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BuCHNB
RIVISTA BIMESTRALE ILLVSTRATA DI STUDI RELIGIOSI
Anno II :: Fasc. V.
SETTEMBRE-OTTOBRE 1913
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 31 OTTOBRE - 1913
DAL SOMMARIO: A. CERVESATO: Mazzini e noi. — G. MONTALBO: Religione e parodia religiosa in Aristofane.— ASCHENBRÖDEL: Intervista con lo scopritore delle « Odi di Sa-lo.none ». — A. CRESPI: L'evoluzione della religiosità nell*individuo. — P. DOUMERGUE: Alle fonti dell'azione: Livingstone. — G. E. MEILLE : Il cristiano nella vita pubblica. — NOTE E COMMENTI. — Tra libri e riviste. — Notizie.
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo #
Via Crescenzio, 2 - ROMA —
D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore per l'Estero
Via del Babuino, 107- ROMA pubblica alla fine di ogni mese pari in fascicoli di almeno 64 pagine, fi fi fi
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Illustrazioni del presente fascicolo.
Ritratto del Dr. Rendei. Harris, scopritore e editore delle «Odi di Salomone». (Tavola tra le pagine 390 e 391).
Ritratto di Davide Livingstone. (Tavola tra le pagine 402 e 403).
Monumento alla memoria del P. Giacinto Lovson. (Tavola tra le pagine 432 e 433)Ritratto del Dr. James Orr. (Tavola tra le pagine 436 c 437)Copertina, disegni e fregi di Paolo A. Paschetto.
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BILTCriNß
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RM51Ä DI STVDI RELIGIOSI
EDITA CALLA FACOLTA DELIA SCVOLA TEOLOGICA BATTISTA - DI ROMA
SOMMARIO :
A. CERVESATO: Mazzini e noi........ ... . . . . . pag. 373
Gino Montalbo: Miti e religioni dell'antichità classica:
Religione e parodia religiosa in Aristofane . » 380
Le credenze di oltretomba....... » 384
Aschenbrödel : Intervista col Dr. Rendel Harris, scopritore ed editore delle « Odi di Salomone» . ......... > 390
ANGELO Crespi: L'evoluzione della religiosità nell'individuo ... » 395
P. DOUMERGUE: Alle fonti del!azione: Livingstone. (Nel centenario
della sua nascita) ............... > 4<>2
X***: Oggi . . . . ................ > 416
G. E. MEILLE: Il cristiano nella vita pubblica......... »418
G. A. Congresso internazionale del Cristianesimo sociale. » 428
NOTE E COMMENTI :
S. F. : Il VP Congresso della Società italiana per il progresso delle
Scienze a Siena. . . . . ,g . . . . . . . . . . » 431 •
(*♦*): Alla memoria del P. Giacinto Loyson ......... »432
—-: <Zxz Cultura Contemporanea » ...... ...... » 433
G. E. M.: Verso il trionfo dello spiritualismo ......... > "435
M. R.: Da critico a missionario: A. Schweitzer ........ » 436
A. S.: James Orr .......... . ....... » 436
E. T. : Scienziato e crédente .......... . . . . . » 438
G. E. M. : Un raggio di luce nella, demonologia neotestamentaria . . » 439
TRA LIBRI E RIVISTE:
Antico Testamento: Il Pentateuco e 1 ’ ipotesi-pericope (I.’Ri vera) ..... pag. 440 Nuovo Testamento: Difficoltà esegetiche (I. Rivera) — Il decreto apostolico di
Gerusalemme (M. R.)...... ' ........... » 44« Storia delie Religioni: Buddismo e Cristianesimo (A. Galloppi).» 443
Storia del Cristianesimo : Il ritorno spirituale di S. Francesco d’Assisi (L. Luzzatti)
— L’editto di Milano e la libertà di coscienza (M. R.). . . . . » 447
Archeologia: Gerusalemme antica (M. R.).............. » 453
Filosofia e Religione: Verso la fede (G. Adami) — Filosofia contemporanea . » 454
Religione e questioni sociali: Le idee sociali di Ruskin (S. Sigitele). . . . . » 457
Varia: Le cose a posto (A. Galloppi) — Un viaggio in Terra Santa (N. C.)—
Racconti (P. Chiminelli) — Dizionario Psico-Mistico (Er.) — Il problema sessuale (E. R.) —- L’anima del fanciullo (F. G. Lo Bue) — Storia dell’involuzione naturale — Un romanzo (S. B. C.) — Uno de’ tanti (E. R.)................... » 460
NOTIZIE............................................... »466
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PEI PROSSIMI FASCICOLI:
Mario Rossi: Culto ed escatologìa presso i Babilonesi.
L. Salvatorelli: La storia del cristianesimo ed i suoi rapporti con la storia civile.
A. CERVESATO: Mazzini e noi (continuazione e fine).
Roland D. Sawyer: Gesti e lo Stato — Gesù, e la famiglia — Gesù e la proprietà.
Giovanni Luzzi: Il modernismo nella Chiesa cristiana del primo secolo.
GlNO Montalbo : Culti e miti nella storia dell antica Sicilia. — La religione primitiva in Sardegna.
Mario Puccini: L'opera di Raffaele Mariano.
Pà&GELO CRESPI: L'evoluzione della religiosità nell Individuo e nella Società.
Paolo Orano: Dio nella coscienza.
G. LESCA: Sensi e pensieri religiosi nella poesia di A. GraJ.
M. Velato: L'altare al Dio sconosciuto.
G. E. MEILLE: Intorno all'immortalità dell'anima.
JOH. Lo VER: Religione e Chiesa.
Mario Rossi: Usi interpretazione religiosa di una leggenda della Grande Sirie in Sallustio: i fratelli Fileni.
C. ROSTAN : Le idee religiose di Pindaro.
N. H. SHAW : « L'uomo e l'universo * di Sir Oliver Lodge.
N. B. — Degli articoli firmati sono responsabili i singoli autori.
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MAZZINI E NOI
I UANDO saremo fatti degni di Dante, troveremo una filosofia nazionale davvero, anello tra la scuola italiana di Pitagora e i pensatori italiani del secolo xvn. Troveremo i germi d’una credenza che tutte le anime invocano ».
E’ in questa frase (che forse farà stupire i seguaci della pura dialettica che ànno da tempo bandito il Mazzini dalla loro « eletta > schiera) è in essa un altro segno della vastità della mente del pensatore che, accettato o no, appare ornai il più vivo e grande dell’età moderna.
Universale essa, e così totalmente italiana: e il suo pensiero, che va dai cicli delle metempsicosi della scuola pitagorica a quelli delle formazioni storiche delle dottrine vichiane (ed è via via, a un tempo, e stoico e cristianamente attivo e religioso, e ricco della razionalità dei filosofi del Rinascimento e dei confutatori di dogmi del Seicento e della sintesi metafisica del Bruno) fino a precedere la dottrina del Newman della sovranità della coscienza in materia di fede e a codificare primamente la religione del dovere; tale suo pensiero è forse esso l’auspicato anello (dalle filosofie « ufficiali » finora trascurato, ma non perciò meno reale) che collega le linee del pensiero italico non mediante mere formule dottrinarie, ma colla connessione di sue massime vitali : che le collega tra loro prima e poi colla vita medesima.
Ma, poiché non sorge dalla mera cultura, così non è in essa che dobbiamo cercarne i germi e le visibili origini e le occasioni — e la disciplina.
I pensatori veramente vitali operano troppo intensamente per un presente immediato (pure se largo di proiezioni nel futuro) per cercar di proposito lungo le linee della morta cultura del passato una tradizione cui connettersi. Essi operano : è solo sul tardi della loro azione che questa viene (quasi mai da loro, più
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spesso da altri) scoperta analoga ad altre precedenti azioni vitali e dichiarata loro continuatrice.
Cosi il senso della « religione del dovere », il fulcro del suo pensiero era già sorto spontaneo al tutto nella coscienza del Mazzini fanciullo. Il mondo spirituale che egli ne creerà non giace, attendendolo, fuori, ma è nella sua anima: è la sua anima che esprime la propria vocazione, e dà alla vita il senso della missione « religiosa ».
La sua vocazione prima avvenne quando era ancora adolescente, a lo spettacolo doloroso che lo colpì nelle vie di Genova alla partenza dei « proscritti d’Italia», che con Santorre Santarosa avevano tentato il moto liberale del 1821 in Piemonte (v. Corrisp.* voi. I, pag. 14-15). Quella vocazione che soffuse, quasi presagio delle lotte di tutta una vita, di profonda mestizia la sua prima giovinezza, si determinò nel carcere di Savona. La Bibbia, Tacito e Byron furono i libri che egli chiese a confortare le sue lunghe meditazioni (ibid. pag. 36). E nelle meditazioni di quella prigionia sorse in lui quello che egli chiama « il pensiero generatore di ogni disegno... ». Se studiamo la genesi ed il processo di quel pensiero generatore, comprenderemo il complesso disegno dell’opera sua ed il segreto di tutta la sua vita. Non fu un semplice pensiero politico, ma il presentimento che l’Italia poteva essere « iniziatrice » d’una nuova vita, colmando il « vuoto » che esisteva in Europa ; affermando l’autorità, la vera, la buona, la santa autorità: segreto della vita di tutti noi, « negata irrazionalmente da tanti i quali confondono con essa un fantasma, una menzogna di autorità e credono negar Dio quando non negano che gli idoli... ». Da quel concetto che « gli anni, gli studi e i dolori hanno confermato irrevocabilmente nell’animo mio, egli suffraga, balenava come una stella dell’anima, un’immensa speranza».
« Da quelle idee io desumevo che il nuovo lavoro doveva essere anzi ogni altra cosa morale y non angustamente politico} religioso non negativo, fondato su principi^ non su teoriche f interessi} sul dovere non sul benessere. La scuola straniera del materialismo aveva sfiorato l'anima mia per alcuni mesi di vita universitaria ; la storia e l’intuizione della coscienza, soli criteri di verità, m’avevano ricondotto rapidamente all'idealismo dei nostri padri ». (Voi. I, pag. 39-41).
Da questo processo spirituale — come nota benissimo V. C. Nitti nel-V Evangelista — e che i più ignorano o hanno voluto dimenticare, prese inizio la sua azione e per esso tutto si coordina e si spiega: 1® intuisce che «il problema dell’oggi è problema religioso » e tutti gli altri sono secondi ; 2® concepisce e fonda la “ Giovine Italia „ per avviare l'educazione morale del popolo (voi. I, pag. 84); 3® definisce la vita « missione »; 4® afferma il dovere dove non si adorava che il diritto (Lettere a Rosales, pag. 81 e 200). «Il diritto è fede dell’individuo; il dovere è fede comune, collettiva. Il diritto non può che ordinare la resistenza, distruggere, non fondare; il dovere edifica, aspira; scende da una legge generale, laddove il primo non scende che da una volontà». « La politica afferra gli uomini ove e quali essi sono; definisce le loro tendenze e v’attempera gli atti. Solo il pensiero religioso è capace di trasformare le une e gli altri». (Voi. I, pag. 171 e 173).
E quando dietro di lui si organizzò tutto un partito che da lui prese nome ed inspirazione, egli ebbe lucida e costante la visione di ciò che quel partito
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doveva essere per compiere la santa missione a cui era chiamato: sin dal 1832 egli impartiva istruzioni ai seguaci : « noi siamo non solamente cospiratori, ma credenti; non solamente rivoluzionari, ma rigeneratori... Predicate fede non nei nomi, ma nelle moltitudini, nel diritto, in Dio». (Voi. I, pag. 391 e 393). E nel 1837 scriveva al Melegari: «Mostriamo ciò che siamo, cioè un’associazione religiosa^ il cui problèma è problema educativo ».
Tale la formula « l'unione sia di carattere religioso ».
Il Newman dirà più tardi, molto più tardi, nel 1876, la celebre frase: «Il solo maestro che ci guida in fatto di cose interiori è la nostra cosciènza», ma il Mazzini ha già quarantanni prima espressa tale autonomia con molte altre frasi, di cui ecco la più semplice: «L’uomo ha in sè l’infinito».
«L’uomo ha in sè l’Infinito» sembra quasi poetica e vaga affermazione, scrive Ugo Della Seta, il più recente e il maggiore biografo dell’Apostolo, ed è il profondo principio con cui il Mazzini ha scosso dai suoi cardini il vecchio edificio della tradizionale teologia e ogni istituzione che su questa teologia trovi la sua base.
« L’uomo ha in sè l’Infinito » ed è tempo si riconoscano quanti, prima e dopo di Gesù, da Socrate a Lutero, si affermarono rivelatori e promotori del progresso umanitario. D’altra parte oggi l’epoca individuale, l’epoca dei rivelatori, qualunque essi siano, è consunta : « l’età del simbolo va consumandosi rapidamente ed è prossima la manifestazione solenne dell’idea covata in quel simbolo » ; la rivelazione di Dio all’uomo non può più essere limitata, immediata, indiretta, ma diretta, mediata, continua. Interprete della legge divina (questo grave problema che ogni epoca storica sciolse diversamente) non potrà essere un’autorità assoluta, sia un vicario infallibile, un principe, un papa, un patriziato, un sacerdozio privilegiato.
E con la rivelazione doveva negare il miracolo ; a quella, come a negazione dell’evoluzione religiosa, aveva opposto l’umanità, rivelatrice unica, col suo progresso, dello spirito di Dio sulla terra ; a questo, violatore delle leggi regolatrici dell’universo, oppone il mistero indecifrabile e impenetrabile, ma che alla scienza ancora è dato, entro certi limiti, di rivelare.
« Voi — scriveva il Mazzini nel 1870 ai “ Membri del Concilio „ adunatisi in Roma per riaffermare il dogma del)’Immacolata concezione e dell’infallibilità del Pontefice — voi credete, sottraendo cosi ogni fondamento di certezza^ ogni criterio di verità all’intelletto, nel miracolo, nel soprannaturale, nella violazione possibile delle leggi regolatrici dell’universo : noi crediamo nei misteri,
da sciogliersi un giorno, che oggi ci recingono per ogni dove, nei segreti d’una intuizione inaccessibile all’analisi, nella verità dei più singolari presentimenti di un ideale ch’è primitiva patria dell’anima, in una impreveduta potenza d’azione data all’uomo in alcuni rari momenti d’amore, di fede, di concentramento supremo di tutte le facoltà verso un fine virtuoso determinato, meritata quindi e analoga alla potenza rivelatrice, che un accresciuto concentramento di raggi luminosi comunica col telescopio al nostro occhio; non crediamo nel miracolo come voi lo intendete, in un arbitrio che infranga una legge già nota e accertata, in fatti che contradicano al disegno generale della creazione e che per nói non testimonierebbero se non di un difetto di sapienza o di giustizia di Dio ».
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Ma non è nella mera negazione razionale che poserà il suo pensiero e, subito, all'edifìcio che abbatte sottentra — nelle sue formazioni — quello dei tempi nuovi, auspicati, dalla religione del dovere : è sotto la consacrazione di tale principio religioso, che l’astratta morale si tramuta in fede.
E’ questa fede che pel suo contenuto pratico ed attivo, costituisce l’anima di tutta la suà dottrina che riguarda il miglioramento e il rinnovamento sociale. L’essenza della religione, aveva detto, sta in una definizione della vita, in un concetto della rivelazione in un metodo d’interpretazione di quella rivelazione: « l’essenza di ógni religione, aggiunse poi, sta nella potenza, ignota alla pura scienza, di costringere gli uomini a tradurre in fatti il pensiero^ ad armonizzare la vita pratica col concetto morale >.
La pura scienza, la pura filosofia, così come sono e agiscono in loro ciclo meramente dottrinale, cioè riflesso, di loro esperienze — fuori, sempre o quasi, da ogni contatto con l’azione vitale — il Mazzini non amava e non poteva amare : sentiva che la loro orbita è quasi esclusivamente « alessandrina ».
E’ perciò che tale « pura > filosofia rende oggi al Mazzini, con 1* ignorarlo, un po’ della indifferenza onde egli le fu costante: sta, ad ogni modo, il fatto che essa non può approfondire il mondo mazziniano anche per questa provata verità « che le filosofie se concludono i mondi già finiti, non possono pretendere di esaudire i mondi in pieno « fieri » ; sono, insomma, come l’anatomico cui è dato solo di guardar dentro i cadaveri e solo da quel che vede nel morto arguire delle funzioni del vivo.
Ora, poiché il momento di tale dissezione non è ancora venuto pel fenomeno mazziniano, è naturale che le filosofie non abbiano fretta di prenderne conoscenza, sul tavolo anatomico della dialettica « rigorosa ».
Non è sempre Egli sempre, a un tempo, come scrisse il Pascoli, « e il contemporaneo di Dante, e colui che ha ancora da venire » ?
Un giorno, certo, si vedrà come tutto egli domini il « vitale > pensiero con-temporaneo, e come non sólo siano suoi prima che d’altri, il senso dell’ « intuizione » del Bergson, e la dottrina della « sopravvivenza » del Myers, ma anche il « misticismo » del Maeterlink e il « senso della vita > del Tolstoi.
La necessità di ancorare il centro della coscienza, la vita, in una disciplina morale, « il senso » tolstoiano della vita, il Mazzini chiamava « legge della vita >. Concetto questo necessariamente mistico che sta determinando — quà e là — un vero senso religioso della vita stessa.
È in Inghilterra che questo senso religioso prende già valore di forza e diffusione attiva: al miglior popolo inglese il nome dell’Apostolo italiano appare — scrive Angelo Crespi — quello del fondatore di un nuovo ideale religioso.
IL
E già a qualcuno, anche fra noi, la figura di Lui appare già leggendaria nella linea di una verà santificazione.
Ed ebbe, commemorandolo, a scrivere un giornalista nostro, < rievocando quel sublime spirito per il quale ogni virtù si fondeva in una meravigliosa
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armonia, a cui era sintesi completa di morale e di estetica l'idea di bontà. Dopo Cristo, dopo Francesco d’Assisi, mai l’idealità umana ebbe più pura espressione; idealità, che nell’Apostolo della nostra redenzione nazionale ebbe un contenuto più virilmente intero e più fattivamente attivo».
E la sua vera grandezza — come bene vide Francesco Coppola — fu appunto di carattere non politico, ma religioso. Egli fu non solo uno spirito religioso ma un eroe religioso. Poiché spirito religioso è quello che, superando se stesso nell’inestinguibile ed illimitato fervore di una passione trascendente, dimentica quasi e sacrifica con sovrumana letizia la propria realtà individuale ad una realtà ideale in cui tutto il suo essere si dissolve insieme e si esalta; ma eroe religioso è quello che trasfonde intorno a sé la sua mistica passione, e con fermo cuore esige e suscita in quanti gli sono vicini la pronta e disinteressata volontà del martirio. Cento volte nelle sue lettere, ripetuta a distanza di anni, sempre uguale, sempre presente, regola inviolabile a sé stesso ed agli altri, ritorna la suprema parola religiosa del dovere : < bisogna far della vita una continua battaglia, anche con la certezza di non vincere se non dopo morti »... «la vita nostra non deve dirigersi su calcoli di speranze, ma sulla coscienza di dovere »... e finalmente con lapidaria grandezza « il dovere è cosa totalmente separata dalla speranza ».
« La sua religione è l’Italia. Il suo « mito » — come lo ha chiamato George Sorel per compararlo al « mito » sindacalista dello sciopero generale — è l’Italia, l’Italia una, indipendente, prospera e grande, faro di libertà e di giustizia all’ Europa e al mondo. Se non che, Mazzini credeva al suo « mito » come ad una indefettibile realtà futura, Sorel crede al suo « mito » nè più nè meno che come ad un mito: Mazzini era un mistico per temperamento, e cioè un suscitatore irresistibile di eroiche volontà, Sorel è un mistico volontario, e cioè uno sterile dilettante, un acrobata intellettuale dei valori morali.
Così la sua politica è e deve alfine apparire un atto della sua fede: giova ripeterlo.
Per lui « i moti italiani — bene lo addita una delle nostre migliori scrittrici (i) — dovano avere la severità augusta d’una religione — l’Italia diffondere nel mondo il Vangelo dei tempi nuovi. Nella missione Ch’Egli si è assunta e per la quale rinunzierà a tutto quel che abbellisce la vita, agi, famiglia, onori, quiete, e sprezzerà ogni piccola gioia, ogni piccola gloria di fronte alla superba gioia e gloria insieme di consacrarsi a fondere una civiltà nuova, egli vuol compagna tutta la gioventù italica ; questo manipolo ognor crescente ch’egli ha infiammato al calore del proprio petto marcerà verso l’avvenire sotto la bandiera della civiltà e la conquista della patria sarà soltanto la prima tappa ; prima l'Italia, poi l'Europa, poi il mondo saranno conquisi alla libertà, al dovere, alla pace, al bene; e poiché la conquista della pace vuol sangue di martiri, essi, pronti a tutt’i colpi, saranno i primi a cadere, ma faranno di loro petti vie trionfali a quelli che verranno appresso >.
Pure i fedeli si stancano, non sono solo i nemici che lo perseguono con ogni acredine, con ogni insidia, con ogni calunnia (oggi fa stupire quella che,
(i) E. Boghbn Conigli ani : Per G. Mazzini in Muova Parola, 1905.
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BILYCHNIS
fra le altre gli fu rivolta — a lui e a Rosolino Pilo — di essere spia dell’Austria !), ma gli amici stessi lo abbandonarono a uno a uno in processo di tempo, secondo le circostanze.
E Mazzini, dura, resiste, non cede. Egli passa, sempre uguale a sè stesso, fra gli amici che si intiepidiscono e gli altri che non approvano le sue arrendevolezze più ragionevoli e necessarie.
Ma c’è qualche cosa nell’uomo — à visto l’Ambrosini — di più grande delle sue stesse idee: è la passione, è la fede con cui le sostiene. In mezzo agli sbirri, alle spie, agli strozzini, a tutto il mondo equivoco degli esuli e degli spostati, egli salva la propria figura, intatta, incontaminata, stupenda di ingenuità e di bontà. Lo accusano di non conoscere gli uomini, di lasciarsi ingannare, di compromettere sè e gli altri, di essere un ambizioso, un sultano della libertà. Non capiscono che egli va avanti a forza di principi, che il primo a sacrificarsi a questi principi è lui stesso, e credono che egli sacrifichi gli altri alla propria persona ! Tutte le sue grandi qualità morali sono così svalutate a una a una dagli amici non meno che dagli avversari. La sua costanza era valutata testardaggine, il suo eroismo morale diventava mostruosità di coscienza e delitto.
L’uomo che non si stancava mai stancava tutti. Il suo sconfinato spiritualismo urtava contro il positivismo degli interessi, delle passioni della politica, della diplomazia, e però lo accusavano di non capire i tempi, di essere quasi fuori del suo secolo, e di combattere quella sua eterna battaglia non per amore, ma in odio ai suoi contemporanei.
Ed intanto egli gela nella misera stanzetta, ove era una sedia sola e aiuta ed educa i poveri fanciulli italiani di Londra, e salva una funciulla esausta dalla fame (la più turpe delle diffamazioni ne farà la sua ganza e giungerà a farla arrestare) e impegna l’anello della madre e non può uscire perchè ha le scarpe rotte.
Triste vita in quel deserto che è la formidabile città delle brume!
Sulla fine del ’46 — scrive il Luzio — confessava al Lamberti d’essersi ridotto a « manufatturierè d’articoli inglesi,-traduttore, correttore» — per 4 sterline aveva corretto dodici immensi quaderni di manoscritti altrui. A ciò bisognava aggiungere tutte le lettere che scombiccherava come amanuense gratuito di operai italiani — le commendatizie pe’ bisognosi di occupazione, per la sua stessa padrona di casa, a cui cercava del lavoro di cucitrice — i discorsi che teneva alla scuola fondata pe’ nostri connazionali a Londra, ed altre infinite seccature ; e vedrai — concludeva — come io mi trovi quasi infranta tra mano quella penna che era pur l’arma mia principale.
< Io mi sento — esclama — pensieri in testa che potrebbero, non dirò darmi fama, Dio sa se ci penso, ma produrre bene nell’avvenire ; in filosofia, in storia, in politica, mi pareva d’esser chiamato a dar luce alla missione italiana... Dovrei star continuamente sulla breccia, ad opuscolo rispondere con opuscolo, a volume con volume; dovrei essere come O’Connel per l’Irlanda, non occupato d’altro che della nostra causa nazionale. E non v’è modo, non posso scrivere non dirò opere, ma opuscoli. Sono ridotto a dire : « felice Gioberti, felici Balbo, Azeglio », quando vedo i loro volumi, mentre io siedo al tavolino intorno a lavorucci che mi danno nausea, sento le mie facoltà consumarsi nell’ira, nella delusione, e nella fatica e cerco invano districarmi dalla piovra dell'usura. Al nome di Dio,
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Lamberti, dammi merito, se non dispero apertamente, e se persisto come posso Sulla mia strada >.
Era quello il suo sogno: non esaurirsi a disseminare le sue idee in frammenti facilmente disperdibili ; ma disporle in opere organiche, in una specie di vangelo precettistico — chiaramente espresso e coordinabile.
Varie volte aveva tentato di dar a tali pensieri una più connessa forma, ma altrettante una specie di risibile destino ostile aveva reso vano il tentativo.
Così le « Reliquie d’un Ignoto > (i) le pagine che Mazzini, sotto questo titolo, intendeva pubblicare anonime e nelle quali, giorno per giorno, aveva vergato, sino al 1849, i suoi pensieri come sulle più vitali questioni dell’umanità, così su quella crisi interna che fu la < tempesta del dubbio »... E’ questo l’unico scritto che il Mazzini deplorasse smarrito ; e pel suo alto valore psicologico, se potesse essere ritrovato, il mondo, bene osserva il King, guadagnerebbe assai di più che non dal rinvenimento di qualsiasi perduta tragedia greca. Vennero, sì, poi, intercalate agli scritti, le « Note autobiografiche » ma queste, oltreché non essere che note, non riguardano in gran parte che la sua vita politica ; la nota intima, individuale vi manca quasi del tutto; Mazzini s’era fatto un dovere di nen serbare mai note, copia di lettere o memoria di date « convinto, com’era, sino alla fede, che debito alla vita terrestre è dimenticare l’io pel fine che le facoltà dell’individuo e le necessità dei tempi prescrivono ».
Arnaldo Cervesato.
(/Z seguilo al prossimo numero).
(1) V. Della Seta, pag. 5.
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MITI E RELIGIONI DELL’ANTICHITÀ CLASSICA
(Vedi BHychnit, maggio-giugno 1913, p. 209).
Religione e parodia religiosa in Aristofane.
al misticismo orfico bacchico siamo portati a parlare dello studio che C. Pascal ha dedicato alla religione e alla parodia religiosa in Aristofane, intitolandolo Dioniso (Catania, 1911) dal titolo del capitolo più ampio.
Carlo Pascal è scrittore fecondo che ha da parecchio tempo rivolto la sua attività allo studio della mitologia e della religione dei popoli classici. Ma la sua produzione risente del carattere filologico che sempre hanno avuto i -suoi studi. Egli sa radunare con erudizione e con garbo tutti i testi che
si riferiscono all’argomento che vuol trattare e ne sa trarre tutto il partito possibile; ma quando si tratta di studiarli alla luce della psicologia religiosa individuale e collettiva e di integrarli con i documenti dell’etnologia, allora mi par che l’A. non sia all’altezza del suo compito e la sua opera riesce ottima solamente per una metà.
Si veda per esempio il volume sopra ricordato su Aristofane. Il Pascal dice molto opportunamente nella prefazione : « Di questo singolare scrittore noi studieremo la concezione e la parodia religiosa. Studio che ci pare tra i più importanti e per la comprensione dell’arte aristofanea, e per là cognizione del mondo in cui quella vive e da cui trae ispirazione e materia. Di più, questo studio ci mostrerà sotto qual forma si erano atteggiati, nella tradizione popolare e nella letteraria, i vari tipi divini ; e fino a qual punto Aristofane avesse usufruito quella forma, e quali nuovi elementi vi avesse introdotto, e come insomma
tutta questa vita religiosa fosse diventata una potenza operosa ed attiva nel suo cervello e vi si fosse trasformata in materia di arte > pag. XIII. Ma credete voi che egli ci abbia di fatto dato non solo la fisionomia di Aristofane parodiatore degli dei, ma anche quella di Aristofane che nelle sue Commedie persegue un ideale etico a favore della patria e quindi della religione, dacché religione e patria son tutt’uno nella città antica? Vero è che Aristofane è particolarmente arduo a studiare da questo punto, poiché se è facile coglierlo come riproduttore vivace del pensiero popolare anche nei lati grotteschi e che appaiono demolitori della religione, difficile è invece coglierlo dal suo lato ricostruttivo, indagare quel che in sostanza egli vuole quando mette alla berlina alcuni tipi di dèi e alcuni tipi di uomini più in voga nella vita politica di allora. Ma la difficoltà
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MITI E RELIGIONI DELL’ANTICHITÀ CLASSICA
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non è tale che riesca impossibile, a chi vuol ricostruire la figura religiosa di Aristofane, di farci vedere in lui oltreché un libellista della scena, brioso e piacevole, anche un uomo che ha una convinzione, sa perchè staffila questo o quello, ha insomma un ideale da contrapporre a quello che flagella sulla scena. Sotto questo aspetto le parole con cui si apre il primo capitolo del volume mi sembrano fuori di strada: «La rappresentazione generale degli dèi in Aristofane è condotta in maniera, da rivelare, o almeno da far trasparire, un riposto pensiero di derisione e d’ironia. I passi nei quali il poeta sembra quasi assumere le difese della religione non ci debbono trarre in inganno. Vuol dire che una passione più forte lo muove » pag. 3.
Il primo capitolo del volume mostra che, quantunque gli dèi della patria non siano nemmeno essi rispettati, le staffilate più forti Aristofane le lascia andare contro le divinità straniere: il tracio Sabazio, la frigia Cibele, la traccia Bendi e gli altri dèi stranieri, verso i quali si dirigeva il fervore degli Ateniesi allontanandosi dalle divinità nazionali, son fatti bersaglio ai colpi di Aristofane che li vuol cacciare dalla città e li cacciava di fatto in una sua commedia, ora perduta, le Horae. Il suo odio si concentra specialmente su Dioniso, il dio sceso nei-l’Attica dalle balze di Tracia la cui religione di significato naturistico e di liturgia orgiastica (per l’assimilazione con Sabazio) aveva un largo seguito tra i Greci, perchè interpretava, con i Misteri e le danze frenetiche, il bisogno e l’anelito della devozione popolare. Tutta la prima parte delle Rane mette in dileggio il dio rappresentato come falso e bugiardo. Anche la commedia anteriore faceva di Dioniso il tipo del millantatore, crapulone, donnaiolo, ma Aristofane rincarò la dose negando al dio ogni carattere di divinità. Non nei cori però, perchè in essi si esprime il sentimento popolare, e nemmeno in rappresentazioni del culto, perchè questo ha un valore pratico che il popolo non tollera sia messo in canzone.
Zeus è rappresentato come nemico del genere umano e la sua potenza è derisa negli Uccelli e nel Pluto. Basterebbe affamarlo per trarlo giù dal trono ; ed egli deve ringraziare il fatto che Fiuto è cieco e dona perciò ciecamente ai sacerdoti danaro per i sacrifizi, succulenti. Ma basta che Pluto apra gli occhi e guardi a chi donava per mettere a repentaglio tutta la vita e la maestà dell’Olimpo.
Dagli dèi passando agli eroi Eracle, che pure è un tipo caro alla fantasia popolare perchè forzuto ma buono, gran mangiatore e gaudente ma generoso, è stato da Aristofane messo in ridicolo come grossolano e corto d’intelligenza. Ermete invece è un buffone, avaro, cinico e ghiottone che si rassegna a far da sguattero tra gli uomini pur di aver qualche cosa da mangiare. Prometeo è un ingannatore che pur essendo stato riammesso nell’Olimpo trama contro gli dèi a favore degli uomini. I quali come massimo beneficio tratto dal prezioso dono del fuoco rubato per loro dal titano hanno... la possibilità di far l’arrosto.
Dopo le figure divine è la volta dei santuari, specialmente quello di Asclepio dove, non ostante che Pluto vi ricuperi la vista, il poeta si diletta a beffar l’ingordigia dei sacerdoti e la scioccheria delie pratiche sanatorie ; quello di Amfiarao che gli offre modo di scagliarsi contro gl’indovini che godevano intera la cieca superstizione degli Ateniesi. Invece i Misteri Eleusini, di cui parla nelle Rane, gl' incutono un rispetto molto maggiore, salvo la figura di Dioniso che egli però mantiene sdoppiata da quella di lacco e considera quindi come estraneo ai Misteri.
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Le elucubrazioni poi della teologia che tentano di spiegare i miti in maniera razionalistica o etimologica e le ricerche molto nebulose della scienza sono oggetto costante dei suoi sarcasmi e motteggi a cui in verità, come tutti i giuochi di parole, prestavano un fianco molto gustato dal popolo.
Questo è nel suo complesso l’esame che delle idee religiose di Aristofane ha dato il Pascal, esame che lo porta a concludere come il grande comico « sia interamente pregiudicato in fatto di religione, sia anzi un audace spregiatore delle credenze popolari» pag. 251, e che della religione egli ha un concetto esclusivamente politico per cui « la religione non acquista grazia ai suoi occhi, se non è subordinata all’idea della patria; e quella religione che non vi è subordinata deve essere odiata e cacciata in bando. La maestà degli dèi non viene valutata in ragione della loro creduta potenza, della estensione del loro culto, dell’antichità dei loro templi, della solennità delle loro cerimonie; bensì unicamente in ragione della loro origine: e contro quelli di origine straniera è implacabile la satira del poeta» pag. 252.
Ma ci par che non stia tutto qui. Già, esser sprezzatole delle credenze popolari non significa esser spregiudicato in fatto di religione; e poi dare alla religione importanza in funzione della politica non significa averne un concetto esclusivamente politico, significa piuttosto considerarla dall’aspetto più notevole che avesse nella città antica, in cui la polis e la sua religione formavano un tutto indissolubile come ha luminosamente mostrato Fustel de Coulanges. Catone e Varrone non si diportarono analogamente nei limiti della loro attività e della loro mentalità latina? E la diffidenza mostrata da Roma, nel periodo più latino della sua storia, verso le divinità forestiere Sta forse a deporre per la scarsezza della sua religiosità?
Si aggiunga a tutto questo che trattandosi, nel caso nostro, di un autore drammatico, bisogna sopra tutto tener- conto dell’elemento popolare a cui quello si dirige. Esaminar la religione di Aristofane non è lo stesso che esaminar la religione di Senofane, per esempio, o di Lucrezio. Ora Aristofane ha parlato alla sua maniera degli dèi, non solo stranieri ma anche nazionali, appunto perchè si dirigeva ad un pubblico che a quella satira, a volte arguta, a volte giovialona, era assuefatto dà una tradizione anteriore, che ha origine dalle profondità della sua psiche. Il popolo è religioso nel suo intimo fondo pur essendo burlone alla superficie, ride dei suoi preti e ne mette in burla la veracità e la condotta, ma vuole che presiedano a tutte le cerimonie solenni della sua vita e lo accompagnino fin su l’orlo della sepultura. Sente il concetto di Dio pesare come un destino nei momenti in cui si permette di filosofare su gli altri più che su sè stesso, ma nell'ora dell’angoscia sente questo destino come capace di piegarsi al suo volere e lo prega di dar balsamo al suo dolore e olio alla lampada della sua speranza.
Diremo noi che il medio evo sia stato un’epoca d’incredulità e le sue rappresentazioni sacre una profanazione inventata da anonimi drammaturghi dileggiatori ? Certamente no : eppure anche il dramma religioso medioevale è pieno di burle e di lazzi comici all’ indirizzo dei santi e non ha difficoltà di esercitarsi perfino nel sacro recinto delie chiese. Si legga come il Kraus efficacemente accenni a questo aspetto, rivelatore della psiche religiosa popolare: <1 diverti-
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menti popolari, la burla ingenua potevano allora entrar fin dentro il santuario senza danno reale per la fede della comunità. Nulla, forse, prova la robusta salute morale delle generazioni medioevali, meglio delle feste dei matti e degli asini, meglio dei risus paschales e degli episcopi puerorum ; tutte queste apparenti parodie delle funzioni e dei riti più sacri riempivano, in alcuni giorni, le chiese con grande allegria del popolo e del clero che non pensavano nemmeno a scandalizzarsene.
Ancora, nelle sculture delle cattedrali specialmente su gli stalli corali, gii artisti non esitavano a rappresentare quel che diventano le cose sante in mano di uomini che santi non sono. E’ vero che, in appresso, tali scherzi degenerarono in buffonerie indecenti che i vescovi e i concili dovettero proibire e che riuscirono a limitare ai soli giorni del carnevale » Storia della Chiesa, II, pag. 324 della traduzione francese.
Un analogo fenomeno, fatte le debite restrizioni, si produceva nel tempo in cui lo spiritosissimo Aristofane metteva alla berlina gli dèi nelle sue commedie. L’Ateniese, spirito caustico e motteggiatore per sua natura, tollerava che si mettessero in burla i suoi dèi ma non permetteva ad Anassagora e a Socrate di negarli.
Sotto questo riguardo, felicissimo è il discorso Che il Gomperz immagina diretto da un vecchio ateniese ad un suo amico straniero che incontra su l’Agora a tempo del processo di Socrate : « Per certo, tu non riconosci più Atene dalle sue vie deserte e dal suo porto abbandonato! Ma qual meraviglia? Le nostre disfatte, la perdita delle colonie e dei tributi ci hanno ridotti a un popolo cui non resta più nemmeno la speranza. Invece se vuoi veder fisionomie allegre va a Sparta. Ma la nostra fiera rivale, non ostante la sua vittoria è sempre rispettosa dei padroni dei nostri destini, e dei loro sacri decreti. Zeus non vi è detronizzato ne vi cede il suo luogo al Re Vortice, di cui i nostri esploratori dell’Asia e i nostri sofisti san dirci tante meraviglie. Se una cricca simile osasse mostrarsi a Sparta ne sarebbe subito scacciata con uno di quei decreti di espulsione applicabili agli stranieri. Qual differenza tra le due città! La nostra gioventù è divenuta — e quanto ! — insolente e ogni rispetto religioso si è dele-guato. E i responsabili di tutto questo sono i maestri di sapienza all’ultima moda. E’ vero che Anassagora accusato trent’anni fa di ateismo ha dovuto lasciar la città, e come lui Protagora ; ma il peggiore di tutti è ancor qui : il vecchio Socrate continua gli stessi maneggi d'un tempo, sebbene il nobile Aristofane l’abbia smascherato ormai da circa venti anni... Se, almeno, si fosse occupato solo delle corbellerie di cui abbiamo riso a squarciagola quando si davano le Nuvole1. Se si fosse contentato di contar quante volte la pulce percorreva la propria lunghezza saltando dalle folte sopracciglia del suo degno amico Cherefonte sulla sua testa pelata ! Ma ha fatto di peggio. Ha provato ai giovani che avevano il diritto di battere e legar i loro padri “ irragionevoli ; ” ha attaccato la credenza agli dèi. Del resto, tu parla con il figlio della femmina tracia, con il bastardo Antistene, o con Aristippo di Cirene e vedrai che per loro Atena, la possente protettrice della città nostra è soltanto un nome, un puro fantasma. Alcuni dei suoi discepoli non credono in nessun dio, gli altri uno solo tra gl’immortali. E chi sa che non sia la pazienza con cui abbiamo tollerato questo delitto, quella
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che ha acceso l’ira della nostra patrona e causato i nostri disastri ». /pensatori della Grecia, voi. Il, pagg. 96-97 della traduzione francese.
Questo e non altro è il popolo a cui Aristofane si è rivolto : motteggiatore ma credulo, quasi empio ma superstizioso. Il poeta poteva pur sbizzarrirsi in quegli argomenti in cui il popolo era solito ridere, ma doveva star serio là dove il popolo non tollerava lo scherno : ed è appunto per questo che trattandosi di culto e di misteri Aristofane, come il Pascal stesso rileva, non ride.
Che se dal popolo, passiamo al poeta che ne riflette le idee, non abbiamo motivo di modificare il nostro giudizio. Aristofane senza dubbio interpreta, concreta il motteggio del popolo, ma si sente spinto a farlo con tanto passionale efficacia perchè egli pure si trova nella medesima situazione di spirito. Egli sente che c’è qualche cosa di religioso da salvare se si vuole che Atene sia ancora Atene, cioè la polis autonoma, dominatrice geniale dell'Attica e di tutta la Grecia. Il progresso delle idee ha intaccato il suo patrimonio religioso tradizionale, ma egli intuisce oscuramente che in esso sta la salvezza della patria. Non sa rispondere alle critiche dei filosofi, ma sente che gli dèi son necessari alla struttura politica e morale del suo paese. E per questo si adira tanto contro Euripide che delie nuove correnti religiose è l’esponente più insigne. « Anche quando schermisce i miti degli dèi — osserva egregiamente il von Christ — egli è mosso dall’intento di conservare integralmente [pnverkìirzt erhalterì) l'ideale etico degli esseri eroici e divini con i suoi effetti pedagogici: l’antica energia, la semplicità, la pietà; giacche appunto dalle verbali storpiature della retorica dalle speculazioni e fallacie della sofistica egli teme la rovina della patria ». Geschichte der griech. Letteratur, I, pag. 412. Nelle Nuvole è nobilmente presentato il ricordo dell'educazione degli antichi tempi e dei vantaggi che presentava per il corpo e per lo spirito; e il coro, che è poi la voce del popolo ed esprime la morale della commedia, si esalta all’evocazione mirabile e grida con slancio di ammirazione:
Che dolce fior di senno, o tu che ai vertici sommi saggezza ergevi, dal labbro aliti! Beati quei che ai tempi andati vissero!
(Trad. Romagnoli).
Mi pare che questo rovescio della medaglia bisognava meglio illustrare affinchè il saggio del Pascal (cui nocciono i troppi errori di stampa) potesse a buon diritto intitolarsi intorno alla « religione » oltreché alla « parodia religiosa » in Aristofane. L’A. vi potrà tanto più facilmente rimediare in quanto a lui non mancano nè l’erudizione, nè la volontà di metterla alla portata del pubblico.
Le credenze di oltretomba nelle opere letterarie dell'antichità classica.
Pure di Carlo Pascal è un’opera in due volumi su Le credenze di oltre tomba nelle opere letterarie del?antichità classica, Catania, Battiate, 1912, inserita come l’altra su Aristofane nella « Biblioteca di Filologia classica » da lui diretta: « Il mio libro vuole essere una breve storia riassuntiva delle trepidazioni e delle
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speranze che travagliarono ed esaltarono per millenni l'anima umana > (I, pag. IX). I?A. si è voluto in questo riassunto limitare al campo letterario: nondimeno ha radunato una copiosa messe di notizie disponendole in tanti capitoli che Stanno come parti a sè senza che vi sia una profonda elaborazione del tema. Del resto il P. stesso dice che il suo è un rapido abbozzo. E che sia rapido lo dimostra anche la fretta della impressione tipografica che ha conservato molti sbagli di stampa imputabili al proto e parecchie incertezze di citazioni ed errori nei quali il proto non c’entra più. Mentre invece in opere come queste, di severa divulgazione scientifica, la esattezza rigorosa fino alla pedanteria è necessaria per dare l’esempio del modo come si deve lavorare, esempio di cui fra noi v’è innegabilmente bisogno. Perchè per esempio le Nuove pagine del Chiappelli sono una volta - ed esattamente - sul cristianesimo antico, due altre inesattamente di cristianesimo antico? Perchè lo studio del Frova su l’oltretomba nell’arte etrusca è fatto pubblicare una volta sul « Rinnovamento » e un altra sul «Rinascimento»? E come non correggere l'errato Caefore con Coefore, Patuleius con Patuleius, Prostverta con Postverta, Atlandide con Atlantide, Massebreau con Massebieauì Queste mende se non pregiudicano il valore sostanziale dello studio, nuocciono però al credito della « Biblioteca di Filologia classica ». Più gravi senza dubbio sono gli appunti che si possono muovere al P. per i suoi ravvicinamenti con il cristianesimo che peccano di soverchio facilismo e portano più di una volta indicazioni inesatte. Ma questi saranno rilevati a mano a mano che c’inoltreremo nell’esame dell’opera.
Il primo capitolo espone il concetto che del fato mortale ha avuto l’antichità classica, di quel fato che incombe su le reggie e su le stamberghe e di fronte a cui l’uomo si è atteggiato a speranza fidente, o a sfiducia seguita da un concetto edonistico della vita presente. Vive dum vivis. Segue una descrizione generale del mondo infero o Ade, della sua topografia, della sua flora (asfodelo, cipresso), dei suoi guardiani. Sovrani del mondo infero sono Ade (Plutone) e Persefone; il culto di Persefone cominciò ad aver ampia diffusione dal sec. Vii in giù grazie ai Misteri orfici ed eleusini, poi cede di fronte a quello di Ade che nei grandi tragici del sec. v ha una menzione molto più frequente che non quello di Persefone. Questo però riprende il sopravvento durante l’epoca alessandrina, e di fatti a quest’epoca va ascritto il maggior risalto dato alla leggenda d’Orfeo. Ermete è il ministro degli dèi e guida le anime nell’Ade (psicopompo) ; Thanatos è anch’esso un dio della morte, completamente tratteggiato come tale neH’Alcesti euripidea dove figura come signore degli dèi inferi ed è rappresentato mentre beve vicino alla tomba il sangue delle vittime. Nel mondo romàno egli si chiamerà Mors, Fatum, Letus. Orco è una figurazione popolare assimilata fin da Plauto alla divinità della morte.
La religione dei sepolcri è grande nell’antichità classica e su le tombe si scrivono parole buone di augurio per il defunto. Grave sacrilegio è il violarle e per questo sono messe sotto la protezione degli dèi Mani. Questi son concepiti come guardiani di ogni individuo, in numero di due, uno buono e uno malo, e vengono considerati come l’anima stessa dell’individuo. Come tali son tenuti e venerati, ma la loro menzione su le tombe (D. M.) comincia solo sul cadere della repubblica.
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Come su la terra vi sono per l’uomo due vie, quella del vizio e quella della virtù, efficacemente simboleggiate dalla favola di Ercole al bivio, così nell’oltretomba son tracciate due strade, una che mena verso la beatitudine, l’altra verso i tormenti. Tale dottrina ha avuto molto rilievo presso gli Orfici e dagli Orfici l’hanno presa le scuole filosofiche. I Pitagorici si figuravano queste vie a foggia di un’ Y detta perciò lettera di Pitagora, nella quale l’asta della base simboleggia l’adolescenza, in cui tutti battono la medesima via; e delle due aste convergenti, la più larga simboleggia la via del vizio, la più stretta quella della virtù, strade per le quali gli uomini s’incamminano dopo varcata l’adolescenza. Questo forse ha fatto pensare a una triplice partizione delle vie della vita, a un trivio \triododj che poi si è riflesso anche nel mondò infero. La dottrina delle due strade si trova anche nel cristianesimo, per esempio nella Didachè, che l’A. ha torto di chiamare un piccolo compendio di dommatica cristiana mentre è esclusivamente etico e disciplinare; come ha torto di fissarne al 1873 scoperta che avvenne nel 1883. Sarebbe del resto da vedere se non sia esclusivamente l’ambiente giudaico quello che ha fornito alla Didachè e agli altri documenti cristiani che l’A. cita, l'idea molto ovvia delle due vie.
Giunte nei regni di oltretomba, le anime venivano giudicate e ricevevano la sanzione delle azioni compiute nel mondo, specialmente in grazia delle influenze orfiche e pitagoriche. Platone parla a lungo e in più luoghi di questo giudizio delle anime. Il viaggio dell’oltretomba è senza ritorno e le pène per i dannati sono eterne. Però la tradizione ricordava che alla discesa all’ inferno del cantore Orfeo vi fu una sospensione dei tormenti: tradizione che si ritrova anche nel cristianesimo in occasione della discesa di Cristo all’inferno.
Ma non nel solo Ade si compie la vendetta delle colpe commesse: anche su la terra vi son le dee che ne sono ministre: le Erinni, le Keres, le Arai, talora lo spirito stesso dell’offeso. Una delle conseguenze di tali persecuzioni vendicatrici è la pazzia del perseguitato, pazzia che finisce per esser ritenuta dalla coscienza popolare come provocata dagli dèi stessi al momento della colpa. Tutti i tragici greci l’hanno intesa così. « Quando l’ira degli dèi colpisce alcuno, per prima cosa gli toglie il senno». Cosi un ignoto poeta greco (framm. 296 Nauck) che traduce quasi la sentenza : « Quos vult perdere Deus dementai ». La colpa, pertanto porta in sè stessa la sua pena: idea morale che poi finì per escludere la credenza nella funzione ultramondana, considerata come una favola dalla filosofia;
In Omero si ha dell’oltretomba una descrizione antica ma notevolissima nella celebre Necìa o viaggio di Ulisse nell’Ade. Vi si possono distinguere tre fasi : i° Le anime sono ombre scolorite, immagini {eidola} di quel che furono un giorno e si appagano del sangue che dà loro un po’ di forza vitale e le fa parlare il vero; 2° le anime non sono più povere ombre ma piene di un vigore che diviene strumento della vendetta divina. Così Sisifo deve voltolare con il petto su un macigno. Si tratta di una sanzione morale, frutto di dottrine orfiche, che rappresenta un’aggiunta posteriore al concetto omerico primitivo ; 30 queste influenze orfiche si rendono più sensibili nel passo relativo ad Eracle, il quale da una parte è presentato come un mero fantasma che si diletta, nell’Ade, a saettare ; dall’altra è schierato tra gl’immortali a dilettarsi della giovinezza di Ebe. Questa
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duplicità eraclea risponde alla triplice divisione orfico-pitagorica del composto umano in corpo, ombra, ed anima: il corpo che rimane alla terra mentre l’anima (detta poi anche mente) risale alla sua sfera celeste e l’ombra resta sempre sopra terra o nell’Ade.
Questi concetti seno espressi anche nell’arte figurata che rappresenta con un uccello l’ombra del defunto, e con una figura di colorito bruno e di piccole dimensioni l’anima. E qui sarebbe stata opportuna, oltre a quella di pitture vascolari, la menzione del sarcofago di Maghia Triada che su una delle fronti laterali porta appunto riunite insieme la figura dell’uccello e quella dell’anima, bruna, che fa sul carro tirato dai grifoni il viaggio di oltretómba.
11 concetto della beatitudine dell’anima, che riceve una vera apoteosi mistica dopo la morte di fronte all’umbratile ed oscura esistenza destinatagli dalle concezioni più antiche, è strettamente orfico e le laminette orfiche nuovamente edite dai Comparetti (e di cui abbiamo parlato più sopra) ci sono documento prezioso di queste rovesciate concezioni di rapporti tra la vita e la morte : la vita presente è un’ombra pallida e dolorosa della vera vita piena di gioia e di luce che si ha dopo il trapasso. Questa vita si gode in luogo separato ed è privilegio dei soli iniziati che hanno saputo guadagnarsela mediante le pratiche purificatrici.
L’Ade ha sempre eccitato la fantasia dei poeti; molte sono perciò le descrizioni di discese (catabasi) agl’ inferi. Parecchie sono ora perdute tra cui quella di Orfeo che nella redazione alessandrina ebbe il tono patetico di passione d’amore; parecchie sono conservate, tra cui, oltre la Necìa omerica su ricordata, abbiamo la discesa di Enea nel sesto te\\‘ Eneide, della Zanzara nel Culex, di Scipione nelle Puniche. La commedia attica antica aveva rappresentazioni di catabasi, di cui ci è solo rimasta quella di Dioniso sotto le spoglie d’Eracle nelle Rane di Aristofane. Ma Luciano che della commedia attica è tributario, nei suoi Dialoghi dei morti mette in scena l’Ade con Pluto, Persefone, Ermete, Caronte, ecc., secondo la concezione tradizionale.
Come visione dell’oltretomba è celebre il Somnium Scipionis di Cicerone in cui l’Africano Maggiore appare in sogno al Minore e gli mostra come solo nell’oltretomba sia la ricompensa dei buoni. Primo ispiratore di Cicerone fu Ennio che nel proemio degli Annali induce Omero a fargli rivelazioni su la natura delle cose e su la metempsicosi; e suo modello è stato — come plausibilmente dimostra il P. —-1’Hermes di Eratostene che contiene tutti insieme quegli elementi che si ritrovano pure nel Somnium, cioè la descrizione della Via Lattea, delle otto sfere celesti che girano attorno alla terra, dell’armonia delle sfere, delle zone terrestri.
Accanto alle visioni appaiono le narrazioni dei redivivi : due esempi celebri ne registra Plutarco ; uno nel Genio di Socrate : Timarco da Cheronea si reca nell’antro Trofonio per consultare l’oracolo sul demone di Socrate e vede isole numerose e splendenti e poi un precipizio tenebroso donde escono lamenti e sopra del quale scorge stelle, che sono le anime, che tendono verso l'alto più o meno a seconda della partecipazione della loro anima (o mente) alle miserie del corpo. L’altro esempio plutarchiano si trova nella Tardiva vendetta degli dei : Terpesio uomo dissoluto, muore in seguito ad una caduta ma dopo tre giorni ritorna in vita e cambia radicalmente condotta in seguito alla visione che ha avuto dello
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stato delle anime nell'altra vita. Egli ha veduto le anime buone a guisa di stelle e splendori vaganti con vario moto, le anime cattive recanti in dosso le cicatrici e il colore delle colpe commesse, fino a completa espiazione. Ministra della giustizia vi è Adrasteia coadiuvata da Diké e dalle Erinni. In fine, l'A. inserisce un’appendice che contiene un elenco delle visioni ed apocalissi cristiane che dice di aver tolto dal Norden, Aeneis BucA, VI, pag. 9,
Non abbiamo ora l’opportunità di riscontrare il Norden : certo, però, alcune delle citazioni riportate dal Pascal sono errate. Così il testo della Pistis SopAia è detto etiopico mentre è copto e questo errore si ripete a pag. 145, n. 6. E lasciamo andare che in un libro uscito nel 1912 invece dell’edizione del Petermann che è del 1851, si poteva citare quella di C. Schmidt del 1905 la cui traduzione cambia, e in alcuni punti radicalmente, l’interpretazione del 1851. Più sotto il libro di Jeu diventa il libro di Jesu. Finalmente le parole che chiudono detta appendice. «Del resto tutte le apocalissi cristiane han sentito l’influenza più delle correnti gnostiche e neoplatoniche che delle apocalissi ebraiche» II, pag. 60, rappresentano una vera eresia critica. Le apocalissi cristiane dipendono stretta-mente dalle giudaiche a cominciar da quella canonica di Giovanni. Non conviene poi fare un sol fascio di scritti che appartengono a correnti escatologiche foto cacio diverse, come sono p. es. la Pistis Sophia e \'Apocalissi di Esdra. Ed è appunto questo errore iniziale che ha indotto l’A. alla sua errata asserzione finale.
La più celebre catabasi latina è quella di Enea descritta nel libro sesto del-\'Eneide e dall'A. paragrafata nel capitolo XVII della sua trattazione. Imitatori di ’Vergili© sono l’autore del Culex che fa varcare all'anima della zanzara le soglie del mondo sotterraneo e Silio Italico che nelle Puniche introduce Scipione nell’inferno sotto la guida della Sibilla cumana. I Campi Elisi, soggiorno di beati, sono posti in un’isola dove si gode la temperie del clima e Pubertà della terra Anche l’Atlantide, la Meropide e altri territori utopistici son concepiti come isole in mezzo al mare. Ma vi sono anche esempi di Elisi di origine orfica, descritti da poeti come Aristofane nelle Rane e Vergili© nel Sesto Eneide e da filosofi come l’autore del dialogo pseudoplatonico AxiocAos.
Non manca tra le credenze dell’oltretomba classico quella del purgatorio e ce la fornisce Platone nel decimo della Repubblica, dov’è narrato il mito di Er, guerriero armeno caduto in battaglia, il quale scende in un luogo dove sono i giudici delle anime, e di queste vede talune muover beate per la via destra al cielo, altre tristi per la sinistra in basso dove sirecano a scontar una pena dieci volte aumentata e rispondente sempre al genere della colpa. Questa idea del purgatorio è di origine orfico-pitagorica, come orfica è l’idea della purificazione (catarsi) in vita e dopo morte.
Una serie di concetti affini ai precedenti è quella che riguarda la distruzione e rinnovazione delle cose. Già Eraclito aveva concepito la distruzione mediante il fuoco {ecpirosi\y e la sua idea fu raccolta dalla scuola stoica che da questo incendio universale sosteneva dovesse derivare un rinnovamento completo delle cose e dell’umanità. Come l’universo così anche la vita del corpo è destinata a ricostituirsi secondo gli stoici: ma non così la intendono gli epicurei che pur ammettendo Vecpirosi sostengono che solo casualmente, nelle svariate disgrega-
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zioni della materia, sia possibile il raggrupparsi dei medesimi elementi nella identica maniera.
Le grandi anime degli uomini pii dopo la morte hanno assegnata una sede speciale, per comune consenso, espresso dai poeti e dai filosofi, sede che ben presto si concreta in quella celeste. Le correnti astrologiche poi vogliono che l’anima si tramuti addirittura in una stella: la Via Lattea per esempio è soggiorno delle anime grandi. Tra queste son compresi oltre gli eroi anche i poeti ; e i poeti latini dell’età augustea si augurano la sorte beata apertis verbìs.
Questa immortalità era tradotta in simbolo a beneficio degl’ imperatori mediante un’aquila che si staccava dalla pira dove bruciava la salma dirigendosi verso il cielo e veniva poi raffigurata sui monumenti sepolcrali.
Per i cristiani l’uccello simbolico era la Fenice, simboleggiante la risurrezione della carne.
Questa serie di concetti porta l’A. a parlare, nell'ultimo capitolo, dell’apoteosi di Cesare e di Augusto. E qui il P. si dà un po’ l’aria di rivelar cosa che sia sfuggita all’esame degli studiosi, mentre da trentanni almeno a questa parte tutti quanti hanno trattato dell’apoteosi e in genere del culto imperiale, hanno relegato tra la roba da ferravecchi le ragioni della viltà e dell'adulazione umana e vi hanno posto quelle correnti di pensiero sociale-religioso, cui il P. accenna di poi. Egli però non riesce a dimostrar con chiarezza l’assunto: Io perchè si è diffuso su l’episodio della divinizzazione di Cesare e di Augusto, trascurando di rilevar cóme questa avesse una radice nelle credenze funerarie dei romani ; 2° accenna troppo superficialmente all’elemento di primo ordine arrecato dal-l'Oriente al concetto della deificazione imperiale, concetto abilmente sfruttato da Augusto, la cui posizione politica di fronte al culto imperiale non sembra sia stata ben compresa dal prof. Pascal.
In complesso abbiamo dunque un’opera che fornisce ai lettori un notevole cumulo di notizie preziose e che più accurata nella compilazione, più scevra di nèi, più meditata in alcuni punti, sarebbe riuscita doppiamente utile e si sarebbe distinta come opera d’insigne valore nella grama schiera dei libri dedicati, in Italia, alla cultura critico-religiosa.
Gino Montalbo.
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INTERVISTA COL DR. RENDEL MARRIS
SCOPRITORE E EDITORE DELLE “ ODI DI SALOMONE „
DUE PAROLE DI PRESENTAZIONE.
HI è il dottor Rendei Harris? Sarebbe più agevole dire che cosa egli non è. Mettendo un po’ a fascio, e non in perfetto ordine gerarchico, gli aspetti sotto cui io lo conosco di più, egli è uno splendido giocatore di « lawn-tennis > (quante volte ho dovuto rispondere al suo invito : « Non sono più giovane abbastanza per giocare ! », con tutto che fra noi due corrano una trentina d’anni); lo scopritore ed editore di una ventina di preziosi manoscritti di letteratura cristiana primitiva; un
burlone di prima riga e su tutte le righe, tanto che ho inteso qualcuno definirlo: « L’unica persona che riesca a scherzare anche quando prega sul serio » ; un viaggiatore intrepido, ed esploratore di tutti gli angoli di tutti i monasteri, di tutti i monaci di tutte le Aràbie e Sirie e Mesopotamie di questo mondo ; un gran bello e simpatico uomo, idolo di tutti gli studenti del Settlement di Woodbrooke di cui è il fondatore (i), l'anima, il sorriso, e il cui unico torto è di portare un nome che potrebbe far sospettare che egli sia inglese, come di nascita, così di spirito, cioè appartenga ad una sola nazionalità definita ; è un miliardario ... di idee geniali, di scoperte filologiche, di osservazioni critiche, d’intuizioni feconde che sparge a profusione e con la noncuranza da gran signore, con la sua penna sempre in moto e nelle sue incantevoli conversazioni private non meno che in quelle pubbliche, — da non profanarsi con l’epiteto di « lezioni » ; — un venerabile fanciullo che, come tutti i fanciulli, non ha alcun merito dei suoi eroismi, di cui non si accorge, nè dei sagrifizi che in realtà non sembrerebbe abbia mai fatto, visto che la serenità e la pace sono sepolte nel suo spirito a profondità tali ove le tempeste della superficie non inviano alcun eco ; un poliglotta, un innamorato
(i) Una delle caratteristiche di questo Sei tlente» l è la convivenza in esso di giovani di ambo i sessi che lavorano insieme in forme varie di studio, di Social Service, di educazione. E’ nel suo spirito e organismo un’istituzione unica, come unico è lo spirito di colui che lo ha ideato.
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DR. RENDEL HARRIS
[1913 - V.]
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INTERVISTA COI. DR. RENDEL HARRIS
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della musica e dell’arte, e quindi dell’Italia, un uomo « senza fede e senza timor di Dio», perchè non conosce che l’amore; un anarchico, perchè non conosce altra legge che la sua coscienza; e per finirla, senza pretendere di esaurire la litania, egli è un «Friend», un «Amico», ed un amico entusiasta di tutto ciò che è bello e puro e grande... ed anche di ciò che è brutto e piccolo e sordido, perchè egli non crede al male e lo « vince col bene ». Il Dr. Harris non è «di questo Mondo».
Nel suo studio foderato di libri, — in gran parte opere sue, — in quelle indimenticabili serate d'inverno che per due anni ho avuto il privilegio di gustare a solo con lui — cioè, in compagnia di Dante, che egli adora, e di Milton troppo « respectable » per me — ho avuto più volte occasione d’intrattenermi anche del più prediletto dei membri della sua numerosa famiglia di manoscritti «dati da lui alla luce e generati in Cristo», delle «Odi di Saio-mone » la cui critica testuale ed il commento facevano l’oggetto del suo corso ad Woodbrooke, al quale contemporaneamente assistevo. Con quale religiosa devozione ed emozione mi mostrò il suo beniamino di carta, coperto di sgorbi Siriaci, che dovevano nascondere tesori ben preziosi, perchè lui, un « Friend », vi stampasse sopra un devoto bacio giubilante, come un... cattolico qualunque. E mi raccontò alcuni particolari della scoperta. Ritornato in Inghilterra dopo una delle sue solite incursioni in un monastero della Mesopotamia, sulle sponde del Tigri, e relativo saccheggio di qualche pacco di quei vecchi manoscritti che quei monaci ignoranti trovano sì preziosi per accendere il fuoco, se ne stava un giorno, quasi due anni dopo, melanconicamente rovistando le sue spoglie, e constatando che proprio non erano buone ad altro che ad alimentare il suo caminetto. Quando si accorse ad un tratto di aver provato un senso di ricordo : le frasi che erano cadute sotto i suoi occhi, egli le aveva nella memoria, le aveva lette altrove... studiate... si trovavano nella Pistìs Sophia, bizzarro libro gnostico del secolo ni. Un primo confronto di parallelismo mostrò che parecchie delle citazioni incorporate in quest’opera, sotto l’appellativo di « Odi di Saio-mone », si trovavano nel manoscritto, il quale da ulteriori indagini risultò non essere altro che la versione siriaca dell’antichissima e venerata raccolta citata sotto questo titolo apocrifo anche da Lattanzio, e da numerosi canoni e cataloghi dei primi secoli. Pochi mesi dopo, il prezioso gioiello veniva alla luce nellW/tó» princeps di Cambridge, e quasi contemporaneamente in una edizione popolare che giungesse, come dice l’Harris nella prefazione, « a quegli uomini e donne comuni che sanno meglio come si cantino degli inni che come si traduca un vecchio manoscritto orientale ». Perchè l’Harris è un formidabile prò-selita, e assai aggressivo : egli vuol conquistare al suo spirito di gioia e di pace, con la poesia d’esultanza e di tripudio che spira da ogni sillaba delle Odi. « Essi sono canti primaverili » — egli dice — «ed insieme canti di oscurità e di alba. All’udirli, non si dice: “questo è il canto dell’usignolo,” bensì “questa è la voce di un Cristiano primitivo...” Sono canti spirituali che hanno delle vedute sopra la stessa nostra vita. Venite alla finestra, e vedrete una terra ricca di grano, di vino e d'olio, in cui crescono le promesse divine e si diffonde la gioia del regno dei Cieli: e gli uomini esultano nel Cristo loro Signore e gioiscono nel Dio loro Salvatore. Ho io torto di sperare che questo libriccino tratto così
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inaspettatamente dall’oscurità alla luce meridiana, sia uno dei mezzi scelti da Dio al dì d’oggi per ricordarci le grandezze della nostra vocazione e le ricchezze della sua gloria?»
Rendei Harris non si è male apposto quanto all’accoglienza e all’efficacia spirituale esercitata dalle Odi', solo in un punto l’esito ha superato l’aspettativa. «Non mi aspettavo» — egli mi diceva col suo ineffabile riso — «un tale esercito di sciacalli della critica avventatisi contro un osso: è vero che il boccone è ghiotto!» Ed infatti gli articoli di riviste ed i volumi provocati dalla comparsa delle Odi si contano ormai a centinaia: la traduzione di esse ne è stata fatta in quasi tutte le lingue europee, ed è solo per un insieme di circostanze, che poi si riducono ad una principale, la incapacità, salvo eccezioni, dei nostri editori e intellettuali in genere a distinguere fra il ciarpame e i gioielli della letteratura religiosa, se si è giunti cosi in ritardo a pubblicarne una traduzione italiana.
L’Harris, a mia richiesta, annuì con piacere e liberalità assoluta alla mia proposta di fare io conoscere le Odi a quelli che egli chiama : « i miei cari Italiani », e mi lasciò piena libertà sulla scelta del modo e della forma opportuna. Mi accingevo a recarmi da Londra a Birmingham, per comunicargli, mesi or sono, la cortese e degna ospitalità offerta dal Bilychnis alle sue Odi, quando un suo biglietto mi annunziò : « Parto domani per Costantinopoli, per vedere che cosa si può fare per i nostri fratelli appestati ». Era una delle sue ragazzate : non c’è Che dire ! Che sia tornato sano e salvo dopo qualche mese di tale villeggiatura, in mezzo agli orrori del colera e della guerra, ora è un fatto, ma non fu, lo confesso, la mia previsione, nè forse quella della sua illustre ed eroica consorte, Mrs. Hellen Harris. Alcune settimane fa mi trovavo a lavorare al « British Museum », nella biblioteca nazionale, che novera, per chi non lo sappia, quattro milioni di volumi: stavo appunto occupandomi delle Odi, quando mi vidi innanzi proprio lui, l'amabile Dr. Rendei Harris, reduce da Costantinopoli allora allora. Passo sulle accoglienze « oneste e liete » e sul « lunch » che avemmo insieme.
« Dottore » — gli dico — « questo suo accorrere come un’aquila qualunque, ogni volta che fiuta stragi e carneficine, è un vero invito e una provocazione a commetterne, e quindi non è punto conforme allo spirito dei “ Friends: ” lei obbligherà noi buona gente di Roma a farne qualcuna grossa assai, se vogliamo attirarla fra noi. A proposito, una buona notizia! E’ contento che le sue Odi compaiano in veste italiana sul Bilychnis? Sa?... la rivista edita dalla Facoltà della Scuola Teologica Battista di Roma?» «La conosco! Contentane ! benissimo! Noi “ Friends, ” ed io in particolare, siamo ottimi amici dei Battisti, coi quali, a parte la loro insistenza su alcune forme di ritualismo a cui noi non annettiamo la stessa importanza, abbiamo tanta affinità di spirito ! » «A proposito, Dottore, la riverisce il Dr. Clifford, il ministro Battista... » « Ah! il Dr. Clifiord! lo ha conosciuto? Ma è uno dei miei più cari amici, e commilitone nella lotta contro l’insegnamento “ confessionale ” nelle scuole, da lui diretta, e condotta con la resistenza passiva (rifiuto di pagare le tasse a ciò dirette, ecc.) (i). Sento
(i)«Ogni anno ricevo una visita dell’esattore», — mi diceva con uno scroscio di risa un giorno il Dr. Harris, — « che mi sequestra ora una sedia, ora una pentola, ora un libro, perchè
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che i Battisti lavorano bene in Roma, e ne sono contento : apprezzo sopratutto l’atteggiamento da essi preso e la tattica della loro azione in Italia; non di proselitismo confessionale, ma di contributo alla grande opera di risveglio religioso e cristiano: "perdersi per ritrovarsi!” Ho letto il volume: “I Battisti, ” edito recentemente dalla Facoltà Battista di Roma : molto buono ! » « Dottore, non le pare che lo spirito delle Odi abbia speciali affinità con quello appunto dei Battisti ?» « Ma certo ! Le Odi sono la più antica glorificazione in poesia dello spirito Battista ! Io chiamerei addirittura le Odi : " Un documento primitivo di Cristianesimo Battista. ” Specialmente poi se la interpretazione del Dr. Bernard, che vede nelle Odi i cantici intonati dai cristiani primitivi nell’atto del battesimo dei novelli cristiani, è giusta, allora non resta che chiamarle: Le Odi Battiste*. « Povero Salomone spodestato ! » gemetti io ; e : « Dottore ! ben inteso, che, in mancanza della fotografia di Salomone, faremo figurare lei sulla Rivista, per introdurre le signorine Odi ai lettori! E... Dica! Due parole di presentazione anche, le vorrà dire, cioè, scrivere, per i suoi “ cari Italiani ” e “ amici Battisti? ” Proprio due, sa?» «Eh? Sì, si» rispose un po’annuvolato, e lasciando intravedere il pio desiderio di potersi dimenticare la promessa e di non sentirsela più ricordare. Ed io, per quanto non abusare della bontà del Dr. Rendei Harris sia una specie di « peccato contro lo Spirito Santo », ho creduto che in fondo, il dialoghetto qui riferito potesse dire abbastanza agli editori e ai lettori di Bilychnis quali siano i sentimenti dell’Harris verso di loro, e che ora resti solo ad essi di gustare e assaporare uno dei capolavori umani di poesia religiosa, e, se intonati alla stessa nota armonica, vibrare intensamente con essi, e « sentire nelle loro membra lo spirito del Signore che parla, e parlare mossi dal suo amore, come le corde di un’arpa che parlano quando la mano le sfiora » (Ode 6a). Il Dr. Harris e il suo traduttore avranno così raggiunto il loro scopo.
Londra, 31 maggio, 1913. ASCHENBRÖDEL.
mi rifiuto di pagare le tasse per mantenere scuole Cattoliche e Anglicane. Chi si stancherà prima? Io no!».
NOTA BIBLIOGRAFICA,
Il Dr. Rendei Harris durante il suo lungo corso d’insegnamento nelle Università di Cambridge, di Baltimore (John Hopkins), ed ora nel SetUemenl di Woodbrooke (Selly Oak— Birmingham), ha edito manoscritti numerosi e preziosi, e pubblicato opere varie di erudizione, di edificazione, di pietà. Cito qui solo alcune più importanti :
Teaching of Aposlles (La Dottrina degli Apostoli), 1886.
The Apology of Aristides (Apologia di Aristide), 1891.
Fragments of the Commentary of Ephrem Syr us upon the Diatessaron of Tatian (Frammenti del Commentario di Efrem Siro sul Diatessaron di Taziano), 1895.
The Pour Gospels in Syriac Transcribed from the Sinaitic palimpsest (I Quattro Vangeli in Siriaco trascritti dal palinsesto del Sinai), 1894.
The Gospel of the Twelve Aposlles, together with the Apocalypses of each one of them.
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Edited from the Syriac M. S. (Vangelo dei dodici Apostoli, con le rispettive Apocalissi di ognuno. Edito dai M. S. Siriaco), 1900.
The Story of Ahikar, ecc. (La storia di Ahikar, ecc,), 1898.
The Acts of the Martyrdom of Perpetua and Felicitas; the original Greek text from a M. S., ecc. (Gli Atti del Martirio di Perpetua e Felicita; testo greco originale da un M. S., ecc.), 1890.
Biblical Fragments from Mount Sinai, 1890.
The Dioscuri in the Christian Legends (Castore e Polluce nelle leggende Cristiane), 1903.
The Cult of the Heavenly Twins (Il culto dei Gemelli Celesti), 1906.
The Ödes and Psalms of Solomon, ecc-, 1909.
E’ imminente la pubblicazione di uno studio d’importanza eccezionale per la storia delle religioni, delle superstizioni e delle mitologie, relativo all’argomento dei Gemelli Celesti, già toccato in alcuni lavori precedenti. Da alcuni saggi esposti nel corso a cui il sottoscritto assistette ad Woodbrooke, sembra poter anticipare che questo studio dal titolo « Boa-nerges » formerà la chiave d’interpretazione dei più antichi ed oscuri miti e leggende, specie Ebraiche. Greche, Romane.
(Aschenbrödel).
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(Continuazione vedi Silychnit, fase. marzo-aprile 19x3, p. X07).
A paura ha certo la sua parte nella religione infantile. Per quanto il bambino creda nella bontà di Dio non ama di sentirsi perennemente spiato; ma la fiducia e l'amore hanno una parte di gran lunga più notevole nella massima parte dei casi, e segue indi in grado di importanza il senso del bene e del male: il bambino prega Dio per essere reso buono, si confessa a lui per mezzo della madre, e ne invoca l’aiuto contro le tentazioni. Secondo l’inchiesta statistica dello Starbuck queste intime esperienze religiose del bambino ricorrono all’incirca in un terzo dei casi;
mentre la credulità e il conformismo per ubbidienza o per imitazione coprono all’incirca la metà dei casi.
La credulità è più comune e dura più a lungo tra i bambini che tra le bambine; queste trovano ed esprimono più di frequente il loro agio, i bambini più di frequente il loro disagio, nelle cerimonie religiose ; è pure tra le bambine che le esperienze di vita religiosa intima si annunziano più presto e sono più frequenti ed esiste un senso più fine del bene e del male; i maschi veggono nella religione una cosa più esterna; ciò è senza dubbio in parte in relazione con lo sviluppo più precoce della donna e col suo maggior senso di debolezza ; ma in parte designa anche nelle donne maggior impressionabilità, più grande immaginazione ed inclinazione ad abitudini di lealtà e fedeltà. E’ notevole in entrambi i sessi la quasi completa assenza, durante l’egemonia della credulità, del senso dell’arcano e della reverenza che, per essere irradiazioni e derivazioni della paura, non sono perciò meno riguardati come elementi importantissimi dell’emozione religiosa.
Questi fatti sono di una grande portata pedagogica, se si tien conto che nella serie dei mammiferi e nella gerarchia delle razze umane la lunga durata dell’infanzia è in relazione col decrescente dominio della rigidità degli istinti e del loro numero; essi ci dicono che questa è l’età designata dalla natura in ¡specie per le funzioni recettive, per la massima assimilazione delle esperienze già compiute dalla specie, sia nella sfera religiosa che in ogni altra, nella psiche come nell’organismo.
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Come s’inizia il processo di disintegrazione dell’autorità? Fino a che le esperienze sono poche, poco ricche e costituite da sistemi psichici su per giù indipendenti, la loro accumulazione può procedere senza che sorgano contrasti. Ad esempio, è possibile, fino ad un certo punto, che nella mente del fanciullo l’autorità del maestro non venga in conflitto con quella dei genitori o dello zio o degli amici; o che la sfera delle sue conoscenze religiose si organizzi indipendentemente da quella, ad esempio, che concerne i giuochi. Ma è inevitabile che questi vari sistemi d’interessi nel loro processo autonomo di espansione e di organizzazione, arrivino, per così dire, a toccarsi e compenetrarsi sempre più ; è inevitabile che parecchie autorità vengano tra loro in conflitto. Un bambino vede il fratello cadere sulla neve ghiacciata e si chiede: Dicono che Dio sia buono; com’è che ha fatto cadere la neve che doveva far sdrucciolare Gianni? Qui è in conflitto l’autorità di adulti con l'esperienza propria. In genere il conflitto fra autorità diverse non fa che sviluppare la tendenza a richiamarsi all’esperienza propria ; l’autorità propria si sviluppa a spese della autorità altrui ; nello scoprire le debolezze e gli errori degli altri il fanciullo prova il compiacimento di chi scopre la forza propria. In questo come in altri campi, ad esempio nel giuoco, il bambino è continuamente e sempre più in cerca di occasioni di provare le proprie forze, di sentirsi crescere, di imporsi a sua volta come una autorità; il suo dubbio è un dubbio fiducioso, come di chi ha in sè una potenza inesauribile di risorse e si sente certo del trionfo.
Questo periodo critico sembra in generale cominciare verso i nove o dieci anni, e raggiungere il massimo di intensità tra i dodici e i quattordici. In esso il bambino si sforza più che può di armonizzare tra loro le varie autorità e di armonizzarle con l’esperienza, e così viene a scoprire il proprio potere di iniziativa, di integrazione di un sistema d'interessi con un altro. Viene a scoprire sempre più sè stesso, a stimarsi sempre più, a non trascurar di consultare anche il proprio parere e le proprie capacità; ei si sente sempre più armato di un grande strumento: la logica. E l'usa a più non posso, coraggiosamente, impavidamente, contro tutto e tutti; ed ai suoi colpi formidabili l'autorità© le autorità esterne crollano, più o meno, l’una dopo l'altra, e sulle rovine di questa Bastiglia dell’infanzia l’individuo proclama la propria indipendenza: il periodo della egemonia assoluta della credulità è passato per sempre.
Ora è rimarchevole l’accordo, notato da tutti gli studiosi dell’adolescenza, tra l’età in cui si ha il subito risveglio delle facoltà razionali e il loro più impavido esercizio tra i bambini e l’età in cui si ha il massimo numero di avventi alla vita spirituale, in cui cioè il bambino coglie il significato di ciò che ha appreso, e fino allora, praticato macchinalmente.
Questo destarsi sembra in media fluttuare tra i nove e i dodici anni, e sembra per lo più coincidere con un arresto di sviluppo, e perfino con un momentaneo declinare della acutezza e prontezza delle percezioni sensibili.
Tenendo conto dell’ulteriore coincidenza con i fenomeni della pubertà, possiamo prendere tutto ciò come segno dell’inizio dell’adolescenza, ossia di un nuovo periodo vitale che va dai dieci ai venticinque anni all’ incirca, e la cui significazione, come già quella dell’infanzia, non ei potrà essere data che dallo studio dei fenomeni che lo caratterizzano.
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E’ nella difficoltà e nell’urto di tante e così contradditorie esperienze, che, come vedemmo, il bambino viene gradualmente ad acquistar coscienza di sè, come pure una forza ed un'autorità almeno pari ad ogni altra. In materia religiosa come in ogni altra a sbalzi egli diviene consapevole della funzione logica dei concetti inculcatigli : d’improvviso egli capisce elle cosa vuol dire Dio, che cosa vuol dire peccato; ha come la subitanea impressione di un velo che cada o di una nebbia che si disciolga, l'impressione di sensazioni nuove, di presenze ineffabili, di paci e riposi misteriosi e deliziosi, di incubi o di tempeste che si sfasciano e placano.
L’anno della massima frequenza di queste esperienze per i casi dello Star-buck è il decimo: queste hanno più di frequente aspetto emozionale nelle donne, morale negli uomini : si tratta essenzialmente di esperienze in cui per la prima volta l'uomo divien conscio del valore delle cose e della vita; e che per il loro carattere improvviso sembrano il ripetersi nell'individuo della transizione dell’animale all’uomo nella vita della specie, sia sotto l’aspetto razionale e volitivo, che sotto l’emozionale.
A questo primo risveglio ne suol seguire generalmente un secondo più mite e meno impetuoso alla distanza di un anno o due, più connesso con i fenomeni della pubertà; ed alla distanza di un altr’anno o due ne suol generalmente seguire un terzo caratterizzato dal fatto che l’adolescente non si meraviglia più delle sue sensazioni, le fa oggetto di riflessione, è pienamente padrone di sè a loro riguardo ed è in pieno fiorire della sua intelligenza e della sua memoria.
I tre risvegli sono tra loro connessi in tal guisa da indicare una progressiva attuazione delle facoltà più elevate: il primo eminentemente emozionale, il secondo volitivo, il terzo preminentemente logico.
Si tratta di energia accumulata allo stato potenziale dalla razza e dall’ individuo nell’infanzia, che chiede sbocco ed utilizzazione. Gli intervalli tra i tre risvegli corrispondono a periodi di indifferenza spirituale, spiegabilissimi sia con la natura ritmica delle emozioni, sia con la quasi simultaneità di risvegli in altri campi di attività che richiamano a sè, quando sono al loro maximum, quasi tutta l’energia disponibile.: sia con lo stato di instabilità creato nella mente e nell’organismo da tutto questo scatenarsi di nuove forze e dalle loro azioni e reazioni reciproche. Dopo ciascun intervallo ci si trova ad un livello vitale superiore: soprattutto nei due primi risvegli predomina un senso di incompletezza e di imperfezione, di sforzo penoso spesso futile per la realizzazione di un ideale; sforzo che intensificandosi diventa il sentimento del peccato, e in seguito ad una ulteriore intensificazione diventa la paura di castighi eterni. Le dottrine teologiche non hanno che una funzione secondaria in questo riguardo: esse anzi acquistano significato alla sua luce, e non ne sono punto o essenzialmente o adeguatamente le cause: individui di liberissima educazione a questa età sono colti dal pensiero della morte, ne provano orrore, vi fantasticano sopra: è un sentimento che sembra nascere spontaneamente dal contrasto tra aspetti dell’esperienza che ci danno il senso delle nostre forze ed altri che ci danno quello delle loro limitazioni e così ci fanno fluttuare tra il finito e l’infinito, tra il noto e l’ignoto: il giovane per mezzo di queste paure esprime lo stato di instabilità e di imperfetta organizzazione del suo essere in via di sviluppo. Un altro sen-
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timento è quello di una certa interiorità cupa, di introspezione morbida e di depressione. Una forma ulteriore e generalmente più tardiva di crisi è Z’angoscia del dubbio, scatenata dall'urto tra i vari sistemi di interessi: scientifici, filosofici, patriottici, estetici, sociali, religiosi, ciascuno dei quali per un certo tempo pretende all’egemonia sugli altri e opera disintegrativamente sugli altri. Tutti questi sistemi d’interessi, tanto più quanto più le nostre cognizioni si estendono, sembrano a questa età gareggiare per fare a pezzi qualche lembo dell’appreso sistema di credenze religiose; e prima che l’equilibrio si ristabilisca, tra i contendenti la lotta dura a lungo ed aspra, penosissima sopratutto quando vengono a contendersi la supremazia l’istinto riproduttivo al suo massimo vigore e la sete di ideale, pure al suo massimo vigore. Quando l’equilibrio si ristabilirà la transizione dell’infanzia alla virilità sarà piena.
In questo periodo tempestoso le donne cercano di salvarsi per vie sentimentali, gli uomini piuttosto esercitando la ragione : la donna cerca un oggetto che la protegga e la ammiri: l’uomo cerca valersi delle armi di cui dispone. E la psiche non è sola a soffrirne: l’organismo intero, sopratutto il sistema nervoso, è soggetto in questa età ad infiniti disturbi : la più apparentemente insignificante delle circostanze può qui decidere dell’equilibrio finale o della finale catastrofe: il dubbio gioioso, la confidenza trionfante del fanciullo se ne sono andati per sempre: il giovane è divenuto scettico, sfiduciato, bisognoso d’aiuto e di consigliò. La tempesta del dubbio sembra normale almeno per tre quarti degli uomini nei paesi civili. Noi dobbiamo qui riconnetterci al conflitto surricordato delle autorità inconsciamente rispettate nell’infanzia. Nella storia ogni cosa che esiste ha la tendenza a dimenticare e a far dimenticare le ragioni, le funzioni logiche della sua esistenza e a presentarsi con l’autorità tutta esterna di un fatto brutale: ogni nuova generazione per altro non può accettarlo che dopo averne riconosciuto più o meno per suo conto il fondamento razionale : ogni giovane si mette pertanto a investigare il fondamento di ogni cosa appresa, con le sue proprie risorse, le sole per lui valide dopo che sotto i lor colpi e quelli della scienza o della critica, le due nuove autorità che appaiono razionali e formidabili, tutte le autorità antiche o quasi tutte son messe in dubbio e spesso scoperte senza fondamento.
Ma presto egli viene a sentire la smisuratezza del compito, la limitatezza delle sue forze, il carattere ingannevole delía logica astratta, la necessità dell’esperimento, la difficoltà di istituirlo, l’urgenza di una critica dei metodi, il carattere provvisorio, limitato di ogni metodo, il valore puramente simbolico di ogni formula, l’abisso che separa la concretézza della realtà vissuta da ogni sua possibile rappresentazione scientifica o filosofica, la mescolanza inesauribile di elementi soggettivi nei dati creduti più obbiettivi : il dubbio lo getta nello scetticismo, nella sfiducia, nella crisi dell’impotenza.
Più di spesso per altro i dubbi sembrano pullulare come a caso: della massima parte dei dubbi, sopratutto le donne, non sanno rintracciare le origini ; talora sono suscitati da subitanee simpatie od. antipatie, da cattiva fortuna, da malattia, da esperienze d’ingratitudine. E’ inevitabile che là religiosità sia l’oggetto centrale dei dubbi : le credenze religiose pretendono darci il segreto
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del nostro destino : ci dicono che Dio può tutto, che è giusto, amante, ascoltatore delle preghiere dei buoni ; quale meraviglia che ogni preghiera insoddisfatta, ogni malattia, ogni disgrazia, ogni ingiustizia individuale o collettiva diventi un argomento contro la fede tradizionale? L’autorità della religione tradizionale sembra così la più debole ed infondata.
Negli uomini il dubbio incomincia per lo più con qualche dubbio di secondaria importanza; ad es. : il diluvio, Giona e la balena; e di qui arrivano a dubitare dell’autorità della Bibbia, e poi per mezzo della scienza e della filosofia, a dubitar di Dio; nelle donne comincia di preferenza dalle posizioni più alte, ovvero volge su tutto il sistema ad un tempo: esse vivono più al cuor delle cose che gli uomini e colgono più prontamente, spinte dal bisogno maggiore di protezione speciale al loro sesso, le posizioni centrali dei problemi vitali. La crisi del dubbio avviene, naturalmente, negli intervalli tra i risvegli religiosi, ossia in periodi di arresto o depressione dell’attività mentale; nelle donne il conflitto delle emozioni prevale su quello delle ragioni, e, in media, la crisi è più tempestosa; negli uomini, in media, prevale il conflitto delle ragioni e la tempesta è mite. In entrambi i casi il dubbio è uno stadio necessario di accrescimento della personalità: èia lotta di energie scatenate per trovare la propria armonia: compito dell'educatore non dev’essere pertanto di sopprimerlo, ma di aiutarlo a trovar la propria soluzione, a superarlo mediante un sincero ed onesto e tenace amor del vero. Il dubbio è un fenomeno che nella sua massima intensità è specifico dell’adolescenza ; anche dopo di questa la novità delle impressioni continua ad agire su di noi; ma essa cessa di riuscire altrettanto angosciosa, i dubbi pullulano meno inesplicabilmente e misteriosamente e cessano di far paura: la mente si mantiene calma di fronte ad essi.
In almeno un terzo dei casi il periodo del dubbio è seguito da un periodo di scetticismo o negativismo religioso più o meno ostinato, spesso cinico e che si compiace nell’aver rotta ogni relazione col mondo e modo di vedere tradizionale, in cui si è stati educati : stadio questo che esprime che l’Io si è costruito una certa capacità di indipendenza di spirito e di ben decisa autonomia di fronte all’opinione degli altri ed alla tradizione. Assai di frequente questa condizione di spirito è un abbandono della lotta interiore per esaurimento nervoso: ciò è sopratutto agevolato dal fatto che nel fragore dell’affermazione di sè mediante la contrapposizione di un nuovo sistema di idee al vecchio, l’adolescente non conosce ancora le limitazioni del nuovo punto di vista, Che gli par quindi più costruttivo di quel che realmente è. Nel vigor delle forze ei non vede negli aderenti del vecchio che degli ignoranti e dei deboli. Egli è incline ad attribuire alle sue ragioni molta forza in realtà dovuta alla sua fiorente e sbocciante personalità.
Il pensiero di sentirsi libero non è pur esso da passarsi sotto silenzio, e può consolare di molta dell’impotenza che si rivela a grado a grado con l’esercizio della pròpria libertà. La tempesta è cessata; il pro e il contro tra l’io e gli altri sembrano bilanciarsi e l’io si compiace nel suo isolamento e nel suo antagonismo, derivando una gioia cinica dallo spettacolo delle rovine che ha fatto intorno a sè.
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Sotto tutti gli intervalli fin qui descritti e i corrispondenti risvegli di attività spirituale, sta, come già dicemmo, il processo di svolgimento di una nuova e più larga coscienza spirituale : il bambino inizia là sua vita incònscio della sua personalità e considerando le stesse sue membra come oggetti esterni; ei beve ed attinge le sue notizie del mondo dalla società che l'attornia e con esse le sue idee religiose e i loro oggetti considerati come meramente tali. Ma viene un momento in cui incomincia a prender coscienza di sè come soggetto, ad agire come tale, a scoprir nuove sfere d’applicazione delle proprie forze, sopratutto a cogliere in un sussulto di tutto il suo essere emozionale, il valore delle cose insegnategli, il loro spirito; ei si accorge vieppiù che molte delle realtà credute esterne gli appartengono. Questo risveglio del senso di sè, questa presa di possesso delle verità religiose apprese è spesso accompagnata da un senso di singolarità : si ha come l’impressione di essere diversi da tutti gli altri, di essere i soli a capire il vero significato di questa o quella cosa; questo senso di frequente si accentua fino al punto da far guardare con disprezzo alle forme religiose convenzionali, come se noi avessimo il monopolio della spiritualità. Un altro sentimento che accompagna questa crescente presa di possesso di sè da parte dell’adolescente è il sentimento della disparità tra il vecchio Io e i nuovi ideali. Ci si accorge di vivere ad un livello assai inferiore a questi ; mercè l’approfondirsi della coscienza di questo dissidio la capacità dell’intuire e dell'apprezzare progredisce assai più della capacità di azione : si vede ciò che si dovrebbe fare, ma manca l’energia per fare ; i centri motori e i centri ideativi sono tra loro debolmente connessi : il senso di questi fallimenti deprime lo spirito, lo volge perfino contro le cose fin lì più amate, gli fa trovar piacere nel beffarsene, nel peccare e poi lo avvilisce col senso del rimorso e della vanità dell’azione compiuta e dello sforzo per resistere alla tentazione.
In parte ciò è dovuto al rapido sviluppo fisico, in parte alla molteplicità di nuovi impulsi che si inibiscono reciprocamente: le rivelazioni della nuova vita sembrano troppe e lasciano perplessi : ciò avviene anche nello sviluppo dèi senso artistico e non è punto speciale del religioso : anche il primo sbocciare del senso artistico, ossia della capacità di apprezzamento, nel fanciullo è, a un certo momento, accompagnato da incapacità ad eseguire. Sopratutto lo spirito è impegnato nel confronto tra il nuovo ideale e il vecchio costume appreso obbiettivato nelle convenzioni sociali. Se tra i due non si riesce a scorgere il nesso, si ha il già esaminato senso di alienazione e perfino di antagonismo con la tradizione e la convenzione: poco meno che metà degli uomini lasciano alfine traboccar la bilancia in favore del costume; poco più di metà si attengono al proprio punto di vista: alcuni pochi rimangono poi per sempre in questa attitudine; i più, dopo un intervallo, più o meno lungo a seconda del temperamento e della misura del dissidio, si decidono a ricostruire : la transizione è tra l’apprensione del significato delle idee e la capacità di tradurla in atti, come fanno gli altri, apprezzandone il valore: ed è transizione dal punto di vista puramente personale al punto di vista sociale, al punto cioè in cui le convenzioni e le tradizioni rivelano il loro significato e ricevono dall’ individuo l’assenso razionale : è il periodo in cui è spesso cara la solitudine, in cui Maometto si ritira nella caverna e
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Gesù va nel deserto : da tale solitudine l’individuo ritornerà ritrasformato in utile e ricca miniera di energie per là società. E’ questo anche il periodo in cui là pazzia, la delinquenza e il vizio scelgono più frequentemente le future loro vittime e in cui, se la solitudine e la meditazione sono utili, possono anche, se eccessive, riuscire fatali e richiedono perciò di essere integrate con qualche forma di intensa attività pratica; spesso il lavoro risolve i dubbi che parevano insuperabili dalla riflessione, sopratutto con l’indurre là specializzazione delle attività e dei fini della vita. Il piacere dell’agire in una data direzione ci vieta di riflettere sterilmente sulle altre.
(Continua).
Angelo Crespi.
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UOMINI DI FEDE
ALLE FONTI DELL’AZIONE
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(NEL CENTENARIO DELLA SUA NASCITA]
OVE sono le fonti dell’azione — dell’azione piena, integrale — dell’azione in cui hanno da fare non soltato i muscoli, ma il pensiero, il cuore... ed anche, giacché dopo tutto, non è vero, essa fa parte dell’uomo, magari come la quinta ruota del carro... la coscienza? Dove sono le fonti dell’azione che esce fuori a fertilizzare il mondo, ma che fertilizza altresì, attraversandolo, l’io donde esce — l’azione che nel compiersi ci fa compiti.
Ci si preoccupa di questo problema che ritorna, sempre
nuovo, e s’impone con insistenza alla nostra generazione, come, per secoli e secoli, s’impose alle generazioni passate il problema delle sorgenti del Nilo — quelle sorgenti lontane, fuggevoli, misteriose, emergenti da quel lenzuolo nero che, sulle carte, copriva il centro dell’Africa, da quelle regioni chiamate la terra dei Leoni, le Montagne della Luna : terra incognita. Ora sta il fatto che Livingstone ha penetrato il mistero africano, è risalito alle sorgenti del Nilo... Ma ciò che mi ha maggiormente colpito nel leggere la sua vita gli è ch’essa è un’esplorazione ancor più ammirevole di quei paesi anch’essi lontani e favolosi dove sono nascoste le sorgenti dell’azione... Seguendo una via tutta sua, dalla quale si godono vedute nuove, pittoresche, grandiose, egli ha di nuovo scoperto le sorgenti dell'azione.
Facciamo qualche passo lungo questa via.
L’azione su se stesso.
Si può dire di Livingstone ch’ei si è fatto tutto quanto da sé.
Uscito da un piccolo villaggio della Scozia, da una povera famiglia (i), non nascose mai le sue origini: « i poveri, la classe alla quale appartengo», scriveva quando era già in vista. Da fanciullo fu operaio in una filanda : ma la sua prima paga gli servì in gran parte per comprare una grammatica latina, e, dopo aver
(x) Garden Blaikie, Vie de Livingstone, liner, Lausanne, 2 voli
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DAVIDE LIVINGSTONE
(1913-V.)
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trascorso nella fabbrica la giornata dalle sei del mattino alle sei di sera, sfogliava la grammatica o il dizionario fin dopo mezzanotte.
Più in là, per divenire il missionario che s’adopera a far rientrare nel mondo civile i popoli incolti dei territori perduti, si diede a raccogliere a dritta e a manca le prime nozioni di chimica, di botanica, di medicina, di meccanica, e fece tale progresso mediante le sue osservazioni e letture, da trovarsi poi in grado di rilevare scientificamente, la geologia, la flora, la fauna e persino il cielo d’Africa. Un giorno l’Accademia di Medicina, la Società Reale di Geografia e la Facoltà di Diritto reputarono per loro un onore d’iscrivere il suo nome nella lista dei loro membri.
Non v’ ha conoscenza pratica, sembra, ch’egli non si sforzi di acquistare ed in cui egli non riesca a divenire maestro.
Costruisce nella sua stazione missionaria una scuola e ne diviene il direttore.
« Comincio a prenderci gusto, io che credeva che a questo non avrei mai potuto adattarmi. Il mestiere del maestro m’era odioso; ma vedo che qui, come in ogni cosa, si finisce per fare con piacere ciò che si cominciò a fare per dovere... ».
Ecco a volo d’uccello la sua vita missionaria: «... Fare il muratore, il giardiniere, il ciabattino, vergare disposizioni, accomodare vasi, tagliar legna, riparare fucili, guarire vacche, mettere in ordine carri, predicare, fare scuola, insegnare quel poco di scienze naturali che conosco e teologia a tre candidati negri, tutto il mio tempo è preso... ».
Ed ecco ancora un sommario d’epoca posteriore:
«... Vangare, piantare, scavar canali, drizzar dighe... Un sermone ogni domenica, ogni due giorni presiedere un’assemblea... Livingstone nei casi difficili è richiesto come medico. Determina le longitudini, osserva, raccoglie, studia i problemi geologici e geografici del continente africano; è immerso nella linguistica...».
Egli moltiplica le sue osservazioni sulla febbre dei paesi caldi, fino a che non sia riscito a trovare il rimedio. Studia la manovra dei battelli ed impara così bene ch’egli stesso firma in coscienza il proprio brevetto di capitano e guida la Perla nella spedizione dello Zambesi...
« E’ il mio dovere, lo compirò >.
Non è ch’ei fosse dotato d’un’intelligenza facile e brillante. Stentò molto dapprima nel predicare; e la Casa delle Missioni a Londra dovette rimandare l’alunno Livingstone per insufficienza.
Quel ch’egli fu, lo divenne mediante il lavoro : « Abbiate il timore di Dio, lavorate fortemente — scriveva più tardi ai figli — quest’è tutto».
« Le opinioni correnti intorno ^\\'aldilà sanno troppo di monastero. Vi sarà del lavoro anche lassù e forse la differenza non sarà così grande come c’ immaginiamo ».
A Luaba, in una regione pestilenziale, Livingstone fece lavorare i suoi uomini la domenica eccetto che. nell’ora del culto. Ne fu rimproverato assai, ma egli considerava l’attività come il miglior rimedio preventivo contro la febbre. Possiamo vedere in questo piccolo episodio il simbolo stesso della sua vita : lo sforzo personale era per lui il vero amuleto contro la febbre che sale dal mondo al cuore dell’uomo.
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Autoformazione. — Padronanza di se stesso.
Ciò che faceva impressione in Livingstone era la calma e la freddezza derivanti dal fatto ch’egli faceva tutto con riflessione, per deliberazione, con risolutezza ; mediante la volontà egli aveva sempre a sua disposizione le proprie risorse fìsiche e spirituali.
« Dopo quasi quarant'anni, diceva un suo amico, ho nell’orecchio e davanti agli occhi la sua andatura, ferma, risoluta, senza fretta e senza lentezza, diritta e divorante il terreno: passi d’uno che vuole arrivare».
< Sino ad ora — scrive Livingstone a Mofiat — mi sono sempre sforzato di pensare per mio proprio conto e di agire conseguentemente. Ho incontrato talvolta persone che avrebbero facilmente accettato di agire per me e che mi comunicavano il loro pensiero con un solenne : « quanto a me io credo...» ; generalmente sono stato ad ascoltarle con l’idea che avessero la testa un po’debole, poiché sembrava Si vantassero di poter pensare e per loro stessi e per me...». < Colui che agisce sotto la propria responsabilità — diceva — è uno schiavo se non agisce dietro l’atto della propria volontà...».
Quando aveva scrupolosamente osservato tutto quello che poteva gettar luce sulla volontà di Dio e che s’era deciso per quello ch’ei credeva essere il dovere, quando aveva una convinzione, non la sottoponeva più alla discussione; vi si teneva afferrato, corpo ed anima, per la vita e per la morte.
Nel momento in cui si decide a muoversi tutto solo verso il centro dell'Africa, dice : « Io ero completamente al chiaro, prima di partire, riguardo al mio dovere. Scrissi allora al mio cognato Roberto: “Aprirò un varco nell’interno o vi morirò? ” Non ho mai avuto il minimo dubbio se agissi bene o no. Il mio desiderio è questo: che l’Evangelo venga predicato in questo paese di tenebre. Non chieggo altra ricompensa... ».
Ma non è ancora del tutto padrone di sé stesso colui che non compie su di sé un serio esame, che si accetta come è, che non si modifica, e che, specialmente, non si emenda.
Chi ha conosciuto Livingstone ha potuto seguire quest’azione su sé stesso... ed egli stesso l’osservava con tutto l'acume della propria coscienza. Era di natura un carattere impaziente d’agire, éd anche intransigente autoritario. Altrettanto rigoroso quanto rigido e volentieri severo. Tuttavia se conservò sempre lo spirito indipendente, se non potè adattarsi ad entrare piegandosi in quadri già fatti, il suo carattere s’addolcì, s’intenerì. Egli lavorò tutta la vita a dominare sé stesso e ad ottenere ogni cosa da' suoi compagni e dagli indigeni con la dolcezza. « La coscienza de’ miei difetti — diceva — mi rende indulgente... Ciascuno ha il proprio difetto — scriveva ad un figlio —: non è una vergogna; ma è una grande vergogna di non scoprirlo e di non vincerlo con l’aiuto di Dio... ».
Ecco il ritratto che ne fa Stanley: « ...La sua religione non è fatta di teologia: è una pratica costante, seria, sincera... Senza di essa, col suo temperamento ardente, col suo entusiasmo e con la sua estrema energia, egli sarebbe diventato un uomo dalla vita difficile e un padrone duro. La religione lo ha domato, facendone un vero gentiluomo cristiano, raffinandone i modi, addolcen-
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ALLE FONTI DELL’AZIONE 4<>5 done l’aspra volontà facendo di lui il più indulgente dei padroni, il più piacevole dei compagni... >. Per misurare l’energia di questa azione interna, occorre tener conto d’una circostanza che ce la fa vedere dieci volte più grande; infatti, per permetterle di svilupparsi in terra africana, egli ha dovuto sollevare la depressione del calore equatoriale, della febbre, della solitudine. Livingstone ha spesso notato questa stanchezza di tutto l’essere Che s’abbandona, che a stento si riesce a tenere in piedi, allorché si tratta di lavorare di speroni per lo slancio. « Il caldo fa languire ogni cosa », scrive ; avrebbe dovuto aggiungere : eccetto me. L’azione al di fuori. Non dobbiamo qui seguire Livingstone durante i suoi trentadue anni di Africa, quasi tutti spesi nell’esplorazione. Egli ha percorso ventinovemila miglia, quasi cinquantamila chilometri di terra africana ed ha aggiunto alla parte nota del globo quasi un milione di miglia quadrate di terra. Egli ha attraversato tutto il centro del Continente, dall’Atlantico all’ Oceano indiano ; lo ha percorso in tutte le direzioni, aprendone le strade, fissandone la geografia, dalla struttura del suolo fino alla lingua degli abitanti. S’è aperto dei passaggi fra tribù selvagge e guerriere, talune persino antropofaghe, accompagnato da una debole scorta, senza versar sangue, solo mediante l’autorità della propria persona (i) e della propria vita; ovunque passava, lasciava dietro di sé il rispetto del bianca > — come lo chiamavano, dell’ww buono. Cosa straordinaria: quasi sempre, invece di sbarrare il passaggio al forestiero, che laggiù è il nemico, i capi lo pregavano di restare e gli offrivano delle provviste — salvo a riprendersi con una mano quello che offrivano con l’altra.
E bisogna leggere le note di Livingstone per sapere • quanto questa azione consumò del suo sangue, e direi quasi delie sue lagrime interne : che era troppo padrone di se stesso per lasciar sfuggire delle lagrime in pubblico. Un giorno, nel suo primo viaggio, oltrepassato il deserto di Kalahari, giunge,
magnifica sorpresa, al fiume Zambesi... « Com’è bèllo ! com’ è bello !... e la vista della Clyde al mio paese natio mi tornò così bene alla mente, che sentii qualcosa ne’ miei occhi... Se mi fossi lasciato andare, il nostro vecchio traghettatore negro non avrebbe potuto fare a meno di dirmi: “Che! piagnucolate, uomo bianco! avete paura dei cocodrilli, via! ” Riuscii a rimandare nel mio interno questa
sentimentalità superflua. Abbiamo da fare altre cose in questo paese che sonetti alla luna... ». Ed ora si pensi quale inno all’energia sono stati quei suoi viaggi sotto il sole d’Africa. Talora il sole è così ardente, che il corpo si ricopre di vesciche o anche di ulceri, dalle quali cola il sangue. Le bestie muoiono sotto le punture della tsé-tsé ; bisogna attraversare foreste d’erbe altissime, i cui steli graffiano il viso, mentre le spine pungono il piede ; ecco gli stagni ne’ quali l’acqua arriva (i) « Il vero modo per acquistare autorità — scrisse — è la perseveranza nei fare il bene ». E altrove: «Vivendo tra i selvaggi, bisogna far loro sentire che apparteniamo a loro... ».
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sino ai fianchi ; e poi le pioggie diluviali, interminabili. « Dormito sette ore oggi sotto un diluvio di pioggia». Alle volte, narra Livingstone, la pioggia era così violenta, che per proteggere l’orologio, ero costretto di nasconderlo sotto l’ascella. E Lindbad, il bravo bue da sella, non poteva vedere l’ombrello aperto!
« ... Ci siamo smarriti ed abbiamo dovuto ritornare nel nostro sentiero che corre su di un terreno montuoso. Giornate fumanti : si soffoca... ». I portatori scompaiono : « Non li biasimo troppo d’essere scappati. Erano stanchi d’andare errando : lo sono aneli’ io...».
E poi ci sono le regioni della sete — e poi quelle della fame — e special-mente quelle della febbre. Durante l’ultimo viaggio di Livingstone uno de’ suoi servitori se la svignò con tutte le medicine. « Dolori alle ossa, mal di capo, punta forza nei reni, niente appetito ed una sete che divora: la febbre senza di che combatterla». Un’altra volta sviene di debolezza e cade a rovescio dietro la capanna e non può rialzarsi : lo sollevano e resta due ore senza riprendere i sensi. Non ha altro rimedio che camminare e camminare. Ma sopraffatto, un giorno, si ferma. Scrive alla figlia : «... La mia speranza sarebbe d’offrire alla gioventù del mio paese l’esempio d’una perseveranza virile. Non ti nasconderò che tutto ciò m’ha fatto bene invecchiare; il passo è barcollante, le guance infossate, come l’orbita degli occhi, la bocca vuota mi dà un sorriso d’ippopotamo, in una parola : faccio spavento... ». Qualche tempo dopo, quando morì e i suoi negri spogliarono il suo corpo, non trovarono che uno scheletro.
Ho lasciato da parte i patimenti di certo maggiori, le scene di disperazione, di miseria, d’uccisione, ch’ei narra ad ogni passo : cadaveri sulle strade, cadaveri inchiodati agli alberi, cadaveri sui fiumi. Vede, impotente; e sarebbe troppo se non potesse notare nel suo giornale, a proposito d’un massacro: Dio ha visto. Ma scrive : « Sono spezzato ; ho il cuore rivoltato da tutto il sangue sparso... ».
E malgrado tutto (certi giorni la testa era troppo debole per far calcoli : le parole e perfino il suo proprio nome gli venivano a mancare e le date gli si confondevano) malgrado tutto, sino alla fine, per gli altri, notava sul giornale la longitudine, l’orografia, l’idrografia. Rifiutava di seguire Stanley prima di aver fatto un « tutto compiuto » delle proprie ricerche, d’aver raggiunto le sorgenti del Nilo. Aveva preso per se il motto di Roberto Bruce : Prova ancora. E una delle sue note suona così : « Niente al mondo mi farà perdere la speranza dell’opera mia. Riprendo coraggio pensando al mio Dio e vado avanti*.
Lo sviluppo dell’azióne.
Questa è davvero un'epopea dell’aswMi. Ma ciò Che colpisce maggiormente, mi sembra che siano forse meno i fatti, che l’evoluzione stessa dei fatti. Mi spiego. Partito da una stazione missionaria in un angolo perduto dell’Africa, l'azione di Livingstone si estende di là, si allarga sì da occupare alla fine tutta l’Africa centrale, da un Oceano all’altro, nel suo campo, nel suo orizzonte. E questo avvenne semplicemente, in modo naturale, in virtù della sola logica dell’azione — un’azione che voleva esser vera, conseguente, senza recare in sè nulla di passivo, di inerte, ma essere tutta e fino alla fine attiva e quindi impulsiva, intensiva, espansiva.
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Al suo arrivo nella stazione del Capo il missionario si maraviglia che ci siano tanti missionari per una popolazione così sparsa. Fa un’ inchiesta : i Be-chuana non sono più di 30 mila; il numero dei missionari è tre volte più del necessario. Bisogna dunque andare più lontano : « non dobbiamo forse cercare i luoghi ne’quali il maggior numero d’anime può essere salvato?». «Andrò dove vorrete, purché si tratti d’andare avanti... ». E parte verso il Nord. Bisogna recarsi verso le tribù vergini del Nord ; bisogna seminare ovunque degli evangelisti neri ed estendere così l’apostolato, senza indietreggiare e senza limiti. Va in cerca di stazioni sane per stabilirvisi. Ma ecco : giunto allo Zambesi, constata che sono le regioni della febbre. Osserva che al di là, verso il centro, il suolo si eleva, s’innalza; debbono esservi colà delle alte regioni dove sarebbe possibile costruire un sanatorio per i missionari dei paesi della febbre. E poi queste regioni dello Zambesi sono perdute, chiuse, così lontane dal Capo e attraverso il deserto! Bisogna aprire la cloaca, occorre uno sbocco verso la cristianità, verso l’Oceano.
E poi Livingstone si è imbattuto nella tratta dei negri: e non è un commercio, ma un massacro. Occorre aprire delle strade al commercio onesto, al commercio civile altrimenti non si viene a capo di nulla. Non si possono stabilire stazioni in paesi nei quali si saccheggia e si fanno razzie, dai quali le popolazioni se ne fuggono, dove s’incendiano i villaggi, in territori di schiavitù, di guerra e di morte.
Un’idea fissa s’impadronisce di Livingstone : l’immensità dell’Africa — l’immensità de' suoi bisogni, l’immensità del dovere cristiano. « Chi attraverserà ¡’Africa?» — La Società delle Missioni esita, indietreggia, si limita al Capo. Livingstone abbandona la Società delle Missioni e se ne va solo, con moglie e figli... «Il pericolo è grande, la febbre può ucciderci tutti. Sono stranamente agitato dal quadro de’ nostri figli morenti. Ma se non andiamo noi, chi andrà? Nessuno. Rischierò tutto per Gesù Cristo... ».
Gli è per non sfuggire il problema dell’azione, per prenderlo corpo a corpo, virilmente, che Livingstone decide d’andar solo: non pensa di rinchiudersi in un lavoro senza esito. Vuole dare la propria vita, ma per una causa che abbia dinanzi a sé l’avvenire. « Aprirò un varco attraverso l’Africa o morirò sulla breccia... » una via al commercio civile e quindi all’espulsione dei trafficanti, e quindi all’Evangelo. Così l’uomo d’azione che non si contenta di parole, diventa, — procedendo da azione ad azione — lui missionario, un esploratore.
A mano a mano che procede, che apre le vie, la via delio Zambesi, del Korumo, dei grandi laghi, degli Oceani, che penetra in quei « formicai » delle tribù decimate dalla fame, dalle guerre intestine, dalla tratta, vede congiungersi tutti questi mali : tutte quelle razze sono solidali ; tutte quelle miserie e iniquità sono solidali : v'è un'unica causa, la causa dell’Africa, — della « povera Africa » : è la causa della civiltà, Che diventa sempre più grande ai suoi occhi divenendo la causa dell’Evangelo. Con questa causa egli si è identificato. In Europa egli perora per la causa: in Africa lavora per la causa. A lui è affidata ed egli ne è responsabile : giacché soltanto lui la vede nella sua immediata necessità e nel suo integrale splendore. In una di quelle preghiere piene d’angoscia nelle quali ei porta veramente nell'anima sua tutte le piaghe dell’Africa, esclama con tutta
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la semplicità e l’umiltà: «Oh! tu che ti sei fatto l’uomo dei dolori per dei peccatori miserabili e che non hai disprezzato la preghiera del brigante ricordati di me e della causa tua in Africa. Il mio corpo, l’anima mia, la mia famiglia e la causa tua, io rimetto ogni cosa nelle tue mani... ».
«... Io pago la mia parte in questa lotta gigantesca condotta dall’Onnipo-tente... ». "à -w-.1 '
«Un giorno, in cui il pericolo è all’uscio: Oh! Gesù, dammi la forza di sottomettermi alla tua volontà... Non ho per appoggio che la tua parola; ma non vuoi tu permettermi di perorare per l’Africa? La sua causa è la tua. L’Africa non sarà dessa chiusa più che mai, s’io muoio oggi? Vedi, Signore, i pagani levarsi contro di me come si sono levati contro il tuo Figlio...».
Così colui che s’era immerso nell’azione « onesta > — com’ egli diceva — « al cospetto di Dio e degli uomini » non pensando a sè e alla fatica del giorno, ma al lavoro del giorno, aveva dovuto a poco a poco immergersi nel Continente nero, poi, per uscire da quelle tenebre e farvi penetrare un raggio di luce, aveva dovuto emergere alle rive dei due Oceani: quest’immensa estensione di popoli e di miserie umane lo teneva avvinto, lo portava come abbracciato nella stretta d’un’anima magnificamente allargata. Ah! certo la logica, la lealtà dell’azione lo avevano condotto lontano!
La sorgente dell’azione.
Ma quest'azione, questa volontà d’azione, questa forza d’azione donde veniva? Dove ne era la fonte?
Attraverso più d’una parola di Livingstone abbiamo già intravisto la regione delle sorgenti.
In primo luogo è la convinzione del dovere* dell’azione buona. La parola, il pensiero del dovere ritorna ogni momento nella vita di Livingstone. Egli andrà e va fino al punto estremo perchè è « la linea del dovere ». Dove non è il suo dovere, non può restare. Quando comprese che il suo dovere non era di consumar passi nelle colonie inglesi, ma d’andare verso nuovi popoli, disse : « Se m’incontrerete tra otto anni nella colonia, sparatemi addosso...».
Nel suo ultimo viaggio alla ricerca delle sorgenti del Nilo, molto indebolito, minato dalla febore/scrive: «Mi sono sforzato in questo viaggio di seguire inflessibilmente la linea del dovere. La mia condotta è stata diritta, nonostante che la via fosse tortuosa... Sia ch’io riesca sia che non riesca, avrò cercato con calma e con coscienza di raggiungere il termine del còmpito affidatomi. La visione della morte non m’impedirà d’andare dove credo di dover giungere nè mi farà deviare a destra o a manca... ». Ed una delle ultime note del suo Giornale reca: « Se muoio, voglio cadere compiendo il mio dovere... ».
E' questa idea del dovere che dà al pensiero di Livingstone quell’altezza di volo nel quale ogni tanto è rapito. E’ grandioso nel pensare. Ma non perchè pensi ad un campo vasto, perchè l’azione sua abbraccia un’immensità di terre e di popoli : tutto questo non era che estensione e Livingstone non dava importanza a ciò ch’era grandezza materiale. Egli stesso ci dice che allontanava la mente dalla fama ch’ei godeva di geografo, di viaggiatore, di conquistatore di
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spazio, da questa gloria equivalente al chiasso. Ci dice che quando leggeva le lettere indirizzategli, giunto alle lodi, passava oltre. Pensando agli elogi entusiastici che lo accompagnarono nel Suo viaggio in Inghilterra : « Dopo la seccatura d’essere mangiato da un leone — dice — la cosa peggiore è di diventare un leone... >.
Con che tono, triste e fiero al tempo stesso, parla di certa gente!
« Hanno creduto ch’io corressi dietro la gloria di scoprire dei laghi, delle montagne, dei fioretti, dei giocarelli... Costoro m’hanno sempre fatto pensare n
alla storia narratami dal dott. Philip. Nel principio del suo ministero ad Aberdeen, visitava una vecchia malata e le diceva tante belle cose intorno al dovere di rassegnarsi, d’aver fiducia in Dio, di sperare, eccetera, quando la vecchia signora, guardandolo in faccia, gli dice : “ Povero giovincello, tu non sai nulla di tutto quésto!,, E’ quel che dico a coloro che si attribuiscono il diritto di giudicare il servitore di un altro ».
Gli ammiratori e gl’invidiosi delle grandezze materiali non hanno il diritto di parlare di quelle di Livingstone, come delle loro: non ci capiscono niente: egli è molto lontano, egli serve altro.
Quel che per lui fa la grandezza del suo còmpito gli è che si tratta d’un vero còmpito. Rischiarare l’Africa, aprire ¡'Africa alla civiltà e all’Evangelo è il dovere, e la grandezza di questa idea rende grande ogni più piccolo atto, quei piccoli, volgari, fastidiosi e spesso anche ripugnanti atti che sono come la cucina d'un’esplorazione; un grande pensiero entrando in un piccolo atto, vi fa entrare la sua grandezza.
« Le mie idee sul dovere d’un missionario non sono così strette come quelle di coloro il cui ideale è un pezzo d’uomo con una Bibbia sotto il braccio. Occorrendo, ho lavorato da muratore, da falegname, da fabbro come da ministro e da medico, ed era sempre il medesimo lavoro. Sento che non appartengo a me stesso. Io servo Gesù Cristo sia quando mi trascino dietro un bufalo per scorta, sia quando faccio un’osservazione astronomica ».
« Quando viaggiamo con l’idea di migliorare le condizioni degli indigeni, scrive nel suo Giornale, i più piccoli atti ci nobilitano ». «... Quando lavoriamo per Dio, il sudore che c’irriga la fronte non è più un castigo ; esso è vivificante e si cambia in beneficio... ».
Conviene dunque mettere da parte i pensieri cattivi ch’ebbero i critici di Livingstone, i quali pretendevano di scorgere le ultime ragioni del suo agire, le sorgenti della sua azione nel piacere dei viaggi, nella curiosità scientifica, nel gusto per la vita libera del deserto, nella gloria delle scoperte. Che gli piacesse la vita dell’esploratore e dello scopritore non ha mai negato : « Ho la passione del viaggiare », ha detto. E nel momento in Cui erede d’essere vicino alla scoperta delle ultime sorgenti del Nilo, scrive: «Dopo di che, nessuno potrà dire che il problema non sia risolto. Possa il Signore di tutti gli uomini aiutarmi a mostrarmi come uno dei suoi valorosi servitori, aiutarmi a far onore a’ miei figli e forse al mio paese e alla mia razza...». Questo forse protègge con la sua ombra la memoria di Livingstone.
Si dirà? E’ semplice: egli amava i negri; questa è la ragione maggiore, la Sórgente della suà azione. Certo, Livingstone amò i negri, ma non professava
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affatto intorno a loro le idee idilliache di Colenso: ne scorgeva tutte le bassezze. No, quei negri che mentivano, che s’ingozzavano di birra, che uccidevano ridendo non erano amabili. «... Quanto meglio conosco i selvaggi, tanto più il paganesimo mi fa orrore. E' indicibilmente vile. Questi bei negri sono sempre lì a menar vanto della loro bravura, e non osano fare un passo fuori del loro cantone per timore d’essere massacrati: non hanno rapporti con altre tribù se non per saccheggiare e per schiacciare... >. « E’ una verità penosa : l’uomo è diventato simile alle bestie che vanno in perdizione...».
« Una povera ragazza la cui madre era morta, non aveva di che mangiare : nessuno, neppure un parente vuol nutrire la figlia d’un altro».
Se rendeva ai negri quest’omaggio: «Quando s’è vissuto a lungo in mezzo a loro, si dimentica che sono neri e si sente che sono uomini come noi...» non era molto, giacché non professava una grande ammirazione pei bianchi che si adattavano tanto facilmente allo scandalo dell’Africa.
Il suo amore era pietà. E qui noi tocchiamo il fondo della sorgente : tanto la volontà di cui abbiamo parlato poco sopra, quanto questa emozione, se scaturivano da una coscienza profondamente umana, da un cuore umanissimo, ad osservare più da vicino esse erano puramente e semplicemente del cristianesimo.
Talvolta solo, perduto nelle foreste equatoriali, Liyingstone canticchiava la canzone di Burns : l'uomo sarà dell'uomo fratello, semplicemente, su la terra. Ma quando spiegava ai negri che siamo tutti fratelli, gli è perchè, diceva, abbiamo tutti un medesimo Padre ch’è nel cielo: ed è per questo un delitto il vendere uno de’ propri figliuoli.
Tutta la sua vita usciva dalla fede: per Livingstone era un principio assoluto, era come una quistione d’onestà, che tutta la fede passasse nella vita. Se era partito per la Missione, gli è che dopo la crisi spirituale che aveva fatto di lui l’uomo del Cristo, aveva dichiarato: «... Desidero rendere testimonianza del mio attaccamento a Colui ch’è morto per me, consacrando l’intera mia vita al suo servizio...». Il dovere, per quest’uomo del dovere, si presenta sotto questo aspetto : fare la volontà di Dio, servire Dio. I negri hanno un’anima, sono creature di Dio; hanno diritto alla salvezza, diritto all’Evangelo : questo diritto costituisce il dovere dei Cristiani. Livingstone è stato missionario, lo è stato dal principio alla fine, attraverso ogni difficoltà, ad ogni costo. S’è visto : non è stato esploratore se non per aprire l’Africa ad una civiltà che, sopprimendo la tratta, pacifica e con le mani piene d'ogni bene, recherebbe l’Evangelo.
Allorché, all’ultimo suo viaggio, la Società Geografica vuole inviarlo come esploratore a condizione ch’egli non sia che questo, e non faccia più il missionario, risponde : « Non avrei il sentimento di compiere il mio dovere se non potessi lavorare come missionario». «Non consento — dichiara altrove — ad andare come semplice geografo, bensì come un missionario Che fa in via accessoria della geografia. Non mi sento sulla linea del mio dovere se non quando cerco di illuminare questa povera gente e di aprire il loro paese al commercio onesto... ». « Sono missionario d’anima e di cuore. Dio non ha che un figlio, che fu quaggiù missionario e medico; io ne sono una ben misera copia, ma voglio esserla. Spero di vivere al suo servizio e morirvi... ».
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La sua pietà stessa è al servizio di Dio, al servizio della pietà di Dio : «Voglia Iddio far di me quel che erede, e abbia pietà di questo popolo...».
La causa dell'Africa è la causa stessa di Dio : « Il mio tempo è nelle tue mani, o Signore! Con te io vado avanti con sicurtà. Sopra ogni cosa fa ch’io serva la tua causa. O Dio, che la pace e la benevoglienza si stabilisca tra gli uomini ! »
Ed ecco il pensiero che mette in rilievo la sua umiltà in mezzo a tutte le sue umiliazioni : « E’ un grande onore di collaborare con Dio ».
L’amore del Cristo e l’amore degli uomini sono una cosa sola. Egli gode di poter parlare ai negri dell’amore di cui il Cristo li ha amati : « Il mio cuore ne è tutto riscaldato. Io so che l’Evangelo è la potenza di Dio per rialzare questo mondo in rovina».
Quest’uomo d’azione ha gli accenti d'un mistico nel suo chiostro. Ecco una frase che si direbbe uscita Imitazione'. < Oh ! fonte divina dell'amore : non ti ho amato di un amore abbastanza profondo, abbastanza forte, abbastanza ardente ».
Ma è un amore che trascina nel mondo, che trascina all’azione: «L’amore del Cristo non condurrà il missionario tanto lontano, quanto l’amore dell’oro conduce il mercante di schiavi?...». «Si parla del sacrificio che ho fatto andando a passare in Africa una parte della mia vita. Ma possiamo noi chiamare sacrifizio un debito che non copriremo mai ?... Respingiamo questa parola. Non dite mai sacrificio ; dite privilegio ».
Ed egli si esalta fino all'entusiasmo, l’entusiasmo « senza il quale nulla si è fatto di grande e di bello nel mondo >. E quando apre la grande via dello Zambesi, Livingstone esclama come in una visione: è la via di Dio.
Ecco dunque la sorgente della volontà: amare Dio e servirlo negli uomini, servire gli uomini per amore di Dio. Ma è poca cosa il volere, bisogna fare. Quando per fare la volontà di Dio occorre andare errando per più di trentanni dal nord al sud, e dall’oriente all’occidente in quelle regioni che sono le regioni del mistero, della canicola, della febbre, della fame e del sangue, c’è un gran tratto tra il volere e il tare : ci vuole della forza, un’immensa forza come immenso è lo sforzo : dove sarà la sorgente della forza ?
Qui sembra che il Giornale di Livingstone, parallelamente alle pratiche dolorose, tragiche per cercare le sorgenti del Nilo sempre fuggenti, nota le pratiche calme, sicure che sono come un riposo nel paese delle sorgenti spirituali, in Dio.
Se la solitudine lo schiaccia, prega : « In mezzo a tante bellezze io sento il vuoto... Scendi in me, spirito del mio Dio e supplisci a ciò di cui tu vedi la mancanza >. Dio è buono ; egli dà : « Mio Dio concedimi la grazia di amarti meglio e di servirti meglio...». «.-.. L’Onnipotente mi ha assistito... e dirò sempre che il mio buon successo non si deve che a Lui. Non sono stato che il canale del Potere Divino... Onnipotente, santo, misericordioso mi nascondo in te...».
Mentre tutto ciò che lo circonda è duro, ostile, selvaggio, pungente, c'è un’atmosfera spirituale tenera, benevola, confortante ; e questi due mondi si toccano, poggiando il mondo superiore su quello inferiore, come l’orizzonte del
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cielo poggia su quello della terra: si direbbe che si vede scendere, versarsi.giù dall’alto la forza del volere e del fare, come si vede scendere dal cielo sulla terra la pioggia, e gonfiarsi i ruscelli e scaturire le sorgenti. L’anima di Living-stone è così trasparente che questo contatto immediato dei due mondi diviene sensibile, evidente.
Il Giornale di Livingstone s’interrompe qua e là, senza cambiamento di tono e d’attitudine, in mezzo a note sulla geologia e sulla fauna: «O Dio, sii con me — o Dio, ti benedico » — e riprende il filo della vita rozza, tesa, violenta.
Il Dio di Livingstone è lui per primo, il Dio dell’azione: è presente, e attraverso l’azione de’ suoi servitóri egli agisce.
Livingstone trova strana una certa filosofia che considera Dio come inerte, imprigionato dalle leggi della natura. « Egli avrebbe deposto l’uovo universale, e, come lo struzzo, lascerebbe al sole, là cura di covarlo. Noi possiamo dominare le leggi della natura, agire contro di esse e lui no. Il fuoco, attaccandosi a questa casa, la divorerebbe; ma noi possiamo gettare dell’acqua e spegnere il fuoco. Dominiamo il fuoco e l’acqua, e colui ch’è la sapienza perfetta e la conoscenza perfetta non lo può... ».
Dio è forte, e la sua forza serve la sua bontà: è un Dio vicino, una persona che s’interessa delle persone, e la sua grandezza sta appunto nell' interesse che ha pei minimi. «... Se parliamo di forza, vedete ! Lui è forte, l’Onnipotente, il Dominatore supremo, lo Spirito dell’universo. Il cuore sussulta all’idea della sua grandezza. Taluni pensano che la grandezza consiste in una altezzosa indifferenza per tutte le cose volgari. Il Gran Lama nella sua immobile contemplazione del vuoto è un buon esempio di quel che sarebbe l'ideale della maestà, ma l’Evangelo ci mostra Gesù, manifestazione del Dio benedetto, che veglia su tutti con un’attenzione minuziosa... Il tenero amóre di Gesù è più perfètto di quel che potrebbe sentire il cuore d’una madre... ».
Questo pensiero sulla grandezza di Dio che consiste nel suo avvicinarsi ai più piccoli, è un pensiero centrale in Livingstone: «Era certamente un errore il supporre che la Maestà divina sia troppo elevata per pensare ai miei meschini interessi. I grandi uomini sono notevoli per l’attenzione che dànno ai più piccoli particolari. Un astronomo non troverebbe nulla, se non tenesse conto d’un’ infinità di piccole cose, perchè se ne trascura una sola, tutti i suoi calcoli riescono sbagliati. Le lettere del duca di Wellington ce lo mostrano intento nello studio dei più minuti particolari nell’organizzazione del suo esercito. Così è dello Spirito supremo, secondo la testimonianza del suo Figlio, unico mezzo che ci è dato per conoscerlo : « I capelli del vostro capo sono annoverati. Non cade a terra un passeretto senza il permesso del vostro Padre». Colui che risiede nella luce inaccessibile si degna provvedere ai nostri più piccoli bisogni, ci guida, ci protegge, ci assiste ad ogni istante con assai più cura di quel che sappia fare il nostro stesso egoismo. Con quest’occhio costantemente posato su di me, posso ben seguire l’inclinazione del mio cuore e presentarmi ai pagani recando loro il messaggio di pace e d’amore. Tutti comprenderanno ch’è un offendere il nostro comune Padre il vendere e l’uccidere i propri figli. Andrò dunque, e voglia l’Onnipotente aiutarmi a rimanergli fedele... ».
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Si capisce quanta pazienza, quanto coraggio, quanta calma e tenacità discendano da queste convinzioni nel cuore, nel seguire questa via del dovere, nella quale passa Dio, o s’incontra Dio.
Tra la visita d’un leone la notte e la visita d’un elefante, un’altra notte, il Giornale reca: «Siamo sotto là protezione della provvidenza... Dio sarà per noi uno scudo...» « Sembra che noi siamo immortali fino a che abbiamo fatto l’opera nostra».
Durante l’ultimo viaggio che fu un martirio, Livingstone, tormentato dalla febbre, non cede: «O Dio! guidami dall’alto».
Livinstone si è impegnato nel servizio di Dio e vi rimane fedele : come potrebbe Dio stesso non essergli fedele? In mezzo alle tribù ostili in piena tempesta Livingstone esclama : « Non abbandonarmi ; io getto a’ tuoi piedi e il mio timore e me stesso. Tu sai quello di cui ho bisogno e per ora e per l’eternità.
Sera. Molto turbamento, gran tormento di spirito al pensiero che tutti i miei progetti pel bene di questo grande paese e di questo formicaio d'uomini saranno annientati domani dai selvaggi. Ma ho letto che Gesù è venuto e ha detto: «Ogni potestà m’è stata data in cielo e sulla terra; andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni » e anche: andate, io sono con voi sino alla fine del mondo. « E’ la parola d’onore d’un gentleman irreprensibile, ecco ; punto e basta ».
Una frase della Bibbia ritorna continuamente sotto la penna di Livingstone : « rimetti le tue vie al Signore ed egli ti darà Xuscita.
Tutto sta, adunque, a rimanere nella linea del dovere, nel fare la volontà di Dio. Di quel che Dio vorrà fare di noi, del nostro lavoro, sappiamo una cosa sola: che questa volontà è buona, mira al bene; tutto ciò ch’è fatto per Dio finirà bene.
Quando abbiamo accettato la volontà Che Dio impone alla nostra volontà di fare, non abbiamo che da accettare quel che Dio stesso farà della nostra azione. Anche se questo non ci va e ci sembra incomprensibile, doloroso, mortale, bisogna compiere quest'ultimo atto : credere ch’è bene, e sottomettersi... e volerlo.
« Bisogna avere un cuore assai frivolo per non porre la propria fiducia in Dio e non fidarsi della fedeltà di colui che è lo stesso ieri, oggi, in eterno. Non confidarsi in lui assolutamente, ciecamente, è un’insolenza, e tuttavia conosco un cuore, un malvagio che diffida orribilmente ; mi vergogno a pensarvi. Ahimè ! conviene che Dio stesso ci versi per la sua grazia, uno spirito amoroso, io spirito d’un piccolo fanciullo. Oh ! Signore, ti appartengo, sì sì, ti appartengo, prendimi, fa di me quel che ti piacerà, dammi la sottomissione, l’abbandono completo alla tua volontà in ogni cosà ».
Livingstone ripete a sè stesso tutti gli avvenimenti tragici ne’ quali la mano di Dio si è stesa su di lui e lo ha salvato: assalto di leoni, di rinoceronti, imboscate di negri, caduta di tronchi d’albero... Perfino quello che sembrava sfavorevole era una liberazione. Se non fosse stato arrestato qua e là, sarebbe perito come quelli coi quali andava, in una rapida del fiume o in un massacro di razzia. Commuove a vedere Livingstone ingegnarsi a notare il bene anche nei più crudeli dolori perchè Dio vi è... e occorre che tutto sia bene.
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Il giorno stesso in cui un negro gli ruba la sua farmacia e scappa, quando rimane disarmato contro la febbre, scrive : « ... Ne sono turbato come ad una sentenza di morte... Ma nulla accade senza il permesso di colui che veglia su di noi con la più tenera sollecitudine: e questo fatto può riuscirci di vantaggio, togliendomi quello che sarebbe diventato cosa sospetta a gente più di questa timorosa dei sortilegi. Voglio credere ch’è un bene per noi tutti e per gl’ indigeni... è difficile dire di buon cuore: la tua volontà sia fatta: ma mi ci proverò ... >.
Questa è l'ultima parola della fiducia in Dio e dell’amore. Da questa azione, ch’è, direi quasi, ratto in sè, l’atto assoluto, scaturisce la sorgente d’ogni azione.
Si va nella vita guardando sempre in faccia alla vita... e la morte stessa non sbarra più la strada. Essa avverrà quando e come Dio vorrà : sarà un bene, perchè Dio vi sarà.
Stanco d’errare Livingstone un giorno s’era fermato nella foresta dinanzi una tomba, un tumulo tondeggiante : « E’ il genere di sepolcro ch’io preferirei : riposare in questi grandi boschi così calmi, dove mai nessuno turberebbe le mie ossa. Nei nostri cimiteri, le tombe mi sono sempre parse misere, specie quelle che si scavano nell’argilla umida e fredda, e poi sono troppo serrate le une alle altre. Ma io non ho altro da fare che aspettare che colui ch’è al di sopra di tutto decida dove io debba coricarmi e morire... ».
E attese andando avanti... avanti con un passo che non vacilla nè per la disperazione, nè per l’impazienza folle: chi crede non ha fretta...
Quando morì, lo trovarono morto in ginocchio... caduto così dinanzi a Dio, in quell’azione di tutta l’anima ch’è la preghiera.
Conclusione.
Mi pare che — secondo un’espressione cara a Livingstone — siamo al chiaro ; lo siamo almeno riguardo le sorgenti della sua azione. Credo che si possa andare più in là e dire che lo siamo riguardo le sorgenti dell’azione in genere. Che queste sorgenti non scaturiscano ugualmente da tutte le formule teologiche della sua fede, lo ammetto. Livingstone stesso non era un grande teologo e non gli piacevano gran che le dispute teologiche. Ma bisogna notare che le affermazioni della sua fede si avvicinavano molto al semplice evangelo, e che la sua era appunto quella fede di fanciullo di cui il Cristo disse ch’essa sola apre le porte della vita eterna.
La fede, per essere sorgente, richiede gli elementi ch’erano l’essenza stessa della religione secondo Livingstone: un Dio presente> più presente al credente di tutto ciò che gli è più vicino, del mondo esterno, di se stesso, perchè Egli diviene per lui centro della coscienza, della volontà. L’essenziale è questo contatto col mondo superiore che si abbassa, riempiendo il monde inferiore e in primo luogo la persona stessa del credente. Scende allora in ciascuno dei nostri pensieri e quindi in ciascuno dei nostri atti, mediante un umilissimo e quasi impercettibile canale — sono un canale, diceva Livingstone — un poco di santità, di eternità. Allora da questa gioia, da questo entusiasmo nel far penetrare e realizzare il divino nel mondo, l’azione scaturisce al tempo stesso impaziente e
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paziente, coraggiosa, potente, traboccante. Nè c’è da stupirsi se, venendo tanto dall’alto, e passando per la strettezza d’un canale umano, l’azione si estenda, si espanda, vivifichi spazi larghi, sempre più larghi, e che, se vi sono delle chine, dei precipizi e delle pietre sulle chine o nei precipizi, passando, essa si metta a cantare. Una religione in cui Dio è amore e in cui comunicando con Dio, l’uomo diventa amore, è creatrice d’azione : giacché un amore che diventa tutto intero dono, servizio, sacrifizio, non è passione — come l’amore impuro — ma azione. L’amore intenso è azione intensa, e non v’è amore più intenso dell’amore del cristiano ai piedi della Croce.
Ho letto che Livingstone, giovane ancora, ritornando a piedi da Londra alla piccola città del suo collegio, viaggiò tutto il giorno e finalmente si smarrì. Oppresso dalla fatica, stava per sdraiarsi in terra, allorché scorse un palo indicatore. Ma a che poteva servigli? Era notte. Tuttavia ci si arrampicò e, alla luce delle stelle, potè decifrare l’iscrizione della tabella...; si rimise in cammino e arrivò.
Mi sembra che la nostra generazione, partita alla ricerca delle sorgenti dell'azione, ha anchessa camminato assai, e affaticata, ha incontrato nel suo cammino la notte. Ecco il palo indicatore che ha messo sulla buona strada tante anime turbate, erranti.
Noi che siamo nella notte, dicono, non siamo più in grado di decifrare l’iscrizione. Ebbene! afferratevi al palo, fissate il vostro sguardo intenso sul cartello, con tutta l’ansietà d’un anima che vorrebbe conoscere la strada che conduce alle sorgenti ; alla luce delle stelle — giacché ci sono ancora delle stelle —- decifrerete un nome: Dio.
P. DOUMERGUE.
(Dalla Rivista quindicinale Fot et FZt'di Parigi - 48, rue de Lille - numero del i° aprile 1913).
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PEREG/OVRA DELL'ANIMA
OGGI
(Evang. Matteo, V, 3-10).
OlGGI, comincia la giornata con gioia, fiducia e slancio. Non temere, ma credi.
Sii umile : guardati d'ogni forma d’orgoglio e dalla vanita. Cerca di compiere un atto di povertà volontaria.
Pentiti di quel che hai fatto, e poi, profondamente, di quel che sei. Rinunzia a te stesso per diventare qualcuno. Stirò und Werde. Muori per vivere e far vivere!
Beati i poveri in ispirilo, perchè il regno dei cieli è loro!
OGGI spera! Nei tuoi dolori, nelle tue angosce, nelle tue lagrime, cerca attentamente, e troverai una felicità. Al di sopra delle tenebre, delle nubi, è il sorriso del cielo ed il canto delle stelle, la prodigiosa attesa degl'incontri eterni; non disperare mai;
Beati coloro che piangono, perchè saranno consolati.
OGGI,, sii cordiale, sii buono! Non indurire il tuo cuore; dà e perdona con gioia; compi un’azione buona, fà un piacere a qualcuno; consola un dolore; offrì una prova di simpatia ; reca soccorso ad un debole ; guarisci un ferito ; libera uno schiavo. Semina dell’amore e vedrai le mèssi della gloria nella nuova terra...
Beati i mansueti perchè crederanno la terra.
OGGI, sii un ardente ricercatore : abbi cura d’essere sempre vero e giusto nelle tue parole e ne’ tuoi atti coscienzioso e dilingente nel tuo lavoro per essere quanto più possibile perfetto, sincero e fiducioso nelle tue relazioni con Dio e col prossimo. Giustizia e amore sono una cosa. Obbedire alla legge perfetta, è la libertà, è la felicità.
Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia: saranno saziati.
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PER LA CULTURA DELL’ANIMA
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OGGI, abbi pietà! Non voltare le spalle a chi ti chiede ad imprestito; dà per quell’opera buona consultando il tuo cuore prima della tua tasca; iscriviti come membro di quella società, di quella lega, di quella chiesa, perchè la tua astensione ritarda il trionfo delle cause sante; abbonati a quel periodico che diffonde la parola buona ; non criticare, non giudicare, ama. Sii un anello della catena dei misericordiosi Che scende dall’Altissimo sin alla più bassa delle creature.
Beati i misericordiosi. perchè misericordia sarà, lor fatta.
OGGI, sii puro! Cammina verso l’ideale scartando tutto ciò che può oscurarne la visione. Accetta semplicemente l’aiuto del Cristo per essere salvato d’ogni male e per divenire il figliuolo gioioso del Padre ch’è nei cieli. Sotto il buon sole di Dio, ogni ombra deve dileguarsi ed ogni anima diventare trasparente come il cristallo.
Beati i puri di cuore, perchè vedranno Dio.
OGGI, sii un operaio della Pace ! Incontrerai ovunque la guerra, tra le nazioni, tra le classi, tra le chiese, tra le anime e perfino nel tuo cuore. Comportati durante tutto il giorno Come il figlio dell’eterno Pacifista. Colui che ha un Padre in cielo non ha Che dei fratelli sulla terra. « Pace in terra! » fu, dalla sua nascita, il programma del Figlio di Dio.
Beati coloro che procacciano la pace, perchè saranno chiamati figli di Dio.
OGGI, è il solo giorno importante: domani s’occuperà di quel che lo riguarda. Oggi, compi tutto il tuo dovere a qualunque costo ; il domani, se ti sarà dato di viverlo, sarà quel che l’oggi lo avrà fatto. Oggi, la giustizia, e ancora la giustizia, e sempre la giustizia, anche tra le persecuzioni. La fedeltà è il solo sentiero che sale alla vita...
Beati coloro che sono perseguitati per cagione di giustizia, perchè il regno dei cieli è loro.
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{Le Christianisme Sodai).
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VOCI E DOCUMENTI
IL CRISTIANO NELLA VITA PUBBLICA
Mentre tutta la vita della nazione è commossa dal fatto solenne delle eiezioni generali, non possiamo non sentirci rivolgere la domanda : « Voi che non volete credere che la religione sia finita, nè che debba un giorno tramontare, e specialmente voi che avete ancor fede nel Cristianesimo, voi, in momenti come questi, come vi comportate? Nella manifestazione della vostra volontà consultate voi la vostra coscienza religiosa oppure prescindete dalla vostra fede relegando in un angolo il vostro cristianesimo, per sottomettervi semplicemente alle direttive di questo o quel partito o cedere alla suggestione di questo o quel programma, o favorire questo o quell’auro interesse locale? Tu che sei credente, fino a qual punto la tua fede entra nella determinazione del tuo voto ? Tu che sei cristiano, qual parte hanno avuto lo spirito ed i principa cristiani nel processo di pensiero e di coscienza che li hanno condotto nella determinazione del tuo volo?
Troviamo quindi opportuno di dare ospitalità in questo fascicolo d’ottobre alle seguenti pagine del dott. G. E. Meille, il quale ci fa sentire, in proposito, la voce del « Cristianesimo sociale», di quell’imponente movimento contemporaneo internazionale e interconfessionale, che abbraccia tulli quegli uomini religiosi, i quali credono che la fede debba permeare la vita in tutte le sue manifestazioni e quindi anche la vita pubblica. (Red.).
Da quando il Cristianesimo sociale e la Democrazia cristiana sono apparsi un po’ dappertutto sull’orizzonte del Protestantesimo e del Romanesimo, pochi argomenti sono stati trattati cosi di frequente come questo : i doveri del cittadino cristiano, la partecipazione dei cristiani alla vita pubblica del loro paese.
Confusione.
La discussione è proceduta però di solito assai disordinata e confusa. E questo perchè, a mio parere, sta alla base di essa una grande confusione di termini i quali devono invece essere accuratamente distinti gli uni dagli altri.
Bisogna che le chiese si muovano, dicono alcuni, bisogna che le organizzazioni ecclesiastiche cristiane partecipino alle lotte politiche, bisogna che s’intendano ufficialmente coi partiti avanzati, bisogna che formino con essi il bloccò democratico ! I cristiani non devono accontentarsi del loro culto, i cristiani devono combattere, anche nei comizi e sulle piazze, le sante battaglie di Dio.
Ciò sarebbe la nostra rovina, rispondono altri. Le chiese hanno una missione spirituale, non una missione politica. E d’altronde la
politica è una cosa « di questo mondo » e le cose «di questo mondo» non interessano il cristiano. Egli, se veramente è tale, vive su questa terra come un forestiero e un pellegrino, come un esiliato per un tempo più o meno lungo dalla sua vera patria che è il cielo. Il cristiano non ha più nulla a che fare colle passioni e colie agitazioni di quaggiù ; il suo « tesoro » è altrove. La politica lasciatela fare a chi non è cristiano.C’è, secondo me, in ciascuna di queste due estreme opinioni, una parte di verità e una parte di errore. Se si parla di chiese cristiane hanno torto i primi e ragione i secondi ; se si tratta di individui cristiani hanno torto i secondi e ragione i primi.
La partecipazione delle chiese alla vita pubblica.
Le chiese — tutte le chiese — hanno il dovere di non fare della politica.
Esse sono particolari organizzazioni o associazioni umane — molto umane quantunque spesso poco umanitarie — il cui scopo principale è l’esercizio del culto pubblico. Nei loro seno debbono potersi incontrare tutti coloro
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VOCI E DOCUMENTI
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che, a torto od a ragione, reputano sè stessi discepoli di Gesù. Nei santuari spirituali — che rappresentano, direi quasi ufficialmente, in faccia al mondo i principi di Cristo — non deve penetrare neppur l’eco di voci che non siano quelle della preghiera e dell’adorazione. Le chiese sono società di anime;
Le chiese devono adunque rimanere fuori delle lotte dei partiti e guardarsi da ogni incursione sul terreno delle competizioni elettorali. Esse non devono però isolarsi in modo assoluto dal mondo; anzi ci sono tre casi in cui esse non solo possono ma debbono, secondo me, partecipare alla vita pubblica.
Le tre eccezioni.
i° Una chiesa veramente cristiana è una chiesa patriottica ; dico patriottica, e non nazionalista o militarista o guerrafondaia ; dico patriottica e non monarchica o socialista o repubblicana. Le chiese cristiane devono manifestare apertamente il loro patriottismo. Ottimamente si comportarono dunque, secondo me, le chiese evangeliche italiane partecipando con entusiasmo alle feste giubilar! del 1911 ; ottimamente esse operano commemorando ufficialmente ogni anno la data del XX settembre.
20 Le chiese non solo possono ma debbono far sentire la loro voce quando si dibatte una questione che direttamente le interessa;, per esempio quella dell’insegnamento religioso nelle scuole, quella dello stato giuridico delle organizzazioni ecclesiastiche, quella relativa all’abolizione del primo articolo dello Statuto, ecc.
3° Le chiese non solo possono ma debbono pronunziarsi apertamente e ufficialmente in certe questioni nazionali o internazionali che hanno alla loro base un problema d'ordine eminentemente morale. Io approvo, per esempio, il voto emesso alcuni anni or sono dalle chiese protestanti francesi relativamente alla libertà di culto nel Madagascar ai tempi del famoso governatore Augagneur. Approvo il voto della chiesa nazionale di Ginevra contro le bische di quella città. Ricorderò ancora i voti emessi da parecchie chiese e da alcuni sinodi a proposito degli orrori del Congo, delle stragi degli Armeni e della esecuzione di Francisco Ferrer. Ricorderò l’adesione ufficiale della Chiesa Valdese al movimento pacifista, adesione decretata dal Sinodo del 1910.
AH’infuori però di questi tre casi, la linea di condotta delle chiese, per quel che concerne la loro partecipazione alla vita pubblica,
è chiaramente segnata politica nel senso più
e si chiama neutralità assoluto della parola.
La politica e gl’individui cristiani.
Quale sarà invece la linea di condotta degli INDIVIDUI CRISTIANI?
Io non temo d’affermare eh ’essi hanno non solo il diritto ma il dovere, il sacrosanto dovere, di fare della politica.
Il Cristianesimo infatti non consiste soltanto, non è rinchiuso tutto nelle convinzioni intime personali dei singoli credenti e nelle cerimonie cultuali collettive e pubbliche. Il Cristianesimo consiste in un modo speciale di concepire la vita, nel considerare cioè lutti gli atti della esistenza sotto l’angolo religioso-cristiano. Il Cristianesimo insegna che il cullo è tutta la vita e che, d’altra parte, l'osservanza della giustizia e dell'amore in ogni questione, in ogni attività è il culto, poiché culto significa «servizio di Dio». E ciò non conduce a negare il valore della dottrina e del rito, non conduce ad affermare il valore della morale a scapito del valore della religione. Ciò conduce invece alla identificazione di due campi che troppi cristiani concepiscono come affatto autonomi, come affatto indipendenti l’uno dall’altro (1).
Dato questo concetto del Cristianesimo, l’attività politica ispirata ai principi dell’Evangelo appare al discepolo di Gesù come una conseguenza logica, organica, necessaria della
(x) In un suo opuscolo poco noto ‘ Ti;c city vritkotd a Churik , così si esprime il celebre Henry Drummond: ■ Che cosa hanno a che fare la pompa e le solennità, la moda c le forme, i paludamenti ed i riti con Gesù di Nazaret ? Per promuovere un certo grado nello sviluppo personale e per Iirodurre un certo tipo di mentalità, tali cose possono avere a loro ragion d’essere. Ma quando vengono scambiate pel Cristianesimo, qualunque sia l’aiuto ch’esse gli arrecano, Ìualunque sia la loro utilità per propagarlo, esse defrau-ano le anime degli uomini c derubano l’umanità di ciò che le ¿ dovuto. Gli è perche, per molta gente, il “Cristianesimo,, c diventato sinonimo di “ servigio religioso in chiesa,, che altra molta gente si rifiuta di aver qualcosa a che fare con esso. Ancora oggi quasi tutti i cittadini delle nazioni europee vivono, professano il culto e muoiono nella credenza che Cristo c un Cristo ecclesiastico, che la religione è la somma di tutte le osservanze ecclesiastiche, che la fede è un’adesione ai “ credi „ delle chiese.
■ Io non critico; noto il fatto. Tutta l'influenza ehc può avere l’autorità spirituale e materiale dell’uomo è stata messa in opera per far sloggiare la religione di Cristo dalla sua abitazione naturale che è nel cuore dcll’Umanità. In parecchi paesi le chiese hanno letteralmente rubato il Cristo al popolo ; esse hanno trasformato il Figliuol dell’uomo nel Gran Sacerdote di un Ordine; esse hanno tolto via il Cristianesimo dalla città e lo hanno imprigionato dietro le cancellate degli altari ; esse lo hanno deviato dalla vita nazionale c lo hanno consegnato ai pochi che pagano per mantener vivo l’inganno inconsulto,».
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sua fede religiosa, cioè come un dovere: dovere uguale nè più nè meno a quello dell’attività intellettuale o cultuale relativa alla dottrina cristiana. Ad esempio il discepolo di Gesù il quale — guidato dalie sue convinzioni cristiane — riempie una scheda di voto compie un atto altrettanto religioso quanto quello ch’egli compie allorquando, guidato dalle medesime sue convinzioni cristiane, egli s’inginocchia in una chiesa.
E, una volta riconosciuto il dovere sociale del cristiano, il non adempiere questo dovere diventa una colpa (i).
Qual’c il programma del cristiano?
11 programma del vero cristiano è questo: combattere sempre e dovunque per la salvezza delle anime, per il trionfo della verità e della giustizia, cioè per la vittoria — in tutte le sfere della vita — del bene sul male (2). Con questo spirito, per questo scopo, il cristiano combatte il male nel proprio cuore e si converte; con questo spirito, per questo scopo, il cristiano esce fuori di sè stesso, combatte il male morale negli individui e li esorta a convertirsi. Perchè dunque il cristiano dovrebbe egli lasciarsi sfuggire la splendida opportunità offertagli dall’arena politica di coniti) Leggo in una «Cronaca degli Stali Uniti - della Rivista Cristiana (giugno 1910): «In tema di questioni sociali vi è da parlare del grande sciopero dei ventimila tessitori della cititi di Lawrence Mass., molti dei quali erano nostri connazionali. Non è da negarsi che i salarii pagati ai tessitori erano salarii di fame. Gli operai han vinto, avvantaggiando di molto le loro condizioni economiche; e durante lo svolgimento della contesa, ora calmo ora tumultuoso, molti cristiani si sono domandati, e dal pulpito c dal giornale: possono la Chiesa e il credente in tali conflitti estremi mantenersi neutrali ?
La Chiesa si ; ma il Cristiano che vive la vita di ogni giorno, e che vedendo i mali non provvede al rimedio, diventa colpevole. E la prosa di un periodico battista di Boston, il Watchman, ha riscosso le approvazioni generali quando ha esplicitamente affermato che « se un’impresa permette di pagare di più, gli operai dovrebbero ricevere una paga maggiore; se no la fabbrica dovrebbe essere chiusa », — togliendo cosi al capitalismo l’ultima scusa plausibile, quella dell’avvilimento del mercato.
(a) Stimo sufficiente questa definizione del • programma del vero cristiano • perche i lettori intendano che quanto vado dicendo sul dovere del cristiano di far della politica non ha nulla a che vedere con l’obbligo pel buon Cattolico romano di essere un clericale.
Il programma del clericale è di combattere sempre e dovunque per gl’interessi della Chiesa romana, per il trionfo su tutti gli altri poteri religiósi, civili c politici, della Chiesa romana, per la vittoria in tutte le sfere della vita della Chiesa romana. Ho già affermato recisamente più sopra che, le chiese essendo società di anime, non hanno, o non dovrebbero avere alcuna ragione di fare della politica per conto proprio.
battere le potenze del male e di far trionfare nel mondo i suoi ideali di bene?
Delle lotte come ad esempio quelle contro la prostituzione, contro l’alcoolismo, contro il giuoco non si combattono soltanto persuadendo ogni singola meretrice, ogni singolo ubriacone, ogni singolo giuocatore a correggersi del suo vizio. Si combattono altresì, e molto più efficacemente, riformando la legislazione relativa alle case di malaffare, agli spacci di bevande alcooliche e alle bische. E le leggi sono fatte e modificate dai deputati, e i deputati sono nominati dagli elettori fra i quali sono o dovrebbero essere in maggioranza i cristiani.
Perchè il cristiano lascerebbe egli la politica — da cui dipendono la salute fisica, la prosperità materiale e quindi indirettamente la moralità, e per conseguenza la salvezza spirituale dei suoi simili — nelle mani dei non cristiani?
Non deve il discepolo di Gesti amare il suo prossimo, e più particolarmente l’infelice, il diseredato?
Non dev’egli dunque valersi di tutti i mezzi onesti per procacciare la felicità presente e futura, terrena e ultraterrena del suo prossimo? (1).
La solita obbiezione.
lo sento echeggiare a questo punto il solito grido di protesta : « Non bisogna lanciare le chiese nel tumulto delle mischie umane. Le chiese perderebbero il loro prestigio e il nome di Cristo sarebbe profanato e vilipeso ». E si addita con ragione l’esempio funesto dei disastri spirituali prodotti dalla politica ufficiale della Curia romana.
Ed io da capo rispondo : le chiese son del parere anch’io che devono essere lasciate in pace — e mi pare di averlo esplicitamente dichiarato più sopra — ma quando io, come io, non a nome di una chiesa ma a nome mio
(1) Il sig. Jeffs, editóre del Christian World Pulpit e presidente per l’anno 1913 delle «Fraternità inglesi* — colossale movimento laico di neo cristianesimo di cui fanno parte 700.000 Uomini —- cosi si espresse nel recente Con-di Manchester:
« Noi vogliamo trasformare un popolo cristiano di nome in un popolo di Dio. Ci si obbietta che saremo trascinati nella politica : ora la politica divide e essa insudicia chi la tocca. Rispondo : se la politica è tanto sporca c questo un motivo di più per tentare di ripulirla. In quanto al pericolo delle divisioni fra noi, è certo che ognuno appartiene ad uno speciale partito, ma dovremo noi tempre sacrificare ì nostri principi religiosi al nostro partilo/ Edifichiamo «w concetto nuovo della polìtica, cosi nuovo che persino delle elezioni generali possano diventare un mezzo di grazia ».
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soltanto, partecipo a un comizio o a una campagna elettorale a favore di un candidato e contro il candidato avversario; quando vi partecipo però nella mia qualità di cristiano, per affermare, per difendere e per far trionfare le mie convinzioni cristiane personali (cristiane ma personali, personali ma cristiane) io — lottando pel trionfo del mio Maestro — non comprometto alcuno ed intanto ubbidisco alla volontà del Padre mio che è nei Cieli.
E, allorquando a me individuo cristiano si uniscono un secondo» un tèrzo, un decimo individui cristiani, finché diveniamo molti e ci organizziamo in gruppi cristiano-sociali o democratici-cristiani per fare della politica, della vera politica militante, nella nostra qualità non di membri di una particolare chieda, ma di seguaci dichiarali di Gesù Cristo, noi sentiamo,’ nel fondo vivo della nostra coscienza, che l’opera nostra è approvata da Colui che ci ha salvati e che vogliamo ad ogni costo « far Re », non Re « di questo mondo » no, ma pur tuttavia Re «sulla terra» (1).
11 nodo vitale della questione.
Perchè, venendo ai ferri corti, la questione è questa: Ci crediamo o non ci crediamo al trionfo di Cristo? Crediamo o non crediamo che il mondo possa essere redento dalla schiavitù del male? Crediamo o non crediamo che la nostra Terra sarà un giorno una provincia del Regno di Dio?
Se non ci crediamo, continuiamo pure a dire che le questioni economiche e politiche non ci riguardano, continuiamo pure a immedesimare la religione cristiana col culto cristiano — nel senso tradizionale della parola — (culto pubblico o privato, in comune o individuale) continuiamo pure a considerare l’adesione alla dottrina più o meno complicata e la partecipazione al rito più o meno solenne della nostra Chiesa particolare come le due sole possibili manifestazioni, come le due sòie attività pratiche della nostra fede (2).
(x) Dice un bell'inno delle Fraternità inglesi:
■ O Dio ! mandaci degli uomini, il cui scopo sarà non di difendere un credo antiquato ma di applicare la legge di Cristo alla loro esistenza, in ogni pensiero, in ogni parola, in ogni azione. O Dio, mandaci degli uomini intelligenti e risoluti, per vivere : precetti sublimi del Maestro, affinchè le leggi del Cristo diventino le leggi e i costumi dello Stato ».
(?) In questo momento mi risuonano alle orecchie le parole piene di dolore e di angoscia dello straniero di cui ci parla lo Sheldon nel suo romanzo: Che farebbe Gestii Lo ricordate quando egli, dopo il sermone del pastore, si avanza verso il mezzo della navata c grida : ■ Io ho girato la vostra città durante tre giorni, cercando aiuto c non ho
Ma se invece crediamo che Gesù Cristo deve trionfare sopra Satana in tutte le sfere della vita, bisogna che noi cristiani lavoriamo a tut-t’uomo per strappare la vita politica del nostro paese alle mani di Satana e consegnarla nelle mani del nostro Redentore. Necessità ce ne è imposta e guai a noi se non lo facciamo. Un cristiano non può credere che le leggi del Diavolo siano più pratiche e più benefiche di quelle di Dio! (1).
Il pensiero di F. B. Meyer sul dovere che hanno i cristiani di partecipare alla vita politica del loro paese.
A conferma del mio pensiero credo opportuno citare alcune belle parole di chi assai più di me possiede senno ed esperienza della vita.
inteso una parola di simpatia o di conforto... La notte scorsa ho inteso cantare da alcune persone in una adunanza di preghiera :
Mi arrendo a la tua voce, o mio Signor : d’agni terrena cosa mi sfoglio, e la mia croce tolgo, e li seguo fer la via scabrosa, ed io mi domandavo, seduto sullo scalino della chiesa, che cosa essi volessero esprimere con quell’inno. A me sembra che vi sia nel mondo un fascio enorme di miserie, che non esisterebbero Se tutte le persone che cantano simili parole le mettessero in pratica. Forse non ne capisco niente. Ma •' che farebbe Gesù? " E pretendete yoi davvero di seguire le orme di Lui ? Mi pare talvolta che il pubblico che riempie le belle chiese della città, abbia dei begli abiti, delle case eleganti, del danaro per provvedersi d'ogni sorta di cose superflue, di viaggi, di ricreazione, mentre il popolo che se ne sta di fuori e corre per le strade in cerca di lavoro si alza nella miseria e ncll'ubbriachcxza e muore nelle stani-berghe ».
Ecco in queste parole il rimprovero acerbo di tutta una classe a coloro Che si dicono cristiani.
(x) Il Robkrtson, in uno dei suoi classici sermoni, cosi si esprime : « Si dice che la religione debba restare estranea alla politica ed al socialismo : l'opinione, pubblica è, in generale, contraria all’attività politica di un ministro del-l’Evangelo. In parte è giusto, ma in parte è anche falso. Dire che la religione non abbia nulla a che fare con la quistione politica e con quella economica, è propugnare un errore.
■ Si potrebbe parimente affermare che l'atmosfera non abbia nessuna influenza su le leggi che regolano l’archi-lettura. Direttamente, forse no ; ma. indirettamente *1. Vi sono delle pietre che alcuni anni di umidità bastano per deteriorare, mentre durerebbero dei secoli in un clima Secco.
■ In certi paesi un genere di costruzione è utile, mentre in altri sarebbe nocivo alla salute. Le leggi dell’architettura differiscono da quelle dell'atmosfera, ma non vi è problema d'architettura in cui non entrino le considerazioni atmosferiche come fattori importantissimi.
«Ciò che l’aria è all'architettura, la religione è alla politica. E' l’aria vitale che anima tutte le questioni che essa stessa può suscitare ».
Nulla, dunque, d’umano è estraneo all'Evangelo. Se esso può contribuire a sollevare tante miserie c a distruggere tante disuguaglianze, perche non lavorare per questo avvenire migliore?
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Intendo parlare di quel grande uomo di Dio che è il ministro evangelico F. B. Meyer.
Un uomo come il Meyer deve ispirare la più completa fiducia: ormai alquanto attempato, egli è noto a Londra come uno de* pastori più spirituali della metropoli, cioè come uno di quelli che insistono con particolar forza sulla necessità della conversione e della « vita nascosta con Cristo in Dio ».
Ebbene sentite come parla quest’uomo (i): Dobbiamo inculcare la santità della vita umana.
Dio è veramente in tutta la vita umana. Lo Spirito Suo alita intuite le sfere dell’attività umana : non solo nella Chiesa, ma anche nello Stato ; non solo negli inni e nei salmi, ma anche nel frastuono della Borsa; non solo nelle assemblee e nelle adunanze di risveglio, ma anche nelle riunioni politiche; non solo nella elezione di un pastore o di un vescovo, ma anche in quella di un deputato al Parlamento. In mezzo all’ignoranza, al pregiudizio e al conflitto delie passioni dei partiti Egli compie i suoi piani eterni e domanda il nostro concorso. Egli cerca sempre la cooperazione cosciente e volonterosa degli uomini, e specialmente di coloro i quali vivono in comunione con Lui nelle regioni più eccelse della loro esistenza. Come nell’ordine della vita spirituale gli uomini idonei diventano gli organi della Divina Rivelazione per le cose spirituali, così nell’ordine economico — sia sociale, municipale o parlamentare — gli uomini idonei diventano i suoi organi per la giustizia in materia economica. Colui il quale operava per mezzo di Mosè riguardo alle leggi sanitarie, all’architettura, alle relazioni coniugali, alla proprietà della terra e al buon governo ; che operava per mezzo di Elia e d’Isaia per la riforma sociale e morale; che fece di Davide un uomo d’azione e di Ezechiele un maestro di etica politica, non prende certamente meno interesse oggi nei grandi movimenti della nostra vita nazionale.
Se un uomo adora Dio nella sua chiesa la domenica e Lo scaccia dalla sua banca o dal suo ufficio, dalla sua fabbrica o dal suo laboratorio, dal suo circolo o dalla sua bottega, dal suo partito sociale o politico, egli deve essere considerato come effettivamente ateo. Al contrario, il banchiere che non apra il suo
ufficio con la preghiera o l’artigiano che non lavori al suon di salmi, o il giudice che non cominci le sedute con la lettura della Bibbia — se il loro cuore è aperto allo Spirito buono della Verità e della Giustizia — essi possono essere veramente religiosi ed aiutare, nella loro sfera, non meno del ministro di culto o del conferenziere, a promuovere il Regno di Dio ed a far compiere la Sua volontà.
La parola santo è affine di sano. L’uomo santo è l’uomo sano che cammina con Dio in tutti i rapporti della vita. Le estasi senza l'etica sono prive di valore. Lo Spirito Santo è uno Spirito sano. La Santa Città non ha bisogno di tempio perchè Dio dimora in ogni casa ed informa l’intera vita di essa.
Dobbiamo in modo speciale disapprovare ogni tentativo di divorziare la religione spirituale dalla politica, considerata nel senso largo della parola, cioè come l’azione concertata per il miglioramento della vita di una nazione e del móndo (r). E’impossibile incarcerare io Spirito di Dio nei vostri templi o nelle vostre assemblee e dire che quivi solamente Egli dimora. Se vi provate a farlo, sarete come coloro i quali chiusero le porte della prigione sugli apostoli, e la mattina li trovarono liberi. I, carcerieri ecclesiastici possono tentare di rinchiudere Dio nei tempii, ma Egli non vi è, anzi è nel mercato, nell’ufficio, nel tribunale, nella camera di consiglio ; ed i buoni possono rinvenirne le traccie, ed avere comunione con Lui nelle grandi agitazioni morali e sociali del giorno. Come si sarebbero potuti raccogliere per noi i risultati delle grandi riforme morali e sociali del passato, senza la politica? Come si può ottenere la santificazione del giorno del riposo, limitare gli eccessivi strazi delle condizioni attuali del commercio e delle industrie, senza la politica? Come si possono purificare i bassi fondi delle grandi città, se non con l’elevare gli ideali del popolo, e poi indurlo a fare iscrivere nel codice del proprio paese i suoi ideali per il tempo avvenire ? La politica è lo sforzo che si fa per illuminare la mente del popolo con gli ideali del regno di Cristo, e poi indurlo ad applicare codesti ideali ad ogni sfera della vita civile comune (2).
Onore a quelli che sono pronti a sopportare l’odio degli interessati, la bile degli in(x) Ricavo questi pensieri da un opuscolo del Meyer intitolato II dovere e le of/ortunità delle Chiese evangeliche in rapporto con le questioni morali e sociali odierne. La edizione italiana di questo opuscolo è, a mia conoscenza, esaurita. Sarei grato a chi potesse indicarmi il modo di procurarmene un ninnerò qualsiasi di copie.
(x) Ed è questo il vero concetto della politica. Essa non consiste nell'azione concertata per il miglioramento. •. del collegio elettorale di cui si fa parte — come pensano purtroppo molti elettori.
(?) Ancora una volta, questo è il vero concetto cristiano della politica!
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gordi e dei prepotenti spogliati dei loro guadagni disonesti, la scomunica del loro partito, a motivo dello sforzo che fanno per cristianizzare gli ideali ed i costumi popolari! Per l’opposizione che incontrano, costoro meritano la beatitudine di quelli che sono «perseguitati per cagione di giustizia».
Più osserviamo la società umana e più ci apparisce chiaro che una gran.'parte dei delitti che si commettono sono da attribuirsi alle condizioni nelle quali molti uomini vivono.
Non è probabile che dei cristiani dimentichino la naturale pravità del cuore umano, la quale, anche nelle migliori condizioni, genera la corruzione della vita. Ma, questa ammessa, non possiamo dimenticare che molte fanciulle sono spinte al vizio solo perchè il loro lavoro è male retribuito; che molti uomini si danno all’ubriachezza perchè sono circondati da continue tentazioni ; che l’ambiente in cui vivono diecine di migliaia di bambini spinge questi bambini alla mala vita ; mentre, se l’ambiente fosse mutato — come il dottore Barnardo cerca di mutarlo per i suoi giovani emigrati — il 98 per cento di quei bambini farebbe una buona riuscita. Ma le condizioni si possono mutare soltanto per mezzo delle combinazióni politiche. Qual diritto abbiamo, dunque, di astenerci da questa grande sfera di servizio cristiano? Se è corrotta, tocca a noi a purificarla. Se è demoralizzante, è certo meglio che ce ne occupiamo noi, che abbiamo il segreto del cotidiano rinnovamento. Se è nauseante, tanto più vi è ragione che se ne occupino coloro che non vivono per compiacere a sè stessi ! Può essere cosa più nobile assistere ad una riunione politica, dove la nostra presenza faccia pendere la bilancia in favore di un candidato morale contro uno immorale, che assistere ad una adunanza di preghiera. Certo, per farlo, occorre più grazia e più forza del Signore, più fede e più virtù.
Fin qui l’ottimo pastore F. B. Meyer.
Antagonismi politici tra cristiani.
Qualche lettore mi osserverà forse : Quali sono i criteri di una politica cristiana? Non potrebbe avvenire che un gruppo di cristiani sostenesse in nome del cristianesimo) certe forme di Governo e che un altro gruppo di cristiani sostenesse in nome del medesimo cristianesimo (poiché il cristianesimo è uno) altre forme ?
Rispondo : ciò è possibile in quanto a,forme di Governo perchè all’ Evangelo la Monarchia o la Repubblica, ad esempio, sono del tutto
indifferenti ; ina ciò non è possibile in quanto alla legislazione propriamente delta, cioè in quanto, ai principi politici e ai criteri economici coi quali un Governo di qualsiasi forma (monarchica o repubblicana, esclusa solo l’autocrazia) regge la cosa pubblica, amministra le finanze e spende il danaro versato allo Stato dai cittadini.
Su questo argomento l’Evangelo non è più indifferente. Oh no ! Esso parla invece alto e chiaro, e quindi non sono possibili nè sottintesi, nè malintesi.
Basta leggere onestamente I ’ Evangelo per sapere che cosa siano libertà, giustizia, verità, e che cosa favorisca, oppure ostacoli il rispetto della personalità umana e la realizzazione della fratellanza sociale. « Chi cerca trova!»... Basta essere leali nella ricerca e fedeli nell’applicazione di ciò che si è trovato !
I Cristiani di qualsiasi partito Staranno, dunque, in nome del Cristianesimo, dal lato di quella libertà, di quella giustizia, di quella verità e di ^//^ZZ'amore di cui parla l’ Evangelo. Gli uomini che, in nome del Cristianesimo, ardiscono schierarsi dal lato di ciò che, secondo l’Evangelo, è sfruttamento, immoralità, menzogna, odio, violenza — di qualsiasi specie, proveniente da qualsiasi parte e per qualsiasi causa — questi uomini, a mio parere, non sono cristiani.
Non si può essere cristiani e parteggiare per sistemi economici e politici che sieno la negazione dei principi supremi sanciti da Gesù di Nazaret!
Non si può servire nello stesso tempo Dio e Mammona!
Professione di cristianesimo e partiti politici.
Apriamo gli occhi alla luce del sole e guardiamo coraggiosamente la verità bene in faccia.
Ho detto più sopra : « i cristiani di qualsiasi partito staranno, in nome del Cristianesimo, per quella libertà, quella giustizia e quell’amore di cui parla l’Evangelo ». Ora io mi domando : Non vi sono dei partiti politici — ad es. i partiti clericale, moderato, conservatore — i quali, pei principi stessi che professano, sono la negazione della libertà, della fratellanza e dell’amore cristiani e loro impediscono di penetrare nelle istituzioni e d’essere sanciti dalle leggi?
Non vi sono dei sistemi economici — tra i quali primo il sistema di concorrenza sfrenata che vige attualmente e che deriva in gran parte dal sistema protezionista e militarista e
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dall’accentramento capitalistico della ricchezza — i quali sistemi economici sono assoluta-mente Contrarii, assolutamente antagonistici alio spirito del Vangelo e rappresentano il più forte ostacolo al suo progresso nel mondo?
Potrà dunque un cristiano — in quanto nella sua coscienza desidera seguire le orme del Maestro — potrà un cristiano esser membro di quei partiti o professare quei sistemi economici ? Potrà un cristiano, ad esempio, professare certi principi politici che si estrinsecano in un nazionalismo sospettoso e provocante, certe idee sociali che si traducono in una guerra economica'continua, dal momento che tali lotte, esterne od interne, non permettono in alcun modo lo sviluppo e la pratica di quella fraternità eh’è il programma del «Principe della Pace?».
Lascio la risposta a ciascuno dei miei lettori. In quanto a me, io non credo che il Cristianesimo sia compatibile con qualsiasi sistema economico, che il credo politico di un individuo sia cosa indifferente di fronte al suo credo religioso, che si possa non dirsi ma essere davvero cristiani indipendentemente dalle opinioni sociali che si professano. Non lo credo perchè mi par cosa impossibile aderire sinceramente al Cristianesimo genuino di Cristo facendo astrazione del modo in cui si desidera che venga organizzata la vita collettiva e statale di cui ogni individuo fa parte e che sopra la mentalità di ogni individuo ha una considerevole influenza (r).
Le conseguenze morali della conversione personale non conducono soltanto ad un determinato assetto della condotta privata ; esse devono altresì condurre ad una determinata visione della vita pubblica. Alla luce del-l’Evangelo noi dobbiamo fare di ogni atto e di ogni fatto, privato o pubblico, individuale o collettivo, un caso di coscienza. Anche l’organizzazione econòmica della società, anche il modo in cui un Governo raccoglie o spende il danaro pubblico, devono essere per noi dei casi di coscienza. La « conversione al Padre » è reale e completa solo quando s’integra nella «conversione ai Fratelli».
Coloro adunque i quali, per opportunismo o per interesse, simpatizzano con quei partiti che tendono a conservare il più che possono lo stalli quo, che tendono cioè a mantenere immutato il più a lungo possibile quel sistema di privilegi e di abusi che opprime il popola soffocando tutte le sue aspirazioni migliori ; coloro che, pei principi da loro professati, si oppongono direttamente o indirettamente al miglioramento materiale, e quindi morale, delle classi più laboriose; coloro che approvano lo scandaloso sperpero di pubblico danaro nelle spese militari mentre non vogliono sapere di una legislazione del lavoro la quale sancisca i diritti del povero e protegga il debole contro il forte ; coloro che si ostinano a non vedere l’azióne prodigiosa attualmente compiuta da Dio nel seno di una democrazia, che a parole Lo rinnega mentre praticamente compie la Sua volontà ed affretta l’avvento del Suo Regno : tutti costoro potranno essere fedelissimi membri di qualunque chiesa, potranno dare centinaia di lire per opere di beneficenza, potranno darne migliaia per le missioni fra i pagani, potranno recitare tutti i credi, visitare tutti i santuari, e baciare tutte le pile dell’universo ; io rifiuto loro, nel nome di Cristo, il titolo di cristiani (i).
Ha detto bene Henry Drummond : « Le parole che ciascuno di noi udrà un giorno non parleranno di teologia, ma di vita ; non delle chiese e dei santi, ma degli affamati e dei poveri ; non di credi e di dottrine, ma di ricoveri e di vestiti; non di Bibbie e di Messali, ma di bicchieri d’acqua fresca dati nel nome di Cristo ».
Essere cristiani significa continuare l’opera di Cristo, e l’opera di Cristo — qual’è stata da lui stesso definita — consiste nell’ «evangelizzare i poveri, nel guarire i contriti di cuore, nel bandire liberazione ai prigioni e visione ai ciechi e giustizia agli oppressi» (Luca 4/1S-19). Fuori di questo programma, inteso nel senso integrale — cioè di redenzione individuale e sociale, interiore ed esteriore, spirituale e materiale ad un tempo — fuori di questo programma il Cristianesimo non esiste.
(x) In economia politica la scuola ultra individualista, quella che vede nella concorrenza illimitata il miglior rimedio alla situazione attuale, è chiamata anche scuola ortodossa.
In teologia è detta scuola ortodossa quella che maggiormente si attiene agli antichi dogmi della Chiosa.
Molti cristiani sono ortodossi tanto in economia politica quanto in teologìa, ma è per me un mistero il modo in cui essi riescono ad armonizzare la loro ortodossia sociale con la loro ortodossia dottrinale. Ma già ! Ñon c’è equilibrismo giù svelto e non c’è prestidigitazione più abile che l'equilibrismo religioso e la prestidigitazione morale!
(x) Il pastore J. G. Cordès nel suo volume di conferenze intitolato: Xum Kamfif um die Weltatuckauung (Munich, Beck, 1911) afferma che un uomo può essere un ottimo cristiano pur essendo in politica un conservatore.
Il signor P. Arnal, parlando delle idee del Cordès nella rivista Le chritlianitme social di aprile 1912 dice — secondò nói molto giustamente : — ■ Non è lecito dimenticare che !'E vangelo è àilcffe una regola pratica di vita e di condotta. e ch'egli quindi proclama dei principi coi quali noi dobbiamo armonizzare le nostre idee, comprese quelle politiche e sociali. Il Cristianesimo vero non può addattarsi a tutte le opinioni ».
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Si griderà forse al1’intolleranza?
Può darsi.
In certi casi è stato intollerante anche Gesù Cristo.
La larghezza d’idee, che è una virtù, può anche trasformarsi in soverchia debolezza.
D’altronde c’è scomunica e scomunica. C’è quella del papa la quale è odiosa perchè implica la dannazione eterna dello scomunicato. C’è quella di Cristo la quale è in certi casi doverosa perchè implica semplicemente la cacciata a scudisciate dei mercanti dal tempio. Per non voler mai escludere nessuno, le chiese si sono a poco a poco riempite di una congerie mondano-religiosa formata di svariatissimi elementi eterogenei, buona parte dei quali non ha in fatto di Cristianesimo altro che il nome. Le chiese dovevano essere il « sale della terra», ma ahimè! quanto il sale ha perso il suo sapore !
IL'discepolo di Cristo dev’essere necessariamente un socialista?
Non vorrei essere frainteso e mi rincrescer rebbe di passare per un intransigente e per un settario.
Si badi bene a quello che ho detto. Io non ho affermalo che, per essere cristiani, bisogna necessariamente essere socialisti.
Personalmente, io posso avere pel socialismo la più viva simpatia ; posso credere che, nell’epoca nostra, il collettivismo sia l’ordinamento sociale che meglio risponda non soltanto ai bisogni della società, ma ai principi generali dell’Evangelo ; posso essere convinto che il socialismo, una volta realizzato, costituirà un ambiente assai più favorevole dell’ambiente attuale alla nascita e allo sviluppo nell’individuo della vita cristiana.
Questa è però una convinzione mia personale, una convinzione dirò cosi « scientifica » sul terreno politico ed economico; io ho il diritto di professarla e di fare per essa, se cosi mi piace, la più attiva propaganda. Io non ho affatto il diritto di scagliare l’anatema contro alcuno a cui non garbi il socialismo, nè contro alcuno che prenda di fronte al socialismo un'attitudine negativa perchè, sinceramente, lo reputa esiziale al progresso umano.
Rifiuto invece il titolo di cristiano a coloro che — adoratori del passato, paurosi per l’avvenire —- approvano e sostengono l’organizzazione sociale presente, fondata sull’egoismo, sulla concupiscenza, sulla violenza, a coloro cioè che prendono un’attitudine positiva in favore del sistema protezionista, militarista
è capitalistico attuale quando sono invece, nella maggior parte dei casi, convinti che, cosi facendo, essi favoriscono ogni sorta di abusi, ogni forma di sfruttamento, e concorrono a perpetuare nel mondo il dominio della violenza, della menzogna e dell’odio. Un sistema che permette a pochi di accumulare ricchezze favolose a detrimento di molti che, nonostante il più duro lavoro., si dibattono dalla culla alla tomba nelle strette della miseria, un tale sistema non è cristiano ma pagano.
A me pare adunque che, se il cristiano non deve necessariamente essere socialista, egli necesariamente debba essere oggi antiprotezionista, antimilitarista e anticapitalista (i).
Evangelo e sistemi economici.
Nè si dica, per carità, che « l’Evangelo non è un' trattato di sociologia e ch’esso non insegna alcuna particolare dottrina economica».
(«) li pastore Jean Roth scriveva egregiamente alcuni anni or sono nel suo giornale !’zftWNZ-(»ir«4r :
Dobbiamo no: condannare il sistema economico attuale, dobbiamo noi combattere la proprietà individuale? Certamente no, se abbiamo la certezza che grazie a questa e a ! urlio noi affretteremo la costituzione dell'umanità invera ratcllanza universale. Certamente si se noi abbiamo la prova che questue, quello è d’impedimento alla realizzazione del piano divino; cioè alla ricostituzione della famiglia del Padre.
Dobbiamo noi andare al socialismo, prendere posto nelle fila del comuniSmo, del collcttivismo? Certamente no se il socialismo, il collcttivismo sono in opposizione diretta e fondamentale collo Spirito di Gesù Cristo. Certamente si s'essi segnano uno sforzo, nel senso autenticamente cristiano, verso la rigenerazione sociale; certamente si, in tutta la misura in cui essi segnano questo sforzo.
Dovremo noi, ritornando al metodo dei primi giorni della Chiesa, praticare la comunanza dei beni? No, dicono gii uni. I primi cristiani si sono organizzati per far trionfare il principio della comunanza dei beni nella pratica quotidiana della vita. Essi non vi sono riusciti. La prova è stata fatta da loro. Il sistema è condannato dal loro insuccesso. — Eh ! Eh ! la prova è fatta ! Si, di certo, atta certa prova è fatta, ma non quella che si crede! Si è fatta la prova che il mezzo ch'essi hanno immaginato per tradurre in pratica il principio della comunanza dei beni non è il buono, si è fatta la prova che, senza il lavoro dei suoi membri, nessuna società può vivere, nè quella che pratica la comunanza dei beni nè qualsiasi altra. Ma non si è punto provato che sia condannabile la comunanza dei beni perchè il principio è falso. Ripeto: il male di cui ha sofferto la primitiva Chiesa non è la comunanza dei beni : è l'astensione da qualsiasi lavoro. E si noti bene che, se non si lavorava più, non è affatto perchè si era messo ogni cosa in comune, ma perchè s’aspettava la prossima fine del mondo e il ritorno di Cristo.
Dico questo per concludere che le condanne sommarie che noi pronunziamo su certe esperienze del passato, sui principi! che le hanno ispirate e cke darebbero noia al nostro egoismo se fossero messi in vigore, non hanno il valore che noi talvolta attribuiamo loro, c talvolta non hanno valore affatto.
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E’ questa una scappatoia puerile per la quale si tenta di sfuggire al dovere cristiano.
E’ vero! Non si trova nell’insegnamento del Falegname di Nazareth alcun sistema eco-vomico ben definito... come non vi si trova alcun ben definito sistema teologico. Gesù non ha dato ai suoi discepoli delle disposizioni economiche tassative. Egli nè ha mai detto: « Conservate la proprietà privata », nè ha mai eletto: «Trasformate la proprietà privata in proprietà comune».
Ma, se Cristo non ha dato al mondo alcuna organizzazione economica speciale, egli ha spinto ed egli spinge i suoi seguaci a cercarne una che soddisfi ai postulati del suo Evangelo e nello stesso tempo ai bisogni vitali degli uomini. S’egli non è un professore di scienze sociali, nè il capo di un partito politico, egli è l’ispiratore del più audace e del più ostinato sforzo sociale.
Cosi Egli appare quando si cessa dal considerarlo come un Idolo sacro, indifferente alle miserie umane, e che noi veneriamo cultualmente per impedirgli meglio di trasformare le nostre vite e le nostre relazioni sociali. Di quel Salvatore più non vogliamo sapere perch’egli non è il Salvatore. Per quanto ingenuo ciò possa parere, noi vogliamo ispirarci ed ispirare la società collo Spirito del vero Salvatore, di quello del Sermone sul Monte, che è venuto per stabilire, sulla terra come nel cielo, il Regno della Giustizia individuale e collettiva.
Nell’Evangelo non c’è una teologia ma c'è wn^religione-, nell’Evangelo non c’è un sistema economico ben definito ma c’è una ben definita morale sociale. E questa morale sociale è riassunta in precetti non solo negativi come comunemente si crede (« Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te ») ma in precetti positivi.
Consideriamo le cose... lealmente.
Gesù ha egli detto si o no: «Amatevi gli uni gli altri», « Fate agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi», «In quanto l’avete fatto a uno dei miei minimi fratelli voi l’avete fatta a me», «Chi vuol venire dietro a me rinunzi a sè stesso» (dunque anche ai suoi interessi che sono assai meno della sua persona). « Ama il prossimo tuo quanto te stesso?» (i)
Gesù ha egli detto sì o no queste cose?
Orbene, io sfido qualsiasi uomo che abbia non dico un po’ di coscienza ma un po’ di
(x) Gioy. .Matteo 7/sa ; Matteo * 2S/4O: Luca ?/jj.
Leggasi tutta la parabola dell’ultimo giudizio in Mai-teo 25/}1 a <6.
buon senso ad affermare che qualsiasi- dottrina economica possa adattarsi non dico ai « credi » delle diverse chiese, ma allo Spirito dell’Evangelo e che per conseguenza le convinzioni politiche particolari siano indifferenti alla professione di fede cristiana. Io sfido qualsiasi uomo che abbia il cervello sano ad armonizzare gli ordini di Cristo sopra citati colla lotta sfrenata, colla concorrenza fratricida, colle guerre e rumori di guerre prodotte dal sistema militarista, protezionista e capitalistico che è l’attuale sistema di convivenza sociale. Tutti i funambulismi del più scaltro teologo legato a fil doppio col tradizionalismo retrogrado non riusciranno a farmi vedere nell’/zi»w /¡omini lupus — prodotto logico e inevitabile dell’attuale consorzio umano — il volto soave del buon Samaritano(i).
L’Evangelo non contiene alcun sistema politico preciso perchè, se ciò fosse, l’Evangelo non sarebbe più l’Evangelo. Qualsiasi sistema, anche il più ardito, può trovarsi un bel giorno antiquato, inattuabile, dannoso; l’Evangelo invece, per esser tale, deve contenere, come difatti contiene, dei principi eterni. L’Evangelo non è lettera morta ; esso è spirito e vita : spirito fraterno e vita fraterna.
Invece, il sistema economico che regge attualmente la società civile è, nel senso più assoluto, antifraterno. Tra lui e l’Evangelo non c’ è dunque compatibilità, c’ è invece il più assoluto, il più irriducibile antagonismo. Il primo è la negazione del secondo e il secondo è la negazione del primo (2). Giammai si coglieranno frutti di fraternità umana sull’albero del capitalismo, del protezionismo e del militarismo. Giammai ! Per cogliere questi frutti bisogna cambiare l’albero, e mettere, se occorre, la scure alle radici.
(x) Hanno qui il loro posto queste belle parole del patriarca socialista inglese, il cristiano Kcir H ardi e.
«Cristo non ha, è vero, fondato un partito o definito delle teorie economiche, ma Egli ha rivelato delle verità vitali cosi vaste e così profonde che. se un giorno si vorrà applicarle — c ciò succederà certamente non appena il mondo sarà diventato più savio — non solo sparirà dalla terra quella povertà che deriva dalla mancanza di pane, ma anche quella povertà che deriva dall’accumulazione delle ricchezze».
(Rivista Fot et Vìe del xó marzo 19x2).
(2) Il grande economista belga, Emilio de Laveleye, ha detto molto bene: «Se l* Evangelo fosse predicato secondo lo spirito del suo fondatore il nostro povero ordinamento sociale non durerebbe un sol giorno ». Da ciò si traggono due conseguenze:
x° che l'attuale ordinamento sociale è assolutamente contrario allo spirito di Cristo :
a° che — dal momento che il nostro cattivo ordinamento sociale regge... benissimo — l'Evangelo non è stato sin’ora generalmente predicato secondo lo spirito del suo fondatore.
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Con questo — e lo ripeto perchè in simili questioni sono molto facili i malintesi, specialmente quando questi malintesi si cercano e si vogliono —con questo io non credo che si abbia il diritto di affermare che il cristiano non possa essere, politicamente ed economicamente, altro che un socialista. Affermo invece, enfaticamente, che il cristiano — se davvero vuol esser un « seguace di Gesù Cristo » e non accontentarsi di essere soltanto un « membro di chiesa » — deve invocare colle sue preghiere e affrettare coi suoi voti e coi suoi sforzi l’avvento di un regime sociale in cui il desiderio della ricchezza e del profitto non precipiti più gli uomini gli uni contro gli altri in una mischia omicida, come succede attualmente.
E perciò fare io non vedo al giorno d’oggi altra via pratica che di militare attivamente ed apertamente nelle file dei partiti democratici popolari.
La posizione speciale dei Ministri del Culto.
Mi resta da esaminare un’ultima questione.
Quale dovrebbe essere — secondo i principi esposti in questo mio scritto — la condotta politica dell’individuo cristiano nel caso speciale ch’egli sia un sacerdote cattolico o un pastore evangelico?
La risposta è facile data la distinzione che ho fatta tra chiese cristiane e individui cri-sliani.
Il ministro del culto, quand’è in veste ufficiale (predicazioni e conferenze in chiesa, visite pastorali nelle famiglie, deputazioni presso altre chiese) fa parte dell’istituto-chiesa e quindi egli deve rigorosamente astenersi da qualsiasi (dico qualsiasi) manifestazione politica. Nei regolamenti di molte chiese protestanti esistono ih proposito tassative disposizioni che non dovrebbere mai essere violate in alcuna occasione.
A buon intenditor poche parole!...
Questa astensione rigorosa da qualsiasi manifestazione di politica pura (ad esempio dichiarazioni di fede monarchica, repubblicana o socialista, spedizione di telegrammi di ossequio più o meno servile) non deve però impedire al predicatore di trattare in pulpito —- alla luce del-l’Evangelo, e sulla base delie oneste sue convinzioni personali —degli argomenti pratici morali e sociali, anche se questi argomenti hanno qualche punto di contatto con questioni politiche. So bene che, comunemente, si crede che il predicatore debba portare il messaggio di Dio in forma generica e rivolto alla generalità: cosi con
danni il furto, la menzogna, l’impurità, ecc., auguri la venuta del Regno di Dio, della solidarietà umana, della pace, ecc. ; ma non alluda a fatti specifici economici o sociali. Fare questo sarebbe « fare della politica », mentre quello che si chiede è « il puro messaggio di Dio». Ma io credo fermamente che un predicatore il quale vuol davvero recare il messaggio di Dio (cioè dire ai suoi fratelli da parte di Dio, tutto ciò ch’egli da Dio ha udito) io credo che un tale predicatore, per fedeltà alla sua vocazione, non debba avere esitazione alcuna a trattare in pulpito problemi che possono parere — ecclesiasticamente parlando — «poco opportuni». Se per questo egli sarà perseguitato, pensi quel predicatore che furono perseguitati i profeti appunto perchè la loro predicazione toccava questioni politiche, sociali, economiche. Ci furono anche è vero dei profeti che si tennero sulle generali... ma essi furono di poi riconosciuti falsi profeti (1).
Questo che ora ho detto riguarda il ministro del culto nell’attività del suo ministerio: In quanto al ministro del culto non in veste ufficiale (vita privata, collaborazione a giornali non ecclesiastici, amicizie e relazioni personali), egli è, 0 dovrebbe essere, semplicemente un individuo cristiano come tutti gli altri', individuo la cui libertà non può essere in alcun modo vincolata nel campo economico e politico ed al quale, per conseguenza, s’applica quella linea di condotta che dev’essere, secondo me, quella del soldato di Cristo nel mondo. Il ministro del culto, in questi casi, è pienamente libero di manifestare apertamente le sue convinzioni personali.
Farei però una riserva per un caso speciale.
Là dove, date particolari circostanze di fatto, l’attività politica anche privata del ministro del culto assumesse una notevole importanza e quindi una notevole influenza — a motivo appunto della carica ecclesiastica locale ch’egli ricopre e del prestigio che a della carica è locai(') Leggo nt\\'Araldo di Ncw-York del 7 dicembre 1911 :
• Il Rev. Manning, rettore della Chiesa della Trinità, ha • consacrato tutta la sua eloquenza a dimostrare che se la ■ chiesa deve, in generale, rimanere appartata dalle que-« stioni politiche, non può e non deve rimanere indifferente ■ di fronte alla questione della guerra, che è così intima. • mente legata alla vita morale e religiosa dei popoli ’■
Anch'io la penso come il Rev. Manning e trovo doloroso che i pareri dei sedicenti cristiani siano su questo punto talmente divisi. Un predicatore fedele dell'Evangelo deve protestare dal pulpito senza riguardi umani contro tutto ciò che è contrario alla dottrina di amore sancita da Gesù Cristo. Un predicatore che, in nome dell'Evangelo, condanni la guerra, qualsiasi guerra, non si occupa di questioni folitieke ma tratta un argomento morale. Le cose che si oppongono alle leggi del mio Salvatore non riguardano la politica : esse riguardano la mia religione.
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mente connesso — in questo caso speciale, egli dovrebbe, secondo me, rigorosamente astenersi da ogni partecipazione alla vita pubblica.
Ciò non per timidità o per opportunismo, non per evitare di esporre i suoi principi cristiani all’urto violento con altri principi, ma
per ragioni di delicatezza e di prudenza cristiana, cioè per non violentare politicamente le coscienze di persone ch’egli è chiamato a pascere spiritualmente.
Milano.
Giovanni E. Meille.
CONGRESSO INTERNAZIONALE DEL CRISTIANESIMO SOCIALE
BASILEA (SVIZZERA) SETTEMBRE 1914.
Portiamo a conoscenza dei nostri lettori questo documento, il quale si rivolge a tutti coloro che si considerano Cristiani sociali, oppure Socialisti cristiani. La nostra Rivista spiegherà più completamente fra qualche tempo lo scopo e il programma di questo Congresso, al quale i principali leaders del Cristianesimo sociale e del Socialismo cristiano, appartenenti a varie Chiese e a parecchi Paesi, hanno già fatto sperare la loro partecipazione. [Red.]
Egregio Signore,
Veniamo a pregarvi di partecipare al Congresso internazionale del Cristianesimo sociale che si terrà a Basilea nel settembre 1914.
Opportunità di un Congresso intemazionale. — Chiunque osservi con attenzione il movimento d’idee del mondo cristiano, ha l’impressione precisa che sta compiendosi attualmente un Risveglio sociale. Dovunque s’impone alla coscienza cristiana il dovere assoluto di occuparsi dei problemi sociali nello spirito dell’ Evangelo.
Come tutte le grandi cause, il Cristianesimo sociale può e deve assumere un carattere internazionale. Allo stesso modo che tutti gli amici delle Missioni evangeliche hanno potuto formare un'Associazione internazionale, noi stimiamo che tutti i Cristiani i quali hanno delle preoccupazioni sociali debbono incontrarsi, al disopra di tutte le frontiere, per risolvere insieme molti problemi, dissipare molti malintesi, stabilire dei riavvicinamenti fecondi di risultati fraterni.
In nome dell’Evangelo, che incarna la più alta giustizia, si tratta di lottare solidalmente, e non soltanto in gruppi isolati, contro tutte le tendenze anti-sociali e anti-cristiane. L’unione s’impone. Noi vogliamo provarci a preparare, a Basilea, nel 1914, questa unione tra tutti i movimenti sociali d’ispirazione cristiana.
Ci sono delle varietà, tra noi cristiani sociali di tutte le Chiese e di tutti i Paesi, varietà di cultura, di abitudini intellettuali, di tradizioni, ma appunto in queste varietà si rivela la ricchezza dei pensieri divini. Ciò che noi cerchiamo anzitutto, non è di creare un’organizzazione nuova, ma è di manifestare l’unità fondamentale del nostro indirizzo. Ci è parso che un Congresso internazionale del Cristianesimo sociale fosse necessario per raggiungere questo scopo.
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VOCI E DOCUMENTI
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sfc *
Storia del movimento. — Nel giugno 1910, a Besançon, già ebbe luogo un primo incontro internazionale dei Cristiani sociali. Il convegno di Besançon votò un certo numero di tesi indicanti i principi comuni ai Cristiani sociali di Francia, d’Italia, di Svizzera e di altri paesi: ma era bene inteso che questa dichiarazione — primo sfòrzo per orientare l’azione morale, democratica ed economica dei Cristiani sociali — non avrebbe avuto alcun carattere obbligatorio (1).
Inoltre il Convegno di Besançon nominò una Commissione di tre membri, incaricata di preparare un nuovo Congresso internazionale. Questa commissione vi prega caldamente di aderire al Congresso di Basilea e al suo programma.
Faremo appello, in tutti i paesi, a tutti i nuclei di Cristianesimo sociale e di Socialismo cristiano, siano dessi dipendenti o no dalle Chiese e li convocheremo a Basilea nel settembre 1914. Un Comitato centrale svizzero si è gentilmente incaricato dell’organizzazione.
* #
Programma generale del Congresso. — Al programma noi abbiamo iscritte le importanti questioni seguenti:
1. « Perché una trasformazione sociale s'impone ai cristiani come un dovere di coscienza i ».
2. « Il nostro atteggiamento di pronte al socialismo organizzato >.
Inoltre prenderemo in considerazione, mediante Relazioni speciali o brevi comunicazioni, alcune questioni attuali, come:
« Il Cristianesimo e la Pace universale » ;
«ZZ Cristianesimo e ! AlcooUsino »;
* Il Cristianesimo e la Tratta delle bianche ».
Il nostro voto ardente è che il Congresso di Basilea contribuisca a stabilire relazioni fraterne tra i Cristiani sociali e i Socialisti cristiani del mondo intero, onde render possibile l'unità di azione che ci appare così necessaria nel momento in cui i più gravi problemi sociali stanno davanti alla coscienza dei Cristiani e delle Chiese.
Fratelli ed amici, noi sollecitiamo il vostro appoggio morale, vi chiediamo di raccomandare il nostro progetto intorno a voi. Vi chiediamo di rispondere voi stesso, personalmente, alla nostra domanda, autorizzandoci a mettere il vostro nome in calce all’appello generale che noi manderemo ulteriormente a tutti coloro che il nostro Congresso può interessare, affinchè vi partecipi il maggior numero possibile fra i militanti del movimento cristiano sociale.
Come al Convegno di Besançon, noi poniamo l'iniziativa nostra « sotto la ispirazione del Cristo », col desiderio di realizzare tutte le conseguenze del suo
(1) Le Tesi di Besançon saranno mandate a chi ne farà domanda con cartolina doppia al dott. G. E. Meille, 60, Corso Sempione, Milano.
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Vangelo e di preparare la Città libera e fraterna che noi chiamiamo il Regno di Dio.
Vogliate gradire l’espressione della nostra simpatia attiva al servizio di Cristo e dell’ Umanità.
il Comitato internazionale
incaricato di preparare il Congresso di Basilea:
Augusto De Morsier - Elia Gounelle - Sig.na Miriam Reinhardt.
Il Comitato svizzero
incaricato di organizzare il Congresso:
Professore Ragaz (Zurigo) - Pastore Sublet (Vallorbes) - Pastore LlECHTENHAM (Basilea) - Sig.ra PiECZYNSKA (Berna) - Pastore Schmidt (Berna) - Sig.na Mo-NASTIER (Losanna) - Pastore BÉGUIN (Neuchàtel) - O. LAUTERBURG (Berna) - A. De Morsier (Ginevra).
* * #
Questo appello è stato diramato in tutta Europa e in1 America mediante circolari in tedesco, in francese e in inglese. La circolare francese porta già i nomi dei primi aderenti, tra i quali siamo lieti di notare quelli delle personalità più spiccate del protestantesimo francese: Ch. Gide, H. Ahier, G. De Morsier, R. Allier, W. Monod, H. Monnier, Schaffner, L. Gouth, L. Corate, Em. Roberty, A. Quié-vreux, E. Neel, H. Nick, P. Passy, Piatei, Tricot, J. J. Caspar, Jézéquel, Reyss, P. Fargues, Ed. Soulier, E. Réveillaud, M.l,c Veyer, Courtial, Th. Gonnelle, H. Barbier, Ch. Bost, E. Rocheblave, A. Segond, F. Abauzit, M.me Carr, L. Monod, H. Hollard, Ch. Grauss, P. Teissonnière e altri.
Il Cristianesimo sociale in Italia non ha mai creduto opportuno di costituirsi in Ente o Società speciale; esso esiste però, come tendenza, in tutte le Chiese evangeliche e in seno al modernismo. Vi esiste come lievito nella pasta e ben può dire di avere ormai /atto trionfare quasi dovunque i suoi principi essenziali:
1. Dovere di lavorare 71071 solo alla salvezza dell'anima dei singoli, ma di preparare un progresso spirituale generale trasformando l'ambiente, il che implica ródesioTte a tutte le campagne educative e morali e ad una legale e pacifica riforma ECONOMICA della società.
2. Dovere di rimettere al posto d'onore la dottrina realistica del REGNO DI Dio e di orientare le menti e i cuori e Iattività pratica dei credenti verso il concetto del trionfo SULLA TERRA degli ideali proclamati da Gesù — il che i» plica, una riforma ecclesiastico-dottrinale.
È tempo di provare che a questo movimento mondiale, vera nuova Riforma, partecipa, nella misura delle sue fòrze, anche la nostra patria, e sarebbe molto opportuno se una larga rappresentanza italiana potesse trovarsi a Basilea nel 1914. E' in formazione un Comitato interdenominazionale italiano : intanto per ogni informazione rivolgersi al Dott. Giovanni E. Meille, 60, Corso Sempione, MILANO.
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OT^®M^ENTI
IL VII CONGRESSO DELLA SOCIETÀ ITALIANA
PER IL PROGRESSO DELLE SCIENZE.
Siena,
...che »ui «re colli in fiore di mite olivo tutta si inghirlanda,
e che ha una tradizione di larga e gentile ospitalità — non porta essa scolpito sull’arco della maestosa porta di Camollia il motto Cor magie libi Sena pandil: Siena ti aprirà il suo cuore più ampio di questa porta ? — ha accolto festosamente gli studiosi italiani, raccolti intorno alla Società italiana per il progresso delle scienze, nell’ultima settimana di settembre;
Si sa : i congressi sono divenuti un po’ una lieta « fiera della vanità » professorale, ma la piacevole ironia non deve far chiudere gli occhi al fatto indiscutibile che, attraverso la forma necessariamente frammentaria ed analitica delle memorie e delle discussioni, spesso inattese e disordinate, è facile scorgere l’accenno a nuovi orientamenti, a prossimi tramonti di rispetta--bili idee, all’esulare di interessamenti divenuti convenzionali, a rivelazioni di nuove forze, a tutto ciò, insomma, che nell’insieme sarà la fisonomía ben definita, anche ai profani della scienza, del campo della coltura di domani.
Nei Congresso di Siena, per la costituzione stessa della Società italiana per il progresso delle scienze, i cultori della scienza lout court erano in prevalenza; la terza classe, quella di Scienze morali, costituitasi nel seno della Società dopo le classi di Scienze fisiche e matematiche, e di Scienze biologiche, non ha ancora raggiunto quello sviluppo che le spetterebbe, dato il rifiorire in Italia delle discipline che abbraccia. E’ l’augurio di tutti che il prossimo convegno a Bari (1914) segni per
essa il principio di una nuova vita. Fu notato, nel Congresso, specialmente nella Sezione di filosofia, uno spiccato carattere anticrociano : basti pensare alla presenza dell’Enriquez, del De Sarlo. del Varisco, dei Garbasse.
Il discorso inaugurale del Garbasse, signorilmente chiaro ed interessante, sui principi! della meccanica, è stato un successo ed ha messo in chiaro la liberazione che va compiendosi nel campo delle scienze dall’ influenza deprimente di rigidi filosofumeni che il positivismo pretendeva ricavare da pseudo-leggi fondamentali ed indiscutibili della materia.
La Sezione di Storia delle Religioni.
Non ci è possibile riandare con la memoria a tutti gli studi più interessanti letti nelle sedute. Una novità ed un successo ammonitore è stata l’inaugurazione della Sezione di storia delle religioni, che fu presieduta dal senatore Barzellotti e, nell’ultima seduta, dal prof. Go-stanzi dell’università di Pisa. L’interesse con cui venivano seguite le letture e le vivaci discussioni, a cui prendevano parte i presenti, dimostrarono luminosamente come oramai sia giunto il tempo fra noi, in Italia, che gli organi scientifici e il Governo provvedano largamente all’incremento degli studi religiosi che sono saliti, vincendo l’ostilità da parte del clericalismo ombroso e del pensiero pseudofilosofico, a dignità e a serietà di ricerca scientifica. Chi ricorda che in Italia, poco più di
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quindici anni fa, gii studi religiosi erano limitati a sporadiche ricerche di cultori individuali, isolati e quasi inascoltati — ricordiamo il Mariano a Napoli, il Labanca a Roma, il Chiappe)!! e il Castelli a Firenze — non può che rallegrarsi nel vedere che lo sforzo, che fu anche una bella battaglia, per il rinnovamento della coltura italiana in questo campo iniziato dal risveglio modernista, abbia generato e provocato, insieme ad altre correnti di pensiero più recenti, lo sviluppo confortante dei nostri studi nel loro duplice aspetto storico-critico e filosofico. L’Italia, anche in questo campo fecondo della coltura, è uscita dall’isolamento intellettuale a cui volevano condannarla il monopolio religioso del clericalismo e la cecità giacobina e positivista. Il risveglio e il rinnovamento del pensiero filosofico vanno cosi fra noi di pari passo con l’indirizzo scientifico degli studi religiosi.
11 titolo di « Storia delle religioni » dato alla Sezione, se da una parte rispondeva all’importanza grandissima che ha attualmente la disciplina omonima, non rispondeva bene di fatto alla pluralità delle correnti manifestatesi nel piccolo gruppo dei congressisti, sebbene, a mio parerei esse non si escludono fra di loro. Il rigore di metodo e la voluta limitazione da un punto di vista strettamente storico, non esclude la rifusione delle stesse questioni nel fuoco della ricerca filosofica, specialmente di quella psicologica. Ad ogni modo per ragioni d’opportunità, sopratutto per l’impossibilità di scindere per feconda moltiplicazione là nuova ' Sezione in altre, dato il modesto numero dei cultori delle nostre discipline, fu convenuto di non mutare titolo alla Sezione Vili della classe di Scienze morali, nella quale saranno sempre i benvenuti i cultori di campi affini e di più opposte tendenze.
Una cronaca un po’ ampia del lavoro compiuto nella Sezione ci porterebbe tropp’oltre. Ritorneremo presto sull’argomento. Memorie più strettamente attinenti alla storia e alla scienza delle religioni lessero il Vacca, professore di letteratura cinese all’università di Roma, parlando del culto delle montagne sacre della Cina antica; il dott. L. Pettazzoni, libero docente di storia delle religioni all’Uni-versità di Roma, trattando, prima, del criterio del Nirvana nella valutazione religiosa del Buddismo e, poi, delle origini dell’idea di Dio secondo le recenti teorie storico-religiose ; il professor Mario Rossi, di Roma, illustrando, alla luce dei così detti riti, di fondazione, la leggenda dèi Fratelli Fileni narrata da Sallustio nel De Bello lugurthino a proposito dell’origine delle Arac Philaenorum, che segnarono il
confine, lungamente disputato, fra la Cirenaica e la Libia.
La storia del Cristianesimo fu trattata in due memorie : in una, mons. U. Fracassoni di Perugia volle presentare un’interpretazione, fortemente contestata, sugli inizi della lotta del-l’Impero romano contro il Cristianesimo ; nell’altra il prof. E. Buonaiuti, di Roma, parlò della decadenza del movimento millenarista della Chiesa orientale nel corso dei secoli in, iv e v e delle sue cause sociali e dottrinali. Il professor N. Turchi, anch’egli di Roma, propose una soddisfacente spiegazione dell’estensione del ius Iriuni liberorum, contrariamente allo spirito della legislazione romana che non riconosceva alle divinità capacità giuridica a raccogliere un’eredità testamentaria, a sette divinità provinciali, sostenendo che il decreto va attribuito ad Augusto, che volle così, in armonia con le direttorie della sua politica, cementare l’unione fra le provjncie più romanizzate e Roma.
Infine, il dott. L. Salvatorelli ha discusso i rapporti fra la tradizionale trattazione della storia del cristianesimo e la « storia civile » o generale, sostenendo, in conformità ad alcune idee filosofiche sul valore e sul significato della storia d’indiscussa origine hegeliana, che solo per ragioni pratiche si può descrivere a parte la storia del cristianesimo, mentre in realtà essa si fonda nella grande ed unica realtà che è la Storia, da cui non può venire avulsa.
Nel vasto campo della religione e della letteratura biblica, non si ebbe alcuna memoria : però la recente formazione della Sezione e l’esiguo numero dei Congressisti che vi presero parte, spiegano ampliamente una tale lacuna che verrà colmata in futuro.
S. F.
Alla memoria del P. Giacinto Loyson.
Alla fine del VI Congresso internazionale del Progresso religioso — di cui abbiamo dato un ampio resoconto nel fascicolo di agosto — liberi credenti e liberi pensatori si radunarono al Père-Lachaise per inaugurare il monumento eretto dalla pietà figliale «alla memoria di Giacinto Loyson e di Emilia Giacinto Loyson, la compagna della sua vita e del suo apostolato».
Il deputato di Parigi, F. Buisson, ha reso un eloquente e delicato omaggio al grande oratore che fu per tutta la vita un grande credente.
« Il libero pensiero, disse tra l’altro il Buisson, non è una dottrina, è un metodo che
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Monumento al P. GIACINTO LOYSON ed alla sua compagna EMILIA.
[1913 -V.]
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NÖTE E COMMENTI
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consiste nel cercare il bene ed il vero con tutte le forze della nostra ragione, del nostro cuore e della nostra coscienza. Chiunque accetti di compiere questo sforzo, durante la vita, con qualsiasi conseguenza e a qualunque costo, costui è un pensatore libero. Non giudicatelo dalle dottrine alle quali lo condurrà il lavoro della sua mente. La sola questione da farsi è questa: si è egli impegnato a fare il suo mestiere d’uomo, che è quello di pensare, di amare e di volere? Ovvero Io ha egli scaricato su altri, abbandonando ad un terzo il governo della propria mente e la direzione della propria vita?
« Di queste due attitudini voi sapete quale fu scelta dall’uomo che noi onoriamo. Verremmo meno a quello che noi gli dobbiamo e al tempo stesso a quello che dobbiamo alla vera concezione dei libero pensiero se lasciassimo supporre che quest’uomo che credeva in Dio non fosse al suo posto in mezzo a noi, accanto ad altri che non credono.
« Invano ci si dirà che la sua fede era quella d’un poeta e d’un mistico, fortemente innamorato di un “ Dio vivente,, che sfuggiva alle definizioni teologiche, ch’ei ricercava non di là dalle nubi, ma nel fondo dell’anima umana in quel “ sospiro ineffabile „ di cui parla V Imitazione. Sia pure. Ma, signori, credete voi che tutto questo il libero pensiero lo interdica o l’escluda? Nulla di quel ch’è umano gli è estraneo».
i • *
Ed ecco ora un estratto d’un bel discorso pronunciato nella stessa circostanza dell’onorevole Murri.
« Il cattolicismo, Giacinto Loyson lo aveva amato d’un amore immenso, di quell’amore che, abbracciando tutte le pure idealità umane, cerca nella Chiesa lo strumento maraviglioso della loro attuazione.
Deluso, ingannato, disgustato dai progressi d’un cattolicismo che divinizzava un uomo — l’uomo stesso che s’opponeva da mezzo secolo a tutte le più nobili e più profonde aspirazioni dell’anima nuova dei popoli d’Europa — il P. Giacinto si ritrasse nella libertà. Ma in questa libertà portò seco valorosamente e fedelmente il suo ideale, la sua speranza ed il suo amore.
Libero fu allora più di tutti gli altri. Tutta la sua vita non è stata se non un lungo sforzo per stabilire l’armonia tra i suoi principi ed i suoi atti, tra l’universo e Dio.
E rimase più che mai credente. La sua fede era d’una meravigliosa freschezza. 11 vento
del cattolicismo papale era passato sull’anima sua e sulla sua vita senza seccarle, nè inacidirle, nè renderle incapaci di speranze fiduciose e di generosi coraggi, tanto era ricca quella vita e nobile quell’anima!
E’ riuscito, o signori, il P. Giacinto a conciliare il principio di libertà con l’istinto della religiosità? Ci ha egli lasciato la parola salvatrice dell’armonia interiore definitiva? Sarebbe domandar troppo ad un uomo. E’ bene che ciascuno di noi ricominci per proprio conto il doloroso pellegrinaggio della libertà che giunge alla verità. Ciò che il P. Giacinto ci ha lasciato di compiuto, è l’esempio stesso della sua vita, la testimonianza delle sue lotte, della sua vittoria e della sua gioia religiosa. Quel calore di fraternità e di bontà che noi sentiamo qui oggi, è la sua memoria che lo spande su di noi. Ecco perchè noi continueremo a conversare con lui, ad averlo per compagno nelle nostre lotte liberatrici.
« Per noi Italiani, conclude l’oratore, che fra tutti i popoli portiamo come un peso terribile il dominio d’un papa che si è fatto Dio e che di Dio ha fatto il carceriere delle anime, per noi che, secondo il detto dei nostro poeta Carducci, “ non possiamo pregare senza maledire, ,, ci è dolce di rendere una testimonianza a quest’ammirabile apostolo che aveva conservato nella lotta tutto il candore della sua anima ed aveva riempito il suo cuore degli echi di tutte le preghiere umane salienti come un unico inno al cielo». (***).
« La Cultura Contemporanea » .
Crediamo doveroso registrare in queste pagine il fallo della scomparsa de La Cultura Contemporanea, rivista mensile di Filosofia, Storia e Scienza delle Religioni, della quale era tanta parte il nostro amico G. Quadrotta, assistito da una bella schiera di collaboratori benemeriti degli studi religiosi in Italia. Riproduciamo qui il congedo accluso nell'ultimo fascicolo della Rivista, assicurando gli amici nostri della Cultura Con temporanea, che noi di Bilychnis riconosciamo tutta l'importanza dell’opera da loro compiuta, ed apprezziamo altamente l’atto di fede con cui hanno chiuso le pagine della loro Rivista.
«Con questo fascicolo. La Cultura Contemporanea cessa la sua pubblicazione, e noi prendiamo congedo dai nostri lettori.
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« Gli amici che hanno seguito l’opera nostra, conoscono il lavoro ed i sacrifici che, attraverso cinque anni di vita, questa Rivista ha costato. A tali sacrifici, dobbiamo confessarlo, non corrispose, in quella misura che era lecito riprometterci, il concorso tangibile di abbonati e lettori, cosicché la Cultura Con temporanea ha dovuto alimentarsi di contributi individuali, anziché attingere le sue risorse agli abbonamenti.
Noi abbiamo la coscienza di aver fatto quanto era in noi, anzi di aver superato talvolta le nostre forze, per sostenere questa Rivista ; ed abbiamo avuto il conforto di avere uniti con noi in quest’opera, amici autorevoli e stimati, la cui collaborazione affettuosa e disinteressata ci compensava dell’indifferenza e della ostilità di altri, che pure avrebbero dovuto essere al nostro fianco, se avessero nutrito, per le finalità superiori che ispiravano la nostra opera, quella devozione che asserivano di avere.
« Ma in quest’ora dolorosa, noi non vogliamo fare recriminazioni. Costretti dalle difficoltà materiali a sospendere questa forma delia nostra attività, non rinunciamo a difendere ancora, con le modeste forze di cui disponiamo, le idee che erano sostanza di questa pubblicazione. E ci è motivo di compiacimento vedere che altre iniziative già esistenti, o alle quali la Cultura Contemporanea ha aperto la possibilità di vivere, disponendo ora di mezzi superiori a quelli da noi posseduti, si accingono a mantenere in vita quella corrente di studi e di attività della quale la nostra Rivista è stata per cinque anni il centro.
« Riassumendo il nostro bilancio morale, noi possiamo sinceramente affermare che la nostra giornata non è stata perduta ; possiamo scorrere i sette volumi che compongono la collezione della Cultura con un senso di soddisfazione, pensando che il nostro lavoro ed i nostri sforzi non sono stati vani. Di questo ci è testimonianza il consenso fervido e sincero di non pochi amici, e l’espressione del dolore manifestataci da molti, all’annuncio della cessazione della Rivista.
« I volumi della Cultura Contemporanca rimarranno, crediamo, nell’attività intellettuale italiana in questo principio di secolo, attestazione di un tentativo non infruttuoso; e ad essi dovranno ricorrere i cultori di filosofia e di scienza delle religioni a ricercare gl’inizii di un rifiorimento degli studi religiosi in Italia, d’aver contribuito al quale è la nostra migliore ricompensa.
« E prima di chiudere queste righe dobbiamo assolvere un debito di riconoscenza verso que
gli amici che ci hanno sostenuto col loro concorso : dobbiamo scrivere qui i nomi di Alessandro Bonucci, Bernardino Varisco. Baldas-sare Labanca, Francesco Scaduto, Angelo Crespi, M. D. Petre, Leone Mancini, Luigi Salvatorelli, ed altri, che un doveroso riserbo c’ impedisce di nominare, i quali colla loro opera intellettuale ed il loro aiuto materiale, dimostrarono quale conto facessero della nostra iniziativa.
«Accomiatandoci altra volta, nell’ottobre del 1908, dai lettori di Nova et Velerà facemmo promessa di continuare in nuove forme la nostra attività: quella promessa mantenemmo. Congedandoci nuovamente dai nostri lettori, rinnoviamo ancora una volta l’affermazione della nostra fiducia nelle idee che abbiamo professate e sostenute sino ad oggi : vogliamo chiudere queste pagine con un atto di fede viva e profonda.
« I nostri amici non ci vengano meno del loro consenso, del loro aiuto, del loro consiglio. Noi non vogliamo rompere con essi quei rapporti che ci legano ormai da vari anni : ci ritroveremo certamente su quella via, che, prima o dopo ci condurrà alla mèta
» Roma, 1® luglio 1913.
« Guglielmo Quadrotta ».
«
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Seguono alcune note d’indole amministrativa, tra cui la seguente:
« I nostri abbonati riceveranno sino alla fine dell’anno, in luogo della Cultura Contemporanea, la Rivista Bilychnis, bimestrale, redatta dal prof. Lodovico Paschetto, e dal dottor I). G. Whittinghill, con la collaborazione di valenti scrittori di scienze religiose, fra i quali alcuni nostri Collaboratori.
« Questa pregevole Rivista iniziò le sue pubblicazioni in Roma due anni or sono, a cura della Facoltà Teologica Battista. Parve allora ad alcuni, per la sua origine, emanazione esclusiva di una confessione, alla cui propagazione fosse dedicata. Durante diciotto mesi ¿li vita, essa ha dimostrato di essere aliena dalla propaganda confessionale e volta, con serena imparzialità e con benigna attenzione, allo studio delle religioni ed all’esame della vita religiosa senza esclusivismi o apriorismi.
«Il contatto fra noi e i chiari scrittori che dirigono Bilychnis è avvenuto naturalmente, per una profonda affinità. Ciò non vuol dire — è intuitivo — che noi dividiamo tutte le loro idee ed i loro atteggiamenti ».
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NOTE E COMMENTI
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Verso il trionfo dello Spiritualismo.
Non capita spesso che un grande giornale quotidiano — specie in Italia — s’occupi di questioni religiose, e meno spesso ancora capita di trovare notizie religiose nelle corrispondenze che i detti grandi quotidiani si fanno mandare dall’estero ; perciò è degno di nota e merita di essere messo in rilievo il Corriere londinese pubblicato nel Corriere della Sera del 12 settembre scorso.
Questo fatto giornalistico è una prova eloquente che siamo decisamente avviati verso il trionfo dello Spiritualismo, poiché, come a tutti è noto, i giornali, specie quelli d’informazione, non sono i formatori ma sono l'eco della pubblica opinione.
E una prova più eloquente ancora dell’indirizzo risolutamente spiritualista dell’epoca nostra sono i fatti di cui la Corrispondenza londinese si occupa.
Esiste in Inghilterra la Brilish association, il cui merito maggiore è forse quello di po-polarizzare le scienze. Ogni anno, gli scienziati inglesi lasciano per una settimana le solitudini austere dei laboratori ed espongono al pubblico, in forma piana e popolare, il risultato dei loro studi.
E’ cosi che in Inghilterra la missione pratica della scienza, di collaborare direttamente al progresso dell’umanità, viene riconosciuta dal pubblico, e l’uomo di scienza non è considerato come uno strano essere che conversa con gli astri o distilla arcane droghe in sterili solitudini, perchè ogni cittadino apprezza e discute gli effetti pratici ed immediati della sua funzione sociale.
Quest’anno il Congresso dell’Associazione britannica Si è radunato a Birmingham.
Il discorso inaugurale del Congresso della Associazione britannica è sempre atteso con vivo interesse perchè, di solito, riassume le ultime tendenze ed i più recenti progressi della scienza. Che le tendenze generali del pensiero umano si siano considerevolmente modificate, da quando il razionalismo pareva padrone del campo, è un fatto ben noto agli studiosi: ma l’emancipazione della scienza dalla schiavitù della materia non era stata finora proclamata pubblicamente con tanta solennità.
Ciò presta appunto una singolare importanza al discorso di sir Olliver Lodge, che i giornali riproducono testualmente e commentano.
Sir Olliver Lodge ha portato battaglia nel campo nemico, di cui è capo il prof. Schafer che, esattamente un anno addietro, proclamò
la sua assoluta fiducia nella chimica e ritenne non impossibile di produrre presto o tardi la vita stessa con mezzi chimici. Lo Schafer aveva alluso l’anno scorso con disprezzo ai «vitalisti », i quali credono che la vita sia qualche cosa di distinto e separato da qualsiasi altro fenomeno e che sia impossibile produrla spontaneamente, che costituisca, insomma, un mistero che nessuna teoria scientifica può finora spiegare.
Allo Schafer così risponde il Lodge : « Voler definire l’universo semplicemente cóme una massa di atomi è una vana presunzione. E’ meglio atteggiarsi ad umili e confessare che la scienza descrive e non spiega. Voler tutto ridurre ad una formula chimica, o a un fenomeno fìsico, equivale ad impastoiarsi in una pedanteria ridicola, a rinunciare, insomma, mentre si pretende di descrivere a fondo l’universo, a quello che in realtà è la nostra vera missione: lo studio dell’anima».
Il Lodge ha proclamato l’avvento di una sorta di scetticismo filosofico che si risolve in un senso di diffidenza nei processi puramente razionali e nel riconoscimento della limitazione del campo di ricerche della scienza. Sulla teoria chimica, per esempio, siamo ben lungi dalla verità.
La molecola è stata suddivisa in atomi e l’atomo in elettroni, con un processo di divisibilità infinitesimale. Ma si è dimenticato l’etere: la sostanza universale che serve ad unire fra di loro le infinite particelle. L’etere non è una fantastica creazione della filosofia speculativa; è essenziale per noi quanto l’aria che respiriamo. Esso deve essere un vero agente chimico per quanto eluda finora le ricerche del laboratorio. L’etere deve essere di una densità incomparabilmente maggiore di quella di ogni altra sostanza conosciuta, eppure tutto si muove in esso senza attrito.
« Quali sono le sue proprietà ? Non possiamo osservarle, perchè l’etere è onnipresente e pervade ogni cosa. Ma isolarlo e studiarne la proprietà, non sarà impossibile; la scienza non deve abbandonarne la speranza».
Quantunque bisogni forse rinunciare a priori alla illusione di poter mai dire la parola finale circa la costituzione elementare dell’Universo, sir Olliver Lodge si chiede, fra l’altro, se l’etere non possa avere, oltre la sfera della vita umana, delle funzioni mentali e spirituali.
Per analogia, egli erede alla continuità dell’esistenza ; egli è convinto che la memoria e la sensibilità non siano limitate alla vita mentale e non vede alcuna ragione di ritenere inconciliabili le credenze religiose con le conoscenze scientifiche.
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Insomma, a chi sostiene che la scienza può tutto studiare e tutto spiegare, sir Olliver Lodge obbietta trionfalmente la semplice idea di bellezza : « Che cosa è la bellezza ? — chiede egli ai materialisti — ; potete definirla? La chimica e la fisica possono spiegare il tramonto, ma non spiegano la esaltazione che ci empie l’animo dinanzi a quel sublime spettacolo della natura. La verità è che il finito non ci dice nulla dell’infinito e che questo mondo, con tutta la nostra scienza, è ancora un miracolo meraviglioso e imperscrutabile ».
Sono evidenti in questa corrispondenza molte lacune che non permettono di ritrovare il filo logico dei discorso del Lodge; è pure evidente l’incompetenza del giornalista poco abituato ad occuparsi di simili questioni, ma — ciò nonostante — i fatti rimangono.
G. E. M.
Da critico a missionario:
A. Schweitzer.
L’audace escatologista «conseguente», A. Schweitzer autore del grande lavoro Da Reimarus al Wrede (di cui è apparsa quest’anno una seconda edizione intieramente rifatta ed ampliata) è partito lo scorso marzo come missionario per il Congo, e precisa-mente verso la « stazione » di Lembaréné sull’Ogowe.
Il caso è veramente interessante e ci mostra un aspetto singolarmente simpatico dell’animo cosi complesso del giovane critico neo-testamentario. Ma ciò sta anche ad indicare quanta è l’importanza riconosciuta al problema missionario in un paese come la Germania che è apparso per ultimo nella gara europea di colonizzazione.
Allo Schweitzer possiamo certo rimproverare l’unilateralità della sua interpretazione escatologica dal pensiero di Gesù e di Paolo e una deformazione, certo involontaria, nell’esposizione delle ricerche intorno ai vangeli e all’epistolario paciino ; però non possiamo negare che per le dispute che ha sollavato e per la conoscenza del lavoro critico moderno compiuto nel campo neo-testamentario — conoscenza interpretativa e non solo espositiva — egli sia stato una delle figure più rappresentative della moderna critica neo-testamentaria in Germania.
Egli è partito insieme a sua moglie. In questi ultimi anni aveva frequentato la facoltà di medicina ed era andato poi a specializzarsi a Parigi nella clinica delle malattie tro
picali. Le sue conoscenze mediche convalidate dal suo diploma di dottore, gli saranno di gran vantaggio nell’opera civilizzatrice di missionario. Erutto della sua recente orientazione è l’opera, anch’essa uscita nel 1913, Die psy-chialrische Beurteilung lesa, critica serena di alcune recenti teorie che attribuiscono a Gesù forme d’alienazione mentale.
Lo Schweitzer è anche un valente musicista e un cultore di Bach, sul quale ha scritto, in francese, una buona monografia. Figlio di un pastore evangelico, studiò teologia all'università di Strassburgo sotto H. Holtzmann di cui ha subito largamente l’influenza. La sua carriera scientifica, brillantissima e che egli abbandona così eroicamente, cominciò nel 1901 con la nomina a libero docente a Strassburg. Si noti che contemporaneamente, come ricorda in un breve articolo dedicato al critico tedesco l’Exposiior, egli esercitava con frutto il ministero pastorale nella chiesa di S. Nicolò. Nel 1906 pubblicò la prima edizione del Vou Reimarus su Vrede; nel 1911 la Geschichle dcr Pauliuiseher Torschung e nel 1913 le due opere già citate. Che cosa ci riserba nel campo scientifico la nuova attività missionaria delio Schweitzer?
M. R.
James Orr.
Il 6 settembre scorso moriva a Glasgow il Dr. James Orr, professore di Apologetica e Teologia al Collegio della Chiesa Libera Unita. Era molto noto come teologo nel mondo evangelico anglo-sassone e negli Stati Uniti. In Europa il suo nome venne più generalmente conosciuto dopo la pubblicazione dell’opera sua: «Il problema dell’Antico Testamento».
Egli nacque in Glasgow nel 1S44 ria un ingegnere. Rimasto orfano presto, dovette passare per una dura scuola, costretto a lavorare per procurarsi il pane. Seppe però trovare il tempo per studiare, e da forte lavoratore, riuscì a giungere fino all’università dove si distinse specialmente in filosofia, ed a compiere i corsi di teologia. Entrato nel ministerio sacro, manifestò una vera potenza sul pergamo; ma egli era destinato all’insegnamento, e dopo un felice ministerio di diciassette anni, fu chiamato alla cattedra di Storia della Chiesa nella Scuola Teologica della Chiesa Presbiteriana unita (maggio 1891). Lo aveva raccomandato a quella cattedra il noto suo libro : « The Christian View of God and thè World » che era valso a stabilire e a diffondere la sua reputazione di forte pensatore cristiano, e che
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DR. JAMES ORR.
|Fot. T. & R. Annan and Sons - Glasgow.]
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rimane l’opera sua maggiore e più popolare. L’estensione delle conoscenze, il pensiero serrato e comprensivo, la critica coraggiosa degli scienziati, dei filosofi e dei teologi tedeschi, il tono fortemente positivo e la convinzione personale decisiva rivelati in questo libro, lo pongono fra quelli della più forte apologetica moderna in difesa della fede cristiana.
Nel 1895 tenne una serie di conferenze in Chicago sulla teologia tedesca, mostrandosi forte campione della teologia conservatrice. L’anno prima aveva risposto ad una serie di conferenze date in Edimburgo dal prof. Pflei-derer di Berlino, nelle quali era contenuto un attacco al «Soprannaturale del Cristianesimo»; in questa replica il prof. Orr dimostrò d’essere ai corrente degli indirizzi moderni della teologia in Germania, come del resto apparve evidente nell’opera che pubblicò tré anni dopo: « The Ritschlian Theology and thè Evangelica! Faith ». Dagli amici del Ritschlianismo fu severamente criticato per non aver saputo apprezzare questa nuova teologia tedesca. Un successivo libro : « Ritschlianism : Expository and Criticai Essays», pubblicato nel 1903, mostrò quanto egli avesse risentito quelle critiche. Egli giustamente sostenne d’aver sempre riconosciuto il debito che la teologia ha verso Albrecht Ritschl ; ma non esisteva veramente un’affinità tra la sua mentalità e il modo di pensare e sentire ritschliano. L’Orr era troppo metafisico di natura per comprendere la mancanza di fiducia ritschliana nella metafisica, e il suo pensiero essenzialmente logico, per non dire dogmatico, aborriva da tutto ciò che fosse vago e nebuloso. Ei si compiacque di smascherare le logiche contradizioni interne del Ritschlianismo, e non ebbe un’adeguata percezione dei confini indeterminati e dell’incertezza d’ogni conoscenza religiosa. Il Ritschlianismo predicherà tuttavia, e predicherà anzi con fuoco e fervore, ma egli non si fermerà ad investigare come ciò avvenga. Egli era posseduto dal terrore che il soprannaturale nel Cristianesimo venisse negato.
Natura e soprannaturale erano per lui delle distinzioni nette e precise. Egli tenne rigidamente le posizioni conservatrici e non s’avvide che altri, i quali s’erano accorti essere la filosofia inadeguata ad esprimere la verità, potevano essere del pari leali alle verità essenziali del Cristianesimo. Questo lo condusse spesso ad accusare i suoi oppositori di mancanza di sincerità e a farli apparire peggiori di quello che erano. Egli sosteneva che a meno che voi crediate nella Deità di Cristo, voi non potete credere in una rivelazione di Dio in Cristo. Egli rese un inestimabile ser
vizio nel mettere in chiaro le ultime conseguenze e nel costringere coloro che si tenevano nei confini vaghi di pensieri nebulosi a definire più esattamente le loro posizioni. Ma non possedeva un pensiero originale, nè una simpatia adeguata per le reali difficoltà del pensiero moderno, e l'abitudine d’essere un difensore della fede crebbe in lui e chiuse la sua mente ai nuovi interpreti del Cristo. I suoi ultimi libri non dimostrano un progresso di pensiero sul primo. Egli era convinto che le convinzioni dogmatiche erano state tutte segnate nelle lotte passate e che quelle rimaste resisterebbero ad ogni nuovo venuto. Egli pensava che se si doveva avverare un progresso, questo non dovesse avvenire nel dogma, bensì nelle applicazioni etiche e sociali dèlie vedute dogmatiche assicurate nel corso del Cristianesimo.
Sarebbe stato desiderabile ch’egli avesse compiuto un risoluto tentativo di mettere in evidenza il contenuto etico e sociale del dogma cristiano ; ma egli spese tutta la sua forza nel tenere le posizioni dogmatiche, nel riparare le rotture là dove i moderni assalti apparivano far breccia. In quest’opera fu eminente. Non è possibile trovare un’affermazione più chiara e convincente della logica della storia di quella che viene dal suo libro « The progress of Dogma » (1901), nè una difesa più vigorosa e competente della veduta teistica della natura umana di quella che si ha nel suo « God’s Image in Man and its Defacement in thè Light Of Modem Denials» (1905). Nel volume «Sin as a Problem of To-day » (1910) presenta con ragionamento serrato e grande abilità i pensieri su questo soggetto già da lui espressi nell’opera citata: «Christian View of God and thè World ». Il libro « The Faith of a Modem Christian» (1910) è un potente appello popolare in difesa delle verità cristiane.
Nel campo della critica biblica diede prova di grande sapere e capacità coi due volumi : «The problem of thè Old Testament, con-sidered with reference to recent criticism » (1906) e «The Resurrection of Jesus» (190S).
Il primo è il più forte assalto mosso in questi ultimi anni dal l’ortodossia anglo-sassone contro la critica radicale e special-mente contro l’ipotesi Graf-Wellhausen. Non è l'opera di un oscurantista ; ammette la necessità della critica, ma in tutta la sua opera storica egli cerca piuttosto di difendere la propria teoria, che di scoprire la verità. E’ un critico dei critici, con l’occhio fisso sui punti deboli delle loro armature, piuttosto che un investigatore storico. Parla sempre dal punto di vista dell’opposizione...
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L'apprezzamento storico non era il suo forte. Ma in filosofìa e teologia era maestro. Aveva una bella mente e servi nobilmente la Chiesa in un’epoca in cui vecchi sistemi cozzavano coi nuovi. Tutti coloro che lo conoscevano personalmente lo amavano per il suo spirito paternamente benigno, ed i suoi avversari in idee non potevano non ammirarlo ed onorarlo in quella sua bella qualità di convinto, fermo, coraggioso difensore della fede.
(Vedi The Glasgow Hcrald, dell’8 settembre 1913). a. S.
Di lui pubblicammo uno studio su « La Scienza e la Fede Cristiana», in Bilychnis, gennaio-febbraio 1912.
Scienziato e credente.
John Lubbock, morto ottantenne il 2$ dello scorso maggio, è stato uno degli uomini più geniali e benemeriti delia moderna Inghilterra.
Figlio d’un banchiere scienziato, ereditò dal padre l’abilità negli affari e l’amore per gli studi scientifici e filosofici. A 14 anni entrò nella carriera commerciale, e dopo breve tempo assunse la direzione di una delle più cospicue banche londinesi. Ma il tumulto e le tentazioni degli affari non lo distrassero mai nè dal culto dell’arte e delia scienza, nè tanto meno affievolirono in lui la predilezione pei problemi morali e l’esercizio costante della pietà cristiana.
Riconoscendo i suoi rari meriti intellettuali, le Università di Oxford, Cambridge, Dublino, Edimburgo, Wùrzburg lo nominarono dottore honoris causa, e l’Università di Saint Andrew lo elesse all’ufficio di rettore.
E riconoscendone le alte benemerenze morali, le moltitudini brittanniche lo seguirono come uno dei loro più autorevoli e simpatici conduttori. / Piaceri della vita e L'Uso della vita, due libri nei quali egli esponeva la sua consolante filosofia dell’esistenza, hanno fatto un bene inestimabile. Il primo è stato diffuso in oltre 500,000 esemplari in Inghilterra, ed ha avuto trenta edizioni negli altri paesi del mondo; del secondo sarebbe impossibile accertare la cifra delle innumerabili edizioni pubblicatesi in tutte le principali lingue. Dall’uno e dall’altro vogliamo spigolare alcuni pensieri:
— Tutto quello che si sottrae all’impero dei sensi, tutto quello che dà alle cose passate o remote, oppure alle cose future, il pre
dominio sulle presenti, accresce la nostra dignità di esseri pensanti.
— La teologia e il dogma sono la scienza, ma non l’essenza della religione. Nella vita quotidiana questa è una regola di condotta, una salvaguardia nella prosperità, un conforto nel dolore, un sostegno nell’inquietudine, un rifugio contro il pericolo, un porto di pace.
— In un senso, la religione, dice Fichte, non è un lavoro, non è una cosa a sè che l’uomo possa esercitare ali’infuori delle sue altre occupazioni, a giorni e ad ore fisse, ma è anzi il senso più intimo che penetra, pervade ed ispira tutti i nostri pensieri e le nostre azioni, i quali possono d’altronde seguire senza mutamento od interruzione il loro corso regolare.
— Il nostro dovere verso il prossimo è una parte del nostro dovere verso Dio. Il brigante del Medio Evo, che si chiamava « Amico di Dio e nemico degli uomini », non s’ingannava maggiormente sul vero spirito cristiano di quanto s’ingannino anche persone meno scusabili di lui. Gii è con l'amore del prossimo che si dimostra nei modo più efficace l’amore verso Dio— Dieci minuti passati tutti i giorni con Cristo, ove si sia faccia a faccia, cuore a cuore con Lui, possono mutare la vita intera.
— Non bisogna invocare il soccorso celeste per pigrizia.
— Il Cristianesimo non c’ impone di fare il sacrificio di questo mondo per guadagnare l'altro; anzi impone di amar quello che è lecito, desiderare quanto è permesso, raggiungere la nostra felicità quaggiù come altrove. Non v’ha differenza tra la felicità terrena e la felicità celeste, perchè la vita quotidiana è resa sacra dalla religione. Non è dovere abbandonare per un chiostro i propri vicini ed il lavoro. Il còmpito quotidiano Ci dà tutte le occasioni di fare il bene che possiamo desiderare, e tutto il tempo di consacrarci agli altri.
— Non si può sperare d’ignorar sempre il dolore e le cure, ma possiamo glorificarci persino nell’afflizione, sapendo che da questa deriva la pazienza, dalla pazienza la forza, e dalla forza l’esperienza.
— Al posto di tutti gli altri piaceri, dice Epitetto, poni questo : essere conscio che obbedisci a Dio e che non solo a parole, ma anche nei tuoi atti, adempì il dovere d’un uomo giusto e savio. Eppure come gli uomini disputano, combattono, torturano e bruciano il prossimo per la fede, mentre si curano cosi poco di tradurla in atto!
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— Le promesse della fede non si limitano al mondo futuro. Cominciano ad avverarsi qui. Ognuno di noi possiede una sorgente di vita nel proprio cuore, perchè la serbi pura.
— Bisogna mirare al bene, alia perfezione: ecco il piacere e il diletto.
— La religione ci promette la pace del cuore e la liberazione di ogni cura anche quaggiù. Il cielo nen è solo nel futuro e nelle plaghe remote, è nel nostro cuore.
E questa fu la purissima religione dell’Uomo insigne, che seppe in sè conciliare il culto della scienza col sentimento della fede e l’amore verso Dio con l’amore verso il prossimo!
{L’Evangelista. E. T.
Un raggio di luce nella demonologia neotestamentaria.
Capita piuttosto di frequente oggi giorno che certi fatti, certe parole del Nuovo Testamento — da certi critici superficiali, ignoranti o prevenuti ritenute come stravaganti, in verosimili, impossibili — siano ad un tratto illuminate da qualche scoperta fatta da un viaggiatore o da un missionario : scoperta relativa agli usi e costumi, alle credenze o ai modi di esprimersi caratteristici dei paesi orientali.
Uno degli episodi che maggiormente faceva sorridere gli scettici è quello degli Indemoniati Gadareni ricordato da Luca Vili, Marco V e Matteo Vili. Un indemoniato, fiero oltremodo, « quando ebbe veduto Gesù, diede un gran grido, gli si gettò a’ piedi e disse con gran voce: Gesti, Figliaci dell'iddio altissimo, che vi è egli fra te e me? Io li prego, non mi tormentare ».
Come mai, dicono gli scettici, come mai questo indemoniato riconosce gli attributi divini di Gesù ? come mai il demonio che era in lui riconosce in Gesù il suo nemico, dal momento che questi indemoniati erano semplicemente dei poveri epilettici e dei miseri
pazzi? Questo è un racconto inventato dai primi cristiani per glorificare il loro maestro.
Ora ecco un fatto di cronaca che ritaglio dal Corriere della Sera (12 seti. 1913): Dal signor Byramji, indiano autentico, il pubblicista Jacchini-Luraghi dell’//ZZo /Idige ebbe la narrazione di guarigioni delle quali afferma d’essere stato testimonio oculare. Le guarigioni si ottengono adorando nel tempio del santuario di Andambar un palki (palanchino) con entro la immagine del Dio. Al tempio la guarigione si aspetta alle volte per settimane, per mesi ; alle volte si effettua in un giorno. Ciò che sopra tutto ha efficacia per conseguirla è l’implorare con fervore la grazia. Ma di solito si tratta di così detti ossessi o posseduti, onde imprecazioni, grida, urli s’elevano da tutte le parti ; e su tutto questo demoniaco frastuono domina il suono dei corni e dei cimbali dei preti che sfilano, portando in processione il palki, preceduti dai portatori di mazze e di ventagli. « Vidi un uomo, narra l'intervistato, che si diceva posseduto da un cattivo spirito da oltre due anni, e che spesso andava soggetto a crisi di follia intermittente, durante le quali usciva in orribili imprecazioni e sconci insulti. Al primo tocco di campana, si diede a urlare : « Volete che io me ne vada ? Io non me ne andrò ! »
A me pare che questo fatto getti una straordinaria luce sull’ episodio conservatoci dal Vangelo. Santuario, palki, preti, suono dei corni e dei cimbali a parte, noi abbiamo nei due fatti la medesima condizione di cose, la medesima psicologia religiosa. Un disgraziato che interpreta la sua malattia come una possessione diabolica — il quale indemoniato si trova di fronte, in antagonismo diretto, ciò ch’egli crede la divinità. E nei due casi la medesima inimicizia violenta si manifesta quasi colie medesime parole. Dopo ciò lo studioso imparziale considererà senza dubbio il fatto dell’indemoniato di Gadara come perfettamente autentico.
G. E. M.
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Il Pentateuco e l’ipotesi-pericope.
Il prof. SKINNER dell’università di Cani-bridge, in un secondo articolo nel The Ex-positor di maggio, esamina le basi della ipotesi-pericope, presentata dal pastore tedesco Dahse, contro la teoria documentaria del Pentateuco.
La tesi principale del Dahse è questa, che cioè « i nomi divini non hanno rapporti coi documenti, ma sono soltanto elementi variabili del testo ». A tale scopo egli si sforza di provare come la divisione del Pentateuco nelle letture della Sinagoga sia la causa principale di queste variazioni. E’ appunto questa asserzione che lo Skinner si propone ora di esaminare. Riassumiamo il lungo e complesso studio dello Skinner nei suoi elementi essenziali cercando di semplificarlo, sebbene lo Skinner disperi di poter condurre con sè il lettore attraverso il labirinto in cui sta per entrare.
Bisogna notare pertanto che, per la lettura nelle Sinagoghe, il Pentateuco era diviso in sezioni con due sistemi diversi. Il primo, introdotto in Palestina, era diviso in piccole sezioni chiamate Sedarim, e la legge veniva così letta in tre anni o tre anni e mezzo. Il secondo, con probabile origine babilonese, si proponeva la lettura della legge in un anno, e le sue sezioni, tre volte più lunghe dei Sedarim, erano
chiamate Parasholh. Così il numero delle Pa-rashoth è 54, mentre quello dei Sedarim è normalmente 154.
Ora Dahse sostiene che la Versione dei Settanta, nei nomi di Dio, è stata influenzata dalla divisione Seder, mentre il testo ebraico lo fu dalla Parasha. E siccome, secondo lui, la prima divisione è riconosciuta anteriore alla seconda, ne trae la conseguenza audace che ¡Settanta rappresentano uno stadio più antico del testo ebraico.
Ma io Skinner fa giustamente osservare che a questo punto non abbiamo documenti certi. Un grande critico israelita il Dr. Buchler, trascurando la incerta tradizione ebraica che attribuisce le sezioni a Mosè e ad Ezra, arriva alla conclusione più logica che il sistema si sviluppò lentamente sotto definite influenze storiche durante il periodo di circa quattro secoli. Il primo stadio di questo sviluppo si trova nelle tre feste annuali, dove, come conseguenza delie dispute coi Samaritani (200 a C.) furono prescritte speciali lezioni. II secondo fu nella scelta di quattro speciali lezioni per quattro sabati, dopo la vittoria dei Farisei sopra i Sadducei (anno 70 a. C.). Per quello poi che riguarda il lezio'nario completo dei Sedarim, che qui appunto c’interessa, tutto quello ch’egli può dire è che esso fu in uso prima dell’era volgare e che era considerato antico da Giuseppe Ebreo al suo tempo. Egli pensa che la divisone in Parashoth può essere stata introdotta nelle Sinagoghe della Babilonia da Rab circa il 200 d. C. Queste ipotesi, dice bene lo Skinner, possono essere vere o false, ma rendono tremendamente azzardata una teoria fabbricata sulla grande antichità dei Sedarim.
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TRA LIBRI E RIVISTE
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Senza dimenticare poi che la divisione dei Sedarim varia nei manoscritti che noi possediamo. Baer ne presenta 43 nella sola Genesi, Jacob ben-Hayyim 45. Senza tener calcolo di altre differenze più gravi e più complicate. Dahse asserisce che tutto questo non tocca la sua teoria. Ma una teoria che non fa differenza fra l’incominciare o no di un Seder a Genesi XII, io, o che trascura di sapere se i capitoli XVI e XVII formano un solo Seder o due, può sicuramente essere sospetta di troppo vago fondamento alla sua base.
Inoltre Dahse assicura che gli editori della Septuaginla (operanti coi Sedarim) sono guidati dalle regole seguenti : Essi non cambiano mai un Elohim in Jahwe, ma in certi casi cambiano un Jahwe in Elohim. Se essi trovano un nome usato costantemente per tutto un Seder io lasciano immutato, se invece il Seder contiene Jahwe ed Elohim promiscuamente ¡I loro costume è di lasciare Jahwe al principio ed alla fine e di mutarlo altrove in Elohim. Invece gli editori del testo Massoretico (che operarono con le Parashoth) rimpiazzano gli Elohim centrali dei Sedarim con dei Jahwe.
Questo complicato castello aereo è distrutto, dice lo Skinner, da alcuni fatti :
i° Il testo Samaritano è pienamente consono col Massoretfco nei nomi di Dio all’infuori di otto o nove casi, cosicché tale redazione del testo doveva essere completa nelle Sinagoghe della Palestina prima della separazione dei due testi. Ma la divisione dei Sedarim è molto più giovane del Pentateuco Samaritano che segue un’altra divisione (quella dei qosìm) motivo per cui non potremmo capire il movente di questa innovazione samaritana che trascura una divisione già esistente.
2® Dobbiamo inoltre rispettare la psicologia dei supposti redattori. Perchè mai i Settanta in un Seder misto avrebbero dovuto lasciare solo il primo e l’ultimo Jahwe? La spiegazione del Dahse che ciò avvenne per far comprendere che Jahwe ed Elohim sono il medesimo Dio, non calza nelle lezioni non miste in cui il popolo era lasciato nella sua supposta ignoranza. Anzi qui appunto sarebbe stata necessaria una mutazione per evitare malintési politeistici nel culto.
3® La stretta affinità del Pentateuco ebreo e samaritano in questo, a dispetto delle loro molteplici discrepanze altrove, sembra allo Skinner una prova grave per documentare come sia stata usata invece un’attenzione scrupolosa nella trasmissione dei nomi divini del testo. Mentre che le differenze fra i Settanta ed il testo Massoretico sono dovute chiaramente al fatto che la parola 0 Oeoc ricorre più facil
mente alla bocca dello scrittore greco che non quella ebraica di Kvpw«.
4® Per ultimo lo specchio analitico offerto dallo Skinner prova che 23 Sedarim su 35 sono in perfetta armonia in entrambi i testi (Settanta e Massoretico). In altri sei Sedarim vi è solo una divergenza, in quattro ve ne sono due, e solo in due ve ne sono tre e cinque rispettivamente. In tutto quindi le divergenze sono 22 sopra un totale di 211 nomi di Dio nei Settanta e 214 nel testo Massoretico.
Per cui, considerata l’affinità del Samaritano col Massoretico, si può dire che il testo dei Settanta è stato dedotto da questo, e che le variazioni dei Settanta sono dovute alle loro normali e pigre sostituzioni di 5 per Kup-.&c, e solo occasionalmente in contrario. Ci vuole ben altro per scuotere dalle sue solide fonda-menta la teoria documentaria del Pentateuco, mentre il testo Massoretico Ebraico ne esce dall’esame fortificato nella sua autorità e nella sua correttezza.
Ignazio Rivera.
Difficoltà esegetiche.
Al prof. Davide Smith furono proposte tre difficoltà esegetiche da risolvere riguardanti t° il fatto della fuga di Gesù in Egitto che è ricordata solo da Matteo (IL 13) e che avrebbe un carattere mitologico per i fatti concomitanti. (Vedi Matteo, II, 23, dove la sua venuta in Nazareth è attribuita ad una profezia, mentre Luca, II, 39, afferma chiaramente che la venuta in Nazareth era dovuta unicamente al fatto che Nazareth era la sua città); 20 la strage degli innocenti che nessun storico del tempo ricorda; 30 la evidente contraddizione fra gli evangelisti circa i susseguenti del battesimo di Gesù. Matteo, Marco e Luca dichiarano che egli fu immediatamente condotto nel deserto (nella solitudine) per essere tentato e che questa orgia infernale durò 40 giorni; Giovanni invece tre giorni dopo del battesimo ce lo fa trovare alle nozze di Cana (II, 1).
Il noto critico si affretta a rispondere al suo interpellante in The Bruisti Weehly dei 29 maggio. La prima difficoltà è una reale divergenza fra i due evangelisti, la quale non può essere compatibile con la rude teoria della ispirazione
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a dettato, ma che tuttavia in nessuna maniera infirma la storicità del racconto. Al contrario quando noi tracciamo la genesi di questa divergenza siamo più disposti a riceverla nel suo intero valore storico. E’ un fatto acquisito alla critica che mentre Luca riferisce la tradizione come circolava fra i cristiani gentili, Matteo presenta quella conservata a Gerusalemme, e la omissione di Luca per la fuga in Egitto può essere quindi confrontata col silenzio dei Fatti degli Apostoli riguardo al ritiro di Paolo in Arabia dopo la sua conversione (Gal., I, 17).
Matteo è veramente la sola autorità per la storia del massacro dei fanciulli. Ma tutta la nostra cultura storica pel regno di Erode è derivata unicamente dallo storico Giuseppe detto ¡’Ebreo, il quale per due ragioni doveva trascurare l’incidente i° perchè egli nella sua opera voluminosa, studia accuratamente di evitare gli accenni al Cristianesimo per dissociare il popolo ebreo, al quale egli appartiene, dalla setta eretica e perseguitata ; e, 2® anche trascurando questo incentivo al silenzio, l’incidente difficilmente poteva apparirgli degno di nota. 1 suoi rapporti con la nascita di Cristo lo hanno riempito di giusta importanza nella nostra mente; ma fra le enormi atrocità che chiusero gli ultimi anni di quel regno selvaggio, l’uccisione di poche dozzine di fanciulli n un piccolo villaggio ebreo non poteva essere che una piccola goccia caduta in un mare di sangue e doveva quindi sembrare allo storico disinteressato del problema cristiano un fatto troppo secondario per darne notizia ai lettori del suo tempo.
E’ pure vero che la profezia (Matteo, Il 23) : « Egli sarà chiamato Nazzareno» non si trova nel Vecchio Testamento, ma le spiegazioni date da S. Girolamo possono dirimere la difficoltà, cioè che forse Matteo non intende riferire la lettera, ma il senso di antiche profezie (osservi il lettore i profeti del testo e non il profeta) essendo la parola Nazareno una parola di disprezzo fra gli ebrei, e che quindi ciò fosse in rapporto col fatto che il Messia sarebbe disprezzato (Isaia, LUI, 3); oppure che il nome possa essere un’allusione (favorita dalla tendenza dell’egesi ebraica pei giuochi di parole) alla parola nelzer il « rampollo» di Isaia XI, 1. S. Giovanni Crisostomo prende il passo come una citazione da un libro profetico perduto, fra i molti che non sono giunti a noi. (II Re XXII, 8 segg.). La prima di questa ipotesi sembra la più ragionevole al prof. Smith, dovendosi anche notare che Matteo è abituato a riferirsi al Vecchio Testamento con larga indipendenza, non po
tendo quindi noi servirci delle sue citazioni per uno studio critico del testo, ma solo per semplici allusioni.
L'ultima difficoltà non è una reale discrepanza. Secondo una tradizione molto antica nella Chiesa lo scopo dell’Evangelo di Giovanni è solo suppletivo di fronte agli altri Evangeli, specialmente per quello che riguarda il ministero di Gesù in Giudea che gli altri hanno quasi completamente omesso. Egli trascura solo gli avvenimenti del battesimo e della tentazione, che già erano stati adeguatamente ricordati dai suoi predecessori (Matteo, III, 13, IV, 11 ; Marco, I, 9-13; Luca, III, IV, 13) e incomincia la sua narrazione con la manifestazione del Messia in Israele (I, 19, 51) (1). L’incidente in I, 19, 28 avvenne appunto durante la permanenza di Gesù nella solitudine, ed i v. 26, 27 si riferiscono al previo incidente del battesimo. Al v. 29 racconta gli avvenimenti svoltisi ritornando dal deserto a Bethabara e quindi la sua partenza per Cana. Il terzo giorno (II, 1) non è calcolato dal battesimo di Gesù, ma dalla sua partenza (I, 43).
Ignazio Rivera.
Il decreto apostolico di Gerusalemme.
ENTAPHIA. In memoria di E. Pozzi la scuola torinese di scuola antica. — Bocca, 1913.
Ad un giovane studioso, già scolaro del De Sanctis, professore di storia antica all’Università di Torino, morto cadendo fra i ruderi del Foro Romano, è dedicata questa raccolta di studi — sette in tutto — della giovane scuola torinese, propaggine di quella romana del Beloch. Come più attinenti alle nostre discipline, richiamiamo l’attenzione sulla memoria del Cor-colo sul decreto apostolico di Gerusalemme, a cui fa seguito un’appendice sulla cronologia paolina in base alla nuova sistemazione imposta dalla scoperta dell’iscrizione di Gallione a Delfo, e sull’altra di Barchisio-Motzosul terzo libro dei Maccabei.
E’ troppo nota la discussione sul testo originale del decreto apostolico di Gerusalemme (Fatti, XV), che regolava la condotta dei neo-convertiti dal paganesimo verso la legge mosaica conservata integralmente dalle cornuti) La manifcszione del Messia, ad Israele avvenne più tardi, al principio del ministero di Gesù. Anche le nozze di Cana sono una provvisoria anticipazione di esso : ■ La mia ora non è ancora venuta ». (Vedi : 77;e Days of thè Son of Man by George V/atton Mae al fi ne, pag. 5. Henry
Frowde, London). [I. R.J
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nità convertite da! giudaismo, e sul valore delle sue clausole finali. Quale è originale, il testo extra-canonico, conservato tipicamente nel Codex Bezae, il cosi détto testo occidentale degli Ada Aposlolorum che ritroviamo prevalentemente negli scritti dei Padri occidentali, o il testo canonico, usato specialmente in Oriente e chiamato per ciò testo orientale? Le clausole finali vanno interpretate in senso legale o in senso etico? — Come si sa, oggi la maggioranza dei critici considera come originale il testo occidentale extra-canonico e riconosce un significato etico alle condizioni imposte dalla Chiesa apostolica di Gerusalemme. Anche l’Harnack accede oggi a questa duplice opinione. Il breve studio del C. è una lucida esposizione della posizione dei critici più recenti. L’esame si chiude con la ricerca delle cause che han fatto nascere la versione orientale o canonica: secondo il.Resh e l’Harnack il TricxT&v (il « soffocato ») da prima marginale fu introdotto nel testo e poi posto accanto all’al,«aro?, da cui venne separato per avere un senso chiaro da un zai. « Così ridotto il testo, si lasciò cadere anche la regola di carità e al divieto si diede un’interpretazione legale ». Però il duplice mutamento dovette essere preceduto da una più profonda modificazione dei rapporti fra le comunità etnico-cristiane e giudeo-cristiane dopo la caduta di Gerusalemme.
Ad Alessandria — dove infatti da Clemente Alessandrino in poi troviamo il decreto nella redazione orientale — per la sua vicinanza alla Palestina, la tolleranza reciproca nella comunione della vita e poi la fusione delle due correnti probabilmente maturarono la nuova interpretazione del decreto e la modificazione del testo.
Il libro III dei Maccabei ha avuto fra gli apocrifi del Vecchio Testamento una sorte poco benevola da parte dei critici, forse a causa del suo carattere fantastico e romanzesco, che non sembra velare alcun che di serio e di importante dal punto di vista storico. Il lungo lavoro del B. M. ne mette invece in luce l’importanza. Il traduttore greco del libro di Ester che scriveva fra il 58 e il 40 av. C., non solo ha conosciuto il III Maccabei, ma se n’è ispirato largamente nel com-Sorre le aggiunte greche: anzi il suo scopo u quello di soppiantarne il racconto e la festa, sostituendovi la storia e la festa di Purim dei giudei palestinesi. Infatti, secondo l’Ewald, il III Maccabei è un libro festale che si propone di spiegare l’origine di una solennità che si celebrava dai giudei d’Egitto, in ricordo del pericolo corso dai giudei posti a guardia degli ¿/.vpwùaTa (« fortezze »). M. R.
Buddismo e Cristianesimo.
PAUL CARUS, Il Buddismo e i suoi critici cristiani; pagg. XIV-265 ; prezzo L. 4. Torino, F.lli Bocca, 1913.
Ecco un altro libro da aggiungersi ai tanti Sia scritti sul Buddismo. La traduzione è conotta sulla seconda edizione americana. L’autore, partendo dal noto principio che il « confronto è il mezzo migliore per acquistare la comprensione », si accinge a dare « un contributo alla religione comparata » indirizzandosi, soprattutto, a quei cristiani «che desiderano penetrare il significato del pensiero buddistico nella sua migliore espressione», e sostiene che tale studio è indispensabile anche ad una giusta comprensione del Cristianesimo perchè « sotto molti aspetti le due religioni sono tanto simili da apparire presso che identiche e sotto altri mostrano tali contrasti da rappresentare quasi due opposti ».
Più che tra le altre religioni vi è rivalità fra il Buddismo e il Cristianesimo. I cristiani, dice il Carus, potranno imparare molto dal Buddismo e viceversa. La vittoria sarà di coloro che avranno imparato di più.
Notevole questa affermazione: Il genere umano non ha bisogno di Buddismo, nè di Islam, nè di Cristianesimo; esso ha bisogno di verità...; l’umanità è destinata ad avere una sola religione, come avrà un solo ideale morale ed una sola lingua universale... in tutto ciò che è di essenziale vi sarà una sola religione perchè vi è una sola verità che rimane una sola in tutti i climi e in tutte le condizioni.
Dopo questa specie di... profezia l’autore entra in materia. Seguiamolo.
* •
Il libro si divide in cinque parti.
Nella I, Origine del Buddismo, l’autore dà un rapidissimo cenno del Bramanesimo, si diffonde di più sulle varie filosofie dell’india antica, e dice che fra tutte, cioè la Mimànsa, la Vedànta, la Vaiskeishika, la Nyàna, la Yoga, là Chàrvàka e la Sàmkhya di Rapila quest’ul-tima ha un interesse speciale in quanto forma il punto di partenza del pensiero buddistico.
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Essa proponeva la teoria di « una differenza radicale tra il Sé o anima o essere soggettivo e l’oggettività dei corpi materiali, ammetteva l’esistenza eterna e la realtà tanto della materia quanto d’un numero indefinito di anime, negava recisamente resistenza d’un Creatore perchè, secondo Rapila, non vi era creazione dal nulla ».
Quattro proposizioni di Rapila hanno una grandissima analogia con quelle di Buddha : iB Ciò da cui noi ci liberiamo è dolore. 2* La liberazione è cessazione di dolore. 3* La causa del dolore è la mancanza di distinzione tra anima e materia. 4* il mezzo della liberazione è la cognizione discernitiva.
Tratteggiati così gli antecedenti storici e filosofici del Buddismo, l’A. accenna alla comparsa di Gautama Siddhartha, fondatore del Buddismo nel v secolo. Gautama nega l’ispirazione divina dei Veda, le distinzioni di casta, la necessità dei sacrifizi cruenti. Si assoggetta all’ascetismo, ai digiuni, ma ne riconosce l’inutilità e penetra nel vivo del problema allora dibattuto — la liberazione dal male — affermando che la radice del male è nel desiderio cattivo e offre il rimedio: non preghiere o sacrifizi, ma radicale estinzione del desiderio. Tutto questo lo sapevamo ; ma ciò che piace è la parola scultorea con cui il Carus ricostruisce Buddha con pochi e rapidi tocchi.
L’A. espone poi l’idea di Gautama sulla salvezza. « Esiste la nozione che la nostra esistenza più intima sia un’entità, un ego, ma questo è un errore. L’egotismoo idea dell’io è la sorgente dell’egoismo e del peccato; conoscendo che l’ego è un’illusione noi impariamo la transitorietà dei mali di cui la carne è l’erede. La totale « esterminazione » del desiderio può procurare una liberazione finale del male e condurre alla pace assoluta della mente, al Nirvana ».
In quanto all’idea d’un Dio Creatore l’A. cita il Max Miiller...
« Per ciò che si riferisce all’ateismo è innegabile che se chiamiamo dèi le vecchie divinità dei Veda, Buddha fu un ateo perchè non credette nella loro divinità. Buddha fu implacabile contro ¿’idea di un Creatore personale ».
Buddha enunciò la dottrina nella sua « Via di mezzo », la quale fu costituita dall’ottuplice sentiero e sulle quattro grandi verità circa il dolore, la sua origine, la liberazione, la via della liberazione.
» * *
Nella 11 parte — Filosofia del Buddismo — l’A. si addentra maggiormente nella esposizione dei postulati buddistici. Lo scopo del
Buddismo sta in ciò che può chiamarsi lo scopo di ogni uomo : « sfuggire alla transitorietà della vita e raggiungere la beatitudine duratura di una esistenza indisturbata ove non esistono dolore, malattie, morte o incertezze di nessuna sorta ». .Avendo riconosciuto che la sofferenza era inseparabile dall’esistenza corporea, si pensò a ricorrere ad una mortificazione del corpo onde l’anima ne avesse beneficio.
L’ideale originale di Buddha fu «il raggiungimento di una condizione puramente spirituale » che avrebbe condotto alla liberazione della sofferenza. Era lo stesso slancio con cui l’apostolo Paolo esclamava: chi mi trarrà da questo corpo di morte?
Il problema religioso, dice l’A., si presentò alla mente di Gautama in termini dualistici, ma la soluzione finale si appoggiò su una base monistica ed il monismo di Buddha non fu materialismo. Egli non identificò anima e corpo, ma solo negò l’esistenza separata di entità animiche. Vi sono delle forme di coscienza e delle forme corporee; il corpo si discioglie, la coscienza si allontana, pure le forme appaiono in nuove incarnazioni. La soluzione di Buddha è che non sono due cose : i° un àtman ; 2° le azioni compiute dall’àt-man, ma una cosa sola: un’attività animica (Karma) la quale agisce mediante una conservazione continua delle sue forme di azione o samskara, che sono le disposizioni prodotte dalle varie funzioni del Karma. Non vi è essere che nasce, agisce, gode, soffre, muore e rinasce per morire ancora, ma avvengono soltanto nascita, azione, godimento, sofferenza, morte; le azioni, i Karma, i modi di movimento, questi sono reali. L’anima dell’uomo consiste nelle forme di memoria o disposizioni, non vi è un essere di per sè stesso, nè un’àtman separato; il Sè consiste nelle forme di azione ed ogni creatura è il risultato di azioni! (pag. 26).
11 Karma è la sostanza di cui l’uomo è fatto, gli sforzi e le azioni di una persona costituiscono la sua personalità e questa è conservata al di là della morte (pag. 29).
Il Carus presenta l’idea dell’immortalità nel buddismo facendo una distinzione tra forme pure e forme materializzate. « La materializzazione d’una forma pura può essere più o meno perfetta, ma sempre dà esempio delle leggi della forma pura ed è, per cosi dire, la sua incarnazione. L’uomo deve imparare a identificare se stesso non con la materializzazione del suo pensiero e delle sue aspirazioni, ma con le loro forme, poiché quelli sono transitori, queste eterne. L’immortalità è un mero
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nulla, se « nulla » significa assenza di materialità. Il nulla non è una non-entità, ma esiste » (Majjhima Nikaya, Sutta 26). E negli scritti buddistici è detto che per giungere al Nirvana bisogna comprendere l’amorfo che non è un’essenza, un’entità, un essere personale che non ha abitazione, località, dimora celeste. Chi si aggrappa alla incarnazione materializzata della fórma pura non è libero dalla illusione’ del Sè e non ha provato il riposo della vita, chi ha raggiunto l’amorfo abbandona ogni protervia del Sè, aspira ma non s’aggrappa, acquista e non agogna.
Nel capitolo « La dottrina di mezzo » (pag. 34) ritorna l’idea che nell’uomo non esiste un Sè come entità separata. Come la parola « carro » è un modo d’esprimersi per ruote, cassa, stanghe, come esaminando i membri ad uno ad uno scopriamo che nel senso assoluto il carro non c’è, così nello stesso modo le parole «entità vivente e àtman» indicano i cinque gruppi di attaccamento, i quali, esaminati ad uno ad uno, ci fanno scoprire che nel senso assoluto non vi è una entità vivente, per formare una base a finzioni quali l'io sono o l’io.
A questo punto noi potremmo dire, come il sacerdote Yamaka, che se l’uomo è senza nome e forma, e se l’io è una finzione ne deriva che la morte mette termine a tutto, ma l’A., si vede, è del parere opposto.
Tra altri capitoli, come « La conquista della morte» in cui è detto che l’abbandono dell’illusione del Sè ci conduce al massimo di vita enunciata da Paolo, I, Cor. VII, 29-30, e « Psicologia moderna » in cui combatte l’On-delberg, il quale credette che la soluzione della dialettica buddistica fosse la negazione dell’Ego e di un futuro eterno, passa ad affermare che il Nirvana non è ann ¡chi lamento, e infine che il buddismo può soddisfare i bisogni spirituali di tutti offrendosi come alimento, conforto, appoggio, guida nelle tentazioni della vita.
Pur volendo limitarmi, per ora, ad una semplice esposizione, non posso non notare come non sia giustificabile tale conclusione. L’A. (a pag. 57) ha descritto la mèta finale del buddismo riportando le parole di Buddha : « Vi è o discepoli uno stato in cui non v’è nè terra nè acqua, nè luce nè aria, nè infinità di spazio di ragione nè vuoto assoluto; nè questo nè quel mondo, sole o luna. Quello stato o discepoli io definisco nè venire nè andare nè stare ». E dinanzi a tali parole io mi domando: quale soddisfazione spirituale, conforto, appoggio e guida è possibile trovare nell’idea di uno stato futuro che è w? venire, nè andare nè stare? Vale veramente la pena di sforzarsi per un simile destino?
L’A. continua ripetendoci che Buddha negò l’esistenza di un Sè indipendente come anima dell’uomo, fa notare delle analogie tra il pensiero del poeta Wolfango Goethe e quello di Buddha, indi accenna ai vantaggi della rassegnazione dicendo che tanto il Buddismo quanto il Cristianesimo inculcano con termini assai forti una morale di rassegnazione. Cosa che gii neghiamo nei riguardi del Cristianesimo a meno che non si voglia interpretare alla lettera le note parole : Chi ti percuote sulla guancia destra, ecc., ecc.
• « •
Nella III parte: I concetti fondamentali del Buddismo, l’A. si occupa del Karma e del Nirvana. I filosofi bramirne! identificavano l’anima con l’àtman, il Sè, i’Ego. Questo àtman era concepito come entità metafisica dietro le sensazioni, i pensieri e le altre attività dell’uomo. Ora quando i buddisti vogliono indicare ciò che noi chiamiamo anima, parlano della mente, sostituendo così alla concezione dualistica una teoria monistica ; quindi, continua il Carus, è chiaro che il buddismo non nega l’esistenza dell’anima, se per questa s’intendono le idee, le aspirazioni e le attività mentali dell’uomo (pag. 102).
L'essere fisico e spirituale dell’uomo consiste di samskàra, cioè di certe forme e facoltà formatrici che, per la legge del Karma, vengono preservate e condizionano la continuità della sua esistenza nel turbine dei continui mutamenti. E cita l’Ondelberg per la spiegazione del termine samskàra, che potrebbe esser tradotto per < azioni » se in questa parola si comprendessero, nello stesso tempo, le azioni interne, la volontà e il desiderio.
Buddha, alla nozione di un’anima svolazzante alla ricerca di una nuova dimora in un altro corpo, sostituì quella di un trasferimento di samskàra secondo la legge del Karma. Buddha riconosce come irrefragabile la legge del Karma e su di essa fonda la giustizia infallibile della legge morale.
Da lontano ci seguono le nostre azioni E ciò che fummo ci fa ciò che siamo.
A questo punto l’A. fa un’affermazione veramente curiosa. I più grandi rappresentanti dell’ortodossia Cristiana, quali S. Paolo, S. Tommaso d’Aquino (!)..., Ignazio di Loyola (!)..., ecc., mostrarono forti tendenze verso la teoria dell’abbandono del Sè. I Cristiani, dice l’A., sono urtati dal nichilismo buddistico, le cui aspirazioni consistono nello
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sradicare la propria anima, cioè l’àtman oSè; ma non si offendono quando S. Paolo dice: Non più io vivo, ma Cristo vive in me.
I commenti guasterebbero!
In quanto al Nirvana l’A. dice che è una questione difficile. Si è confrontato un gran numero di passi in cui ricorre la parola Nirvana e ne è risultato che non ve n’è un solo che esiga il significato di annichilazione. Si è proposta l’idea che vi fossero parecchie specie di Nirvana, ma si dichiarò errata simile idea. Il prof. Rhys Davids dice che il Nirvana è l’estinzione di quella peccaminosa e ingorda condizione di mente e di cuore che secondo la legge de) Karma è la causa della rinnovata esistenza individuale. Se si volesse tradurre il termine Nirvana non si potrebbe farlo se non adoperando il termine Santità (pag. 116). Altri sinonimi della parola Nirvana sono: l’imperituro, l’infinito, l’Eterno, il Supremo, l’Amorfo, il Vuoto, la Cessazione, il Riposo, la Verità, ecc. L’espressione più negativa è il termine « vuoto », ma su un antico manoscritto sanscrito conservato sin dal 609 e. v. nel monastero buddistico di Horiuzi nel Giappone, si identifica la parola « vacuità » con quella di « forma ». I Cristiani si aggrappano all’idea che in cielo la personalità umana venga conservata come entità separata e distinta; con la resurrezione si aspira ad una conservazione deli’Ego, non della mente; ma su questo punto Buddha nega l’esistenza di qualsiasi substrato-anima o entità-Ego, però il Nirvana non è l’annichilazione del pensiero; è il suo compimento e la sua perfezione.
* * «
La IV parte tratta delle somiglianze tra /luddismo e Cristianesimo, e anche dei contrasti ; ma di questi in piccolissima parte. Ciò che, secondo me, costituisce un grave difetto nell’autore, perchè dimostra poca imparzialità, specialmente quando avanza la dichiarazione della probabilità di un influsso del buddismo (pag. 170) sulla religione di Cristo e quando afferma che « nessuno degli elementi del Cristianesimo è radicalmente nuovo » e infine che « le differenze sono facilmente risolvibili » (pag. 178).
L’A. ha trascurato il dovere di notare tutte le differenze, le quali non sono nè poche, nè risolvibili. Sarà questo il punto sul quale mi permetterò di esporre alcune idee.
Le somiglianze incominciano dal culto. La croce, la mitra, la pianeta, le salmodie, gli esorcismi, il rosario, le litanie, l’acqua santa,
il culto dei santi, e poi il celibato, ecc. Le coincidenze tra Buddismo e Cristianesimo sono molto imbarazzanti, dice l’A. Prima aveva affermato che il monachiSmo, le processioni, il culto delle reliquie non sono fondate sul nuovo testamento. Ed allora, io mi domando, perchè parlare di somiglianze simili col Cristianesimo quando tutto ciò si riferisce al Papismo? E vero che prima (pag. 135) l’A. aveva riconosciuto che le somiglianze sono col Papismo; ma perchè non continuare cosi nella distinzione? Evidentemente per l’A. i termini Papismo e Cristianesimo sono sinonimi.
Altre somiglianze riflettono la vita dei due Maestri. Come Giovanni Battista preparò la via a Cristo, così Sumedha a Buddha. Entrambi furono di stirpe regia e per tutti e due l'infanzia fu messa in pericolo. Buddha e Cristo vissero poveramente e mandarono discepoli per l’annunzio; entrambi in un banchetto nuziale aiutarono l’ospite miracolosamente.
In quanto agli insegnamenti Gesù disse : « Amate i vostri nemici »;e Buddha: «L'odio cessa con l’amore soltanto».
Qui nói notiamo che l’esortazione di Cristo sorpassa le mille miglia quella di Buddha. Buddha è astratto, Cristo è eminentemente pratico e positivo. Nella frase « amate i vostri nemici »c’è una forza di esortazione che invano cercheremmo nelle parole riportate nel Dhammapada: «l’odio cessa con l’amore soltanto ».
La venuta di Buddha è rassomigliata al vento, così Gesù in Giov., Ili, 8. Cristo disse (Matteo,XXIV,35): «le mie parole non trapasseranno giammai», e Buddha: «la parola dei Buddha è sicura e sempiterna ».
L’unica differenza che l’A. accenna, riguarda l’idea di un Dio personale, di cui i buddisti fanno a meno. Però siccome nessuna religione potrebbe esistere senza la credenza nell’esistenza di un’autorità ultima di condotta, il buddismo possiede un equivalente nel principio : tutte le azioni porteranno il loro frutto secondo la loro natura. Però il Carus riconosce che nell’idea d’un Dio personale, il Cristianesimo possiede un simbolo d’un valore incalcolabile.
Nella V parte: Z critici cristiani del Buddismo, l’A. spezza definitivamente una lancia in favore del Buddismo contro alcuni critici. In questa parte è notevole il capitolo sul « Problema delle Missioni ». È detto che « una fede positiva genera sempre l’entusiasmo per la sua propria diffusione ; quella religione che
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non fa propaganda è una religione morta » (pag. 196). E accennando ai liberi pensatori, osserva : « il libero pensiero può diventare meritevole di considerazione solo quando fa propaganda ».
Però il missionario che vuol diffondere la propria fede non deve oltraggiare le persone che vuol convertire. I critici... criticati dall’autore sono: il rev. R. Spense Hardy nel suo libro leggende e le teorie dei buddisti comparati con la storia e la scienza. È accusato di grande ingiustizia. Poi il rev. Karl Gutzlaff, un tedesco che secondo l’A. gode una riputazione immeritata di erudito. Due pastori protestanti, G. Voigt e A. Thomas che son trattati un po’ meglio. Infine Sir Mo-nìer Williams, professore di sanscrito ad Oxford.
La Conclusione contiene le ragioni per cui secondo l’A. appare prezioso il Buddismo:
1® È la religione dell’illuminazione. Buddha volle che l’uomo si affidasse ai metodi migliori e più accurati per investigare la verità : fare assegnamento sui propri sforzi. Buon principio... ma non sino alla fine, osserviamo. Esso parte da un presupposto troppo assoluto sulla sufficienza dei mezzi umani.
2® Buddha prevenne anche in particolari importanti i risultati di una concezione scientifica dell’anima, fondata sulla dottrina che la natura psichica dell’uomo non è un’entità, ma consiste di Karma. Non pensiamo che Buddha sia stato così geniale nel dirci che l’idea dell’io sia un’illusione. Negata l’entità personale e sciolto raggruppamento dei cinque elementi, l’io scompare e la morte è un inabissarsi nel nulla.
3® Mentre fu ardito e schietto nelle sue negazioni proclamò in pari tempo le conseguenze positive della sua filosofia. A me sembra che ciò non sia poi un gran che, perchè molti altri furono arditi e schietti più di Buddha e su di lui ebbero il vantaggio di sacrificarsi per l’idea; e in quanto al carattere positivo della filosofia buddistica, specialmente dopo quell’idea del non andare, nè venire, nè stare, è proprio il caso di dire: chi si contenta gode.
Tale il librò: cose nuove non ve ne sono state ; però niente è inutile quaggiù, e noi ne accettiamo la lezione ultima :
« Per purificare la nostra concezione della religione non v’è miglior mezzo d’uno studio delle religioni comparate».
Antonio Galloppi.
Il ritorno spirituale di S. Francesco ¿’Assisi.
L’on. Luigi Luzzatti ha scritto una introduzione ai Fioretti di San Francesco, che sono per essere pubblicati nella raccolta intitolata Gli Immortali, diretta dal Luzzatti e da Ferdinando Martini, ed impressa dall' « Istituto editoriale italiano * : una bella raccolta che in duecento volumi assembrerà quel che gli uomini hanno pensato c scritto di più allo, dalli India al nostro tempo.
L'illustre uomo da molti anni si è dato allo studio delle religioni, conquistando fama sùbita e durevole con alcuni saggi su la libertà religiosa e sui fondamenti filosofici della fede. Queste pagine, pervase di uno spirito francescano, e canore come una lirica, sono forse il più bel documento di tale studio dell’eminente finanziere.
E noi siamo lieti di poter dare ai nostri lettori la primizia :
S. Francesco d’Assisi è tornato in terra e vi compie ancora la sua missione di sublime pacificatore. Forse, dopo il Medio Evo, e dopo Dante che tutto seppe e misurò le grandezze umane e divine, in nessun tempo fu più del nostro amato e sentito ; il secolo decimonono e il ventesimo lo hanno di nuovo studiato con intelletto d’amore, scrutando le più riposte fibre di quell’anima giunta quaggiù a miraeoi mostrare.
Come si spiega il ritorno all’ideale francescano non solo nei paesi cattolici, ma anche nei protestanti ? Il suo commentatore più noto, l’iniziatore poderoso di queste nuove ricerche, è un calvinista, che piega al razionalismo, Paolo Sabatier. Come si conciliano il trionfo dell’èra delle macchine, il materialismo storico, l’imperialismo coloniale con le mistiche semplicità del Serafico ? Certo chi osservi serenamente i progressi scientifici ed economici dei nostri tempi è come abbarbagliato da uno splendore di luce non mai visto dalle umane genti. In ogni sua forma la ricchezza diretta dal sapere tecnico, dominato anch’esso dalle ricerche più pure e disinteressate, guida alle meravigliose applicazioni senza sospettarle, non si svolge più come un fiume tranquillo, ma come torrente in piena ; nonostante le produzioni ine-
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sauribili, aumentano da per tutto col benessere i consumi. Vi è una intensa aspirazione alla felicità materiale, un’aspra gara a tentar la fortuna ; i desideri soddisfatti rendono ancor più cupide le nuove brame; la ricerca affannosa dei piaceri di ogni specie non ha limiti. Basta indagare un istante ciò che avviene tra le classi lavoratrici : la grande elevazione dei salari, frutto delle giuste difese sociali oltre che delle leggi spontaneamente operanti sui mercati, sta sempre sotto le loro inquiete aspirazioni, i loro crescenti bisogni, il cui ampliamento ha dato impulso massimo alla produzione di questi ultimi anni.
Progresso materiale e progresso morale.
E sorge spontanea una grave domanda col-legata col nostro tema francescano: L’imperio dell'uomo sulla natura va di pari passo con l’imperio dell'uomo sovra se stesso? Frena le sue passioni capricciose come sa frenare e dirigere le energie della materia? Insomma i progressi morali crescono in accordo con quelli scientifici e materiali? La pietà operosa che il Serafico, dopo Gesù, ha più intimamente sentito per le sofferenze dei miseri, corrisponde oggidì a schiette e spontanee simpatie dei potenti verso gli umili, dei felici verso i derelitti, dei sapienti verso gli ignoranti ? Le leggi sociali sono l’effetto della bontà o della paura?
L'amore, la cura del prossimo, tradotti in provvedimenti di Stato, non esonerano, non dispensano forse da quella pietà evangelica ignara, come il pudore, di sè e delle grazie spontanee, che ci sospinge a soffrire degli altrui mali, a tentar di addolcirli senza lodi, con atti oscuri agli uomini e perciò graditi a Dio?
Queste sono le formidabili interrogazioni, i dubbi angosciosi, che cominciano a echeggiare in un mondo, il quale ha più dìi baccante che del pitagorico, dove l’orgia del piacere copre col suo strepito l’umile e continuo adempimento dei doveri silenziosi.
Se si sapesse rispondere a siffatte domande e descrivere questa specie di doppia coscienza, che è in ciascheduno di noi, per effetto della quale gli atti più opposti del bene e del male si compiono con egual sincerità, si darebbe alla vita contemporanea la interpretazione del suo enigma, la soluzione delle sue stridenti contradizioni. Consideriamo i paesi più avanzati, gli Stati Uniti di America, per esempio, con tutto l’orgoglio delle loro macchine, delle opulenze a getto continuo, delle novità tecniche
meravigliose, dei trusfs dei capitalisti, dei colpi audaci giocati alla borsa, con tutte le magnificenze dei miliardari, rinnovanti, talora peggiorandole, quelle dei patrizi romani... e pur tutto questo fasto è impotente a dare la felicità sgorgante dai puri imenei, dalla modestia della vita, dallo aiuto segreto offerto agli infelici, da quell’intreccio mistico di sentimenti ideali, epilogati nella fede in Dio. Il che avvertono anche i felici, i potenti, i prepotenti ; essi forse egualmente sinceri nel frodare il prossimo alla borsa e nel chiederne lagrimanti perdono alla loro Chiesa.
Più la scienza progredisce, più cresce il contrasto con le fedi avite, nelle quali si è nati, e si avverte l’impotenza a rischiare le origini, i fini della creazione, poiché, come fu detto egregiamente, la scienza non fa sgorgare la nostra ignoranza che da una fonte più alia. Noi rimoviamo più in là, verso le nebbie impenetrabili, la sfera dell’inconoscibile, sempre più la sfera delle nostre cognizioni si gonfia e si amplia ; ma l’ignoto persiste a ergersi oscuro e molesto dinanzi a noi. Il progresso intellettuale acuisce l’affanno della nostra impotenza a disvelare il mistero della vita e della morte. Insomma siamo noi migliori per il nostro crescente sapere, per la nostra maggior potenza ?
Il contrasto doloroso avvertito da ognuno di noi, si riverbera anche nel governo degli Stati. Essi si fanno rappresentare con fervido entusiasmo ai Congressi della pace, ai convegni dove l’umana fratellanza si afferma e concreta in mirabili istituzioni, ma con pari fervore ricercano, preparano tutti gli strumenti infernali, idonei a distruggere, a fulminare i nostri fratelli in guerre esecrande, in poche settimane consumatrici di più vite e sostanze che nelle guerre dei trenta o dei setti anni.
Una tragica contraddizione.
L’amore di patria ci fa crudeli, l’amor dell'umanità ci fa dolci, e vi è, bisogna insistere nel riconoscerlo, uno stesso sentimento di schiettezza negli atti della nostra bontà e in quelli della nostra crudeltà. Come si intendono ora meglio che nel passato queste parole quasi incomprensibili dell’ Ecclesiaste: Ogni cosa ha la sua stagione, ed ogni azione sotto il cielo ha il suo tempo... Tempo di uccidere e tempo di sanare: tempo di distruggere, e tempo di edificare... tempo di amare e tempo di odiare: tempo di guerra e tempo di pace!
Come potremo uscire da queste funeste
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•contradizioni? chi ci insegnerà il modo di aumentare la nostra sapienza senza macchiare il giglio della nostra umiltà, di rinvigorire la nostra potenza economica senza cadere nella putredine dei godimenti nauseabondi, di affinare i nostri sentimenti religiosi liberandoli dalle superstizioni, le quali troppo spesso oscurano e deteriorano la fede?
Ovvero è fatale che la sapienza e la ricchezza sieno punite da una maggiore immoralità? Le civiltà, le quali sanno tutto, tutto possono e osano, sono forse più vicine a dissolversi, moderne Babilonie, di quelle che sanno meno, possono meno, ma sentono il dovere di rispettare quei grandi e semplici principi morali custoditi in libri e in tradizioni, espressi in modo incomparabile?
1 dubbi rampollano dai dubbi nell’esame di questi problemi, e anche confessando la nostra insufficienza a risolverli dovremmo trarne argomento a essere più umili, nonostante la legittimità delle letizie civili, a non esonerare nessun mortale, piccolo o grande che sia, dalle cotidiane fatiche del bene, le sole idonee a temperar gli squilibri delle odierne, affaticate società. E tutti avvertono per quanto ci manca oggidì, che la parola e l’ufficio dei Santi della morale avidamente si richiedono a compiere l’opera dei Santi del sapere. Darwin e i suoi succecessori erano indispensabili; ma perchè accanto a loro non sorge più un S. Francesco d'Assisi ? Che se ne senta il bisogno e se ne abbia la sete ardente, lo attesta l’esempio del generale Booth, il fondatore, fra gli scherni, della milizia del bene, morto di recente a Londra nel compianto universale. Ei non era che un S. Francesco di Assisi molto diminuito !
E però non dobbiamo meravigliarci se, in questa condizione degli animi, i miracoli della pietà riprendano il loro imperio, e i Fioretti di S. Francesco si rileggano come un ristoro, un risarcimento di romanzi romorosi e malvagi. In attesa del Santo, che se molto ardentemente si invochi, ritornerà fra noi, i suoi détti, le sue opere si ringiovaniscono, si rinfrescano, acquistano una lieta popolarità. Da tutti i paesi del mondo (anche più che dall’Italia), dalla Francia, dall’Inghilterra(i), dalla Danimarca, sorgono i suoi dichiaratori e commentatori, e la loro voce si effonde per le molteplici vie della vita, come quella di un’arpa dolce e melodiosa.
A questo punto l'illustre scrittore, con vasta e sicura dottrina e con diritto acume, esamina le controversie più recenti su le origini dei Fioretti, discusse con grande sapienza dal professor Nino Tamassia del quale riepiloga con molla lode le ricerche originali, dallo Stade-rini, dal Garavini, dal Wadding e dagli altri; e dimostra come il Sabatier, benemerito iniziatore di questi studi francescani, domini sempre su lutti per il valore e per la bontà delle indagini. E a questo proposilo l’on. Luz-zalli soggiunge:
Bene quindi il Sabatier nei Fioretti distinse due parti. Tra la prima e la seconda è una notevole differenza: nella prima è più naturalezza d’andamento e di reali virtù, sotto l’umile velo dell’umanità, benché appaia ai credenti nei fatti raccontati l’alito di Dio vivo e a volte l’impronta onnipotente; nella seconda domina l’estasi e la visione. Sono i differenti caratteri di due età francescane : Veià dell'oro, fedele al genio del Poverello, l’azione ispirata, sapiente e feconda; e l'età argentea, in cui prevale la contemplazione mistica che fiorisce nella visione e nelle parole, non si concreta nelle opere.
E poi riprende e continua i suoi ragionamenti morali nell’ ultima sostanziale parte della sua introduzione, che è questa:
Dal Buddha a S. Francesco.
Troppo per una breve introduzione si è ragionato di queste controversie, le quali si agitano sempre intorno alla vita, ai detti e alle opere degli uomini divini. Quando anche, per modo di esempio, si riesca a provare (il che ci è parso sempre molto difficile) che nel Buddhismo si ritrovino le stesse idee morali di Gesù e i simboli medesimi delle origini del Cristianesimo, rimane intatta la figura del Redentore (i).
Nè vale il dire che le idee morali di Buddha anticiparono quelle di Gesù ; anche la principalissima di amare coloro che ci odiano. E’ vero: i riscontri dei due Vangeli sono stupendi ; la fede che muove le montagne, è detta a Benares prima che in Giudea. Così nelle foreste del Gange, prima che nei Vangeli, si udì l’arcana novella che la vendetta si era consunta nella sua gran rabbia, che il nemico
(|) L’ultimo lavoro di cui abbiamo notizia c del Padre Cuthbert veramente notevole : Life of St. Francis of Assiti, 1913, Longmans. Il Tabict lo qualificale a ragione, fascinatore. E’ la prima opera forse scritta in inglese sul Serafico.
(x) Vedi l’opera insigne di J. Edmund»: / Vangeli di Buddka e di Cristo, per la prima volta paragonati cogli originali. Il libro è stato ora tradotto ih italiano per cura dell'egregio editore Sandron, e merita un commento disin -teressato c profondo.
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non si doveva odiare, ma amare, benedire, aiutare, pregando per lui. Però Gesù segnatamente ha saputo adoperare metodi di dimostrazione diversi da quelli della logica scientifica capaci di esercitare una seduzione eterna sui cuori umani. La evoluzione della morale più che nella novità della idea che sonnecchia nel fondo della coscienza di ogni uomo, perfino degli scellerati, si ritrova nel modo col quale si annunzia, nell’effetto che ottiene. Trattasi di dare una evidenza, una chiarezza, un fascino, che accenda e riempia di mirabili ardori anche gli animi più duri. Ora appunto nel Vangelo la virtù si dipinge e si scolpisce con l’arte insuperata della semplicità; col Vangelo, la Bibbia antica ha questi pregi in molte parti, particolarmente nei Salmi e nei Profeti... E questa divina semplicità riappare nel Serafico, mille e cento anni dopo il Galileo. Essi, essi soltanto, questi divini maestri, sanno trovare le parole, le narrazioni, le allegorie sante, che si tramutano in formule perpetue, rinnovando nei popoli futuri la dolcezza di coloro che ebbero la gioia incomparabile di udirle. Tutti i pittori, tutti gli scultori hanno a loro disposizione le varie specie di colori e di marmi; tutti gli apostoli conobbero le diverse gradazioni della virtù; ma se molti furono i chiamati, pochi si salvarono nella elezione, pochissimi risplendono in tutti i tempi e in tutti i tempi fanno palpitare i cuori dei mortali. Essi soli sanno inventare quelle preghiere, che rompono i profondi silenzi fra il Cielo e la terra e li popolano di arcane, melodiose corrispondenze !
Che importa a noi se le leggende intorno al Santo di Assisi trovino le loro origini nei più antichi testi di Italia, di Francia, di Germania? Tutti quei fiori mandarono per un istante i loro profumi e poi avvizzirono ; soltanto i Fioretti ebbero la gloria di fragranze immarcescibili.
Il giudizio dei popoli non s’inganna in queste scelte spontanee, consacrate di secolo in secolo.; essi concedono l’immortalità soltanto a coloro che la meritano. E invero l’impetuoso ritorno alle fonti pure del Vangelo e dei Fioretti di tanti ingegni errabondi per tutti i meandri del sapere, ha qualcosa di meraviglioso. Oggi è chiaro che S. Francesco d’Assisi è l’interprete migliore, più che della dottrina, del cuore di Gesù, quantunque tanto lontano dall’età della sua predicazione. .
Aggiungasi che questi uomini divini par che sequestrino i progressi morali dei tempi futuri. Ogni età, ogni Santo, ogni eccelso pensatore congiungono alle antiche, senza diminuirle o infiacchirle, le nuove interpretazioni di quelle
dottrine e di quegli atti, che folgoreggiarono in Palestina. Più il mondo progredisce, la solidarietà umana si affina, e meglio s’intendono : essi sono e saranno sempre, traverso i millenni, i precursori dell'avvenire ; ringiovaniscono invecchiando.
Il Sermone della montagna non fu e non sarà mai superato, perchè è insuperabile ; l’odierna civiltà con le sue ombre inquietanti, con le sue deficienze sociali, fa sentire anche più che nel passato la celestiale dolcezza di alcune di quelle dichiarazioni, che parevano superflue o non avevano ancora riscontro in malattie recenti delle anime.
E per tornare a un pensiero accennato sopra : dopo aver bevuto alle sorgenti di tutte le filosofie, generate e corrette dai secoli che si succedono, illustrate dalle mirabili scoperte sulle forze occulte delia natura e dello spirito, sentiamo sempre più il desiderio di gridare, noi, noi i sapientissimi del ventesimo secolo : beali i poveri in spirilo, perciocché il regno dei Cieli è loro.
E questo grido può uscire anche dalla mente stanca di Darwin o di Poincaré, giustamente lieti delle loro scoperte, ma persuasi persino della propria impotenza a interpretare i misteri della vita. Gli intelletti più poderosi sono quelli che sentono la umiltà nell’atto delle loro creazioni stupende!
Così dopo la proclamazione delle libertà costituzionali, delle eguaglianze politiche e civili, delle inviolabilità della coscienza individuale, dinanzi alle nuove tirannidi, oscure e violente, che sorgono e si consolidano in nome delle maggioranze, trasmutabili in tutte le guise si torna a gridare con angelica fermezza : voi sarete beali quando gli uomini vi avranno vituperali e perseguili...
L* insegnamento dei “ Fioretti. ,,
Ma tornando al libro, donde era mosso il nostro discorso, al' libro, nel quale nulla si contiene di piccolo, quantunque tutto vi respiri continuamente la ingenuità dei fanciulli, quante applicazioni nuove, quanti adattamenti nuovi, non sospettati e non sospettabili nei tempi passati, i Fioretti consentono! Ci si permettano alcune di queste rivelazioni.
Uno dei punti più freschi e belli dei Fioretti è l’ incontro di S. Francesco col lebbroso, per le gravi sofferenze bestemmiatore della terra e del cielo, con scandalo dei compagni del Serafico. 1 quali gli Si fanno attorno per cacciare i demoni dalla sua anima e dal suo corpo. Ma là bestemmia si acuiva sempre più
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sibilante e malvagia in ragione degli inutili esorcismi.
Il Santo nel suo infinito amore per tutte le creature sofferenti, comprese che bisognava liberarlo dal fiero morbo per acquetarne lo spirito maligno.
Di subito fece ¡scaldare dell’acqua con »tolte erbe odorifere : poi spoglia costiti, e comincia a lavarlo colle sue mani e uno altro Frale metteva su l'acqua, e per divino miracolo dove Santo Francesco toccava colle sue mani, si par Ha la lebbra, e rimaneva la carne perfettamente sanata, È come sì cominciò la carne a sanificare, così si cominciò a sanificare l’anima, onde veggendosi il lebbroso cominciare a guarire, cominciò ad avere grande compunzione, e pentimento dei suoi peccali, e cominciò a piagnere amarissimamente ; sicché mentre ’l corpo si mondava di fuori della lebbra, per lo levamento dell’acqua, cosi l'anima si mondava dentro del peccato, per correzione e per le lagrime.
Ed essendo compiutamente sanato, quanto al corpo e all’anima, umilmente si rendette in colpa: e dìcea piagnendo ad alla voce: Guai a me, ch’ io sono degno dello inferno, per le villanie e ingiurie che io ho falle e dette ai frali, e per la impazienza e bestemmie che io ho avute contro Dio...'».
Qui si contiene il miglior programma di redenzione sociale a favore degli innumerevoli lebbrosi dell’ ignoranza e del lavoro, i quali pongono dinanzi al mondo civile i formidabili problemi, che richiedono impazienti le soluzioni. O la civiltà moderna saprà gradatamente distruggere il proletariato, che significa indigenza di mezzi morali, intellettuali, economici, o il proletariato distruggerà la nostra civiltà. A tale uopo il più scientifico è ancora il metodo insegnato dal Santo con la guarigione del lebbroso.
E’ vano parlare di tutte le virtù ai lavoratori in balìa dei più crudi bisogni ; ma senza il freno morale della fede o della rassegnazione stoica i desideri più si appagano, più si fanno insaziabili. L’elevazione economica del proletariato non può raggiungere il suo fine senza la contemporanea concordante elevazione spirituale. Carlo Marx fondava l’emancipazione dei lavoratori sul solo fattore materiale; noi, seguendo le tracce del Serafico, integriamo il fattore economico coll’ideale celeste, inspirante la virtù di serbare serena la mente contro i colpi dell’avversa fortuna ; laviamo la lebbra per meglio lavare l’anima.
Per quanto le nuove leggi e istituzioni sociali riescano a salvare i miseri dalle asprezze delle malattie, della vecchiaia, della disoccupazione involontaria, degli infortuni generati
dal lavoro, a temperare i loro dolori, vi sarà sempre un margine largo, immenso, per la carità, per la pietà, per l’amorosa solidarietà dei potenti cogli umili, dei felici cogli afflitti, dei sapienti cogli ignoranti, degli innocenti coi colpevoli. E le questioni sociali non potranno risolversi se l’evoluzione del progresso non traduca in costumi, gradatamente, i luminosi esempi dei Fioretti
Passando a un altro argomento, oggi più che mai si afferma nella pietà il rispetto di tutti gli esseri creati ; oggi più che mai l’uomo si sente solidale con la vita dei fiori, degli alberi, degli animali.
L’amore delle creature.
La nostra società non schernisce più l’esempio, che ci viene dall’india antica, dei ricoveri decenti e degli ospitali per le bestie. Gli italiani, che sono ancora tanto crudeli contro gli animali, paiono più biasimevoli perchè da Pitagora a S. Francesco, da Leonardo a Bruno, da Mazzini a Garibaldi, ebbero una schiera luminosa di pensatori, di apostoli, di martiri, i quali sentirono il dovere gentile di proteggere tutti gli esseri della creazione. Fra questi grandi risplende S. Francesco; il suo nome, le sue parole dovrebbero scolpirsi nelle Società degli zoofili.
Uri giovane aveva preso un di molte tortole e portandole a vendere s’ incontrò con S. Francesco, il quale sempre aveva singolare pietà agli animali mansueti, e riguardando quelle tortole con occhio pietoso disse al giovine : o buono giovine, io li priego che tu me le dia; che uccelli così mansueti, ai quali nella Scrittura sono assomigliate le anime caste e umili e fedeli, non vengano alle mani dei crudeli che li uccidano.
Di subito colui, ispirato da Dio, tutte le diede a Santo Francesco ed egli, ricevendole in grembo, cominciò a parlare loro dolcemente : o sirocchie mie, tortole semplici innocenti e caste perchè vi lasciate voi pigliare? Ora io vi voglio scampare da morte e farvi i nidi acciocché voi facciate frutto e mulliplichiale secondo i comandamenti del nostro creatore ...A tutte il Santo fece nido; ed elleno usandosi cominciarono a fare uova e figliare dinanzi alti Frati, e così domesticamente si stavano e usavano con San Francesco e cogli altri Frali.
(i) Le stesse leggi sociali non si possono applicare senza la elevazione del carattere. Sono gravi le forme di frodi generate dalle. assicurazioni obbligatorie, e che già macchiano questi istituti provvidissimi.
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Ma il miracolo della pietà è infinito ; il giovine die diede le tortole salvatiche fu da esse salvato, poiché, tocco dalla virtù del Serafico, si fece frate e trivelle nell'ordine con grande sant itale.
In quell’aurora della soavità, per le terre dell’Umbria cantavano giulivi gli augelli benedetti dai Santo ! Egli insegnava a loro la gratitudine verso il Creatore : Dio aveva concesso l’aere libero agli augelli, che non mietono, e pur Iddio vi pasce e davvi li fiumi e le fonti per vostro bere ; davvi li monti, e le valli per vostro rifugio, e gli alberi alti per fare li vostri nidi, e conciossiachè voi non sappiate filare, nè cucire, Iddio vi veste ( i ), voi e’ vostri figliuoli : Onde molto vi ama il vostro creatore, poiché egli vi dà tanti benefici, e però guardatevi, sirocchie mie, dal peccalo della ingratitudine, e sempre vi studiale di lodare Iddio. Dicendo loro Santo Francesco queste parole, lutti quanti quegli uccelli cominciarono ad aprire i becchi, c distendere i colli, e aprire Calie, e reverenicmente inchinare i capi infino a terra, e con alti e con canti dimostrare che il Padre Santo dava loro grandissimo diletto : c Santo Francesco con loro insieme si rallegrava, e dilettava e maravigliavasi mollo di tanta moltitudine d'uccelli e della bellissima varietade, e della loro attenzione e familiaritade ; per la qualcosa egli in loro divolamente lodava il Creatore.
Noi dedichiamo questa epopea di sublime semplicità ai bastonatoti a sangue delle bestie slancile, agli accecatori di uccelli perchè servano di richiamo alle prede spietate ; noi preghiamo i protettori dei nostri fratelli minori di diffondere da per tutto i Fioretti.
E’ impossibile che queste soavi parole non convertano i cuori dei più spietati. Oh se il Santo potesse rinascere, oh se potesse ancora consolarci con la sua bontà tranquilla, dispensatrice di luce ineffabile!
Mentre i sistemi filosofici, economici, sociali, in contrasto fra loro cadono, risorgono, giacciono, rimane eterna l’azione di alcune idee morali intuitive, alle quali l’umanità deve la sua cotidiana salute, il suo perpetuo ringiovanire. Sono di quelle idee primigenie, fondamentali, che splendono come le lampade
(:) Nel sermone della montagna si legge: ,
• Ed intorno al vestire perche siete con ansietà solleciti.’ avvisate come crescono i gigli nella campagna: essi non faticano, c non filano. E pure io vi dico che Salomone stesso, con tutta la Sua gloria, non fu vestito al pari di uno di loro... Riguardate gli uccelli del ciclo : come non seminono, non mietono e non accolgono in granai : e pure il Padre vostro celeste li nutrisce... ».
della vita [yilae lampada tradunt)-, il giorno che accennino a oscurarsi non basterebbe una legione di dotti a ravvivarle, mentre il cuore di un Santo le rende inestinguibili.
Il metodo d’Assisi, quello adoperato da S. Francesco, fra tanto conflitto d’idee, di partiti, d’interessi, sarà sempre il più profondo e salutare. Quando, traverso le curve mirabili dei serafici colli perugini, ei predicava le paci fra il contado e le città, inteneriva i prepotenti a favore degli umili, scioglieva cogl’me-sauribili tesori della dolcezza gli enigmi del dolore cosi foschi nel medio evo e, nei suoi fecondi viaggi, ragionando da pari a pari col Soldino, operava il miracolo, per il quale Cristianesimo e Maomettanismo usi a distruggersi, si accostavano un istante umanamente, quanta sapienza giudicata dagli effetti si racchiudeva in quel fraticello ignorante! Come ricorda quegli altri ignoranti della Galilea che guidati da Gesù, vincevano con la loro umiltà i dotti farisaismi di Gerusalemme, gli splendori filosofici di Atene, là sapienza civile di Roma, e preparavano le glorie delle età rinnovate!
E anche oggi mentre gli uni inacerbiscono le lotte di classe e le innalzano a una storica fatalità, mentre si dividono in campi avversi i nati di una stessa terra, i figli di uno stesso riscatto, le rappresaglie del lavoro avvicendandosi con le rappresaglie del capitale e pericola l’unità morale della patria, che si affievolisce nell’odio, la nota dominante del nostro tempo fra tante apparenze d’amore, risorga, risorga il Santo d’Assisil L’ombra sua torni che è dipartita, torni a consolare l’Italia, vedovata di tanta luce.
Ei farebbe sentire agli opulenti che vorrebbero imporsi con la loro ricchezza, ai poveri che vorrebbero soverchiare con la violenza del numero, la necessità del perdono, la consolazione delle mutue assistenze. Ei può commuovere i cuori indurili dall’interesse, trarre da queste selci la scintilla dell’amore, spremere dai cigli irosi una di quelle lagrime, che insegnano ai mortali gli eterni veri della tolleranza, della carità, dello scambievole aiuto.
Come troverebbe noi stanchi, noi corrosi dal dubbio scientifico, pronti ad ascoltarlo!
Nel medio evo lo seguivano gli afflitti dalla divina tragedia, gli sfiniti dai mondani piaceri ; oggidì lo seguirebbero i tormentati dal-l'ideale che non si avvera, gli esauriti dalla scienza, i quali non possono persuadersi che il conflitto perpetuo degl’interessi sia l’ùltima parola dell’odierna civiltà e non sanno dimostrare intellettualmente la dottrina opposta dell’amore.
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Mentre i sapienti rinnovano, per poi distruggerle, le dottrine sociali, un poeta della virtù, un Santo del bene ci riconcili con quelle verità, che sgorgano dalle profonde latebre dei cuori, nascono palpiti prima di alzarsi alla Chiaroveggenza dell’idea; e fra le lotte stridenti di classe, dia alle anime la pace interiore, apparecchiatrice della pace sociale.
(Dal Giornale d'Italia del 27 Agosto 1913).
Luigi Luzzatti.
L’editto di Milano e la libertà di coscienza.
Fra le tante pubblicazioni che il XVI centenario dell’Editto di Milano (313) ha provocato ricordiamo, come una delle più interessanti, l’articolo del geniale critico della letteratura romana della fine dell’impero, Renato Pichón, pubblicato sulla Renne des deux mondes (15 luglio 1913). Egli si meraviglia, a ragione, che solo la Chiesa cattolica si sia preoccupata di festeggiare l'editto costantiniano, mentre tutti i sostenitori della causa delia tolleranza religiosa dovrebbero celebrare ugualmente questa più unica che rara apparizione nel mondo antico di un’affermazione teorica di libertà religiosa, traduzione giuridica delle idee sostenute per quasi due secoli dagli apologisti cristiani e che il cristianesimo, divenuto Chiesa di Stato, doveva ben presto rinnegare, chiamando in suo appoggio proprio quell’autorità imperiale che gli aveva dato e la libertà politica ed economica e la glorificazione dei suoi principi.
Il Pichón polemizza a lungo—e a noi sembra con ragione — con la tesi sostenuta dal Bouché-Leclercq, che, cioè, la persecuzione dell’impero romano contro il Cristianesimo, fu dovuta principalmente al carattere anarchico, antisociale, nella dottrina come nella prassi del cristianesimo antico, tesi che per il B.-L. aveva per corollario la deplorazione dell’attuale persecuzione anticlericale del Governo francese contro la Chiesa cattolica, identificata col cristianésimo, mentre essa invece è divenuta oggi sommamente sociale e partito d’ordine.
La reazione religiosa che caratterizza l’impero di fronte all’indifferenza pratica degli ultimi tempi della Repubblica ; l’associazione fra lealismo e la sua espressione pratica nel culto alle divinità, come simboli sacri dello Stato, spiegano largamente le persecuzioni, i cui fattori particolari, invece, sono molteplici e variabili nel corso della storia dei rapporti fra il Cristianesimo anteniceno e l’Impero. I cristiani furono perciò colpiti insieme, e in nome dello Stato e in nome degli dei. In questo con
flitto i cristiani sostennero una causa del tutto moderna, la separazione fra i doveri del cristiano e quelli del fedele ; « la concezione opposta può avere tutte le giustificazioni storiche possibili, essa ha, se volete, anche una certa grandiosità, però è essemiatmente arcaica. Il principio da cui procede — la comune origine dello Stato e della religione nazionale — era chiusa in germe nelle credenze più lontane dell‘antichità ». (M. R.)
’ARCHEOLOGIA
Gerusalemme antica.
H. VINCENT. Jérusalem. t. X.Jérusalemantique, fase. Topographie (Texte et Plan-ches). — Paris, Lecofìre, 1912.
Di questa opera monumentale della (piale il sottotitolo « Ricerche di topografia, d’archeologia e di storia » indica gli scopi e i limiti, ci riserbiamo di dare un ampio resoconto, quando saranno usciti gli altri 4 fascicoli. E’ una grande opera che vaglia e sintetizza i lavori scientifici compiuti dalle varie missioni scientifiche e dalle scuole archeologiche istituite da governi e da privati a Gerusalemme — non ultima fra queste la Scuola biblica di S. Stefano retta dai domenicani. Il lavoro è diviso fra due collaboratori, il Vincent per la Gerusalemme biblica e l’Abel per la Gerusalemme mussulmana e medievale, tutti e due della scuola dei domenicani a Gerusalemme. L’opera non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca teologica: il suo prezzo abbastanza elevato pur troppo non le permettono una larga diffusione fra i cultori privati degli studi biblici. Diamo, per averne un’idea, i titoli dei principali capitoli. Dell’ Introduzione : Flavio Giuseppe (vita, opere, utilizzazióne critica delle sue opere); Documenti topografici e archeologici ; La tradizione e le ricerche ; Schizzo storico delle ricerche. Del Libro I : Topografia. I. Orografia: aspetto generale di Gerusalemme; II, Nozioni geologiche e climatologiche; III, La cornice topografica della città antica ; IV, Sion e la città di David; V, David; VI, Il Millo e l’Ophel.
« Esaminare a qual punto si è giunti oggi con la discussione dei testi ; mettere sotto gli occhi degli studiosi abbastanza dettagliatamente, per non lasciarvi nulla d’inintelligibile
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o di troppo oscuro, i fatti d’ogni sorta raccolti nelle esplorazioni e negli scavi ; tentare, infine, dopo lo studio metodico di questi dati letterari topografici ed archeologici, un primo saggio di sintesi, ecco l’oggetto del modesto compito che ci siamo proposti ». Così gli autori nella Prefazione.
Dall’esame del primo fascicolo, a cui s’accompagna una ricca serie di meravigliose incisioni sulla Gerusalemme moderna di schizzi topografici e di piante, noi crediamo di poter assicurare che il compito è stato fino ad ora intieramente assolto. M. R.
HIPJQFIAE RtUGIONE
Verso la fede.
En roule vers lafoi-. cosi il sig. F. Thomas, professore alla Facoltà ¿teologica di Ginevra, intitolava l’anno scorso un suo volume di studi e conferenze. Verso la fede', così il dottore D. G.Whittinghill, direttore della Facoltà teologica di Roma, intitola quest’anno un bel volume in-12° di 225 pagine; volume eh’è una preziosa raccolta di scritti originali — filosofici e teologici — di vari autori italiani.
Da alcuni anni infatti, e più spiccatamente da un decennio circa, siamo avviati verso la fede', verso la fede positiva ma illuminata, verso la fede che poggia sull’antico Vangelo ma che ha speciali caratteristiche moderne. E a questa fede gli spiriti sono a poco a poco condotti da un’apologetica nuova, a base non più come una volta esclusivamente razionale, ma essenzialmente psicologica, sperimentale e morale (1).
Fra i documenti più notevoli di questa apologètica nuova vanno certamente annoverati i volumi della Biblioteca di studi religiosi edita dalla direzione della Scuola Teologica Battista di Roma, sebbene, a dire il vero, i volumi sin’ora apparsi difficilmente si possano includere in una medesima serie di opere tutte dello stesso tipo. Una delle pubblicazioni in(x) Dì quest’apologetica moderna trovo una bella definizione in Bylichnis del 31 agosto pag. 367: .
- Quella fine apologetica nuova che sa rispondere alle domande della mente senza dimenticare i bisogni del cuore <• gli aneliti nascosti delle anime che oscillano ancora fra un fossato che e morto ed un frescate incerto che si sta affiena formando ».
fatti, la seconda, è un »tannale di Omiletica, un’altra, la terza, è un’esposizione storica-dot-trinale intitolata: I Ballisti ', ma nella prima della serie, Cristianesimo e Critica, nella quinta che è in preparazione: Il Cristianesimo alla prova e specialmente nella quarta, Verso la fede è chiaro l’indirizzo apologetico moderno.
Questo diciamo per colmare una lacuna di un articolo pubblicato nel Corriere della .Sera dell’u scorso settembre, articolo intitolato: Filosofia contemporanea e che abbiamo mandato al direttore di Bilychnis con preghiera di riprodurlo in questo numero della nostra rivista.
L’articolo del Corriere passa in rassegna le varie collezioni filosofiche pubblicate recentemente dal Laterza di Bari, dal Formiggini di Genova, dal Carabba di Lanciano, dalla Libreria Editrice Milanese e non dice verbo della Biblioteca di Studi Religiosi di cui ci stiamo occupando. Perchè?
Perchè, noi credenti abbiamo un bel dimostrarci spregiudicati e disinteressati, abbiamo un bel sforzarci di fare, nella più assoluta lealtà del nostro animo, un’opera di cultura e di risveglio spirituale completamente aliena da fini di proselitismo settario — noi portiamo il peso e paghiamo il fio di colpe commesse in passato e che non sono peranco del tutto cessate, e ci troviamo ostinatamente di fronte quel prejtidicitim antiprolestanlicum che, oggi come ieri e per molto tempo ancora, cercherà di creare intorno a noi il vuoto colla istintiva o premeditata congiura del silenzio.
Ora se v’è un libro che meritava di rompere, almeno per una volta tanto, questa congiura del silenzio, codesto libro è davvero il Verso la fede. Quando si portano alle stelle certe recenti edizioni che sono quasi tutte ristampe di opere italiane sì ma già pubblicate alcuni anni or sono, oppure traduzioni commentate di autori stranieri più o meno moderni, a me pare che sarebbe stato un fare opera di cultura imparziale e di illuminata abilità giornalistica l’additare al pubblico italiano un volume redatto con molta cura, con molta intelligenza, e che, senza contare alcuni autori evangèlici nostrani, a torto più o meno ignorati, ha avuto a collaboratori uomini come Raffaele Mariano, Francesco De Sarlo e Angelo Crespi.
***
Ma bastino le recriminazioni ; veniamo all'analisi del libro.
Nè si stupiscano gli egregi lettori che noi, su questa Rivista, sentiamo il bisogno di rias-
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sumere il contenuto di un volume che essi tutti, appunto nella loro qualità di abbonati a Bilychnis, devono da un pezzo avere tra le mani. Quante volte ci succede di ricevere, magari in dono, un nuovo libro, e, datagli un’occhiata, constatato che c’è in esso materia alle volte un po’ difficile, quante volte ci succede di mettere da parte per il momento. il volume... e di ritrovarlo ancora intonso parecchio tempo dopo.
Io temo che per avventura — complice la canicola estiva — ciò sia potuto in non pochi casi succedere al Verso la fede che contiene, appunto tra gli altri, due poderosi studi di 50 pagine l’uno.
Stimo dunque sia prezzo dell’opera di scrivere queste brevi noteForse, letto il mio articolò, parecchi studiosi — ih questa ripresa di lavoro invernale — saranno invogliati a fare una conoscenza più intima e più personale col volume stesso.
* • •
Al posto d’onore è uno studio del filosofo prof. R. Mariano Intorno al Divenire e al-l'Assoluto del sistema hegeliano (1).
Di questo lavoro i nostri lettori hanno avuto una primizia alcuni mesi or sono; poiché, quando il filosofo mori, le ultime pagine del suo studio furono pubblicate nel numero di gennaio-febbraio di Bilychnis. Commuove davvero il pensiero che è questa l’ultima fatica di un fecondo scrittore e di un forte lottatore il quale ha combattuto strenuamente durante quarant’anni per le sue idee senza temere di fare il vuoto intorno a sé; come pur troppo è successo negli ultimi tempi della sua vita. R. Mariano è nato troppo presto poiché il periodo della massima sua produzione letteraria non era ancora quello attuale di risveglio per lo studio delle questioni spirituali ; d’altra parte, iniziata l’attuale rinascita religiosa, egli si è forse soverchiamente attardato a sostenere posizioni completamente oltrepassate e superate; cosicché egli, come abbiamo detto, è rimasto solo.
Fino all’ultimo però egli ha continuato a lavorare, a studiare, a scrivere, a lottare e certamente non sanno di antiquato le pagine sue che aprono il volume Verso la fede. Egli discute del sistema hegeliano ; ma quante cose giuste da lui dette ci spingono a non accogliere con cieco entusiasmo, ma a vagliare invece con prudenza il nuovo sistema bergso(1) Confronta il saggio sull’llegcl pubblicato nel 1906 -da 1!. Croce c ristampato ora dal Laterza di Bari,
niano il quale dai suoi ammiratori è forse eccessivamente portato alle stelle!
Il secondo lavoro è del filosofo F. De Sarlo, direttore della Cultura Filosofica e professore nell’istituto di studi superiori di Firenze.
Questo bel lavoro è intitolato : Idee intorno al! immortalità dell’Anima e noi rinunziamo a malincuore alla tentazione di farne una disamina accurata e completa. Ma, essendo a nostra conoscenza che è in preparazione un apposito lavoro che sarà pubblicato nel prossimo numero di Bilychnis, continuiamo senza insistere più oltre la nostra modesta recensione.
Allo studio notevolissimo del De Sarlo seguono quattro scritti di autori evangelici : scritti di varia mole e di disuguale valore.
Ernesto Comba tratta della Questione di autorità in materia di fede.
Giovanni Arbanasich espone la dottrina cristiana del Peccalo.
Giovanni Luzzi tratteggia sulla scorta del Sabatier e del Lobstein un Concetto moderno del dogma.
Vincenzo Tummolo si prova di rispondere soddisfacentemente all’ardua questione: E' possibile il Miracolo?
Chiude il volume un interessante, originale, ben condotto lavoro di Angelo Crespi, il noto filosofo scrittore di cose religiose ora libero docente nell’università di Basilea.
Lo studio del Crespi è intitolato: // Cristianesimo e la dignità umana e costituisce un tentativo di penetrare i motivi per i quali un idealismo monistico e puramente storico ed umanistico sembra a molti presentarsi oggi alla sbarra della storia con qualche misura di probabilità di conservar ciò che vi è nella Religione di permanentemente valido, eliminandone per altro ogni affermazione e contenuto trascendente come non solo pericolosa alla libertà individuale e collettiva, ma ancora come disconoscente la natura vera della libertà e della dignità umana.
« * •
Allorquando si chiude Verso la fede ci s’accorge che non soltanto si è arricchita la mente di un buon corredo di conoscenze e di argomenti apologetici di prim’ordine, ma che — e ciò conta assai più — si è nutrita abbondantemente la propria anima di un sano cibo spirituale.
Noi desideriamo non solo plaudire all’opera illuminata e nobilissima concepita e attuata dal doti. D. G.Whittinghil, ma vogliamo stringergli con affetto la mano, esprimergli la no-
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stra vivissima gratitudine pel bene spirituale ch’egli ci ha fatto e dirgli : Egregio Dottore, Coraggio e avanti.
Voi ci dichiarate nella vostra Introduzione che due scopi vi siete proposti: « primo, aumentare la fede di tutti quelli che già si occupano della religione cristiana ; secondo, destare l’attenzione di tutti coloro che fino ad ora non si sono allatto curati delle cose dello spirito ». Senza dubbio, all’ora attuale, voi già dovete possedere, sotto forma di numerose lettere di ringraziamento, le prove tangibili che ambedue gli scopi sono stati raggiunti. E, se ancora è piccola la cerchia di persone spiritualmente beneficate dalla vostra così opportuna iniziativa, se dovete forse affrontare l’opposizione di pochi retrogradi ostinatamente attaccati a rancidi concetti religiosi ormai non solo superati dalla ragione umana ma rinnegati dalla coscienza cristiana moderna — se questo è il caso vostro, egregio Dottore, vi conforti il pensiero che avete con voi tutta una falange di anime le quali vibrano all’unisono colla vostra.
Sì, quelle anime pensano come voi che « una grande causa dell’ateismo moderno è l’ignoranza che moltissimi, appartenenti a tutte le classi della società, hanno per quel che riguarda le cose dello spirito».
Quelle anime pensano come voi che delle moltitudini si tengono lontane da tutte le chiese « per la loro ostilità alla scienza ed alla filosofia moderna oppure per la guerra ch’esse non si stancano di fare contro tutti i grandi movimenti democratici dei nostri tempi».
E perciò quelle anime vi sono grate pel contributo che volete dare al benessere spirituale d’Italia ed esse invocano su Voi, sui vostri Collaboratori e Sull’Opera vostra le più preziose benedizioni di Dio.
G. Adami.
Filosofia contemporanea.
Un filosofo moderno, Africano Spir — nome che non suonerà nuovo in Italia, dopo i saggi su lui della Schenardi e del Campa e dopo le recenti traduzioni di alcuni fra gli scritti suoi più originali — rilevava, in una sua pagina inedita, l’errore comune per il quale la filosofia e la vita sembrano a molti due cose diverse ; e soggiungeva : « Anche per coloro che se ne occupano — e sono una infima minorità — la filosofia è un’occupazione come un’altra: un semplice studio se non un passatempo. Ma la filosofia è destinata per sua natura a divenire il fondo stesso della vita
spirituale dell’umanità, e verrà un tempo in cui un uomo senza filosofia sarà considerato come oggi senza cultura di alcuna specie: come minore in ispirilo ».
Se la crescente produzione libraria, in materia filosofica, può esser ritenuta un indice del crescente interesse dei lettori per le cose del pensiero astratto, si dovrebbe inferire che persino in Italia il tempo profetizzato dallo Spir non è così lontano com’egli credeva scrivendo quelle parole. I volumi si moltiplicano, le collezioni nascono e, a quel che sembra, vivono prosperamente. Uno stesso editore, il Laterza, ne vien formando ben due se si consideri che la sua « Biblioteca di cultura moderna» è in parte anche filosofica e che in essa han trovato posto, fra le ultime opere apparse, Lo spirilo della filosofia moderna di Sosiah Royce e il bello studio storico-critico di Guido De Ruggiero su : La filosofia contemporanea.
E sono anche edili dal Laterza quei Saggi filosofici di Benedetto Croce, di cui è venuto a luce, in questi giorni, il terzo volume, che comprende il Saggio sullo Hegel, ed altri scritti di storia della filosofia. (Bari, L. 6>. Questo « saggio » non è se non una ristampa dello studio «Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel » pubblicato la prima volta nel 1906, e tradotto già in parecchie lingue. Invece della parte bibliografica che Io seguiva nella prima edizione, e che l’autore non ha ripubblicata, giudicandola estranea all’indole della presente raccolta, lo studio reca qui in appendice alcune dilucidazioni su vari punti della filosofia hegeliana, le quali rispondono a censure e ad obiezioni che furono mosse al Croce, ma sono, più che una polemica, una trattazione o ritrattazione oggettiva dei punti controversi. Completano il volume alcuni scritti vari : su De Sanctis e Schopenhauer, sul pensiero dell’abate Galliani, su De Sanctis e l’hegelismo, e su molti altri argomenti.
Un editore a cui pure è dovuta un’eccellente biblioteca di filosofia è il Formiggini. che appunto in questa sua raccolta ha recentemente pubblicato, in una edizione nitida e adorna, un ottimo florilegio delle opere di Roberto Ardigò {Pagine scelte, a cura di Erminio Troilo. Genova, Formiggini. L. 7.50). L’idea di formare un volume delle pagine più significative e più durevoli del grande pensatore italiano è stata veramente felice: che molti, un po’ spaventati dalla mole delle sue opere, un po’ostacolati dalla difficoltà materiale di procurarsele tutte, avrebbero seguitato ad ignorarle completamente: mentre ora, grazie
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alla scelta fattane con sottile giudizio dal Troilo, ne potranno avere un’agevole e sufficiente notizia.
Edita dalla Libreria Editrice Milanese, una altra raccolta si va formando, che mira a diffondere fra gl’italiani la conoscenza dei filosofi più singolari dei tempo nostro, ed è la « Biblioteca di filosofia contemporanea ». Fra i primi tre volumi di questa Biblioteca è appunto una caratteristica operetta dello Spir, morto da parecchi anni, ma venuto in fama solo ora, e più per la parte dei suoi scritti in cui egli precorreva le odierne ravvivate tendenze idealistiche e religiose, che per quella nella quale, col Lotze, col Fechner e con l’Hartmann, continuava, nella seconda metà del secolo decimono infatuata di scienza e di naturalismo, l’indirizzo speculativo.
Anche in Italia, dicemmo, Africano Spir è stato messo in luce nei saggi che su di lui han pubblicato la Schenardi e il Campa, ed una sua opera, Morale e religione, è apparsa tradotta nella collezione « Cultura dell’anima » dell’editore Carabba. Ma da quei saggi e da quest’opera ci eran rese note le teorie morali e religiose, non la parte più propriamente Speculativa — e la più importante — del pensiero d’Africano Spir. I suoi Saggi di filosofia critica, tradotti ora nella nuova raccolta della Libreria Editrice Milanese, ce ne fanno conoscere anche questa parte, in modo incompleto, ma sufficientemente chiaro, poiché i Saggi sono una delle ultime opere del filosofo francese e la più atta a servire d’introduzione alla conoscenza del suo sistema, di cui, in alcune pagine preliminari, Piero Martinetti ci fornisce un breve e limpido riassunto.
Dei tre volumi con cui la « Biblioteca » s’è iniziata, il secondo è Arte poetica di Paul Claudel (a cura di Piero Jahier) e il terzo contiene alcuni saggi e ricerche di Giovanni Papini Sul pragmatismo (Libreria Editrice Milanese. L. 2.50 il voi.). Chi si aspettasse di trovare nel libro del Claudel una specie di moderna lettera ai Pisoni s’ingannerebbe. Questa Arte poetica è, come si legge nel sottotitolo, un « trattato della co-nascenza al mondo e di sé stesso » : parole di colore oscuro, che non si illuminano abbastanza nemmeno dopo la lettura del libro ; e questo sia detto a nostra vergogna e ad onore degli iniziati, i quali sappiano penetrare negli abissi profondi della metafisica claudelliana. Basti dirne — perchè i lettori si raccapezzino un poco — che la denominazione « Arte poetica» (dal grecopoicin fare, produrre, creare) è dal Claudel applicata all’universo e significa che l’universo è un
processo di creazione continua. La pretesa della fisica di ridurlo a chiarezza costringendolo in leggi meccaniche par dunque assurda all’autore, che dedica una buona parte del suo trattato a criticare, in una forma tra poetica e filosofica, i concetti di causa e di tempo come sono presupposti nelle scienze fisiche.
Il volumetto del Papini Sul pragmatismo, è, in gran parte, una raccolta di scritti pubblicati dall’autore su la sua rivista, il Leonardo, che intorno al 1906 era divenuta il centro d’un fiero movimento di reazione contro il vecchio razionalismo e s’era fatta banditrice della nuova dottrina filosofica a cui il Peirce diede il nome e il James la fama. Nella forma vivace che gli è propria Giovanni Papini espone appunto, in questo volume le moderne teorie venuteci dall’America; e la sua esposizione è rapida e chiara.
{Corriere della Sera, 11 seti. 1913).
Le idee sociali di Ruskin.
JOSEPH DANIEL, Les idées sociales de Rii skin. — Blond et C.ie. Paris, 1913.
Quando si pronuncia il nome di Ruskin, il pubblico collo ripensa alla magnifica opera di critica estetica compiuta da questo sacerdote della religione della bellezza.
Nessuno, o ben pochi, ricordano che John Ruskin fu, oltre che un artista, un economista, e che gran parte della sua vita fu spesa nel comporre dei libri di scienza e nel far propaganda per il trionfo delle sue idee sociali ed umanitarie.
E’ il destino di ogni individuo arrivato alla celebrità in un campo qualsiasi del pensiero, veder dimenticato e negletto il resto dell’opera sua ch’egli dedicò ad altri studii e ad altre ricerche.
Il pubblico ama semplificare la complessa figura degli uomini rappresentativi ; e della loro vasta e multiforme attività ricorda soltanto quella parte che toccò le cime del genio, come di una catena di montagne la nostra memoria non ritiene che il nome delle vette più alte.
Ma l’oblio non è sempre giusto.
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Se le opere minori di un grande autore non aggiungono nulla alla sua fama, aiutano però a meglio comprendere la sua psicologia : se lo studiarle non conduce alla scoperta di alcuna idea nuova, offre tuttavia il mezzo per lumeggiare compiutamente un’individualità che nói conoscevamo soltanto nelle sue linee più caratteristiche.
E’ questo il caso di Ruskin.
Sarebbe esagerato affermare che nelle sue dottrine economiche si trovi queU'originalità appassionata ed eloquente che rese celebri le sue dottrine estetiche ; ma è doveroso il riconoscere che l’opera sua di riformatore sociale completa il suo apostolato d’artista, e che ne) sognatore socialistoide, pensoso di dare a tutti gli umili un po’ di benessere, noi ritroviamo il riflesso del mistico esteta preoccupato di portare ovunque, fin nelle più nere capanne, un po’ di luce e un po’ di bellezza.
La sua figura intellettuale, come ho detto, non ingrandisce per i volumi di sociologia ch’egli ha pubblicati ; ma la sua figura morale diventa più nobile perchè la stessa fede, lo stesso entusiasmo che lo guidarono nelle sue battaglie per l’arte, lo hanno guidato anche nelle sue battaglie per l’emancipazione del popolo. Ed è appunto analizzando l’opera sua di economista che noi impariamo ad ammirare in Ruskin, oltre il grande artista, il grande carattere.
«**
Uno scrittore francese, Joseph Daniel, ha dedicato or ora un grosso volume all’esame delle idee sociali di Ruskin e in questo volume, notevolissimo per la folta erudizione, mi sono sovra tutte piaciute le pagine ove è analizzata e spiegata l’evoluzione che condusse Ruskin, l’esteta, a diventare Ruskin, il sociologo moralista.
Le note fondamentali del temperamento di Ruskin, secondo il Daniel, sono due: una grande potenza d’intuizione che lo mette in contatto diretto, senza alcun intermediario di coltura e di lettura, con la verità, e una forza di convinzione che lo spinge a sostenere ad oltranza contro tutti e contro tutto, ciò che egli crede il vero.
Questa intuizione e questa convinzione danno alle sue dottrine la semplicità e la grandiosità d’una religione e a lui il fascino e l’autorità d’un profeta.
Ruskin è un visivo ; e la sua facoltà di comprendere immediatamente con un colpo d’occhio la realtà è tanto più precisa in quanto che egli non si preoccupa di ciò che altri ha
pensato o scritto prima di lui. Ruskin vede le sue teorie in se stesso: esse si presentano a lui come stati delia sua anima piuttosto che come idee del suo cervello. Egli cioè vede più che non comprenda, e sente più che non ragioni. Egli ha edificato le sue teorie artistiche guardando il mondo: i pittori eh’egli difende o dei quali vuol far conoscere le opere al pubblico, egli li ha amati per la loro verità, perchè riconobbe nelle loro tele una visione della natura quale i suoi occhi gli hanno mostrata. E cosi, egli edifica le sue teorie economiche sui fatti che io hanno maggiormente colpito. Non è dai libri ch’egli ha appreso ciò che sa intorno al commercio e al lavoro, ma osservando la realtà. Non sono i professori d’economia che gli hanno insegnato che la società impiega male le sue energie e i suoi beni: egli lo ha visto. L’incontro di un povero ha su di lui più influenza di qualunque dissertazione scientifica... che egli, del resto, non legge. E come, forse, senza la bruttezza cui l’industrialismo moderno ha condannato le nostre città e i nostri paesaggi, egli non avrebbe avuto tanto desiderio di bellezza e di luce, cosi, forse, se egli non avesse visto la vita miserabile e malsana degli operai, egli non avrebbe sognato per loro un po’ più di igiene, di benessere e di salute.
Egli divenne economista per la stessa ragione per cui divenne artista : per un impulso di reazione contro una realtà esteticamente e moralmente laida, che lo offendeva.
* » *
Ma, se dobbiamo riconoscere la assoluta spontaneità delle idee di Ruskin nel senso che egli traeva queste idee dalla sua osservazione diretta e oserei dire talvolta ingenua della realtà, dobbiamo anche ricordare che su di lui hanno agito, inconsciamente, le suggestioni delia sua educazione.
Ruskin ha sempre diffidato del pensiero altrui e non è mai stato amico dei libri : egli è rimasto durante tutta la sua vita così intellettualmente poco socievole, da dedicare una pagina paradossale alla «sensazione particolarmente deliziosa che si prova percorrendo una città senza conoscerne la lingua » : ma questo solitario sdegnoso aveva letto nella sua gioventù un libro che doveva dominarlo despóticamente in tutta l’opera sua.
Questo libro fu la Bibbia, che la madre puritana gli mise nelle mani fanciullo, e dal quale egli subì l’influenza fino negli ultimi lunghi terribili anni della sua vita, quando brevi lucidi intervalli interrompevano il buio
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della sua follìa durata quasi un quarto di secolo.
E’ come discepolo della Bibbia che John Ruskin è disceso nel campo dell’economia politica. E’ in quel libro ch'egli ha attinto la fermezza della sua fede e il tono profetico della sua predicazione che lo fa paragonare a un Mosè sperduto in un secolo industriale. Il suo credo economico è semplice: — poiché la religione cristiana è la vera, poiché dobbiamo credere alla Genesi, noi dobbiamo ammettere che Dio creatore, comandando agli uomini di crescere e di moltiplicarsi, ha preparato per questi milioni e milioni d’individui un banchetto sufficiente. Pur troppo le circostanze economiche escludono dal banchetto della vita, o per lo meno condannano a delle razioni insufficienti, un gran numero d’uomini. E vi sono alcuni, che per questo fatto, ridono di Dio come d’un falso profeta. Ma questi sono dèi bestemmiatori. Ruskin accusa l’uomo e discolpa Dio, affermando che è la cattiva organizzazione del lavoro umano che spiega l’apparente fallimento del volere divino.
Tale il principio semplice e semplicista sul quale Ruskin edifica la sua economia politica. Un principio che, se non gli fu suggerito da Carlyle, certo coincide con quello dell’autore di Sartor Resarlus, perchè anche Carlyle con acerba violenza denunziò l’odioso ordine sociale contemporaneo come una contraddizione permanente con le parole del Cristo e le promesse della Bibbia. Un principio che dà una intonazione religiosa a tutti gli studi — e son molti, e formano parecchi volumi — che il Ruskin dedica all’economia politica. Incominciando a leggere questi volumi, ci si immagina di trovare un trattato scientifico; e si legge invece una serie di considerazioni morali sulla natura e la destinazione della ricchezza, sul dovere sociale dei ricchi come « intendènti di Dio » in questo basso mondo, sulla necessità di una giustizia rigorosa nelle relazioni del lavoro e del commercio, e altre dissertazioni di símil genere, confortate da frequenti citazioni della Bibbia, che fanno pensare all’omelia d’un predicatore eloquente, piuttosto che alla rigida analisi d’un uomo di scienza.
Era del resto logico che quel carattere jera-tico che il Ruskin aveva dato alla sua propaganda estetica, dominasse anche la sua propaganda economica, Artista o scienziato, egli è sempre sacerdotale, perchè la sua arte e la sua scienza discendono da una fede.
L’idea-madre dell’opera sua è che «la morale ha diritto di cittadinanza nell’economia politica». Come Roberto de la Sizeranne ha riassunto felicemente tutta la dottrina estetica
di Ruskin chiamandola la religione della bellezza, cosi si può riassumere la sua economia politica dicendo che essa è la religione della vita. E per vita, Ruskin intende lo sforzo dell’essere verso la perfezione, lo sforzo cioè per realizzare il tipo ideale della specie con tutta la sua bellezza fisica con tutta la sua virtù morale.
La scuola inglese da Adamo Smith fino a Stuart Mili aveva visto nell’economia politica una scienza di pura osservazione. Il suo metodo consisteva nell’osservare, nel classificare e nello scoprir dei rapporti dai quali tentava di trarre delle leggi.
Ruskin rovesciò questo metodo, o per lo meno, senza negare l'importanza e l’interesse dell’osservazione, introdusse fra i termini del problema un elemento nuovo: la vita umana, la dignità della vita umana.
Con lui, l’economia politica non limita le sue constatazioni al mondo materiale, ma diventa una scienza psicologica.
«Ogni economia —egli scrive — quella di uno Stato come quella d'una famiglia o di un individuo può definirsi l’arte di organizzare onestamente il lavoro».
Egli crede all’utilità pratica dell’onestà e della giustizia; e non poteva pensare diversamente un uomo per il quale l’intervento diretto della Provvidenza nel mondo è un dogma di fede. Ma bisogna insistere su questo posto eminente che egli assegna alla morale in sociologia, perchè in ciò risiede la bellezza della sua originalità e della sua ingenuità. Per lui, non solo la questione sociale è una questione morale (e fin qui è facile andar di accordo), ma ogni progresso non può essere ottenuto che con la più scrupolosa onestà (e qui, per chi voglia guardare la realtà e non perdersi in un sogno, l’accordo è men facile).
Egli dice agli uom ni : — « Ciò di cui dovete preoccuparvi sopra ogni cosa è che ogni vostra azione sia giusta e onesta. Voi sarete sicuri allora d’aver portato la vostra parte di lavoro per stabilire nel mondo uno stato di cose che non avrà per risultato il brigantaggio e la morte. Ogni questione riguardante il commercio affonda le sue radici in questa questione capitale di giustizia ». — E altrove insiste: — «L’onestà è la virtù principale dei commercio e dell’industria... l’onestà è la condizione assoluta d'ogni miglioramento sociale ... Ecco il vostro primo dovere, o commercianti, siate leali verso voi stessi».
Queste parole d’oro noi le trascriviamo con una certa malinconia ironica, perchè ci sembrano una predica che se è stata ripetuta da molti, è stata ascoltata da ben pochi!
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Del resto, è forse possibile essere onesti in commercio ?
Ruskin stesso dà la risposta, E’ possibile, egli dice, a condizione che il commerciante rimanga povero.
Questa risposta sembra uno scherzo, ed è una tragica verità. « Nessun uomo — scrive il Ruskin — può diventar ricco coi suo onesto lavoro : può vivere e metter da parte forse qualcosa per la vecchiaia ; ma è soltanto per la scoperta di qualche mezzo di spogliare il lavoro degli altri che l’uomo può diventare opulento ».
Come si vede, Ruskin non è troppo lontano dal considerare il capitale cogli stessi criteri! di Marx, e s’egli non pronuncia la frase di Proudhon dimostra chiaramente di pensarla. Anche per lui la proprietà è un furto ; e poiché tutti coloro che s’arricchiscono non possono arricchire che sfruttando disonestamente il lavoro degli altri, è evidente che i ricchi sono tutti dei ladri.
Ma allora — io vorrei domandare — a che scopo è andato egli predicando ai commercianti d’essere onesti? Se onesti non si può essere, secondo lui, altro che rimanendo poveri, come può egli pensare che i commercianti si diano il lusso dell’onestà per il bel risultato di restare in povertà?
Ruskin naviga nei mare dell’utopia, e al pari di tutti gli utopisti si immagina di poter costrurre una «città futura» dove gli uomini somiglino agli angioli.
Egli ha il coraggio di affermare che nella sognata società di domani, l’onestà e il disinteresse regneranno fra gli uomini, e che per i commercianti di quel beato regno il guadagno non sarà lo scopo della vita (!?); egli ha anche il coraggio di predire che in un futuro molto vicino la società abbandonerà il suo motto che ora è competizione per sostituirlo con quello di cooperazione, giacché i popoli come gli uomini sono veramente fratelli...
E bastano queste sue previsioni — le quali ognun vede come siano prossime a realizzarsi ! — per dimostrare che Ruskin era troppo rigido puritano per essere profondo psicologo, ed aveva letto troppo la Bibbia per poter leggere anche nell’avvenire.
La sua economia politica è piuttosto una dottrina cristiana, foggiata per gli uomini quali dovrebbero essere, ma quali purtroppo non sono: e la sua scienza ha piuttosto le tinte rosee di un mistico idealismo che non i colori della realtà che pretende di esaminare.
Ma se intellettualmente Ruskin economista
è tanto minore di Ruskin artista, moralmente gli è identico. La stessa dirittura morale lo guida nel campo della scienza come in quello dell’arte, e voi sentite sempre nelle sue pagine — descrivano un paesaggio o propongano una riforma sociale — quel sentimento del sublime che é il segno dello spirito religioso.
Per questo, l’opera sua, anche se non ha lasciato discepoli, è degna d’ammirazione. E non è inutile ricordarla oggi per completare la figura di un grande, che, se è stato ormai superato in certe sue teorie, non è stato ancora eguagliato nell’adamantina purezza del suo carattere.
(Da ¿a Tribuna, 29 luglio 1913).
SciPIO SlGHELE.
IVARIAT'j
Le cose a posto.
LEONARDO CENTONZE. Il riio dei sacrifici umani come fenomeno politico. Considerazioni sul supplizio di F. Ferrer. — Bologna, Casa editrice « La Controcorrente», »9*3Non possiamo rimproverare all’A. di questo opuscolo lo scopo che lo ha indotto a rievocare la tragica data del 13 ottobre 1909 in cui il fondatore de « la Escitela Moderna > cadde, fucilato, nel tetro castello di Montjuich. Sono pagine vibranti di giusto sdegno contro i responsabili dell’assassinio di F. Ferrer.
Ciò che non approviamo è la enorme confusione in cui io scrittore è caduto presentando come responsabile del massacro il Cristianesimo da lui identificato con certe manifestazioni della Chiesa Papista, la esegesi ar-bitaria del Vangelo nel quale ha creduto di additare la base della Inquisizione (pag. 37).
Che dire, infatti, quando citando Matteo XI, 12 : « Dai giorni di G. Battista fino a ora, il regno dei cieli è sforzalo e i violenti lo rapiscono» e Luca III, 9 : «Or già è posta la scure alla radice degli alberi ; ogni albero dunque che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco » pretende attribuire alla religione di Cristo l’idea inquisitoriale della soppressione' e della violenza sull’eretico? Perchè
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dimenticare il significato morale dello sforzo sul peccato e quello spirituale del giudizio di Gesù in relazione alla sua comparsa nel mondo? Strana esegesi invero in uno scrittore che, quantunque popolare, vuol essere imparziale !
Del resto lo stesso A. usa il termine « scure » alludendo all’ insegnamento di Ferrer che colpiva l’ignoranza ; (pag. 92) dovremmo credere, forse, che tale «scure» fosse proprio d’acciaio e che Ferrer volesse servirsi di mezzi violenti?
L’opuscolo costituisce una vera ingiuria pel Cristianesimo che l’A. dovrebbe conoscere meglio ; una slealtà verso la Verità e la Storia, le quali hanno ben dimostrato che l’Inquisizione è stata un deplorevole abuso della casta sacerdotale papista.
Molte altre inesattezze si leggono quando, a proposito del cannibalismo nelle religioni (!) si descrive Jahvè ipocrita, menzognero, vendicativo, ladro, tiranno, implacabile, omicida (pag. 21) e lo si rende responsabile degli eccidi commessi da tribù nomadi quali i primi ebrei. Egli esige da un padre il sacrificio dell’unico figlio, Isacco; eppure anche i bambini sanno che Is eco non fu sacrificato e che da quel fatto sorgono ammaestramenti sublimi e barlumi di rivelazione divina (vedi Bilychnis, marzo-aprile 1913. pag. 173).
Invano l’A. afferma coi Delitzsch che quanto più penetra nello spirito delle profezie del-l’A. T. tanto più prova uri senso di paura (pag. 21). Dobbiamo dichiarare che il Cen-lonze non ha affatto penetrato tale spirito, altrimenti egli avrebbe scoperto pensieri altissimi come questi : E gli uomini delle loro spade fabbricheranno zappe e delle lor lancie falci...; guai a quelli che macchinano dei male e lo mettono ad effetto perchè ne hanno il potere in mano (Michea). Israele, convertiti al Signore Iddio tuo perchè sei caduto per la tua iniquità ; Io gradisco benignità e non sacrificio (Osea). Lavatevi, nettatevi, fermatevi dai commettere il male, imparate a far bene, cercate la giustizia, fate ragione all’orfano, difendete il diritto della vedova (Isaia).
Ciò nell’A. è una leggerezza imperdonabile ; nessuno compie opera di verità quando alludendo al Libro dei Libri dice : Apriamolo come viene, qua e là (pag. 21). Nessuno ha il diritto d’aprire così un libro ; un’opera, specialmente religiosa, dev’essere studiata nel suo complesso organico e, sopratutto, dev’essere capita.
Gli è perciò che la buona intenzione dell 'A. è naufragata e l’opuscolo, mentre attira per il titolo, lascia, pel contenuto, insoddisfatto e disgustato 10 spirito nostro.
Antonio Galloppl.
Un viaggio in Terra Santa.
F. BOVE'!’. Viaggio in Terra Savia (2* edizione italiana), Libreria Claudania, Firenze, »913Il vecchio ma interessante libro del Bovet ha avuto l’onore di una seconda edizione nella traduzione italiana. Opera d’indiscutibile valore letterario, scritta con l’entusiasmo d’un uomo del Nord innamorato dei classici, della Bibbia e del cielo azzurro dei paesi mediterranei, ci dà una rappresentazione vivace del mosso mondo levantino di mezzo secolo fa, quando l’influenza molteplice dell’occidente non aveva ancora profondamente trasformato la fisonomia delle regioni costiere del bacino orientale del Mediterraneo.
Oggi le ferrovie, il commercio, le scuole, gli hòtels, i mezzi rapidi di comunicazione non hanno lasciato al viaggiatore, turista o pellegrino che sia, che qualche oasi della vita orientale, conservata e sfruttata abilmente a scopo di reclame. Tutta la ricca flora di leggende, poi, cresciuta piamente sulle rovine, alimentata da illusioni e da equivoci, è aneli’essa sparita. Gli scavi e le esplorazioni scientifiche da una parte, lo sfruttamento economico e lo sviluppo dell’agricoltura moderna per opera del capitale straniero che cerca di acquistarsi dei precedenti di fatto in una non lontana competizione per il possesso definitivo della Siria ed in particolare della Palestina, han cambiato l’aspetto del paese, entrato nella corrente della vita moderna occidentale : il pio pellegrino e il viaggiatore sentimentale rischiano quindi ad ogni passo, oggi, di ricevere rudi colpi al loro entusiasmo e alla loro fantasia, 0, almeno di non capir nulla e di vivere intieramente fuori della realtà. La conoscenza che lo studioso moderno ha dell’oriente semitico glielo rivela nella sua luce genuina e nei suoi tratti caratteristici e non è inferiore a quella che un classicista può avere di Roma antica e della Grecia. Una sana critica biblica, rinnovando la trama della storia d’Israele, lo ha collocato nel suo vero posto nella travagliata vita politica dell’oriente mediterraneo e nessuno potrebbe entusiasmarsi più, come sinceramente sentiva il Bovet, del-1’ « isolamento provvidenziale » della Palestina e del popolo eletto, che fu solo speranza e programma di un partito teocratico, e mai compiuta realtà, neppure per un giorno.
Il libro del B. è stato scritto in un periodo in cui le società scientifiche europee non avevano iniziato il molteplice ed armonico lavoro di esplorazioni e di scavi del suolo della Palestina. Al 1S65 infatti risale la fondazione della
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Palestina Exploration Fund', al 1S70 della Palestina Exploration Society ; al 1877 della Deutelte Palästina-Verein-, a) 1S82 della Società russa, che si propone insieme scopi scientifici e pratici. Quindi per tutto ciò che riguarda la topografia, l’archeologia e la storia della Palestina l’opera del B. si trova in uno stato pre-critico ed è di nessuna utilità per lo studioso.
Ma è un libro scritto bene ed un diario piacevole. Solo la traduzione non è sempre chiara; cosi a pag. 155 si legge «avendo l’uso di lasciar girare (sic) il vino; nè credo per semplice negligenza, ma perchè si trova (sic) più rinfrescante».
1) testo italiano non ha evidentemente un senso: non si tratterebbe forse d’una traduzione letterale di toumer le vin, nel senso di aigrir, diventar aceto? E poi perchè scrivere ancora Gioseffo per « Giuseppe » Flavio ?
N. C.
Racconti.
SAMUELE WILBERFORCE. — Agaio e altri racconti domenicali tradotti dall’inglese da Eduardo Tagliatatela. Voi. di pag. 183, edito dalla Casa Editrice metodista - Via Firenze 38 - Roma (L. 1).
Nella nascente letteratura evangelica italiana che si dirige in maniera particolare ai bambini delle scuole domenicali, quest’ultimo volumetto è destinato ad occupare un posto ben ragguardevole. È tanto difficile la scelta di libri di lettura e di disciplina interiore da poter mettere, con esito sicuro, nelle mani delta nostra gioventù perchè sono troppi i dati pedagogici ed espositivi che occorre tenere presenti. Il bimbo non ama avere per amicò un libro noioso, lo chiude alla prima sensazione di noia e non c’è più verso che lo apra per ritentarne la prova. Sono così piene di sole e di azzurro le fantasie iridate che sorridono nella sua mente, così maliose le visioni che folleggiano nella sua vita sensitiva che tentare di applicare questo piccolo sognatore a letture spiacevoli o poco luminose è lo stesso che tentare un’ impresa impossibile. Il libro del Wilberforce appaga adeguatamente l’esigenza delta fantasia giovinetta con dieci magnifici quadri che sono un’attrattiva, uno stimolo continuo alta sua attenzione e un primo mezzo, addirittura froebeliano, atto a fargli prendere in amore qualcuna delle scene più suggestive delta parola del Signore. Devesi aggiungere per amore delta verità, che sotto un certo punto di vista, questo libro non tor
nerebbe affatto inutile anche agli adulti, per il modo pratico con cui esso insegna a drammatizzare, ad avvisare sulle traccio porte dal racconto biblico stesso ma spesso non a sufficienza lumeggiate, le scene e le lezioni di cose che da fatti biblici spesso si cavano per inculcare l’eterna verità. Agato, come libro di regalo e di premio, è quanto mai indicato ai bambini delle scuole cristiane.
Pietro Chiminblli.
Dizionario Psico-Mistico.
NIGRO LICÒ, Dizionario Psico-Mistico. — Bologna, Coop. Tip. Mareggiani, Via Marsala, 4- (L. 3)A studiosi di problemi filosofici o di storia o di scienze occulte questo modesto dizionario può essere molto utile? In essoj non mancano certo molti errori specialmente nelle esposizioni troppo brevi per necessità dei sistemi filosofici, come pure sono da deplorarsi molte omissioni, ma anche con tali difetti questo repertorio ha il merito particolarissimo di offrire in brevi nòte una serie di dilucidazioni su termini che sarebbe inutile ricercare in vocabolari o anche in enciclopedie sempre in rapporto a psichismo, scienze occulte, religioni e simbolismo. Cosi pure non manca un largo novero di uomini la cui vita presenta caratteri particolari per gli studiosi di queste ma? terie, e di scrittori che, specialmente nel medio evo e più recentemente, hanno pubblicato libri su tali argomenti.
In ogni modo resta all’autore il merito non piccolo di avere col suo libro tentato, per il primo in Italia, di fornire un vade-mecum interessante non solo per i profani degli studi sul trascendentale ma anche, ripetiamo, per molti di coloro che si sono già occupati di simile studio sia in veste di filosofi o come cultori delta storia. Er.
Il problema sessuale.
CONSTANTIN WIELAND,Z*w sechste Gebot und die Elie (Il sesto comandamento ed il matrimonio), Augsburg, 1912, VerlagTh. Lam-par (Marchi 1).
Con lo Schnitzer, col Funk, col Sìckenber-ger, col Koch e con qualche altro, i fratelli Wieland sono alta testa del movimento modernista tedesco e perciò sono stati fatti segno alle ire e rappresaglie del Vaticano. Una prova di questo furor cieco è nel fatto che il volumetto di cui ci occupiamo è stato condannato
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dal vescovo di Augsburg e proibito ai cattolici. Il libro, dovuto a Costantino Wieland, già prete ed ora avvocato a Neu-Ulm, è stato colpito senza ragione dì sorta. Non è una disquisizione teologica o un volume di battaglia, ma una parola serena sul problema sessuale diretta ai coniugi, ai genitori, agli insegnanti, ai medici ed a chi ha cura di anime.
Il Wieland esamina dal punto di vista della morale, confortata dalla Bibbia, i principi a cui si è ispirata finora la cultura sociale in rapporto alla cognizione del problema sessuale, e dimostra come sia necessaria per il nostro tempo una più profonda e più seria istruzione in proposito e come non debbano essere i secreti della generazione e della vita un libro chiuso per i giovani, ma con prudenza e con coscienza questi debbano essere illuminati da chi ha cura della loro educazione per prevenire la corruzione e la degenerazione, a cui la gioventù, ignara dei pericoli, si espone, ed ingenerare in essi un più alto, più puro, più nobile concetto dei rapporti sessuali ed il senso della responsabilità verso sè stessi e verso la famiglia sociale.
Cosicché non possiamo che tributare ampia ed incondizionata lode all’autore, perchè con questo libro fa opera santa di apostolato.
E. R.
L'anima del fanciullo.
HEINRICH LHOTZKY. L’anima dei fanciullo. Prima traduzione italiana del dottor N. Nicolai. — Bari, Giuseppe Laterza & Figli, in-12°, pag. 232, L. 3.
Questo volume, ch’è il primo della serie intitolata : Z libri d’oro, ha raggiunto, nella edizione originale tedesca, l’ottantesimo migliaio ed ha esercitato, in Germania, una grande influenza sull’educazione dell’infanzia.
Di esso, giustamente, è stato scritto: «è l’wwztfo ed il primo libro che risolva la questione dei figli con molta modestia, ma in modo sublime e con grande nobiltà».
E’diviso nei capitoli seguenti:
I fanciulli e la natura — i figli e i genitori —- educazione fisica dei fanciulli — i fanciulli e il mondo — i fanciulli e la scienza — i fanciulli e la religione.
L’A., partendo dalla concezione che il fanciullo è un’essenza spirituale, conclude : che egli debba esser trattato con dignità ; i genitori non sono che gli amici ed ¡ compagni più disinteressati, ma più anziani: quando vorrà aiuto e consiglio lo deve trovare sempre in essi ; egli deve sapere, come cosa conve
nuta, eh’essi sono il suo migliore e più sicuro rifugio ; che non legano la sua libertà : il loro amore è indipendente dalle sue vie e decisioni ...
Nell’ultimo capitolo: i fanciulli e la religione, vi sono molti bei pensieri. Ne trascriverò alcuni :
« Cerca di andare presto a Dio col tuo bambino ; che questo vorrà una risposta alle domande che ti fa su Lui...
« I pensieri del fanciullo arrivano a Dio attraverso i suoi genitori...
• Imagina pel tuo bimbo la vera madre, il vero padre, senza errori ; allora puoi dire : Tale è Dio. Così appunto sente il tuo bimbo...
« I vostri figli non perderebbero Dio se lo vedessero in voi... ».
Senonchèin mezzo a... tanto buon grano v’è della... zizzania.
L’A. è del parere che « nessuna religione esprima la grandezza e l’essenza di Dio». Questo è vero, ma non vuol dire che sieno tutte eguali in quello che esprimono.
« In generale —- scrive l’A. non è da consigliarsi un cambiamento di fede religiosa, chè non si arriva certo con esso più vicino a Dio».
Non possiamo condividere in tutto il suo pensiero : benché nessuna religione esprima, in modo assoluto, la grandezza e l’essenza di Dio, il cristianesimo — non adoperiamo il plurale come fa l’egregio A. perchè siamo convinti che di cristianesimo non ce ne sia che uno: quello esposto nel Vangelo e vissuto nella persona del suo Fondatore — è l’espressione più elevata dell’essenza di Dio, accessibile alla mente umana ; e se è vero che il cambiar religione non ci avvicina a Dio, è molto più vero che la nostra vicinanza a Dio varia a seconda della evoluzione dello spìrito di Cristo in noi : solo il cristianesimo evangelico — per evangelico non intendo settario — facilita l’evoluzione dello spirito di Cristo in noi e... conduce al Padre.
Bellissimo il paragrafo: i fanciulli come educatori. Lo trascriverei tutto se la tirannia dello spazio non me lo impedisse.
Eccone, almeno, la fine, alla quale sottoscriviamo loto corde.
« Fino a quando vi saranno fanciulli sulla terra rimarrà viva la ricerca di Dio. Si potrebbe, senza nuocergli, sopprimere chiese e religioni: cosi si esprimeva anche Gesù per il tempio di Gerusalemme che era allora un venerando santuario dei secoli; ma togli invece i fanciulli e diminuirà tra gli uomini il desiderio di Dio. Però non si possono sopprimere: la natura divina vi ha provveduto.
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Se lu hai dimenticato Dio, torna ad imparare da tuo figlio ad occupartene... Mentre fuori i dotti si tormentano il cervello sull’idea del regno di Dio e vi si scrivono sopra grossi volumi ; mentre si disputa nel mondo se quel regno esista o possa esistere, tu lo hai presso il tuo focolare, nell’amba dei tuoi figli».
F. G. Lo Bue.
Storia dell’involuzione naturale.
ENRICO MARCONI, Histoire de rinvoltinoti Naturelle. Un voi. in 4®, di 800 pagine e circa 100 illustraz. — Prezzo L. 15. — Di prossima pubblicazione.
Il est bien vrai que le mot « Involution » employé tel qu’il est par l’Auteur n’a pas encore acquis droit de cité dans notre langue scientifique; mais nous l’avons pourtant accepté, étant surs que le monde trouvera, en lisant le livre, la raison d’être de ce mot et sa parfaite légitimité.
L’idée fondamentale de l’auteur c’est que la Vie n’a pas évolué de ses humbles origines jusqu’à nous à travers l’Organicité ; mais que la Vie universelle (Vie infinie, aphénoménique, étal de perfection) dévenue par le phénomène Vie individuelle, elle dut payer la douceur de la forme avec un morceau de son universalité : et comme Vie matérielle organique, par la transformation des énergies de l’état actuel à l’état potentiel, initia cette descente graduelle, qui replongera un jour tous les organismes dans le domaine de l’inorganique.
Cette idée, que nous taxeron de géniale, est développée par l’Auteur avec beaucoup d’aisance et avec un art très simple.
Et quoique le livre traite, comme on le voit, des problèmes les plus obscurs de la Biologie générale, et qu’il soit un ouvrage de pure et sérieuse Science, il n’en est pas moins accessible à tous les lecteurs.
Voici d’ailleurs la table des matières de l’ouvrage:
Première partie: L’Involution dans la Kie cosmique. — Introduction : L’Idéal et l’involution — Chap. Ier: Le principe de Spencer — Chap. II : Sur le passage de ¡’Univers de l’état invisible à l’état visible— Chap. III : Les Electrons — Chap. IV :- Les origines de la Vie — Chap. V : Le cours de la Vie.
Deuxième partie: L’Involutiondans la Vie organique. — Introduction : Le préjugé évolutif — Chap. Ier: Diffusion de la Vie de la Terre à l’Eau — Chap. Il: La Paléontologie du point de vue del’Involution — Chap. III : De la Loi biogénétique fondamentale d’Hæckel —
Chap. IV — Sur les Dipneustes (Dipneusta)— Chap. V : Dés Sélaciens — Chap. VI : L’involution chez les Invertébrés supérierieurs — Chap. VII : L’involution chez les Vers.
Troixième partie: L’involution dans la Cellule — Introduction : La Cellule et la Vie — Chap. Ier: Phénomènes de Maturation de la Cellule-œuf — Chap. II : Sur les Centrosomes— Chap. III: Là Substance héréditaire — Chap. IV : La Théorie nébulaire et l’Auto-gonie — Chap. V : Sur la Théorie de la Gas-trea — Chap. VI : Les premiers stades embryo-génitiques des animaux du point de vue de l’involution.
Chiedere bollettini di sottoscrizione (prezzo ridotto di L. 12.50) agli editori : M. Maioine, Editeur, 25-27. Rue de l’Ecole de Médicine, Paris, VI — oppure: Maison ¿’Editions du « Coenobium », Lugano (Suisse) — oppure all'autore a Terni (Perugia).
Un romanzo.
HENRY SOULIÉ. la Route s'éclaire. Paris, Bernard Gresset éditeur. 61 Rue des Saint Pères, 1912.
È questo un libro che m’ha favorevolmente colpito e vorrei in modo speciale che fosse letto dai nostri giovani. Un figlio di banchiere che immerso nei piaceri della vita mondana è stimolato da una giovane ad occuparsi di questioni religiose e che dopo varie fasi psicologiche ben ritratte giunge alla fede, ecco in poche parole il fondo del romanzo, in cui è trasfuso un soave spirito pascaliano. L’autore del volume è un pastore protestante conosciuto, che invece di limitarsi ad enunciare le dottrine cristiane e ex cathedra » ha preferito ricorrere al metodo esemplificativo, ed e così riuscito per deduzione, ad infirmare la bontà delle teorie cristiane. Ottimo metodo questo che già Chateaubriand applicò, componendo i suoi Martiri.
Gustavo Walter è l’uomo moderno, assillato dai dubbi religiosi; è l’uomo che vorrebbe credere, ma non può; ci vogliono lotte angosciose prima ch’egli possa arrivare alla fede sincera, retaggio degli umili e dei forti.
Accanto all’uomo che lotta si delinea una dolce figura di donna, che col suo soave misticismo rincuora Gustavo Walter, abbattuto dal suo stesso razionalismo.
Pochi personaggi ci ha dato Henry Soulié, ma quei personaggi almeno li ha scrutati profondamente ed al lettore non sono tipi sbiaditi che appaiono, ma bensì individui vigorósamente delineati.
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In Francia ed in Svizzera, questo libro ha incontrato larghissimo favore e noi ci auguriamo che in Italia possa raccogliere vive simpatie. S. B C.
Uno de’tanti.
E. SMIGELSKI-ATMER, Einervonden Vie-Icn (Uno de’ tanti). Leipzig, 1912, Ernst RowohltVerlag, Koenigstrasse, io(MarchÌ3).
Lo Smigelski è già noto per un altro romanzo di soggetto ecclesiastico: Dal diario di un prete. Il nuovo romanzo pubblicato ora, è una linissima analisi di uno spirito tormentato, agitato tra la realtà della vita ed i suoi bisogni umani e l'oppressione e lo spavento che un tradizionalismo cieco ha ingenerato in lui della vita futura In fondo è il problema del celibato obbligatorio, la catena del servaggio e dell’infamia posta ai piedi dei preti dall’autorità nel suo ufficio di aguzzino. Il tema principale del romanzo è questo: Un frate minore, padre Angelico, sente immenso il peso della oppressione inumana del celibato e tenta spezzarla lasciando il convento e dando il suo affetto ad una giovane maestra della libera America. Ma poi il terrore dell’avvenire si impadronisce di lui ; crede, come gli avevano appreso, che peccato sia all’uòmo, perchè religioso, l’essere uomo, e dovere sia per lui il contraddire alla natura con cui e per cui Dio lo ha creato, e si induce cosi nello strazio dell’anima che sa di non aver commesso colpa alcuna, ma che ha terrore delle condanne al-l’inferno dei moralisti e dei papi elevatisi motuproprio a vice-Dio (che Dio tiranno che si oppone all’opera sua!) e fugge quasi di soppiatto dalla donna che egli ama di amore intenso, per rintanarsi nuovamente nel suo convento sulle rive del lago di Albano, ove,
nel duolo immenso dell’anima infranta, la morte benefattrice lo coglie.
Il romanzo dunque di un debole ; la storia di « uno dei tanti ». Quante storie dolorose di anime vili, educate nel sacerdozio all’idea di un Dio snaturato. Saturno divorante i propri figli, sono infatti simili a questa storia triste? E quante storie più tristi ancora e più obbrobriose !
Ma è inutile che io faccia qui riflessioni e commenti. I lettori di questo romanzo, e mi auguro siano molti, li faranno da sè, quando s’accorgeranno che in questo libro è un po’ della vita di quanti sacerdoti essi conoscono, specialmente se sono riusciti a penetrarne l’anima. E. R.
**, La Direzione della Scuola Teologica Battista di Roma ha pubblicato altri due volumetti della sua « Biblioteca di Studi Religiosi »: Il Cristianesimo alla prava, che contiene 4 scritti di diversi autori americani (si spedisce gratis a richiesta) — e La Scuola della Chiesa, studio su la Scuola Domenicale, del dott. Everette Gill (prezzo L. 1,25). — Ne diamo ora il semplice annunzio, riserbandoci di parlarne nel prossimo fascicolo di dicembre.
#*# E’ uscito anche in questi giorni un grosso volume di Ugo Janni su I Valori cristiani, e la cultura moderna, edito dal professor D. Battaini di Mendrìsio (Svizzera): pagg. 383, prezzo L. 6,50. Nè parlerà prossimamente in Bilychnis il dott. Alfredo Ta-GLIALATELA.
Il Battaini ha pubblicato anche il V volume della Storia del Dogma di A. Harnack : esso riguarda « Agostino e il Dogma in occidente ».
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L’Amministrazione del COENOBIUM di Lugano spedisce gratis e franco a tutti i lettori di BI LYCHNIS, che gliene faranno domanda, il volume del barone F. Von Hugel, intitolato:
RELIGIONE ED ILLUSIONE.
Il bozzetto del monumento a Gabriele Rossetti in Vasto è stato ultimato di recente dallo scultore Filippo Ci far ¡elio. Ecco come l’artista stesso fissa i concetti informatori della sua opera.
« Lo studio della vita e delle opere di questa figura grandiosa, nella politica, nella poesia, nella critica filosifica, gli atteggiamenti divinatori del suo pensiero la nobiltà della sua vita a Napoli, a Roma, a Malta, a Londra, il suo glorioso esilio, seguitando il valore grandissimo de’ suoi figli, di Dante Gabriele sopra tutti, di William Mickael, di Cristina Georgina e di Maria Francesca, rendevano ardua e difficilissima la concezione di un’opera... monumentale con la quale non solo Gabriele Rossetti doveva essere eternato, ma tutta la famiglia con lui che fu unica nella storia della civiltà contemporanea ».
« Il primo concetto che si formò nella mia mente fu che il monumento avrebbe dovuto accogliere nel suo seno le immagini dei discendenti di Gabriele Rossetti, perchè tutti furono nell’arte e nell’agone del pensiero e delle speculazioni filosofiche, uomini e donne insigni. Dalla terra di Vasto, raffigurata dallo dallo stemma della città, nascono le radici della gloria,, simboleggiata dai lauri che sal
gono lungo la stele monumentale, raggiungendo là figura di Gabriele Rossetti, che ne è il massimo tronco. Con intreccio di rami e di foglie salgono i lauri, sino in cima al basamento, dove i rami, le foglie e là bacche formano un poetico motivo d’intreccio nel quale con delicata armonia sono incastonate quattro medaglie dalle quali sorgono i quattro ritratti dei figliuoli di Rossetti : Dante Gabriele nel fronte, William Michael sul verso, Cristina Georgina sul lato destro, e nel sinistro Maria Francesca. In mezzo a quest'inno di gloria, quasi a contatto di popolo, che si immagina ascoltante, si erge la figura di Gabriele nella maturità de’ suoi anni, energica nella espressione fiera.
L’italico Tirteo stringe con ambo le mani nervosamente frementi i canti che infervorarono i suoi contemporanei ài quali li dice e li legge- Una Lira è ai piedi, nello sfondo, e la stella della Patria unite incorniciandone la testa come un’aureola, ricorda il suo perenne sogno patriottico.
La fisonomía di Gabriele è stata desunta dallo studio analitico dei ritratti, dei propri discendenti e da quelli esistenti che valgono a ricordare il tipo.
Corona la cima del monumento una allegoria simboleggiarne la famiglia Rossetti : sul mondo una colossale aquila ad ali spiegate erge superba la testa guardando i più vasti e lontani orizzonti : quattro aquilotti svolazzano intorno alla sfera : i figli di Rossetti che sparsero e continuano a spargere la gloria del nome nei due continenti.
Se i Rossetti furono insigni perchè degni figli del gloriosissimo Abruzzo dall’animo fieramente italiano, non è men vero che il loro
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spirito fu figlio del rinascimento toscano, senza del quale Dante Gabriele non avrebbe potuto col Ruskin fondare il preraflaelismo in Inghilterra, ardita scuola di bellezza che fu antesignana e culla di tutti i presenti stili moderni sparsi nel mondo ; per tale motivo, sia nel concetto che nella linea, sia nell’insieme che nel dettaglio, ho creduto necessario imprimere questi caratteri nella mia opera, col fermo proposito di rendere omaggio al mirabile artista italiano. Allo stesso modo non ho potuto sottrarre il monumento alla misteriosa suggestione che la grande figura di Dante esercitò su tutti i Rossetti divenendo il propulsore, la fonte animatrice di tutte le loro aspirazioni politiche ed artistiche, le quali perciò possono dirsi diretti discendenti del pensiero gigantesco del grande Ghibellino, epperò, sul dorso del basamento, ho accennata l’ombra di Dante, che campeggia in una particolare gloria di lauro a disegno Rosset-tiano che prende radice dallo stesso della terra gentile.
La base del monumento ha posti a sedere come per invitare il popolo ad avvicinarsi, ad affinarsi a contatto di una si alta gloria paesana. Sulle spalle dei posti a sedere, tenuto da rami di lauro corre un lungo nastro ornamentale sul quale saranno incisi i titoli numerosissimi delle opere di Gabriele Rossetti.
Il monumento sarà alto circa otto metri e potrà elevarsi dalla linea di terra sino a dieci metri, formando un piano inclinato con la aiuola in mezzo a cui sorgerà».
Ecco alcuni giudizi intorno al bozzetto del monumento.
Benedetto Croce: «Rare volte, come in questo vostro bozzetto del monumento a Gabriele Rossetti un artista ha con tanta cura e larghezza, e con tanto acume, radunato e studiato gli elementi che debbono concorrere al-l’ideazione di un monumento perchè sia davvero un monumento : cioè un’opera d’arte storica nella quale si esprima, insieme colla immagine verace del passato, il pensiero di noi, uomini moderni che lo celebriamo. Vi auguro di riuscire nella grande impresa di tradurre con la vostra purissima forma plastica il ricco mondo ideale che avete così ben concepito ». (Napoli, 2 giugno 1913).
E. Dalbono : « I nobili e geniali pensieri che hanno agitato ed arricchito il vostro spirito e la vostra mente nel comprendere la grande figura dell’abruzzese Gabriele Rossetti e l’idea felicissima di non poter prescindere da tale grande figura le immagini dei suoi figli elettissimi, e tutto questo insieme di ragionamenti, voi avete espressi mirabilmente
nel magnifico bozzetto del monumento che dovrà essere eretto nella patria del grande Italiano, nè a queste associazioni di idee poteva (come voi avete ben compreso) mancare la figura del sommo Alighieri : che ha in gran parte, suggestionato l’animo dei Rossetti. Lo grande amore e l'imperitura fiamma! Vi siete servito con infinita sapienza dei simboli collegandoli alla realtà, che oltre ad accrescere il mistico linguaggio hanno servito a rendere, più che mai, leggiadra e parlante la forma totale del monumento che slancia nell’aria superbo, sormontato dall’aquila divinatrice!
La mia debole e breve parola è insufficiente ad enumerare i pregi di questa vostra eccellente opera e debbo soltanto accontentarmi di cogliere questa grata occasione per ripetermi della vostra arte, forte e gentile, fervido ammiratore».
Adolfo Avena : « Altri ha con rara competenza giudicata la complessa significazione del monumento che Filippo Ci far ¡elio ha dedicato al Rossetti.
Io penso che quello che ¡0 rende un gran segno d’arte sia il valore architettonico nel quale si palesa la espressione scultoria.
Proporsi di illustrare una stirpe gloriosa che entrò nella vita dello scorso secolo con uno strepito sonoro di canti patriottici e diede Dante Gabriele, l’indimenticabile rievocatore del prerafìaellismo, e dare a tale espressione non la inerte linea del gruppo, ma quella di un tronco che, sorto dalla terra si elevi con virtù saliente sino al dominio dell'aquila che è in cima, far tutto questo significa unire il più squisito sentimento architettonico all’arte della scultura.
Connubio questo che conobbero i nostri architetti della rinascenza e che costituisce uno dei canoni più vitali dell’arte del monumento ».
Camillo Miola : « Nel vostro bozzetto di monumento a Gabriele Rossetti rifulgono tutte le qualità eccezionali dell’arte vostra, la figura del poeta ha già lutto il suo carattere storico ed individuale, con un atteggiamento pieno di dignità, nella testa già brilla un’espressione di elevata poesia ; che sarà mai questa figura quando l’avrete plasmata in grande con la vostra esecuzione così potente e così fine?
Nella linea generale della stele a cui è addossata la figura, e nella decorazione che l’avvolge dai sedili della base all’aquila del fastigio, è una profusione di motivi nuovi e leggiadri che ne fanno come un grande gioiello di quelli che nascevano sotto le dita dei più nobili scultori ateniesi del v secolo avanti Cristo o dei fiorentini del xv d. C.
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La vostra flora decorativa non è la classica, nè quella del Rinascimento, ma con elementi del tutto nuovi voi fate opera degna di quelle due primavere dell'arte.
Felice paese quel nostro Abruzzo, culla di poeti e di artisti incomparabili, paese che non dimentica i suoi figli gloriosi e ne vuole ono-rarare la memoria con simili monumenti».
Verrà presto diramata una circolare con scheda d’associazione ai due volumi in-8® di oltre 500 pagine ciascuno, nei quali Domenico Ciàmpoli riprodurrà dagli autografi! del Rossetti le Poesie politiche, seligiose, satiriche, le novelle in versi, e gli epigrammi. L’associazione a questi due volumi è fissata in L. 10. Le schede sottoscritte dovranno essere indirizzate al comm. doti. Luigi Nasci, sindaco di Vasto e presidente del Comitato pel monu-numento a Gabriele Rossetti a Vasto (Abruzzi). Il provento della vendita dei suddetti due volumi sarà destinato ad accrescere il fondo che si va raccogliendo per l’erezione del monumento.
L’Osservatore Romano dell’8 luglio pubblicava una Bolla papale rer il nuovo Seminario romano.
Con questo suo atto il Papa realizza un altro punto importante del suo vasto disegno per la riforma degli studi e dell’educazione del clero italiano, annunciata fino dal 1905. Infatti la bolla odierna comincia col mettere in rilievo che, essendosi introdotti tanti miglioramenti nei seminari di tutta Italia, era giusto che una riforma consimile venisse introdotta anche nel seminario di Roma.
Il magnifico edificio appositamente costruito per dare al seminario conveniente sede, sorge presso la chiesa San Giovanni Laterano e potrà contenere parecchie centinaia di studenti. Le spese sono state sostenute in gran parte dallo stesso Pontefice. In esso si impartiranno i corsi di filosofia (corrispondenti ai tre anni di liceo) e di teologia. Il corso di ginnasio per i chierici rimarrà nel seminario vaticano presso San Pietro, e per venire ammessi nel seminario di San Giovanni, gli alunni dovranno essere muniti di licenza ginnasiale conseguita in un ginnasio del Regno. Vengono contemporaneamente soppressi l'antico seminario dell'Apollinare, il seminario Pio e il cosidetto Collegio Lombardo. Il collegio Leone verrà soppresso in parte, poiché in esso si istituirà la Facoltà di diritto canonico per tutti i sacerdoti romani; gli altri alunni verranno inviati al nuovo seminario.
Il nuovo documento poi non tocca l’Università gregoriana, il seminario di Propaganda Fide, i vari collegi esteri e i seminari interni dei vari ordini religiosi.
#*# La Direzione de La Nuova Riforma ha diramato la seguente circolare che raccomandiamo ai nostri lettori:
La Nuova Riforma intensificando il lavoro di propaganda della rivista Battaglie d'oggi a cui, nel corrente anno, è succeduta, divenendo da bimestrale settimanale; trattando con chiarezza, con competenza, con obiettività i principali problemi della vita moderna, dagli economici ai politico-sociali ; dando la preminenza ai problemi dello spirito ; combattendo, da una parte, la superstizione, dall’altra inducendo nel popolo il senso della religiosità vera, è arrivata, in pochi mesi, ad affermarsi nel giornalismo italiano ; a segno da vedere spesso i suoi articoli riportati, o menzionati, da autorevoli riviste e giornali, sia italiani che esteri.
In soli cinque mesi La Nuova Riforma è penetrata in ben centomila famiglie, mandatavi per saggio, passata a mano da amici propagandisti, o circolando da persona a persona, da famiglia a famiglia, specie nei piccoli paesi. E noi abbiam fede che il seme sparso a larga mano, ma con grande avvedutezza, non andrà perduto; e però seguiteremo senza risparmio l’opera quotidiana di penetrazione, confortati dai risultati morali che già raccogliamo e che consistono nell’avvicinamento a noi d’anime schiette e generose che; per (’avanti, avevano in uggia il cristianesimo — conosciuto solo traverso al clericalismo ed alla Curia romana — ed ora consentono entusiasti nel nostro programma e dàn la mano al nostro lavoro. E consistono nei frequenti attacchi, di cui spesso ci onorano gli organi più intransigenti del clericalismo: attacchi i quali, a loro volta, preparano salutari reazioni negli animi onesti.
Ma bisogna che l’opera nostra sia positiva-mente sostenuta da quanti la seguono con simpatia; bisogna che Io sforzo dei coraggiosi, rimasti sulla breccia, supplisca alla diserzione di molti compagni della prima ora ; alla grettezza di mente, di cuore, di borsa di quegli altri che, a parole, sono sempre entusiasti del moviménto, ma, a fatti, non muovono un dito nè sacrificano un soldo ; occupati e preoccupati dei propri interessi, dei propri comodi, delle proprie vanità; costoro, com’èfacile comprendere, sono semplicemente dei bastoni tra le ruote.
Intanto la soia spesa per il periodico, per la sua larga diffusione, a titolo di saggio, nei più vari ambienti; per l’acquisto di decinedi
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migliaia d’indirizzi ; per la stampa settimanale di più migliaia di manifestini ; per là ridarne su i quadri delle principali città, soprattutto di Roma, rappresenta una spesa viva di circa L. 250 la settimana, cioè di oltre lire dodicimila all’anno. Senza contare la spesa di collaborazione e l’intensa opera di direzione e d’amministrazione interamente gratuita.
S’aggiunga che, accanto al settimanale, c’è ormai una Tipografia editrice nostra, fornita di macchine moderne, ricca di caratteri elzeviri nuovi; i cui lavori già gareggiano con quelli delle migliori case editrici d’Italia ; e che s’avvia a divenire un forte centro di cristiana attività, un focolare d’idee, un propulsore di cultura popolare, mercè la pubblicazione di migliaia d’estratti, di foglietti, di opuscoli, di quaderni — in soli cinque mesi se ne sono pubblicati per oltre ventimila copie.
Ora affinchè le posizioni conquistate, di fronte al clericalismo, sian mantenute e sia ancora dato di avanzare arditamente, bisogna che tutti gli amici e quanti sanno valutare i nostri sforzi e l’importanza del nostro movimento — movimento soprattutto di rieducazione e di cultura — diano prontamente una mano al nostro lavoro : cerchino, anche con qualche personale sacrifizio, di sostenere le nostre iniziative, di farle progredire : procurino, anzitutto, lavoro remunerativo alla tipografia e nuovi abbonati al settimanale, affinchè l’influenza della propaganda sia, in tutti gli ordini sociali, fortemente sentita : prema su gli stessi alti poteri della Chiesa e dello Stato ; acquisti soprattutto un’influenza pronta, forte,decisiva su l’anima popolare.
Napoli, 15 luglio 1913.
Gennaro Avolio.
Abbonamento annuo (Italia) L. 5; Estero L. 8 — Abb. sostenitore L. 20.
Direzione e Amministrazione : Napoli, S. Antonio a Tarsia, 2.
La Voce dèi 19 giugno (Firenze, via Cavour, 48) pubblicò integralmente il discorso di Benedetto Croce tenuto al Senato nella discussione per la istituenda cattedra di Filosofia della Storia nell’università di Roma.
Il medesimo periodico (5 giugno) pubblicava un articolo firmato Enrico Ajuti su L’esperienza cattolica del Loisy.
s*s Si annunzia la pubblicazione d’un volume di A. Omodeo su Gesù e le origini cristiane (Editore Principato di Messina). Vedremo quanto sono utili e sensate (vedi
La Voce del 5 giugno) le pagine"di questo autore che nella introduzione all’opera propria definisce come < vaniloqui! » gli studi del Mariano, del Labanca e del Chiapponi...
Nel tempo in cui molti si affannano per raggiungere una esteriore unità di organizzazione, fa piacere di leggere alcuni pensieri espressi da Iverach nel suo discorso : « Notes of thè Church » riferito dal The Christian, del 3 luglio : « La prima dote della Chiesa è l’unità: ma per realizzare la vera unità noi dobbiamo guardare oltre le forme di organizzazione. Noi siamo uniti nei nostri inni, nella comune esperienza di tutti i cristiani, essendo conquistati da Cristo, e nella comune aspirazione verso la realizzazione del bene degli uomini. Noi c’incontriamo nel riconoscere che un cristiano è un uomo redento da Cristo, e che è diventato conscio di questa esperienza fondamentale ... Dove lo spirito vive e lavora quivi è la Chiesa: e in questo senso la Chiesa è una. Quelli in cui dimora lo spirito di Dio sono uno nella fede, nell’amore e nell’obbedienza... In questo, e non nelle forme esterne di organizzazione, sta la unità della Chiesa, ed appunto in questo noi siamo uniti profondamente ... Così mentre altri si affannano presso alle ombre, noi possiamo già gioire insieme nella nostra unità superiore che è un fatto nella nostra esperienza quotidiana». I. R.
La Società Missionaria «The Inasmuch Mission » fu fondata in Filadelfia da quattro vagabondi convertiti, tre dei quali decaduti da alta posizione sociale perchè dediti all’alcool. Il quarto, essendo nato nei bassifondi della città, non aveva alcunché da perdere, ed aveva semplicemente continuato a strisciare. In un solo anno essi hanno ricoverato 11,000 persone senza tetto, riuscendo a dare a 1200 di esse un buon impiego, mentre «453 ne uscirono profondamente convertite. La loro vita è uno sprazzo di gioia nel cuore di ogni cristiano ed invita gl’increduli a pensare. {The Christian, io luglio 1913). L R.
Nel Church Family Newspaper è un articolo anonimo, riferito anche dal The Christian del io luglio, in cui l’autore racconta l’impressione fatta in lui, allora studente, dalla confessione di fede del Westcott : « Noi sapevamo della sua fama europea e del valore colossale della sua critica, ed avevamo udito in Londra quelle conferenze su « Gli Ideali » che avevano rapito il cuore dell’ Inghilterra. Ciò che noi non aspettavamo da lui
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era una sua confessione di fede personale così semplice, e quella mossa degli occhi in alto, cosi beatifica che le nostre fibre segrete ne ebbero un fremito. Egli disse : « Io so che amo il Signore Gesù » (e, in un lieve susurro di tenerezza, soggiunse) « E penso — che Egli — mi ama!... ». I. R.
*** Giorgio Zacharoulis, che si qualifica « predicatore ortodosso » scrive un articolo nella rivista Bau Policarpo edita in Smirne dallo stesso vescovo metropolita. Egli asserisce che è venuto il tempo per una più ampia spiritualità nella Chiesa »’Oriente e per le opportune riforme. Pretendendo di riconoscere in quella sola Chiesa, a cui egli appartiene, la verità evangelica, egli tuttavia deplora che questa fede sia divenuta vuota e morta. « Mentre ci siamo appassionatamente attaccati alla lettera, siamo caduti dall’altezza dello spirito di essa. Il Cristianesimo è divenuto per noi una parola vuota ed una teoria astratta, ed i popoli hanno bestemmiato il nome santo di Dio per causa nostra». Quale sarà il leader della Chiesa ortodossa che compirà la riforma proposta e la potrà rianimare spiritualmente? Un movimento che nasce sotto gli auspici del vescovo metropolitano dovrebbe avere un successo assicurato. (The Christian, io luglio 1913).
I. R.
Nel diario del famoso poeta c romanziere Walter Scott si trova un’allusione alla sua fede. Nelle sue tremende disgrazie, dovute forse al successo di Byron nella poesia, per cui fu obbligato a diventare romanziere (Manual oj English Literature by Craik, pagina 336), quando egli stava pensando di rifugiarsi nell’isola dell’Uomo o nel castello di Holyrood per sfuggire agli assalti dei creditori, cosi scrive (anno 1827): «Ma non mi lascerò opprimere da questo. I-a nostra speranza celeste e terrena è miseramente ancorata, se la gomena si muove galleggiando sull’acqua. Io credo in Dio che può mutare il male in bene, e sono convinto che lutto quello che ci succede si risolve alla fine per il nostro bene ». ( The Brilish Weekly, 29 maggio 1913). I. R.
Il Dr. Campbell Morgan in una visita alla Chiesa di Paddington in Londra parlò ad un numeroso uditorio della promessa di acque vive (Giov. VII, 37, 38). zXlla fine del discorso, narrò un incidente avvenuto 20 anni fa in un Congresso a Southport : « Io non mi ricordo un solo discorso, egli disse,
ma mi ricordo bene una preghiera : — O Signore nostro Dio, in questi giorni di convenzioni sociali, riempici con la pienezza del tuo Spirito Santo. Nessun di noi è un grande vaso, noi non possiamo contenere molto, ma possiamo straripare molto. — Nessun vaso, aggiunse il dolt. Morgan, può straripare se non è riempito. Questi vasi devono essere riempiti di acqua viva. Questo bicchiere di acqua (alzando il bicchiere che gli stava a lato sul pulpito) contiene acqua buona, ma non acqua viva. E’ solo il vaso che vive nel fiume perpetuamente riempito che può straripare».
I. R.
Dei 105 KOREANI RECENTEMENTE PROCESSATI dal Governo giapponese per cospirazione, 99 sono stati assolti dalla Corte d’appello. Questo risultato è una vittoria dei missionari di Korea che, fin dal principio, hanno preso la parte dei condannati protestando contro i metodi ingiusti delle autorità giapponesi. (The Missionary Record, giugno 1913).
I. R.
»*« Uno dei più grandi avvenimenti della VITA RELIGIOSA MODERNA IN AMERICA è narrato dal The Coni inerii. Un certo numero di signori iniziarono qualche tempo fa in Atlanta un movimento contro i vizi della città. Essi riuscirono ad assicurarsi due, tre, quattro colonne nei vari giornali quotidiani, e di giorno in giorno denunziarono con energia tutte le forme di corruzione sociale. La sensazione prodotta in città da queste pubblicazioni fu straordinaria ed il risultato drammatico. Costituiti in Comitato promisero di dare piena protezione morale a tutte le donne che intendessero incominciare una nuova vita. Più di 200 accettarono l’offerta. La polizia fu scossa e tutte le case di corruzione vennero chiuse. La più nota delle proprietarie venne essa pure convertita, portò tutti i suoi guadagni al Comitato, ed è attualmente la direttrice di una delle molte case di riabilitazione create con febbrile attività. Degli uomini che erano capi del movimento, uno era un avvocato che scrisse gli articoli pei vari giornali, l’altro un capitalista che provvide tutti i fondi finanziari occorrenti. E’ stata una grande battaglia politica e sociale in cui la strategia ed il coraggio cristiano hanno vinto. I. R.
#*« Alla cattedra di EBRAICO della Facoltà teologica di Edimburgo, vacante per la morte del prof. Cameron, è stato eletto ad unanimità il prof. Welch, l’autore del volume
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recentemente apparso The Relìgion of Israel under thè k'ingdom di cui Bitychnis ha dato un’abbondante recensione nel numero gennaio-febbraio di quest’anno, e di cui tanto si sono interessati gli studiosi inglesi. Giornali e riviste parlano con entusiasmo del giovane professore e dei brevi anni di ministero occupati in una delle prime chiese di Glasgow. Egli possiede un potere quasi unico per far palpitare la storia del Vecchio Testamento come la vita di oggi, senza sacrificare in alcuna parte le esigenze esegetiche. E’ una prova vivente della memorabile sentenza del compianto Dr. Godet nella sua « Introduzione » al Commentario su S. Giovanni : « La teologia non ha migliore amica, nè alleata più pronta di una forte e basata conoscenza linguistica dell’originale, la quale discerne, fra le più tenui ombre delle espressioni verbali, la rivelazione del più profondo significato». Al prof. Welch è aperto un grande avvenire e la critica del Vecchio Testamento attende dalla sua gioventù sacrificata e generosa.nuovi impulsi geniali alla ri-costruziene integrale della storia del popolo della Promessa. I. R.
Nel protettorato dell’Uganda I’Islami-smO non fa progressi, ma va piuttosto indietro. — Fu per mezzo di commercianti arabi musulmani che i Ba-Ganda vennero in contatto col mondo civile. Quegli arabi introdussero nel paese tessuti di cotone, polvere, fucili, perline di vetro e la tratta degli schiavi. Formavano una comunità distinta, in un luogo detto Natch ed esercitavano la loro influenza su molli indigeni, compreso il re dell’Uganda il quale tuttavia non fece mai atto di conversione. — L’esploratore Speke, nel 1863, e poi Stanley, nel 1S75, inculcarono al re le prime nozioni del cristianesimo. Nel 1S77, i missionari evangelici apparvero e fu allora che cominciò la lotta tra la Croce e la Mezzaluna. Per qualche tempo parve che l’islamismo dovesse trionfare, ed un regno maomettano fu fondato nel 1899 da un figlio del re Miranga che era stato detronizzato ed esiliato. Ma dopo alcuni mesi solamente, i cristiani sconfissero i maomettani e quel regno dissidente cessò di esistere. Nel 1897 i Ba-Ganda maomettani tentarono di unirsi ai soldati nubiani in rivolta per impadronirsi del trono, ma il piano fu sventato dopo molti mesi di lotta. Da quell’epoca i maomettani non esistono più, grazie alla tolleranza del governo britannico che assicurava a tutti una intera libertà religiosa.... Secondo le statistiche ufficiali, vi sarebbero nel regno dell’Uganda 54.806 maomettani, 127.045 evangelici, 155.351 cattolici romani e 221.280
pagani. In tutto il protettorato i maomettani ammontano a 73.792 sopra un totale di anime 2.S40.469 (anno 1911).
Al museo del Bardo, il Sig. Merlin, dotto direttore delle antichità tunisine ci aveva fatto ammirare i maravigliosi risultati della scoperta di quella nave, che, giunta dall’Attica, or sono due mila anni, andò a picco, in un giorno di tempesta, sulle coste Africane, presso Madhia. Quanti tesori vi sono ancora nascosti e quanti sforzi debbono essere tentati per strapparli dal fondo del mare! Ero ancora sotto l’impressione di questa risurrezione dell’atticismo quando, nella svolta di una galleria, il mio sguardo si posò su di una grande stele. Profonda fu la mia emozione nel leggere due parole, due parole soltanto, segnate profondamente sulla pietra, nitide come il giorno in cui l’ignoto scultore le incise, come se dovessero colla loro incomparabile bellezza, sfidare per sempre i secoli. Sulla pietra lessi :
Koinó Theó
Subito mi venne alia mente il ricordo di quel giorno celebre in cui l’apostolo, recandosi all’areopago, si fermò anch’egli dinanzi ad un altare sul quale non si leggevano che due parole:
/Ignóstó Theó
« Considerando le vostre divinità, ho trovato persino un altare, sul quale è questa iscrizione: al Dio sconosciuto. Quello adunque che voi onorate, senza conoscerlo è quello eh’ io vi annunzio »...
... Il signor Merlin acconsentì di fare ricerche sulle origini di quella stele e seppi ch’essa fu scoperta circa trent’anni or sono, nei dintorni di Beja nella Tunisia del Nord. Che pensare di quest’iscrizione? Qualcuno l’ha detta cristiana, ma i cristalli di quei tempi non rizzavano altari alla divinità. Mons. Du-chesne al quale mi rivolsi per sentire il suo parere, mi rispose: « Il Dio di cui qui si tratta, è un Dio riconosciuto e adorato dalle persone che gli hanno dedicato una stele. Questa stele esprime dei rapporti religiosi tra un Dio e i suoi adoratori. Che tali rapporti possano essere stati concepiti da un cristiano al di fuori della sua società religiosa della Chiesa, non credo».
Di più l’iscrizione è greca in un paese dove l’influenza latina fu predominante. Così il mistero permane... F. P.
[/ournal de Genève}.
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Una nuova traduzione cattolica della Bibbia in inglese viene pubblicata presso l’editore Longinans, sotto il titolo di « Versione di Vestminter ». La necessità di questa pubblicazione è giustificata, dicono gli editori, con «l’interesse crescente manifestatosi per gli studi biblici, i progressi della critica dei testi, la luce gettata sul N. T. greco dai papiri egiziani, i difetti di antiche traduzioni e il bisogno d’una nuova versione, per rispondere ai consigli della Santa Sede circa l’uso più frequente delle Scritture ».
I) quinto centenario del martirio di Giovanni Hvss avrà luogo nel 1915. In quest’occasione dovrà aprirsi in Praga una 6iwa di Huss per servire come centro di tutte le opere evangeliche di Boemia e Moravia. Huss è l’eroe nazionale del popolo boemo nonostante che la Boemia sia in gran parte cattolica ro
mana. Il suo ritratto si trova nelle abitazioni cattoliche accanto a quello della Vergine, e i giovani vanno in pellegrinaggio ai punto dove il grande riformatore fu dato alle fiamme.
Nell’Austria clericale. — L’ostilità cieca, rabbiosa, ignorante contro gli evangelici è continua, persistente, a colpi di spilli, a base di tormenti legali ed illegali. In molte scuole gli alunni protestanti sono costretti di recitare l’-4w Maria, d’assistere alla messa e alla processione. In altre scuole l’istitutore dice: « Preghiamo! gli alunni protestanti escano e attendano nel corridoio sinché io li chiami! » Negli ospedali le suore spiano il penultimo minuto dell’agonia d’un protestante per fargli amministrare il battesimo in extremis. Nei cimiteri v’è un canto riserbato pei bimbi morti senza battesimo, pei suicidi, pei protestanti e pei delinquenti giustiziati...
PER IL FASCICOLO IV (Luglio-Agosto).
ERRATA CORRIGE
pag. 4, lin. 31 : credere e operare — credere e sperare
» 8, » 29 : sa doverle lasciare — sa doverlo lasciare
» 11, » io: Passione; un dolore — Passione: un dolore
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