stesso tempo avviare una
lotta per la liberazione della chiesa
dai condizionamenti temporali, interni
ed esterni ad essa.
Se da una parte occorre condannare
pesantemente le tendenze verso un ritorno a forme nuove di spiritualismo,
alienanti quanto e più delle vecchie, bisogna dall’altra, con una passione più
forte ancora di quella sentita per la
lotta politica, definire i termini specifici della proposta ecclesiologica alternativa e quindi anche i motivi di
fondo della fede comunitaria. Ciò perché se si vuole dare credibilità al progetto di una chiesa-comunità che viva
della Parola, la comunione di fede deve
assumervi una posizione centrale, non
potendo il tema politico essere di per
sé terreno sufficiente a sperimentare
forme di prefigurazione del Regno che
siano realmente lievito della terra. Occorre dunque dare maggiore forza al
discorso di una chiesa alternativa soprattutto mediante una pratica positiva di fraternità che rechi il segno della
narola di Gesù. Questo significa che la
Parola scritta deve diventare Parola
vissuta, che ogni frattura fra Evangelo
e prassi deve essere sanata. L'immagine di una chiesa affrancata dalle alleanze temporali e non legata ad un ruolo
sociale può essere il mezzo più valido
per porre a tutte le chiese il problema
grave della riforma.
Dare credibilità a questa immagine
è il contributo più importante che le
comunità di base possono dare alla liberazione della chiesa. Non basta più
contestare la struttura gerarchica o la
mediazione sacerdotale, le compromissioni col potere o il ruolo di conservazione della chiesa ufficiale — si sarebbe ancora in una logica conciliare ed
interna —, è invece fondamentale dare
l’avvio alla costruzione positiva di una
chiesa libera e di liberi che si regga sui
principi del sacerdozio universale e
della comunione fraterna.
Condizione essenziale — ed entriamo nel tema dell’informazione — è che
la comunità riceva la notizia di Gesù
così come ci viene dalTEvangelo e ne
diventi il soletto. Che vuol dire questa soggettività? Essa significa che là
dove la notizia di Gesù giunge instaurando la propria signoria, essa vi risuona come vita, salute, resurrezione,
benedizione, grazia e libertà. La notizia
di Gesù, quando il popolo di Dio ne è
il soggetto, non è una notizia esterna
o che crei condizioni di dipendenza e
di superiorità sacrali. Essa, al contrario, provoca l’avvenimento della comunità, causa cioè la fede la speranza,
l’amore degli uomini. La notizia di Gesù non va perciò confusa né con la notizia religiosa né con la notizia ecclesiastica. Infatti la prima (la notizia religiosa) riguarda i modi di ascolto del(continua a pag. 3)
piva con una specie di patto detto in
provenzale convenenza, col quale essi
s’impegnavano ad aiutare i perfetti
con denaro, cibo e ospitalità, dopo di
che ricevevano un'adeguata istruzione
religiosa, impegnandosi solo a ricevere in punto di morte il consolamentum
a garanzia deH’immediata salvezza. Se
un credente incontrava per via o alle
riunioni un perfetto, gli rendeva omaggio con il melioramentum, cioè con un
inchino e con qualche parola di rispetto, a cui il perfetto rispondeva con la
benedizione, seguita spesso da un abbraccio o dal bacio della pace. Era
inoltre in uso una specie di confessione pubblica dei peccati, detta apparellamentum o servüium, fatta dai credenti ai perfetti o dai perfetti tra di
loro. In cambio dell’eucaristia (comunione o Santa Cena), i Catari celebravano la fractio pañis, che si compiva
in due tempi, eseguiti ambedue dal
più anziano dei perfetti presenti: prima la recitazione del « Padre Nostro »
— nel quale alla quarta richiesta veniva preferita la lezione « dacci oggi iì
nostro pane soprasostanziale » anzicché « quotidiano », ad indicare non i i
cibo materiale mà quello spirituale
della Parola di Dio —, poi la distribuzione del pane ai credenti, che potevano anche portarsi via e conservare
per altre occasioni, come nella primitiva eulogia (benedizione) cristiana.
In quanto al consolamentum, esso
veniva impartito o in vita, ma in questo caso solo ai più qualificati moraimente e spiritualmente, o più freque ttemente in punto di morte. Era una
specie di battesimo, non d’acqua ma
spirituale, con il quale si veniva definitivamente introdotti in seno alla comunità catara, ma talvolta aveva anche il significato di una vera e propria
ordinazione sacerdotale. Ecco come il
rito viene descritto da un recente storico del catarismo: « Era una cerimonia di una sorprendente semplicità, che
sembra essere stata praticata soprattutto in due circostanze. Innanzi tutto, il consolamentum era dato ad un
credente quando voleva entrare nelia
categoria dei perfetti; poi, questi ultimi l’amministravano ai credenti, a loro richiesta, ma solo quando si trot avano in pericolo di morte. In entrambi
i casi, il cerimoniale era praticamente
lo stesso, solo un po’ più sempfificato
quando veniva dato ai morenti. In primo luogo, si chiedeva al candidato se
voleva consacrarsi a Dio e al Vanitelo. Se sì, egli doveva promettere dic
in futuro non mangerebbe più né carne, né uova, né formaggio, né alcun
altro cibo ad eccezione degli alimcn ;
vegetali preparati con olio o del pesi
Prometteva ugualmente di non mentire, di non giurare, di astenersi ormai
da ogni atto sessuale, e di non abbandonare la comunità catara per pauta
della morte col fuoco o con l’acqua o
in qualunque altra maniera. Fatte queste promesse, il candidato recitava il
Pater..., poi i perfetti gli imponevano
le mani e mettevano il Libro — probabilmente un Nuovo Testamento — sul
suo capo. Dopo di che lo abbracciavano e si genuflettevano davanti a lui.
Anche i membri della comunità s’inginocchiavano, a turno, davanti al candidato, ed era press’a poco tutto » (cf.
Ferdinand Niel, Albigeois et Cathares.
Collection « Que sais-je » n. 689, Paris
1965, pp. 55-56; v. anche Raoul ManSELLI, L’eresia del male, Napoli 1963,
pp. 230-241).
Infine, qua e là — come in qualche
località della Francia meridionale e
deiritalia settentrionale, tra la metà
del secolo XII e i primi del secolo XIV
— si praticava Vendura, specie di suicidio-omicidio rituale o eutanasia, con
la quale chi era ammalato chiedeva o
di venir soffocato con un panno apposito se voleva terminare la vita da
martire, oppure si lasciava morir di
fame se preferiva finire i suoi giorni da
confessore, e ciò per evitare possibili
ricadute nel male in caso di guarigione. Tuttavia le testimonianze su questa pratica sono controverse, e il Niel
non esita a dire che « il vero catarismo è muto al riguardo, essendo probabile che lasciasse a ciascuno la libertà di giudicarne secondo la propria
convenienza... Ciononostante, Pendura
è servita spesso — e serve ancora —
per presentare il catarismo come una
dottrina antisociale, immorale e pericolosa » op. cit., pp.52-54).
Giovanni Gönnet
P.S. : Nella cronaca suH’inaugurazione di
un nuovo convitto a Villar Perosa (n. 47 del
27 novembre 1972), il cronista è incorso in
una lieve imprecisione circa la qualifica di
chi definì i primi Valdesi « seguenti nudi un
Cristo nudo » : non si trattava di un inquisitore, bensì solo di un monaco inglese, Walter
Map, in veste di cronista spesso ingenerosamente burlone.
Doni prò Eco-Luce
Da Pomaretto: Sergio Ribet L. 1.000; Giovanni Genre 500; Ernesto Ribet 200; Giovanni Prandini 500; Ilda Vinçon Tron 100; Giosuè Ribet 500; Alberto Pons 200; Remo Ribet
500; Livio Costantino 300; Aldo Long 100;
Enrico Marchetti 500.
Da Frali: Celina Rostan 500; Alessio Genre
500; Margherita Pascal 500; Enrico Grill
500; Aldo Richard (Villa) 500; Aldo Richard
(Giordano) 1.500; Enrichetta Genre 500;
Emanuele Barus 500.
Grazie!
( continua )
3
9 febbraio 1973 — N. 6
pag. 3
^ Forze considerevoli pre*
mono, nella Germania federale, perché cambi il rappor
to di stretta unione fra le
Chiese e i Lander; tuttavia il cancelliere Brandt ha ribadito la sua considerazione per l'opera delle Chiese; incisiva
nella misura in cui esse sanno conservarsi indipendenti.
LA CHIESA E LA SUA MISSIONE NEL MONDO
^ La predicazione cristiana, trascurata da tanti, incontra
spesso, là dov è compiuta, opposizione e persecuzione : ad
esempio nel Nepal, sulle montagne himalaiane. Ma anche
nelle terre "cristiane" vi sono larghi settori non toccati datl'Evangelo: si pensi all'opera di pochi fra gli zingari. ^
Le Chiese, anche nella loro parte più viva, hanno fatto e
fanno tutto ciò che è il loro
>otere per la riconciliazione
neiruister? Un metodista irlandese lo contesta. A Col
loquio e confronto con l'islam: incontro di due fedi, di due
culture, che le Chiese cristiane hanno appena iniziato.
Dio può convertire un chansonnier e servirsene.
L’Incisività della chiesa
dipende dalla sua indipendenza
In un suo recente discorso al Parlamento di Bonn, il cancelliere federale
Willy Brandt ha detto fra l’altro; «Il
colloquio con le Chiese è di grande importanza. Non le consideriamo come un
gruppo fra i molti della società pluralistica e non vogliamo incontrare i loro
rappresentanti come rappresentanti di
semplici gruppi d’interesse. Riteniamo
invece che le Chiese sono tanto più forti, nell'incisività della loro necessaria
opera spirituale, quanto più indipendenti esse si rendono dai vincoli tradizionali sociali o partitici ».
Un metodista irlandese
chiede
una formazione comune
dei bambini irlandesi
Zingari e nomadi
Nella Repubblica federale tedesca devono esserci attualmente fra i 30 e i 40
mila zingari e nomadi; se ne ignora
naturalmente il numero esatto. La
Chiesa cattolica in Germania sta programmando la costituzione e l’attività
di un organismo incaricato della cura
d’anime fra di loro.
Misure anticristiane
nel Nepal
In base a una nuova legge promulgata dal governo nepalese, chiunque s’interessa al cristianesimo e legge la Bibbia è multato di 100 rupie, somma che
corrisponde aH’incirca al salario mensile di un bracciante. Per la conversione
Rivalutata la prospettiva teoiogica
e ia ricerca deiia "specificità" cristiana
(segue da pag. 2)
la Parola e i loro riflessi sulle strutture
sociali e psicologiche dell’umanità di
oggi, mentre la seconda (la notizia ecclesiastica) attiene alle ragioni sociali
delle chiese storiche, in quanto istituzioni a contatto con autorità sociali,
riti, credenze; l’una e l’altra, inoltre, si
rivolgono all’uomo « come soggetto dipendente e come soggetto di una istituzione particolare con compiti sociali
riconosciuti dal potere costituito, con
gerarchie, forme cultuali, tipologie culturali e psicologiche che ripropongono
piuttosto la legge che l’Evangelo come loro tendenza propria ». Quando la
notizia religiosa e quella ecclesiastica
prevalgono sulla notizia di Gesù (come
avviene nelle chiese storiche, anche
quelle riformate), tra il popolo di Dio
e le chiese nascono contrasti la cui
gravità è in rapporto alla fedeltà e alla
coerenza di vita fraterna richieste dall’Evangelo. Si tratta quindi di adoperarsi perché la notizia religiosa e quella ecclesiastica siano più vicine alla notizia di Gesù, in modo che le ragioni c
le forme delle une siano assorbite dalle ragioni e dalle forme dell’altra: se e
in quanto ciò avviene si realizza allora la signoria della Parola.
Lo sforzo da compiere deve quindi
essere diretto a riportare le chiese davanti al loro unico Signore in modo
che sia possibile riformare evangelicamente sia la vita dei ministeri che le
forme alienanti della coscienza religiosa. Non è che le comunità di base pensino che in esse la distanza tra la notizia di Gesù e le altre due sia stata
colmata né che esse siano depositarie
di tale notizia — se cosi fosse, si considererebbero una setta di perfetti —,
ma esse si assegnano il compito non
esclusivo di servire da strumento attraverso il quale Gesù, che fu dato al
mondo, sia ad esso continuamente restituito, sì che possa essere la notizia
di Gesù un avvenimento sempre nuovo
nella storia degli uomini.
In Italia la notizia di Gesù, che è insieme lettura del Vangelo e lettura dei
segni della presenza di Dio nelle lotte
dei poveri, viene confusa con la notizia
sulla chiesa cattolica e sulla religiosità
cattolica del popolo italiano. Data questa confusione e date anche le compromissioni ideologiche e materiali della
chiesa cattolica, si tende a nascondere
la notizia di Gesù ed a produrre una
informazione religiosa in funzione degli interessi del blocco socio-politico
clericale e borghese. Strumenti di questa informazione religiosa interessata
sono sia la stampa cattolica controllata
dalla chiesa-istituzione la quale, però,
priva ormai di una vitale ideologia
propria, è ritornata ai vecchi modelli
apologetico-celebrativi di tipo magicosacrale, affidandosi a quella « enorme
forza- storica che è l’inerzia dello spirito »; sia la stampa laica di grande tiratura la quale modernizza il discorso :i'eligioso della stampa cattolica, che è ancora ad un livello pre-capitalistico, per
allinearlo, in funzione di supporto ideologico, alle frontiere del neocapitalismo. La stampa dell’area della sinistra,
si fa sì tramite di una informazione religiosa più sensibile ai motivi del dissenso, ma coglie questi motivi soltanto
come notizia di disturbo e magari come riflesso della lotta di classe. La diffidenza verso la stampa di sinistra deriva da una parte dalla paura di essere
« catturati », e dall’altra dal fatto che
lo sviluppo critico del discorso religioso appare in essa come inibito da
una pregiudiziale di realismo politico
che non esclude intese tattiche con
l’istituzione ecclesiastica.
Non rimane quindi che affidarsi a
quel tipo di stampa che è nata o si è
rinnovata sull’onda del dissenso (ciclostilati, fogli stampati, riviste d’opinione) per portare avanti l’opera di controinformazione. A tal fine le testate
presenti al convegno hanno espresso
nel documento finale la volontà di avviare un processo di coordinamento
fra di loro e fra loro e gli altri movimenti della base all’opera ed emergenti.
Per ragioni di spazio non mi soffermerò in considerazioni critiche su
quanto è stata detto sul tema dell’informazione. Mi limito soltanto a sottolineare la natura velleitaria di certe
conclusioni, evidente quando si pensi
alla sproporzione esistente fra gli scopi da perseguire (sottrazione delle masse cattoliche ad una informazione religiosa mistificante) e gli strumenti che
si vorrebbe usare per raggiungerlo (ciclostilati, fogli di stampa, ecc.).
Vorrei concludere sintetizzando i caratteri del momento attuale del dissenso cattolico con le parole di padre Balducci: « C’è dovunque un lento crescere di realtà ecclesiali, in cui la morte di ciò che è vecchio avviene senza
crolli e in cui il nuovo va avanti quasi
per trapassi indiscernibili. Si tratta di
trapassi, ci tengo a dirlo, che non rientrano affatto nel progetto riformistico
che è la nuova veste della conservazione. E sono trapassi che, in una realtà
di fede com’è la chiesa, possono mettere in crisi salutare anche gli uomini
dell’istituzione. Non voglio dissimulare
che a darmi questa fiducia, oltre che
l’osservazione continua della complessa realtà religiosa italiana, c’è anche un
apriori teologale: c’è la certezza che la
comunione ecclesiale non è solo meta
da raggiungere, è una realtà che ci precede e ci governa. Dobbiamo analizzare la chiesa con tutti gli strumenti che
ci mette a disposizione la cultura moderna, anche lo strumento del marxismo e quello della psicanalisi. .Ma
quando si arriva in fondo e quando
avremo costruito i nostri progetti di
lotta ci resta qualcosa da riconoscere,
ci resta da riconoscere che nella chiesa c’è altro. Ebbene: voglio dire soltanto che questa esigenza apriori del
nostro approccio conoscitivo non resta
oggi del tutto delusa. Noi dovremo
metterci al servizio di questa scoperta,
senza lasciarci catturare da nessuno,
né dai frustrati che ci vorrebbero indicare in tutti i momenti bersagli da
colpire, né dalle benevolenze remunerative dell’autorità, né dai compagni di
viaggio. Dobbiamo aiutare il nuovo a
nascere e a crescere. L’informazione
critica, l’elaborazione delle categorie
concettuali e teologiche necessarie a discernere il nuovo e a valutarlo, I’inserimento della novità più tenue nella
consapevolezza collettiva, la paziente
tessitura di una nuova contestabilità
ecclesiale e sociale: sono questi i compiti creativi che il tempo nuovo ci assegna ».
Tutto ciò non è forse vero anche per
le chiese protestanti?
Sono 72 le Chiese che
accettano la predicazione
delle donne
A confronto con l’islam
al cristianesimo è comminata una pena
di un anno di carcere, e la pena è di tre
anni per chi converte al cristianesimo
un’altra persona, mentre chi è colto a
predicare e battezzare è incarcerato
per sei anni.
Soltanto in 72 delle circa 260 Chiese
componenti il Consiglio ecumenico le
donne sono consacrate al ministero pastorale; 143 di esse lo rifiutano, le restanti non si sono ancora ufficialmente
occupate della questione: questi i risultati di una recente inchiesta condotta
dalla Chiesa d’Inghilterra, in vista della sua assemblea generale avente all’ordine del giorno tale problema.
Cultura araba
e cultura dell Eumpa uiediterrauea
P. Lindsay, presidente della Conferenza Metodista d’Irlanda, ha chiesto
che i bambini protestanti e quelli cattolici siano formati insieme nelle
scuole pubbliche deH’Ulster. Finché, attraverso divisioni arbitrarie, la giovane
generazione viene assuefatta fin dai primi anni alla situazione di una società
divisa, ci saranno poche speranze di superare l’intima lacerazione della popolazione nordirlandese. P. Lindsay ha
chiesto pure Tannullamento di tutte le
norme ecclesiastiche che rendono difficile il matrimonio fra partners di diversa confessione. Egli ha criticato le
Chiese per aver fatto sinora troppo poco per superare le tensioni confessionali nelTUÌster: « L’avvenire del nostro
paese è nelle mani dei politici, ma dobbiamo aiutarli a padroneggiare questo
compito arduo ».
Domenica 4 febbraio la Chiesa cattoiica di
Francia e la Federazione protestante di Francia
hanno organizzato paralielamente e in parte con.
giuntamente una giornata di riflessione e di
preghiera sui mezzi di comunicazione sociale,
sull'importanza dei mezzi di informazione —
libri, giornali e periodici, cinema, radiotelevisione — nel formare l'opinione pubbiica.
Corsi all’Istituto
ecumenico di Bossey
LTstitulo di Bos.sey (di livello accademico,
dipende dal Consiglio Ecumenico delle Chiese
con sede in Ginevra) organizza per il 1973 dei
corsi di formazione ecumenica tra cui segnaliamo :
Per laici;
13- 23 luglio - Decisione e azione in un mondo
violento (per laici e studenti non in teologia).
Per teologi;
16-29 aprile - 11 culto e la teologia ortodossa
(con partecipazione alla liturgia di Pasqua
all’Istituto Saint-Serge di Parigi. Iscrizioni
aperte a studenti in teologia, pastori e sacerdoti non ortodossi).
14- 27 giugno - Nuove comunità, chiesa marginale (corso per pastori, sacerdoti ,missionari).
E’ consigliabile iscriversi entro febbraio.
Per informazioni c richiesta di formulari di
iscrizione rivolgersi al corrispondente nazionale: Federazione Chiese Evangeliche in Italia - Servizio Studi Via Firenze, 38 - 00184
Roma.
Per i mussulmani Dio è maestro, per
i cristiani è padre. I mussulmani han
la fede, i cristiani la carità. Queste affermazioni, che molti teologi europei
non avrebbero accettato^ suscitarono
disappunto e disapprovazione fra gli
astanti, e il presidente di turno congedò bruscamente l’oratore essendo
scaduto il tempo, e questi si ritirò
senza pronunciare neppure le poche
frasi conclusive d’uso quando si è tagliati appunto perché il tempo è scaduto. L’oratore era Paul Khoury, un
maronita ^ professore all’Università
araba di Beirut. Il suo pensiero espresso nella relazione scritta era in realtà
un po’ più complesso. Ma la preoccupazione di mostrarsi aperti e concordi
anche nella discordia era viva negli
ospiti al Colloquio internazionale sull'Incontro tra cultura araba e cultura
dell’Europa Mediterranea nell’epoca
contemporana, organizzato dall’IPALMO a Firenze dal 14 al 16 dicembre, fino al punto di rovesciarsi in qualche
insofferenza. Concordi deplorarono il
^ La Chiesa Maronita trae il nome dal monastero siriaco di San Maron, intorno al qua
le nella seconda metà del VII secolo si raccolse, con una propria gerarchia, una corrente
dell’eresia monotelita. In seguito alle Crociate e ai rinnovati contatti con l’Occidente, ossa accettò l’unione con la Chiesa di Roma, .nel
XIII secolo, unione che venne progressivamente rinsaldata, latinizzando' in forte misura questa che è l’unica Chiesa d’Oriente saldamente costituita unita a Roma; dal 1584
opera a Roma l’importante Collegium Maroniticum. Questa Chiesa, guidata da un patriarca, conta oggi oltre 700.000 anime (forte emigrazione nell’America latina), delle quali oltre 400.000 nel Libano: qui costituiscono la
confessione-guida dello Stato (anche se tale
leadership, appesantita da una lunga situazione marcatamente costantiniana, comincia
a essere messa in discussione) e un ponte verso la latinità cattolica dal punto di vista religioso, francese dal punto di vista culturale
(ed economico). red.
Gii Bernard,
troubadour dell’Eterno
Avevo sentito mollo parlare di Gii
Bernard, e alcune settimane fa, a Blonay (Vaud), in una vasta sala ho fatto
la sua conoscenza: quarantenne, padre
di tre figli; convertito da dieci anni, come tutti coloro che hanno veramente
incontrato il Signore sul loro cammi
no, è diventato « in Cristo una nuova
creatura; le cose vecchie sono passate, ecco son diventate nuove ». Parlerò
in un prossimo numero di questo incontro con lui, oggi lascio che sia Gii
Bernard a dare la sua testimonianza
personale. Graziella Jalla
Dalle luci della ribalta alla luce di Dio
Giuseppe Costa
Quando un ragazzo ventenne se ne
va a Parigi per conquistare il mondo
attraente del ’’music-hall”, è colpito anzitutto dall’immensità della capitale.
Come sarei mai riuscito, io che mi sentivo così pìccolo, a far conoscere le
mie canzoni, che costituivano il mio
solo bagaglio?
Quando un giovane vuol fare qualcosa con tutto il suo dinamismo e la sua
fede, ci riesce, se la fortuna l’aiuta!
Pochi mesi bastarono al giovane cantante debuttante che ero, passando da
un bar all’altro, per giungere alla radio
e alla televisione in compagnia di cantanti conosciuti come Jacques Brel,
Charles Aznavour e Jacqueline François.
Tutto nuovo, tutto bello; la fortuna
mi arrideva, i contratti mi portarono
all’estero: Svizzera, Belgio, Lussemburgo, Spagna, Portogallo, Africa occidentale. Però più mi avvicinavo al successo che rende ottimista l’impresario, più
mi sentivo inquieto. I fastidi crescevano nella mia vita al ritmo dei miei assegni che dilapidavo nel gioco. Ricordo
che un pomeriggio persi al poker una
annata dei miei diritti d’autore. Questa vita movimentata mi fece presto
realizzare che anche cambiando auto o
offrendomi ciò che più desideravo, mi
rimaneva sempre quel gusto amaro che
fa male all’anima.
Poi all’Qlympia incontrai una piccola
cassiera dei ’’Prix-Unique”, che diventò mia moglie. Speravo trovare in questa unione l’equilibrio che avevo conosciuto a casa, allevato da genitori ebrei,
tradizionali e rispettosi delle leggi dell’Antico Testamento. Ahimè, le mie
continue uscite, i piaceri mondani da
cui non riuscivo a liberarmi lasciavano
troppo spesso sola e abbandonata Gina, la mia sposa, in quella casa che
era venuta a rallegrare e nella quale
avevo pensato al suicidio.
E così via a forza di scontri, di scenate penose, finché Gina rinunciò a
questa felicità illusoria in cui aveva
creduto, ignara dei rischi di una vita
d’artista. Ed io, sapendo quel che perdevo, tacevo, ancora vedendola preparare i suoi bagagli per andarsene,
quand’ecco udimmo bussare alla porta.
Era un missionario, originario di StJean-du-Gard, che mi portava il Nuovo
Testamento che avevo chiesto, dopo
aver letto un volantino che l’offriva.
Tre mesi dopo la mia richiesta, il servitore di Dio mi portava la Bibbia,
proprio nel momento in cui mia moglie ed io stavamo per separaci.
Per la prima volta sentimmo parlare
di Gesù, venuto in terra a salvare ciò
che era perduto. Per la prima volta si
rivelava a noi di persona, come nessun
catechismo, nessuna etichetta religiosa, nessuna filosofia aveva potuto fare.
Per la prima volta una luce di speranza, più forte di tutte le luci della ribalta, si accendeva nei nostri cuori stanchi, gravati, disperati.
Era il fuoco dell’amore di Dio. Seguendo il filo delle parole di Gesù, nella lettura dell’Evangelo, come nessun
uomo aveva fatto, noi scoprimmo i)
Messia, il Cristo, il Salvatore del
mondo.
Ho aspettato quattro anni, prima di
poter cantare Gesù Cristo. Poi un pastore, convinto della mia conversione,
mi venne a trovare prima di un recital
con Sacha Distei, nel Gard. Mi invitò
a cantare in una campagna di evangelizzazione che stava organizzando. Fu
una svolta nella nostra vita, com’era
stato nel nostro incontro con Dio.
In quegli anni di aspettativa ero sostenuto dalle preghiere d’intercessione
di molti credenti. Se io pregavo da
quattro anni aspettando l’occasione di
cantare l’Evangelo, quel pastore pregava da sei anni per trovare un artista
convertito!
E così avvenne che lasciai il ’’musichall”, dopo l’ultimo semestre di contratti in cui mi ero ingaggiato. Gli impresari continuano oggi ancora a farmi offerte allettanti. Ma nulla potrà
ormai prendere per me il posto dell’amore di Cristo, della gioia di lodarlo con le mie cauzioni davanti a uditori
che sostengono con la preghiera ognuna di quelle parole e di quelle musiche
alla gloria di Dio.
Voluminosa è la corrispondenza di
giovani che scrivono di aver deciso di
seguire Gesù Cristo. Qgni giorno la
mia riconoscenza sale al Signore e si
volge a tutti i suoi discepoli, noti e
ignoti, che continuano a intercedere
per noi.
Nei programmi de « La voce dell’Evangelo », in collaborazione con Eugène Boyer, ho ritrovato un campo
ben noto, la radio. Quanto è grande,
per me, la gioia di cooperare all'annuncio della Buona Novella fino alle estremità della terra (Salmo 92)!
recente incendio di due chiese copte in
Egitto ed esaltarono la tolleranza dell’Islam, che si contrappone alle Crociate. In realtà obrei, cristiani e musulmani hanno principi molto belli, la
pratica sovente è un’altra cosa.
L’Istituto per le relazioni tra l’Italia
e 1 Paesi dell’Africa, America Latina e
Medio Qriente, voluto da Fanfani, si
ritrova presidente Franco Maria Malfatti, è controllato dai rappresentanti
di un largo arco di partiti, compreso
Giancarlo Pajetta, partecipante al convegno, ed è diretto da Gianpaolo Calchi Novati. Gli arabi, la forte maggioranza della sessantina di convenuti,
erano intellettuali rappresentanti i sessanta o cento milioni di loro compatrioti di Algeria, Egitto, Giordania,
Iraq, Libano, Libia, Marocco, Siria c
Tunisia. Altri studiosi venivano da
Francia, Giappone, Gran Bretagna, Polonia, Spagna, Stati Uniti d’America,
oltre che dalTItalia.
Nei limiti di rappresentatività che se
ne possono dedurre le riunioni sono
state un successo. Buona volontà, un
approfondimento e un certo senso di
uguaglianza non mancavano. La parola, il verbo, si sa è un dono mediterraneo (ma non soltanto), e un arricchimento veniva anche dalle divergenze, talvolta aspre, specialmente tra non
marxisti. Tra questi spiccava Anouar
Abdel Malek del Centre National de la
Recherche Scientifique di Parigi, copto
di origine, autore di opere conosciute
anche in Italia, come Egitto società
rnilitare ed antologie del pensiero politico arabo moderno. La religione non
era il soggetto principale dell’incontro,
ma ritornava anche per un attaccamento all’Islam staccato dalla sua problematica più strettamente religiosa,
ma considerato come l’esperienza preponderante, il mondo in cui muoversi
anche per i marxisti che si richiamavano a Gramsci e magari, strettamente
parlando o no, non erano né arabi né
musulmani.
Faccio una piccola digressione. Molti anni fa un amico molto giamaicano,
uscito da Qxford o Cambridge, dopo
una lunga discussione mi guardò tirando sulla pipa e da sopra un bel maglione mi disse imperturbabile: « Non mi
puoi capire. Sei latino e io sono anglosassone ». Guardai esterefatto, coi
miei occhi blu sotto dei capelli ancora
biondi, dei capelli crespi sopra un volto nero. Avevo imparato qualcosa. Ora
fra questi amici arabi, che avevano
qualche ostilità verso francesi e inglesi e si trovavano bene in Italia, alcuni
sembravano proprio dei francesi e degli anglosassoni. Ho nella memoria un
palestinese. Capita come con degli occitani di mia conoscenza rispetto ai
francesi. E non credo che il fenomeno sia tanto negativo.
Nel Colloquio si trattò successivamente del mondo arabo e del mondo
europeo nella interpretazione delle due
parti, e della posizione del Mediterraneo tra le diverse sfere di civiltà nel
mondo contemporaneo.
Bisognerebbe però fare qualcosa di
più. Spero che questo che dico possa
piacere a diversi convenuti e interessare qualche lettore. Gli antichi romani e Mussolini han detto Mare Nostrum. Non è tanto semplice. I mari
non uniscono soltanto, separano anche.
Spesso hanno unito con rapporti prevalentemente di imperialismo e di
commercio, in modo insufficente e suscitatore di controversie, utile ed efficente ma assai discutibile. Credo che
incontri semi-ufficiali come questo di
Firenze, e quello che si è tenuto un
mese dopo in Sardegna su problemi
economici e giuridici, siano utili. Ma
credo anche che si debba arrivare a
rapporti più estesi e meno strumentalizzabili, a una maggiore comprensione
fra i popoli delle due sponde del Mediterraneo. Dicendo popoli intendo dire gente, e magari anche classi. Contadini e contadini, operai e operai, soprattutto persone e persone. Non che
rapporti fra la gente delle due sponde
siano mancati nel passato, e magari
con effetti disastrosi. Bisogna metterci una volontà di approfondimento, di
comprensione, di uguaglianza che nel
passato, almeno in un passato recente, è stata nel complesso insufficiente.
Probabilmente in questi rapporti articolati si può trovare maggiore unità
che nel confronto pur necessario con
vari intellettuali di diversi Paesi. Un
colpo al cerchio e un colpo alla botte?
Scrivo sul giornale di una Chiesa: che
interesse c’è in campo religioso?
Gustavo Malan
Gil Bernard
N.d.r.: nel quadro del colloquio avviato con gli adepti delle varie religioni, il Consiglio ecumenico delle Chiese
cura anche incontri con rappresentanti
dell’isffim; due anni fa si è riunita a
Beirut, nel Libano, una importante conferenza cristiano-islamica, indetta dal
CEC d’intesa con le Chiese cristiane
della regione; ma è vero che dei risultati di questi colloqui giunge poco, alle chiese, specie se vivono in aree geografiche nelle quali la convivenza e il
confronto con i musulmani non è fatto
vivo dell’esistenza quotidiana.
L
4
pag. 4
CRONACA DELLE VALLI
N. 6 — 9 febbraio 1973
Alle Valli Ieri
Alla rica rea
de! pane
In
Sud Amerlea
Verso la metà del secolo scorso le
valli furono colpite da una grave crisi
agricola in Seguito ad una serie di annate disastrose in cui il raccolto fu
quasi nullo. Essendo l'agricoltura l'unica fonte di reddito è comprensibile
quale disagio provocò nelle famiglie
delle valli; inoltre l’aumento della popolazione incrementò ancora il disagio.
In questa precaria situazione molte
famiglie avevano già cercato fortuna
fuori dalle valli; le più intraprendenti
avevano valicato le Alpi e si erano stabilite in Francia, in Svizzera. Verso il
1855 si parla ormai di vera e propria
« emigrazione organizzata », e chi l’organizza è la Tavola stessa. Vengono
nominati dei Comitati appositi e si
vagliano le diverse possibilità: Algeria,
Sardegna, Argentina. « Le Autorità della nostra chiesa erano favorevoli alia
Sardegna perché temevano che in paesi più lontani sarebbe stato impossibile per gli emigrati mantenere il contatto con la Chiesa, con il conseguente pericolo di abbandonare la fede»
(L’Eco delle valli, 17.X.1958). Oggi diremo che la posizione della Tavola era
un tantino conservatrice e che le motivazioni addotte erano più ispirate
dalla prudenza e dal buon senso che
da una fede mossa dalla speranza.
D’altra parte non si trattava di una
« emigrazione missionaria »; l’emigrazione non nasceva da una riflessione
teologica sul significato della chiesa in
quanto chiesa missionaria. Non era innanzitutto la volontà di « evangelizzare» altri popoli che spingeva le famiglie valdesi all’emigrazione; piuttosto
la dura realtà delle Valli in cui era
sempre più difficile procurarsi il pane.
La prudenza dunque non era fuori luogo. Infine non va dimenticato che sono
trascorsi pochi anni dall’emancipazione valdese, dal riconoscimento dei diritti civili e politici; proprio i vàldesi
che hanno dimostrato un attaccamento atta patria così vigoroso e acritico,
ora che è loro aperta la porta per un
ingresso responsabile netta società italiana, decidono di abbandonare le valli
in massai
L'abbandono dette valli non è più
l’abbandono causato dalla persecuzione; è ben diversa la situazione di queste famiglie che partono per il Sud
America da quella che condusse nuclei valdesi nel Baden-Wuerttemberg al
seguito di Arnaud. La loro fede è diversa, è la fede del Risveglio. Naturalmente questa ondata di emigrazione
non colpì la borghesia valdese che colse tempestivamente l’occasione per inserirsi attivamente netta società italiana: a livello culturale, accademico,
commerciale, militare. Sono invece i
contadini ed operai delle valli che sono costretti all’emigrazione, quanti
hanno un buon mestiere artigianale da
far fruttare.
In alcune comunità delle valli, in
particolar modo nella Val Pellice, questa emigrazione crea il vuoto netta vita della comunità locale; è il caso di
Bobbio Pellice. In « Cento anni di storia valdese » è scritto: « Un danno più
grave ancora reca atta parrocchia l’emigrazione definitiva. Nel 1859 numerosi partono per l’Uruguay; nel 1880,
26 altri vanno in Argentùia... ». A San
Germano, dal 1848 al 1898 ben 91 famiglie emigrano.
La crisi che ne deriva a livello di vita ecclesiastica è accentuata ancor più
dalle beghe interne, da vere e proprie
secessioni che dividono e lacerano le
conmnità dette valli; il fermento di vita nuova portato dal Risveglio ginevrino di Félix Neff sin dal 1825, accanto
a molti lati positivi, degenera spesso
netta dissidenza, accentuando ancora
la crisi delle comunità delle valli.
È il gennaio 1857 quando arrivano a
Montevideo le prime famiglie valdesi
che si stabiliscono nei pressi detta città di Florida; ma sarà soltanto il secondo gruppo, giunto un anno dopo,
che, stabilitosi attorno alla città di
Rosario, darà origine all’attuale Colonia Vaidense, la più numerosa dette
comunità valdesi sudamericane.
Contrariamente atte previsioni detta
Tavola e di molti valligiani queste famiglie di emigrati non si- sono dissolte, non hanno « perso la fede », non si
sono secolarizzate; si sono invece organizzate ed hanno trapiantato nel Rio
de la Piata la stessa organizzazione ecclesiastica che hanno dovuto lasciare
alle valli. Questo è stato favorito certamente dall’affluire di famiglie che è
continuato sin nell’ultimo dopoguerra
e che ha sempre lasciato aperto un
ponte, anche se diviso dall’Oceano, fra
i due rami della chiesa valdese.
Ermanno Genre
Una nuova fabbrica
a Lusema San Giovanni?
Estendo la domenica 4 maggio dedicala alle Mistioni, la « domenica della gioventù »
è spostata all'11 marzo.
In occasione del 17 febbraio, gli studenti
del Collegio Valdese organizzano presso
l'Aula Magna una serata alla quale parteciperi la Corale di Torre Pellice ed il "Coretto" del Collegio. Verri rappresentato
un atto unico di Vittorio Calvino : « Cosi
ce ne andremo ». Lo spettacolo di sabato
17, alle ore 21, verri ripetuto domenica
pomeriggio alle 15,30.
Una ditta torinese ha
terreno a Bocciardino
A Luserna San Giovanni si è tenuta
una pubblica assemblea (scarso il pul>
blico) sul tenia « Implostazione del Bilancio 73 ».
Motivo di grande soddisfazione il
fatto che il 42% del bilancio, pari a
oltre 300 milioni, sia destinato quest’anno alla scuola, mentre il 14%, pari a oltre 80 milioni) sia destinato al
capitolo dell’Assistenza.
L’Amministrazione ha evidentemente
deciso di subentrare allo Stato, il quale avrebbe, da ormai più di 6 anni, dovuto intervenire direttamente per costruire la Scuola Media locale.
Può dispiacere il fatto che nel 1966
la spesa sarebbe stata di soli 200 milioni, può fare invidia che a Bricherasio i soldi per la Scuola Media (200 milioni) li abbia regalati la Cassa di Risparmio; non di meno bisogna riconoscere che il momento scelto dall’amministrazione di Luserna è opportuno:
non sarebbe certo, il governo Andreotti (che ha congelato le spese per l’edilizia scolastica) a risolvere l’annoso
problema della Scuola Media di Luserna San Giovanni, mal sistemata nei locali dell’ex-G.I.L. e in classi ricavate
in parte dalla palestra!
Per quanto riguarda l’assistenza, la
soddisfazione per la notevole somma
stanziata è attenuata dal non poter sapere come questi fondi verranno impiegati: gli amministratori un po’ evasivi al riguardo, che la maggior parte
degli 80 milioni sarà « gestita » da una
« commissione per i centri per gli anziani » di cui faranno parte rappresentanti dell’E.C.A., rappresentanti dei
due centri per anziani, già in fase di
realizzazione presso la « Pro Senectute » di Luserna San Giacomo e 1’« Asilo » dei Bellonati, e rappresentanti della amministrazione comunale.
Vi sarà anche un’assistente sociale
che (secondo me) dovrebbe coordinare
il suo lavoro con quello dell’ufficio di
assistenza sociale del Consiglio di Valle; già da anni infatti la Sig.ra Gaietti
si è occupata del problema degli anziani di cui è ormai esperta; inoltre
il suo ufficio è ben fornito di schedari
riguardanti i casi per i quali è più
urgente intervenire. Presso il capoluogo dovrebbe sorgere un terzo centro
per anziani (più laico suppongo) ma
finora non è dato conoscerne la sistemazione, non essendo riuscito all’amministrazione di reperire dei locali
adatti.
Per poter parlare delle voci minori
del bilancio bisognerà attèndere di
averne una copia in mano: un. limite,
infatti, dell’iniziativa dell’amministrazione è stato quello di non fornire ai
cittadini, in anticipo, copia della bozza di bilancio. Si notava infatti un cer
acquistato diverse giornate di
to disagio dei presenti a intervenire
probabilmente dovuto alla scarsa conoscenza dei dati e delle cifre.
La relazione dell’assessore, proprio
per la sua ampiezza, finiva per frastornare con le sue numerose cifre, (vortici di milioni!) la mente degli uditori.
Constatando dunque con piacere die,
dopo una lunga pausa riprendono i
contatti fra l’amministrazione e i cittadini, a livello di assemblea, mi auguro che al più presto vengano indette altre adunanze pubbliche per discutere alcuni problemi sui quali la popolazione è certamente assai sensibile
(e sui quali i mormorii sono molti): il
settore dell’urbanistica, con gli interventi non sempre chiari della commissione edilizia, il settore dell’igiene, con
il problema urgente della raccolta dei
rifiuti e il problema a medio termine
dell’inceneritore, il settore del commercio, in cui si è verificata una certa
anarchia malgrado le norme in materia emanate tempo addietro dal Prefetto.
Non ultimo per importanza il problema dello sviluppo economico della
valle, collegato a quéilo della Comunità Montana, di cui auspico una rapida realizzazione: la notizia dell’insediamento in Luserna San Giovanni di un
nuovo complesso industriale giunge infatti gradita ma non basta a rendere
del tutto serene le prospettive dell’occupazione in Valle.
Riccardo Gay
San Secondo:
riaperta
la Scuola Popolare
La Scuola popolare di S. Secondo ha
ripreso regolarmente la sua attività.
Giovedì 1 febbraio, in seguito ad
una lettera inviata al Sindaco dai' coordinatori della Scuola popolare, in cui
si valutavano inconsistenti le motivazioni addotte per la chiusura improvvisa della palestra, i coordinatori stessi sono stati convocati in Comune per
uno scambio di idee con la Giunta comunale.
Dopo questo incontro la Giunta ha
deciso di riaprire i locali arbitrariamente chiusi ed i corsi serali sono ripresi. Resterà da chiarire in quali
meandri della burocrazia sono andate
a finire le pratiche richiedenti l’autorizzazione per l’uso del locale trasmesse al Provveditorato agli studi e consegnate direttamente al Comune dalla
Scuola popolare stessa.
Benvenuto - Il nostro Moderatore,
past. Aldo Sbaffi, visiterà le chiese delle Valli nel mese di febbraio e sarà con
noi la sera del 27 corr. per presiedere
una riunione nella sala, alle ore 20. Gli
diamo fin d’ora il fraterno benvenuto.
Recita - Sabato 10 alle ore 20,30 la
nostra Filodrammatica rappresenterà
per la terza volta una bellissima commedia in dialetto piemontese di .Agostino Fassi. I nostri attori saranno lieti
di offrire ancora a tutti i loro amici
alcune ore di sana allegria.
Agape fraterna - Chi desidera partecipare al pranzo del 17 febbraio è pregato di prenotarsi non oltre la sera del
14; dopo quella data non si potranno
più accettare prenotazioni.
Il traforo del Colle della Croce
Crollava il fascismo, quello del ventennio, e nei 45 giorni di Badoglio si
riponeva subito il problema del traforo
del Colle della Croce. Col tempo è diventato argomento di scherzo: non lo
vedremo mai il traforo del Colle della
Croce. Non si osa lieppure più prospettarlo durante le campagne elettorali
per tema di fare della demagogia. C’è
un senso di delusa impotenza. Eppure
ogni qualche tempo come l’araba fenice risorge la speranza che si faccia il
traforo del Colle della Croce. L’errore
forse in parte sta proprio lì, in un desiderio che altri ci facciano il traforo.
Ma noi che facciamo?
Ora la Società francese per il traforo ha rinunciato. La Società italiana
non pare sollecita, per non dire ansiosa
di darci precise notizie. Pare che ci si
orienti verso il Colle della Scala in Val
di Susa, la valle dei trafori. È giunto il
momento di riparlare del Colle della
Croce.
Concluso ü corso “abilitante”
a PInerolo
Si è concluso alla fine di gennaio anche a Pinerolo il corso « abilitante »
per gli insegrianti di lettere alla scuola
media impegnati nel Pinerolese. Il corso, con relativo esame, avrebbe dovuto
avere la funzione di rendere « abili » ad
insegnare coloro che, di fatto, già siedono da diversi anni in cattedra, e,
quindi, di predisporre la loro immissione in ruolo. Strano a dirsi, infatti, gli
impiegati dello statto nel settore sco-,
lastico lavorano senza quello che per
le aziende è il « contratto di lavoro ».
Su quest’ultimo punto, tuttavia, non si
sa ancora cosa avverrà. Vogliamo qui
dare solo alcune notizie locali relative
al corso di Pinerolo.
Gli iscritti erano 84. Si è lavorato per
gruppi e a lezioni collettive per tutto
il mese di settembre e per alcune giornate di ottobre e novembre. Un gruppo di 22 partecipanti non ha accettato
fin dall’inizio l’impostazione dei docenti né delle circolari ministeriali,
astenendosi dalle lezioni collettive e lavorando esclusivamente nel gruppo.
Questa « autogestione » ha portato il
gruppo stesso ad affrontare i problemi fondamentali della scuola e del ruolo dell’insegnante, anziché argomenti
di ripasso e di parziale aggiornamento
sulle materie, che uno può benissimo
affrontare da solo e a tavolino.
In questo modo il gruppo si è interessato e impegnato, a volte col consenso di tutti i partecipanti al corso,
sui problemi più scottanti del momento, anche con azioni di sciopero, per i
seguenti obiettivi:
a) Una scuola dell’obbligo realmente gratuita, riguardo ai libri di testo e
a tutti i costi sociali che pesano su ogni
famiglia;
b) una scuola dell’obbligo non selezionante, cioè che non respinga i figli
degli operai e dei contadini;
c) la difesa del posto di lavoro.
(Da un volantino distribuito durante
lo sciopero generale del 20 settembre).
Il primo obiettivo è chiaro. Il secondo vorrebbe correggere la situazione di
fatto, per cui, statistiche alla mano, sono sempre i più poveri che « non riescono» a scuola. Il terzo si poneva nella linea portata avanti da gruppi che,
almeno per questa volta, hanno perso
la lotta, che non volevano la prova di
84 I PARTECIPANTI
esame al termine dei corsi. Infatti era
il corso stesso che doveva essere abilitante, non l’esame. Cioè era il lavoro
in comune sui problemi della scuola,
non quattro domande a cui basta un
po’ di fortuna per saper rispondere,
che doveva dare 1’« abilitazione ».
Altro argomento su cui il gruppo si
è impegnato è stato quello della necessità di abolire il latino dalla scuola
media.
Al corso hanno partecipato anche
cinque valdesi, tre dei quali impegnati
nel « gruppo dei 22 ». Al termine del
corso il lavoro di tutti è stato considerato valido dalla Commissione esaminatrice. C. Tron
Perrero
Maniglia - Massello
Anche le nostre comunità sono state colpite
a più riprese dal lutto in questi tempi di influenza e malattie varie.
Maddalena Po'èt, delle Grangette, è deceduta a S. Giovanni, dopo lunghi anni di sofferenza ed è stata sepolta al cimitero di Faetto;
Ester Ribet, del Forengo, deceduta a Pomaretto. Apparteneva alla Chiesa dei Fratelli,
ma seguiva con interesse le attività della Chiesa Valdese in cui era nata; seguiva l’Eco delle Valli e leggeva con piacere le pubblicazioni
della Claudiana;
Enrico Ribet, del Praledreit, una piccola
borgata vicino alla Germanasca, di Massello.
Era vissuto in Francia ed era tornato a Massello dopo aver raggiunta la pensione. E’ stato
sepolto a Pomaretto.
Mentre rinnoviamo, in particolare alla famiglia Poet (Ester ed Enrico Ribet non erano sposati) le nostre eondoglianze, ringraziamo i pastori Cipriano Tourn e Sergio Rostagno per aver presieduto i servizi funebri.
L’assemblea di Chiesa di Perrero-Maniglia
del 21 gennaio ha rinovato l’incarico di membri deUa Commissione Stabili ai fratelli Franeo Barai, Raimondo Gente, Aldo Pons e Giorgio Viglielmo. Ha inoltre precisato meglio i
loro compiti affidando loro la piena responsabilità della manutenzione ordinaria e straordinaria di tutti gli stabili del Concistoro. Il
lavoro di generico fiancheggiamento di quest’ultimo, infatti, ha portato nei due anni
trascorsi qualche inconveniente che il nuovo
sistema dovrebbe superare.
Ci sono diversi modi di prospettare
le comunicazioni stradali e per trafori.
Grandi autostrade, che affrontano le
montagne con lievi pendenze e quindi
richiedono un lungo sviluppo su cui
possano transitare senza fermarsi pesanti e inquinanti autocarri, o molte
strade più snelle e parallele. La Francia ha costruito nei secoli una magnifica rete di strade parallele, e su questa
via si è messa deliberatamente la Jugoslavia del dopoguerra. Trafori faraonici o trafori paralleli, uno per valle.
Non è neanche necessariamente un’alternativa. Qualche autostrada e qualche grande traforo possono essere utili, se non impediscono lo sviluppo dell’altra rete stradale, compresa la laterale, e lo scavo degli altri trafori. I
grandi carichi di merci possono viaggiare sui treni nei containers.
Per il Colle della Croce ci si può tornare ad orientare verso la forma più
modesta senza timore di apparire egoisti, anzi lasciando via libera per altri
trafori in valli occitane o franco-provenzali nelle province di Torino e Cuneo, eliminando paralizzanti rivalità,
curando la viabilità inter-valli. Fare
un traforo non deve essere tanto più
costoso che fare un tubo di metropolitana, e senza le complicazioni del sottosuolo delle città. Se un buco non basta
se ne farà un altro. Se ne potranno fare tra valle e valle. La montagna bucata come un groviera? E sia. Senza ritirare necessariamente in ballo le centrali idroelettriche si può anche riprendere in considerazione una deviazione di
acque attraverso il traforo dal versante ovest al versante est per uso di acquedotto e di irrigazione?
Per ora ci potremmo accontentare di
un modesto traforo del Colle della Croce, non tanto modesto però da non sollecitare sufficienti interessi. Forse non
così modesto da imporre il passaggio
alterno ora in un senso e ora nell’altro,
come in certe strade di montagna svizzere. Q Faccetteremmo anche così?
Qra però la discussione va portata
al livello della popolazione interessata.
E per la discussione occorre che essa
disponga di conoscenze sufficienti sulle
posibilità, i costi, i vantaggi ecc. Per
ciò l’UDAVQ terrà una riunione di informazione dopo quelle che ha già
tenuto a Torre Pellice per la legge regionale sulle minoranze linguistiche e
per la strutturazione territoriale dalle
Comunità Montane ai distretti. Riunione d’informazione significa una riunione in cui si chiedono informazioni.
Gustavo Malan
Rorà
Rinnoviamo il nostro plauso e i più
vivi ringraziamenti al Maestro sig. I.
L. Sappè e Signora e al gruppo della
Filodrammatica di Angrogna per la bella serata che ci hanno dato.
A Dio piacendo per la ricorrenza del
17 febbraio avremo quel giorno Culto
con Santa Cena, pranzo in comune alla Pensione Paschetto-Charbonnier a
Pianprà; iscriversi tempestivamente
presso gli stessi o presso i membri del
Concistoro. Serata preparata dalla gioventù. La domenica 18 Culto con la partecipazione della scolaresca.
Dalla Circolare della Chiesa: « Visita
del Signor Moderatore a Rorà il giorno
14 febbraio. Diamo al nostro Moderatore il ’’benvenuto” quassù tra i discendenti di Giosuè Gianavello ».
POMARETTO
Pomaretto dà limmagine di una ordinata e calma vita parrocchiale in un
mese di gennaio generoso di belle giornate e brevi nevicate. Il concistoro
aveva appena finito di ricevere le ultime, ritardatane buste del 1972, che già
veniva mobilitato per raccogliere le
offerte destinate alla Scuola Latina.
Gli amici di questa scuola da canto loro cercavano di suscitare l’interesse
della popolazione organizzando un concerto del Coro alpino Val Pellice, che
ebbe una calorosa accoglienza e un
meritato successo: segno del favore
che gode questa musica tra il pubblico
locale.
Un altro villaggio, quello degli Aymars, resta disabitato, dopo che il suo
ultimo abitante, forse stanco della sofitudine e meno disposto a combattere un altro inverno, ha optato per una
casa di riposo dove la serenità potrà
vincere lentamente le strette della nostalgia.
Il locale ospedale cadeva in panne.
Una gran parte del personale a letto
con l’influenza. Appello della commissione istituti ospitalieri valdesi e mo
biUtazione in men che non si dica di
un volontariato tanto discreto quanto
efficiente: volontariato che poi... si ritrova ben spesso e dappertutto. Il Prof.
Varese ci scrive in proposito: « ti sarò grato se vorrai ringraziare la comunità di Pomaretto per le efficaci risposte al nostro appello ». Il che è
fatto.
La scuola domenicale pare stenti a
riprendersi dopo il pieno delle feste.
Dove sono tutti i bambini? È vero che
non sempre piace doversi alzare presto anche la domenica. Avessimo locali adatti faremmo come a Pinerolo, dove la scuola domenicale si svolge nel
l’ora del culto. Intanto i bambini potrebbero andare a letto un po’ più presto la sera, cosa che farebbe foro co
munque del bene. Abbiamo anche chiesto ai bambini di portarci lire 1.000
per l’abbonamento all’« Amico dei Fan
ciulli ». Speriamo che trovino qualche
zio e padrino generoso!
In campo di scuola domenicale abbiamo preso una decisione abbastan
za coraggiosa chiedendo di diventar
monitrice a una signora cattolica, ma
di quei cattolici che abbiamo impara
to a conoscere altrove, appassionati
per un rinnovamento evangelico dell
loro chiesa. Chissà come reagirà le
gente?
In un altro campo siamo in dovere
di segnalare l’iniziativa di un gruppo
di genitori della Scuola Materna Va<
dese, i quali si sono incontrati due
volte con il comitato. Le riunioni hai'
no permesso uno sguardo franco alla
gestione, e un questionario ha dato io
possibilità a tutti di esprimere una ve
Iqntà precisa. In seguito a questo, g:
nitori e comitato hanno potuto aumentare la retta. Le nuove condizioe’
sono esposte nella scuola stessa. È qu
sto un piccolo esempio di assunzione
di responsabilità che va sottolineato
Sia ben chiaro però che la Scuola Ma
terna continua ad essere grattrita o se
migratuita per tutti ed è a disposizione di tutta la popolazione.
Per altri versi questo mese di gennaio è stato anche non poco battagliero. Basti pensare a quello che succedeva dentro le fabbriche. La maggioranza delle famiglie ne è certamente
al corrente. Che dire? Per alcuni la vita ecclesiastica sta su un piano tutto
diverso e non han nulla a che vedere
con quanto succede intorno. C’è come
una sottile cortina che separa il sacro
dal profano fin dentro di noi. Altri pensano invece che non sia salutare il
mantenere più a lungo una così netta
distinzione tra quello che andiamo a
fare nelle fabbriche, come cittadini, e
la fede personale.
La comunità è chiamata a manifestare la sua simpatia fraterna alle famiglie colpite dai lutti dei seguenti
membri: Marianna Gaydou, Giacomo
Ribet, Alina Ferrerò n. Geme, Mai '.a
Giaiero in Ribet, Ida Yvonne Costantino in Peyrot, Paolo Ferdinando Baret, Enrico Ribet, alla soglia dei suoi
100 anni, Rinaldo Pascal, Enrico Ribei
(di Massello), Margherita Pons in
Ughetto, Maria Fanny Collet in Lageard.
if Hanno collaborato a questa pagina:
L. Coisson, A. Genre, E. Geymet, V.
A. Hugon, S .Rostagno, G. Tourn, C.
Tron.
Villar Penosa
In seguito ad iniziativa laica e con la totale approvazione del Concistoro, ha avuto
luogo anche quest’anno un incontro interconfessionale in occasione della « Settimana di
preghiera per l’unità della chiesa cristiana ».
L’anno scorso la Comunità valdese era stala
ospite di quella cattolica. Quest’anno, la sera
di sabato 20 gennaio, fu la comunità cattolica ad essere ospite di quella valdese, nella
Foresteria adiacente al tempio.
Due messaggi da parte di Ospiti presenti ;
Il Pastore Prof. Renzo Bertalot ricorda la
definizione deirecumenismo data da Wisser ’t
Hooft : cattolicesimo e protestantesimo, due
ideali: l’uno della fern>ezza della fedeltà, l’altro del fermento di progresso della vita. Se
per sbaglio essi son sembrati in contrasto, devono vedersi oggi complementari l’uno all'altro. Diventeranno tali con l’amore e con la
collaborazione.
Il prof, don Franco Trombotto illustra anzitutto quel che non deve essere l’ecumenismo: 1) non l’unione di un mediocre valdese
con un mediocre cattolico, perché darebbe vita solo a un cristianesimo mediocre; 2) non
un’unione che sia frutto di compromessi; 3)
non un’unione avente solo l’intento di presentare al mondo un fronte unico; 4) non deve
implicare per nessuno una rinuncia alla propria, fede né un oblio del passato. Dev’essere
un’opera dello Spirito Santo : come Gioele annuncia che (c i vostri vecchi sogneranno dei
(continua a pag. 5)
5
9 febbraio 1973 — N. 6
pag. 5
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
L’assemblea della chiesaJi Torino si pronuncia
contro ii progetto di riforma deiia legge Merlin
La chiesa di Genova riconiincia un senenaia
di coiiaborazione con ii
pastore Marauda
Preceduta e preparata dalla tavola rotonda
--- con interventi dell’avv. Roberto Jouvenal
-e del past. Paolo Ricca — organizzata dalla
FGEI torinese e di cui abbiamo parlato la
scorsa settimana, si è raccolta lunedì 5 corr.
l’assemblea della chiesa valdese di Torino,
avendo all’ordine del giorno fra l’altro il problema del nostro atteggiamento di fronte alla
■campagna, lanciata da « La Stampa », per la
riforma della Legge Merlin. Assemblea non
•delle più numerose — una cinquantina dì
membri — ma viva e partecipe. Il problema
non è stato riaffrontato nel suo insieme ma
si è discusso — come si era proposto al termine della serata precedente — su di una
bozza di documento, preparata da P. Ricca in
collaborazione con F. Giampiccoli, bozza che
con qualche lievissimo ritocco è stata poi approvata dalla fortissima maggioranza dell’assemblea; ne riportiamo qui sotto il testo, che
può interessare tutti i lettori dato che il problema, vista la massa di firme raccolte, verrà
senza dubbio presentato in Parlamento e acquista quindi una rilevanza nazionale e non
più solo cittadina.
La Chiesa Evangelica Valdese di Torino, riunita in assemblea il 5 febbraio
1973, in ordine al progetto di legge di
iniziativa popolare per la modifica della Legge Merlin (20 febbraio 1958 n. 75)
e della Legge sulla profilassi delle malattie veneree (25 luglio 1956 n. 837),
redatto da un gruppo di giuristi torinesi e patrocinato dal quotidiano « La
Stampa », osserva quanto segue:
— Il progetto si fonda sul presupposto, apertamente dichiarato, che la prostituzione « almeno attualmente... è ineliminabile », senza fare l’indispensabile
distinzione tra prostituzione come scelta individuale e prostituzione come fatto sociale. Certo, l’eventuale decisione
di una persona di prostituirsi non è
eliminabile, ma i fenomeni e i rapporti sociali che favoriscono, incrementano e sovente creano la prostituzione sono eliminabili. Porsi in questa prospettiva significa però fare quello che il
progetto espressamente rifiuta di fare
e cioè « l’analisi sociologica » del fenomeno attuale della prostituzione. Ignorando deliberatamente le sue cause sociali il progetto si preclude la possibilità di capire questo fenomeno e quindi
di proporre rimedi adeguati.
— Il progetto si propone di « rendere
l’esercizio della prostituzione un fatto
tendenzialmente privato e non pubblico, tendenzialmente individuale e non
associato, tendenzialmente discreto e
non molesto » e in secondo luogo si
propone di « stabilire un collegamento,
oggi inesistente, fra legge sulle malattie veneree e legge suH’eserciziò della
prostituzione ». In altri termini l’obiettivo dell’iniziativa è di « trasferire
l’esercizio della prostituzione dalla strada ai luoghi chiusi » e di arginare la
diffusione delle malattie veneree sottoponendo le prostitute (ma non i clienti) a controllo sanitario. Questi due
obiettivi appaiono del tutto insoddisfacenti sia per il loro farisaismo sia perché il male tanto pubblico quanto privato lo si affronta per curarlo non per
nasconderlo, per sanarlo non per reprimerlo.
— Il progetto è discriminatorio nei
confronti delle prostitute in quanto intende controllare ed eventualmente punire loro mentre tutela sul piano sanitario e non persegue sul piano legale
i clienti che, oltre ad essere la causa
prima della prostituzione, sono spesso
moralmente assai più colpevoli delle
prostitute. Il progetto, insomma, intende colpire la parte umanamente e socialmente più debole, e risparmia la
parte più forte: il contrario di quello
che TEvangelo chiaramente prescrive.
— Il progetto, se dovesse divenire
legge, avrebbe fatalmente il risultato —
non voluto, certo, ma ineluttabile —
di creare una o più zone, o vie, o quartieri della città in cui si concentrerà il
inondo della prostituzione: una specie
di ghetto, che si aggiungerebbe a quelli, di altro tipo, già esistenti.
In base a queste considerazioni la
Chiesa Evangelica Valdese di Torino
dichiara di non condividere né l’impostazione morale né gli obiettivi sociali
né i presupposti politici né la qualità
spirituale del progetto in questione e
ritiene perciò di doverlo respingere globalmente sia in base alla propria coscienza civile sia, e soprattutto, in base
alla propria coscienza cristiana.
Noi vediamo nella prostituzione, e in
primo luogo nelle cause sociali che la
favoriscono o determinano e nel doppio sfruttamento cui le prostitute sono
sottoposte (da parte dei «protettori»
e dei clienti), una aperta trasgressione
della volontà di Dio per l’uomo e per la
donna, il segno palese di una malattia
profonda individuale e collettiva, lo
specchio di una corruzione non solo occasionale ma organica.
Riteniamo che la prostituzione vada
combattuta nelle sue radici sociali che
sono molteplici e per certi versi investono l’assetto stesso della nostra so
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cietà, e in una certa mentalità e moralità corrente che, come accetta la mercificazione delTuomo nel processo produttivo, così accetta la mercificazione
della donna nei rapporti sessuali. Riteniamo inoltre che ia prostituzione possa e debba essere prevenuta tra l’altro
mediante l’attuazione di quanto già
prescriveva la Legge Merlin nel suo 2°
capitolo, mediante una adeguata educazione sessuale e mediante una nuova
formazione morale delle persone.
Quasi assenti, da questa assemblea, coloro
che invece ritengono che il progetto sia nel
complesso da approvare. Fra i presenti, i rilievi critici, solo in qualche caso giunti al rifiuto, sono stati i seguenti : 1) la chiesa ha
cose più importanti, più costitutive del suo
essere da affrontare; 2) l’ordine del giorno
non rende pienamente ragione del fatto che
l’iniziativa cittadina pone male, in termini da
rifiutare, un problema reale, di cui nessuno
si era finora seriamente occupato; 3) sempre
nel testo proposto abbonda il rifiuto più che
le indicazioni positive, pur contenute concisamente nella conclusione; 4) neH’ultimo capoverso si istituisce un parallelo fra « la :mercificazione dell’uomo nel processo produttivo » e « la mercificazione della donna
nel rapporto sessuale », il che vuol dire che si condanna come ugualmente immorale il processo produttivo e la prostituzione : un giudizio che ad alcuni
è apparso o ingiusto o, in questa forma
semplicistica, superficiale e demagogico; 5)
questo documento, pur nobile nella forma e
nell’intento, può — e non deve — costituire
un alibi al fatto che, per ciò che ci è dato sapere, nessuno di noi avvicina una prostituta
o un suo cliente per annunciare loro l’Evan
gelo: una volta di più i cristiani fanno ciò
che ogni cittadino può fare, ma eludono il
loro compito specifico. Si è trattato di una serata seria e viva, persa dai molti assenti. Altro tema all’ordine del giorno e discusso con
interesse, la ’’struttura” del Concistoro e in
particolare la carenza di un forte e continuo
ministero anzianale, che si somma alle carenze del ministero pastorale nel suo aspetto
di cosidetta ’’cura d’anime”; l’assemblea ha
chiesto al Concistoro di riflettere una volta
ancora, seriamente, su questo problema, e si
propone di tenerne conto particolare in occasione di prossime elezioni di membri del Concistoro, chiedendo al Signore di dare alla chiesa questo dono che pare scarseggiare.
La sera dopo, un buon gruppo, stavolta più
numeroso se non oceanico, si è nuovamente
riunito per udire un'appassionata conversazione del pastore Tullio Vinay; se ne riferirà la
prossima settimana.
g. c.
Villar Penosa
(segue da pag. 4)
sogni », e non dice « ripenseranno al passato »,
dev’essere un’opera nuova e bella come un
sogno dettato dallo Spirito Santo.
Poi il canto deU’inno « Notte Benigna », il
« Padre Nostro » detto tutti insieme, la Benedizione e un posl-ludio dei trombettieri,
quindi i commiati e le strette di mano.
Estrema semplicità, ma profondo e sentito
da tutti un senso di gioia di essere insieme.
Notata e gradita anche la presenza dei
Parroci Gius. Trombetto di Mentoulles ,Don
Ambrosiani dì Dubbione e Aliai di S. Germano Chisone.
Genova, 21 gennaio 1973 — E’ avvenuto
alle ore 10,15 nel tempio ove, oltre gli altri,
era presente il 95% dei membri elettori convocati, in base al Regolamento a mezzo di annunzi verbali al mattino delle 3 domeniche
precedenti quella designata per la votazione, e,
raggiunti personalmente a domicilio, mediante lettera raccomandata inviata a tutti i membri elettori iscritti entro il 31-12-1972.
Scopo dell’Assemblea : la riconferma, o no,
del nostro pastore Paolo Marauda che aveva
maturato il suo primo settennio di ministero
presso la comunità dì Genova che lo aveva
eletto nel 1966.
L’ora del tempo e la dolce stagione che
auliva, in quel giorno, nella nostra Liguria
favorì senza peraltro che ce ne fosse bisogno,
l’affluenza dei membri di Chiesa.
Il diacono Di Natale, non nuovo a questo
incarico, presiedette il culto, centrando il suo
sermone sull’Agape fraterna che sola può cementare, all’infuori di ogni divergenza, l’unità dei cristiani in vista del nobile fine a cui
spinge la fede comune.
Dalla vicina consorella di S.P. D’Arena
giunse, nel momento previsto, il pastore Paolo Ricca che nella sua qualità di capo del nostro distretto, aveva visitato quella comunità;
egli assunse la presidenza dell’Assemblea, assistito dal vicepresidente del Consiglio dì Chiesa, da due segretari e da un nutrito numero
di volonterosi collaboratori che facilitarono, in
modo lodevole, l’andamento della votazione.
Fatto lo spoglio delle schede, raccolte nell’apposita urna e con scrupolosa osservanza dei
regolamenti in atto, il pastore Ricca annunziò l’esito della votazione : le schede dei « si »
raggiunsero il 97,50 dei voti, mentre cinque
schede, fra contrarie e bianche valsero a dimostrare che nella nostra comunità non si
pensa tutti allo stesso modo perché se così
fosse, sarebbe come dire che nessuno pensa;
A 250 ANNI DA UN’EMIGRAZIONE FORZATA
Le colonie valdesi di Got^reu e Gewissensruh
originate dai profughi vaidesi di Viiiar Porosa, Porosa Argentina e Prageiato
Il 23 luglio 1972 le Colonie Valdesi
di Gottstreu e Gewissensruh, sul Weser, nella Regione dell’Assia, hanno celebrato il loro 250» anniversario. Gottstreu significa: Fedele a Dio, e Gewissensruhe: Pace della coscienza; da soli
già questi nomi costituiscono un programma.
I fondatori di queste Colonie Valdesi erano partiti assieme agli esuli della sponda sinistra del Chisone, nel
1698, in seguito all’editto di Luigi XIV.
I loro nomi sono contenuti in documenti dell’epoca; ricordiamo, in particolare, le famiglie di: Jaques Bounoux ancien, Jean Costebelle maître,
Pierre Freirie, Jean Gille ancien, Jean
Louis Gille ancien et diacre, Jaques
Gouthier, Pierre Héritier, Pierre Jourdanet, Jean Jouvenal maitre menuisier, Jean Ravoil, Pierre Vincent, ecc...
fondatori di Gewissensruh, e: Jean Armingeon. Jaques Berger ancien, François Bertaloth ancien, Jean Bonnet,
Pierre Jouvenal, Michel Peirot, Jean
Rivoir (la moglie si chiamava Anne
Barette!), Jean Vinçon maître... fondatori di Gottstreu. Essi provenivano da:
Villar Perosa, Perosa Argentina e Fragelato.
Giunti a Ginevra nell’estate del 1698,
così raccontavano l’accoglienza ricevuta: « Siamo stati accolti a braccia aperte; ricchi e poveri, persone distinte e
modeste, tutti sono accorsi per riceverci e portarci nelle loro case. Funzionari, pastori, commercianti, artigiani, tutti gli abitanti si sono affrettati
ad accoglierci nelle loro case, ad offrirci il meglio che avevano, a lasciarci i loro letti ed a fornirci di vestiario.
Ci hanno abbracciati, sporchi e laceri
come eravamo, come veri fratelli e sorelle: quante lacrime di commozione
abbiamo visto sgorgare! ».
Purtroppo, però, la Svizzera, sempre
pronta ad accogliere profughi ed aiutarli, non possedeva più territori e
campi liberi dove sistemare e dar da
vivere a questi Valdesi. Essi vennero,
perciò, forniti di mezzi e passaporti,
per proseguire verso la Germania.
Ma ecco sopraggiungere l’inverno e,
laceri e affamati, si fermarono nei
pressi di Berna, da dove non se la sentivano più di proseguire. Così, circa
3000 Valdesi furono ospitati nei vari
Cantoni svizzeri, dove passarono l’inverno. Il gruppo che avrebbe in seguito proseguito per l’Assia, era alloggiato nel Cantone di Berna; durante quei
mesi invernali i bambini frequentavano le scuole svizzere, con molta difficoltà per la lingua, ma i maestri bernesi ne parlavano bene, come di bambini buoni, docili, onesti, ma che avevano molto sofferto.
Durante l’inverno, Enrico Arnaud
ebbe continui contatti con i principi
tedeschi e, finalmente, nella primavera del 1699, gli esuli poterono ripartire.
Circa 200 famiglie furono accolte
nella zona di Darmstadt (dove fonda«rono le colonie di Rohrbach, Wembach
e Hahn), il resto fu accolto nel Wiirttenberg. La famiglie che avrebbero poi
proseguito per Gottstreu e Gewissensruh si fermarono per un certo tempo
nella zona di Mühlacker, dove stavano
sorgendo i villaggi valdesi di Grosvil
i
lars, Pinache, Perouse, Dürrtnenz, Serres...
Gli inizi nel Wü; ttemberg furono assai difficili; ma ben presto i Valdesi
riuscirono, grazie ad aiuti locali, a costruirsi i villaggi, le chiese ed a coltivare i campi come erano abituati alle
Valli, seminando patate, more ed il
luppolo. Però, i campi ed il bestiame
che erano stati messi a disposizione
dei Valdesi si rivelarono presto insufficienti, anche perché le famigUe aumentavano di numero.
Già nel 1717, 133 famiglie esprimevano l’intenzione di stanziarsi altrove
ed incaricavano il loro rappresentante
Jaques Berger di iniziare trattative
presso il re di Prussia. Sia i pastori
delle Colonie Valdesi che il marchese
del Württenberg non erano favorevoli
a questa partenza, ma nel 1719 dovettero cedere e queste famiglie furono
autorizzate a rivendere i loro beni e
campi e, col denaro ricavato, si dovevano poter finanziare il viaggio e la
permanenza in Prussia.
Dopo una tappa a Francoforte, Questi Valdesi raggivmsero Berlino nel settembre 1720. Lì, però, gli ispettori del
re constatarono che i Valdesi erano
ridotti ad un gruppo di mendicanti e
che non avevano più i mezzi per stanziarsi nelle terre della Prussia orientale, che il re era disposto a concedere,
e perciò ne venne negato loro l’accesso.
Questo rifiuto gettò i Valdesi in una
situazione disperata: l’inverno era alle porte, i risparmi erano ormai quasi
sfumati, il re di Prussia aveva deluso
le loro speranze e bisognava che continuassero il loro pellegrinaggio. Essi
si diressero verso la Danimarca, ma
non vi si poterono fermare, perché le
terre che avrebbero potuto essere messe loro a disposizione, non erano sufficienti per dar loro di che vivere. Proseguirono, allora, verso Hannover, alcuni si sistemarono ad Amburgo.
Finalmente, nel 1722, il Landgravio
dell’Assia si dichiarò disposto ad accoglierli e destinò loro le terre di Gottstreu e Gewissensruh, allora incolte e
spopolate. I Valdesi, ridotti ad una
estrema povertà, cominciarono subito
a lavorare con diligenza quelle terre;
solo un piccolo gruppo di 20 persone,
sotto la guida di Jean Griot, tornò nel
Württenberg.
Le case dei Valdesi si differenziavano nella loro forma architettonica da
quelle dei tedeschi: l’entrata non era
sulla facciata, bensì a lato della casa
e dava sul cortile, di modo che si trovava dalla stessa parte del fienile. Sui
travi delle case si trovavano generalmente delle iscrizioni in francese, come per esempio: « L’an de grâce 1723
— Dieu vous préserve du mal —. Par
la grâce de Dieu Jean Armingeon a fait
dresser cette maison. On a beau sa
maison bâtir, si le Seigneur ne met le
fond, n’est que bâtir en vain ».
Oppure: « A Dieu soit l’honneur ».
Il legname per la costruzione delle
case era stato fornito dalle guardie forestali della zona e per i due primi anni di permanenza il Landgravio fornì
pure, sotto forma di prestito, il grano
necessario.
Il Landgravio dell’Assia aveva un
cuore aperto per i profughi di origine
francese: sia alle Comunità di profu
ghi Ugonotti che a quelle dei profughi
Valdesi venne lasciata un’ampia libertà nell'organizzazione della vita ecclesiastica. Una commissione ed un « Inspecteur » ne erano l’organo direttivo.
Le due Comunità di Gottstreu e Gewissensruh mantennero una forte tradizione valdese.
I Diaconi e gli Anziani dovevano amministrare i beni della chiesa ed occuparsi dei poveri. Rivestiva particolare
imnortanza nei villaggi valdesi la funzione del maestro: egli aveva il compito di insegnare il francese ai bambini dei coloni, in un paese in cui la lingua ufficiale era un’altra.
II primo maestro di Gewissensruh,
Jean Costebelle, teneva le lezioni a casa sua, così pure i suoi successori, finché nel 1830 fu costruita una scuola.
Documenti dell’epoca riferiscono che
i nostri esuli valdesi avevano una cultura assai misera, per cui nei contratti non di rado al posto della firma si
trovavano tre croci! Bisogna anche notare che i maestri erano pagati molto
male, insegnavano solo nei mesi invernali, e la loro attività principale era
costituita daH’agricoltura o dal servizio 'militare retribuito. A Gottstreu la
scuola venne costruita nel 1826 e porta
oggi ancora l’iscrizione: « Sotto la protezione di Dio Onnipotente la Comunità di Gottstreu costruì questa scuola ».
Il primo maestro di Gottstreu, proveniente da Grossvillars, si chiamava
Jean Vinçon.
Grazie all’insistenza delle famiglie
valdesi ed alla generosità del Landgravio, già nel 1730 Gottstreu possedeva
la sua chiesa, ma anche i Valdesi di
Gewissensruh volevano un proprio
tempio. Solo nel 1779 fu loro concesso
di inaugurarlo; sulla parete centrale
spiccava il passo: « LUX LUCET IN
TENEBRIE » e sulla porta d’entrata:
« Le 1er àout 1779 — Génésis cap. 28,
vers. 16: Certes l’Eternel est en ce lieu
et fe n’en savais rien ».
Una campana chiamava a raccolta i
fedeli; prima della costruzione della
chiesa, però, ci si serviva di un tamburo per annunciare l’inizio del culto!
I culti avevano inizio alle 8; il maestro faceva la lettura biblica • ed intonava e dirigeva i cantici. Il pastore saliva subito sul pulpito e predicava col
cappello in testa!
Nel dopopranzo della domenica aveva luogo" il catechismo per i giovani,
oppure il « catéchisme publique », con
esposizione del sermone e domande ai
presenti.
In alcune lettere del 1722 si parla
delle difficoltà che attraversava il pastore Teissier, padre di una numerosa famiglia, che non aveva di che vivere. Per di più, i due villaggi valdesi
distavano tre ore di cammino l’uno
dall’altro e, durante l’inverno, era morto il cavallo che gli serviva a coprire
questo tragitto per il suo servizio alle
due comunità.
Fin verso il 1825 i registri di chiesa
erano compilati in lingua francese; sono conservati negli archivi; i verbali
del Concistoro - i registri dei battesimi - dei giovani ammessi alla Santa
Cena - dei matrimoni - dei funerali delle promesse di matrimonio - delle
collette - delle penitenze.
Amalia Geymet
senza contare che una votazione plebiscitaria
avrebbe rievocato in molti l’infausto ricordo
di altre a pieno punteggio, conseguite « spontaneamente » a ranghi serrati.
Da rilevare, con compiacimento, la partecipazione corale a questa importante cerimonia,
durata circa due ore, durante le quali non fu
avvertito nessun cenno di stanchezza, nessuna
fuga furtiva : « Quanto è piacevole che fratelli dimorino insieme »!
Grazie dunque a tutti: al pastore Paolo
Ricca che seppe, con mano fraterna, infondere un rapporto cristiano in una funzione
d’intonazione burocratica; grazie ai membri
del Consiglio, affiancati da qualche volenteroso, per la loro opera ordinata e cristiallina;
grazie a tutti i membri elettori che hanno avvertito l’importanza del momento; grazie ai
giovani, presenti in buon numero; grazie ancora a quei cinque fratelli dissidenti dei quali raccogliamo l’ammonimento che ci spronerà a un coscienzioso esame del nostro operato
non esente da pecche e da lacune; grazie infine e sopratutto al Signore che benedisse così
abbondantemente la nostra riunione.
Mi sia permesso ricordare ai miei confratelli, che il lavoro del pastore di cui spesso ignoriamo la profondità e la delicatezza, è anche
il nostro lavoro; un’indovinata, appropriata
parola scambiata al momento buono, aiuta a
comprenderci e, comprendere vuol dire amare, e l’amore, fra la gente, è l’infallibile medicamento per i mali di cui soffre, proprio
per carenza di amore, questa umanità « al vii
guadagno intesa »; tutti uniti, dobbiam essere, nel nome di Cristo, tutti uniti per un
altro settennio cc et ultra ».
Federico Clearco Schenone
anziano di chiesa
San Germano
Chisone
Ricordiamo a tutti i membri del Concistoro
che martedì 13 febbraio, sono pregati di riunirsi al presbiterio, alle ore 17,45 per incontrare il Moderatore Aldo Sbaffi. Ricordiamo
che il pastore Sballi interverrà alle 20,30 dello stesso giorno alla riunione quartierale dei
Gianassoni. Ringraziamo sin d’ora la famiglia
Beux che ci ospita ancora una volta.
Il Comitato per il 17 febbraio si è riunito
ed ha cosi fissato il programma della nostra
festa valdese:
’V^enerdi 16 febbraio, ore 20, Suono deUa
campana, accensione dei falò. La Corale è invitata ad intervenire a quello dei Ronchi.
Sabato 17 febbraio, ore 9, partenza del corteo, dalle nostre Scuole in direzione deUa Casa di Riposo, ove la banda, la corale e la
scuola domenicale suoneranno e canteranno
per far partecipare anche i nostri frateBi più
anziani alla gioia di quel giorno.
Ore 10,30 culto di riconoscenza nel tempio,
con partecipazione della corale e della scuole
domenicale.
Ore 12,30 agape fraterna. Il pranzo è stato fissato a lire 1.800 per persona. IMPORTANTE: prenotarsi entro e non oltre il 14
febbraio presso gli anziani, il pastore o presso
la salumeria Bounous.
Ore 20,30 recita della nostra Filodrammatica. Essa presenterà « Gli alberi muoiono in
piedi » di Alessandro Casona.
Domenica 18 febbraio : ore 20,30 replica
della recita.
CHIEDIAMO A TUTTI DI ASTENERSI
NEL MODO PIU’ ASSOLUTO DAL LANCIO DI RAZZI, PETARDI E SIMILI.
Dobbiamo purtroppo registrare ancora una
volta dei decessi nella nostra comunità. Si
tratta dei nostri fratelli Aurelio Maero (Pralarossa), Esther Buffa (Casa dì Riposo), Zeriina Benech ved. Bounous (Casa di Riposo).
Che il Signore sostenga quelli che piangono e
che ci mantenga tutti vigilanti.
Gli anziani vi porteranno quanto prima le
buste per la rinunzia, insieme all’« Appello »
e ad un volantino che ci ricorda il significato dell’VIII centenario della conversione di
Valdo, che vogliamo ricordare nel ’74 ma che
cominceremo a preparare sin d’ora.
Giovannni Conte
RINGRAZIAMENTO
I figli Dina Gobellc dalla e Lino
.TaUa con le rispettive famiglie, la sorella Henriette, ringraziano quanti
hanno condiviso il loro dolore per la
dipartita di
Adeline Jalla-Danna
affettuosa mamma e cara sorella, e
desiderano ringraziare in particolar
modo i cugini Vittorina Revel, Edy,
Alesso e lina dalla, la Sig.ra Manetta Pontet, per il fraterno aiuto prestato, i Pastori A. Taccia e Signora,
e F. Bertinat.
« Poiché noi siamo stati salvati in
isperanza. Or la speranza di quel
che si vede, non è speranza: difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe egli ancora?
Ma se speriamo quel che non vediamo, noi l’aspettiamo con pazienza ».
(Paolo ai Romani cap. 8)
Jallas di San Giovanni, 28-1-1973.
Le famiglie Lageard, Villielm e Bleynat, commosse dal tributo di simpatia avuto in occasione della dipartenza della cara
mamma
ringraziano tutti di cuore.
Un grazie particolare alla Direttrice dell’Ospedale Pomaretto.
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pag. 6
N. 6 — 9 febbraio 1973
^ Giornate di furia, nuovamente, nell'ULSTER, con un numero di morti, in
una settimana, che non si registrava da mesi ; persino il governo di Dublino _______
che, conservatore, vede di malocchio la politica rivoluzionaria dell'IRA —
chiede a Londra di rafforzare la sicurezza nel Nord. ^ La Corte internazionale dell Aja, cui ha ricorso l'ISLANDA a difesa delle proprie acque da pesca,
si è dichiarata competente a intervenire nella « guerra dei merluzzi » : tale
difesa si fa particolarmente urgente dopo il disastro economico rappresentato
dall'eruzione deH'Helgafell, durante la quale sono vilmente continuate e si sono anzi intensificate le incursioni di pescherecci stranieri "pirati". ^ Appena allargata I'« Europa verde», la CEE non è al riparo dagli attanhi ; al
parlamento danese l'opposizione non è riuscita di stretta misufa a far passare
una mozione contro la politica agricola europea. 0 In BELGIO il nuovo
governo a maggioranza socialista, presieduto da Leburton, ha avuto il forte
appoggio della Camera: 144 voti contro 55. 0 La FRANCIA si prepara ac
cesamente alle elezioni, con la ripresa delle sinistre, più o mene unite ; il paese
è stato scosso dal rifiuto, da parte di due fra le più grandi compagnie aeree
americane (TWA e Panam ), di acquistare i 13 Concorde (i colossali ¡ets di
I NOSTRI GIORNI
nuova costruzione ) il cui acquisto era stato negoziato : se tale rifiuto si estendesse, il costruttore, che ha impegnato centinaia di miiiardi nella progettazione,
sarebbe in grave difficolti; è in atto una lotta fra gli USA e l'Europa, e di.
penderà dalla coesione di questa e dalla capaciti di trovare nuovi mercati ( alcuni Concorde sono gii stati piazzati in Cina) la capaciti di resistere alla concorrenza e di reagire alla minoriti economica. Alla vigilia delle elezioni
presidenziali CIPRO i turbata da violenza di commandos del col. Grivas, residui dell'EOKA, la fazione che vuole l'annessione alla Grecia. 0 In EGITTO
prosegue la emarginazione delle sinistre : misure contro gli studenti contestatori, 64 intellettuali di sinistra esclusi dal partito unico ; intanto i giunta al
Cairo la prima missione militare sovietica dopo la rottura dell'estate '72 ^
La A4AURITANIA, dopo il Madagascar e più nettamente di questo, ha detto
alla Francia che gii accordi di cooperazione fra i due paesi sono ritenuti deca
duti, sia per ciù che riguarda l'appartenenza alla zona del franco, sia per la
collaborazione militare. Tappe della decolonizzazione. AII'ONU il Consi
glio di sicurezza ha condannato la RHODESIA per il blocco economico imposto allo ZAMBIA e ha inviato qui una commissione d'inchiesta. La Rhodesia ha
riaperto la frontiera, lo Zambia no: Lusaka avrebbe rinunciato a cooperare con
Salisbury? Anche i paesi produttori del rame (colleghi dello Zambia) membri
del CIPEC hanno condannato la Rhodesia. 0 II SUD AFRICA ha creato due
nuovi Bantustan (territori bantù dotati di autonomia interna): Venda e Gaiankulu. I Bantustan sudafricani sono ora sei: quattro nel Transvaal e nel nord-est
della provincia del Capo, e due, il Ciskei e il Transkei, a est della stessa prò.
vincia ; malgrado l'autonomia, si tratta pur sempre di "riserve". 0 II PAKISTAN è nuovamente lacerato: la provincia sud-occidentale del Belucistan è
111 rivolta e il governo centrale invia truppe per reprimerla ; il governo regionale, d'opposizione, accusa i proprietari fondiari e quelli delle miniere di
averla fomentata per prevenire la nazionalizzazione che se ne ventilava, e
il governo di Islamabad di stare al gioco.
G. C.
UN’INDICAZIONE DALL’AUSTRIA
Per un servizio
radiotelevisivo imparziale
DAT^^f Emilio Nitti, commentando qui le abnormi vicende della
V, poneva giustamente, e con forza, l'esigenza che questo fondamentale e
delicato servizio pubblico sia dello Stato, non del Governo: tenda, cioè, alla massima imparzialità e obiettività. Questa può sembrare un po' una chimera, nella
nostra malata situazione nazionale; è allora utile e interessante, dandosi uno sguardo intorno, cogliere l indicazione positiva che ci giunge dal nostro vicino au^
siriaco. Su «Le Monde » del 31 gennaio abbiamo letto questa nota del direttore
del servizio informazioni dell'ente radiofonico austriaco; pur tenendo conto di
un possibile apriori interpretativo favorevole, data la posizione dello scrivente il
fatto comunque resta, nettamente positivo; ed è chiaro che poggia su una sensibilità democratica nazionale che è lungi dall'essere diffusa fra noi. red.
LA NONVIOLENZA IN ITALIA
Una casa par la pace a Tarino
In questa nostra epoca in cui più
che mai il culto ,della violenza a cominciare dalle stesse forze detentrici
del potere, pare imporsi sempre più,
sorgono e si potenziano iniziative che
si propongono di contrastare nel modo più efficace possibile questo continuo ricorso alla violenza, intendendo
per violenza non solo quella materiale delle armi o delle botte, ma anche
quella, ben più sottile e condizionante, esercitata dal potere politico e eco
nomico contro il cittadino-suddito o
contro il cittadino-ribelle che denuncia
il malgoverno in tutte le sue manifestazioni.
In questo quadro di attività segnaliamo ai lettori una iniziativa che è
sorta a Torino: la creazione di un centro comunitario per lo studio e il coordinamento a livello regionale della teoria e della prassi nonviolenta. Si tratta di un’iniziativa che va però al di là
dello stadio di un progetto generico.
Trasmettendo dall’alto delle Alpi
orientali e dominando, oltre i confini
austriaci, buona parte delle pianure
cèca, slovacca, ungherese, jugoslava,
svizzera e bavarese, la radiotelevisione
austriaca copre, con tre programrhi radiofonici e due televisivi a colori, un
vasto spazio, raggiungendo circa il doppio del suo pubblico nazionale di sette
milioni e mezzo di persone e gettando
un ponte fra le due Europe. Proprio
perché le trasmissioni sono realizzate
unicamente pensando al pubblico austriaco, senza pretese propagandistiche, sembrano apprezzate in modo particolare dagli ascoltatori di altri paesi
centroeuropei.
Fra le due guerre, la piccola Repubblica era alla punta della tecnologia e
dell'arte della radio in Europa. Durante l’occupazione la radio fu decentralizzata e spartita fra i quattro alleati.
Dopo il trattato e la ricostituzione dello Stato, fu creata una compagnia nazionale che però, durante dodici anni,
fu un istituto totalmente controllato
dai governi della "grande coalizione”
dei socialisti e populisti (n.d.r.: il partito cattolico), che si dividevano l’influenza politica e personale secondo la
formula generale detta del proporz,
causando una neutralizzazione e una
riduzione dell’informazione al nocciolo
protocollare o inoffensivo. Un grande
movimento delTopinione pubblica, una
iniziativa comune di tutti i giornali indipendenti e una raccolta di firme che
ha coinvolto un quarto dell’elettorato
hanno portato il partito populista e il
partito liberale — malgrado, purtroppo, l’opposizione socialista — a fare
adottare dal parlamento la legge del
1966. Su questa base fu costituita nel
1967 la nuova compagnia, indipendente nella sua gestione di produzione dei
programmi e di autonomia finanziaria,
ma strettamente controllata da un consiglio di amministrazione politicamente bilanciato, dalla Corte dei conti e
da una commissione economica e finanziaria nominata dal governo, senza parlare della critica vigilante del
Parlamento e della stampa.
Sotto la direzione del ’Generalintendant’ Gerd Bacher, già direttore di un
grande quotidiano viennese, poi della
importante casa editrice Molden, personalità di rilievo senza agganci con
alcun partito politico, l’ente radiotelevisivo ha avuto una fioritura intellettuale, artistico, giornalistica, economica e tecnica riconosciuta dall’opinione
pubblica, dai partiti e da personalità
socialiste come il cancelliere Kreisky e
M. Benya. Secondo i sondaggi, due
terzi della popolazione reputano la riforma riuscita, la gestione indipendente, i programmi equilibrati, le informazioni obiettive e rappresentative
deH’insieme delle tendenze. Pur accordandole l’indipendenza, la legge del
1966 vincolava l’ente radiotelevisivo
all’obiettività e alla fedeltà nelTesprimere tutte le tendenze politiche.
Nel corso degli ultimi cinque anni
la Casa della radio di Vienna è stata
completamente riattrezzata. Un nuovo
centro televisivo, il più moderno d’Europa, funziona già non lontano dal castello imperiale di Schönbrunn. I nuo
llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllll
Cronache ecologiche
I E’ stata presentata al Parlamento italiano una proposta di legge che abolisca
per due anni la caccia, allo scopo di dar modo, da un lato, alla fauna di riprodursi e di
colmare almeno in parte i vuoti determinati
dall’attività venatoria, che è in aumento indiscriminato; e, d’altro lato, di dare ai legislatori un certo tempo per affrontare con maggior respiro la revisione della legislazione sulla caccia. Attualmente la caccia, insieme all'uso incontrollato di anticrittogamici e diserbanti e ai fenomeni dell’inquinamento, minaccia di distruggere in zone sempre più vaste buona parte della libera vita animale, con
gravi conseguenze, tra l’altro, per l’equilibrio ecologico. La legge elenca 34 specie di
animali delle quali dovrebbe essere sospesa la
caccia. Sono previste eccezioni, nei confronti
di animali nocivi e di animali allevati in spazi chiusi e riserve: un’eccezione, quest’ultima, per privilegiati meglio organizzati o più
abbienti?
vi Studios dei Länder (n.d.r.: l’Austria
è una repubblica federale costituita
da nove Länder, o Stati regionali) sono — secondo esperti intemazionali —
realizzazioni di punta sia tecnicamente sia architettonicamente. La rete, che
conta quasi duemila emittenti — l’Austria, paese montagnoso, li esige — è
stata raddoppiata, rispetto al 1966, per
assicurare la ricezione dei cinque programmi.
II partito socialista, al governo dal
1970 e che dal 1971 dispone della maggioranza assoluta, malgrado le reiterate affermazioni anteriori del cancelliere Kreisky di voler mantenere immutata la legge sulla radiofonia, sta attualmente esaminando la possibilità
di accrescere legalmente l’influenza del
governo sull’ente, di decentrare la responsabilità dei programmi, di diminuire l’autonomia di gestione a vantaggio delle istanze politiche.
L’iniziativa incontra viva opposizione nel Parlamento e in quasi tutta la
stampa indipendente. C’è da sperare
che B. Kreisky vorrà e saprà salvaguardare l’essenziale della grande riforma del 1966: l’indipendenza garantita della gestione, dei programmi e
dell’informazione, come pure l’efficacia amministrativa e tecnica raggiunta dal 1967.
Alfons Dalma
nord - sud - est - ovest
^ La polizia austriaca ha annunciato, domenica 21 gennaio, l’arresto di tre arabi
che avevano presentato falsi passaporti israeliani scendendo a Vienna da un treno proveniente dalla Svizzera.
0 L’Organizzazione Mondiale della Sanità,
branca deH’ONU, ha deciso, su richiesta
del rappresentante sovietico, di elaborare un
programma di cooperazione internazionale
che coordini l’attività dei vari centri di ricerca sul cancro.
1 Allarme in Gran Bretagna : è stata individuata una nuova terribile droga immessa sul mercato, il « thc », estratto altamente concentrato di marijuana; è stata intercettata una spedizione (in partenza? in transito?) da Oslo. « Questa droga — nota la polizia — è difficile da rilevare; un pizzico inserito in una sigaretta basta a dare all’acquirente più di quanto abbia pagato e richiesto ».
m Pekino ha accordato al Dahomey (che
ha conosciuto alcuni mesi fa un cambio
di regime) un prestito di 11 miliardi di franchi CFA (circa 25 miliardi di lire) senza interesse, rimborsabili a partire dal 1988 in merci d’esportazione; non per questo il Dahomey
ha rotto le relazioni con Formosa. La penetrazione cinese in Africa continua : Giù En Lai
è atteso in visita nell’Isola Maurice, nell’oceano Indiamo, dove tecnici cinesi stanno collaborando alla costruzione di un aeroporto internazionale, per il quale Pekino ha promesso un finanziamento.
H Le relazioni diplomatiche fra la Guinea
(Conakry) e il Ghana, rotte nel 1966
dopo la caduta del regime di Nkrumah (il
dittatore guineano Sekou Touré sosteneva ovviamente quello ghanese), sono state ristabili
te. Lo ha annunciato ad Accra il Consiglio di
redazione nazionale, comunicando di avere accreditato a Conalcry il proprio ambasciatore
nella Sierra Leone.
H La Repubblica popolare cinese ha aperto
formalmente la propria ambasciata in
Giappone, a Tokio.
H Delegazioni URSS e USA hanno concordato un programma di cooperazione
nel campo della protezione della natura; esso
prevede 22 progetti congiunti, specie in difesa della fauna terrestre e marina e deUa flora in via di estinzione. Nel quadro dei colloqui, svoltisi a Voronezh, 500 km. a sud di
Mosca, è stata pure visitata una riserva in
cui i sovietici applicano metodi speciali per
risanare e salvaguardare i rari esemplari ancora esistenti di bisonte europeo.
W E’ nota la tensione fra Gran Bretagna
e Malta, per le crescenti richieste di
quest’ultima per l’affitto di basi navali (nel
quadro della NATO) nell’isola, giocando sulla
controfferta sovietica (l’URSS è assetata di
basi nel Mediterraneo, dove mantiene una flotta di forte e crescente entità). Ora il governo
britannico ha comunicato che rifiuterà ogni
nuova domanda di assistenza tecnica da parte
di quello maltese, perché La Valletta continua a contestare e rinviare il pagamento
degli interessi del prestito di quasi 4 milioni
di sterline (quasi 5 miliardi di lire) fatto da
Londra al precedente governo maltese. La
Valletta vende care le sue basi.
TRA LA GUERRA
E LA PACE
La terra desolata del Vietnam
gronda lagrime e
sangue; l’armistizio
è stato firmato, ma
la sua attuazione sembra lenta e difficile né dà ancora fondate speranze
su una prossima pace possibile: per
il momento tali speranze non sembrano potersi spingere al dilà d’una relativa tregua d’armi. « L’atteggiamento
più difensivo che offensivo delle truppe di Saigon, la loro mobilitazione piuttosto frequente lungo le vie di comunicazione e, in generale, il loro debole
dinamismo lasciano pensare che, anche se i combattimenti si calmeranno,
una lotta più politica che militare (e
soprattutto più discreta) continuerà
nei centri abitati, un buon numero dei
quali ha già cambiato di mano, particolarmente nel delta del Mekong, come testimonianze degne di fede lasciano credere.
Sei giorni dopo la proclamazione dell’ordine "cessate il fuoco!" e della sua
non-applicazione, è dunque molto diffìcile prevedere (come l’ha fatto mercoledì 31.1 il sig. Richardon, nuovo segretario americano alla difesa) che la
situazione si stabilizzi progressivamente.
In realtà, i Vietcong e i Nord-Vietnamiti sembrano decisi a non dare alcun
pretesto a una ripresa delle incursioni
aeree americane. Nella maggioranza
dei casi, essi si sono limitati a difendere certe posizioni da loro occupate
nelle ore che precedettero il "cessate
il fuoco". Raramente,_ in quelle ore, i
loro attacchi hanno impegnato reparti propri su-eriori all’effettivo d’una
compagnia. Nessun loro reparto è stato lanciato contro le postazioni dell’esercito di Saigon. Quanto al settore
a nord di Quang-Tri, da loro rioccupato sulla Cua-Viet nella settimana 28.1 3.2, occorre osservare che esso era stato conquistato dai loro avversari proprio alla vigilia del “cessate il fuoco"
Mentre il presidente Nixon conferma il proprio appoggio al presidente
Van Thieu, rendendo pubblica la promessa di riceverlo in USA nella primavera prossima, i comunisti non passeranno certamente al contrattacco nel
Sud, neppure nei punti in cui si trovino a godere d’un vantaggio tattico
momentaneo (ciò ch’è attualmente il
caso nella regione a nord di Quang
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
Tri). Si pensa generalmente a Saigon
che i comunisti non sfrutteranno militarmente le possibili situazioni a loro favorevoli, ma che essi si preparano piuttosto a concentrare i propri
sforzi, nelle settimane future, sul controllo politico delle campagne popolate.
La commissione militare quadripartita e la commissione intemazionale
di controllo e di sorveglianza, non hanno potuto far nulla per calmare i combattirnenti durante la prima fase dell’armistizio, quella della cessazione del
fuoco in loco: non è stato loro possibile organizzarsi in tempo. Il loro primo “test di prova" si presenterà senza dubbio durante la seconda fase che
avrà inizio la settimana prossima. Forse allora si potrà meglio giudicare in
che modo quelle commissioni sapranno adempiere, all’occorrenza, il loro
compito di pompieri. In ogni caso, la
visita di Kissinger a Hanoi (a partire
dal 10 febbraio) dovrebbe anch’essa
contribuire a gettare acqua, non olio,
sul fuoco.
Così, per tutte queste ragioni, le settimane che verranno vedranno la lotta
cambiare un poco di forma, anche se
dei combattimenti spettacolari continueranno ad infiammare, di tanto in
tanto, certe regioni del sud. Tutto dipenderà, per buona parte dall’energia
che Saigon saprà ancora infondere a
reparti i quali, per lo più, aspirano, via
via maggiormente, alla tregua, se non
proprio alla pace ».
(Da una corrispondenza di J.-C. Pomonti da Saigon, pubblicata su « Le
Monde » del 3.2.1973).
AMILCAR CARRAL
È il segretario generale del PAIGC
(Partito Africano dell’Indipendenza
della Guinea e del Capo-Verde) assassinato il 20.1 a Conakry. Uno degli ultimi eroi africani del secondo dopoguerra, « guidava da dieci anni una
lotta armata efficace contro la presenza portoghese nella Guinea-Bissau, piccolo territorio coloniale (650.000 abitanti) fra il Senegai e la Guinea propriamente detta, territorio la cui principale risorsa è la cultura del riso. Ivi
il Cabrai era riuscito a mobilitare le
campagne, ad armare i contadini e a
fortificare i village
gi come unità di
autodifesa. Di anno
in anno riuscì gradatamente a respingere verso le città i
soldati portoghesi, circa 25.000. Oggi i
tre quarti della Guinea-Bissau, o Guinea Portoghese, sono nelle mani del
PAIGC. Il progetto di Cabrai, a partire da quest’anno, era di trasformare
una situazione di fatto in una di diritto e, proclamando l’indipendenza
del suo paese, d’ottenere per questo
un seggio all’ONU. (...)
L’importanza internazionale del movimento di liberazione della GuineaBissau, oltrepassa di gran lunga quella del paese stesso. Nel complesso delle colonie portoghesi, è un paese che
rappresenta un caso limite e il Portogallo stesso cessò quasi interamente
d’interessarsene da quando, nel secolo
scorso, prese fine la tratta dei negri.
Col censimento del 1950 furono dichiarati 99,7% d’analfabeti, decine di migliaia di lebbrosi, le industrie ridotte
a pochi centri per la preparazione del
riso e dell’olio. (...) ».
Le notizie circa l’assassinio del Cabrai sono oscure. Ma « Ahmed Sekou
Touré, presidente della Guinea grande,
ha subito dichiarato: "È la mano del
Portogallo” e gli amici di Cabrai: “Lisbona ha voluto distruggere il progetto d’indipendenza". (...)
Morto a 48 anni, Cabrai era diventato, per tutti gli africani, l’immagine del
rivoluzionario prestigioso e modesto
ad un tempo. Ingegnere agronomo, egli
conosceva ogni villaggio della GuineaBissau. Ripeteva: “Le popolazioni non
combattono per le idee, ma per una
vita migliore". Spirito aperto, sempre
mosso dalle ragioni della vita concreta, egli aveva (come è stato detto da
uno dei suoi collaboratori) “africanizzato il marxismo".
Senza Cabrai, la lotta degli africani
contro la sopravvivenza del colonialismo sarà più lunga e più dura ».
(Da un articolo nubblicato su « L’Expi'ess » del 29.1-4.2, e da altro pubblicato sul « Nouvel Observateur » in
ugual data. « L’Espresso » del 4.2 ha
pubblicato parte dell’ultimo discorso
pronunciato dal Cabrai; l’intero discorso, nobilissimo, è in via di pubblicazione sulla rivista trimestrale « Tempi moderni »).
in quanto è stata acquistata una casa
di due piani fuori terra più un seminterrato situato nel capoluogo piemontese in via Venaria 85/8. La casa è luogo di abitazione per un gruppo di famiglie residenti che pagano un contributo mensile che, dedotte le spese, va
a favore del Movimento nonviolento,
mentre il vasto locale seminterrato ò
adibito in parte a biblioteca, a rivistoteca e sala riunioni, e la restante è destinata a deposito materiali, al ciclostile e alla stampa dei manifesti.
Lo stabile, oltre che sede del Movimento nonviolento, ospita vari gruppi
giovanili nonviolenti, il comitato di
quartiere, il M.A.I. (movimento antimilitarista internazionale), il M.I.R. (movimento internazionale della riconciliazione).
Oltre ai problemi e ai programmi di
indole ideologica e organizzativa, ci sono anche quelli di ordine pratico. Ln
casa è già stata pagata per i tre quarti del suo valore ed occorre ancora
versare una somma di circa 6 milioni
per pagarla totalmente. A questo scopo è stata fondata la società « Ald> >
Capitini » (che prende appunto il nome dall’« apostolo » italiano della noivviolenza) che offre la possibilità, a dii
simpatizzi coll’iniziativa e colle finalità del Movimento, di diventare con •
proprietario deH’immobile. Comproprietà che non darebbe interessi ma
che salvaguarderebbe il potere di acquisto del denaro investito. Chi desiderasse ulteriori informazioni e ragguagli può scrivere direttamente al
M.A.I. in V. Venaria 85/8, Torino.
Come fa rilevare il periodico « Azi line Nonviolenta », il mensile del Mo\
mento nonviolento per la pace, il movimento pacifista compie «un vigoroso passo in avanti nella importantisrma area torinese, ma anche a livello
nazionale per il benefico effetto che
evidentemente tutto l’organismo trae
dalla robustezza di un suo organo: a
tale iniziativa è pertanto interessalo
l’intero movimento pacifista ».
Pierre
Il MOVIMENTO NONVIOIENTO lavora per
l'esclusione della violenza individuale e c-.i
gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e peli superamente dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa
via il Movimento persegue lo scopo della eres
zione di una comunità mondiale senza classi
che promuova il libero sviluppo di ciascuno ir
armonia col bene di tutti.
Sue fondamentali direttrici sono ;
1 ) l'opposizione integrale alla guerra ;
2 ) la lotta contro lo sfruttamento economi-co e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica
ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e
di nazionalismo, le discriminazioni legate alla
razza, alla provenienza geografica, ai sesso e
alla religione ;
3 ) lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura e la creazione di
organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del
potere, inteso come servizio comunitario ;
4) la salvaguardia dei valori di cultura e
dell'ambiente naturale, che sono il patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e
la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza contro l'uomo.
Il Movimento opera col solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e
della lesione fìsica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberti di
informazione e di critica. Gli essenziali strumenti della lotta nonviolenta sono : l'esempio,
l'educazione, la persuasione, la propaganda, la
protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il
boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
Nell’arco di un secolo
H Recenti statistiche informano che nel
1972 le Compagnie aeree civili hanno
trasportato 360 milioni di passeggeri, il cui
numero sale a 448 milioni aggiungendovi
quelli dell’Aeroflot sovietica. Nel solo Atlantico settentrionale i passeggeri sono stati 13 milioni. Il Direttore Generale della I.A.T.A.,
Knut Hammarskjold ha dichiarato che, in base alle previsioni, vi sarà nel 1973 un incremento del 13% per i passeggeri e del 20%
per le merci.
Nell’arco di tempo di circa un secolo l’uomo è passato dalle tappe giornaliere di 25-30
km. dell’epoca del cavallo, a quelle di oltre
3.000 km. in poche ore dei moderni aviogetti.
Direttore responsabile; Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Coop. Tip. Subalpina - Torre Pellice (Torino}