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Anno 122 - n. 34
5 settembre 1986
Numero speciale L. 1.000
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Gruppo 1 bls/70
In caso di mancato recapito rispedire
a: casella postale - 10066 Torre Pellice.
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
CONCLUSA LA SESSIONE EUROPEA 1986 DEL SINODO DELLE CHIESE VALDESI E METODISTE
Argomenti per il futuro delle chiese
Un Sinodo quasi unanime - Un momento di alta intensità nella condanna dell’apartheid - Il dibattito concentrato sui rapporti con lo Stato - 11 ruolo del Moderatore nel nostro ordinamento
Il Sinodo fa notizia. Da incontro essenzialmente interno
alle nostre chiese, l’assemblea
annuale di Torre Pellice è andata progressivamente acquistando una dimensione pubblica
che non ha precedenti nella nostra storia. Da alcuni anni, infatti, del Sinodo si occupano le
pagine dei giornali, la radio, la
televisione.
L’impatto coi mass-media è
stato avvertito, credo, da tutti.
Se infatti gU organi di informazione si sono interessati al Sinodo anche perché in esso avevano cominciato a trovare posto, in misura superiore al passato, i temi dell’attualità sociale accanto a quelli della vita delle chiese, è pur vero che, essendo diventato il Sinodo — piaccia o no — anche una tribuna
per parlare alla società italiana,
da ciò è venuto un ulteriore stimolo ad allargare lo spazio dedicato ai problemi sociali a discapito di quello riservato alte
chiese. Il che, ultimamente, ha
suscitato alcune voci critiche e
una parziale correzione di rotta.
Ancora: il carattere «pubblico » del Sinodo è cresciuto anche nel senso che l’accesso all’aula, una volta interdetto ai
giornalisti, e poi loro concesso
con numerose restrizioni, è stato quest’anno totalmente libero,
ed è ormai considerato normale ciò che in un recente passato
era impensabile, come il vedere
fotografi e cameramen all’opera
in aula durante le sedute.
L’effetto di tutto ciò sulle chiese è stato evidente, e positivo.
I lavori del Sinodo, un tempo
seguiti solo dai vari « addetti
ai lavori », hanno conquistato
negli ultimi anni un pubblico
crescente, costituito da evangelici di tutta Italia, non solo vaidesi e metodisti, che hanno gremito le gallerie anche durante
le discussioni più tecniche, e fino agli orari più tardi. Curioso,
forse, che tanti abbiano « scoperto » il Sinodo solo quando
ne ha parlato la stampa non
evangelica.
Quanto alla percezione dell’assemblea sinodale da parte dei
mass-media, si possono sbrigativamente lare alcune considerazioni. Il massimo di clamore intorno a un Sinodo fu raggiunto
due anni fa, quando sesso-drogaterroristi erano le parole-chiave
dei titoli di tutta la stampa.
Quest’anno l’agenda sinodale era
meno « appetibile », e la rilevanza dei servizi dedicatici proporzionalmente minore.
Alcuni giornali hanno addirittura rinunciato ad essere presenti a Torre Pellice, « coprendo » l’awenimento coi comunicati deU’Uffìcio Stampa (a volte
rielaboratl in modo assai grossolano: p. es. la proposta di un
Concilio per la pace, lanciata,
secondo « Repubblica », dal « teologo Kirchentag»!). Da parte
dei giornali presenti, magari con
corri.spondenti locali, la cronaca
del Sinodo è stata fatta invece,
con qualche eccezione, in modo
assai onorevole.
Poco o niente sensazionalismo,
molta voglia di conoscere e capire il nostro « parlamentino » e
la realtà che esso esprime: per
una volta si può esser soddisfatti. Paolo Fiorio
Mi ha colpito in questo sinodo
la mancanza di dialettica interna. Quindici o vent’anni fa c’erano una destra e una sinistra ben
caratterizzate che si davano battaglia; forse anche troppo, sfiorando talvolta il rischio dì spezzare la chiesa. Oggi si è all’estremo opposto. Una quantità di ordini del giorno sono stati votati
all’unanimità o quasi, e nelle discussioni le voci che si so'm àiscostate dalla linea generale sono state poche, isolate e, soprattutto, incapaci di proporre una
linea alternativa.
Questa situazione potrebbe essere rallegrante se fossimo dei
Quaccheri, i quali, come è noto,
chiedono che ogni decisione sia
presa aH’imanimità. Ma il nostro
sistema sinodale, pur senza essere parlamentare, funziona in
modo simile ad un parlamento,
ossia opera al meglio quando
maggioranza e minoranza si stimolano a vicenda. Ma oggi, nel
nostro sinodo, questo stimolo
manca. Nessuno vuol tornare
agli scontri frontali di vent’anni
fa, ma una maggior dialettica interna sarebbe senza dubbio costruttiva. L’unico tema, quest’anno, sul quale si sia manifestata
una diversità di posizioni è stato
quello deirS per mille, ma l’aver
rinviato ogni decisione all’anno
prossimo ha smorzato la discussione.
Di tutti i dibattiti sinodali di
quest’anno quello sul Sud Africa
è stato l’unico che abbia raggiunto momenti di alta intensità nella decisa condanna di quel delitto di lesa umanità che è la segregazione razziale. Per il resto
è stata una normale assemblea
ecclesiastioa, buona nel complesso, anche se un po’ appannata.
Non dimenticare
la vita delle chiese
Una seconda osservazione è
suggerita anch’essa dal confronto con i sinodi del passato. Per
anni ed anni la gioventù era il
grande tema di discussione; la
FUV, la FGEI, Agape, e poi via
via altri temi hanno avuto il loro momento d’auge. Qggi il sinodo è, per così dire, invaso dal
tema dello Stato (le intese, la loro applicazione, l’ora di religione,
l’8 per mille, ecc.) e dal tema
della diaconia. Da rm lato è ovvio che sia così: occorre rispondere agli argomenti che l’esterno
ci propone, ma d’altra parte non
dovremmo lasciarci fagocitare
da queste tematiche e bisognerebbe riservare altrettanto interesse ad altri aspetti della realtà. La Società di Studi Valdesi
ha proposto proprio in questo sinodo delle schede per lo studio
della storia valdese nelle quali
gli eventi sono suddivisi secondo
tre categorie; « Stato », che sottolinea l’aspetto istituzionale;
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" .»>í"íií,mNiw w> if LM-fm
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7 pastori Bruno
Corsani, Susanne
Labsch e Alberto
Pool escono dal
tempio di Torre
Pellice al termine
del sermone di
apertura del Sinodo ’86.
« società », che sviluppa il contesto sociale; e « vita », che riguarda maggiormente l’organizzazione e la realtà interna delle comunità. Ultimamente — e anche nel
sinodo di quest’anno — l’aspetto
« Stato » è risultato preponde
rante. L’auspicio è che si giunga
presto a un miglior equilibrio,
cioè a prestare maggiore attenzione agli aspetti non istituzionali della società in cui viviamo,
e alla vita stessa delle chiese e
degli organismi che raggruppano i credenti.
FINANZIAMENTI ECCLESIASTICI II modello riformato
Il sinodo prende tempo
La riflessione nelle chiese vaidesi e metodiste durante l’anno
ecclesiastico 1985-86 è stata ampiamente occupata dalle questioni sollevate dagli articoli
45-49 della legge 20 maggio 1985
n. 222 e dall’o.d.g. della Camera
dei .Deputati del 17 aprile 1985
relativo a questa legge; si tratta della possibilità che le nostre chiese richiedano, così come già previsto per la chiesa
cattolica, l’esenzione dall’imposta INVIM decennale per gli
immobili di reddito di loro proprietà, la detrazione per i membri di chiesa dall’imponibile IRPEF di una somma non superiore a 2 milioni devoluta alle chiese, l’utilizzo dello 0,8%
della massa IRPEF per scopi di
interesse sociale ed umanitario.
Il Sinodo dello scorso anno,
dopo avere ampiamente dibattuto il problema, lo rinviò alle
chiese locali perché lo studiassero in modo da indicare alla
Tavola se nell’o.d.g. della Camera e nella normativa cui questo
si riferisce, vi fossero « elementi suscettibili di essere tradotti
nel nostro ordinamento», al di
là dell’esclusione dell’utilizzo del
denaro pubblico per il mante
nimento degli enti ecclesiastici
e dei ministri di culto.
Le chiese dovevano muoversi
«nel quadro di una rinnovata
riflessione sul sistema con cui
(esse) vengono finanziate attualmente » (art. 61/SI/1985). La Tavola, adempiendo Tart. 61 del
Sinodo scorso, fece pervenire alle chiese alcuni documenti per
fornire un’Informazione di base
sulla questione: uno studio sul
sistema attuale di finanziamento delle chiese valdesi e metodiste ed un altro contenente riflessioni a più voci sui temi oggetto di dibattito. Tuttavia le
indicazioni delle chiese alla Tavola non sono state tali da consentire al Sinodo di giungere ad
una decisione già in questa sessione.
Infatti, se la maggioranza delle risnoste denotava una tendenza favorevole ad una estensione anche alle nostre chiese
delle possibilità offerte dalla 1.
222/1985 alla chiesa cattolica,
tuttavia per lo più le chiese fornivano una risposta complessiva, non differenziando le tre questioni (INVIM, deflscalizzazione,
0,8%) e lasciando molti problemi aperti.
Ci pare di poter sottolineare
un elemento comime nella riflessione delle chiese, indifiendente
dal tipo di risposta che queste
hanno dato; la sua natura ecclesiologica.
Cosi come evidenziato dalla
Commissione d’esame, nel dibattito si è rilevato che « la chiesa
partecipa alle cose del mondo,
perché fa parte anch’essa della
storia e parla agli uomini, ma
non fa parte del mondo ». In altri termini siamo chiamati a vivere nel mondo pur mantenendo una distanza critica dalle cose del mondo, perché il nostro
criterio di valutazione rispetto
ad esse è l’EVangelo e non le
ideologie.
Il problema centrale del dibattito è la chiarificazione sulla
natura e sui compiti della chiesa nel mondo.
Il Sinodo del 1985 escluse in
maniera chiara che le nostre
chiese potessero utilizzare il denaro pubblico nei termini in cui
lo Stato l’ha offerto alla chiesa
cattolica, ovvero per « oneri di
mantenimento degli enti eccle
Paolo Gay - Marco Pasque!
(continua a pag. 15)
Il sinodo ’86 è stato caratterizzato dall’elezione di un nuovo
moderatore della Tavola. Ciò che
mi ha colpito non ha nessun
rapporto con le persone: né con
quella del moderatore uscente,
né con quelle dei due candidati.
Si riferisce invece all’atteggiamento del sinodo. Come ha fatto
osservare Emidio Campi, noi ci
collochiamo al margine delle
chiese riformate. Queste normalmente suddividono la direzione
degli affari ecclesiastici fra persone diverse: per esempio, un
« segretario generale » per l’amministrazione, un « moderatore »
per i contatti e la rappresentanza, e un « presidente del corpo
pastorale » per gli affari teologici e la cura d’anime dei pastori. Noi abbiamo concentrato que
Aldo Comba
(continua a pag. 2)
PREDICAZIONE
D’APERTURA
Alle pagine 8 e 9 il sermone
del culto di apertura del Sinodo del professor Bruno
Corsani.
2
2 Speciale sínodo
5 settembre 1986
IL DISCORSO DEL VICE-MODERADOR DELLA MESA VALDENSE
Rio de la Piata:
l'altra metà della chiesa
Cari fratelli e sorelle, con la
nostra presenza la Chiesa Valdese del Rio de la Piata esprime il più profondo senso di comunione in Cristo. Una valutazione delle cose che ci uniscono,
soprattutto la ricerca d’una presenza impegnata nella concreta
realtà sociale del nostro tempo,
ci porta fin qui.
Sono qui al posto del Moderatore Ricardo Ribeiro che, per
i suoi molti impegni, non ha potuto essere presente.
E’ noto che molti popoli dell’America Latina hanno vissuto
negli ultimi anni situazioni d’estrema crudeltà. Regimi militari o militari camuffati da civili
hanno governato con repressioni e controlli polizieschi e hanno tentato e tentano con tutti i
mezzi di impedire sviluppi politici ed economici che non siano
graditi al potere.
Ormai fuori dalla repressione,
oggi siamo di fronte alla paura.
L’anti-comunismo ha avuto im
ruolo importante in questi anni. E’ stato portato nel più profondo della vita sociale e individuale. A questa realtà non
sfuggono le nostre chiese. Questo è stato dimostrato appena
gli operai annunziavano uno
sciopero per chiedere migliori
salari : immediatamente questi
operai erano accusati di minacciare la democrazia nascente (e
lo sono ancora).
La crisi, oltre alla repressione, ha portato molta gente a
cercare nuove possibilità in al
RIO DE LA PLATA
Il Sinodo saluta con affetto fraterno il vice moderatore della Mesa Vaidense, Hugo Malan, e con
lui le sorelle e I fratelli del Rio de
la Piata.
Si sente legato al non facile cammino delle nostre chiese che —
nel particolare momento di speranza per il recupero della libertà e
della democrazia e di tensione del
Continente latino-americano, luogo
di scontro militare ed economico —
sono chiamate a dare una testimonianza solidale verso coloro che
soffrono per l’ingiustizia, riscoprendo la loro vocazione imissionaria
contro la disumanizzazione delle
persone e della società.
Si rallegra per il respiro ecumenico della loro azione e le incoraggia a proseguire in questo cammino.
Per ilyice-rnoderador Hugo Malan (a destra) il Sinodo è stato anche
occasione di interessanti contatti. Qui è con Eugenio Bernardini.
me a loro un nuovo senso alla
vita, qui in mezzo alla miseria
e alla paura.
Bisogna per altro dire che la
gioventù è, in questo momento,
il settore più attivo nella ricerca di vie d’uscita da questa situazione.
Nessuno ignora che la Chiesa
Valdese visse nel Rio de la Piata in mezzo ad una società benestante ; che tante cose sono
state (e anche oggi sono) alla
nostra portata, mentre non sono possibili a tanti altri popoli
latino-americani e neanche agli
abitanti delle zone periferiche
delle nostre città.
Oggi abbiamo imparato che
dobbiamo assumere il problema
dell’America Latina e dobbiamo
impegnarci con tutti quelli che
cercano il rinnovamento della
società. Non possiamo continuare a guardare all’Europa per ricevere la sana dottrina, giusto
quello che critichiamo ai cattolici e che noi facciamo in forma
differente però con uguale risultato.
La nascita della « teologia della liberazione » o « teologia della realtà » non è altro che la
concretizzazione di questa ricerca. Di sicuro nessim europeo
penserebbe che per fare Agape,
Riesi o una marcia per il disarmo o dare la S. Cena ai bambini è necessaria l’approvazione
dei fratelli latino-americani. Come neanche un nordamericano
domanderebbe se è buono l’uso
Futuro delle chiese
che fa delle sue ricchezze. Che
vogliamo dire con questo? Che
non ci interessa quello che fanno o pensano altri fratelli nel
mondo? No, esattamente l’opposto. Ci interessa, e molto, però
non vogliamo lasciarci condizionare o manipolare da una riflessione teologica che si fa in una
realtà molto diversa da quella
che noi viviamo.
Oggi più che mai dobbiamo
approfondire il dibattito teologico e ideologico. Dobbiamo approfondire il senso della unità
non per l’immagine e neanche
per calmare la nostra coscienza di fronte al mondo, bensì per lottare per la vita e
la liberazione. In questo modo,
la nostra relazione con il cattolicesimo e la nostra visione della fede cattolica passano per un
angolo differente da quello che
voi avete in Europa o negli Stati Uniti.
Le nostre comunità si dibattono nel dilemma: lasciarsi condizionare dalla paura di ciò che
può portarci a forme di vita differenti, o impegnarsi con i poveri nella ricerca d’una trasformazione nel senso della giustizia.
Scegliendo la prima opzione,
in America Latina non si ha altro destino che la morte, andare per la seconda (con tutti i
suoi rischi) significa scegliere la
speranza e il futuro.
Hugo Malan
(segue da pag. 1)
ste diverse funzioni nel moderatore. Non solo, ma avendone fatto l’unico membro della Tavola
che vi lavora a pieno tempo, l’abbiamo anche messo in una condizione di superiorità di fatto
sui suoi colleghi. In queste condizioni la collegialità della Tavola rischia forte di diventare nominale. Al momento delle elezioni il sinodo si è comportato come se stesse eleggendo un capo
carismatico e non semplicemente il responsabile deU’amministrazione. Perciò dobbiamo essere molto grati a Franco Giampiccoli per aver fatto il suo discorso di investitura non dopo la
sua propria elezione ma dopo
quella di tutta la Tavola, e di
averlo fatto in un tono che tendeva a sottolineare la collegialità.
E’ stato un atto di grande significato simbolico. Se il simbolo
deve tradursi nei fatti, ciò significa che occorrerà operare, con
tutta la gradualità opportuna, allo scopo di giungere in futuro a
separare le tre funzioni oggi concentrate nel moderatore: quella
di capo deH’amministrazione,
quella di rappresentante verso
l’esterno e quella di sovrintendente del corpo pastorale. Sarà
un’impresa difficile, ma di profondo significato teologico ed ecclesiologico che ci riporterà più
vicino al modello presbiterianorif ormato.
Un passo in questo senso le nostre chiese l’hanno già fatto
quando a livello locale hanno separato la ifunzione di presidente
del Consiglio di Chiesa da quella
di pastore. Si tratta ora di portare avanti questa stessa linea al
livello dei nostri organi direttivi
centrali.
Ecclesiologia,
dove andiamo?
Quasi ogni anno il sinodo è in
ritardo sul programma dei lavori e le ultime ore di deliberazioni, il venerdì mattina, sono affollate di questioni da risolvere a
gran velocità. Talvolta emerge
anche un tema importante ohe
non è possibile affrontare in modo adeguato.
E’ successo così anche questo
anno con la questione dei ministeri sollevata da Giorgio Tourn.
Da parecchi anni ormai al momento della consacrazione dei
pastori 1’« imposizione delle mani » è fatta non daiv.soli pastori
presenti, come in passato, ma
da tutta rassemblea. I ruoli tenuti dalla Tavola si sono modificati: accanto ai pastori e agli
evangelisti si sono aggiunti i pastori locali, i pastori in servizio
straordinario e i diaconi.
tri paesi. Così, l’Uruguay ha
perso, negli ultimi quindici anni, più di mezzo milione di abitanti, tanto come il 20% della
popolazione (la parte più giovane e preparata della nazione).
La chiesa finora è stata presente con im messaggio centrato
sull’etica individuale accompagnato da alcune opere sociali.
Però questo oggi non risponde
alle necessità dei nostri popoli.
La chiesa non ha un impegno serio con gli umili. Ci sono degli
intenti, piccoli segni, però non
sono sufficienti in una realtà
drammatica come quella latinoamericana.
Occorre indirizzarsi adesso
verso un impegno attivo per la
giustizia e non semplicemente
occuparsi degli aspetti morali
della condotta individuale.
Non farlo sigmficherebbe la
lenta inesorabile scomparsa delle nostre comumtà.
La gioventù è rimasta isolata
e impoverita di una vera visione del futuro, e noi dobbiamo
incominciare a ricercare insie
CHIESA E SOCIETÀ’ IN SUDAMERICA
Predicare nel caos
Nella regione rioplatense (la
zona del Sudamerica attraversata dal Rio de la Piata) la relazione al Sinodo di quest’anno
segnala 22 pastori al lavoro e
255 anziam e diaconi per un territorio che include 44 luoghi di
culto per un totale di 13.261 battezzati: queste cifre danno l’idea
della dispersione e del modo diverso di lavorare. Se si eccettua
la zona intorno a Vaidense, nel
sud dell’Uruguay, le chiese sono formate da famiglie sparse
nel territorio: è necessario trovare modi e tempi diversi per
rincontro (giornate comunitarie
che raggruppano le famiglie dei
credenti, campi estivi per ragazzi
e per giovani, operai itineranti
che abbiano una grande agilità
di movimento, sviluppo della ra
dio e della stampa, ecc.). L’Uruguay e l’Argentina escono da poco da un periodo terribile della
loro storia, periodo di dittatura
e di terrore, e lasciano dietro di
loro ferite diffìcili da curare.
Si tratta di ricostruire, nel paese e nelle chiese. Dì questa situazione, di quel che deve fare
la chiesa e di quel che sente il
paese distrutto, ci ha parlato
all’inizio del sinodo il vicemoderatore della chiesa valdese rioplatense, pastore Hugo Malan.
Rileggetevi, ci ha detto H. Malan,
i capitoli 22-27 del libro del profeta Geremia: capirete che cosa
significa predicare in mezzo a
una situazione di caos (da noi,
in Uruguay, negli ultimi anni si
seno persi circa mezzo milione di abitanti). Dopo, il
suo intervento, che pubblichiamo in questa pagina, il dibattito è stato breve ma molto intenso. E’ importante che dalle
due parti dell’Atlantico si lavori
per rivendicare una autonomia
di ricerca teologica (ed ideologica) che sia fatta all’interno di
un confronto: bisogna rendersi
conto di poter vivere in questa
dimensione di chiesa che va al
di là delle frontiere. Perciò, hanno sottolineato molti di coloro
che sono intervenuti, restiamo attenti al modo e al contenuto della ricerca degli uni e degli altri.
Questa attenzione c’è stata, spesso, nel passato: è importante che
ora, in una situazione nuova e
difficilè, non venga meno.
Eugenio Rivoir
Qualcuno suggerisce, secondo
l’esempio della Chiesa Riformata
di Francia, di sostituire la « consacrazione » dei pastori con un
atto di « riconoscimento » dei diversi ministeri. Altri vorrebbero
sopprimere un atto di consacrazione celebrato una volta per tutte ed avere invece singoli atti di
invio in missione da celebrarsi
ogni volta che a qualcuno è affidato un nuovo incarico nella
chiesa. C’è una logica in tutto
ciò? Ci stiamo allontanando dalla linea riformata o stiamo attuando legittimamente il principio secondo cui anche le nostre
istituzioni vanno sempre di nuovo riformate, cioè riesaminate
ed eventualmente modificate alla
luce deU’Bvangelo?
La questione, sollevata negli
ultimi minuti del sinodo, non è
stata affrontata se non con il
consueto rinvio a una commissione di studio. Ma è senza dubbio un tema di grande importanza sul quale occorrerà soffermarsi con attenzione, perché — soprattutto se lo si inquadrerà nella doppia prospettiva biblica e
storica — ci dirà se in ecclesiologia stiamo andando qua e là
spinti dagli impulsi del momento, o se ci stiamo muovendo in
una direzione precisa e se questa
è evangelica.
Comunità di donne
e uomini
Accanto ai temi affrontati troppo in fretta ogni sinodo presenta
una lunga lista di temi non affrontati affatto. E’ inevitabile
che in un’assemblea limitata a
pochi giorni ciò accada. Ma nulla impedisce di rammaricarsi che
l'uno o l’altro argomento non sia
venuto in discussione. Tra questi
meriterebbe senza dubbio di essere ripreso il tema della « comunità di donne e uomini nella chic
sa ». Non è un argomento sul
quale si possa deliberare una volta per tutte con una mozione,
ma è un insieme di questioni di
cui occorrerebbe prender coscienza sempre più chiaramente
per giungere a modificare in profondità la mentalità e il costume.
Sembra che il sinodo, dopo aver
imparato a dire « fratelli e sorelle » e dopo averne eletta una o
due a cariche direttive ritenga
di aver fatto tutto il suo dovere
in questo campo. In realtà il più
resta ancora da fare per raggiungere la parità evangelica, specie
in una società come la nostra,
che rimane fondamentalmente
gerarchica.
Una rete di
contatti
Anche quest’anno i lavori sinodali hanno avuto il solito ritmo:
avvio lento e galoppo finale. Tuttavia i ritardi sono stati abbastanza contenuti. Ma il problema della riforma dei lavori del
sinodo si pone ugualmente. Forse soltanto valorizzando maggiormente le Conferenze Distrettuali e riservando al sinodo due
o tre temi di rilevanza centrale
si riuscirà a far sì che questi ultimi siano esaminati a fondo e
che rimanga altresì tempo sufficiente per quegli incontri informali in cui si rinnovano i contatti e le conoscenze e s’intesse quella trama di rapporti personali
che tiene unita la nostra vasta
diaspora evangelica.
Il numero dei partecipanti al
culto inaugurale e a quello di
chiusura, e delle persone che
hanno seguito i dibattiti dalle
gallerie e conversato con i deputati nel giardino della Casa Valdese mi è parso in aumento rispetto ad anni passati. Segno di
una volontà di partecipazione e
di un bisogno di contatti e di interscambio a cui occorre dare
spazio.
Aldo Comba
3
5 settembre 1986
Spedale sinodo 3
SBAGLIATO PARLARE DI ’’SPACCATURA”
Il senso
delle elezioni
Il Moderatore non è il ’’capo” della chiesa Il Sinodo e la chiesa primitiva - La preghiera
Un’elezione di stretta misura,
ballottaggi: in una organizzazione sindacale o politica questo
voto legittimerebbe la conclusione di una profonda spaccatura tra i componenti della stessa
organizzazione. E quando questo succede in un Sinodo? Abituati a valutare le cose in quest’ottica alcuni giornalisti hanno interpretato il voto per reiezione del nuovo moderatore, di
un nuovo membro della Tavola
e di un membro dell’OPCEMI,
secondo il cliché della spaccatura delle chiese. Una maggior
conoscenza dell’ecclesiologia valdese e metodista, dell’ordinamento delle nostre chiese, invece, avrebbe permesso un’altra interpretazione del voto, più corrispondente alla realtà.
Le nostre chiese si basano su
una gerarchia di assemblee (da
quelle locali, le assemblee di
chiesa, a quella generale, il Sinodo nelle due sessioni italiana
e rioplatense), ciascuna con un
proprio ambito di competenze
specifiche.
Ogni assemblea ha un proprio
organo collegiale esecutivo e che
ne cura la rappresentanza nell’intervallo tra una convocazione e l’altra. Per il Sinodo la convocazione è fatta annualmente,
anche se non si escludono
per particolari questioni Sinodi
« straordinari ».
Gli incarichi aH’interno degli
organi collegiali esecutivi sono
differenziati secondo le capacità
ed i doni dei singoli componenti
ed hanno una caratteristica comune, quella di essere concepiti come servizio verso l’organo
esecutivo stesso e verso l’assemblea che lo ha eletto. Nessun eletto ha, preso singolarmente, « potere », mentre è l’organo collegiale che ha « autorità ». Perciò è profondamente
sbagliato parlare — come ha fatto « La Stampa » di Torino —
di un nuovo « capo » delle chiese valdesi. Per noi evangelici il
solo capo della chiesa è Nostro
Signore Gesù Cristo. La scelta
di chi incaricare di un servizio
presuppone un esame, una considerazione delle capacità individuali, dei doni di ciascuno, delle opportunità di chiedere ad
una persona di ricevere l’incarico. Per far questo il Sinodo
ha dedicato una intera serata
di discussione. Si è esaminato il
prò ed il contro di ogni .proposta
di incarico, pacatamente e serenamente, senza spaccature o divisioni precostituite.
« In questo dibattito — è stato ricordato — il ruolo dell’assemblea sinodale è un po’ quello della chiesa del libro degli
Atti, quello di presentare gli uomini che dovranno essere scelti ».
E c’era chi richiamandosi proprio alla elezione degli apostoli
descritta nel libro degli Atti proponeva che si « tirasse a sorte », anche se per i nostri regolamenti ciò non è possibile. Un
altro richiamo biblico, « la preghiera » prima di procedere alla scelta, è stata invece una pratica condivisa da tutti i pastori
ed i laici, sia che avessero diritto di voto o semplicemente fossero presenti con voce consultiva o come invitati.
Mentre alcuni hanno assunto
per la prima volta un nuovo incarico, altri non erano più eleggibili per aver compiuto il settennato nell’incarico. Il Sinodo
li ha ringraziati per il servizio
reso.
Giorgio Gai’diol
RINGRAZIAMENTI
Il Sinodo esprime la riconoscenza
di tutte le chiese al pastore Giorgio Bouchard per la passione e la
intelligenza con le quali ha adempiuto il mandato durante i sette anni
di imoderatura.
Ringrazia altresì il prof. Giorgio
Spini per la competenza e la dedizione con le quali ha svolto il suo
mandato nella Tavola.
I nuovi incarichi
TAVOLA VALDESE — Franco Giampiìccoli, moderatore; Gianni
Rostan, vice-moderatore; Giulio Vicentini, Vaido Benecchi, Oriana
Bert, Bruno Beliion, membri.
COMITATO PERMANENTE DELL’OPERA PER LE CHIESE
EVANGELICHE METODISTE IN ITALIA — Paoio Sbaffl, presidente; Ciaudio Martelli, Bruno Loraschi, Mirella Scorsonelli, membri.
CONSIGLIO DELLA FACOLTÀ’ VALDESE DI TEOLOGIA —
Bruno Corsani, decano; Franco Sommanl, Giorgio Rochat, Sergio
De Ambrosi, Gabriella Costabel, membri.
COMMISSIONE PER GLI ISTITUTI OSPITALIERI VALDESI —
Alberto Taccia, presidente; Valdo Fomerone, Marcella Gay, Ugo Zeni, Roberto Peyrot, Antonino Pizzo, Claudio Pasquet, membri.
COMITATO DEL COLLEGIO VALDESE — Gabriella Ballesio,
Marco Ayassot, Marco Gay, Giancarlo Griot, Ive Gardiol Theiler,
Alberto Peyrot, Fabrizio Malan, membri.
COMMISSIONE D’ESAME sull’operato della TAVOLA, dell’OPCEMI, del CONSIGLIO DELLA FACOLTA’ DI TEOLOGIA — Giovanni Anziani, relatore; Arrigo Bonnes, Marco Rostan, Rosanna Nittl,
membri.
COMMISSIONE D’ESAME sull’operato della CIOV_— Erika Tomassone, relatore; Tom Noffke, Umberto Beltrami, Simonetta Colucci, membri.
COMMISSIONE PER LO STUDIO DI UN MIGLIOR FUNZIONAMENTO DEL SINODO — Salvatore Ricciardi, presidente; Neri
Giampiccoli, Aldo Ribet, Gian Franco Mathieu, membri.
PREDICATORE per il culto di apertura del Sinodo 1987 — Alfredo Sonelli.
PRESIDENTE DESIGNATO per la prossima sessione sinodale —
Aldo Comba.
La prossima sessione sinodale italiana si aprirà, a Dio piacendo,
domenica 23 agosto 1987 in Torre Pellice.
IL DISCORSO DEL NUOVO MODERATORE GIAMPICCOLI
Schiettezza e speranza
Dopo aver ringraziato il Sinodo a nome della Tavola per
la fiducia espressa dal voto, il
moderatore Giampiccoli ha così proseguito.
Voi mi avete chiamato a
questa responsabilità nella consapevolezza della mia inesperienza e io la assumo con maggiore preoccupazione di quanto
avrei se già conoscessi questo
lavoro. Non essendo mai stato
membro della Tavola, via Firenze 38 mi appare se non come un altro pianeta, come
l’estremità della terra. E d’altra parte, come dice il salmista, « se prendo le ali dell’alba e vado a dimorare alle
estremità del mare, anche quivi mi condurrà la tua mano, e
la tua destra mi afferrerà ».
Miq moglie dice che dovrei
avere la certezza di questo, non
solo la speranza. Ma ciò che è
in questione non è la guida del
Signore che è certa, bensì la
nostra capacità di lasciarci
afferrare dalla mano del
Signore di cui possiamo solo
avere la speranza, perché così
spesso, soprattutto nei momenti di ansia, personali o anche collettivi, abbiamo la tendenza a voler prendere noi in
mano le redini per portare noi
al sicuro il carro della nostra
vita o della nostra chiesa.
Assumo dunque questo incarico con ansia e preoccupazione ma anche con speranza e
lo faccio con una richiesta a
tutti voi, a tutta la chiesa, la
richiesta di schiettezza fraterna nella critica, nei suggerimenti, nella circolazione di
proposte, nell’aiuto cioè di cui
ho bisogno. Schiettezza fraterna: questo credo che sia l’essenziale per l’aiuto reciproco
che ci dobbiamo e per
l’aiuto che io vi chiedo.
Perché vedete, fratelli e sorelle, io ho l’impressione che ciò
di cui noi valdesi e metodisti
soffriamo è spesso una malattia che ha due forme, una più
volgare e una più raffinata: il
pettegolezzo e la dietrologia,
che sono il contrario della
schiettezza. La stampa nei suoi
resoconti, quando riferisce il
nostro dibattito su pace e giustizia, dice spesso che questo è
ciò che ci sta più a cuore, che
ci è congeniale. Non lo metto
in dubbio. In questi anni noi
continuiamo a meditare sulle
beatitudini: «beati quelli che
sono affamati e assetati di giustizia » e « beati quelli che si
adoperano alla pace ». Ma
penso che ci sia anche un’altra
beatitudine su cui dobbiamo
riflettere, che dobbiamo ricercare nella nostra vita: « beati 1
puri di cuore perché essi vedranno Iddio ». Ora la purezza del cuore è la schiettezza,
la linearità, la dirittura, la trasparenza della parola e dell’azione. E questo va riferito
non solo alla propria parola e
alla propria azione ma anche
alla scommessa che la parola
e l’azione dell’altro sono diritte, anche se non lo sono, perché succede — non ce lo nascondiamo — che schiettezza e
dirittura vengano a mancare.
L’impegno che dobbiamo prendere gli uni verso gli altri è
dunque per la purezza di cuore e contro pettegolezzo e dietrologia.
Vorrei che l’aiuto che chiedo tenesse conto della particolarità dei doni di ciascuno: il
mio ministero sarà certo diverso da quello di Bouchard. Nel
Franco
Giampiccoli,
52 anni, tre
figlie, dopo aver
compiuto gli
studi teologici
a Roma e
negli USA
è stato pastore
a Ferrerò,
segretario
della FUV, e
successivamente
direttore di
Agape; più
tardi ha svolto
il proprio
ministerio a
T orino
dirigendo dal
1976 il nostro
settimanale
sino
all’avvenuta
elezione a
Moderatore.
E’ autore di
diverse
pubblicazioni
di carattere
teologico e
giuridico.
la conferenza stampa dopo
l’elezione mi è stata posta una
domanda sulla continuità. Ho
risposto che la nostra continuità è rappresentata dal Sinodo, non dai moderatori che
possono essere diversi e avere
modi diversi nell’esprimere il
loro ministero. Ebbene, un collega e carissimo amico da moltissimo tempo mi ha detto qualche giorno fa, in modo crudo e
schietto: i tuoi articoli sull’Eco-Luce non valgono molto,
ma le tue meditazioni sono tutte da leggere, perché sono buone e questo è naturale, perché
sei un pastore. Io l’ho preso
come un complimento: se infatti dovessi definirmi in qualche modo non direi certo che
sono un intellettuale, bensì un
pastore, un predicatore. Vorrei
quindi chiedervi questo, fratelli e sorelle; invitatemi nelle
vostre chiese, nelle vostre città, non a tenere delle conferenze perché ci sono tanti che
lo possono fare meglio di me,
ma per predicare nelle vostre
chiese e nelle vostre città, per
conoscere la vita delle chiese
ed i loro problemi in modo
diretto, per parlare con i vostri
pastori. A questo ritengo di essere adatto e a questo, per
quanto me lo consentiranno le
altre incombenze, vorrei dare
la priorità.
Vorrei ancora menzionare alcuni momenti di questo Sinodo, cose che mi sono servite e
di cui intendo ricordarmi.
Il primo è relativo alla predicazione di apertura di questo
Sinodo, la bella predicazione
di grande semplicità, così centrata che ci ha dato il Prof.
Bruno Corsani; le tre vie o tre
paradigmi della via che abbiamo davanti a noi, la via della
croce — che può costare — la
via della testimonianza — che
è il nostro compito e la nostra
ragion d’essere — e la via della comunione con Cristo —
che è la sorgente della nostra
forza. Io credo che possiamo
andar via da questo Sinodo tenendo stretto questo sermone
come una indicazione per la vita delle, nostre chiese.
11 secondo si riferisce ad
un’ altra predicazione, quella
del pastore Aquilante. Tra altre cose importanti ha detto
che la vita, l’esistenza delle nostre comunità è un miracolo.
Nell’ideologia del tornaconto in
cui viviamo, l’esistenza di uomini, donne, piccole comunità
che insieme camminano nella
via dell’Evangelo senza alcun
tornaconto è un miracolo. Mentre diceva queste cose mi veniva in mente una frase di
Bonhoeffer rivolta ai pastori che
stava istruendo clandestinamente nel seminario di Finkenwalde: « Le comunità che ci sono
affidate non ci sono affidate
perché noi ce ne lamentiamo
davanti a Dio ». Mentre noi così facilmente, di fronte alla
umanità talvolta pesante delle
nostre comunità siamo tentati
— soprattutto pastori, membri
dei concistori e consigli di
chiesa, responsabili di attività
— di lamentarcene, magari anche davanti a Dio. Dovremmo
dare molto più spazio al pensiero che ci ha lasciato Aquilante nella sua predicazione riconoscendo questo miracolo,
che nel linguaggio biblico indica cosa che desta meraviglia
e riconoscenza.
E un ultimo ricordo di questo Sinodo è la preghiera che il
nostro presidente Giorgio Giràrdet ha pronunciato la sera
di domenica quando ha pregato perché ci fosse possibile in
questo Sinodo di dimenticare
noi stessi e mettere al centro
dei nostri lavori la causa del Regno. Ecco, questa cosa così difficile, e così essenziale, che non
riguarda solo i lavori di questo
Sinodo, dobbiamo portarla
dentro di noi in preghiera nel
nostro lavoro, ciascuno al proprio posto, nelle nostre chiese.
E vorrei terminare con una
preghiera che certamente diversi di voi hanno già sentito.
E’ una preghiera che voglio
volgere al plurale perché può
applicarsi al ministero che ciascuno di noi svolge nelle nostre chiese:
Signore, dacci l’umiltà per
accettare le cose che non possono essere cambiate; dacci il
coraggio per cambiare le cose
che devono essere cambiate; e
dacci la saggezza per distinguere le une dalle altre. In questo
e in ogni cosa ci aiuti il Signore.
4
4 spedale sínodo
5 settembre 1986
PREDICAZIONE E TESTIMONIANZA EVANGELICA NEL MEZZOGIORNO ITALIANO
Due Italie lontane e diverse
Il dibattito sul lavoro delle chiese nel Mezzogiorno in Sinodo ha evidenziato una carenza di
analisi sulla situazione e la necessità di investire
maggiormente in persone e mezzi in questa importante area del nostro Paese. Persone motivate
che scelgano il Sud come il luogo della testimonianza e deU’evangeUzzazione. Ma scelgano sulla
base di progetti specifici concreti, elaborati 'in loco’ e non sull’astrattezza di inviti generici ad impegnarsi nel Sud. Il Sud è stato uno dei punti cal
di del dibattito sinodale che ha comunque lascia^
to dietro di sé un’indicazione chiara a procedere
compatibilmente con le nostre forze e con le varie
esigenze pastorali. In questa pagina presentiamo
due testimonianze di lavoro nel Sud; approcci diversi ma entrambi carichi di significato e di speranza. Un tema sul quale torneremo spesso nel
corso dei prossimi mesi proprio per spezzare l’isolamento che spacca l’Italia in due.
Mai come da quando lavoro in
Campania e Basilicata mi son resa conto di essere im’italiana del
nord (dell’Alt’Italia, come dicono
a Napoli).
La cultura, la lingua, le abitudini quotidiane, i rappo'rti interpersonali, la concezione della famiglia, la relazione col mondo
del lavoro... sono elementi che
fanno balzare agli occhi anche
del più superficiale osservatore il
dato inconfutabile che il nostro
paese è diviso in diUe parti molto diverse, la cui linea di demarcazione può essere individuata
nella città di Roma (città tutta
speciale ohe peraltro non va collocata in nessuna di queste due
aree).
Il fatto che in questi .ultimi
d^eim lo sviluppo delle comunicazioni, e soprattutto l’emigra
ad essere prodotte, ampie analisi
e ricerche su questi temi, mi voglio limitare qui a riferire alcune frammentarie impressioni di
chi, come me, ha varcato questa
« frontiera interna ».
Prima "scoperta" dunque: sono ima nordista! Alla quale è
seguita subito la seconda piacevole scoperta: quella di essere
ugualmente accolta con estremo
calore e fiducia. Questo fatto, oltre a placare i miei complessi di
« polentona », ha favorito il processo di comprensione della realtà ohe mi circondava. Non esiste,
credo, nessimo più del napoletano (inteso in senso lato e non
solo ristretto al centro urbano)
che sia disponibile ad aiutare il
forestiero a capire e conoscere la
sua terra, la sua musica, la sua
lingua, la sua vita sociale e pri
PROGETTI DI LAVORO
Il Sinodo, in considerazione del
patrimonio di opere e dei fermenti
nuovi presenti nel Meridione, della
difficoltà che la Tavola ha di reperire i quadri necessari alla valorizzazione di questa testimonianza,
consapevole dei segni Interessanti
e positivi che emergono in quel contesto, invita la Tavola, i Circuiti, le
CED del terzo e quarto Distretto
ad elaborare strategie per il campo di lavoro nel Sud che si basino su:
a) specifici progetti circuitali e
comunitari;
b) possibilità concreta di inserimento di operai nel lavoro meridionale avendo particolare atten
zione ai probimni della famiglia
pastorale;
c) responsabilizzazione del Corpo Pastorale nel suo complesso
rispetto all'esigenza di rispondere
alle necessità di testimonianza e
di predicazione nel Mezzogiorno;
d) messa in atto di iniziative
tese a eliminare l'isolamento di
chi vi opera.
Il Sinodo si rallegra per la prossima costituzione dell'Associazione
per la storia dell'evangelismo meridionale/Sezione Calabria; auspica
che essa diventi un polo culturale
per lo studio e la valorizzazione
della sofferta e gloriosa storia dell'evangelismo meridionale.
zione, hanno prodotto una grande mobilità dei cittadini italiani
tra sud e nord, non ha cancellato questa fondamentale diversità che ha radici profonde nella
storia del nostro paese.
Gli investimenti nel mezzogiorno, la diffusione di una cultura
di massa attraverso i mass-media, l’espansione ddl mercato dei
consumi su scala nazionale, non
hanno dato un reale contributo
alla reciproca comprensione di
questi due mondi, hanno anzi
prodotto una mistificante parvenza di omogeneità a scapito di
uno sviluppo reale che tenesse
conto della situazione sociale e
culturale, quando non hanno addirittura acuito le contraddizioni ed esasperato le contrapposizioni.
D’altra parte la consapevolezza
della diversità dei problemi tra
nord e sud e la conseguente ricerca di metodi anche diversificati per lo sviluppo di entrambe
le aree, non può in alcun modo
farci arrivare alla conclusione
che ognuna delle due metà del
paese deve cercare la sua via o
che meglio sarebbe stato che i
piemontesi se ne fossero rimasti
tranquilli a casa loro, senza forzare un’unità d’Italia fuori luogo
o fuori tempo.
Al contrario, nel presente come nel passato, gli intrecci economici, politici e culturali sono
tali che ogni eventuale iniziativa
va studiata e vissuta colla piena
consapevolezza che si tratta di
una questione nazionale e che
ogni mutamento in una delle due
parti del paese ha ripercussioni
immediate sull’altra.
Poiché esistono, e continuano
vata con straordinaria autoconsapevolezza comunicativa.
in cui sono entrata in contatto
con la regione (postumi del terremoto) la terza, e meno piacevole, scoperta è stata la totale
inefficienza degli apparati pubblici che, col passar del tempo, ho
percepito come un dato costitutivo della realtà sociale che andava ben oltre lo stato di emergenza. Porte perennemente chiuse, funzionari evanescenti, impiegati ohe danno indicazioni fantasiose e creative, ma che nulla
hanno a che fare colla realtà delle cose né coll’andamento dell’ulRcio a cui sono addetti... sono cose che disorientano chi ha
ormai nella pelle una visione di
efficienza e razionalità collaudata nelle città industriali del nord.
Lentamente però, cambiando
pelle un pochino, si scopre che
non è tutto "assurdo" come può
sembrare a prima vista (quarta
scoperta), ma che esiste una logica non meno ferrea di quella
dell’interland milanese... è solo
diversa, né meglio né peggio, solo diversa. Il concetto di diritti
e di doveri è del tutto estraneo
alla vita dell’uomo medio del
sud: il rapporto personale è ciò
su cui si basa ogni azione della
propria giornata, nel bene come
nel male. La produttività, la democrazia, il rispetto degli impegni... son cose che passano con
tutta naturalezza in secondo piano rispetto airamicizia. E’ la
scelta degli amici, dei protettori
e dei protetti che determina il
buono o il cattivo funzionamento
di un ufficio, come di tutti gli altri aspetti della vita, più che il
rispetto delle leggi o dei regolamenti. Quello che per esempio
avevo scambiato per pigrizia o
inefficienza era spesso voluta non
collaborazione. Potremmo chiamarla lotta politica o boicottaggio, se non fosse anche questo un
linguaggio importato.
7Z quartiere spagnolo di Napoli.
Data la particolare situazione La resistenza passiva è la for
ma di opposizione più corrente
e naturale, spesso inconscia tanto ormai è radicata. Il non assolvimento del proprio dovere di
funzionario o impiegato pubblico
è la norma che non esclude la
massima efficienza, solidarietà e
collaborazione, anche oltre i propri compiti, non appena i rapporti di amicizia lo impongano.
La parola clientelismo non
esprime adeguatamente questo
« modus vivendi » che ha radici
così profonde da essere ormai
una seconda natura e che include risvolti positivi e a volte de’
tutto disinteressati.
Potrei continuare, ma mi frenano la paura del fraintendimento, del giudizio facile o del messaggio folkloristico. Le emozioni
ed esperienze vissute sono così
complesse che mi riesce difficile
trasferirle su carta stampata;
memore anche del fatto che prima di trovarmi a vivere nel mezzogiorno ben poco mi eran serviti gli articoli, anche ottimi, letti
suH’argomento. Una cosa mi
sembra di aver imparato: la sterilità del dar giudizi o far affrettati confronti, oltre che la sfiducia nella efficacia di proporre
modelli più "civili” o più "avanzati”.
IL PASTORE PAOLO GIUNCO ENTRA IN EMERITAZIOME
Tutta colpa dello Spirito Santo
« Com’è nata in lei la decisione di diventare un pastore valdese? ». Paolo Giunco, « sicilianuzzo » di Villa S. Giovanni (epiteto dato dai reggini ai loro vicini per i loro frequenti rapporti con l’isola), unico pastore a
concludere il suo servizio col Sinodo 1986, rimane un attimo incerto, poi sorride. « E’ stato lo
Spirito Santo, tutta colpa dello
Spirito Santo».
Bisogna superare qualche resistenza, quasi una sorta di pudore, per convincere il pastore
Giunco a parlare di sé al di là
delle battute: ma, una volta rotto il ghiaccio, lo fa volentieri (e
non si accorgerà fin quasi alla
fine del colloquio che si tratta
di un’intervista). « Fui consacrato prete nel 1939 — esordisce —
a 23 anni non ancora compiuti:
un po’ per le pressioni di uno
zio prete, ma anche per vocazione autentica. Dopo la guerra,
quando' Pio XII scomunicò i comunisti, cominciò il mio conflitto spirituale con la chiesa cattolica. Ma una svolta la ebbi qualche anno dopo, quando sul traghetto fra Villa e Messina conobbi casualmente il pastore Pa
nascia, che, chiacchierando, mi
consigliò di legare attentamente e senza pregiudizi il vangelo
di Matteo e l’epistola agli Ebrei.
Lo feci, e mi colpirono numerosi
passi in contrasto con l’autorità
assoluta che pretende di avere
il papa ».
Una pausa, poi Giunco riprende: « Ero ormai maturo per la
rottura col cattolicesimo, che
avvenne nel 1959, grazie anche
all’incontro con un altro pastore
valdese, Briante, allora in servizio a Messina. Fu lui che, il giorno che decisi di gettare la tonaca, mi fornì il primo abito "borghese”. Mi trasferii a Roma, per
studiare alla Facoltà di Teologia. Ben presto mi visitarono il
mio zio prete e un inviato del
vescovo, che mi promisero un
impiego alle Poste, se avessi abbandonato i valdesi. Naturalmente rifiutai, e nel 1966, dopo
aver compiuto un periodo di
prova a Palermo, fui finalmente
consacrato ».
Il suo servizio, Paolo Giunco
lo ha sempre svolto in comunità
meridionali: 3 anni a Trapani,
5 a Qrsara e Foggia, poi ancora
per 11 anni a Trapani, dove ri
siede tuttora. Anni certo meno
movimentati di quelli della separazione dal cattolicesimo e
della conversione alla fede evangelica, ma anche anni di lavoro
umile e prezioso. Per natura riservato, non è certo mai stato
un « personaggio » nel protestantesimo italiano, ma ora, sulla soglia dell’emeritazione, si lascia
convincere a lasciare un « messaggio » ai suoi colleghi più giovani: « Ci vuole cautela nell’ecumenismo — dice —. Solo con le
comunità di base può esserci un
vero dialogo, perché vivono la
fede in uno spirito di libertà. Ma
col cattolicesimo-istituzione è diverso. Con loro vien sempre il
momento in cui il senso dell’autorità prevale sulla libera ricerca. Dicono: "Più in là non possiamo andare”,, e lì il dialogo si
interrompe ».
a cura di Paolo Fiorio
Il Sinodo al momento dell’emeritazione del pastore Paolo Giunco
gli rivolge un pensiero di fraterna
riconoscenza per l'opera svolta nella chiesa.
Sappiamo tutti che il rispetto
dei diritti e dei doveri fa parte
di un sistema che ha, o dovrebbe
avere, come obiettivo la protezione del debole e che una società
basata sui rapporti personali ha
ben poche forme di controllo della base sugli abusi del potere,
ma abbiamo imparato anche
quanto sia difficile lottare per i
propri diritti, anche collettivi,
senza calpestare qualcun altro,
individuo o categoria, senza sacrificare spesso il lato più umano e personale di noi stessi.
La ricerca di una via di sviluppo va perseguita con costanza attraverso analisi e ricerche, né
mancano persone che dedicano a
questo il meglio della loro vita
ma è chiaro che questo processo
non può sacrificare, ignorare o
stravol.gere la ricca storia culturale di queste regioni, come fatalmente avvie ne se ad occuparsene sono intellettuali, politici o
industriali del nord.
E il compito delle nostre chiese qui, come altrove, o dei singoli credenti non può che essere
quello di capire, rispettare, amare nella fiducia che il messaggio
dell’evangelo e la testimonianza
produrranno i loro frutti se portati con umiltà e spirito di ricerca comune con chiunque sia impegnato per una crescita dell’uomo, qualunque. sia il suo punto
di partenza.
Purtroppo nei nostri dibattiti,
anche sinodali, non riusciamo ancora a liberarci da un certo spirito « coloniale », come se la nostra fosse una chiesa del nord e
il sud una terra di missione.
Per quello che ho potuto conoscere del mezzogiorno le nostre
comunità sono spesso più vive
©d attive che in molti luoghi del
nord e non vedo oerché non dovrebbero poter esprimere un
maggior numero di persone capaci di portare in prima persona
la testimonianza evangelica in
queste regioni e che non siano
vittime di ingiustificati complessi
di inferiorità verso 1’« Alt’Italia »,
così come un evangelico del nord
che abbia la fortuna di lavorare
per le nostre chiese od opere nel
mezzogiorno, non può che ringraziare il Signore di quest’opportunità di conoscere una realtà diversa, ma non certo inferiore e
certamente molto più capace di
esprimere amore e calore umano
oltre che creatività e inventiva
che nelle nostre realtà settentrionali.
Negli anni ’60 migliaia di evangelici del sud sono andati a rafforzare le nostre comunità del
nord e dell’estero, sarebbe interessante e fecondo che si stabilisse una sorta di emigrazione
evangelica di ritorno verso il
sud.
Toti Boucfaard
5
5 settembre 1986
Speciale sinodo 5
QUALE RAPPORTO TRA LA FACOLTA’ E LE CHIESE? UN INTERROGATIVO PER LE COMUNITÀ’
Formazione dei pastori:
un prezzo da pagare
La preparazione di un pastore costa circa 50 milioni: le offerte delle
chiese coprono solo un terzo di tale cifra - Nuovi studenti in Facoltà
Quest’anno in Facoltà entreranno cinque nuovi studenti. Un
motivo di speranza e di gioia
per tutta la chiesa. In Sinodo il
dibattito sulla Facoltà è stato
sostanzialmente breve e si è concentrato suH'approvazione dell’art. 36 in cui si chiede alle chiese un maggior contributo per il
mantenimento della nostra Facoltà. 'Preparare un pastore costa circa cinquanta milioni nei
quattro anni di studio e 2/3 del
denaro occorrente per il funzionamento della Facoltà vengono
da doni straordinari e solo 1/3
dall’impegno delle chiese.
Il « fondo di dotazione » per
la Facoltà costituito all’atto stesso di fondazione della Facoltà,
nel lontano 1855, è stato ormai
eroso daH’inflazione e incide solo
in minima parte nel bilancio.
Occorre che le chiese prendano
economicamente in pugno la situazione evitando di cercare all’estero i fondi per il suo sostentamento.
In questo quadro abbiamo
chiesto al decano della Facoltà
(che — come ha precisato il Sinodo — nei rapporti con lo Stato ha funzioni di "preside”) un
commento all’atto 36 approvato
dal Sinodo teso a sollecitare un
FACOLTA’
VALDESE
DI TEOLOGIA
Apertura
dell’anno accademico
Il 132^ anno accademico
1986-87 inizierà con una settimana di studio nelle Valli
Valdesi.
L’apertura dell’anno accademico avrà luogo con un
culto nel tempio valdese di
Lusema S. Giovanni domenica 12 ottobre, alle ore 10.
La prolusione sarà tenuta dal
prof. Sergio Rostagno sabato 25 ottobre nell’Aula Magna della Facoltà, a Roma,
alle ore 17-30'. Il tema della
prolusione è; «Il Dio che
ama nella libertà. La dottrina barthiana deila libera scelta di Dio ».
La sessione autunnale di
esami si svolgerà in primo
appello sabato 11 ottobre a
Torre Pellice (Foresteria Valdese) e in secondo appello
sabato 25 ottobre nella sede
di Roma.
Iscrizioni — Si accettano
iscrizioni fino al 30 settembre. Scrivere a Facoltà Valdese di Teologia, Via Pietro
Cossa 42, 00193 Roma. Il Corso di licenza prepara normalmente per il pastorato e
comporta l’obbligo di frequenza. Il Corso di Diploma
non comporta quest’obbligo
e prepara per collaborazioni
nell’attività delle chiese oppure fornisce un aiuto per
l’ampliamento della conoscenza teologico-religiosa degli
iscritti.
maggior senso di responsabilità
delle chiese nei confronti della
Facoltà, segnatamente sul versante economico.
« Certamente dobbiamo registrare con riconoscenza il fatto
— ha detto il decano Corsani —
che praticamente tutte le chiese
hanno già un loro impegno verso la Facoltà, che si estrinseca
soprattutto in una colletta domenicale fatta nel corso della "Domenica della Facoltà". Si tratta
ora di dare maggiore organicità
a quest’impegno permettendo alla Facoltà di contare maggiormente sull'appoggio finanziario
delle chiese in Italia che attualmente copre, più o meno, un terzo del costo della Facoltà ».
Forse non tutti sanno come
funzionano le borse di studio per
la Facoltà di teologia; insomma
è automatico ricevere la borsa di
studio all’atto stesso dell’iscrizione in Facoltà? « Assolutamente no — precisa il professore
Bruno Corsani —; non vi è nessun automatismo ma gli studenti in teologia che fanno domanda
d’iscrizione alla Facoltà possono
presentare domanda motivata
per una borsa di studio in base
alla loro situazione economica.
Certamente ci rendiamo conto
che le famiglie devono fare uno
sforzo economico notevole per
mantenere i figli in Facoltà, vuoi
perché l’Istituto si trova soltanto in Roma e quindi obbliga lo
studente ad un trasferimento
fuori sede con costi maggiori che
se fosse a casa, e vuoi per il fatto che la Facoltà richiede l’obbli
go alla frequenza delle lezioni e
quindi gli studenti non possono
svolgere eventuali lavori "parttime" che economicamente li
aiuterebbero. Nei casi di particolare necessità, la Facoltà è in
grado di dare una borsa completa che copre vitto e alloggio, rimanendo a carico dell’interessato i viaggi, le spese personali,
l’acquisto di libri e le tasse di
frequenza ».
Dal 12 al 19 ottobre studenti e
professori della Facoltà saranno
alle Valli Valdesi per l’apertura
del 132° anno accademico: perché questa uscita? « Per la Facoltà — risponde Corsani — è di importanza fondamentale prendere
contatto con le chiese di una determinata area del nostro Paese;
l’anno scorso abbiamo preso contatto con Trieste. Udine, Gorizia,
Pordenone. Quest’anno vorremmo stabilire un contatto diretto
con la realtà delle Valli.
Questo ci permetterà, anche se
solo per lo spazio di una settimana, di conoscere più da vicino
alcune comunità e le loro attività e di visitare alcune opere sociali oltre ad avere contatti e vere e proprie lezioni con persone
competenti delle Valli che sarebbe troppo costoso invitare a Roma. Noi contiamo molto su questa rapida ed intensa trasferta
alle Valli, siamo fin d’ora riconoscenti a quanti hanno : accettato
di collaborare al nostro program
ma ».
Giuseppe Platone
INVITO
ALLE CHIESE
Il Sinodo invita le chiese ad inserire nelle proprie previsioni di
spesa impegni specifici per il mantenimento della Facoltà.
Il Sinodo approva l’operato del
Consiglio della Facoltà e ringrazia
i professori per l’impegno con il
quale hanno svolto il loro mandato.
Il Sinodo sostituisce il primo
comma deii’art. 40 del Regolamento
per la Facoltà di Teologia con il seguente: « Il Consiglio della Facoltà
è composto dal decano, che assume le funzioni di preside, da scegliersi tra i professori ordinari, da
uno studente e da tre consiglieri dei
quali almeno uno pastore e almeno
uno metodista ».
Pastore
o “tuttologo”?
Il difficile equilibrio fra sacerdozio universale e autorità del ministerio - 1 diaconi
«Se il pastore non è a suo agio,
non è contento nella comunità in
cui opera, lasci la comunità. La
chiesa locale è sovrana e il suo
giudizio dev’essere accettato, anche quando pesa in modo negativo ». Con questa lapidaria affermazione il pastore Fanlo y Cortes apre la discussione sul tema
« pastori e diaconi », nel tardo
pomeriggio di lunedì, iL’afEermazione poteva scatenare accese
reazioni, perché l’equilibrio tra
sacerdozio universale e autorità
pastorale 'è uno dei più difficili
da realizzare nella pratica. In
moltissimi casi l’autorità pastorale è incontestata, ma il sacerdozio universale non si esprime
pienamente. In alcuni casi si rivendica il sacerdozio universale,
ma si tende a sottoporre il pastore a direttive ohe nte umilierebbero il ministero. >In pochi casi abbiamo imo sviluppo armonioso dei vari doni, nel rispetto
del ministero di ognuno.
'Ma la coscienza di questi problemi non è ancora sviluppata, e
la discussione sinodale si svolge
con interventi che toccano aspetti diversi, nessuno dei quali
emerge come problema centrale.
Il punto alFordine del giorno,
denominato « pastori e diaconi »,
è del resto abbastanza ampio, e
contitene diversi problemi. Un
problema potrebbe essere espresso così: qual è il giusto rapporto tra impegni interni e impegni
esterni di un pastore? Fabrizio
Màlaiì chiede un cambiamento di
rotta: il pastore sta diventando
quello che si deve occupare di
tutto (il « tuttologo », come si
esprime la Commissione d’Esame); ma questo finisce per distrarre il pastore dai suoi impegni nella chiesa locale e gli impedisce di incidere durevolmente
sulla vita spirituale, di avere un
« carisma trainante ».
Un po’ diversa è la visione di
Roberto Romussi: il pastore non
deve occuparsi di tutto, ma accanto alla cura spirituàle egli deve specializzarsi in un settore; si
dedicherà alla chiesa locale, ma
contemporaneamente sarà utile,
come specialista, alla chiesa in
generale.
Ecco dunque una traccia per
un dibattito da svilujrpare. Un’altra traccia riguarda il problema
della cura d’anime di cui gli stessi pastori e diaconi hanno bisogno. La Commissione d’Esame,
che nella sua relazione ha dedicato un ampio spazio a questo
capitolo, parla di una « comunità » di 500 persone sparsa in tut
ta Italia. Nel lavoro pastorale o
nelle opere si devono affrontare
problemi nuovi e complessi; la
stessa famiglia è toccata dalle
trasformazioni della società. Nel
sud, come sottolinea Gianna Sciclone, i problemi sono ancora aggravati dalle grandi distanze che
impediscono un collegamento tra
FUORI RUOLO
Il Sinodo autorizza la Tavola ad
iscrivere il pastore Sitta Drueke
nella categoria « fuori ruolo » prevista dall’art. 27 bis dei Regolamento sui ministeri.
PASTORI
IN SERVIZIO
STRAORDINARIO
ii Sinodo, vista ia relazione della
Commissione Permanente Studi e
la proposta formulata per conto
della Tavola dalla Commissione Discipline di modifica degli articoli
12 e 13 R03, ritenendo necessario
un riesame di tutta la materia,
invita la Tavola a nominare una
commissione di studio che affronti
il problema sotto il profilo biblicoteologico, giuridico e amministrativo e riferisca alla prossima sessione sinodale.
i pastori. Franco 'Carri pensa che
si dovrebbe affidare al sovrintendente di circuito un mandato
esplicito di cura d’anime dei ministri.
Una terza traccia di rifiessione
riguarda i diaconi: un ministero
antico, ma che nella nostra chiesa sta riacquistando una fisionomia in connessione con lo sviluppo delle opere, ma non soltanto
di queste. Alcune mogli di pastore, per esempio, che svolgono
con continuità e preparazione
specifica un lavoro nella chiesa,
potrebbero entrare a tutti gli effetti nel ruolo diaconale. Non
tutti sono d’accordo. Il Sinodo
ascolta proposte, ma non arriva
ancora a decidere. C’è la richiesta che i diaconi abbiano voce
deliberativa nelle Conferenze Distrettuali. Si parla della possibilità di aprire una scuola per diaconi.
Il tempo è poco. Il Sinodo passa ad altro argomento. La « vita
della chiesa » è importante, ma
non si è ancora trovato il modo
di discuterla in modo interessante e operativo.
Bruno Rostagno
Nella foto in alto: il pastore
Bruno Corsani e i candidati
consacrati quest’anno.
Susaime Labsch e Alberto Pool,
mentre entrano nel tempio
di Torre Pellice dove, secondo la
consuetudine, ha avuto luogo
il culto di apertura del Sinodo.
A sinistra: lezione alla Facoltà
Valdese di Teologia di Roma.
In Facoltà vengono formati
non solo i futuri pastori, ma
anche i predicatori laici, nella
tensione verso una realizzazione
sempre più piena del principio
protestante del sacerdozio
universale.
6
6 Speciale sínodo
UNA RICHIESTA AL SINODO
Intensificare
i rapporti con ie
Chiese battiste
5 settembre 1986
LA FEDERAZIONE DELLE CHIESE EVANGELICHE IN ITALIA
Strumento di azione comune
La partecipazione al Sinodo dei
delegati battisti non è stata certo
formale. Al contrario, essi si sono
fatti portatori di idee e proposte
assai stimolanti per il dialogo
« BMV »; abbiamo quindi chiesto
loro di riassumere queste idee e
queste proposte nell’articolo che
segue.
-Pariando di relazioni tra le
Chiese Battiste, Metodiste e Vaidesi (BMV), il rapporto della Tavola al Sinodo riferisce di « tessuto di solidarietà quotidiana »:
e, a ben vedere, non si può non
convenire con questa valutazione. Da qualunque parte li si vogliano guardare, infatti, i rapporti fra Battisti, Metodisti e
Valdesi hanno una dimensione,
una qualità ed ima valenza particolari rispetto a quelli che intercorrono con le altre Chiese
evangeliche. E non solo perché
alcuni organismi sono già ora di
fatto terreno di collaborazione
solo BMV i[ad esempio la Federazione Giovanile Evangelica
(FGEI), la Federazione Donne
Evangeliche (FDEI), il SIE ed
alcune Federazioni regionali] e
perché parecchie commissioni
MV (ad esempio Facoltà di teologia, Claudiana, ecc.) includono
istituzionalmente componenti
battisti.
Ma soprattutto perché esiste
un terreno comune di testimonianza sul quale le Chiese BMV
si ritrovalo puntualmente; chi
vuole verificare vada a leggersi
il rapporto della Tavola con la
relazione del Comitato Esecutivo
(in distribuzione in questi giorni
nelle Chiese Battiste in preparazione alla prossima Assemblea
Generale) e troverà gli stessi argomenti di fondo che vengono
proposti alla riflessione delle
Chiese; Tappuoccio è lo stesso e
così pure le proposte di soluzione. Certo c’è uno specifico battista, uno metodista ed uno valdese ma la convinzione è che ci
sia una testimonianza, che va al
di là degli specifici, che insieme
possiamo e dobbiamo portare
avanti; esiste cioè una possibilità di spazio d’azione ¡BMV, che
vai la pena di essere potenziato
e rivitalizzato.
Certo, non è un mistero che le
relazioni BMV sembrano essersi
arenate, almeno a livello dei documenti di confronto ed in particolare a proposito del reciproco
riconoscimento dei membri. Ma
c’è un « vissuto » giornaliero, sia
a livello degli esecutivi (confronti periodici ormai istituzionalizzati, consultazioni stabili, scambi
nelle commissioni, ecc.), sia a
livello locale, tale ohe non solo
non può esserne più fermata la
crescita ma anzi essa deve essere favorita. Può darsi che la
prassi comune di alcune iniziative possa poi favorire in un secondo tempo anche la ripresa e
la soluzione dei problemi sorti
dal confronto interrotto dei documenti.
Come terreni di lavoro comune possibile possono indicarsene
almeno quattro. C’è innanzitutto quello delle iniziative nei confronti del mondo che ci circonda
e dei suoi problemi (razzismo,
meridione, rapporti con lo Stato,
ecc.), che appaiono spesso duplicate, cioè prese in agosto dal Sinodo e poi in settembre dall’Assemblea deirUCEBI; è solo utopia o non è proprio possibile
pensare a forme congiunte di decisione e di impegno? E’ così lontana nel tempo o nell’opportunità la possibilità di una sessione
congiunta preliminare che con
senta alle Chiese BMV di fare
insieme le stesse cose che già
L’attività della Federazione
delle Chiese Evangeliche in Italia è apprezzata e deve proseguire anche su altri terreni oltre quelli dei servizi gestiti attualmente (Culto Radio, Protestantesimo, Notizie Evangeliche
nel settore deH’informazione e
della comunicazione, il Servizio
di Azione Sociale, il Servizio
Istruzione ed Educazione e la rivista La Scuola Domenicale, i
convegni): questo il giudizio positivo espresso dal Sinodo sull’azione della FCEI.
Al di là di questo o quel particolare asjjetto, su cui possono
esservi critiche, la Federazione
piace e la si vorrebbe più vasta
di quanto non sia (attualmente
vi partecipano a pieno titolo le
chiese valdesi, battiste, metodiste, luterane e dell’Esercito della Salvezza). Apprezzate sono
state le prese di posizione pubbliche del Consiglio e del presidente past. Aurelio Sbaffi in merito airinse^amento della religione cattolica nella scuola.
Positivamente è stata valutata
l’azione di promozione svolta
Il presidente della FCEI, Aurelio Sbaffi, a colloquio, durante il Sinodo,
con un ospite straniero: il pastore Koelbing di Basilea.
INNARIO
CRISTIANO
i|| Sinodo invita la Tavoia a chiedere alla FCEi di procedere in tempi molto brevi aiia ristampa deii’Innario Cristiano, strumento prezioso per ia vita spirituale deiie
nostre chiese e ad avviare ia formazione di un innario aperto.
dal consiglio della FCEI per la
costituzione della Commissione
delle Chiese Evangeliche per i
rapporti con lo Stato, che organizza il confronto tra le principali confessioni evangeliche in
Italia su questo importante argomento. Ancora la FCEI svolge un importante ruolo nei rapporti ecumenici con la chiesa
cattolica (si è ricordato il rapporto sia con le Comunità di base che con la Conferenza Episcopale Italiana aH’assemblea di
Palermo). Ed in ultimo il rapporto con le altre confessioni ed
in particolare con l’Unione delle
Comunità Israelitiche in Italia.
L’azione comune delle chiese
passa dunque attraverso la
FCEI.
Il Sinodo però mantiene anche rapporti diretti con le altre
chiese in Italia ed ha ascoltato
i messaggi del past. J. Kleemann della Chiesa Luterana, del
Ten. Col. E. Miaglia dell’Esercito della Salvezza, di Adelio Pellegrini delle Chiese Avventiste,
mentre hanno assistito al Sinodo S. Woods per le Assemblee
dei Fratelli e il past. C. Me Lean
della Chiesa riformata scozzese
di Roma.
Giorgio Gardiol
fanno separatamente, ovviamente nel pieno rispetto dei diversi
ordinamenti e lasciando poi a
ciascuno di decidere in sede separata le questioni squisitamente proprie?
Il secondo terreno può essere
quello della stampa a carattere
nazionale: oltre al progetto di
collaborazione e integrazione tra
Eco-iLuce e Testimonio, che sta
segnando il passo oer motivi economici, si sente da più parti il
bisogno di un settimanale diverso, a livello medio, che possa entrare nelle famiglie e possa essere venduto nelle edicole. E’ utopia anche questa o non è forse
necessario su questo piano per
cercare di poter raggiungere veramente le case della gente con
un linguaggio piano e adatto a
questo tipo di diffusione? E’ una
iniziativa che nessuna delle singole denominazioni BMV è in
grado di fare da sola, ma che insieme certo potrebbero realizzare con successo.
Il terzo terreno può essere
quello della gestione comune del
ruolo diaconale: non solo la
formazione in comune dei diaconi con appositi Istituti di
preparazione ma soprattutto la
possibilità di libera circolazione
dei diaconi stessi in tutte le Opere BMV (dare cioè alla « mobilità » carattere di effettiva possibilità di realizzazione, il che è molto importante almeno per le istituzioni battiste.) Infine la collaborazione fra gli Uffici centrali,
già ottima, deve essere ulteriormente sviluppata onde realizzare
dove è possibile reali risparmi di
gestione: perché non si pensa ad
una tenuta comune di alcune cose che ora ognuno fa per conto
suo, come ad esempio gestione
del personale, meccanizzazione
della contabilità, consulenza fiscale, ecc.?
Certo tutto questo può apparire sogno ma così non è: non si
tratta di traguardi altisonanti o
difficili da conseguire. Sono passi in avanti, di cui riteniamo mature le condizioni e che possono
dare alla collaborazione qualità
e spessore. Qualcuno in Sinodo,
con una battuta, ha detto che
sembra che al momento il BMV
sia ricoverato in garage: cerchiamo di farlo tornare alfa svelta
a rombare sulle strade.
Umberto Delle Donne
Renato Malocchi
Franco Scaramuccia
NEL 1989 SARA’ RICORDATO IL GLORIOSO RIMPATRIO
Un avvenimento che segna la storia
dei protestantesimo itaiiano
Il Glorioso Rimpatrio dei
Valdesi daU’esilio è stato uno
dei maggiori avvenimenti della
loro storia ed è sempre stato
ricordato con particolare emozione attraverso i secoli.
Nel 1889 le celebrazioni hanno
avuto una eccezionale importanza ed in quella occasione è
stata costruita, con grande impegno di tutte le chiese, la Casa Valdese a Torre Pellice che
rappresenta da allora il punto
di riferimento della vita sinodale; in quello stesso anno è stato eretto il monumento di Sibaud e quella scuola alla Balziglia che ha avuto il carattere di
un monumento ricordo.
Nel 1939 si è ricostruito il Museo ed il pittore Paschetto ha
affrescato l’aula sinodale con la
celebre quercia che siamo abituati a vedere e considerare come uno dei simboli della nostra
chiesa.
Il 1989 sarà perciò inevitabilmente un momento di particolare significato perché riporterà
alla nostra attenzione questa data e queU’avvenimento.
Ci si può domandare però se
vale la pena di celebrarlo e con
quale intenzione. Durante il dibattito sinodale non è stato discusso il problema in modo diretto ma c’è stata una discussione sull’aggettivo « glorioso »,
aggiunto da sempre al Rimpatrio, che è molto interessante.
Parecchi intervenuti sostenevano che non è il caso di usare
questo aggettivo; glorioso è solo quello che fa Dio, non quello
che facciamo noi, sembra volersi mettere in mostra e dopo tutto questa spedizione militare
che ha fatto anche vittime e distruzioni, come tutte le guerre,
non è proprio il caso di fregiarla del titolo di « gloriosa ». Altri hanno fatto invece osservare
che non si tratta di un aggettivo che noi diamo a questa pa^na della storia ma di una qualifica che ne hanno dato’ gli stessi protagonisti; è dal tempo di
Arnaud che si parla di Glorioso
Rimpatrio e non si può abolire
così, senza motivazioni, un mo
do di dire che ha ormai la sua
storia e la sua motivazione.
Questa piccola polemica, che
ritornerà prevedibilmente nei
prossimi mesi in tutte le nostre
chiese, non ha molta importanza ma è significativa del clima
che stiamo attraversando e delle sensibilità che vi sono nel nostro ambiente. Il passato è ormai dietro di noi, alle nostre
spalle, è stato quello che è stato, non è assolutamente il caso
di stare a magnificarlo e ricordarlo con tanta enfasi, ciò che
conta è come si vive oggi, ciò
che si fa oggi, la realtà del nostro presente ecc. ecc. Questa linea di pensiero emergerà costante e ripetuta nel dibattito
delle prossime scadenze.
Il Sinodo ha però deciso che
valeva la pena ricordare la data
nel 1989 con un certo rilievo e
su questa decisione si può riflettere un istante. Anzitutto sarà bene ribadire il fatto evidente a tutti: se i valdesi non fossero tornati, oggi non ci sarebbero più in Italia. L’Italia sarebbe la stessa ma noi non ci
saremmo, vi sarebbero probabilmente degli evangelici, anzi, cer
GLORIOSO
RIMPATRIO
Il Sinodo, informato del programma di celebrazioni del Glorioso Rimpatrio, se ne rallegra, incoraggia
la Tavola a sostenerlo energicamente e la invita a studiare, d'intesa con la Società Studi Valdesi,
una risistemazione complessiva delle biblioteche, degli archivi, dei
musei e degii stabili disponibili in
Torre Pellice, allo scopo di pervenire in tempi brevi a una razionale
riorganizzazione e rilancio del centro culturale di Torre Pellice, autorizza la Tavola ad avvalersi della
collaborazione di quanti, nella chiesa e fuori, sono in grado di fornire aiuti, suggerimenti, proposte,
rafforzando le Commissioni ed i
gruppi di lavoro già costituiti allo
scopo.
tamente, ma non vi sarebbe una
chiesa riformata e il protestan
tesimo italiano hon sarebbe
quello che è.
Ma questo non è certo sufficiente a motivare una celebrazione commemorativa. E’ stato
così, si può dire, perché così doveva essere, prendiamone atto e
tiriamo innanzi.
Ci si può domandare però perché e come questi esuli valdesi
sono tornati. Il perché è semplice, banale, almeno in apparenza, avevano voglia di rientrare nelle loro terre, a casa loro,
da cui erano stati scacciati. In
realtà non c’era solo l’amore per
la terra natia, la terra dei padri, c’era, altrettanto forte, l’impegno a combattere per la causa dell’Evangelo, di Dio, della
sua Parola. A combatter con le
armi, e questo ci sembra oggi
inaccettabile, è vero, ma a combattere la battaglia della predicazione. Il come è altrettanto significativo. I Valdesi non organizzano loro stessi una spedizione ma sono sostenuti, finanziati, appoggiati dalle potenze
protestanti. Sono in qualche modo una avanguardia del mondo
protestante che entra, o torna,
in Italia. Alle loro spalle sta
l’Eùropa moderna, quella che è
nata dalla Rivoluzione inglese
(anche quella è, nella tradizione,
chiamata la « Gloriosa Rivoluzione »), l’Europa moderna della democrazia e della libertà di
coscienza.
Il rientro dei valdesi nelle loro terre è dunque qualcosa di
più che una piccola vicenda provinciale del Piemonte sabaudo,
è l’avventura della cultura moderna che sfiora l’Italia cattolica della fine del XVII secolo.
Celebrare il rimpatrio è dunque
per noi l’occasione di ripensare
il senso della nostra presenza
in Italia, il perché e come stiamo in questo paese e la responsabilità che abbiamo in esso.
Non gloriarci di noi stessi ma
vedere il senso di quello che ci
è stato dato di essere.
Giorgio Toum
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5 settembre 1986
____________________________________________Speciale sinodo 7
UNCONTRO FRA METODISTI E RIFORMATI IN ITALIA E NEL MONDO INTERVISTA AL NUOVO PRESIDENTE OPCEMI
"Metodista è bello!"
La relazione della commissione d’esame sull’operato deM’OPCEMI - Il
messaggio di R. Ducker a nome della conferenza metodista britannica
« ...un incoraggiamento fraterno
a scoprire e far scoprire che ’’metodista è bello”! »: questa espressione scherzosa contenuta nella relazione della Commissione d’esame sull’operato del Comitato
Permanente dell’OPCEMI si è dimostrata nel corso dei lavori sinodali molto più acuta di quanto
non si potesse a prima vista pensare. Sia la relazione della Tavola, nella parte dedicata all’integrazione, che quella del Comitato
Permanente, sia le relazioni della
Commissione d’esame che l’andamento del dibattito si sono trovati concordi nel ritenere che uno
degli aspetti più interessanti dell’identità metodista in Italia sta
nell’essere il naturale tramite di
tutto il nostro corpo ecclesiastico
verso il metodismo mondiale. E
la convinzione emersa a conclusione del nostro Sinodo è , stata
nel senso che da ciò che il metodismo oggi nel mondo fa ed è
non potrà che venirci un sicuro
arricchimento.
Di questo arricchimento si è
avuta del resto una esperienza immediata attraverso la mozione
sulla situazione in Sud Africa della XV Conferenza Mondiale Metodista, riunitasi recentemente a
Nairobi ed alla quale le nostre
chiese metodiste sono state rappresentate, ed attraverso i documenti
conclusivi dei colloqui del Consiglio Mondiale Metodista con i Luterani, conclusisi nel 1984, con i
Riformati, conclusisi nel 1985, e
con i Cattolici Romani, conclusisi
quest’anno.
La mozione sul Sud Africa, che
il Sinodo ha condiviso ed ha deciso di diffondere in tutte le nostre chiese, è un testo chiaro, coraggioso, rigoroso e forte che non
lascia spazio ad incertezze ed ambiguità e dice da che parte i cristiani devono stare e su quali linee devono condurre la loro azione: una parola comune della famiglia metodista nel mondo (cinquanta milioni di fratelli) che ci
conforta a proseguire nella strada che anche noi abbiamo da tempo imboccata.
T documenti ecumenici intitolati il primo « Rapporto finale
della commissione congiunta fm la
Federazione Luterana Mondiale
ed il Consiglio Mondiale Metodista (CMM): la chiesa comunità di
grazia », il secondo, « Consultazione internazionale tra l’Alleanza Riformata Mondiale ed il CMM », il
terzo, « Rapporto della commissione congiunta fra la Chiesa Cattolica Romana ed il CMM » sono
stati dal Sinodo trasmessi a tutte
le nostre chiese, sia metodiste che
valdesi, perché vengano studiati
con attenzione e perché le chiese
stesse facciano pervenire un loro
parere al riguardo al Comitato
Permanente.
Non possiamo negare che il
documento che attira maggiormente la nostra attenzione è quello
fra metodisti e riformati come
testo a noi più vicino. Anche in
questo caso siamo stati confortati a perseverare nella strada intrapresa dalle nostre chiese qui
in Italia leggendo nel rapporto
che i cristiani metodisti e riformati affermano la comune comprensione dell’ Evangelo nell’essenziale, riconoscono l’uno il battesimo ed il ministero dell’altro e
confessano, con una bella espressione, di condividere la Cena del
Signore « con una mensa aperta a
tutti coloro che amano Cristo ».
La lettura di questo testo ci ha
anche fatto capire che noi abbiamo, da parte nostra, la possibilità
di offrire un contributo non trascurabile a questo colloquio meto
disti-riformati su scala mondiale.
Nel rapporto si scrive infatti:
« Con così tante cose in comune
sorge inevitabile una domanda:
perché siamo ancora divisi? Le
chiese membro delle nostre comunioni daranno le loro proprie risposte a questa domanda alla luce
delle loro proprie situazioni ». Ed
invero noi, metodisti e valdesi italiani, una risposta l’abbiamo già
data con il nostro patto di integrazione che ci ha consentito di
essere uniti rimanendo ciascuno se
stesso. E’ infine significativo che
come noi abbiamo vissuto la nostra unità in vista dell’evangelizzazione, così anche il rapporto
chiede alle chiese di indicare le
vie che conducano riformati e metodisti in tutto il mondo ad una
testimonianza comune, dal livello
locale a quello internazionale.
Un altro momento rilevante dei
lavori è stato il messaggio che il
pastore Roger Ducker, rappresentante presso il nostro Sinodo della
Conferenza metodista britannica,
ci ha portato. Roger Ducker è im
nostro amico affettuoso che ha
svolto un lungo ministero in Italia
come pastore della chiesa metodista di lingua inglese a Roma. Egli
ha ricordato la sua partecipazio
Sergio Aquilante,
pastore a
Palermo,
ha lasciato la
presidenza
dell’OPCEMI.
RINGRAZIAMENTI E SALUTI
Il Sinodo esprime la riconoscenza di tutte le chiese valdesi e metodiste al pastore Sergio Aquilante
per l’impegno fedele, l’intelligenza
e la dedizione con la quale ha
svolto il mandato ricevuto come
presidente deH’OPCEMI in questi
ultimi sette anni.
Ringrazia altresi il pastore Aurelio Sbaffi e il fratello Gian Paolo
Ricco.
Il Sinodo, vista la relazione del
CP/OPCE'MI, si rallegra per il crescere di un fraterno rapporto con
il metodismo mondiale, di cui si
possono giovare tutte le chiese
del nostro corpo ecclesiastico; incoraggia il CP a proseguire nei
contatti con le chiese e le altre
organizzazioni metodiste estere; invita il CP ad inviare alle chiese
valdesi e metodiste i testi della
« Consultazione Internazionale fra
l’Alleanza Riformata Mondiale e
il Consiglio Mondiale Metodista », il
rapporto finale della « Commissione Congiunta fra la Federazione
Luterana Mondiale ed il Consiglio
Mondiale Metodista », il rapporto
della « Commissione Congiunta
della Chiesa Cattolica Romana e
il Consiglio Mondiale tMetodista »,
onde tutte le nostre chiese possano
pronunciarsi al riguardo inviando il
proprio parere al CP.
Il Sinodo porge un vivo ringraziamerrto ai Comitati esteri e alle
Chiese Metodiste della Gran Bretagna e degli Stati Uniti per la solidarietà espressa nei confronti delle Chiese italiane.
Il Sinodo ringrazia e saluta il
pastore metodista Edward Bishop
che lascia la chiesa di lingua inglese di Roma per un nuovo incarico e saluta il pastore Robert
Marsh giunto a proseguire tale ministero.
Intensificare
la collegialità
ne alle conferenze metodiste italiane che già si riunivano in Torre Pellice nei primi anni settanta
mentre si preparava l’integrazione e ci ha detto la sua gioia nel
vedere felicemente concluso quel
processo. Ci ha parlato anche della « questione meridionale » in Inghilterra che riguarda però le zone depresse del nord anziché le
terre del sud, informandoci del
suo futuro lavoro quale presidente del distretto di Leeds, un distretto del nord, appunto.
Soprattutto Roger Ducker ci ha
resi partecipi della celebrazione
del bicentenario della fondazione
della Società Missionaria Metodista, che iniziò la sua opera nel
1786 nei Caraibi. La Società
Missionaria Metodista ha svolto
un ruolo importante per le chiese
metodiste italiane poiché ha inviato fra noi nel 1861 Henry Pigott,
che fu uno degli evangelizzatori
del nostro paese nel secolo scorso,
ed ha sostenuto la nostra opera
amorevolmente e fraternamente
per oltre cento anni, fino alla costituzione della conferenza autonoma. Il Sinodo si è associato a
queste celebrazioni attraverso un
messaggio del seggio.
Franco Becchino
Il pastore
metodista
Paolo Sbaffi:
« Non sarò un
presidente
accentratore ».
49 anni fra un mese, una folta
barba nera macchiata di bianco,
sorriso gioviale. Paolo Sbaffi è il
successore del pastore Aquilante
alla presidenza del Comitato Permanente dell’Opera per le Chiese
Evangeliche Metodiste in Italia
(OPCEMI). iPer quanto restìo a
rilasciare dichiarazioni « programmatiche » nella consapevolezza della complessità dell’incarico ohe il Sinodo gli ha attribuito, Sbaifi (che è im po’ « figlio
d’arte », essendo già stato suo
padre Mario, prima dell’integrazione, presidente della chiesa metodista) ha tuttavia accettato di
delineare per i lettori del nostro
giornale le linee generali secondo le quali ©gli pensa di svolgere
il suo mandato.
« Innanzitutto — esordisce
Sbaffi — credo che sia necessario
proseguire e intensificare la pratica della collegialità nella gestione dell’OPCEMI. Ciò significa
che io non sarò un presidente
accentratore, ma che dividerò le
responsabilità con il Comitato
che sono stato chiamato a presiedere (anoh’esso ampiamente
rinnovato: su quattro membri,
uno solo ha potuto essere riconfermato, ndr) ».
Un attimo di pausa, poi viene
la spiegazione per i non addetti
ai lavori: « I compiti della
OPCEMI sono essenzialmente di
due tipi; da un lato c’è la gestione del patrimonio delle chiese
metodiste. Dall'altro, all’Opera è
affidata la rappresentanza internazionale delle chiese metodiste:
nei confronti del metodismo
mondiale in primo luogo, ma anche verso l'intero movimento
ecumenico. A questo proposito
bisogna dire che il mio predecessore, Aquilante, ha compiuto una
importante opera di ricostruzione di questi rapporti internazionali dei metodisti italiani, e che
è mia intenzione continuare su
questa via per arricchire i legami delle nostre chiese — anche
quelle valdesi — con quell’importante settore del mondo evangelico rappresentato dal metodismo: oltre 50 milioni di credenti
sparsi in tutto il mondo ».
Un altro argomento impegnativo per un presidente della
OPCEMI è l’integrazione valdesernetodista, a sette anni dall’inizio della sua concreta attuazione.
In proposito. Paolo Sbaffi è molto netto: « L’integrazione è un
processo che deve ancora andare
avanti, ma è comunque ormai un
dato irreversibile per le nostre
chiese. Troppo forti sono infatti
i legami costruiti nel comune lavoro di testimonianza, troppo
forte è la fraternità realizzata
fra le nostre chiese ad ogni livello perché si possa pensare di tornare indietro ».
Quanto alle prossime iniziative
di lavoro, le prime del suo mandato, il neo-presidente della
OPCEMI è forzatamente evasivo.
« Non ho ancora incontrato il
Comitato, né ho potuto finora vedere Aquilante per il passaggio delle consegne — dice
Sbaffi allargando le braccia —
per cui non ho ancora idea io
stesso di quelle che saranno le
nostre prime mosse. L’unica cosa certa, perché programmata
già prima del Sinodo, è che il
pastore Claudio Martelli (membro neo-eletto del Comitato, ndr)
nel prossimo autunno sarà per
due mesi negli Stati Uniti ospite
della United Methodist Church,
mentre io andrò in Scozia alla
conferenza delle chiese metodiste europee ».
Paolo Sbaffi, attualmente pastore a Bologna, era anche — fino al momento della sua elezione — sovrintendente del circuito
emiliano-romagnolo. In passato
era stato pastore a Intra, dal ’62
al ’67, con l’intermezzo di un anno a Montreal; dal ’67 al ’76 è stato invece a Napoli, dove ha prestato servizio in una chiesa metodista che, condividendo i locali di culto e l’insieme delle attività con una comunità valdese, ha
in qualche modo anticipato la
realizzazione dell’integrazione a
livello nazionale. Da ricordare,
di quegli anni, l’impegno nella
predicazione e nella diaconia a
Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli, dove si è
recentemente costituita una piccola chiesa metodista. Dal 1976,
infine, è pastore a Bologna. Segretario della Gioventù Evangelica Metodista in epoca pre-FGEI,
Paolo Sbaffi è poi stato fra i fondatori dell’attuale organismo giovanile evangelico, del quale è stato membro del Consiglio Nazionale dal 1969 al 1976.
Paolo Florio
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8 Speciale sínodo
5 settembre 1986
LA PREDICAZIONE DEL CULTO DI APERTURA
QUESTA E’ LA VIA,
CAMMINATE PER ESSA!
Isaia 30: 21
O Eterno, fammi conoscere le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua verità e ammaestrami;
poiché tu sei il Dio della mia salvezza;
io spero sempre in te.
Ricordati, o Eterno, delle tue compassioni e della tua bontà,
perché sono eterne.
Non ricordarti dei peccati della mia gioventù,
né delle mie trasgressioni;
ricordati di me nella tua clemenza,
per amor della tua bontà, o Eterno.
L’Eterno è buono e giusto;
perciò insegnerà la via ai peccatori.
Guiderà gli umili nella giustizia,
insegnerà agli umili la sua via.
Tutti i sentieri dell’Eterno sono bontà e verità
per quelli che osservano il suo patto e le sue testimonianze.
(Salmo 25: 4-10)
Poi vidi nel cielo un altro segno grande e ^“rnvigUoso:
sette angeli che recavano sette flagelli, gli ultimi,
perché con essi si compie l’ira di Dio.
E vidi come un mare di vetro mescolato con fuoco
e sul mare di vetro quelli che avevano ottenuto vittoria
sulla bestia e sulla sua immagine e sul numero del suo nome.
Essi stavano in piedi, avevano delle arpe di Dio,
e cantavano il cantico di Mosé, servitore di Dio,
e il cantico dell’Agnello, dicendo: Grandi e meravigliose sono
le tue opere, o Signore, Dio onnipotente; giuste e veraci
sono le tue vie, o Re delle nazioni.
Chi non temerà e glorificherà il tuo nome, o Signore?
Poiché tu solo sei santo; e tutte le nazione ^’er*-nnno
e adoreranno davanti a te, perché i tuoi giudizi
sono stati manifestati.
(Apocalisse 15: 1-4)
Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta
e spaziosa la via che conduce alla perdizione,
e molti sono quelli che entrano per essa.
Stretta invece è la porta e angusta la via
che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano.
(Matteo 7: 13-14)
to. E non si tratta di una
reazione ereditaria di credenti evangelici che respingono
un magistero assoluto, incontestabile, spinto a infiniti
aspetti della vita pubblica e
privata dei credenti. Si tratta piuttosto di un atteggiamento di sfiducia della nostra generazione verso ogni
possibilità di orientare in
modo categorico le scelte
degli uomini e delle donne.
Noi ci sentiamo più vicini,
come mentalità, all'incertezza dei Salmisti che pregavano di poter conoscere la via
del Signore, così rivelando
che nonostante la loro grande pietà non la conoscevano
mai abbastanza; o addirittu
Questa è la via,
camminate per essa!
(Isaia 30: 21)
Queste sono parole di promessa.
Udire l’indicazione precisa
della via da percorrere è, nel
cap. 30 del libro di Isaia, una
promessa divina, che si realizzerà nel giorno della salvezza d'Israele, o nei giorni
messianici. I figli d’Israele
udiranno una voce che li orienta in modo sicuro e inequivoco sulla via da seguire.
A noi, l’idea di ricevere
un’indicazione così sicura e
categorica fa quasi spaven
ra a quelle persone che i profeti rimproveravano di seguire « le loro proprie vie »
(Is. 66: 3) o di camminare
« per una via non buona »
(Is. 65: 2) e che erano continuamente esortate ad abbandonarla: « Lasci l’empio
la sua via e l’uomo iniquo i
suoi pensieri » (Is. 55: 7).
L’incertezza sulla via da
seguire ha segnato anche la
esperienza dei più grandi uomini di Dio, da Geremia all’apostolo Paolo, e l’agonia
di Gesù nel Getsemani è la
traccia profondamente umana di un momento di incertezza del genere, superato
con intenso travaglio per abbandonarsi alla via dell’ubbidienza e della croce.
Ma se la Bibbia non dà ai
credenti e alla comunità cristiana una ricetta bell’e fatta della via da seguire in ogni caso e in ogni situazione,
ci sono comunque alcuni paradigmi che possono orientarci in questo momento di
apertura del Sinodo: essi ci
sono offerti da alcuni passi
dei vangeli che mettono in
relazione fra loro il cammino di Gesù e il cammino dei
suoi discepoli.
Il primo di questi passi è
il racconto della marcia di
Gesù verso Gerusalemme,
quando Gesù ha appena cominciato a parlare della sorte che lo attende in quella
città. I discepoli gli vanno
dietro sgomenti, a una certa
distanza, ma non riescono a
seguirlo nel suo atteggiamento di consacrazione fino
al sacrificio, anzi discutono
di chi sia il maggiore di loro, oppure pensano a riservarsi dei posti di privilegio
nel suo Regno. Questo contrasto fra la rinunzia a se
stesso (di Gesù) e l’ambizione (dei discepoli) deve aver
colpito profondamente la
comunità primitiva, perché
esso si riflette in diverse tradizioni e in diversi contesti
dei vangeli sinottici. E non
è un caso che in uno di questi contesti l’episodio sia seguito immediatamente da
queste parole di Gesù:
« Se uno vuol venire dietro a me rinunzi a se stesso.
prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita la perderà »
(Me. 8: 34-35).
Spesso si attribuisce a
Paolo la paternità della «teologia della croce ». Ma il suo
fondamento sta nell’atteggiamento di Gesù, che come
altri grandi testimoni di Dio
del passato, preferì la lotta,
la miseria, la sofferenza e la
morte piuttosto che scendere a patti coi detentori del
potere.
La ricerca del potere, del
prestigio, della sicurezza
materiale, rimane la grande
tentazione di tutti gli individui e di tutte le organizzazioni, anche di quelle religiose. Ma il cammino di Gesù,
che si svolge in direzione opposta, continua a imporsi come paradigma a tutti quelli
che trovano in lui la ragione
e la forza della loro esistenza — anche se qualche volta,
come i discenoli, non riescono a capire il mistero di una
via che non porta al successo e seguono il Signore a distanza, con esitazione o addirittura contestandolo; eppure non riescono a tagliare
i ponti perché soltanto in
quel rapporto con Gesù c’è
un vero senso per la vita dei
singoli e la vita delle comunità cristiane. Solo chi avrà
gettato allo sbaraglio la sua
vita per amore di Lui. la troverà veramente.
Un secondo paradigma del
rapporto fra Gesù e i suoi
discepoli, dal quale possia
mo ricavare un orientamento anche per noi, lo trovo nel
messaggio pasquale affidato
alle donne davanti al sepolcro di Gesù: « Egli vi precede in Galilea; là lo vedrete,
come vi aveva detto » (Me.
16: 7).
Ancora una volta, come
nell'episodio precedente, Gesù precede i suoi discepoli,
rivelando di essere più consapevole e deciso di loro sul
da farsi, ma anche mostrando loro il cammino da seguire.
« Egli vi precede in Galilea »: la Galilea era stata il
luogo della predicazione di
Gesù alle folle, il luogo dell’annunzio del Regno con la
parola e con le opere potenti. La Giudea invece è il luogo dell’incomprensione, dove Gesù è stato contestato
e crocifisso. Indicando la Galilea come il luogo dove Gesù precede i discepoli, questo passo vuole orientarli
verso la ripresa di una predicazione simile a quella
fatta da Gesù in Galilea, una
semina fatta con braccio disteso, a largo raggio, mettendo il maggior numero possibile di persone davanti al
buon annunzio evangelico.
Ma la Galilea era anche
considerata una regione semi-pagana. « la Galilea dei
Gentili » (Mt. 4: IS), come la
chiamavano srli abitanti della Giudea e di Gerusalemme. La nredicazione del Regno di Dio dev’essere rivolta
alla noDolazione secolarizzata. che porta ancora i simboli della fede ma in realtà
è pagana. E’ verso questo ti-
9
5 settembre 1986
Spedale sinodo 9
jpu di persone che il vangelo
orienta anche noi oggi, più
che verso quelli che sono
« assidui al tempio ».
E’ stato citato più volte,
anche recentemente (da G.
Bouchard, "Com/Nuovi Tempi ’ n. 14, dell'11.7.1986) il libro di Carlo Levi « Cristo si
è fermato a Eboli ». Se dipendesse da noi. Cristo si fermerebbe molto più a nord
di Eboli! Ma Cristo non è
risorto per dedicarsi a conversazioni teologiche o diplomatiche con i sacerdoti e
gli scribi del Tempio: è risorto per riprendere il cammino della Galilea, della predicazione ai paria della sua
terra, alle « plebi maledette
che non conoscono la legge » (Gv. 7: 49), come le chiamavano a Gerusalemme, ai
credenti che si erano tanto
mescolati ai pagani da diventare come loro quanto a co
noscenza della parola di Dio
e a testimonianza duna vita
di fede.
Verso il mondo paganizzato di oggi Cristo precede
ancora una volta la chiesa e
i singoli credenti, e questo
sue precedere è un rimprovero per la loro lentezza, ma
è anche un dono di grazia,
perché così egli indica il cammino, apre la strada per noi
che abbiamo la responsabilità e il privilegio di seguirlo.
Dobbiamo renderci conto
che oggi « la Galilea dei Gentili » è molto vicina a noi, è
nelle città e nei villaggi di
questo nostro paese che è arrivato tardi alla modernità
e così ci è arrivato troppo
in fretta, gettando a mare
l'essenziale assieme al superfluo, e spesso anche la fede
assieme alla superstizione.
Bisogna tornare a una predicazione simile a quella di
Gesù e dei primi discepoli in
Galilea — tornare ai vecchi
metodi come la predicazione itiperante, la ricerca del
contatto personale, e abbinarli ai metodi nuovi come
la testimonianza dei mass
media e la presenza culturale. Ma in ogni caso deve essere una predicazione centrata sul Cristo e sul suo Regno, svolta con la convinzione e con la potenza dello Spirito Santo.
Riconoscere che la Galilea
è vicino a noi potrà anche
darci la chiave di un vero
ecumenismo nel profondo,
teso non a confrontare sterilmente o gelosamente le
nostre strutture ecclesiastiche, ma a mettere concordemente uomini e donne di oggi di fronte al vangelo di Gesù, senza assurde paure o rivalità confessionali.
Vorrei indicare un terzo
terreno sul quale la Bibbia
afferma che Gesù precede i
suoi discepoli. Si tratta di
un passo di Giovanni: « Io
vado a prepararvi un luogo,
affinché dove sono io siate anche voi » (Gv. 14: 2-3).
Questa promessa comincia
con un preambolo che dice:
« Nella casa del Padre mio
ci sono molte dimore » (14:
2). Così molti riferiscono
tutto il discorso alla vita dopo la morte, e alla certezza
della perdurante comunione
con Cristo.
In realtà, un po’ più avanti Gesù parla del credente
che lo ama e osserva la sua
parola, e dice: « Il Padre mio
l’amerà, e noi verremo a lui
e faremo dimora presso di
lui » (14: 23). La parola « dimora », in questa promessa,
è la stessa del v. 2 che parla
delle « molte dimore » nella
casa del Padre. Dunque, il
dimorare con Cristo e con il
Padre non è solo qualcosa
che riguarda il cielo e la vita
dopo la morte, ma è anche
una realtà per questa esistenza. Dimorare col Padre,
o nella sua casa, è un’espressione figurata per indicare
una comunione intensa e
perfetta con Dio, o con Cristo e con Dio al tempo stesso.
E’ molto importante per
noi sapere che questa comunione perfetta non è riservata alla vita dopo là morte,
ma è già promessa per il presente a chi vive la sua fede
nell'amore per Cristo e nell’ubbidienza alla sua parola.
Gesù dice ai suoi discepoli:
« Io vado... », perché è soltanto attraverso la sua morte e la sua glorificazione (per
usare il linguaggio giovannico) che ai discepoli può es^
sere data quella comunione
perfetta con lui e con il Padre.
Ecco allora che questa terza via, che Gesù percorre per
i discepoli e innanzi a loro,
non è più in realtà l’ultima
delle tre, dopo la via della
croce e la via della testimonianza, ma diventa in un certo senso la prima. Solo la
nerfetta comunione con Lui
e con il Padre, ottenuta grazie alla morte e alla glorificazione di Gesù, rende possibile seguire il Signore nel suo
itinerario di testimonianza
fra le genti secolarizzate, e
seguirlo anche a costo di
prendere la croce rinunziando a noi stessi per amore di
Lui e del vangelo. Anche in
questo caso Gesù precede i
suoi discepoli e così indica,
loro la via della ricerca di
quella comunione profonda
e totale, e al tempo stesso la
rende possibile perché ne
crea le premesse.
Care sorelle e cari fratelli,
noi siamo tutti venuti qui recando nei nostri cuori la preghiera del Salmista: « Fammi conoscere la via per la
quale devo camminare! ».
Ogni comunità ha mandato
qui i suoi rappresentanti con
questo scopo e questa speranza. Nonostante i dubbi e
le incertezze, è questo che
noi chiediamo a Dio in ogni
Sinodo, e il nostro Dio, oggi,
ci dà un’indicazione con i tre
atteggiamenti di Gesù che
abbiamo studiato insieme:
« Questa è la via, camminate,
per essa ».
E’ la via per noi, che troppo spesso siamo credenti timidi e disimpegnati; è là via
per le nostre comunità, che
troppo spesso sono introverse e legate al passato più che
protese verso il domani di
Dio; è la via per voi, cari
candidati, che vi preparate a
servire il Signore come pastori nella sua chiesa.
Voi siete chiamati ad aiutare le chiese di Dio a crescere nell’amore, nella conoscenza, nell’impegno, nella
speranza, nella gioia: ricordatevi sempre che potrete
svolgere la vostra missione
perché siete una sola e medesima cosa con le comunità che saranno intorno a voi!
Ne fate parte anche voi: non
siete né sopra né accanto,
ma insieme alle sorelle e ai
fratelli che le compongono.
Loro con i doni che hanno,
voi con i vostri. E’ solo il Cristo che precede, che va innanzi ai credenti. Noi camminiamo gli uni a fianco degli altri. Perciò l’indicazione
della via della comunione
perfetta con Cristo e col Padre, della via della testimonianza e della via della croce vale anche per voi. Neppure Mosè (ed era Mosè!) ha
avuto una sorte privilegiata
rispetto ai suoi compagni di
marcia verso la terra promessa.
Il Signore aiuti dunque
ciascuno di noi, e le chiese
riunite per questo Sinodo, e
voi nostri cari giovani amici, a riconoscere in questo
atteggiamento di Gesù una
risposta ai dubbi e alle esitazioni della nostra fede, e a
metterci con risolutezza e
con fiducia sulla via che il
Signore ci indica, sapendo
che ogni volta Cristo ha preceduto i suoi discepoli su delle vie che potrebbero sembrare troppo ardue alle nostre sole forze. « Questa è la
via — dice il Signore — camminate per essa! ».
Bruno Gorsanl
10
10 speciale sinodo
5 settembre 1986
RAPPORTI CON LO STATO
ORA DI RELIGIONE
Ratificata ia modifica
deil’art. 9, 2° comma, deil’iiitesa
Chiarito che il diritto di « non avvalersi » comincia a quattordici anni
Affermare il diritto
alla piena facoltatività
Approvate le reazioni della Tavola all’Intesa
Falcucci-CEI - Occorre proseguire la vigilanza
L’argomento deH’insegnamento
della religione cattolica nella
scuola pubblica ha occupato il
Sinodo del 1986 sotto diversi profili. Il Sinodo ha innanzitutto ratificato l’operato della Tavola Valdese in merito alla modifica del
secondo comma delTart. 9 dell’Intesa con lo Stato, realizzata il 3
aprile 1986.
La modifica risponde più ad esigenze di chiarezza che di necessità, ed è volta a precisare chi può
esercitare il diritto di non avvalersi dell’insegnamento religioso
cattolico nella scuola pubblica;
secondo il vecchio testo, gli alunni potevano rendere la loro dichiarazione « se maggiorenni »; ora
si dice che « tale diritto è esercitato, ai sensi delle leggi dello Stato,
dagli alunni o da coloro cui compete la potestà su di essi ». Si è
rilevato in Sinodo che la modifica
apportata all’art. 9 dell’Intesa non
muta la sostanza della norma, ma
ne esplicita semplicemente la portata; infatti la legge italiana prevede sì che si divenga maggiorenni con il compimento del 18® anno di età, acquisendo così piena
capacità di agire, ma precisa che
« con la maggior età si acquista
la capacità di compiere tutti gli
atti per i quali non sia stabilita
una età diversa » (art. 2 codice
civile): il caso in oggetto rientrava
precisamente tra quelli in cui un
diritto era esercitabile da un soggetto di età diversa e minore di
18 anni.
Si è dovuto addivenire comun
II prof. Giorgio
Spini dialoga con
un giornalista in
una pausa dei lavori sinodali.
INTESA TRA IL GOVERNO DELLA
REPUBBLICA E LA TAVOLA VALDESE IN
ATTUAZIONE DELL’ART. 8, COMMA 3®
DELLA COSTITUZIONE
Il Sinodo, presa conoscenza dell’Intesa 3.4.1986 tra Tavola e Governo Italiano che specifica in modo più adeguato chi ha titolo per
esercitare il diritto di non avvalersi
dell'insegnamento religioso cattolico nella scuola pubblica (L. 449/
1984 art. 9), riscontrando che essa esplicita la portata dell'articolo
9 dell'Intesa 21.2.1984, ratifica l'operato della Tavola e allega agli
atti il testo dell'Intesa.
Art. 1. - La Repubblica italiana
e la Tavola Valdese, richiamandosi
all'art. 8 della Costituzione, ravvisata l'opportunità di modificare il
comma secondo dell'art. 9 dell'Intesa stipulata il 21 febbraio 1984 e
approvata con legge 11 agosto 1984,
n. 449, convengono, a termini del
secondo comma dell'art. 20 dell'Intesa predetta, che la presente
Intesa sostituisca ad ogni effetto
il suindicato comma secondo dell'art. 9.
Art. 2 - Il coimma secondo dell'art. 9 dell’Intesa stipulata il 21
febbraio 1984 e approvata con legge 11 agosto 1984, n. 449, è così
modificato: «La Tavola Valdese
prende atto che la Repubblica italiana nell'assicurare l'insegnamento della religione cattolica nelle
scuole pubbliche non universitarie
di ogni ordine e grado, riconosce
agli alunni di dette scuole, al fine
di garantire la libertà di coscienza
di tutti, il diritto di non avvalersi
delle pratiche e dell'insegnamento
cattolico. Tale diritto è esercitato,
ai sensi delle leggi dello Stato,
dagli alunni o da coloro cui compete la potestà su di essi ».
Art. 3-11 Governo presenterà
in Parlamento apposito disegno di
legge di approvazione della presente Intesa, ai sensi dell'art. 8 della
Costituzione.
Art. 4 - Le parti concordano
nel precisare che, a partire dalla
data di entrata In vigore della legge di approvazione della presente
Intesa, il comma secondo dell'art.
9 della legge 11 agosto 1984, n.
449, è sostituito, a tutti gli effetti,
dalla corrispondente disposizione
della predetta legge di approvazione.
Roma, 3 aprile 1986
G. Bouchard B. Craxi
que alla modifica della norma per
richiesta del Governo, che ravvisava nella sua originaria dizione
un ostacolo in vista della emanazione di disposizioni che fissassero ai 14 anni di età il limite per
esercitare il diritto di optare per
avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica (a seguito dell’intesa Falcucci-Poletti
del dicembre 1985).
Se la ratifica dell’operato della
Tavola era quasi un « atto dovuto » del Sinodo, non essendo la
modifica dell’Intesa di carattere sostanziale, sempre in materia di
insegnamento della religione a
scuola il Sinodo ha dovuto occuparsi della questione niù sostanziale del contenuto dell’ora di religione, argomento particolarmente scottante dopo l’emanazione di
un decreto che disciplina la materia. e che ha tradotto in norma
. precettiva il cspienuto dell’intesa, v
'■*tra il ministro Falcucci e il cardinale Poletti, presidente della GEI,
in esecuzione dell’art. 9 del Concordato e dell’art. 5 del Protocollo addizionale allo stesso.
Il Sinodo ha precisato innanzitutto l’esistenza di un interesse degli evangelici valdesi e metodisti
per lo studio del fatto religioso e
delle sue implicazioni nella scuola
pubblica, ribadendo però il principio che la formazione e l’educazione religiose di fanciulli e giovani competono strettamente alle famiglie ed alle chiese.
Si sono quindi invitate le chiese
(e tutti i loro membri) ad «accettare di rispondere solo alle richieste connesse a programmi previsti
nel normale orario scolastico per
la totalità della scolaresca», ossia a negare ogni collaborazione
alla gestione dell’ora di religione
cattolica o per l’ora alternativa a
questa; occasioni in cui occorre
essere attenti ad evitare che l’intervento di evangelici si attui con
« modalità tali da costituire, nel
concreto, un avallo all’insegnamento della religione cattolica »
(art. 13/SI/1986).
Il Sinodo con questa precisazione ha così dato indicazioni chiare anche per l’interpretazione dell’articolo 10 dell’Intesa e della
legge 449/1984, norma che qualcuno ha tentato di utilizzare per
sostenere un principio assolutamente opposto a quello che sta
alla base dell’articolo stesso, adducendo che i valdesi ed i metodisti con tale norma avevano fatto rientrare dalla finestra ciò che
era uscito dalla porta con l’art. 9
dell’Intesa, interpretazione questa assolutamente priva di fondamento.
I membri di chiesa (ed in particolare alunni, loro genitori e pastori, i maggiormente interpellati
in merito) trovano ora nell’atto
sinodale una chiara indicazione
per collaborare con gli organi
scolastici per una corretta applicazione delle disposizioni dell’Intesa tra Governo e Tavola Valdese nel quadro dello svolgimento
dei programmi scolastici. Ciò anche in attesa di disposizioni attuative della legge 449/1984 in materia, la cui emanazione da parte
dei competenti organi governativi
si aspetta ormai da due anni e
che il Sinodo ha sollecitato, ribadendo il principio che le autorità
scolastiche siano attente ad escludere « la possibilità che l’insegnamento religioso cattolico venga impartito in occasione dell’insegnamento di altre materie o in
orari che abbiano effetti comunque discriminanti » per gli alunni
che di tale insegnamento non vogliono avvalersi. Paolo Gay
L’accordo intercorso nel dicembre 1985 tra il ministro della P.I. on. Falcucci ed il presidente della Conferenza Episcopale Italiana card. Poletti circa
l’insegnamento della religione
cattolica nella scuola è stato
ampiamente ricordato nel dibattito sinodale quale grave atto di
discriminazione nei confronti
delle confessioni religiose diverse
dalla cattolica. A tale proposito
è stata riconosciuta l’idoneità e
la tempestività dell’azione di denuncia e sensibilizzazione attuata dalla Tàvola già nei giorni
immediatamente successivi a tale accordo; azione che ha contribuito a creare nel Paese una
diffusa e vivace reazione all’accordo Falcucci-Poletti.
Ma se la vigilanza ha permesso di respingere tale attacco al
pluralismo aH’intemo della scuo, la, tuttavia sarà necessaado mantenere costante l’attenzione affinché non si riesca a vanificare
la portata dei principi sanciti
dalle Intese fra lo Stato e le
Chiese rappresentate dalla Tavola Valdese, mediante regolamenti o accordi simili a quello
del dicembre '85.
Ma meglio di altro esprime
la volontà del Sinodo l’ordine
del giorno approvato al termine
del dibattito ; in esso, accanto
ad una decisa valutazione negativa dell’accordo Falcucci-Poletti, si invitano le chiese a proseguire neH’opera di vigilanza segnalando alla Tavola eventuali
inadempienze e discriminazioni.
E’ evidente però che tale attenzione non sarà cosa facile a mantenersi poiché diverse sono le
situazioni e le modalità con le
quali potrà essere richiesto
un intervento all’interno dello
spazio scolastico. Proprio per
evitare il rischio della dispersione e confusione nelle risposte è parso utile approvare
un secondo o.d.g. nel quale è
chiesto alla Tavola, alle Commissioni Esecutive Distrettuali
ed ai Consigli di Circuito di studiare la possibilità e le forme
atte a promuovere la costituzione di strumenti di collegamento e formazione attraverso
i quali gli insegnanti evangelici
e quanti sono impegnati l'.ell’ambito dell’istituzione scolastica possano portare all’interno
della scuola italiana una importante esigenza culturale quale
quella religiosa.
Marco Pasquet
RELIGIONE COME E QUANDO;
GLI ARTICOLI 9 E 10 DELLA INTESA
Il Sinodo, valutando positivamente l’apporto delle chiese evangeliche al dibattito svoltosi quest’anno
nel paese sul tema dell'insegnamento religioso cattolico nella scuola pubblica, sottolinea il carattere
fortemente critico di tale contributo evangelico nei confronti dell’intesa tra H Ministro della Pubblica
Istruzione e il Presidente della GEI
del dicembre 1985 e successive disposizioni applicative, invita le
chiese a segnalare alla Tavola con
precisa documentazione eventuali
casi di inadempienza, disapplicazione, forzature, discriminazioni.
Il Sinodo, constatato che a due
anni dall'entrata in vigore della legge 449/1984 il Ministero della Pubblica Istruzione non ha ancora fornito alle autorità scolastiche le indicazioni per l'attuazione di quanto
previsto dagli articoli 9 e 10 della
legge stessa, invita la Tavola a
proseguire le azioni intraprese in
vista di disposizioni attuative che
siano pienamente rispettose di
quanto stabilito da detti articoli e
in particolare dall'art. 9 comma Ili:
esclusione della possibilità che
l'insegnamento religioso cattolico
venga impartito in occasione dell'insegnamento di altre materie o
in orari che abbiano effetti comunque discriminanti, nelle classi in
cui siano presenti alunni che non
si avvalgono di detto insegnamento.
Il Sinodo, considerato che è largamente condivisa all'interno dell'evangelismo italiano la posizione
secondo ia quale è compito della
chiesa e della famiglia l'educazione alla fede, mentre è compito
della scuola lo studio, all'interno
delle materie curriculari obbligatorie del fatto religioso e delle sue
implicazioni; considerato che la
scuola italiana, fortemente influenzata daH'impostazione cattolica, ha
costaivtemente rispecchiato un’ottica confessiortale e di parte sia
nella forma dell’« ora di religione »,
sia nella forma dell’insegnamento
diffuso; considerato che appare opportuno compiere un'azione di stimolo affinché la scuola non continui a venir meno allo studio del
fatto religioso e delle sue implicazioni dal punto di vista culturale
e scientifico; chiede alla Tavola
Valdese, alle Commissioni Esecutive Distrettuali ed ai Consigli di
Circuito di studiare, in un contesto
interdenominazionale, la possibilità
e le forme atte a promuovere la
costituzione di strumenti di collegamento e formazione attraverso
i quali gli insegnanti evangelici e
quanti sono impegnati nell’ambito dell'istituzione possano portare
all'interno della scuola italiana tale importante esigenza culturale.
Il Sinodo, valutando positivamente i passi che sono già stati fatti
in alcune sedi locali per far conoscere la disponibilità delle nostre
chiese a rispondere ad eventuali richieste provenienti da alunni, famiglie ed organi scolastici in ordine
allo studio del fatto religioso ed
alle sue implicazioni, invita tutte le
chiese a prendere iniziative in
questo senso, sensibilizzando i propri catecumeni studenti ed indirizzando comunicazioni ai Provveditorati agli Studi e a singole scuole;
precisa che, in coerenza con lo
spirito dell’Intesa ed in base al
combinato disposto degli articoli 9
e 10 (cfr. 58/SI/85), le chiese sono invitate ad accettare di rispondere solo alle richieste connesse a
programmi previsti nel normale orario scolastico per la totalità della scolaresca, riservandosi di rispondere fuori dal normale orario
scolastico ad altri tipi di richieste,
ed essere comunque particolarmente attente ad evitare che il nostro
intervento si attui con modalità tali da costituire, rtel concreto, un availo all'insegnamento della religione cattolica.
11
5 settembre 1986
PERPLESSITÀ’ SULLA GIORislATA DI PREGHIERA DI ASSISI
Spedale sinodo il
ALTRI TEMI DISCUSSI DAL SINODO
Non c'è pace
senza giustizia
L’iniziativa vaticana ignora proposte analoghe lanciate da altri e,
soprattutto, non prende posizione sul problema dell’ingiustizia
Difficile dire qualcosa di nuovo
sul tema della pace. D’altra parte perchè dire qualcosa di nuovo? Forse che quanto è stato finora detto ed affermato è già
stato superato dagli eventi? Non
mi sembra proprio! Molti e diversi erano i temi che quest’anno stavano sullo sfondo della
discussione sinodale, oltre a quelli delle obiezioni, di cui si parla
in altra parte di questo giornale.
Ne menziono alcuni ; Cernobyl
in primo luogo. Non poteva essere ignorato, ma non doveva
nepjpure diventare il capro espiatorio per una facile e scontata
condanna. Serena e franca la di
PACE E GIUSTIZIA
Il Sinodo, constatando il persistere di fenomeni minacciosi per il
futuro dell'umanità, quali la corsa
agli armamenti, l’uso di tecnologie
distruttrici dell’ambiente (di cui
Cernobyl non è che una manifestazione], gli squilibri economici tra la
minoranza ricca e la maggioranza
povera dell’umanità;
attento in particolare ai conflitti
e alle minacce di conflitto che Incombono sull’area mediterranea;
ribadisce solennemente la propria
convinzione che la giustizia tra
gli esseri umani e tra i popoli è
ia condizione essenziale per la
pace e questa a sua volta la premessa per la sopravvivenza dell'umanità e per la possibilità per
ogni creatura umana di condurre
una vita degna di questo nome;
incoraggia il Consiglio Ecumenico delle Chiese a proseguire con
tenacia e generosità i suoi sforzi
in vista della convocazione di quell'assise cristiana mondiale proposta
dal Kirchentag 1985;
esorta la cristianità intera, dai
gruppi locali alle massime istanze
mondiali a mai disgiungere, nella preghiera come nell'azione, la
pace dalla giustizia che ne è il
supporto.
li Sinodo invita la Tavola a rinominare una commissione che, oltre ai compiti indicati dal Sinodo
1985 (66/SI/1985),
a) segua attentamente gii sviluppi dell’azione del Consiglio Ecumenico delle Chiese nell’anifaito dei programma cf Giustizia, Pace, Integrità
del Creato (JPIC) » informandone, regolarmente le comunità;
b) promuova la partecipazione
delle chiese a tutte le iniziative in
tal senso suscitate o raccomandate
dglja commissione stessa.
scussione su questo punto, ed
unanime la valutazione in proposito ; Cernobyl può essere assunto come il simbolo di quello
che è il nostro tipo di sviluppo,
legato a tecnologie che possono
distruggere l’ambiente in cui viviamo. Non era il caso di riaprire tutta la discussione sulla questione del nucleare, già sviluppata in un Sinodo di alcuni anni
fa, ma importante era, diciamo
sotto il profilo « politico », denunciare Cernobyl. Il Sinodo
l’ha fatto con chiarezza ed ha
raccolto così anche un elemento
emerso dalla Conferenza del IV
Distretto.
Altra questione era quella della giornata di preghiera per la
pace, indetta dal Papa per il
prossimo 27 ottobre, ad Assisi.
I giornalisti ci assillavano con
le loro domande: andrete ad Assisi? Cosa rispondere? Una prima risposta molto facile consisteva nel dire che noi non avevamo ricevuto alcun invito ufficiale, e questo ci toglieva d'all’imbarazzo di dover dare una
risposta. Certo, diciamolo onestamente, Assisi ci mette in imbarazzo. Si tratta di un’iniziativa
unilaterale del Papa, che ha volutamente ignorato iniziative analoghe già prese da altre forze (l’Assemblea del CEC a Vancouver, il Kirchentag ’85), mirante forse a ristabilire una centralità cattolico-romana. Ma oltre a questi elementi c’è un fatto di fondo, che a noi non piace,
il volere cioè parlare di pace soltanto, senza la giustizia. In questo senso l’o.d.g. votato è una
risposta ferma: « Il Sinodo ribad.lsce solennemente la propria
convinzione che la giustizia tra
gli esseri umani e tra i popoli
è la condizione essenziale per la
pace... ». Noi non torniamo indietro su questo punto. Capiamo
benissimo che è molto scomodo
parlare di giustizia, ma come si
potrebbe altrimenti raggiungere
la pace? Questa non sarebbe altro che l’affermazione del diritto
del più forte, e quindi il contrario della pace biblica, quella che
Cristo dà (Ov. 14: 27), fondata
sul dono di sè. Capiamo anche
molto bene che è quanto mai
lungo il processo di pace che
passa attraverso la giustizia. Ma
prima cominciamo a percorrerlo
e prima giungiamo alla meta.
Una tappa significativa di questo
percorso può essere la assemblea chiesta a Vancouver (1983)
dalle chiese membro del CEC.
Questa assemblea si terrà intorno al 1990 e verosimilmente assorbirà anche la proposta lanciata al Kirchentag '85 dal fisico
e filosofo von Weizsäcker, quel
la relativa cioè ad un Concilio
per la pace.
Ed arriviamo così al terzo nodo, presentatosi in questo Sinodo. L’anno scorso era stato votato un o.d.g. che accoglieva con
entusiasmo la proposta di un
concilio per la pace. Quest’anno
se ne trova solo una piccola traccia negli o.d.g. Cos’è successo?
Semplicemente questo: nel frattempo la discussione tra le chiese e soprattutto tra quelle dell’area luterana, è andata avanti.
Si sono avute consultazioni con
altre confessioni, ortodossi, cattolici, ecc... giungendo per ora alla conclusione che sarebbe più
opportuno e logico convocare
una assemblea mondiale che si
occupi dei tre temi: giustizia,
pace, conservazione del creato.
Per quanto riguarda il nome si
è molto incerti. Non la si può
chiamare « Concilio », non la si
può chiamare « Sinodo », né « Assemblea », nè « Conferenza ». Tutti questi sono nomi che indicano
qualcosa di molto specifico e particolare. Andrà inventato un altro nome. Questo certamente segna i limiti delle nostre cose, gli
irrigidimenti delle nostre strutture ecclesiastiche, le barriere e
i muri che ancora ci sono. D’altra parte è forse da vedersi anche come una sfida. Nel nostro
linguaggio manca il termine per
indicare una cosa del tutto nuova; un evento che finora non si
è mai realizzato: un mettersi insieme di tutte le chiese per pronunciare con forza e coraggio
tre parole oggi essenziali: giustizia, pace, cura della creazione.
A questo sforzo anche noi nel
nostro piccolo siamo chiamati a
dare il nostro contributo di preghiera e riflessione.
Luciano Deodato
Obiezione fiscale,
servizio civile,
concilio per la pace
Una mozione « pmidente » - il Ministero della Difesa viola sistematicamente la legge
La questione della pace e delle obiezioni di coscienza, nel cui
contesto ha trovato anche un riferimento il fattore « ambiente »
(si pensi a Cernobyl, alla correlazione fra nucleare civile e militare ed alle tecnologie sempre
più inquinanti) ha suscitato numerosi e contrastanti interventi,
sfociati in alcuni o.d.g. che pubblichiamo.
Come si noterà, uno di essi fa
specifico riferimento all’obiezione fiscale alle spese militari, e
cioè a quella forma di disubbidienza civile (ma non si tratta
di evasione fiscale!) con la quale un cittadino, un Ente o —
perché no? — una Chiesa trattiene dalle tasse una certa percentuale come protesta per la
politica del Paese in fatto di armamenti, versandola nel contempo per iniziative di pace e di
sviluppo.
Indubbiamente l’Assemblea ha
mancato in parte l’occasione di
dare una più ferma testimonianza anche sull’aspetto civile — direi « politico » — della questione. E’ stato infatti cassato un
passaggio della mozione che sottolineava il fatto che, coll’installazione di armi nucleari (straniere e di sterminio) viene disattesa la stessa Costituzione relativamente alla sovranità popolare. La stessa « prudentissima »
Stampa con l’occasione ci ha affibbiato il poco « glorioso » epiteto di «prudenti»...
Tuttavia questo documento rimane uno strumento in base al
quale le Chiese potranno proseguire la loro rifiessione ed assumere quelle decisioni che riterranno più opportune, sia a
livello comunitario che come singoli credenti.
OBIEZIONE DI COSCIENZA
Il sinodo, constatata la presenza
di un crescente imovimento, del
quale sono partecipi credenti e non
credenti, tendente a contrastare attraverso l'obiezione fiscale, ia politica militare e la spesa per armamenti dello Stato Italiano, nonché
l'installazione, in particolare nel nostro territorio, di missili ed altri
ordigni nucleari; riconoscendo che
tale atto di disubbidienza civile tende alla difesa della vita e della
pacifica convivenza dell’Intera umanità; ravvisando in tali fini ia
traduzione nella storia del principio
evangelico dell’agape di Dio; ritenendo che tale movimento ci interpella sul piano della nostra testimonianza all’Interno della società
civile; esprime piena solidarietà a
coloro i quali, pagando di persona,
pongono di fronte alla coscienza
del paese, in forma radicale, il ripudio della guerra e di ogni altro
tipo di sopraffazione, insiti nella
destinazione di sempre più consistenti risorse a fini militari; invita
le chiese ed I credenti ad una attenta riflessione teologica ed etica
su tale scelta e a prendere in considerazione l’opportunità di condividerla.
Il Sinodo denuncia la ripetuta
violazione da parte del Ministero
della Difesa dell'art. 3 della Con
venzione fra il Ministero stesso e
gli Enti presso i quali gli obiettori
di coscienza al servìzio militare prestano servizio civile, non tenendo
conto della « predisposizione » degli
obiettori e del « progetto generale
di servizio « degli Enti. Denuncia
altresì i gravi inconvenienti conseguenti al mancato rispetto da parte
del Ministero della Difesa del termine di sei mesi previsto dall’alt. 3
della legge 15 dicembre 1972, n.
772. Il Sinodo esprime la propria
solidarietà con gli obiettori che lottano per una migliore qualificazione del servizio civile.
Invita il seggio ad inviare una
lettera di protesta alle autorità competenti che recepisca il contenuto
del dibattito sinodale e del presente
ordine del giorno, invitandole al rispetto delle norme vigenti.
Il Sinodo invita la Tavola Valdese
e il Comitato di solidarietà con gli
obiettori di coscienza:
1) a studiare e definire un progetto globale di impiego degli obiettori di coscienza presso le opere che fanno capo a!la Tavola e
rientranti nella convenzione con il
Ministero deila Difesa (impiego degli obiettori, corsi di formazione,
contatti tra Enti e Tavola, ecc.);
2) e a riferire al prossimo Sinodo.
Per quanto riguarda l’obiezione di coscienza al servizio militare, è stato posto in rilievo come il Ministero della Difesa violi sovente la conven2àone con
gli Enti aderenti e si è invitato
il seggio del Sinodo a sensibilizzare ed a sollecitare al proprio
dovere le competenti autorità.
Un altro o.d.g. invita Tavola
ed il comitato di solidarietà cogli obiettori di c. ad una migliore impostazione dì tutta la questione.
Molto stimolante, anche se
piuttosto complicato, l’aspetto
ecumenico sul problema della
pace. Il nostro settimanale già
in più occasioni ha ricordato
l’appello di Bonhoeffer (nel ’34)
all’ecumene cristiana per un
Concilio di tutta la Chiesa per
eliminare gli armamenti. Questa idea è stata ripresa al Kirchentag e rilanciata alle Chiese.
Sappiamo bene che le difficoltà
sono parecchie ed anche non lievi. Ma dovrebbero proprio essere le Chiese per prime — sacrificando ognuna qualcosa per le
altre — a dare la prova al mondo della loro ferma e concorde
volontà di dare un impulso a
quello che è stato definito un
« processo conciliare », coll’assunzione di reciproci impegni
sulla pace, sulla giustizia e sul
creato. Le nostre Chiese sono
state fra le prime a dare la loro adesione sia nel Sinodo ’85
che in occasione dell’Assemblea
della PCEI. Purtroppo la nostra
natura umana ed i vari « prestigi » confessionali manterranno
vivi molti problemi; preghiamo
affinché il Signore ci aiuti a superarli ed a consentirci di dargli
la nostra testimonianza.
Roberto Peyrot
Nelle foto di questa pagina:
manifestazioni pacifiste in Italia
(in alto) e in Olanda (qui sopra).
Se nei Nord Europa
le chiese evangeliche sono
una delle principali componenti
del movimento per la pace,'. '
anche le nostre piccole comuni^.
hanno dato un contributo
significativo alle lette di
questi anni.
12
12 speciale sínodo
5 settembre 1986
UN MOMENTO SIGNIFICATIVO DEL SINODO
Impegno
di solidarietà concreta
Il Sinodo fa proprio il documento di condanna dell’apartheid approvato
dalla Conferenza mondiale metodista - L’intervento di Benny Nato
Uno dei momenti più partecipati, più densi di significato e
più pieni di umana e cristiana
solidarietà è stato quello dedicato alla questione dell’apartheid
in Sud Africa. Già l’anno scorso (come d’altronde in precedenti occasioni) il Sinodo si
era occupato dì questa tragica
situazione di violenza e di ingiustizia, per di più promossa e
potenziata anche su basi bibliche e comunque praticata da
gente credente. Allora, le Chiese
erano state invitate a contrastare in vari modi (v. art. 67/SI/
85) questo inumano sistema.
Quest’anno, dopo un animato
dibattito in cui sono anche emerse vOci che da un lato hanno
cercato — non dico di giustificare — ma di « spiegarci » l’apartheid, e dall’altro hanno considerato inopportune le sanzioni
economiche in quanto colpirebbero per prima la stessa popolazione nera, è stato votato un
ordine del giorno (con 1 contrario e 3 astenuti) che invita le
Chiese a far propri i contenuti
del documento della Conferenza
Mondiale Metodista.
Ma il momento più comunitario si è realizzato in occasione
dell’intervento nell’aula sinodale di Benny Nato, cristiano, e
rappresentante per l’Italia d'ell’ANC (African National Congress). Dopo averci ricordato
che nella Repubblica sudafricana i neri sono 29 milioni ed i
bianchi 4 milioni, ha parlato
delle false « aperture antirazziali» del governo Botha, al solo
scopo di mantenere il potere.
L’ANC è sorto nel 1912 con una
netta caratterizzazione nonvio
lenta che si è mantenuta tale
sino al 1960, l’anno del grande
massacro avvenuto dopo una pacifica manifestazione.
« Come cristiani — egli ha
soggiunto — crediamo fermamente che il Signore ha liberato l’essere umano; che il Cristo
è stato inviato sulla terra per
riscattare noi tutti».
Particolarmente pressante lo
appello dell’cratore affinché si
appoggi al massimo la campagna
per le sanzioni economiche. Non
è vero — egli ha detto — come tanti fanno credere o credono in buona fede, che questi
provvedimenti finiscano per danneggiare per primi gli stessi neri. In che modo infatti essi potrebbero essere danneggiati.
DAL DOCUMENTO « KAIROS »
L'ora è venuta
L’ora è venuta. E’ giunto il
momento della verità. Il Sud
Africa è caduto in una crisi
che ne scuote le fondamenta
e tutto fa ritenere che la crisi si approfondirà e diverrà
ancor più pericolosa nei mesi
a venire. Questo è il kairòs,
il momento della verità, non
solo per l’àpartheid ma anche per la Chiesa.
Come gruppo di teologi abbiamo cercato di capire il significato teologico di questo
momento della nostra storia.
Si tratta di qualcosa di molto
serio. Per moltissimi cristiani in Sud Africa questo è il
kairòs, il momento della grazia, il tempo favorevole in cui
.Dio lancia una sfida per una
azione decisiva. E’ un tempo
pericoloso perché, se si lascia
passare questa occasione, il
danno per la Chiesa, per l'Evangelo e per tutto il popolo
sudafricano sarà incalcolabile. Gesù ha pianto su Gerusalemme. Ha pianto sulla tragedia della distruzione della città e dell’imminente massacro
della popolazione « perché tu
non hai conosciuto il tempo
nel quale sei stata visitata »
(Luca 19: 44).
...Ciò che la presente crisi
.svela è che la Chiesa è divisa.
Sempre di più si sente dire
che ci sono due Chiese in Sud
Africa: una Chiesa bianca ed
una nera, anche all’interno di
ciascuna denominazione religiosa. Nel conflitto tra la vita
e la morte ci sono dei cristiani (o almeno persone che si
dicono tali) da entrambe le
parti; e ve ne sono alcune che
cercano di mantenersi neutrali.
Forse tutto ciò è la prova
che la fede cristiana non ha
alcun significato reale per i
nostri tempi? Che la Bibbia
può essere usata per qualunque scopo? Queste domande
sono già di per sé brucianti
per la Chiesa in qualunque
circostanza, ma se si constata che in Sud Africa il conflitto è tra oppressori ed oppressi, la crisi per la Chiesa
come istituzione diventa ancora più acuta. Sia gli oppressi che gli oppressori dichiarano la loro fedeltà alla stessa
Chiesa. Mentre noi sediamo
nella stessa chiesa, fuori dei
poliziotti cristiani picchiano
e uccidono dei ragazzi cristiani, o li torturano, mentre altri cristiani ancora stanno a
guardare e chiedono flebilmente la pace. La Chiesa è divisa e per essa è giunto il
momento del giudizio.
Il « momento della verità »
ci ha costretti ad analizzare
con più attenzione le diverse
teologie esistenti nelle nostre
Chiese e a parlare più apertamente e senza riserve sul
significato di queste teologie.
Ci è così parso di poter individuare tre teologie e di definirle: teologia di Stato, teologia della Chiesa, teologia
profetica...
quando, già da sempre, non ricevono nulla, se non un salario
da schiavi?
Nel corso del dibattito è anche stato opportunamente ricordato il documento chiamato
« Kairòs » e si sono invitate le
Chiese e i singoli credenti a rileggerlo ed a rifletterci sopra.
Il nostro settimanale ne ha dato ampi stralci nel numero 39
dell’11.10.’85 ed il periodico GJB.
(Gioventù Evangelica) lo ha integralmente pubblicato nel n.
96 del dicembre 1985.
Per chi non lo conoscesse,
questo documento consiste in un
commento teologico sulla situazione del Sud Africa, sottoscritto da oltre 150 teologi sudafricani di quasi tutte le Chiese: riformati, presbiteriani, metodisti,
battisti, luterani, anglicani, pentecostali, congregazionalisti, cattolici romani.
Ne pubblichiamo qui a parte
un breve brano iniziale, lasciando ai lettori di approfondire la
conoscenza delle « tre teologie »
e di meditarle.
Roberto Peyrot
PER LO STUDIO DELLE CHIESE
Il Sinodo, presa visione della mozione approvata dalia XV Conferenza Mondiale Metodista sul Sud
Africa, ne fa propri i contenuti, anche in riferimento con l'art. 67 del
Sinodo ’85; decide di inviarla alle
Chiese perché la studino, la diffondano e, laddove e come è possibile per quanto da loro dipenda, ne
mettano in atto le proposte.
MOZIONE DELLA XV CONFERENZA
MONDIALE METODISTA SUL SUD
AFRICA
Consapevoli della intensa sofferenza nel Sud Africa, esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per la
situazione critica di quel paese.
Chiediamo che il Consiglio Mondiale Metodista adotti misure capaci di produrre la massima circolazione possibile, in tutte le nostre
comunità sparse nel mondo, della
informazione sulla situazione sudafricana e dei modi possibili per
un cambiamento. Ci appelliamo perchè quanto qui indichiamo sia messo in atto, perchè si produca quel
cambiamento positivo su cui si fondi una società giusta e libera nel
Sud Africa.
1. Con forza chiediamo a tutti
i metodisti di portare in preghiera
la preoccupazione per coloro che
soffrono e lavorano per il cambiamento del Sud Africa, perchè abbia fine l'ingiusto governo, perchè
gli oppressori si convertano e siano cambiati nel cuore, nella mente
e nel comportamento.
2. Ci appelliamo a tutte le
Chiese Metodiste sparse sulla terra
perchè ritirino immediatamente i loro fondi presso banche, società o
organismi che abbiano collegamenti diretti o indiretti con il Sud
Africa.
3. Chiediamo a tutte ie nostre
chiese nazionali di farsi portatrici
presso i governi di una politica di
piene sanzioni economiche, visibili
e controllabili, perchè sia resa piò
probabile una soluzione meno violenta della tragedia sudafricana, e
di una politica di aiuti economici
ai paesi confinanti con il Sud Africa.
4. Richiediamo che tutte le
Chiese Metodiste diano assoluta
priorità alla diffusione della conoscenza deH'apartheid ed alio studio della Dichiarazione di Harare e
del documento teologico Kairòs.
5. Ci appelliamo a tutte le Chie
se Metodiste perchè raccolgano aiuti in denaro, cibo, medicine, alloggio, istruzione, borse di studio, e
assistenza a tutti i profughi entro
la propria terra del Sud Africa.
Chiediamo anche a tutta la famiglia metodista di aprire un fondo speciale per dare assisten
za alle Chiese Metodiste del Sud
Africa nel ministerio che esse
svolgono verso le masse trasferite forzosamente, i senza casa,
coloro che nel prossimo futuro
saranno esposti in ogni modo, perderanno lavoro e mezzi di sussistenza minima, in continuo pericolo di vita.
Come delegati deila XV Conferenza Mondiale Metodista riunita
a Nairobi, chiediamo al Governo
del Sud Africa;
A. M rilascio immediato ed incondizionato di Nelson Mandela e
di tutti gli altri detenuti politici,
e che tutti i sudafricani esiliati
per ragioni politiche possano fare
ritorno nelle proprie case senza
condizioni.
B. Che abbia immediatamente
fine io stato di emergenza, che
le truppe sudafricane siano ritirate e cessi la violenza e la continua perdita di vite umane nelle
Townships; che cessino inoltre le
incursioni nei paesi confinanti.
C. Che sia disposto un piano
che offra istruzione scolastica integrata a tutti, fanciulli, giovani ed
adulti del Sud Africa, senza riguardo alla razza o al colore.
D. Che il sistema dell'apartheid
venga abolito con le sue leggi discriminatorie ed ingiuste e che sia
cancellata la legge sulla registrazione secondo la razza (Population
Registration Aot).
E. Che sia dato inizio a trattative da parte dei rappresentanti
di tutte le popolazioni del Sud
Africa in vista di un futuro cui
tutti partecipino con uguali diritti.
INOLTRE:
Chiediamo che il Consiglio Mondiale Metodista mandi una delegazione scelta opportunamente perchè
si rechi in Sud Africa per esprimere la solidarietà e la partecipazione di questa Conferenza a coloro che soffrono a causa dell’emergenza e dei disordini, comunichi direttamente il contenuto di questo Documento e la preoccupazione dei metodisti alle autorità interessate, ed infine riferisca ai
membri del Consiglio Mondiale Metodista.
UNA RIFLESSIONE DEL TEOLOGO SUDAFRICANO ALLAN BOESAK
Obbedire a Dio
Obbedire a Dio è parte essenziale della nostra fede — ha
scritto il pastore sudafricano
Allan Boesak nel suo libro
« Camminare sulle spine » (Claudiana, 1986) — e della vocazione
rivolta al credente. La nostra fede è messa costantemente alla
prova e Dio non si attende da noi
un’ obbedienza cieca, che non
ponga alcuna domanda, una specie di sottomissione del tipo:
« Befehl ist Befehl » (il dovere è
dovere). Tuttavia Dio ci chiede
un impegno, una prova di essere
degni di fiducia, un’obbedienza
che costituiscono la risposta all’amore di Dio per noi e aH’impegno che egli si assume nei nostri
confronti. Obbedire a Dio significa confidare che le promesse di
Dio non verranno mai meno; significa assumersi il rischio della
fede, scoprendo la gioia che scaturisce dalla fedeltà di Dio. L’obbedienza significa crescere nel discepolato, comprendendone la fatica e il costo. Ma significa anche
gustare la gioia di vincere il nostro timore della libertà, di sco
prire ciò che G.D. Cloete ha definito « solidarietà celeste ».
Ho scoperto che l’obbedienza a
Dio, nella situazione in cui vivono tanti sudafricani, non è il risultato di una decisione presa
una volta per tutte, bensì un impegno che dev’essere rinnovato
ogni giorno. Un’altra cosa ancora
ho scoperto: Ti more che Dio ha
per noi, e che ci rende capaci di
amare Dio, ci conferisce l’emancipazione necessaria per Tobbedienza, per la gioia della libertà,
quella libertà per cui siamo liberi dalla paura di quella gente
crudele e violenta che conosce
soltanto il linguaggio della schiavizzazione, delTintimidazione e
della violenza.
Non è tutto un fardello pesante e privo di gioia, né si tratta di
quel masochismo sociale dolciastro, soffocante che tanti cristiani hanno praticato per tanti secoli. E’ una gioia che afferma la
vita, in misura tale che coloro
che sapevano realmente di che
cosa stavano parlando ne coglie
vano il senso in uno spiritual:
...E prima che io sia uno schiavo
sarò sepolto nella mia tomba
e andrò, nella casa del mio Si[gnore e sarò libero!
13
5 settembre 1986
Speciale sínodo 13
INTERVISTA A BENNY NATO, RAPPRESENTANTE IN ITALIA DELL’ANO
L'apartheid si abbatte, non si cambia
LAfrican National Congressi il Sud Africa appartiene a tutti i sudafricani, bianchi o neri che siano - Il massacro di
bharpeville - L importanza di efficaci sanzioni economiche - Il ruolo che possono giocare le chiese per la libertà
Benny Nato, rappresentante
per l’Italia e per la Grecia dell'African National Congress, la
organizzazione per la liberazione
del Sud Africa dal regime delrapartheid. Lo avevamo già incontrato in molte comunità evangeliche in varie parti d’Italia,
nonché ad Agape, al recente
congresso della PGEI, dove più
che un discorso politico tenne
mi vero e proprio sermone.
Il 26 agosto ha parlato al Sinodo valdese, spiegando ai pochi
che ancora ne avessero bisogno
che l’attuale regime sudafricano
non è suscettibile di miglioramenti, ma può solo essere abolito. Lo abbiamo intervistato al
termine del dibattito.
— Benny Nato, per che cosa
lotta l’organizzazione che Lei
rappresenta?
— Per la totale eliminazione
del razzismo e dell’apartheid in
Sud Africa, per la liberazione
del popolo nero, per la creazione
di un Sud Africa nuovo, basato
su un sistema democratico giusto e non razziale, dove tutti possano vivere da cittadini.
— Con quali strategie e con
quali mezzi perseguite questi vostri fin,’.?
— La nostra strategia di lotta
si sviluppa su vari fronti: un
fronte politico, un fronte sindacale, un fronte ecclesiastico, persino un fronte sportivo, un fronte militare. Riguardo a quest’ultimo, sul quale viene impiegata
una forza denominata ITmkhonto-We-Sizwe (Lancia della Nazione), va precisato che dall’anno
della costituzione dell’ANC, il
1912, fino al 1960 la lotta era stata condotta con mezzi esclusivamente pacifici: dimostrazioni di
massa, giornate di preghiera,
scioperi, boicottaggi e così via.
Il 24 marzo del 1960, però, l’ANC
fu messo fuori legge dalla minoranza bianca sudafricana, in seguito all’assassinio di sessantanove neri da parte della polizia
subito dopo una grande manifestazione a Sharpeville, vicino a
Johannesburg. L’anno prima, al
Congresso di Johannesburg, 2500
delegati avevano approvato jl
Manifesto delFANC, iaffermand'o
che il Sud Africa apparteneva a
tutti i Sudafricani, neri o bianchi che fossero. Nessun governo, secondo il Manifesto dell’ANC, aveva il diritto di governare sul popolo del Sud Africa
senza il mandato di tutto il popolo del Sud Africa.
— L’ANC non è l’unica forza
politica sudafricana ad opporsi
all’apartheid. Quali rapporti intercorrono fra l’ANC e il Fronte
Democratico Unito del pastore
Boesak?
— Da quando l’UDF è stato
fondato, due anni fa, l’ANC gli
ha rivolto un caloroso benvenuto, considerandolo un fatto positivo per la continuazione della
lotta popolare contro l’apartheid.
L’UDF, d’altra parte, ha fatto
proprio il Manifesto (o Carta
della Libertà) dell’ANC. Le posizioni prese sino ad oggi dal-‘
l’UDF sono coerenti con le richieste di autentica libertà e di
creazione di una società democratica e giusta in Sud Africa
che provengono dalla nostra
gente. Di conseguenza, le relazioni fra ANC e UDF sono molto buone e comprendono il reciproco sostegno.
— Perché Lei è in Italia?
Sono qui alla ricerca di ap
poggi internazionali per la nostra giusta lotta.
— Come può aiutarvi un paese
come i’Italia?
— In molti modi, con mezzi
politici, materiali, morali. Sul
versante politico, la nostra prima richiesta al Governo e al po
polo italiano è di sostenere la
nostra campagna per il ritiro
degli investimenti esteri dal Sud
Africa e per stringere in una
rete di sanzioni economiche il
regime dell’apartheid. Le sanzioni di per sé non abbatteranno
il regime di Pretoria; tuttavia,
esse possono rappresentare un
contributo decisivo per l’indebolimento fino al collasso della
base economica su cui si regge Botha. Il suo sistema è così
forte perché è ancora appoggiar
to da parte della comunità internazionale, prime fra tutti le
multinazionali che hanno investito nel nostro paese.
L’aiuto materiale che chiediamo va a sostegno di progetti
per rautosufiìcienza alimentare
del nqstro movimento di liberazione, come i 4.000 ettari che
stiamo acquistando e mettendo
a coltura a mais e ad altri cereali nello Zambia, o di progetti educativi come la grande scuola SOMAFCO che abbiamo in
Tanzania o, più semplicemente,
va a fornire un tetto, cibo, vestiario, medicinali, altri beni di
prima necessità alla sempre più
vasta comunità dei rifugiati sudafricani nello stesso paese.
Parlo anche di sostegno morale, perché un grosso aiuto ci
viene da coloro che ci rivolgono
il loro incoraggiamento, riconoscendo le nostre ragioni e protestando contro ogni forma di
collaborazione fra la comunità
internazionale e il regime razzista di Botha. Abbiamo bisogno
che il nostro problema resti al
centro dell’attenzione intemazionale, grazie alla gente che crea
iniziative di sensibilizzazione,
che scrive ai giornali, che esprime in vari modi la propria volontà di contribuire all’abbattimento del sistema perverso dell’apartheid.
che la maggioranza dei Sudafricani bianchi è cristiana protestante. Per questo, rivolgendoci alla comunità internazionale,
non potevamo non considerare
da subito le nostre sorelle e i
nostri fratelli nel Signore. Pensate solo a quanti religiosi e laici sono compresi fra le 10.000
persone che Botha ha fatto mettere in prigione dal 10 giugno
scorso, data dell’entrata in vigore dell’attuale stato d’emergenza.
— Che cosa pensa della risoluzione sul Sud Africa approvata quasi all’unanimità dal Sinodo?
— Buona parte del suo tempo,
da quando Lei opera in Italia,
lo ha dedicato alle chiese, anche
a chiese piccole come quelle battiste, metodiste o valdesi. Non
sarebbe stato più utile dedicarlo a realtà politicamente più rilevanti?
— Io sono cristiano protestante e la maggior parte della mia
gente è cristiana protestante. An
-— Il documento che le Chiese
valdesi e metodiste italiane
hanno fatto proprio con quella
risoluzione è coerente con le
nostre richieste. Per questo spero che esso possa facilitare iniziative che arricchiscano i contenuti della nostra lotta per ima
pace giusta e per la democrazia
in Sud Africa.
Intervista a cura di
Bruno GabrieUl
LA LETTERA DI GIRARDET ALLE GHÎÊSE SUDAFRICANE
Solidarietà nelle sofferenze e nelle lotte
L’ambasciatore del Sud Africa,
giunto a conoscenza del dibattito
sinodale sw/Z’apartheid, ha fatto
prima un comunicato stampa e
poi ha inviato una lettera al Sinodo accusandolo di « essere scarsamente informato sulla situazione
sudafricana ».
Inoltre egli afferma che i punti
programmatici del suo governo
tendono a «condividere il potere
col popolo nero del Sud Africa »
ed a fare riforme politiche miranti « alla ferma rimozione della
discriminazione ».
Il documento inoltre sottolinea
che le ipotizzate sanzioni economiche colpirebbero in primo luogo i neri « portando ad attriti
maggiori, a violenze e forse alla
rivoluzione ». E conclude: « E’
questo che vuole la vostra chiesa? ».
Ci asteniamo da qualsiasi commento sulle suddette affermazioni, mentre qui appresso pubblichiamo la lettera che il seggio del
Sinodo ha inviato alle chiese in
Sud Africa.
Torre Pellice, 1 settembre 1986
Alle chiese cristiane del Sud Africa, South African Council of
Churches
Alle due chiese riformate olandesi
Cari fratelli e sorelle nel Signore,
il Sinodo delle chiese valdesi e
metodiste, riunito nella sua sessione európea dal 24 al 29 agosto,
ha ricevuto una lettera dalTambasciatore del Sud Africa nel nostro
paese nella quale egli espone il
punto di vista del suo governo sopra l’imprigionamento di Nelson
Mandela, le attività del Congresso nazionale africano, sulle ragioni dell’attuale stato di emergenza. sulle cause delle attività, che
egli definisce terroristiche e ci avverte che le sanzioni dei paesi industrializzati provocherebbero un
grave peso alTeconomia sudafricana: peso che sarebbe fatto portare soprattutto alla popolazione
nera.
I membri del nostro Sinodo conoscono già il punto di vista del
governo sudafricano; ma sanno
anche, dalla stampa e da notizie
dirette, quanto tali informazioni
siano parziali e distorte; soprattutto sanno quante altre informazioni, necessarie per comprendere la situazione sudafricana,
siano sistematicamente taciute.
Se vi scriviamo è perciò soprattutto per confermarvi la nostra solidarietà in Cristo, nelle vostre sofferenze e nelle vostre lotte.
Siamo una chiesa membro dell’Alleanza riformata mondiale e della
Conferenza mondiale metodista,
abbiamo più volte Invitato e ricevuto i messaggi di rappresentanti
delle vostre chiese che sono ben
noti fra noi, come il pastore Allan
Boesak e il vescovo Desmond Tutu; in questo Sinodo abbiamo
ascoltato Benny Nato, del Congresso nazionale africano. Conosciamo e abbiamo dato ampia
diffusione al documento teologico « Kairos » che. mostrando come il Dio della Bibbia è il liberatore degli oppressi, invita a lottare contro la tirannide, che è nemica degli uomini e nemica di
Dio e continua: « Il fatto che lo
stato è tirannico ed è un nemico
di Dio non può giustificare l’odio
nei suoi confronti. Come cristiani
siamo chiamati ad amare i nostri
nemici (Matt. 5: 44)... Ma dobbiamo anche ricordare che il più
grande atto di amore che possiamo compiere sia per gli oppressi
sia per i nostri nemici che sono
oppressori, consiste nelTeliminare
l’oppressione, nel destituire i tiranni e stabilire un governo giusto
per il bene comune di tutto il popolo ».
Il nostro Sinodo ha anche fatto
propri i contenuti del recentè documento della 15“ Conferenza metodista mondiale di Nairobi il quale chiede con forza di portare in
preghiera la preoccupazione di coloro che soffrono e lavorano per il
cambiamento « perché gli oppressori si convertano e siano cambiati nel cuore, nella mente e nel
comportamento ».
Per realizzare il nostro compito
di costruire la pace (Matt. 5: 9)
Il pastore Giorgio Girardet, presidente del Sinodo '86.
dobbiamo perciò utilizzare fino all’ultimo mezzi politici e di opinione pubblica; sappiamo che
avete seguito quella via per decenni. Perciò comprendiamo che
non potete, in obbedienza al Signore del mondo, permettere che
l’ingiustizia, la violenza e l’arbitrio di chi ha nelle mani tutto il
potere crescano oltre ogni limite;
soprattutto davanti ad aooelli alla
non violenza non accompagnati
da garanzie credibili.
La vostra scelta è grave e la vostra responsabilità è grande, come
•’u ner molti europei negli anni del
fascismo. Le nostre mani non sono
mai pure; ma la nostra forza non
sta nelle nostre onere di giustizia, ma nella grazia del Signore,
che ci conduce ner vie difficili e
talvolta contraddittorie. Le chiese
hanno e conservano il compito
della riconciliazione e della mediazione, perché il peggio venga
evitato.
In una dichiarazione alla stampa, rilasciata prima che ci fosse
pervenuta la sua lettera, l’ambasciatore del Sud Africa in Italia
aveva affermato che « le chiese
devono ridurre la loro testimonianza nel mondo alla nura soddisfazione dei ’’problemi spirituali dell’uomo”», Egli non ha ripetuto
nella sua lettera tale affermazione.
Oh avremmo risposto con le parole del documento fondamentale della nostra chiesa: « La Chiesa. fondata sui principi dell’Evangelo, si regge da sé in modo indipendente.,, senza pretendere alcuna condizione di privilegio,,, né
consentire nel proprio ordine ad
inaerenze o restrizioni da parte
de"a società civile »,
Con i saluti ffaiorni, nella comunione della fede.
Il Presidente
Past. Giorgio Girardet
ÌM
14
14 Spedale sinodo
5 settembre 1986
C.I.O.V.
Regole per una
diaconia secolare
La seduta del giovedì pomeriggio dedicata tradizionalmente alla CIOV, ha registrato quest’anno una buona partecipazione ed
una animata discussione, sollecitata da una relazione della Commissione d’esame particolarmente stimolante e puntuale (relatore Claudio Pasquet, membri Marco Ayassot, Giorgio Gardiol, Giovanni Ghelli) e dalle innovazioni
prodotte dal nuovo statuto varato l’anno scorso sulla base della
Intesa siglata con lo Stato. Infatti il dibattito si è polarizzato
sullo stato giuridico della CIOV
stessa, Ente ecclesiastico patrimoniale e nel contempo Commissione Sinodale Amministrativa e
INFORMAZIONE
Il Sinodo, richiammdosi a 47/SI/
84, invita la CIOV a svolgere solerte opera di informazione verso
le chiese per quanto riguarda il
suo lavoro di traduzione nelia pratica della impostazione evangelica
data al servizio che gii istituti da
essa amministrati svolgono. Questo
con lo scopo di collaborare alla
promozione di un’opera di educazione alla disponibilità ed al servizio.
personalità giuridica nell’ordinamento dello Stato, e sulle implicazioni che ciò comporta a livello di riorganizzazione interna, di
rapporto con gli Enti pubblici e
di posizione nei confronti delle
Comunità locali.
Emerge infatti da questo la necessità di rivedere la Intesa con
la Regione Piemonte essendo ora
autorizzata a trattare la CIOV
stessa (mentre la prima Intesa
era stata firmata dalla Tavola),
anche se solo di innovazione formale si tratta e non sostanziale. Un o.d.g. è stato approvato
in tal senso e nel tempo stesso
un altro che invita la CIOV a
stipulare Intese e Convenzioni
con Enti pubblici solo a seguito
di precisi mandati sinodali o, in
caso di urgenza, avuto l’assenso
del sovrintendente della Tavola a
ciò autorizzato.
Il Sinodo, pur nella consapevolezza che lo Statuto della CIOV riconosce alla stessa la facoltà di stipulare, ove lo ritenga necessario,
intese con enti pubblici e privati,
auspica tuttavia che le stesse vengano preventivamente sottoposte all'approvazione sinodale, salvo I casi di necessità e di urgenza per i
quali farà testo la prevista sovrintendenza della Tavola.
Il Sinodo invita la Tavola ad assumere le opportune iniziative, in
accordo con la CIOV, per garantire
la corretta applicazione dell'att. 13
dell'Intesa, in riferimento all'evoiuzione deH'ordinamento giuridico italiano.
La riorganizzazione interna
della CIOV è stata particolarmente laboriosa per la creazione dei Comitati di Gestione, previsti dal nuovo statuto, per gli
Ospedali ed il Rifugio, in gestione alla CIOV stessa. Discussa all’interno della CIOV, da parte
della Commissione d’esame ed
ancora in Sincdo, è stata la decisione di creare due comitati
per gli Ospedali di Tórre e Pomaretto, anziché uno solo per
entrambi: più funzionali, legati
al territorio, rapportati ad una
sola U.S.S.L., hanno sostenuto i
membri della CIOV che hanno
deciso in questo senso e ne avevano facoltà; più razionale, più
agile, più rispondente ad una
« politica ecclesiastica » e più unitario nei rapporti con gli enti
sarebbe stato un solo Comitato
di Gestione per entrambi gli Oraedali, secondo i membri della
¡-(Sommissione d’esame e diversi
■'interventi al Sinodo. Comunque
è stato approvato un o.d.g. di
riconoscenza a chicha accettato
di far parte di questi tfe*'Comi
tati di Gestione, reperiti non senza problemi ed un altro di invito a presentare l’anno prossimo un regolamento riguardo al
loro funzionamento.
Il Sinodo Incarica la CIOV di
presentare nella relazione del prossiimo anno un rapporto sulle imodalità di applicazione dei regolamenti
dei Comitati di Gestione degli istituti da essa amministrati, allo scopo di promuovere un dibattito circa
le competenze ed I ruoli attribuiti
a questi ultimi ed alla CD/I nell'esame dell'operato degli stessi.
Nei rapporti con le comunità
locali è emersa l’esigenza di una
maggiore informazione sulle opere gestite dalla CIOV ed in particolare sul Rifugio, in forte deficit di gestione, dopo la totale
utilizzazione deH’eredità Bellion
per la costruzione della nuova
ala e la ristrutturazione della
«Casa Rossa». Un o.d.g. è stato
approvato in tale senso.
Un altro o.d.g. richiede alla
CIOV di presentare al prossimo
Sinodo un progetto di ristrutturazione dell’Ospedale di Pomaretto con l’approvazione delle
autorità competenti e delle Comunità interessate, ed un preciso
piano di finanziamento al riguardo. La Commissione d’esame,
pur riconoscendo la necessità di
fare tali lavori per le esigenze
di funzionamento, ritiene che
non si debba procedere affrettatamente, dato che tante altre
opere sono in cantiere; l’Ospedale di Torre Pellice che sta iniziando la II fase dei lavori relativi alla ristrutturazione del corpo centrale, il Rifugio, l’Asilo
di San Germano, ecc...
'Il Sinodo, rallegrandosi dell’andamento positivo dei lavori di ristrutturazione dell'Ospedale di Torre Pellice, ringrazia le chiese, i Comitati esteri, l'Associazione Amici
dell'Ospedale ed i singoli donatori
per la loro generosità. A seguito
della decisione di procedere subito
all’attuazione dell'ultima fase in
progetto, invita le sorelle e I fratelli delle nostre chiese a proseguire nell'impegno finanziario fin qui
assolto.
Il Sinodo chiede alla CIOV di
presentare alla prossima sessione
una precisa relazione sulle necessità globaii di ristrutturazione dell'ospedale di Pomaretto, corredata
delle autorizzazioni e concessioni
dei competenti Enti locali e dei
relativi piani di finanziamento.
Infine il Sinodo ha approvato
il nuovo statuto del Rifugio
« Carlo Alberto », che evidenzia
il suo carattere di istituto autonomo con personalità giuridica
propria, affidato dal Sinodo alla
sovrintendenza della CIOV, e fissa i compiti del Comitato di Gestione nominato dalla CIOV per
il funzionamento dellTstituto.
Al termine dei lavori il Sincdo
ha espresso la sua gratitudine
a operatori degli Istituti e membri della CIOV per il lavoro svolto ed è terminata così una costruttiva seduta sinodale.
Il Sinodo ringrazia il personale
degli istituti amministrati dalla
CIOV per lo spirito di collaborazione espresso in quest’anno di attività, caratterizzato — in particolare — da un incremento del carico
di lavoro.
Il Sinodo indica alla riconoscenza della chiesa tutti coloro che,
singolarmente o riuniti in associazioni di volontariato, hanno contribuito in ogni forma possibile al
buon andamento materiale e spirituale degli istituti amministrati
dalla CIOV.
Il Sinodo, udita ed esaminata la
relazione della CIOV, ne approva
l'operato e ringrazia I suoi componenti per l'attività svolta.
F. C.
RIFUGIO CARLO ALBERTO
Nuovo Statuto
MiA.vAN
Il Sinodo, preso atto di quanto
esposto dalla CIOV, nella sua relazione, considerato l’art. 50/SI/85
ed in riferimento a quanto dispone
l’art. 13 comma 2 dell'Intesa con il
Governo Italiano del 21.2.1984 (approvata con legge 449/1984), approva nel testo allegato ai presenti atti sinodali, lo Statuto del Rifugio Carlo Alberto, che sostituisce
ad ogni effetto, anche di legge, il
precedente Statuto approvato dal
Sinodo con l'art. 31/SI/01 e con
il r. d. 5.9.1902.
STATUTO DEL
RIFUGIO
«CARLO ALBERTO»
Scopo dell'Istituto;
il Rifugio <c Carlo Alberto » fu
fondato dal pastore Guglielmo Melile nel 1896 (ed inaugurato nel
1898) come risposta evangelica alla
necessità di assistenza della popolazione valdese disabile. Fin dall'inizio fu stabilita altresì l'apertura delPIstituto anche a persone
non appartenenti alla popolazione
valdese.
Il Rifugio, perseguendo i suoi
scopi, continua ad accogliere i disabili della popolazione evangelica,
mantenendo la sua disponibilità verso le persone appartenenti ad altre o a nessuna confessione religiosa, dando a tutti accoglienza,
aiuto, solidarietà, assistenza morale e spirituale.
Art. 1: Il Rifugio, quale istituto
autonomo ai sensi dell'ordinamento
valdese, munito di personalità giuridica propria, ai sensi dell’art. 13,
legge 449/1984, svolge la sua attività sotto la sovraintendenza della
CIOV a cui il Sinodo lo ha affidato.
Art. 2; Gli stabili dove ha sede
il Rifugio sono di proprietà della
CIOV, la quale ne dota il Rifugio.
La CIOV conserva ogni decisione
in merito agli atti di straordinaria
amministrazione.
Art. 3: Il Rifugio provvede alle
proprie necessità finanziarie con:
le rette degli ospiti; le donazioni,
le eredità e I legati eventuali, i
doni e le offerte di amici, chiese
e istituzioni.
Art. 4: La gestione ordinaria del
Rifugio contpete ad un Comitato di
Gestione (CdG) nominato dalla
CIOV ai sensi del proprio statuto,
costituito da almeno tre membri
che nominano il presidente al loro
interno, da due componenti della
CIOV con funzione consultiva e di
controllo, da un delegato della Commissione esecutiva distrettuale e
dal Direttore del Rifugio. Solo i
membri hanno diritto di voto. La
nomina a membro del CdG è annuale e non può essere rinnovata
oltre sei volte consecutive. Il CdG
risponde del suo operato alla Conferenza distrettuale.
Art. 5: E' compito del CdG:
a) gestire l'istituto secondo le
direttive della CIOV;
b) decidere l'ammissione degli
ospiti a seguito di accertamenti
sanitari, dando la preferenza a chi
versa in più gravi necessità;
c) coordinare le azioni relative
al loro trattamento assistenziale e
alle cure necessarie in vista del recupero psicofisico;
d) definire le rette;
e) assumere il personale nel qua.
dro dell’organico stabilito dalla
CIOV. La nomina del direttore spetta alla CIOV, sentito il parere dei
CdG;
f) coordinare la gestione del
personale e i rapporti con le rappresentanze interne e con le organizzazioni sindacali per quanto attiene l’applicazione dei contratti e
del regolamento. La trattativa dei
contratti dì lavoro compete alla
CIOV, in collaborazione con il CdG;
g) coordinare le azioni relative
all'economato, alla manutenzione ordinaria degli immobili e delle attrezzature, la cui dotazione spetta
alla CIOV;
h) proporre all'approvazione della CIOV le opere di manutenzione
straordinaria e di ristrutturazione degli immobili;
i) predisporre il preventivo di
spesa e il conto consuntivo annuo
da sottoporre all'approvazione della
CIOV, salvo quanto previsto dall'art. 13 R08 ultimo comma; nonché un proprio bilancio patrimoniale;
i) collaborare con la CIOV per
quanto ritenuto opportuno da Inserire nelle eventuali convenzioni da
stipularsi con gli Enti pubblici e
nei contratti di lavoro;
k) presentare alla CIOV tutte
le proposte che ritiene utili al buon
andamento dell'istituto;
l) provvedere ad indire collette
e la raccolta di doni con l'approvazione della CIOV;
m) curare i rapporti con le chiese locali e gli organismi ecclesiastici territoriali in cui l’opera è collocata.
Art. 6: Il Presidente rappresenta
legalmente il Rifugio per delega
del CdG.
— Cura l’applicazione delle delibere prese dal CdG.
— Sottoscrive la corrispondenza
e gii atti ufficiali del Rifugio.
— Sovraintende al buon funzionamento del Rifugio nel rispetto delle deliberazioni prese dal CdG.
— Prende i provvedimenti d’urgenza nelle materie di competenza
del CdG, necessari per garantire il
funzionamento del Rifugio e li sottopone alla ratifica del CdG nella
prima riunione utile.
Art. 7: Il CdG si riunisce in seduta ordinaria di norma una volta
al mese per l'esame e le decisioni
relative ai problemi della gestione
del Rifugio.
Le riunioni ordinarie sono convocate con l'ordine dei lavori della
seduta e con un preavviso di almeno cinque giorni. Se necessario
il CdG può essere convocato in
seduta straordinaria con un preavviso di almeno ventiquattro ore.
Il CdG è convocato dal Presidente o a richiesta di almeno la
metà dei suoi componenti, anche
se senza diritto di voto.
Art. 8: Il Collegio dei revisori
dei conti è costituito da un presidente e da due revisori nominati
dalla CIOV. I componenti del collegio durano in carica un anno e
possono essere rinominati fino a
un massimo di sei volte consecutive. Il Collegio dei revisori riferisce
alla CIOV sul proprio operato.
E' compito del Collegio dei revisori;
— verificare l’esecuzione delle
delibere del CdG;
— esprimere un parere di congruità sulla corretta tenuta della
corrtabilità e dei conti consuntivi;
— esaminare la rispondenza dei
giustificativi dì spesa alla tenuta
della contabilità dell'istituto.
Art. 9: Il presente Statuto è
stato approvato dal Sinodo del 1986,
a norma dell’art. 13, comma 2
dell'Intesa conclusa dalla Tavola
Valdese con il Governo italiano il
21.2.1984, ed entra in vigore il 30.
8.1986. Le modifiche al presente statuto vengono approvate dal Sinodo
ad iniziativa della CIOV o su proposta di almeno dieci membri del
Sinodo.
INAUGURAZIONE
Il sinodo prende atto con gioia
dell’avvenuta inaugurazióne del nuovo caseggiato del Rifugio Carlo Alberto. .1
15
5 settembre 1986
Spedale sinodo 15
LE FINANZE DELLE CHIESE
Il Sinodo prende tempo
Un patrimonio immobiliare
di difficile amministrazione
(segue da pag. 1)
I bilanci (o i rendiconti) della
Tavola e delTOPCEMI continuano a presentare le caratteristiche di sempre:
— un complesso di spese praticamente incomprimibili se
non in alcuni dettagli e che
dovrebbero anzi, in alcuni settori, essere ampliate (ad esempio l’appoggio culturale ai pastori o il problema delle auto di servizio);
— un sistema di entrate basato
su tre voci: offerte dei fedeli
(e qui vi è certo qualche speranp di progresso), i contributi dall'estero (ohe converrebbe cercare di stabilizzare
sulla base di progetti, evitando le affannate richieste destinate a tappare buchi non
previsti o mal previsti) ed infine il reddito del patrimonio
su cui si potrebbe dire qualcosa in più di quel poco che
è stato detto in Sinodo.
Sembra intanto opportuno ac•oentuare al massimo la distinzione di quanto riguarda la gestione ordinaria da quanto rigiiarda la gestione del patrimonio. Ciò si fa già, ma almeno
nel rendiconto (o bilancio) delf’OPCEMI la separazione potrebbe essere accentuata, per amor
di chiarezza.
E per quanto riguarda la gestione del patrimonio una prima osservazione si impone. Sia
la componente valdese che quella metodista hanno un elevato
patrimonio immobiliare carico di
segni di debolezza. La politica
RINGRAZIAMENTO
Il Sinodo, consapevole che la nostra opera in Italia si svolge con
la solidarietà di chiese sorelle,
realizzando cosi una comunione di
fede e di speranza, ringrazia vivamente tutti gli amici e i Comitati
esteri.
SPESE GENERALI
Il Sinodo autorizza la Tavola a
ripartire tra opere, istituti, enti e
progetti la quota-parte delle sue
spese generali che corrisponde ai
servizi prestati dalla Tavola stessa
e dai suoi uffici.
del «mattone», un tempo preferita come rifugio patrimoniale, ha
forse fatto il suo tempo. Tanto
più lo ha fatto quando si tratta
di un patrimonio situato in posizioni centrali delle città (residuo
delle esigenze di testimonianza
intesa come presenza, giusta a
suo tempo, meno valida oggi in
cui la testimonianza esige altri
contenuti sociali e di evangelizzazione). Questo aspetto comporta
una elevata valutazione del patrimonio con pesanti conseguenze fiscali (vedi INVIM decennale), Questo patrimonio è inoltre
generalmente molto vecchio con
relative spese di manutenzione
assai elevate (per un solo stabile in Roma è stata prevista una
spesa di un miliardo). Infine la
legislazione immobiliare già esistente in Italia e destinata certo
a svilupparsi è sostanzialmente,
se non punitiva, certo non favorevole.
Nel mondo di oggi intanto si
sviluppano altre possibilità di
investimenti più strettamente finanziari che danno sufficiente sicurezza, che non comportano imposte, non esigono manutenzioni e danno, e daranno ancora a
lungo, rendimenti ben superiori
al tasso di inflazione che per suo
conto va, sia pure lentamente,
scendendo.
E allora non vale la pena di
studiare un piano organico, da
svolgere in tempi brevi, che permetta di abbandonare il criterio
del « mattone » ed avere un patrimonio più facilmente amministrabile e suscettibile di fornire alla gestione ordinaria delle
chiese un ben più elevato contributo? Non si tratta ovviamente di invitare Tavdla e OPCEMI
a speculare in Borsa, ma solo di
« sentire » quali sono le diverse
possibilità che offre il mondo di
oggi. Il tutto naturalmente riferito a quella quota del patrimonio immobiliare destinato al reddito e non certamente a quello
necessario alla vita delle Chiese,
che andrà sempre meglio potenziato e amministrato.
E infine un’ultima osservazione. L’articolo più citato e meno
rispettato della Costituzione italiana è queU’art. 81 che dispone
per ogni legge di spesa la obbligatoria indicazione della fonte
del finanziamento. Quando chiediamo alle nostre Amministrazioni nuove prestazioni, nuove
commissioni, nuove ricerohe, tutte cose che hanno costi sicuri,
non potremmo provare noi a tener presente il sacrosanto principio delLart. 81?
Niso De Michelis
siastici e dei ministri di culto e
di sostegno finanziario ai bisogni religiosi della popolazione»
(art. 60/SI/1985).
Le chiese però oggi perseguono anche scopi di natura diversa, che rientrano nella previsione della 1. 222/1985, quali quelli
«di carattere umanitario» e di
«interesse sociale»; non dimentichiamo che i nostri enti ecclesiastici hanno congiuntamente
« fini di culto, istruzione e beneficenza» (art. 16 R.O. 8).
Si tratta quindi di definire i
termini delTutilizzo del denaro
pubblico negli istituti ed opere
della chiesa.
Tutto ciò comporta una rifiessione sul rapporto tra predicazione e diaconia, due termini diversi e complementari del
RINVIO
il Sinodo si rallegra per l’ampiezza del dibattito in corso nelle chiese sui problemi inerenti la a defiscalizzazione » e lo 0,8% (legge 222/
1985, odg n. 9/2337 del 17.6.1985
Camera dei Deputati); ritiene che
le posizioni già espresse dalle chiese possano essere integrate e sviluppate nella prospettiva di un ulteriore approfondimento (in linea
con quanto espresso da 60 e 61/
SI/85); chiede alla Tavola di fornire alle chiese tutta la documentazione necessaria per approfondire
i problemi emersi nel corso della
presente sessione sinodale; esorta le chiese che ancora non hanno assunto una posizione a pronunciarsi entro il 31 marzo 1987; rinvia
ogni decisione al Sinodo 1987.
Un settimanale per tutti
Il dibattito sinodale sulla
stampa ha avuto un inizio inedito, quest'anno. La Commissione d’esame, infatti, mentre tutti
si attendevano l’apertura della
discussione sulTECo-Luce, ha
presentato per prima cosa un
ordine - del .-giorno su, L’ainico
dei fancliiilt;- Nella nòstra chièsa, affermàVà il relatore della
Commissione d’esame Claudio
Martelli, tutti sono convinti che
occorre spendere più tempo ed
energie per i giovanissimi; ma
poi, per loro, non abbiamo se
non questo strumento umile e
negletto. Il campo della stampa
e dell’editoria per i ragazzi, è
stato detto nel dibattito, ha visto in questi ultimi anni uno
sviluppo inaudito, per cui le
edicole si sono letteralmente
riempite di fumetti e rivistine
di ogni genere, che sono in breve diventate pressoché l’unico
strumento di lettura dei ragazzi.
L’AMICO DEI
FANCIULLI
Il Sinodo dà mandato alla Tavola di valutare i modi e i mezzi
idonei per un rilancio del periodico
« L'Amico dei Fanciulli ».
Agli stimoli che provengono dall’esterno, noi possiamo opporre
soltanto il vecchio, eroico. Amico dei fanciulli. Il Sinodo, approvando l’ordine del giorno presentato dalla Commissione d’esame, dà mandato alla Tavola
di sostenere e potenziare questo giornalino.
Lasciato il discorso sui giovanissimi, il Sinodo ha affrontato
il tema dell’Eco-Luce. Dopo l’in
tervento qii un deputato ligure
che proponeva di unire tutti i
giornali e riviste della chiesa in
un organo unico, in modo da
riuscire a costruire un giornale
nazionale, il dibattito si focalizzava su un tema scottante: l’Eqo-Luce è-il giornale ufficiale
dèlie chiese valdesi e metodiste
— e dunque deve esprimere sempre e solo la « voce ufficiale » —
oppure può muoversi con una
certa libertà, sia pure all’interno delle varie posizioni che nella chiesa vengono assunte da
vari gruppi e siiceli?
Tùtto nasce da un’osservazione che la Tavola ha latto nella
sua relazione : « Taluni hanno
l’impressione, scrive la Tavola,
che la redazione persegua una
linea di riflessione che non corrisponde interamente alla ricerca spesso diffìcile e travagliata
che è in corso nelle chiese ». Nell’intreccio degli interventi, molti
membri del Sinodo si sono posti questa stessa domanda, dando risposte diverse poiché è a
diversi livelli che si pone il rapporto tra l’Eco-Luce e la chiesa.
Cerco di spiegarmi meglio. Il
membro di chiesa che si abbona all’Eco-Luce, che cosa si
aspetta di trovare sul suo giornale? Egli cercherà notizie, riflessioni bibliche, informazioni,
meditazioni ; qualcuno ha anche chiesto una pagina umoristica. Tutto questo, sul giornale, c’è. Si potrà migliorare la
presentazione, rendere più agili
gli articoli, in modo che tutti li
possano capire, si potranno scegliere delle formule perché nessuno si senta disorientato di
fronte a certe pagine piene di
parole.
’Tutto questo può avvenire ;
anche se costa molta fatica, il
giornale può essere migliorato e
migliorare così il rapporto trai
il giornale stesso e i suoi abbonati.
Il problema cambia se noi
pensiamo che TEco-Luce sia l’organo ufficiale della chiesa, come
TLnità lo è del PCI o II Popolo
lo è della DC. Allora ogni presa
di posizione del giornale diventa la presa di posizione della
chiesa, da quanto è scritto nei
« Punti di vista » di apertura della prima pagina, fino alle affermazioni sui rapporti fra chiesa
e stato, sull’ora di religione, e
via di seguito. Ma è proprio così? Il giornale è proprio l’organo ufficiale della chiesa, o non
è piuttosto uno strumento al
servizio degli evangelici per collegare le chiese tra loro ed i
credenti dispersi nella solitudine?
Il Sinodo, ovviamente, non si
è espresso per dare una definizione precisa, anche se diversi
deputati hanno posto l’accento
piuttosto sulla necessità che
l’Eco-Luce sia organo di collegamento tra le chiese.
In questo senso è stata anche
sostanzialmente respinta l’idea
di una separazione fra l’Eco,
che diventerebbe solo un giornale per le Valli, e la Luce, che
si indirizzerebbe soltanto alle
chiese del resto d’Italia. Una tale separazione, è stato detto,
impedirebbe di fatto il collegamento che invece si vuole ottenere e finirebbe per rendere
provinciali ambedue i giornali.
Un’ultima parola è stata spesa per il quindicinale COM-Nuovl Tempi, che versa in gravi difficoltà. Il Sinodo ha chiesto alla Tavola di seguire l’evolversi
della situazione e di sostenere,
come negli anni passati, il quindicinale, unico esempio di editoria veramente ecumenica in
Italia.
Paolo Ribet
compito di testimonianza del
messaggio evangelico che tuttavia presentano difficoltà di interpretazione e traduzione nella
vita quotidiana.
In conclusione del dibattito,
il Sinodo ha approvato un atto
di rinvio di ogni decisione sulla
materia alla sessione del 1987,
con im invito alle chiese ad ai>
profondire ulteriormente la riflessione, facendo pervenire il
proprio orientamento entro il 31
marzo 1987.
Paolo Gay
Marco Pasquet
Se sedici pagine
vi sembran poche...
Sedici pagine per lo "Speciale
Sinodo ’86” sembravano tante,
ma alla fine si sono rivelate strette per contenere l’essenziale dei
lavori del Sinodo. Nei prossimi
numeri riprenderemo alcuni argomenti di carattere sinodale. Intanto le chiese che non l’avessero ancora fatto possono ancora
prenotare copie dello "Speciale"
sino ad esaurimento delle scorte.
Un grazie particolare a tutti
quelli che ci hanno dato una mano, in particolare ai fotografi
(Guido Girardon, Renato Ribet,
Giuseppe Platone) e ai tipografi
che ce l’hanno messa tutta...
Avremmo fatto prima se il Sinodo non avesse eletto il nostro direttore a moderatore della Tavola Valdese. Era una possibilità
che non avevamo previsto... Comunque al pastore Franco Giampiccoli auguri da redattori e tipografi che cercheranno di mantenere inalterato il livello di qualità del settimanale delle nostre
chiese.
r,
STAMPA PERIODICA j
L’Eco delle Valli Valdesi »; Rea.
Tribunale di Pinerolo n. 175.
Redattori: Giorgio GardioI, Paolo
Fiorio, Roberto Giacone, Adriano
Longo, Giuseppe Platone, Sergio
Ribet. Comitato di redazione: i redattori e: Mirella Bein Argentieri,
Valdo Beneccni, Mario F. Berutti,
Franco Carri, Rosanna Ciappa Nittl. Bruno Gabrielli, Claudio H. Martelli, Roberto Peyrot, Massimo Romeo, Marco Rostan, Mirella Scorsonelli, Liliana Viglielmo.
Direttore Responsabile;
FRANCO GIAMPICCOLI
Redazione e Amministrazione: Via
Pio V, 15 - 10125 Torino - Tel. 011/
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Redazione l'Eco delle Valli Valdesi:
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intestato a « La Luce: fondo di solidarietà », Via Pio V, 15 - Torino
Stampa: Cooperativa Tipografica
Subalpina - 10066 Torre Pelllce (To)
16
16 Spedale sínodo
5 settembre 1986
L’ECUMENE PROTESTANTE A TORRE PELLICE
Il Sinodo '86 visto dagli ospiti stranieri
Weissinger: scontrarsi in aula
ed abbracciarsi in giardino
Visibilmente commosso Fritz
Weissinger, del ’EHakonisches
Werk’ dell’Assia, ha accolto con
gioia il saluto che il Sinodo, con
le parole del suo presidente, gli
ha dato con molta partecipazione votando uno speciale ordine
del giorno in cui si esprime la
riconoscenza della chiesa valdese e metodista per l’opera di
aiuto che Weissinger ha svolto
per più di vent'anni in Italia. In
una pausa dei lavori lo abbiamo incontrato per porgli alcune
domande. Il prossimo anno
Weissinger entrerà in emeritazione e qualcun altro assumerà
il suo non facile compito. Gli
chiediamo la prima impressione
di questo Sinodo.
« Sono soddisfatto della discussione sul Sud Africa perché
ritengo che i cristiani dei paesi
industrializzati abbiano una
grande responsabilità nei confronti della situazione sudafricana. E’ necessario prendere molto sul serio te richieste dei cristiani del Sud Africa che ritengono che le sanzioni economiche
siano un mezzo per la liberazione dei neri e dei bianchi in Sud
Africa ».
Ma ritorniamo al lungo rapporto di amicizia e impegno con
la chiesa valdese: « Io non ho
sangue valdese — afferma Weissinger — ma una parte del mio
cuore è ormai diventata valdese.
Tullio Vinay è stato per me un
padre spirituale. E nel mio lavoro con tre moderatori: Neri
Giarnpiccoli, Aldo Sbaffi e Giorgio Bouchard, riconosco di aver
imparato moltissimo. Lo stesso
posso dire nei confronti del pastore Pietro Valdo Panasela e
del Comitato Generale della
“Noce" in Palermo. Riguardo ai
Sinodi, e non solo quello di quest’anno, non capisco perché si
GRATITUDINE
Il Sinodo, informato della prossima emeritazione del past. Fritz
Weissinger che tanto ha dato alle
chiese valdesi e metodiste, mentre
esprime la propria gratitudine, ricorda H suo profondo spirito diaconale che si è sempre espresso
sia nei suoi rapporti con le opere
e sia nei suoi rapporti uman!i.
discuta tanto se prendere o non
prendere soldi dallo Stato, per
esempio per le vostre scuole; se
penso alle necessità reali di queste scuole mi sembra che lo Stato dovrebbe, con il vostro consenso, intervenire generosamente. Personalmente provengo dal
diaconato, ero diacono — continua Weissinger — prima di diventare pastore e su questo fronte ritengo che bisognerebbe giungere ad una scuola di formazione e preparazione dei diaconi:
ecco un compito che si trova
nel futuro della vostra chiesa e
che ha bisogno di un grande dibattito sinodale. Se penso ai Sinodi che ho frequentato in questi anni, certe volte, assistendo
alle discussioni, ho avuto l'impressione che qualcuno da un
momento all’altro tirasse fuori
un coltello, tanta era la vivacità
e la passione con cui si litigava.
Ma le stesse persone che in aula
sinodale si scontravano, poi si abbracciavano in giardino; ho capito insomma che malgrado il
Pagina a cura di
Giuseppe Platone
Il presidente Spengler della Chiesa dell’Hessen-Nassau (a sinistra)
a colloquio con il pastore Fritz Weissinger durante una pausa dei
lavori sinodali.
permanere di posizioni diverse
l’unità in Cristo non è solo una
parola. Mi pare che in Germania si stia perdendo un po’ questo stile di unità nella fede, e in
questo, qui da voi, c’è molto da
imparare. In sostanza, pur essendo divisi su particolari problemi, credere nel Risorto fonda una unità che è più importante della diversità di opinioni.
perciò sono sempre tornato a
casa dal vostro Sinodo spiritualmente arricchito. Anche quest’anno che, forse, sarà l’ultima
volta che vi ho preso parte ».
Speriamo di no, perché rincontro con Weissinger è sempre
molto arricchente. E chi l'ha conosciuto non potrà che confermarlo. Arrivederci, dunque, in
Italia.
Bouman : Willemse :
una
preziosa
unità
« In quanto pastore di una
chiesa minoritaria mi sento
"chez moi” quando sono al vostro Sinodo — così ci ha detto
Pieter Bouman, 48 anni, pastore
a Lovanio e rappresentante della chiesa protestante unita del
Belgio —; molti vostri problemi
assomigliano ai nostri, penso alla
questione della pace, o ai rapporti con la chiesa di Roma, alle
questioni dell’etica sessuale e altri problemi. Ciò che particolarmente mi colpisce è il livello delle vostre discussioni poiché voi
siete sempre molto impegnati sia
a livello emotivo sia a livello della vostra intelligenza. Mi pare
che voi facciate lo sforzo di vivere insieme non malgrado le vostre differenze interne ma tenendo conto delle differenze. Sappiate — conclude Bouman — che il
servizio che state rendendo all’interno della società italiana è
di incoraggiamento anche a noi
in Belgio e, oserei dire, nel mondo intero. Mantenete questa unità di fondo che vi caratterizza
appunto come chiesa, ogni altra
organizzazione non potrebbe realizzare questa unità nelle differenze che pure tra voi esistono,
ma non paralizzano il vostro importante lavoro ».
un gesto
coraggioso
« Sono stato un attento osservatore del Sinodo — ha dichiarato alla nostra redazione lacques
Willemse, direttore del "Dutch
Interchurch Aid” di Utrecht
(Olanda) — e ho visivamente registrato molte discussioni, molti
dibattiti non solo nella Sala del
Sinodo ma anche in Foresteria e
nella cittadina di Torre Pellice.
Il fatto più rilevante, per me, è
stato il lasciar parlare davanti ai
delegati del Sinodo un rappresentante dell’A.N.C. del Sud Africa; per me è stato un atto di coraggio e di speranza, molto raro
da realizzare oggi in Europa Occidentale. Ho personalmente incontrato l’oratore sudafricano, il
quale era rimasto molto colpito
dall’attenzione e dalla tensione
emotiva con cui il suo discorsodenuncia era stato seguito.
E’ molto importante, quando
si lotta per una grande causa,
avere al fianco degli amici veri e
penso che voi siate certamente
tra gli amici più fidati del popolo discriminato del Sud Africa.
Nell’accogliere il nero sudafricano nel vostro Sinodo voi avete
fatto capire agli osservatori
esterni, e a me per primo, quanto grandi e profondi siano nel
popolo evangelico valdese e metodista italiano l’amore per la libertà e la solidarietà ».
Spengler: quattro viaggi
in una Europa divisa
Uno degli ospiti stranieri più
illustri in questo Sinodo è stato
indubbiamente il Presidente della Chiesa evangelica deU’Assia,
Helmut Spengler, il quale ha rivolto un saluto ai membri del
Sinodo di cui riprendiamo l’essenziale.
« Da poco tempo occupo la carica^ di Presidente della Chiesa
dell’Assia e tra i miei primi incarichi vi sono stati quattro importanti viaggi. Il primo mi ha
portato nella Repubblica Democratica Tedesca in visita alla nostra chiesa sorella con la quale
siamo uniti non solo dalla fede
evangelica, ma dalla comune
sofferenza della divisione nazionale. Inoltre abbiamo ih comune la ricerca della pace poiché
di qua e di là della frontiera che
ci divide, nelle nostre chiese,
organizziamo annualmente delle
settimane per la pace affinché
cresca, nelle nostre chiese e nella società, la consapevolezza che
non possiamo vivere con le armi puntate gli uni contro gli altri. Ho compiuto inoltre un
viaggio in Polonia e in Unione
Sovietica e non vi posso nascondere — ha continuato Spengler
di fronte al Sinodo silenzioso ed
attento — che due momenti sono stati per me particolarmente
intensi: da un lato il sostare davanti al monumento di Varsavia e dall’altro il sostare di fronte al monumento che ricorda le
vittime di Leningrado. Questo
mi ha ricordato quanto male sia
uscito dalla nostra terra tedesca. E lo stesso sentimento l’ho
provato qui, nelle Valli Valdesi,
recandomi a visitare la ’casa
della pace’ nelle montagne di
Angrogna in cui visse il partigiano non violento Jacopo Lombardini. A quell’epoca io avevo
sette anni, ma ciò non mi e.ùme
da una responsabilità storica che
vedo tradursi, oggi, in un impegno coerente contro ogni guerra. In questi viaggi, ho anche
scoperto quanto forte sia la forza di una riconciliazione che non
conosce frontiere perché è segno dell’azione diretta di Dio ».
Sullo sviluppo dei lavori del
Sinodo il Presidente Spengler ha
seguito soprattutto il dibattito
sul come « mantenere inalterata
la propria libertà e la propria
indipendenza rispetto a possibili finanziamenti statali. Ma —
ha aggiunto , Spengler — qualunque sia la decisione che prenderete in futuro, io informerò la
ìnia chiesa di quanto voi, valdesi e metodisti riuniti nel Sinodo
di Torre Pellice, siate sensibili
alle verità fondamentali dell’Evangelo ’in modo da piacere non
agli uomini, ma a Dio’. Ho visto
dai documenti preparatori del
prossimo Kirchentag di Francoforte che sarete presenti anche
voi e che siete pienamente
d'accordo a realizzare un Concilio per la pace: possa questo
comune impegno per la giustizia
e per la pace essere al centro
della nostra testimonianza cristiana nel tempo in cui viviamo ».
Nölke:
ciò che mi ha
colpito
Quarant’anni, attivo, comuni
cativo, accompagnato dalla mo
glie Hannelore sorridente e cu
riosa di conoscere la realtà ita
liana, Hans-Joachim Noelke è i
segretario della grande associa
zione tedesca «Gustav .Adoli
Werk » che dal 1832 sostiene
noranze evangeliche in tutto iì
mondo.
« Torre Pellice non ospita soltanto un Sinodo — ci dice \"oel
ke — ma è un Sinodo; il giorno
di apertura dei lavori si respirava un’aria di festa popolare.
Molta gente segue i lavori di nn
Sinodo che non mi è parso composto da funzionari ecclesiastici ma dal popolo della chiesa.
Ho avuto l’impressione — continua Noelke — che aU’internc
del Sinodo ci fosse attenzione
anche per le prese di posizione
particolari o singole; evidentemente come minoranza siete più
attenti a non soffocare, al vostro
interno, le voci che esprimono
posizioni che non raccolgono il
consenso della maggioranza. Le
cose che più mi hanno colpito
sono state sostanzialmente tre:
la complessa discussione sulla
possibilità di accogliere finanziamenti statali per le opere della
chiesa, pur mantenendo la propria indipendenza nel lavoro pastorale e nella predicazione, il
tentativo continuo di collegarsi
alle altre chiese evangeliche in
Italia e l’appello del rappresentante nero del popolo oppresso
del Sud Africa ».
Concludendo le proprie ossei'
vazipni Noelke ha espresso un
pensiero di riconoscenza non solo nei confronti della Tavola per
l’invito ricevuto ma anche ai
traduttori che durante i lavori
del Sinodo « hanno compiuto un
lavoro eccellente senza il quale
avremmo visto agitarsi un bel
po’ di gente senza però capire
nulla ».
Hans-Joachim Nölke,
con la moglie, segretario della "Gustav
Adolf Werk", ha seguito tutti i lavori
del Sinodo.