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ECO
Alberto
MSROQNA.
DELLE VALLI VALDESI della Chiesa Valdese
Anno 99 - Num, 50-51
Una copia Lire 60
ABBONAMENTI / P“
1 L. 3.500 per 1 estero
Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70.
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TORRE PELLICE - 19 Dicembre 1969
Amm.; Via Cavour 1 - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33094
Il Natale del pavera Lazzaro
Pace in mezzo ai conflitti
Natale commercializzato. Natale
pagano, Natale godereccio; ormai la
critica al modo di celebrare Natale
nella società dei consumi è talmente abituale da essere diventata essa
stessa un elemento costante della festa; e tutto va avanti come prima.
Tutti ammettono che tra acquisti,
visite, biglietti, candeline il significato profondo del Natale va completamente dimenticato; tutti ammettono che gli aspetti mondani superano
di gran lunga l’aspetto genuinamente evangelico della festa; e tutti, naturalmente, continuano a far preparativi e progetti, a spendere e fare
auguri.
Non ci si deve dunque stupire sa
oggi si sta manifestando un altro tipo di critica al Natale, che non trova più tutti d’accordo, forse perché
coglie nel segno più del primo: siamo proprio sicuri che il torto sia
tutto della pubblicità, del commercio, deH’apparato esteriore? Non è
forse il centro stesso della festa, il
culto, ad aver perso il suo significato? E perché ha perso significato?
Perché noi non vogliamo più metterci al seguito di Gesù, non viviamo più per gli altri, ma per noi stessi; la fede che si esprime a Natale è
una fede utilitaristica, è la fede di
chi ha bisogno di credere in Dio per
poter peccare con tranquillità.
50 bene che a questa critica s;
può rispondere. Si può ricordare,
per esempio, che non è possibile
'dalle--'persoue- e
giudicare se la loro fede è autentica
0 no; si può osservare che per molti
ancora il Natale è la grande gioia
per la Venuta del Salvatore; si può
osservare che la gioia cristiana si
esprime umanamente, e non è il caso quindi di scagliarsi con eccessivo
rigore contro ciò che forma la bellezza e la poesia del Natale: gli addobbi, le luci, i simboli, le musiche,
1 canti, tutto ciò che il commercio
sfrutta fino alla nausea, ma che risorge intatto là dove vi è gioia autentica per il dono della salvezza.
51 può rispondere con altri argomenti ancora: il commercio tocca la
sensibilità superficiale dell’uomo,
non tocca la vita profonda della fede; chi vuole, può difendersi dalla
pubblicità; nessuno è obbligato a
fare come gli altri; se gli altri pensano soltanto al piacere, nessuno ci
impedisce di fare una festa semplice, mettendo al primo posto il racconto evangelico e. il suo significato
attuale.
Tutto vero. Eppure non sarebbe
onesto negare che nel nostro Natale
di oggi è presente un’inquietudine
di cui non è possibile sbarazzarci, a
meno di volerci illudere ad ogni costo. Al contrario, bisogna dare retta
a questa inquietudine, perché costituisce il vero elemento nuovo del
Natale, l’elemento attraverso cui
for.se Dio vuole aprirci gli occhi,
vuol farci capire che le conseguenze della venuta del Salvatore sono
vive e palpabili anche oggi e richiedono la nostra partecipazione, non
per un giorno soltanto.
L’inquietudine nasce dal fatto che
non è possibile celebrare il Natale
senza ricordarci che esso è il Natale
dei ricchi cristiani, mentre il pove
ro Lazzaro giace fuori della porta
Si dirà che vi sono già tutti i giorni
deH’anno per pensare al povero Lazzaro, e se non ci si pensa è inutile
farlo soltanto a Natale. Ma questa
è una pura e semplice scappatoia.
Se è vero che Natale non è una fe
if II prossimo nùmero uscirà il 2
gennaio 1970. Accomiatandoci dai
nostri lettori, per quest’anno, auguriamo loro fraternamente di vivere nella gioia della fede, fiduciosa e esigente, questo tempo e l’anno che si apre.
sta mondana, se, è vero che esso è
l’occasione per ricevere di nuovo
l’annuncio della venuta di Gesù Cristo « il quale, essendo ricco, s’è fatto povero per amor vostro, affinché,
mediante la sua povertà, voi poteste diventar ricchi » (2 Cor. 8; 9),
allora l’unico modo per celebrare
Natale è di volgerci verso quella parte del mondo che ha fame, se no è
meglio non celebrarlo.
4
Ho parlato di inquietudine; ma
non sarebbe giusto fermarci qui :
battersi il petto non è tutta la vita
cristiana. Dio è stanco, oltre che delle nostre feste, anche delle nostre
confessioni di peccato, a cui non fa
seguito una vita rinnovata. Bisogna
dunque che Natale diventi una grande occasione per una testimonianza,
per un’azione pubblica di grande
respiro. Abbiamo assistito impotenti alla massiccia manipolazione del
Natale a fini pubblicitari; i figli di
questo secolo sono stati più accorti
dei figli della luce. A questa offensiva non si risponde ripiegandosi
nell’intimità, ma uscendo all’aperto : perché non contrapporre all’egoismo della mr.ggioranza l’interesse attivo per qualche situazione
concreta? Perché i cristiani non potrebbero sentirsi i/beri di rinunciare a una festa convenzionale, per testimoniare deH’amiJre di Cristo attirando l’attenzione*' di tutti su un
problema che esig^ soluzione? Non
sarebbe un modo per dissolvere
quella vernice di fiaba con cui si è
voluto coprire lo scandalo dell’incarnazione, e per invitare a ritrovare Cristo in quel mondo nel quale
è venuto?
Da una decisione di questo genere
trarrebbe efficacia tutta l’azione della Chiesa durante fanno, e non ci si
dovrebbe più preoccupare del Natale pagano, perché ¡1 Natale cristiano avrebbe ritrovato il suo sapore.
Bruno Rostagno
Il Natale è una celebrazione della
pace in mezzo ai conflitti.
Siamo tutti pienamente coscienti
dei conflitti del nostro tempo e il Natale non offre ad alcuno il mezzo di
sfuggirvi. Gesù, nato il giorno di Natale, divide prima di riconciliare. Egli
ha scelto di vivere fra i poveri e fra i
senza potere per dar loro la speranza. Durante tutta la vita Egli si è opposto a coloro che confidavano nella
propria forza e difendevano i propri
privilegi e ricchezze. Per tutti questi
cristiani, il Natale è sinonimo di giudizio.
Gesù di Nazaret porta la pace e la
giustizia a coloro che sono al bando
della società, come a tutti quelli che
hanno preso le loro difese. Per gli uomini che si comportano umilmente
davanti a Dio e confidano in Lui, vivendo in solidarietà e comunione coi
poveri, operando per la giustizia, per
la libertà e per un avvenire aperto;
per tutti questi uomini, il Natale è sinonimo di gioia.
La comunità cristiana non ha motivo di vantarsi. Ma, in quanto gruppo in mezzo a tanti altri, essa può
rendere nota la storia della riconciliazione per mezzo di Gesù: Dio è il
primo a riconciliare, a perdonare, a
ridar forza: fu il primo a sperare.
Con il messaggio che ci è affidato.
iiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiifimimiiiiiiiiiiiiKiitiiiiiiMiiii
iiiiitiiimiiiiimiiiMii
iiiiMiimiiiiiiiiiiiiMiimiiiiiiiii
TESTA MENTO
All’alba del 1° maggio scorso, in
una baracca alla periferia di Milano veniva rinvenuto il corpo esanime di uno sconosciuto. Frugando nel suo rifugio la polizia trovò,
in mezzo alla miseria delle poche
cose, alcuKS'^ pagine manoscritteche un caso fortuito ci ha permesso oggi di trascrivere. Poiché il loro contenuto illumina particolari
aspetti della vita e dell'anima di
una creatura rimasta ignota riteniamo interessante pubblicarlo integralmente.
2 maggio 1968
Io, uomo, sano di mente e di corpo, senza nessun presentimento di
morte ma in attesa serena di essa
desidero esprimere le mie volontà
ultime. Ritengo che non importi
tanto il valore di ciò che si lascia
quanto a chi e perché lo si lascia.
Così chiedo che i miei stracci siano consegnati al miliardario padrone del grattacielo a cento metri dalla mia baracca. So che li riLuterà sdegnoso ma per un attimo
sarà costretto a guardarli. Sono uguali a quelli che lui indossava
dopo guerra prima di arricchirsi
fabbricando case per i senzatetto,
con mattoni guasti e sabbia.
Al mio collega che abita la terza
baracca lungo il fossato lascio la
bottiglia di acquavite invecchiata
nascosta dentro lo stivale sinistro,
perché possa prendere una sbornia e dimenticare la sua turbercolosi. '
Il giaciglio e la coperta sono per
il mio vecchio, fedele cane, amico
insostituibile. Per dodici inverni
ci siamo scaldati a vicenda; ora
gli mancherà metà del calore ma
avrà un letto e una coperta tutti
per sé. So che non si lascerà morire di stenti sulla mia tomba perché è un cane serio e odia la pubblicità, né io potrei uscire dalla
tomba per lanciargli un osso, fosse anche dei miei.
La Bibbia che sta nel cassetto
del tavolo sia data a quella ragazza che ogni sera frequenta il
marciapiede, sempre allo stesso
posto, sull' angolo del capolinea.
Si chiama Maddalena.
Non ho altro di importante nella mia baracca. Ma ho tante cose
che non si vedono eppure esistono
e vivono, per me, ancora. Le cose
che furono pienamente, veramente la mia vita, così come ora la
vedo; calda, violenta, illuminata
da mille colori. Tanti mestieri esercitai, una professione sola;
quella di uomo. In questa non feci
carriera. Ma ciò che di quest’uomo
fu parte, carne, anima, cervello, mi
è rimasto; anche se di me diedi, a
torto o a diritto, tutto quanto ebbi, ogni forza dev'anima e del corpo; perché mi Affascinava, nella
luce e ne]);AJ=ua oscurità, la.
vita.
Ho cantato la vita con la mia
rabbia e con il mio amore. E tutte
di Marco
le mie canzoni, migliaia di canzoni che per anni cantai a gola piena, per gioia o per dolore, sui mari, nel deserto, tra cavalli selvaggi
e formicai umani, nelle osterie,
per le strade, al sole e alla pioggia, le lascio presso alla finestra
di un ospedale dove in un giorno
di primavera una dolce figura
bianca di donna depose un mazzo
di mughetti. La voce dei miei vent anni, tutti i volti della mia vita,
tutte le ore vissute, non importa
dove, non importa con chi, si tra.sformarono in quella camera silenziosa in un fiume limpido senza
tempo.
Per anni ho arrotolato in silenzio le mie bende lavando ogni sera
le ferite come si lava un’ anima
nella preghiera. Lascio i dolori vissuti a chi piange e soffre da solo
perché mi senta fratello.
Quando sarò morto vestitemi
con la mia casacca di marinaio e
mettetemi tra le mani tre rose
rosse. Saranno quelle che non ho
fatto in tempo a offrire in cambio
di quei fiori bianchi.
Ili iimiiiiimiMiiitiiiiHiiiiiMmiiiiiiimiiii III Hill
A due anni dal terremoto, duecentomila abitanti della Sicilia orientale sono al — tragico — punto di partenza,
o quasi. Vero è che la marcia su Montecitorio dei terremotati, manifestazione di cui tutti avevano potuto constatare ed ammirare il carattere responsabile e sobrio, aveva strappato al governo una legge, il cosidetto «decretone», che avrebbe dovuto prendere finalmente di petto la drammatica situazione e avviarla decisamente a soluzione.
Ma i mesi sono passati e l’apparente
buona volontà del governo si è rivelata
una patente non-volontà, se non addirittura una cattiva volontà. La legge è rimasta nella sua quasi totalità lettera
morta, il poco che è stato fatto ha distorto l’intento iniziale, riducendo la
zona terremotata a lazzaretto, ove si è
disposti a costruire (quando, poi?) cam
noi dobbiamo rallegrarci ed essere parimenti noi stessi degli strumenti di
riconciliazione.
pastore E. C. Blake
segretario generale del C.E.C.
iiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiii
Nella sua « Collection missionnaire » l’editrice ginevrina Labor et Fides ha pubblicato
ili questi giorni /e lance ma joie vers le ciel,
una raccolta di preghiere di giovani cristiani
d'Africa, raccolte nel Ghana da F. Pawelzik,
adattate in francese da E. Pidoux e accompagnate da una stupenda sene di fotografie. Fra
queste preghiere, meravigliose d’intensità e
freschezza, ne riprendiamo una, « Au tournant de l’année ». Non è bello essere guidati
nella nostra preghiera, in questo volger d’anno, da una giovane sorella d’Africa?
Volger d’anno
E a Te, Dio, lascio la mia anima.
Lo so che è tua di diritto, ma a me
piace rendertela, così come un’offerta, tanto serenamente mi affido
alla Tua immensità. Con gioia Ti
vedo raccogliere il dono più bello
che mi hai dato. Anche se non è
più quello che ebbi da Te. Ho dissipato i talenti nell’illusione che
tornassero a me moltiplicati; mi
attendeva, nella casa del Padre, il
vitello più grasso e io ho preferito
i miei stracci di « barbone ». Ho
peccato. Signore, e in questa coscienza ti ringrazio per quello che
da Te ebbi e che nessuno potè togliermi: la solitudine e la folla, la
musica e il silenzio, la gioia di vivere e le lacrime, la prigione e la
libertà.
Mi hai dato di combattere l’ipocrisia, la tirannide, l’odio, il compromesso. Non ho sempre vinto;
ma ogni volta che fui con le spalle
a terra potei meglio guardare verso il cielo e vedere la Tua vittoria,
che era la mia, perché io sono tuo
figlio.
E di questo sorrido. È l’ultimo
mio sorriso al momento di passare
sull’altra riva, dove Ti vedrò. Infinitamente piccolo come sono guardo all’ infinito potere della Tua
mente senza paura. Sono troppo
piccolo per aver paura di Te.
Quand’anche Tu mi fulminassi, il
Tuo fulmine farebbe di me, per un
attimo, un riflesso della Tua luce.
Davanti a Te scorrerà, per il giudizio, la sabbia della mia clessidra,
né un solo granello passerà inos(continua a pag. 6)
■mmiiMimimiiiiiiimiiiiMimiimmiuiiimiiiiiii
Una veglia natalizia di solidarietà
con ì terremotati della Valle del Belice
pi di baracche e ospizi, ma non le infrastrutture necessarie a una rinascita o
a un avvìo economici, industriali. I miliardi raccolti o stanziati sono stati utilizzati sinora in misura minima (dove
sono? chi ne gode l’usufrutto?). Gli
aiuti vengono distribuiti nel modo più
paternalistico e non fanno spesso che
ribadire il clientelismo mafioso, senza
risolvere alcuna situazione ma protraendo una situazione puramente "assistenziale". Lungi dal procedere alla
costruzione di abitazioni in muratura,
si è lontani dall’aver fornito a tutti
anche solo una baracca; baracche che,
fra l’altro — per il calare di avvoltoi
edili e per gl’intrallazzi mafiosi — costano oltre il doppio delle baracche costruite, ad esempio, dalla Cooperativa
(continua a pag. 2)
Signore,
Dio- onnipotentej-Dio eterna,
tu che crei e che porti a compimento,
ai tuoi occhi un anno non è che un at
Ma il nostro sguardo, (timo.
di noi tue creature,
non può abbracciare in ogni direzione
e in tutta la sua profondità
questa estensione :
trecentosessantacinque giorni,
e tutto ciò che ci riservano
di buono o di cattivo !
Tu sei il padrone dell’anno,
noi siamo schiavi del tempo.
Una cosa è certa, però :
ogni anno è un passo verso di te.
Gli uomini vanno verso la vecchiaia,
i cristiani verso il nuovo giorno.
Ecco alle nostre spalle
l’anno appena finito.
È stato come una strada :
ora correva diritta
nella savana,
ora saliva faticosamente
le pendici delle colline,
tutta curve e buche. Abbiamo avuto ritardi,
siamo rimasti in panna.
Abbiamo mancato appuntamenti.
Signore,
sono anzi state tante le cose mancate
che avremmo da disperarci.
Ma il tuo perdono è con noi,
la tua grazia si rinnovella
da che sorse l’arcobaleno del diluvio,
da che fu rizzata la croce di Gesù.
Signore,
grazie ad essa ci farai crescere
al sole del tuo spirito,
mentre Satana e i suoi
saranno confusi e disfatti
durante tutto l’anno.
Trecentosessantacinque giorni
si stendono davanti a me.
Ma tu solo conosci
di che è fatto il mio domani.
Tu hai contato i capelli sul mio capo
e così i giorni,
i minuti, i secondi
che mi è dato di vivere,
mentre i battiti del mio cuore
uno a uno mi avvicinano a te.
Signore,
un anno contato dal tuo sole
non è che un baleno
a petto dell’eternità.
Ma per noi,
è un tempo di prova.
La tempesta brontolerà,
sulla terra si addenseranno le nubi
e verranno le tenebre,
anche in pieno giorno.
Ma so
che dietro le nubi ci sei tu:
la tua volontà è l’anima del mondo.
Signore,
ti chiedo per quest’anno
la salute,
un po’ più di denaro,
una grande sete della tua parola
e in essa la tua risposta. Amen!
2
pag. 2
Non lasciarsi integrare
N. 50-51 — 19 dicembre 1969
La predicazione, su Romani 12/1-2, al culto di apertura della Conferenza del Primo Distretto
lA BimiA m MONDO
a cura di Edlna Ribet
Una Conferenza Distrettuale straordinaria riunita non per trattare
problemi organizzativi, né per discutere sul problema pur grave delle ñnanze, ma per chiedersi come
celebrare il 17 febbraio è un avvenimento di notevole importanza nella
vita delle nostre comunità.
Certamente siamo tutti consci della gravità del problema che ci poniamo, perché nessuno di noi oserebbe porsi dinanzi all’Iddio vivente
e alla Sua Parola e invocare il Suo
Spirito per questioni relative al folklore di una festa mondana. Il problema è,quindi ben diverso e investe
tutta la ricerca della nostra fedeltà al
Signore e della testimonianza che le
nostre comunità devono rendere all’Evangelo del Cristo morto e risorto, del suo Regno che attendiamo
con viva speranza. È comprensibile,
quindi, che il discorso non si limiti
ad una celebrazione, ma che includa tutte le celebrazioni, il significato stesso del nostro culto, della nostra vita di comunità credente.
Alla soluzione di questo problema ci avvia la parola dell’Apostolo
Paolo che abbiamo letta.
Paolo ci esorta « per la misericordia di Dio », ponendoci, quindi, dinanzi al mistero della sua grazia, ricordandoci che siamo inseriti — secondo una terminologia moderna,
potremmo dire « integrati » — in
una ben precisa realtà, quella di
Cristo, nell’unità del cui corpo tutti
siamo stati riuniti come membra viventi. In questo contesto siamo esortati al culto, alla forma tipica del
culto, il sacrificio, l’offerta totale,
senza residui. Non l’offerta di cose
che ci appartengono, ma l’offerta
delle nostre persone, di tutta la realtà del nostro essere. Come discepoli
di colui che ha dato se stesso per
noi, noi possiamo dare noi stessi a
Dio.
In che cosa consista questo nostro
darci a Dio come sacrificio, come
culto di adorazione a Lui accettevole ci è detto nelle parole successive.
La Riveduta traduce; « non conformatevi a questo secolo » ; in realtà
il testo non parla di « forma », ma
di « struttura » o di « schema » di
questo secolo : sarebbe più esatto dire « non lasciatevi integrare », non
entrate nello schema, nella struttura
di questo secolo. Secolo non significa
né un tempo particolare, né la realtà del mondo estraneo alla chiesa; il
secolo presente è visto in opposizione al tempo nuovo e ultimo che è il
tempo di Cristo. Il secolo presente è
la realtà dell’uomo dominato dalle
potenze nemiche di Cristo, dalle
potenze che Cristo ha soggiogate,
ma che continuano il loro apparente
dominio al punto di poter ancora
entrare nel tempio di Dio e farsi
adorare come Dio.
Il culto del credente, della comunità cristiana non è quindi una celebrazione che possa rimanere inserita nella struttura del mondo, che
permetta la convivenza tra la fedeltà all’Evangelo e la condiscendenza
con le potenze che Cristo ha definitivamente esautorato.
Per uscire tla questa struttura, per
non lasciarsi integrare non bastava
neppure la rettitudine morale e legale del Giudeo; non si tratta, infatti, di opporre moralità umana a immoralità, perché anche il Giudeo,
che non cadeva nelle forme più obbrobriose dell’idolatria e dell’immoralità, non poteva menar vanto di
giustizia dinanzi a Dio. Perciò la
condizione di un culto accettevole
a Dio non è adempiuta col rifugio
in una moralità individuale ineccepibile, sempre esposta alle suggestioni dell’immoralità collettiva, oppure pronta a goderne i frutti senza
sporcarsene le mani. È necessaria
una posizione molto ph'i decisa.
zialmente diversa dalla struttura del
secolo presente, poiché consiste nel
fare proprio ciò che il grande mondo non ha fatto, cioè conoscere per
esperienza, per piena accettazione
Dio, quale si è manifestato nella
sua volontà « buona, accettevole,
perfetta », cioè nella sua opera di
perdono e di salvezza verso gli uomini. Significa, quindi, entrare nella esperienza dell’amore di Dio ver
NOVITÀ CLAUDIANA
FRANCO GIAMPICCOLI
Oag Haaimarskidlil
La fede di Mister H
pp. 128, L. 1.000
Un limpido
esempio di fede evangelica
nel XK secolo
Collana « Ritratti storici », 5
EDITRICE CLAUDIANA
Via S. Pio Quinto 18 bis
10125 TORINO
so l’uomo e di regolare la propria
vita sulla norma dell’amore.
Abbiamo, così, la prospettiva
completa del nostro culto a Dio :
l’mpegno totale della nostra vita sulla linea dell’amore di Dio, la realizzazione di una vita comunitaria
nella piena conformità a Cristo.
Questo, dunque, è il problema che
noi dobbiamo vedere, questo è l’esame critico che dobbiamo fare dei
nostri culti e delle nostre celebrazioni. Dobbiamo chiederci se il momento particolare che chiamiamo
(c culto » è la nota più alta di tutta
un’armonia di vita, oppure se una
nota isolata che vuol coprire il silenzio di tutto il rimanente della nostra vita. Celebriamo una liturgia
esteriore per esprimere l’interiore
liturgia della nostra vita di obbedienza, oppure per evadere da questo impegno e credere che una messa in scena possa sostituire un impegno reale e totale? La Parola di Dio
ci indica le sue esigenze; lo Spirito
del Signore ci faccia comprendere la
vastità e la profondità del loro contenuto nella nostra vita, tra le seduzioni e le minacce del presente secolo.
Alfredo Sonelli
Gli ambienti cattolici manifestano
un po’ dovunque nel mondo un vivo
interesse per la Bibbia e la sua diffusione. Per esempio:
In SOMALIA una spedizione di volumi delle Sacre Scritture da parte
della Società Biblica è stata acquistata quasi completamente dal vescovo
cattolico e diffusa tra i fedeli della sua
chiesa: sono state in tal modo distribuite più di 300 Bibbie e Nuovi Testamenti, la maggior parte in italiano e
in aràmaico.
Nelle FILIPPINE un rappresentante
della Società Biblica ha ricévuto l’incarico dal curato della più importante parrocchia cattolica di Galbayog —
città molto cattolica — di organizzare
un corso di diffusione biblica. Il corso,
annunciato dalla radio locale, iniziò
con 48 partecipanti, che ben presto salirono a 65, e comprendeva: 2 preti,
9 seminaristi, 5 monache, 47 catechisti
cattolici e 2 protestanti.
In THAILANDIA si riscontra pure
questa sete di conoscenza biblica da
parte cattolica: la seconda domenica
di dicembre sarà osservata dai cattolici come la loro « domenica della Bibbia », e‘ la colletta verrà destinata in
parte a facilitare lo studio delle Scritture nella chiesa locale, e in parte trasmessa alla Società Biblica della Thailandia.
In GERMANIA la commissione delle Società Bibliche europee lavora attivamente pier la diffusione delia Scrit
i''iii>iiitiiiiiiiiiitiiimMiiiimiimMmiiiiiimiiiiiitiiiiiiiiiiiimii<iiMiiiiiijiiiimimiiiiii
Solidarietà evangelica a Firenze
Il servizio sociale del Cernirò evangelico di solidarieià
Paolo esprime questa condizione
col termine della « trasformazione »; per non lasciarsi integrare nelle strutture del presente secolo, il
credente, anzi la comunità dei credenti — poiché Paolo si rivolge non
a singoli, ma alla comunità di Roma
— è subire un cambiamento radicale, un mutamento « essenziale » della propria mente, un diventare una
mente nuova. Questa trasformazione
rende la comunità credente essen- del « Centro ».
Il « servizio sociale » è la « sezione »
più attiva di tutto il lavoro del « centro ». Particolarmente impegnato a ciò
è il Rag. Canestri — assistente sociale —, ma tutto il gruppo collabora. Altra collaboratrice è la Signorina Werner che, in aggiunta al compito particolare riguardante il « servizio turistico », provvede a molte visite domiciliari e porta presso famiglie e singole
persone il calore e l’affetto di una credente nel Signore.
La giornata dell’assistente sociale è
piena di impegni. I giorni addetti al ricevimento delle persone in ufficio sono
due (lunedì mattina e mercoledì pomeriggio), ma spesso diventano anche
tre o quattro. Altro tempo, più lungo
di quanto viene impegnato in ufficio,
il Rag. Canestri lo impegna per visite
domiciliari, indagini particolareggiate
di ogni « caso », contatti con uffici
(dalla Provincia al Comune, dalla Procura al Carcere 6 cosi via).
I « casi » particolari di assistenza sociale curati dal primo giorno di quest’anno ammontano ad oltre 150, non
tutti gravi, ma una gran parte di essi
veramente difficili. Ciò che ci consola
è il fatto che non uno di questi è stato
trascurato e per ognuno si è sempre
trovata una risposta, una soluzione definitiva.
Nei giorni in cui l’assistente sociale
è in sede vi è un continuo via vai di
persone che vengono per consigli, per
risolvere problemi di pensione sociale, di affitto, di rapporti familiari. Vengono per essere aiutati a trovare lavoro o perché non sanno come fare a
comprare una medicina, a pagare Taffitto di casa o una multa. Ci sono ragazze madri che hanno bisogno di ricostruirsi una vita; famiglie del Sud
che non hanno né casa e né lavoro;
giovani studenti che cercano un aiuto
per trovare una sistemazione di alloggio. Casi alle volte disperati e casi risolvibili per mezzo di un giro di telefonate.
Non si contano più i chilometri percorsi in lambretta o in auto per andare in città, in provincia o fuori alla
ricerca di una casa di Riposo, una clinica, un ufficio per sistemare un vecchietto o un ammalato che non hanno
assistenze particolari.
È un’attività a ritmo intenso, quasi
frenetico. C’è tanto bisogno, c’è tanto
dolore. E un servizio che non perde
mai di mira lo spirito cristiano ed
evangelico che lo anima e, in ogni azione, cerchiamo di mettere tutto il nostro entusiasmo, tutta la comprensione possibile, tutta la fantasia che abbiamo.
I mezzi sono miseri, ma i risultati
sono veramente sorprendenti e vediamo ¿ome è sufficente, alle volte, una
buona dose di volontà per superare
ogni ostacolo ed ogni inciampo. La
nostra gioia più grande è quando vediamo risorgere un sorriso, spuntare
nuovamente, nelle persone che si presentano a noi, la speranza di giorni
migliori e l’allegrezza di sentirsi ancora qualcosa.
È un servizio che può continuare ad
agire in profondità nella misura che,
alla volontà ferrea che ciascuno di noi
vi impiega, si aggiungerà largamente
la collaborazione dei fratelli e degli
amici che hanno a cuore tutta l’opera
SERVIZIO TURISTICO
Da Firenze — ogni anno — passano
o sostano centinaia di turisti. Un’altissima percentuale di questi sòno evangelici.
Perché non far conoscere loro l’esistenza delle chiese evangeliche in Firenze?
Abbiamo preso a cuore l’iniziativa
di creare un « Ufficio d’informazione ».
Depliants - contatti con Enti Turistici - con tutti gl.fr alberghi - stampa
di una guida dal tiiblo « Firenze Evangelica » che porta il visitatore della
città in ogni strada dove un segno, un
palazzo, un monumento, un tempio indicano Fazione passala e presente del
popolo evangelico in questa città, sono
state alcune delle azioni svolte finora.
Un tentativo, uno sforzo enorme per
le modeste possibilità del « Centro »,
ma anche un desiderio: servire i fratelli di passaggio, che non avranno certamente i problemi gravi di cui noi ci
occupiamo particolarmente, ma che
avranno pure il desiderio di partecipare ad un culto, di conoscere dei fratelli, di avere qualche informazione.
Dopo qualche mese dall’inizio di
questa attività possiamo con soddisfazione dire che il successo si profila veramente entusiasmante. Si potranno
aprire colloqui certamente utili, si potranno fare amicizie sinceramente fraterne.
Per tutti coloro che si troveranno di
passaggio dalla nostra città e desiderano informazioni sulla vita delle chiese o su quant’altro sarà loro necessario, l’ufficio turistico è a disposizione
— nei limiti delle sue forze — con
gioia e con fraternità.
* * Vf
Oltre a questi servizi, continua regolare l’attività del poliambulatorio, curata con amore dagli amici prof. Marco Ricca e dott. Vincenzo Bonaca.
Prosegue la lotta per il futuro del
giovane Carlo Zizza, affetto da emofilia, e che deve sottoporsi a difficili interventi chirurgici. Dall’aprile 1968,
quando fu lanciato il primo appello, le
offerte sono affluite e hanno superato
i cinque milioni e mezzo; il farmaco
che rende possibili gli interventi subiti o da affrontare, è terribilmente
caro; ultimamente ha avuto pure successo l’appello per una raccolta di
sangue.
Prosegue pure la raccolta di materiale in disuso, e soprattutto la campagna del ’diecino’; varie ditte e enti
fiorentini hanno offerto materiale vario al Centro, ormai noto e apprezzato.
Relativamente intensa la collaborazione e l’aiuto reciproco con le altre
opere evangeliche fiorentine, specialmente con alcune di esse. Casa CARES
e il Gould. E non pochi gli amici, anche fuori; ma le esigenze sono tante.
Ecco come gli amici del Centro concludono il loro ultimo bollettino; « Ci
sono momenti in cui ci sentiamo smarriti e confusi. Diecine e diecine di casi
da risolvere, mancanza di mezzi, di
persone collaboratrici, forse di tutto.
Ci sono giorni in cui i casi nuovi, spesso veramente interessanti, sono quattro, cinque e anche sei. Affidiamo al
Signore la nostra ptreoccupazione e
tutto procede avanti, con rinnovata
gioia. Vediamo passare davanti a noi
centinaia di volti, spesso solcati da dolorose rughe, alla ricerca di un sorriso
soltanto, di una mano amica. Siamo
qui per loro, per aiutarli a superare lo
scoglio che impedisce il cammino, per
soffrire con loro, ma anche per gioire
insieme quando — per mezzo della solidarietà di molti ■— la strada riappare più piana e il cammino più facile.
C’è tanto da fare per chi soffre. Non
dimenticateci! ».
Centro Evangelico di Solidarietà, Via
Serragli 49, Firenze, c.c.p. 5/20840.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimmiiunmi
Veglia natalizia di solidarietà
(segue da pag. I)
avviata dal Servizio cristiano di Riesi,
o a cura della Federazione evangelica
italiana, essendo per di più di qualità
e abitabilità nettamente inferiore.
Per queste ragioni, e altre che sarebbe troppo lungo elencare qui, le popolazioni della Valle del Belice hanno denunciato come « fuorilegge » il Governo italiano e hanno dichiarato di rifiutarsi d’ora in poi di pagare tasse, luce,
gas, acqua, radio, televisione e qualsiasi altro servizio pubblico. E la vigilia di Natale, a sera, converranno in
massa a Palermo, perchè si sappiano
le loro condizioni.
Questo il succo delle informazioni
che due giovani evangelici torinesi,
Giovanni e Ornella Papa — i quali attualmente lavorano a S. Margherita
Belice nel “villaggio" costruito a cura
del Servizio cristiano di Riesi — hanno
portato fra l’altro alle Valli e a Torino,
nell’incontro con vari gruppi, ecclesiastici e non, invitando quanti sentono il
dramma — che evidentemente non ha
un "peso politico” decisivo e si tenta
di affossarlo silenziosamente — ad e
sprimersi non con un gesto di aiuto,
ma con un deciso appoggio, nei modi
ritenuti più opportuni, a chi reclama
non la carità ma un diritto sancito da
una legge: non si chiede altro che l’osservanza della legge, e Tintervento dei
cittadini perchè cosi avvenga senza ulteriori ritardi; la vergogna di questi
due anni è già troppo grande. Non si
può d’altra parte tacere il legame che
v’è fra la volontà d’intervento del governo in certe zone — nel nord industriale, ad esempio — e la sua evidente
volontà di non intervento in altre zone
— la Sicilia terremotata, ad esempio,
ma si tratta soltanto di un esempio
limite.
Nelle chiese evangeliche questo invito non è rimasto senza eco. Con centro a Pinerolo, in particolare i giovani
delle Valli valdesi preparano un’adesione alla ’’veglia” della vigilia di Natale.
E così avverrà a Torino, con invito a
tutti gli evangelici della città e viciniori. E’ stata pure avanzata la proposta di raccogliere firme fra la cittadinanza, per far sentire anche in questo
modo alle autorità la deplorazione e la
pressione dell’opinione pubblica.
tura in diverse lingue tra i lavoratene
emigranti: si calcolano attualmente
da 4 a 8 milioni di tali lavoratori nell’Europa occidentale.
Nella NUOVA GUINEA (Australia)
la traduzione del Nuovo Testamento
in Pidjin English, lingua parlata da un
grande dipartimento della Nuova Guinea, è stata accolta con entusiasmo
dalla popolazione, che ha affollato i
luoghi di culto per un rendimento di
grazie: 5000 persone a Madang, 2000 a
Rabaul, e migliaia ancora altrove in
centinaia di villaggi. La Società Biblica d’Australia ha organizzato a Sydney
un festival di musica religiosa moderna per coprire in parte le spese di questa pubblicazione.
Nel PAKISTAN orientale la Società
Biblica e la chiesa battista preparano
per il 1970 una vasta campagna di
evangelizzazione, organizzando corsi
per evangelisti e stampando 25.000
Nuovi Testamenti' in lingua bengali.
A TEHERAN (Iran) ha avuto luogo
nel mese di ottobre una fiera internazionale, nella quale la Società Biblica
ha aperto uno stand ed ha potuto presentare ai 2 milioni circa di visitatori
la Bibbia nel quadro dell’impresa lunare: vennero distribuite porzioni del
I capitolo della Genesi e del I capitolo
delTEvangelo di Giovanni.
La Società Biblica ha sperimentato
la validità dei seminari di preparazione per la diffusione delle Sacre Scritture, nei quali gruppi di persone vengono addestrate a svolgere questo lavoro. Così in VENEZUELA e nel CILE
sono stati organizzati nell’anno 1969
parecchi corsi con centinaia di partecipanti, la cui vocazione è diffondere
la Bibbia e incoraggiarne la lettura.
Nell’isola MAURIZIO ('mare delle Indie) una coppia di neo-convertiti ha
ceduto gratuitamente uno stabile di
sua proprietà, nel quale esisteva prima uno spaccio di bevande alcoliche,
alla Società Biblica, che ne ha fatto
un deposito di Bibbie.
Negli STATI UNITI si distribuiscono ingenti quantità di Nuovi Testamenti e porzioni della Scrittura: in occasione del 125° anniversario della fondazione dell’Unione cristiana dei giovani (YMCA) sono stati distribuiti fSO
mila Nuovi Testamenti; e durante la
campagna di evangelizzazione organiz
zata a Nuova York da Billy. Graham
nel mese di giugno scorso, 600.000 po>zioni delTEvangelo di Giovanni, di cui
100.000 in lingua spagnola.
NelTAMERICA LATINA un altro
centenario è stato l’occasione di una
carnpagna evangelistica attraverso la
radio la televisione i films la stampa:
si tratta del quarto centenario della,
traduzione della Bibbia in spagnolo
ad opera di Casiodoro de Reina, Un
pastore del luogo ha scritto che la celebrazione di questo centenario ha validamente rafforzato i legami tra tutti
i protestanti di lingua spagnola delTAmerica Latina.
Il Comitato dell’Alleanza biblica
mondiale ha stanziato per il 1970 sette
milioni di dollari per le spese, di traduzione e di diffusione della Bibbia
nel mondo.
Una donna dell’isola di Matsu (arcipelago di Formosa), essendo stata degente in un ospedale missionario di
Formosa, si convertì al cristianesimo.
Di ritorno nella sua isola, essa iniziò
tosto un corso biblico in casa sua; poco alla volta intorno a quest’umile
donna si formò una comunità fervente, tanto che nella primavera scorsa
potè essere inaugurata, tra la gioia e
la riconoscenza dei credenti, la prima
chiesa cristiana di Matsu.
Nota. La Società Biblica brittanica c
forestiera ha una sede a Roma, diretta dal pastore Renzo Bertalot, il
cui indirizzo è: Libreria Sacre Scritture - Via dell’Umiltà 33 - 00187 Roma - C. c. p. n. 1/756.
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3
19 dicembre 1969 — N. 50-51
pag. 3
“Apri la tua bocca in favore del muto,
per sostenere la causa di tutti i derelitti,,
Tavola rotonda sul]’uJtimo stimolante lavoro di Helmut Gollwitzer
" I ricchi cristiani e il povero Lazzaropubblicato dalla Claudiana
PROVERBI
31-8
Perchè questo libro
Intervista con Carlo Papini
« È stata una grave lacuna aver
saltato il lavoro di Uppsala. Di fronte alla mentalità individualistica, intimistica e, tutto sommato, fondamentalista delle nostre chiese, Uppsala dice qualcosa; è importante
che la chiesa ritrovi la dimensione
sociale. Non avendo potuto pubblicare i documenti (i diritti sono stati acquistati da una casa cattolica
che non ha però, per il momento,
provvisto a pubblicare nulla, nemmeno un estratto) si è pensato di
pubblicare questo libro del Gollwitzer, teologo barthiano, che afifronta
l’argomento principale di Uppsala.
La prima parte è quella su cui si
deve battere e che deve essere recepita. Attualmente si ha una visione
(post-risveglio) parziale dell’Evangelo, la dimensione sociale è assente. Ed è importante notare che ora
questa dimensione non può più essere intesa in senso interno bensì internazionale. Il Biafra ci tocca direttamente. Il prossimo non è solo chi
ci sta vicino, chi è del nostro ambiente.
La seconda parte propone delle
linee discutibili; l’importante è comunque che, accettata la prima parte, si scelga una linea.
Le proposte di Uppsala sono cose
che le chiese possono fare; ormai
ecumene è anglosassone e gli agloassoni sono dei realisti. Alcune di
queste proposte presuppongono una
chiesa di maggioranza; inoltre in
Germania la chiesa si è sempre interessata di politica. Ma anche la nostra piccola chiesa può fare molto.
Informare, denunciare, demistificare ad esempio gli aiuti allo sviluppo
come sono fatti attualmente ».
ERMANNO ROSTAN:
Il Terzo Mondo
G10R6Î0 TOURN;
S
iberlà dagli schemi
I problemi che il libro affronta sono quelli che da alcuni mesi agitano
la nostra coscienza cristiana; il sottosviluppo, la rivoluzione, la tede e la
politica, la protesta giovanile. Esso
rischia perciò di essere immediatamente collocato in uno schema precostituito a seconda che si abbia una
posizione o un’altra su tutti questi
problemi. E la posizione precostituita
ognuno sembra già averla in partenza: politica nella Chiesa? No, per iedeltà al Vangelo ! Sì, in obbedienza a
Cristo ! Rivoluzione? No, perché è violenza! S’i, perché è giustizia! Protesta? No, perché è divisione, sì, perché
è rivendicazione di libertà e richiamo! Il Gollwitzer ha naturalmente (e
10 si ricorda facilmente per il suo volume sul Vietnam tradotto precedentemente per la Claudiana) un atteggiamento chiaramente determinato
da tutta una ricerca teologica precedente, un atteggiamento che molti rischiano di giudicare fazioso, unilaterale, estremista.
Sarebbe davvero peccato che ci lasciassimo una volta ancora rinchiudere nei nostri schemi precostituiti e
non accettassimo la parola di un fr^
tello che ci invita a riflettere e ci rivolge l'invito nella comunione della
stessa fede. Sarebbe peccato se gli uni
dicessero : è dei nostri e tutto quello
che dice già lo sappiamo, in fondo
non fa che puntellare con argoinenti
validi quello che sappiamo e dicia,mo
da temiK), e gli altri: è dei loro, ripete i discorsi che si sono letti e sentiti
tante volte sull’impegno, la politica,
11 terzo mondo, ma in fondo non ce
una vera meditazione evangelica. Sarebbe un vero peccato che così schedato in partenza il libro non ci dicesse più nulla.
Quello che mi sembra fondamentale nel testo di Gollwitzer è l’urgenza
a riflettere alle cose, l’appello all’inda^
gine libera, la liberazione dagli schemi, e nessuno potrebbe negare che
proprio noi evangelici italiani abbiamo bisogno di rivivere e riscoprire
questa riflessione e questa libertà nell’affrontare i problemi della nostra
tesimonianza.
Si può forse lamentare il fatto che
tutto sia qui problema ma le soluzioni prospettate siano poche, le solu
Non abbiamo il diritto del futuro
di ignorare la fame
Intervista con Padre Giordano
Mi si chiede di dire che cosa penso
del volume di Helmut Gollwitzer : « I
ricchi cristiani e il povero Lazzaro ».
Il mio sarà un giudizio forzatamente
generico, frutto di una rapida lettura
nel breve tempo che mi è stato concesso.
Forse il pregio maggiore del libro è
la « novità » o, se si vuole, rattualità
del suo contenuto. Il problema della fame nel mondo non può più essere ignorato, neppure dalle chiese cristiane. Ri
U anno accolto l’invito di
* ' portare il loro contributo
a questa tavola rotonda ring.
Ceragioli del Movimento Sviluppo e Pace, padre Giordano del
Movimento Mani Tese (questi
due movimenti, aperti a tutti,
sono sorti per far conoscere la
reMtà del sottosviluppo, per sollecitare la soluzione dei problemi relativi alla collaborazione
internazionale, per dar vita e
concretare programmi di sviluppo ned paesi del Terzo Mondo),
il prof. Mario Abrate della Facoltà di Economia e Commercio
della Università di Torino, don
Vittorino Merinas della Comunità del Yandalino di Torino, il
dott. Carlo Papini direttore
della Claudiana, ed i pastori Ermanno Rostan e Giorgio Tourn,
evoco il mio breve soggiorno in India
nel 1961 per TAssemblea ecumenica di
Nuova Delhi. Come delegato della (Chiesa Valdese condividevo la mia camera
con un sud americano in un modestissimo albergo dèlia vecchia Delhi, a differenza dei nord-americani e dei russi
i quali erano alloggiati nell’albergo più
lussuoso della capitale; e tuttavia alcuni indiani mi dicevano che con la mia
spesa' giornaliera avrebbero mangiato
per un mese di seguito ! La fame la si
vedeva e la si incontrava per le vie della vecchia città nei magrissimi corpi allungati sui marciapiedi, in attesa della
morte.
Helmut Gollwitzer ha voluto ricordarci quella realtà che diventa anche
un atto di accusa contro la nostra civiltà dei consumi ; lo ha fatto senza
mezzi termini, in tono polemico, per
sviluppare nella chiesa e nei cristiani
occidentali una maggiore responsabilità di fronte « al fatto bruto e massiccio
della fame nel mondo ». Dobbiamo lasciarci interpellare, anche se con parole
dure, anziché isolarci nella nostra soddisfatta coscienza, come se anche a
Quesla pagina è siala curala
da Renalo Balma
questo riguardo potessimo dire al Signore: « O Dio, ti ringrazio ch’io non
sono come gli altri uomini! »
Alcuni capitoli sono dedicati in modo
speciale alla responsabilità ed al servizio della Chiesa in quanto comunità di
credenti i quali si richiama alla Parola
di Dio non soltanto confessando la propria fede ma anche operando in favore
del prossimo vicino o lontano, non mai
così lontano da creare il disinteresse alla sua sorte. I ricchi cristiani siamo noi
con la nostra mentalità egoistica, incapaci di guardare al di là della nostra esigenza personale; ma dobbiamo riconoscere che Gollwitzer ha ragione
quando dice: «Una cristianità che dorme tranquilla sulla fame dei cristiani di
altri paesi, mentre si fa costruire splendide chiese, non saprà naturalmente
soccorrere i non cristiani affamati ».
«Misererà me. Domine!» dovremmo gridare con il salmista: cioè « Abbi pietà
di me, o Dio », per i peccati che abbiamo commessi !
Una attenta lettura del libro rivelerà
altri aspetti del problema creato dall’esistenza dei « ricchi cristiani e del povero Lazzaro ». Non è più possibile ignorare il fatto che la ricchezza di non pc>
che nazioni europee è stata a lungo alimentata dal colonialismo e dallo sfruttamento dei poveri; non c’è bisogno di
far politica per dirlo chiaramente, basta riascoltare umilmente la voce di Amos e di Isaia di fronte alle situazioni
del loro tempo. D’altra parte il problema dei popoli denutriti o sottosviluppati non si risolve a base di collette, anche se le collette sono necessarie, com’è
necessaria l’assistenza umana e fraterna a chi ci è vicino. Il problema è assai
più vasto e complesso; l’autore lo esamina sotto un profilo politico ed economico, riferendosi spesso alle decisioni
dell’assemblea ecumenica di Uppsala
che ha sollecitato un intervento delle
Chiese per la trasformazione delle
strutture sociali e delle istituzioni.
Il confronto tra la società capitalista
e la società socialista non poteva essere
evitato; si può discutere su quel confronto, ci si può domandare entro quali limiti la rivoluzione può essere giustificata dall’etica cristiana o addirittura dalla predicazione evangelica, si può
o, meglio ancora, si deve vigilare affinché la Chiesa non venga meno alla sua
missione primaria assegnatale dal suo
Capo e Signore. Ad uh certo punto, però, ci si accorge che un «si» o un «no»
bisogna ben pronunciarli nella storia di
questo mondo; un «si» o un «no» che
procedano daH’ascqlto dell’Evangelo,
non da altre motivazioni, per es. dalla
difesa dei nostri interessi umani o nazionali. Gollwitzer afferma che« la credibilità della Chiesa non dipende dalla
sua neutralità... ma dalla sua indipendenza; dipende cioè dal fatto che essa
prende partito ma non ha un partito
preso». !
Molte altre cose si potrebbero ancora
dire. La lettura di vaile pagine dedicate
alla «nuova politica .dello sviluppo», alla nozione di «società responsabile», alla «democrazia» ed |l concetto dì «cogestione» meriterebfAro uno studio più
attento del mio; hi tal caso non mancherebbero le obbiezioni e le polemiche. L’interesse del libro non ne sarebbe diminuito. Tutto ciò che riguarda
l’emancipazione e l’umanizzazione dell’uomo e dei popoli merita l’interesse
dei cristiani in generale e dei « ricchi
cristiani » in particolare.
Padre Giordano del Movimento
Mani Tese — che in un colloquio
avuto ha nel complesso dato un
giudizio positivo sul libro — si è
particolarmente soffermato sui
concetti di missione, ossia di Chiesa in movimento (condividendo
l’accusa di menzogna rivolta a
gran parte dell’attività missionaria odierna) e della Chiesa come
gruppo di pressione. « Questo concetto — osserva padre Giordano
— è, in un certo senso, un concetto nuovo e molto interessante. I
problemi posti dalla “lista delle
esigenze" (ché riportiamo a parte)
devono essere assolutamente affrontati ed i gruppi di pressione
devono proprio avere questo scopo. Dobbiamo abbandonare, come
dice Gollwitzer, la strada facile
delle affermazioni di alti ideali per
iniziare a dichiarare quello che
siamo decisi a sostenere in pratica. È questo della concretezza, dell’ora et labora, un elemento fondamentale del libro ». Ma altrettanto positivo è il suo giudizio sulle critica al capitalismo (pur intravedendo un lato negativo nella
scarsa critica verso le attuazioni
pratiche del socialismo) e sul riconoscimento ai giovani del ruolo
di portatori non di un puro idealismo ma di esigenze ben concrete.
« Sono poi esaminati molto bene — prosegue padre Giordano —
ii divieto della Chiesa alla rivoluzione, l’enorme confusione tra rivoluzione e violenza, la « doppia
contabilità » con cui si giudica la
guerra e la rivoluzione. La violenza è l’essenza della rivolta, che mira a riformare delle strutture, non
della rivoluzione che tende a ri
zioni nel senso correntemente inteso,
le idee concrete, pratiche; c’è solo
una linea molto generale, una indicazione di marcia non molto diversa da
quelle che sono votate dai nostri Sinodi. Darle un contenuto preciso è
compito delle comunità singole.
La lisla delle esigenze
Il Gollwitzer ha ricavato dal rapporto della Sezione III di Uppsala una
lista delle esigenze concrete che le chiese delle nazioni industrializzate occidentali devono far presente allo Stato ed alla popolazione. Condensandole, per ragioni di spazio, le richieste principali sono queste:
1) le chiese devono adoperarsi affinché tutti i partiti politici inseriscano nei
loro programmi la questione dello sviluppo come uno dei punti più importanti;
2) le chiese devono esercitare pressioni sui governi dei paesi industrializzati affinché:
a) prendano delle misure di carattere internazionale favorevoli allo sviluppo e conformi agli espliciti desideri dei paesi in via di sviluppo;
b) come prinio passo elevino, entro il 1971, almeno all’l% del prodotto
nazionale il contributo stanziato ufficialmente per gli aiuti destinati ai paesi
in via di sviluppo (escludendo da questo 1% gli aiuti militari e gli investimenti
privati);
3) le chiese devono partecipare responsabilmente ai movimenti che propugnano i radicali cambiamenti di struttura che sono necessari per stabilire
una maggiore giustizia nella società;
4) le chiese devono far pressioni sui governi affinché riconoscano la possibilità di sostituire il servizio militare obbligatorio con un periodo di servizio
volontario a favore dello sviluppo nel proprio o in un altro paese;
5) gli aiuti e il commercio devono essere strutturati in modo che non diventino strumenti degli interessi politici, economici e di sicurezza nazionale dei
paesi sviluppati (ad esempio sopprimendo od attenuando la clausola per cui i
sussidi possono venir spesi soltanto per l’acquisto di merci provenienti dai
paesi donatori e rafforzando i programmi multilaterali di aiuto);
6) istituire un’imposta mondiale per la creazione di un fondo per Io sviluppo;
e poi ancora rafforzare l’ONU, firmare il trattato di antiproliferazione delle
armi atomiche, arrestare la corsa agli armamenti, coordinare gli aiuti dei paesi
orientali e occidentali, preparare e inviare consiglieri, tecnici, medici ecc., cessare di favorire la fuga dei cervelli dai paesi in via di sviluppo, accordare delle
agevolazioni doganali, stabilizzare i prezzi delle materie prime, favorire l’accesso nei paesi industrializzati dei prodotti finiti dai paesi in via di sviluppo.
Mario Abrate; Scarso realismo
Abbiamo chiesto un parere su questa lista al prof. Abrate. Questi ha criticato in genere là scarso realismo dei vari punti, ad esempio del punto 5; si
sa infatti che gli aiuti vengono concessi per sostenere l'industria nazionale
{ecco un motivo della bilateralità degli accordi); inoltre un'attuazione anche
parziale di questo punto potrebbe portare a delle situazioni non tollerate dal
paese donatore (per es. dollari USA spesi in Cina).
Comunque questo punto si rivela nel complesso scarsamente attuabile in
quanto presuppone una specie di governo mondiale (il prof. Abrate rileva m
questo punto ed in genere in tutto il libro un affidamento utopico alle funzioni
di certi organi collegiali tipo Nazioni Unite).
È invece di un certo realismo il punto 6; si potrebbe infatti istituire un'imposta che colpisca ad esempio la parte di reddito pro-capite eccedente un determinato importo.
Per quanto riguarda le agevolazioni doganali — in modo specifico, toccandoci più da vicino, la riduzione delle tariffe applicate dalla CEE — occorre osservare che queste sono uniche per tutti i paesi non aderenti e che una diversificazione sarebbe molto difficile. « Invece di far rimanere i paesi in via di sviluppo in posizione di mendicanti di agevolazioni doganali occorre inserirli nelle
organizzazioni esistenti (come già avviene nella CEE per i territori ex francesi) ».
formare l’uomo in un processo
continuo. La rivoluzione crede nell’uomo e cerca di rivalutarlo. Nella rivoluzione si ricorrerà quindi
alla violenza come ultimo mezzo.
Dobbiamo comunque renderci
conto — e con queste parole
l’intervista termina — che l’elemento terzo mondo condizionerà
ii nostro futuro. Il terzo mondo deve diventare metro di misura di
tutti i problemi dell'umanità ».
Isfltuzione o fermento
nelle scelte politiche?
Intervista con Don Merinas
Secondo don Merinas la parte
più riuscita di questo libro è la
prima parte che è insieme la più
utile perché espone delle concezioni che dovrebbero essere acquisite
e che purtroppo non lo sono. Come esempi porta la necessità di
una revisione e rivalutazione della propria fede nella storia, resistenza di una comunione vera in
tensione verso l’esterno come condizione necessaria per l’incontro
nella Santa Cena, la necessità di
unire fede ed opere. Quest’ultima
esigenza andrebbe comimque ripensata globalmente perché le due
cose sono ancora un po’ giustapposte anche se siamo già lontani dal
dualismo sia protestante che cattolico. Come prima impressione
don Merinas si è detto invece molto sconcertato dalla visione della
politicizzazione della Chiesa. « La
Chiesa deve essere gruppo di pressione, mediante il suo peso istituzionale, o non piuttosto fermento
di scelte politiche? L’istituzione ha
da difendere se stessa e la sua
pressione sarà quindi sempre limitata ». Certo in questa posizione si intravede l'esperienza propria del cattolicesimo con la sua
dottrina sociale, col suo voler
creare una società, col suo voler
erigere delle strutture cristiane;
don Merinas non fa mistero di
questo e del suo timore di ricadere in questi sbagli.
« Non dobbiamo incarnare la fede nella realtà, inquadrare cioè la
realtà in base alla nostra fede, ma,
in base a ciò che abbiamo dentro
e che ci misura con la realtà mutabile, servirci di tutti gli strumenti. di analisi e di azione che ci dà
la storia (e non la Chiesa) senza
averne paura (come è avvenuto finora per il marxismo, come fa giustamente osservare il Gollwitzer)
perché sappiamo che la fede vincerà tutto. L’impegno comunitario
politico si potrà avere quindi solo
in alcuni momenti in cui la scelta
sarà chiara; normalmente, nella
ricerca dei mezzi concreti per trasformare questa società, ci si potrà trovare anche divisi ».
G. CERAGIOLI:
Entusiasmo
da neofita
Il libro si allinea, in modo interessante, alla, larga pubblicistica sui problemi del terzo mondo.
Come tutte le cose ha pregi e difetti.
Il taglio che mi è parso migliore —
non potendo giudicare quello religioso specifico — è quello umano; sembra di sentire un entusiasmo quasi da
neofita rispetto ai tremendi problemi
della fame e dello sviluppo; entusiasmo che se porta a sottacere una serie di problemi porta tuttavia un’innegabile spinta ad operare alTintemo
di un mondo politico-sociale decisamente immobile o quasi, come sembra
essere quello tedesco, quasi incomprensibile per noi, che sottostà alle
analisi del Gollwitzer.
Parecchie sono le osservazioni basilari, acute ed estremamente valide;
cito fra le molte:
— la necessità di conversione sia
individuale che delle strutture;
(segue a pag. 6)
4
pag. 4
N. 50-51 — 19 dicembre 1969
I LEYTORI CI (E SI) SCRIVONO
Chiesa e Valli Valdesi, e politica
Gustavo Malan interviene nella discussione sulla Resistenza nelle Valli Valdesi
Torino, dicembre ’69
Gentile direttore,
ho esitato a scriverLe perché, essendo
io un libero pensatore, VEco-Luce non
è il mio giornale. Preciso che sono un
libero pensatore d’origine valdese, e
che a questa origine debbo e tengo
molto. Però non vedo la croce, per
spiegarmi.
Nella mia vita le manifestazioni della Chiesa Valdese hanno interferito sovente, e perciò ora ho deciso di scrivere.
Resistenza nelle Valli Valdesi. Penso
che l’A. del libro su cui il Suo giornale
si è intrattenuto più volte sappia rispondere per quanto le compete più
direttamente. Spero che qualche teologo, magari qualche pastore, intervenga
per quanto scrive il pastore Nisbet, e
che qualche teologo e qualche storico
riprenda eventualmente in esame il
problema della violenza e della non violenza e i valdesi, e il protestantesimo,
e il cristianesimo, e l’uomo e Dio. Violenza e non violenza coesistono nella
storia valdese e nella storia del protestantesimo. Questo valga anche per altre lettere e per la recensione di Ketty
Comba Muston su Ali di ottobre. Per
ora non mi soffermo su quanto ha
scritto il pastore Geymet, che ha già
avuto una risposta.
In tutti questi oasi, su questi argomenti non mi nego comunque il diritto
di interloquire. Credo che Claudio Tron
abbia avuto una certa ragione a dichiararsi incompetente, ma tutti siamo
piuttosto incompetenti di tutto, eppure
possiamo trovarci nella necessità o
nella opportunità di farci un giudizio
e di esprimerlo. Credo nella sua buona
fede, ma debbo precisare subito che
apprezzo restremismo, non il fanatismo. L’espressione è dura, ma non so
ora come addolcirla.
Nella sua recensione Claudio Tron
pària di primi concentramenti di antifascisti a Torre Pellice nell’estate del
’43. Torre Pellice e le Valli e la chiesa
Valdese non attesero il 1943 per conoscere, manifestare ed albergare un
marcato antifascismo. Se la maggioranza degli abitanti delle Valli e dei valdesi in genere fu ossequiente, conformista, e sovente mostrò uno zelo che può
trovare spiegazioni neU’alta percentuale di borghesi (schematizzo, anche se
non credo in im classismo semplificatore) e nel timore di essere considerati
poco italiani (e analoghe osservazioni
valgono anche per gli ebrei), Tantifascismo fu più forte e diffuso tra loro che
in altri luoghi ed ambienti. Il rimprovero che si può rivolgere loro, e fortissimo, è che, con le conoscenze, convinzioni, tradizioni e possibilità che avevano,
non furono abbastanza antifascisti. Ma
non facciamo del manicheismo inutile
e dannoso. Analogamente i valdesi nei
secoli più recenti non furono così sabaudi come si amò dire, e non serve
citare acriticamente dichiarazioni di
lealismo. Le storie ufficiale e ufficiosa
sono una cosa, la storia reale è un’altra cosa.
L’antifascismo valdese e degli altri
abitanti delle Valli Valdesi trasse largo
nutrimento dalle « gloriose », o come si
vogliono chiamare, tradizioni valdesi,
come credo molti non valdesi di fede o
di origine sarebbero pronti a riconoscere. E anche senza scomodare Barth
molti rilevarono lo scandalo della contraddizione fra la tradizione democratica valdese e la pratica autoritaria che
imperversava fuori, ma anche largamente dentro la Chiesa Valdese. Faccio
le mie riserve, e non le ho nascoste,
sul rigore deH’A. verso la Chiesa Valdese. Ma lo considero un rigore salutare
nel suo complesso. Quando però Claudio Tron dice « certamente alcuni videro la continuità fra la storia dei padri
e quella della Resistenza, considerando
il fascismo come il nuovo sistema usurpatore di ciò che è dovuto a Dio solo,
sulle orme di Barth », con questa limitazione immiserisce il fenomeno della
Resistenza delle Valli, e dei valdesi.
Inoltre, non dimentica una pagina di
Miegge, se non erro, di rivalutazione
della fede, o la chiami come vuole, del
piccolo o contadino valdese, lo si etichetti pietista o no, ma che di Barth
probabilmente non aveva mai sentito
parlare? Né si illuda d’altra parte che
tutti i barthiani fossero tanto antifascisti!
Le Valli e i valdesi furono un polo
di attrazione per gli antifascisti prima
del 1943, piccolo o non tanto piccolo,
resta da precisare.
« La Resistenza alle Valli Valdesi ha
pure forti affinità con la vita della
chiesa, dal punto di vista della sua
espressione; gli intellettuali e i borghesi vi hanno avuto un ruolo determinante e sono i soli che ne hanno poi tratto
i vantaggi possibili », scrive Tron. Per
la chiesa risponda altri. Per quanto
concerne la Resistenza questa generalizzazione è falsa ed è spero, inconscia,
calunnia. E, spero sempre inconsciamente, perfida, perché tende a dividere,
a mettere gli uni contro gli altri, facendo leva su risentimenti e malumori più
o meno giustificati. I partigiani non
sono stati dei santi. Non credo sia esatto che gli intellettuali e i borghesi abbiano avuto un ruolo determinante
nella Resistenza, almeno nelle Valli
Valdesi e fin dove arrivò la loro influenza. Q che vuol dire una frase messa così? Se si alludesse genericamente alla
rivoluzione mancata o incompiuta, la
ragione di Tron mi parrebbe ovvia. Ma
così, no. Ci può essere stato qualcuno,
intellettuale, borghese, o no, che ha
approfittato della Resistenza. Ma si
vuole stringere l’accusa? Personalizzo
perché mi sento attaccato. Certamente
ho tratto vantaggio dalla Resistenza.
È, un’esperienza che non auguro ad altri di fare, ma mi ha insegnato molte
cose, mi ha dato molti amici. Mi ha
dato anche molta fame, durante, e ancor di più dopo. Intendo fame di mangiare, materiale, malgrado la solidarietà di familiari ed amici, e forse anche
per una minima fierezza. Eppure sto
in buona salute. Sono, almeno di origine, un borghese; se sono un intellettuale, non lo so: il termine è un po’
vago. La mia è stata l’esperienza di
tanti, che non avevano ancora cominciato una « carriera », e che dopo sono
stati incalzati da più giovani. E stata
simile l’esperienza di uomini più anziani di me, è stata Tesperieùza di persone di tutte le condizioni.
Molti ne subiscono ancora oggi pesantemente le conseguenze. Credo che
sia stato soprattutto Tesperienza di chi
ha interrotto gli studi, li si chiami borghesi o intellettuali, se si vuole; di chi
avrebbe potuto abbastanza facilmente
nascondersi o espatriare. Questo contribuisce a spiegare la successiva non
partecipazione di molti: dovevano pensare a lavorare, a mangiare, a studiare
ili un mondo che non aveva neppure
ancora preso Tabitudine di rivolgere
loro un omaggio rituale, ma in cui erano invece trascinati a mimetizzarsi, nascondendo il passato, per sopravvivere, quando non dovevano, adesso, espatriare. Se parecchi poi sono emersi lo
debbono anche alla Resistenza essenzialmente per quello che ha loro insegnato.
Per quanto riguarda Tintervento di
Ettore Serafino mi limiterei a una considerazione e a un ricordo. Non c’è
niente di male in sé a cambiare idee e
posizioni. Guai se così non succedesse
qualche volta! Importante è riconoscerlo. Capisco che in queste circostanze è
difficile ricordare come ci si presentava. Ma ricorda Serafino una conversazione che ebbe con me, a casa mia, in
Via Wigram 6, nei primi tempi della
Resistenza? Ricordo, come una fotografia, la stanza, i mobili, come eravamo
seduti. Da quella conversazione risultava allora, per me, la sua incompatibili
tà con la Resistenza in Val Pellice. Dico la sua, cioè di un uomo delle sue
qualità che avrebbe dovuto contribuire
a dirigerla.
Chiesa e Valli Valdesi e politica. Vorrei che quel che ho scritto venisse preso in senso amichevole, non solo perché
scrivo 3.\VEco-Luce. E vorrei che quanti) segue venga preso con spirito aperto. Claudio Tron (di cui apprezzo l’opuscolo La protesta giovanile), quando arriva agli archivi della Chiesa, dà lo
spunto per un discorso al tempo stesso storico e di attualità, a uno o più
discorsi che si possono ampliare, di
un genere senza il quale la ricerca storica avrebbe poco senso. Volente o nolente la Chiesa Valdese, chiesa visibile,
è sempre stata implicata nella politica. Solo prendendo gli ultimi secoli lo
fu con Cromwell e con gli Grange, lo
fu con il bernesi — e, perché no?, i banchieri olandesi — lo fu con Geymet
moderatore e sottoprefetto francese (e
i! pastore volterriano Breuza?), lo fu
con Beckwith sospetto di essere un
agente inglese (e non lo era anche, in
un certo senso?), lo è stata con il popolo-chiesa e senza popolo-chiesa.
E un fatto che la Chiesa Valdese nelle Valli Valdesi è una potenza, e che il
pastore è sovente r«inte'lettuale» ascoltato che ben avrà le sue opinioni politiche, che non può nascondere; e perché dovrebbe? L’accostamento non vuol
essere irriverente, ma nelle Valli Vaidesi chi ha contato nei tempi più recenti? La Chiesa. Valdese, la Mazzonis,
la RIV, la Talco-Grafite, e anche il vescovo di Pinerolo, e l’ordine Mauriziano. E un elenco esemplificativo. E i pastori perché mai durante la guerra venivano presi come ostaggi o minacciati o ricercati come mediatori?
Quel che dico è lampante? Imposto
male il problema? Stringiamoci. Avviciniamoci. Un secolo fa il geografo e
anarchico francese (è figlio di pastore),
Elisée Reclus bene individuava ancora
la singolarità di questo piccolo popolo
sui versanti delle Alpi Cozie, troppo
piccolo, secondo lui, per costituire
un’entità politica separata. Allo stesso
tempo, circa con !^ckwith i valdesi
avevano scelto l’Italia e il Risorgimento (non mancavano precedenti, dalla
Calabria alla Riforma alla lenta calata
verso la pianura piemontese). Ma non
f'i mai, almeno nel popolo, una scelta
completa. Si ricordino la storia delle
emigrazioni, e nella borghesia, i legami di sangue che si stabilivano sovente
con non italiani, e quelli che si stabilivano con italiani di varie regioni.
sentiti un po’ come stranieri: Valli e
Evangelizzazione, Valli e Italia. Poi venne la guerra di liberazione, che coincise
con il declino del popolo-chiesa, con la
laicizzazione delle Valli Valdesi. Ora
schematizzo assai. Una nuova funzione
si apriva, una nuova opportunità si offriva a questo piccolo paese, a questa
jlolis. Pochi lo capirono chiaramente,
diversi lo capirono frammentariamente, o lo intuirono. L’originalità delle
Valli, dovuta in gran parte al passato
valdese, dava a più o meno valdesi e
cattolici, e no, e dà ancora la possibilità di ripiegarsi su di sé e di riaprirsi,
non più come ponte dal mondo evangelico alTItalia, ma come comunità esemplare, senza vanità (si tenta sempre),
come ponte fra Tltalia e l’Europa e il
mondo. In prima linea restava il rapporto fra la popolazione di queste Valli e l’Italia, e specialmente con quanti
in Italia si sentono legati a queste Valli.
Come reagì la Chiesa Valdese nella
nuòva situazione? La sue reazioni non
furono tutte negative, tutt’altro. Ebbero conseguenze materiali, politiche. E
inutile voler chiudere gli occhi. La Chiesa Valdese reagì nella Guerra di Liberazione, reagì nelle epurazioni, reagì
quando si trattò dell’autonomia. Ebbe
reazioni diverse.
Molti temettero che con Tautonomia
St sarebbe ricominciato o continuato a
mettere in dubbio l’italianità dei vaidesi. Questo timore non fu solo nella
Chiesa, ma anche dei borghesi. Eppure tre eminenti membri della Chiesa
Valdese, e borghesi, parteciparono a
quella riunione di Chivasso che fu forse determinante per l’autonomia della
Valle d’Aosta, e non so in che misura
pesò anche per l’autonomia delle altre
regioni a statuto speciale, avviamento
alle regioni in Italia. Siamo in piena
attualità. Forse lo storico futuro ci vedrà più chiaro, ma dobbiamo cercare
di vederci chiaro anche noi.
Gli archivi della Chiesa Valdese che
ci dicono su tutti gli argomenti toccati? Ed eventuali altre corrispondenze, e
le memorie? La chiesa Valdese di ieri e
di oggi e le Valli; e la funzione e la
responsabilità nell’iniziativa se non si
vuole un ripiegamento che è rinuncia
che porta alla morte per consunzione:
sono argomenti vitali da cui non si
scappa. Non mi posso dilungare oltre.
L’ambizione con il paraocchi non c’entra; ma sulla Terra ci siamo, e dov’è,
quale è l’interesse, la vocazione di servizio, di una Chiesa Valdese che si senta ricercatrice o portatrice di verità?
Gustavo Malan
Per un Natale diverso
Una lettrice, da Torino:
Caro direttore,
le mando, per la pubblicazione su
Eco Luce, questo trafiletto che i catecumeni di c. Oddone hanno preparato
come proprio contributo alla festa della scuola domenicale. Mi pare significativo che un appello simile venga dai
giovanissimi, mentre assemblee e concistori, in genere, si dimostrano sordi
a questa tematica.
Ringraziando
Evelina Pons
Noi vorremmo esporvi alcune nostre
riflessioni sul Natale.
Come certo sapete, la chiesa primitiva non celebrava questa festa. Essa
fu introdotta nel terzo secolo dal vescovo di Roma per contrastatare la
grande festa pagana del dio sole, che
si celebrava il 25 dicembre e alla quale
i cristiani finivano per partecipare anche loro.
L’importanza di questa celebrazione
andò poi sempre crescendo ed i Riformatori si accorsero che ne aveva troppa, tanto che Calvino disse che per il
cristiano ogni domenica è Natale, Pasqua e Pentecoste. Lutero, da parte
sua, scrisse che, se anche Cristo fosse
nato mille volte, se non è nato una
volta in te, è inutile.
Qra, possiamo dire tranquillamente
che Natale è ridiventata una festa pagana; è una fiera commerciale, una
gran montatura pubblicitaria per far
spendere la 13.a e tutti, più o meno, ci
troviamo presi nel giro affannoso e
spendereccio di quest’atmosfera.
Tutto questo è un’offesa alla Parola
di Dio. Anche le nostre feste tradizionali, con l’albero, le poesie sentimentali, le recite retoriche, hanno poco rapporto con TEvangelo.
Gesù è nato povero, non per essere
cantato nelle ninne nanne natalizie, ma
per indicarci i più infelici tra noi.
Se oggi a qualcuno interessa ancora
essere cristiano, non lo può essere soltanto a Natale, ma tutti i giorni, perchè
tutti i giorni dobbiamo ricordarci che
Gesù è venuto nel mondo per annunziare la salvezza di Dio e l’amore tra
gli uomini.
Perciò noi vorremmo chiedere a voi,
alle nostre famiglie, alla comunità, a
tutti i cristiani convinti: come possiamo fare per caratterizzare in modo e
vangelico questa festa, se proprio dobbiamo mantenerla, come fare p>er attirare l’attenzione di tutti sulla sua deformazione.
A noi pare che dobbiamo avere il
coraggio di rifiutare tutte le mode, le
consuetudini, le tradizioni, rifiutare i
pranzi e i cenoni, rifiutare gli inutili
regali rompicapo e perditempo, le spese per ornare l’albero e la casa; dobbiamo vivere queste giornate nel modo
più semplice e naturale possibile, seguendo l’esempio di Colui che non aveva dove posare il capo e cercandolo
tra i nostri simili.
Per conto nostro abbiamo cominciato, decidendo di rinunciare al regalo
della scuola domenicale e destinando
l’equivalente all’asilo infantile di Qrsara di Puglia, di un paese che si sta
vuotando per l’emigrazione forzata e
dove i bambini non hanno pane sufficiente e sufficiente affetto perchè i loro
padri sono lontani.
Se infine ci sarà qualcuno tra i presenti, che vorrà collaborare alla nostra
iniziativa, ne saremo felici perché significherà che è convinto che ciò che
abbiamo detto è giusto.
I catecumeni del terzo anno
Torino, corso Qddone
Abbiamo a S. Germano tale predicazione: non perdiamola ma ascoltiamola. (Ascoltare è diverso che udire).
Ascoltiamola perché è Tunica via per
la quale noi riusciamo a capire che
possiamo essere valdesi anche senza
il 17 e possiamo celebrare Natale anche senza albero. Potremo tenere e
l’uno e l’altro ma non sarà più questo
l’importante per noi.
Se non prestiamo ascolto alla predicazione che abbiamo, rimarremo solo
i valdesi del 17 e delTalbero di Natale
ma allora avrà veramente avuto ragione la contestazione di accusarci che
non testimoniamo più.
Nelly Rostan
In marcine alla CoofeteDaa
del Primo Distretto
Una lettrice, da S. Germano Chisone:
Poche parole!
Nel mio precedente articolo esprimevo l’augurio che la conferenza fosse
una ricerca: lo è stata.
I nostri interventi di laici non sono
certamente sempre stati all’altezza, ma,
credeteci, abbiamo messo coraggio perché abbiamo sentito che non era il 17
che era in causa ma era in causa la
nostra fede.
Allora vorrei dire una parola alla
mia Comunità di S. Germano, scossa
e turbata come tante altre, per il 17
febbraio e anche per l’Albero di Natale. Noi dobbiamo ritornare alTascolto della pura dottrina delTEvangelo.
Grazie per il
Nuovo Innario
Una lettrice^ da Torre Pellice:
Leggiamo con vivo interesse le considerazioni settimanali del prof. F, Corsani sul Nuovo Innario e sulla sua utilizzazione : sono una
guida preziosa per fare miglior conoscenza
della nuova raccolta, cosi ben presentata.
Nella nostra comunità, nei vari culti e riunioni il nuovo Innario ha già trovato il suo
posto; e ci congratuliamo, con riconoscenza,
con coloro che hanno collaborato con amore
alla sua realizzazione. Anche la stampa è nitida e può essere facilmente letta, fino all’ultima strofa.
I suggerimenti del prof. Corsani sono seguiti, nei nostri culti, riprendendo varie domeniche di seguito i medesimi inni e impadronendocene a poco a poco; anzi, è la melodia che
si impadronisce di noi, e presto anche le parole si fissano nella nostra memoria.
Il cambiamento di tempo e le due velocità suggerite mi paiono un ottimo apporto e
varranno a rendere più leggero e svelto il canto nei nostri culti, decisamente pesante a
confronto con la vivacità dei nostri fratelli
francesi e svizzeri!
Oltre agli adulti, anche i ragazzi della nostra scuola domenicale stanno imparando l’inno natalizio 217, che colmerà il nostro tempio
della sua dolce melodia... E cosi possa il Nuova Innario destare in noi un risveglio di « vivo e santo giubilo ».
Graziella ¡alla
A proposito
di catecumenato
Recentemente Giorgio Tourn ha riproposto all’attenzione dei lettori delVEco-Luce il problema del catecumenato nella storia valdese (per non dire ecclesiologica valdese).
A puro titolo di informazione mi permetto di segnalare a lui (ed ai lettori
del nostro settimanale) un articolo pubblicato nel 1873, n. 20 del settimanale
LEcho des Vallées.
Lo scrittore è amareggiato perchè ha
Timpressione che si fanno molte parole e non si conclude nulla (o ben
poco); « Qn laisse tout dire et Ton fait
comme si Ton n’avait rien dit ».
Dopo questa premessa egli affronta
il problema del catecumenato e riferisce Tesperienza e le confessioni di un
pastore, il quale deve dichiarare che
l’esame e la confermazione dei catecumeni costituiscono uno degli aspetti
più penosi e dolorosi del suo ministero!
Così penosi da spingerlo a chiedersi se
non sarebbe opportuno proporre al
Concistoro un nuovo metodo e un nuovo sistema di « reclutamento » dei catecumeni.
L’articolista osserva che non tutti i
pastori sono disposti a condividere questo pessimismo e questa proposta (non
ben definita); però egli è d’avviso che
pochi sono i pastori per i quali « la
confermazione così come avviene da
noi sia un giorno di gioia e di festa ».
Eppure, tutto continua come sempre,
per forza d’inerzia, in nome della tradizione. Cosa vuole il nostro articolista?
Il suo principio è chiaro, anche se la
realizzazione non lo è altrettanto. Egli
vorrebbe introdurre un « sistema volontario, individuale », rendere più
completa la preparazione catechetica,
senza esclusivismi culturali: aprire la
porta, a due battenti, senza riguardo
all’età, ma alla professione di fede.
Niente confermazione di massa, niente
data (e età) fissa. Non vuole la rivoluzione (oggi contestazione globale?), ma
una riforma progressiva; non pensa
neppur lontanamente ad escludere dalla comunione della Chiesa coloro i
quali non si sentissero di fare la loro
'< sincera e personale professione di
fede ».
Una sola cosa è certa: la conferma- '
zione solenne di massa non può e non
deve più durare.
In un altro articolo dello stesso Echo
(n. 19, 1873) ci viene presentato un quadro del catecumeno valdese non privo
di interesse: egli frequenta i corsi di
catechismo col solo scopo di poter
« prendere la comunione », cioè col vero
scopo di « esser dispensato in avvenire
dal dovere di partecipare al culto, alla
S. Cena, di esser dispensato dalla lettura della Bibbia, di occuparsi di problemi religiosi ecc. ».
Durante il periodo della istruzione
religiosa, egli si impone un certo rispetto alla tradizione puritana della
Chiesa e si astiene da certi « trattenimenti mondani », ma dopo (dopo la
Confermazione) verrà la rivincita!
E il nostro articolista è inferocito,
vuole abolire questo catecumenato il
quale ha come frutto « le nostre Chiese
di mondains, d'ipocriti e d’iridifferentl ».
Ecclesiologia, dicevo aU'inizio; non è
una parola troppo grossa, perché, conclude nel 1873 l’articolista, si tratta di
sapere « se vogliamo farla finita con la
Chiesa moltitudinista (tout y va) per avere una Chiesa, assemblea dei credenti ». Gino Costabel
Il giorno 1° dicembre il Signore ha
richiamato a Sé
Albertina Giaiero
di anni 87
La sorella Eugenia ved. Balmas e nipoti, nel dame il mesto annuncio, ringraziano tutti coloro che sono stati vicini nell’ora del lutto. Un ringraziamento particolare al Pastore P. L.
Jalla e alla famiglia Bounous.
S. Germano Chisone, borgata Savoia
Il marito Angelo Lagrasta col piccolo Stefano, il figlio Guido Mancini,
le famiglie Meucci, Piacentini, Angio
lillo ringraziano commossi i pastori e
quanti altri hanno preso viva parte
al lutto per la improvvisa morte della loro
Marcella
« L’Eterno renderà la solitudine
di lei pari a un giardino »
(Isaia 51: 3).
Roma e Torre Pellice, 5 dicembre 1969
« Buono e fedel servitore,
entra nella gioia del tuo Signore »
(Matteo 25; 21)
Iddio ha richiamato a Sé, in età di
87 anni, l’Anziano
Luigi Malan
Con profondo dolore, ma con fiducia nella vita eterna in Cristo Gesù,
ne danno il triste annunzio il figlio
Delio ed i parenti. La più viva riconoscenza a tutti coloro che sono sta^
ti vicini e di aiuto materiale e morale
in questo grande dolore.
Ciabas di Angrogna, 15 dicembre 1969
5
10 dicembre 1969 — N. 50-51
pa?
L'Evangelo di Natale
secondo Rembrandt
la quest'anno in cui ricorre — come abbiamo ricordato — il terzo centenario della morte di Rembrandt, presentiamo il
messaggio di Natale del grande pittore riformato olandese, quale un altro grande
riformato olandese nostro contemporaneo
ha fatto risultare da due opere delVartista.
Si tratta di alcune pagine da Rembrandt
et la Bible.
Fra i grandi artisti, Rembrandt è
uno dei pochi che, dipingendo Natale, abbiano veramente reso l’incarnazione in tutta la sua durezza paradossale. Infatti l’enorme maggioranza dei pittori non lascia parlare
l’Evangelo e fa del racconto di Natale una storia poetica che si svolge
in un’atmosfera celeste oppure, all’opposto, un avvenimento del tutto
profano. Pochissimi di loro hanno
capito che soprattutto in questo ca
ria portasse una veste sontuosa, né
che i pastori fossero i personaggi romanzeschi di una pastorale (come
per il Correggio e molti altri). Li
Bibbia ignora la madonna della
Controriforma, la cui gioia e fierezza tendono ad attirare l’attenzione
dello spettatore sul figlio suo. Quant’è più sobrio e semplice, l’Evangelo! Volendo dire più di esso, si dice
assai meno.
Ecco una stalla comunissima. Il
, padre è seduto su una carriola, la
madre sulla paglia. Arrivano dei pastori con mogli e figli; uno di loro
ha una cornamusa. Un ragazzino osserva il neonato con profondo interesse. Che si potrebbe descrivere di
più umano, di più terra terra?
Il «Dostoevskij» di E. Thurneysen
RASKOLNIKOV 0 il tìtanisino
L'adorazione dei pastori con la
SO era essenziale accettare il mistero
(li Natale, senza cercare di darne
un’interpretazione puramente divina o puramente terrestre.
Certo, Rembrandt non ha colto
nf'ppure lui fin dal principio la portala di questo messaggio. Ma a partire dal 1642 (Vanno di una grave
crisi nella sua esistenza, la quale maturò in u na coni prensione nuova delV ^vangelo che possiamo davvero
( Ììiamare conversione; n. d. r.), nel
raccoglimento, egli scopre a poco a
poco il significato profondo della
natività. Vede che a Bethlehem si
assiste all’azione diretta di Dio, intelligibile soltanto alla fede. Come
in tutta la sua pittura biblica, respinge tutto ciò che colpisce l’occhio, il maestoso e l’angelico, affincIk' non si possa più dubitare della
((Viltà (leiravvenimento, del suo cafa'.tere immediato e umano. Tuttavia, lo sottolinea chiaramente, l’elemento visibile non è quello più im[vortante : quest’umile neonato nella
lampada, acqua) orte del 1654
Eppure, in questa scena carica di
sign ficato è evidente che accade
qualcosa di straordinario. C'u il loro atteggiamento i pastori mostrano
che stanno facendo un’immensa scoperta. Non vi è in loro nuda della
curiosità naturale di vicini accorsi
alla nascita di un bimbo. È una gioia
piena di rispetto e di stupore. Il pastore che si scopre il capo ha visto
airimprovvlso una gran luce. E
quell’altro congiunge le mani in un
gesto di preghiera spontanea.
Alcuni uomini hanno cap tn, qui,
quanta certezza, quanta verità contenesse l’incred bile notizia di un
Salvatore in fasce e coricato in una
mangiatoia. Giuseppe pare dire:
« Neanch’io capisco, ma è così: questo piccolo è il Messia promesso da
Dio ». E sua madre? Non siede su
un trono, non pensa a presentare il
figlio al pubblico: il suo sguardo si
perde lontano. La sua gioia già si
vela della sofferenza che presente
nel destino del figlio.
Il sogno di Giuseppe a
mangiatoia è il Salvatore del mondo.
Alcuni esempi ci aiuteranno a capire meglio il messaggio di Rembrandt
^ *
L’acquafòrte detta generalment :
L’adorazione dei pastori con la lampada, terminata nel 1654, parrà a
molti profana. Ma forse proprio in
questo carattere profano si nascon de il messaggio dell’artista. La Bibbia non dice che Gesù sia nato in
un’antica rovina (come lo presentano gli artisti rinascimentali, da Mantegna a Veronese); né dice che Ma
Bethlchem, tela lei 1645
È forse soprattutto II sogno di
Giuseppe, del 1645, a mostrare con
la massima chiarezza la sensibilità
di Rembrandt al c.gra.ttere drammatico di Natale. A coloro che vedono
in Raffaello e nell’apogeo del Rinascimento il culmine dell’arte cristiana, quest’opera proverà in modo definitivo che Rembrandt ha trattato
il mistero di Natale senza alcun rispetto. Essi pensano infatti, con jakob Burckhardt, che « ciò che è sacro, per impressionare, esige per lo
(segue a pag. 6)
Proseguiamo nella pubblicazione di stralci dal
Dostoevskij di Eduard Thurneysen, pubblicato in italiano nel 1929 dall'editrice BOXA, nella traduzione di
O. Rosenthal. Dopo l’introduzione, vengono affrontati
nel loro tema centràle i principali romanzi dostoevskiani, ed è la volta di Delitto e castigo. Si tratta di
una “lettura” particolare di D., certo; ttiU ci pare oggi ancora andare all’essenziale. Si pensi che queste
pagine sono state scritte verso la metà degli anni
venti: il titanismo empio e assassino stava prendendo volto nella colta Europa.
Una schiera di uomini strani, di tutte le classi sociali
e di tutte le provincie e zone spirituali possibili e immaginabili tra cielo e inferno, ricavati tutti dalla vita reale e
rimessi nella vita; non spettri dunque e ombre, ma uomini
veri della realtà con nome e viso terreno, radicati con tutte
le fibre della natura nel suolo sul quale stanno — eppure,
essi tutti, proprio nel loro essere terreno, tanto stranamente aterreni, proprio nella loro mondanità, niente affatto di
questo mondo, proprio nel loro radicamento, tanto sradicati! Banale e triviale è la loro vita, così come è la vita in
verità — si pensi soltanto al teatro di quasi tutti i romanzi di Dostoevskij : strade buie, camere anguste, bettole
oscure, bordelli e carceri — ma proprio questi angoli
scuri, teatro di quali estasi dell’anima in tutti i cieli e di
cadute in tutte le profondità; di quali discorsi inauditi
riecheggiano proprio questi muri nudi di anguste celle e
camere; quali fantasie eterne racchiudono queste pareti di
mattoni crudi di poveri quartieri di sobborgo; e com’è pregna, proprio la trivialità e banalità di questa vita, del segreto di una vita del tutto diversa; ecco il mondo di D.;
ecco i suoi uomini; ecco la sua risposta che domanda, la
sua domanda che conosce!
LA TENTAZIONE DEL SUPERUOMO
Ma guardiamo più da vicino.
Rodion Raskolnikov, il protagonista di Delitto e castigo. Un giovane studente in povertà e pieno avvilimento. Il
suo spirito forte e fiero è oppresso dall’angustia dell’esistenza: egli si vede rinchiuso come in una cassa da morto
nella sua camera misera. Cerca una via di uscita. Perché
non dovrebbe semplicemente erompere dalla sua angustia,
imporsi, se così occorre che sia, con violenza, persino attraverso un cadavere? Egli conosce una vecchia usuraia.
Che cosa vale la vita di lei di fronte alla sua? Se la uccidesse e s’impossessasse del suo denaro?
Così ha pensato Napoleone, così ha in ogni modo agito...: « Un vero dominatore al quale tutto è permesso, distrugge Tolone, o: ganizza im macello a Parigi, dimentica
un’armata in Egitto, consuma mezzo milione di uomini
nella campagna di Russia e se ne sbriga a Wilna con un
gioco di parole: i a lui s’innalzano dopo la morte monumenti. Dunque tu to è permesso. No, uomini siffatti non
sono evidentemente di carne e sangue, ma di ferro! ». Che
cosa impedisce allo studente di pensare, di agire anche
lui così? «Gli uomini eccezionali — egli ragiona — hanno
il diritto di scavalcare qualche ostacolo, se la realizzazione della loro idea lo esige ». Comunque sia, qualcosa lo
impedisce. Egli è sì « un uomo straordinario », ha « una
idea » o meglio essa ha lui; ma evidentemente non è così
semplice essere di ferro anziché di carne e di sangue: Ah,
quel qualcosa enigmistico che non riesce a superare! È
fuori? È dentro? Soncj preoccupazioni estetiche quelle che
lo trattengono dall’assassinio, sono pregiudizi morali?
Comunque c’è qualcosa. Ma con una casuística tagliente
Viene ora affrontato. Non è sicuramente altro che uno
spettro. Viene strozzato. Per il forte non valgono preoccupazioni e pregiudizi : « tutto è permesso ». La strada è libera e in segno di ciò cade rascia omicida. Una vittoria è
riportata. Oppure, invece, non è riportata alla fin fine?
Non era, già nel momento in cui l’ascia cadde, lucidamente chiaro che quel qualcosa non era superato? Per quale
altro motivo l’assassino avrebbe agito così contro natura,
così costretto, così paralizzato, legato, « come se qualcuno
— dice D. — lo avesse preso per mano tirando'lo irresistibilmente e senza opposizione da parte sua, con sé... come
se egli stesso fosse condotto alla esecuzione... come se egli
con un lembo della giacca fosse capitato nella ruota di una
macchina e da essa trascinato »? E dopo il fatto, com’è
stranamente sradicato e senza punto d’appoggio, lui, il
forte! Nasconde il patrimonio rubato non solo alla polizia, ma a sé stesso. È in fuga senza essere inseguito. E colui che intendeva superare qualsiasi scapolo sulla sua strada finisce proprio con l’andare a costituirsi. Invece di alzare la testa con divino orgoglio di vincitore, si lascia
umiliare da Sonja, la sgualdrina, si inchina in terra e la
bacia come un penitente, viene esiliato nella Siberia e sta
pioprio allora davanti a quell’inesprimibile qualcosa della
vita stessa che l'aveva tormentato e perseguitato e che
egli tuttavia, malgrado la sua dialettica tagliente, non ha
potuto scoprire né, con il suo misfatto, strappar via.
UN’INSAZIABILE SETE DI VITA
« Dove mai ho letto — dice una volta Raskolnikov a
sé stesso — che un condannato a morte un’ora prima della
sua fine dice o pensa che, ove egli dovesse vivere in un
posto qualunque, in cima a un’altura, sopra una roccia o
su di una striscia stretta circondata da abissi, dall’oceano,
da eterne tenebre, da eterna solitudine e eterna tempesta,
e così, stando sopra questa striscia non più larga di un
braccio, dovesse passare tutta la vita, mille anni, un’eternità — pure preferirebbe vivere così piuttosto che morire
subito! Vivere, vivere, vivere, null’altro! Come? Non importa! Vivere solamente! Com’è vero. Signore Iddio, com’è vero! » In parole come queste, piene di insaziabile sete
di vita, si rivela la molla segreta e il presupposto di tutti
i suoi pensieri. Quest’intellettuale teorico è assetato di vita, non di assassinio e di morte. « Se avessi forse proseguito per la mia strada, non avrei più commesso un assassinio » — dice più tardi, quando ha imparato a conoscersi.
Con il peso conferito dall’esservi impegnato tutto
« l’uomo », con Raskolnikov è posto il problema della vita:
non solo qualche cosa della vita, un pezzettino di vita, ma
la vita, nel senso pieno, creativo del termine, viene ricercata. E questo non è più nella sfera delle possibilità umane. La vita è in Dio, in lui sono le sue origini. Egli è il
creatore. Ma l’uomo non è Dio. Oppure...? La temerità di
questa domanda tenta Raskolnikov: ecco il nocciolo della
sua problematicità, ecco la sua presunzione prometeica:
« Non ho ucciso per aiutare mia madre, è un non-senso!
Non ho ucciso per ottenere mezzi e potenza e diventare
poi un benefattore dell’umanità: non-senso! Ho ucciso
semplicemente per me, per me soltanto. In quel momento
mi doveva essere completamente indifferente la prospettiva
di diventare il benefattore di qualcuno oppure di attirare
tutti come un ragno nella mia rete per tutta la vita!... E
non m’importava il denaro in prima linea, quando uccisi;
non il denaro era per me tanto importante, ma qualcosa
affatto diversa... Ora so tutto... Dovevo apprendere se sono
un pidocchio come tutti oppure un uomo! Sono capace di
passare oltre, o non lo sono? Oserò chinarmi a raccogliere
ii potere, o non oserò? Sono una creatura tremante, oppure...? ».
SI CONFONDONO I CONFINI
FRA CIELO E TERRA, FRA DIO E L’UOMO
In quel momento viene interrotto da Sonja; ma noi
ne sappiamo abbastanza. Siamo vicini alTEcco homo di
Nietzsche. Le pietre terminali deU’umanità dovrebbero essere spostate. E qui in gioco la purezza dei concetti Dio,
uomo, vita! E la soluzione? L’abbiamo accennata. Quando
egli spinge la sua dialettica fino a quell’estremo vertice,
ove si confondono i confini tra cielo e terra, tra Dio e Uomo, dove l’uomo vuole afferrare la vita di Dio, ecco che
quella dialettica si capovolge e non perviene alla vita, ma
alla morte. Il fatto che si sprigiona da quella logica prometeica è il misfatto, l’assassinio. Ma in quella logica c’è
la conoscenza.
E ora si fa infinitamente chiaro: l’uomo non è Dio.
Anche « il forte » è « un misero pidocchio come tutti ». Impadronirsi della vita con immediatezza creativa non è nella sfera delle possibilità umane. Nessuna teoria, fosse la
più acuta, può darci accesso a questa possibilità; e in nessun atto e fatto della vita la si può afferrare. Questa conoscenza risveglia Raskolnikov. « Perché, perché — egli pensava — la mia idea è più stolta delle altre idee e teorie che
da che mondo è monido si spandono ovunque cozzando fra
loro? Qccorre solo considerare la questione da un punto
di vista del tutto indipendente, largo e isolato dalle influenze quotidiane, e allora il mio pensiero certamente non apparirà così bizzarro... Egli formulò con angoscia questa
domanda ed ebbe il presentimento di una menzogna profonda, nelle sue convinzioni ».
ATTRAVERSO LA COLPA, LA CONOSCENZA
Solo adesso egli comprende sé stesso; e adesso soltanto egli comprende sé stesso in Dio e, nella propria limitatezza e umanità, lungi da Dio. Non tende più oltre. Sa che
dall’uomo nessun ponte conduce oltre, appunto per amore
dell’onore di Dio e della purezza dell’uomo. Ma forse, da
Dio? — Questa non è più una domanda prometeica, poiché
non _è più ricerca di possibilità umane. In questa domanda si apre a Raskolnikov la visione prospettica su di una
possibilità ultimissima, quella di passare veramente nel regno eterno della vita: la possibilità della risurrezione. Questa possibilità ultima, per l’uomo, non è però più una possibilità dell’uomo. Chi però, come Raskolnikov, è entrato
nella conoscenza e nel timor di Dio, dovrà conoscere proprio quest’estrema, unica e impossibile possibilità, e potrà
conoscerla senza pericolo. Già una volta si era affacciata
a lui quando Sonja, la sgualdrina, a lui, l’assassino, in
quella notte incomprensibile piena di confessioni e di umiliazioni aveva letto il risveglio di Lazzaro (proprio questa
storia di risurrezione!) nell’Evangelo di Giovanni. Egli allora non l’aveva capita. Ora però sale anche a lui sulle labbra quella parola incomprensibilmente grande, che dice
più di quanto è dato sapere all’uomo: risurrezione.
LA VERA VITA,
SEMPRE AL DI LA’ DELL’UOMO
« Una nuova concezione della vita » chiama D., altrove,
il risultato di tutto lo sconvolgimento operatosi in Raskolnikov. Null’altro dunque che una nuova teoria? soltanto
un pensiero, un’idea? — siamo tentati di chiedere. Sì, soltanto una nuova teoria, soltanto un nuovo pensiero è il
risultato di questa lotta. Ma un pensiero veramente nuovo, « una nuova concezione della vita ». Abbiamo sentito in
che cosa essa consiste: nella persuasione che la vera vita
dell’uomo è al di là dell’uomo com’è qui e ora, al di là dell’estremo limite di ciò che di solito chiamiamo « vita ».
Dunque, non per mostrare una via qualunque per impadronirsi di questa vita vera e per valersene trionfanti,
non per dedurre dalla tragedia di un cosidetto « intellettuale » l’assioma che « la vita vale più della teoria e del
pensiero » e per screditare poi con questo assioma tutto il
pensiero, eliminandolo a favore di una « esperienza vissuta » più che dubbia — no, non per questo è stato scritto
Raskolnikov. Ma soltanto, in verità, per bene incanalare
i! concetto della vita, per scindere il pensiero falso dal
vero. Colui al quale ciò sembri troppo poco, può tentare
di nuovo coi romantici e pseudorivoluzionari di tutte le
sfumature l’impresa di schiudersi con la forza, superando
in ciò lo stesso Raskolnikov, Taccesso a una vita sovrumana al di là di tutte le barriere che qui e ora ci limitano.
Sperimenterà di nuovo, a modo suo, la tragedia Raskolnikov.
Per D. non è stata cosa di troppo poco valore, la sua
« nuova concezione della vita ». A lui non pareva troppo
poco che alla fine del suo libro non apparisse né un rivoluzionario, né un pacifista, né un’anima particolarmente
pura, nobile, un martire o un santo né un esperto o riformatore della vita, e neppure un’uomo completamente convertito, ma « soltanto » un uomo che ha « una nuova concezione della vita » e il quale ora molto semplicemente —
del resto sempre carico in ogni senso della problematicità
del suo carattere — con la guida e con la promessa di questa nuova concezione ritorna alla vita com’è qui e ora. In
terra questo può essere poco — nel cielo però vi è più
gioia per un solo peccatore pentito che per novantanove
giusti che non hanno bisogno di pentimento.
(continua)
Uoiie ¡Dknazionale di ebraico a Rivoli
Ci pregano di annunciare — e lo facciamo volentieri — che dal
26 dicembre al 3 gennaio si terrà presso il Seminano arcivescovile
di Rivoli (Torino), a cura della « Associazione degli amici delle sessioni di ebraico », la seconda Sessione internazionaie di ebraico di
Rivoli. La prima sessione, ben riuscita, ma con debole partecipazione
italiana, si era tenuta lo scorso inverno. Il programma, assai nutrito,
comprende tre corsi (principianti: La vocation de jMoise, J. Maigret;
Storia delle origini, Gen. l-Il, F. Ardusso — progredienti : Le
Second Isaïe, J. Rademak^rs — superiore: Il profeta Amos, L. Caro: Giudici 17-18, D. Schaumann; Le Livre de l'Ecclésiaste et le
Pirké Avoth, G. Vadnai).
Sono inoltre previsti : ebraico parlato, una ricca serie di conferenze su argomenti biblici, linguistici, storici, lavoro di gruppo e distensione, dischi, canti e danze d’Israele; serata di amicizia, a fine
d’anno; escursione in pullmann sulle Alpi. Il prezzo della partecipazione alla sessione è di L. 30.000 tutto compreso; condizioni particolari per studenti, gruppi, famiglie : rivolgersi al segretariato per
l’Italia; Vittoria Nardini, S. Lorenzo 5121, 30122 Venezia; indirizzo
della Sessione: Seminario arcivescovile, 10098 Rivali (Torino), telef.
95.79.71-95.03.97.
6
T>ag
N. 50-51 — 19 dicembre 1969
La Chiesa nel mondo
a cura di Roberto Peyrot
UN PROFILO DI DAG HAMMARSKJOELD
La fede di Mister H
Le Chiese
al servizio della pace
Gwatt, Svizzera (soepi) - L’equilibrio
del terrore che ha fin’ora impedito alle
grandi potenze di utilizzare le armi nucleari non porterà mai ad un mondo
giusto e pacifico, non fosse che per il
fatto che favorisce i conflitti nel Terzo
Mondo e limita la libertà d’azione di cigni paese, particolarmente per quanto
riguarda il disarmo.
E questa una delle conclusioni cui è
pervenuto un gruppo di lavoro del colloquio organizzato a Gwatt, in Svizzera,
a fine novembre dalla CEE, la Conferenza delle Chiese Europee, che ha riunito dei pastori dell’Europa (e quindi
dell’Est e dell’Ovest). Questo gruppo si
è anche detto favorevole alla prosecuzione dei. negoziati sul disarmo, alla totale interdizione della produzione di
armi batteriologiche e chimiche ed alla ratificazione del trattato di non proliferazione.
I gruppi di lavoro erano tre : Il cristiano e la Chiesa al servizio della pace;
le Chiese, assieme, al servizio della pace; Un sistema europeo di sicurezza.
La relazione del terzo gruppo, approvato all’unanimità meno un’astensione
afferma che la corsa agli armamenti
rende indispensabile la conclusione di
un accordo sulla sicurezza, e che è altrettanto necessario riconoscere l’integrità territoriale di certi paesi.
Le Chiese vengono vivamente incoraggiate a sostenere un ruolo nella vita
del loro paese, a discutere dei problemi
della pace con gli esperti ed a collab<>
rare con i non cristiani. Esse devono inoltre studiare le cause dei conflitti internazionali e chiedersi in quale misura
esse stesse ne siano responsabili.
II secondo gruppo di lavoro ha attirato l’attenzione delle Chiese sulla loro
responsabilità nei confronti del Terzo
Mondo. Fra l’altro dice: «Se le Chiese
cercheranno di liberare l’Europa dalla
tentazione dell'introversione e se prenderanno coscienza delle responscibilità
dell'Europa verso le altre parti del
mondo, questo contribuirà a favorire
la riconciliazione nella stessa Europa».
« NO » DI UNA CHIESA
RHODESIANA ALL’APARTHEID
Salisbury (epd). - La Chiesa evangelica luterana di Rhodesia, sostenuta dalla Missione
della Chiesa di Svezia, ha detto un « no »
chiaro al processo di separazione razziale avviato daUa minoranza bianca. In una dichiarazione pubblicata prima del voto sulla Costituzione, il 20 giugno scorso, essa ha ammonito tutti i suoi membri a pregare affinché
impedisca tutte le misure che contrastano con
la fede cristiana e con il dovere di raccogliere tutti gli uomini in unità e fraternità, offrendo a tutti le medesime possibilità, senza
considerazione di razza.
«CONTINUATE LE SANZIONI
CONTRO LA RHODESIA»,
Edinburgh (spr) - « Continuate le vostre
sanzioni contro la Rhodesia », domanda un
Comitato speciale della Chiesa di Scozia in
un rapporto apparso in questo mese t esso prega istantemente il governo britannico di tentare di evitare un conflitto tragico e duraturo
sulle rive dello Zambesi e all’interno stesso
della Rhodesia.
Il Comitato della Chiesa e della Nazione accusa il fronte rhodesiano di preservare la supremazia dei bianchi. « L’apparato poliziesco
dello Stato ha ormai il suo posto nella costituzione; il razzismo e la repressione si sono
uniti e si mantengono a vicenda ».
lismo israeliano, quello maoista marxista-leninista, quello svedese, quello
comunista ecc.
— in campo umano, nella mancanza di un approfondimento del termine « sviluppo » come concetto complesso di sviluppo integrale dell’uomo
e dei suoi raporti con lo sviluppo economico ;
— in campo culturale, il mancato
approfondimento del concetto di etnocentrismo, della pluralità culturale,
delle diverse vie allo sviluppo e la tendenza a pensare soluzioni senza verificarle sulla realtà di chi deve autoprogrammare e autogestire il proprio
sviluppo ;
— in campo economico, un’incomprensione, quasi indipendenza degli
interessi delle singole nazioni dai valori sociali ed etici.
Un libro, in definitiva, che, pur potendo essere in parte contestato, in
particolare dal punto di vista del terzo mondo, ha il grande pregio di affrontare un problema scottante per
tutti, destra, sinistra, centro: e lo affronta con coraggio e generosità, costringendo chi lo legge ad ima precisa presa di coscienza e di posizione.
E questo mi pare uno degli obiettivi
più importanti che può raggiungere
un libro.
Dag Hammarskjoeld, segretario delrONU dal 1953 al 1961, morto per un
incidente aereo, non si sa se dovuto
alla fatalità o ad atto di sabotaggio,
mentre svolgeva una missione nel Congo, ha lasciato un diario della sua vita
interiore, pubblicato dalla casa editrice
Rizzoli nel 1967, intitolato: Linea della
vita, nel quale annota le riflessioni, le
meditazioni, le esperienze spirituali da
lui fatte nel corso di una vita densa
di responsabilità e di avvenimenti importanti. Il pastore Franco Giampiccoli trae da questo diario un interessante profilo di Dag Hammarskjoeld,
credente e uomo politico. Forse il fatto
che Hammarskjoeld ha vissuto la sua
fede religiosa proprio in un impegno
politico attrae particolarmente l’attenzione dell’autore; in questo studio a noi
piace captare, più che l’uomo pubblico
Hammarskjoeld che, occupando un alto
ufficio, vive uno squarcio di storia contemporsmea, per l’appunto il credente
Hammarskjoeld, con la sua esperienza
religiosa, la sua fede profondamente
sentita e coscienziosamente applicata a
tutte le circostanze della vita.
Approfondendo i’esame di questa singolare e simpatica personalità di credente del mondo odierno, ci accorgiamo che la sua fede non è pienamente
ortodossa, secondo una visione rifor
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
Entusiasmo da neofita
(continua da pag. 3}
— l’impossibilità, anche per i singoi di sfuggire ai problemi del terzo
fiondo, rifugiandosi in visioni unicatiente escatologiche o rivoluzionane;
— la necessità di pagare, ciascuno
[i noi, i danni del colonialismo e di
tiodifi’care le strutture delle nostre
ocietà ; . ^
— il tentativo di vedere i torti dove
ssi sono sia in Occidente che in
Iriente e la denuncia della trasfor(lazione del Terzo Mondo in campo
li battaglia delle grandi potenze;
— la realistica presa di posizione
ul problema della guerra e della noluzione e quella contro la tecnocraÌ3> *
— l’ipotesi, molto concreta, del pasaggio dall’agricoltura alla ciberne
Se si vogliono citare alcune carenze,
ai pare di poterle iiotare: _
_ in campo politico, nell insistere
ulla contrapposizione fra capitalisirio
socialismo, senza un tentativo di
ndividuare soluzioni adereriti al tero mondo e non precostituite, e nel
oncetto «panacea» di « socialisino»
Lon analizzato, tanto che non è chiao se in esso siano compresi il socia
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 — 8.7.1960
Tip. Subalpina s.p.a - Torre Pellice (To)
LA GRECIA
E IL CONSIGLIO D’EUROPA
Fra tante e tante notizie angosciose, molte delle quali tragiche, ecco una
notizia, una volta tanto, che, pur non
essendo di gran rilievo, rallegra e consola un poco: l’uscita della Grecia dal
Consiglio d’Europa.
È stata un’uscita equivalente, nella
sostanza, a un’espulsione: infatti essa
è avvenuta solo poche ore prima di
quella che ormai si annunziava come
decisione certa del Consiglio. Nel suo
editolriale del 14-15 c., « Le Monde »
cosi commenta:
« Bisogna dire che il comportamento
del regime d’Atene ha molto contribuito a mobilitare contro di lui una buona
parte dell’opinione europea. Gli arresti
arbitrari, i processi sommari, le gravi
pene di prigione inflitte a delle donne
e a degli uomini che, nella maggior
parte dei casi, s’eran resi colpevoli, di
delitti d'opinione, l’internamento di
centinaia di “sospetti", le notizia persistenti sulle torture che verrebbero
praticate nelle galere del generale Pattakos, avevano provocato un’indignazione crescente.
Tuttavia l’opinione greca ha verosimilmente avuto una parte decisiva nella mobilitazione dei paesi membri del
Consiglio d’Europa. I suoi rappresentanti, dopo il colpo di Stato del 2I-4-’67
hanno continuato, senza mai stancarsi,
a fornire alla stampa e ai governi delle infortriazioni convincenti sugli avvenimenti di Atene, spesso camuffati o
deformati da una censura locale particolarmente draconiana.
Nella loro azione, quei rappresentanti hanno sistematicamente evitato di
rimettere in causa l’appartenenza della
Grecia alla comunità occidentale, insistendo (al contrario) sul fatto che il
“regime dei colonnelli” avrebbe rischiato, alla lunga, di mettere in pericolo il
fianco orientale dell’alleanza atlantica.
Infatti essi sostenevano che l’appoggio
implicito che l’Europa dava al generale
Papadopulos avrebbe potuto indurre il
popolo greco a perdere ogni speranza
nelle democrazie occidentali. In tal
modo essi sono riusciti a dissociare la
. maggioranza dei membri del Consiglio
d’Europa dal loro alleato americano,
persuaso (da parte sua) che il regime
militare d’Atene costituisce un fattore
di stabilità nel Mediterraneo orientale. (...)
Il ritiro della Grecia dal Consiglio
d’Europa non basterà certamente a
trasformare il regime in causa, ma la
disapprovazione pubblica ora inflitta al
governo del generale Papadopulos non
mancherà d’indebolire l’autorità di
questo, sia all’interno del paese, sia
sulla scena internazionale ».
LA GRANDE MINIERA
DELLA SOCIETÀ’ DEL BENESSERE
E una vasta regione comprendente il Sud-Africa, la Rhodesia, il Mozambico ed alcuni altri Stati minori.
« Nei giorni scorsi la legge fondamentale della nuova repubblica rhodesiana
è stata finalmente promulgata diventando operante. Si tratta dell’ultimo atto di una storia caratterizzata da troppe complicità e da troppi silenzi, di una
storia in cui alle petizioni di principio
non sono mai seguiti i fatti. Soltanto il
3 novembre, pochi giorni prima del
voto al parlamento rhodesiano sulla
nuova Costituzione, la Commissione dei
territori non autonomi dell’Assemblea
dell’ONU aveva chiesto per l’ennesima
volta alla Gran Bretagna l’impiego della forza per “mettere immediatamente
fine al regime illegale di lan Smith".
La risoluzione che, come tutte quelle
che l’avevano preceduta, era rimasta
sulla carta, era passata con 79 voti
contro 8, e 11 astensioni. A parte la
Gran Bretagna che per il fatto di non
aver mai utilizzalo la forza in Rhodesia, non poteva votare contro sé stessa,
i Paesi che si sono opposti alla risoluzione dell’ONU sono quegli stessi che,
dal momento della dichiarazione unilaterale d’indipendenza (II novembre
1965), hanno concretamente aiutato
(pure se taluni in modo non ufficiale)
il regime di lan Smith: Stati Uniti,
Australia, Sud-Africa, Portogallo, Belgio, Paesi Bassi, Nuova Zelanda. I Paesi che si sono astenuti sono molto probabilmente quelli disposti ad accettare il fatto compiuto; tra questi, la
Francia, la Norvegia, la Danimarca, la
Finlandia, l’Italia, l’Islanda, l’Irlanda,
la Spagna, la Svezia.
Il contenuto della nuova costituzione
di Salisbury è ormai noto.. Essa sancisce la divisione da Londra e l’istituzionalizzazione della supremazia europea,
sulla popolazione africana (150 mila
bianchi rispetto a 4 milioni e mezzo di
“non bianchi”) sul modello del regime
di “apartheid" già ampiamente sperimentato nel Sud-Africa. Non bisogna
dimenticare, tuttavia, che la legalizzazione dell’“apartheid" è un classico prodotto della concezione britannica di
“ordine coloniale”. La base dell’attuale
costituzione e dello stesso regime di
di segregazione razziale, si trova nel
“Land Apportionment Act" votato nel
.1930 dal territorio autonomo della Rhodesia sotto dipendenza inglese. Quella
legge divideva il territorio in due settori distinti e della pressocché identica
estensione: da una parte le terre dei
negri (le più povere e le più aride);
dall’altra quelle dei bianchi. A distanza
di quaranta anni dall’“Apportionment
Act", la popolazione africana è anumentata del quaranta per cento circa, mentre le “riserve” sulle quali è stata ed è
costretta a vivere, si sono ulteriormente impoverite. Una terra che mantiene
i quattro milioni e mezzo di negri al
limite della sopravvivenza: e ciò spiega perché, in Rhodesia più che negli
altri Paesi africani, è particolarmente
accentuato il fenomeno dell’abbandono
delle campagne soprattutto da parte
dei giovani, i quali, di fronte al rischio
sempre presente di carestia, preferiscono andare a lavorare nei latifondi, nelle miniere o nelle industrie dei bianchi, pure se il livello sub-umano della
loro condizione non muta sostanzialmente. Il salario medio di un lavoratore negro, per 80 ore settimanali, è infatti equivalente a circa 9.000 lire mensili. (...)
Anche in rapporto all’avanzata del
movimento di liberazione in Africa Australe, il governo di Pretoria sta accelerando in misura rilevante i suoi
programmi esponsionistici. Il Sud-Africa è economicamente forte come non
10 è mai stato in questi ultimi vent’anni. Gli afflussi di capitali stranieri (soprattutto statunitensi, inglesi e tedesco-occidentali) per investimenti nei
più diversi settori, non sono mai stati
così massicci. Daltra parte, dal punto
di vista di Pretoria, l’attuale situazione
non può che essere considerata un
grande successo. E Vorster (primo
ministro sud-africano) non ha mancato di farlo rilevare. A Pretoria, considerando il risultato raggiunto a Salisbury, si è particolarmente ottimisti
anche per quello che viene considerato
11 nuovo obiettivo del governo sudafricano: ¡’“indipendenza” del Monzambico il cui processo appoggiato da alcuni
importanti settori economici portoghesi, sarebbe già in atto ».
(Da un articolo di Bruno Grimi, su
« L’Astrolabio » del 14-12-1969).
mata: egli non pone al centro del suo
credo Cristo e la sua opera di redenzione per noi peccatori, ma una spiritualità elevata, tratta dalla Bibbia —
in modo particolare dai Salmi •— e
ispirata alla figura di Cristo quale maestro e modello di vita. Riecheggiando
l’etica di Albert Schweitzer e la mistica
medioevale Dag Hammaiskjoeld mette
''accento sull’amore, « questa parola così abusata e fraintesa, Tamore che è un
vero oblìo di se stessi, un compimento
senza esitazione del dovere, un’accettazione senza riserve della vita, qualunque cosa essa rechi personalmente in
fatica, sofferenze — o felicità —; così
soltanto l’uomo potrà vivere una vita
di servizio attivo verso la società, in
completa armonia con se stesso, come
un membro della comunità dello spirito ».
Affermazione di fede che tutti, credo,
siamo pronti a sottoscrivere; ma nello
stesso tempo, pur non volendo giudicare in base ad una fredda ortodossia,
ai fronte all’esigenza della Scrittura e
al suo messaggio centrale sulla salvezza e la redenzione dell’uomo, dobbiamo
dire per ubbidienza e in tutta umiltà:
« non basta ».
Forse non sarebbe inutile a questo
proposito aprire un dibattito per conoscere che cosa effettivamente credono
i protestanti di oggi.
* * *
Eppure in una fede come quella di
Hammarskjoeld vi è un’ispirazione ed
un esempio tali da fare arrossire, forse, una fede più ortodossa.
Essa è fondata su di una perfetta
onestà intellettuale, su di una mistica
attiva e una negazione di sè, per amore
di Dio e del prossimo; è una fede che
ha portato frutti abbondanti, il cui seme il nostro aveva ricevuto nell’ambiente rigorosamente protestante nel
quale era nato, e che egli accettò completamente solo dopo varie esperienze
spirituali, giudicandola alla fine ancora valida per il mondo e la situazione
odierna: « alla luce dell’esperienza e
di una onesta riflessione riconosco e
confermo senza riserve quelle stesse
convinzioni che mi furono un tempo
tramandate ». Hammarskjoeld era uno
svedese appartenente ad una famiglia
luterana; per parte di padre discendeva da una generazione di soldati e uomini di governo, per parte di madre da
siudiosi e pastori; dagli uni ereditò il
desiderio di servire il proprio paese e
l’umanità, dagli altri la convinzione evangelica che « tutti gli uomini sono
uguali come figli di Dio, e devono essere incontrati e trattati come i nostri
signori in Dio ».
Il suo itinerario spirituale, che si
svolge- come- un cerchio compiuto, partendo dalla fede tramandata dai padri,
e dopo un largo giro, ritornando per
convinzione intima e profonda al punto
donde era partito, può essere una testimonianza illuminante per i giovani di
ggi. anche dopo aver peregrinato a
insegnamenti ricesono àncora vLfdT "he essi
Non era stato piano e facile giungere
a questa conclusione. Hammarskjoeld
era passato attraverso periodi di de
pressione e di crisi, durante i quali il
pensiero della solitudine, della morte
cella vanita della vita lo aveva travagliato a lungo. Ma dopo il travaglio »»ra
venuta la luce, ed egli aveva potuto
dire « si e grazie » alla vita e a Dio ed
essere tmalmente disponibile per il servizio di Dio e dei fratelli.
mmsk1n?fHhi Dag Hammarskjoeld leggiamo trascritti nume
flelàtonTr'^^ troviamo ri
iiessiom come queste: « colui che ha
posto se stesso nelle mani di Din sto
hhero di fronte agli uomini -; con
nella fede e nel coraggio, nella negazione di se —; nella fede sei uno in Dio
e Dio e pienamente in te, così come per
te Egli e pienamente in tutti quelli che
incontri -; nella fede... ogni cosa hi
un senso »; vediamo trasparire un’intensa vita di lotte spirituali contro la
tentazione dell’orgoglio — forse maggiormente presente nella vita di Dag H
dati 1 suoi alti incarichi —, contro la
tentazione di confidare in se stesso la
presunzione di fase cose grandi senza
1 aiuto e il volere di Dio, che solo compie 1 miracoli e che d’altronde procede
nel suo disegno al di là e al di fuori di
noi, unicamente servendosi « forse » di
come dice Hammarskjoeld — se
questo è nei suoi piani.
Si tratta qui del combattimento del
credente, che cerca di trasformare in
reaita la^ sua fede nella vita di tutti i
gjorni, sia essa una vita di grandi impegni e responsabilità, sia una vita più
modesta e normale. Hammarskjoeld
era stato posto dalle circostanze in un
impegno politico di grande portata, ed
in quella situazione particolare che
era messa dinnanzi, egli ha vissuto la
sua fede nel modo per lui migliore
Non e, a parer mio, la fede che l’ha sospinto nella vita politica; ma nella vita
politica, che era il suo lavoro, egli ha
vissuto la sua fede. Non diversamente
da quello che è richiesto ad ognuno di
noi, nel campo, piccolo o grande, ov-e
Dio ci ha posto. Questo, a mio avviso
e il messaggio spirituale che ci ha lasciato la vita di Dag Hammarskjoeld,
presentataci in modo così esauriente e
profondo dal libro del pastore F. Giamciccoli.
Edina Ribet
Franco Giampiccoli, Hammarskjoeld,
Collana « Ritratti storici » - Casa editrice Claudiana - Torino 1969, L. 1.000.
........minili
iiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiui
Vimkk di Natale secondo Rembrandt
(continua da pag. 5)
meno forme purificate che non suscitino scandalo» e non possono sopportare « queste forme di una rivoltante volgarità » — quelle di Rembrandt! Certo, non bisogna cercare
in questa donna campagnola, in
questo vagabondo addormentato del
’’tipi” di bellezza umana. Non c’è
più nulla del san Giuseppe dell’arte
cattolica, (c creatura angelica dotata
di tutte le perfezioni ». Giuseppe è
un popolano, travolto in un flusso di
avvenimenti che lo superano. Ma la
Bibbia dice forse che il Figlio di Dio
sia vissuto su questa terra cc in modo
da non dare scandalo »? No, afferma proprio il contrario. Il mondo
non ha conosciuto la Luce perché ha
brillato di uno splendore nascosto,
segreto. E i genitori che non hanno
trovato posto alla locanda e hanno
dovuto fuggire, di notte, in Egitto,
sono testimoni che Dio « innalza coloro che sono abbassati » e che « ha
scelto le cose vili del mondo, le cose
spregiate, quelle che non sono nulla ».
Con questa sua tela Rembrandt
vuole appunto esprimere quest’incredibile fusione della grazia di Dio
e della miseria umana. Giuseppe e
Maria non hanno altro scopo, nella
loro condizione, umana, se non di
ubbidire al loro Dio; non possono
difendersi contro un mondo che rifiuta di far posto al loro figlio. Ma
una luce splende nella notte della loro distretta. Dio interviene una volta ancora e « ha guardato alla loro
bassezza ».
C’è soccorso, perchè c’è un Salvatore. L’Angelo si china su Giuseppe
come la grazia di Dio si china su
una vita umana. E Maria può cantare a sua volta : « La sua misericordia dura d’età in età su coloro che
lo temono ».
Il messaggio di Natale di Rembrandt sembrerà talvolta duro. Almeno in età matura, l’artista non ci
ha lasciato alcuna tela che trasformi
Natale in un idillio toccante; per lui
l’ombra della croce già incombe sulla mangiatoia. Ma la gioia di Natale,
così come egli la proclama, ne acquista una profondità anche maggiore. Infatti questa gioia, che egli
conosce, non dipende da alcuna contingenza profana, ma scaturisce da
un unico fatto; ci è nato un Salvatore, che è Cristo, il Signore.
W. A. VissER ’t Hooft
iiimiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Tesiamenlo
(continua da pag. I)
servato. Forse la Fede nella Tua
parola ha messo tra milioni di granelli inutili qualche fugace pagliuzza d’oro. Moltiplicala, con la
Tua misericordia, perché io arrivi
alla somma necessaria al mio approdo sulla riva della pace. Tu che
moltiplicasti il pane per le turbe
affamate di Verità.
Non so quando mi chiamerai,
solo ti chiede, una volta varcato
il grande fiume, di farmi vivere
come...
Qui finisce il manoscritto, evidentemente incompleto, dell’ignoto "barbone”. Alcuni lettori non
troveranno abbastanza ortodosso
né adatto ad un giornale evangelico quanto abbiamo trascritto.
Ma quell’uomo ha parlato anche a
Dio, e ora è morto. Ha, avuto la
risposta alle sue parole. Ci sembra
che non occorra il nostro giudizio
per il dialogo che si è svolto sull’altra riva.
Marco