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Anno XI - N. 2.
LA BUONA
GIORNALE DELLA EVANGELIZZAZIONE
Andate per tutto il mondo c predicate rKrangelo
(la Buona Novella) ad ogni creatura.
Matteo xvr, 15.
PREZZO DI ASSOCIAZIONE ^ LE ASSOCIAZIONI SI RICEVONO
Per il Regno [franco a destinazione]____£. 3 00 Í Xn Firenze, da LeopoUo Pindli, vis Tomabuoni
^ s al Deposito di libri relÌRiosi.
Per la Svizzera e Francia, id........... „ 4 25 jn Livorno, via San Francesco, idem.
Perl'Inghilterra, id.......... „ 6 50 Í In Pisa, alla Chiesa Evangelica.
■ ' ' '.In Toriso, via Principe Tommaso dietro ilTem
Per la Germania id.................. „ d 50 j pio VaMese.
Non Bì ricevono associazioni per meno di S mezzo di /ranco-6oüt w*
< gfa/t, che dovranno esser« inviati franco m Fiun anno. ^ renze, via Tomabuoni al Deposito libri religiosi.
All’estero, a’ seguenti indirizzi : Parigi, dalla libreria C. Meyraeis^ me Rivoli;
Ginevra, dal signor E. Beroud libraio ; Inghilterra, dal signor G. F. MuUer,
General Merchant, 26, Leadenhall Street. E. C.
SOMMAEIO
I Patimenti di Cristo. Luca xsiv, 48. — lettura e studio della Bibbia. II. — Il re Federigo Gu
glielmo IV di Prussia — £iblioffr<ifia.
I PATIMENTI DI CRISTO
Conveniva che il Cristo soffrisBe.
Loca xxiv, 46.
Si parla tanto dei patimenti di Cristo, che si finisce, ohimè! coirabituarvisi; non ci commuovono; quasi con indifferenza ci accostiamo
all’abisso del dolore e dell’amore, nel quale li angioli invano “ desiderano riguardare addentro” (1 Pietr. i, 12). La mancanza di emozione per i patimenti di Cristo, ha la sua sorgente nella durezza del
nostro cuore: ma anche perchè non ce ne facciamo forse una giusta
idea: stiamo alle parole con le quali ci sono descritti, e non prenr
diamo la realtà dolorosa e terribile che racchiudono. Se ci figurassimo questi patimenti, come vivamente S. Paolo li ha descritti ai
Galati, quando mostrava loro Gesiì Cristo, e Cristo crocifisso, allora
il nostro cuore sarebbe spezzato, e ci struggeremmo in lagrime per
tanto dolore. Vediamo se, non la semplice narrazione di questi pati-
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menti, ma un racconto reale e vivente, che li faccia passare innanzi
ai nostri occhi in tutta la loro commovente realtà, potesse con la benedizione di Dio, produrre un salutare effetto.
I patimenti di Gresù Cristo cominciano col suo venire al mondo:
nasce in seno dell’umiliazione e della miseria: ha per culla la greppia di una stalla: appena nato è perseguitato. Nel principio del suo
ministero, comincia una lunga serie di pene che durano fino all’ultimo suo sospiro. Soffre la fame, la sete, la stanchezza, le minacce.
La sua anima è nelle angustie: nessuno gli dà ascolto: è sprezzato
nel suo amore per li uomini, per il suo popolo, per la sua patria, per
i suoi discepoli che si è scelti ; ma soprattutto soffre nelli ultimi momenti della sua vita, per esser venduto dal suo discepolo ; nell’agonìa
di Getsemane, per esser preso da’ suoi nemici, trascinato dai soldati,
condotto da tribunale a tribunale, esposto alli oltraggi della moltitudine sfrenata, calunniato da falsi testimoni, flagellato per ordine di
colui che cerca salvarlo, coronato di spine, vestito del manto di
scherno; gli si sputa sul viso, deriso, insultato, dato in mano ai suoi
nemici e per debolezza d’un governatore, condotto al supplizio. Consideriamo ad uno ad uno tutti li atti di una vita piena colma di
dolori.
I soldati hanno rivestito Gesiì: lo conducono fuori della città: ò
già ai piedi della collina sulla quale deve aver termine la sua vita
mortale. Secondo il costume dei Komani, gli si pone sulle spalle la
croce, strumento del suo supplizio. Ma appena ascende il Calvario,
il suo corpo affranto da tanti patimenti, cede e soccombe sotto il
crudel peso della croce: i soldati sono costretti a farla portare da un
passante, Simon Cireneo. Il lugubre corteggio, giunge alla sommità
del Calvario, schifoso luogo del teschio, cosperso d’insepolte ossa dei
giustiziati. Gli si offre la bevanda, solita darsi ai condannati a
morte, per diminuire i dolori del supplizio, ma Gesiì la ricusa, non
volendo comprare una diminozione di dolore a prezzo del libero uso
delle sue facoltà. La croce è stesa sul suolo, Gesù vi è posto. Accanto
a Lui stanno quattro soldati, quattro carnefici; ciascuno ha il martello da una mano, un chiodo dall’altra. Ad un cenno, due di costoro
appoggiano la punta del chiodo alla palma della mano del Salvatore,
e ove i tendini ed i nervi esistendo in maggior numero che in altra
parte del corpo, rendono la piaga dolorosissima. La carne è lacerata,
i muscoli cedono e si stendono sotto la pressione del ferro: i colpi
dei martelli fanno penetrare con forza li acuti ferri attraverso la
carne viva, e la inchiodano alla croce, nel medesimo tempo che, in
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ugual modo, li altri due soldati trafiggono e inchiodano i piedi di
Gesù. In questa orribile esecuzione, alcune parole escono dalla booca
del Figlio dell'uomo: ascoltiamole. Sono rimproveri? sono lamenti?
No, Egli prega: e {)er chi prega? Domanda forse a Dio che gli diminuisca le pene, che gli dia forza di sopportarle? No: è per i suoi
uccisori che prega: Fadre, perdona loro, non sanno quello che fanno
(Lue. XXIII, 34). I soldati innalzano la croce carica di un peso vivente, e per fissarla stabilmente in terra, la lasciano cadere nel foro
preparatogli. L’urto scuote tutto il corpo del crocifisso, ravviva c
porta al più alto gi-ado i dolori che producono le quattro ferito. Ma
nuovi dolori si aggiungono, che formano quasi un nuovo supplizio
uel supplizio della croce. Per un effetto inevitabile di una {»sizione
non naturale, la circolazione del sangue non succede con regolarità,
o concorre in abbondanza alla testa, al cuore, o produce un oppressione, uu angoscia interna inesprimibile, mille volte più intollerabile
della morte. L’assoluta impossibilità di fare il più piccolo movimento,
in una posizione forzata, sarebbe già una crudele tortura: ogni involontario sforzo per uscire da quella immobilità, rende i dolori più
acuti, dilatando le ferite delle mani e dei piedi; e per le ferite esposte all’aria e al sole, nasce l’infiammazione che a poco a poco aumenta la intensità del dolore: finalmente una divorante sete, corona
tutti questi supplizi: la lingua del Salvatore si attacca al palato, e
inca{)ace di sopportare più a lungo questo cumulo di torture, grida
con angosciosa voce: Ho sete. Un soldato gli offre, per derisione, una
spugna inzuppata nell’aceto, concorrendo, senza volerlo aH’adempimento delle parole della Scrittura: Manno messo del veleno nella mia
vivanda, e nella mia sete, mi hanno dato bere dell’aceto (Salm. Lxix,
21). Inutilmente ha sperato da questi uomini crudeli la più piccola
testimonianza di compassione: a tutte le torture fisiche, sotto il peso
delle quali soccombe, si aggiunge la tortura morale delli oltraggi e
delle più basse villanìe. Chiama Elia, dicono ridendo i soldati, e facendo un malizioso giuoco di parole soggiungono: vediamo se Elia
viene a liberarlo. Tu che salvi li altri, gli dicono schernendolo
quelli che passavano, salva te stesso, e se sei il figlimi di Dio, scendi
dalla croce! Ma Gesù doveva salire un altro scalino della dolorosa
scala, e non è anche al colmo dei suoi dolori.
Lo abbiamo veduto abbandonato da tutti li uomini, anche dai
suoi discepoli: non gli restava che essere abbandonato da Dio. Lo
abbiamo veduto soffrire tutte le torture che mente umana può concepire; non gli resta che avere la maledizione, che è il salario del pec-
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cato. B questo l’ultimo tratto della passione del Salvatore che ci resta di contemplare. E spaventevole la pena di un’anima che soccombe
sotto la maledizione del peccato, pena che rassomiglia a quella che
soffrono i condannati nell’inferno, che strappa al Salvatore un grido
di angoscia al di là del quale l’immaginazione non giunge: Mio Dio,
mio Dio, perchè mi hai abbandonato! È questa veramente l’ora
della espiazione, l’ora della maledizione e delle tenebre, l’ora nella
quale trionferebbero le potenze dell’inferno, se l’inferno potesse trionfare. Nel giardino di Getsemane, benché angosciosa fosse l’agonìa
del Salvatore, non pertanto il padre suo non lo aveva abbandonato:
poteva ancora avvicinarsi a lui con la preghiera, ed un’angiolo gli
apparve per dargli forza. Ma è solo, solo nel mondo; li uomini, li
angioli, Dio stesso lo abbandonano: intorno a lui non sono che tenebre, solitudine, silenzio di morte: le maledizioni tutte de’peccati
delli uomini gravano con tutto il loro peso sulla sua divina testa^ e
la sua divinità è appena forte abbastanza per non soccombere sotto
Io spaventevole peso. La parola non si presta a descrivere tutte queste pene, ed il ¡pensiero è impotente ad immaginarle. Tutto è compiuto: la terra trema, il sole vela i suoi raggi, tutta la natura sconvolta segna con funereo indizio l’ora del dolore che non vi sarà
l’uguale in tutta l’eternità: il Salvatore non ha da soffrire di più, ha
esaurito, ha bevuto fino l’ultima feccia dell’amaro calice: è al colmo
ed al termine dei suoi dolori.
Ecco quali sono i patimenti di Cristo. E perchè conveniva che il
Cristo soffrisse? perchè conveniva che Cristo abbandonasse il soggiorno della gloria per discendere sulla terra a vivere e morire nel
dolore? La parola di Dio ne dà la risposta: apriamo i nostri cuori a
questa divina risposta; dimentichiamo, se è possibile, che tante volte
l’abbiamo sentita, e possa commiioverci come se fosse la prima volta
che scende dal cielo! Egli è stato ferito per li nostri misfatti, e
fiaccato fcr le nostre iniquità: il gastigamento della nostra pace è
stato sopra lui: e per li suoi lividori noi abbiamo ricevuta guarigione (Isai. LXiii, 5). Cristo ci ìm riscattati dalla maladizione della
legge, essendo per noi fatto maladizione: perciocché egli è scritto:
Maladetto è chiunque è appiccato al legno” (Gal. in, 13). E per noi,
è per punire i nostri peccati, che Cristo ha sofferto. La necessità delle
sue pene, era una necessità d’amore: conveniva che soffrisse, perchè
noi potessimo esser salvati, conveniva ohe fossimo salvati, perchè il
suo amore fosse soddisfatto. Li uomini che lo hanno odiato, che
hanno sparso il suo sangue, Erode, i Farisei, Giuda, Pilato, i sol-
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(lati romani, benché colpevoU, non erano i veri autori delle sue
pene, non erano che strumenti che si sono incontrati nella via del
Dio Salvatore, e che ha raccolti per via, ondo servissero loro di
odio alle sue vedute di amore. Siam noi stessi, i nostri peccati
sono i veri autori delle pene di Gesii Cristo. I nostri peccati lo
hanno perseguitato con Erode, lo hanno calunniato con i Farisei,
tradito con Giuda, oltraggiato con la moltitudine, condannato con
Pilato, crocifisso con i soldati romani! Era la maledizione dei nostri peccati che pesava su lui mentre sudava sangue in Getsemane, e gridava sulla croce: “ Dio mio, Dio mio, perchè mi hai
abbandonato.” Ah! sarem noi così sventurati perchè un tal pensiero
non dica nulla ai nostri cuori! E dopo aver seguito la dolorosa storia
della passione del Figliuol deU’Uomo, quando impareremo a vedere
in questa lunga storia di dolori quella dell’amor di Dio, quando
ognuna delle pene di Cristo diviene una voce che racconta, che grida
il suo amore, potremo noi non amare chi tanto ci ha amato? Non ci
sentiremo noi trascinati, presi dalla compassione di Dio, per i dolori
di Gesìi, da dargli i 7iostri cuori, da offrirgli i nostri corpi e i nostri
servigi in ostia vivente e santa?” (Rom. xii, 1). Sì, o Signore, non
possiamo resistere alla voce di amore delle tue pene! non possiamo
restare di più senza amarti, non possiamo rimanere indifferenti e
freddi, non possiamo restare peccatori in faccia del tuo cori>o lacerato dalle battiture, della tua fronte coronata di spine, dei tuoi piedi
e mani inchiodati sulla croce. Non invano ci siamo avvicinati alla
croce, ed abbiamo da vicino contemplati i tuoi dolori. Il tuo divino
sangue, spruzzando su noi, ci ha battezzati per la santificazione:
lungi dunque da noi questi peccati che ti hanno crocifisso! Vogliamo
amarti, obbedirti, imitarti, esserti fedeli fino alla morte; e quando
saremo tentati di violare questa promessa, quando ci sentiremo venir meno nella lotta, uno sguardo alla croce grondante di sangue,
basterà per ristorarci le forze e renderci vincitori.
Sì, la croce di Gesù Cristo, ecco la nostra forza, ecco lo scudo im{ìenetrabile con il quale possiamo “ spegnere tutti i dardi infuocati
del maligno'’ (Efes, vi, 16). Ecco la spada irresistibile conia quale
si può andare all’assalto e vincere. Ad ogni tentazione, uno sguardo
alla croce, e il tentatore fuggirà. Siamo spinti all’orgoglio? guardiamo la croce di Gesù Cristo, lo vedremo coperto di obbrobri, posto
nel rango dei malfattori, spirante nel supplizio dello schiavo, e ci
sentiremo discepoli di un Salvatore profondamente umiliato, e non
potremo essere che umili con lui. Siamo tentati di farci trascinare
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dallo sdegno e dalla manìa di vendetta? miriamo la croce di Gesiì
Cristo, lo vedremo dare la sua vita per i suoi nemici, dimenticare se
stesso in mezzo a’ suoi dolori, per intercedere per i suoi carnefici, e
sentiremo che il discepolo del Salvatore, il di cui cuore è tanto pieno
d’amore, non può che perdonare, come lui ha perdonato. Siam tentati di gettarci nei desideri della carne e nelle sozzure del mondo ?
miriamo alla croce di Gesiì Cristo, lo vedremo spirando di lenta
agonìa, lui, il Santo, il Giusto, per espiare il peccato e la corruzione,
vedremo il suo odio per il peccato scritto sul suo corpo a caratteri di
sangue, e sentiremo che il discepolo di un Salvatore sì santo, e sì
puro, non può essere che santo come lui. Siamo tentati di lasciarci
andare alla rilasciatezza e alla freddezza? riguardiamo la croce di
Gesù Cristo; lo vedremo che termina con la più crudele delle morti,
«ma vita tutta consacrata alla gloria di Dio: lo vedremo sempre
preoccupato dell’opera che gli è stata data a fare, gridare nelli ultimi
momenti “ ogni cosa è compiuto ” (Gen. ix, 30) ; e ci accorgeremo che
il discepolo di un Salvatore, il di cui cuore è acceso da tanto zelo,
non può essere che zelante come lui.
E quante altre cose non vi sarebbero da dire sulla onnipossente
virtù della crocei La croce di Gesù Cristo ci darà forza nelle pene,
consolerà nelle afflizioni, ci sarà luce nelle tenebre, vita nella morte.
Nell’ultimo combattimento, quando il nostro corpo di polvere, tornerà nella polvere, quando svanirà ai velati nostri sguardi tutto
quello che abbiamo posseduto, conosciuto, amato sulla terra, quando
li occhi dell’anima, si apriranno per la prima volta sidl’orizzonte
della eternità, vi scuopriranno con spavento il Giudice Supremo,...
allora non ci resterà che una sola cosa al mondo, la croce di Gesù
Cristo; allora_____ oh allora, finché rimarrà in noi un alito di vita,
abbracciamo questa croce come la nostra unica speranza, presentiamoci con lei innanzi al tribunale di Dio vivente, e fino nell’eternità non cerchiamo di sapere altro|, che “ Cristo, e Cristo crocifisso!" {I Oor. ii, 2).
In contraccambio di tutti i patimenti del nostro Salvatore, in contraccambio della sua vita di dolori e della sua morte sulla croce,
diamoli tutto il nostro cuore. In contraccambio della sua vita di
dolori e della sua morte sulla croce, viviamo nella carità, purità,
umiltà; in contraccambio della sua vita di dolori e della sua morte
sulla croce, “ siamo crocifissi con Cristo, e offriamogli i nostri corpi
cd i nostri servigi in ostia vivente e santa ” (Rom. xii, 1).
Ma tu sólo, o nostro Salvatore, tu solo puoi darci la forza di es-
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serti feileli. Compisci tu stesso in noi, per il »Santo Spirito, i desideri che formi nei nostri cuori, rendici vittoriosi, i>er la croce, in
mezzo delle tentazioni e delle tribolazioni della vita, e ci ricevi nell’ultimo giorno, nelle felici dimore de’tuoi eletti, attorno all’Agnello
che è stato immolato, e vestiti di stole bianche, imbiancate nel suo
sangue, canteremo in coro eternamente. “ Gloria a te, perciocché tu
sei stato ucciso, e col tuo sangue ci liai comperati a Dio, d’ogni tribù,
e lingua, e popolo, e nazione (Apoc. v, 9).
0. M.
LETTURA E STUDIO DELLA BIBBIA
II
(Continuaiione, Tedi N. 1)
Tebza rkooi.a. — Bisogna tener conio del contesto.
L’insieiné di una frase qualche volta non basta per determinare il senso
di una parola, bisogna rileggere più in alto, o considerare quello che proprecede, e seguo : allora si trovano.
I. Delle parole e dei passi, il di cui senso è spiegato dalli stessi scrittori con definizioni, esempi ed espressioni che ne precisano il significato e
lo scopo. Per esempio, la fede, nel cap. xi. Ebrei, è definita da S. Paolo,
« la sostanza delle cose che si sperano, una dimostrazione di quelle che non
si vedono »,
La parola perfezione è definita diversamente. Significa un cuore integro,
diritto, benevolo, senza frode, Salm. xxxvii, 37 ; sincero, buon cuore, 1° Cronach. XII, 33, 35; e questi sono i sensi nel Vecchio Testamento; nel nuovo
significa, 0 la chiara e perfetta conoscenza della verità rivelata, Ebr. v, 14;
1» Corint. ri, 3; Filipp. ni, 15; o il possesso più o meno completo di tutte
le grazie che Iddio accorda al cristiano, Giac. i, 4; 2“ Piet. i, 5-7.
La parola mistero, Efes, in, 4, 5. si applica alla partecipazione dei Gentili ai benefizi dell’Evangelo; altrove s'incontra, mistero della pietà, mistero
della iniquità, il mistero della gran Babilonia. Si è fatto abuso di questa
parola, e della sua versione in latino « sacramento » da voler pretendere
che il matrimonio di atto civile denaturi in un sacramento.
Spesso alcune particolarità sembrano oscure, ma sono completate e spiegate da altre: le paia di animali che entrano nell’arca, Gen. vi, 19, 20;
VII, 2, 3; la cecità di Giacobbe che era parziale, Gen. xLvm, 8, 10, la fedeltà neU’adempimento delle promesse fatte a Giacobbe non fu pienamente
rivelata alli Israeliti che aU’uscita dell’Egitto, Esod. vi, 3; Gen. xm, 4; la
parola lutto è spiegata nel versetto 20 con qualche riserva.
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II. Per difetto di una positiva definizione, il senso di una parola 6
talvolta determinato, sia per l’uso di una parola sinonima, sia per l’opposizione di una parola contraria, Gralat. ili, 17 ; il testamento fatto con Àbramo
è spiegato dalla promessa che Dio gli fece, Rom. vi, 23 ; la morte, il salario
del peccato, ha un senso profondo che spiega nella frase seguente; « che la
vita eterna è dono gratuito di Dio». Le parole, radicati e santificati in Cristo, sono spiegate da quelle che seguono : affermati nella fede. Col. ii, 7 ;
Rom. IV, 5; e dall’insieme del capitolo, e particolarmente dal versetto 2,
dove l’apostolo espone ciò che devesi intendere per la fede che giustifica.
Il paralellismo di vari passi della Scrittura bene spesso servo a meglio
spiegare il valore di alcune espressioni. Il Salmo i, ha tanti paralellismi
nelle parole, cammina, ferma, siede, consiglio, via, sedia, empi, peccatori,
schernitori.
III. Qualche volta una parola che esprime un’idea generale ed assoluta, deve esser presa in un senso particolare e ristretto, per determinare
una circostanza particolare, e l’insieme delle dichiarazioni della Scrittura
sopra un punto di dottrina, e bisogna esaminare se la parola va presa in
senso letterale o figurato. Così il battesimo 1®' Pietro ni, 21 ; deve esser
preso in senso morale ed interno, e non in senso materiale e letterale: parimente dell’espressione portare i peccati o la pena dei peccati, Giov. i, 29 ;
Isai. xxviii, 43; Levit. xix, 8. Lo spirito di fornicazione, Osea i, 29; si
spiega coi seguenti fatti dei sacrifici ai falsi dei. Il mangiare il corpo del
Signore, Giov. vi, 57 ; devesi intendere spiritualmante, come indica il contesto. Se U vino è chiamato sangue del nuovo patto, ¡Matt. xxvi; le parole
frutto della vigna indicano che la espressione è figurata.
Il fuoco, 1*^ Corint. m, 15; sul quale Roma ha fondato il suo purgatorio,
è preso in un senso spirituale : come l’oro, l’argento, il legno, la stoppia al
versetto 12. L’unione di Cristo con la Chiesa, e non già il matrimonio, è
chiamato un mistero. Efes, v, 32. Vedi Isaia li; 1» Cor. v, 8; Matt. xvi,
6, 12.
Quakta regola. — Bisogna tener conto dello scopo generale del libro.
Questa regola è un’ampliazione della precedente nel caso in cui il concetto non bastasse a dissipare il dubbio o la oscurità. Talvolta si riassume
la materia trattata: Vedi Rom. in, 28. Noi concludiamo adunque che
l’uomo è giustificato per fede, senza le opere. In Efesi, n, 11, 12; vi è una
conclusione dommatica, pratica nel cap. iv, 1-3; altre nel cap. ni, 13; iv,
25; v, 13, 14 ; che vengono sempre annunziate da un dunque, o perciocché.
Lo scopo dei Proverbi è indicato nel cap. i, 1-4, 6; quello delli Evangeli in Giov. XX, 82 ; quello della Bibbia tutta nei Rom. xv, 4, 2; Timot.
ni, IG, 17.
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Le lettere ai Colossesi, Efesi e Galati, sono state scritte onde esporre
certe dottrine che sono nei Vangeli, e confutare le false idee di alcuni
dottori giudaizzanti: queste si spiegano comparandole con diversi capitoli
delli Atti, in specie col capitolo xv, il quale contiene la esposizione istorica
delle questioni trattate nelle tre epistole.
Nei primi 39 capitoli d’Isaia, il soggetto di ciascuno di essi è ordinata
mente indicato ; ma i 27 che succedono, si comprendono a forza di studio.
Si vede allora che i cap. ti a lv, formano un tutto, un assieme profetico di
consolazioni date ad Israele: vi si riconoscono le seguenti divisioni: un triplice e solenne appello diretto al popolo per invogliarlo ad ascoltare, u, 1-8;
un appello a Dio in favore di Sion, li, 9; lii, 12; la descrizione delle pene
del Messia e della sua opera di riscatto, lii, 13; lui; i resultati dell'opera
del Messia sui destini della Chiesa, liv; e le conseguenze di quell'opera
per i destini del mondo lv.
È necessario distinguere, e non è sempre facile, quando bisogna toner
conto piuttosto del senso generale del libro, che del contesto particolare
della frase.
Il cap. XV di Luca, per esempio, contiene molte parabole dirette ai farisei, che si maravigliavano che il nostro Signore ricevesse i peccatori che
andavano a lui. Fra queste parabole, quella del figliuol prodigo primeggia.
Lo scopo di Luca in tutto il suo Vangelo, e quello di raccomandare il cristianesimo ai pagani, e di far intendere come la nuova alleanza è per tutti,
senza distinisione di stirpe,"Benza privilegio di nascita. Così vedrà nel primogenito e nel secondogenito le due nazioni, ebrea e pagana: ciò che però
non escluderà che nel primogenito si rappresenti il fariseo, e nel secondogenito un peccatore qualunque.
Si scioglie con l’attento esame del contesto, l’apparente contradizione
fra Paolo e Giacomo. L’uno e l’altro, e risulta dal contesto, prendono la
parola fede in un senso difi'erente. Paolo si dirige a coloro, che per forza di
tradizioni danno alla virtù umana un’idea esagerata, parla della fede come
sola efficace per salvare, ma per lui l’idea di fede comprende non solamente
quella delle credenze, ma ancora le idee dei sentimenti d'opera e di pratica.
Giacomo al contrario (Vedi anche 1® Giov. ii, l) s’indirizza a genti, le
quali hanno un cristianesimo di parole, una fede morta, egli vuole ricordar
loro che nessuno sarà giustificato per una sedicente fede che non produce
santità. (continua)
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IL RE FEDERIGO GUGLIELMO IV DI TRUSSIA
Nel decorso anno 1861, accadde la morte di Federigo Guglielmo re di
Prussia: fu un avvenimento che interessa la politica c la religione. Abben
chò da molto tempo si prevedesse la morte del re, nondimeno è stata profondamente sentita da tutti coloro che ne conoscevano il raro merito. Se la
posterità annovererà quei re che hanno stimato la corona celeste al di sopra
di quella terrena, e che prima di tutto, hanno cercato essere umili e fedeli
servitori del loro Signore e Salvatore Gesù Cristo, Federigo Guglielmo non
sarà l’ultimo fra questi.
Nato nel 15 ottobre 1795, fu educato nella famiglia, esempio a tutti per
il reciproco affetto, e per la moralità e semplicità di costumi. Figlio della
bella e coraggiosa regina Luisa, che sarà sempre cara memoria per i Prussiani, fino dalla di lui infanzia, pose tutte le sue materne e tenere sollecitudini per coltivare la ricca e brillante intelligenza del suo figlio primogenito,
e fece ogni sforzo per condmio al Salvatore, al quale ella pure si era data.
Nel 1806, il giovine principe seguì i suoi genitori, costretti a cedere la capitale a Napoleone I, e ritirarsi nelle estreme regioni del regno. Colà vissero molti anni come privati : e la fanciullezza di Federigo Guglielmo,
molto volte fu attristata dalla nuova di battaglie perdute, di capitolazioni
di fortezze, di tradimenti. Tutti i giorni era testimone del dolore di suo
padre, delle lacrime e della rassegnazione della madre, che una morte placida e cristiana tolse di buon’ora da questo mondo. Tale scuola fu propria
a fortificare la fede di Federigo, i di cui germi erano stati depositati nella
sua anima ; fin da quei momenti imparò, che i re non sono anche essi che
polvere, e che il loro unico aiuto viene dal Dio delli eserciti.
Allora quando la Alemagna si alzò come un sol uomo per respingere la
occupazione straniera, il principe si battè con il coraggio proprio della sua
famiglia, e con l’ardore che è stato sempre una qualità del suo carattere ;
ristabilita la pace, si segnalò per il suo amore per le arti e le scienze, e per
la viva immaginazione e il suo spirito.
Nel 1823, sposò la pia Elisabetta di Baviera, alla quale fu sempre unito
con tenero affetto, reso più forte dal loro amore pel Signore. Il 7 giugno
1840 ascose sid trono di Prussia, pieno di pure idee, di amore sincero, e
della più disinteressata benevolenza. Non pertanto la sua mobile immaginazione, e la sua naturale fiducia, spesso trascinarono il suo criterio e venne
meno nella fermezza di carattere, di idee, tanto necessaria per un sovrano :
ma qualunque sieno stati i difetti del suo governo, potè alla fine della sua
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terrestre carriera testimoniare di aver sempre agito con rette intenzioni, e
dietro le inspirazioni della sua intemerata coscienza.
Una vera e sincera pietà, sorta dal Vangelo, distingueva Federigo Guglielmo IV; nè era un falso manto del quale si era vestito montando sul
trono. Non ostante le innumerevoli seduzioni della sua posizione, aveva gi&
da molti anni compresa l’importanza della vita cristiana, come ne fa fede
una parola uscita dalla sua bocca in quel tempo. Uno dei suoi amici, ufficiale nell'armata, profittò della presenza del principe in una città dell’Alemagna, per pregarlo di esser compare. Ma sapendo quanto era addolorato,
per esser privo delle allegrezze che arreca la paternità, lo pregò di perdo
nargli, se lo faceva essere testimone di queste. « Non ci pensate, gli disse il
principe, quando il Signore ci da una croce da portare, vuole che ne sentiamo
tutto il peso. ” Fino dalla giovinezza, ora giunto, con la meditazione ed un
serio esame, alla profonda convinzione che per la umanità non vi era altra
salvazione e felicità che in Gesù Cristo, il figlio unico del padre ; e se potò
con allegrezza e piena fiducia dire con l’Apostolo: « La mia vita è nascosta
con Cristo in Dio » (Col. iii, 8), fu perchè aveva la intima convinzione
della sua riconciliazione con Dio per Gesù Cristo.
Ad alcuni recarono maraviglia, ad altri sembrarono ridicole le parole
con le quali il re proclamò i suoi principi religiosi in presenza di tutto il
popolo, nel giorno della sua incoronazione : « Io e la mia casa serviremo al
Signore » (Gios. xxiv, 15). In quel momento e nelle circostanze nello quali
si trovava, abbisognava di un vero coraggio morale per parlare così. Da
molti anni il razionalismo, e la incredulità regnavano sfrenati nella Prussia, ed i cristiani, in piccol numero, erano l’oggetto di sdegno per i savi, e
per i potenti. Quella professione cristiana era la espressione di una fede
personale e profonda. Il re mantenne la sua parola. Fin dal principio del
suo regno, volle attorno a se persone che avessero la medesima fede, ed
era commovente vedere il re fraternalmente ricevere ed invitare alla sua
tavola umili pastori, che visitavano Berlino. Molti di questi venivano a
raccomandare alla sua benevolenza lo opere cristiane alle quali vivamente
si interessava. Poco tempo dopo la rivoluzione del 1848, M. Z. pastore del
mezzogiorno della Francia di una piccola congregazione alemanna, che il
re manteneva quasi del tutto, venne in Alemagna per l’interesse dell’opera.
A Berlino, desiderava specialmente essere accolto dal generoso protettore.
Quando si presentò al maggiordomo del re, questi gli disse : a viene in mal
punto: vi è gran pranzo a corte, S. Blacstà non può riceverla. Nondimeno
aspetti un momento ji. Scorsi alcuni minuti il re venne : aveva lasciato li
invitati per passare una mezz’ora con il giovane pastore: informatosi dei
più minimi dettagli sulla piccola chiosa, composta di marinari gli disse :
« Non ho dimenticato nò voi, nè i vostri poveri parrocchiani : ma non posso
fare tutto quello che vorrei, poiché, soggiunse ridendo, voi sapete che non
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sono più io quello che tengo il cordone della borsa ; alludendo ai cangiamenti avvenuti nella amministrazione per la rivoluzione del 1848. Pur
nondimeno siatene sicuro darò i miei ordini ».
Ad ogni pagina della storia delli stabilimenti di carità di Pliedner a
Kaiserswert e di Wichera ad Amburgo, come in quella di altre opere filantropiche cristiane, si trova il nome di Federigo Guglielmo. Cercò imitare
tali uomini di Dio, fondando a Berlino, e a sue proprie spese il bel stabi
limento di Betania, per sollievo dei poveri malati.
Uomo di preghiera, e ben spesso, ed in ispecie nei tempi dif&cili, rinchiuso nella sua camera ove credeva che nessuno lo sentirebbe, pregava
con fervore ad alta voce e trattenevasi qual fanciullo, con il suo Padre celeste. Uomo di coscienza retta e delicata, pronto sempre a pentirsi, e ad
accusarsi delle sue mancanze, se credeva avere offeso alcuno, anche dei
suoi servitori, non aveva quiete finché non avesse riparata l’offesa.
Era di una sincera umiltà. Al tempo delle Assemblee dell’Alleanza Evangelica, riunite a Berlino nel 1857, diceva al sig. Culling Eardley : « Credetelo, quando questi cristiani, riuniti da tanti paesi, mi hanno parlato a
Potsdam con benevolenza, mi sono sentito realmente umiliato ; e -vi assicuro che parlo sinceramente, imperocché sento bene, che non merito tutta
la riconoscenza che mi hanno dimostrato ». Un’altra volta, nei primi tempi
del male che lo ha accompagnato alla fossa, diceva al suo cappellano: « Oh
quanto meglio regnerebbe un re se avesse sempre il cuore contrito ». Un
giorno nelli ultimi tempi della sUa malattia, era alla finestra del suo palazzo,
e vedendo il popolo affollato che con poca devozione assisteva ad una festa
religiosa, si senti preso da tristezza ed espresse gran dolore, perchè il suo
governo non aveva prodotti tutti i frutti desiderabili di salvazione e vera
conversione », e siccome il pastore che aveva accanto gli rammentava il
bene reale che aveva tentato fare, e che realmente aveva fatto, si cuopri il
viso con le mani e disse : « 0 Dio sii placato inverso me peccatore » (Lue.
xviii, 13.
Essendo in viaggio, prima della sua terribil malattia, le alunne di una
scuola vennero a rendergli omaggio, e una bambinella gli recitò un discorso.
« Molto bene, disse il re, ma non è roba tua r voglio sapere qualche cosa
da te », levando allora dalla tasca una moneta, le domandò; « a chi appartiene questa moneta? » — « Al regno minerale » rispose, subito la bambina: e il re le donò la moneta in ricompensa della data risposta. E questo,
domandò ad un'altra, mostrandogli un’arancia, al regno vegetabile, e le fu
data l’arancia : si rivolge ad un’ altra, e le dice ; « A te farò una domanda
più difficile, pensa, rifletti, e procura rispondere bene come hanno fatto le
tue compagne. Io, a chi appartengo, puoi tu dirmelo ?» — « Al regno dei
cieli » risponde subito la bambina. Il re commosso fino alle lacrime, stringe
la bambina fra le sue braccia, e le da un bacio.
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Ma fra la gloria della vita regale, e il regno dei cieli, Federigo Guglielmo dovea traversare un fosco abisso, l’ardente fornace de’ dolori, afflizioni,
tentazioni.
Gesù Cristo dice; « Egli è più facile che un cammello passi per la cruna
di un ago, che non che un ricco entri nel regno di Dio—Chi adunque può
esser salvato ? Questo è impossibile appo gli uomini, ma appo Iddio ogni
cosa è possibile » (Matt. xix, 24, 25, 26). Non è egli dunque con evidenti
intenzioni di misericordia che il Signore ha reso in un subito povero quest’uomo ricco che gli si era dichiarato suo servitore? Povero sotto la corona
reale, che non era più sulla sua testa che un inutile fregio : povero nei godimenti, abbenchè circondato dai più nobili prodotti dell’arte, e di tutte le
dolcezze della vita ; povero di pensieri e parole, dopo avere eccitata la
ammirazione per la ricchezza e abbondanza delle sue idee, e per la facilità
della sua parola.
Quanto siamo per raccontare, lo tolghiamo dal libro del Dott. Snethlage,
pastore conosciuto e stimato in Alemagna, elemosiniere del re nel tempo
della sua malattia.
Dopo il primo attacco, il re dette segno di vita e conoscenza, aprendo li
occhi, e dicendo: « 0 Dio abbi pietà di me». Questa preghiera fu il primo
barlume di speranza; imperocché non credevamo che l’intelligenza si risveglierebbe, se non si risvegliasse alla radice della sua vita, la sua comunione con Dio. Ma era quasi sempre profondamente assopito. In uno dei
corti momenti nei quali sembrava che uscisse da questo sonno, la regina
che non si dipartiva un momento d’accanto a lui, ebbe il coraggio, e davvero bisognava aver coraggio nello stato in cui era il re, di leggergli i primi
versetti del Salmo cxvi : « Io amo il Signore, perciocché egli ascolta la
» mia voce e le mie supplicazioni. I legami della morte mi avevano circon» dato, e lo distrette del sepolcro m’avevano colto : io aveva scontrato an» goscia e cordoglio, ma io invocai il nome del Signore dicendo : Deh Si» gviore, libera l'anima mia / » Il re si alzò e ascoltò attentamente. Dopo
alcuni altri versetti disse ; « basta, ti ringrazio, ho inteso ». D’allora in poi
la regina gli lesse tutti i giorni alcuni pezzi di quei salmi, che sapeva essergli
familiari. Le forze del corpo e della mente andarono crescendo grado a
grado. Mostrava un apparente salute : non poteva esprimere le sue idee,
cercava la parola adattata, ma la folla dei pensieri gli faceva dimenticare
quello che voleva dire. Si rallegrava vedendo i suoi vecchi amici e servitori, e si doleva di non poter manifestare loro quello che sentiva dentro di
se. La regina lo comprendeva meglio di ogni altro, e quando lo aveva accanto qual suo interpetre, era contento, tranquillo. Quando giunsi accanto
a lui : « siatemi, mi disse, messaggero di buono nuove ! Che cosa vi è di
nuovo ? » Accolse con emozione queste parole ; « Umiliatevi athimiue sotto
alla potente mano di Dio, acciocché Eijli vi innalzi, quando sarà il tempo »
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(1 Piet. V, 6), accettando i misteriosi consigli di Dio, corcandone i motivi,
le cause : e allorché io risposi al suo « fino a quando » con le parole di David : « Amima mia attendi a Dio che è il tuo soccorso ! Egli ripete fra se :
Attendi a Dio anima mia, egli è il tuo soccorso », Nelle conversazioni che
seguirono, non cessò di manifestare la sua fame e sete della Parola di Dio.
Trovava nei racconti delle dispensazioni di Dio verso il suo popolo, i santi,
i poveri, i prigionieri, li afflitti, e nelle molte sue promesse, consolazioni
sempre nuove. Egli era un esempio che l’uomo vive della Parola di Dio, e
non di pane solamente. Non mancavano scene commoventi, ripetute confessioni di esser peccatore, preghiere, lacrime. E quando la reai coppia era
in pianto ricercava grazia e aiuto : e quando il re pregava e supplicava nel
suo penoso linguaggio, vi era da pianger davvero ; ma era uno spettacolo
del quale li angioli si rallegravano nel cielo, e si poteva dire col Salmista ; « Quelli che seminano con lacrime, mieteranno con canti »
(Salm. cxxvi, 5).
Da prima, la sua fede, la sua speranza, le sue preghiere, tutte miravano
alla guarigione ed alla perfetta guarigione. La responsabilità di re, la sua
casa, il suo esempio, la esecuzione di tante grandiose idee, di tanti progetti
che aveva formati per lo Stato, e per la Chiesa, agitavano la sua mente, e
1 suoi desideri che divenivano tanto più vivi quanto più le sue forze aumentavano. Dio non ascolta le preghiere ? diceva ben spesso : non abbiamo noi
un Dio ohe ci aiuta, e libera dalla morte ? L’esempio di Ezechia, al quale,
per la preghiera, fu prolungata la vita 15 anni, era sempre alla sua mente.
Ma a questi momenti di allegrezza e trionfante speranza ne succedevano
altri di lacrime o lamenti. Ma non erano lamenti d’orgoglio, nè di abbattimento, non era un dolore sterile. La sua comunione con Dio divenne più
intima. Apprese a sottomettersi volentieri anche quando la sua domanda
non sarebbe esaudita, e ad accettare in pace tale aumento di afflizione. Intese il significato di queste parole; « Io sarò del continuo teco; Io non
voglio altri che te in terra. La mia grazia ti basta » (Salm. lxxiii, 24. 25;
2 Corinti xii, 9.
Il suo affetto per la regina, e quello della regina per il re era da tanti
anni la ammirazione di tutti. Nella sua malattia, e nei tristi momenti, era
sempre la regina che lo consolava. La sentiva camminare da lontano, sebbene niuno la vedesse. A lei riusciva fargli proferire qualche parola. Non
mi hai detto nulla stamane? gli domandò un giorno: sei tristo o stanco?
No, rispose, raccolgo i miei pensieri : e la sua anima si concentrava in Dio,
e nel suo viso la tranquillità, la pace rifulgevano. Un giorno la regina era
obbligata a lasciarlo per diverse ore ; si avvicina a lui e gli dice: « Non hai
una parola, un segno per mo ? » Non risponde, ma il suo viso mostra commuoversi. Nuova domanda : ugual silenzio : già la regina trista è por allontanarsi, 0 il re come se raccogliesse tutte le sue forze, disse : « Mia cara,
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mia amatissima moglie ». Furono lo ultime suo parole; ei addormentò nella
pace del Signore la notte del 2 Gennaio 1861.
Nel Buo testamento fatto il mese di Agosto 1854, ordina che appena
morto sieno mandati 150 scudi d’oro (3,600 lire) ai poveri della Cattedrale,
come era solito dare quando prendeva la santa Cena a Pasqua; lasciò ugual
somma ai poveri di tutte le chiese nelle quali si era comunicato.
Abbiamo considerato Federigo Guglielmo come influenzato dai benefici
eflFetti del Vangelo, tralasciando di parlare come re e cittadino, poiché nò
ò stato parlato con troppa malevolenza ed esagerazione. Lo hanno pure severamente giudicato per il suo coraggioso attaccamento all’Evangelo ; e gli
hanno rimproverato il dire che la corona che posava sulla sua fronte la riceveva da Dio, senza riflettere che uel pronunziare questo parole, nel suo
cuore pensava già che Dio aveva scelto il popolo quale strumento della sua
incoronazione.
11 sig. Luigi De-Sanctis, benemerito per la Evangelizzazione in Italia, e
conosciutissimo per i suoi pregievoli Trattati, ha diramato un manifesto di
associazione per uno o più volumetti che avranno per titolo ; Discìwsione
pacifica, proposta in dialoghctti popolari agli amatori della verità, religiosa.
Dare un sunto del manifesto è un copiai'e un quadro con colori smorti;
crediamo fare un regalo ai nostri lettori pubblicandolo. L’associazione è per
semestri di lire it. 2, 80 per il Regno. Le associazioni si prendono allo Librerie Evangeliche. Ecco le parole del sig. De-Sanctis.
« Perchè in un secolo di lumi e di ricerche qual’è il nostro, il buon popopo italiano si occupa così poco di religione? L’incredulità non può allignare che in un popolo leggero; ma un popolo riflessivo e positivo come lo
è l’italiano non può essere incredulo. Il volterianismo è divenuto il retaggio
degli uomini leggeri, siccome il cattolicismo clericale è il retaggio de’bigotti. Gli uni e gli altri temono il raziocinio; i primi per leggerezza, i secondi
per ¡spirito di partito. Intanto il popolo ingannato da un lato da’ sarcasmi
de’volteriani, e dall’altro dalle declamazioni de’clericali, non sa a qual
partito apprendersi. Sente nel suo buon senso di non poter essere nè incredulo coi volteriani, nè bigotto co’ clericali, e sceglie la via dello scettieismo
che è la via più funesta; ed ecco il perchè non si occupa di religione.
« Tredici anni di studio sui bisogni religiosi del popolo italiano, mi hanno
condotto a persuadermi, che se si dasse a questo buon popolo un’istruzione
religiosa adattata alla sua capacità, atta a svilupp;ire il suo buon senso, non
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a fanatizzarlo: un’istruzione senza le declamazioni del predicatore, senza i
sarcasmi dell’incredulo, senza le scurrili bassezze del saltimbanco, senza i
sofismi del teologo: un’istruzione breve, ma completa, e rivestita di forme
popolari, acciò riescisse dilettevole, un popolo comprenderebbe essere cosa
essenziale darsi ad un serio studio della verità religiosa.
« Questo pensiero che da qualche tempo stava nel mio cuore, Dio ha
voluto fosse tradotto in atto; ed ecco il come. Alcuni cristiani evangelici che
sono in Toscana, mi han domandato alcuni miei lavori religiosi sulla controversia, per pubblicarli: proposi loro il mio progetto, e fu da essi accettato. e così la Discussione •pacifica in dialoghctti popolari comincierà a comparire, se piace a Dio, col cominciare del nuovo anno.
« Lo scopo di tale pubblicazione è di dare un corso completo d’istruzione
religiosa, combattendo l’incredulità, l’irreligione, l’indifi'erenza, la superstizione, il settarismo ; mostrando nella sua bellezza e nella sua purità la santa
religione di Gesù Cristo, non come è insegnata da’ preti, ma com’è scritta
nel Vangelo.
s Non temano i nostri lettori che la Discussione pacifica propaghi il protestantesimo, 0 qualche altra nuova setta religiosa. No: li solo vangelo,
TUTTO IL VANGELO, NIENTE ALTRO CHE IL VANGELO, CCCO la nOStra divisa, Ìl
nostro programma. I preti ci accuseranno di protestantismo; ma essi sanno
di mentire; ed il popolo li conosce abbastanza per non credere più alle loro
parole. La Discussione pacifica farà conoscere al popolo italiano quel cristianesimo puro e santo che l’Uomo-Dio suggellò col suo sangue: quel cristianesimo che S. Paolo predicava ai nostri padri; e farà note le aggiunte
ad esso fatte dagli uomini per i loro interessi.
e Italiani! l’autore della Discussione pacifica vi presenta in forma popolare i risultati di tanti anni di studio ch’egli a fatti sulla religione cristiana,
e vi dice con S. Paolo: » “ Provate ogni cosa, ritenete il bene ” (1 Tess.
V, 21).
Cinque dialoghetti sono stati pubblicati: il primo ha per titolo: Il camhiar religione; il 2° Divinità della Bibbia; il 3° La Béligione e la Bibbia;
il 4° e 5° Lettura della Bibbia.
Si vendono alle Librerie religiose, e si mandano a chi li richiede, inviando dei franco-bolli per centesimi 10 per il regno.
Leopoldo Pineiii gerente
riRENZE - Tipot-rafla CLAUDIANA, rtirtlla ila Baffaele Tronibett».