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Anno 128 - n. 1
3 gennaio 1992
L. 1.200
Sped. abbonamento poetai«
Gruppo II A/70
In caso di mancato recapito rispedire
a ; casella poetale - 10066 Torre Peilice
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delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
1992
CHIUSO IL SINODO PANEUROPEO DEI VESCOVI
I compiti che
ci attendono
sto leggendo il libro di Giovanni Maria Pace « Colloqui con
un medico ». li medico è Umberto Veronesi e le sue riflessioni toccano i grandi temi della malattia, della scienza e deila vita. Il non credente Veronesi ha, curiosamente, una grande
passione per la teologia, che lo
porta ad un certo punto ad affermare: « Di fronte ali’immofailismo detta teoiogpa cattolica,
sclerotizzata su posizioni ratzingheriane, c’è una teologia protestante che non rinuncia ad indagare... La Chiesa protestante è
molto più libera di quella cattolica ». Per il 1992 mi auguro
che la nostra ricerca teologica
sappia ancor più nutrirsi della
libertà deli’Evangelo. Non penso che obbligatoriamente dobbiamo dar vita a nuovi progetti (ne abbiamo già troppi), è
sufficiente una maggior fedeità
evangelica in quello che già facciamo.
Mi auguro inoltre, leggendo gli
strascichi del dibattito sinodale
sull’8 per mille, che il 1992 veda la realizzazione di un convegno nazionale per approfondire
il rapporto chiese-stato, senza
demonizzazioni o fughe dalla
realtà. Ma mi auguro soprattutto che s’inizi a discutere, con
10 stesso zelo profuso per l’8
per mille, del nostro impegno
personale di contribuzione nei
confronti della chiesa, impegno
che per molti non è altro che
un obolo episodico.
Noto con piacere che il dibattito sulla laicità deila scuola sta
riprendendo quota; mi auguro
che nel corso del 1992 si possa
svolgere in modo approfondito
una riflessione, anche nell’ambito degli insegnanti evangelici,
sui temi della pedagogia protestante. E si affronti così, in modo nuovo, il tema della laicità
delta scuola senza estromettere
la Bibbia, quasi che il Libro non
avesse lasciato orme profonde
nella filosofia, nell’arte e nella
cultura occidentale.
Infine mi auguro che nei 1992,
particoiarmente nelie tre regioni più colpite, ia mafia venga
sempre più capita e combattuta.
11 giudice Faicone chiarisce bene, nel suo ultimo libro « Cose
di Cosa Nostra », i meccanismi
della grande organizzazione criminale che mira sempre più in
alto. L’assassinio di Dalla Chiesa è proprio di dieci anni fa e
da aliora Cosa Nostra non ha
abbassato il tiro. Ma ii problema non è solo quello delle cosche criminali, è anche quello
della diffusa mentalità maliosa e
dell’intreccio mafia e politica.
Per vincere la mafia occorre un
profondo rinnovamento dei sistema poiltico italiano. Occorre
una riforma della politica e un
ricambio degli incartapecoriti
sacerdoti di politiche poco comprensibili perché offuscate da
mediazioni, clientelismo, gestioni personali di pubblici servizi:
è in gioco tutta ia vita democratica del paese. Insomma, per
il 1992: più autocritica, più Bibbia, più democrazia e solidarietà.
Non solo all’interno deile nostre chiese ma dentro questo
mondo che si trasforma, nel
quale i credenti hanno la responsabilità di testimoniare delle cose nuove di Dio con tenacia e con franchezza. Buon anno a tutti!
Giuseppe Platone
Cattolicizzare tEuropa?
Emerge una realtà religiosa contraddistinta più dalla secolarizzazione che dalla « ricristianizzazione » - La nuova evangelizzazione: dubbi e perplessità da parte di altre chiese
Con un invito a « riscoprire le
radici cristiane e instaurare una
civiltà più profonda e perciò anche pienamente più umana » si
è concluso a Roma il Sinodo
paneuropeo dei vescovi cattolici.
E’ stato, secondo il vescovo Karl
Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca, « l'av.
venimento più importante dopo
il Concilio Vaticano II ».
Sul piano soggettivo dei vescovi tutti condividono questo
giudizio. Per la prima volta i
cardinali, i vescovi, i delegati di
chiese deM’Est e dell’Ovest hanno potuto vivere insieme, discutere, stilare documenti comuni.
La separazione che per anni aveva diviso la Chiesa cattolica non
c’era più ed i partecipanti al
Sinodo hanno potuto sperimentare la fraternità.
E’ stato un Sinodo largamente
marcato dalla testimonianza delle chiese cattoliche dell’Est europeo, che hanno ricordato un
passato fatto di censura, divieti
di pubbl'care, di carcere, di luoghi di culto chiusi, di chiese
trasformate in musei.
E’ stato anche un Sinodo di
presa di coscienza della realtà
religiosa europea, anche dell’Est,
caratterizzata più dalla secolarizzazione che dalla ricristianizzazione.
Salvo che in Polonia il cattolicesimo manifesta una crisi di
vocazioni: i preti sono sempre
meno, e più anziani, e i, seminari mancano di professori.
Sul piano politico organizzativo i preti cattolici deH’Est restano divisi tra coloro che avevano, sia pure ’’criticamente”,
collaborato con i regimi e coloro che hanno rifiutato ogni
contatto ma che ancora sognano Un cattolicesimo autoritario
e che hanno come loro simbolo
il cardinale Mindszenty.
All’Est sta rapidamente diminuendo l’influenza sociale e morale di tutte le chiese tradizionali e, con la secolarizzazione,
si manifestano forme di ’’risveglio” sia in caihpo evangelico
che in campo cattolico ed ortodosso, si formano comunità libere. La Chiesa cattolica, in questo contesto, appare molto preoccupata di mantenere i "valori
cattolici”: la famiglia, la scuola cattolica, l’ora di religione, la
difesa della vita contro l’aborto,
il matrimonio contro il divorzio. Ma proprrio su questo terreno la sua influenza è messa • in
discussione: oggi solo il 58%
dei cattolici polacchi è d’accordo con la propria chiesa. « Il
crollo del comunismo ha accelerato il passaggio all’era del relativo », ha detto il card. Vik. Mentre le chiese stanno ridefinendo
il loro ruolo nelle società la rinascita dei nazionalismi e dei
conflitti ad essi legati fa risorgere anche i contrasti religiosi.
Sinodo dei vescovi: in primo piano i cardinali Kuhario e Macharski.
come in Jugoslavia tra la Ser
bia ortodossa e la Croazia cattolica.
Il nuovo nazionalismo populista trova appoggi espliciti in
quella parte neotradizionalista
dell’episcopato cattolico e lo si
è sentito anche al Sinodo.
Queste contraddizioni sono
largamente presenti nella ’’declaratio” finale del Sinodo diffusa
il 14 dicembre scorso. Nonostante i numerosi emendamenti, ap'
portati per attenuare questo o
PER L’ANNO NUOVO
Il progetto di Dio
« Poiché è lui ch’è la nostra pace; lui che dei
due popoli ne ha fatto uno solo ed ha abbattuto
il muro di separazione con l’abolire nella sua
carne la causa dell’inimicizia, la legge fatta di
comandamenti in forma di precetti, al fine di creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo facendo la pace; e al fine di riconciliarli ambedue
in un corpo unico con Dio, mediante la sua croce,
sulla quale fece morire l’inimicizia loro » (Efesini 2: 14-16).
Le chiese metodiste di tutto il mondo hanno
l'usanza di iniziare il nuovo anno con un culto
per il « rinnovamento del Patto con Dio » quale
riaffermazione che l’amore di Dio non verrà mai
meno e quale impegno per vivere la vocazione dei
giustificati per grazia come operatori di una nuova
riconciliazione.
La riostra generazione è stata testimone della caduta di molti « muri »: quello che chiudeva Nelson
Mandela in Sud Africa, quello che divideva la Germania, quello che arginava il flusso dei migranti.
Muri caduti e quindi la riconciliazione tra i popoli
è avvenuta, la pace tra le nazioni è vissuta, la giustizia è trionfante. Così molti hanno cantato e manifestato in tutto il mondo.
Ma questa generazione non ha avuto il tempo
per lodare il Signore di questi eventi dato che oggi
è testimone della costruzione di nuovi muri più indistruttibili. Si innalzano muri per proteggere le
identità etniche dei popoli, per riaffermare il valore
della religione, per difenderci dal disordine causato
dalla immigrazione clandestina. In questo modo la
riconciliazione tarda a venire, la pace è un sogno, la
giustizia è calpestata per milioni di individui nel
mondo.
Oggi, però, noi ascoltiamo la Parola di Dio ed
essa ci annunzia che i muri sono definitivamente
rovinati e non possono più essere innalzati pensando di averne una speranza di bene. L’apostolo Paolo ricorda che in Cristo « non c’è né giudeo né greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio
né femmina ». Questo è un segno importante per
tutti noi. La caduta dei « muri » non produce confusione, anarchia, conflitto bensì permette la riconciliazione e la costruzione della casa della pace.
Noi credenti in Gesù Cristo siamo chiamati a
rinnovare l’adesione a questo progetto di Dio nel
costruire un mondo nuovo ricolmo di vita e di pace. Nuovo implica un totale cambiamento eliminando il vecchio. Nuovo implica la possibilità del dono di sé e dell’amore per il nemico. Ma ’’nuovo" è
soprattutto il nostro presente.
In Gesù Cristo il mondo « nuovo » non è più
una realtà che deve essere coniugata al tempo futuro, ma è presente, è in mezzo a noi, ci raggiunge
e ci libera. I nostri « muri » di divisione e di odio
sono oramai chiusi nel « non più » e hanno perso la
forza per determinare il nostro domani. Oggi, Gesù
Cristo crea un nuovo uomo e una nuova donna,
un mondo nuovo ove, dirà il profeta, non si udrà
più il pianto per la morte di un bambino.
Questa fede ci conduce ad operare per la riconciliazione, ad essere « ambasciatori di Dio » nel portare una riconciliazione nel mondo nonostante i
vecchi pesi di un mondo vecchio.
Direi che proprio perché il nostro vecchio mondo oggi continua a produrre attorno a sé grandi
atti di sofferenza e di morte, noi sappiamo che
Gesù Cristo ci rende nuovi. Egli ci permette di operare per la pace, ci chiede di « non temere » e di
proseguire il cammino affinché, nel nostro tempo,
la riconciliazione divenga l’esperienza dei popoli
come la giustizia la guida nelle decisioni delle
nazioni.
Giovanni Anziani
quel punto, rimpostazione fondamentale del documento resta
quella della relazione inizi.Tlc
del cardinale Camillo Ruini: bisogna riscoprire le « radici cristiane » dell’Europa che ne sono il fondamento. Per questo è
necessaria una « nuova evangelizzazione » che « non è il progetto della cosiddetta restaurazione dell’Europa del passato,
ma lo stimolo a instaurare una
civiltà più profonda, veramente
più cristiana... ». La nuova evangelizzazione è l’attualizzazione
dei valori cattolici (Dio trascendente e libero, dignità della persona umana, fraternità, solidarietà). Nuova evangelizzazione
significa anche riproposizione
della Chiesa cattolica come societas perfecta.
Affermazioni queste che hanno suscitato più di una perplessità tra i ’’delegati fraterni” provenienti dalle chiese non cattoliche.
Il dr. Epting, delegato al Sinodo in rappresentanza della
Conferenza delle chiese europee
(KEK), ha visto nel documento
finale solo « un ecumenismo cosmetico e di facciata ». Il vescovo luterano del Württemberg
Theo Sorg riconosce al Sinodo
di aver indicato una giusta esigenza, « l'evangelizzazione », ma
osserva che questa riguarda
« tutte le chiese » e non può ridursi alla riproposizione di una
sola chiesa. JUrgenn Moltmann è
preoccupato che il Sinodo abbia
pensato di più alla ri cattolici zzazione dell’Europa che all’evangelizzazione. Mark Santer, vescovo
anglicano di Birmingham, ha lamentato che le proposte di dialogo avanzate da KEK e Consiglio delle conferenze episcopali europee non siano state neanche prese in considerazione dal
Sinodo. «Temo che la Curia — ha detto — veda con sospetto il fatto che le chiese nazionali si parlino senza chiedere l’autorizzazione del papa ».
Parole dure sulle prospettive
dell’ecumenismo che confermano il giudizio del polacco Adam
Micknik: « La Chiesa cattolica
non sa coabitare con una società pluralista ».
Giorgio GardioI
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fede e cultura
3 gennaio 1992
RIFLESSIONI PER IL CINQUECENTENARIO
UNA STRATEGIA PACIFISTA
Il Nuovo Mondo
e la cultura europea
Come uscire dallo sconcerto
Con quali occhi valutavanno l’America nel ’600? - L’idea della con- nazionali che si stanno susseguendo a ritmo vertiginoso e che
Addio alle armi
Rapporti internazionali, esercito, armi: un
programma "alternativo” per i prossimi anni
quista e della missione, quella di « civiltà » e quella di « barbarie »
In due testi di diversi anni fa
(l) Giuliano Gliozzi, filosofo e studioso de] Nuovo Mondo, mette
in luce come nel Seicento la
realtà dell’America venisse percepita in modo nuovo rispetto
ai decenni che seguirono la conquista; e questo non tanto per
il venir meno dell'eurocentrismo
o p>er una maggiore informazione antropologica sugli indigeni,
ma piuttosto per l’esigenza di
instaurare un più proficuo rapporto commerciale nel tempo in
cui stava esaurendosi il monopolio spagnolo.
Partendo dalla lettura, tipica
del Cinquecento, che interpreta
l'incontro della cultura europea
con il Nuovo Mondo con il mito del buon o cattivo selvaggio
da redimere, o piuttosto da convertire in quanto pagano, Gliozzi si concentra sugli aspetti più
oggettivi del fenomeno. Le domande allora sono di altro tipo;
come si realizzò l'impatto della
mentalità europea a confronto
con la nuova realtà?
Quando e come gli europei
seppero cogliere una realtà veramente nuova rispetto alla loro
storia e alla loro cultura? La
Bibbia fu a lungo utilizzata come categoria interpretativa, non
soltanto perché alla luce della
tradizione e benedizione biblicocristiana si sviluppava il processo della conquista, e dell’idea di
missione, ma anche perché la
Bibbia, in quanto cronaca della
storia universale, permetteva
una classificazione storica delle
popolazioni americane. Chi erano le popolazioni scoperte da
Colombo? Potevano essere i discendenti di Cam o le dieci tribù di Israele o gli eredi di qualche figlio di Noè o altre popolazioni bibliche ancora. Naturalmente ciascuna di queste soluzioni comportava un diverso criterio di comportamento da assumere nei confronti di queste popolazioni. Anche la teoria della
missione subisce modifiche rile
PARIGI
Grand prix
per E. Balmas
L’Académie Française venne
istituita nel 1635 per opera di
Richelieu col fine di contribuire
in più modi a conferire forza
espansiva alla lingua e alla cultura francese. Su questo pianò,
dunque, i riconoscimenti della
famosa istituzione sono senza
dubbio i più qualificanti. Il 5
dicembre, sotto la celebre Cupola, l’Académie ha tenuto la sua
annuale Séance publique. Nel
corso di una fastosa cerimonia
sono stati distribuiti alcuni importanti premi: uno dei grands
prix intitolati al Rayonnement
de la langue française è stato
conferito al prof. Enea Balmas
dell’Università di Milano, presso
la quale dirige l’Ist. di lingua
c letteratura francese e dei paesi francofoni. Fra gli altri destinatari di premi vi sono vari illustri studiosi, come ad esempio
il filosofo Paul Ricoeur.
Il giorno seguente Enea Balmas è stato festeggiato in un
incontro presso l’Ist. italiano di
cultura, di cui è reggente in questo periodo Alberto Cabella.
vanti, a seconda che si voglia
assimilare gli indigeni agli ebrei
o piuttosto ricercare nell’immaginario biblico le profezie giustificatrici della distruzione piuttosto che della redenzione degli
indios.
La novità che appare nel
Seicento è che il Nuovo Mondo
viene compreso e spiegato come
tale. Le opere che testimoniano
questo cambiamento di registro
sono gli Essais di Montaigne e
la Historia naturai y moral de
las Indias del gesuita J. De
Acosta. Nelle due opere emerge
il chiaro rifiuto di utilizzare l’immagine biblica o quella classica
dell’indigeno americano per cercare di comprendere un’umanità
finora sconosciuta alla vecchia
Europa. Nella lettura di Gliozzi
tutto questo viene fatto risalire
all’esigenza di costituire un nuovo rapporto con gli indigeni, meno distruttivo e più collaborativo dal punto di vista economico. Non si tratta dunque di riflessioni teoriche sul rapporto
con l’altro, sul rispetto o la tolleranza, ma di un insieme di considerazioni oggettive.
Cambia, su questa linea, anche
la concezione di missione. Essa
è caratterizzata da un tendenziale rispetto per le forme sociopKtlitiche autoctone, in funzione
di un più proficuo rapporto
commerciale e di un dominio
forse più ”soft", esercitato attraverso il controllo religioso.
Da qui l’enfasi ravvisabile nella letteratura gesuitica sulle buone disposizioni religiose delle popolazioni indigene.
Altro fenomeno chiaramente
messo in luce dall’autore è la
frammentazione del dominio
sul Nuovo Mondo. Entrano in
gioco altre potenze, rispetto alla
Spagna, che si contendono il monopolio del potere e dei rapporti con gli indigeni. Il Nuovo
Mondo si presenta dunque come un mondo civile e ’’barbaro".
La barbarie stessa assume una
diversa connotazione: essa non
è più bestialità o diabolico paganesimo; non è più devianza,
ma piuttosto condizione sociale.
Argomento, questo, razionale e
ben riconoscibile dal punto di
vista europeo. Qui entrano in
gioco importanti riferimenti giuridici, come l’assenza della proprietà da parte degli indigeni,
e l’arretratezza tecnico-produttiva.
Secondo l’autore il rovescio
del concetto di barbarie non è
più, come nel Cinquecento, la
cristianità, ma diventa ora la
civiltà con la sua consapevolezza di una superiorità tecnologica duratura e rilevante. Gliozzi
è molto critico rispetto alla polemica antiecclesiale che partendo dalla tematica americana si
lasciano intravvedere scenari tutt’altro che rassicuranti ma comunque fuori dagli schemi a cui
eravamo abituati?
Che giudizio dare dei fenomeni
contraddittori dell’Est europeo,
dove allo sfascio dei regimi del
socialismo reale seguono guerre
civili, tensioni interetniche, secessioni, ma soprattutto la fame?
Come collocarsi di fronte al
dramma della Jugoslavia, che ha
spiazzato un po’ tutti, tranne chi
ha solide certezze perché vede solo alcuni degli aspetti del problema?
E, in questa nuova situazione
intemazionale, che di assodato e
incontrovertibile ha solo il crollo
di ima delle due superpotenze,
come si colloca il nostro paese?
Queste sono solo alcime delle
moltissime domande su cui il mo
„ ., , ., vimento pacifista si sta interro
.sviluppa in Europa. Nel citare gando, mettendo forzatamente da
l’eresia preadamitica, m partico- -narte eli schemi che erano vali
parte gli schemi che erano validi solo pochi anni fa, prima che
si avviassero gli storici incontri
al vertice sulla riduzione degli armamenti nucleari; e sono alcune
delle questioni attorno alle quali
mota una pubblicazione che, in
una tale congiuntura, « fa il punto », traccia delle ipotesi dalle
quali ripartire (1).
Il libro, opera collettiva a cui
hanno collaborato economisti e
studiosi dell’industria bellica come Alberto Castagnola e Mario
Pianta, studiosi di relazioni intemazionali come Antonio Papisoa, esperti di strategie difensive
come Rodolfo Ragionieri, esponenti del movimento come Flavio Lotti ed Ernesto Balducci, si
------------ inquadra nella campagna «Ven
(1) G. Gliozzi, « Il Nuovo Mondo ti di pace », avviata nel fatidico
nella cultura europea del Seicento » in 1989 (allora l’obiettivo era ben
L’Europa cristiana nel rapporto con le delimitato : SÌ trattava di ottene
......... re — impresa risultata vana —
una riduzione del 20% circa del
bilancio destinato alla spesa militare italiana) e rilanciata nell’anno appena concluso. Essa
coinvolge non solo l’Associazione per la pace (che funge essenzialmente da segreteria) ma i
lare nell’opera di La Pryère che
tende a fare dei popoli cinesi e
americani popoli più antichi dello stesso Adamo, e quindi della
storia biblica universale una cronaca locale, l’autore dimostra
che questa polemica apparentemente più ’’moderna” e legalitaria è in ultima analisi funzionale all’ideologia coloniale che andava sviluppandosi. Per giustificare su basi laiche la schiavitù dei neri si arriva infatti alla
teoria antropologica della gerarchia delle razze che servirà a
giustificare anche le drammatiche conseguenze dell’espansione
coloniale.
Manfredo Pavoni
altre culture nel secolo XVII (Atti del
convegno di studio di Santa Margherita Ligure, 19-21 maggio 1977). Firenze, La Nuova Italia.
Adamo e il Nuovo Mondo. La nascita
dell’antropologia coloniale: dalle genealogie bibliche alle teorie razziali. Firenze, La Nuova Italia, 1977.
IL MEZZOGIORNO E I REFERENDUM
Speranza e conversione
Gli interventi straordinari hanno alimentato il clientelarismo e la
corruzione -- Occorre costruire una speranza con valore progettuale
NAPOLI — « L’intervento straordinario nel Mezzogiorno è servito a veicolare e a costruire una
mentalità clientelare; ha incrementato la corruzione; ha segnato profondamente, e in modo
negativo, la nostra gente, la gente del Sud... ». Ecco alcune delle tristi considerazioni del past.
Sergio Aquilante nel corso di un
dibattito organizzato dalla Chiesa metodista di Ponticelli dal
titolo « I referendum e il Mezzogiorno », al quale hanno preso parte Fon. Ada Becchi Collida, Aldo Cennamo, consigliere
regionale del Pds, e Aquilante
stesso.
La serata fredda e piovosa non
invogliava ad uscire, eppure nella linda e gelida sala della « Casa del popolo » a Ponticelli un
pubblico, non numerosissimo
ma discreto, ha seguito con attenzione gli oratori e partecipato al dibattito.
L’on. Ada Becchi ha spiegato
il significato dei referendum, e
che cosa essi si propongono. Aldo Cennamo ha sottolineato come essi esprimano la necessità
di un cambiamento, avvertito da
tutta la popolazione, ma al quale le forze di governo non intendono dare una risposta. Ma
più interessante, per quanto ci
riguarda, l’intervento di Aquilante, perché, a parte l’analisi politica che è un dato opinabile,
anche se per me del tutto condivisibile, emergeva in esso un
animus, uno spirito, evangelico.
Aquilante ha parlato della
drammatica situazione che, ormai da una vita, sperimenta nel
Sud. Riferendosi in particolare
a Palermo (ma il discorso può
essere limitato geograficamente?) ha affermato che ormai non
esiste più una società « civile »;
esiste solo una società « politica », nel senso che, anche per
le cose più piccole, uno dipende
dal volere di un « potente », mafioso o politico che sia, quando
non è le due cose insieme. Ed
ancora: « Si parla — ha detto
— contro la corruzione; ma chi
l’ha creata? Da dove è uscita?
In una Sicilia che per il 43%
vota DC, non può essere uscita
altro che dalle parrocchie! ». E’
necessario, quindi, in primo luogo, ricostruire la speranza, che
gruppi come Pax Christi, AGLI,
organizzazioni di volontariato, il
Servizio civile internazionale, la
PIM-CISL, e anche la Federazione delle chiese evangeliche.
La prima parte (due capitoli
su sei) fa il punto sull’attuale situazione intemazionale (« Pace e
guerra alle soglie del 2000 ») e
presenta « Le alternative di sicurezza e una strategia di pace
per l’Europa e l’Italia ».
L’assunto di partenza è che
non solo i conflitti locali pur numerosi, ma anche il « non-sviluppo » e la fame rischiano di far
esplodere nuove guerre, nuove
minacce alla stabilità. Le sole risposte a questo stato di cose
sembrano essere pertanto una diversa impostazione della cooperazione intemazionale e la scelta
della strada del negoziato per
dirimere ogni controversia internazionale. Ciò presupporrà inevitabilmente un diverso funzionamento dell’ONU, che dovrà iniziare dall’abolizione del diritto di
veto per i membri permanenti
del Consiglio di sicurezza. Accanto all’organizzazione dovrebbe
poi lavorare una seconda assemblea composta dai rappresentanti dei popoli, con finizioni di controllo nei confronti dell’assemblea dei rappresentanti degli
stati.
Alla luce dei mutamenti internazionali andrebbe rivisto il molo della NATO (e viene vista come pericolosa la decisione del
vertice dei ministri della Difesa
— giugno ’91 — di dar vita ad
una <{ forza di reazione rapida » :
la strategia NATO passerebbe
da « difensivista » a « offensivista »), la Conferenza su sicurezza
e cooperazione in Europa dovrebbe trovare un equivalente che
interessasse i « cittadini del Mediterraneo». Problemi più «italiani » sono quelli della nuova
strategia difensiva e della nuova
configurazione che potrebbero
assumere le Forze armate. Il progetto governativo non piace, perché a fronte di una riduzione minima, del personale di leva prevede la triplicazione dei volontari professionisti, che andrebbero
a integrare la forza di pronto intervento NATO: magari oltre i
confini degli stati legati all’alleanza. Anche questo sarebbe rispondente a una logica offensivistica.
Più analitica, dettagliata e corredata di tabelle statistiche è la
parte dedicata all’industria bellica italiana e alle proposte operative per una sua riconversione,
argomento su cui varrà la pena
di tornare.
Alberto Corsani
significa anche progettazione del
futuro. Ma in secondo luogo, o
contemporaneamente, è anche
necessario un cambiamento di
mentalità.
In questo senso « i referendum — ha aggiunto Aquilante
— possono essere momenti per
rivedere il nostro modo di vivere e di pensare; possono servire a costruire, o quanto meno ad avanzare nella costruzione della democrazia nel nostro
paese. La mia speranza è che
non solo si metta in moto il
meccanismo della democrazia,
ma anche che nasca una mentalità veramente democratica che
tenga conto, per esempio, delle
minoranze ».
Speranza e rinnovamento che,
in linguaggio biblico, si dice
« metànoia » e in quello ecclesiastico « conversione », vissuti
non esclusivamente sul piano
della pietà personale, ma spesi
nel vivo di una battaglia politica, di un progetto di vita democratica. Ecco la testimonianza che la chiesa di Ponticelli
ha cercato di dare.
Luciano Deodato
* AAVV, Addio alle anmi. S. Domenico di Fiesole, Edizioni cultura della
pace, 1991, pp. 253, L. 20.000.
Appuntamenti
Martedì 7 gennaio — CINISELLO
BALSAMO: Alle ore 21, presso il centro « J. Lombardinì », ultimo incontro
sul tema La vita comune. Introduce il
past. Alfredo Berlendis.
Domenica 12 gennaio — ROMA: Per
il corso organizzato dal SAE su « Testimonianza dei credenti e diaconia politica », si tiene presso le suore francescane missionarie di Maria (v. Giusti, 12) una lezione dal titolo 11 movimento ecumenico e il coinvolgimento
delle chiese nell'impegno sociale; relatori il past. battista Gioele Fuligno
e il prof. Stefano Cavallotto. Inizio alle ore 16.
Lunedi 13 gennaio — MILANO: Alle
ore 18, nella sala di via F.lli Gabba
7/b, il SAE organizza un incontro sul
tema generale: • Le chiese sulla via
dell'unità ». Tema della serata è 11
Consiglio ecumenico e i rapporti fra
le chiese. Introducono la sig.ra Clara
Achille Cesarini (cattolica) e il padre
Traian Valdmann (ortodosso).
3
3 gennaio 1992
commenti e dibattiti
SINODO DEI VESCOVI
Dal Manzanares
a Odessa
Difficoltà e imbarazzo per le problematiche relative alle chiese dell’Est
Riceviamo
buchiamo.
e volentieri puh
Annunciata
del Vaticano
la volontà
di canonizza
re monsignor Escrivà De
Balaguer — fondatore delr "Opus Dei” in Spagna si
è mossa la parte del clero
contraria al progetto. La
canonizzazione di Balaguer,
si dice, serve solo alla potente organizzazione per
allargare la sua influenza
nelle diocesi e nelle università. La rivista "Il Regno”
ha pubblicato un’intervista
a] teologo spagnolo Martin
Velasco, del "fronte del
no”, dove si dichiara che
le indagini per la santificazione non sono state fatte
con imparzialità, essendo
gli incaricati dell’Università di Navarra membri della stessa organizzazione
fondata da Balaguer. Il
teologo Velasco inoltre ha
dichiarato: « Non crediamo che si possa additare
come modello di virtù cristiana chi si è servito del
potere per mettere su
un'opera tale e che, per
estenderla, l’ha diretta con
criteri da "mafia bianca":
questo ci pare un controsenso e uno scandalo ».
Il punto di rottura attuale tra Vaticano e Spagna ha tuttavia radici lontane, cosicché il caso
"Opus Dei” viene a rappresentare per la chiesa spagnola la classica "goccia
di troppo”.
Al Sinodo dei vescovi
dell’Europa cattolica abbiamo letto dell’imbarazzo suscitato in Vaticano dalle
mozioni dei vescovi dell’Est. Un Sinodo fallimentare, si direbbe, anche a
considerare la non partecipazione ai lavori della
Chiesa ortodossa di Russia,
Serbia, Romania, Bulgaria,
Ungheria e Grecia, Tempi
duri per l’ecumenismo, nel
significato voluto da Wojtyla, al puntO' che le scelte conclusive del Sinodo
sono entrate in rotta di
collisione anche con gli
episcopi anglicani.
Mark Santer, vescovo
anglicano, Karl Christoph
Epting, moderatore della
KEK (Conferenza delle
chiese europee) e il metropolita Spyridion Papagheorghiou, a seduta conclusa, hanno dovuto dichiarare la loro netta delusione: « Non siamo stati presi in seria considerazione.
Un ecumenismo fatto di
gesti e parole cortesi non
basta. Abbiamo bisogno di
un riconoscimento del fatto che tutte le chiese cristiane in Europa sono
"ugualmente” chiamate al
compito comune di evangelizzazione ». Per l’anglicano Santer, motivo di
sconforto anche il prevalere della polemica tra
cattolici e ortodossi in merito ad alcune proprietà
ecclesiastiche in Ucraina.
Dissidi e dissapori che il
cardinale Joseph Ratzinger
non intende portare a distensione con spirito evangelico e umiltà. Anzi, come
si è fatto notare al Sinodo
della Chiesa evangelica luterana in Italia, tenutosi
ad Ischia pochi mesi fa,
il Vaticano riafferma la definizione di autenticità della fede cristiana con accenti antiprotestanti e non
si trovano quasi più negli
enunciati romani parole
ecumeniche.
Nonostante ciò tra gli
evangelici e le comunità di
base cresce l’unità concreta quotidiana, la collaborazione, la preghiera collettiva e la' progettazione.
Nel corso del suo pontificato il papa polacco ha
proclamato santi e beati,
singoli e in gruppo, per
un totale di quasi 300 persone, religiosi e laici di
ogni parte del mondo, mentre sembra vicina la canonizzazione di Pio IX, cosa
che non mancherà di aumentare i contrasti interni
ed esterni al cattolicesimo.
Tra le prospettive più
nere di questa ecumene
cristiana in un’Europa che
si vuole livellata ai valori romani senza eccezioni,
non c’è solo il pericolo che
si rinnovino spaccature tra
i vertici delle chiese, il rischio che si riaprano vecchie ferite e che riprendano vigore rancori mai sopiti tra direttivi di organizzazioni diverse pur nello
stesso ambito confessionale. Ancor più grave, per
la chiesa di Roma si prospetta la perdita di credibilità non solo nella "Grande Europa” dall’Atlantico
agli Urali (dove la confessione cattolica è già minoranza), ma anche nel resto del mondo nonché nel
nostro paese, dove le tesi
vaticane sono esposte senza osservazioni critiche solo sui "mass media”, mentre dal basso sorge uno
spirito di solidarietà, indifferente ai distinguo teologici dei Ratzinger.
Marius Gnech-Verdini
Ricordiamo a coloro che vogliono intervenire in questa pagina la brevità (scritti non più
di 40 righe X 60 battute) altrimenti saremo costretti a usare le
forbici.
IL NOSTRO COMPITO DI CREDENTI
Evangelizzazione
o ecumenismo?
Credo che il nostro compito di credenti sia, ancora e sempre di più, evangelizzare. Ma chi dobbiamo evangeiizzare? Gli increduli o gli indifferenti, gli
gnostici, gli scettici, gli atei, tutti coloro che amano
chiamarsi « laici »? o anche i fedeli di altre confessioni cristiane o di altre religioni?
Rispetto ai cattolici romani il prof. Valdo Vinay
insisteva nel dire che i nostri evangelizzatori —
riconoscendo che la Chiesa romana è chiesa di Cristo — non avevano altro ruolo che trasmettere ad
essa gli « impulsi riformatori » sottintendendo con
questo che essa, come tutte le altre chiese cristiane,
aveva bisogno di riformarsi: il noto aforisma « Ecclesia reformata semper reformanda » andava modificato in « Ecclesia Christiana semper reformanda »!
Questo, della responsabilità reciproca delle varie
chiese cristiane di evangelizzarsi vicendevolmente, è
venuto clamorosamente alla ribalta in occasione del
Sinodo romano dei vescovi cattolici europei, conclusosi il 14 dicembre nella delusione generale, soprattutto dei « delegati fraterni » delle altre chiese
cristiane. Il patriarca di Mosca ha accusato la Chiesa cattolica non solo di riacutizzare U conflitto sulla proprietà dei luoghi di culto già « uniati », ma
soprattutto di darsi ad un proselitismo sfacciato,
creando delie strutture parallele su territori di tradizione nazionale ortodossa, col risultato di fare addirittura del « bracconaggio religioso ». Persino il
patriarca di Costantinopoli, che aveva accettato l’invito di partecipare al Sinodo come « delegato fraterno », ha tenuto a precisare che, « lo si voglia o no,
vi è in Europa un’aliquota di fedeli e chiese non
di ’’obédience’’ romana che esercitano ugualmente un
ministero evangelico ».
Questo è il punto, Taluni fra noi sono convinti
che Tecumenismo dei fraterno « embrassons-nous »
ha finito per tarpare le ali all’evangelizzazione. Che
fare? Quali progetti o ipotesi privilegiare?
1) continuare a riunirsi in comuni assemblee di
culto, di preghiera, di studio della Parola di Dio,
fiduciosi che lo Spirito del comune Signore comunichi agli uni e agli altri quegli « stimoli riformatori » così cari a Vinay?
2) o/e persistere nel ritenere positiva anche Tévangelizzazione indiretta fatta con le nostre opere sociali o con una presenza evangelica in Parlamento?
3) o/e pensare che le manifestazioni di massa
(incontri celebrativi sulle piazze) o una più radicale partecipazione ai mass media (televisione, radio, giornali) siano comunque strumenti di una concreta testimonianza evangelica?
4) o/e ritornare ai vecchi metodi del colportaggio itinerante, degli appelli sotto la tenda, delle visite da casa a casa, per una personale evangelizzazione da bocca a bocca?
Quali di queste prospettive di lavoro — ovviamente tra di esse complementari — è stimata la
più opportuna o, se volete, la meno sospetta di
fare del « bracconaggio religioso »? Certo, « il vento soffia dove vuole » (Giovanni 3: 8); a noi di avere l’accortezza di coloro che la Scrittura vorrebbe
« semplici come le colombe, ma prudenti come 1
serpenti » (Matteo 10: 16).
Giovanni Gönnet
ISRAELE E IL PASSATO
Wagner e il
Glorioso rimpatrio
L’antisemitismo dell’autore può gravare sul contenuto delle sue opere?
STORIA DELL’ERA GORBACIOV. Gorbaciov: « Voglio le riforme in URSS ». Eltsin (nelle vesti
del genio): a Sono qui per aiutarti, oh saggio n. Gorbaciov: «7 cambiamenti sono necessari. E’ tempo di agire ». Eltsin : « Come vuoi tu »... (Gorbaciov è trasformato).
Israele mantiene il bando nei confronti di Wagner
e della sua musica: un
concerto della Filarmonica,
che prevedeva tra l’altro
brani dal "Tristano e Isotta”, è stato annullato dopo
una decisa e decisiva presa di posizione dell’ex
premier Begin. '
Posto che per principio
le censure alla cultura mi
lasciano sempre perplesso,
vorrei tentare alcune considerazioni.
1. Che Wagner fosse l’autore prediletto da
Hitler è cosa risaputa; che
le sue opere siano anche
un inno alla mitologia germanica, ed anzi una sua
esaltazione, è altrettanto
noto. Ma, appunto, io metterei l’accento proprio su
quell’ "anche”.
Nel senso che Wagner
è al tempo stesso molto
altro; molto di più, non
è riducibile agli schemi
e alle strumentalizzazioni
che ne sono state fatte.
Quand’anche nelle intenzioni del compositore ci
fosse stato un esplicito
sentimento politico (rinvenibile magari nei testi, nelle vicende delle sue opere) dovremmo dire che
ciò pregiudica la qualità
delle sue note?
E poi, il fatto che sia
stato utilizzato, e anzi strumentalizzato, toglie qualcosa alla qualità del discorso estetico?
Voglio fare un esempio
forse azzardato: tre anni
fa abbiamo ricordato il
Glorioso Rimpatrio, L’evento si presentava un po’
come un testo, un’opera,
ch'e noi leggiamo e studiamo, con la quale ci mettiamo in sintonia secondo
modalità diverse che rispondono alla nostra specifica situazione e sensibilità, che riflettono una
"temperie culturale” piuttosto che un’altra.
Chi ha vissuto le celebrazioni del 1939 avrà rilevato la differenza. Quelle celebrazioni, in ben altra
temperie, politica e culturale, improntate a toni patriottistici con lo sguardo
attento all”’italianità” della vicenda, difficilmente
avrebbero potuto essere diverse.
Quella era la situazione,
quella la sensibilità, quella la cultura. Il capitolo è
stato archiviato, T89 è
stato un’altra cosa. Le celebrazioni del ’39 hanno
perso di attualità, la vicenda del Rimpatrio no;
anzi, ha offerto spunti
sempre nuovi per la riflessione. Le celebrazioni
del ’39 sono state esse
stesse oggetto di relazioni
e di studi storici: sono state relativizzate, come è
giusto che sia per ogni ”intciqìretazione”.
Quanto al "testo”, esso
è il punto di partenza, ed
è ancora lì a interrogarci:
chissà come si ricorderà
il Rimpatrio nel 2039, o
nel 2089...
Dico questo perché penso che abbia ragione il
maestro Barenboim, che
voleva dirigere quei brani: « Wagner è stato usato male e abusato come
simbolo e io credo che non
suonarlo oggi significhi solo continuare a dare ra
gione a chi l’ha male usato e abusato » ("Repubblica”, 21 dicembre).
2. Poi c’è un problema
più interno alla natura
del discorso musicale. Il
linguaggio della musica,
fatto di melodia, ritmo,
timbro, a differenza di altri linguaggi (quello della
pittura, quello letterario,
quelli figurativi) rimanda
essenzialmente a se stesso. Non riproduce la realtà se non nel senso della
"citazione”: per esempio,
in Una sinfonia di GUstav
Mahler — 1860-1911 — la
partitura prevede che suoni un corno da postiglione, che rimanda ad un
determinato ambiente, a
un periodo storico, alle
usanze di un paese...
Ma che cosa, se non una
didascalia posticcia, apposta in calce, magari non
dall’autore ma chissà da
chi, ci autorizza a vedere
nelle note pianistiche di
una sonata di Beethoven
il "chiaro di luna”? La didascalia potrà essere più
o meno azzeccata, altre musiche (pensiamo a Debussy, o ai "Quadri di un’esposizione’’ di Musorgskij)
sono dichiaratamente descrittive nelle intenzioni
degli autori, ma i brani
sono godibili e carichi di
significati rigorosamente
musicali per chi ignori i
titoli.
Sta alla sensibilità di
ognuno trovare delle sollecitazioni; il prodotto della creatività umana è in
fondo qualcosa che ci interroga continuamente, di
fronte a cui le nostre risposte sono transitorie ed
effimere. (E questo non è
per noi un concetto nuovo,
visto che sosteniamo il libero esame della Bibbia).
3. Insomma, non vedo in
questo rifiuto delle ragioni valide dal punto di vista "estetico” né da quello critico. Le vedo tutte,
invece, e credo che le dobbiamo valutare con rispetto e solidarietà, dal punto di vista umano. L’uso
arbitrario di Wagner da
parte dei nazisti non toglie
nulla alla grandezza della
sua musica; la stmmentalizzazione è destinata a
passare, ma i numeri marchiati sul braccio del violinista Melamed, della Filarmonica di Israele, che
ha rifiutato di suonare, restano.
Ascoltare Wagner alla
Scala o sul divano del salotto è un conto, ascc/Itarlo dentro un lager (come
è capitato al violinista, intervistato da ’’Repubblica”), un altro.
Allora, che fare? Batterci, un po’ dovunque, perché si renda giustizia a
tutti i processi di creazione artistica, per spogliarli
dei "valori aggiunti” imposti loro dall’arroganza o
dai secondi fini del potere.
Se quadri, libri, musica
hanno veramente valore,
di solito rie.scono a scrollarsi di dosso questa zavorra, fonte di equivoci e
a volte di propaganda. Insomma, cerchiamo di salvare, dove è ancora possibile, un po’ di coscienza critica.
Alberto Corsani
4
4 vita delle chiese
3 gennaio 1992
RICORDO DEL PASTORE GUSTAVO BERTIN
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Il Risveglio
di fronte aila Resistenza
Una vita tesa a rispondere alla vocazione - Gli anni della guerra e
della ricostruzione - La grande città e la predicazione in diaspora
Festa di Natale
Chi lo ha conosciuto negli ultimi anni — al Sinodo, al corpo pastorale — e lo ha visto
sempre più esile, sempre più diafano, avrà difficoltà ad immaginare che Gustavo Bertin è stato,
nel suo tempo, uno dei pastori
più energici e spiritualmente efficaci della nostra chiesa. Era
nato a Pinerolo nel 1904, da una
tipica famiglia di quella borghesia valdese medio-piccola che si
stava tenacemente espandendo
all’ombra del compromesso giolittiano e sapeva tener d’occhio,
con pari affetto e commozione,
la tradizione valdese e il buon
andamento dei propri affari;
perciò, a vent’anni, egli si era
iscritto all’università con l’intenzione, appunto, di curare gli affari patemi senza trascurare le
ragioni della fede. Ma presto lo
raggiunse la Chiamata, che lo
portò fuori del compromesso piccolo-borghese e lontano dal Pinerolese: Roma, la Facoltà. A
quell’epica, per un giovane valdese ’’andare a Roma” significava essenzialmente due cose: entrare nell’area d’influenza di Giovanni Rostagno, il grande predicatore del Risveglio, e collaborare all’opera evangelistica che
Paolo Bosio conduceva nel nuovo tempio di piazza Cavour.
Bertin rimase segnato per la vita da queste due influenze; il
suo modo di pregare, di predicare, di celebrare la Santa Cena
risentiva, con ogni evidenza, dell’influenza di Giovanni Rostagno, mentre la sua posizione nella chiesa rifletté piuttosto le ipotesi (talvolta i miti) di Paolo Bosio.
Giovane pastore fedele e zelante a Pachino e a Taranto, capace di toccare le anime in profondità, a livello nazionale Bertin si schierò col movimento di
Paolo Bosio: la FGV, poi la FIIV,
« per Cristo e per la chiesa »: il
tentativo eroico ma forse un po’
angusto di rendere la chiesa impermeabile alla penetrazione fascista, di opporre un nuovo Risveglio alle mitologie totalitarie
e di rivendicare l’autonomia della vicenda valdese come area di
libertà e palestra di discepolato
cristiano.
A distanza di sessant’anni è
facile vedere i limiti di questa
impostazione: essa permise tuttavia a uomini come Gustavo
Bertin di affrontare la guerra,
la Resistenza e il dopoguerra in
una posizione di grande autonomia spirituale e anche di notevole coraggio fisico. A Bertin — affiancato dalla straordinaria compagna della sua vita. Laura Trin
PROTESTANTESIMO
IN TV
LUNEDI’ 6 GENNAIO 1992
ore 10 - RAIDUE
CONCERTO DI NATALE
con il Coro del Patriarcato
di Mosca
DOMENICA 12 GENNAIO
ore 23,30 - RAIDUE
Replica
LUNEDI’ 20 GENNAIO
ore 10 - RAIDUE
siate miei testimoni
riflessione biblica su
Marco 5: 1-20
condotta in studio da
Claudio Pasque!
chera — toccò di passare quattordici anni (1936-50) in una delle parrocchie maggiormente segnate dai fatti della Resistenza
e dai fermenti del dopoguerra:
San Germano Chisone. Chiunque passi in piazza — o al
cimitero — e dia un’occhiata
alla tremenda lista dei morti
194045 può farsi un’idea delle
coordinate reali in mezzo a cui
si svolse il ministerio di Gustavo Bertin e di Laura. Parrocchia
operaia duramente segnata dalla lotta di classe. San Germano
era caratterizzata da un gran numero di partigiani (li ritrovate
a decine su quella lista) e da
Un piccolo numero di fascisti irriducibili; ’’piazza” di occupazione, il paese era poi al centro
dei combattimenti e delle trattative; in mezzo a tutto c'era
la casa pastorale, imica ’’autorità” residua nel crollo di un mondo. Ma questa bella casa pastorale, sempre pulita come imo
specchio, era un concentrato di
tensioni e di pericoli: in cantina abitava un ebreo, a cui i
Bertin avevano deciso di salvare la vita (non lo dissero mai,
per scrupolo calvinista), al pianterreno abitava un ufficiale austriaco, in una stanza requisita
per ordine della Kommandantur;
su in montagna c’erano i catecumeni di Bertin con le armi in
pugno, e quando venivano presi con le stesse armi in pugno, o feriti dopo un combattimento, toccava a Bertin passare una notte con loro per prepararli alla morte, anzi, per
aprirli alla prospettiva della vita eterna. E Bertin svolgeva questo ministerio con limpida fedeltà, pronunciando « sotto la
forca » le stesse parole che il
suo maestro Giovanni Rostagno
aveva pronunciato a Ginevra
vent’anni prima, aprendo con un
culto solenne l’assemblea della
Società delle Nazioni.
E, dopotutto, era il mondo della
Società delle Nazioni che stava
vincendo la guerra, sia pure al
prezzo di quelle giovani vite; ma
per queste vite Bertin si batteva
fino all’ultimo, come quando Valdo Jalla — 18 anni — cadde dalla
forca in piazza XX Settembre,
perché la corda si era spezzata:
e Bertin, in ginocchio davanti
agli Alpenjaeger, a invocare la
grazia in base a un’antica norma
di civiltà: invano. E mentre Valdo risaliva muto sul patibolo, l’ufficiale austriaco scattava quelle
foto tremende che ancor oggi costituiscono una delle più toccanti
documentazioni di quell’epoca:
osservate la faccia di Bertin in
quelle foto, e capirete tutto della
sua generazione di credenti.
Intanto, la sera, Bertin vergava quella « cronistoria » dei fatti
di guerra che non volle mai pubblicare — ancora il ritegno calvinista — ma che costituisce (negli
archivi della Tavola) una delle
fonti storiche essenziali per quell’epoca tormentata.
Poi venne il 25 aprile, e Bertin
vide i suoi catecumeni scendere
dalle montagne: predicò un sermone giubilante, e poi subito si
impegnò contro le fucilazioni, contro le inutili violenze; un giorno, in
piazza, fermò i giovani che stavano picchiando un criminale fascista con una semplice, disarmata esortazione: « Ricordatevi che
siete dei cristiani ». E per un’intera generazione di sangermanesi, operai, contadini e studenti,
comunisti o liberali, « laici » o
« risvegliati », fu praticamente
impossibile non « ricordarsi di essere cristiani »: la chiesa, la coppia pastorale costituivano l’unica possibilità di inserire le vicen
de paesane — talvolta « aspre e
selvagge » — in un contesto di
significati universali; e ciò attraverso la predicazione, le conferenze, i catechismi, persino attraverso il « tono » con cui veniva celebrata la Santa Cena
e venivano condotti i servizi funebri.
Solo un esempio per la predicazione: la domenica dopo Hiroshima, Bertin pronunciò un duro
sermone contro le pretese prometeiche dell’uomo moderno:
« L’uomo si è ritenuto capace di
padroneggiare il segreto stesso
della creazione » disse.
Io ero allora un giovane nositivista, e ci rimasi malissimo: per
me la scienza era sempre buona,
e la « scienza democratica » poi
era buonissima; e l’atomica non
faceva forse parte della « scienza democratica »? Possibilé che il
sig. pastore avesse ragione contro Einstein? iPiù tardi seppi che
anche Einstein nutriva le stesse
preoccupazioni del pastore, e così
capii che il linguaggio simbolico
del tardo Risveglio possedeva
una capacità orientativa infinitamente superiore a quella del positivismo « progressista » e imperiale.
Uomo del Risveglio, sicuramente moralista, Bertin era apprezzato dalla classe operaia: sia perché il suo pietismo lo teneva lontano dai compromessi con i « padroni del vapore », sia perché la
sua stessa rigidezza costituiva, a
parere della base, un argine efficace contro il dilagare dell’edonismo postbellico. E poi, Bertin sapeva «rivolgere vocazione»; Quando entrava in una casa (giacca,
cravatta, abito scuro) ner chiedere a un uomo di fare l’anziano o
a una ragazza di fare la monitrice,
era ben difficile che incontrasse
un rifiuto : così si è formata la generazione che ha poi retto il
se (comunità civile e comunità
religiosa) per trent’anni. Il compianto Alfredo Baret era uno di
questi: ma lo era anche Oscar
Bouchard, per molti anni rigoroso sindaco comunista di San Germano.
Intanto, Gustavo Bertin era
capogruppo FUV per le Valli e
interpretava in chiave di Risveglio il fermento del dopoguerra:
molti convegni (ricordo un magistrale discorso di Ettore Serafino a Perrero neH’estate 1945),
inviti a oratori stranieri capaci di
mobilitare le folle (Albert Girardet), viaggi e soggiorni nella Svizzera francese. Fu una stagione
breve, una stagione che ci ha dato forse più di quanto non usiamo pensare.
Bertin continuò poi lo stesso
tipo di ministerio a Torino, scontrandosi con le difficoltà oggettive della grande chiesa di città;
e viceversa riscoprendo le fragilità della diaspora a Pisa, Lucca,
Barga, Viareggio. Venne poi una
lunga, attiva emeritazione: molti
di noi ricordano con ammirazione i suoi sermoni alle sedute pastorali, o nelle numerose comunità che lo invitavano.
Ricordiamo anche le sue critiche, sempre pacate ma non per
questo meno penetranti. Bertin
era una presenza che non pas.sava inavvertita. Noi « valdesi » siamo sicuramente una repubblica,
e come tutte le repubbliche cadiamo facilmente nella tentazione di narrare la storia per « consoli »: ma Gustavo Bertin non è
mai stato un « console » è stato
un apostolo. Di lui (come di Laura) si può dire, col Vangelo: « Ha
scelto la buona parte ». Che non
gli sarà tolta.
Giorgio Bouchard
VILLAR PELLICE — Domenica 22 dicembre s’è svolta la festa di Natale della scuola domenicale che, dopo la parte introduttiva del pastore, ha offerto ai
molti presenti il messaggio natalizio composto di poesie, dialoghi e canti. A Eliana Monnet, alle
altre monitrici ed a tutti coloro
che in vario modo hanno collaborato alla realizzazione del programma di quell’incontro il nostro più vivo ringraziamento.
Buona anche l’assemblea che si
è riunita il giorno di Natale per
ascoltare l’annunzio sempre attuale dell’amore di Dio in Gesù
Cristo. Una parola di sentita gratitudine alla corale delle chiese
di Bobbio - Villar Pellice per
l’apporto recato al culto e l’augurio fraterno di buon proseguimento di attività.
• Nel periodo natalizio le componenti l’Unione femminile hanno visitato le persone anziane,
ammalate o sole della chiesa,
portando loro un messaggio ed
un piccolo dono. Anche gli ospiti della casa Miramonti hanno
trascorso momenti di fraternità
con parenti, amici e conoscenti,
ricevendo tra le altre la visita del
Coro alpino vai Pellice e delle
ACLI di Torre Pellice, che ringraziamo di cuore.
• Sabato 18 gennaio, alle ore
20,30 nel tempio, la corale della
chiesa di Torre Pellice, diretta
dal maestro Ferruccio Corsani,
e la corale delle chiese di BobbioVillar Pellice, diretta da Marco
Poet, offriranno un concerto le
cui offerte saranno devolute a favore della tinteggiatura interna
del nostro locale di culto e dei
lavori di manutenzione del tetto.
• La chiesa di Prarostino
esprime le sue condoglianze anche a Adriana Rivoiro e al figlio
Enrico per la morte del marito
Domenico Ribotta.
Solidarietà
alle famiglie
BOBBIO PELLICE — La nostra comunità esprime la propria simpatia cristiana a Laura
Bricco e congiunti per la perdita della sua mamma Irene Benedetto ved. Bricco; dopo essere stato il primo diefizzato in
Italia ed il più vecchio in Europa, il nostro fratello in Cristo Mario Michelin non è più
tra noi.
Nella comimione di fede dei
morti in Cristo rinnoviamo ai
suoi familiari tutti la simpatia
cristiana della nostra comunità.
• Le monitrici della scuola
domenicale sono convocate per
venerdì 10 gennaio, ore 19,30,
nella saletta.
• Seguendo il programma prestabilito, il culto di domenica 19
gennaio sarà preparato e condotto da un gruppo di giovani della nostra comunità.
Lutti
POMARE’TTO — Tre famiglie
della comunità sono nel dolore
per la perdita di una persona
cara; sono infatti deceduti Ernesto Long, di 88 anni, della
Paiola; Pietro Antonio Augusto
Ferrerò, di 82 anni; Umberto Costantino, deceduto a Loriol in
Francia. A queste famiglie va la
cristiana simpatia di tutta la comunità.
Due pomeriggi
TORRE PELLICE — La comunità ha potuto gioire di due piacevoli pomeriggi: sabato 21 dicembre con i bambini della scuola domenicale, e domenica 22
con la corale, il coretto ed il
gruppo flauti che hanno voluto
offrirci musica e canti di Natale.
• Per domenica 5 gennaio alle ore 15 alla Casa unionista
l’Unione femminile invita ad un
incontro in cui Mirella Bein Argentieri parlerà del Convegno
interdenominazionale sulla interpretazione della Bibbia.
• La comunità è vicina con
simpatia cristiana alla famiglia
di Carlo Armand-Hugon, che ci
ha lasciato recentemente.
Cura spirituale
PRAROSTINO — Mercoledì 8
gennaio alle 20,30 si terrà un
incontro al presbiterio sul tema: « Cura spirituale delle persone ricoverate in ospedale e in
casa di riposo ».
Sono invitate tutte le persone
interessate e sensibili a questo
servizio sempre più necessario.
• La morte del giovane Valdo Malan di soli 15 anni è stato uno degli avvenimenti più tristi del 1991 per la comunità di
Prarostino, la quale ha manifestato in diversi modi la sua solidarietà ai familiari, e continuerà ad invocare per loro il sostegno e la consolazione del Padre.
Sabato 11 gennaio
□ «GESÙ’
IL MISSIONARIO »
PINEROLO — Presso i locali della
Chiesa valdese in via dei Mille 1, alle
ore 14,30, si tiene l’annuale corso di
animazione delle Unioni femminili. Dopo cena la past. Letizia Tomassone e
il prof. Claudio Tron presiedono una
tavola rotonda sul tema. Il programma, che continua la domenica 12, prevede il culto con la comunità iocale
e lavoro in gruppi su due testi biblici;
Marco 10: 17-31 e Giovanni 4.
informazioni e prenotazioni entro il
6 gennaio presso Lidia Noffke, tei.
0121/51372 oppure Wanda Rutigliano,
tei. 0121/92731.
______Sabato 25 gennaio________
□ CONVEGNO
PREDICATORI LOCALI
MILANO — Organizzato dal VI circuito e dall'Associazione lombarda
delle Chiese battiste si tiene, dalle
ore 9,30 alle 16,30, presso la Chiesa
metodista (via Porro Lambertenghi 28),
un convegno per i predicatori locali
sul tema « Il regno di Dio: annuncio
e attesa ».
informazioni e iscrizioni presso G.
Bernardini (tei. 02/76006348) o E.
Chiarenzi (02/5460724).
Ospedale evangelico valdese - Torino
E’ indetto avviso d’incarico per la copertura in
attesa dell'espletamento del concorso pubblico di n. 1
posto di collaboratore amministrativo presso l’Ospedale evangelico valdese di Torino.
I requisiti richiesti sono;
— età non superiore ad anni 40;
— laurea in giurisprudenza o in scienze politiche o in
economia e commercio o altra laurea equipollente.
Per informazioni rivolgersi aH’Ufficio Personale delrOEV di Torino - tei. 6509666.
5
3 gennaio 1992
vita delle chiese 5
12 GENNAIO, DOMENICA DELLA CEVAA
Per un'azione
apostolica comune
Nel quadro della valutazione della CEVAA
dopo i primi 20 anni della sua esistenza, abbiamo avuto un incontro del comitato per la
CEVAA assieme ad altre persone impegnate in
particolare per l’azione apostolica comune di
Roma: l’opera che ha dato vita alla comunità
di lingua francese che l’ultimo Sinodo ha accolto nella comunione delle Chiese valdesi e metodiste.
Dovremo ritornare sul problema di fondo del
nostro essere CEVAA, ma per il momento ci
sembrava utile far conoscere il contributo dì
Sony Edzavé e la scheda sintetica di Lucilla
Tron in rapporto all’impegno portato avanti nell’azione apostolica comune dì Roma, che rimane
per le nostre chiese l’esempio più concreto di
quanto può significare la CEVAA per noi.
r. c.
LE PROBLEMATICHE DI UNA ”AAC’
Noi e la CEVAA
La preoccupazione che oggi la
Chiesa valdese avverte sul ’’come essere missione” è una preoccupazione legittima che pone il
problema dell’ ’’essere” stesso
della chiesa.
Questo ’’essere”, che le chiese
membro della CEVAA vogliono
vivere in modo comunitario sia
sul piano locale che su un piano
più ampio, sembra porre dei problemi nelle realtà quotidiane della vita di chiesa e dei singoli
credenti.
In questo contesto dobbiamo
quindi cercare di capire cos’è
e cosa fa la Chiesa valdese in
quanto membro della CEVAA,
per poter vedere come andare
avanti.
Se la CEVAA è sia una famiglia che un’istituzione, come si
dice nel rapporto CEVAA di
Morija, la sua sopravvivenza dipende da come noi la viviamo,
cioè da quello che vogliamo essere come chiesa nel mondo di
oggi. E’ attraverso il lavoro che
le chiese e le persone fanno insieme per una testimonianza reale e per l’avanzamento del progetto comune che la CEVAA vive
e diventa una realtà. Allora dobbiamo chiederci se la CEVAA
può essere qualcosa di esterno
a noi, in quanto chiese, qualcosa che ci sta di 'fronte! Non è
vivendo e confessando il Cristo
ognuno per conto proprio che
si vive la comunità CEVAA, ma
stando insieme agli altri.
Se la fede comune per il Cristo si esiprime in uno slancio
dello spirito che spinp delle
persone e delle comunità di credenti le une verso le altre, e
insieme verso altre comunità
umane, la realtà della CEVAA
sarà tangibile e presente nella
quotidianità della vita delle nostre chiese. Pensiamo anche che
le ’’azioni apostoliche comuni”,
considerate come una delle mi
gliori espressioni concrete della
realtà CEVAA, debbano essere
oggetto di studio nel contesto
del ’’come essere missione” che
vogliamo qui esaminare.
Un impegno comune
dei credenti
La Chiesa valdese, nel suo interessamento verso gli altri, si
è preoccupata di dare spazio ai
fratelli e sorelle credenti di lingua francese e per fare questo ha creduto nella dinamica
CEVAA. L’AAC di Roma è nata
con l’impegno comune delle comunità di credenti; di dimensioni modeste, realizzata con la permanenza di due collaboratori, è
seguita da gruppi di sostegno e
di riflessione (gruppo internazionale di accompagnamento, gruppo locale di sostegno e gruppo
di riflessione teologica).
Prendendo in considerazione
l’AAC di Roma nella sua realtà,
possiamo fare le seguenti riflessioni.
Possiamo considerarla un’azio
ne della Chiesa valdese, poiché fin daU’inizio è stata sostenuta dai suoi organi direttivi.
Tuttavia ci sono state delle difficoltà di comprensione da parte
della base della chiesa, che rivelano il problema stesso di comprensione della realtà CEVAA.
Questa azione della chiesa, realizzata con il sostegno della
CEVAA, è vissuta come un’azione della Chiesa valdese da parte
di chi ne usufruisce e come
un’azione della CEVAA da parte
della base della Chiesa valdese;
per i fratelli immigrati la Chiesa valdese è il loro interlocutore immediato, mentre per i vaidesi TAAC di Roma è un lavoro
della CEVAA. Queste diverse interpretazioni sono significative
per comprendere come viene comunemente capita la CEVAA.
Affinché tutta la chiesa possa
sostenere spiritualmente una
AAC è necessario un lavoro di
sensibilizzazione e di identificazione di un compito di testimcv
nianza missionaria a tutti i livelli della chiesa. Per fare questo occorreranno molte energie
e molto tempo.
La volontà della chiesa di confessare il Cristo attraverso un’azione comune si è rivelata come
una cosa necessaria. Una testi
monianza viene portata in un
ambiente in continuo accrescimento, quello degli' immigrati.
Una comunità è nata ed anche
se non si sono ancora sviluppati dei legami diretti tra le chiese di origine dei suoi membri
e la Chiesa valdese, essa rappresenta certamente un'apertura
verso il mondo ed una spinta
verso gli altri e viceversa. E'
anche certo che questa volontà
della chiesa di dare spazio ai
fratelli credenti di altre chiese
si rivela essere uno stimolo' per
le comunità locali ad aprirsi alla realtà delTimmigrazione ormai
presente nella nostra quotidianità.
L’AAC è dunque una manifestazione concreta della volontà
di lavorare insieme agli altri
con i quali formiamo una famiglia; un segno della nostra volontà di confessare e vivere il
Cristo non ognuno per conto
proprio ma con tutti coloro che
credono in lui. Questo lavoro comune non mira al proselitismo
ma alla condivisione fraterna
delTEvangelo d’amore di Cristo
che ci unisce per poter vivere la
nostra fede in comunione con
lui.
Bony K. Edzavé
POESIA
lo, una donna
Sono una donna
Plasmata a immagine di Dio
Piena di qualità e di dignità
Creata dalla mano di Dio
Chiamata a vivere dal soffio di Dio
Io, una donna,
Madre di tanti bambini
Madre di presidenti e di lavoratori
Madre di inservienti e di ministri
Madre di re e di sudditi
Madre di serve e di regine
Madre di idioti e di sapienti
Io, una donna,
Produttrice, cuoca, governante
Prodigo cure, veglio di notte
Fatico dal mattino alla sera
Semino e raccolgo arsa dal sole
Porto pesanti fardelli lungo sentieri brucianti
Reggo il mio carico fino a casa
Per nutrire i miei
Io, una donna.
Chiave di volta della famiglia
Nello stesso tempo, amata e respinta
Protetta e sottomessa
Accarezzata e picchiata
Indispensabile e abbandonata
Io, una donna.
Signore, sei tu che mi hai creata
Mi conosci, mi chiami col mio nome
Mi ascolti quando gli altri rifiutano di ascoltare
Mi capisci quando gli altri non vogliono capire
Le mie difficoltà le conosci
Le mie lacrime, le vedi
I miei sospiri, li senti
Sei tutto per me
Presso di te, c'è la speranza
In te, ripongo la mia fiducia
Io, la tua donna.
Grace Eneme, Camerún
Un’azione comune per « ridurre le distanze » fra i popoli.
SCHEDA
L'Azione apostolica
comune a Roma
Obiettivi
— rispondere ad un bisogno crescente di cura spirituale degli immigrati evangelici presenti in Italia;
— creare uno strumento per intervenire sia a livello comunitario che sociale;
— sensibilizzare al problema dell’immigrazione le comunità
locali e renderle coscienti dell’occasione di arricchimento;
— far partecipi della nostra esperienza le altre chiese della
CEVAA;
— riconoscere l’Europa come terra di missione;
— integrare l’opera missionaria nella chiesa stessa.
Strumenti e piano di lavoro
— una équipe di lavoro di dimensioni modeste (due persone);
— uno spazio disponibile;
— gruppi di accompagnamento e di riflessione in appoggio
all’équipe di lavoro ;
— creazione di una comunità;
— creazione di un servizio di consulenza e intervento sociale;
— promozione di incontri con le comunità italiane;
— diffusione di informazioni e riflessioni comuni riguardanti
Timmigrazione.
Analisi dei risultati
— la chiesa ha identificato un possibile campo di missione;
— ha fatto appello ad altre chiese per fare un lavoro più appropriato creando una équipe mista;
— la CEVAA ha fornito il collegamento con le altre chiese,
l’esperienza appropriata per un lavoro comune, la partecipazione finanziaria;
— la chiesa ha seguito il lavoro con attenzione ed ha deciso
per la formazione di una comunità autonoma di lingua francese, nell’ambito della Chiesa valdese ;
— la chiesa ha programmato una continuazione, di cui si farà
carico, confermando la validità di avere tm inviato da un’altra chiesa.
Disfunzioni/problemi
— il lavoro delTAAC viene capito in modo diverso da parte
degli organi direttivi della chiesa, e da parte delle comunità locali (comunicazione insufficiente?);
— scarsa comprensione sia nella comunità di lingua francese
che nelle comunità locali del fatto che è un lavoro comune
(difficoltà di capire il ruolo e l’importanza della CEVAA —
dovremmo forse chiederci cosa si sarebbe potuto fare senza
l’aiuto della CEVAA?);
— difficoltà di identificazione della missione della chiesa oggi ;
— mancanza di collegamento diretto con le chiese degli immigrati.
Come mantenere/correggere
— far conoscere questo progetto alle comunità attraverso tutte
le occasioni possibili, sensibilizzare i giovani e sentire le loro opinioni e proposte;
— portare alle comunità la riflessione sul bisogno di missione
oggi;
— proporre azioni comuni a livello locale (incontri «essere
chiesa insieme » — evangelizzazione — canto...) ;
— promuovere il collegamento con le chiese africane (sentire
gli immigrati come degli inviati delle loro chiese).
Lucilla Tron
Roma vive da vicino il fenomeno dell'immigrazione.
6
6 prospettive bibliche
3 gennaio 1992
ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA
COME NASCE LA CHIESA
« Quelli che erano stati dispersi
dalla persecuzione... passarono fino in
Fenicia... non annunziando la Parola
se non ai giudei soltanto. Ma alcuni si
misero a parlare anche ai greci annunziando il Signore Gesù. E la mano del Signore era con loro; e gran
numero di gente... si convertì al Signore » (Atti 11: 19-21).
Un caso?
Nessuno, nemmeno gli apostoli, avrebbe
potuto prevedere il seguito degli avvenimenti. Quando era scoppiata la « persecuzione », l’azione repressiva del Sinedrio di
Gerusalemme contro la piccola comunità di
Gerusalemme, quelli che si chiamavano, ed
erano probabilmente conosciuti, come i seguaci della « nuova via » non devono essersi
stupiti, Gesù lo aveva previsto: « Un discepolo non è da più del maestro, se hanno
perseguitato me, perseguiteranno anche
voi ». E la lapidazione di Stefano, uno dei
loro più intraprendenti responsabili, rientrava nelle situazioni prevedibili anche se
faceva prevedere momenti difficili.
La piccola comunità si era subito organizzata per far fronte alla nuova situazione
ed aveva impostato il suo programma attenendosi ancora una volta alle direttive di
Gesù stesso: « Quando vi perseguiteranno
in una località, andatevene in un’altra »,
« Se non vogliono prestare attenzione alle
vostre parole scuotete la polvere dei vostri
piedi e lasciateli ». E così, lasciando Gerusalemme, molti credenti di origine non giudaica o galilea se ne erano tornati ai loro
villaggi ed alle loro città di origine, fuori
del territorio della Giudea, in Samaria, Fenicia, Siria.
Essi avevano molto probabilmente nutrito in origine altre intenzioni e formulato
altri progetti.
Pensavano di poter restare a Gerusalemme, nella città santa, dove era stato dato
10 Spirito, e costituire qui una comunità
unita, solidale, che vivesse in attesa del ritorno di Cristo; erano tutti protesi verso il
cielo, verso il nuovo mondo di Dio, verso
11 Regno e questo viene ora distrutto dall’inattesa persecuzione. La chiesa si disintegra, si dissolve, rischia di morire. Così
pensano quei credenti e non sanno che
invece proprio da questa crisi, che a loro
pare mortale, nascerà una nuova realtà.
Rientrati infatti nelle loro dimore possono questi discepoli di Gesù serbare per sé
quello che hanno visto, udito, sperimentato? Possono tornare alla vita di prima come
se nulla fosse accaduto? No di certo, ed
eccoli «annunziare la Parola». Questa
bella espressione del Nuovo Testamento è
l’equivalente del nostro « rendere testimonianza », « annunciare l’Evangelo ».
Senza la persecuzione non ci sarebbe
stata Parola. Questo non significa certo, ed
il testo non lo dice, che deve esserci sempre
persecuzione perché ci sia annunzio dell’Evangelo, che la Parola del Signore non possa espandersi se non nella prova e nella
sofferenza. Il testo dice solo che la dispersione non prevista, non programmata, non
intenzionale della comunità portò la Parola
laddove non sarebbe andata. Nessuno ci
avrebbe pensato perché tutti avevano altri
progetti.
Si potrebbe dunque trarre la conclusione
che tutto questo sia accaduto per caso (nel
linguaggio comune è un caso ciò che non è
previsto o prevedibile) e ricavarne la lezio
E’ difficile per noi, oggi, immagi nare come sia nata e cresciuta la
Chiesa di Cristo. Da una lettura superficiale degli Atti degli Apostoli,
tutto ci sembra ovvio e scontato. Invece non è così: cosa sarebbe successo senza la persecuzione e la dispersione dei primi seguaci della
«nuova via»? La Parola sarebbe stata annunciata e ricevuta? E dove
hanno trovato la forza, quei primi testimoni anonimi, per comunicare
la loro fede a persone culturalmente impreparate ad accoglierla? Lo stesso problema si pone oggi quando parliamo di missione e di evangelizzazione. Oggi, lo si chiama « inculturazione » dell’Evangelo. (red.)
ne: nella vita siamo condotti spesso dove
non pensavamo di andare e ci troviamo in
situazioni nuove, inattese.
I credenti di Gerusalemme hanno letto
molto probabilmente la loro vicenda in
modo assai diverso: non hanno fatto ricorso al « caso » ma alla Scrittura e si sono
ricordati della vicenda di Giuseppe, vittima
anch’egli della persecuzione dei suoi fratelli, che diventa, quando è lontano da casa,
loro salvatore nella disgrazia; si sono naturalmente anche ricordati della parola di Gesù che paragona lo Spirito al vento che soffia dove non si prevede. Non il caso, dunque,
ma la mano del Signore dirigeva gli avvenimenti. Essi credevano di fuggire, di abbandonare la loro sicurezza, di andare verso
l’ignoto ed era invece il Signore che li guidava.
Sinagoga
Fin qui tutto è comprensibile, le persecuzioni, la fuga, l’annuncio della Parola, la
guida dello Spirito. Si tratta infatti di
esperienze che tutti i credenti hanno fatto
in molte circostanze e che si possono considerare nella norma della fede cristiana.
Ma approfondendo il problema ci si accorge che non tutto è così scontato. A chi
si rivolgono infatti questi discepoli? In un
primo tempo ai loro fratelli in fede, ai membri del popolo di Dio, come loro figli di
Israele. Essi restano in tutto e per tutto
ebrei, come i discepoli di Gesù, gli apostoli,
con una differenza fondamentale però: sanno che Gesù è il Messia, il compimento delle loro speranze. Non si tratta solo di aggiungere le nuove parole del maestro alle
credenze antiche ma di vivere l’antica fede
nell’ottica di Gesù e della sua storia.
Comprensibile a livello teorico, tutto questo risulta per noi estremamente lontano a
livello di esperienza perché il passaggio dalla sinagoga alla chiesa, dalla fede di Israele
alla fede in Cristo è talmente lontano dalla
nostra sensibilità odierna da essere intraducibile in termini nostri.
Un fatto è comunque chiaro, ed è ciò che
a noi importa oggi comprendere: i primi discepoli di Gerusalemme comunicano con i
loro fratelli in fede della sinagoga perché
quelli sono in grado di intenderli e comunicano ciò che sanno, ciò che hanno appreso.
Fanno esattamente ciò che farà l’apostolo
Paolo nei suoi viaggi missionari quando,
giungendo in una nuova città, si reca subito alla sinagoga per stabilire un contatto
con i suoi correligionari.
E non è superfluo forse ricordare che più
che una chiesa in senso moderno, un locale
in cui ci si reca per pregare ed adorare Dio
nel corso delle funzioni, un nostro locale di
culto odierno insomma, la sinagoga è una
casa aperta in cui tutti si recano in un continuo andare e venire, i ragazzi per studiare, i vecchi per passare il tempo, i bisognosi
per cercare un aiuto; è una scuola, un club,
un ufficio di assistenza, una biblioteca, una
banca dove avvengono le transazioni economiche, è il cuore della comunità.
Qui i discepoli vengono e parlano, dicono ciò che hanno visto ed appreso a Gerusalemme, nella città santa, nel tempio,
dicono ciò che sanno di Gesù e lo provano
con le Scritture, spiegano la sua morte come l’aveva spiegata Stefano: l’ennesima ribellione del loro popolo alla vocazione divina, spiegano le sue sofferenze inevitabili
sulla scorta delle profezie di Isaia, spiegano
la sua risurrezione alla luce dei Salmi. Esattamente ciò che farà e dirà Paolo qualche
anno più tardi. Tutto comprensibile e chiaro. Non conosciamo la reazione di questi
ebrei delle sinagoghe, probabilmente non si
sono comportati diversamente da quelli che
Paolo incontrerà più tardi, alcuni favorevoli, altri contrari, e la spaccatura all’interno del gruppo causato dal « nome di Gesù ».
La mano di Dio
L’incomprensibile, l’inspiegabile, lo sconvolgente è ciò che accade dopo: alcuni di
questi discepoli cominciano a parlare di
questa loro nuova fede anche a conoscenti
non giudei, cioè a dei pagani.
E perché non avrebbero dovuto farlo, ci
si chiede, non era del tutto normale? No,
non solo non era normale, ma era del tutto
impensabile. I pagani appartenevano ad un
altro mondo, quello dell’ignoranza, dei senza Dio, adoratori di statue e di feticci, senza la legge, senza le Scritture, senza le promesse, senza Messia e senza Regno. Come
avrebbero potuto capire la predicazione di
Gesù, la sua opera, la « nuova » legge dell’Evangelo, il significato della sua morte?
Quanto poi alla sua risurrezione era pensiero del tutto inaccettabile, come verificherà Paolo ad Atene.
Ed invece essi parlano. Malgrado la pesantezza dei pregiudizi che c’erano allora,
di tipo razzial-religioso, non meno forti di
quelli attuali, malgrado i rischi connessi
con questi contatti e soprattutto la difficoltà oggettiva di esprimere la propria fede
a persone forse ben disposte ma totalmente
impreparate. E qui due osservazioni si impongono.
Che hanno mai potuto dire riguardo a
Gesù questi credenti che non avevano nulla su cui fondare il loro discorso, né gli
evangeli né le lettere degli apostoli ancora scritti (lo saranno anni più tardi), che
non disponevano per esprimersi di cantici,
catechismi, predicazioni, cioè tutto il materiale di studio e di riferimento di cui noi
disponiamo? E’ lecito chiedersi cosa mai
abbiano potuto dire, che idea si potessero
fare di Gesù, che non avevano conosciuto,
eh cui sapevano solo quello che era stato
loro raccontato dagli apostoli nel poco tempo che avevano vissuto insieme. Quanto
sarebbe interessante saperlo! Il fatto fondamentale non è forse per loro il saper cosa
dire e come riguardo a Gesù quanto piuttosto il fatto di poterlo dire. Essi hanno biso
gno di parlare, di raccontare, di comunicare
ciò che hanno dentro. Il parlare, il testimoniare nasce per loro da questo irrefrenabile bisogno di coinvolgere altri nella loro
situazione, di spartire con altri il patrimonio di ideale che hanno ricevuto.
Di un secondo elemento è necessario tenere conto: chi sono questi « alcuni » di cui
si è persa persino la memoria nelle comunità cristiane? Non degli apostoli né degli
evangelisti qualificati come Stefano o Filippo, neppure, a quanto si comprende, laici
impegnati, per usare il linguaggio odierno.
Si tratta di illustri sconosciuti, ma, e qui
sta il nodo della questione, di sconosciuti
illustri. Perché mai considerarli tali? Poniamoci la domanda: se questi fratelli non
avessero parlato, che sarebbe successo? Nulla, diciamo noi; in effetti è così: non sarebbe successo nulla, o meglio il nulla, e cioè
non sarebbe nata la chiesa cristiana. Sarebbe
rimasta in vita, certo, la comunità di Gerusalemme; i discepoli del rabbi Gesù avrebbero continuato a trasmettere le sue parole,
a ricordare i fatti della sua vita, si sarebbe
costituito un gruppo di fratelli nostalgici legati al suo ricordo e dalla speranza del suo
ritorno. La comunità cristiana che già si era
formata avrebbe continuato a vivere ma sarebbe oggi un fossile religioso come i samaritani sulle montagne di Palestina, nulla più
che una setta del mondo ebraico.
Cristo non sarebbe diventato il Signore
del mondo, il Salvatore dell’umanità. Ma
Gesù era già il Salvatore, si risponderà,
non è la fede della chiesa che fa essere Gesù ciò che è; certamente, ma il grande miracolo di cui oggi non sembriamo più renderci conto è il fatto che dei pagani abbiano capito ciò che questi loro amici ebrei si
sforzavano di dire, e non riguardo a Dio,
alla sua unicità, alla sua natura spirituale
ma a Gesù il Messia.
Si passa ancora facilmente dall’idolatria
alla fede in Dio, ma dall’idolatria generalizzata alla fede in un uomo morto e che
Dio risuscita per il perdono dei peccati nostri non è così scontato che si possa passare.
L’incredibile, l’inatteso, il miracoloso è
rappresentato qui da due fatti: che uomini
e donne senza preparazione, senza studi,
senza nulla al di fuori del loro coraggio abbiano parlato e potuto trasmettere la Parola. Abbiano potuto farlo in condizioni
che più disperate di così non potremmo immaginare: senza strumenti adeguati, senza
un linguaggio adatto, dovendo superare
abissi di incomprensione, di equivoci, col
pericolo di essere fraintesi.
Ma non meno miracoloso è però l’altro
aspetto dell’avvenimento: che quei pagani
abbiano capito cosa veniva loro detto, capito in senso profondo, colto il nocciolo
della questione ed abbiano poi saputo, a
loro volta, ripensare la testimonianza udita
in termini propri, abbiano cioè saputo appropriarsi, fare proprio l’annunzio evangelico.
Il problema però, e di qui l’interesse del
nostro testo, non si può limitare alle vicende narrate dall’autore del libro degli Atti
o alle esperienze dell’apostolo Paolo; la situazione qui descritta si è riproposta ogniqualvolta dei missionari si sono trovati in
situazioni nuove, a confronto con culture e
linguaggi nuovi, e proprio nella nostra generazione il problema torna a porsi con urgenza e serietà nel lavoro di evangelizzazione in paesi asiatici ed africani. Come si è
visto all’ultima assemblea del Consiglio
ecumenico a Canberra.
Giorgio Toum
7
3 gennaio 1992
ecumenismo
FRANCIA FINANZIAMENTI ALLA CHIESA CATTOLICA
Chi sono i protestanti? oltre l’S per mine
La Riforma, la dottrina, la diffusione nel mondo: un servizio che
parla soprattutto deH’osmosi tra spirito protestante e modernità
Le attività che ricevono soldi dal bilancio
dello stato - Un elenco fitto di dati e cifre
« Il potere dei protestanti » :
con questo titolo a tutta pagina, e
con 18 ritratti fotografici di protestanti illustri in Francia e nel mondo, si presenta la copertina di inizio novembre della nota rivista
settimanale francese Le Nouvel
Observateur. All’interno dieci pagine, con sette articoli e numerose
foto a colori, sono dedicate ad illustrare e a spiegare chi sono i
protestanti, soprattutto in Francia,
ma anche negli Stati Uniti e in
America Latina. Una scheda spiega cosa è stata la Riforma, un’altra indica i principi della fede protestante, una terza presenta le differenze dottrinali tra protestanti e
cattolici, una quarta segnala una
bibliografia di testi sul protestantesimo in cui figurano, tra l’altro.
L’etica protestante e lo spirito del
capitalismo di Marx Weber e Storia generale , del protestantesimo
di Emile Léonard; l’ultima scheda
si riferisce allo straordinario sviluppo del pentecostalismo in America Latina, con un sottotitolo problematico: « L’America Latina,
terra cattolica, sta per affondare
nel protestantesimo più conservatore? ».
Il lungo articolo di apertura
(cinque pagine), dopo aver presentato l’impressionante elenco di ministri e sottosegretari protestanti
presenti nei vari governi dell’era
mitterrandiana, rifà la storia del1’« ascesi mondana » dei riformati
nella società e nelle istituzioni della Francia a partire dalla Rivoluzione francese, affermando che
« dal 1789 i protestanti hanno infatti contratto con la sinistra un
matrimonio di ragione e di amore». E’ che, prosegue l’articolo,
« essi sono da tempo portatori di
un progetto semplice: la democrazia, sistema che hanno adottato le
loro chiese fin dal loro primo sinodo nazionale... nel 1559 ». L’influenza dei protestanti sulla vita
politica francese è particolarmente
evidente fin dalla fondazione della
III Repubblica. Jules Ferry vedeva in loro « una potenza amica e
un alleato necessario » e infatti il
primo direttore dell’istruzione pubblica primaria, da lui nominato, fu
l’ugonotto Fernand Buisson. Oggi
il ministro della Pubblica Istruzione è Lionel Jospin, altro ugonotto. E tutti sanno che l’ex primo
ministro e grande rivale di Mitterrand, Michel Rocard, è an
Lionel Jospin.
ch’egli protestante così come Pierre Joxe, ministro della Difesa,
Georgina Dufoix, ex ministro alla
Sanità, Georges Fillioud, ex ministro degli Esteri, Catherine Lalumière, segretaria generale del Consiglio dell’Europa, ecc. « E’ vero
— dice Catherine Trautmann, sindaco di Strasburgo, laureata in teologia, anch’essa protestante —: all’inizio del suo primo settennio,
il presidente della Repubblica è
stato accusato di subire la lobby
ugonotta»-, ma, aggiunge, «è un
mito ». Il politologo Alain Duhamel, protestante di adozione, la
pensa un po’ diversamente. Nel
1985 pubblicava, in prima pagina
di Le Monde, un articolo intitolato « Una ideologia protestante »,
in cui affermava: « La Francia si
è convertita al protestantesimo
politico senza saperlo. Nel giro di
qualche anno, essa ha adottato
contemporaneamente l’economia
di mercato, l’individualismo, la solidarietà e la decentralizzazione...
Altrettanti valori esaltati da lungo
tempo dai paesi protestanti dell’Europa del Nord ».
Anche in campo socio-sanitario
vi è stata un’impronta protestante.
Dice Evelyne Sullerot, figlia di un
pastore-psicanalista degli anni ’30,
a proposito degli inizi dei Consultori familiari: « E’ nel settimanale protestante "Réforme” che annunciai, nel 1955, la creazione di
un’associazione chiamata Maternità felice... Era nato il ’’planning”
familiare. Una magnifica istituzione, inventata dagli ugonotti, che
tuttavia rimarrà, nel campo dei
costumi, la loro ultima ’’protesta” ».
In campo finanziario e industriale il potere dei protestanti non
è più così forte come lo era nel
Le varie confessioni cristiane
presenti a Milano si incontrano
in diverse occasioni per lavorare su argomenti specifici.
Per quanto concerne la Settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani (18-25 gennaio), segnaliamo gli incontri seguenti:
• Sabato 18, ore 18: culto
evangelico nella Chiesa metodista di via P. Lambertenghi. Presiede il past. G. Carrari. Predicano la cand. U. Koenigsmann
(valdese), il sig. E. Pessi (ortodosso), e don L. Manganini (cattolico).
• Domenica 19, ore 10,30: divina liturgia ortodossa, nella
Chiesa ortodossa romena di via
Giulini 19. Predica il past. S.
Ricciardi.
• Lunedì 20, ore 18: tavola rotonda su: Evangelizzazione ed
secolo scorso e nella prima metà
di questo secolo. Rimangono però
alcune eccezioni degne di nota:
la Banca Hottinguer, Peugeot,
Sch.lumberger, Hermés, Flammarion. Ma la maggior parte delle
grandi « case » protestanti sono
state ricomprate da altri. « Ma allora. cosa rimane dell’eccezione
protestante? », si chiede l’articolista del «Nouvel Observateur». Risponde il protestante Jean Baubérot, sociologo: « L’etica, appunto.
/ protestanti, in Francia, hanno
l’immenso vantaggio di essere una
minoranza ben accettata, allo stesso tempo cristiana e laica. Possono
dunque giocare, in tutti i dibattiti
morali, la parte degli intermediari
tra i liberi pensatori, i cattolici, gli
ebrei e i musulmani. E Dio sa
quanto, di questi tempi, ci sia bisogno di questo tipo di mediatori ».
Ma non tutti i protestanti francesi la pensano allo stesso modo.
Anche là ci sono numerosi ’’evangelical” (circa 200.000) che non ne
vogliono sapere di attivismo poli
MILANO
Settimana per l’unità
impegno delle chiese cristiane
nella nuova Europa, presso l’Auditorium AGLI in via della Signora 3. Interventi di don G.
Bottoni (cattolico), del padre T.
Valdmann (ortodosso) e del pastore P. Spanu (battista).
• Mercoledì 22, ore 21: culto
ecumenico di preghiera e penitenza a 500 anni dalla scoperta
dell’America, presso la Chiesa
protestante di via M. de’ Marchi. Presiede il past. H. Banse
(luterano).
• Sabato 25, ore 21: interrogativi dopo il convegno ecumenico di Santiago de Compostela e il Sinodo europeo. Resoconto del card. C. M. Martini, ed
interventi da parte di rappresentanti designati dalle chiese.
Auditorium S. Fedele, via Hoepli 6.
Pierre Joxe.
fico e sociale. « Ciò che ci vuole,
secondo loro — scrive l’articolista — è di ripartire, Bibbia in
mano, a convertire le masse »,
« Se no — dice un giovane pastore
’’evangelica!” — il protestantesimo morirà spiritualmente, perché
le idee del mondo vi entrano troppo ». Anche Jean Baubérot, tre
anni fa, si chiedeva; « Il protestantesimo deve morire? », in un altro senso. Dice, infatti, in un’intervista pubblicata in questo stesso
numero del « Nouvel Observateur » : « Il protestantesimo compie la propria missione solo relativizzandosi. Non è l’unico portatore della verità. Fa parte di un
grande insieme pluralistico ».
Un altro articolo illustra la singolare storia di una grande famiglia protestante francese: la
« tribù » dei Monod, con la sua
galleria di personaggi illustri nei
più svariati campi (pastori, medici,
scienziati, banchieri, industriali...).
Infine, un corrispondente dagli
Stati Uniti presenta l’ultima invenzione del protestantesimo battista americano; la «Megachurch»
di Houston (Texas), concepita e
gestita secondo le più moderne
tecniche di management e di marketing.
Un servizio, quello del « Nouvel Observateur » che, più che del
potere dei protestanti (quello prettamente economico è in netto calo
da alcuni decenni), rende conto
della perfetta osmosi che vi è tra
spirito protestante e società moderna occidentale. La questione
che emerge, in filigrana, è se il
protestantesimo saprà adattarsi altrettanto bene alle esigenze del
postmoderno, senza ridursi alla
sua sola versione ’’evangelica!”.
Jean-Jacques Peyronel
ROMA — E’ proprio vero che,
dopo il nuovo Concordato tra
l’Italia e il Vaticano del 18 febbrs.io 1984, il bilancio dello stato
non finanzia più in modo diretto
attività legate alla Chiesa cattolica? Un esame della legge 366
del 18 novembre 1991 (« Disposizioni per l’assestamento del bilancio dello stato e dei bilanci
delle aziende autonome per l’anno finanziario 1991 »), pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale del 19 novembre 1991, dimostra al contrar
rio che ancora oggi per quelle attività si spende un bel gruzzoletto.
Le voci di spesa esplicitamente
a favore della Chiesa cattolica
rientrano nel bilancio del rninistero dell’Interno, essendo legate
airamministrazione del fondo edifìci di culto. Il capitolo n. 167
(di nuova istituzione) prevede
per spese concernenti « l’informatizzazione e l’inventario dei
beni artistici e storici di proprietà » 250 milioni di lire. Il capitolo
n. 243 («Assegni vitalizi al clero
di cui aH’prt. 67 della legge 20
maggio 1985 n. 222 ») comporta
una spesa di 351 milioni e 676 mila lire. La voce « Restauri e miglioramenti di edifici di culto e
di immobili di proprietà del fondo », che costituisce il capitolo
n. 503, comporta una spesa di 3
miliardi e 200 milioni. C’è pure
un capitolo 537, di nuova, istituzione, che riguarda « Sovvenzioni
ed interventi nel restauro ed ampliamento di chiese ed edifici annessi - impianti fissi per l’esercizio del culto (gestione stralcio
fondo culto) » per una somma di
3.5CO.OOO lire. Per le « Assegna. zioni per restauri di fabbricati e
di edifici ecclesi?.stici (gestione
stralcio fondo beneficenza )», capitolo n. 539, si spendono
25.983.000 lire.
Ma anche il ministero per i
Lavori pubblici fa la sua parte.
Il capitolo n. 7871 (« Concorso
dello stato nella costruzione e ricostruzione delle chiese ») prevede una spesa di 796.530.000 lire,
mentre il n. 8648 investe per
« spese per opere di ricostruzione, ammodernamento, restauro
e manutenzione del duomo di
Monreale » 2 miliardi e mezzo.
Inoltre, nel bilancio di questo
stesso ministero, figura il capitolo n. 9065 (« Spese ed interventi su edifici di culto adibiti a fini di culto o appartenenti a comunità religiose, ecc. »), per il
quale si spendono lire 141.066.000.
Lo stato, infine, assegna 240 milioni di lire al capitolo n. 9078,
che si occupa di « Spese per le
opere di riattazione degli edifici
di culto danneggiati dal terremoto dell’agosto 1985 ».
Oltre a questi finanziamenti
specifici, vi sono poi altre voci
di spesa più generali, che comportano anche sovvenzionamenti
alla Chiesa cattolica. Il ministero
di Grazia e Giustizia, ?1 capitolo
2082, è stato autorizzato a spendere lire 142.218.000, tra l’altro
per « spese per l’assistenza morale... del personale del corpo di polizia penitenzip.ria », svolta dai
cappellani carcerari. Il ministero
degli Affari esteri, invece, ha ottenuto finanziamenti per 400 milioni di lire per « Contributi in
danaro, libri e materiale didattico e relative spese di spedizione
alle scuole non governative all’estero » (capitolo n. 2653), molte delle quali sono rette da ordini religiosi.
Il ministero della Pubblica
istruzione si è visto autorizzare,
tramite il capitolo n. 3672, una
spesa di 25 milioni di lire in
« sussidi e contributi a scuole medie non statali ». La somma di
266.769.000' lire è invece stata prevista dal ministero dell’Interno
per 1’« assistenza spirituale, morale e benessere del personale appartenente all’ amministrazione
della pubblica sicurezza» (capitolo n. 2652). Il ministero per i
Lavori pubblici, infine, ha previsto « spese per provvedere al ripristino delle opere di edilizia demaniale, di culto e di interesse
storico-artistico », per una somma pari a oltre 4 miliardi di lire
(capitolo n. 9075); uno stanziamento che andrà, dunque, anche
a favore della Chiesa cattolica.
Sommando tutti i capitoli di
spesa qui elencati si ottiene, per
quanto riguarda le spese che interessano soltanto e specificamente la Chiesa cattolica, una
somma di 7.508.811.000; per ciò
che concerne, invece, gli investimenti generali dei quali la Chiesa cattolica è solo uno dei beneficiari, la cifra raggiunge 4 mfiiardi 919.216.000 lire. A quest’ultima
somma si può aggiungere, poi, la
voce del ministero dell’Università e della ricerca scientifica e
tecnologica riguardante una
« somma da assegnare alle università per l’attuazione dei piani
di sviluppo e della programmazione universitaria» (capitolo n.
7314), includendo perciò anche gli
istituti universitari che dipendono dalla Chiesa cattolica.
(ADI STA)
NELLA CITTA' DI ZWINGLI
Separazione stato-chiesa
ZURIGO — Il consiglio cantonale ha deciso di sostenere una
iniziativa che dà l’incarico al governo di elaborare un progetto
sulla separazione fra stato e
chiesa.
A differenza del passato, questa volta chi ha sostenuto l’iniziativa non sono i partiti progressisti ma i politici dei partiti borghesi, che in questo modo
vogliono protestare contro l’impegno politico-sociale di alcuni
rappresentanti della chiesa.
L’eredità del riformatore Ulrico Zwingli, che durante tutto il
periodo della sua attività ha
sempre combattuto per uno stato che rispetti l’etica cristiana
e ha per meta la messa in pratica della volontà di Dio, cioè
del regno di Dio, l’eredità di
questo uomo di chiesa che non
ha mai avuto paura di dire ciò
che doveva essere detto, anche
se si trattava di soggetti che entravano nel campo politico, sembra non più piacere alla sua
città.
Indipendentemente dal fatto
che i rapporti fra stato e chiesa devono e possono sempre essere messi in discussione, la separazione fra stato e chiesa non
deve nascere da un’azione punitiva da parte dello stato — afferma un grande numero di politici di tutti i partiti. Ma proprio questa sembra essere stata la motivazione per 62 consiglieri, soltanto due più della
maggioranza necessaria.
Un’altra iniziativa, che chiedeva l’abolizione della tassazione
delle persone giuridiche e che
avrebbe costituito un forte colpo per le chiese, non ha trovato molti sostenitori.
(Voce evangelica)
8
8
ecumenismo
3 gennaio 1992
I RAPPORTI tra cattolici E ANGLICANI
Il dialogo continua,
la divisione resta
La Risposta al rapporto della commissione mista evidenzia ancora
una grande distanza tra le confessioni - Quali i prossimi sviluppi?
L'Osservatore Romano del 6 dicembre 1991 ha pubblicato la Risposta cattolica al « Rapporto finale » della prima Commissione
mista internazionale tra la Chiesa cattolico-romana e la Comunione anglicana (ARCIC I), che
ha dialogato per un decennio, dal
1971 al 1981, ed ha concluso il suo
lavoro intenso e fecondo con un
documento pubblicato dieci anni
or sono.
La Risposta vaticana, che ha
avuto una gestazione particolarmente lunga e forse difficile (ci
son voluti dieci anni per redigere
il documento e altrettanti per
avere la risposta! ), è « il frutto di
una stretta collaborazione tra la
Congregazione per la dottrina della fede [l’ex Sant'Uffizio] e il Consiglio pontificio per promuovere
l’unità dei cristiani », e si presenta non solo come « risposta ufficiale » ma anche come risposta
« definitiva », non però nel senso
di conclusiva (il dialogo infatti
continua; è in corso l’ARCIC II)
ma nel senso che precisa alcuni
punti fermi della fede cattolica
che nel documento in questione
non vengono espressi — secondo
gli autori della Risposta — con la
dovuta chiarezza.
Trattandosi di un documento
recentissimo e ufficiale della curia vaticana al massimo livello
teologico ed ecumenieo di autorità, riteniamo utile riferirne i
punti salienti (traducendoli dall’originale inglese), in vista della
comune riflessione sui nostri rapporti eon Roma.
Dopo aver riconosciuto che il
« Rapporto finale » eattolico-anglicano ARCIC I costituisce « una
significativa pietra miliare non
solo nelle relazioni tra la Chiesa
cattolica e la Comunione anglicana ma nell’insieme del movimento ecumenico », si osserva che
secondo la Chiesa cattolica « non
è ancora possibile affermare che
un accordo sostanziale è stato
raggiunto su tutte le questioni
affrontate dalla Commissione ».
Esistono infatti ancora tra cattolici e anglicani « rilevanti differenze relative a questioni essenziali della dottrina cattolica »
[maiuscoletto nostro]. Oltre alle
differenze ci sono anche, nel testo concordato, delle « ambiguità » che, insieme alle prime, costituiscono « un serio ostacolo a
ristabilire la piena comunione
nella fede e nella vita sacramentale » tra cattolici e anglicani.
Ecco le principali precisazioni
contenute nella Risposta.
Unità con Roma e
pienezza cristiana
a. Mentre l’ARCIC I sostiene
che dal punto di vista cattolico,
sulla base di certi testi del Vaticano II (Lumen gentium 8 c Unitatis redinlegratio 13), una chiesa
che non è in comunione con la
sede romana non manca di nulla
tranne che della partecipazione
alla « manifestazione visibile della piena comunione cristiana conservata nella Chiesa cattolico-romana » la Risposta vaticana sostiene che « una chiesa che non è
in comunione con il pontefice romano è carente di qualcosa di più
che della sola manifestazione visibile dell’unità con la Chiesa di
Cristo che sussiste nella Chiesa
cattolico-romana ».
b. A riprova di questa tesi, la
Risposta fa propria la definizione
del Vaticano I secondo cui « il
primato del vescovo di Roma appartiene alla struttura divina della Chiesa; il vescovo di Roma ere
dita il primato da Pietro che l’ha
ricevuto "immediatamente e direttamente” da Cristo ». Questo
primato, secondo la Chiesa cattolica, è « qualcosa voluto positivamente da Dio e derivante dalla
volontà e istituzione di Gesù Cristo ».
Infallibilità
Mentre l’ARCIC I afferma che
secondo gli anglicani « il consenso dei fedeli » è necessario « per
riconoscere che una decisione
dottrinale del papa o di un concilio ecumenico è immune da errore », la Risposta dichiara che
per la Chiesa cattolica « la conoscenza certa di qualunque verità
definita è garantita non dalla ricezione dei fedeli che essa è in
conformità con la Scrittura e la
tradizione ma dalla stessa definizione autorevole da parte di dottori autentici »,
Eucaristia
a. Gli autori della Risposta
ritengono che la fede cattolica
relativa aH’eucaristia non sia
adeguatamente presentata in
ARCIC I perché quest’ultimo
non afferma esplicitamente che
nell’eucaristia « il sacrificio di
Cristo è reso presente con tutti
i suoi effetti, affermando così la
natura propiziatrice del sacrificio eucaristico che può essere
applicato anche ai defunti ».
b. L’ARCIC I afferma che il
pane e il vino « diventano » il
corpo e il sangue di Cristo. Secondo la Risposta però questa ed
altre affermazioni sull’eucaristia
« sono insufficienti a eliminare
tutte le ambiguità relative al modo della presenza reale che è dovuta a un cambiamento sostanziale negli elementi ». Secondo la
dottrina cattolica « le realtà terrene » del pane e del vino « sono
cambiate nelle realtà del suo [di
Cristo] corpo e sangue, anima e
divinità ».
Ordinazione e
ordinazione
delle donne
a. « E’ stato Cristo stesso a istituire il sacramento dell’ordinazione come rito che conferisce il
sacerdozio del nuovo Patto ».
h. Mentre l’ARCIC I sostiene
che l’ordinazione delle donne
« non interferisce sui princìpi su
cui poggia il suo accordo dottrinale » [sull’ordinazione], la Risposta afferma che « la questione del
soggetto dell’ordinazione è legata
alla natura del sacramento dell’Ordine sacro. Differenze su questo punto hanno quindi conseguenze sull’accordo raggiunto sul
ministero e sulla ordinazione ».
La Risposta accenna anche ad
altre questioni (i dogmi mariani,
ad esempio, o i rapporti tra Scrittura, tradizione e magistero) su
cui le posizioni della Commissione cattolico-anglicana (così come
vengono presentate in ARCIC I)
non sono considerate « in armonia con la fede della Chiesa cattolica ». La conclusione è che in ba.se ad ARCIC I non si può parlare di « accordo sostanziale » tra
Chiesa cattolica e Comunione anglicana. Per « accordo sostanziale » s’intende un consenso in
materia di fede e di dottrina
abbastanza ampio e solido da
consentire una vera comunione
ecclesiale.
Che dire di tutto ciò? Diremo
che la Risposta vaticana suscita,
a sua volta, diverse domande.
1. Ecco la prima. Se dopo dieci
anni di dialogo serrato e costruttivo tra cattolici e anglicani permangono, accanto a convergenze
importanti ma parziali, divergenze di fondo su questioni decisive
— primato papale, ruolo di Roma nella cristianità, infallibilità
pontificia, dottrina eucaristica,
ordinazione delle donne — ci si
può chiedere: queste divergenze
sono contingenti e superabili o
non rappresentano piuttosto tm
dato permanente che corrisponde
a diverse letture e interpretazioni
di alcuni aspetti del fatto cristiano? Se quest’ultima ipotesi fosse
quella più vicina alla realtà, ci si
dovrebbe allora chiedere: è davvero indispensabile essere in pieno accordo su queste questioni
per essere realmente uniti in Cristo?
2. Seconda domanda. Roma ha
ribadito alcune sue posizioni di
fede che ritiene siano rimaste
in ombra nel documento ARCIC I.
Ne ha ovviamente nieno diritto
e in questo senso non c’è nulla
da eccepire. Resta però il fatto
che si tratta delle posizioni che
gli altri cristiani non condividono e su cui, quindi, gli animi si
dividono. Ci si può allora chiedere: non sarebbe meglio — se
si vuole davvero progredire nel
cammino ecumenico — approfondire ciò che accomuna i cristiani
(come, in fondo, ha cercato di
fare la Commissione cattolicoanglicana) anziché ribadire ciò
che non solo li distingue ma li
divide? E ancora. Se il Vaticano
risponde così ai documenti di
convergenza ecumenica, è difficile non porsi la domanda seguente: è possibile un « accordo
sostanziale » con Roma che non
consista, alla fine, nella sostanziale accettazione del punto di vista di Roma?
3. Una terza domanda, più generale, è questa: fino a che punto
l’unità nella fede dipende dall’uniformità della dottrina (e della sua
formulazione)? E fino a che punto invece ci può essere un’unità
di fede proprio là dove la sua articolazione verbale è differenziata? Perché si possa dire che la
fede è la stessa, bisogna ehe le
parole in cui essa si esprime siano identiche? Non solo. Ma è davvero indispensabile esplicitare
tutto, anche quello che la
Scrittura (forse volutamente) non
esplicita? Non c’è forse anche
una « ineffabilità », una non dicibilità delle cose dello Spirito
(Romani 8: 26) che le chiese, nel
loro comune discorso di fede, devono rispettare?
La Risposta suscita domande. Il
dialogo continua. Bene. Meglio
un dialogo che dieci monologhi.
Purché però alla fine, dopo un
dialogo durato dieci anni e una
Risposta pervenuta dopo altri dieci, non ci si ritrovi esattamente
al punto di partenza.
Paolo Ricca
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DIALOGO CATTOLICI-ANGLICANI
Nessun “accordo”
sostanziale
Le principali difficoltà riguardano ancora il tema dell’autorità della chiesa
Tra Chiesa cattolica e Chiesa anglicana non esiste ancora un « accordo sostanziale ».
Anzi, rimangono « importanti differenze in merito a questioni che sono fondamentali
per la dottrina cattolica ». E’
quanto afferma lapidariamente la risposta ufficiale del Vaticano sul Rapporto finale
della Commissione mista di
dialogo anglicano-cattolica
« ARCIC I ».
Il documento, firmato dalla Congregazione per la dottrina della fede (guidata dal
card. Joseph Ratzinger) e dal
Pontificio Consiglio per la
promozione dell’unità dei cristiani (presieduto dal card.
Edward Cassidy), è stato reso pubblico giovedì 5 dicembre, in un momento particolarmente difficile per i rapporti ecumenici.
La risposta ufficiale del Vaticano si attendeva da anni:
11 Rapporto finale di ARCIC
I risale al 1981 e, nel frattempo, ha già iniziato a lavorare la Commissione ARCIC II, che si è incontrata per
la prima volta nel 1983 e ha
prodotto due dichiarazioni
comuni (nel 1987 su « Salvezza e Chiesa » e nel 1991 su
« Chiesa come comunione »).
Il Rapporto finale di ARCIC I, su cui il Vaticano ha
ora dato risposta, è frutto di
12 anni di lavoro (dal 1970
al 1982) e di tredici incontri, durante i quali sono stati affrontati i temi dell’eucaristia, dei ministeri, dell’ordinazione e dell’autorità nella
Chiesa.
Ma cosa dicono in proposito i cardinali Ratzinger e
Cassidy? La risposta riconosce che il lavoro della Commissione ARCIC I « costituisce una significativa pietra
miliare non solo nei rapporti tra Chiesa cattolica e Comunione anglicana, ma nel
movimento ecumenico nel
suo complesso ». Subito dopo,
però, la « valutazione generale » rimanda ad una « nota
esplicativa » in cui vengono
descritte in dettaglio tutte le
aree nelle quali « rimangono
differenze o ambiguità talmente serie da impedire il ristabilimento della piena comunione nella fede e nella vita sacramentale ».
Abbiamo compiuto « notevoli progressi », dice il Vaticano, nel campo della dottrina eucaristica (per quanto riguarda la « presenza reale di
Cristo » nel sacrificio, che è
da intendersi in « senso sacramentale »); inoltre, sui ministeri e l’ordinazione viene
riconosciuta la differenza tra
« il sacerdozio comune a tut
ti i battezzati e il sacerdozio
ordinato », e si afferma una
« comprensione sacramentale
della Chiesa ».
Però, aggiunge il documento, nessun « accordo sostanziale » è stato raggiunto sul
tema centrale: l’autorità nella Chiesa. Anzi, « sembra
chiaro che ci sono ancora altre aree che sono essenziali
per la dottrina cattolica, sulle quali la Commissione anglicano-cattolica ha eluso un
accordo completo o anche
soltanto una semplice convergenza ». In particolare, si tratta del « ministero petrino »
nella Chiesa, con il relativo
primato di Roma sulle altre
chiese e il dogma dell’infallibilità papale, e dei dogmi mariani (immacolata concezione e assunzione). Tutto questo « deve essere discusso ”in
tutta franchezza e amicizia” ».
Inoltre, anche sull’eucaristia e i ministeri ordinati restano affermazioni e formulazioni che hanno bisogno di
« una maggiore chiarificazione dal punto di vista cattolico ». A proposito dell’eucaristia, per il Vaticano occorrerebbe affermare che essa
« rende presente il sacrificio
del Calvario » e che il pane e
il vino « diventano » il corpo
e il sangue di Cristo.
Il tema dei ministeri ordinati è poi particolarmente rilevante: su questo punto il
documento della Santa Sede
arriva addirittura a sconfessare il lavoro della Commissione mista ARCIC I.
La disputa è sull’ordinazione delle donne, che il Sinodo
della Chiesa anglicana sta discutendo in questi giorni e
su cui si sta configurando
una larga maggioranza favorevole. Dice il testo della Santa Sede: « Il Rapporto finale
afferma che i membri della
Commissione pensano che ”i
principi sui quali si regge il
loro accordo dottrinale non
sono compromessi da tali ordinazioni (delle donne, ndr);
l’accordo infatti è incentrato
suH’origine e la natura dei
ministeri ordinati, non sulla
questione di chi può o non
può essere ordinato” ». Il
punto di vista cattolico su
questa materia, puntualizza
invece il documento di Ratzinger e Cassidy, è molto diverso: « La questione dei soggetti dell’ordinazione è strettamente legata con la natura
del sacramento del Sacro Ordine. Differenze su questo
punto, quindi, compromettono necessariamente raccordo
raggiunto sul ministero e l’ordinazione ».
(ADI STA)
*
L’Amico dei fanciulli *
r
I
^ intestato a:
^ Á “L’Amico dei fanciulli”
via Porro Lambertenghi, 28
p 20159 Milano
Abbonamento anno 1992
Italia L. 18000
Estero L. 23000
Sostenitore L. 25000
da versare sul c.c. n. 14603203
9
3 gennaio 1992
7alli valdesi
VAL GERMANASCA
Un passo
indietro ?
Un anno fa, proprio in questi
giorni, si assisteva ad una serie
di convocazioni dei consiglieri
della Comunità montana vai Pellice per dare, dopo nove mesi di
trattative fra gruppi politici e
colpi di scena, un esecutivo all'organismo amministrativo della
valle. Non furono giorni facili:
errori di valutazione da parte di
un partito, convocazioni imperfette dal punto di vista formale
e la giunta venne eletta e rieletta
tre volte.
Nello stesso periodo si stavano
valutando le prime conseguenze
ed opportunità derivanti dall’entrata in vigore delle leggi sulle
autonomie locali approvata nel
maggio del 1990, la ormai famosa
legge 142.
Una legge per i cittadini, si era
detto, per la trasparenza, per avvicinare la gente al palazzo; la
stessa legge prevedeva che le Regioni ridisegnassero i confini delle Comunità montane: a tutt’oggi ciò non è ancora stato fatto.
Iniziò allora anche il dibattito
sull'ipotesi di un riordino amministrativo delle aree montane: ci
fu chi lanciò la proposta della
"provincia alpina”. Qualcuno la
sposò al punto da inserire questa
ipotesi nel proprio Statuto comunale, altri più scettici posero la
questione che fosse necessaria
una crescita globale della classe
politica delle valli; tutti concordarono sull'importanza di rilanciare il dibattito sugli spazi di
movimento e dunque di autonomia in montagna.
La vai Pellice fu tra le valli che
sposarono la tesi della provincia
alpina, alcuni degli amministratori ripresero i grandi temi del
futuro delle valli, delle possibilità
di sviluppo, ma alla fine la lunga
crisi che precedette la formazione della nuova giunta ha lasciato ampi strascichi; ogni Consiglio vede esprimere buone dosi
di veleno probabilmente legate a
personalismi di chi è stato penalizzato dalla scelta di una formula di governo piuttosto che un’altra. Eppure dovrebbe essere radicato in tutti il senso della democrazia, dell’alternanza.
Così accade che un Comune
come Bricherasio chieda di uscire da questa Comunità montana
rinnegando scelte ed affinità che
hanno radici lontane e nello stesso tempo ci sono altri Comuni
che tendono a delegare sempre
meno all'ente di valle, compresi
quei servizi messi in piedi in anni di politiche legate al territorio,
ai suoi problemi, alla sua gente.
Ma la popolazione quanto è
stata coinvolta nei processi di
trasformazione degli enti locali,
quanto capirà ora di certe ripicche?
Si chiederà a cosa sono servite
le discussioni sulla provincia alpina o sugli Statuti se non solo
molti problemi sono rimasti insoluti, ma addirittura si rischia di
distruggere quello che è stato
creato.
« Sono deluso e preoccupato »
diceva l'altro giorno in un Consiglio comunale un amministratore che da anni opera in vai Pellice; quanto sono lontani i tempi pionieristici del Consiglio di
valle!
Piervaldo Rostan
Incontro collaboratori
Eco delle Valli
POMARETTO — Venerdì 10 gennaio
alle ore 20,45, presso I locali dell'Eicoio grando, si svolge la riunione dei
coliaboratori de L'Eco delle valli vaidesi per la vai Germanasca.
Tornano gli incendi
Le fiamme sono state contenute prima che raggiungessero l’abitato
- Occorrerà tenere i terreni sgombri da sterpi, rami e foglie secche
Il 24 dicembre, alle tre di notte, gli abitanti di Ferrerò sono
stati svegliati bruscamente dal
sonno dai bagliori di im incendio
che stava raggiimgendo il paese.
Immediatamente si sono portate
sul posto le squadre dei volontari e sono intervenuti i mezzi
dei vigili del fuoco che hanno dato inizio al duro lavoro di spegnimento.
La zona colpita dal fuoco non
era molto vasta, ma era quasi totalmente incolta e per eh più il
forte vento dei giorni precedenti
aveva accumulato negli avvallamenti grandi quantità di rametti e foglie secche. Per fortuna
il buon coordinamento delle
squadre all’opera, e la possibilità
di far arrivare le autobotti a
breve distanza dalle fiamme hanno permesso di fermare l’incendio prima che raggiimgesse l’abitato, dove avrebbe causato gravi
danni data la presenza di legnaie
e depositi di fieno adiacenti alle
abitazioni.
Alle prime luci del mattino le
fiamme erano spente, ma la sorveglianza è continuata per tutta
la giornata, per evitare che il
vento, leggero ma sempre presente, le riaccendesse.
Le cause dell’incendio sono
probabilmente da attribuirsi al
lancio di petardi, molto in uso
in questa parte dell’anno, anche
se la più elementare prudenza
dovrebbe impedire questi diver
timenti pericolosi oltre che scemi. Un’ordinanza del sindaco ha
infatti vietato il lancio di razzi,
mortaretti e fuochi d’artificio su
tutto il territorio del comune di
Ferrerò.
Il sindaco ha anche dichiarato
che si dovrà garantire la sicurezza delle borgate, invitando i proprietari dei terreni circostanti a
tenerli sgombri da sterpi, alberi
secchi e foglie cadute. In attesa
di questo, e augurandosi che la
neve cada al momento giusto,
gli abitanti della borgata di Ferrerò ringraziano di cuore i volontari e i vigili per il loro intervento efficace quanto provvidenziale.
L. V.
LUSERNA SAN GIOVANNI
L’acqua all’ACEA
Il Consiglio comunale caratterizzato dalla necessità del rimpasto e
di una decisione sulla gestione dell’acquedotto; ecco come è andata
Riunito la sera del 30 dicembre, il Consiglio comunale di Luserna S. Giovanni doveva dire
alcune paròle chiare su questioni che erano emerse negli ultimi mesi; le dimissioni di Carla
Maurino da vicesindaco e assessore ai Servizi sociali, le dimissioni di Duilio Canale da assessore all’Istruzione, le dimissioni
dalla giunta della Comunità
montana vai Fellice di Livio Gobello dovevano di necessità portare ad un rimpasto.
In più, e forse più « spinosa »,
vi era la questione della gestione dell’acquedotto comunale,
una rete su cui nel breve periodo saranno necessari notevoli
lavori di riammodernamento e
sul cui futuro giocheranno anche le determinazioni della legge « Galli » sul riordino idrico,
la cui approvazione probabilmente verrà affidata al nuovo
Parlamento.
Per altro, a sottolineare l’urgenza di arrivare ad una soluzione per l’acquedotto, lo stesso sindaco Longo aveva rimesso il suo mandato al proprio
partito, disposto a dimettersi se
non fosse stata trovata entro la
fine dell’anno una soluzione. E
soluzione c’è stata, sia per l’acqua che per la giunta.
Nell’esecutivo entrano Gobello
(Edilizia privata e Istruzione) e
Bruera, già consiliere delegato
per Luserna Alta, che seguirà lo
sport ed i servizi sociali; Marco
Merlo sarà il vicesindaco, anche
se il capogruppo ha sollevato alcune questioni di eleggibilità, essendo la moglie del nuovo vice
dipendente comunale. Canale sarà invece il nuovo rappresentante del Comune in seno al Consiglio della Comunità montana,
così come il verde Gardiol prenderà il posto di Sandrone (Lega Nord) quale rappresentante
della minoranza lusernese all’interno dell’assemblea del consorzio ACE A.
E proprio all’ACEA è stata affidata, al momento per un anno,
la gestione dell’acquedotto comunale. Come si diceva, molti
tratti della rete necessitano da
tempo di interventi radicali,
tant’è che nelle stagioni di siccità in diverse zone del Comune i cittadini hanno lamentato
carenza d’acqua.
Nelle settimane scorse il Consiglio comunale aveva deciso anche alcune modalità di intervento economico per risolvere la situazione, ma non si era individuato chi avrebbe dovuto fare
gli interventi. Tre, sostanzial
mente, le soluzioni possibili per
la gestione dell’acquedotto: una
ditta privata locale, una ditta
privata di grandi dimensioni
(Italgas), il consorzio pubblico
(ACEA).
Il timore di molti era quello
di perdere, affidandosi a ditte di
grandi dimensioni, ogni controllo sul proprio acquedotto, ma
la soluzione del consorzio pubblico, di cui il Comune stesso
fa parte, sembra contenere questo tipo di assicurazione; del resto l’accordo prevede per ora un
contratto provvisorio limitato al
1992, dopo di che verrà effettuata una valutazione dell’esistente
e degli interventi da fare. Inutile nascondere però che la scelta ACEA sull’acqua potabile oggi può lasciar intuire una analoga scelta domani anche per la
soluzione della depurazione di
valle, un problema la cui soluzione significherà un impegno di
molti miliardi. Il rafforzamento
del Consorzio pinerolese per
l’energia e l’ambiente in vai Fellice si inquadra in quel potenziamento di una azienda che
aspira a diventare il riferimento unico nel Pinerolese per i servizi legati all’acqua, al gas ed
ai rifiuti.
P.V.R.
UN SERVIZIO CHE VIENE A MANCARE
Chiude il negozio
Non era solo un esercizio commerciale ma anche luogo cJi socialità
CHIOTTI — Col 21 dicembre
ha terminato l’attività il negozio di commestibili di Chiotti,
col pensionamento di Laura Bernard Massel che lo ha gestito
negli ultimi vent’anni.
Ne parliamo con lei e col marito Amedeo, davanti alle pagine ingiallite del primo registro
della famiglia Massel quando alla fine del secolo scorso aveva
rilevato l’esercizio avviato alcuni anni prima da una famiglia
Grill e già passato in seguito
nelle mani di una famiglia Rostan.
Il registro contiene l’annotazione delle spese fatte dai suoi
clienti — una pagina per ogni
famiglia — che pagavano solo
periodicamente secondo le proprie disponibilità. « Erano poveri quelli che compravano e an
che quelli che vendevano », dice
Amedeo con un sorriso malinconico. Per quanto l’attività sia
stata, soprattutto in seguito,
composita: panetteria, commestibili, generi di monopolio e posta (in un tempo in cui questo
servizio era dato in gerenza ai
privati), i generi acquistati sono poco vari: sale, zucchero, caffè, pasta, riso, petrolio, sigari,
pane (di 1*, bianco, o di 2', nero). Alcuni clienti danno ogni
tanto un acconto sui debiti ma
non riescono quasi mai a pagare a saldo. Altri pagano in natura, con fascine che saranno
utilizzate nel forno per la cottura del pane.
In passato i negozi ai Chiotti
erano due, tre le osterie; per
poco tempo, negli anni ’50, funzionò un terzo negozio imposta
to come cooperativa agricola.
Oggi tutte queste attività sono
state soffocate in parte dallo spopolamento, in parte dalle difficoltà sempre maggiori che incontrano i piccoli esercizi. Nessuno ha voluto prendere il posto di Laura e Amedeo, i quali
godranno di un meritato riposo;
ma la popolazione si troverà privata di un servizio che aveva
ancora una sua funzione non solo economica, ma anche sociale.
Nel negozio ci si incontrava, si
parlava, si comunicava. Adesso
questa funzione sarà svolta ai
Chiotti solo più daH’uflfìcio postale e dall’ambulatorio medico.
Fer i valdesi pensiamo che la
chiesa dovrà essere sempre di
più un altro dei luoghi in cui
ci si parla»
Qaudio Tron
Trombetto (DC)
eletto sindaco
PINEROLO — E’ Livio Trombotto (DC), direttore provinciale del patronato EPACA della
Coldiretti, il nuovo sindaco della città. Lo hanno eletto, sabato
21 dicembre, i 21 consiglieri del
tripartito che lo sostiene (PSI,
DC, PSDI). « E’ un tripartito — ha detto il neo-sindaco — ma potrà diventare presto
un pentapartito ». La coalizione
pensa infatti di allargarsi anche
ai repubblicani e alla lista per
l’alternativa. « Con l’alternativa — ha affermato il capogruppo DC Giorgio Merlo — abbiamo
radici comuni », pensando ovviamente alla comune matrice cattolica.
Per il momento, nelle intenzioni di democristiani e socialisti,
dovrebbero rimanere fuori dalla maggioranza i liberali, responsabili della costituzione del "polo laico" per condurre le trattative col PSI e con la DC.
Il pentapartito che li inglobi
va stretto anche alla lista per
l’alternativa che « chiede trattative pubbliche e che si cambi
metodo », come ha detto Tonino
Chiriotti.
Permangono dunque difficoltà
di numeri per la nuova giunta
(4 DC, 4 socialisti tra cui il vicesindaco, un socialdemocratico)
che è più che mai alla mercé
dei franchi tiratori.
Inoltre due candidati non eletti, Carmine Manganiello (MSI) e
Edoardo Piammotto (PLI), hanno già depositato ricorsi al TAR
contro le elezioni per presunte
nuove irregolarità della Commissione elettorale mandamentale
nell’ammissione delle liste (doppia o tripla sottoscrizione delle
liste di Piemont, l’altemativa e
pensionati).
Il MAO e
le minoranze
FRASSINO — Il Movimento
autonomista occitano ha recentemente preso posizione rispetto
all’approvazione alla Camera della legge a tutela delle minoranze
linguistiche, ora al vaglio del
Senato. « Ci stupiamo dell’opposizione presentata a tale provvedimento da parte di molti intellettuali e di gran parte della
stampa italiana. In tali prese di
posizione emerge un’igporanza
del problema, una concezione della difesa dello stato che credevamo superata ed incapace di pensare ad uno stato delle autonomie ».
Il Collegio e
la Jugoslavia
TORRE PELLICE — Un momento di riflessione sulla guerra
che insanguina la Jugoslavia ha
coinvolto pochi giorni fa i ragazzi delle ultime classi liceali del
Collegio valdese.
Giorgio Rochat, docente di storia contemporanea all’Università
di Torino, ha parlato ai giovani
individuando i motivi che stanno alla base del conflitto.
Sono state descritte le differenze economiche, religiose, linguistiche, ideologiche che fanno
sì che i popoli della regione balcanica non solo non abbiano mai
nutrito sentimenti unitari, ma
abbiano coltivato nel tempo motivi di profonda avversione reciproca. Rochat si è soffermato
in particolare sulla II guerra
mondiale, durante la quale la
violenza ha raggiunto livelli estremi e la crudeltà degli ustascia croati ha eclissato quella
delle stesse SS.
L’associazione degli « amici »
ha intanto posto in distribuzione il bollettino natalizio con le
informazioni sull’attività del Collegio.
10
10 valli valdesi
3 gennaio 1992'
VILLAR PEROSA
TORRE RELUCE
Crisi SKF: si licenzia? Servizi aii’USSL 43
La crisi è stata discussa dal Consiglio comunale che ha poi dichia- Il Consiglio comunale aderisce alla proposta
rato il proprio appoggio alle iniziative in difesa dell’occupazione di riparto delle spese - Il voto consultivo
Le prospettive della crisi della SKF e le ricadute che esse
potranno avere sulla vai Chisone sono state al centro di una
drammatica riunione del Consiglio comunale di Villar Perosa,
la scorsa settimana. Rappresentanti sindacali e delle maestranze in cassa integrazione hanno
illustrato la situazione al Consiglio.
Dal 14 gennaio 567 dipendenti
del gruppo SKF Italia saranno
ritenuti ’’strutturalmente eccedenti”; di essi 274 appartengono allo stabilimento di Villar Perosa. L’azienda non prevede forme di ’’ammortizzazione sociale” al di là di 50 casi di prepensionamento, di cui soltanto 10 a
Villar. « Il caso SKF — hanno
concluso i rappresentanti dei lavoratori — per l’atteggiamento
del gruppo dirigente, per l’assenza di trasparenza delle linee
aziendali, per l’assenza di informazione agli enti locali ed ai sindacati, per l'incertezza in cui è
stata condotta la ristrutturazione
appare più grave e preoccupante,
rispetto alla pur generale crisi
del comparto metalmeccanico ».
Al termine di un ampio dibattito il Consiglio comunale ha approvato all’unanimità una mozione che è stata inviata a tutti gli
organismi amministrativi locali,
provinciali e regionali, ai parlamentari piemontesi, al prefetto,
ai ministeri competenti e alla direzione dell’azienda.
In essa il Consiglio rileva la
drammaticità delle conseguenze
della scelta aziendale per tutto
il Pinerolese e per Villar in particolare, che nel giro di un anno perderebbe circa il 25% delle
maestranze del suo stabilimento;
l’amministrazione denuncia inoltre l’assenza di progetti affidabili da parte dell’azienda, nonché
la scarsa attenzione da parte degli organismi istituzionali e della classe politica e di governo
per i problemi della zona e chiede agli altri consigli comimali
analoghe prese di posizione prima che la SKF attui, nelle prime settimane di gennaio, la sua
decisione.
Con il documento approvato,
il Consiglio comunale dichiara
infine « sin d’ora il proprio pieno appoggio alle iniziative che
il sindacato e i lavoratori assumeranno a difesa dell’occupazione; si impegna a norma dell’art. n. 4, comma II, dello Statuto del Comune, a presenziare.
Oggi
e domani
Cinema
TORRE PELLICE — Il cinema Trento
ha In programma, giovedì 2 e venerdì
3 gennaio, ore 21,15, « Non dirmelo...
non ci credo »; sabato 4 e domenica
5 gennaio (ore 20 e 22,10), • Scelta
d’amore «; lunedì 6 (ore 16, 18, 20 e
22,10), « Oscar, un fidanzato per due
figlie ».
Spettacoli
TORRE PELLiCE — Domenica 5 gennaio, alle ore 16,30, presso il cinema
Trento si svolgerà uno spettacolo di
pupazzi animati della compagnia « Alfa Teatro » di Torino.
Mostre
PEROSA ARGENTINA — Resterà
aperta al pubblico tino a domenica 5
gennaio, presso il villino d'ingresso del
parco della Comunità montana, la mostra organizzata sotto l’egida deH'assessorato alla Cultura della Comunità montana su aspetti salienti della
storia e dell'economia di tutti i Comuni delle valli Chisone e Germanasca.
in forma ufficiale e con le insegne del Comune, alle trattative
che verranno condotte tra l'azienda e le organizzazioni dei lavoratori; e segnala al Prefetto della Provincia di Torino che
le scelte della SKF Industrie
stanno creando tensioni preoccupanti tra la popolazione; chiede pertanto che il signor Prefetto voglia ricevere con urgenza
una sua delegazione ».
Crisi alla SKF a parte, il Consiglio è tornato ancora una volta sul proprio Statuto comunale
dopo che il Coreco aveva bocciato alcuni punti ritenuti qualificanti dall’amministrazione. Ri
spetto all’estensione del voto nei
referendum consultivi ai sedicenni è stato deciso di ritornare al
livello dei soli elettori: « A malincuore — commenta il sindaco
Storéró — perché eravamo tutti convinti della bontà della scelta; speriamo di poter riprendere in futuro la materia, ma per
il momento avevamo urgenza di
avere lo Statuto approvato ». Sull’elezione del difensore civico il
Consiglio ha invece deciso di confermare la propria posizione, e
cioè di passare attraverso le associazioni operanti sul territorio
comunale.
Piervaldo Rostan
Da quando la Comunità montana vai Pellice ha avuto la sua
nuova giunta è iniziata una attenta verifica sui servizi socioassistènziali; da un lato si ribadisce la validità degli interventi
a favore delle persone in difficoltà, dall’altro va comunque tenuta presente, ove possibile, la
necessità, da parte degli utenti
o delle famiglie, di concorrere
alle spese.
Razionalizzazione come scelta
dunque, senza che ciò comporti
rinuncia a dei bisogni reali, il
venir meno di uno « stato sociale ».
Le polemiche in Comunità
montana non sono mancate su
questo tema; alla fine la maggioranza dei Comuni ha deciso
di confermare per il 1992 la delega all’ente di valle per le funzioni socio-assistenziali secondo
una delibera-tipo proposta dalla
stessa Comunità montana.
Alcuni Consigli comunali si sono riuniti a fine anno quasi
esclusivamente per deliberare su
questa materia; è il caso di Angrogna e Torre Pellice.
La delibera adottata afferma
l’esigenza del coinvolgimento dei
singoli Comuni nella ricerca, entro le prime settimane del ’92,
di un criterio solidaristico di
VAL PELLICE: OTTO ANNI DI AMNESTY - 2
Nasce il Gruppo Italia 90
Riprendiamo qui a narrare la
storia del Gruppo della vai Pellice di Amnesty International
(cfr. n. 48/’91).
Durante il 1986 abbiamo tenuto, per la prima volta, una corrispondenza con un ex prigioniero politico. Kabamba era il
suo nome. Era africano e professore universitario. Viveva in
esilio in Zambia, in un campo
profughi deirONU, dopo aver
sofferto il carcere nel suo paese, lo Zaire, a causa della sua
ferma opposizione al governo.
In un primo tempo la moglie ed
i suoi undici figli non avevano potuto raggiungerlo in esilio. Per questo motivo egli ci
aveva scritto chiedendoci un aiuto finanziario.
Nel campo profughi egli trascorse giorni molto angosciosi,
sia a causa dei raid aerei dei
bombardieri del Sud Africa, sia
a causa della snervante attesa
d’una destinazione definitiva.
La corrispondenza con il prof.
Kabamba si rivelò molto interessante ed utile come esperienza per il nostro futuro lavoro
di assistenza ai prigionieri. Le
nostre ultime lettere e i nostri
ultimi invii di denaro lo raggiunsero in Australia, sua destinazione finale.
Questo episodio ci fece capire
molte cose e soprattutto la necessità assoluta di raccogliere
fondi per venire incontro alle
vittime delle violazioni dei diritti umani, come il prof. Kabamba. Ed allora ci venne un’idea
straordinaria: perché non organizzare un « mercatino delle pulci »? Da questa prima idea ebbe origine il « Trattenimento pomeridiano per Amnesty » con
tè, dolci, tavolino per la raccolta delle firme e, naturalmente,
il mercatino degli oggetti usati.
La prima edizione di questi
« trattenimenti » ebbe luogo alla
Foresteria valdese di Torre Pellice nel 1986, poi seguirono altre nove edizioni. Nel mese di
gennaio ci sarà la decima. Il
« mercatino delle pulci » ha anche lo scopo di far conoscere
Amnesty e la sua attività in favore del rispetto dei diritti uma
ni. Per questo motivo l’abbiamo
organizzato anche a Rorà, Bobbio e Villar Pellice, Luserna S.
Giovanni. Nelle edizioni estive
sono stati contattati pure i villeggianti. Questa attività ha impegnato molto i soci, ma anche
i simpatizzanti. Abbiamo avuto
tanto aiuto e manifestazioni di
simpatia e solidarietà.
Se rileggiamo ora gli ordini
del giorno, inviati regolarmerite
ai soci per convocarli alle riunioni quindicinali o se rileggiamo i verbali, che contengono
tutta la storia del nostro Gruppo, ci rendiamo conto con stupore della incredibile mole di
lavoro da noi compiuto quando
eravamo ancora Gruppo « in formazione »: soprattutto lettere,
appelli, petizioni scritte in varie
lingue (francese, inglese, spagnolo) e spedite in paesi sparsi in
tutto il mondo!
Al principio delT87 ecco una
nuova originale iniziativa: l’esposizione, nella valle, di candele
accese sui davanzali delle finestre, la sera del 31 gennaio « in
segno di solidarietà con i prigionieri di opinione che soffrono in fondo ad un carcere o
nelle camere della tortura ». Abbiamo ripetuto questa manifestazione negli anni seguenti, ma
nell’88 è stata dedicata, in particolare, ad Alì Riza Duman, il
nostro prigioniero in adozione.
Bisogna, a questo punto, ricordare che verso la fine dell 8 <
è successo un avvenimento molto importante per il Gruppo della vai Pellice; la promozione da
Gruppo in formazione a Gruppo Italia 90, su delibera del Consiglio nazionale della Sezione
italiana di A. I. svoltosi a Roma il 10-11 ottobre. Di conseguenza al Gruppo fu assegnato
alla fine dell’87 il caso di un
prigioniero per motivi di c^inione e precisamente il caso dei
giovane turco Alì Riza Duman.
Egli fu arrestato nelT86 insieme
alla sua ragazza, mentre erano
in procinto di distribuire dei
manifestini per la festa dei lavoratori, il 1° maggio, che in
Turchia è illegale. Fu condannato da un tribunale di Izmir a
8 anni e 10 mesi di carcere. Mol
tissimi furono gli appelli da noi
rivolti alle autorità turche per
chiedere la sua liberazione incondizionata. Fu infine rilasciato il 18 novembre 1989. Sono
passati due anni, ma noi ci occupiamo ancora di lui. In seguito alle torture subite durante la prigionia, ha riportato un
grave danno ad un orecchio, e
dovrà essere presto operato.
Siamo in corrispondenza con lui
e lo stiamo aiutando ad affrontare le spese dell’operazione.
Dopo il caso di questo studente turco, ci è stato affidato in
adozione un altro caso, quello
di Valéry Avdeyev, un sovietico
detenuto in un ospedale psichiatrico, ma dopo poco tempo il
Segretariato internazionale di
Londra ci ha informati che era
stato liberato.
Ormai da un anno lavoriamo
per il rilascio di John E Mai
Huu Nghi (Chuong), internato
in un campo di lavoro in Vietnam; si tratta di un monaco cattolico vietnamita, accusato di
propaganda ostile al regime. E’
stato arrestato nell’87 e condannato a 18 anni di internamento.
Abbiamo scritto tanti e tanti appelli in suo favore, senza però
ottenere ancora risposta.
Non ci dobbiamo tuttavia arrendere, ma avere fiducia nell’azione di Amnesty continuando
senza sosta a lavorare per lui
e per il rispetto dei diritti umani nel mondo.
Anna IVIarullo Reedtz
riparto delle spese al fine di evitare che qualche amministrazione comunale si trovi nell’impossibilità di sostenere le quote di competenza, arrivando così alla necessità di ridimensionamento di interventi pur ritenuti essenziali sul relativo territorio. L’USSL, da parte sua, si
è impegnata a non superare il
limite di 40.000 lire per ciascun
abitante, per il 1992. Questa deliberazione è stata assunta, a
Torre Pellice, all’unanimità.
La stessa unanimità è stata
raggiunta su una integrazione
dello Statuto comunale riguardo
ai referendum.
Com’è noto il Coreco aveva
bocciato, contrariamente a quanto accaduto in molte altre località d’Italia, l’estensione del voto consultivo ai sedicenni, cioè
a quanti oggi hanno il diritto
al lavoro, come aveva voluto
l’amministrazione nel mese di
giugno. La formula inserita ora,
che prevede che a chiedere il
referendum possa essere il « 20%
dei cittadini residenti », al di là
della percentuale, è quella contenuta nella legge 142: il dubbio
su chi siano i cittadini (tutti o
solo gli elettori, come interpreta il Coreco di Pinerolo) secondo noi, resta.
O. L.
LUSERNA
SAN GIOVANNI
In difesa della
scuola media
In merito alla proposta di accorpamento delle scuole medie
statali di Luserna S. Giovanni e
Torre Pellice, Tamministrazione
comunale di Luserna ha recentemente preso posizione in modo
negativo. « Luserna — ricordano
gli amministratori — secondo
proiezioni, potrebbe veder salire
la propria popolazione a 10.000
abitanti e comunque, già oggi,
per molti servizi primari, gravitano su Luserna oltre 12 mila
persone. Il comune risulta essere
il più industrializzato del Pinerolese, dopo Pinerolo, con i suoi
20 complessi industriali, dal settore tessile al dolciario e alla
meccanica di precisione ».
La giunta di Luserna fa inoltre
sue le considerazioni espresse dal
personale scolastico ed in particolare il fatto che « l’accorpamento delle due scuole medie citate provocherebbe solamente un
ampliamento del bacino d’utenza
(sette comuni di tre vallate diverse) con gravi disservizi e disar
gl per gli alunni e le famiglie, soprattutto dal punto di vista dei
trasporti pubblici presenti oggi
esclusivamente sul territorio di
questo comune ».
^J)eiUe
Assiri! razioni
ARNALDO PROCHET
AGENTE GENERALE DI TORRE PELLICE
Via Repubblica 14 - tei. 0121/91820
11
3 gennaio 1992
lettere
IL FUTURO
DELLA FERROVIA
Mi risulta che all'inizio di febbraio
vi sarà un dibattito fra Comunità montana e FFSS sul futuro della linea Torino-Torre Pellice e in particolare sulla sua progettata cessione alla SATT'I.
Sarà ammesso II pubblico. Vorrei sottolineare alcuni gravi aspetti negativi
del progetto, perché al dibattito il pubblico assista e intervenga.
Viene dato per scontato che i convogli da Torre Pellice-Pinerolo non arriveranno più a Torino Porta Nuova
ma dal Lingotto proseguiranno per Porta Susa. Questo in armonia col progetto di una futura valorizzazione del
Lingotto. Quando la ristrutturazione dei
trasporti ferroviari e di quelli urbani
sarà avvenuta in vista della suddetta
trasformazione, potrà darsi che le cose funzionino. Fino allora (cioè probabilmente per qualche anno), lo sbarco al Lingotto delle centinaia di passeggeri che ora fanno capo a Porta
Nuova sarà un cataclisma che taglierà fuori Torre Pellice e Pinerolo da
due serie di comunicazioni.
Anzitutto dal nodo di trasporti urbani che da Porta Nuova s'irradia per
Torino, fino al punto d'arrivo in città
di gran parte dei passeggeri. Per la
massima parte di loro, il tempo di arrivo a destinazione si allungherà di
molto, e potrà persino raddoppiare.
Poi dal passaggio su altre linee ferroviarie per viaggiare fuori Torino: occorreranno varie modifiche agli orari
perché si possano prendere tutta una
serie di treni su cui ora si sale a
Porta Nuova (pensiamo ad esempio ai
treni notturni per Roma). Comunque
bisognerà, se si arriva con biglietto
SATTI, andare a procurarsi altri biglietti di viaggio. Poi resteranno ugualmente, mi pare, iinee non raggiungibili se non arrivando a Porta Nuova col
trasporto urbano.
C’è quindi da temere che un bacino d’utenza importante, forse il più
importante dell'area che circonda Torino, cioè Pinerolo con le due valli
che vi affluiscono e la zona di pianura fino ad Airasca, venga assurdamente tagliato fuori dal centro regionale.
Con quale coerenza rispetto alla funzione delle FFSS?
Infatti probabilmente molti pinerolesi lasceranno la ferrovia e raggiungeranno Torino coi pullman SAPAV.
Giungeranno così a Porta Nuova, più
lentamente che prima col treno, ma
molto più presto che col sistema
BATTI. Fino al punto di far viaggiare
semivuoti i convogli BATTI? E' cosa
che si vedrà.
Affluisca dunque il pubblico al dibattito con le Ferrovie dello Stato,
contesti il progetto SATTI, il quale già
di per sé rappresenta il venir meno
a precedenti formali promesse. E in
presenza di probabili nuove promesse
per il futuro, tenga presente che purtroppo è quasi norma, ormai, per lo
stato italiano e per coloro che lo rappresentano, considerare i cittadini come una massa di utili idioti, ai quali
si può promettere tutto, sapendo che
nulla verrà mantenuto.
Augusto Comba, Torre Pellice
NORMA
GRAMMATICALE
Noto che la questione ■■ pastore-pastora » continua a far scrivere i lettori. La lettera apparsa sul numero del
13 dicembre scorso parla di « neologismo femminista » e di donne consacrate al pastorato che si sentono • offese dalla grammatica italiana ».
Premesso che non sono né femminista né maschilista, e tralasciando gli
aspetti teologici della questione, invito i lettori interessati ad aprire un
qualsiasi dizionario della lingua italiana (io ho sótto gli occhi il « piccolo
Palazzi » che è un dizionario scolastico, o almeno lo era). Vi si legge:
« pastore, sostantivo maschile (femminile: pastora): chi mena ai pascolo
greggi/sacerdote (sic!) protestante... ».
Di conseguenza, non si tratta di un
ÌV
Jl wWVI' delle valli valdesi
settimanale delle chiese valdesi e metodiste
Redattori: Alberto Corsani, Luciano Deodato (vicedirettore), Giorgio Gardioi (direttore), Carmelina Maurizio, Jean-Jacques Peyronel, Piervaldo Rostan.
Comitato editoriale: Paolo T. Angeleri, Mirella Argentieri Bein, Claudio
Bo, Alberto Bragaglia, Franco Carri, Rosanna Ciappa Nitti, Piera Egidi,
Adriano Longo, Emmanuele Paschetto, Roberto Peyrot, Sergio Ribet,
Mireila Scorsonelli.
Collaboratori: Daniela Actis (segreteria), Mitzi Menusan (amministrazione), Stelio Armand-Hugon, Mariella Taglierò (revisione editoriale).
Stampa: Coop. Tipografica Subalpina • via Arnaud, 23 - 10066 Torre
Pellice - telefono 0121/01334
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REDAZIONE e AMMINISTRAZIONE: via Pio V, 15 - 10125 Torino - telefono
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Registro nazionale della stampa: n. 00961 voi. 10 foglio 481
EDITORE: A.I.P. ■ via Pio V, 15 - 10125 Torino - c.c.p. 20936100
Consiglio di amministrazione: Roberto Peyrot (presidente), Silvio ReveI
(vicepresidente). Paolo Gay, Marco Malan, Franco Rivoira (membri).
ABBONAMENTI 1992
Italia Estero
Ordinario annuale L. 52.000 Ordinario annuale L. 85.000
Semestrale L. 27.000 Ordinario (via aerea) L. 150.000
Costo reale L. 75.000 Sostenitore L. 170.000
Sostenitore annuale L. 90.000 Semestrale L. 45.000
Da versare sul c.C4). n. 20936100 Intestato a A.I.P. - via Pio V. 15
10125 Torino
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Finanziari, legali, sentenze: L. 800 ogni parola
Prezzi non comprensivi dell'IVA
FONDO DI SOLIDARIETÀ’: c.c.p. n. 11234101 intestato a La Luce, vie
Pio V, 15 - 10125 Torino
Amministrazione dal fondo: Maria Luisa Barberis, Renato CoTsson, Roberto Peyrot
nome » ridicolo » ma di una semplice,
seppur tardiva, applicazione di una
norma grammaticale.
Roberto Peyrot, Torre Pellice
DUBBI SULLO
SCOUTISMO
Apprendiamo da questo giornale che
è nato uno scoutismo protestante anche in italia. Per vero, nel nostro paese, esiste uno scoutismo interconfessionale, cioè il Corpo nazionale giovani esploratori italiani (GE) dove possono affluire i ragazzi cattolici, protestanti ed ebrei.
Ora, sorgendo uno scoutismo protestante, sarebbe importantissimo chiarire una questione da non sottovalutare,
dato l'indirizzo squisitamente pedagogico e spirituale che dovrebbero avere tutti i movimenti scoutistici nel
mondo, cioè ohe il nostro scoutismo
(quello evangelico) non venisse inquinato dal dilagante permissivismo, ciò
che non risponderebbe in nessun modo agli alti principi del movimento
scout.
Ecco perché sento il dovere di mettere in rilievo queste obiezioni del
tutto consone alle idee del fondatore
degli esploratori, Baden Powell, protestante inglese, in quanto l'inquinamento generale del permissivismo (che va
sotto il nome di iibertà) è un disgregatore della morale cristiana e sta penetrando un po' ovunque. E non possiamo conciliare l’austerità scoutistica
con il fumo, con la frequenza di certi
locali mondani, antipedagogici ed assordanti, volti a fare dei giovani degli
autentici psicopatici! Ed io sono restato sconcertato quando, nello scorso inverno, osservai dei gruppi scout cattolici deH’AGESCi che, nella stazione
di Bologna, fumavano disinvoltamente
anche se minorenni e che, aile mie
richieste rimproveranti, ebbero perfino
Fondo dì
solidarietà
il coraggio di asserire che frequentavano iocali per nulla in armonia con
gli alti ideali scoutistici! In tal modo
compresi che in questa società la libertà si è trasformata in sfacciata licenza, giungendo ad infettare anche i
movimenti che dovrebbero prendersi
ad esempio!
Per queste ragioni è sperabile che
il nascente scoutismo protestante non
ci fornisca esempi riprovevoli, altrimenti le buone speranze in una società migliore cadrebbero in frantumi!
E questo anche senza la pretesa di
essere una élite di perfetti, ma nella
speranza di vivere in una società al
servizio dell’Eterno e nella solidarietà cristiana sorretta dalla fede e dall’amore, doti che devono farci seriamente meditare la Parola biblica che
leggiamo nei Proverbi: « L'Eterno sarà
la tua sicurezza e ti preserverà da
ogni insidia • (Prov. 3: 26).
RINGRAZIAIMENTO
« lo son persuaso che né morte,
né vita, potranno separarci dalVamore di Dio, che è in Cristo
Gesù, nostro Signore »
(Romani 8: 38)
La moglie, la figlia ed i familiari
tutti del compianto
Edvy Buffa
neirimpossibilità di farlo singolarmente ringraziano tutte le gentili persone
che con fiori, scritti, parole di conforto, presenza e offerte, hanno preso
parte al loro grande dolore.
Un ringraziamento particolare a Federica, Roberto e famiglia. Guido e Latrina, Edvy, al dott. Silvio Boer, IVIaura. Nini e Piero, al pastore sig. BeUion,
alla CRI di Torre Pellice, ai vicini di
Elio Giacomelli, Livorno 5 Giovanni, 31 dicembre 1991.
Pubblichiamo qui appresso
l’elenco dei doni pervenutici nei
mesi di ottobre e novembre. Desideriamo scusarci con i lettori
se non siamo maggiormente tempestivi, ma gli accrediti da parte delle poste hanno tempi piuttosto lunghi ed irregolari.
Con l'occasione ricordiamo le
attuali due destinazioni del nostro Fondo. Anzitutto quella a
favore dell’azione del Consiglio
delle chiese del Medio Oriente
per i profughi di guerra del Golfo: come abbiamo già documentato, si tratta di una situazione
ben lungi dal concludersi, e per
di più aggravata da malattie ed
epidemie. Al momento abbiamo
in cassa oltre 7 milioni: contiamo di arrivare al più presto
possibile — con i vostri generosi doni — alla cifra di 10 milioni che provvederemo a reinoltrare.
La seconda destinazione è la
Casa Eben-Ezer per malati di
Aids. Al momento abbiamo superato il milione e mezzo di lire.
Attendiamo di raggiungere la cifra di due milioni come piccolo
contributo a sostegno dell’attività di questi fratelli e sorelle
evangelici che stanno compiendo un non facile lavoro.
Inviate le vostre offerte al
conto corr. postale n. 11234101
intestato a La Luce-Fondo di solidarietà, via Pio V 15, 10125
Torino.
Offerte pervenute in ottobre-novembre.
L. 100.000: Odette Balmas; Delia
Fontana; C. A. Vetta; Giuseppe Di
Gesù; Mireiia Argentieri Bein.
L. 50.000: Valdo Giaiero; Laura Avondetto.
L. 42.000: Scuola domenicale Torre
Pellice, gruppo cl. V.
L. 40.000: Pino Sacchelli (2 vers.).
Totale L. 682.000.
Totale precedente L. 8.125.039.
In cassa L. 8.807.039.
« O Signore, tu sei stato per
noi un rifugio d’età in età »
(Salmo 90: 1)
E’ mancato all’affetto dei suoi cari
Enrico Fenouil
di 88 anni
Lo ricordano con affetto e rimpianto
la moglie Enrichptta Pons, i figli Loris
con Christian e Gabriele, e Ermes con
la moglie Delia.
Torino, 11 dicembre 1991.
RINGRAZIAMENTO
I parenti, gli amici ed i colleghi
del compianto prof.
Gabriele Geymonat
riconoscenti iper la dimostrazione di
stima e di affetto, ringraziano tutti
quanti hanno voluto partecipare al
loro dolore.
Torre Pellice, 17 dicembre 1991.
RINGRAZIAMENTO
Papà, mamma, sorella e familiari
tutti del caro
Walter GardioI
di anni 17
profondamente commossi per la grande dimostrazione di stima ed affetto
tributata al loro caro, ringraziano sentitamente tutti coloro che con fiori,
scritti e presenza hanno preso parte
al loro grande dolore.
Un grazie particolare a tutti i suoi
amici, agli abitanti di via Cardonata,
al signor Collino, alla Mejcar e al
pastore Erika Tomassone.
Miradolo, 17 dicembre 1991.
RINGRAZIAMENTO
« Nel giorno in cui temerò,
io confiderò in te »
(Salmo 56: 3)
I familiari di
Carlo Armand-Hugon
esprimono la loro gratitudine a quanti
si sono prodigati durante la malattia
del loro congiunto ed in particolare al
personale medico e paramedico dell’Ospedale valdese di Torre Pellice, al
medico curante Ornella Michelin-Salomon, alla CRI di Torre Pellice, alle
famiglie Simond e Bertot. Ringraziano,
altresì, quanti hanno partecipato al loro lutto.
Eventuali offerte saranno destinate
airOspedale valdese di Torre Pellice.
Torre Pellice, 23 dicembre 1991.
« Cercate VEterno e vivrete,
poiché... egli muta l'ombra
di morte in aurora »
(Amos 5: 6, 8)
Jenny ed Elsa Amprimo con le rispettive famiglie, Danilo Passini, Annie
Thocnii e Giacomo Grasso porgono
sentite condoglianze e partecipano al
dolore della cugina Aline e famiglia
per la scomparsa del caro
Charles Armand-Hugon
Torre Pellice, 18 dicembre 1991.
Bianca e Vittorio Percassi sono particolarmente vicini ad Aline, Marco e
Reriato per la dipartita del caro
Charles Armand-Hugon
che ricordano con affetto.
Omegna, 19 dicembre 1991.
« Cristo, la vita nostra »
(Col. 3: 4)
Il Signore ba chiamato più presso
a sé
Gustavo Bertin
pastore valdese emerito
Nella tristezza della separazione ma
nella luce dèU’Evangelo, lo ricordano
a quanti l’hanno conosciuto e amato
Laura, la sorella Hilda Bertin Gente,
la cognata Gemma Trincherà e i nipoti Trincherà e Morris Jones con le
famiglie.
, Per sua espressa volontà il servizio
funebre si è evolto in forma stretta»
mente privaita con l’intervento del pastore Bruno Bellion.
Laura Bertin è profondamente grata ai pastori Bellion e Davite, al signor
Livio Gobello, alla signora Alda Boldrin e a tutte le molte persone che
con tanta fraterna simpatia l’hanno
aiutata e confortata.
Luserna S. Giovanni, 26 dicembre 1991.
AVVISI ECONOMICI
A MILANO signore anziano autosufficiente cerea persona per governo
casa: ampio tempo libero e remunerazione adeguata. Telefonare ore serali 02/2047991 - 011/842885.
URGENTE richiesta baby-sitter maggiorenne per neonata a Torino, gennaio-luglio. Possibile pernottamento.
Telefonare, dopo ore 19, (011)
9866086.
USSL 42 - VALLI
CHISONE - GERMANASCA
Guardia medica :
Notturna, prefestiva, festiva: gres
so Qspedale Valdese di Pomaretto - Tel. 81154.
Guardia farmaceutica :
DOMENICA 5 GENNAIO 1992
Perosa Argentina: FARMACIA Dott.
BAGLIANI - Piazza Marconi 6 Telef. 81261.
LUNEDI’ 6 GENNAIO 1992
Rinasca: FARMACIA BERTORELLO ■
Via Nazionale, 22 - Tel. 800707
Ambulanza ;
Croce Verde Perosa: Tel. 81.000.
Croce Verde Porte: Tel. 201454.
USSL 44 - PINEROLESE
(Distretto di Pinerolo)
Guardia medica :
Notturna, prefestiva, festiva: Telefono 2331 (Ospedale Civile).
Ambulanza :
Croce Verde Pinerolo: Tel. 22664
USSL 43 - VAL PELLICE
Guardia medica :
Notturna, prefestiva, festiva: Telefono 932433.
Guardia farmaceutica :
DOMENICA 5 GENNAIO 1992
Torre Pellice: FARMACIA INTERNAZIONALE - Via Arnaud 8 - Telefono
91.374.
LUNEDI’ 6 GENNAIO 1992
Bricherasio: FARMACIA FERRARIS Via Vittorio Emanuele 83/4 - Tel.
59774.
Ambulanza :
CRI Torre Pellice: Telefono 91.996.
Croce Verde Bricherasio: tei. 598790
SERVIZIO ATTIVO INFERMIERIS'nCO: ore 8-17, presso I distretti.
SERVIZIO ELIAMBULANZA, ellcot
tero: tei. 116.
12
12 villagrsrìo srlobale
3 gennaio 1992
6,8 milioni di abitanti, 28 mila dollari di prodotto lordo annuo per ogni abitante,
inflazione vicina allo zero, disoccupazione inesistente tanto che dà lavoro ad un milione di
stranieri (280 mila italiani), la Svizzera ha celebrato nel 1991 il settimo
centenario della sua fondazione. Celebrazione di un successo? No; le chiese (da quella riformata
a quella metodista, da quella cattolica a quella vecchio cattolica), alcuni partiti politici
e moltissime associazioni di base hanno posto la questione delle contraddizioni
del presente, che non possono essere dimenticate.
Molti svizzeri in questa occasione hanno pensato ad una adesione della Svizzera all’Europa
da cui si aspettano quelle riforme sociali e politiche che da sola la Svizzera non è capace di darsi.
Adesione che probabilmente non verrà. Eppure i quasi 6 milioni di svizzeri appartengono
alle culture italiana, francese, tedesca e romancia; culture tra le più antiche d’Europa.
Là dove anche i gatti
si pettinano
Il mito del neutralismo e la tradizione della democrazia diretta a
confronto con i mutamenti dell’Europa: la Svizzera e il suo futuro
La Svizzera ha 700 anni. Una confederazione di 26 piccoli stati al centro dell’Europa, che è gelosa dei suoi privilegi e non diventa europea.
Non immischiarsi nei conflitti
fra le nazioni più potenti che ci
circondano, proporre a tutti i nostri buoni uffici che possono esser
loro utili, attendere che le guerre
si plachino e che la pace torni:
questo definisce — per una non
piccola parte — la mentalità svizzera.
Ma questa astensione deve essere reciproca, donde la massima di
stato svizzera la quale afferma che,
se non ci si immischia negli affari
altrui, altrettanto si desidera che i
vicini non intervengano nei nostri.
Neutralità, dunque, ma appoggiata su un esercito incaricato di farla rispettare: 620 mila soldati che
quanto prima verranno ridotti a
400 mila.
Questa filosofìa politica è inserita nella Costituzione federale e,
ancor più profondamente, nella
coscienza dei cittadini: per lo meno. così si pensava.
La pressione
europea
Ma ecco che questo mito dell’isola pacifica attorniata da un
oceano di conflitti ricorrenti ha
cessato di corrispondere alla realtà. Attorno a noi, l’Europa non è
più divisa in stati-nazione sempre
pronti a saltarsi alla gola: essa si
è pacificata, sta perfino unendosi
e già solo per questo processo essa
esercita una pressione formidabile
sulla Confederazione.
La Svizzera è tanto europea
quanto i suoi vicini: essa riunisce
nel suo territorio tre delle grandi
culture e due fra le confessioni cristiane che hanno impresso il loro
sigillo sulle mentalità dell’Occidente. Per di più, l’integrazione
economica avanza a grandi passi:
da lungo tempo il mercato dei capitali è internazionale, mentre numerose imprese svizzere si sono
impiantate in Europa ed in America; i nostri commerci si svolgono essenzialmente con gli altri
paesi del continente. Di conseguenza non si pone per la Svizzera il problema di restare al di
fuori dell’Europa. Se essa lo volesse, le pressioni di ogni genere
che verrebbero esercitate in tutti i
campi nei suoi confronti non tarderebbero a ridurla ad una condizione di vassallaggio.
Aderire:
unica soluzione?
Eppure, dei politici antieuropeisti premono sui tradizionali sentimenti politici, su certi interessi
materiali (disoccupazione, agricoltura), sull’attaccamento alla neutralità, adorata come un idolo
(n.d.t.: senza peraltro pubblicizzare troppo il fiorente commercio
estero degli armamenti). Sommando un certo numero di interessi
che l’adesione all’Europa lederebbe, attizzando la diffidenza e la
paura, invocando la tradizione e
la storia, e puntando anche su
certi sentimenti xenofobi, questi
tradizionalisti possono raccogliere
una parte importante della pubblica opinione. Essi pongono in allarme questa opinione tanto più
facilmente in quanto il Consiglio
federale (e cioè il governo) con le
sue lunghe esitazioni ha tardato
enormemente a scegliere una politica e a dirlo al paese: ritardi,
ondeggiamenti, esitazioni.
Da parecchio tempo — e ancora
adesso — il Consiglio federale ha
tentato di scegliere una linea mediana che passi ad egual distanza
fra adesione ed astensione: la possibilità di astensione è stata respinta perché si ritiene che essa porti
ad imboccare la strada del vassallaggio (a dispetto delle apparenze). Il negoziato per entrare nello
spazio economico europeo (EEE),
che pareva sostenere meglio la so
vranità svizzera che non l’adesione alla Comunità europea (CE) è
attualmente ad un punto morto.
Rimane la via dell’adesione.
Adesione desiderata da parecchi svizzeri per il loro paese, ma
anche temuta da un altro buon
numero di essi per ragioni sia materiali, sia per mentalità politica.
La democrazia diretta
in pericolo
Tutti sanno che la centralizzazione ci fa paura (ed orrore). Noi
abbiamo attuato, dopo la Rivoluzione del 1848, una serie di meccanismi che impediscono che una
maggioranza, qualunque essa sia,
possa opprimere una minoranza.
Con i referendum (obbligatori per
tutte le modifiche della Costituzione federale e facoltativi per le
decisioni delle Camere) e col diritto di iniziativa costituzionale, il
popolo esercita effettivamente ed
immediatamente — cioè senza la
mediazione del Parlamento — la
propria sovranità: boccia l’operato delle Camere senza con ciò provocare nuove elezioni legislative,
né crisi di governo. Queste due
istituzioni del referendum e dell’iniziativa esistono in tutti i Cantoni ed in molti Comuni.
Qra, l’Europa dei dodici, vista
dalla Svizzera, appare come un
sindacato di governi che fanno —
quasi senza controllo parlamentare — quello che pare loro. Quanto
ai cittadini il loro solo diritto è
quello elettivo: ai nostri occhi
questo è troppo poco.
Queste lacune della democrazia
europea riempiono gli svizzeri meglio disposti all’adesione alla Comunità europea di esitazione e di
diffidenza. Se da un lato essi ve
dono l’adesione come una strada
inevitabile da percorrere, dall’altro
ne scorgono tutti i pericoli per
quella democrazia che essi praticano da lungo tempo.
Un’Europa veramente federalista, con degli estesi diritti popolari e con una effettiva protezione
delle minoranze corrisponderebbe
meglio alla loro sensibilità polifica.
Per quanto ci concerne, non basterà che il Consiglio federale
prenda una decisione e che le Camere l’approvino. Il popolo verrà necessariamente consultato. Come dice una espressione familiare
qui da noi: è lì dove i gatti si pettineranno.
Jean Anderfuhren
L’autore di questo articolo, Jean Andar fuhren, è pastore e giornalista svizzero. Riprendiamo l’articolo da Réfoiv
me del 27-7-91.
CONTRADDIZIONI QUOTIDIANE
I paradossi della Svizzera
Un paese di
funzionari
Terra di sogno, paradiso fantasmagorico, porto di felicità
nell’immaginazione dei popoli
che la circondano, la Svizzera
lentamente si trasforma in un
paese d’incubo.
Un paradosso domina questa
decadenza: il controllo dello stato, l’ordine pubblico che instaura, si estendono incessantemente. Nel 1989 un lavoratore su cinque era alle dipendenze di un
ente pubblico svizzero (stato,
cantone, comune, poste e telefoni, ferrovie federali, ecc.). Il
flusso delle leggi, dei decreti, delle ordinanze votate dal Parlamento o dal governo federale si
accresce costantemente. Nel 1950
la raccolta degli atti federali
(l’equivalente della raccolta della « Gazzetta Ufficiale » in Italia)
comprendeva 14 volumi e 12.000
pagine; nel 1988, 35 volumi e
37.000 pagine. A questa marea
di leggi e di decreti si devono
aggiungere ogni anno le decine
di migliaia di atti legislativi prodotti dai ventisei stati membri
della Confederazione e dai 3.021
comuni del paese.
Ma mentre si dilata il numero dei funzionari, aumentano le
imposte, si gonfiano i bilanci, e
si moltiplicano i decreti, le ordinanze e le leggi; in sintesi,
mentre progredisce Tiperamministrazione del paese, lo stato
perde drammaticamente il suo
potere. Il potere dello stato della più antica democrazia d’Europa è minacciato da un’inesorabile degenerazione. Quali sono le
ragioni di questa lenta e ineluttabile decomposizione d’istituzioni formalmente ammirevoli?
Fra la società di stato e la
società civile esiste una viva dialettica, una sottile alchimia.
Quando la seconda si invischia
nell’amoralità e nel cinismo, la
prima precipita nell’inefficienza
e nell’arbitrio.
In Svizzera le classi dirigenti
della società civile — gli emiri
bancari, i signori degli imperi
industriali multinazionali, del
commercio transcontinentale, gli
speculatori immobiliari, i trafficanti d’armi o di valuta — traggono essenzialmente le loro immense ricchezze e il loro potere planetario dall’eccessivo sfruttamento dei popoli poveri, dall’evasione fiscale dei paesi europei, dalla ricettazione e dal lavaggio del bottino dei trafficanti internazionali della droga e
dei capitali in fuga del terzo
mondo.
L’immoralità delle pratiche finanziarie, la voluttà smodata del
profitto, il banditismo bancario
innalzato alla dignità di un capolavoro artistico alimentano e
fanno degenerare la società civile. Come una nave, anche un
paese ha una linea di galleggiamento. Se la morale pubblica cade al di sotto di questa linea,
la nave affonda.
La milizia popolare
Dopo Israele, la Svizzera è il
paese più militarizzato del pianeta: 650.000 soldati e ufficiali
per una popolazione autoctona
di 5,8 milioni di cittadini. Lo
stato centrale sperpera ogni anno più di 5 miliardi di franchi
svizzeri, ossia quasi un quinto
del bilancio federale, per l’acquisto di armi sofisticate, generalmente inutili o rapidamente desuete. E ogni emiro (come ogni
uomo politico) che si rispetti è
almeno colonnello in questa milizia (non esistono, per fortuna,
né generali né un esercito regolare in Svizzera). Ogni anno, fino ai cinquant’anni circa, gli
emiri, i loro dipendenti e tutti
i loro concittadini di sesso maschile sono convocati per un pe
riodo di esercitazione militare
chiamato « corso di aggiornamento ». A questi corsi si aggiungono lunghi mesi di scuola militare (scuola di stato maggiore,
ecc.) per gli ufficiali che vogliono avanzare di grado. In Jonas
et son vétéran di Max Frisch, il
nonno dice a Jonas: « Immagina che un giorno ogni uomo di
questo paese venga al lavoro con
indosso la divisa militare! [...]
Vedresti che coloro che ci danno ordini nell’esercito sono gli
stessi che ci dominano nella vita quotidiana. L’esercito è una
bella scuola di obbedienza [...],
10 svizzero impara a strisciare
fin dall’adolescenza... ». Poi il
nonno conclude: « In fondo vedi, Jonas, noi obbediamo sempre alle stesse persone ».
11 federalismo e la
paura di discutere
Il federalismo è un credo sacro: la sovranità delle ventisei
repubbliche riunite nella Confederazione è intoccabile. Caso
unico in Europa: in quanto stato nazionale, lo stato svizzero è
una formazione sociale di grande e costante fragilità. Lo spettro della disgregazione aleggia
come un fantasma negli uffici di
Berna. Il governo federale, che
fa coesistere nel suo seno tutti
i rappressntanti dei principali
partiti politici, delle regioni linguistiche e delle religioni del
paese, è l’espressione di questo
timor panico della disgregazione. Rappresenta la coscienza dell’estrema fragilità del legame
confederale.
Corollario: gli svizzeri hanno
una paura patologica di ogni
forma di conflitto. Il consenso,
a qualsiasi prezzo, è il valore supremo. Quindi non esiste praticamente alcun dibattito politico
in Svizzera. Ogni critica sociale
che infranga il consenso è im
mediatamente e logicamente
considerata come un attacco
contro la nazione svizzera e l’intellettuale critico è guardato come un nemico.
Constato un fenomeno curioso: più le pratiche dei dirigenti
della società civile e, di conseguenza, quelle dei rappresentanti dello stato, si degradano più
l’ideologia dominante del paese,
portatrice di valori illusoriamente immutabili, diviene rigida, ingannevole, dogmatica. Una coscienza collettiva quasi omogenea governa oggi l’Emirato elvetico. Questo sistema di autointerpretazione è investito dalla
menzogna. Il paese ha una percezione e una rappresentazione
di se stesso completamente false. Il modo in cui la classe dominante, e in particolare gli emiri delle società sovrannazionali,
bancarie, industriali e i loro alleati politici, manifesta la propria prassi non costituisce ovviamente una teoria scientifica
di tale prassi. Al contrario, la
classe dirigente fornisce spiegazioni che danno della sua prassi una rappresentazione falsa,
destinata a legittimarla come logica, innocente, naturale, inevitabile, al servizio della nazione
e della collettività. Ma questa
ideologia mistifica anche coloro
che la diffondono. Non è raro,
infatti, che i principali protagonisti del riciclaggio del denaro
sporco siano persuasi del carattere benefico della loro missione.
Jean Ziegler
Jean Ziegler è professore di sociologia all'Università e all’Istituto di studi sullo sviluppo di Ginevra. E' inoltre deputato socialista al Consiglio nazionale. Ha pubblicato tra l’altro due
volumi sulla Svizzera. Dall’ultimo, La
Svizzera lava più bianco (Arnoldo
Mondadori, 1990), traiamo queste considerazioni.