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ECO
DELLE muí VALDESI
Past. TACCIA Alberto
10060 ANQROGNA
Settimanale
della Chiesa Valdese
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Anno 98 - N. 33-34
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TORRE PELLICE - 30 Agosto 1968
Ammin. Qaudiana Torre Pellice - C.CJ*. 2-17557
“Per edificare,
non per distruggere,,
(( ... sifuiulo rautorità che il Signore mi ha data per edificare, e
non per distruggere » (2 Corinzi 13,
IO): con queste parole Tapostolo
Paolo descrive il suo modo di procedere nei confronti della Chiesa di
Corinto, che non stava rispondendo
in modo adeguato alla predicazione
udita e airinsegnarneiito ricevuto.
In presenza di una comunità che non
si conduce in modo degno della .sua
sua vocazione, l’Apostolo si propone
di edificare, di costruire, non di distruggere.
In realtà, l’ajiostolo, come il profeta, ha anche Fautorità di distruggere. Tutti ricordano la parola rivolta da Dio a Geremia: « Vedi, io
ti costituiscono oggi sulle nazioni e
sopra i regni, per svellere, per demolire, per abbattere, per distruggere, per edificare e per piantare »
(Ger. 1,10). K lo stesso apostolo Paolo dichiara: if 7,e armi della nostra
guerra non sono carnali, rna potenti
nel cospetto di Dio a distruggere le
fortezze; poiché distruggiamo i ragionamenti ed ogni altezza che si
eleva contro alla conoscenza di Dio »
(2 Corinzi lo, 4-5).
Ciò nondimeno, Fautorità alla
quale Paolo si richiama è Fautorità
per edificare, e non per distruggere,
così come Geremia non è costituito
profeta solo per svellere e demolire,
ma anche, e nello stesso tempo, per
piantare e edificare. Questo vuol dire che la demolizióne' coftie Pedificazione sono effetti simultanei della
Parola di Dio. Ma vuol anche dire
che una parola che distrugga solo
non è parola di Dio: questa non distrugge mai senza anche creare. Credo in Dio, Padre onnipotente. Creatore, non distruttore.
Una riprova del fatto che la Parola di Dio non distrugge senza creare è offerta, nel corso della storia
della Chiesa, dalla Riforma del XVI
secolo. La Riforma ha distrutto molti i( ragionamenti » e molte « altezze » che impedivano la conoscenza
del Dio delFEvangelo; ha infranto
tradizioni secolari; ha smantellato
istituzioni e strutture ecclesiastiche
ben consolidate; ha rovesciato un
intero sistema religioso, come Gesù
rovesciò i tavoli dei cambiamonete nel d’empio. Ma nello stesso tem})o la Riforma ha edificato, ha co.■,truito. ha creato. Anzi, è edificando, costruendo, creando che essa ha
via via scartato e demolito tutto ciò
che era incompatibile con FEvangelo. Il risultato non fu un cumulo di
macerie ecclesiastiche, ma una Chiesa nuova e viva.
E oggi? L’ondata contestataria
che, dal di dentro, investe la Chieda — anche la nostra — nella sua
attuale lonfigurazione, è certo giu-lilicata. anche se le sue motivazioni teologiche non sono sempre
chiare c convincenti. Chiara e condivisa da molti è l’insoddisfazione
per la Chiesa cosi com'è. E’ giusto
denunciare l’incapacità organica,
si direbbe, della Chiesa attuale di
essere sale della terra e lievito della società, così come è non solo legittimo ma necessario chiedersi se
la. struttura parrocchiale, già di
|M r '(■ vacillante, il culto e la sua
liturgia, la stessa predicazione nella sue forme e nei suoi contenuti,
e varie altre cose, non necessitino
una revisione radicale. Quel che però è indispensabile è che tutto questo avvenga per edificare, non per
distruggere; che anche le contestazioni più impietose e « globali )>,
come oggi si dice, tendano a costuire più che a demolire e, comunque,
non si limitino a demolire, senza
avviare, parallelamente una qualche
opera di ricostruzione, o senza avanzare qualche proposta alternativa.
Queste semplici, quasi banali considerazioni, suggerite dall’atteggiamento dall’apostolo Paolo nei confronti della Chiesa di Corinto, non
intendono in alcun modo frenare o
paralizzare il processo contestatario, ma solo volgerlo in chiave positiva e assegnargli una finalità costruttiva.
La nostra fede è radicala nella Parola di Dio, che è Parola essenzialmente creatrice. Essa reca vita dove
c’è morte, luce dove c’è tenebre, verità dove c’è errore, consolazione
dove c’è disperazione. Una parola
che spenga il lucignolo fumante —
per molti versi le nostre chiese e noi
tutti lo siamo — senza accendere
contení [)oraneaniente una nuova luce, non è parola di Dio, non ha l’autorità del Signore.
E siccome viviamo in mezzo a una
notevole confusione e comunque
non basta avere le idee chiare, bisogna anche che siano giuste; siccome
nessuno, a quanto pare, sa o può ancora jironunciare una parola veramente orientatrice per la Chiesa,
una parola dotata di quella autenticità evangelica che ogni parola di
Dio possiede in maniera inconfondibile, cosi da suscitare l’Amen della
fede; siccome nessuno sa o dice ancora come potrebbe o dovrebbe configurarsi una Chiesa evangelica nuova e viva in questo scorcio di XX secolo, non rimane, a nostro avviso,
altra via che quella della libera sperimentazione, accompagnata da un
continuo sforzo di riflessione teologica e sorretta da una costante preghiera. Si provi, dunque, si tenti,
si sperimenti: ma appunto si edifichi, si costruisca, secondo l’autorità
che il Signore ha data per edificare,
non per distruggere. Paolo Ricca
Sinodo 1968: la predicazione di Tullio Vinay
L'agapé di Dio per ia città assediata
m
Questo è un discorso che riguarda
tutta la città. Discorso politico, dunque, come lo era stato assai spesso
quello dei profeti, fi messa in questione la vita della città tutta, dei suoi
abitanti — credente'h no — e di quanto con la città è c.t»anesso. Le trincee
saranno attorno ad ^sa e la casa di
ognuno sarà diroccala. La rovina che
viene non coglie so-o isingoli refrattari all’annunzio, ma la città nell’insieme.
È evidente che anche in questa dimensione, il discorsa coinvolge la presa di posizione di o^ùno : chiama a
scelte precise ogni* individuo che
ascolta.
Ognuno con la sordità all’appello porta la responsabilità delia rovina comune, come ognuno ascoltandolo partecipa alla s ivezza di tutu, anche se sarà poi travolto dalia decisione
della maggioranza, o di quella minoranza che ne prentie-il posto. I pochi
che, se non ora, dopo da resurrezione
avranno accolto ii riBssaggio e si saranno schierati con esso, patiranno
ugualmente della sorte della citta. Qui
Cristo già ne solTre.l|anto che piange.
Poi sarà lui la pni^ vittima del rifiuto opposto da Gefcalemme al suo
annunzio. il'
Credenti e non ere
tutti alla stessa sity
salvano o si perdo'
sono i credenti pens _
questo mondo come J
guardasse oppure cui
nella sua ribellione t
dell’amore di Dio)
Quel che — fra puntesi — si può
dire è che i-credenti »no di aiuto e di
servizio alla icìttà'A#.;^ misura in cut
ascoltano e ricevono l’annunzio di
Cristo e non nella misura in cui si mimetizzano con gli altri trascurando o
lasciando da parte, nella particolare
situazione politica, quella Parola che
li ha chiamati e li ha fatti testimoni
della « politica » di Cristo.
« Oh, se tu pure avessi conosciuto
(...) quel che è per la tua pace». Che
cosa lion ha conosciuto e che era p>er
la sua pace? L’annunzio del Regno,
ènti partecipano
^one politica, si
isieme, nè posdi salvarsi da
esso non li rise esso, anche
^n fosse oggetto
iiitiiimtiiiiitiiHiuiiiiiii
Fermi da 50 anni
Le statistiche, si sa, valgono quello
che valgono. In un senso valgono molto perchè sono eloquenti, dicono più
delle parole. In un altro senso valgono poco, perchè il loro linguaggio, fatto di cifre, numeri e percentuali, è sovente ambiguo, essendo suscettibile di
interpretazioni diverse.
Quando poi si tratta di statistiche
ecclesiastiche, il loro valore è ancora
più relativo, per almeno tre motivi. Il
primo è che ci si può chiedere, pur
con tutto il rispetto, se esse siano compilate da tutti i pastori o Consigli di
Chièsa con lo scrupolo, la precisione e
la cura necessarie a garantire una
esatta corrispondenza tra le cifre comunicate agli uffici della Tavola e
l’effettiva consistenza numerica delle
varie comunità. Il secondo motivo, più
importante ancora, è che — come tutti sanno — la Chiesa dei registri, che
si riflette nelle statistiche ufficiali, e
la Chiesa reale, quella ad esempio che
si riunisce per il culto domenicale, purtroppo non coincidono : la prima è ben
più numerosa della seconda. Il terzo
motivo è quello di fondo: l’Evangelo
relativizza in modo pressoché totale
l’importanza dei numeri quando dice
che c’è più gioia in cielo per un solo
peccatore che si ravvede che per 99
giusti che non han bisogno di ravvedimento. In questo caso, 1 conta più
di 99.
Detto questo, vale ugualmente la
pena, una volta tanto, di confrontarsi
con le cifre, anziché con i discorsi, e
dare un’occhiata alle nostre statistiche, recenti e passate.
Secondo il Rapporto al Sinodo di
quest’anno, i membri comunicanti della Chiesa Valdese al 31 maggio 1968
erano 21.342, mentre la popolazione valdese complessiva era, alla stessa data,
di 27.755 persone.
Cinquant’anni fa, nel 1918, sempre
secondo il Rapporto al Sinodo di quell’anno, la Chiesa Valdese contava
18.308 membri comunicanti. Da allora
a oggi, il movimento dei membri comunicanti della nostra Chiesa è stato
il seguente;
Anno Membri comunicanti
1918 18.308
1920 18.725
1925 18.936
1930 19.132
1935 19.807
1940 19.712
1946 18.485
1950 19.706
1955 19.997
1960 21.302
1965 21.582
1968 21.342
Dunque, la chiesa Valdese conta oggi 3.034 membri comunicanti in più
di quanti ne contava cinquant’anni fa.
Bisogna certo tener conto delle forti
emorragie subì.te da diverse nostre comunità a motivo dell’emigrazione e
delle defezioni (più o meno numerose)
che ogni anno, per un motivo o per
l’altro (si pensi, ad esempio, ai non
pochi matrimoni misti celebrati in
Chiesa cattolica), avvengono nelle nostre file. Questi vuoti sono stati colmati. D’altra parte, bisogna considerare il cospicuo incremento di popolazione avvenuto in questo cinquantennio nel nostro paese. Si può quindi concludere dicendo che da cinquant’anni la nostra Chiesa, dal punto di
vista numerico, è praticamente ferma
sulle stesse posizioni. Un aumento di
3.000 membri, in mezzo secolo, rivela
una situazione sostanzialmente stazionaria.
Sul piano spirituale, poi, una considerazione almeno si impone. Come già
s’è detto, i numeri hanno un valore
spirituale relativo, ma non ne sono del
tutto privi. Narra il libro degli Atti che,
in seguito alla predicazione apostolica,
« di più in più si aggiungevano al Signore dei credenti, uomini e donne, in
gran numero » (Atti 5, 14) e che « le
chiese erano confermate nella fede e
crescevano in numero di giorno in
giorno» (Atti 16: 5). Questo vuol dire,
come minimo, che una Chiesa che
non cresce di numero, se non di
giorno almeno di anno in anno, non
è nella scia della Chiesa apostolica.
E come si fu avvicinato, vedendo
la città, pianse su lei, dicendo :
Oh se tu pure avessi conosciuto
in questo giorno quel ch’è per
la tua pace! Ma ora è nascosto
agli occhi tuoi. Poiché verranno
su te dei giorni nei quali i tuoi
nemici ti faranno attorno delle
trincee, e ti circonderanno e ti
stringeranno da ogni parte: e atterreranno te e i tuoi figliuoli
dentro di te, e non lasceranno
in te pietra sopra pietra, perchè
tu non hai conosciuto il tempo
nel quale sei stata visitata.
(Luca 19: 41-44).
cioè del « nuovo mondo » incarnato
nella persona del Cristo. Questo non
ha ricevuto malgrado tutte le apparenze, poiché questi fatti avvengono nel
giorno delle Palme, proprio dopo le
acclamazioni e gli inni della città. Malgrado tutte le apparenze non l’ha ricevuto. I capi del popolo hanno così
condotto le cose da metter Gesù sotto
processo ed ucciderlo. Gli altri, anche
i pochi convinti o attirati da lui, non
si sono opposti alla politica dei capi,
se ne son tenuti fuori, ma l’hanno
subita e ne son divenuti responsabili.
Pilato ha avuto la sfacciataggine di lavarsene le mani in pubblico, ma questi
han fatto lo stesso pensando solò a
salvare se stessi.
Da lunghi anni Gesù aveva parlato
ed agito. Sin dal giorno in cui cominciò dichiarando « il Regno è vicino, mutate mentalità e credete all’annunzio »
o dal giorno in cui, seduto sul monte,
aveva dato il manifesto più rivoluzionario che si possa immaginare, sia in
religione che in economia ed in politica. Nessuno aveva mai detto simili cose ed ancora nessuno ha potuto aggiungerne altre. Un vero nuovo mondo
si apriva dinnanzi agli occhi del popolo: quello, fondato sull’agape che
metteva, come mette, in questione
ogni struttura ed ogni comportamento
umani. Poi Gesù aveva sottolineato
quell’annunzio in mille modi: in prediche, in parabole, in colloqui, con atti potenti, soprattutto lo aveva fatto
realtà pulsante nella sua vita, nel suo
essere in mezzo agli uomini. Il discorso era chiaro : la vita non sta nel conservarci, ma nel donarci, il Regno non
è dominare ma servire, come lui serviva, la legge che sola governa tutto è
l’agape di Dio e questa non è desiderio di possesso, ma dono di sè stessi
perchè altri viva. Proprio nel giorno
cruciale, quando a Cesarea di Filippo
Pietro confessa « tu sei il Cristo » Cristo parlava subito delle sue sofferenze,
l’agape non può pjassarvi oltre. La prima confessione di fede cristiana è seguita dal primo annunzio della passione. Messia s, ma non nella concezione
giudaica del tempo del Re che viene
con la forza a ristabilire la gloria del
Regno di Davide, ma del Re che è nato
pw morire perchè tutto il mondo abbia vita; non il messia dei farisei clericali, o dei sadducei collaborazionisti,
o degli zeloti partigiani, ma quello dei
profeti, del Servo dell’Eterno che si
abbassa e si dona in sacrificio espiatorio per il popolo. E in questo, cioè
nella Croce, Giovanni indica la gloria
di Dio.
Ed oggi ancora la Chiesa è cosi tarda ad andare a fondo nel concetto di
agape, essenza del messaggio, ed è per
questo che può girare le parole della
Bibbia in maniera diversa e concludere con risoluzioni politiche che lo contrastano sia che il suo atteggiamento
sia inteso alla conservazione dello
statu quo, sia che essa divenga rivoluzionaria. La rivoluzione permanente
delTEvangelo è l’agape, che mai si ferma su posizioni acquisite, neppure su
quelle acquisite con l’aiuto di Dio, ma
che mai anche cerca il nuovo con vecchi mezzi di sapienza umana. Il nuovo
sta che la gloria di Dio si manifesta
nella croce, dove la sua agape è ritratta al vivo, e nella resurrezione, dov’essa è ormai dichiarata vincitrice per
sempre, verità ultima della persona e
della città, sì, dell’etica individuale, ma
anche, e non meno, dell’economia e
della politica.
Questo Gerusalemme non ha ricevuto ed era per la sua pace. E questo
noi e le nostre comunità non abbiamo
ancora ricevuto in modo da portarlo
nel pieno della collettività umana oggi minacciata da tutte le parti.
Ma perchè questa predica dell’agape,
così viva in Cristo, udita e riudita nelle vie e nelle piazze, nel tempio e nelle
campagne dove le folle accorrevano,
non è stata poi ricevuta? Forse che
non incideva nella vita del tempo e
non era una via per i problemi d’allora?
Non è certo qui il caso di certi piagnistei, come al giorno d’oggi, sul linguaggio non adatto, sulla comunicazione che manca, sul discorso che non
incide storicamente. Questo può valere per noi non per Gesù, Parola fatta carne. Qui non ci son difficoltà soggettive, ma solo oggettive. Il popolo
non ha ricevuto l’annunzio perchè non
gli faceva comodo. Tutto lì. Ciò non
mette a posto le nostre coscienze sulle
reali insufficienze nostre di fronte alla testimonianza, oggi, ma ci ridice
chiaramente — se non lo sappiamo
abbastanza — che l’agape è respinta
perchè è agape, cioè proprio perchè la
nostra natura è aliena ad essa. Non
sianio alieni all’amore umano, nostro
sentimento, ma alieni all’agape che
dice no alla nostra natura.
Gesù è stato esplicito. Chiaro. Nelle
parabole, come nella -vita più chiaro
che mai, tanto che i fanciulli potevano
coniprenderlo. Beati i fanciulli! Non i
savi e gli intelligenti che coprono con
le loro scoperte, la loro esperienza, le
loro verità, l’annunzio dell’agape per
renderlo confuso, insufficiente, inadatto al mondo degli uomini.
L annunzio dell’agape se lo si riceve
quando è distaccato da noi, allora .è
dolce e gfadevole. Le folle che accorrono attorno a Gesù ce lo dicono. Ma
poi quando esso entra nel concreto
della nostra esistenza, allora lo si lascia scuotendo la testa : non sembra
tener conto a nostro avviso delle situazioni umane.
Solo pochi rimarranno dicendo «tu
hai parole di vita eterna ». E forse anche questi capiranno tutto solo dopo
la resurrezione. E così' avviene oggi ancora. Finché il discorso dell’agape rimane teorico, in discussioni o in chiesa appare buono, ma quando deve modificare la nostra vita le cose cambiano! Per esempio non trovo grande
differenza fra le case dei conservatori
e quelle dei rivoluzionari e neppure
gran differenza fra loro nei confronti
dei beni di consumo e sì che il nostro
modo di vivere dice qualcosa... gli è
. che temiamo di affidare la nostra vita
all’agape di Cristo. Altrettanto si può
dire che quando ci troviamo nella ricerca della soluzione dei grandi problemi umani, l’annunzio dell’agape ci
lascia perplessi, alle volte anzi lo si
trova pericoloso. Per questo M. L.
King fu ucciso, lui testimone dell’agape di Cristo.
Sì, l’annunzio del «mondo nuovo»
di Cristo, oggi come allora è respinto,
perchè non è ancora vinta l’illusione di
poter far noi nuovo il mondo. È questo il punto « dolens » della situazione
della chiesa e del mondo, che non si
vuol passare per un mutamento di
mentalità, per il ravvedimento, e con
la nostra abituale mentalità umana ci
troveremo sempre ad opporci palesemente o di nascosto all’agape di Cristo, ed al mondo fondato su di essa.
La nostra fede in Cristo risorto vera
agape è del tutto teorica, non esistenziale, altrimenti non temeremmo di
affidargli la nostra vita e dell’oggi e
del domani, e nemmeno di affidargli la
strategia della nostra testimonianza e
nemmeno di esser docili strumenti nelle sue mani per la trasformazione della società anche quando le nostre vedute non percepiscono in che modo.
Egli il risorto, può salvare la città che
le stringenti trincee della conservazione stanno affamando e soffocando.
L’agape è aliena alla nostra natura
irredenta, non solo perchè urta contro
i nostri desideri immediati, ma perchè
è, come la croce, una pazzia per tutti i
sapienti, fra i quali non vogliamo rinunziare d’essere.
Perciò se non c’è mutamento di
mentalità, non v’è neppure la possibilità di discemere il tempo di Dio, poiché finché crediamo ai nostri miracoli,.
alle nostre possibilità non siamo tesi
ad attendere l’intervento operante del
Signore. « Non hai conosciuto il tempo
in cui sei stata visitata». È vero per
Gerusalemme quel che è vero, oggi,
per noi. Il « tempo » qui non è il temTullio Vinay
(continua a pag. 2)
2
pag. 2
30 agosto 1968 — N. 33-34
L’agape di Dio per la città assediata
(segue da pag. 1)
po vuoto degli uomini, il kronos ciclico, ma quello pieno di Dio il kairòs,
gravido di eventi, tempo, ora x, in cui
tutto può accadere. La città non lo
aveva avvertito nella visita dei suoi
profeti, non l’ha conosciuto nell’ingresso del Cristo. « In questo giorno »
o « in questo tuo giorno » — come dice
prima — giorno preparato da millenni eppure come concentrato tutto in
quelle poche ore della visita del Messia. Non si può perdere il tempo di
Dio. Si può far passare senza gran
danno i nostri giorni ed i nostri anni,
ma non il momento, il tempo, in cui il
Signore della nostra vita e della nostra storia ci visita. V’è il rischio di
perdere tutto il senso del nostro passato, del nostro presente e del nostro
futuro.
Gesù spesso avverte di discernere « i
segni dei tempi », di esserne attenti, in
tensione, proprio perchè non avvenga
che egli passi senza che noi ce ne accorgiamo.
Gerusalemme, in fondo, non era una
città come le altre anche se i suoi cittadini portavano il nome di « figli di
Abramo » senza esserlo nello spirito.
L’annunzio ad essa era pervenuto di
secolo in secolo ed ora, nella pienezza
dei tempi, il tempo di Dio aveva scoccato entro le sUe porte.
Se tutto ciò è vero, oggi, per tutto il
mondo, lo è con maggior responsabilità per la Chiesa. È mai possibile
•che la Chiesa non senta, in questi
giorni, il tempo di Dio che preme sulla
storia del mondo per scuoterlo dalle
fondamenta?
Da una parte gran numero di cristiani fanno ancora della fede argomento
di conservazione — come se l’agape di
Cristo non ne fosse proprio l’opposto — e si rifugiano, per esser consolati in una pietà personale che è ormai
in questo tempo svuotata di ogni significato. Dall’altra tanto desiderio di rinnovamento nella Chiesa, tanta sete di
impegno, tanta decisione per una rivoluzione oggi cos’i necessaria al mondo vengono svuotati di senso col ricorrere, per mutare la tragedia della situazione attuale, alla violenza e ai
mezzi caratteristici di un mondo che
vive prima della croce e della resurrezione di Cristo? Sarebbe come se i discepoli avvertita la profezia di Cristo
si fossero preparati alla guerriglia contro i Romani. Chi confessa Cristo, il
Signore, non può seguire lo stesso metodo di chi non lo confessa, ed è solo
con i suoi problemi.
Non rinunciare
al nostro specifico
contributo cristiano
Che dobbiamo esser con tutti gli uomini nella ricerca di un mondo nuovo
in cui regnino la giustizia ed il diritto,
che dobbiamo soffrire e lottare con loro, è tanto inerente allo spirito delr Evangelo che non occorre neppur
dirlo. Semmai farlo. Ma rinunciare al
nostro contributo vero, specifico, che è
quello di indicare la Verità ultima, indicarla nell’agape, questo no. Se abbiamo accettato nell’agape la sapienza
di Dio non possiamo affermare che essa è valevole in certe situazioni ed in
altre no, ed ancor meno che essa è una
linea di condotta individuale e non
politica. Sarebbe rinnegarla. Se certi
problemi ci lasciano perplessi e non ci
sentiamo di giudicare, v’è tuttavia un
« non posso altrimenti » che è più forte di tutto. Se l’agape è la verità non
possiamo metterla da parte. Nemmeno
per un periodo provvisorio. Non ci si
può prender vacanza dalla verità.
Certamente poiché gli uomini hanno
respinta la sapienza di Dio e l’hanno
crocifissa, non hanno prodotto, con la
loro sapienza, altre soluzioni che soluzioni violente. Così la rivoluzione
che viene distruggerà il vecchio — e
coscientemente nessuno può rimpiangerlo — ma non produrrà il nuovo.
Questa è la vera tragedia perchè 11 sangue versato e le immani sofferenze di
moltitudini non serviranno ad edificara nulla di stabile e di verainente umano : «atterreranno i tuoi figliuoli e non
lasceranno pietra sopra pietra ».
Proprio per questo, per « le trincee »
imminenti, per la rovina che si profila
all’orizzonte, se comprendiamo « il
tempo » che ci è dato, il messaggio particolare specifico del momento è quello
dell’agape, fondamento della vita umana e del « nuovo mondo » di Cristo che
preme alle porte. Mondo nuovo. Con
la resurrezione di Cristo il futuro è
già cominciato e non può esser lasciato nella categoria del futuro umano
che sempre deve venire e non viene
mai. È qui che deve andare la meditazione della Chiesa perchè le sue scelte
quotidiane nell’economia e nella politica, come nei mezzi per attuare l’una
e l’altra, siano coerenti con la vocazione ricevuta e diano al mondo, agli uomini tutti, con i quali siamo solidali
nella ricerca della giustizia, una indicar
cazione non falsa ed ingannevole. Proprio perchè ogni vuoto di idee, ogni
perdita di senso umano, dà oggi luogo
ad una invasione dello spirito della
violenza come solo rimedio, proprio per
questo l’annunzio dell’agape, realtà iri
Cristo risorto, deve esser gridato sui
tetti, nei comizi e nelle piazze.
Questo è il compito profetico della
Chiesa oggi; di condividere la ricerca
del nuovo mondo con masse e scienziati, ma per spingerci e spingerli a
confrontare ogni loro sforzo, ogni loro
tensione, ogni loro soluzione, con la
croce e la resurrezione di Cristo. Le
nostre verità penultime hanno direzione vera e senso, solo nella verità ultima dell’agape di Dio, fatta carne in
Cristo.
Gesù pianse sulla città ribelle. È il
pianto di chi vede l’agape di Dio respinta e tutte le conseguenze che ne
vengono. La città aveva imboccato
una via politicamente falsa e già si poteva intravvedere la sua rovina. È
l’angoscia di oggi di fronte ad un mondo che respira violenza e che non ha
ricevuto la politica dell’agape. La sua
rovina è inevitabile. L’albero cattivo
non può dar frutti buoni.
Perchè la croce?
Ma se Gesù intravvedeva la rovina
della città perchè si avviò ugualmente
verso la croce? Inutile sacrificio? La
risposta dovrebbero darla quanti pensano che con l’agape non si fa politica.
La forza dell’agape non si chiama successo. La chiesa dovrebbe saperlo. La
chiesa non ha da trionfare, ma nemmeno raccogliere consenso delle masse. Anche questa può esser idolatria.
Cristo è andato alla croce perchè
non c’era altra via per la salvezza del
mondo, dico del mondo, che quella del
dono di sè, dell’agape che si dona sempre perchè altri abbia vita. Se non fosse risorto potremmo cercare altre vie.
Un dio morto non incide nella vita dei
popoli la sua tomba rimasta chiusa.
Ma se è risorto continua a donarsi a
questo mondo per mezzo dei suoi testimoni, suo nuovo corpo. Così, la testimonianza di M. L. King non è certo
stata inutile. Attraverso a questi uomini è ancora indicata al mondo la via
vera.
Certo nessuno può negare che la
maggior violenza è oggi data da chi
mantiene o contribuisce a mantenere
lo statu quo nel mondo. Testimoniare
di Cristo implica non solo difendere
gli oppressi ma anche attaccare i potenti. Mai come oggi è chiaro che la
chiesa è chiamata a confessare la sua
fede ovunque c’è sofferenza, oppressione, violenza palese o occulta, c’è schiavitù e sfruttamento, guerra e rivoluzione, ma confessare la fede nell’agape
di Cristo, senza contraddirla ricorrendo ai mezzi suggeriti dalle esperienze
e dall’idolatria di esempi che accadono in un paese o nell’altro.
« Così, parla l’Eterno... : farò di te
l’alleanza del popolo, la luce delle nazioni, per aprire gli occhi dei ciechi,
per trarre dal carcere i prigioni, e dalle segrete quelli che giacciono nelle tenebre. Io sono l’Eterno, tale è il mio
nome, e non darò la mia gloria ad un
altro, nè la lode che mi appartiene agli
idoli». (Is. 42: 6-8).
Se Cristo si è offerto volontariamente per la città che non l’ha ricevuto, vuol dire che la via dell’agape è
l’unica, malgrado la sua apparente
inefficacia nella politica umana. È la
Via. La respingono i conservatori e i
rivoluzionari, perchè gli uni e gli altri
cercano altri metodi ed un altro mondo, il loro. Pure, se Cristo crocifisso è
risorto, se nella resurrezione sua l’agape di Dio è vincitrice del peccato e
della morte, verrà il giorno in cui ogni
ginocchio si piegherà dinnanzi a lui
e tutti riconosceranno Lui salvatore
del mondo, perchè solo ciò che è vero
non viene mai meno.
Abbiamo qui due uomini che chiedono alla comunità dei credenti di riconoscere il loro il dono di predicatori
nel quadro della comune vocazione cristiana. In questo momento abbiamo
anche presente l’ordine del Signore risorto, quando Gerusalemme era ancora in piedi ma gravava su di lei la tremenda profezia della sua rovina, di
annunziare l’Evangelo in Gerusalemme e... fino alle estremità della terra.
Queste « estremità della terra », termine vago fino a pochi decenni or sono, anche se le missioni si son spinte
in terre lontane, coincidono, oggi, con
la cinta della nostra città. Quel che
avviene lontano si ripercuote da noi,
quel che avviene da noi è udito ovunque. Il mondo è divenuto la nostra
città e noi ne siamo i cittadini. Come
ci pervengono le dottrine più lontane
e si fanno rapidamente strada fra di
noi, cos , anche l’annunzio dell’Evangelo dell’agape di Dio, in Cristo, può esser testimoniato ovunque. Ricordate...
ed allora verrà il Signore!
La predicazione dell’ Evangelo ha
oggi risonanza mondiale proprio nella
misura in cui i cristiani si sentono cittadini del mondo e partecipano al suo
travaglio.
Un amico, credente serio, che stimo
molto ed amo, mi scriveva recentemente : « Davvero che tu accetterai di
’’consacrare” qualcuno al culto di quest’anno nel ’’grande. Tempio” al servìzio di una Istituzione clericale che non
regge più?».
Una parola ai nuovi
pastori (e agli altri)
Scusatemi e permettetemi una nota
personale. Da vent’anni contesto la
nostra ecclesiologia e la nostra strategia missionaria. Ognuno lo sa. Ma
qui, proprio qui, si tratta di vedere, oggi, le cose diversamente. Voi potete divenire buoni funzionari di una chiesa
che si conserva — e lasciatemi dire per
l’ennesima volta che il gran peccato,
estremamente peccante, della chiesa è
proprio l’istinto di conservazione, che
è l’opposto della fede, — e potete cosi
contribuire a istituzionalizzare e cleri
calizzare sempre più la chiesa, potete
esser questo e, purtroppo, nessuno vi
disturberà... ma voi siete chiamati ad
essere, anche e persino in questa istituzione, profeti dell’agape di Cristo risorto, testimoni, con parole ed atti potenti, del mondo nuovo che sorge per
la potenza della resurrezione di Cristo.
E fossero pur tutti profeti! e si unissero pur molti alle chiese per questo
servizio al mondo ! Niente è più necessario al mondo di Sempre, ma più che
mai di questi tempi, quando le trincee
sono alle porte e là più grande rovina
può venirci addosso, che d’essere testimoni dell’agape, per chiamare tutti
gli uomini a quella sapienza di Dio
che, per loro perdizione non hanno voluto ancora conoscere, come Gerusalemme. In questo senso il riconoscimento, ed in questo senso la comunione della comunità dei credenti ha valore particolare.
Certo, avrete dinnanzi non solo gente in movimento e impegnata. Avrete
anche assemblee domenicali stanche e,
spesso, con una religiosità dubbia, ma
perchè non avere' anche per queste
quell’agape che Cristo sentiva dinnanzi al « gregge senza pastore »? Sono
uomini, come noi, oppressi da pensieri diversi: il'loro dàro lavoro, lo sfruttamento, rinseguiìlento delle cambiali e delle tratte, ij malumore dell’ufficio, rincomprensiOne della famiglia...
Anche questo è mondo che soffre e
non solo quello di cui parlano i politici. Anche questo èàsservito a strutture malvage e, come tutti, nessuno
escluso, vi vive e vi soffre. Anche questo malgrado il nome è spesso digiuno
dell’annunzio dell’agape, del nuovo
mondo in cui ha vita e respira l’anima
nostra! Anche fra questi occorre essere testimoni — in Gerusalemme, la
città che sta per essere distrutta —
oltreché fino alle « estremità della
terra » !
Profeti, cioè gente che sente l’incidenza della Parola nel « tempo di
Dio » che ci è offerto, ed in questo
tempo esser anche pastori ed insegnanti, finché la nostra ecclesiologia
non abbia chiarito molte cose e le chiese, le assemblee, le abbiano messe in
pratica.
Le formule liturgiche sono invecchiate, e da molto. Finalmente tutti
ne sentono il disagio. Tanto più quando si cerca di coprire con la solennità
un vuoto di fede. Ma gli otri vecchi
esplodono se vi si mette il vin nuovo.
Ed il vin nuovo è l’annunzio dell’agape, non teoria, ma carne crocifissa e
risorta in Cristo!
Perciò oggi: non tranquillizzazione
d’animi o stantio conforto, no, e nemmeno opera sociale a sè stante — non
è il compito della chiesa — ma il vero
servizio richiesto alla chiesa tutta cioè
la testimonianza in parole ed atti al
« mondo nuovo » di Cristo che si affaccia alla nostra storia e che può esser
accolto o respinto, ma che deve esser
detto e vissuto affinchè ognuno sappia che la Via è una, l’agape di Cristo,
e che fuori di quella via non c’è che
la distruzione della Chiesa e del
mondo.
A voi, come a noi, stanchi del lungo
percorso, è affidato questo mandato
nella comunione con tutta la chiesa,
cioè con tutto il popolo che per ogni
dove confessa che Gesù Cristo è il
SIGNORE.
T. V.
ieri
I oggi
iiimmimiinmimiimiuiii
Viaggio nel Sud
ARIA DI SICILIA
PER UN POSTO ,
Ammassati sulla banchina, in attesa del treno dell’Etna i Siciliani si
muovono, si agitano tra i loro « impedimenta », col volto illuminato dalla
gioia, per il rientfto nella loro terra.
Nella folla uno Sparuto gruppo di
viandanti della montagna in partenza
per Adelfla, aH’estremo limite della
Sicilia. Poi, l’assalto, per un posto: lo
scompartimento trasuda di umanità
dentro e fuori, mentre alcuni giovani
fanno posto ai pià anziani, a chi non
ha conquistato imposto ed è rimasto
in retrovia, nei èorridor; i gesti di
amore fraterno si rivelano in quel piccolo spazio dove si impara a rinunciare per un poco al posto per l’altro, per
il prossimo. Piccolo mondo ed è il vero
mondo, dove non ci si prenota e si
impara a lasciare anche per poco un
posto che non è mai possesso ma
luogo d’amore, di umanità, per l’uomo della parabola che attende sempre
e dovunque il gesto del Samaritano.
L’ACQUA DEL BARONE
Al chiosco dei ricordi siracusani il
cliente di turno conversa, s’informa
dei problemi della zona : un gruppo di
doniie s’avvicina, segue il .discorso e poi
quasi di botto prorompe con voce alterata: l’acqua ci manca; ce l’ha tolta il barone; c’è stato il processo e
l’abbiamo vinto ; poi in appello ha vinto il barone e l’acqua ce l’ha tolta; ha
capito, signore, ci ha tolto l’acqua!
« maledetto l’uomo che si confida nell’uomo ma benedetto l’uomo che si
confida nell’Eterno » ripetono col cliente le donnette angosciate!
I GERANI
Vittoria, terra di primizie, specie
lungo la zona di Scoglitti: a sera la
piazza trabocca di contadini; il tema
è sempre uguale, monotono, condensato in queste parole popolari : « la giustizia (nel senso di pùnizione) è fatta
pi lu poveru, la forca è pi lu poveru » ;
sofferenze e miserie d’un tempo lontano e recente sono il tessuto della
vita del popolo nonostante la Riforma
agraria, lo scorporo delle terre, quale
concessione demagogica alle pressioni
popolari, mentre però manca l’attrezzatura e magiche potenze controllano
tutto, persino i servizi funebri.
Il fallimento amministrativo è generale in Sicilia ed anche dove c’è
l’industria, come a Gela, i muli continuano ad essere legati al letto del padrone e l’ospedale attende l’inaugurazione. I miliardi son dilapidati con criminale disinvoltura. Si conosce la Sicilia letteraria, o del cinematografo,
delle inchieste o dei delitti ma nel recente terremoto è venuto fuori il vero volto, il volto d’un popolo negletto,
al quale la casa promessa non arriverà
mai, tranne l’iniziativa dei pochi, dei
gruppi come quello dell’agape palermitana, riesina o adelfiese, dove Cristo
ha lasciato un segno del suo Amore.
Nel breve slargo del negozio del sarto-filosofo si discorre, si fruga nella
vita del popolo, si parla di iniziative
nuove per aiutare il contadino ; « pensi — dice uno del gruppo — che di recente è stata sperimentata la coltura
del geranio; il risultato è stato incoraggiante; poi, qualcuno s’è interessato ed anche troppo, così la prospettiva
d’un utile diretto al contadino sembra
sfumata, nel contesto d’un mondo che
ha il potere, a danno sempre del cafone, dell’ultimo ».
Sinodi vaidesi
Il numero dei membri del Sinodo cresce,
anche se di poco, ogni anno. Quest’anno si
aggira intorno ai 180. Purtroppo bisogna constatare che a questo aumento, sia pur lieve,
dei membri del Sinodo non corrisponde un
aumento parallelo dei membri della Chiesa
Valdese.
Da Le Témoin (l’alloro settimanale della
Chiesa Valdese), dell’ll gennaio 1889, ricav.amo alcune notizie sui Sinodi Valdesi
dopo il Rimpatrio (1689).
Benché i Sinodi siano diventati annuali solo a partire dal 1854 e benché
fosse necessario, prima del 1848, ottenere l’autorizzazione regia per convocarli, pure il loro numero, dal Rimpatrio in poi, è stato abbastanza notevole, raggiungendo la cifra di 106.
Qualcuno dei primi era composto da
soli pastori; tutti gli altri avevano delle deputazioni laiche abbastanza numerose. Sul piano della composizione
numerica di queste assemblee, si nota
un progresso costante; pure, il numero di 100 membri votanti fu raggiunto
solo nel 1888. Ecco un piccolo quadro
comparativo :
Sinodo del 1693 - 31 membri
1750
1801
1848
1868
1878
33
40
46
74
84
1888 - 113
ADELFIA
Vuol dire fratellanza; un gruppo
di fratelli col Pastore s’è incontrato
nel dopoguerra sulla spiaggia assolata
di Adelfia; l’obbiettivo: stare insieme,
mangiare insieme e insieme pregare e
meditare la Parola di Dio. Il gruppo
ha cominciato a sognare una casa per
i giovani, per la diaspora del Sud ; cosi,
nella vecchia necropoli greca, ricca di
piccole graziose anfore mortuarie è
stata posta la prima pietra; poi mano
mano è nata una casa, poi un’altra
ancora ed è sorta Adelfia, il minivillaggio della fratellanza in Cristo.
Da allora Adelfla ha ospitato i campi, le colonie e di recente ha prodotto
il flore più bello, l’ospitalità ai terremotati; qui è successo il miracolo. Povera gente, senza speranza, usa a curvare il capo e a ripetere « bacio le mani a vossignoria » ha scoperto la sua
dignità, ha compreso cosa vuol dire
essere uomini e donne in grado di
esprimere un’opinione, una decisione.
Ad Adelfla i terremotati hanno avuto
la loro assemblea, il loro comitato, la
democrazia vera, sorta nel nome di
Cristo.
LA MAESTRA
DI SANTA LUCIA DI QUISTELLO
Da molti anni la sorella Di Gennaro
è all’asilo di Vittoria: minutina, un
tantino ricurva, raccolta nei suoi pensieri ricorda volentieri la scuoletta di
Santa Lucia di Quistello, col sorriso
tessuto di dolcezza. La vidi un giorno
molti anni fa in quella scuola dove
tanti fanciulli hanno conosciuto il Signore per mezzo suo; maestri e maestrine della diaspora italiana d’un
tempo, mal pagate e col salario incerto, avete dato molto ed in silenzio perchè Cristo fosse predicato.
Ricordo la « staff » dell’asilo, la famiglia del collega Sciclone tutti pieni
di premure, il fratello che ci fece conoscere i compagni vittoriesi, specialmente quelli che ci accompagnarono al
treno.
GESÙ’ BENEDISSE
E SPEZZO’ I PANI
Il campo che ha preceduto il congresso F.U.V., ha deciso di non far la
preghiera dei pasti, nel rispetto dell’ateo o del cattolico ; pare che la decisione sia stata unanime o quasi. Noi
piccolo gruppo eretico, contestatari in
politica, in questioni sociali, e anche
noi contestatari del tipo di culto tradizionale abbiamo però contestato la
linea antipietìsta ed abbiamo fatto la
protesta, pregando. Ho apprezzato gli
interventi dei giovani congressisti, la
passione con cui seguivano i dibattiti,
lo sforzo di trovare una nuova via per
realizzare l’amore del Signore dentro
e fuori le chiese. Ma, non dimentichiamolo, la radio trasmette nella misura
in cui riceve; e la Parola è dovunque
ammonitrice nella Bibbia come in questa ; « prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito che è la
Parola di Dio, orando in ogni tempo,
per lo spirito con ogni sorta di preghiere e supplicazioni... ». Poiché all’ingresso di « Adelfla » c’è scritto la parola
« Campo evangelico di Adelfia », questa parola comporta una linea, indicataci dall’evangelo più che dalla decisione democratica d’un campo, penso
ancora valida perchè dal campo escano uomini nuovi, autentici rivoluzionari del Regno, capaci di «mettere
di cui 104 con voce deliberativa
Dei 106 Sinodi successivi al Rimpatrio (1686), 59 hanno avuto luogo a
Torre Pellice, 10 ai Chiotti di Villasecca, 10 a S. Germano, 8 a Bobbio Penice, 6 a Villar Pellice, 6 a S. Giovanni,
3 al Ciabas (Angrogna), 3 a Pomaretto,
e 1, di soli pastori, a Luserna.
Il primo Sinodo dopo il Rimpatrio
ebbe luogo ai Coppieri di Torre Pellice il 18 aprile 1692, con l’intervento di
9 pastori (D. Léger, J. Jahier, Henri
Arnaud, G. Malanot, J. Giraud, J. Dumas, D. Jordan, J. Montoux, D. Javel),
« senza alcuna deputazione laica, per
quella occasione ».
Il suo primo atto suona così:
« La Provvidenza adorabile di Dio e
la sua bontà infinita hanno raccolto in
queste Valli la maggior parte di quel
che resta dopo la triste desolazione del
1686; e siccome i pastori che Dio ha
conservato e liberato, insieme a qualche altro che si è unito a loro, non
aspirano ad altro che a lavorare, col
massimo impegno possibile, in questa
vigna che il Padre Celeste, nella sua
compassione, ha di nuovo piantato ;
questi stessi pastori, accanto alle altre
iniziative che vorranno prendere, vogliono cercare di ristabilire il buon
ordine che era osservato fra loro, prima delle suddette desolazioni ».
Centro Evangelico « P. Andreetti »
S. Fedele Intelvi, 7-1.3 settembre
Campo giovani
Il « Campo Giovani » vuol essere un breve incontro di giovani, ragazzi e ragazze, in
modo speciale di quelli della nostra zona,
con un triplice scopo :
1. Gite: fare una esplorazione della Vallata per conoscere un certo numero di itinerari dei quali i giovani stessi potrebbero diventare le guide per altri gruppi futuri.
2. Studi: una serie di studi biblici sul
problema dell'Evangelizzazione, prendendo in
esame alcune possibilità reali nella Vallata.
3. Servizio : Impratichirsi nel servizio del
Centro per potere in futuro entrare a far
parte di un « gruppo di servizio » per gli
incontri di fine settimana del Centro.
Direzione: il pastore e la S:gnora Soggin
di Como.
Iscrizione: versare L. 1.000 di iscrizione
servendosi del Conto corrente postale num.
18-13990 intestato a: Past. T. Soggin, via
T. Grossi 17 - Como.
Prezzo: L. .3.000 per tutta la durata del
campo: sconti per più di un partecipante
della stessa famiglia.
sossopra il mondo » come i discepoli
di Salonicco (Atti 17: 6).
LE RADIO
DELLA DIASPORA
Piccoli gruppi di giovani rappresentati al congresso, sono sparsi in tutta
Italia: a Siena, a Pisa, a Cerignola e
via via dalle Valli alla Sicilia essi vogliono lavorare per l’opera del Signore
dentro e fuori le chiese, fuori delle
unioni normali oppure ancora nella
unione ma ormai in marcia per dire
qualcosa al mondo disperato e vivere
con lui la Speranza del Cristo risorto :
piccola tela preziosa di giovani e non
più giovani che rivivono per altra via
l’esperienza del valdismo medioevale,
memori che allora come oggi i gruppi,
gli «hospitia» trasmettevano quello
che essi ricevevano nella preghiera e
nella lettura della Bibbia, contestando
la società, vivendo la vita dei poveri,
trasmettendo sempre la Parola della
Vita. Su questa tela preziosa Iddio
faccia scendere la potenza dello Spirito Santo, perchè i raccordi della tela siano potenziati dall’Evangelo e dalla preghiera, uniche sorgenti per vivere appieno il messaggio di Cristo.
Gustavo Bouchard
3
N. 33-34 — 30 agosto 1968
pag. 3
Riaperto TOspedale Valdese di Pomarelto
«La riapertura dell’Ospedale di Pomaretto è un
atto di fede in Colui che innumerevoli volte ha
diretto gli incerti passi della nostra Chiesa. A 40
giorni dall apertura, il nostro animo è pieno di riconoscenza : l’Ospedale funziona a pieno regime ».
I! 1“ luglio scorso l'Ospedale di Pomaretto ha ripreso, dopo tre anni di
lavori che lo hanno completamente
trasformato, ¡I suo servizio assistenziale a favore della popolazione locale.
Sin dal febbraio l'opera di ricostruzione poteva dirsi terminata nelle sue
linee fondamentali ed in questi ultimi sei mesi la CIOV (Commissione
Istituti Ospitalieri Valdesi) ha dovuto
affrontare grandi difficoltà per poter
giungere alla soluzione di tutti i problemi connessi ad un funzionamento
che dia garanzie di serietà.
Non è questo il momento di esporre ai lettori ed agli amici tutti il quadro completo delle situazioni che hanno dovuto essere affrontate e che parevano sul punto di sopraffarci : in
uri prossimo numero del giornale
esporremo chiaramente tutte le difficoltà e le perplessità che ci siamo
trovati di fronte, in quanto la Chiesa
tutta deve conoscere completamente
la realtà che ci sta dinanzi ed assumerne responsabilmente le conseguenze.
Riteniamo per ora sufficiente affermare che la decisione presa dalla
CIOV era l'unica che consentisse la
possibilità di gestire l'Ospedale di
Pomaretto in proprio, come per il passato e che, allo stesso tempo, tra i
vari indirizzi sanitari proposti nelle
innumerevoli sedute di Commissione,
la soluzione prescelta rappresentava
l'unica via da seguire affinchè alla
nostra popolazione ed in prevalenza
ad essa, potesse essere data una assistenza sanitaria del tutto particolare.
Gravissimi problemi di bilancio,
dovuti ai mutui contratti per la ricostruzione e per le previste notevoli
spese di gestione, impedivano ne!
modo più assoluto che l'Ospedale rimanesse chiuso: se tale fosse rimasto, anche l'Ospedale di Torre Pellice sarebbe stato trascinato in pochi
mesi in situazione fallimentare, poiché i carichi passivi avrebbero portato ad una situazione insostenibile,
con conseguente chiusura anche dell'Ospedale di Torre Pellice.
L'accurato studio di un funzionamento sanitario efficiente le prospettive amministrative ad esso connesse, ci hanno fatto intravedere la possibilità di superare la criticissima posizione in cui ci eravamo trovati nei
mesi scorsi ; donde, nel mese di aprile, la decisione, presa a maggioranza assoluta, di annunciare alle Comunità che l'Ospedale di Pomaretto
avrebbe riaperto le sue porte come
Ospedale Valdese, sotto la nostra responsabilità, come per il passato.
La CIOV in un suo comunicato aveva affermato che questa decisione
rappresentava un atto di fede ed invitava tutte le Comunità a sostenerla
chiedendo un aiuto fattivo ed un impegno di responsabilità delle comunità valligiane: al momento della decisione, il piano teorico sanitario ed
amministrativo era già stato delineato in tutte le sue linee fondamentali
c pur apparendo possibile, mancava
tuttavia la sicurezza di una sua rapida attuazione, anche per il possibile
verificarsi di vari imprevisti che potevano rendere critico il funzionamento di una complessa attività quale quella di un Ospedale.
In queste prime settimane, con coscienza della nostra debolezza e delle nostre precarietà, ma altresi con fiducia in Colui che innumerevoli volc ha diretto gli incerti passi della
nostra Chiesa (ricordiamo Salabertrand nel settembre 1689!), senza
squilli di tromba e « consacrazioni »,
abbiamo atteso ai primi passi di questa nostra opera, con « timore e tremore ». Oggi, a 40 giorni dall'apertura, se ci è lecito fare un bilancio
pur molto approssimativo e provvisorio, vorremmo dirvi che il nostro
animo è pieno di riconoscenza, poiché i primi passi ci indicano la possibilità di un cammino, anche se diffìcile e pieno di incognite.
Si era predisposta, per ora, l'apertura di un solo piano (25 ammalati)
e si era assunto il personale in vista
di un funzionamento limitato solo ad
esso. Le poche infermiere disponibili,
e d'altronde il previsto limitato afflusso dei pazienti, non ci permettevano,
per ora, un funzionamento a pieno
regime. La situazione si è invece capovolta e la realtà odierna è indubbiamente superiore alle nostre aspettative. Tre infermiere evangeliche diplomate „hanno. in questi giorni fatto
domanda di essere assunte a Pomaretto e i pazienti ricoverati hanno
raggiunto in cinque settimane la cifra di 41 presenze giornaliere, ponendoci attualmente in una crisi di
crescita ed obbligandoci a respingere
altre domande di ricovero. Il personale, che attualmente, conscio di tutte le nostre difficoltà, sta eseguendo
un lavoro encomiabile e senza risparmio di energie, sarà integrato, con
nuovi elementi, appena questi ultimi
potranno prendere servizio.
Alcune comunità delle Valli hanno
risposto con zelo al nostro appello,
in primis quella di Pomaretto che da
sola ha offerto un importo pari a un
decimo della somma destinata al
completamento delle attrezzature, altre invece in misura del tutto inadeguata alle nostre necessità ed alle loro possibilità. I giovani di Pomaretto
e di alcune altre comunità hanno dato una valida collaborazione per la
esecuzione di lavori manuali ed un
gruppo di pralini, dopo il lavoro di
miniera e dei campi, senza tante parole e frasi altisonanti ha reso più
decoroso e ordinato il piazzale dell'Ospedale in attesa di una futura e
definitiva sistemazione.
Alcune signorine di Pomaretto hanno iniziato un servizio di assistenza
ad ammalati incapaci di nutrirsi da
soli, alleviando, in questo modo, il
pesante compito delle inefrmiere.
La CIOV ha intenzione con la collaborazione dei Comitati della Valle, di prossima istituzione, di organizzare un servizio di appoggio sia
presso l'Ospedale di Pomaretto sia
presso quello di Torre Pellice. Crediamo che questo lavoro sia indispensabile per inserire la vita dei nostri
istituti in quella delle Comunità, anzitutto per poter dimostrare, praticamente, che queste opere sono opere
della Chiesa tutta e non solo delle
persone che vi sono direttamente ed
indirettamente impegnate. Anche di
questo argomento sarà riferito nei
prossimi numeri del giornale.
Per ora terminiamo le nostre informazioni, dando pubblicamente un
saluto di riconoscenza e di solidarietà a coloro che portano il peso maggiore di questa nuova opera : al dr.
Luigi Orecchia, assistente universitario, presso il nostro Ospedale, che
tutti abbiamo già avuto modo di apprezzare nella sua coscienza di medico e nella sua serietà professionale,
a Suor Helga, la Direttrice che ha iniziato poche settimane or sono i suoi
compiti e che sarà con noi per un periodo di 3 anni, ed a tutto il personale dell'Ospedale.
Vada pubblicamente la nostra riconoscenza a tutti coloro che ci hanno dato un valido aiuto per poter iniziare il nostro lavoro: al vice presidente nazionale dell'I.N.A.M. Sen.
D. Coppo, alla sezione provinciale
Inam di Torino ed in modo del tutto particolare al dr. P. Merlo, alla
dr.ssa Frida Malan, al prof. F. S. M.
Feruglio, Direttore della Cattedra di
Geriatria dell'Università di Torino ed
al nuovo Direttore sanitario dr. Teodoro Peyrot che ci ha dato una validissima collaborazione, alla dr. Danielle Rollier, al prof. B. Lo Bue, al
dr. A. Eynard e all'Ospedale Evangelico di Torino il quale, da buon fratello maggiore, ci è stato di valido
appoggio.
Ed infine un saluto riconoscente
per la sua trentennale collaborazione
all'ex Direttore Sanitario dr. Emanuele Quattrini, dimissionario per età,
che ci auguriamo di rivedere ancora
con noi anche senza gli onerosi incarichi del passato.
La nuova facciata dell’edificio
Centoquaranta anni di attività
Fin dal principio del secolo scorso, le Valli Valdesi non poterono usufruire di assistenza ospedaliera ; vi erano sì; medici e chirurghi, ma non potendo, essi, conseguire nello Stato Sardo i titoli accademici e professionali,
avevano dovuto, con non lieve sacrificio, frequentare le Università tedesche
o svizzere.
Durante la dominazione napoleonica, parve che il problema ospedaliero
potesse trovare consona e rapida soluzione, ma anche queste speranza scomparve al termine di quel troppo breve
periodo di libertà civile e religiosa.
Con la restaurazione monarchica e
il ritorno dei Savoia, tutte le leggi restrittive e intolleranti ripresero vigore
fino a quando le Nazioni di religione
protestante, con generosa e tenace insistenza, intervennero decisamente
presso il Governo sardo, onde evitare
il sussistere di condizioni di vita indegne di una nazione civile.
Malgrado ciò negli ospedali provinciali, in cui i Valdesi erano ora ammessi, si verificavano sovente fenomeni di intolleranza e pressioni per strappare un’abiura ai pazienti ricoverati.
Tali ripetuti episodi resero sempre
più urgente ed improrogabile l’istituzione di un’opera per o.spitare i nostri
correligionari che necessitavano di ricovero e per sottrarli a sofferenze morali non inferiori a quelle fisiche.
Come per la maggior parte delle opere assistenziali delle nostre comunità
l’iniziativa della creazione di un ospedale che potesse accogliere i Valdesi
poveri, bisognosi di cure, non parti
dalle autorità civili o religiose, ma fu
opera di singole o poche persone che,
con il loro entusiasmo, seppero superare l’apatia dell’ambiente e, a volte,
l’ostilità degli organi responsabili.
Il primo documento ufficiale riguardante la fondazione del nostro complesso ospedaliero è una lettera, del
5 settembre 1821, con la quale Carlotta
Peyrot (moglie di Pietro Geymet, ministro valdese, poi sottoprefetto di Pinerolo durante il dominio napoleonico) a quanto pare dietro suggerimento della nipote Iseline, interessava il
pastore Cellerier di Losanna alla creazione di un ospedale da costruirsi alle
Valli Valdesi.
Si interessarono pure della cosa: in
Inghilterra il pastore Francis Cunningham; in Olanda il pastore S. S. Robert di Amsterdam ed a Torino l’ambasciatore di Prussia presso il Governo Sardo, conte Federico 'WaldburgTruchsess.
Il 20 novembre 1821 la Tavola Valdese, malgrado che : « au Vallées on
avait, semble-t-il, jeté sur tout ce feu
plus d’^au froide qu’autre chose», stilò una breve circolare in cui si faceva
appello alla generosità delle nazioni o
dei privati di fede evangelica.
Ottenuto il consenso governativo alla fondazione dell’ospedale, il Sinodo,
radunato a 'S. Germano Chisone nei
giorni 27,28, 29 agosto 1822, deliberava
che l’Ospedale Valdese venisse costruito a Torre Pellice.
Il 10 gennaio 1824 veniva comunicato alla Tavola il Decreto Reale del 6
dello stesso mese con cui Re Carlo Felice accordava « ben di buon grado »
ai Valdesi il permesso di costruirsi il
loro ospedale.
Al principio del 1826, l’Ospedale Valdese di Torre Pellice cominciava a funzionare con 6 ricoverati che ben presto
raggiunsero una media di 14-16.
La creazione di un Ospedale Valdese a Torre Pellice non aveva potuto
accontentare, se non in parte, la popolazione residente nelle Valli del Chisone e della Germanasca, le quali rimanevano prive di una diretta e pronta
assistenza ospedaliera.
Onde accelerare le lungaggini burocratiche inerenti alla fondazione di un
nuovo ospedale e, soprattutto, evitare
le proteste delle autorità e del clero
Risposte airappoHo della C.I.O.V.
Al nostro appello per 1 acquisto delle sup
pellettili e del materiale sanitario necessari
per l'Ospedale Valdese di Pomaretto, molti
hanno risposto. Li ringraziamo tutti viva
mente per questa prova di .solidarietà, augu
randoci che altri segua il loro esempio. Dia
ino qui una prima lista di doni ed offerte
I. DONI GENERALI
Chiesa di Bobbio Pellice (.70.000); Chiesa
di Villar Pellice (30.000); Chiesa di Torre
Pellice (50.000); Chiesa di Roma (Piazza
Cavour) (50.000); Unione Femminile di
Perrero (46.700); Unione Femminile di Vii
lar Perosa (10.000); Unione Femminile d
Ivrea (100.000); Waldensian Church Mission
Londra (22.390); Rostagno Arturo ed Irma
Pomaretto (10.000); Ribet Cesarina ved. Ro
stan, in mem. di Lageard Alfonso, id. (K
mila); Rochon Ettore, Inverso Rinasca (2 mi
la); Rochon Alice, id. (2.000); Rochon Erne
stina, id. (2.000); Galliano Enrico e Mar
gherita, in mem. della figlia Erica (20.000)
Ribet Guido ed Amata, in occ. battesimo de
loro Roberto (5.000); Rag. Gay Cirillo, Ro
reto Chisone (5.000); Baret Luigi ed Alina
Paure (5.000); Bleynat Bruno, Lausa (1.000)
Longo Carla ed Adriano, Ivrea (10.000); In
segnante Clot Desiderata, Perrero (5.000)
Peyrot Roberto e Costanza, Torino (50.000)
Dal quartiere di Masselli: Ribet Tommaso
Enrico (15.000); Marchetti Luigi (10.000);
Marchetti Davide (2.000); Rostan Guerina
(1.000) ; Marchetti Enrico (1.000); Grill Glo.
vanni (3.000); Plavan Luigia ved. Long
(3.000) ; Ferrerò Carlo e fam. (5.000); Pascal Beniamino e fam. (5.000): Long Gina
e fam. (10.000): Bleynat Enrico e fam.
(10.000) ; Long Edmondo e Let'zia (3.000);
Micol Flavio ed Anita (3.000): fam. Tosetti
(3.000) ; Reynaud Alice (5.000); Jahier Elvio e fam. (10.000); Pascal Armando. Maniglia (5.000); Istituto Bancario S. Paolo, Perosa Argentina (15.000); Bertalotti Pasquale,
Sindaco, Perosa Argentina (1.500): Emporio
di Perosa Argentina (500); Tron Adele ved.
Ribet, Perosa Argentina (15.000); Agli Giuseppe, Pomaretto (1.000); Bleynat Attilio, id.
(1.(100); Barai Oreste, id. (3.000); Clot Prisca, id. (1.000); Peyroncl Pierina, id. (200);
Balma Sergio, id. (1.500): Bert Paolina, id.
(1.000) ; Pons Guglielmo, in mem. della sorella Adelaide (20.000); Marchetti Alessio e
fam.. id. (10.000); Rostagno Arturo, Nino,
Guido e Lillina, Pomaretto, !n mem. dei genitori (100.000); Forneron Davide e Jolanda, Prarostino (10.000); Paolasso Ilda, Perosa Arg., in mem. del babbo A. Dufour, Lausanne (1.435); Tante Marie e cugini di Ginevra, in mem. di Galliano Erica, Inverso
Rinasca (10.000); In mem. dellTng. Enzo
Forneron, Direttore RIV-SKF di Villar Perosa: la fam. Forneron. Torino (500.000).
(continua)
cattolico, ' fu deciso di Istituire per
quelle Valli una succursale dell’Ospedale di Torre Pellice, con il nome di
« dispensario » o « deposito ».
Come sede di tale istituzione fu scelta la località di Pomaretto, vicino a
Perosa, in territorio a popolazione
esclusivamente valdese.
Nel gennaio 1828 il « dispensario »
iniziò la sua attività in una casa situata all’ingresso dell’abitato, affittata
da un certo Pietro Grill il quale funse
anche da economo e da cuoco dell’istituzione.
All’inizio 8 letti erano a disposizione dei malati affidati alle cure dei dottori Drogherò, Columella e Coucourde
ed assistiti dall’infermiera Anna Pons
di Massello.
Aumentando ben presto il numero
dei malati che chiedevano assistenza e
ricovero al nostro ospedale, questo fu
temporaneamente trasferito nei locali
del vecchio presbiterio valdese fino a
quando la Tavola decise di risolvere
definitivamente il problema con la costruzione di uno stabile apposito per il
ricovero dei malati.
Ottenuta l’autorizzazione dalla Segreteria di Stato con biglietto regio,
fu iniziata la costruzione dell’Ospedale
su progetto dell’architetto R. Roland
nei prati delle « Tourasses »
La costruzione fu terminata e l’attività assistenziale fu iniziata nel 1838,
sotto la denominazione di « Ospedale
sussidiario » dell’Ospedale Valdese di
Torre Pellice.
Nel 1846 la prima Diaconessa iniziò
il servizio all’Ospedale e, molto rapidamente, il numero venne aumentato,
tanto che nel 1875 i due ospedali contavano complessivamente 12 Diaconesse.
Come di molte altre opere delle nostre valli, si occupò anche dei nostri
ospedali il generale Beckwith, di cui
non è il caso di ricordare le numerose
benemerenze.
In una sua lettera del 7 agosto 1846,
il generale raccomanda per il buon
funzionamento dei nostri ospedali :
oltre che buone cure e servizi intelligenti, estrema pulizia dei letti e della
biancheria, vitto accurato, pulizia e
ordine, controllo dei fornitori.
Nel 1875 l’Ospedale di Pomaretto
funzionava con 12 letti, per un totale
di 91 ricoverati all’anno. La relazione
medica, allegata alla relazione della
Commissione al Sinodo, compilata dal
dott. G. Fusi, allora medico a Pomaretto, terminava con queste parole :
« Il sottoscritto hassi molto a lodare
delle persone addette al servizio interno: in esse, oltre all’ubbidienza, alla prontezza, alla pulitezza, si osserva
quello che li rende ottimi : il vero amore per il benessere degli ammalati. Essi non sono semplici servi che adempiono il loro dovere ; ma in loro chiara
apparisce un’aura di filantropia che li
rende insuperabili ».
Novant’anni dopo, nel 1965, la CIOV
presentava al Sinodo un progetto dell’architetto Vay di Torino, che contemplava la ricostruzione dell’Ospedale
di Pomaretto, pur mantenendo invariate le linee generali dell’edificio, e la
totale risistemazione delle camere di
degenza, degli impianti sanitari, dell’illuminazione, dei servizi igienici, nonché la costruzione di una nuova ala,
in cui sistemare al primo piano un
moderno reparto operatorio, e al secondo una sala parto ed altri servizi.
Questo progetto è ora diventato
realtà.
4
pag. 4
N. 33-34 — 30 agosto 1968
Lettera da Ginevra
Questa lettera del Segretario generale del
Consiglio Ecumenico delle Chiese, pastore
Eugene C. Blake ■—• al quale va la nostra
viva gratitudine — prosegue uno scambio
epistolare , in corso da qualche tempo tra il
pastore Blake e il Direttore dell’Eco-Luce,
pastore Gino Conte. La lettera di Gino Conte del 24 maggio scorso, alla quale il pastore
Blake fa riferimento all’inizio della sua risposta, qui pubblicata, è già apparsa sul nostro giornale, nel n. 22 del 31 maggio. Ne
riproduciamo i punti principali, affinchè i
lettori possano meglio situare le risposte del
pastore Blake.
A proposito dei rapporti tra la Chiesa cattolica e il CEC, il pastore Conte scriveva :
« C’è un motivo che spiega il nostro atteggiamento negativo nei confronti dell’ammissione, de iure o de facto, della Chiesa Cattolica nel CEC: la formula di New Delhi pub
senza dubbio essere sottoscritta dalla Chiesa
Cattolica: eppure noi sentiamo che, dopo
tutto, non c’è vera comunione tra questa
Chiesa e noi ».
Sul cattolicesimo attuale, la lettera riconosceva che nella Chiesa post-conciliare ci sono senza dubbio dei cambiamenti, anche no
tevoli, ma precisava che « non siamo autoriz.
zati a parlare di questi cambiamenti, di queste ’’variazioni” nei termini di una riforma.
C’è sola una Riforma, istituita nel XVI secolo per la Chiesa universale, e ciò che sta
accadendo nella Chiesa di Roma non è questa
riforma ».
A proposito delle alternative poste dalla
Riforma del XVI secolo, esse « restano valide
in tutta la loro realtà e chiarezza. (...) Ci
sono dei casi... in cui la verità non è la
somma di due verità. (...) Le nostre stesse
Chiese Protestanti devono di nuovo imparare la forza di quelle alternative che gli uomini della Riforma ebbero la chiaroveggenza
e il coraggio di porre, con la potenza dello
Spirito Santo ».
Infine, la lettera interpretava il fatto che
oggi si parla pfc della Chiesa che di Dio —
particolarmente negli ambienti ecumenici —
come un sintomo di « umanesimo ecclesiastico », cioè di « cattolicesimo ». Il riferimento
alla « trascendenza » fatto dal pastore Blake
in un suo rapporto dell’estate scorsa, « non
dev’essere rivolto solo alla sinistra politica
ma. almeno altrettanto, alla destra ecclesiastica ». RED.
PRIMI COMMENTI ALL'ASSEMBLEA DI UPSALA
La svolta ecumenica
Fra le numerose e talora divergenti
valutazioni che — sia pure, com’è logico, in via provvisoria — sono state
date della IV Assemblea generale del
Consiglio Ecumenico delle Chiese
(Upsala, 4-19 luglio 1968), di cui abbiamo a più riprese parlato negli ultimi numeri del giornale, ne abbiamo
scelte alcune e le offriamo ai lettori.
La prima è di un teologo, la seconda
di un pastore-giornalista, la terza di
un segretario genei;ale di una Alleanza
confessionale, la quarta — che, a dire
il vero, non è una valutazione, ma
piuttosto una segi^lazione — è dell’Osservatore Romano, il quotidiano
ufficioso del Vaticano.
Roger Mehl
Ginevra, 30 luglio 1968
Caro Sig. Conte,
ora che sono sollevato dagli impegni pressanti connessi con la
Quarta Assemblea del CEC, sono
molto lieto di volgere la mia attenzione alla Sua interessante lettera
del 24 maggio scorso. Spero che
un giorno, quando mi sarà offerta
l’occasione di visitare Torino, potremo incontrarci e conversare insieme. Prima di questo eventuale
incontro, desidero studiare un documento che è in via di elaborazione da parte della prima sezione
dell’Assemblea.
Forse c’è una differenza di fondo fra noi due, pur essendo entrambi d’accordo sul fatto che Gesù Cristo, come è rivelato nella
Scrittura, è il Figlio di Dio e il Salvatore del mondo. Io non condivido la Sua convinzione che la posizione della Riforma del xvi secolo
possa essere considerata come la
descrizione definitiva di ciò che un
cristiano o una Chiesa cristiana
debba essere. La verità è assoluta,
ma ogni storia è relativa.
Sono d’accordo che dobbiamo
trascendere le diverse posizioni
della destra e della sinistra, riaffermando sempre le nostre convinzioni intorno alla verità in Gesù Cristo.
Il Consiglio Mondiale delle Chiese è costituito sulla sua base e devo dire che le Chiese Cattoliche di
tutti i tipi, compresa quella Roma
na, devono avere la possibilità di
entrare nel Consiglio Mondiale
delle Chiese se e quando sono disposte a farlo. Se questa eventualità dovesse verificarsi, costituirebbe per noi tutti una sfida di
portata impressionante; ma rinunciamo alla nostra base e alla nostra stessa ecumenicità se non siamo disposti ad affrontare questa
sfida.
Sono d’accordo con Lei che
quanto è accaduto nella Chiesa
cattolica romana a partire dalle
iniziative di papa Giovanni XXIII
non è la Riforma del xvi secolo.
Direi però che si tratta di un processo abbastanza ampio e abbastanza profondo da poter essere
chiamato una riforma del xx secolo. La Sua posizione è che dobbiamo continuare a discutere dell’Evangelo nei termini delle alternative del XVI secolo. Questo è un
altro punto su cui le nostre opinioni divergono. Il xvi secolo è di
importanza vitale per tutti noi che
siamo evangelici, ma proprio perchè lo siamo dobbiamo riconoscere che Gesù Cristo ha dei servitoti in altre tradizioni.
Non penso che tra noi due vi sia
alcuna vera differenza a proposito
della trascendenza di Dio e di Gesù Cristo, che, a parer mio, non è
minacciata dai nuovi studi sulVhumanum, compiuti nel nostro
tempo.
Cordialmente,
Eugene C. Blake
Il Prof. Roger Mehl, decano della
Facoltà Protestante di teologia dell’Università di Strasburgo e membro
del Consiglio della Federazione Protestante di Francia» ha detto di Upsala, (in un’intervista apparsa su Réforme, del 27 luglio):; « L’Assemblea ha
compiuto un lavoro non indifferente,
ma non è stata gran ché profetica. Ha
visto i problemi, ha ascoltato le angoscie dell’uomo e del mondo, ma non
ha risposto con sufficiente chiarezza,
non ha compiuto l’ascesi necessaria
per liberarsi di tutte le passioni ecclesiastiehe e politiche che ipotecano
il colloquio tra Chiese così diverse come son quelle riunite nel CEC. Ognuna ha parlato, ma non sempre con la
preoccupazione di ascoltare i problemi
degli altri o di sottoporre agli altri i
propri problemi.
« Quel che è n|ancato, inoltre, a
questa Assemblea è di essere sorretta
da fatti nuovi. Essa ha certo vissuto
nell’attesa dello Spirito ehe fa ogni
cosa nuova, ma noti ha avuto sufficiente coscienza del fatto che una attesa
è vera solo se si e^rime in atti di rinuncia e di coragipo. Dubito che sia
possibile riunire ogni sei o sette anni
una assemblea mondiale, spettacolare,
se non succede al(^n fatto nuovo che
mandi in frantunff le barriere ecclesiastiche, se le Cinese non compiono
una revisione laccante delle loro secolari tradizioni ».¿.
Quanto al live.loTeologìco dei partecipanti, secondo R. Mehl, « non è stato
particolarmente Stivato ».
Infine, a proposto dell’eventuale ingresso della Chiesj cattolica nel CEC,
R. Mehl pensa c|te,qualora la Chiesa
Cattolica ponga ^ettivamente la sua
candidatura, «bisognerebbe accettarla
con gioia. Sarebbe il segno che essa
ha di fatto rinunciala a esprimere, da
sola, la cattolicità della Chiesa. Il Consiglio ecumenich trarrebbe dalla presenza nel suo seno della Chiesa cattolica un triplice vantag^o; 1) Il CEC
esprimerebbe la totalità della cristianità trarrebbe un più ampio benefìcio
NELLA CHIESA CATTOLICA
E' cominciato Tanti - concilio ?
«È cominciato Tanti-concilio ». cosi « L’Espresso » intitolava un articolo di Carlo
Falconi sulTenciclica « Humanae salutis » di
Paolo VI; e si può dire che questa nota sia
stata riecheggiata da quasi tutti i settori della stampa laica o della sinistra cattolica.
Per parte nostra, se non dubitiamo della
renitenza di un'ala del cattolicesimo e in
particolare di quella curiale a certe impostazioni conciliari, non la vediamo certo
manifestarsi nel pronunciamento pontificio
sulla questione degli anticoncezionali — il
quale si pone, con sofferto senso di responsabilità pastorale e magisteriale, nella linea
teologica del cattolicesimo, rifiutando di lasciar condizionare dall’epoca i propri principi—. ma piuttosto in fatti come la destituzione del card. Giacomo Lercaro dalla
arcidiocesi di Bologna.
11 fatto non è ormai più di freschissima
attualità, risalendo allo scorso febbraio, ma
ci è apparso in una luce nuova e significativa, alla lettura di un articolo di Giorgio
Pecorini ; « Lercaro, dal confonni.smo all’imprudenza », pubblicato sul n. di giugno
di « Comunità ».
Lo scritto del Pecorini inizia con una citazione della rivista cattolica fiorentina « Tetimonianze » ; « La deslituzone del cardinale Giacomo Lercaro è forse l'evento più
grave del post-concilio italiano ». Di destituzione. infatti, si è chiaramente trattato, e
non di dimissioni; mentre « L'Osservatore
Romano » del 12 febbraio ’68 riferiva, nel
suo tipico stile : « Il Santo Padre ha benevolmente accolto il desiderio di Sua Eminenza Rev.rna il Signor Cardinale Giacomo
Lercaro di essere dispensato dal governo
della Chiesa Metropolitana di Bologna a
motivo dell’età avanzata e delle condizioni
di salute », a distanza di poche ore TANSA
diffondeva il testo della lettera di commiato dell'arcivescovo alla sua diocesi, in cui si
diceva fra l’altro ; « Mi fu detto, or sono
sedici anni, dal Pastore supremo del Greg
ge di Cristo: vienii; e
io venni e, fiducioso
e ardito, presi il governo di questa santissima Chiesa petroniana; mi è detto oggi,
ancora dal Pastore supremo: Vai ed io vado,
sereno e lieto di ubbidire... ». Non era possibile smentita più netta e irrefutabile. Il
cardinale è stato dunque cacciato dalla sua
diocesi.
Perchè? — si chiede G. Pecorini. E la
risposta è data dal contenuto dell'omelia di
di Capodanno, nella quale il Lercaro coglieva l’invito pontificio a invocare ed esal
tare la pace in tutto il mondo cattolico, dando a questa invocazione e a questa esaltazione contenuti precisi e concreti, cioè politici. Ampi stralci di questa omelia vengono citati, e accanto a passaggi che sembrano riecheggiare la denuncia di don Lorenzo
Milani contro le nostre guerre italiane, vi è
una chiara presa di posizione nei confrondeil’intervento statunitense nel Vietnam. La
Chiesa, diceva il Lercaro. « non deve mancare il suo giudizio dirimente — non politico. non culturale, ma puramente religioso — sui maggiori comportamenti collettivi e sidìe decisioni supreme dei Responsabili del mondo...»; e neppure « può essere
neutrale, di fronte al male da qualunque
parte venga: la sua via non è la neutralità
ma la profezia. Pertanto, nell’umiltà più
sincera, nella solidarietà più amante e più
sofferta con tutte le nazioni del mondo, deve tuttavia portare su di esse il suo giudizio, deve - secondo la parola di Isaia ripresa dall'Evangelo - "annunziare il giudizio
alle nazioni'. Il profeta può incontrare dissensi e rifiuti, anzi è normale che, almeno
in un primo momento, questo accada; ma
se ha parlato non secondo la carne, ma secondo lo Spirito, troverà più tardi il riconoscimento di tutti».
Insistiamo sul fatto che questo « giudizio », pur essendo politico — cioè espresso
in termini politici e riferito a situazioni politiche precise — non ha motivazioni politiche. ma di fede.
Lo stesso Paolo VI aveva, con estrema
cautela, è vero, espresso al governo degli
USA l’invito a riconsiderare la loro politica d’intervento nell’Estremo Oriente. Come
spiegarsi allora — scrive il Pecorini — « la
storia di come un prete e un vescovo cattolico, dopo aver speso la vita al servizio della propria Chiesa in pieno allieamento con
essa, dopo aver percorso in essa una fortunata carriera, fino al penultimo gradino della piramide gerarchica, possa d'un colpo
ridursi a essere cacciato, e cacciato in quel
modo, senza preavviso e senza benservito,
pur non facendosi apostata nè cadendo in alcuna eresia, richiamandosi anzi con vigore
nuovo alle leggi su cui quella Chiesa fonda
la propria autorità e la propria natura ?».
La spiegazione, amara, potrebbe venire
da questa breve nctazione dello scrittore
cattolico Mario Gozzini. il quale nel suo
ultimo libro, « La fede più difficile » (Vailecchi, Firenze 1968), rammentato il famoso discorso con cui il card. Spellman. arci
vescovo di New Yoi I - aveva giustificato e
difeso, alla fine del 1V66, l’intervento degli
Stati Uniti nel Vietnam, sottolinea la ma
croscopica contraddiz
di New York restò al
tervento così difforme
Lercaro è stato ailonu
so delle sue condizio:'
gomenti opporre a i I
SCO vado americano podi, mentre l’ex-titolai
me: ((L’arcivescovo
.suo posto, dopo l’inLiiilla linea pontificia:
nato, col motivo fali di salute. Quali ar; rileva che l'urcivela alla Chiesa miliardella diocesi bolo
gnese .sera fatto càmp.iuie della Chiesa dei
poveri? ».
11 Pecorini traccia pia un breve profilo
biografico del Lercaro. Senza cadere per
nulla nell'esaltazione agiografica, si mettono in luce senza mezzi termini i lati contraddittori e più discutibili dell’azione ecclesiastica e politica del sacerdote genovese,
poi arcivescovo della "rossa" Bologna. Nulla. nella carriera di questo ecclesiastico
onesto e serio ma scrupolosamente ligio all'ordine. faceva prevedere ’a maturazione
degli ultimi anni. E allora?
« La storia dell’evoluzione del cardinale
Lercaro è allora la storia di una conversione -- scrive G. Pecorini — La storia della
conversione di un prete, vescovo e cardinale
che dopo tino vita intera spesa al servizio
delle stnttture mondane e temporali della
Chiesa .scopre che al di sopra di quelle .strutture .sla la parola del Vangelo e che servire
il Vangelo è più importante: all'occorrenza,
anzi, bisogna stare attaccati solo al Vangelo. A costo di lasciar tremare le strutture.
A costo di dir pane al pane e bombe alle
bombe, anche .se ad affamare e a bombardare è la nazione più potente del mondo,
quella in cui prospera la più ricca comunità cattolica del mondo. A costo di perdere
il posto dalla sera alla mattina, senza gli
otto giorni nè il benservito. A costo di lasciar credere che nella gerarchia della Chiesa cattolica, almeno da un certo punto della piramide in su, continua a non esserci
posto per il Vangelo, neppure dopo il Concilio Vaticano II. Perchè quando uno ha
avvertito certi sintomi" non riesce più a
tornare indietro e se è costretto a scegliere
fra la reputazione della Chiesa e il Vangelo
non ha dubbi su che cosa salvare e che cosa sacrificare ».
È molto bello leggere parole come queste
di penna cattolica; pur restando chiaro che
l’alternativa evangelica ha. vista (ma vissuta?) da un pro>iestante, una dimensione più
profonda, una portata altrimenti radicale.
dal movimento e dal dinamismo postconciliare ; 2 ) La presenza della Chiesa
cattolica obbligherebbe certe famiglie
di Chiese ortodosse a non chiudersi in
posizioni integriste; 3) Questa presenza costituirebbe un utile contrappeso
all’attuale predominanza del pensiero
e soprattutto della Ungua degli anglosassoni». Naturalmente, un eventuale
ingresso della Chiesa cattolica nel CEC
« porrebbe seri problemi di struttura »,
che, comunque, non potrebbero essere risolti a danno delle Chiese piccole. Sarà piuttosto alle Chiese grandi, come la Chiesa cattolica, la Chiesa
ortodossa e la Comunione anglicana,
che « bisognerà chiedere dei sacrifici ».
lean-Marc Chappuis
J.-M. Chappuis, pastore e giornalista,
è il direttore del diffuso settimanale
ginevrino La Vie Protestante — uno
dei migliori giornali evangelici attualmente in circolazione. Il n. del 2
agosto scorso contiene, tra l’altro, un
« primo bilancio » di Upsala, preparato
da Chappuis. Eccone le parti centrali :
« Con ogni evidenza, questo primo
bilancio sarà caratterizzato dalla preponderanza di quel ’’cristianesimo sociale” che il movimento che reca questo
stesso nome aveva con molta fermezza proposto all’attenzione di tutti già
nel 1925, all’alba dell’èra ecumenica, a
Stoccolma.
« I lavori dell’Assemblea di Upsala,
infatti, senza trascurare le altre dimensioni della vita della Chiesa, sono
stati però dominati da un fermo desiderio di promuovere Io sviluppo di
tutti gli uomini verso una vita degna
e responsabile, nella giustizia e neUa
pace.
« Questa preponderanza dev’ essere
interpretata e commentata. Anzitutto,
occorre rilevare che essa è stata criticata in due modi nel corso dell’Assemblo, e lo sarà ugualmente anche in
seguito ». Oltre alle critiche dei giovani, i quali temono — non sehza ragione — che i documenti, per quanto validi e coraggiosi, restino lettera morta, e dicono perciò: Basta coi discorsi
e le risoluzioni: passiamo ai fatti!, vi
sono le critiche provenienti da ambienti « più conservatori » — come li chiama Chappuis — « che temono di vedere
le Chiese trasformarsi in agenzie filantropiche o- in partiti rivoluzionari ». Coloro che formulano queste critiche « deplorano che le ricerche teologiche di fondo, affidate al Dipartimento ’’Fede e Costituzione” siamo — a
quanto pare — relegate in secondo
piano; osservano che le Chiese devono
lavorare per la conversione delle persone più che per la trasformazione
delle strutture sociali; temono che la
collaborazione tra cattolici e protestanti avviata sul piano dell’azione sociale
nasconda le difficoltà profonde di natura dottrinale, che non sono ancora
risolte ».
Queste critiche, osserva Chappuis,
sono stimolanti e « non devono essere
sottovalutate ». Tuttavia si può muovere loro una obiezione fondamentale,
che è questa:
« Le Chiese esplorano, in questo momento, una dimensione dell’Evangelo.
Esse sanno che il Cristo dà loro appuntamento in quel prossimo sprovveduto, sfruttato, ’’alienato” che la durezza della vita economica e sociale
condanna a vegetare. (...) Se le Chiese, in questo settore, avessero ultimato
la loro esplorazione, se avessero, in
modo evidente, adempiuto la loro missione, se esse svolgessero, senza esitazioni, la funzione di sentinella in favore dell’uomo, allora sarebbe giunto
il momento di ricordare loro altre dimensioni dell’Evangelo ».
Ma purtroppo le Chiese sono ben
lontane dalTaver assolto il loro compito in questo campo. « Non siamo ancora giunti al termine, nè delle nostre
scoperte, nè della nostra ubbidienza,
nè dei nostri sacrifici ».
Perciò « non è questo il momento di
frenare il movimento e di passare a
un altro argomento. Al contrario, è il
momento di mettersi al lavoro con
ancora maggior decisione e di passare
ai fatti, dovunque e ogni volta che si
intravvede chiaramente a quali conseguenze pratiche l’Evangelo ci porta».
André Appel
André Appel è il Segretario genérale della Federazione Luterana Mondiale, che ha sede a Ginevra e raggruppa
tutte le Chiese luterane del mondo. Il
Servizio Stampa di questa Federazione
ha diffuso, il 1“ agosto scorso, un commento di André Appel alla IV Assemblea del CEC, di cui stralciamo alcuni
brani :
« La Quarta Assemblea del Consiglio
Mondiale delle Chiese è stata uno
sforzo genuino da parte delle chiese
di assumere le loro responsabilità di
fronte alle necessità del mondo. Forse
Upsala ha sopravvalutato la sua capacità di trattare, in così breve tempo,
un così gran numero di questioni di
portata mondiale. Ciò nondimeno, la
Assemblea è stata uno sforzo sincero
di sostituire delle discussioni di carattere dottrinale, introverse e fine a se
stesse, con delle elaborazioni concrete
sulla potenza di rinnovamento che è
data nella fede.
« Pure, è lecito chiedersi se alcuni
dei documenti e delle' direttive accet
tate daH’Assemblea come punti di ri
ferimento da proporre alle Chiese so
no sufficientemente fondate sulla le
de, o non sono piuttosto troppo fonda
te su una visione dell’uomo oggi fin
troppo popolare: l’uomo di buon senso e di buona volontà. (...).
« Molti tecnici ed esperti hanno aiutato i delegati a vederci chiaro nei
problemi in giuoco. Ma che dire delle
soluzioni proposte? Sono nate da un
impegno cristiano e ispirate dallo Spirito di Cristo che rinnova ogni cosa? (...) La specificità di un contributo
cristiano alla società non appare chiaramente dai documenti e dalle risoluzioni di Upsala ».
Dopo aver osservato che il rapporto
della Sezione I («Lo Spirito Santo e
la cattolicità della Chiesa») «può diventare il documento più significativo
dell’Assemblea », André Appel dichiara che « Upsala ha aggiunto importanti dimensioni al significato di ecumenicità ». Nello stesso tempo, la IV Assemblea del CEC « ha rivelato una diversità di tradizioni e di posizioni confessionali che devono essere messe a
confronto in modo più aperto e anche
messe a fuoco, anziché essere minimizzate e ignorate ».
A proposito delle Alleanze Confessionali Mondiali (oltre a quella luterana, sono particolarmente importanti
quella riformata, quella battista e
quella metodista), André Appel osserva : « Tre documenti di Upsala fanno
riferimento alle Famiglie Confessi«
nali Mondiali, chiedendo una più chiara valutazione della loro funzione nel
quadro del movimento ecumenico e
nei loro rapporti col CEC. Può sembrare paradossale che in un tempo come il nostro in cui le linee di demarcazione teologica non coincidono più
con le frontiere confessionali e dopo
Che alcuni anni addietro sono state
formulate critiche pesanti alle Fami
glie Confessionali Mondiali, queste
ultime stiano oggi ricomparendo sulla
scena eciunenica con nuova forza »
(...) In misura crescente esse vengono
riconosciute come « espressioni parziali dell’universalità della Chiesa » e, da
parte loro esse sono sempre più disposte a « svolgere una funzione provvisoria ma necessaria nello sforzo ecumenico ».
Carlo Boyer S.l.
Dulcis in fundo, « L’Osservatore Romano ». Prima, durante e dopo lo svol
gimento dell’Assemblea di Upsala, abbiamo sfogliato con cura ogni numero
del quotidiano vaticano, pensando di
trovarvi qualche cronaca delT'avven?
mento, o almeno qualche cenno : invece nulla. Come se nulla fosse. Mentre a Upsala, tra l’altro, si stava profilando l’eventualità dell’ingresso della Chiesa di Roma nel Consiglio Ecumenico delle Chiese, l’organo del Vaticano taceva solennemente. Strani contrasti.
Infine, nel n>' del 4 agosto, il gesuita Carlo Boyer dedicava un articolo
non già all’assemblea ecumenica nel
suo insieme ma al « Messaggio ai nostri fratelli cristiani », rivolto dai delegati al termine dei lavori (lo abbiamo
pubblicato sul numero scorso del giornale).
Dopo aver esposto e brevemente
commentato il contenuto del Messaggio, « che possiamo sin d’ora raccogliere » — scrive il Boyer — l’articolista si sofferma in modo particolare
sulla questione dell’eventuale ingresso
della Chiesa cattolica nel CEC, facendo queste considerazioni :« La questione è stata posta, ed anche con un interesse più vivo di quanto si prevedeva. È apparso che adesso sia necessario di considerare il pro e il contro. (,...)
« Non si tratta più di dottrina. Da
parte del CEC, ogni Chiesa che confessi la divinità di Cristo e la Santa Trinità, può essere ammessa come membro. La Chiesa cattolica, da parte sua,
desidera collaborare con il CEC, in favore dell’unità cristiana. Ma certe difficoltà persistono, da una parte e dall’altra. Con i suoi diritti di membro,
la Chiesa cattolica romana, che da
sola conta tanti fedeli quanti quelli
delle altre Chiese insieme, peserebbe
molto nelle deliberazioni, tanto più
che essa si troverebbe più spesso d’accordo con le Chiese ortodosse e anche
di frequente con la Chiesa anglicana.
Possono le Chiese protestanti considerare con piacere una tale situazione?
« D’altronde, la Chiesa cattolica, con
la sua presenza nel Gruppo misto e
nella Commissione Fede e Costituzione, pratica, senza esserne membro, una collaborazione efficace con il CEC,
pur conservando la sua libertà di azione; mentre che, divenuta uno dei 233
membri del Consiglio essa rischia di
incontrare qualche impedimento ».
Ed ecco la laconica conclusione^ di
Boyer : « La questione ha la sua importanza, ma la soluzione non appare
urgente. Al gruppo misto di esaminare
e alle supreme autorità di decidere ».
5
N. 33-34 — 30 agosto 1968
pag. IT
URSS IMPERIALISTA
l'imnsione Iella CecoslovaeGliia
la Un iqi altri [3 politica di iiD Cristiano
ri amici in Cristo. ■
Profondamente emozionati per i gravissimi avvenimenti della Cecoslovacchia,
che ci hanno sorpresi e colpiti come per
una pugnalata alla schiena, non troviamo
parole per esprimere la nostra indignazione
c guardiamo con angoscia al futuro. Innumerevoli scritti che abbiamo consultati, taluni d ndubbia acutezza critica, tentano di
r'-,oonii*.:ie. in più modi, alla domanda.
;V)( /iè riuinno fatto? ». Non possiamo
allermare che qualcuno ci abbia convinti.
Crediamo di mancare d’informaziom
obiettive e sicure, e perciò ci bmi'ùamo ogei a riportare i punti salienti dell articolo
di fondo pubblicato (col titolo di cui sopra)
-su «Le Monde» de! 23.8.‘68.
« Più di trentasei ore dolio l'invasione della Cecoslovacchia, ad opera di eserciti che
dicevano di venire al soccorso di "Intoni
comunisti" in difficoltà, il Cremlino continua a Pruna la ricerca dell'uomo disposto
ad tivaiincrc il ruolo d'un Quisling e a far
unìine nel caos politico che quell'intervento
ho .temo. Questo solo fatto dice già molto
su! valore delle giustificazioni che Mosca
aveva creduto di poter avanzare in appoggio alla sua decisione.
Per la verità, quattro uomini della direzione del partito, e cioè i signori Kalder,
Bilak, Barhirek e ìndra. .sembra abbiano
fatto ' il giuoco della collaborazione provando a raccogliere dietro di loro una fiazlone sufficiente del comitato centrale. Infatti tutti c ciiiattro, negli ultimi mesi serán
fatta una certa fama di "neo-conservatori' ,
e la loro opposizione al Sig. Oiibcek si era
at tenruata negli ultimi tempi, avvicinandosi l'epoca del congresso del partito. Ciò non
ostante solo i primi tre sono membri del
presidium. (...) La difficoltà deriva dal fatto
che Mosca ha tagliato definitivamente i ponti col sig. Dubeek e con la sua direzione legale, sla con l'azione di forza, sia con la
requisitoria ad oltranza che la "Pravda" ha
pubblicato giovedì 22. Il meno che si può
dire è che questi' documento, concepito essenzialmente pel gì ustiflcare I azione dei
"Cinque" limanti all'opinione sovietica interna. è ahi. rame rispetto alla situazione in
Cecoslovaci hia. come d’altra parte rispetto
olla situazione nel resto del mondo. Ben
difficilmente si troveranno a Praga, perfino
fra i conservatori della direzione attuale,
delle persone disposte a trattare il signor
Dubeek come un "traditore" e a considerare quasi tutto ciò ch'è stato fatto a Praga
quest'anno, come un fenomeno di "revisionismo". (...) La crisi si sta dunque delineando. dal punto di vista politico, molto più
difficile a risolversi di quella dell'Ungheria
Idei 1956) che tuttavia fu molto più sanguinosa.
Tutto conferma anche che la crisi, all'interno del movimento comunista, sarà più
acuta che nel 1956. Già la lettera di Varsavia aveva raccolto l'approvazione soltanto
d'un quinto circa dei partiti comunisti di
lutto il mondo. L'URSS si troverà dunque
isolata, come mai nel passato.
Continuamente ci si sente costretti a domandarsi quali ragioni hanno indotto i capi sovietici ad una simile decisione. Le voci di disaccordo, provenienti da Mosca, sono tanto più verosimili, quanto più l'azione
sovietica, a partire dal mese di maggio, e
ancora recentissimamente a Cernia e a
Bratislava, è la testimonianza d'una profonda esitazione. Una ipotesi è che il comitato centrale sovietico, popolato da staliniani di provincia, s'è dimostrato ancor più
"reazionario" del suo presidium ed ha imposto il rinnegamento del compromesso di
Bratislava: è .stato osservato che II "Parlamento del partito" non era stato consultato dopo l'Incontro dei "Sei", mentre lo è
stato dopo l'incontro dei "Cinque" a Varsavia.
In ogni caso, il perpetuarsi dell'esperienza
cecoslovacca deve aver messo Mosca In un
profondo imbarazzo: perchè il sistema delle "direttive burocratiche" che il sig. Dubeek andava distruggendo, attribuendolo prudentemente al .sig. Novotny, non era in
realtà altro che il sistema sovietico, che
Stalin aveva creato e che oggi ancora si
conserva a Mosca. Il sig. Brejnev e I suoi
colleglli si sono infine decisi a scegliere alcuni anni di tranquillità precària, piutto.stochè imporsi lo sforzo di esaminare in
profondità quel sistema ».
Tullio Viola
[sìste ancora il Biafra?
Moiitro (‘ontiiiiiiaiiio a ricevere
coll granile rieoriosceiizu le oflerte.
contro la faine (le! snoinlo, clic in
queste sellinuuie come già preannunciato destiniamo per le popolazioni del Biafra, apprendiamo
che la silii.azione di ipiel paese si fa
vieppiii draininatiea ed insostenibile, nè Siipiiianio. quando queste righe ai>|KU'ii.uino. se quel martoriato
popolo esl.sterà ancora come tale,
dato che le trattative per la pace
paiono giunte ad un punto morto.
Non è qui nostro compito od intenzione lare un’analisi della situazione r,t or ii’o-pi ili t ica ]>er individuare
le (•aii.-'C c le resjionsahiIita di ciò
che .sla colà iii-cadendo ; di certo sap[iiiuno pero l'iu' si \ itole sterminare
una razza, col coinjiiaccnte aiuto di
armi europee (è noto infatti che alla
Nigeria giungono armi inglesi e russe); è in corso un vero genocidio
contro un popolo che vuol lottare
fino airultimo contro le artilìoiali
frontiere o |)roinisciiità create dal
Coioii !.I I isino.
riiicMinio che la situazione del
Biafra e orinai insostenibile. Un recenti -,er\òzio 'i girato n dalla nostra
tele\ isionc ci ha fatto re.stare inorriditi e quasi increduli, se non vi fossero state le iininagini e i documenti inoppugn.abili a confermarci i fatti ;
Seimila bambini muoiono giornalmente di stenti; alla fame si è agaiunla la malaria e la dissenteria. La
pelle di ipieste vittime innocenti diventa gradatamente di un colore
bian.o ro^ato. il loro sguardo si fa
sempre piti sereno e distaccato, finché muoiono.
Parecchie scuole e chiese sono
state bombardate e, tanto per dare
maggiore « efficacia » alle sue azioni
belliche, il governo centrale di Lagos ha pensato bene di adottare —
viill’edifioante esempio del Vietnam
anche le bombe al napalm, il terl'i’biic fuoco distruggitore che non
lascia Iraccia di vita umana, animale
o vegetale: se qualche persona rimane « solo » ustionata ne porta le
tracce e le conseguenze per tutta la
vita.
Gli aiuti pervengono come possono: basti pensare che sulle trecento
tonnellate di viveri necessarie giornalmente ne giungono tre ed è come
dire che su cento bambini minacciati di morir di fame se ne salva
uno!
Mentre dobbiamo constatare, con
profonda angoscia, che organismi
Cari amici in Cristo,
mi sento, come credente e servente
del Signore, il dovere e il privilegio di
incoraggiarvi e dirvi la mia approvazione per l’appello per la fame nel
mondo che avete fatto sull’Eco-Luce.
È con slancio che penso di inviare, piacendo a Dio, una piccola somma, che
Egli mi ha provveduto, per quello scopo. Penso spedire al più presto, con
l’aiuto di Dio, 5.000 lire. Sperando
molti seguano l’esempio. Che Iddio ci
aiuti al soccorso dei bisognosi di corpo
e di spirito.
Lìdia Peruggìa Frache
Villar Penice (Torino)
Huove offerte pervenuteci
N. N. L. 7.000; Emilia Peyrot 5.000; Claudia Peyrot 1.000.
Da Bergamo: un lettore L. 20.000.
Da Roma: M. L. Vingiano L. 20.000.
Da Genova: Farri. Mar’a Alfieri 10.000.
Da Torre Pellice: Piena Selis 1.000; Avv. S.
Peyrot 5.000; Mary Tron 5.000.
Da Napoli: Marco Tullio Fiorio 20.000.
Da An^rogna: M. F. a R. Co'isson 1.000.
Da SampierdareiK! : Roberto Cavo 1.000:
Elisa Cavo 1.000.
Da Torino: Anj;» la De Agostini 1.000; Fa.
miglia Caruso 500 Lidia Magliana 2.000;
Lisctte Roslan l.OUO: Evi^ìna Taccia 1.000;
Coniugi Finino 1.000; Famiglia Botta 4.000;
S. P. R. 5.000; El\iia Torre 10.000; Tullio
Viola 20.000; E. P. 10.000.
Da Frauenfeld (Svizzera): Domenico Di
Toro 10.000.
Quanto costa
rifiutarsi d> uccidere
GIULIANO CAÍ EFFI:
Testimone di t leova, rilegatore di libri, nato a Cadclbosco di Sopra (Reggio Emilia), residente a Nichelino (Torino).
CONDANNE
19-12-63, Trib. >5il. Bari, 6 mesi;
17-9-64, Trib M;i. Bologna, 9 mesi;
16-11-65, Trib. ,Viil. Torino, 5 mesi;
7-3-67, Trib. IVI il. Torino, 7 mesi;
23-10-67, Trib. V!11. Roma, 1 anno e 7
mesi.
(di Azione Nonviolenta
g i !i g no-luglio 1968)
internazionali come l’O.N.U. non
intervengono (pur essendovi gli
e-tremi di genocidio) colla scusa che
si tratta di una ’’questione interna”,
rinnoviamo il nostro più fraterno e
caldo appello ai nostri lettori di
farci pervenire costantemente e geuerosamenle le loro offerte che invieremo all’EPER nella cristiana
speranza di giungere in tempo a salvare qualche vita umana.
Roberto Peyrot
Appello alle Chiese
Le 235 Chiese che fan parte del Consiglio Ecumenico hanno ricevuto un
appello del Segretario generale, pastore E. C. Blake, in cui esse sono pregate
di chiedere con urgenza ai rispettivi
governi di agire immediatamente per
porre fine alla fame e alle sofferenze
delle vittime del conflitto in corso tra
la Nigeria e il Biafra. In particolare
viene chiesto che i governi esercitino
una pressione diplomatica sui belligeranti affinchè aprano le vie di comunicazione che consentano agli organismi di soccorso di portare a destinazione gli aiuti che giacciono nei magazzini nelle vicinanze delle regioni
teatro della guerra. Il pastore Blake
ha precisato che il Consiglio Ecumenico dispone di centinaia di tonnellate di viveri, che sarebbero immediatamente spediti non appena le vie d’accesso fossero aperte.
Un genocidio
« Il più spaventoso genocidio che sia
stato perpetrato dalla seconda guerra mondiale in poi, prosegue. E questa volta tatto
il mondo ne è a conoscenza. Ma la maggior parte dei governi non fa nulla, mentre
altri, ed è il ca.so delTInghilterra e delrURSS, accantonata ogni considerazione
ideologicii cd nnuinitoriii, continuono o
mandar armi al governo federale di Lagos,
(he è il responsabile del genocidio stesso.
Certo I diplomatici non sono rimasti Inattivi. / rappresentanti della Nigeria e del separatisti del Biafra hanno finito per incontrarsi ad Addis-Abeba, sotto gli auspici delrOrganizzazione dell'unità africana. Ma gli
sforzi dell'Imperatore d'Etiopia non son venuti a capo di nulla ». La verità è che nè
queirOrganizzazione, nè tan'Io meno l'ONU
(nella quale i separatisti confidano un poco) possono fare gran che. La ragione è che
gli Stati Africani, in maggioranza, tendono
a conservare le frontiere dell’antica colonizzazione. (I Gli uni, e precisamente il Sudan ed il Congo-Kinshasa, temono se la
Nigeria dovesse smembrarsi, di dover a loro
volta fronteggiare dei movimenti centrifughi: del resto numerosi Stati africani sono
coacervi di gruppi etnici che non son vissuti insieme che sotto la dominazione straniera. Gli altri, cui si associano le grandi
potenze, desiderano soprattutto conservare
uno "stati! quo" sul quale esiste un minimo
di consenso sia all'Est che all'Ovest. Tuttavia, al punto a cui sono arrivate le cose
nel Biafra, un slmile atteggiamento non è
che farisaismo puro e semplice ».
(Da « Le Monde del 21-8-68)
Al) agape
Mozione sello condanne
a morte iir Rhodesia
Noi, studenti e non studenti, provenienti da 14 paesi africani e 10 europei, partecipanti alla conferenza internazionale Europa-A ITica (Agape, 4-15
agosto) eondanniamo vigorosamente
la brutale e inumana sentenza di morte emessa contro 3: combattenti per
la libertà impegnati in una lotta legale contro l’illegale regime di lan
Smith e della sua ctitea.
Vi chiediamo pertauto di impiegare
ogni mezzo a vostra disposizione per
ottenere la loro immi diata scarcerazione. Voi disponete dei mezzi adatti:
utilizzateli. La vostra inazione sarebbe
vera e propria coniplicità in questo
atto illegale e inumano, che si qualifica come assassinio collettivo,
.Agape. 14 agosto 1968
Questa niozioné è stata inviala al Foreign
Office. Londra, al rappresentante britannico
a Salisbury {South Rhodesia), alTOrganizzuzione degli Stati Africani {Addis Abeba).
al Segretario Generale delle Nazioni Unite,
al Ministero degli Esteri llaliano.
Nixon e i negri
La designazione, da parte della recente convenzione repubblicana svoltasi a Miami (Florida), di Richard
Nixon e di Spiro Agnew (Governatore
del Maryland) a candidati del partito
repubblicano, rispettivamente alla
presidenza e alla vicepresidenza degli
Stati Uniti, sono state commentate
sfavorevolmente dagli esponenti dei
movimenti per i diritti civili dei negri
e per l’integrazione razziale.
Fra gli altri, il successore di Martin
L. King, pastore Ralph Albernathy,
presidente della « Conferenza dei leaders cristiani del Sud », ha affermato
che, a suo parere, « le recenti dichiarazioni del candidato repubblicano alla
presidenza dimostrano che egli rimane insensibile alle necessità dei poveri
della nostra Nazione » Ed ha aggiunto : « Le dichiarazioni del suo compagno di lista (Spiro Agnew) non sono
chiare, ma la sua scelta sembra tutt’altro che atta a favorire le jiossibilità
dei repubblicani nelle grandi città e
fra gli elettori negri ».
lo memoria di llartin L. tiio^
(bip) - Il Messico è il primo paese ad onorare la memoria del pastore M. L. King
con l'emissione di un francobollo, la cui
tiratura ammonta ad un milione di esemplari. 11 francobollo contiene Timmagine del
leader della non-violenza. su fondo grigio,
sormontato da una colomba e bordato di
nero. . ,
Inoltre, una piazza della città svedese di
Upsala (sede della IV Assemblea del
C.E.C.), situata nel quartiere universitario,
fra i! palazzo vescovile ed il centro della
stampa ecumenica, verrà chiamata « piazza
M. L. King ».
Nove pagine di bibliografia contengono l’elenco delle opere brevi o lunghe
in cui il massimo teologo riformato
del nostro secolo si è occupato di politica (1). I titoli sono numerosi anche
se si tien conto della facilità con cui
l’Autore ha prodotto scritti di teologia
nella sua lunga e fruttuosa vita. Ma
non pensiamo che si potrebbe trovare
di che riempire altrettante pagine se
si raccogliessero i titoli degli scritti su
altri problemi della vita sociale e culturale del nostro secolo. Il fatto è già
di per sè indicativo. Ma se da questa
semplice considerazione quantitativa
si passa all’esame del contenuto di
questi scritti, anche se si ha talvolta
l’impressione che Barth non abbia
spinto abbastanza avanti il discorso,
non si può non ricavare l’impressione
che la politica è non una delle questioni fondamentali poste dal mondo ai
credenti ma, viceversa, una questione
fondamentale che i credenti pongono
al mondo. La Germania di Hitler sarebbe forse stata disposta ad ascoltare da Karl Barth delle conversazioni
sull’aldi-là. Barth le ha posto con la
sua teologia delle questioni che mettevano sotto il giudizio di Dio la sua politica e perciò essa lo ha espulso.
La lotta della Chiesa confessante
sotto il nazismo, animata ed ispirata
principalmente da Barth, è abbastanza conosciuta nelle sue grandi linee
perchè non sia necessario riprenderne
una sia pur breve esposizione qui. Si è
parlato a più riprese di Barmen anche
sulle nostre colonne e tutti sanno dell’espulsione di Barth dalla Germania.
Meno noto è, invece, come Barth stesso
abbia proseguito la lotta a distanza,
mentre molti dei suoi collaboratori pagavano la loro coerenza nei campi di
concentramento.
La lettera a Hromadka
1938. L’Austria è assorbita dalla Germania e Vienna diventa una provincia
tedesca. Ma altri tedeschi, oltre agli
austriaci, vivono fuori dai confini del
Reich. Anche la Cecoslovacchia è ben
presto in pericolo e Barth scrive al professor Hromadka di Praga una lettera
che solleverà ben presto l’opposizione
non solo dei nazisti ma anche di molti
della chiesa confessante per il suo carattere militarista ; « Ogni soldato ceco
che combatterà e soffrirà lo farà anche per noi — e lo dico oggi senza riserve, lo farà anche per la chiesa di
Gesù Cristo che, nell’atmosfera degli
Hitler e dei Mussolini, può soltanto
soccombere al ridicolo e allo sterminio ». Il problema dei tedeschi abitanti
nel territorio dei Sudeti deve avere
una soluzione più equa di quanto non
sia stato capace di dare il governo ceco, ma la caduta sotto la dittatura nazista non è un rimedio, ma un male di
gran lunga maggiore. Perciò la condotta e le dichiarazioni della chiesa non
possono ispirarsi ad un pacifismo di
principio, ma al giudizio sulla corrispondenza o meno delle autorità al
compito loro affidato da Dio. Hitler
non rientra nella categoria delle autorità di Romani 13, perchè è la negazione della Risurrezione di Cristo e del
Regno di Dio.
La seconda
guerra mondiale
Analogo atteggiamento Barth assume allo scoppio della Seconda Guerra
Mondiale. Lo spirito del nazismo « di
menzogna cosciente, di illegalità voluta, di disprezzo e di violenza sistematica nei confronti degli uomini », è uno
spirito demoniaco. «La sua dominazione è peggiore della guerra ». Perciò
«Noi cristiani di tutti i paesi, ci troviamo di fronte alla guerra attuale in
una situazione affatto diversa da quella che abbiamo vissuto un quarto di
secolo fa: noi non l’assumiamo solo
come un male necessario, ma dobbiamo approvarla come una guerra giusta, non solo tollerata da Dio, ma da
Lui ordinata». Questi accenti che ci
mettono a disagio non intendono giustificare la guerra in generale, ma
questa guerra. In essa Barth vede un
segno precursore della liquidazione finale delle forze del Maligno. Le chiese
devono approvarla come l’estremo rimedio, senza dubbio, ma come un estremo rimedio di uso indispensabile.
Le motivazioni di un appoggio così; incondizionato, però, sono ben diverse
da quelle dei generali alleati ed il senso del successo militare finale riceve
un’interpretazione che poco garba a
coloro che dovranno dare un seguito
alla storia europea dopo la sconfitta
nazista. Per i generali il Reich non è
un’incarnazione demoniaca, è semplicemente il nemico, un nemico militare come ce ne sono sempre stati e come ce ne saranno sempre, perciò anche la cessazione della guerra dovrà
essere simile a tutte le altre cessazioni
di guerra, con vincitori e vinti, con
patti soggetti a revisioni e a discussioni. La sfida del discorso politico lanciato dalla chiesa non trova ascolto presso il mondo neanche quando l’azione
pratica immediata sembra dover coincidere con l’impostazione di quest’ultimo.
Alla fine della guerra, infatti, Barth
si preoccupa affinchè la pace abbia
un carattere altrettanto ecceàonale
quanto la guerra stessa. La disfatta
che egli auspicava è avvenuta. Ma adesso devono guarire non solo coloro
che erano stati offesi dal Maligno nell’azione del nazismo, ma gli stessi tedeschi, vittime quanto gli altri di questa medesima azione satanica. Come
guariranno i tedeschi? Le responsabilità di questa guarigione spettano in
parti uguali agli alleati ed ai tedeschi
stessi. Occorre tutto ricominciare daccapo. Se il risultato dell’umiliazione
inflitta ai tedeschi dopo la prima guerra mondiale è stato il nazismo, occorre
ad ogni costo evitare una seconda umiliazione di questo tipo. D’altra parte
i tedeschi stessi devono dimostrare che
intendono la loro rinascita nella prospettiva della risurrezione di Cristo.
Perciò il riarmo tedesco avrà l’opposizione più netta di Barth, perchè la
nuova missione della Germania può
avere senso solo nel contesto di un
suo isolamento, simile a quello svizzero, dalla politica militare mondiale.
’Tutto questo sarà possibile solo se la
chiesa saprà predicare con fedeltà
l’Evangelo vivente più di quanto abbia fatto sotto il nazismo.
Comunità cristiana
e comunità civile
È nel ’46, all’indomani della fine della guerra, che Barth scrive un testo
con questo titolo, che riassume l’impostazione teorica del suo atteggiamento
generale sui problemi politici. È impossibile riassumerne il contenuto, in
cui è chiaro che l’Evangelo si vive nella storia e non nell’intimità della coscienza. La missione della chiesa, dunque, comprende anche l’annunzio alla
comunità civile. Il suo contributo consisterà essenzialmente nell’eserapio che
la chiesa darà col modo di vivere e di
organizzare la propria esistenza, le
proprie costituzioni, il proprio governo
e la propria amministrazione. Non si
appoggerà per questo ad un partito
« cristiano » e non temerà di vedere i
suoi membri appartenere a partiti diversi « non-cristiani ». Dovrà sapere,
all’occorrenza, essere contro il partito,
a favore della comunità civile nel suo
insieme.
Lotta per la pace
Da questo momento l’atteggiamento
politico di Barth sembra subire o, comunque, entrare in una svolta. Mentre nella contrapposizione precedente,
infatti, egli ha detto di no ad uno dei
due blocchi politici contrapposti, dalla
fine degli anni ’40, questo no continua
ad essere detto di fronte alla guerra,
ma il giudizio del teologo sulla nuova
contrapposizione est-ovest si fa più
sfumata. Da varie parti gli si chiede
una condanna del comunismo simile
a quella pronunciata sul nazismo, ma
Barth sostiene che il comunismo non
ha più la pretesa di fare della teologia, si presenta come un partito ateo,
non adultera la fede cristiana, non ci
sono dei cristiano-russi come c’erano
stati dei cristiano-tedeschi. Anche in
occasione del fatti d’Ungheria Barth
rifiuta di pronunciare una condanna
che suonerebbe più come condanna
dei russi che come intervento a favore
degli ungheresi, se pronunciata nel
contesto delle proteste dell’occidente
che, però, si commuove molto meno
quando le vittime di fatti simili sono
i comunisti.
Dunque, al contrario degli anni della Seconda Guerra Mondiale, lotta
contro la guerra, ma non contro uno
dei blocchi che si sono formati. La
bomba atomica pone in termini del
tutto nuovi la distinzione irà guerra
giusta e ingiusta e rende perfettamente accettabile e meritevole del massimo appoggio l’obiezione di coscienza.
Caso mai, il no al sistema va pronunciato tanto sull’est quanto sull’ovest,
dove il totalitarismo è solo più mascherato dalle fini astuzie dell’economia
di mercato e dei grandi blocchi industriali. Chi comanda non è una dittatura politica, ma una dittatura economica ; e contro questa nessuno chiede una condanna.
* ♦
C’è da domandarsi, come dicevamo,
se quest’ultimo atteggiamento di Barth
sia stato abbastanza spìnto e conseguente con quello degli anni ’30. Infatti è vero che l’ateismo marxista
non adultera la fede cristana, ma non
è per caso la democrazia cristana occidentale che ripete lo stesso tentativo dei cristiani-tedeschi di avere un
cristianesimo a proprio uso e consumo, un po’ più neutro e un po’ meno
rigorosamente definito, ma ugualmente estraneo al severo giudizio di Dio
su ogni tentativo di sacralizzare lo
« status quo » e di capovolgere l’afferinazione di Romani 13 « non v*è autorità se non da Dio » in « non v è Dio
se non nell’autorità cristiana»? Non
è questo tentativo tanto più grave teologicamente, quanto più è nascosto.
Naturalmente queste perplessità non
hanno alcuna intenzione di avallare
un qualsiasi ateismo o totalitarismo.
Ma è bene restare liberi anche nei confronti dei nostri maggiori maestri.
Claudio Tron
1) Daniel Cornu; Karl Barth et la Politi
que. Labor et Fides, Genève. 1968, pagg.
223, Fr.s. 16.50.
Al LETTORI
Con questa settimana riprende la
regolare pubblicazione settimanale
del nostro periodico, dopo la rarefazione estiva.
Nel prossimo numero presenteremo i lavori sinodali ; diverso materiale, fra cui varie cronache delle comunità, ha dovuto essere rinviato, e
ce ne scusiamo.
6
■pag. 6
30 agosto 1968 — N. 33-34
1/ Papa In Colombia
Contestazioni giovanili a Zurigo
In margine al viaggio di Paolo VI " Siete tutti schiavi !
«Siete tutti schiavi!» Questa accusa marsi cristlann9 _ r.n Hnnna Hi
fi
in occasione del recentissimo viaggio di Paolo VI in Colombia, i giornali
hanno descritto la desolante situazione in cui versa questo paese (come
altri dell'America Latina): profonda
depressione economica, reddito nazionale tra i più bassi del mondo, squilibri paurosi nella distribuzione della
ricchezza, inadeguatezza estrema dei
servizi di sicurezza sociale, arbitri di
ogni genere nello sfruttamento delle
risorse economiche del paese, altissima percentuale di analfabeti, mancanza di scuole e di insegnanti, regimi politici totalitari, sostenuti dai militari, dalle oligarchie di possidenti
agricoli nonché dalle gerarchie ecclesiastiche.
Su questo sfondo drammatico, molta nostra stampa sottolinea il « coraggio », il « viaggio sofferto », la « profonda trepidazione », la « missione di
pace » di Paolo VI.
Ci siamo consentite, al riguardo, alcune considerazioni.
In primo luogo è lecito ritenere che
se la Colombia si trova in questa condizione di profonda depressione economica, sociale, politica e culturale, la
Chiesa cattolica, presente ed operante
nel paese da oltre quattro secoli, abbia non poche responsabilità, tanto
più che la Colombia è cattolica al 96%
e ben poche possibilità di azione e di
testimonianza sono state lasciate, fino
a questi ultimi tempi, ad altre confessioni religiose. Se la « civiltà cristiana » di marca cattolica, introdotta
con le armate spagnole e mantenutavi per tanti secoli, ha « cristianizzato » il paese con i risultati che ci
vengono presentati, riteniamo che il
viaggio di Paolo VI avrebbe dovuto
avere un carattere ben diverso da
quello che ha avuto: avrebbe dovuto essere un pellegrinaggio di pentimento, di umiliazione, di confessione
di peccato per la secolare inadempienza della Chiesa al suo mandato.
In secondo luogo, la presenza di
Paolo VI in Colombia ci fa tornare in
mente quella che fu la posizione e
il comportamento della Chiesa Romana quando, non molti anni or sono, si venne a conoscenza delle persecuzioni che le Chiese protestanti
subivano in Colombia. Non risulta
che in quella circostanza il pontefice
romano allora regnante o lo stesso
monsignor Montini, oggi grande paladino di tutte le libertà, abbiano manifestato particolare « trepidazione ;>
per quanti allora erano perseguitati.
Quanto ai motivi del viaggio, essi
sono senza dubbio molteplici, ma il
più ovvio e quello che meglio di ogni
altro spiega la « trepidazione » di
Paolo VI, è questo: la prospettiva
della rivoluzione. Se è vero che la parabola dei cattolicesimo ufficiale va
dalla Controriforma alla controrivoluzione, il viaggio di Paolo VI in America Latina si spiega perfettamente.
Non ci sentiamo perciò di associarci al coro plaudente di certa nostra
stampa che non ha osato denunciare
le responsabilità plurisecolari del cattolicesimo nel Sud America né ha colto le implicazioni controrivoluzionarie
del viaggio pontificio.
E se di « coraggio » si vuol parlare,
se ne parli a proposito: coraggioso
è chi rende aperta, anche se rischiosa,
testimonianza alla forza di rinnovamento e all'impulso rivoluzionario
che procedono dall'Evangelo, e non
già chi, dopo secoli di inadempienze,
compie oggi un tardivo tentativo di
riparazione.
Marco Ricca
« Siete tutti schiavi ! » Questa accusa
fu lanciata da un gruppo di giovani
manifestanti in una grande città contro gli operai che si recavano al lavoro. « Siete tutti schiavi ! » gridano i
giovani ribelli di tutti i paesi nelle
strade, nelle famiglie, nelle fabbriche,
nelle scuole e... perfino nelle chiese!
Quale diritto permette loro di ribellarsi contro i loro padri, che hanno
vissuto una gioventù molto più dura
della loro, contro un sistema stabilito
che garantisce loro una vita di benessere, contro la Chiesa che, dopo secoli di gravi lotte, finalmente ha trovato
modo di vivere in pace? E che cosa
vogliono?
L’argomento, introdotto da tre giovani, suscitò una viva discussione fra
le quaranta persone presenti alla riunione del 28 luglio. I primi interventi
condannarono la violenza con la quale
si manifestano certe proteste. Ma possiamo fermarci sulle forme di contestazione? Non sono proprio esse i sintomi che manifestano la fondatezza
dell’ accusa : Siamo tutti schiavi,
legati ad un sistema violento? E su
questo punto fu ovvio che noi tutti
sentiamo il disagio espresso dai giovani ribelli: l’operaio che lavora in una
fabbrica d’armi — può ancora chia
{(Santità, non venga in Cniombia h)
Com’è noto nei giorni scorsi Paolo VI è andato in Colombia, ove è star
to accolto con tutti gli onori dai capi
di detto paese, che, nel proclamarsi
cristiani e difensori della « vera fede »,
si servono di questa etichetta per cercare di continuare a sfruttare indisturbati le masse dei loro « amministrati »
che vivono in condizioni sub-umane.
Assistiamo sgomenti al clamoroso
ed insostenibile contrasto secondo il
quale, da una parte, si sfrutta la religione come « oppio dei popoli » colla
complicità del clero conservatore, mentre dall’altra, i preti progressisti, colle
parole e coi fatti fanno rilevare la inderogabile necessità di trasformare la
religione formale in sacerdozio di amore e di sacrificio a favore degli umili
e dei diseredati.
È con questo spirito di fede operante che in occasione del « Convegno latino-americano Camillo Torres» i preti cattolici progressisti hanno inviato
al pontefice una lettera pubblicata per
intero sull’ultimo numero del settimanale « L’Espresso ») e di cui riportiamo i punti più significativi:
« ..Xei, Santità, non deve venire in
Colombia. Padre, accetti questa supplica che le facciamo con tutta la sincerità della nostra coscienza cristiana,
perchè il papa non deve venire in Colombia o in altro luogo d’America.
1) Il papa non deve venire perchè
la Colombia è divisa da una guerra civile nella quale il popolo deve disperatamente difendersi da un’oligarchia di
50 famiglie che con l’appoggio degli
yankees (nomignolo che viene dato ai
nordamericani) vogliono strangolarlo...
iiinidiiiriiiiiiiiiiiiiiimiiNiiiiiiiiiimmiiui
Convegno ecumenico a Camaldoli
Il coraggio di essere vivi
« Il coraggio di essere vivi » è il titolo di
un libro recente di Luigi Rosadoni sui cattolici olandesi. Si sta avvicinando il tempo in
cui si potrà e dovrà dire la stessa cosa di
sempre più vasti settori del cattolicesimo
italiano. Questa almeno è Timpressione che
si ricava dalle cronache di un convegno ecumenico avvenuto dal 5 al 12 agosto u.s. a
Camaldoli (Arezzo) e organizzato dal SAE
(Segretariato Attività Ecumeniche), un organismo creato a Venezia intorno agli anni
‘60 per iniziativa di laici cattolici e con l’approvazione (non sappiamo se venne richiesta o meno) dell" autorità ecclesiastica: il
futuro papa Giovanni XXIll, allora patriarca di Venezia, incoraggiò comunque l’iniziativa.
Al Convegno di quest'anno, il cui tema era
« Libertà religiosa ed ecumenismo », hanno
preso parte quasi trecento persone : presenti,
oltre ai cattolici, esponenti israeliti, anglicani,
ortodossi e protestanti, nonché alcuni laicisti
come il radicale M.A. Cattaneo. Fra i protestanti italiani si sono notati il pastore Mario Sbaffi, presidente della Federazione Evan.
geliea Italiana; il prof. Valdo Vinay, della
Facoltà di Teologia di Roma; il pastore G.
Scuderi, della Chiesa valdese di Venezia; il
pastore N. Camellini, della Chiesa battista
di Roma; e — come relatori — il prof. Giorgio Peyrot e il pastore Renzo Bertalot. C’era,
no anche, s’intende, esponenti del mondo
teologico e della gerarchia cattolica. Fra i
teologi ricordiamo l'esegeta P. Lyonnet e
mons. Sartori; fra i presuli, il vescovo Marafini, delegato della Conferenza episcopale
italiana per i problemi deU’ecumenismo, e
il cardinale Urbani, patriarca di Venezia e
presidente della Conferenza episcopale italiana, che ha concluso ¡1 convegno con un di
scorso.
Il tema, svolto in relazioni, tavole roton
de e gruppi di studio, è stato articolato nei
seguenti sotto-temi: matrimoni misti, prò
selitismo e missione, libertà religiosa e dimen
sione sociale dell'uomo, pedagogia della li
bertà, la libertà della Chiesa. Tutti argomenti di alto interesse e cruciali nel dialogo
ecumenico.
Nelle esposizioni, e più ancora nelle di
scussioni, si sono udite molte affermazioni
audaci per un pubblico prevalentemente cat
tolico. anche se addestrato in senso ecume
nico. Così, ad esempio, la tavola rotonda sul
la libertà religiosa in Italia, cui hanno pre
so parte un cattolico, un ebreo, un valdese
e un laico radicale, ha manifestato una so
stanziale convergenza d'opinioni fra i rela
tori i quali, con qualche diversa sfumatura
sono stati concordi nell’affermare che in Ita
lia non esiste una piena libertà religiosa nel
senso che non esiste uguaglianza fra le fedi, e il privilegio accordato al cattolicesimo
dalle leggi e dal costume è straripante. Nel
dibattito che è seguito all'esposizione, diversi
laici cattolici, e numerosi sacerdoti, hanno
sostenuto che è l'ora che questa situazione
privilegiata per la Chiesa cattolica abbia fine. Si è anche scesi nei particolari, esemplificando gli attuali privilegi della Chiesa
cattolica che devono scomparire : fra gli
esempi minori menzionati c’è stato, ad esempio, il concetto di vilipendio alla religione
che, nel nostro codice, diventa aggravato
quando è compiuto a danno della fede cattolica. Un altro esempio è stato citato e vivamente deplorato da padre Turoldo: i] fatto che il
culto evangelico alla radio, la domenica mattina, è trasmesso a un’ora in cui la maggior
parte degli italiani dorme ancora. « Io parlo
- ha aggiunto — in un'ora ben più ascoltabile ». Sempre in tema di libertà religiosa,
padre Turoldo ha detto : « Con la scusa di
difendere i dogmi, noi abbiamo spesso ucciso le opinioni ». Ancora più esplosiva è stata l'affermazione di un laico cattolico a proposito del Concordato : « Bisogna rifiutare il
Concordato, non discuterne certi punti da ri.
formare ».
Queste sono certo posizioni di punta, che
non conviene generalizzare. Ma servono a
dare il senso di quel che è stato, nei suoi
momenti più felici, il convegno di Camaldoli. Il quale, nel suo insieme, ha portato
alla ribalta un laicato cattolico vivo, aperto,
coraggioso, sensibile a posizioni, tematiche e
opinioni che fino a poco fa non trovavano
eco nella coscienza cattolica comune.
2) Il papa non deve venire perchè
la Colombia è un ’laboratorio pilota”
del neocapitalismo liel Terzo Mondo:
meno deH’1% dei colombiani è padrone di più del 75“ 0 della terra. E nella
sua mentalità feudale quella minoranza intende il diritto di proprietà come
un diritto consacrato per abusare del
potere... ’
3) Il papa non deve venire perchè
la Colombia è una delle nazioni più
sfruttate dall’imperialismo. I monopoli yankees sono padroni del 96“/o del
petrolio e del 70 ’. del caffè, monocultura del paese. I. imperialismo fissa il
prezzo dei prodotti che importa e dei
manufatti che esporta. Ne consegue
che, più aumenta Ta produzione, più
aumenta la mise ria e la povertà del
popolo. Il liberali’ C. L. Restrepo, presidente eletto dai 10% dei suffragi, in
una farsa elettorale in cui si ebbe
l’astensione del 70“/o degli elettori, questo signor liberale, i suoi ministri, le
50 famiglie del pri|dlegio, i capì delle
truppe antinazionali che combattono i
patrioti ed alcuni signori dell’alto clero sono i colpevoli della tragedia di
questo paese che raggiunge gli indici
più alti deU’analfabctismo (65%), della mortalità infantile, della sottoalìmentazione, della di-occupazione, della delinquenza e della prostituzione...
4) 11 papa non deve venire perchè
in Colombia il miirìstero delle Colonie americane ha già ordinato ai presidenti burattini di riunirsi a Bogotá
per rendergli omaggio... La grande
maggioranza di quei presidenti non
credono in Dio, n;:i nell’ascendente
che il papa ha sul popolo.« Mancava
solo questa ignominia nella storia del
colonialismo. Non si presti ad essa il
papa. Non venga. La tratta dei presidenti chiuderà così la criminale storia
della tratta delle bianche, degli schiavi, dei negri, dei popoli.
Padre, nello scriverle ciò con tutto
il rispetto e la sincerità possibile, non
facciamo nulla di più che adempiere
alla nostra coscienza dì cattolici, al nostro impegno verso la Chiesa dei poveri e verso il 'Vangelo di coloro che
hanno fame e sete di giustìzia... ».
marsi cristiano? — La donna di casa
che compra le banane a metà prezzo
delle mele svizzere non si fa complice
degli sfruttatori del Terzo Mondo? Il
membro di chiesa — può starsene in
pace di fronte ai massacri nel Vietnam, di fronte alla tragedia del Biafra,
di fronte al conflitto tra Russia e Cecoslovacchia? E ci si presentò tutta la
nostra situazione disperata : disperata,
perchè incompatibile con la nostra fede. Ogni nostro lavoro è un contributo
ad una economia che fa sì; che i ricchi
si arricchiscono sempre di più a spese
dei poveri che sì impoveriscono sempre di più; siamo complici di un sistema politico che, non riuscendo a risolvere il conflitto tra Est ed Ovest,
spende tutte le energie nella corsa agli
armamenti, mentre andiamo incontro
ad una carestia mondiale. È vero: siamo tutti schiavi di una società che,
con la violenza, non cerca che il proprio profitto, che per di più commette
i suoi crimini sotto l’etichetta della
« Beneficienza ». Hanno ragione i giovani di scuoterci, e non possiamo, proprio come credenti, non possiamo non
associarci alla loro contestazione.
Ma contestazione contro chi? — Contro il sistema politico? contro le strutture economiche? contro le forme dei
nostri culti? — Prima di tutto la protesta si rivolge verso noi stessi. Nuove
strutture non si fanno che con uomini nuovi. Ognuno di noi deve
cambiare mentalità. Una vera liberazione significa accettare la Croce e la
Risurrezione di Cristo, la nostra contestazione deve essere il dono di noi
stessi, una vita di servizio. Il lavoro
deve cominciare dal basso, un lavoro
duro e sistematico: dobbiamo svegliare gli uomini della nostra società, studiando insieme a loro ìa nostra vera
situazione e ricordandoci delle nostre
responsabilità, del vero senso della nostra esistenza, dobbiamo associarci ai
manifestanti, ^rtando loro «la parola della riconciliazione ». Il compito è
grave e difficile, e non ci possiamo permettere dj perdere tempo.
Si sono fatte alcune proposte concrete per rinnovare i nostri culti domenicali (preparazione della predica
in comune, discussioni aperte sul messaggio portato, informazioni politiche
durante il culto).
Sarà il compito del nostro prossimo incontro del 18 agosto di trovare
delle vie concrete per attuare una « Rivoluzione nonviolenta ». Siamo coscienti della gravità del momento e della
responsabilità troppo pesante perchè
la possiamo portare, ma abbiamo una
speranza; Cristo è risorto! Egli la
ogni cosa nuova ! Èva Guidon
timiiMimiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiMMiiiiMiimiiiiiiiiiimiiiiiiiKiiiii
' Pillolarnin Regressio'
Riferisce UAstrolabio dell’ll agosto che
certi gruppi giovanili cattolici « più moderni )), consapevoli dei cc confini indefiniti di
un così imponente e sconcertante problema
biologico^ razziale, sociale, che sfugge ai limiti di un nuovo regolamento di disciplina »,
hanno espresso la loro ribellione alla recente enciclica papale Humanae vitae (con cui
— come è noto — Paolo VI ha condannato
l'uso di tutti i mezzi artificiali per limitare
le nascite, tra i quali, in primo luogo, la
« pillolla »), ribattezzando il documento pontificio con (( l’irriverente titolo » : Pillolarum
regressio (il regresso, o la ritirata, delle pillole).
Non sono pochi, infatti, anche fra i cattolici, coloro che ravvisano una aperta contraddizzione tra Tenciclica politico-sociale
Populorum progressio e la Humanae vitae,
contraria alla « pillola », pensando che a il
progresso dei popoli » si realizza anche con
«il progresso della pillola ». Ma Paolo VI
ne ha ordinato la « ritirata » : donde il nuovo titolo, tra l’ironico e il polemico, dato alla sua ultima enciclica.
/ lettori
ci scrivono
Conlradttìzioni
Un lettore, da Genova:
Nel nuni. .11-.32 del 9 agosto del
settimanale « L'Eco-Luce » si può
leggere a pagina 3 :
« ...Attualmente sono in corso di
stampa (in Unione Sovietica) 13 mila
cantici e 20 mila Bibbie. La libertà
di circolazione, di predicazione e di
accogliere nuovi membri è totale... »
e a pagina 5 :
« ...Uomini di chiesa ortodossi e lu.
terani in esilio hanno presentato materiale statistico sulla diminuzione
delle comunità nella loro antica patria, lamentando che le Bibbie possono essere introdotte nell’Unione Sovietica soltanto come merci di contrabbando... ».
Che contraddizione! A chi credere?
Al pastore Popov o al pastore Veliseychik? La realtà sarà forse nel mezzo, ma è triste rilevare che uomini
di chiesa evangelici non abbiano un
solo Maestro, quello che rende gli
uomini veramente liberi. Distinti saluti.
Bruno Lombardi Boccia
Non sono doppioni
Un lettore, da Napoli:
Caro Direttore,
facendo sèguito all’offerta per la
fame nel mondo già inviala a mezzo
c.c.p., vorrei con queste due righe
esprimere Tapprovazione mia e di mia
moglie per riniziativa presa dal nostro giornale di fronte a questo che è
il problema più grosso della società
nell’epoca attuale. L’offerta è per gran
parte frutto di effettive rinunzie praticate nel campo dell’alimentazione,
secondo quanto è stato suggerito. Non
posso però lasciar passare quest’occasione senza esprimere anche la mia
approvazione e il mio plauso per il
giornale, così com’è, nella sua impostazione e nella sua realizzazione. Senza escludere che esso possa essere ancora migliorato, ritengo (anzi riteniamo) che c( La Luce » svolge una funzione importantissima per l’edificazione degli isolati, per ragglornamento di tutti sui problemi che travagliano il mondo e la nostra chiesa, nonché sui rapporti di questa col mondo
e con le altre confessioni religiose, e,
sul piano divulgativo, anche per l’aggìornamento teologico. Non è affatto
un doppione di « Nuovi Tempi », anche se è naturale che alcune notizie
e relazioni (vedi Uppsala) si debbano
trovare su entrambi i periodici. Per
noi quindi degradare « La Luce » a
un semplice bollettino parrocchiale, o
anche ad un giornale che si interessi
di fatti, anche di grande importanza,
per il solo settore delle Valli, come
è stato proposto, sarebbe un grosso
sbaglio che il prossimo Sinodo prò
prio non dovrebbe fare (le notizie e
dibattiti sulle Valli possono benissi
mo essere ospitati nel giornale, cosi
come è, o magari aumentando il numero delle pagine, anche a costo di
ritoccare, come sembra necessario,
l’importo deH'abbonamento).
Occorre poi che nelle comunità si
legga di più questo giornale, che cioè
i Responsabili delle comunità sentano
il dovere di invogliare i membri di
chiesa a leggere e ad abbonarsi, come
io stesso ho cominciato a fare questa
primavera nella mia comunità (NapoliVomero).
Ringraziando per l‘ospitalità. invio
cristiani saluti.
Marco Tullio Fiorio
I iiiHHimHiimiMiiMimi
INAUGURATO A MEANA DI SUSA
villaggio “Martin L King,,
n 15 agosto è stato inaugurato a Meana
di Susa, nella frazione di Campo del Carro,
accanto alia locale cappella evangelica battista il villaggio evangelico intitolato alla
memoria del pastore battista negro Martin
Luther King, premio Nobel 1964 per la pace. recentemente assassinato.
Per l’occasione erano presenti oltre 150
persone, di diverse denominazioni evangeliche, provenienti non solo dal Piemonte (da
Torino e dal Canavese erano stati appositamente noleggiati due pullmann), ma anche dalle regioni limitrofe.
Una splendida giornata ha accolto i convenuti che alle 10,30 si sono radunati nella
cappella battista per il culto di dedicazione
del villaggio : erano presenti fra gli altri
il presidente dell’UCEBl dott. Carmelo Inguanti che ha pronunziato la preghiera di
dedicazione, il preside della Missione Battista americana in Italia dott. Holyfield e la
presidente delle UFMB sig.ra Elena Girolami, insieme a pastori di diverse comunità
battiste della regione e anziani delle chiese
dell'Opera del Fratelli.
Dopo il pranzo, consumato da alcuni al
sacco, da altri nell’ampio refettorio situato
in uno degli edifici, capace di oltre 50 coperti, il pomeriggio è trascorso serenamente
fra giochi, passeggiate e canti di testimonianza cristiana.
Il villaggio, che necessita ancora di parecchi lavori di rifinitura e per il quale so
no previsti ulteriori ampliamenti, sorge, come del resto la cappella, proprio sul terreno
dove tre o quattro secoli or sono venivano
seppelliti gli eretici della zona, spesso trucidati per non aver voluto abbandonare la
loro fede evangelica. La Riforma era infatti
riuscita a penetrare neH’alta Val di Susa,
soprattutto per Linstancabile testimonianza
dei Valdesi provenienti dalla Val Chisone
attraverso il Col'e delle Finestre.
Il villaggio « Martin Luther King » è stato creato dall’Associazione delle Chiese
Battiste del Piemonte e vuole essere un luogo di incontro per chiese, comunità, gruppi
evangelici, una sede per convegni di studio,
colonie estive per bambini delle Scuole
Domenicali e campi per giovani e cadetti.
Circa una diecina di anni fa l'Unione
Battista d’Italia acquistava una vecchia casa di fronte al tempietto pensando di adattarla come sede di incontri e luogo di soggiorno per gli evangelici della zona. Abbandonato poi il progetto originale, veniva installata una casetta prefabbricata sul terreno accanto alla cappella, grazie all’interessamento di un giornale evangelico inglese.
Con il generoso aiuto di alcuni fratelli si
poteva erigere alcuni anni più tardi un secondo edificio prefabbricato. Accanto alle
due precedenti sono infine sorte due piccole costruzioni in muratura per le cucine e
i servizi : i due edifici principali sono dolati
di ampi locali di soggiorno e refettorio, di
spongono di oltre trenta posti-letto e di una
piccola infermeria.
L'opera è sostenuta finanziariamente dalle chiese battiste del Piemonte che negli ultimi cinque anni hanno raccolto per tale
scopo, mediante contributi delle comunità
ed offerte dei singoli, circa quattro milioni
e mezzo di lire. Occorrono comunque ancora notevoli sacrifici per portare a termine
i lavori di rifinitura delle attuali costruzioni,
aggiungere un terzo edificio, spianare il terreno circostante, creare campi di gioco (bocce. pallavolo), seminare aiuole e dare quindi all’insieme un aspetto più accogliente e
funzionale. ,
Molte di queste iniziative potranno essere
attuate per mezzo di campi di lavoro per i
giovani e week-end dedicati alla manutenzione ed al completamento del vi laggio.
L’Associazione delle Chiese Battiste del
Piemonte che ha organizzato rincontro del
15 agosto si ripromette di accogliere ogni
anno per tale festività gli evangelici del
Piemonte che desiderano trascorrere un giorno di comunione fraterna e di serena letizia, ridando vita ad una tradizione che risale agli ultimi anni del secolo scorso ed
ai primi dell’attuale, quando credenti di diverse località si raccoglievano a Meana, talvolta per raggiungere le Valli Valdesi,
talaltra per passare gioiosamente il Ferragosto nell’amena conca.
Emanuele Paschetto
7
N. 33-34 — 30 agosto 1968
pag. T
ün problema aperto: il Collegio di Torre Pellice
Nel corso degli ultimi mesi e in particolare delle ultime settimane, gli ambienti valdesi sono stati agitati dalle
notizie di una ventilata chiusura del
Collegio Valdese (o, per lo meno, del
Ginnasio-Liceo), cui si è poi aggiunta
qiiella dell'alternativa di una sua stati//,izione. 11 nostro settimanale ha doi uineiitato a più riprese queste proposte e prese di posizione di organismi
distrettuali e di singoli membri di chiesa. In questa pagina, siamo lieti di
pubblicare alcuni altri scritti e documenti su questo problema, alla vigilia
immediata della discussione sinodale.
Poiché il problema è stato portato tardi di fronte alla nostra « opinione pubblica », noi — che fino a diversa informazione e documentazione siamo convinti che sarebbe un grave errore chiudere (( anche statizzare il nostro Istituto cristruzione secondaria — speriamo che il Sinodo riconosca l’opportunità di soprassedere a una decisione
definitiva, con l’intesa che 1
turo sia seriamente occupato
anno fua studia
re e valutare nei suoi vari aspetti il
problema, che è indubbiamente ampio
e grave.
Ci rendiamo perfettamente conto
che, sulle nostre colonne, la posizione
di coloro che sono per la chiusura del
Collegio Valdese non è stata chiarita e
illustrata con pari ampiezza. Ci pare
che le motivazioni di questo atteggiamento negativo — a parte la posizione
di vari professori, sui quali invero è
stata latta pesare da anni una poco
incoraggiante atmosfera di minaecia
e di sfidueia — siano essenzialmente
tre:
— una di ordine finanziario; il deficit è indubbiamente pesante, molto pesante proporzionalmente al nostro bilancio e alle nostre forze (o alla nostra
lede); come sempre accade — dobbiamo malinconicamente riconoscerlo —
questa motivazione è stata determinante nel liberare il processo a catena
delle reazioni negative;
— una seconda motivazione è data
dalla carenza di efficacia, nella testi
Deve vivere!
D-alla nostra stampa ho appreso il
deliberato della Conferenza del I Distretto sulla sorte del Collegio Valdese: si propone la sua chiusura o la
sua statalizzazione. Quest’ultima soluzione si identifica con la prima perchè non ritengo possibile che i pubblici poteri abbiano interesse a mantenere in vita un Istituto cosi, passivo,
così, poco frequentato e così... valdese!
Chi invece deve avere interesse a
mantenere in vita un tale Istituto è
proprio la Chiesa Valdese. In un’epoca
in cui si parla di riforme, di ristrutturazioni, capovolgimenti, in cui sì dice
che la vecchia predicazione ha fatto il
suo tempo, ecco una nuova forma di
predicazione, ecco un modo di riformare, ristrutturare, senza distruggere
(oggi è di moda), senza uccidere tutto
il passato, ma invece vivificare, rivitalizzare.
Il vecchio Collegio aveva lo scopo
di dare l’istruzione necessaria agli abitanti delle Valli prevalentemente per
affrontare il ministerio pastorale. Ora
che i tempi ed il progresso hanno apportato ad accorciare le distanze in
maniera cos'; considerevole, ora che gli
uomini, singolarmentè e in massa, si
spostano rapidamente e continuamente, contattandosi e conoscendosi variamente e intensamente, bisogna dare anche al Collegio Valdese questa
nuova dirrien.sione, proiettarlo nel
mondo, togliendolo dal piccolo guscio
delle Valli Valdesi: solo cosi può aver
vita !
Ho quindi due proposte da fare che
riguardano il deficit istituzionale e il
deficit economico: sono due proposte
concrete.
1. - Il Collegio deve essere pubblicizzato rivolgendosi particolarmente al
mondo, diciamo così, laico o meglio
areligioso e a quello che pur essendo
religioso non riconosce nella Chiesa
cattolica la figura monopolizzatrice e
autentica di guida. È una forma di
predicazione.
Bisogna fare molta propaganda in
tutta Italia (e successivamente anche
all’Estero), attraverso la stampa quotidiana e periodica più diffusa o con
si.stemi propagandistici diretti, in modo che molti siano indotti ad avviare
i loro figli a questo Collegio per gli
studi classici, che sono ancora e lo saranno per molti anni appetiti e graditi a larghi strati della popolazione.
Primo traguardo almeno 30 allievi
per le cinque classi del Liceo Ginnasio.
Una popolazione di 150 giovani che va
organizzata in modo più attuale e più
moderno; bisogna quindi organizzare
una recettività adeguata nei modi e
nei tempi; suggerisco la costituzione
di un certo numero di piccoli nuclei familiari, dove in ciascuno una coppia di
genitori-tutori possa alloggiare circa
5.8 ragazzi; altri giovani, secondo il
gradimento dei genitori potranno trovare ospitalità come attualmente presso il Convitto, altri sempre secondo lo
stesso gradimento, potranno trovare
alloggio singolarmente o a coppie presso famiglie disposte ad assolvere tale
compito e che dovrebbero essere opportunamente individuate e censite.
Impostato così; il problema elementare dell’alloggio e del vitto, la popolazione scolastica deve essere organizzata La gioventù, cioè fuori dell’orario
.S' r-.’iistico non deve essere abbandonatii a se stessa: Convitto e ospiti eserciteranno la funzione di guida e la patria potestà, ma ai giovani deve essere
offerto ampia possibilità di scelta di
attività sana e producente: biblioteche, circoli sports, tutte cose di cui
esistono già basi ed embrioni; non c’è
da inventare niente, basta valorizzare
e sviluppare.
Economicamente: i giovani pagheranno le loro rette necessarie sia per
l’alloggio, sia per la frequenza del Collegio : se guardo a quelle che vengono
pagate nei Collegi o Istituti di estrazione cattolica, 0 anche laica, non mi
sembra una cosa impossibile. Quelli
sono tanti e tutti sempre pieni, il nostro è uno solo!
2. - Può darsi che questo afflusso di
giovani paganti le proprie rette non
sia sufficiente ugualmente alla vita del
Collegio. Propongo la costituzione di
una dote: è una cosa diffìcile e delicata poiché si tratta di produrre un capitale in grado di sopperire col proprio
reddito alle necessità del Collegio stesso, capitale che nella fattispecie deve
essere cospicuo. Se oggi si parla di un
deficit di 25 milioni per sanare questo
deficit sarebbe necessario un capitale
di circa 500 milioni. Non sarebbe assurdo pensare quindi ad almeno il doppio. Sembra una cifra astronomica per
noi. Ma non impossibile. Evidentemente va fatta un’operazione di raccolta,
di capitalizzazione di offerte anche
modeste, uno storno di beni immobili
da destinare a questo scopo, e così via.
Per quanto si riferisce alla funzione
propria e primogenia del Collegio Valdese ritengo che l’aiuto ai giovani vaidesi per il loro studio possa essere validamente sostenuto da borse di studio (adeguate agli oneri economici
reali) che Chiesa, Comunità, Enti possono erogare come già in parte oggi
viene fatto.
Non mi dilungherò invece-sul panorama (d’altra parte importante per la
vita delle Valli) dei benefici che lo sviluppo di questo programma sommariamente presentato, potrebbe apportare sia all’Istituto e alla Chiesa Valdese che a Torre Pellice e alle Valli.
Si creerebbero nuovi posti di lavoro
(le coppie genitori-tutori, personale di
fatica, di assistenza, di istruzione, ecc.)
si amplierebbe la vita commerciale di
tutta la cittadina (visite dei parenti,
propaganda indiretta verso terzi), ed
il livello intellettuale dell’attività (non
si tratta di una fabbrica) manterrebbe
la quota culturale della cittadina ad
un valore che nessuno di noi vedrebbe
volentieri diminuito (sono pronto a
scommettere che dopo la chiusura del
Collegio anche la Casa Valdese — e il
Sinodo — sarebbero col tempo trasferiti... a Roma!).
Allo scopo pertanto potrebbero essere interessati e dovrebbero contribuire
anche le Autorità, gli Enti, le Associazioni, ecc. di Torre Pellice e della Provincia.
In definitiva l’Istituto assolverebbe
la sua funzione e svolgerebbe la sua
azione in un ambiente più vasto e in
un mondo più grande, rendendoselo
più vicino, e la Chiesa Valdese non
dovrebbe con aria fallimentare restringere la propria azione, ma allargherebbe la sua predicazione e la sua presenza proprio nel campo della gioventù,
proiettandosi cioè nel futuro.
Naturalmente sarebbe bello un colpo
di bacchetta magica e fare tutto questo ! Ma forse occorre un uomo, anche
un solo uomo, se non vogliamo costituire un Cmitato, che prenda a cuore
la cosa, che sposi l’iniziativa e a pieno
tempo, con l’aiuto di Dio cominci per
gradi e conduca avanti l’organizzazione, anche iniziando con dei debiti: il
deficit attuale non cambia con un milione in più o in meno, e d’altra parte
l’Associazione Amici del Collegio, che
tante egregie cose ha fatto per l’Istituto, potrebbe indirizzare a questo programma (o a quello migliore che da
queste poche e frammentarie idee può
sorgere) i propri aiuti ed i propri
sforzi.
Ho scritto queste poche righe perchè il Collegio Valdese è stato uno dei
miei primi amori e sarebbe senz’altro
un grande dolore della mia vita d’uomo doverlo abbandonare per ragioni
economiche. Per anni ho pensato queste cose, ed ora debbo dirle perchè si
vuol chiudere, si vuol dire la parola
fine. E fine non deve essere, per amore
della mia Chiesa di cui l’istituto è una
efficace parola, per amore di Dio che
ci ha dato questo mezzo e non sappiamo usarlo! E Dio perdoni la pochezza e la miseria ed anche la stravaganza delle mie parole, ma amplifichi e
faccia germogliare questo seme, se seme deve essere nel suo amore e nella
sua grazia.
Costantino Messina
monianza evangelica, che pare riscontrarsi nell’attività dell’Istituto; è un
male purtroppo presente in molti altri
settori della nostra vita di chiesa; t
comunque reale, anche se da non
drammatizzare ;
— una terza motivazione, ed è quella
di fondo, ovviamente, è l’obiezione rivolta ad ogni tipo_ di scuola confessionale, la contestazione della possibilità
stessa di una pedagogia « protestante »
che si esprima in uno specifico istituto
d’istruzione « protestante ».
Non abbiamo nascosto la nostra opinione, ma — sperando appunto che il
Sinodo non prenda una decisione che
ci pare non potrebbe esprimere una
convinzione veramente maturata in
tutta la nostra Chiesa, di fronte a una
questione di forte importanza per oggi
e per domani — saremo lieti che queste motivazioni, e in particolare Tultima, fossero sostenute da qualcuno dei
nostri oppositori, su queste colonne
che sono anche loro.
Gino Conte
Bnofle raiioiij per non tkiiderlo
iinmtiiimiiiiiiimi
iiiinm<iiiiiiiitiimiimiiiiiiiNi
Nuove forme
d’insegnòmento
Egr. Sig. DireUr.re, .
In merito sempre alla probabile
statizzazione o . biusura del Collegio
Valdese vorrei la e presente che vari
capifamiglia pr.a correbbero piuttosto
di eliminare la 'Uola Media essendo
Torre già provv ta di Scuola Media
statale e continuare l’opera dalla quarta Ginnasio a tulio il Liceo. Caso mai
istituire nel Licr.i una sezione linguistica che sarelit I un inizio dì nuove
trasformazioni, i o nuovo corpo professorale non 1» ricrebbe certo danno,
anzi immetterci f.e in detto Istituto
nuove forme r .Jerne di insegnamento.
Distintamente
Maria Grill
In questi ultimi giorni vi sono state due riunioni nel corso delle quali
il problema del Collegio Valdese di
Torre Pellice è stato discusso ed esaminato con grande vivacità da numerose persone che non vogliono
rassegnarsi sic et simpliciter alla sua
chiusura, o alla sua cessione allo
Stato o alla sua eventuale trasformazione in istituto di secondo ordine.
La prima riunione, avvenuta il 7
agosto, avrebbe dovuto essere riservata alla sola parrocchia di Torre
Pellice, ma in essa hanno potuto
parlare persone di diversa provenienza e di questo deve essere dato
atto con riconoscenza al pastore Sonelli; la seconda tenuta domenica 18
U.S., è stata convocata dalla Società
« Amici del Collegio » e costituiva
la assemblea generale dei soci.
Non è il caso di citare i vari interventi uditi in queste due riunioni, ma piuttosto è utile riassumere
brevemente i concetti esposti :
1) L’Atto sinodale del 1965 che
escludeva la possibilità di chiusura
degli Istituti di istruzione deve essere considerato tuttora valido.
2) Non può essere accettata la soluzione proposta dall’O.d.g. della
Conferenza del primo Distretto che
chiede la statizzazione del Collegio.
Tale soluzione non risolverebbe il
problema in quanto lo Stato potrebbe chiuderlo in qualsiasi momento
lo ritenesse opportuno, mentre renderebbe possibili eventi che nessun
iiiiiiitiumiliiliiiiimiiiilMiii
iimiimimiiiiiiiiiiiiiiiililiimimniii
11 Collegio dei Barbi
e il Liceo «Valdese»
Prima del 15 agcsàto salii con mia
moglie e un amico norvegese a visitare la vecchia casa sopra il tempio di
Pradeltorno, dove la tradizione ha situato con una ceri a verisimiglianza
l’antico « Collège » dei barbi. Non eravamo soli. Alla Rocciaglia desinammo
con un gruppo di membri della Chiesa
dei Fratelli, che poi .si riunirono nel
tempio per discutere dei mezzi migliori
dell’evangelizzazione in Italia. Al « Collège » incontrammo poi tre giovani venuti lassù da Toi^e Pellice e, nello
scendere, l’anziano del quartiere con
un fratello di Roccapiatta, con i rastrelli in ispalla pèr la fienagione in
corso.
Il luogo, ancora ipieno delle memorie del passato; l’esempio di fratelli
non « valdesi », andati lassù per me
A TORRE PELLICE
0. d. (). delFAsseoible^ di Cbieiia
L'Assemblea della Chies.i Valdese di Torre Pellice, riunita in seduta straordinaria il
giorno 22 agosto 1968, alle ore 21 (...),
— ritiene doveroso rendere atto ai Professori del Collegio Valdese del loro impegno
per mantenere il Collegio in una linea dignitosa e seria;
— è convinta che la crisi relativa al Collegio non sia principalmenle di carattere finanziano, trovandosi tutti d’accordo nella
Chiesa che un opera di istruzione, promossa
con intenti evangelistici non possa non essere finanziariamente passiva;
ritiene che il fulcro del problema sia
il riconoscere o meno la validità ai fini evan.
gelistici di uno strumento di alta cultura
quale è il Collegio \aldese, validità del resto confermata nelle deliberazioni del Sinodo Valdese del 196,5 (AA.SS. a. 52). Su questo punto l’Assemblea è concorde nel a riaffermare l’importanza della presenza e della
funzione in Italia di nostri Istituti di istruzione .secondaria nelle Valli Valdesi». Pertanto si oppone sia alla chiusura del Ginnasio-Liceo. sia alla sua statizzazione.
Per una adeguata rivalutazione del Colleg'o V^aldese, l’Assemhlea ritiene necessario:
1) stabilire un contatto più vivo e diretto tra il Collegio Valdese e le Comunità,
affinchè il Collegio non sia inteso come un
organismo interessante le Valli, ma come
uno strumento a servizio (...) di tutto il protestantesimo italiano;
2) unificare al vertice l'amministrazione
e la direzione del Collegio e del Convitto
Valdese di Torre Pellice (...), è necessario
che il Convitto sia anzitutto in funzione del
Collegio;
3) in attesa della generale riforma degli
studi in Italia, organizzare attività collaterali
— nei locali del Collegio o in quelli del Con,
vitto — in collaborazione anche eon altri organismi della Chiesa — onde completare la
propria impostazione in rapporto a quella
della scuola italiana, da tutti generalmente
criticata;
4) unificare i bilanci della Cassa Culto
e dell’Istruzione (...).
ditare sulla loro vocazione evangelistlca; la presenza di giovani e di anziani, gli uni attratti probabilmente da
ricordi storici, gli altri presenti sul posto ad accudire al duro lavoro quotidiano ; tutto ciò riportò i nostri pensieri, chissà come, al destino del nostro
Liceo di Torre. Corre voce, infatti, che
lo vogliono « statalizzare ». Commissioni sono al lavoro, riunioni sono in corso per studiare la questione. Non voglio entrare nel merito della faccenda,
della quale non conosco i veri termini.
Mi limiterò ad alcune riflessioni, nate nel corso di quella gita al « Collège ».
1) Nei secoli della clandestinità,
quando era veramente pericoloso predicare il Vangelo, i nostri « barbi » si
ritiravano di quando in quando a Pradeltorno per rinfrancarsi nella meditazione delle Sacre Scritture e per preparare i loro successori. Oggi si parla
di gravi preoccupazioni finanziarie. Eppure, con un minimo di fede. Agape e
Riesi si son fatte quasi per miracolo,
e i fondi sono affiniti e affluiscono da
ogni punto dell’universo. Perchè non
dovrebbe succedere lo stesso per il
Liceo?
2) È chiaro da queste premesse che
personalmente sono contro la ventilata statalizzazione del Liceo. TI Liceo è
nato valdese quasi continuazione ideale dell’antico Collegio dei Barbi, e tale deve rimanere, soprattutto oggi nel
nuovo contesto dei rapporti tra stato e
chiesa, ispirato al più genuino anticostantinismo. Non per nulla, in altro
campo, sia da parte protestante che
cattolica, c’è la tendenza sempre più
avvertita a non servirsi più del matrimonio concordatario. D’altra parte
non è affatto sicuro che lo Stato sia
disposto ad avere un suo liceo a Torre, quando ce n’è uno funzionante a
Pinerolo; e se rinunciamo al nostro
Istituto, ci vuole poca chiaroveggenza
per capire che ben presto ne sorgerà
un’altro al suo posto, altrettanto privato e pareggiato del fu valdese, ma
ispirato a ben altri principi confessionali !
3) Propongo che sorga una fondazione o cooperativa o società, anche
per azioni, che garantisca il funzionamento decoroso del Liceo. Non solo i
nostri valligiani, usi ormai a questo genere di iniziative — cosa sono e come
sono sorte le seggiovie del Vandahno
e dei Tredici Laghi? —, ma anche i
numerosissimi amici, che la chiesa e
il popolo valdese hanno nei cinque
continenti saranno certamente pronti
a contribuire, purché opportunamente
sensibilizzati. Mi si obbietterà che
l’esempio delle seggiovie non è pertinente, in quanto si tratta di imprese
turistico-commerciali a sicuro reddito.
Ma quale reddito più prezioso della
conservazione e della valorizzazione di
una delle nostre poche tradizioni di
alto valore pedagogico e spirituale?
Giovanni Gönnet
valdese potrebbe accettare, come la
nomina di professori preti, crocifissi nelle aule, lezioni di religione cattolica predominanti sulle eventuali
lezioni di religione protestante, ecc.
3) Non possono essere accolte proposte tendenti al declassamento dell’Istituto a forme che non siano di
cultura e tali da aprire tutte le porte dell’Università. A seguito della
riforma scolastica, per altro non
prossima ad essere attuata, si potrà
esaminare l’inquadramento del Collegio, fermo restando il principio
sopra esposto.
4) La vita del Collegio è strettamente legata al funzionamento del
Convitto, unanimemente considerato gravemente carente e non condotto in funzione del Collegio. Il problema del Collegio non può essere
risolto se non viene energicamente
risolto il problema del Convitto.
5) La viva simpatia dei presenti
deve andare a quei professori che
hanno lavorato con spirito vocazionale, pur neU’abbandono e nell’incertezza in cui sono stati lasciati.
6) La questione del deficit del Collegio dovrebbe essere riesaminata in
una presentazione diversa dei bilanci della Chiesa. Si osserva che la
massima parte dei contribuenti
pensa di provvedere a tutte le opere della Chiesa; culto, istruzione e
beneficienza, e non solo alla cassa
culto.
Nelle due riunioni il Moderatore
ha preso la parola e, in modo particolare nel corso dell’Assemblea degli Amici del Collegio, ha tenuto a
precisare che la Tavola aveva, all’inzio dell’anno, dato l’allarme per la
situazione deficitaria del Collegio,
ma non aveva prospettato la possibilità di chiusura. Il Moderatore si
è dichiarato meravigliato dell’O.d.
g. del primo Distretto ed ha esortato
a non creare stati illusori prima che
il problema sia dibattuto dal Sinodo, che è la sola autorità avente poteri di decisione. Le parole dèi Moderatore hanno un pò tranquilizzato, in quanto si è potuto dedurre che
personalmente egli non è per le soluzioni estreme e che pertanto il suo
prestigio contribuirà a controbilanciare quelle forze che sono contrarie
alla continuazione dell’opera del
Collegio. E’ stato notato infatti che
l’azione per la chiusura del Collegio proviene da quelle forze eversive tendenti al disarmo dall’interno
delle Valli e della Chiesa stessa.
Prova se ne è avuta con l’intervento di un tale Banfi, corifeo di un
gruppo di giovani chiomati, cosiddetti « impegnati », intervento che,
oltre alla parte autobiografica di
nessun interesse per i presenti, ha
criticato il Collegio come istituto
classista, paternalista, ecc. Su tale
intervento non mette conto soffermarsi, se non per rilevare la evidente azione di disturbo programmata.
Il Banfi infatti non è nè valdese, nè
valligiano, nè socio della Società Amici del Collegio. Egli è stato ascoltato con fastidio dai presenti, mentre il suo intervento è stato giudicato positivo, come testimonianza, dal
solo Prof. Peyrot. Non concordiamo
con questo suo parere.
Le conversazioni di cui abbiamo
brevemente riferito hanno dimostrato, se ancora ve ne fosse bisogno, che
l’alienazione del Collegio sarebbe
grave jattura per la Chiesa tutta, per
le Valli e per Torre Pellice,- che sarebbe declassata in modo tale da diventare simile a un qualunque borgo
di vallata alpina.
Certo l’impegno è quello di fare
risorgere il Collegio al livello che
aveva nel passato dal punto di vista
spirituale e culturale, e questo è il
compito preminente della Chiesa.
Per la parte economica sono state
avanzate proposte concrete che la
Società « Amici del Collegio » studierà e realizzerà con il concorso
di molti ex-alunni e amici, e soprattutto di coloro che si sentono
profondamente valdesi.
Guido Ribet
8
T?ag. 8
N. 33-34 — 30 agosto 1968
Notiziario Le riunioni del XV agosto
Evangelico
Italiano
A Torre Pellice
IVelle Chiese Battigie
Oltre airinaugurazione del « Villaggio
Martin Luther King » a Meana di Susa, di
cui riferiamo a parte, segnaliamo alcune
notizie dalle Chiese Battiste d’Italia tratte
dall’ultimo numero (giugno-luglio 1968) del
Messaggero Evangelico, mensile dell’Unione
Cristiana Evangelica Battista d’Italia.
* La Scuola Teologica Battista di Rivoli
(Torino) ha concluso l’anno accademico
1967-68 con la consegna dei diplomi di teologia a tre studenti, che hanno concluso il
loro corso di studi : si tratta di Luigi DTsanto, Salvatore Rapisarda e Domenico Tomasetto. I diplomi sono stati consegnati dal
Preside della Scuola, Dr. Alberto Craighead,
mentre il discorso di congedo ai neo-diplomati è stato tenuto dal Presidente dell'Unione Battista d’Italia, pastore Carmelo Inguani, che ha parlato sul tema ; « Il ministero cristiano nel mondo d’oggi ».
* La domenica di Pentecoste è quella in
cui di solito viene celebrato il maggior numero di battesimi nelle Chiese Battiste. Così, nel culto di Pentecoste di quest’anno (2
giugno), si sono avuti 3 battesimi ad Altamura, 9 a Napoli, 2 a Rivoli e 2 a Roma
(Via Urbana). Nel culto del 9 giugno, sono
stati celebrati 3 battesimi a Firenze, nel
nuovo battistero completamente rifatto dopo l’alluvione.
* La campagna di evangelizzazione svolta
questa primavera in tutte le Chiese Battiste
d’Italia ha avuto particolare successo di presenze a Mottola (Taranto), dove ogni sera
le adunanze nel tempio sono state fréquentât assiduamente da non meno di 150 estranei, oltre alla Comunità, con un totale di
400-450 presenze. Nella riunione conclusiva, la domenica sera, in Piazza XX Settembre, il Pastore C. Inguanti ha parlato sul
tema della campagna : « Gesù Cristo è il
Salvatore del mondo » alla presenza di circa 2.000 persone.
nieUe Chiese
Pentecostaii
Risveglio Pentecostale, mensile delle Assemblee di Dio in Italia, nel numero di luglio uscito i giorni scorsi, comunica che negli
ultimi mesi, in diverse comunità, sono stati celebrati numerosi battesimi di neo-convertiti: 9 a Campobello di Mazara (Trapani), 3 a Panni (Foggia), 13 a Napoli, 26 a
Catania, 6 a Matinella (Salerno), 1 a Rionero (Potenza), 7 a Pompei (Napoli), 40 a
Milano, insieme ai gruppi di Cologno Monzese, Locate Varesino, Castellanza, Rozzano
e Vercelli.
Riportiamo parte della lettera di un
membro della Òiiesa Pentecostale di Pompei, pubblicata da Risveglio Pentecostale:
« Con grande gioia, mi pregio comunicare
che il giorno 7 luglio nella chiesa di Pompei alle ore 10,30, il Signore ci ha dato la
grazia di vedere sette anime scendere nelle
acque battesimali, confessando la loro salvezza in Cristo. Erano tutti di Pompei: tre
sorelle e quattro fratelli.
Posso dire che il Signore ha fatto un’opera gloriosa nel cuore di uno di questi fratelli: era il Segretario Politico di un grande
partito di massa, inoltre è Consigliere Comunale di Pompei, ma oggi, dopo^ una grande lotta che egli ha sostenuto, è divenuto
membro di una grande famiglia, quella di
Gesù; anche un altro fratello, già membro
di un grande partito, oggi è membro della
famiglia di Gesù ».
Nelle Chiese de! Fratelli
Dal n. "dr agosto-settembre 1968 de II
Cristiano, mensile deHa Chiesa dei Fratelli
in Italia, ricaviamo alcune notizie e informazioni ;
* Il 25 agosto è stato ricordato il centenario della Chiesa di Spinetta-Marengo. 11
fratello Prof. Domenico Maselli ha fatto
una rievocazione storica, mentre la predicazione del Vangelo è stata tenuta da Albert
George, dell’assemblea di Losanna.
* 11 prossimo mese di settembre sarà consacrato dalla Chiesa di Fano a una campagna di evangelizzazione. Il lavoro sarà
compiuto di casa in casa, con la distribuzione di trattati, inviti e riunioni pubbliche.
♦ Si sta svolgendo in questi giorni il IV
Convegno di preghiera, studi biblici ed evangelizzazione, che è iniziato il 22 agosto e
si concluderà il 1° settembre, a TorrettaBorgo Mezzanone (Foggia).
♦ Dalle Chiese, si segnalano diversi battesimi: 8 a S. Chirico Nuovo, 2 a Monte S.
Giacomo, 3 a Montemarzo, 2 a Ribera, 7
a Roma.
IsHlu^o Gouid
Presso VIstituto Evangelico Gouid di Firenze sono aperte le iscrizioni per l’anno
scolastico 1968-69 per ragazzi da avviare
alle scuole pubbliche di ogni ordine e grado ivi compresi i centri di addestramento
professionale.
Per informazioni scrivere alla Direzione,
Via Serragli 49, 50124 Firenze.
* ^ *
L’Istituto Gouid cerca personale evangelico
pratico lavori cucina e guardaroba. Vitto, alloggio, stipendio e assicurazioni. L’ambiente
ed il particolare carattere dell’opera favoriscono coloro che desiderano fare con il proprio lavoro un servizio nella comunità.
Scrivere a : Istituto Gouid - Via Serragli 49
. 50124 Firenze.
Il 15 d’agosto è stata una splendida giornata di sole, in mezzo ad una serie ininterrotta di giorni piovosi.
Nei boschi dell’Inverso Roland!, gentilmente concessi dalle famiglie Hugon, Davit
e Gaydou, si è svolta la festa annuale dell'incontro fraterno in un clima lieto e sereno. Erano presenti parecchie centinaia di
persone. Cerano anche i trombettieri valdesi, i quali accompagnavano il canto degli
inni, che — a dire il vero — sarebbe risultato alquanto denutrito senza il loro aiuto.
Un grazie, infine, sentito e particolare al
gruppo dei cantori, che ci hanno offerto un
programma molto vario di bei canti, eseguiti
con la solita bravura ed accompagnati da
una competentissima chitarra.
>N * *
Il tema del XV Agosto di quest’anno era
uno solo, presentato nei suoi diversi aspetti
dai vari oratori : il servizio del prossimo, le
difficoltà e i problemi delle nostre opere assistenziali, che stanno tanto a cuore a noi
tutti.
Il pastore Sonetti rilegge la parabola del
giudizio di Matteo 25.
Come il Cristo è venuto verso l’uomo ________
dice il pastore Sonelli — nella sua concreta
situazione per manifestargli salvezza e liberazione, così 1 uomo deve andare verso il fratello per partecipare alla sua sofferenza, nella sua condizione concreta nel mondo. Qui,
in effetti, risiede il significato reale della
chiesa dal tempo dell’ascensione di Cristo
fino al suo ritorno: non è sufficiente per la
chiesa un atteggiamento esteriore di adorazione, ma essa deve prendere parte a tutte
le sofferenze dell’umanità; siamo mandati e
dobbiamo agire tra gli affamati, gli assetati,
i derelitti. Nella misura della sua fedeltà a
questo mandato di Cristo, la chiesa ha saputo
in passato manifestare l’impegno verso la
sofferenza umana: il Risveglio del secolo
scorso ha dato uno slancio in questo senso,
e si sono aperti ospedali, asili, scuole.
Oggi accanto a queste opere, sempre vahde perchè sempre avremo necessità di
curare i malati, j vecchi ecc. — vi sono
nuove vocazioni che il Signore dà alla chic
sa, ed i credenti non devono sentirsi contrap
posti Inno all’altro nella diversità del servi
zio cristiano, perchè lo Spirito è uno solo
anzi — prosegue il pastore Sonelli — dob
biamo sentirei sempre solidali e servi dell’uni
co Signore. La parabola del giudizio è con
danna dell’insensibilità dei credenti; ff Si
gnore non allontana da sè, qui, dei crimina
II, ma il credente che non opera, che rima
ne indifferente di fronte al dolore e alla sof
ferenza.
^ ^ 4:
Vi è un opera dj. assistenza verso i giovani che è la più importante, la più valida da
dare loro per la vita, ed è l’istruzione. Il
prof. A. ArmandAlugon, prendendo la parola,
dice che il problema dell’istruzione e della
cultura toma alla ribalta nell’opinione pubblica valdese, per la crisi del Collegio di
Torre Pellice, e dei nostri istituti d’istruzione
in genere. Insegnare, istraire è un vero e
proprio servizio di diaconia che la chiesa
valdese ha sempre fatto per la sua gente attraverso i secoli, prima di tutto perchè ognuno potesse comprendere e meditare la Bibbia
per conto suo.
Si può dire che tutta la storia della nostra
chiesa è strettamente collegata all’istruzione.
Un inquisitore disse un giorno : « tutti i
valdesi passano il loro tempo ad insegnare e
ad imparare ». Lo Stato si è occupato del1 istruzione soltanto a partire dal secolo scor.
so; prima di questo periodo sono i valdesi
stessi che se ne occupano nelle 'Falli; accanto al tempio vi è sempre la scuola, per
cui, mentre nelle vallate adiacenti nessuno
sa leggere e scrivere, già fin dal 600-700 nei
documenti valdesi è molto raro vedere il segno di croce, indice di analfabetismo; si
leggono invece le firme in tutte lettere degli interessati. Dopo il Rimpatrio, la principale preoccupazione dei valdesi tornati dal
esilio, è nuovamente la scuola; prima che
le case siano in piedi vi sono nelle valli 69
scuole. Al tempo della rivoluzione francese vi
erano già nelle valli, in locali di fortuna (stale, rimesse, ecc.) oltre cento di queste scuole;
fanno scolastico era di 10 mesi, o 10 mesi
e mezzo. Grazie anche al Comitato Vallone
d Ulanda, e al generale Beckwith, nel 1848,
al momento dell’Emancipazione, vi sono nelle
valli '’aWesi 169 scuole; qualche decennio
dopo, nel 1898 le scuole sono 198. Cera nei
valdesi amore per l’istruzione, e i contadini
sostenevano pesanti sacrifici per far studiare
I loro figli,.
Il prof. Armand-Hugon parla inoltre di
altre istituzioni scolastiche create dai valdesi
attraverso gli anni. Si può dire - afferma
II prof. Armand-Hugon — che non c’è chiesa
valdese senza il suo apparato d’istruzione,
considerato come un aspetto importantissimo
della nostra presenza e della nostra testimonianza. Noi, però, ora stiamo perdendo il
treno: l’economia agricola delle nostre valli,
valida fino a 60 anni fa, è crollata; oggi abbiamo un proletariato agricolo, che si è buttato nell’industria per raggiungere rapidamente una posizione economica; così che i
figli dei contadini valdesi non studiano più
^rchè hanno fretta di portare qualche soldo a casa. Abbiamo nell’epoca attuale una
concezione utilitaristica deUa vita, e l’amore
per 1 istruzione e decaduto. E’ necessario richiamare tutti quanti ad un vigile senso di
responsabilità : ci sono situazioni economiche
difficili nelle valli, ma altre molto buone; i\
valdese non può essere un ignorante. Da
quando nel 1848 è diventato uguale nei diritti agli altri italiani, lo è purtroppo diventato anche negli aspetti più deleteria non
studia più fino ai 20-25 anni, non legge più
nemmeno buoni libri, non conosce le opere
della Claudiana, non è, di solito, abbonato
ai nostri giornali. La crisi del Collegio di
Torre Pellice e la crisi dell’istruzione in genere è, purtroppo, una crisi più profonda di
quanto sembri : bisogna ricercarla in profondità nella vita delle nostre famiglie e
della Chiesa, rendendoci conto che, al giorno d’oggi, non siamo più fedeli alla precisa
responsabilità del credente.
La mattinata termina con la presentazione
da parte del pastore Aime di due situazioni
particolari delle opere assistenziali delle valli; primo, una nota l'età: la riapertura dell’Ospedale di Pomaretto, in veste compietamente rimodernata ed efficiente, il quale
funziona ormai da un mese a pieno ritmo,
sotto la direzione di una giovane diaconessa
tedesca, suor Helga Stiremberg.
Secondo, una nota triste : la tragica mancanza di personale al Rifugi© di Luserna San
Giovanni. Vi sono 65 ricoverati e, a parte
il personale di cucina, soltanto due persone
per occuparsi dei malati, di cui una trentina
sono costretti a letto. Il pastore Aime rivolge un vibrante appello ai presenti per venire a dare una mano d’aiuto al Rifugio, ricor.
dando che il servizio dà quel senso di gioia
che sembra esulare sempre più dalle attività
della gente di oggi.
^ *
Nel pomeriggio Tassemblea ha il piacere
di rivedere la missionaria Laura Nisbet, venuta dal Gabon, dove insegna in un Collegio isolato. Essa ci narra della sua vita in
mezzo a difficoltà di ogni genere : mancanza
di luce elettrica, di acqua corrente; abbondanza d insetti nocivi, di serpenti e scorpioni; lunghe strade nella foresta da percorrere
a piedi, dimora in una capanna dal tetto di
paglia. Insegnare in una scuola del Gabon
è molto diverso che insegnare qui: la disciplina è sconosciuta agli alunni, quello che
conta e la lotta a colpi di bastone; rubare
0 mentire non è male, ma è male farsi pescare sul fatto; a volte le alunne scompaiono
per andare in moglie ai poligami; vi sono
molti casi di morte non naturale.
La missionaria Nisbét ha creato una scuola domenicale con una quindicina di giovani monitori, che è un valido mezzo di evangelizzazione, e ora essa desidererebbe fondarne una in ogni villaggio.
❖ * *
Per ultimo il pustore Taccia presenta il
« centro diaconale )>. che per ora è soltanto
un progetto del comitato delle diaconesse,
suscettìbile di essere àjj'profondito e modifi
cato. Si tratterebbe di •ùn organismo per pre
parare e seguire color© che intendono lavo
rare nelle opere della chiesa o in altre ope
re, ma sempre con spirito cristiano.
Questo progetto è sorto sia per la crisi del
la Casa delle diaconesse — vi sono oggi sol
tanto più 6 suore in attività di servizio e 8
cosidette a riposo (le quali però lavorano co
me le altre) —, sia per la mancanza di per
sonale in genere in tutti i nostri istituti
Nella primavera di quest’anno vi è stato un
incontro di 60 per:^onè che lavorano negl
istituti assistenziali deHa chiesa valdese (que
ste persone sono in to^e 120). Gli elementi
fondamentali — pr -s^ue il past. Taccia —
che devono essere uahtenuti nell’elaborazione del progetto de centro diaconale sono:
I) l’impegno di Un servizio vocazionale pi«*
no, che è valido anche oggi; II) il vincolo
comunitario, non eliminabile in qualsiasi lavoro della chiesa.
I nostri istituti sono una parte viva della
chiesa, vanno potenziati, e non lasciati in
preda ad un progressivo deterioramento, anche per mancanza di un personale dì qualità che sappia dare loro un tono veramente
evangelico. Per questo, più che di denaro,
c’è bisogno di gente disposta ad impegnarsi;
vi è qui una possibilità reale di servìzio per
1 giovani delle nostre comunità. Il centro
diaconale vuole appunto accogliere coloro
che hanno sensibilità per questo servizio,
prepararli a compierlo, e infine stabilire un
legame tra coloro che servono e la chiesa;
infatti, purtroppo, la chiesa si ricorda di
loro soltanto quando ne ha bisogno. Ancora
una volta risuona un pressante appello da
parte del pastore Taccia, come già fece il pastore Aime, per il ser\ izio verso il fratello
nella sofferenza.
* iK H:
Ritornano dì nuovo ben vive nell’animo
degli ascoltatori le parole della parabola del
giudìzio. udite all’inizio della giornata :
«. ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi
sete e mi deste da bere, fui ignudo e mi rivestite.... in quanto l’avete fatto ad uno di
questi minimi, l’avete fatto a me ».
Le porteremo noi nel nostro cuore, così
vive e vere le parole del Maestro, nelle nostre case, là dove lavoriamo e viviamo, perchè diventino realmente ispiratrici dì fatti
concreti? E. R.
RINGRAZIAMENTO
In seguito alla Riunione del 15 agosto alITnverso Roland! ho il piacere di annunziare
che la colletta improvvisata per l'acquisto
di una utilitaria per il mio lavoro in Gabon,
ha raggiunto la bella cifra di L. 84.000. Nel
ringraziarvi tutti fido nella generosità di
quanti ancora vorranno aiutarmi a raggiungere questo scopo. Laura Nisbet
Alla Balziglìa
Nello splendido panorama della Balziglìa
si è svolto giovedì 15 agosto la tradizionale
riunione a cui hanno partecipato alcune cent'naia di persone, provenienti in parte anche
daH’estero. La riunione si è svolta nell’arco
deirintera giornata, parie al mattino, parte
al pomeriggio.
Al mattino è stato celebrato il culto presieduto dal pastore G. Tourn, su due testi
della Bibbia (Osea 4: 1-10 e Luca 10: 25-37).
AI culto è seguito un intervento del pastore Jalla sulla situazione economica delle
Valli Chìsone e Germanasca terminato con
un appello ad una maggiore solidarietà di
tutti gli abitanti.
Ha concluso la mattinata un breve cenno
storico del Prof. Tron sul glorioso rimpatrio,
cenno a detta dei più forse un po’ troppo retorico. A mezzogiorno la folla si è sciolta per
recarsi a consumare nella frescura dei boschi
il pranzo al sacco.
Nel pomeriggio i partecipanti si sono nuovamente riuniti per assistere al processo di
alcuni giovani appartenenti a Chiese della
Val Germanasca. Si trattava naturalmente di
una finzione atta ad attirare l’attenzione di
tutti su un problema attuale molto discusso;
la contestazione alle strutture tradizionali
della Chiesa Valdese. Presenta il Tribunale
il pastore G, Tourn, avvocato difensore : tre
giudici, il Pubbl'co Ministero, due avvocati
difensori, cinque imputati. Presiede la Giuria l’Avv. Serafino.
Capi d’accusa : due giovani dì Pomaretto
sono accusati di aver introdotto nel corteo del
17 febbraio cartelloni recanti versetti della
Bibbia; due g'ovani di Massello di aver organizzato durante il bazar una mostra sulla
fame nel terzo mondo; un giovane di Chiotti
per aver contestalo Tattuale forma del culto.
I vari imputati si susseguono al microfono ed espongono le ragioni della loro contestazione: hanno cercato di dare una viva testimonianza di fede nella loro Chiesa. Dopo
un interessante dibattito il pastore Genre,
P. M., nella sua requisitoria mette in evidenza il fatto che secondo lui manifestazioni, cartelli e mostre sono poca cosa; e che
sarebbe necessario un impegno più concreto
dei giovani, chiede infine benevolenza per
gli imputati, perchè noi tutti siamo imputati, condannati e salvati per fede. Per la difesa il pastore G. Tourn e il prof. Claudio
Tron mettono in risalto l’attiva partecipazione dei giovani alla vita della Chiesa.
Mentre la giuria si rit'ra per decidere in
merito alla sentenza, il pastore Aime, presidente della C.I.O.V., parla della situazione
dei nostri Istituti : da una parte vi è la gioia
per la riapertura deirOspedale di Pomaretto,
completamente rimodernato dall’altra vi è la
tristezza per la mancanza di personale per
il Rifugio Carlo Alberto. Termina rivolgendo un appello a tutti affinchè offrano la loro
opera a favore degli Istituti. Conclude la
giornata la lettura della sentenza di assoluzione per tutti i giovani.
Approviamo il modo in cui è stato presentato l’argomento, ma disapproviamo il
fatto che alcuni discorsi siano stati infarciti
di retorica. Ottima l’organizzazione dei servizi e raccolto il contegno del pubblico.
Un giovane deU’Unione
di Chiotti
Trombettieri vaidesi
Due gruppi di Trombettieri evangelici
germanici stanno per giungere tra noi e per
svolgere con i nostri Trombettieri Valdesi
una campagna di Appello in varie parrocchie
delle Valli.
L’Appello vuole invitare gli uditori : 1) Alla conversione ed all’impegno; 2) all’impegno del ministero pastorale; 3) all’impegno
del ministero missionario; 4) ali’impegno del
servizio diaconale femminile e maschile;
5) all’impegno deH’insegnamento secondo la
fede evangelica; 6) alla testimonianza di fede dovunque e sempre.
E’ assicurata la collaborazione di alcuni
Pastori, della Missionaria Laura Nisbet e di
alcuni giovani.
Svolgeranno le varie attività:
Un gruppo del Baden diretto dal Maestro
Emilio Stober, ospite del Castagneto di Villar Pellice dal 24 agosto all’8 settembre; un
gruppo di Trombettieri della Chiesa Riformata di Germania (Leer), diretto dal Pastore Theodor Immer, ospite di Villar Perosa
dal 1® al 13 settembre; i Trombettieri Vaidesi.
Il programma previsto è il seguente ;
Chiotti (Gruppo Stober), sabato 31 agosto,
ore 20 • Tempio.
Pinerolo (Gr. Stober), domenica V* settembre, ore 10 . Tempio.
Pomaretto (Gr. Stober), dom. seti., ore 15,
Eicìassìe (all’aperto); ore 19,30, agape a
Villar Perosa.
Torre Pellice (Gr. Stober e Immer), martedì
3 settembre, ore 20,30 . Tempio.
Angrogna (Gr. Immer), g'ovedì 5 settembre,
ore 20,30 - Tempio.
Villar Perosa (Gr. Stober e Immer), venerdì
6 seti., ore 21 . Albergo Vinçon (manifestazione ecumenica con la collaborazione
del Parroco Don Mario Fenoglio).
S. Germano Chisone (Gr. Immer), sabato 7
sett., ore 21 - Tempio.
Torino (Gr. Immer), domenica 8 sett., ore 9 Tempio C.so Vittorio.
Rorà (Gr. Immer), domenica 8 sett., ore 20 Tempio.
Pramollo (Gr. Immer), mere. 11 sett., ore
20.30 - Tempio.
Perrero (Gr. Immer), giovedì 12 sett., ore
20.30 - Tempio.
I Trombettieri Valdesi parteciperanno a
tutte le manifestazioni, secondo la disponibilità loro concessa dal lavoro.
avvisi economici
CONIUGI torinesi, soli, distinti, residenti
Sanremo, cercano periodo novembre-giugno
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RINGRAZIAMENTO
Le famiglie Menusan e Artus, sentitamente commosse per l’indimenticabile testimonianza di affetto e di amicizia dimostrata in occasione della dipartenza della loro cara
Luigia Grill v. Menusan
ringraziano tutti coloro che hanno‘
partecipato al loro dolore. Ringraziano in modo particolare il Dott. Quattrini per le amorevoli cure prestate alla defunta durante la lunga malattia.
« ...Il Signore è il mio pastore,
nulla mi mancherà... »
(Salmo 23: v. 1)
Frali, 1 agosto 1968
CUORCONTENTO
BIMESTRALE
PER TUTTI I BAMBINI
— Avventure di « Giano » : figlio di
missionari in Guiana
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(riduzione a L. 500 per i mesi di agosto
e settembre) presso: Casa della Bibbia - Via Balbi 132 R - 16126 Genova.
C.C.P. 4/460
Direttore responsabile: Gino Conte
Madame Clotilde Pons vèuve Errera,
ses filles et ses neuveux ont le chagrin
de faire part du décès de Madame
Avv. Ernesto Pons
née Rachel de Perregaux
leurs chère belle soeur et tante que
Dieu a réprise a Lui dans sa centième
année à Neuchâtel (Suisse) le 31 iuillet 1968.
RINGRAZIAMENTO
La moglie, i figli, i nipotini, le sorelle e i parenti tutti del diletto compianto
Adolfo Prochet
mancato al loro affetto a Torino il
5 agosto u. s. ringraziano tutti i cari
amici che li hanno confortati con la
loro preziosa simpatia.
Il 26 luglio il Signore ha chiamato
a Sè
Angelo Bertolino
noto Cirino
ne danno l’annunzio i figli e i nipoti
fiduciosi nella Parola di vita manifestatasi in Gesù Cristo il Signore dei
viventi.
« Io sono la risurrezione e la
vita; chi crede in me anche
Se muore vivrà ».
(Giov. 11: 25)
Agrigento, 27 luglio 1968
RIN GRAZIAMENTO
La moglie e tutti i familiari del compianto
Pietro Luigi Grill
ringraziano quanti hanno preso parte
al loro dolore. Un ringraziamento particolare al Dott. E. Quattrini, ai vicini
di casa Allegretti e Micol, al Dottori
ed al personale dell’Ospedale di Pomaretto.
Perrero, 24 luglio 1968
Reg. al Tribunale di Pinerolo
n. 175, 8-7-1960
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre Pellice (To)
La Comunità Evangelica Valdese di
Vasto partecipa con vivo dolore la perdita del fratello
Crisci Agrichi
vittima insieme al fratello Nicola di
un penoso incidente stradale avvenuto
il 12 agosto c. m. tra Casalbordino e
Vasto.
Gestore di un negozio di frutta e
verdura era molto conosciuto nell’ambierite là dove ha lasciato una buona
testimonianza cristiana. Sempre pronto ad ogni buona iniziativa aveva aperto la propria casa alle riunioni dei
nostri culti.
Alla moglie Giulia, alla figlia Venanzia ed ai parenti tutti, ripetiamo la
parola apostolica : « Se crediamo che
Gesù mori e riscuscitò, quelli che in
Lui sono morti. Egli con Lui li ricondurrà» (I Tess. 4: 14).
RINGRAZIAMENTO
La sorella, la cognata e i nipoti dei
la compianta
Maddalena Rivoira
profondamente commossi per la dimostrazione di affetto e di simpatia tributata alla loro cara, nell’impossibilità
di ringraziare singolarmente, esprimono la sincera riconoscenza e gratitudine a quanti con la presenza ai funerali, scritti e parole di conforto presero
parte alla luttuosa circostanza.
Un ringraziamento particolare ai Pastori sigg. Taccia e Rivoira, al personale dell’Ospedale Valdese di Pomaretto, ai vicini di casa Linette e Aldo
Rivoira, amici e parenti tutti.
« Gesù disse : Io sono la risurrezione e la vita; chiunque crede
in me, benché sia morto, vivrà»
(Giovanni 11: 25)
Angrogna, Stringai,
7 agosto 1968
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