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Anno 128 - n. 47
4 dicembre 1992
L. 1.200
Sped. abbonamento postale
Gruppo II A/70
In caso di mancato recapito rispedire
a: casella postale - 10066 Torre Pellice
R'
V.'
.u.
delle valli valdesi
_SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
QUESTO GIORNALE
Termina
un periodo
Questo è Tultìmo numero della testata « La luce » nella sua
attuale formula di settimanale
delle Chiese evangeliche valdesi
e^ metodiste *. A partire dal prossimo 11 dicembre la testata sarà sostituita da « Riforma », settimanale delle Chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi.
Iniziata 85 anni fa, il 21 dicembre 190'J, la storia de «La
luce » è intrecciata alle varie fasi della testimonianza delle chiese evangeliche nel nostro paese.
« La luce? Né da l’occaso né da
levante ci viene la luce, disse
scorato uno scrittore contemporaneo. Che ci debba venire da
Roma, non dal Vaticano, s’intende, ma dal nuovo giornale evangelico? Neppure di là ha da venire. La luce vera, la luce della
vita che illumina ogni uomo che
non scelga di casiminare nelle
tenebre per nascondere le sue
opere che sono malvage, ci viene daU’alto, da Cristo, luce del
mondo. Il nuovo giornale farà
abbastanza se di quella luce sarà il genuino riflesso ». Cosi scriveva nel primo numero il suo
primo direttore, Enrico Rivoir.
Fin dal SUO inizio « La luce »
si è voluta caratterizzare come
un giornale protestante che fin
dal titolo dichiarava l’intenzione
primaria: testimoniare Gesù Cristo, luce del mondo. Sulle colonne di questo giornale non si sono però taciuti i problemi degli
uomini e delle donne nel divenire della storia. Si è cercato di
analizzarli alla «luce» deU’Evangelo, perché solo la Parola di
LMo dà senso e speranza alla vita degli uomini.
Certo questa è stata l’intenzione e non sempre gli articoli che
sono stati pubblicati hanno obbedito a questi propositi. Quante cadute di tono, quante volte
abbiamo scritto di noi stessi,
quanti peccati... Chi studierà la
storia di questo giornale avrà
modo di raccontano.
In questo numero di commiato desideriamo però riproporvi
due articoli de « La luce »: la
meditazione di M. (Giovanni
Miegge?) in prima pagina del
numero del 9 dicembre 1942 e
l’articolo di Vittorio Subbia sul
signiflcato della testimonianza
protestante nelle contraddizioni
della società europea uscita dalla guerra, pubblicato sul numero del 15 gennaio del 1946.
Due scritti scelti a caso tra i
tanti che testimoniano la capacità de « La luce » di interloquire con le persone che vivevano
quelle circostanze storiche.
Questo è il testimone che « La
Luce » consegna a « Riforma ».
Giorgio Gardiol
' Attualmente la testata « La luce »
è abbinata a « L'eco delle valli vaidesi ». i due settimanali hanno identici
contenuti e diffusione geografica differenziata.
Dall’11 dicembre prossimo « La luce » sarà sostituita da « Riforma »
mentre » L'eco delle valli valdesi »
verrà pubblicato come fascicolo di Riforma. Gli abbonati riceveranno sia
« Riforma » che « L'eco delle valli vaidesi ».
___________UN ARTICOLO PUBBLICATO SULLA «LUCE» DEL 15 GENNAIO 1946
Il protestantesimo e l’ora presente
Di fronte alla sfiiducia del dopoguerra si ripropongono i valori storici seguiti alla Riforma: la santità di Dio, un ruolo di coscienza critica, l’unione di personale e sociale
Se noi gettiamo uno sguardo
sull’orizzonte umano contemporaneo, si presenta alla nostra attenzione in primo piano il gruppo di potenze vincitrici: la giovane, ricca e tecnicizzata America; l’aristocratica Inghilterra,
che pur dopo aver concesso gli
onori della corte di San Giacomo all’esperimento laburista
non smentisce il suo secolare
tradizionalismo; la sempre enigmatica Russia, che ha concepito
il disegno grandioso e generoso
di una ricostruzione radicale della vita. Queste tre potenze appaiono animate da una robusta
volontà di presiedere i destini
di un mondo rinnovato e più
giusto, anche se dalle dichiarazioni ufHciali e dagli atteggiamenti pratici traspaia la preoccupante carenza di idee realmente nuove e sia lecito il sospetto
di un ritorno alla vecchia e fallita politica di potenza.
Lontane ormai dalla ribalta
scintillante della storia, stroncate dal peso spirituale e materiale della sconfitta, in ricerca inquieta, discorde e controllata
della sistemazione della propria
vita, le nazioni vinte. Alla periferia i neutrali, ignorati e conformisti. Nella sua isola di pace
la Svizzera, preziosa all’Europa
perseguitata di ieri, esempio all’Europa libera di domani. Fuori di tutte le nazioni e presente
in tutte le nazioni, elemento
ibrido con cui ciascuno che vo
glia manovrare le grandi masse
umane deve fare i conti, la sfinge vaticana.
(...) Che cosa si agita dentro
Tanima profonda dei popoli? Vi
è senza dubbio nel mondo uno
stato d’animo che vorrei chiamare di dimissione dalla vita,
un senso diffuso di diffidenza e
di scetticismo sul domani, il
senso di chi ha sperato ed è
stato duramente deluso e non
vuole illudersi una seconda volta, un senso di rinuncia, di abdicazione davanti al problema
della vita.
Siffatta stanchezza rinunciataria e sfiduciata, se non sceglie
le vie di una cinica amoralità o
ie vie di un egoistico assenteismo, può andare questuando appoggi costituiti: può adagiarsi
sul largo guanciale di movimenti o di istituti che gli offrano le
desiderate garanzie di sicurezza
e di stabilità.
Bisogna aggiungere d’altra parte che le correnti più vive dell’ora sono animate da una pensosa passione del nuovo che autorizza speranze di vasto respiro: un nuovo ancora privo di
contenuto determinato, ma che
ber cercare le vie del rinnovarnento tiene conto dei fallimenti e delle lacune del passato, pur
assimilandone le esigenze positive.
Ora, di fronte al travaglio riffuso del mondo contemporaneo,
ha una parola da dire e una fun
zione da compiere il nostro Protestantesimo?
A tutta prima il Protestantesimo appare come assente dalla
scena contemporanea: in quanto
è soprattutto spirito, pensiero,
atteggiamento, e non una istituzione corposa e imponente. Ma
appunto per questo il Protestantesimo può trovare forse la via
del cuore dell’uomo moderno:
in quanto è uno spirito, libero
e disinteressato, e non ha una
istituzione che vada difendendo
i propri privilegi costituiti.
Riteniamo quindi che il Protestantesimo contemporaneo
non possa e non debba abdicare
in nessun modo a quella che è
la sua vocazione storica e abbia
un grande e non sostituibile
compito da adempiere nella nostra società disorientata e caotica.
Vediamo l’esplicazione di questo compito anzitutto nel senso
dell’umiliazione. Non attribuire
farisaicamente la colpa agli altri, ma promuovere nella società una severa coscienza critica
dei motivi profondi che hanno
condotto al fallimento: è questa
l’unica forza capace di rinnovamento. A Norimberga non dovrebbero essere presenti soltanto i responsabili diretti e criminali della catastrofe: a Norimberga dovrebbe forse essere processata tutta la nostra generazione.
La base della ricostruzione
Penitenza
VICENDE UMANE E GIUDIZIO DI DIO
«Umiliatevi sotto la potente mano di Dio» (I
Pietro 5:6).
Quando, nel 1692, i pastori valdesi reduci dalI esilio si riunirono in numero di nove tra le quattro mura malandate del Tempio dei Coppieri, per
rimettere ordine nella Chiesa tornata dalla dispersione, la loro prima decisione fu di proclamare
un giorno di digiuno e di penitenza.
Questa decisione del primo Sinodo dopo il
Rimpatrio può sembrare ingiustificata e persino
inumana. La popolazione valdese usciva da una
tempesta di inaudita violenza, che per poco non
aveva lasciato il deserto nelle Valli. Intere famiglie erano state annientate, non ve n'era nessuna
senza un lutto. Tutti i templi erano distrutti, salvo due: quello di Frali e quello in cui sedeva il
Smodo. Tutti i villaggi dal più al meno erano stati
devastati. Responsabilità storiche prossime, di cut
SI dovesse fare penitenza, non ce n'erano. La tempesta era stata un contraccolpo di avvenimenti
esteri: la revoca dell'Editto di Nantes. I Valdesi,
che ne ave\>ano subito la violenza, non erano col
pe.voU, davanti alla storia che di avere tentato una
disperata difesa della loro fede e dei loro focolari.
E la storia doveva definire quegli anni: «gli anni
del martirio e della gloria ». Eppure, il loro primo
atto fu di proclamare un giorno di digiuno e di
penitenza.
Nelle ore gravi della nostra esistenza privata
o pubblica vi sono sempre due atteggiamenti possibili verso Dio: mormorare — o umiliarci.
Il primo è l’atteggiamento dell'incredulità. Il
paganesimo eterno che si annida nel nostro « uomo
vecchio » ci sussurra: « Perché Dio permette questo? Perché se ne sta a guardare? Forse Dio non
esiste, perché se esistesse farebbe qualche cosa! ».
Questi pensieri possono salire nel cuore di qualsiasi persona, anche credente, in un momento di
oscuramento dovuto al dolore. Lo spirito può essere prorito, ma la carne è debole. E' possibile a
penose, di sfiorare come
iriobbe lorlo della bestemmia. Sappiamo comprendere e compatire. Guardiamoci dallo scagliare
la pietra: anche contro noi stessi. Dio è misericordtoso egli è « più grande del nostro cuore »
(I Giov. 3: 20). Ai dubbi tormentosi di Giobbe, Dio
risponde svelando la sua faccia. Non senza asprezza: ma la svela. Ma sia ben chiaro, che si può
comprendere, cornpatire, invocare la pietosa condiscendenza di Dio: non giustificare o approvare.
/,! atteggiamento cristiano, nelle ore severe
dell esisteriza, è quello dei nove pastori del Sinodo
dei Coppieri: bandire il digiuno e la penitenza.
Anche se la nostra coscienza non dovesse accusarci di nulla: anche se la storia potesse pronunciare
su di noi un giudizio di completa assoluzione: l'umiliazione è il solo atteggiamento cristiano. Noi
non siarno mai immuni da colpe davanti a Dio.
Non vi à nulla di puro agli occhi suoi. Le nostre
azioni, le nostre intenzioni, ì nostri sentimenti, le
nostre aspirazioni, i nostri ideali sono una mescolanza indistricabile di bene e di male, di calcola
e di genero.sità, di obbedienza e di insubordinazione. Chi è in grado di valutare la gravità di
questa contaminazione? La nostra coscienza è parte in causa, e soffre di penose anomalie: talora
eccessivamente compiacente e pronta a idealizzare, dopo avere filtrato il moscerino inghiotte il
cammello (Matt. 23: 24).
Non siamo in grado di sostituirci al giudizio di
Dio: mai. Ma lasciando a lui il giudizio, impariamo a considerare le situazioni oggettive come espressioni del suo giudizio, e le ore severe come
ore di umiliazione e di penitenza. Soltanto così
ne ricaveremo il vantaggio spirituale, per il quale
ci sono date.
M.
non può essere altro che la coscienza di peccato del popolo;
la coscienza del comune peccato rappresenta l’unica speranza
e l’unica possibilità di un comune rinnovamento. La coscienza
di peccato è la porta stretta per
cui si entra nella vita.
In secondo luogo: il senso della santità di Dio. Il Protestantesimo è sempre stato animato
dalla lucida consapevolezza che
fra Dio e l’uomo non sono ammessi sconfinamenti e confusioni e che Dio non cede in deposito e in amministrazione agli
uomini ciò che gli appartiene,
la sua grazia e la sua misericordia, la sua autorità e la sua gloria. La fede nell’Iddio « santo »,
nel Dio che è « a parte », e che
non può essere confuso con l’uomo e con nulla di umano, infonde la coscienza che ogni sistema umano, ogni realizzazione
sociale, sono spogli di assoluto
e di sacro, sono inchiodati alla
terra, sono continuamente messi in forse e resi problematici
e inquietanti da quell’iddio libero e sovrano che non vuol cedere la sua gloria ad un’altro.
Questa visione della vita pregna
di un anelito immenso di superamento, di un’ansia di attesa
che trasforma l’aspra e difficile
disciplina dell’umiliazione in speranza insonne e in fiducia infinita; questo senso perenne di
peccato, d’insoddisfazione, di autocritica, di scrupolo, che trova
la sua pace soltanto nell’aggrapparsi a qualche cosa che non ha
dimensioni in questo mondo,
possono costituire il secondo
grande servizio reso dal Protestantesimo alla nostra civiltà,
bisognosa che le sia additato un
fine e bisognosa che le venga evitata la tentazione di insabbiare quello che è il fine ultimo della vita in un fine penultimo, che
assorba in sé ciò che è e deve
rimanere oltre, al di là (...).
In terzo luogo: l’unione del
personale e del sociale. Dal giorno lontano del 1520, in cui Lutero mandava a Leone X il suo
trattatello su « La libertà del
Cristiano », il Protestantesimo è
sempre stato il tipico rappresentante del personalismo, nella
simultanea coscienza che « un
cristiano è un libero signore sopra ogni cosa e non sottoposto
a nessuno », e che, d’altra parte,
« un cristiano è un servo volenteroso in ogni cosa e sottoposto
ad ognuno ». Questa nozione di
persona, che è al tempo stesso
libera in Dio e vincolata dall’amore del prossimo, può essere
un tempestivo strumento per la
conciliazione tra il personale e
il sociale di cui ha urgente bisogno la nostra società, dibattuta fra gli opposti poli del liberalismo individualista e del collettivismo livellatore.
Questi tre punti possono qualificare la modernità e la necessità del Protestantesimo. Porre
con decisa e concreta chiarezza,
agli uomini e agli istituti, queste
esigenze ispirate dall’Evangelo è
il comandamento della nostra
vocazione.
Che il mondo ascolti o non ascolti. Come sapevano gli uomini biblici.
Vittorio Subilla
2
2 speciale
4 dicembre 1992
UNA STORIA DI 112 ANNI
L’attività deila
Tipografia Subalpina
I diversi proprietari e i rapporti con la Tavola valdese - La Claudiana e la stampa locale - Gli anni delia guerra e la Cooperativa
Il 25 aprile 1980 «La luce» e «L’Eco delle valli valdesi»
uscivano con una pagina intera dedicata alla Tipografia subalpina di Torre Pellice. Un’ampia carrellata di Osvaldo Coi'sson
(che riprendeva degli appunti di Augusto Armand-Hugon) ripercorreva le tappe del lavoro dell’azienda, nel frattempo trasformata in cooperativa. Enzo Jouve, vera e propria « colonna »
dello stabilmento, rievocava nella stessa pagina l’epoca della
Resistenza e della stampa antifascista. Ripubblichiamo quell’articolo e quello di Coisson, forzatamente ridotto a cura della redazione.
(...) Sembra che il primo opuscolo, di 22 pagine, uscito dai
suoi torchi nel 1880 sia stato;
Charbonnier-Peyrot Carolina: Susanne Tourn, elle a faìt ce qui
était en son pouvoir. Segue, l’anno dopo, un volumetto di 92 pagine di W. Melile: Un Evangelista in Italia, ricordi di Francesco Rostagno.
Una pubblicazione più impegnativa la troviamo nel 1884 con:
Nelle Alpi Cozie, gite e ricordi di
un bisnonno, di Amedeo Bert, volume di 342 pagine. Nel 1887 la
Société d’Histoire Vaudoise affida alla Tipografia Alpina la
stampa del N. 3 del suo Bulletin,
i cui due primi numeri erano
stati editi a Pinerolo dalla Chiantore e Mascarelli presso cui pure si stampava YEcho des Vallées. Anche la stampa di questo
ultirno verrà affidata più tardi all'Alpina. Un comunicato sul N. 52
del 27/12/1889 del Témoin-Echo
des Vallées Vaudoises dice: « ...A
partir du premier numero de
janvier le Témoin s’imprimer a à
La Tour. Son Directeur et son
Administrateur y résidant, c’est
beaucoup plus commode et
moins dispendieux» (l’Eco sarà
pubblicato poi ininterrottamente dalla Tip. Alpina fino ad oggi,
salvo per il periodo dal 1899 'al
Anche la Tavola Valdese si serve, fin dai primi anni, di questa
Tipografia per le sue pubblicazioni, che in precedenza erano affidate alla Chiantore e Mascarelli
di Pinerolo; così dal 1886 all’Alpina viene commissionata la
stampa dei verbali del Sinodo,
mentre i Rapports de la Table
au Synode continuano ad essere
stampati a Pinerolo fino al 1889,
anno in cui anche questi passano all’Alpina (in francese fino al
1915 e in seguito in italiano). (...).
Sul finire del 1905 J. P. Malan
cede la Tipografia Alpina a due
giovani: Alberto Albarin e Augusto Coisson; (...) essi fanno pubblicità alla loro tipografia:
«Presso la Tipografia Alpina di
Albarin & Coisson, Torre Pellice,
trovansi pronti tutti gli stampati
occorrenti alle amministrazioni
comunali, opere pie, esattorie,
preture e tutti i pubblici uffici E’ in vendita la Storia dei Valdesi di Scipione Pentolo - L’allevamento del bestiame Bovino, ovino e suino del Dr. Giovanni
Giungiaro e diverse altre pubblicazioni della ditta stessa » (...).
Qui si continuano a stampare
i periodici locali: l’Echo des Vallées e l’Avvisatore Alpino. Questi periodici, all’inizio del secolo,
passano dal piccolo formato in
4“ che avevano nell’SOO al formato più grande corrispondente
a quello attuale.
La Tipografia, oltre al solito
lavoro commerciale, provvede alla stampa di testi di storia valdese quali: la Historia delle grandi
e crudeli persecuzioni... di Scipione Lentolo (a cura di T. Gay,
1906), Les Six Poèmes Vaudois di
A. A. Pons (1910); Histoire des
Vaudois di T. Gay (1912), Les Légendes des Vallées Vaudoises di
J. Jalla (1911) (una 2* edizione
apparirà nel 1926 sempre alla
stessa Tipografia), e il 1” voi. della monumentale Storia della Riforma in Piemonte di J. Jalla
(1914) ed. Claudiana.
Ma oltre alle edizioni per la
Claudiana, la tipografia entra in
rapporto con altre editrici italiane ed estere e nel 1914 stampa per la Fischbacker Paris e
Jeheber Genève: Noël à travers
les Ages di Georges Appia; nel
1916, per la Jeheber di Ginevra:
El Dorado di D. Alcock.
L’editore Bocca affida, nel 1915,
Mario Lasagna ha composto il giornale fino a pochi anni fa.
all’Alpina la stampa della 2“ edizione della famosa opera di C.
Lombroso e G. Ferrerò: La Donna Delinquente.
Dai suoi torchi esce anche, nel
1915, il grosso volume di oltre
700 pagine degli Atti del Congresso Internazionale Femminile, Roma 16-23 maggio 1914.
La Soc. d’Histoire Vaudoise
inizia, col 1904 la serie dei suoi
opuscoli divulgativi in occasione
del XVII febbraio, serie francese
che durerà fino al 1935 (mentre
quella in italiano che dura tuttora ha avuto inizio col 1922).
Sono stampati anche dei Nuovo Testamento, dei libri per le
scuole quartierali, catechismi,
ecc. (...).
Alla fine del 1919 Coisson cede
la Tipografia al sig. Umberto Camillo Rastellini, che rinnova parte del macchinario. La gestione
Rastellini dura due soli anni. In
quegli anni la carta intestata reca; Tipografia Alpina di Umberto Camillo Rastellini. Ne è sempre direttore il sig. Aime che
continuerà a dirigerla fino al
1935. Gli succederà Pagliai fino al
1949.
Nel corso del 1921 Rastellini
cede la Tipografia che diventa:
Tipografia Alpina Società in Accomandita, trasformata poi, in
data 1° maggio 1935, rogito notaio G. Giordano, in Società Anonima.
La Claudiana che nel 1925 trasferisce la sua sede a Torre Pellice affida alla Tipografia la stampa di quasi tutte le sue edizioni.
Non sembra che il ventennio
ni mi viene consegnato da Giorgio Agosti, con l’incarico di portarlo agli amici del Partito d’Azione di Firenze, per far sì che
la prima distribuzione abbia inizio a partire dalla Toscana, per
disorientare le ricerche della polizia fascista.
Dopo la liberazione vediamo la
Tipografia impegnata nella stampa di opuscoli e periodici sorti
nell’euforia della libertà riconquistata. Oltre all’Eco, ricordiamo Il Pioniere, uscito dalla clandestinità, l’Azione, la Gardétta,
poi l’Avvisatore Alpino risuscitato dopo un ventennio (ma che,
come i precedenti, tranne l’Eco,
avrà vita effimera). Ma per conto della Claudiana, anche opere
di alto valore scientifico, come il
Lutero di Miegge nel 1946, poi,
più tardi, nel 1957, il Dizionario
Biblico. (...),
E’ interessante seguire i cambiamenti di ragione sociale avvenuti in questi ultimi cinquant’anni come si possono leggere
in calce alle pubblicazioni; fino
al 1939 è Tipografia Alpina S, A.,
dal 1940 al 1948 è: Arti Grafiche
« L’Alpina », nel 1949 Tipografia
.Moina S.p.A, e poi Tipografia Subalpina S.p.A. fino al giugno 1971.
Nel giugno ’71 la S.p.A. va in
liquidazione. Il macchinario e le
'attrezzature sono ceduti ai suoi
dipendenti costituiti in cooperativa col nome di: Cooperativa
Tipografica Subalpina che è quella attualmente in attività e che
ci auguriamo raggiunga il secondo centenario.
Osvaldo Coisson
GLI ANNI DELLA RESISTENZA
Jouve, tipografo
clandestino
fascista, almeno all’inizio, infierisca troppo sulla Tipografia, salvo la soppressione del giornale
liberale l’Alpino, ma L’Echo e diversi opuscoli e libri continuano
ad essere pubblicati in francese.
La repressione del francese si fa
più dura nel 1939, anno in cui
VEcho viene soppresso, potrà riprendere le pubblicazioni solo
alla fine deH’anno successivo, ma
in italiano.
Il locale settimanale fascista.
La Voce del Pellice, si pubblica
presso la Tipografia Commerciale e non all’Alpina, la quale, in
quel periodo stampa, fra l’altro,
opere di Lombardini, Lo Bue,
Miegge, cioè di quegli antifascisti
che saranno gli ispiratori o gli
esponenti della Resistenza nelle
nostre Valli.
Nel periodo della Resistenza la
Tipografia ha un ruolo importante (...). Da qui escono i volantini e i proclami clandestini ed i
primi quaderni di Giustizia e Libertà. Il primo gruppo di un centinaio di copie di questi quader
Enzo Jouve e Italo Stallé al lavoro in tipografia nel 1944.
Mi è stato chiesto di raccontare, molto brevemente, il periodo
della guerra di Liberazione passato a Torre Pellice, nella Tipografia Arti Grafiche l’Alpina, ora
Cooperativa Tipografica Subalpina di cui sono il presidente, da
dove è uscita forse la maggior
parte della stampa clandestina
antifascista e antinazista di tutta l’Alta Italia.
Nell’autimno del 1942, quando
di caduta del fascismo non si
parlava ancora che vagamente,
l’allora proprietario Pier Luigi
Pagliai, che mi aveva avuto con
sé fin dai primi anni della mia
carriera di tipografo, mi chiamò
in ufficio e mi espose quanto
aveva intenzione di fare per aiutare la causa antifascista e sentire se ero disposto a collaborare con lui. In un primo momento rifiutai pensando al grave rischio cui andavamo incontro io
e la mia famiglia. Ma in seguito
accettai e per circa tre anni, cioè
fino al giorno del mio arresto da
parte delle SS naziste, l’il febbraio 1945, si può dire che ogni
settimana abbiamo composto e
stampato giornali, volantini ed
opuscoli, poi inviati clandestinamente nei grandi centri di smistamento, a Torino e Milano.
Di notte
Dopo l’8 settembre 1943 il lavoro della stampa clandestina aumentò, ma aumentarono anche i
rischi poiché purtroppo anche a
Torre Pellice vi erano spie, e
nella caserma antistante la tipografia stazionavano quasi ininterrottamente Brigate Nere e SS
naziste, quindi per noi il rischio
era grande e continuo.
Ci organizzammo, e quando arrivava un opuscolo oppure un
volantino da stampare, con il sig.
Pagliai passavamo la notte chiusi
in una stanza (l’attuale ufficio
della tipografia) a comporre a
mano e impaginare (la maggior
parte della stampa clandestina
era composta a mano con un
carattere « elzeviro » che in quegli anni quasi tutte le tipografie possedevano, in modo da essere meno identificabile). Il problema più grosso era la stampa
poiché le macchine non si potevano spostare ed il rumore di
notte si sarebbe sentito più facilmente. Iniziav.^mo perciò a
stampare nel tardo pomeriggio
e si continuava fin verso le 22.
Nei periodi di coprifuoco dormivamo in tipografia.
Tutto il materiale veniva poi
nascosto, sollevando alcune assi
dell’attuale ufficio, fra il pavimento e il soffitto di una cantina sottostante.
Durante il periodo della guerra Partigiana dalla nostra tipografia uscirono a migliaia gli
stampati clandestini, dei quali i
più importanti sono la prima
edizione piemontese di « Italia
Libera » e i primi numeri de
« Il Partigiano alpino » ; « Voce
dei cainpi»; «Voci d’officina»;
« La Baita » e « La Forgia » delle Brigate Garibaldine ; i « Nuovi Quaderni di Giustizia e Libertà»; il giornale della Divisione
G.L. « Il Pioniere » ; opuscoli va^
ri di propaganda e volantini,
specialmente del Partito d’Azicne e del Movimento Federalista
Europeo; Carte di identità; lasciapassare tedeschi (naturalmente falsi!).
Undici perquisizioni
Per la distribuzione nelle Valli erano incaricate diverse persone ed in special modo le staffette ; per il grosso che andava a
Torino si erano escogitati dei
bidoni a doppio scompartimento della Stamperia Mazzonis ;
ima volta sistemati gli stampati si chiudeva il primo scomparto e quindi si riempiva il secondo di acqua colorata che in
caso di verifica (come capitò)
sembrava colore per la stampa
della stoffa per lo stabilimento
di Torino, sempre della Mazzonis. I bidoni venivano caricati
sui camion che giornalmente facevano la spola fra Torre e Torino e questo fu possibile grazie alla collaborazione e organizzazione di Enrico Frache e dei
due austisti Emanuele Malano e
Amedeo Travers che purtroppo
non sono più con noi, stroncati
da gravi malattie. Tutto questo
materiale clandestino che usciva dalla tipografia era destinato
alle formazioni partigiane, agli
operai delle officine e delle fabbriche, alle dorme (tramite le
organizzazioni « Giustizia e Libertà » e « Gruppi di difesa della donna »), agli studenti e professori, ecc. Si raggiungevano
così, tutte le classi sociali e le
varie categorie di persone.
Dal settembre ’43 al febbraio
’45 la tipografia ha subito 11
perquisizioni da parte delle SS
naziste, ma per fortuna non sono mai riusciti a trovare nulla
di compromettente.
Ogni perquisizione era per me
un dramma poiché, essendo io il
più vecchio dei dipendenti venivo sempre prelevato e dovevo
accompagnare i tedeschi nella
perquisizione con tanto di mitra alle spalle.
L’arresto
Quando venni arrestato, dietro delazione, l’il febbraio, ’45,
i tedeschi erano in possesso di
buona parte del materiale che
era uscito dalla nostra tipografia e che mi fu mostrato durante l’interrogatorio; quindi potete immaginare cosa fui costretto a subire, ma per fortxma arrivò il 27 aprile e le porte delle
carceri naziste di Torino si
aprirono anche per me.
Degli operai che in quegli anni lavorarono nella tipografia
« ribelle », siamo rimasti in due :
Sergio Giacon che allora era un
ragazzino ed io.
Enzo
l’eco
delle valli valdesi
Via Pio V, 15 - 10125 Torino
Tel. 011/655278 - 0121/932166
Dir. respons. Franco Giampiccoli.
Aut. Trib. Pinerolo n. 175.
EDITORE: A.I.P, - via Pio V, 15 10125 Torino - ccp 20936100 - tei.
011/655278.
Stampa: Coop. Tipografica Subalpina - Torre Pellice.
FONDO DI SOLIDARIETÀ’: ccp n.
11234101 intestato a «La luce»
via Pio V, 15 - 10125 Torino.
3
4 dicembre 1992
Speciale 3
LA COOPERATIVA TIPOGRAFICA SUBALPINA
Al servizio del territorio
Periodici, libri, manifesti: i settori più vari della comunità civile si sono rivolti alla tipografia per esprimere la propria voce
La rievocazione di Osvaldo
Co'isson, pubblicata nel 1980, si
conclude in realtà con il 1971, anno in cui la tipografia modifica
la propria ragione sociale e diventa cooperativa.
Sono dimque vent’anni abbondanti quelli che sèparano quel
momento dall’oggi. Vent’anni di
intenso lavoro, che ha avuto come committenti la Chiesa valdese e numerose altre significative
realtà presenti sul territorio.
Oltre alla pubblicazione dell’Eco delle valli e della Luce, la
Subalpina ha continuato, fino a
pochi anni fa, a stampare le relazioni della Tavola al Sinodo, e i
successivi atti sinodali, così come
fino a poco tempo fa curava la
stampa delle numerose circolari delle chiese locali o del circuito (come La lucerna).
A queste pubblicazioni « canoniche » se ne aggiungevano altre,
legate alla Società di studi valdesi; il Bollettino e gli opuscoli di
argomento storico che escono in
occasione del XVII febbraio.
Ma non bisogna dimenticare
materiali dal consumo meno immediato, che però sono veri e
propri strumenti di lavoro quotidiano per pastori e responsabili
di chiese: pensiamo per esempio
alla stampa, che prosegue a tutt’oggi, delle Schede liturgiche redatte periodicamente dall’apposita commissione, e che vengono inviate, a cura della Tavola
valdese, a tutte le chiese.
E ricordiamo anche (in prospettiva, giacché anche questo è
un lavoro che continuerà) alcuni « supplementi » alle nostre testate settimanali: la Lettera circolare della Federazione femminile evangelica valdese e metodista, che periodicamente funge
da strumento di collegamento
delle varie Unioni femminili e
propone meditazioni e preghiere; e ancora il supplemento periodico che rende conto delle
sottoscrizioni in favore delle nostre opere alle Valli e ospita riflessioni sul senso e sull’attualità
del nostro «fare diaconia».
A parte viene anche redatto il
bollettino della Missione evangelica contro la lebbra; dal 1976
la Subalpina ha stampato le relazioni annue e da qualche anno
a questa parte le circolari della
TEV; per molto tempo è nato
da queste linotype anche Vita e
luce, organo della Missione evangelica zigana.
Non va dimenticata un’altra
senso che l’ondata di partecipazione successiva ai movimenti di
contestazione e di politica si organizzava in una misura decisamente rilevante intorno a bollettini, giornali alternativi, fogli
sindacali, piccole riviste... in un
crescendo di mobilitazione che
porterà anche, nel giro di pochi
anni, alla nascita e alla diffusione delle emittenti locali.
Sono anni in cui i gruppi che
si aggregano intorno a iniziative
magari settoriali e locali, ritenendo di non poter perdere di
vista il fatto che il loro impegno
sia parte di un « tutto 5> più
grande, esprimono sulla carta
stampata le loro idee e il loro
modo di interpretare i fatti. A
volte si tratta di fare decisamente opera di controinformazione militante. Appartengono
dunque a questo ambito numerose pubblicazioni che hanno
avuto vita più o meno lunga, dì
cui vale la pena ricordare Chieri
operaia, per il fatto che era
espressione di partecipazione
politica di una cittadina fuori
del Pinerolese, anche se a pochi
chilometri da Torino.
C’erano giornali legati in modo
più stretto ai partiti della sinistra, e c’è da ricordare quello,
che si stampa ancora oggi, della
comunità cattolica di San Lazzaro (Pinerolo), Orizzonti aperti,
con il suo impegno sociale.
attività della Cooperativa, che
stampa da diversi anni le eleganti raccolte di poesia dell’editore torinese L’Arzanà e la specialistica Rivista itaiiana di medicina orientale.
Ma gli anni che stiamo prendendo in considerazione sono
anche anni particolari; soprattutto gli anni’ 70-sono contrassegnati, come molti ricorderanno,
da tutto im fiorire di iniziative
di informazione che per comodità chiamiamo « di base » : nel
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Un periodico attento alla realtà del suo territorio fu II giornale di Pinerolo e Valli, che proponeva interventi e riflessioni politiche della sinistra « non istituzionale » : erano aH’ordine del
giorno soprattutto i temi dell’occupazione, della vivibilità dei
quartieri, e non mancava una
certa attenzione a quel che facevano le chiese del Pinerolese.
Un altro legame della Subalpina, tuttora stretto e produttivo è
quello con gli enti pubblici del
territorio, che pila cooperativa si
rivolgono per manifesti, modulari, avvisi alla popolazione, bollettini.
Insomma, un’azienda, una cooperativa profondamente radicata
nel territorio : tanti sono quelli
che vi hanno lavorato, magari
non a lungo, ma conservando bei
ricordi.
Una collaborazione con i nostri settimanali che è stata lunga; adesso non viene a cessare
del tutto, anche se il nuovo giornale sarà realizzato in un altro
stabilimento. Tanti sono i lavori che le nostre chiese devono
ancora affidare a questi tipografi, che con gli anni sono diventati anche vecchi amici.
Alberto Corsani
Da sinistra e dall’alto in basso:
Predino Borno, Lino Rostagno,
Sergio Giacon, Pietro Granerò,
Pierluigi Bertin, Paolo Griglio.
Gratitudine
Questo è l’ultimo numero
del nostro settimanale che
viene stampato nella tipografia di Torre Pellice. Le nuove
tecnologie che verranno impiegate per Riforma e L’Eco
delle valli valdesi ci hanno
fatto scegliere un’altra tipografia, fuori delle Valli. Ripubblicando alcuni articoli di
dodici anni fa vogliamo ricordare con gratitudine il lavoro
di coloro che hanno reso possibile per quasi un secolo l’uscita di questo settimanale.
La Tipografia non è mai
stata solo un’impresa che serviva a produrre carta stampata. E’ stata una scuola di
libertà. Credo che questo giudizio possa essere condiviso
da tutti i redattori che si sono avvicendati in tipografia
per curare la stampa del nostro giornale.
Stampare, comunicare un
messaggio, un’idea, un fatto,
non è mai stato per la « nostra » tipografia solo un atto
di tipo commerciale, la vendita di una prestazione professionale in cambio di un corrispettivo in denaro. E’ stata
la condivisione di un’impresa
giornalistica, che si manifestava in molti modi; da quello
della raccolta di abbonamenti, alla critica costruttiva, alla
collaborazione (ed in queste
pagine pubblichiamo appunto
uno scritto di Enzo Jouve, tipografo della Subalpina).
Scuola di libertà la tipografia lo è stata nei periodi dif
ficili delle limitazioni della libertà di stampa trasformandosi in luogo dove clandestinamente venivano stampati
gli opuscoli di Giustizia e Libertà che tanta parte hanno
avuto nella costruzione della
nuova Italia. E più recentemente, quando sono stati
stampati gli opuscoli per promuovere l’obiezione di coscienza al servizio militare
(nel ’49!) o di critica politica
(nel ’68). Per questi fatti i
tipografi sono stati processati
(e assolti!).
« Va. parte del nostro mestiere — diceva Enzo Jouve,
poco prima di morire — permettere agli altri di dire
quello che pensano. Le leggi
dicono che noi siamo responsabili insieme a coloro che
scrivono delle cose che vengono stampate in tipografia.
Noi però non facciamo censure preventive. Difendiamo il
diritto di ciascuno di dire
quello che pensa. Facciamo
un mestiere di libertà. Da
noi sono venuti tutti: valdesi
e cattolici, liberali e comunisti, ricchi e poveri, benpensanti e zingari. Abbiamo pubblicato tutti ». Il nostro giornale lascia questa « scuola »,
(che però continua), sperando di poter proseguire ad applicare i suoi insegnamenti.
Non .senza aver detto un grazie a coloro che hanno lavorato con noi in questi ultimi
anni.
Giorgio Gardiol
4
4 speciale
4 dicembre 1992
RIFORMA.
LE VOSTRE
OPINIONI
^STeRDÌ 21 AGO.ro 1992
CBS, NELL'EX IUGOSLAVIA
CRISI
_ *,.Vi
, Sud Africa: ' ,J
ntonitor3ff.eìo
NOTIZIA.
RIFORMA è il settimanale delle chiese evangeliche battiate,
metodiste e valdesi. E' il Vostro giornale, nato dall'impegno e
dal contributo di tutti Voi.
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