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ECO
DELLE VALU VALDESI
5ts. PEYROT Arturo
ai Warauda
10062 LUSERWA S.GIOVANNI
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 107 - Nnm. 42 Una copia Lire 70 ABBONAMENTI | L. 3.000 per Tinterno L. 4.000 per l’estero i .Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70 1 Cambio dì indirizzo Lire 50 1 TÜRKE PELLICE - 23 Ottobre 1970 1 Amm.: Via Cavour 1 - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/'33094
Filducia Verso l’Assemblea federale di Firenze
Mentre in tutte le chiese le attività
varie vanno riprendendo dopo la lunga stasi estiva, vorrei attirare l’attenzione su una parola dell’apostolo Paolo: « tutte queste cose le opera quell’uno e medesimo Spirito, distribuendo i suoi doni a ciascuno come egli
vuole» (1 Corinzi 12: 11). È tratta da
uno dei testi ben noti sulla molteplicità dei doni nella Chiesa e vale la pena che ci soffermiamo un momento a
considerare questa risoluta affermazione dell’apostolo.
Il Sinodo 1970 ci ha ricordato che
« le attuali nostre chiese, pur nella loro debolezza e nella loro scarsa preparazione, devono progessivamente divenire vere assemblee nelle quali ognuno possa portare il contributo dei doni ricevuti dallo Spirito per l’edificazione dei fratelli e l’annunzio del Regno a quanti il Signore avvicina ».
Questo invito può sembrare a prima
vista alquanto teorico e astratto, ma
a pensarci bene non si tratta di inventare strane iniziative, ma di avvertire
seriamente la presenza e l’azione dello
Spirito in mezzo a noi.
Abbiamo dunque motivo di allegrezza e di riconoscenza: perché di fatto,
malgrado la nostra piccolezza e la nostra dispersione, abbiamo ricevuto
questa ricchezza e varietà di doni in
mezzo a noi ed è necessario rendersene conto con riconoscenza e trarne le
debite conseguenze.
Non è il caso di fare un elenco, rischiando di non rendere giustizia a
tutti: ma consideriamo seriamente
quanti uomini consacrati senza riserve sono al lavoro tra noi, quante iniziative promettenti si vanno sviluppando, quanti istituti servono fedelmente i fratelli, quali e quante responsabilità nuove appaiono all’orizzonte!
Confrontiamo tutto questo con la nostra realtà umana, con la situazione
di diaspora in cui viviamo, con tutte
le tensioni che perdurano, e rendiamoci finalmente conto che la grazia di
Dio non è venuta meno tra noi e che
la sua misericordia ci accompagna
malgrado noi stessi.
Di solito invece noi lamentiamo mille difetti e mille carenze della nostra
vita ecclesiastica: sul piano teologico
come su quello amministrativo, di
fronte al mandato missionario della
Chiesa come di fronte alla vocazione
del singolo credente, di fronte a quello che si potrebbe fare e a quello che
in realtà si fa.
Sarebbe illusorio da parte nostra nasconderci le cose che non vanno e cullarci in una falsa sicurezza. Ma anche
il dubitare di tutto e di tutti, l’avere
un atteggiamento perennemente critico e negativo, può portarci ad un certo punto a non saper più distinguere
quello che il Signore ha fatto e sta facendo per noi. È opportuno quindi ricordare l’esortazione dell’apostolo:
« non spegnete lo Spirito; non dispreizate le profezie; ma esaminate ogni cosa e ritenute il bene» (1 Tessalonicesi 5: 19-21).
Quello che realmente ci minaccia e
rimmobilismo stanco e disamorato
che paralizza ogni iniziativa e diffida
di ogni novità, per amore del quieto
vivere o per mimetismo col mondo circostante. E questo è davvero uno spegnere lo Spirito e disprezzare la profezia, se con quest’ultima parola intendiamo l’appello vocazionale deirEvangelo non solo attraverso la predicazione, ma nelle innumerevoli circostanze
concrete della vita delle nostre Chiese.
Abbiamo dunque motivo di essere
« lieti nella speranza » e di metterci
risolutamente al lavoro senza dubitare: pessimisti su noi stessi, sì, ma con
una fiducia totale in quella presenza
dello Spirito che sarebbe mancanza di
fede negare. Ricordandoci con umiltà,
ma anche con lieta certezza, che la
sola apertura possibile nella vita delle
nostre Chiese e nella loro testimonianza nasce da « quell'uno e medesimo
Spirito » che distribuisce i suoi doni
a ciascuno come egli vuole.
Neri Giampiccou
iimiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiinnmiiiimiiiiiiiiiiimiiimiiiiiiiiiii
DOMENICA 25 OTTOBRE
■ ■
a
Sampierdarena
Domenica 25 ottobre la comutiilù di Sampierdarena accoglierà con gioia fratelli vicini
e lontani, per Tinaugurazione ufficiale del suo
nuovo luogo di culto, nel quale in realtà si
riunisce dallo scorso Natale. I fratelli sampierdarenesi non hanno voluto e non vogliono una pomposa cerimonia trionfale, ma semplicemente ringraziare Dio. e coloro di cui
Dio si è servilo, per questo strumento che le
è stato offerto per la predicazione dell Evangelo nella città. Al culto, alle ore 9.45, parteciperà il Moderatore Neri Giampiccoli. Ai fratelli nella gioia il nostro più caldo augurio.
UNITA’ E TESTIMONIANZA
ti unitari (nel nostro caso: interdenominazionali). Questa tesi riproduce, applicandola ai nostri rapporti inter-evangelici, un’opinione
largamente diffusa in certi ambienti della cristianità contemporanea, secondo cui nel nostro tempo una testimonianza è valida solo se è ecumenica; se non è ecumenica, non è valida. Ora non ci vuol
molto per confutare questa opinione; è già accaduto molte volte
nella storia e può sempre di nuovo
accadere, talvolta anzi deve accadere che un’autentica testimonianza evangelica si valga di uno strumento non unitario ma, poniamo,
settario.
La realtà e l’efficacia di una testimonianza cristiana non dipendono dal fatto che lo strumento attraverso cui questa si esprime sia
unitario, ma dipende unicamente
dal fatto che l’Evangelo sia annunciato e vissuto: in maniera unitaria se possibile, ma, se non è possibile, in qualunque altro modo.
L’Evangelo esige la nostra unità
ma non ne dipende. Lo strumento
unitario può certamente permettere un’efficace testimonianza evan
Bisogna esser grati al Consiglio
della Federazione per il suo rapporto dal titolo « Gli evangelici
italiani di fronte al paese negli anni ’70 », preparato e diffuso in vista della prossima assemblea di
Firenze. È un bel documento, meditato e sostanzioso, in genere
convincente sia nelle analisi che
nei giudizi, dettato da una visione equilibrata ma niente affatto
statica della situazione, teologicamente ancorato all’essenziale
— l’ubbidienza alla parola di Dio
— e percorso da una forte esigenza di testimonianza che non può
non rallegrare e promettere bene:
è infatti sul terreno della testimonianza che, oggi come ieri e come
domani, si gioca l’autenticità di
una chiesa che vuol essere evangelica.
Il rapporto del Consiglio della
Federazione è dunque un buon
contributo alla riflessione critica
che le diverse chiese evangeliche
in Italia stanno conducendo su se
stesse, in vista di una nuova ubbidienza e di una testimonianza più
incisiva. Come tale il documento
federale è utile non solo a quanti
parteciperanno all’ assemblea di
Firenze ma a tutti gli evangelici
italiani. Ecco perché lo pubblichiamo integralmente (la prima
parte in questo numero, la seconda nel prossimo), raccomandandolo all’attenzione dei lettori. Nello stesso tempo vorremmo sollevare, con questo e con un secondo
articolo la settimana ventura, alcune questioni suggerite dalla lettura del documento.
* * *
La prima riguarda il rapporto
tra l’unità degli evangelici italiani
e la loro testimonianza. In proposito il documento contiene un paio
di affermazioni che si prestano a
essere fraintese. Ad esempio: « la
testimonianza unitaria è il punto
su cui sta o cade l’evangelismo italiano ». Ancora: « lo strumento
unitario è oggi l’unico che permetta un’ effettiva testimonianza in
Italia ». Frasi del genere vanno
chiarite; espresse in termini così
concisi e recisi possono essere capite male. Le si può intendere come se volessero dire che l’unità
fra gli evangelici italiani è la condizione preliminare e pregiudiziale per poter rendere un’autentica
testimonianza in Italia; oppure
che questa testimonianza diventa
effettiva solo se e nella misura in
cui si esprime attraverso strumen
..............
gelica in Italia; ma in certe circostanze può anche impedirla. Il fatto di essere unitario non lo immunizza ipso facto dal peccato.
Analogamente si deve precisare
che il punto su cui sta o cade
l’evangelismo italiano non è la testimonianza unitaria ma la testimonianza fedele. Decisiva non è
l’unità ma l’ubbidienza. Certo,
chiese evangeliche ubbidienti saranno anche unite; ma l’unità non
garantisce la fedeltà. Potremmo
essere contemporaneamente molto uniti e molto infedeli. È l’ubbidienza che porta con sé l’unità, e
non viceversa.
Questo non significa in alcun
modo che l’unità (anche la nostra,
tra evangelici italiani) sia un fattore evangelicamente secondario o
addirittura trascurabile, come
qualcuno sostiene. Al contrario,
essa è un comandamento dell’Evangelo e un frutto della sua azione. Perciò anche nell’ambito dell’evangelismo italiano essa va cercata col massimo impegno, come
si conviene quando un comandamento di Dio dev’essere ubbidito.
Ma non si deve fare dell’unità —
sia essa in grande (l’unità ecumenica, fra confessioni) o in piccolo
(l’unità fra le nostre denominazioni) — una pregiudiziale per l’autenticità della testimonianza cristiana.
* * *
Questi pensieri, quasi ovvii per
delle coscienze protestanti, sono
senza dubbio condivisi dagli estensori del rapporto del Consiglio. I
quali, opportunamente, parlano
poco di unità e molto di testimonianza, insistendo sulla necessità che quest’ultima sia « unitaria ». L’accento, nel documento,
cade non sull’unità ma sulla testimonianza. Il primo comandamento per le chiese evangeliche in Italia non è unirsi, ma testimoniare.
L’esigenza unitaria c’è, ed è ben
viva, ma resta subordinata a quella della testimonianza. E se fino ad
ora le diverse chiese hanno (o non
hanno!) testimoniato ciascuna per
conto proprio, si tratta ora di imparare a testimoniare insieme.
Questa comune testimonianza diventerà, a sua volta, matrice di
unità.
Paolo Ricca
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
imiiimimiiiiiiiimmiiiiimmimimiiiiiiiiiiiiiimiiiiimiiiimmiiiiimimiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
^1 rapporto che il Consiglio della FCEI presenta all’Assemblea federale
L'unità degli evangelici italiani
Il Congresso evangelico di Roma
del 1965 ha costituito senza alcun dubbio un momento di rilievo nella vita
degli evangelici italiani. Il fatto stesso
di ritrovarsi insieme a quaranta anni
di distanza da una manifestazione analoga rimasta allora senza conseguenze
pratiche rilevanti, e di esservisi ritrovati questa volta con la precisa intenzione di non fermarsi alle enunciazioni generali, ma di passare a una fase
strutturale e organizzativa; il fatto di
aver potuto affermare una base ecclesiologica comune; il fatto, infine, di
aver preso dei contatti non più soltanto a livello delle dirigenze denominazionali, ma sul piano dei rappresentanti delle comunità locali, sono tutti
elementi che hanno dato a molti il senso dell’unità reale degli evangelici italiani. La convocazione dell’Assemblea
costituente di Milano nel 1967 e la costituzione della Federazione hanno fatto sì che quella presa di coscienza unitaria si concretasse con sufficiente rapidità in uno strumento operativo quale è appunto la Federazione.
Forse se con altrettanta o maggior celerità si fosse proceduto alla costituzione delle Federazioni regionali, molti contatti che al Congresso erano stati avviati avrebbero potuto essere consolidati e approfonditi. Questa osservazione ha un risvolto autocritico, ma
Il CEC e il movimento
di iiberazione palestinese
Ginevra (soepi). - Ecco il testo di un
comunicato comune steso alla fine di
un incontro fra due rappresentanti del
movimento di liberazione palestinese e
rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC):
« Il 29 e 30 settembre, due rappresentanti dell’Qrganizzazione di liberazione
della Palestina (QLP), accompagnati
dal sig. Amar Ben Toumi, ex ministro
della giustizia del governo algerino,
hanno incontrato il segretario generale
e dei responsabili del CEC a Ginevra.
« L’iniziativa di quest’incontro è di
J. Carbonara, del Comitato cristiano di
servizio in Algeria. Fra i temi affrontati: l’aiuto che il CEC può dare al Vicino Oriente dopo la recente tragedia
giordana e il modo d’informare il CEC
sugli scopi perseguiti dai Palestinesi.
« I delegati palestinesi attendono dal
CEC che capisca la loro causa e che
renda ragione alle loro aspirazioni alla
dignità umana e alla giustizia per tutti
i popoli della regione, prescindendo
dalle loro convinzioni o dalla loro origine.
^ « I membri del CEC hanno sottolineato la loro volontà:
— di proseguire il dialogo avviato
con tutte le parti in causa nel Vicino
Oriente,
— di continuare ad accordare il loro
aiuto a coloro che ne hanno bisogno,
nel modo imparziale che il CEC si è
prefissato nel corso di tutti questi ultimi anni (n.d.r.: c'è stata, veramente,
l’eccezione biafrana!).
— infine di ricevere in misura crescente informazioni oggettive e precise
sulle aspirazioni dei diversi popoli implicati nel conflitto del Vicino Oriente.
« Le due parti sono giunte alla conclusione che una pace durevole e giusta
in questa regione non potrà stabilirsi
se non attraverso la riconciliazione di
coloro che sono impegnati nel conflitto ».
vuol essere in pari tempo un invito alle costituite o costituende Federazioni
regionali a non considerarsi come cinghie di trasmissione tra un vertice e
una base, ma come un luogo di incontro tra comunità che altrimenti si
ignorerebbero.
Per altro, sotto certi profili e in taluni settori, si è anche determinato
dopo il 1965 un certo affievolimento
deìl’impulso unitario. Non si tratta (è
bene metterlo subito in chiaro) di
un’inversione di tendenza, ma semplicemente di un minore interesse per il
momento unitario, quasi che esso fosse una cosa buona ma non prioritaria,
una cosa che nessuno vuol distruggere, ma che non è sentita da tutti come
elemento essenziale per la vita delle
comunità.
Tale atteggiamento si manifesta in
modi diversi; alcuni si trovano in una
sorta di attendismo e stanno a guardare che cosa gli organi della Federazione riusciranno a produrre e proporre, come se spettasse in modo quasi esclusivo agli organi centrali di raccogliere intorno a sé il popolo evangelico e di alimentare quel clima di tensione ideale di cui il Congresso era
stato espressione, ma forse queste
persone non considerano che la Federazione stessa è fortemente condizionata dall’atmosfera predominante nelle comunità; altri procedono con infinite precauzioni richiamandosi al principio dell’autonomia delle comunità locali, forse senza ricordare che la Federazione non l’ha affatto messo in
questione ma l’ha anzi affermato nel
suo documento ecclesiologico, mettendo se mai in questione il rigido spirito
denominazionalistico; altri si appaga
con i valori della propria tradizione
storica accettandoli come idonei ad
affrontare i problemi del presente, forse senza domandarsi se il presente
nèn ponga problemi nuovi che soltanto il quadro unitario permette di affrontare veramente; altri trova che la
base teologica della Federazione è insufficiente e che il fatto federale stesso è teologicamente discutibile, forse
senza vedere che la Federazione rappresenta oggi l’unico luogo in cui avviene davvero, nell’ambito evangelico
italiano, una ricerca teologica in comune, centrata sulla Sacra Scrittura;
altri estende alla Federazione lo stesso atteggiamento di riserva con cui
considera ogni forma di espressione
intellettuale della fede, quasi che la riflessione critica fosse di per sé uno
strumento che svuota la fede del suo
contenuto; altri riversa sulla Federazione, e sul momento unitario in genere, la propria insoddisfazione per l’una
o l’altra realizzazione concreta patro
cinata dalla Federazione o comunque
collocabile in una prospettiva unitaria.
L elenco potrebbe forse continuare,
ma il numero e la varietà di queste
riserve, alcune delle quali reciprocamente contradditorie, ci pare indicare
il limite intrinseco a ciascuna di esse;
ma al tempo stesso, prese nel loro
complesso, esse sono il sintomo di una
situazione che richiede una spiegazione più generale.
La minoranza evangelica in Italia è
stata storicamente tenuta insieme da
un elemento di coesione interna, costituito dalla fede orientata alla evangelizzazione, e da un elemento di pressione esterna dato dall'ostilità dell’ambiente e talora dalla persecuzione. La
evoluzione avvenuta in questi ultimi
anni nella società italiana (di cui il
Concilio Vaticano II è una delle manifestazioni più cospicue, ma di cui esistono altre cause più profonde e determinanti) da una parte ha reso più difficile per le varie Chiese trovare le vie
adeguate della presenza evangelistica,
allargando fortemente il ventaglio delle soluzioni possibili e sperimentate, e
d altra parte ha fatto scemare notevolrnente la pressione esterna (anche se
ciò è avvenuto in modo non omogeneo,
con le consuete discriminazioni a danno dei più umili): perciò tutti coloro
che vedevano l’unità degli evangelici
soprattutto come un mezzo di difesa
sentono oggi intiepidirsi i loro impulsi
unitari o li mantengono solo per quel
tanto richiesto dalle poche azioni di
difesa che con.siderano ancora necessarie. Ma una rninoranza in cui diminuisce il coefficiente unitario rischia
fortemente di disperdersi e di scomparire assorbita dall’ambiente. Riteniarno perciò che ogni atteggiamento di
tiepidezza e di apatia verso l’unità degli evangelici costituisca oggi un concorso, sia pure inconsapevole, alla dispersione e frammentazione dell’evangelismo italiano.
Diminuita per ora (e per il prevedibile futuro) la pressione esterna, la
minoranza evangelica italiana, se vuole evitare lo sfaldamento, deve rafforzate l’elemento della propria coesione
interna. La fede evangelica che ci unisce non è il mero possesso di una convinzione religiosa da conservare e trasmettere ai propri figli, ma è un impegno di testimonianza dinanzi a tutto
il paese (come del resto afferma lo
Statuto della Federazione, art. 2/a).
La testimonianza unitaria è il punto
su cui sta o cade l’evangelismo italiano.
A questo proposito vanno ricordati
e attentamente valutati gli elementi
(continua a pag. 6)
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N. 42 — 23 ottobre 1970
L’ATTUALITA' TEOLOGICA
LA DICHIARAZIONE DI FRANCOFORTE SULLA CRISI DELLA MISSIONE
La riflessione teologica
La missione fra la Scrittura e la storia "
del 1° Distretto
I sette punti fondamentali secondo il docum.ento del movimento ‘‘confessante,, tedesco, offerto alla riflessione e al dibattito
I Ogni potere mi è stato dato in
* * cielo e sulla terra. Andate, fate di
tutte le nazioni dei discepoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho
ordinato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell’età presente. (Matteo 28: 18-20).
Riconosciamo e dichiariamo che:
Le Missioni cristiane non possono
discernere il loro fondamento, il loro
scopo, il loro compito e il loro messaggio altrove che nell'ordine dato dal
Signore Gesù Cristo risuscitato e nel
suo atto redentore, quali ci sono trasmessi dalla testimonianza degli apostoli e della Chiesa primitiva, nel Nuovo Testamento. La Missione si fonda
sulla natura stessa dell’Evangelo.
Di conseguenza ci opponiamo alla
tendenza attuale, che fa dipendere la
natura e il compito della Missione
dall’analisi socio-politica del nostro
tempo e dalle esigenze del mondo non
cristiano. L’Evangelo ha un contenuto
normativo, definitivo, secondo la testimonianza apostolica: ciò che esso deve dire all’uomo di oggi, al livello più
profondo non risulta, in primo luogo,
dal nostro dialogo con quest’uomo. La
situazione attuale ci permette soltanto di presentare l’Evangelo in modo
nuovo. L’abbandono delle basi bibliche ci porta a un concetto nebuloso
della Missione e a confondere il suo
compito con un’idea vaga di responsabilità generica nei confronti del
mondo.
O Manifesterò la mia grandezza e
la mia santità, mi farò conoscere agli occhi della moltitudine delle
nazioni, e sapranno che sono Jahve.
(Ezechiele 38: 23).
Perciò ti loderò fra le nazioni, Jahve!
E canterò alla gloria del tuo nome.
(Salmo 18: 50).
Riconosciamo e dichiariamo che:
Il fine primo e ultimo della Missione è la glorificazione del nome del solo vero Dio, in tutto il mondo, e la
proclamazione della signoria del suo
Figliolo, Gesù Cristo.
Di conseguenza, ci opponiamo all’affermazione che oggi la Missione non
deve tanto preoccuparsi di presentare
Dio, ma piuttosto di manifestare un
uomo nuovo e di estendere questa
umanità nuova a tutte le relazioni sociali. Uumanizzazione non è il primo
scopo della Missione. È il frutto della
nostra nuova nascita, grazie all’attività redentrice di Dio in Gesù Cristo, all’interno di noi, ovvero risulta indirettamente dalla proclamazione dell’Evangelo che agirà quale lievito nel
mondo, come la Storia mostra.
Un’azione missionaria volta esclusivamente all’uomo e alla società conduce all’ateismo.
X In nessun altro è la salvezza;
poiché non vi è sotto il cielo altro nome che sia stato dato agli uomini, mediante il quale dobbiamo essere salvati (Atti 4: 12).
Riconosciamo e dichiariamo che:
La base, il contenuto e l’autorità
della nostra Missione è Gesù Cristo,
il nostro Salvatore, vero Dio e vero
uomo, quale la Bibbia lo presenta ai
nostri occhi nel suo mistero personale e nella sua opera redentrice. Il fine
di questa Missione è di far conoscere
a tutti gli uomini il dono della salvezza.
Invitiamo dunque tutti i non cristiani, i quali appartengono a Dio in virtù della creazione, a credere in lui e a
essere battezzati nel suo nome, poiché
in lui soltanto è promessa loro la salvezza eterna.
Di conseguenza, ci opponiamo all’insegnamento errato (largamente diffuso nel Movimento ecumenico a partire dalla Terza Assemblea generale del
Consiglio ecumenico delle Chiese, a
Nuova Delhi), secondo il quale il Cristo stesso è anonimamente tanto presente nelle religioni del mondo, nelle
trasformazioni della Storia e nelle rivoluzioni, che l’uomo può incontrarlo
e trovare in lui la salvezza senza conoscere direttamente il messaggio dell'Evangelo.
Respingiamo pure la riduzione non
biblica della persona e dell’opera di
Gesù alla sua umanità e al suo esempio morale. Un concetto di questo tipo sostituisce il carattere unico di Cristo e dell’Evangelo con un principio
umanitario che si ritrova pure in altre
religioni o ideologie.
4 Poiché Dio ha tanto amato il
• mondo, che ha dato il suo Figliuolo unigenito, affinché chiunque
crede in luì non perisca, ma abbia la
vita eterna (Giovanni 3: 16).
Vi supplichiamo, in nome di Cristo:
Siate riconciliati con Dio!
(2 Corinzi 5: 20).
Riconosciamo c dichiariamo che:
La Missione è la presentazione e
della predicazione, dei sacramenti e
l'attestazione della salvezza eterna,
grazie all’opera espiatrice di Gesù Cristo annunciata dalla sua Chiea e dai
suoi messaggeri qualificati per mezzo
del servizio. Questa salvezza dipende
dal sacrificio di Gesù Cristo offerto
una volta per tutte sulla Croce per la
totalità degli uomini.
L’attribuzione di questa salvezza agli
individui si compie anzitutto attraverso la proclamazione, che esige una decisione, „e attraverso il battesimo, che
mette il credente al servizio dell’amore. Come la fede conduce alla vita eterna attraverso il pentimento e il battesimo, così l’incredulità conduce alla
za speranza e senza Dio nel mondo.
(Efesini 2: 12).
Riconosciamo e dichiariamo che:
La salvezza in Gesù Cristo è offerta
senza eccezioni a tutti gli uomini che
non sono ancora legati a lui da una
fede cosciente. Gli adepti delle religioni non cristiane o di altre ideologie
non possono essere salvati se non credono. Essi devono lasciarsi liberare
dagli altri vincoli anteriori e dalle loro speranze ingannevoli per essere ricevuti nel corpo di Cristo mediante la
fede e il battesimo. Lo stesso Israele
non può trovare la salvezza se non
volgendosi a Cristo.
I
1 documento che pubblichiamo in questa pagina è la cosiddetta « Dichiarazione di Francoforte stdla crisi fondamentale della Missione » redatta dal prof. Peter Beyerhaus, direttore dellTstituto delle Missioni e di teologia ecumenica, delrUniversità di Tubinga, e presentata al Colloquio teologico che
nel marzo scorso ha riunito a Francoforte sul Meno numerosi
teologi aderenti al Movimento confessionale e « fedele alla Bibbia ». La Dichiarazione è stata approvata all’unanimità, in una
seduta di questo colloquio; fra i firmatari, i professori P. Beyerhaus (Tubinga), W. Bold (Saarbriicken), H. Engelland (Kiel),
H. Frey (Bethel), J. Heubach (Lauenburg), A. Kimme (Lipsia),
W. Kiinneth (Erlangen), O. Michel (Tubinga), W. Mindle (Marburgo), H. Rohrbach (Magonza), G. Vicedom (Neuendettelsau),
U. Wickert (Tubinga), J. W. Winterhager (Berlino).
Si tratta di un documento importante: indubbiamente discutibile, perché sorvola troppo rapidamente su vari aspetti della
presenza cristiana nel mondo (quella ideale o, piuttosto, vocazionale e quella reale) e non pare tener conto sufficiente delle ragioni di una parte almeno della contestazione alTinterno delle Chiese
cristiane, esso ha però il merito di porre apertamente problemi
sui quali si scivola volentieri, oggi; venendo da teologi certo non
ignari della scienza biblica e teologica, deve far riflettere. Con
quest’intento lo sottoponiamo ai nostri lettori.
dannazione in seguito al rifiuto della
offerta della salvezza.
Di conseguenza, ci opponiamo alla
idea oggettivista secondo la quale, grazie alla Croce e alla risurrezione di
Gesù Cristo, tutti gli uomini di ogni
epoca sono già nati di nuovo e già in
pace con I)io, a prescindere dalla
conoscenza che hanno o meno dèlia
salvezza compiuta storicamente, o della loro fede. In questa falsa prospettiva l’ordine di evangelizzare perde il
suo carattere di obbligo urgente, la
sua autorità e la sua potenza. In tal
modo gli uomini inconvertiti saranno
addormentati in una falsa sicurezza
circa la loro sorte eterna.
R Voi siete, invece, una razza eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato affinché annunciate le virtù
di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua meravigliosa luce.
(I Pietro 2: 9).
Ncn conformatevi al secolo presente.
(Romani 12: 2).
Riconosciamo e dichiariamo che:
Il compilo primario della Missione
è di chiamare fuori dai popoli una comunità messianica di salvati.
La proclamazione jnissionaria dovrebbe ovunque portare al costituirsi
della Chiesa di Gesù Cristo che manifesta, nel proprio ambiente sociale,
una nuova realtà agente come il sale
e la luce,
Attaverso l’Evangelo e i sacramenti
lo Spirito Santo dà per l’eternità ai
membri della comunità una nuova vita e una comunione spirituale fra loro
e con Dio, il quale è reale e presente
in mezzo a loro. Il compito della comunità sta nel chiamare i perduti —
in primo luogo quelli che vivono fuori — a essere salvati e a diventare così
membri del corpo di Cristo. Con la
sua testimonianza all’Evangelo essa si
pre.senta come una nuova Società.
Di conseguenza, ci opponiamo alla
idea che la Chiesa — comunità di Cristo — è semplicemente una parte del
mondo. La differenza fra la Chiesa e il
mondo non è soltanto una questione
di funzione e di conoscenza della salvezza, è piuttosto una distinzione essenziale di natura. Neghiamo che la
Chiesa non abbia, sul mondo, altro
vantaggio che la sua conoscenza di
una pretesa salvezza generale di tutti
gli uomini.
Respingiamo inoltre l’accento che
viene indebitamente posto su una salvezza che non concernerebbe altro che
questo mondo. Respingiamo pure la
teoria che pretende che la Chiesa e il
mondo godranno insieme, in avvenire,
di una riconciliazione puramente sociale dell’umanità. Tale teoria conduce
all’autodistruzione della Chiesa.
6 Ricordatevi che eravate, a quel
■ tempo, senza Cristo, privi del diritto di cittadinanza in Israele, estranei alle alleanze della promessa, sen
Di conseguenza, respingiamo la falsa dottrina la quale insegna che le religioni non cristiane e le ideologie
sono vie alla salvezza parallele alla fede in Cristo.
Respingiamo l’idea che la « presenza cristiana » fra gli adepti delle religioni del mondo e il dialogo-compartecipazione scambievole eon loro sostituiscono la proclamazione dell’Evangelo che esige la conversione. Dialoghi
di questo genere non servono che a
stabilire contatti i quali permettono
ulteriormente la comunicazione missionaria. Neghiamo che la penetrazione nel mondo di idee, di speranze e di
azioni sociali prese a prestito dal Cristianesimo — se questi sono separati
dal loro rapporto esclusivo con la persona di Gesù Cristo — possa condurre
a una religione universale che sostituirebbe la Chiesa. Quest’idea sincretista
è contraria al Cristianesimo.
Allora verrà la fine (Matteo 24: 14).
Riconosciamo e dichiariamo che:
La Missione cristiana nel mondo è
l’atto decisivo e permanente di Dio per
la salvezza degli uomini fra il tempo
della risurrezione e quello del ritorno
di Gesù Cristo. Attraverso la proclamazione dell’Evangelo le nazioni e i
popoli saranno chiamati a decidersi
pro o contro Cristo.
Quando tutti i popoli avranno udito la testimonianza resa a Gesù Cristo
e vi avranno risposto, il eonflitto fra
la Chiesa di Gesù e il mondo sfocerà,
sotto la guida dell’Anticristo, in una
lotta finale. Allora il Cristo in persona
ritornerà e farà irruzione nel tempo,
disarmando le forze malvage di Satana per stabilire il suo Regno messianico, visibile e senza limiti.
Respingiamo come non fondata la
teoria che afferma che la speranza
escatologica del Nuovo Testamento era
errata, dato che Gesù non è ancora ritornato, e che essa dev’essere abbandonata.
Respingiamo pure l’utopia dei visionari entusiasti i quali pretendono che,
sotto l’influenza dell’Evangelo o per
l’opera anonima di Cristo nella Storia,
tutta l’umanità è in marcia verso uno
stato di pace universale e di giustizia,
in una fraternità generale, sotto la
guida di Cristo.
Rifiutiamo di confondere la salvezza
messianica con il progresso, lo sviluppo o le trasformazioni della società.
Tale concezione porta fatalmente a
presentare la nostra partecipazione
agli sforzi di sviluppo della società o
il nostro impegno rivoluzionario in seno alle tensioni politiche come la forma attuale della Missione cristiana.
Tale concezione abbandonerebbe la
Chiesa in preda ai movimenti utopici
contemporanei, dei quali condividerebbe la sorte anticristiana.
Affermiamo, d’altro lato, che tutte le
Chiese devono risolutamente impegnarsi nel promuovere la giustizia e
la pace nel mondo, e che l’aiuto ai paesi « in fase di sviluppo » è il giusto
adempimento della legge divina che
esige la misericordia e la giustizia e
che Gesù ha così riassunto: « Ama
Dio... e il tuo prossimo ».
Vi vediamo un’autentificazione della
Missione. Affermiamo pure che i frutti
della conversione nella vita sociale sono segni annuncinoti la pace futura
del Regno.
Insistiamo tuttavia sul fatto che, a
differenza della validità eterna della
nostra riconciliazione con Dio mediante la fede nell’Evangelo, tutte le nostre conquiste sociali e i nostri successi parziali in politica sono limitati
dal « non ancora » del Regno futuro;
e sul fatto che il peccato, la morte e il
Diavolo, che è tuttora il « principe di
questo mondo », non sono ancora
scomparsi.
Vengono in tal modo determinate le
priorità del nostro servizio missionario, nell’attesa di Colui che ha fatto la
promessa: « Ecco, io faccio nuova
ogni cosa! » (Apocalisse 21: 5).
Il colloquio pastorale tcnuto.si lunedì 12
ottobre a Pinerolo è stato il primo colloquio
ilei nuovo anno ecclesiastico; si è accentrato
su alcuni problemi di ordine teologico e pratico di particolare interesse per tutti i pastori delle Valli ed ebbe il privilegio di essere
guidato nella sua parte teologica dalla competenza del prof. Soggin. Purtroppo per svariate
ragioni parecchi pastori non hanno potuto parteciparvi, perdendo così una preziosa occasione di studio, ed altri non hanno potuto seguire tutti i lavori sino al termine della giornata. Qualcuno ha rilevato questo fatto con
giustificata preoccupazione; arrivi in ritardo,
partenze affrettate, mancanza di impegno nel
lavoro comune, scarsa frequenza non sono da
parte dei membri del corpo pastorale un buon
esempio di operosità. E d’altra parte non si
può neppure dire che i pastori sì sottraggano
all’impegno di partecipare all’incontro regolare per pigrizia o mancanza di volontà, il più
delle volte sono impegnati altrove, vuoi in atti liturgici, visite, commissioni varie, impegni
di diversa natura. È il problema dell’impostazione generale del lavoro che si profila dietro
questa difficoltà di lavorare insieme in gruppo
o peggio di considerare tempo perso quello che
si trascorre per affrontare in comune i problemi comuni.
Dopo un breve culto iniziale, il prof. Soggin ha svolto una accurata analisi del cap. 2
della Genesi, uno fra i più complessi e ricchi
di tutto l’A.T., su questa impia trattazione
ha offerto lo spunto per riflessioni e domande. Secondo quanto era stato precedentemente convenuto questo studio biblico fornirà la
base per una nota omiletica sulla rivista
« Diakonia ».
Nel corso del pomeriggio i partecipanti
hanno affrontato anzitutto il problema della
suddivisione delle contribuzioni annue richieste al nostro distretto dalla Tavola, i Concistori dovranno prendere conoscenza di questi
dati a trasmettere le loro osservazioni alla
Commissione Distrettuale perché possa stabilire al più presto una quota definitiva. In un
secondo tempo si è ascoltata la relazione del
past. Rostagno sulle nuove forme di catechismo in attuazione nelle comunità di Berlino
da lui visitate nel corso dell’estate. Interessantissime prospettive ci sono state offerte e ci
auguriamo che il past. Rostagno dia una breve relazione di questi esperimenti anche ai
lettori del nostro giornale.
PROSSIMO INCONTRO
Il colloquio pastorale del mese di Novembre
è convocato a Pinerolo lunedi 9.
Ore 9 : Studio biblico su Genesi 3 ; 1-24 .i
cura dì Bruno Rostagno.
Ore 10,30 ; I problemi sollevati dalla progettata modifica del Sinodo ed esame del progetto a cura di F. .Davìte.
Ore 14 : Comunicazioni della Commissione
Distrettuale e della Tavola.
Il gruppo di lavoro per il dibattito sul battesimo. che verrà affrontato nei mesi di dicembre-fehbraio. ha tracciato il ])rogramma come
segue : primo incontro, relazioni su la storia
del battesimo dalla comunità primitiva alla
Riforma, il battesimo nella Scrittura (riassumendo il dizionario del Kittei): secondo incontro. stalo della questione negli ultimi decenni fino a K. Barth. il problema visto da
K. Barth: terzo incontro, prassi del battesimo
e problemi [>ratici.
G. Toukn
7 Questo evangelo del regno sarà
• predicato in tutto il mondo, quale testimonianza per tutte le nazioni.
imniiimiiiiiimimiimiiMimiiiiiiiiiiiti'<iiiiiiiiiiiiffiiiiiiiiiffiffiiii>iii"'>iffiffi<ffiffiffiffi>i"""""iiiiimiiiiiniiiMiiiiiiniiiiii; iiimiiimimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiii limi imi
UN CAPITOLO DI TEOLOGIA DELL'ANTICO TESTAMENTO PER LE NOSTRE COMUNITÀ’
La confessione di fede nei Dio creatore
Positiva risposta, Ira le chiese della Val PelUca, alla prima serie di lezioni curate dai docenti
della nostra Facoltà di teologia, su invito del Comitato del Collegio - L’operosa settimana del
prof J. A. Soggin nelle Valli
Il pensiero che Dio è il creatore dell’universo non occupa certo un posto
centrale nella teologia e nella fede dell’antico Israele. E questo non solo perché manchi ogni accenno alla creazione
nei testi che vengono considerati come
le pili antiche confessioni di fede di
Israele (per esempio, Deut, 26: 5-9), ma
proprio per la scarsità di testi che ajfermino esplicitamente che Dio è il
creatore delTunfverso.
Con questa constatazione si e aperta la serie di lezioni che il prof. Alberto Soggin, ordinario di teologia del^.^ntico 'Testamento presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma, ha tenuto a
Torre Pellice, sotto gli aruspici del Comitato del Collegio Valdese, ?nella settimana dal 12 al 17 corrente.
Il fatto stesso che un tale corso di
teologia deU’.Antico Testamento sia stato seguito con assiduità da oltre 70 persone dimostra come il prof. Soggin abbia saputo presentare il suo argomento in maniera viva ed interessante. E
questo va notato, non tanto per sottolineare la riuscita di questi corsi di
teologia, quanto piuttosto per riaffermare die il pensiero teologico non è
estraneo agli interessi dell’uomo contemporaneo ed in particolare non è
« cosa da specialisti », ma può e deve
essere indirizzato al maggior nurnero
possibile di persone delle comunità.
Cercare di condensare in poche righe
tutto quanto è stato detto appare im
Dossibile. Innanzitutto vanno esaminati
i testi di Genesi 1 e 2 ed il Salm:) 104, i
soli che trattino Targomento in maniera più o meno organica. Naturalmente
anche gli altri testi non sono stati trascurati ed è cosi apparso chiaramente
il modo di vedere deU’antico Israele:
non un interesse scientifico, nel senso
che noi diamo a questa parola, bensì
una confessione della propria fede
espressa nelle categorie del mito, servendosi abbastanza spesso di immagini
e di espressioni comuni alle altre religioni vicine. Ma pur nella affermazione di tali paralleli, il prof. Sogqin ha
mostrato come il pensiero ebraico sia
originale in questo: che esso desacralizza tutta la creazione. Per gli autori
biblici la natura ed il cosmo non appaiono come divinità che vanno temute, venerate, servite, rese propizie con
sacrifici o altre forme di culto: essi
sono semplicemente oggetto creato. E
creato in vista dell’uomo, in vista di
quell’alleanza che Dio ha stabilito con
l’umanità. Nel creato l’uomo, la più alta creatura di Dio, si muove liberamente, lo signoreggia e se lo rende soggetto. Non è chi non veda quale attualità abbiano queste affermazioni, come
sia importante per la chiesa riscoprire
che l’uomo ha una così grande dignità
e signoria nel creato solo perché è Dio
che gliele ha date.
Di grande interesse è anche stato il
tentativo del docente di esaminare il si
gnificato della creazione di fronte alle
scoperte scientifiche relative all’origine del mondo ed è stato ben esplicito
ne! dichiarare impossibile ogni forma
di apologetica, ogni tentativo cioè di
difendere il racconto biblico sulla base
di piccole analogie che si potrebbero riscontrare tra esso e le affermazioni
scientifiche. L’autore biblico non faceva della scienza e se anche avesse voluto fare della scienza non avrebbe potuto che esprimersi in termini comprensibili alla generazione sua contemporanea. L’autore dichiarava la sua
fede in questi termini e noi, cercando
di comprendere quale fosse esattamente la sua fede, possiamo trarre dal suo
messaggio la certezza che Dio vuole il
mantenimento del cosmo in cui viviamo perche è il nostro Dio e noi siamo
il suo popolo, oggetto del suo amore.
* * *
Le domeniche 11 e 18 ottobre il prof.
Soggin aveva presieduto il culto nelle
chiese di Luserna San Giovanni e di
Ferrerò; durante la settimana, oltre a
partecipare attivamente al colloquio
pastorale delle Valli, egli ha pure
tenute alcune lezioni agli alunni della
Scuola Media e del Ginnasio Liceo,
mentre la sua permanenza a Torre Pellice si è conclusa nel pomeriggio di domenica 18 con una conferenza pubblica
sul tema del Sionismo. Di tale conferenza verrà data notizie nel prossimo
numero del giornale. hr.
3
23 ottobre 1970 — N. 42
pag. 3
LA CHIESA NEL MONDO
Il protestantesimo francese
Fine della Conferenza
alla ricerca di un’unità nel pluralismo cristiana per la pace?
Lione - Riuniti per la prima volta —
all'Abresle, presso Lione — gli organi
direttivi delle due Chiese luterane (di
Francia e d’Alsazia-Lorena) e dplle due
Chiese riformate (di Francia e d’Alsazia-Lorena) francesi hanno confermato
il loro accordo con i testi elaborati nel
1968 da una commissione di studio e di
ricerca teologica sulla Cena, sulla parola di Dio e la Scrittura, sul battesimo.
Essi hanno esaminato inoltre l’avanprogetto concernente « la vita del popolo di Dio ». Quattro punti hanno dato luogo a relazioni e a dibattiti animati: la proclamazione dell’Evangelo,
unità e pluralismo, interpellanza rivolta dai gruppi contestatori, strutture
unitarie.
Nel corso di una conferenza stampa, i pastori Jacques Maury, Maurice
Sweeting, Albert Greiner, Henri Bruston e Georges Richard-Molard hanno
fatto il punto sulla situazione attuale.
In particolare, hanno insistito sulle ragioni per le quali il protestantesimo
francese non era ancora riuscito a fare la sua unità istituzionale, malgrado
lutti gli elementi che già uniscono le
quattro grandi Chiese luterane e calviniste membri della Federazione protestante di Francia: intercelebrazione,
inlercomunione, formazione comune
dei pastori, identità della liturgia di
consacrazione, numerose iniziative
svariati servizi svolti insieme, ecc.
Il past. Georges Richard-Molard, da
parte sua, ha dichiarato che è « una
chance » il fatto che le Chiese protestanti non abbiano realizzato la loro
unità strutturale alcuni anni fa, perché
essa non può essere d’un tipo troppo
monolitico. Oggi la ricerca dell’unità
istituzionale appare come un imperativo meno urgente che un tempo. Le
Chiese si sforzano soprattutto di vivere e di agire insieme e di gettare le
basi di una unità che non nuoccia al
pluralismo, nel quale si riconosce sempre più una ricchezza. Al vertice ci si
preoccupa del resto assai delle comunità di base, anche di quelle « selvagge »: esse costituiscono « forze nuove
e informali della Chiesa ».
Vaumarcus 1970
Incontro femminile
Quest’anno, come ormai da vari anni, anche la nostra F.F.V. era stata invitata a partecipare al campo organizzato dalla Federazione Svizzera delle Donne Protestanti, a Vaumarciis, alla fine di settembre.
Circa 380 donne si sono così incontrale per
La preghiera di Hahacuc
O Eterno, io ho udito il
tuo messaggio, e sono preso da timore; o Eterno, da’
vita all’opera tua nel corso
degli anni! nel corso degli
anni falla conoscere! Nell’ira, ricordati di aver pietà!
(3/1)
Il profeta prega e la sua preghiera è una solenne invocazione
a Dio. Non è una preghiera generica o sentimentale, perché essa
sgorga dal cuore di un uomo che
condivide la sorte del suo popolo
in tempi gravi e minacciosi.
Gli eventi politici sono già noti;
Israele è in balìa di potenze terrene che gravano tragicamente sulla
sua storia e ne condizionano la
testimonianza. Quando i tempi
sono malvagi, anche le scelte morali e religiose divengono motivo
di crisi profonde. L'abbandono
della fede è impressionante, tanto
più che lo si vuol mascherare con
una apparente devozione religiosa, assai più cara agli idoli che
non a Dio, all’Iddio vivente.
L'ora viene in cui Dio giudica i
« Grandi » di questo mondo; ma
non dobbiamo dimenticare che i
« Grandi » fanno in grande ciò che
i « piccoli » compiono con mezzi
molto più limitati e in condizioni
assolutamente più modeste. Perciò non possiamo rimanere in posizione di spettatori di fronte al
giudizio dei « Grandi », sfruttando le situazioni a nostro vantaggio o per i nostri interessi. Il fatto
che, nella nostra piccolezza, non
possiamo compiere il male su vasta scala, non ci libera dalle nostre colpe. Anche noi credenti,
dunque dobbiamo umiliarci, tutto
il popolo di Dio deve ascoltare le
invettive del profeta rivolte ai
grandi oppressori; « Guai a colui
che è avido d’illecito guadagno
per la sua casa, per porre il suo
nido in alto e mettersi al sicuro
dalla mano della sventura! Guai
a colui che edifica la città col sangue e fonda una città sull iniquità! Guai a collii che dà da bere al
prossimo, a te che gli versi il tuo
veleno e l’ubriachi, per guardare
la sua nudità! Guai a chi dice al
legno: "Svegliati! ” e alla pietra
muta: "Levati!" (per farne degli
idoli al posto di Dio).
La preghiera di Habacuc affonda le sue radici in questa situazione storica e religiosa; « O Eterno,
dà vita all’opera tua, nel corso degli anni falla conoscere! ». E siccome l’opera di Dio rivela sempre
le nostre infedeltà ed i nostri errori, l’invocazione del profeta assume l’aspetto di un grido rivolto
ùll’Eterno affinché Egli manifesti
la Sua pietà; « Nell'ira, ricordati
d’aver pietà! »
Non possiamo fare a meno di
ascoltare la preghiera di Habacuc
e di riflettere sul nostro tempo,
specialmente sul tempo in cui la
nostra chiesa vive, confessa la sua
fede e risponde alla vocazione che
il Signore le ha rivolto. È un tempo di ricerche, di tensioni, di programmi discussi e contestati. Parliamo spesso dell’opera di Dio come se essa coincidesse sempre con
la nostra e dell’opera « nostra »
come se si trattasse sempre dei
piani di Dio per la chiesa e per
l’umanità. C’è in molti credenti un
senso di disagio morale e di disorientamento, si sente che un’epoca s^.a tramontando, non si vede
ancora bene come e quale sarà la
chiesa di domani.
Oggi, come ai tempi di Habacuc,
è necessario che Dio dia vita all’opera Sua, nella nostra chiesa, e
la faccia conoscere nel corso degli
anni. È estremamente attuale la
preghiera del profeta, affinché non
c’illudiamo di compiere l’opera
che è Sua e cessiamo di fare appello prima di tutto ai nostri giudizi, alla nostra sicurezza umana,
alle nostre soluzioni e alla nostra
strategia ecclesiastica. L’aula sinodale è il luogo dei nostri dibattiti sui problemi della chiesa; è
giusto che sia così, ma dobbiamo
riconoscere che molte volte non
abbiamo l’animo all’opera di Dio
e ci accontentiamo di rimanere
sul piano delle nostre opere e dei
nostri affari ecclesiastici, veramente « troppo nostri ». Ragione
per cui vorrei che, sull’abside dell’aula sinodale, accanto al Giuro
di Sibaud con la sua promessa di
fedeltà « fino all’ultima goccia del
nostro sangue », venissero scolpite le parole della preghiera di Habacuc; « O Eterno, dà vita all’opera tua nel corso degli anni! nel
corso degli anni, falla conoscere!
Nell’ira, ricordati di aver pietà! ».
Pietà di noi, delle nostre molte
parole, dei nostri sospetti, delle
nostre orgogliose certezze, ma anche di noi, e del servizio che abbiamo compiuto in uno sforzo di
fedeltà, perché anche la nostra fedeltà non può sussistere senza la
grazia ed il perdono del Signore.
Tutti noi, giovani e anziani cerchiamo di far nostra la preghiera
di Habacuc, specialmente quando
ci è difficile scorgere la via da seguire. Dio ci liberi dalle nostre illusioni e infonda nei nostri cuori
una vera fiducia in Lui. Dio sa,
meglio di noi, condurre innanzi la
Sua opera, oggi e fino al giorno in
cui Egli risponderà pienamente
alla preghiera della chiesa; « Vieni, Signor Gesù ».
Ermanno Rostan
vivere insieme una esperienza di lavoro di ricerca. di gioco, di meditazione, sul tema « Vivere da adulti ».
A differenza degli altri anni, le partecipanti erano state ripartite in una ventina di gruppi che hanno studiato insieme il testo biblico
posto alla base del tema. Luca 9 ; 57-62, secondo un questionario preparato. Ogni gruppo, dopo la discussione, consegnava le sue risposte alla équipe responsabile (uno psicologo e due pastori) che ne faceva una sintesi.
-Al pomeriggio, una distensione era proposta dai giochi, sempre sul tema del campo:
si trattava, per ogni gruppo, di illustrare cantando. ballando o recitando, un modo di vivere da adulti.
Un numeroso gruppo di sorelle africane
francofone, con i loro magnifici costumi, partecipavano al campo che si è concluso con un
Culto di Santa Cena,
La straordinaria fraternità, una alta spiritualità, un vivissimo ascolto ed un interesse
concrrto per il problema della nostra emigrazione, che ero stata incaricata di presentare
dal Comitato Nazionale, mi hanno lasciato
una gioia profonda ed una sincera gratitudine
per le sorelle svizzere che hanno cosi voluto dividere con noi i loro problemi e la nostra comune fede.
Etiennette Jalla
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
Un docnmento della
Comunità del Vandallno
In occasione dell'incontro avi^enuto il 28
settembre, a Roma, ira il pontefice romano
Paolo VI e il presidente degli Stati Uniti
Nixon. la Comunità cattolica dissidente del
Vandalino ha elaborato e diffuso questo documentò. che illustra bene Vatteggiamento
fortemente critico della Comunità nei confronti del pontefice, della sua posizione e della
sua azione.
l'incontro tra don padroni;
Paoio Ili - Nixon
Come viene presentato allopinione pubblica questo incontro che nella persona di Paolo
VI sembra impegnare lutti i credenti?
Di fronte a certi silenzi colpevoli (Pio XII).
oggi il Papa si pronuncia e. servendosi della
sua autorità morale, si propone mediatore di
pace come capo di stato che tratta diplomaticamente con un altro capo di stato per ricomporre Vordine pericolante.
NOI NON RICONOSCIAMO
1) Nella « pace » di Paolo VI quella del
Cristo, che nasce fra uguali sulla giustizia e
non vuole conciliare sfruttatori e sfruttali né
oppressori e oppressi. Non riconosciamo un
papa che appare come media lore di pace, ma
che in realtà è disposto ad allearsi con chiunque gli permetta di custodire saldamente tutto il suo potere. Non lo riconosciamo quell’Uomo di buona volontà che opera per la liberazione. perché ricevere Nixon è scegliere chiaramente la parte degli sfruttatori e, quando
sono di questo calibro, la parte dei guerrafondai.
2) Nel^ord^/^e che Paolo VI difende, la
espressione della fraternità organizzata per il
bene dì tutti, ma l’imposizione delFinteresse
di pochi potenti attraverso ogni forma di violenza anche se mascherata.
3) Nel potere che in questo modo Paolo VI
esprime, queU’autorità morale che il Vangelo
conferi.sce a chi — come il Cristo — ha scelto i poveri. Né riteniamo che di questo potere ci sì liberi abbandonando la religione. Su
cattolici e non cattolici pesa allo stesso modo
il potere della Chiesa : Divorzio - Controllo
delle nascite • Concordato (religione di stato,
privilegi della casta pretesca, matrimonio religioso. ecc.) - Ruolo del Vaticano nel capitalismo {2'" azionista in Italia, esente dalla cedolare) • Legami della chiesa con i cattolicissimi
governi dittatoriali (Spagna, Portogallo, Brasile, ecc.).
Comunità del Vandalino
Espressioni analoghe si ritrovano in un documento simile diffuso dalla comunità fiorentina deirisolotto. Vogliamo qui riportare
ancora alcune espressioni di un articolo in
proposito puhblirato da Raniero La Valle nella rubrica « Uomini e religioni » su <r La
Stampa »:
« È stato Nixon stesso, con ignara rudezza, a porre il problema cruciale della Chiesa
d'oggi, che è il problema del rapporto con il
potere. Lo ha posto quando ha messa a confronto, dinanzi al Papa, la Sesta flotta e il Vaticano, « la più potente flotta militare che abbia mai solcato un oceano » e « un altra forma
di potere, il potere spirituale che anima le narÀoni e uomini ».
« Cerio, a pochi .sarebbe venuto in mente
(li fare un simile paragone, che riporta le
relazioni fra Chiesa c mondo al clima e al
linguaggio del regno dei Franchi; e il Papa
avrà trasalito, nell'ascoltare queste parole.
Ma se un tale paragone si può fare, vuol dire
che tra le due cose si trova qualco.sa di comune. altrimenti il confronto è impossibile. E
Nixon ha trovato, tra la Chiesa e la Sesta
flotta, questo di comune : che ambedue sono
una ’’forma di potere”, militare 1 uno, spirituale l'altro ».
Parigi (hip). - La crisi della Conferenza cristiana per la pace (CCP) ha raggiunto un punto senza ritorno. È noto
che, in seguito alle dimissioni forzate
del segretario generale J. N. Ondra e
alle dimissioni e alla morte del presidente J. L. Hromadka, i vicepresidenti
avevano tentato di raggiungere un compromesso che permettesse la ripresa di
un lavoro positivo, nella fiducia (sessione di Mosca, 1-2 febbraio 1970). Tuttavia alla sessione straordinaria del Comitato di lavoro (Praga, 27-28 febbraio
1970) risultava chiaro che i rappresentanti dei paesi socialisti erano decisi
a imporre alla CCP una linea strettamente conforme alla politica attuale
dei loro governi. Qualsiasi dibattito si
rivelava impossibile e la quasi totalità
dei rappresentanti occidentali e del terzo mondo abbandonavano la seduta,
redigendo una lettera che spiegava la
loro posizione.
Riuniti in Gran Bretagna alla metà
di giugno, i rappresentanti del Praesidium della CCP, del Praesidium del
suo Comitato di continuazione e dei comitati regionali di questi stessi paesi,
definirono le condizioni per la ripresa
di un lavoro in comune. Proponevano
l’incontro delle due delegazioni per un
ultimo tentativo di negoziato. Il metropolita Nikodim e il segretario generale ad interim J. Makovski opposero
a tale offerta un rifiuto categorico.
Nel corso dell’estate vari membri del
Comitato di lavoro e del segretariato
internazionale dei paesi occidentali e
del terzo mondo ricevettero dal segretario generale ad interim una lettera
personale che ingiungeva loro di dichiarare per iscritto il loro accordo totale
con tutte le decisioni prese a Praga in
febbraio: in caso contrario non avrebbero ricevuto l’invito ufficiale per la
sessione dei comitali di lavoro e del
segretariato internazionale, a Budapest.
Il rifiuto unanime di questo ultimatum,
da parte degli interessati, li mise automaticamente nell’impossibilità di ottenere il visto per assistere alle riunioni
che si sono tenute nella capitale ungherese dal 27 settembre al 1“ ottobre 1970.
Questi organismi, così « purgati » da
ogni opposizione, hanno indirizzato ai
due vicepresidenti occidentali della
CCP, il prof. G. Casalis e il dr. H.
Kloppenburg, questo telegramma: « La
informo che il Comitato di lavoro ha
deciso di liberarLa dall’incarico di vicepresidente della CCP, firmato: .metropolita Nikodim, presidente del Comitato di continuazione ».
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIKIIIIIMIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
A DETROIT I CATTOLICI
NON POSSONO ANDARE
AL CINEMA CON LA FAMIGLIA
Detroit (Relazioni Religiose) - Due .sacerdoti di Detroit avevano fondato la « Family
Films Ine. », una impresa non a scopo di lucro il cui unico interesse era quello di far
venire in città dei films che fossero visibili
anche da parte delle famiglie cattoliche. I
parrocchiani di Detroit si erano lamentati
presso i loro sacerdoti del fatto che i films
proiettati nell'area cittadina erano tali da
sconsigliare di portarvi i figli e che tale situazione era ormai una regola. La nuova impresa cinematografica cattolica, però, ha resistito .solo due mesi. La mancanza di lucro ha
causato in.so.slenihili difficoltà economiche.
SEMPRE GRAVE LA CRISI
DELLE SCUOLE CATTOLICHE USA
Miltcaukee (Relazioni Religio.se) - La ripresa del nuovo anno scolastico negli Stati Uniti
vede una notevole riduzione del numero delie
scuole cattoliche. Nello Stalo del Wisconsin
quest’anno hanno chiuso i battenti 25 scuole
cattoliche elementari e una scuola superiore.
Lo scorso anno, sempre nel Wisconsin, le
scuole cattoliche chiuse erano 39. Come noto, l'attuale crisi delle scuole cattoliche LISA
ha all’origine gravi difficoltà finanziarie che
la Chiesa Cattolica non è riu.scita a .superare.
Nord - Sud - Est - Ovest
a cura di Claudia Peyrot
"Per documenti falsi e inesatti”
Licenziato in Francia
nn prete nperain
Parigi (Ansa). - Il problema dell’integrazione dei preti operai nelle fabbriche è nuovamente riproposto in Francia da un caso, verificatosi a Denain, nel dipartimento del Nord,
che suscita considerevole scalpore e che provoca una vera e propria mobilitazione sindacale.
Il licenziamento senza preavviso dì don Hubert David dagli stabilimenti metallurgici del11 società Fives-Lille-Cail ha già dato luogo
ad uno sciopero di protesta di un ora da parte
delle maestranze e di tutto il personale dirigente, e la battaglia non è che agli inìzi. Don
David, che ha 31 anni, fa parte del gruppo
sacerdotale della parrocchia dì Escaudin; egli
si era fatto assumere il 15 giugno scorso con
raccordo delle autorità ecclesiastiche, in qualità di fresatore. All’epoca dell’assunzione aveva omesso di comunicare ufficialmente alla direzione degli stabilimenti di essere un sacerdote e. paradossalmente, è quanto gli viene
rimproveralo. La lettera di licenziamento precisa infatti che egli non ha tenuto conto
deirarticolo 2 del regolamento interno e reca
fra Faltro; «Applichiamo la disposizione la
quale prevede che ogni consegna di documenti inesatti e falsificati, ogni falsa dichiarazione, non appena constatata, provocherà il licenziamento in tronco
Don David replica che la direzione non poteva ignorare il suo stato di ecclesiastico: gli
era già accaduto di celebrare il matrimonio di
operai degli stabilimenti e di battezzare i figli
e lutti sapevano che era un sacerdote. In ogni
caso, omettendo di indicare ufficialmente la
sua qualità di prete, don David non è venuto
meno alle regole concernenti le funzioni del
prete operaio. Al contrario. Negli ambienti
vicini aU'epìscopato si sottolinea infatti che un
sacerdote della « Missione Operaia » non è
mai tenuto a dire che è prete. Nulla glielo
impone.
Per i sindacali, il licenziamento di don
Hubert David è un provvedimento arbitrario
che « lede i diritti della vita privata delVindividuo ». Dopo il primo sciopero d'avvertimento, una delegazione intersindacale si è recata
airispetlorato del lavoro per chiedere che sia
fatta opposizione al licenziamento. L’Ispettorato dovrà pronunciarsi entro la fine della settimana e dire in particolare se la funzione di
sacerdote faccia parte o no della vita privata
• lì un individuo.
MATRIMONI MISTI
E RESPONSABILITÀ’ CRISTIANE
Berna (soepi). - La conferenza dei vescovi
svizzeri continuerà ad adoprarsi in unione
con le altre Chiese (sìa protestanti che vec
chio-cattoliche) « affinché si possa un giorno
riconoscere la validità di tutti i matrimoni
misti )). È su questa speranza per una soluzione globale che si pongono le nuove direttive
dell’episcopato svizzero, rese note da poco
pubblicamente, in seguito alla Lettera apostolica (( Matrimonia mìxta » pubblicala a Roma lo scorso 31 marzo. Se i curati della parrocchia (non più solamente i vescovi ed ancor prima il Vaticano) possono da parte loro
accordare l’autorizzazione a contrarre un
matrimonio misto, Limportanza di queste direttive risiede essenzialmente nel fatto che la
responsabilità verso la Chiesa, verso il congiunto e verso i figli spetta ormai intcrament2 ai fidanzati.
La parte cattolica deve ancora adoprarsi
ad ottenere il battesimo e l'educazione cattolica dei ragazzi « per tanto che ciò .sia possibile esaminando le circostanze concrete del suo
matrimonio ». I vescovi svizzeri invitano tuttavia le commissioni ecumeniche in dialogo a
studiare il problema di una pastorale ecumenica dei matrimoni misti, non avendo il sistema delle dispense, sempre in vigore, ancora
apportato alcuna soluzione soddisfacente.
Le direttive pubblicate quasi simidlaneamciite dalla Conferenza episcopale della Germania dell’ovest per rapplicazione del « molli proprio » di Paolo VI sui matrimoni misti,
per ciò che concerne l'essenziale, non diiTerìscono da quelle dei vescovi .svìzzeri.
Sebbene il « motu proprio » del 21 marzo
debita risultare valido per tutto il mondo dal
primo ottobre 1970. l'episcopato francese non
prenderà delle direttive che dopo la sua assemblea annuale di Lourdes a fine otlolire.
CATTOLICI E PROTESTANTI
CHIEDONO AL GOVERNO
CANADESE UNA NUOVA
POLITICA SOCIALE
Ottawa (Relazioni Religiose) - Aleimi rappresentanti della Conferenza Episcopale Canadese e del Consiglio jiroleslanie canadese delle
Chiese hanno rivolto un comune appello al
governo del paese ])cr sollecitare una nuova
politica sociale « che faccia del benessere limano la più urgente priorità pubblica ». Nel
documento congiunto, è .stato chiesto un piano nazionale per garantire una certa entrata
annua e un coordinamento tra la politica sociale e la politica tributaria. Nel documento sì
nota anche che il 25% della popolazione canadese vive al limile della povertà.
LE RETATE A MANILA
Manila (Relazioni Religiose) - La jiolizia e
Fesercito filippino hanno intensificato in tutto
il paese, e specialmente nella capitale, le retale contro i « sovversivi ». Ufficialmente si dice che sì tratta di misure precauzionali in vista della venuta di Paolo VI per il 27 novembre. La data è ancora lontana e le retate sono
già in corso. Evidentemente il governo filippino nel suo zelo « cattolico » sta facendo un
cattivo servizio al capo della Chiesa Cattolica.
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pag. 4
N. 42 — 23 ottobre 1970
RIFLESSIONI IN MARGINE AL SINODO
Nella prima parte delle sue « riflessioni », pubblicata nel numero scorso,
G. Tourn lamentava il fatto che la scissione cronica fra la teoria e la pratica
abbia così spesso per riflesso l’accettazione teorica di ordini del giorno anche
modestamente innovatori e il rifiuto
de facto di attuarli vivendoli. Quali le
ragioni? red.
Se le conseguenze di questa divisione
tra teoria e pratica sono, come si è detto, gravi e cariche di pericoli, ci può
forse aiutare nella ricerca di una soluzione il chiederci perché si sia creata
questa situazione. Una domanda a cui
ognuno può dare una sua risposta e
che non pretendiamo saper esaurire in
poche note, tutto sommato orientative.
Le cause di questa situazione ci sembrano essere quattro.
Una difficoltà di linguaggio anzitutto.
Gli Ordini del Giorno del nostro Sinodo, cui abbiamo fatto allusione, sono
estremamente belli da leggere e qualcuno lo ha fatto rilevare anche quest’anno; una pro.sa densa di significati, parole ricche di pensiero, ma nella gran
maggioranza dei casi incomprensibili.
Testi scritti da gente abituata a scrivere e parlare in teoria, difficili perciò da
capire.
Il linguaggio da iniziati
è mancanza di amore fraterno
Sono tali per due motivi: difficili i
pensieri espressi e difficili le parole.
« Passaggio da una vita ecclesiastica
statica e invecchiata a una nuova e dinamica », « essere diaspora di comunità
aperte, confessanti », « ogni residuo di
compromissione costantiniana sparisca », « la nuova struttura ecclesiologica deve essere al servizio della chiesa
nel mondo » ecc.: queste sono alcune
delle frasi che propongono alle nostre
comunità una via di rinnovamento.
Personalmente comprendo che cosa intendono dire, vedo le conseguenze di
questo discorso, so dove si va su quella strada e mi ci incammino lietamente perché considero che quella sia la
via su cui Cristo ci chiama; mi domando però se mio fratello, a cui pure queste parole sono rivolte, capisce di che
si tratta, mi chiedo se afferra pienamente i pensieri che stanno alla base
di queste affermazioni. Una nuova
struttura ecclesiologica va bene per
me; come, in pratica, si esprime per i
fedeli delle nostre comunità? Adopero
internazionalmente la parola « fedeli »
cioè i fratelli, che vivono nell’ambito
della vita ecclesiastica senza responsabilità precise, affezionati alla loro chiesa, interessati a quello che propone.
Significa cambiare la forma della parrocchia, significa cambiare il culto domenicale, mutare certe abitudini, forse
non avere più un pastore per ogni comunità, impegnare diversamente i
membri del Concistoro, questo significa « nuova struttura ecclesiologica ». Il
Sinodo non è autorizzato a dire alle comunità X o Y come deve darsi questa
nuova forma, non ha né i mezzi, né la
possibilità né l’autorità di dire ai fratelli di X o Y: « dovete fare così »; ma
se si cammina tutti verso del nuovo,
nuovo deve esserci.
I delegati che hanno approvato questo termine lo hanno fatto perché hanno presentito, intuito, come dicevamo,
la validità del richiamo ma hanno potuto votare a cuor leggero perché non
La difficile e umile
battaglia della semplicità
È questa, della semplicità, una battaglia che alcuni conducono da qualche
tempo, ma che sembra perduta in partenza sul fronte dei vecchi e dei giovani; sembra che ognuno si faccia un dovere di scrivere in modo che gli altri
non capiscano, in modo che debbano
rileggere tre volte le sue frasi. Se la
sapienza del mondo è perfettamente a
suo agio in questa vanità di scribacchini astrusi (ermetici, per dirla con una
bella parola), la comunità di Gesù Cristo non è fatta da gente che risolve rebus e cruciverba. È chiaro che scrivere
semplicemente è molto più difficile e
richiede molto più tempo che scrivere
con termini tecnici. Scrivere in modo
semplice, al punto che sembri banale,
richiede riflessione e meditazione e sopratutto richiede che si sia assimilato
in modo assoluto il problema di cui si
parla. Rimuginare le cose dentro, passarle per la mente avanti e indietro,
scriverle due, tre, quattro volte per
avere come risultato poche paginette,
non è cosa impossibile, ma richiede una
volontà perseverante e sopratutto richiede umiltà.
Qui sta il problema sostanziale; nell’ambito che ci interessa, quello della
comunità cristiana, non si tratta solo
di scrivere semplice e farsi capire, si
tratta di rispettare il fratello.
Per noi il problema non è solo il superamento di un determinato tipo di
cultura, l’abbandono di una terminologia complessa per esprimere concetti
semplici. Si tratta di qualcosa di più:
imparare ad edificare la comunità col
tuo discorso. Ogniqualvolta rivolgiamo
alla chiesa una parola, un appello, un
messaggio che è nelle parole o nei concetti troppo difficile da comprendere (o,
peggio, difficile perché non abbiamo
avuto tempo e voglia di renderlo semplice), siamo come quei credenti di Corinto che parlavano in lingue, avendo
l’illusione di essere ispirati; ispirati lo
erano, ma per il proprio bene, per sé,
edificavano se stessi, dice Paolo, privando i fratelli della loro parola. Ogni volta che usiamo un linguaggio astruso,
togliamo qualcosa a qualcuno, impediamo a un fratello di afferrare un problema, manchiamo al nostro compito pastorale.
Quando Conte parla nell'articolo citato della « funzione dottorale » dei pastori, che intende dire? Che dobbiamo
La piaga deirautoritarismo
nel fare e disfare
hanno capito il significato del problema che sta dietro queste parole. E non
sono difficili soltanto i concetti, ma i
termini stessi: « ecclesiologico » « teologico », « costantinianesimo » ed altri
ancora, tutte espressioni che non sono
di uso corrente, che si leggono di rado
sul giornale (e forse non tutti leggono
il giornale!), che non ricorrono nel discorso cotidiano. E giusto adoperarle
perché esprimono delle realtà e delle
prese di posizione, ma non ritengo sia
possibile adoperarle senza spiegarle e
sopratutto in una dose tale che il discorso riesca oscuro.
Ciò che maggiormente mi colpisce,
però, è che proprio quando ci impegnamo a spiegare le cose, l’oscurità sembra farsi più fitta. Il nostro direttore
ha ritenuto doveroso, e forse lo era,
forse non lo era, dare una spiegazione
della mancata approvazione dell’Ordine
del Giorno sulla riforma del Sinodo.
Una proposta che non è stata approvata ed è stata oggetto di dibattito acceso. La questione che sta dietro questa
votazione, dice, è molto più importante
del Sinodo ridotto o non ridotto, è la
questione dell’impostazione che diamo
alla nostra vita di credenti. Non dico
il contrario, ma chi è in grado di afferrare il significato del suo discorso
quando afferma: « a una situazione patologica del genere non si pone rimedio svalutando e al limite diffamando
il ministero pastorale, svuotandolo in
una confusione comunitaria che non è
necessariamente carismatica »? O quando scrive: « L’ambiguità delle formulazioni, una indubbia asprezza nei contrasti, sono il frutto obbligato della
tendenza ecclesiocentrica e non teocentrica odierna »? Si intuisce più o meno
la direzione del suo dire, ma non se ne
afferra il senso pieno, perché i termini
sono estremamente tecnici ed il concetto è ostico. E il nostro direttore è,
fra tutti coloro che scrivono, fra i più
seriamente impegnati nella ricerca della chiarezza e della semplicità.
Scegliamo due esempi distanti nel
tempo e di poco rilievo, tali da non suscitare polemiche. Chi ha chiesto alla
comunità il suo parere per introdurre
la festa dell’albero di Natale? Nessuno.
Con la nascita di Gesù non ha nulla a
che fare, è tradizione dei popoli nordici in epoca del solstizio d’inverno; ci
è giunta dalle comunità protestanti europee per merito di qualche giovane
pastore o monitrice pieni di buona volontà. Non l’hanno chiesta i bambini,
che non ne avevano la minima idea,
non i genitori, che non l’avevano mai
vista, i vecchi della comunità hanno
indubbiamente protestato contro il paganesimo delle luminarie cattoliche, degli addobbi e candeline, e protestavano
a ragione, ma inutilmente: la festa si
è fatta e c’è stato qualche scontento in
più. Chi l’ha voluta, dato che nessuno
l’aveva chiesta? Le autorità, forse il
solo pastore, « loro », come dice il fedele diseducato di cui abbiamo parlato
la scorsa settimana. Oggi molti sarebbero tentati di abolirla, e probabilmente hanno ragione: l’aspetto festaiolo soverchia quello spirituale, anche se non
tutto è male. Abolirla con lo stesso metodo di imposizione, dire dall’oggi al
domani: non si farà più o si fa diversi,
è valido nella sostanza delle cose, è
perù diseducante nel modo; è autorità,
non educazione alle scelte.
In un campo non molto dissimile, anche se più serio: abbiamo ritenuto utile e necessario modificare il nostro insegnamento biblico nelle scuole domenicali, si sono introdotti manuali, libri,
domande ecc. Si è abolito l’uso di imparare a memoria dei versetti. .Anche
in questo caso le motivazioni sono fondate; nella scuola che i ragazzi frequentano, tante cose sono cambiate nel corso degli ultimi anni, è perciò giusto, e
ragionevole, che qualcosa si faccia anche nel settore cieH’insegnamento bibli
co. Lo si è però fatto senza che la decisione fosse compresa, valutata, capita,
accolta, non ci si è preoccupati di rendere ragione alla comunità della nuova
impostazione che si stava iniziando, si
è presa la decisione e si è attuata. Cosi
facendo si è commesso un errore, non
per quel che si è fatto, ma per il modo
di farlo. Non si è aiutata la famiglia, la
nonna, la monitrice a capire che l’abbandono dello studio mnemonico di un
versetto non significava abbandono della Bibbia, ma ricerca di un nuovo metodo di insegnamento. Si doveva però
chiedere alla famiglia come pensava potersi inserire in questo nuovo insegnamento.
La questione che sta alla base è estremamente grave, lo riconosce il nostro
Direttore nel suo già citato commento
all’o.d.g. sul Sinodo, è il problema dell'autorità dei pastori. C’è oggi chi la
contesta (e probabilmente la contesta
per le stesse ragioni per cui si contesta
ogni forma di autorità), c’è chi la nega
(e forse lo fa esprimendo un malessere,
una ricerca di qualcosa di diverso, di
nuovo, di più valido), c’è chi la svaluta,
o la diffama (si tratta probabilmente di
gente che ha una idea tutta mondana,
« secolare » nella chiesa). Stanno realmente così le cose? Sembra di sì. E perché tutto è in subbuglio al giorno d’oggi e tutto deve essere cambiato? Probabilmente per un motivo diverso, molto più profondo e direttamente connesso con la nostra vita spirituale. Questo
è il frutto di una impostazione non
evangelica del ministerio pastorale, è
il risultato di una attività pastorale autoritaria, padronale. La questione certo
non è nell’annullare il pastorato, o nel
carattere clericale del corpo pastorale,
o nelle divisioni teologiche, ma nella
chiara visione dell’impegno pastorale e
nella scoperta, difficile a rischiosa, de!
fatto che autorità non è potere.
Autorità non è potere
(il problema del pastorato)
essere tutti maestri in cattedra con le
chiese ai propri piedi, in ascolto,? No
di certo, intende, penso, dire semplicemente che dobbiamo essere fratelli che
aiutano altri fratelli a pensare, a riflettere, a comprendere i problemi e le soluzioni che l’Evangelo suggerisce. E se
questo discorso vale per tutti i pastori, per i professori in teologia, per chi
scrive libri e opuscoli, dobbiamo riconoscere onestamente che siamo stati
infedeli a questa vocazione di insegnamento. Siamo stati incapaci di mediare
i problemi della teologia alla chiesa, di
spiegare le questioni, le parole, il vocabolario che usiamo, incapaci di metterci al livello dei fratelli pensando per
loro.
Mi si intenda bene: non dico pensare al posto degli altri, cioè agire nella
comunità al posto degli altri e dire
agli altri come devono agire, ma riflettere alle cose in modo che tutti siano
in grado di comprenderle.
Se la chiesa non capisce è probabilmente perché non è stata aiutata a capire.
A questo si connette subito il secondo errore. Perché non la si è aiutata a
capire? Perché ci si è comportati nei
suoi riguardi con autorità, come gente
che comanda e non serve. Non è questa
una accusa gratuita, un rimprovero fatto a casaccio, una critica indirizzata a
una generazione di uomini o a persone
specifiche, è la situazione di tutti, tutti
siamo stati e siamo tuttora autoritari
nei confronti di una parte della nostra
comunità. Lo sapeva bene Gesù, che ribadì tante volte questo concetto: non
siete maestri, padroni, autorità, ma servitori come Me. Se lo ha sottolineato
con tanta insistenza, è semplicemente
perché sapeva molto bene che di nostra
iniziativa siamo portati a fare il contrario, a comandare e spadroneggiare.
La chiesa non capisce, perché è stata
governata. Le innovazioni le sono state
imposte dall’alto, per motivi sempre
validi, certo, ma sempre imposti, si è
fatto e disfatto, deciso e modificato
senza chiedere niente a nessuno, senza
condurre a riflessione matura nessuno.
Si sono cercati dei gregari, dei fratelli
pronti a seguire delle direttive ed a votare, non a pensare.
Ogni ministerio ha nella comunità
una sua autorità, nel senso che ha il
suo posto insostituibile ed è vissuto al
servizio dei fratelli. Avere autorità significa avere una funzione insostituibile per gli altri, non decidere. Non fare e
disfare, ma essere presenti in modo
tale che quello che dai e dici porta
frutto. Un pastore ha veramente autorità non solo nella « sua » parrocchia
( « sua » nel senso che è il luogo dove
opera) ma in tutta la Chiesa, quando
ha creato delle cellule di vita responsabile; avere potere significa invece comandare. Quando si dice che i pastori
devono avere autorità, o hanno una autorità si fa una affei mazione pienamente valida, anche se forse male espressa,
ma questo significa che non devono
avere potere, non devono comandare.
Varrebbe la pena leggere e meditare le
lettere di Paolo a questo riguardo, se
c’è un apostolo pienamente sconscio
della sua autorità, fermamente deciso a non cedere un centesimo di questa autorità è proprio lui, ma quanta
autentica umiltà nel suo discorso! Prega, supplica, insiste, minaccia, richiama ma come uno fra tutti, come uno
che non ha potere di decidere.
C’è però un terzo errore di impostazione che ha condotto le nostre comunità a dissociare in modo così radicale
la teoria e la pratica, la predicazione e
la vita: è il nostro stesso modo di predicare. Abbiamo spesso predicato in
modo astratto, senza cioè che le parole dette dal pulpito dessero poi una
qualche forma alla vita della chiesa.
Ricorriamo anche in questo caso ad un
esempio. Un certo dibattito c’è stato
fra noi lo scorso inverno, in particolar
modo nelle comunità delle Valli vaidesi, riguardo al tema della confermazione, dei matrimoni, dei funerali. Non
tanto sulle questioni in sé quanto sugli aspetti esteriori connessi a questi
momenti della vita ecclesiastica, sulla
tendenza a imitare l’ambiente che ci
circonda, facendo di questi momenti di
riflessione e di predicazione delle cerimonie.
Abbiamo cercato, senza molto risultato sinora, di chiarire la differenza tra
una cerimonia e un culto, tra la cerimonia nuziale e lo scambio di promesse tra due sposi credenti, tra il funerale attuale e la solidarietà della comunione fraterna, tra l’impegno nella chiesa e la confermazione. Uno degli argomenti che più spesso è venuto a galla
in queste conversazioni (da parte dei
pastori soprattutto) è stato questo:
non cambiamo nulla, lasciamo le cose
come sono perché quelle sono delle
« occasioni » per predicare. E vero: la
folla che partecipa al funerale di un
fratello di chiesa è superiore al gruppo
esiguo che si raccoglie per il culto; ed
è vero che in quella circostanza il pastore può predicare ciò che vuole. Vi
saranno approvazioni se dirà quello
che tutti aspettano, proteste se dirà il
contrario, ma in sostanza tutti sono
presenti, ed ascoltano. L’occasione c’è,
ma di fare che? Di parlare. Alla gente
non da fastidio sentire parlare, piace o
da fastidio secondo le cose che dici,
ma non crea niente, perché dopo è come prima. Sono le cose fatte diversamente che cambiano la vita della chiesa, non le prediche. Errore, mi si dirà,
tragico errore! Così dicendo tu non credi allo Spirito di Dio e dai troppa importanza alla realtà materiale. Quando
si predica l’Evangelo davvero, si trasformano le coscienze; quando è la vera parola di Dio che viene annunziata,
succede qualcosa di nuovo nel cuore
degli uomini. Bisogna preoccuparsi soprattutto, e prima di tutto, della vocazione di Dio e dopo, solo dopo delle nostre realtà. E quanto dice il direttore
del nostro giornale: la tendenza ecclesiocentrica e non teocentrica è il pericolo, pensare alla chiesa e non a Dio
sarà la nostra rovina.
I riflessi evidenti e gravi
di una predicazione astratta
La nostra rovina sarà rinchiudere lo
Spirito nelle cerimonie, ridurre la parola dell’Evangelo a cororiamento delle
nostre idee e dei nostri bisogni. La Parola di Dio è efficace, indubbiamente e
certamente efficace, ma quando rinnova e trasforma una realtà. Non si può
predicare la domenica mattina sull’onestà della fede, la coerenza dell’impegno, il Regno di Dio e i segni del Regno e lanciare il pomeriggio una lotteria (cioè il gioco d’azzardo, perché si
tratta di quello, anche se fatto a buon
fine) per una attività comunitaria.
Questo equivoco è inavvertitamente
penetrato nella nostra predicazione, se
vogliamo, nella nostra cura d’anime,
nel nostro modo di impostare la vita
della comunità e la sua testimonianza.
E, si noti, questa malattia del dire e
non fare, o far altro, ha contagiato i
nostri figli, che gridano alla rivoluzione
e fanno i piccoli borghesi, che registrano i loro canti di protesta con registratori da 300.000 lire.
Le occasioni di parlare ci sono, e
sono molte, ma le sole efficaci sono
quelle dei fatti: anziché nei discorsi,
qualcosa cambierà, o meglio l’occasione di riflettere alle verità evangeliche
ci sarà, quando una coppia di sposi rinuncerà alla « sua » cerimonia nuziale
e esprimerà la sua promessa di fedeltà
nel culto della chiesa; quando un fratello chiederà di essere sepolto come i
suoi padri, senza cerimonie, fiori, lapidi e cortei; quando un giovane oltrepasserà il fatidico muro dei 17 anni,
per entrare nella chiesa da persona responsabile. Allora, la predicazione comincerà a fare riflettere.
Si tratta di cose insignificanti nel
mondo d’oggi: che importa — di fronte
alle rivoluzioni del ’Terzo Mondo, al
razzismo, alla guerra — che uno si faccia seppellire con i fiori o senza! Importa, perché ognuno risponderà delle
sue azioni e non delle parole e dei proclami della sua chiesa. Il corpo di Cristo si è costruito nella storia con i gesti sconosciuti, minimi, insignificanti
di credenti coerenti, non con i messaggi. E, detto tra parentesi, farebbe ridere se non facesse piangere che una
chiesa come come la nostra, che iscrive
al suo bilancio somme cospicue per
mantenersi, cioè per far funzionare i
suoi stabili, la sua vita, rivolga al suo
governo « vibranti proteste » per la politica economica che provoca il triste
fenomeno dell’emigrazione.
Il frutto più evidente di questo sfasamento è l’equivoco, riscontrabile in
tutti coloro che predicano, siano pastori o laici, sulla predicazione chiara o
la predicazione forte. Dire le cose chiare, parlar chiaro alla comunità è diventato per noi sinonimo di aggredire la
gente, strapazzarla, darle addosso. La
profezia, cioè la denuncia chiara dell’errore spirituale della chiesa, si è trasformata in gridare forte. Tutti o quasi
tutti siamo caduti molte volte in quest’errore: fare un sermone deciso, che
scuota un po’ la gente, avendo i’illusione di cambiare qualcosa, mentre tutto restava come prima.
E significativa a questo riguardo
un’esperienza di un vecchio pastore
agli inizi del secolo. Da pochi anni insediato nella nuova parrocchia, seguiva fedelmente le tradizioni, una delle
quali centrava il giorno del Venerdì
santo sul tema del pentimento; era il
giorno della confermazione dei catecumeni, e del digiuno. Un anno, però diede alla sua predicazione un tono diverso, predicando sul perdono dei peccati connesso con la morte di Cristo,
tema questo indubbiamente collegato
con il Venerdì santo. La comunità protestò: non aveva fatto il sermone « del
Venerdì » cioè una predica severa, minacciosa, carica di rimproveri contro il
peccato, aveva predicato il perdono. In
quel caso la predica « forte » era già
diventata istituzione, aveva già il suo
posto nella liturgia, era già sistemata
al suo posto nel panorama generale.
Così finiscono coll’essere molte delle
nostre predicazioni odierne. Sono giù
previste in partenza, sono già inserite
in un quadro preciso: quello del discorso edificante o stimolante, consolatorio o provocatorio, ma astratto.
Concludendo questa riflessione vorrei puntualizzare quanto segue, che mi
sembra fondamentale per il proseguimento della nostra ricerca.
Siamo chiamati, dice il nostro Sinodo, a rinnovare la vita delle nostre comunità. Questo è un punto chiaro su
cui nessuno ha obiezioni da fare. Il rinnovamento della comunità avviene nella vita concreta e non nelle teorie; per
cambiare le cose bisogna, è vero, avere
delle idee, sapere perché, e cambiando
si ripensa nuovamente a quello che bisogna fare, ma è la realtà che si cambia. Se non si rende chiaramente comprensibile a tutti i credenti il perché
di questa proposta, il suo senso, le sue
motivazioni, la Chiesa non cambierà.
Le si imporrà una nuova prassi e una
nuova teologia, come le si sono imposte teologie e prassi diverse nel passato.
Rendere responsabile delle proprie
decisioni e delle proprie scelte il credente è compito primo del ministerio
pastorale. Non si tratta per i pastori
di predicare « forte » ed attuare riforme ma di aiutare i fratelli a crescere
nella fede e nella responsabilità. Per
fare questo deve diminuire nelle comunità il loro potere e crescere la loro
autorità nel servizio. Questo richiede
una profonda trasformazione di tutto il
nostro modo di pensare e di vedere, sia
da parte dei pastori stessi che da parte
dei fedeli.
E per chiudere con una punta polemica, sia pur benevola, contro il nostro
direttore e il suo articolo già citato,
che mi ha lasciato profondamente turbato per il suo tenore preoccupato,
teso, inquieto, gli dirò che l’autorità
pastorale in cui credo non consiste nel
sedere tutti gli anni in Sinodo, ma nell’aiutare i credenti a crescere nella responsabilità permettendo aU’autorità
dei propri doni di esprimersi.
Giorgio Tourn
RINGRAZIAMENTO
Il marito ed il figlio, commossi per
la testimonianza di simpatia e di affetto tributata alla loro cara
Irene Bertalot in Clot
ringraziano tutti coloro che con scritti e presenza hanno partecipato al loro dolore. Un ringraziamento particolare al Pastore Pons, al Dott. Berto,
lino, ai vicini di casa.
« Dall’estremità della terra io grido a te, con cuore abbattuto ;
conducimi, o Dio, nella rocca
ch’è troppo alta per me ».
(Salmo 61: 2).
Alfieri di Pramollo, 5 ottobre 1970.
AVVISI ECONOMICI
SIGNORE anziano solo cerea tuttofare servizio completo, referenze ineccepibili. Rivolgersi Libreria Claudiana, Torre Pcllice.
5
23 ottobre 1970 — N. 42
pag. 5
Vita, problemi e prospettive delle chiese valdesi
Dalla circolare della “ripresa”, inviata dal Moderatore ai Consigli di
chiesa, stralciamo queste notizie.
red.
Le chiese sono state fortemente invitate, dal Sinodo 1970, a impegnarsi
nella riflessione e nell’attuazione del
programma di lavoro delineato nell’ordine del giorno programmatico. Allo scopo di una reciproca informazione, di scambievoli indicazioni e di un
reciproco stimolo, vorremmo che le
colonne del settimanale potessero accogliere con frequenza — magari con
una rubrica speciale informativa —
le notizie su ciò che nelle varie comunità si fa, su queste linee.
Inoltre il Sinodo ha nuovamente affidato alle chiese tutta una serie di argomenti di studio, tutt’altro che teorici. Anzitutto, il rapporto della Commissione sinodale sul matrimonio
{pubblicato come inserto del nostro
settimanale, alcuni numeri or sono);
quindi quello della Commissione sinodale sulla confermazione (e in realtà
sul battesimo, com’è logico); ancora,
il problema dell’eventuale ingresso della Chiesa cattolica romana nel Consiglio ecumenico delle Chiese (la Tavola
Valdese sta predisponendo una documentazione in merito). È stato pure
insistentemente proposto alle chiese
10 studio su cause, sviluppi e conseguenze dell’emigrazione; secondo il disposto sinodale, gli organi di stampa
sono invitati a dare ampio spazio a
questi problemi e le Commissioni distrettuali a promuoverne lo studio fra
le chiese, raccogliendone poi i risultati da presentare al prossimo Sinodo.
II Sinodo ha nominato altre Commissioni ad referendum che dovranno
presentare alle chiese e alle conferenze distrettuali le loro conclusioni: la
Commissione di studio sugli istituti di
istruzione e d’assistenza (o più precisamente sull’inserimento più organico
d’ tutti questi istituti nella vita della
Chiesa); la Commissione di studio per
11 regolamento sul funzionamento del
Sinodo per la zona italiana (A. Armand Hugon, Aldo Comba, G. Colucci, P. L. Jalla, P. Marauda). Continua
il suo lavoro la Commissione per la
Costituzione unitaria (per la zona italiana: N. Giampiccoli, B. Corsani, Alberto Ribet, S. Bianconi). La Comrnissione per i regolamenti è stata invitata a rielaborare il cap. Vili dei RR.
00., attualmente intitolato « delle cariche della Chiesa », sulla base della
relazione presentata da essa in Sinodo e delle risultanze del dibattito sinodale. Inñne la Tavola Valdese ha
nominato una Commissione per la revisione della liturgia della consacrazione (G. Colucci, L. Santini, F. Sommani): il risultato di questo lavoro sarà
presentato al corpo pastorale per un
parere ’tecnico’, e quindi al Sinodo.
NELLE CHIESE LOCALI
Mentre due fra le numericamente
maggiori chiese delle Valli sono vacanti per ciò che riguarda rincarico
pastorale, e si sono d’altra parte resi
necessari parecchi trasferimenti, non
sono state però dimenticate le indicazioni date dal Sinodo relativamente a
una reimpostazione del lavoro pastorale; facendovi allusione, il Moderatore Neri Giampiccoli così scrive nella
sua circolare: « ...è per questo che in
due casi ci siamo mossi su un cammino nuovo che poti'à essere indicativo
per ulteriori sviluppi. Alludiamo alla
Alta Val Germanasca e a Riesi.
« Nel primo caso era vacante la parrocchia di Perrero, che aveva deciso di
rimettersene alla Tavola per la nomina di un nuovo titolare; ma già da
tempo si andava ventilando l’idea di
una ristrutturazione delle parrocchie
di Perrero, Massello e Rodoretto, in
considerazione delle mutate condizioni di viabilità della Valle e dello spopolamento e di una ragionevole possibilità di collaborazione. D’altra parte
è stata già indicata al Sinodo l’ipotesi
di un ministero locale della Parola,
che provvisoriamente abbiamo chiamato ministero dell’anziano predicatore. Per queste ragioni, in vista di
uno studio ulteriore sulla ristrutturazione ecclesiastica della Valle, si e
deciso di affidare l’incarico di Perrero
al pastore di Massello Luciano Deodato, con residenza a Perrero, coadiuvato dal past. Gianna Sciclone a mezzo tempo (con il lavoro di Agape) e del
prof. Claudio Tron, compatibilmente
con i suoi impegni professionali d’insegnante e con il suo lavoro di preparazione al suddetto ministero.
« A Riesi, dopo il trasferimento dell'ev. Vincenzo Sciclone a Cosenza, non
si è provveduto a inviare un altro pastore. Quel Consiglio di Chiesa si è
assunto l’intera responsabilità della vita della Chiesa, ricercando nella comunità i vari doni. È anche questa una
iniziativa anticipatrice di cui la Chiesa di Riesi si è assunta la responsabilità: certo non mancano laggiù i doni, anche di dottore e di predicatore,
ed è quindi questo un caso particolarmente favorevole. Tuttavia potrà darci utili indicazioni sul problema della
molteplicità dei ministeri, e quindi del
potenziamento della vita c della testimonianza della Chiesa.
« For.se taluno penserà che questi
esperimenti sono un attentato alla validità del ministero pastorale, una specie di declassamento con il ricorso a
surrogati che ne ripetano i difetti sen
za averne le qualità. Il problema va visto invece nella prospettiva della diversità dei doni e dei ministeri, per
cui quello pastorale nella Chiesa non
è l’unico ministero, ma ad esso partecipano, anche nella sua funzione più
tipica che è quella della predicazione,
altri fratelli, mentre il pastore torna
ad esercitare la sua funzione fondamentale, che è quella di essere il teologo nella comunità o in un gruppo
di comunità. Si può d’altro lato rilevare che in un esperimento come quello di Riesi, la diversità dei ministeri
potrà rivelarsi nel suddividere tra
molti fratelli quello che finora, specie
nelle piccole chiese, era accentrato nel
pastore: insegnamento, cura d’anime,
assistenza, amministrazione, incontro
e contatto con l’ambiente esterno e via
dicendo.
« Perciò noi auguriamo di tutto cuore alle Chiese dell’Alta Val Germanasca e a quella di Riesi di poter fare
un’esperienza benedetta e indicativa e
ci proponiamo di seguire con fraterna
solidarietà il loro cammino durante
quest’anno ».
. LAVORO FRA GLI EMIGRATI
Il Sinodo è stato esplicito nel richiedere un’intensificata cura in questo settore e la Tavola ha cercato di rispondere a tale richiesta: il trasferimento
del pastore Bogo a Zurigo permetterà
una vigorosa ripresa del lavoro felicemente avviato e condotto dal past. Eynard; anche il Kirchenrat della Chiesa
cantonale zurighese si è dichiarato del
tutto consenziente sull’importanza che
per noi riveste la presenza di un pastore valdese a Zurigo in funzione dell’opera tra gli italiani. Mentre i pastori Silvio e Carmen Ceteroni continuano il
loro ministero itinerante in varie zone
della Germania federale, il candidato
Emidio Campi, che ha chiesto di recarsi in Germania per proseguire i suoi
studi presso la Facoltà teologica dell’Università di Tubinga, si è messo parzialmente a disposizione della Tavola
e della Chiesa evangelica del Wiirttenberg per un lavoro tra gli italiani nella
zona di Stoccarda. Resta aperto il problema per la zona di Monaco di Baviera, visitata regolarmente, ma da
grande distanza, dai past. Ceteroni.
Anche il pastore P. L. Jalla, nel quadro del lavoro che ha iniziato nella comunità riformata di Montana-Crans
(Vallese), prevede di poter svolgere un
lavoro intenso tra gli operai italiani e
spagnoli purtroppo ospitati nei numerosi sanatori che popolano la zona. A
Basilea e a Losanna-Ginevra prosegue
il lavoro dei pastori L. Naso e S. Rostagno, con collaboratori locali.
Gli ordini del giorno votati dal Sinodo sono stati trasmessi dalla Tavola
ai ministeri interessati, agli enti statali
impegnati nel problema migratorio,
nonché alla Federazione delle Chiese
protestanti svizzere.
SISTEMAZIONE
DEL CAMPO DI LAVORO
Ferrerò: incarico al past. Luciano Deodato.
con la collaborazione del past. Gianna Sciclone e del prof. Claudio Tron.
San Germano Chisone: incarico temporaneo
all'anziano evang. Felice Bertinat. con la collaborazione dei pastori di Pinerolo.
Luserna San Giovanni: incarico temporaneo
al past. Roberto Jahier.
Felonica Po: past. Bruno Costabel.
Venezia: past. Agostino Garuffi.
Zurigo: past. Giovanni Bogo.
Forano: incarico allo studente anziano evangelista Arrigo Bonnes.
Colleferro e Ferentino: incarico al cand.
Teodoro Fanlo y Cortes.
Orsara: past. Paolo Giunco.
Cosenza: anziano evang. Vincenzo Sciclone.
CahanisseUa: past. Teodoro Magri.
La Chiesa di Riesi, priva di pastore titolare,
verrà curata da quel Consiglio di Chiesa.
Si ricorda inoltre che. secondo precedenti
decisioni, il past. Guido Mathieu ha assunto la cura della comunità di Vallecrosia-Bordighera e l'anz. evang. Enrico Trobia la cura
della comunità di Vittoria.
INCARICHI
AH'interno della Tavola Valdese sono stati distribuiti come segue gli incarichi .amministrativi. La Tavola delega per le questioni concernenti il 1 Distretto, il past. Achille Deodato. Vicemoderatore: il II e il III Distretto, il
past. Gino Conte: il IV Distretto, il past. Alberto Ribet: il V e il VI Distretto, il past.
Enrico Cor.sani. Incaricato per i problemi delTemigrazione : il moderatore: segretario della
Tavola: past. Gino Conte: archivista: past.
Deodato. coadiuvato dal prof. Gino Costabel
quale vicearchivista: revisori interni dei
conti: past. E. Corsani e dott. Marco Tullio
Fiorio.
Sono stati poi allidali i .seguenti incarichi
speciali : direttore della Casa delle Diaconesse. past. Alberto Taccia: del Convitto di Torre Pollice, dr. Franco Girardct: del Convitto
di Pinerolo. past. A. Deodato; del Convitto di
Pomaretto. sig. Luigi Rizzi; dell’Istituto
« Gould », sig. Marco Jourdan; di Villa Olanda. sig. Luigi Pcyronel: della Casa di riposo
di Vittoria, anz. evang. Enrico Trobia; dell'Editrice Claudiana, dr. Carlo Rapini; del
settimanale « Eco-Luce », past. G. Conte; del
mensile « L'amico dei fanciulli ». sig. a Berta
Subilia. Della Biblioteca della Ca.sa Valdese di
Torre Pellice sono incaricati quale bibliotecario il prof. A. Armand Hugon e vicebibliote
carico il prof. E. ,4rmand Ugon; membro del
la Tavola nella CIOV sarà il j)ast. A. Deodato: rappresentante della Tavola nell Istituto
Comandi, il past. L. Santini: nella Tipografia
Subalpina, il dr. D. Ghigo: direttore provvisorio di Adellia. Tanz. evang. E. Trobia; presidente della FFV. sig.a A. Adelina Gardiol.
Firenze
Assemblea degli amici del Centro
Evangelico di Solidarietà
Venerdì 9 ottobre 1970 si è svolta — a Firenze — rannunciata assemblea generale del
Centro Evangelico di Solidarietà. AH'incontro.
annunciato anche dal giornale locale, hanno
partecipalo oltre un centinaio di evangelici
rappresentanti tutte le chiese fiorentine.
La relazione morale e finanziaria, letta ai
partecipanti dal Presidente uscente. Franco
Gattini, e da Leopoldo Sansone, ha riscosso
Lapprovazione unanime di tutta Fassemblea.
Si sono discussi problemi riguardanti tutta
fattività del « Centro » e sono state fatte
proposte concrete per la futura azione sociale
di questo utile servizio operante in mezzo alle
comunità fiorentine.
Oltre a tutto il lavoro già iniziato, il « Centro » è intenzionato a mandare avanti un’azione sociale in mezzo alla popolazione del rione
dove attualmente opera, come ad esempio un
servizio verso gli immigrati dal Sud, gli analfabeti e verso altri problemi riguardanti la
vita stessa della popolazione residente.
L'Assemblea, magistralmente guidata dal
fratello Boccini, della Chiesa Battista, con l’assistenza del Segretario, fratello Nunzi, della
Chiesa Metodista, ha proceduto alLelezione del
nuovo Consiglio Direttivo, che è risultato
COSI composto: Leopoldo Sansone e Franco
Gattini (della Chiesa valdese), Luigi Zarotti
(della Chiesa Metodista). Rina Farri e Andrea
Mannucci (della Chiesa Battista). Sindaci revisori : Arturo Ponticelli (Battista) Ugo Bottini e Raffaele Balenci (Valdesi).
Il nuovo Consiglio Direttivo, che si è già
messo al lavoro, sarà presto coadiuvato dai
rappresentanti delle chiese evangeliche della
città, che saranno quanto prima nominati dai
vari consigli di chiesa.
L'attività giornaliera del Centro Evangelico
dì Solidarietà è in costante aumento. I problemi — d'ogni genere — che esso affronta
sono affidati anche al pensiero e alla preghiera di tutti coloro che apprezzano l'azione di
quanti offrono il loro tempo libero e la loro
vita per questo servizio.
La sede del Centro Evangelico di Solidarietà
è in Firenze, Via Manzoni n. 21. Qualunque
suggerimento, qualunque aiuto, saranno ben
graditi e fraternamente accettati.
Prati
st anno si è riorganizzata. Una quindicina di
membri, nessun seggio, ma discussioni plenarie ed incarichi attribuiti secondo le necessità: cassa, segreteria, studi e discussione ecc.
L'n programma impegnativo di studi e discussioni affidato ai giovani delia Comunità:
Tradizioni da lasciare e da mantenere (17/10):
Violenza e non violenza (24/10). Problemi dei
giovani a Frali in questo tempo (31/10), La
droga (7/11). Le discussioni saranno introdotte a dirette da Mariella Richard e Danilo
Peyrot. .4Itri argomenti di notevole interesse
sono previsti per i periodi seguenti. L’orario
delle sedute è dalle 20 alle 23 di ogni sabato
Anche la Scuola Domenicale ed il caicchi
sino hanno ripreso la loro attività con il cui
to in comune deH'll ottobre. La scuola dome
nicale supera di nuovo i 50 iscritti, precisa
mente 55. .Ad essi si aggiungeranno certamen
te più lardi, come già gli anni scorsi, ragazzi
provenienti dalle comunità di Torino od anche
più lontano, durante i loro soggiorni di fine
settimana a Frali.
Sono stati eletti dall'assemblea dei ragazzi
i responsabili delle varie attività e precisamente; Fulvio Rostan e Nicoletta Richard
cassa; Lucio e Furio Rutigliano segreteria;
Silvia Rutigliano e Marco Davite francobolli
per le missioni. A tutti auguriamo un lavoro
sereno e gioioso per tutta la durata degli incarichi.
Salutiamo le famiglie di Edda Peyrot (Indiritti) e di Silvio Rostan (Orgere) che sì sono
trasferite rispettivamente a S. Germano ed a
Perosa Argentina, augurando loro un felice
soggiorno nelle nuove sedi ed un fruttuoso inserimento nelle nuove Comunità.
Fiorella Koch della comunità di Pinerolo
si è unita in matrimonio con Giorgio Ceriana Mayneri nel tempio di Frali sabato 10 ottobre. A questa cerimonia ha partecipato anche il pastore Deodato che ha portato il saluto della Comunità di Pinerolo ed un augurio tratto dalla Parola del Signore.
Il sabato seguente, 17 ottobre, si sono sposati due pralìni : Bruno Artus di Indritti e
Ersilia Grill di Cugno. Gli sposi sì stabiliranno ad Indritti creando una nuova speranza per
questo quartiere che si è così fortemente spopolato in questo ultimo periodo.
Agli sposi rinnoviamo ancora l’augurio di
tutta la comunità per una vita serena e gioiosa per lunghi anni.
Ci rallegriamo con la famiglia dell’anziano
Filippo Berger per la nascita della nipotina
Cristina Ricca. Che il Signore benedica questa bimba e tutta la sua famiglia!
NELLE VALLI
Purtroppo questa cronaca comincia ancora
con l'annunzio di una morte : quella del nostro fratello Alberino Grill di Villa che è deceduto a Rivalta dopo una lunga e molto dolorosa malattia ed è stato sepolto nel cimitero
di Villa il 6 settembre, con la partecipazione
del Pastore Lorenzo Rivoira. Vogliamo esprimere ancora alla moglie, al figlio ed ai genitori la nostra sincera solidarietà fraterna.
Nel periodo delle sue vacanze il Pastore è
stato sostituito dal Prof. Claudio Tron, dal
sig. Renato Maiocchi e dallo studente in teologia Platone con alcuni giovani del campo cadetti di Agape. Li ringraziamo tutti vivamente.
Le prime attività riprendono regolarmente.
La prima è stata l'UGV che anche que
Pramollo
Ultimamente è deceduto a Collegno (Torino) il fratello Peyronel Armando di anni 41;
giunga ai familiari la nostra fraterna solidarietà nella speranza in Gesù Cristo.
Lunedi 5 corr. m. abbiamo avuto la sepoltura della sorella Bertalot Irene in Clot
(Allieri), mancata improvvisamente all’affetto
dei suoi cari all'età dì 39 anni. Invochiamo sul
marito, sul figlio e su tutti i congiunti le consolazioni del Signore e rinnoviamo loro la
nostra simpatia cristiana.
Sabato 10 ottobre abbiamo invocato la benedizione del Signore sul matrimonio di
Jahier Mario (Bosi) e Sappè Ivetta (Allieri);
il Signore sia l’Ospite del nuovo focolare.
A GENOVA
Gli evangelici per gli alluvionati della loro citta
Il 7 e 8 ottobre scorso un violento
nubifragio si abbatteva su Genova, in
due ondate successive che colpivano rispettivamente la zona occidentale della
città, in particolar modo il quartiere
di Voltri, e la zona centrale di Brignole che, con lo straripamento del Bisagno, si trasformava in una vasto fiume
di acque limacciose che correva impetuoso verso il mare. I particolari delle
distruzioni subite dalla città sono già
noti a tutti attraverso alle notizie diffuse dalla stampa, dalla radio e dalla
televisione.
Nel giro di 48 ore potevamo accertarci che nessuna famiglia delle chiese
evangeliche della città era stata direttamente colpita dal disastro. V’è chi ha
perso l’automobile riuscendo a mettersi in salvo mentre l’acqua del Bisagno,
già alta di un metro, correva per i
quartieri bassi della città; c’è chi ha
dovuto lasciare la casa dichiarata pericolante, o l’alloggio al « Biscione », a
pochi metri dalla parte che è crollata
per il cedimento del muraglione di sostegno; c’è chi ha subito dei danni per
l’allagamento del proprio negozio o laboratorio, ecc. Tuttavia, in complesso,
questi danni sono stati modesti rispetto al danno di chi ha perso la casa e
praticamente tutto, riuscendo a fuggire
portando con sé il vestito che aveva
indosso.
La domenica 11 i presenti in chiesa
erano piuttosto pochi; i mezzi di comunicazione con molti quartieri non
erano ancora stati ripristinati; i giovani delle nostre chiese erano andati a
spalare fango, unendosi ai numerosi
giovani della città che hanno dato un
magnifico esempio di abnegazione e di
spirito di solidarietà. Dopo il culto di
S. Cena l’assemblea di chiesa ha deciso
di occuparsi in modo concreto, in collaborazione con le altre chiese evangeliche della città, di alcuni casi particolarmente bisognosi, senza tener conto
naturalmente di alcuna etichetta confessionale, e di recare questi aiuti subito e direttamente.
E stata fatta nei culti delle domeniche 11 e 18 ottobre una colletta che ha
avuto un esito superiore a quanto
avremmo sperato, e che ci ha consentito di recare un contributo in danaro
ad alcune famiglie che hanno perso
tutto, e che si trovano ora in alberghi
a spese del Comune, tra cui il caso di
un pensionato che dispone di un assegno mensile di appena 23.000 lire.
Aiuto in danaro e vestiario è quanto
si può fare subito; ma quando queste
famiglie lascieranno gli alberghi dove
sono ospitate provvisoriamente e riceranno l’assegnazione di un alloggio, occorrerà assisterle certamente ancora
con danaro, ma anche con offerte di
mobilio, di masserizie, che al presente
non saprebbero dove depositare. Perciò
un appello è stato lanciato alle nostre
chiese, e dal centro di raccolta, in via
Assarotti, quello che sarà stato raccolto verrà portato ai destinatari dai
giovani che saranno lieti di dare la loro
collaborazione in quest’opera di solidarietà umana e cristiana.
Il Consiglio dei Pastori s’è già riunito due volte, e continuerà a riunirsi per
coordinare questo lavoro di soccorso
che, pur non potendo essere un lavoro
su vasta scala, dato il numero limitato
degli evangelici genovesi che comporta
necessariamente delle possibilità limitate, vuol essere una testimonianza concreta di solidarietà verso dei fratelli di
confessione religiosa diversa dalla nostra.
Il Consiglio dei Pastori è molto grato, oltre che egli evangelici della città
che hanno risposto e risponderanno alTappello che è stato loro rivolto, anche
alTEsercito della Salvezza, alle Chiese
di Firenze, ed a molti fratelli di fuori
Genova che ci hanno fatto pervenire
dei contributi in danaro e di generi
diversi: grande è questo aiuto, e ne
siamo riconoscenti non solo per il valore materiale, ma per lo spirito che questo aiuto rappresenta.
Paolo Marauda
Pinerolo
11 culto di domenica 18 ottobre è stato presieduto dal Pastore Thomas Soggìn della Chiesa di Milano.
Ha avuto luogo, lunedì 19 sera, un incontro dei 7no/ùiori di Pinerolo. Prarostino.
S- Secondo e S. Germano con la partecij>azionc del Pastore Soggin.
Ringraziamo caldamente il past. Soggin
per la sua visita e per il suo messaggio.
Mercoledì 21 ha avuto luogo nel salone
una conferenza missionaria, con j)roiezione di
un film, tenuta dal Pastore Toureille die si
occupa deli'opera tra i lebbrosi.
Visita di una
corale germanica
Le Corale di Halsfeld (Lippe) — vicina della ben nota Martin-Luther-Kantorei dì Detmold — ed appartenente al gruppo dei nostri
amici germanici, visiterà le Valli Valdesi, alloggiando alla Foresteria di Torre Pellice, dal
26 al 30 ottobre.
Il programma previsto è il seguente:
Lunedì 26. ore 20,30, concerto a Villar
Pellice.
Martedì 27. ore 21, concerto a Pinerolo.
Mercoledì 28, ore 20,30, concerto a Rorà.
Giovedì 29, ore 20,30, concerto a Proli.
La Corale di Halsfeld visiterà pure i nostri Istituti ospedalieri e di istruzione.
ALLA SCUOLA LATINA
DI POMARETTO
InaugurazioRe
dell'anno scalastiGe
Giovedì 1° ottobre alle ore 15, nella
sala delle attività, ha avuto luogo
l’inaugurazione del nuovo anno scolastico della Scuola Latina di Pomaretto.
Erano presenti gli studenti delle tre
classi con i rispettivi genitori e gli insegnanti della scuola.
Un inno cantato da tutti ha dato inizio alla simpatica riunione, indi il Pa
store Bouchard ha letto un passo in
Malachia 4, v. 6 e l’ha commentato.
Una volta la famiglia, la Patria e la
Chiesa erano considerati i pilastri della
società; essi hanno perduto parte di
quel valore nella società d’oggi, che è
caratterizzata da una maggior libertà.
Il nostro mondo è, però, pieno di concorrenti clandestini di quelli che erano
i « pilastri » di un tempo, capaci di rovinare e demolire la personalità di un
ragazzo, che hanno il potere di accaparrare la gioventù. Ne è un esempio la
pubblicità, che penetra nelle case con
la radio, la televisione ed i giornali.
Il Minotauro della mitologia greca,
che si divorava ogni anno 7 ragazzi e 7
ragazze, esiste ancora oggi e sa, mascherato in modi e forme varie, con un
linguaggio convincente ed affascinante,
conquistare la gioventù. C’è un solo moda di combattere il « Minotauro odierno », ma occorrono vigilanza e perseveranza. I genitori devono abituarsi a
pregare per i loro figli, ad essere vigilanti, in spirito di preghiera; essi devono parlare con i loro figli nel modo in
cui sanno parlare dei credenti.
La Signorina Prof. Marcella Gay ha
portato agli alunni il saluto e l’augurio
di un buon anno scolastico da parte
della Tavola Valdese.
La Preside, Prof. Elsa Balma, ha letto
un’interessante relazione sull’anno scolastico 1969-70.
A conclusione della riunione è stato
proiettato un magnifico film sulle regioni artiche. Abbiamo ammirato il bellissimo scenario di una natura selvaggia, ma più di tutto ci ha divertiti ed
interessati la vita degli animali polari,
come le foche, gli orsi, bianchi, le renne,
i lupi, le balene, i topi e gli uccelli.
Verso le 17,15 gli alunni sono ritornati alle loro case, pensando all’imminente primo giorno di scuola; qualche
altro, con i lacrimoni agli occhi, ha salutato i genitori che, per vari mesi,
vedrà solo più alla domenica, perché
il resto della settimana lo trascorrerà
in Convitto. Buona e cordiale è stata
la prima presa di contatto fra i genitori e gli Insegnanti, e il primo incontro, fra gli alunni vecchi c nuovi, è
stato, come al solito, allegro e rumoroso!
Fiorella Massel e Marco D.avite
Classe III Media
Pro Collegio Valdese
In memoria del Dr. E. Quattrini: Lconie e
Henri Gaydou. Massello L. J0.000.
TAVOLA VALDESE
Bando di concorso
BORSE DI STUDIO PER
L’ANNO SCOLASTICO 1970-1971
DESTINATE A STUDENTI
DEL GINNASIO LICEO VALDESE
DI TORRE PELLICE
È bandito il concorso per l'assegnazione delle seguenti borse di studio per studenti del
ginnasio liceo di Torre Pellice :
1) Borsa Fontana-Roux (L. 120.000).
2) Borsa Arturo Long (L. 100.000). con
preferenza per sUidenli originari di Pramollo,
Pinerolo e Rorà.
3) Borsa Anonima (L. 100.000).
Gli interessati devono presentare domanda
in carta libera al Preside del Liceo-Ginnasio
di Torre Pellice. corredandola di una situazione di famiglia pure in carta libera e di una
aUestazione del pastore.
La domanda e i documenti del>i>ono essere
presentati entro il 20 Novembre 1970.
Il Moderatore
Posi. Neri Giampiccoli
Lettori e collaboratori noteranno
che abbiamo cercato di impostare
in modo un po’ più organico le
nostre pagine e scuseranno se articoli e corrispondenze hanno dovuto esse rinviati. red.
6
pag. 6
N. 42 — 23 ottobre 1970
I NOSTRI GIORNI
A SAIGON
Il bilancio del Ministero della difesa italiano
Il wm Fruite Kpiare iv h paci ||no dei più Gostosi eserciti dei mondo
si preoccupa per la "degradazione tragica"
delia situazione provocata dalla presenza
americana nel Vietnam
Saigon — LTl ottobre è stato pubblicato un comunicato di un nuovo
movimento, il Comitato di mobilitazione per la fondazione di un Fronte
popolare di lotta per la pace. Questa
organizzazione, che raggruppa oppositori provenienti da vari orizzonti, ha
eletto un « praesidium » provvisorio.
In novembre è progettata una nuova
riunione, in vista della costituzione di
una direzione più ampia, « la quale
non presenterà alcuna soluzione, ma
sarà portavoce delle aspirazioni alla
pace, all’indipendenza e alla riunificazione del Vietnam ».
In seguito alla riunione costituente,
tenutasi nel Centro universitario MinhMang di Saigon, la lista dei membri
del praesidium e del segretariato provvisori è stata pubblicata. È presidente Dang Van Ki, un veterano della lotta per la pace. Lo affiancano personalità come l’abate Phan Khac Tu, cappellano diocesano della JOC (Gioventù
operaia cattolica) della capitale; Phan
Xuan Hui, deputato dell’opposizione;
la signora Kieu Mong Thu, deputata
di Hué, buddista; lo studente Nguyen
Duy Thong, presidente del Comitato
per i diritti alla vita; il prof. Chan
Tarn Luan, presidente del Comitato dei
professori e dei genitori contro la repressione; il prof. Nguyen Van Vang,
vice-presidente del sindacato dei professori delle scuole secondarie libere
(private) e il bonzo signora Hunh Lien.
Il Comitato di mobilitazione raggruppa quindi rappresentanti di organizzazioni e di strati sociali attivi nella
lotta contro il proseguimento della
guerra i quali, per la prima volta, hanno deciso di associare i loro sforzi.
iiilliiiiliililllitliiiililiiilllillllllllliiiiiliiiilillllilliiliiiiill
James Baldwin
e Jean Genêt in favore
dei negri americani
Parigi. ■ Gli scrittori J. Baldwin e J. Genêt
hanno denunciato la situazione dei Neri negli
Stati Uniti, la discriminazione di cui sono
vìttime e soprattutto la « campagna di sterminio » condotta contro certi gruppi rivoluzionari, come le Pantere nere. Nel corso di una
riunione al Centro americano per gli studenti
e gli artisti, a Parigi, i due scrittori hanno affermato che « il razzismo è il problema principale degli Stati Uniti, del quale la guerra
nel Vietnam non è che un sintomo », o hanno
chiesto Taiuto di tutti, con tutti i mezzi possìbili, per por fine all’oppressione. J. Genêt,
in particolare, ha fatto appello agli studenti
americani presenti, affinché, rientrati nel loro
paese, non trascurino alcun mezzo per far sì
che i loro compatrioti prendano coscienza del
posto riservato a oltre venti milioni di cittadini americani, soprattutto coloro che vogliono
vivere con dignità; e che in tal modo si ponga
rimedio alle carenze della stampa d informazione. La riunione aveva luogo in vista del
processo a tre Neri accusati di assassinio di
un guardiano nel carcere californiano di Soledad. J. Thorne, avvocato di uno degli accusati, ha esposto le condizioni in cui è ridotto ad assicurare la difesa del proprio cliente. G. Jackon. il cui libro. Soledad Brothers.
sta per uscire in versione francese, presso l'editore Gallimard. D'altro lato gli oratori hanno
fatto appello alla solidarietà internazionale per
la difesa degli accusati, che rischiano la pena
di morte.
iiiiiiMUMimiiiiiiiiiitmiiiiiiiiiiiiMmumiiiiiiiiiiiiiiiiMii
Inchiesta sul Sifar
Ri GGERO Zaivgbandi - Inchiesta sul SIFAR.
Editori Riuniti, Roma 1970. p. 126, L. 700.
I lettori ricorderanno che. alcuni mesi or
.sono, abbiamo pubblicalo la notizia che anche .\gape era stata schedata dal SIFAR... La
notizia era ripresa da una delle puntate di
un'inchiesta di R. Zangrandi sulla degenerazione dei servizi di sicurezza, pubblicata su
« P.aese Sera ». Questo volumetto raccoglie le
puntale di quell'incbiesta, con l'aggiunta di
alcuni nuovi documenti riprodotti in fotocopia.
SiiH'autore deH'incbiesta e sul direttore del
quotidiano. Goria. pende una denuncia alla
Magistratura, .sporta dal Ministero della Difesa che ha qualificato documenti segreti quelli
qui pubblicati. In realtà questi documenti non
hanno attinenza con la difesa dello Stalo, e
ri.sulta evidente la nece.ssità di una ridefinizione del « segreto di Stato ». ai fini della veritì» e della giustizia. In attesa che questa o.scura questione t enga finalmente, pazientemente,
pertinacemente chiarita, cpiesla documentazione c di alto intere.sse.
L’Il ottobre è stato, in particolare,
approvato un documento sulla « politica di schiavismo economico » e sulla
« povertà estrema dei nostri concittadini ». La dichiarazione votata afferma: « La pace è l’aspirazione più pressante del popolo vietnamita. (...) La
presenza delle truppe americane e alleate è all’origine della tragica degradazione della situazione del popolo
vietnamita in tutti i campi. (...) Perciò
il ritiro di queste truppe è condizione
indispensabile per il ristabilimento
della pace nel rispetto della sovranità
e dell’autodeterminazione del popolo,
affin di permettere ai Vietnamiti di
decidere essi stessi del regime politico
futuro del loro paese, senza ingerenze
straniere. L’intero popolo vietnamita
reclama la pace, l’autodeterminazione
e un governo che sia rappresentativo
di tutta la popolazione del Sud ».
Abbiamo già avuto occasione in passato di intrattenerci sulle imponenti
spese destinate dallo Stato italiano nei
riguardi delle forze armate ed anche la
stampa « moderata » ha ampiamente
riconosciuto e posto in rilievo alcuni
dati di fatto addirittura grotteschi, se
non fossero offensivi nei riguardi di
quei cittadini costretti a vivere in condizioni precarie, quando non subumane. Si pensi ad esempio, che la nostra
aviazione ha due generali e mezzo ogni
aereo e l’esercito ha sei generali ogni
carro armato! Le soluzioni sarebbero
due: o aumentare i carri arniati (e gli
aerei) o diminuire di parecchio i generali. Noi siamo senz’altro per la seconda soluzione.
L’amministrazione militare torna ora
a far nuovamente parlare di sé per uno
scandalo giudiziario che coinvolge un
numero rilevante di alti ufficiali, come
apprendiamo da un recente numero
del settimanale l’Espresso. Si tratta di
una ventina, fra generali e colonnelli
legati con una società anonima che otteneva commesse di vario genere dal
ministero della difesa ed a sua volta le
subappaltava, commettendo una serie
di reati. L’inchiesta ha ora superato la
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
Luserna San Giovanni
Si rende noto che domenica 25 corrente avrà luogo, nella Sala Valdese
di San Giovanni, la tradizionale Festa del Raccolto e della Riconoscenza.
Le offerte in natura verranno ricevute sul posto sabato e la domenica
mattina.
Tutti sono ccrdialmente invitati.
IL SOLITARIO DI RIAZAN
« Quest’uomo di 53 anni è terribilmente solo, straniero fra i suoi. Ho
sotto gli occhi una delle sue ultime
lettere indirizzate al suo editore Christian Bourgois: “Nessuna delle lettere
precedenti m’è pervenuta (egli scrive).
Ed ho appreso la notizia, che in Francia m’è stato attribuito un premio,
soltanto dalle radio occidentali". Chissà quanto gli costa una tale confessione!
Perché Soljenitzin è russo fino alla
radice dei capelli. Egli non parla nessuna lingua straniera: la propria è,
per lui, un universo troppo totale,
troppo esclusivo. Alla censura ed alla
sorveglianza che fanno il vuoto intorno a lui, egli aggiunge il proprio rifiuto, patetico, di diventare quello che il
nemico vorrebbe che fosse.
Egli ignora e vuol ignorare ciò che
si dice di lui all’estero. Nelle brevi lettere che invia ad amici, chiede carta
da lettere e penne a sfera, ma questi
regali non gli arrivano mai. Scrive dalla mattina alla sera con furore, e se i
suoi manoscritti hanno oltrepassato i
muri del suo chiostro, ciò non è stato
per volontà sua: glieli hanno rubati,
qualche volta perfino trafugati, tradotti alla macchia senza controllo. Si sa
oggi che almeno uno dei suoi libri è
stato oggetto di mercato, nell’Occidente, ad opera degli stessi servizi segreti sovietici.
E per questo ch’egli si rinchiude,
ogni giorno di più, nella solitudine e
nel sospetto.
Ora (pensateci bene!) nessuno è meno solo di quell’uomo! Se è vero che
Riazan, a 180 km. a sud di Mosca, è la
tomba intellettuale ch’egli ha scelto, si
può anche dire che proprio lì lo culla
un popolo intero, muto, del quale egli
è la voce.
Rivedo ancora la scena. Era a Kiev,
la capitale dell’Ucraina, due anni fa.
L’uomo che era davanti a me si chiamava Victor Nekrassov, già premio
Stalin, autore d’uno dei più bei libri
del dopo-guerra: “Nelle trincee di Stalingrado". Quel romanziere, ieri adulato, non era più che un relitto umano.
Le sue frasi, luna dopo l’altra, sembravano affogare nella nebbia pesante
della vodka e del disgusto. Una sola
frase, una sola scaturiva limpida, intatta, da quel caos di parole: “Dite a
tutti che qui v’è uno scrittore, il più
grande, e che si chiama Solfenitzin".
Precisando di voler ricompensare soprattutto una “forza morale", la giuria di Stoccolma è stata d’una logica
ineccepibile. Il significato del suo gesto non è soltanto letterario: è anche
nobilmente politico. Perché, in fin dei
conti, chi ha mai detto che la letteratura debba accettare il proprio esilio?
E che, quando uno scrittore è costretto a tacere, non debba esser coronato
il suo silenzio? Questo si son chiesti i
giudici, e il raggiante premio Nobel lo
prova: nulla è meno muto d’un uomo
imbavagliato. (...)
Quando Nikita Krusciov, nel 1962,
incoraggiato da colui che oggi è il giudice ufficiale di Soljenitzin, cioè da
quel Michail Sciolokov il cui talento
venne poi ricompensato nel 1965 dalla
giuria del Nobel (ma solo il talento, ed
a buon titolo!), lanciò il nuovo scrittore, questi avrebbe potuto pronunciare una parola sola per aver gloria, onori, investiture ufficiali. Aveva scritto
“Una giornata della vita d’Ivan Denissovitch”, denunciando in quel libro (o
piuttosto raccontando, e ciò è più grave) la vita nei campi di concentramento staliniani. Ma, per Krusciov, Soljenitzin non era che una spada da impugnare nella lotta contro il gruppo anti
partito, nella quale egli s’era gettato.
Sarebbe bastato che l’autore si fosse
compiaciuto di fermarsi là: ed ecco
che sarebbe diventato il ribelle di servizio.
Ma egli non si fermò. Preferì restare
il n. 232: quel numero che, nel campo
in cui lo si aveva gettato nel momento più furioso della guerra, egli portava sul berretto, sulla spalla, sulle braccia, sulla schiena,'e soprattutto (ma
questo si vedeva meno) nel cuore. Cinque anni più tardi, egli rivolgeva all’Unione degli scrittori una requisitoria contro la censura: "La letteratura
che non è il respiro della società contemporanea, che non osa tradurne le
pene e i timori, che non la richiama
alla vigilanza, una tale letteratura^ non
merita il suo nome". I “managers" della cultura sovietica risposero con finezza. Essi decretarono che Soljenitzin
non era più uno scrittore sovietico. Il
fantasma replicò: “Pulite il quadrante
del vostro orologio; voi non avete neppure il sospetto che fuori fa giorno” ».
(Da un articolo di J.-F. Kahn, su
<' L’Express » del 12-18.10.’70).
LA LEGGE DELLA GIUNGLA
« L’assassinio del ministro Pierre
Laporte, ad opera d’una cellula dell’FLQ (= Fronte di Liberazione del
Quebec, la nota provincia canadese), è
un fatto che atterì'isce: ci si chiede con
angoscia dove andrà a finire una tale
violenza. E in un caso simile, che potrebbe riprodursi in casa nostra o in
molti altri paesi del mondo occidentale, un problema rimane: che fare?
Noi crediamo che i principi (almeno quelli) siano chiari: in un sistema
democratico e in uno Stato di diritto,
la violenza fuori-legge dev’esser repressa, fermamente. Ma, nello stesso tem-^
po, il sistema deve aggiustare i propri
ingranaggi, costruire dei canali di comunicazione tali che le minoranze (anche un sistema democratico sa, qualche volta, condannare molto bene le
minoranze all'impotenza ed al silenzio)
possano non solo esprimersi, ma anche far deviare il corso del proprio
destino ed il corso del destino nazionale.
Queste due serie di provvedimenti
devono immancabilmente anelar di pari passo. Ciò sarà duro per il Canadá,
perché la reazione naturale sarà quella di reprimere la violenza e di rifiutare, per giunta, ogni dialogo con una
minoranza, di cui alcuni elementi isolati hanno osato ricorrere all assassinio politico. Ma, con tutto ciò, che si
faccia ben attenzione: la fermezza senza il dialogo potrebbe provocare una
vera guerra civile e dar ragione agli
estremisti dell’FLQ.
Riassumendo: mettere, con tutti i
mezzi e senza pietà l’FLQ nell’impossibilità di nuocere; ma, nello stesso tempo, attaccare frontalmente il problema
del Quebec francofono e della sua posizione di relativa inferiorità nella federazione canadese. In ogni tragedia,
v’è una lezione da imparare ».
Quest’articolo di Claude Monnier
(pubblicato sul «Journal de Genève»
del 10.10.’70), nella sua semplicità e lucidità, ci sembra considerare soltanto
un aspetto, e non il più interessante,
del problema. Infatti, se questo viene
esaminato in un contesto più ampio
che coinvolga fatti analoghi, riproducentisi in numerosi punti (anche fra
loro molto lontani) del mondo occidentale (e forse anche del mondo
orientale), risulta evidente 1 immensa
complicatezza e profondità del problema stesso, nonché l’incertezza dei metodi per risolverlo.
la fase istruttoria ed è in mano al pubblico ministero.
11 precitato settimanale coglie questo spunto per fare una ricognizione in
vari bilanci annuali del ministero della
difesa allo scopo di vedere quanta parte del reddito nazionale viene investita
« per mantenere un apparato bellicoamministrativo fra i più complessi e
costosi del mondo », come precisa il
giornale.
Dal dopoguerra ad oggi è stata spesa la somma vertiginosa di 20 mila miliardi. Col nuovo anno finanziario sono
stanziati ben 1.656 miliardi. Oltre mille
miliardi per il personale militare in genere, di leva e civile. Restano un 500
miliardi per il « sostentamento dell’apparato militare del paese » come ebbe a dire il ministro, ivi compresi un
miliardo e 200 milioni per acquistare,
foraggiare e custodire un vastissimo
parco di quadrupedi equini (probabilmente si tratterà della nostra arma segreta), che la nostra Difesa continua
ad allineare fra gli strumenti bellici.
Per farla breve i 1656 miliardi annui
servono per equipaggiare 5 divisioni,
150 mila tonnellate di decrepito naviglio bellico (Fon. Nino D’Ippolito ha rivelato che la nostra marina militare
annovera fra le sue unità la nave austroungarica Vaiosca, cui « è stato rinnovato il fasciame » con spesa probabilmente doppia di quella necessaria
per una nave nuova), 150 cacciabombardieri, la metà di quelli egiziani, i carri
armati M. 47, il cui numero vuol dire
che sono stati costruiti appunto nel
1947. In compenso, possiamo allineare
un generale ogni 130 metri di fronte e
un colonnello di rincalzo ogni 10 metri
— come ha precisato Fon. D’Alessio —
nel tratto carsico fra Villach e Trieste,
assegnato all’Italia dall’alleanza atlantica. Sarà poi bene precisare che ognuno dei suddetti generali dispone da tre
a cinque attendenti, a seconda delle
stellette sulle spalline, attendenti che
Un Biofra
caccia l'altro
Quando ci si occupa dei Palestinesi,
che ne è dei Cambogiani? Quando il
Canada si trova in stato d’assedio, che
accade in Bolivia? Quando si parla di
Reggio Calabria, che si può dire di
Belfast? Ma dove sono i Biafra di ieri?
L’opinione ha cento bocche, ma non
abbiamo che due orecchie. L’attualità
ha mille proiettori per illuminare il
mondo, ma non abbiamo che due occhi. Il problema più difficile che l’informazione si trova a dover risolvere
nel mondo, non e di far sapere quel
che accade, ma di impedire che si dimentichi che quando qualcosa accade
in qualche posto, vi sono ovunque uomini che continano a soffrire, a sperare. a vivere.
Robert Esc.arpit
(da « Le Monde »)
aggiunti a quelli riservati agli altri ufficiali raggiungono la bella cifra di 20
mila e costano la altrettanto bella somma di 12 miliardi Fanno, per non parlare che del solo lato economico della
cosa.
Per contro — osserva il settimanale — i 250 mila giovani annualmente
obbligati a vestire l’uniforme non traggono alcun vantaggio per la futura vita
civile in quanto « la sveglia, l’alzabandiera, la ginnastica, il servizio di sentinella, le adunate, il rancio, il cambio
della guardia non potranno mai tra■sformare un manovale o un bracciante
in un operaio specializzato ». Un’altra
cosa che impressiona veramente è che
per ognuno di questi 250 mila giovani
di leva si conta un dipendente stipendiato a pieno tempo dal ministero della difesa (e quindi dal contribuente):
sono infatti 250 mila gli ufficiali, i sottufficiali, gli impiegati civili e gli operai
degli stabilimenti militari, la gran maggioranza dei quali oltretutto vive con
magrissimi stipendi. Questo pletorico
apparato era già stato definito negli
anni ’50 da un deputato democristiano
come un « immenso ricovero di mendicità », oggi enormemente dilatato per
la geometrica dilatazione dei bilanci.
Il giornale prosegue: « ...Ma Finossidabile teoria che il numero è potenza
guida ancora la filosofia del nostro esercito... Nessun appello alla potatura dei
rami secchi ha trovato udienza... Una
contabilità preistorica ed assurda concentra nei comandi e nei distretti falangi di scritturali, archivisti e custodi.
L’abitudine poi di conservare materiali invecchiati e inservibili moltiplica
inutilmente il lavoro nei depositi dove
tre uomini riescono a malapena a sbrigare le faccende di un uomo solo.
C’è da mettere in conto poi il calendario delle feste e delle cerimonie,
molto più fitto oggi che nell’epoca mussoliniana, dato che oggi si celebrano
anche le feste di reggimento, dopo aver
aggiunto alle ricorrenze storiche anchei riti per i santi protettori. Quando
grazie a lunghissimi lavori di regìa [
carri armati, le artiglierie e i missili
sfilano e sferragliano nelle strade cittadine fra i reggimenti in parata, mentre
squadriglie di aerei sfrecciano nei cieli
in eleganti caroselli: usurando i materiali, bruciando benzina, sprecando
m breve miliardi e miliardi ».
E il problema (sempre solo economico) dei Dreti cappellani? Essi fruisconodi un assegnazione di 750 milioni annui
m quanto « personale dell’assistenza
spirituale » ma vi sono altri 830 milioni, di cui .sono beneficiari quasi per intero, stanziati alla voce « assistenza morale del personale militare ».
Infine, Finsostenibilità della situazione degli stabilimenti, dei cantieri delle
officine gestiti dai militari. Essi' sono
tutti classificabili in tre categorie: « cheproduce a prezzi doppi delle aziende
private o irizzate, che produce forniture antiquate o inservibili, e che infine non produce assolutamente nulla,
seguitando a gravare sul bilancio in
attesa di un ridimensionamento che
non viene mai ». Ed il giornale conclude: « ...basterebbero 100 mila militari
di professione e altri 100 mila nei comandi amministrativi e negli uffici. La
cosa condurrebbe automaticamente alla fine della naja pp i giovani di leva,,
alla liquidazione di un’enorme massa
di quadri e alla liberazione di quasi
tutte le servitù territoriali... È ciò che
non vogliono i militari, né le forze politiche che li sostengono... Finora i dipendenti di questo mastodontico istituto di beneficenza hanno costituito uno
dei più grandi serbatoi di voti della democrazia cristiana a vedremo come saprà utilizzarlo a favore del sole nascente il ministro socialdemocratico
.Mario Tanassi ».
Commentare quanto sopra ci paredel tutto inutile. C’è solo da considerare un altro lato della questione — e
questo indipendentemente dall’altra
impellente questione dell’obiezione di
coscienza — e cioè che quest’alleanza
fra potere politico e potere militare,,
mentre da una parte, come abbiamo visto, grava in modo incredibile sulle tasche del contribuente, si trasforma in
una vera e propria fucina di materialeumano condizionato da mesi e mesi
di obbedienza « pronta cieca ed assoluta », materiale umano pronto cioè a
prolungare il « signorsì » dalla vita militare a quella civile.
Roberto Peyrot
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii iiiiiiii¡iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiii¡ngiii
L’unità degli
evangelici italiani
(segue da pag. 1 )
unitari già esistenti ed operanti. La
Commissione giuridica consultiva, che
agisce nell’ambito della Federazione,
raccoglie anche l’adesione di quelle
Chiese ed Opere che non sono membri
effettivi della Federazione stessa e costituisce, per tutto ciò che riguarda i
rapporti con lo Stato, un momento
unitario straordinariamente importante, specie in un periodo di trapasso
dalla fase dell’ostilità verso gli evangelici alla fase caratterizzata dal tentativo di inglobarli nel sistema. Importante anche il Comitato di studi per la
costituzione della Società biblica italiana e l’incontro annuale degli editori
evangelici che avvengono al di fuori
degli schemi organizzativi della Federazione ma che manifestano l’esistenza
di una coscienza unitaria in coloro
che operano in settori dove la testimonianza consapevolmente si sforza di rivolgersi all’intera realtà italiana. È
quasi superfluo ricordare, tanto è presente alla mente di ognuno, il culto-radio, nel quale gli evangelici si presentano effettivamente come una unità
all’ascolto e alla coscienza del paese.
Per questo suo carattere lo strumento
radiofonico andrà usato, riteniamo, in
modo sempre più effettivamente unitario e « corale ».
In sostanza, nel momento in cui diminuisce la pressione esterna, abbiamo dinanzi a noi un affievolimento
della spinta unitaria a livello delle comunità e un suo mantenimento o intensificazione a livello non delle dirigenze denominazionali, ma dei settori
consapevolmente rivolti a una testimonianza nel paese. In questa situazione
l’Assemblea ha davanti a sé il compito
di indicare in modo limpido e comprensibile alle comunità che lo strumento unitario è oggi l’unico che permetta un’effettiva testimonianza in
Italia, ed ha in pari tempo il problema di individuare quale forma di testimonianza risponda alle esigenze del
momento attuale e possa quindi creare attorno a sé l’unità di quanti vogliano operare affinché la parola evangelica sia realmente udita nel paese.
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 — 8.7.1960
'O Subalpina s.p.a - Torre Pellice (To>