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Supplemento n. 8 de «L’Eco delle Valli Valdesi» - 21 Febbraio 1964
Dopo la seconda sessione del Vaticano II
IL CAnOLICESIMO
in stato di Concilio
a cura di
PAOLO RICCA
Chiusa la parentesi del viaggio del papa
in Palestina (a conti tatti, c’è da rammaricarsi che essa sia stata aperta : un « pellegrinaggio » di Quel genere e fatto a Quel modo può certo aver suggestionato un’opinione pubblica in cerca di sensazioni, non di
verità, ma non ha detto nulla nè alla f^e.
forse neppure a Quella oat\.olica, nè all’ incredulità, e il commento più benevolo ohe
si possa fare al viaggio di Paolo VI è che
è stato, da un punto di vista cristiano, una
occasione mancata), il Concilio torna ad es5gj-g — come deve — al centre deU’attualità
cattolico-romana. E mentre sta riprendendo
il lavoro delle Commissioni conciliari che,
nei prossimi mesi, dovranno rielaborare gli
schemi discussi durante la seconda sessione
in base agli emendamenti proposti dai « padri » e alla luce delle direttive date dal pontefice nel suo discorso del 4 dicembre, è op
portuno tentare un bilancio, anche se solo
approssimativo e provvisorio, delle due sessioni sinora avvenute, tracciando, almeno
a grandi linee, la parabola logica e teologica del Vaticano II dai suoi inizi fino ad
Oggi.
E’ impressione generalmente diffusa che
il Concilio, a poco più di un anno dalla sua
apertura, sia giunto a un punto critico della sua evoluzione. Fin dalle prime battute
della grande assise cattolica, nell’ottobre
del ’62, si era venuta delineando e consolidando una maggioranza conciliare che, in
più o meno aperta rottura con le forze della
conservazione teologica raccolte, per lo piùintorno alla Curia romana, si dimostrava
desiderosa di allargare il proprio orizzonte
spirituale e di arricchire il proprio patrunondo dottrinale, rimeditando, reinterpretan
do e riformulando le verità cattoliche tra
dizionali ; desiderosa. Quindi, di abbandonare .senza rimpianti delle posizioni puramente difensive (della cui efficacia, del resto
erano in meiti, ormai, a dubitare) e di uscire definitivamente da Quell’isolamento
fessionale e culturale in cui il cattoliceisdmo
ufficiale si trovava da tempo. Durante la
prima sessione, rorientamento dottrinale di
questa ma,ggioranza conciliare si era precisato negativamente, <x>l rifiuto abbastanza
categorico della teolcgia tradizionale e curiale, quale si era espressa, ad esempio, nel
lo schema sulle fonti della rivelazione e nel
primitivo schema sulla Chiesa. La seconda
sessione era chiamata a colmare il vuote
dottrinale creatosi in seguito all’acoantonamento della teologia curiale, e a colmarle,
se ijossibile, con la teologia nuova, nata dal
rinnovamento biblico cattolico e del (confronto interconfessionale. Il cattolicesimo
del dialogo avrebbe dovuto sostituire il catte licesimo del monologo'.
Non si può dire che, in questo senso, la
seconda sessione abbia mantenuto le sipe
promesse. E neppure si ha l’impressione che
essa abbia costituito un vero progresso rispetto alla prima, anche se le parti si sono
in certo senso invertite in quanto mentre
durante la prima sessione è stata la mag
gioranza conciliare che ha dovuto contenero l’offensiva delle, forze curiali, nel cQjrso
della seconda sessione è stata la Curia a
doversi difendere dagli attacchi, talojca abbasta.nza veementi, delFassemblea dei «padri». Ciò nondimeno, non è stato possibile
avvertire, nel corso della seconda sessione,
la presenza di quel «soffio profetico» —
com’è stato ohiamato — che animò la pii-
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K anche se è vero — come qualcuno ha
osservato — che « il Vaticano II è, nel complesso, migliore delle sue realizzazioni e il
livello del suo impegno è generalniente
molto superiore alle conclusioni raggiunte ». resta il fatto che specie se si pensa
all’alloeuzione inaugurale di Paolo VI, che
era al livello della migliore teologia catto'lica, contemporanea, era legittimoi aspettarsi, da questa seconda sessione, qualcosa di
più di quanto essa non sia riuscita a dare.
Alla volontà di rinnoivamento che anima,
sia pure in diversa misura, larghi settori
deH’as.spmblea conciliare non coirrisponde
una uguale capacità di rinnovamento.
D’altra parte si può pensare che le istanze
inncvatricì, manifestatesi con minore o
maggior decisione su tutti i problemi dibattuti dai « padri », non solo non saranno mortificate, ma finiranno per prev?.lere, anche
se non neirimmediato futuro e, forse, non
nel quadro di questo Concilio. La seconda
sessione ha appunto dimostrato quanto sia
arduo per il oattolioesimo compiere, sul
piano dell’aggiornamento dottrinale (sulle
ERMANNO ROSTAN
L’unità della Chiesa
a Nuova Delhi e a Roma
Claudiana, Torino 1963
p. 100, 6 tavole f. t. - L. 800
varie questioni di natura dogmatica affiorate in Concilio : rivelazione, mariologia,
episcopato, laicatc, libertà religiosa) e sul
piano della sensibilità ecumenica, quel co1 aggioso «balzo in avanti» auspicato da
Giovanni XXIII per il cattolicesimo in
stato di Concilio'. Certo, le foirze del rinnovamento, già palesatesi durante la prima
.sessione, esisto’no ancora e continueranno
ad operare anche indipendentemente dalTesito del Concilio: ma lo svolgimento della seconda sessione non ha fornito delle
indicazioni sufficienti per poter affermare
che saranno qus.ste forze: a conferire al Vaticano II la sua fisionomia definitiva. Se il
Concaio’ sta attraversando un momento
critico è appunto perchè le forze del rinnovamento cattolico, che al livelìo dei dibattiti sembrano raccogliere radesione della
maggioranza dei « padri », non riescono
ancora a prendere il sopravvento e ad
imporsi in mode convincente. E' sintomatico che tutti gli schemi predisposti dalla Commissione teologica presieduta dal
card. Ottaviani e presentati nel corso della
prima sessione sono stati respinti dall’assemblea conciliare le sdstituiti con altri
senza dubbio migliori : ma anche questi
ultimi restano largamente insoddisfacenti
non solo da un punto di vista evangelico
ma anche dal punto di vista della teoloigia
cattolica più avanzata.
Risultati
Un risultato positivo, comunque, è stato
raggiunto: il testo definitivo della costituzione De Sacra Liturgia, discusso nel corso
della prima sessione, emendato nell’interim
conciliare, dopo aver ricevuto l’approvazione quasi unanime deirassemblea, è stato
promulgato dal pontefice. Lo schema liturgico è parso essere il migliore fra tutti quelli sinora presentati in Concilio ( ivi compreso lo schema ecumenico). Anche se, sul
piano teologico, vi si trovano' ribadite delle
dottrine già strenuamente av^/ersate dai
Riformatori come non evangeliche, l’orientamento generale del documento — sempre
ricordando che si tratta di un documento
cattolico — è buono. L’accento è posto sulla
presenza di Cristo in mezzo al suo popolo.
Il Signore non è ridotto a oggetto sacramentale («Gesù sacramentato»!), ma è
soggetto che agisce La liturgia è concepita più come opera della misericordia di
Cristo in favore degli uomini ohe come rito
sacro amministrato dalla Chiesa: l’azione
diretta e personale del Signore ha la precedenza sulla mediazione della Chiesa. Si
insiste anche .sulla necessità di leggere e
spiegare la Bibbia al popolo e si favorisce
la partecipazione attiva di quest’ultimo all’azione liturgica: la celebrazione comunitaria della messa viene ccs',, in parte almeno. restaurata. A ciò contribuisce anche
l’intrcduzione — invero troppo guardinga —
delle lingue moderne nelle parti corali e
didattiche della liturgia. Resta invece il latino nelle parti più propriamente sacerdotali, come per conservare al culto cattolico
il suo carattere di mistero sacrale. E’ anche
prevista, in alcuni casi specialissimi, la comunione sotto le due specie. Si cerca inoltre di porre un freno alla celebrazione delle messe private e di arginare le manifestazioni meno evangeliche della devozione
cattolica. Insomma, la costituzione liturgica costituisce un primo esempio riuscito
di quell’ « aggiornamento » del cattolicesimo che il Concilio si propone di realizzare
e — pur con tutte le riserve di indole dottrinale che devono essere fatte — ci si p>otrà
riferire anche al De Liturgia quando si tratterà di elaborare una teoloigia ecumenica
del culto cristiano.
Non vai la pena di soffermarsi sull’altro
documentoi approvato dai «padri» e promulgato dal papa al termine della seconda
sessione ; il decreto sui « Mezzi di comunica-
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zione sociale » ( stampa, radio, televisione,
cinema, ecc.). E’ probabi’e, e comimque c’è
da augurarsi che esso venga al più presto
dimenticato: per il suo carattere vago e
astratto, per la sua impronta moralistica
e per le sue tendenze clericaleggianti questo documento appartiene ancora proprio a
quel tipo di cattolicesimo che lentamente
ma inesorabilmente sta tramontando. Tanto
più rincresce che Tassemblea conciliare non
abbia avuto il coraggio necessario per negare il proprio consenso a questo decreto.
Ehirante la seconda sessione , i « padri »
hanno affrontato quello ohe può essere considerato lo schema-cardine di tutta la riflessione conciliare: lo schema sulla Chiesa.
Non è il caso di addentrarci in un esame
particolareggiato del De Ecclesia, tanto più
che si tratta, per ora, solo di un progetto.
Basti riferire il giudizio su questo schema
espresse da un Osservatore, il prof. E.
Schlink, nel corso di una conferenza stam
pe, ohe ha avuto luogo il 23 ottobre: dopo
aver messo in luce gli elementi positivi delle schema e del dibattito cui ha dato luogo,
il prof. Schlink ha affermato ohe «c’è nello
schema un progresso dogrnatico » rispetto
al Vaticano I, in quanto «in esso le situazioni neotestamentarie sono poste in maggior rilievo». Ciononostante, «il De Ecclesia appare a un osservatore evangeiico e anche a un osservatore ortodosso come imo
schema più romano che cattolico e più
apologetico che dogmatico in senso proprio.
Sai^ebbe senza dubbio una delusione per la
cristianità non romana se esso fosse votato
e proclamato come costituzione dogmatica
nella sua forma attuale ».
Episcopato e papato:
il principio gerarchico permane
I temi di maggior spicco su cui si è polaTìzzato il dibattito conciliare nel corso della seconda sessione sono quattro: la collegialità episcopale, il diaconato, i rapporti
tra vescovi e la Curia romana, TTOumenismo. Sui primi due temi il Concilio si è
pronunciato con un voto, approvando a
grande maggioranza sia l’istituzione del
diaconato come ministero autononm e permanente nella Chiesa sia il principio seconde cui il collegio dei vescovi cattolici, in
unione e sottomissione al papa, è depositario dei pieni poteri sulla Chiesa universale.
II tema della collegialità episcopale, so
pratutto se visto sullo sfondo del dogma
del primato e delTinfallibilità pontiflcia,
sancito dal Vaticano I, acquista un rilievo
speciali.ssìmo e merita la qualifica, che gli
è stata data di « tema nevralgico dedl’intero Vaticano II ». Non è facile prevedere
quali saranno i riflessi teologici ed ecclesiologici dell’introduzione del principio delia
GIORGIO GIRARDET
Il protestantesimo
e l’unità deiia Chiesa
Claudiana, Torino 1962
p. 32 - L. 150
collegialità episcopale nel cattolicesimo
Per ora si può dire che l’affermazione della
collegialità episcopale tende ad intepare
l’episcopato cattolico nel dogma delTlnfa!
libilità del papa e dei suoi poteri di governo
sulla Chiesa universale. Il papa resta sovrano assoluto, ma la sua sovranità non è più
una sovranità solitaria, mediata dialla Curia. Il collegio- dei vescovi viene associato,
in posizione subordinata, a questa sovranità assoluta e l’esercita, per così dire, in
seconda istanza. Si sta dimque facendo
strada, nel cattolicesimo, una concezione
meno rigidamente monarchica dell’esercizio del governo nella Chiesa, che si traduce
nel desiderio di ristrutturare — ampliando
lo — il vertice della piramide gerarchica
cattolica. L’attuazione della collegialità episcopale non sembra destinata ad incrinare
Tordinamento gerarchico della Chiesa oattclica, ma, semmai, a consolidarlo. Eppure,
è proprio il principio gerarchico nella Chiesa che andrebbe riesammato criticamente,
da un lato nella prospettiva di Colui ohe,
essendo, uguale a Dio, annichilì, se stesso
prendendo forma di servo e facendosi ubbidiente Ano alla morte ed alla morte della
croce, e dalTaltro alla luce della signoria di
Cristo sul suo pcpolo, mediata dalla Parola
e dallo Spirito. La rivalutazione deli’episoopato rappresenta certo un passo innanzi ri
spetto alla situazione creatasi nel cattolicesimo alTindomani del Vaticano I e contiene
indubbiamente dei fermenti evangelici e prò.
tocristiani. Ma come non ci sembra accettabile, dal punto di vista delTEvangelo, la
proposizione: Ubi Petrus, ibi Ecclesia, cos\
non ci sembra evangelicamente legitttoa la
proposizione Ubi episcopus, ibi Ecclesia, che
è il nocciolo della dottrina cattolica delTe
piscapato. Senza vescovo non c’è sacerdote,
senza vescovo non c’è eucarestia, senza vescovo non c’è Chiesa. Questo significa che
la nozione cattolica di Chiesa, anche dopo
la rivalutazione delTepiscopato e l’introduzione del principio della collegialità, neces
sita ancora, almeno secondo im’ottica evangelica, una revisione radicale.
Poco si può dire, per ora, sul diaconato,
tanto più che la questione del matrimonio
dei diaconi, affiorata in taluni interventi, è
stata lasciata cadere, come del resto era pre
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vedibile. Non è chiaro, inoltre, se l’istituzione del diaconato come ministero a se stante
sia stata suggerita da motivi pratici e cr»ntingenti quale la carenza di sacerdoti (particolarmente grave in certi paesi deU’America Latina, ad esempio), oppure da un ap
profondimento in senso evangelico della teoi
logia dei ministeri nella CJhiesa. La prima
ipotesi sembra essere la più vicina alia reai
tà. E’ indubbio, d’altra parte, ohe il ripristino' del diaconato nella Chiesa cattolica
può essere il primo- passo verso la riscoperta di quella pienezza carismatica conosciuta dalle prime commiità cristiane e ampiamente documentata nel Nuov^ Testamento-.
“Ecumenismo,, cattoiico:
una conversione a mezzo
Episcopato e Curia:
la “Sede apostolica,, è legittima?
Il tema dei rapporti tra vescovi e la Curia è stato il più controverso di tutta la seconda sessione. L’importante discorso di
Paolo VI ai membri della Curia roniana,
pronunciato il 21 settembre, ha costituito il
preludio alle critiche abbastanza pesanti
che esponenti qualificati dell’episcopato cattolico, soprattutto straniero, hanno mo-^
alla Curia e in particolare al Sant’Uffizio.
C’è tutto un cattolicesimo insofferente dei
metodi e dello spirito che anima la Suprema Congregazione presieduta dal cardinale
Ottaviani. Quest’ultimo si è difeso egregiamente, ricordando che il Prefetto del Santo
Uffizio è il papa. Quel che non è chiaro è
appunto il tipo di rapporti che int^orro
no tra il trono papale e i troni invisibili su
cui siedono gli uomini della Curia. Ufficialmente quest’ultima è il braccio destro del
pontefice. Praticamente l’tnfallibilità del papa ha finito per significare infallibilità della
Curia. E’ appointo questo trapasso di poteri dal papa alla Curia ohe il Concilio ha oppugnato. Molti protestanti si sono compiaciuti, insieme a molti cattolici, delle critiche
che l’assemblea conciliare ha mosso agli espo-nenti della Curia romana. E sta bene.
Ma non bisogna dimenticare che la Curia
c’è perchè cèfi papa, e perchè il governo
dejla Chie-.a cattolica, giuridicameme e teologicamente, è nelle mani del papa. C’è ima
tale concentrazione di potere nella « Sede
apostolica» ohe la Curia è ;ino strumento
indispensabile per l’esercizio di questo potere. Si potrà certo, se necessario, riformare
la Curia, internazionalizzarla e anche privarla di certe competenze a favore delle conferenze episicopalì nazionali. Ma il problema di fondo, in questo modo, viene eluso.
Il problema di fondo, da un punto di vista
protestante, è di decidere se quella concentrazione di potere nella « Sede apiosto-lica »,
di cui si è parlato, è evar^elioamente legittima o meno. Per noi, owiamente, non lo è.
L’ultimo tema dibattuto durante la seconda sessione è stato quello ecumenico.
Dobbiamo registrare, a questo proposito, alcuni fatti assai positivi e rallegranti; il -prime è che si sono uditi in S. Pietro, da parte
di vescovi cattolici, alcuni interventi veramente notevoli, ohe rivelano una maturità
ecumenica ed anche una passione ecumenica di cui non si può che essere grati a Dio ;
il secondo è che l’idea del dialogo inte-rcon
fessionale sembra ormai essere accettata anche dal cattolicesimo più intransigente e
meno sensibile all’immenso sforzo ecumenico ohe la cristianità nel suo insieme —
specialmente quella non romana — è venuta comniendo da alcurd decenni a questa
parte; il terzo è ohe quell’opera di risanamento psicologico fra le varie confessioni
cristiane, auspicata, a suo tempo, dall’abate Couturier, si sta, oggi attuando su vasta
scala, ed anche il Concilio vi contribuisce
in misura notevole. Si può quindi affermare che sono state ormai po-ste ed accettate
nel cattolicesimo talune premesse indispensabili perchè il confronto interconfession^
le possa proseguire, e proseguire in un clima di apertura, di ricerca, di rispetto e di
lealtà.
Detto questo, però, non ci si può esimere
dal ripetere ancora una volta (fino a quando bisognerà farlo?) che Tecumenismo cattolico-, nella misura in cui tende, a breve o
lunga scadenza, per una via o per l’altra,
al riassorbimento di protestanti ed ortodossi nella Chiesa di Roma, sia pur salvaguardando il loro «patrimonio cris-tiano», reintegrato nella pienezza cattolica, resta, in
fondo, un ecumenismo settario e, come tale,
è inaccettabile, anzi, non merita neppure di
esser chiamato ecumenismo. E’ un fatto,
purtroppo, che oggi ancora i due terzi almeno dell’episcopato cattolico sono convinti
che lo sbocco finale del movimento ecume
VITTORtO SUBILIA
Il problema del
Una valutazione prol
ticesimo e del Cor
Collana della Facoltà Valdese
di Teologia
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nico non potrà essere altro che il ritorno
dei « separati ». Ma porre in Questi termini
il problema ecumenico' significa svisarlo,
snaturarlo e precludersi o.gni possibilità di
comprenderne il vero significato per il cristianesimo del nostro temoo. Anche lo schema suirecumenismo ohe è stato presentato
e discusso' in Concilio, malgrado il buono
Rpirito con cui è stato redatto, appare, in
fondo, abbastpn^o snnerflciale e. come ha
un ecnin.^nitto cattolico, il Padre
Conerar, « tropno descrittivo » : esso* resta al
dì Qua della ve^-a nrobleraatica ecumenica.
Ma. niiò il cnttoUcesirno date le sue nrerae.sse dott.rinnli. ann.mrfnridire la. =ua. nozione
di ecumenismo', ^d'nc.o.'ndo ir orime luofro il
sue, i.stiri’o '.sincrprisHco che lo norta. a identificare il nrograrnTnQ eicumenico con un nro^
eramro.a di universalismo reiieioso, in cui il
fermento evan.p'efico ri.sohia di essere neutralizzato nerehA o-iì viene neaata un’autorii.à normativa? iri nossibile che il cattolicesimo comprenda che Tecumenismo è essenzialmente un invito a riesaminare criticamente sè stessi alla luce dell’Evangelo,
ner cui l’impe'gno ecumenico deve anzitutto
nrovocare una salutare crisi di coscienza in
nani Ch’esa. anche in Quella cattolica, e non
eià conferma'c'e nella sua, antosuffìcienza?
Si è resa conto la Ohiesa cattolica, che ner
imboccare la strada deH’ecumenismo deve
impara,re a rinunciare a se stessa, deve cioè
sapersi sottoncrre, con tutto ciò che essa è
e nos's'ede. alla verifica deirEvangelo. e nO'U
ffià sfuggire a Questo controllo critico postulando a nriori una identità fondamentale ed esclusiva tra se stessa e la Chiesa di
Gesù Cristo — identità che a molti cristiani pare non comp'ro'vata e non comprovabile? Di quale ecumenismo può essere capa
ce una Chiesa come quella cattolica, che
continua — almeno, così sembra — a non
dubitare di se stessa e pare disposta non
già a rivedere il nroprio patrimonio dogmatico alla luce della Parola di Dio (in quanto ritiene che il primo sia la necessaria e legittima esplicHazione della seconda), ma.
Ú Cattolicesimo
protestante del CattoConcilio Vaticano II.
Claudiana, Torino 1962
p. 242 - L. 1.800
semmai, in nome dell’ecumenismo', ad arricchire ancora tale patrimonio, associandovi
i « valori cristiani » degli ortodossi e dei protestanti ( ed eventualmente anche alcuni valori delle religioni non-cristiane), operando
così, una grandiosa sintesi religiosa, certo
seducente ma paurosamente priva di mordente evangelico? Insomma; può il cattolicesimo es'.sere veramente ed autenticamente
ecumenico, se è vero che l’ecumenismo non
è un movimento di espansione di una Chiesa verso le altre, ma una comune tensione
di fedeltà a Cristo e al suo Evangelo? Questo è il grande problema che la recente
« conversione » di Roma airecumenismo e,
in particolare, lo svolgimento del dibattito
conciliare sul tema ecumenico proijongono
alla riflessione nostra e dei cattolici s^si.
L’immobilismo cattolico
è stato scosso
Quali potramio essere gli sviluppi futuri
del Vaticano II e quali le sue probabili risultanze finali? E soprattutto: è possibile
individuare, attraverso il prisma conciliare,
la fisionomia del cattolicesimo di domani?
E’ un fatto che il cattolicesimo contemporaneo è in fase di rapida trasformazione.
« Un vero cristiano non conosce i’immobili.smo» ha detto Paolo VI agli Osservatori
delegati ricevuti in udienza il 17 ottobre
scorso; e gli ha fato eco proprio un Osservatore, il luterano K, E. Skydsgaard, che in
una conferenza stampa del 27 novembre affermava: «Il dogma deirimmobilismo della Chiesa cattolica è stato scosso». Certo,
il cattolicesimo si sta evolvendo: dottrine
fino a ieri avversate e condannate come incompatibili con la professione di fede cattolica vengono oggi non solo riabilitate ma
addirittura rivendicate come autenticamMite cattoliche. Solo che non è affatto agevole
isolare tutte le componenti — indubbiamente molto varie — di questa evoluzione, fissarne i caratteri periziali e valutarne la
consistenza spirituale. Nè è dato, per ora,
di discemere con chiarezza dove essa tenda
e quali mutamenti più o meno profondi introduiTà. nel vasto e complesso mondo cattolico. Infine, il suo carattere abbastanza repentino, se da un lato testimorùa della vitalità e della straordinaria capacità di ricupero proprie della Chiesa di Roma, üaH’altro lascia interdetti c autorizza un certo riserbo. Un fatto, comunque, non può essere
taciuto nè sottovalutato: ed è che, da alcuni decenni ormai, nel pi’ocesso evolutivo del
cattolicesimo (rimessosi in movimento dopo
la lunga e oscura parentesi controriformistica), si sono efficacemente inserite e affermate delle correnti teologiche e degli orientamenti spirituali che recano una inconfondibile impronta biblica ed evangelica. La
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presenza di queste forze genuinamente cristiane fa s). che l’attuale evoluzione del cattolicesimo si configuri anche come un rinnovamento del cattolicesimo stesso. E il Concilio, comunque si concluda e qualunque
siano i suoi risultati immediatamente tangibili, ha indubbiamente contribuito ad accelerare e a concretare il processo di rinnovamenro interno del cattolicesimo e potrà
passare alla storia come uno strumento di
risveglio della Chiesa cattolica del XX secolo. Non bisogna d’altra parte dimenticare che l’avvenire immediato del Concilio e
del cattolicesimo è in buona parte legato
alla personalità dell’attuale pontefice. Questo vale soprattutto per il Ccncilio : diventa
sempre più palese che il grande punto interrogativo del Vaticano II si chiama Paolo VI.
Paolo VI
enigmatico arbitro del Concilio
Mentre Giovanni XXIII si limitò ad
essere un saggio moderatore dei lavori dell’assemblea radunata in S. Pietro, Paolo VI
tiene saldamente in pugno de redini del Concilio e non intende farsi so>lo interprete della volontà dei « padri » ma vuole oirientare
0 plasmare questa volontà. Ben più del suo
predecessore, Tattuale pontefice è consapi^
vole dei poteri che il Vaticano I ha conferito al « successore di Pietro », e non teme di
affermarli ed esercitarli con fermezza e decisione. Il 30 giugno, giorno della sua incoronazione, Paolo VI ha definito il « successore di Pietro » come « il centro vitale dell’apostolato del Corpo mistico di Cristo ». Il
centro vitale — il cuore, si direbbe — dell apostolato della Chiesa catto? ica è dunque il
papa, non il Concilio : il Vatioano li sarà
quello ohe Paolo VI vorrà ohe sia. Interrogarsi oggi su? destine de! Concilio significa
in primo luogo interrogarsi sulla personali
' à del papa attuale. Ma quest’ultimo ha sinora corrservato quel tratto enigmatico —
« amletico » — che già Giovanni XXIII gli
riconosceva. E’ certo un personaggio molto
complesso; e anche se dimostra, nella sua
azione, una coerenza teologica maggiore di
WALTHER von LOEWENICH
Il cattolicesimo
moderno
Feltrinelli, Milano 1962
p. 392 - L. 3.800
quella del suo predecessore, è ancora praticamente impossibile tracciare un profilo spirituale di papa Montini che possa illuminar
ci sui futuri sviluppi e suil’esito finale del
Concilio. Non è chiaro, fra l’altro, fino a che
punto le forze del rinnovamento all’opera
in seno a! cattolicesimo possono contare
sulla collaborazione di Paolo VI; questi non
è certo insensibile all’esigenza del rirmoivanjento, ma sembra che non voglia rischiare
troppo e soprattutto non intende subire la
volontà conciliare e neppure quella, curiale
ma dominare l’una e l’altra. Il 4 dicembre,
il giorno ste.sso della chiusura della seconda,'sessione, un amico cattolico, consultore
del Segretariato per l’unione dei cristiani,
mi scriveva aueste righe : « Stasera sono triste, Non perchè domani mattina lascerò Roma. Il motivo della mia tristezza sta nel
cambiamento della politica di Paolo VI. Egli sembra essersi improvvisamente spaveniato. della riforma che il Concilio stava per
intraprendere. Dobbiamo^ sperare contro spe
lanza». Queste speranze — crediamo — non
andr.anno deluse. Paolo Vi è un uomo aperto, anche se meno libero del suo predecessore, sentendosi, più di quest’ultimo, vincolato al dogma cattolieo già definito. E’ da ritenere ohe ii papa attuale non ostacolerà il
processo di rinnovamento in atto nel cattolicesimo; tutt’al più ne fisserà i limiti^ e
preciserà la natura cattolica di questo rinnovamento.
Rinnovamento
ma a che profondità?
Rosta ii fatto che il cattolicesimo in stato
di concilio è impegnato in una vasta opera
di rinnovamento, che richiama la nostra
attenzione ed esigo da noi una presa di posizione. In che cosa consiste il rinnovamento cattolico cui stiamo assistendo? Esso consiste da un late nel ricupero e nella rivalorizzazione di certi elementi evangelici conservati nella Chiesa di Roma ma rimasti
come sepolti «sotto la polvere dei secoli»;
e d’altro lato neU’ammcidemamento spirituale e culturale del cattolicesimo. Ci soffermiamo brevemente su queste due componenti fondamentali del rinnovamento cattolico in atto.
In primo luogo non si possono non avvertire i sintomi di un miglioramento in
senso evangelico della Chiesa cattolica del
nostro tempo : Karl Barth ha parlato addirittura di una « rierganizzazione della Chiesa cattolica intoino airavangelo ». Qual’è la
portata di questo miglioramento? Risponderemo con un esempio, tratto dai recenti dibattiti conciliari. Il principio della collegialità episcopale, che il Vaticano II dovrebbe sanzionare, contiene in sè un indubbio
fermento evangelico : il p»ensiero secondo
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ROBERTO NISBET
Ma il Vangelo
non dice cosi
14" edizione riveduta
Purtroppo, sempre attuale
Claudiana, Torino 1963
p. 174 - L. 450
cjui il governo della Chiesa non è individuale ma oollegiale è un pensiero biblico. Ma
a parte ogni altro rilievo critico che andrebbe/fatto sul modo con cui il cattolicesimo
intende il principio neotestamentario dei
governo collegiale della Chiesa, non si può
non osservare che la sua applicazione nel
cattolicesimo, se condotta con il necessario
rigore teologico, dovrebbe comportare la revisione e la ritrattazione di fatto del dogma
del primato pontificio, nonché la rinuncia,
da parte del papa, dei suoi poteri di giurisdizione immediata e diretta su tutta la Chiesa cattolica. Il papa, per secoli, non è stato
altro che il vescovo di Roma e oggi ancora
ouesta è la sua caratteristica essenziale: la
collegialità episcopale dovrebbe quindi includere anche il papa come vescovo di Roma e implicare raccantonamento del dogma
del Vaticano I e di tutta la riflessione teologica che ha preceduto e seguito la sua
promulgazione. In una parola, l’affermazione della collegialità episcopale dovrebbe indurre il cattolicesimo a riconoscere che
il papa è una sovrastruttura dogmatica
e istituzionale, anzi che egli — a parte
ogni considerazione di carattere personale — è un personaggio inammissibile nella
Chiesa di Gesù Cristo. Ma non sembra affatto che oi stiamo avviando verso riconoscimenti di questo genere. Gli stessi fautori
della collegialità si guardano bene dal contrapporla al primato del papa. Secondo la
nozione cattolica di verità, che è « una nozione cumulativa della verità» (P. Lestringant), la collegialità episcopale non esclude
il primato papale, l’uno e l’altro possono
integrarsi armonicamente e completarsi a
vicenda. La collegialità potrà temperare
gli ec-cessi cui può dar luogo un’interpretazione trc^o letterale del primato del papa;
ma il primato stesso resta fuori discussione.
Il principio biblico della collegialità, una
volta introdotto ne' sistema cattolico, potrà
correggervi certi squilibri, ma non sembra
destinato a trasformare il .sistema in senso
evangelico. C’è un miglioramento, ma non
c’è riforma.
Miglioramento, aggiornamento,
|non ravvedimento
Analoghe considerazioni si possono fare a
proposito deH’ecumenismo. Il fatto che oggi Roma partecipi, sia pure a modo suo, al
movimento ecumenico costituisce un notevole passo irmanzi rispetto alle posizioni di
altezzosa intransigenza e di farisaica sicurezza tipiche del cattolicesimo tradizionale.
Non si ha però rimpressione che la Chiesa
cattolica viva quest’ora ecumenica nell’unica prospettiva evangelicamente possibile, che
è quella del ravvedimento. Prova ne sia
quanto è avvenuto in S. Pietro il 3 dicembre scorso: il Vaticano II ha solennemente
commemorato quel Concilio di Trento che
anatemizzò inesorabilmente e sistematicamente le dottrine fondamentali della Riforma protestante. Ai progressi che l’idea ecumenica fa nel cattolicesimo non ha fatto
sinora riscontro il proposito di rivedere ed
eventualmente sconfessare quelle posizioni
che fino a ieri lo hanno reso insensibile all’esigenza ecumenica. La Chiesa cattolica
imbocca nuove vie senza abbandonare le antiche : diventa « ecumenica » e resta tridentina.
Sembra insomma che stia avvenendo oggi nel cattolicesimo qualcosa di simile a quel
che avvenne nel xni secolo con S. Francesco* d’Assisi. Di fronte alla degenerazione
mondana di una Chiesa divenuta troppo
ricca, S. Francesco predicò e visse fino in
fondo la povertà evangelica. La Chiesa cattolica ha finito per canonizzare il « Poverello», riconoscendo la validità della sua
presa di posizione e accogliendo in sè la nota evangelica della povertà: ma non per
questo essa è diventata una Chiesa povera,
materialmente e spiritualmente. E otto secoli di francescanesimo non sono bastati a
trasform.are il cattolicesimo nel senso voluto dal « Poverello ». In presenza di S. Francesco, la Chiesa non si è ravveduta e quindi non si è riformata; in fondo, non l’ha
a.scoltato. Gli stimoli evangelici contenuti
nell’opera e nella predicazione di Francesco
hanno esercitato un’influenza benefica sul
cattolicesimo, miglicrandolo sul piano della
VITTORIO SUBILIA
Il movimento ecumenico
Questi erano e restano i fondamenti
C.E.C., Roma 1948 p. 106 - L. 250
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etica ed arricchendone la spiritualità : ma il
problema di fondo — che cosa signiflca per
la Chiesa che il suo Signore e stato povero?
— non è stato risolto, ma eluso con la canonizzazione del « Poverello ». Si è avuto un
rinnovamento nella Chiesa, non già una riforma della Chiesa. Co.sì oggi, il rinnovamento in atto nel cattolicesimo sernbra avere le proporzioni di un risveglio di tipo francescano, non di una riforma di tipo luterano.
La seconda componente del rmnovamento del cattolicesimo odierno consiste nel suo
ammodernamento spirituale e culturale: si
tratta di quel vasto programma di « aggiornamento » avviato, con ammirevole decisione, da Giovanni XXIII. Si prenda la P^em
in terris oppure il capitolo sulla libertà religiosa proposto alPassemblea condliaTe nel
corso della seconda sessione, li si confronti
con documenti anteriori del magistero ecclesiastico (ad esempio, il classico «Sillabo») e si avrà un’idea dell’evoluzione compiuta dal cattolicesimo in questi ultimi decenni: un’evoluzione in sè positiva e rallegrante. Ma anche qui non ci si può esimere
dal fare almeno due osservaziom: ci si chiede, in primo luogo, se la necessità di questo
aggiornamento, nei suoi molteplici aspetti,
si sia imposta alla coscienza cattolica moderna in seguito a un ripensamento teologico basato sull’Evangelo, o se invece il catta
licesimo, aggiornando certe sue posizioni,
non si muova sul piano empirico di un riconoscimento e di una appropriazione di valori, cui è stato sensibilizzato più dall’evoluzione storica che dall’Evangelo. In secondo
luogo ci si chiede, in un quadro più vasto,
se lo Spirito Santo è davvero uno Spirito di
aggiornamento e se da una Chiesa che si
ritiene unica depositaria ed interprete della
Verità non sia lecito aspettarsi qualcosa di
più che il .suo aggiornamento su posizioni
che i figliuoli di questo secolo, sia pure in
tutfaltro contesto e muovendo da premesse
diverse, hanno conquistato già molto, molto tempo fa.
Funzione
del protestantesimo
Non si può concludere quest analisi sommaria del cattolicesimo in stato di concilio
senza porre il problema della funzione del
protestantesimo nei confronti della Chiesa
di Roma e, più in generale, neirattuale congiuntura ecumenica. A chi gli poneva questo problema, il prof. Oscar Cullmann ha risposto: «Il pericolo per noi protestanti è
che cessiamo di essere noi stessi. Dobbiamo
aiutare la Chiesa cattolica nella sua volontà di riforma e lo possiamo fare non cessando di essere noi stessi ma al contrario mostrandole quello che siamo». C’è effettivamente oggi il rischio che si crei nel mondo
cristiano una mentalità incline a relativizzare il significato e il valore della Riforma
protestante. Dobbiamo opporci a questa celai ivizzazione: e questo non per salvare noi
stessi (chi vuol salvare la propria vita, la
perderà), non per im’ottusa e puerile pignoleria confessionale, ma unicamenie perchè
sia salvaguardata nella cristianità del nostro tempo la categoria evangelica dqlla metànoia, del pentimento, del ravvedimento.
E’ questa la categoria fondamentale della
Riforma ed è anche — crediamo — la categoria fondamentale dell’Evangelo. E’ comunque la condizione indispensabile perchè la
Chiesa ecumenica di domani, verso la quale tendiamo, sia quello che dev’essere: ii
sale della terra ohe non diventa insipido.
Paolo Ricca
Roma, gennaio 1964
Il Pastore Paolo Ricca, che ha preparato questa « valutazione », è
da due anni il responsabile del Servizio Informazione e Stampa del
Consiglio Federale delle Chiese Evangeliche d'Italia, e ha seguito con
cura particolare i lavori del Concilio Vaticano II, anche nei periodi intermedi fra le sessioni. ... • j n
Parte di questo studio è comparsa sul fascicolo di gennaio della
rivista « Il Mulino », di Bologna, e sul fascicolo di gennaio-febb^raio della rivista « La Fornace », di Pinerolo, oltre a varie corrispondenze su
periodici evangelici. Siamo molto lieti di presentare ora questo sguardo
d'insieme, sulla validità e sulla penetrazione del quale lasciamo, fiduciosi giudicare i lettori. Da parte nostra ringraziamo di cuore 1 autore.
Tipografia Subalpina
Torre Pel lice