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SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE BATOSTE, METODISTE, VALDESI
venerdì 17 SETTEMBRE 1993
ANNO I - NUMERO 35
LA DISOCCUPAZIONE AL SUD
CROTONE,
ITALIA
BRUNO GABRIELLI
Fare processi alle intenzioni è sempre assai rischioso, ma sarà ben lecito chiedersi che cosa avessero in
mente i nuovi dirigenti dell’
Eni quando agli inizi di luglio
avviavano unilateralmente la
procedura per la messa in
cassa integrazione di tre quarti dei loro dipendenti di Crotone, e tanto più lo scorso 6
settembre quando bloccavano
la corresponsione dei salari.
Sicuramente non prevedevano le reazioni che ci sono
state.
Sulle responsabilità di questa situazione si registrano
opinioni le più diverse: alla
più o meno puntuale denuncia delle vecchie inadempienze (accordo Eni-Fulc dell’ottobre 1991) e del nuovo dirigismo manageriale Eni da
parte di sindacati e partiti della sinistra, appoggiati per
l’occasione dalle istituzioni e
da quasi tutte le forze politiche e sociali calabresi, fanno
eco le accuse di «veteroassistenzialismo» e di violenza
antidemocratica con cui rispondono la Confindustria e i
vertici dei dicasteri economici, appoggiati dalle segreterie
nazionali dei rispettivi partiti
di governo.
Da una parte, inoltre, si enfatizza la gravità del caso
specifico, minacciando dieci,
cento, mille Crotone se il
provvedimento non rientrasse
cedendo il passo alla ricerca
di un nuovo accordo, mentre
dall’altra si tende a minimizzare la portata del ricorso alla
cassa integrazione, paventando al contrario una disastrosa
esplosione rivendicativa su
tutto il territorio nazionale
proprio qualora la protesta
degli operai calabresi venisse
in qualche modo premiata.
Curioso, in questo quadro,
lo scontro ideologico accesosi
fra l’arcivescovo di Crotone e
vicepresidente della Cei,
mons. Agostino, che in piena
sintonia con le contemporanee denunce del papa nei paesi baltici punta l’indice contro
una logica del profitto fine a
se stessa e il quotidiano di
Agnelli, che lo ricambia con
indignate accuse di populismo, di scarsa informazione e
di ancor più scarsa credibilità.
La radicalizzazione dello
scontro, d’altra parte, non risparmia nemmeno le cifre relative al deficit annuo degli
impianti in questione: il dato
fornito datl’Eni, 25 miliardi,
è pubblicamente contestato
dai dirigenti crotones! della
stessa azienda, mentre le sinistre tengono a sottolineare
come la storia del polo chimico di Crotone non abbia nulla
a che fare con l’industrialismo assistenziale degli anni
’60, e come quella politica
abbia al contrario fortemente
penalizzato una delle poche
imprese lungimiranti del
Mezzogiorno.
Ma il problema numero
uno, oggi come nel ’91, è
quello delle alternative. Le
parti sembrano concordi almeno su un punto, vale a dire sull’impossibilità di continuare una produzione che
oramai non trova più mercato sufficiente a coprire le
spese. L’Eni, e soprattutto il
governo, non possono però
pensare di cavarsela continuando a contrapporre a chi
pone la questione del mantenimento dei livelli occupazionali, in una realtà già
drammatica come quella calabrese, la pretesa di mantenere distinto il perseguimento di una maggiore efficienza
dalla necessità (che è anche
economica, non solo sociale)
di un allargamento della base
produttiva.
Comunque vada a finire, il
caso Crotone è servito a riportare prepotentemente alla
ribalta la questione meridionale in uno dei suoi aspetti
più classici, dopo lunghi mesi
nel corso dei quali a dominare la scena era stata pressoché
esclusivamente l’emergenza
criminalità. La politica economica resta un banco di prova decisivo per misurare non
solo la volontà, ma anche la
capacità di chiunque (Lega
esclusa, si capisce) intenda
concorrere a formare la nuova
classe dirigente - imprenditoriale, politica, sindacale nell’Italia del «dopo Tangentopoli».
Nell'Apocalisse una promessa per superare l'incomunicabilità tra gli uomini e Dio
La Parola dì Dio può aprire la nostra parola
RAFFAELE VOLPE
«E vidi nella destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto di dentro e
di fuori, sigillato con sette suggelli. E vidi un angelo potente che bandiva con
gran voce: chi è degno di aprire il libro e
di romperne i suggelli? E nessuno, né in
cielo né sulla terra, né sotto la terra, poteva aprire il libro, o guardarlo. E io
piangevo forte perché non s’era trovato
nessuno che fosse degno d’aprire il libro
o di guardarlo. E uno degli anziani mi
disse: Non piangere; ecco, il Leone che è
della tribù di Giuda, il Rampollo di Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi
sette suggelli».
(Apocalisse 5, 1-5)
li specchi dovrebbero riflettere
un momentino, prima di riflettere
le immagini» (Cocteau). Ed è il riflesso di
uno specchio saggio la prima immagine
che appare: qualcuno seduto sul trono con
in mano un libro scritto, ma chiuso.
Chi è questo qualcuno? Qual è il suo
nome, il suo volto? Quale immagine abbiamo di lui? Lo specchio non vuole dirlo, non riflette più di tanto! Forse si tratta
di un Dio sconosciuto e quel libro chiuso
è il suo assoluto silenzio. Forse è l’immagine della incomunicabilità fra noi e il
cielo...
«Non so se è Dio che non parla o sono
io che non sento», mi ha detto un amico
giorni fa. E nelle sue parole ho intravisto
la disperazione che deve essere stata con
Giovanni tutto il tempo del silenzio di
Dio. Ecco la seconda immagine, questa
volta lo specchio ha minor remora e riflette per intero il pianto disperato di
Giovanni. Bisogna immaginare Sisifo felice, dice Camus. Ma Sisifo non è felice:
Sisifo è disperato, perché ha compreso
che quel libro lui non potrà mai aprirlo
con le sue forze.
Ma ecco la terza immagine, la soipresa. Giunge qualcuno che può aprire il libro: il leone che è un agnello, scannato
ma in piedi. Lo specchio si sdoppia, non
riflette più una sola immagine, cupa o
chiara che sia, ma due immagini: Tuna
forte, l’altra debole. Quando afferriamo
un’immagine del Cristo, egli si muta
nell’altra immagine e noi dobbiamo incominciare da capo. Questo Cristo può
aprire il libro. Si ristabilisce il contatto
tra il cielo e la terra, la incomunicabilità
si dissolve e il dialogo ha inizio. La parola di Dio può aprire la parola di Dio e
può aprire la nostra parola. Due mondi
diversi si incontrano nello spazio ambiguo dell’agnello-leone.
È qui (Apocalisse 10, 2) che appare ora
un altro libro, piccolo, aperto. Lo specchio non ha esitazione a mostrarlo nella
sua piccolezza e nella sua totale apertura.
Non è il «libro», non è la parola di Dio. E
Visita di K. Raiser
Perché vinca
la democrazia
in Sud Africa
Al termine di una visita di
una settimana in Sud Africa,
dal 22 al 28 agosto, il pastore
Konrad Raiser, segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), ha
dichiarato di essere profondamente preoccupato dalla
violenza insensata che regna
nel paese, violenza che distrugge la vita della gente e
delle comunità e annienta
ogni speranza.
La visita, organizzata dal
Consiglio delle chiese del
Sud Afriea (Sacc), rientrava
nel quadro dei preparativi
della riunione del Comitato
centrale del Cec che si svolgerà dal 20 al 28 gennaio ’94
al Centro Escom, vicino a
Johannesburg.
Nel corso della sua visita,
Konrad Raiser ha incontrato
rappresentanti di diversi ambienti politiei, responsabili di
chiese e centinaia di credenti.
Ha avuto colloqui con Nelson Mandela (presidente del
Congresso nazionale africano), Pik Botha (ministro degli Esteri), Mangosuthu
Buthelezi (presidente del
Partito della libertà Inkatha),
il generale Constand Viljoen
(leader del Volksfront), l’arcivescovo di Città del Capo,
Desmond Tutu, l’arcivescovo di Pretoria, George Daniels, e il pastore Frank
Chikane (segretario generale
del Sacc).
Nel promettere un impegno costante a favore dell’
avvento di una democrazia
libera e giusta in Sud Africa,
il pastore Raiser ha dichiarato che il Cec avrebbe rafforzato il proprio appoggio al
Programma ecumenico di osservazione della situazione in
Sud Africa e sostenuto un
progetto di formazione degli
elettori.
la raccolta delle nostre immagini di Dio,
è la raccolta delle nostre etiche. È il libro
dal titolo: la nostra ricerca di fede e la
nostra prassi di fede. È il libro che dobbiamo mangiare (Apocalisse 10, 9). E
dobbiamo mangiarlo per due motivi: perché deve nutrirci e perché deve scomparire dai nostri occhi altrimenti diventa un
idolo. È dolce in bocca, perché è dolce
l’esperienza di questo nutrimento. E dolce il tempo trascorso insieme agli altri a
parlare della propria fede. È dolce perché
credere è dolce e perché la fede dona tanti sapori dolci.
Ma è anche amaro. È amaro perché ci
chiama a trattenere l’inquietudine amara
della nostra provvisorietà. Non è la parola di Dio che mangiamo, sono le nostre
parole, e queste sono nella loro vera essenza amare.
Ma anche queste parole amare ci permettono di dialogare con Dio. Ma ora si
tratta di un dialogo che passa per il mondo: «Bisogna profetizzare», dice l’Apocalisse. E qui, in questo passaggio, che lo
specchio ritorna ad essere saggio e diventare cupo. Nell’atto di profetizzare Dio
ritorna sconosciuto e il suo libro torna
chiuso, un po’ a causa della grande sofferenza del mondo e un po’ a causa della
superbia dei profeti. E allora deve ricominciare quel cammino circolare: incomunicabilità, disperazione, sorpresa, nutrimento, profezia...
Delle Chiese
XI Congresso Fgei
pagina 4
Della Parola
Un’azione in piena
luce
pagina 6
Il fondamentalismo
nel Terzo Mondo
pagina 10
2
PAG. 2 RIFORMA
IWi
Ecumene
VENERDÌ 17 SETTEMBRE 19q^
Il Sinodo delle chiese metodiste non si è potuto svolgere per la grave situazione politica
Dall'esìlio, i pastori metodisti del Togo sono
decìsi a opporsi al monopolio del potere
_______FLORENCE VINTI______
Il Sinodo distrettuale delle
chiese metodiste del Togo,
piccolo paese africano che si
trova tra il Ghana e il Benin,
non ha potuto aver luogo quest’anno perché molti dei suoi
membri, tra cui il presidente
del distretto, Félicien Lawson
e il segretario del Sinodo,
Charles Klagba, sono in esilio
a causa della situazione politica del paese. Il Togo infatti è
oppresso da una brutale dittatura militare e in questo momento soffre per gli effetti disastrosi di uno sciopero generale prolungato, che ha per
obbiettivo elezioni politiche
libere e democratiche.
I metodisti sono tra i tanti
cittadini del Togo che hanno
dovuto fuggire perché minacciati di morte. Malgrado tutto
questo la maggior parte dei
pastori metodisti si è incontrata nel vicino Benin dove ha
preparato un documento che è
stato in seguito inviato alla
Conferenza britannica per
mezzo dello stesso Charles
Klagba.
Questo documento, dice
John Pritchard, segretario generale dell’Overseas Department, non è un ordine del
giorno particolarmente nuovo
ma è una dichiarazione molto
coraggiosa. Occuperà certamente un posto importante
nella storia delle chiese africane. Esso contiene 10 affermazioni sulla volontà di Dio
per il Togo e la sua gente, 10
violazioni dei diritti dei cittadini contro cui «noi siamo risoluti ad opporci» e 10 impegni per l’azione delle chiese.
Lomé (Togo): manifestazione popoiare contro ii presidente Eyadema e contro la politica della Francia
Il documento inoltre afferma
che tutte le forme di potere e
di autorità sono soggette
all’autorità di Dio e che coloro che esercitano un potere
devono rendere conto del loro
operato al popolo; questo deriva dal diritto fondamentale
al voto politico di ogni cittadino.
Gli estensori del documento si dichiarano pertanto decisi ad opporsi a qualsiasi monopolio del potere e ad appoggiare la lotta popolare per
la dignità e la libertà di tutti,
per un governo democratico,
per un’economia giusta fondata sulla partecipazione di
tutti; si oppongono invece alle forze governative e alle
istituzioni che creano povertà
e oppressione. Essi affermano
inoltre l’uguaglianza di tutte
le razze ed etnie e che, in Cristo, le donne trovano dignità
e accoglienza. Si oppongono
vigorosamente a quelle strutture patriarcali che causano
sofferenza e violenza nei confronti delle donne nel loro
paese e che impediscono alle
stesse di partecipare a qualsiasi decisione in campo sociale e politico.
Altri punti di rilievo del documento concernono il diritto
fondamentale all’istruzione,
la libertà di espressione e il
diritto all’informazione, la ricerca della pace con azioni
non violente (spesso nel Togo
le forze nazionali di sicurezza
opprimono i più deboli al fine
di proteggere i privilegi dei
più forti).
Non manca un punto
sull’integrità della creazione
di Dio: la terra appartiene al
Signore e pertanto ogni distribuzione non equa dei terreni e
lo sfruttamento intensivo, che
non permette un giusto riposo
della terra e che distrugge le
creature che l’abitano, sono
contro la volontà di Dio.
Siamo invitati a pregare
perché i credenti esiliati dal
Togo possano presto tornare
nel loro paese in pace per realizzare il programma e le
aspirazioni espresse nel loro
documento.
Intervista al pastore Frank Chikane, segretario del Consiglio delle chiese sudafricane
Le chiese dovranno rimanere sempre vigili
hallange», una rivista
edita dal Consiglio
delle chiese sudafricane
(Sacc), ha intervistato il Segretario generale del Sacc,
past. Frank Chikane, chiedendogli la sua opinione sul ruolo politico della chiesa.
- Come vede lei il ruolo
della chiesa nel Sud Africa,
oggi?
«Innanzitutto possiamo dire che il ruolo non è cambiato: lo scopo di ogni attività della chiesa è il Regno e
la giustizia di Dio. Vale a dire la testimonianza profetica,
il coinvolgimento, la mediazione, il lavoro per la pace. È
la situazione in Sud Africa
che cambia di mese in mese e
da regione a regione. Saper
capire in ogni circostanza
che cosa ci si aspetta da noi
richiede un grande sforzo di
vigilanza, di sensibilità per le
necessità delle persone e per
le richieste di Dio. Prendiamo l’esempio del Bophuthatswana».
- Perché proprio il Bop?
«La violazione dei diritti
umani nel Bop è oggi la stessa che si aveva in Sud Africa
negli anni '80, forse peggiore.
Nell’ «Homeland» non è cambiato niente. Ogni giorno ricevo relazioni sulla brutalità
della polizia, su persone incarcerate senza imputazioni,
su violazioni della libertà di
espressione, su repressioni
governative e negazione della
libertà di pensiero e di associazione. Ogni forma di pro
testa, anche il manifestare la
propria critica al governo, è
considerata un delitto. È il
vecchio modello della repressione statale, che deliberatamente fa violenza contro i
diritti umani. Anche nel Ciskei, nel Natal e da altre parti
ci sono violazioni dei diritti
umani, ma nel Bop la cosa è
radicalmente diversa e ciò richiede una reazione altrettanto radicale delle chiese. Le
persone nel Bop sono frustrate e fortemente oppresse,
e noi dobbiamo fare assolutamente qualcosa e presto, se
vogliamo evitare lo scoppio di
una violentissima rivolta».
- E l’escalation della violenza nel resto del Sud Africa?
«Le chiese che fanno parte
del Sacc hanno fatto molto
per favorire un clima di pace.
Ma anche l’impegno per la
pace e per la riconciliazione
varia da regione a regione e
cambia con il mutare delle situazioni. La posizione del
Consiglio delle chiese sudafricane e la mia personale, come
segretario generale, è comunque chiara e costante: noi
condanniamo le violenze agli
indifesi, specialmente ai bambini, sia che provengano da
“sinistra” sia da “destra"».
- Si dice che il problema
fondamentale sia l’intolleranza politica. Che cosa fa la
chiesa in proposito?
«Uno dei compiti principali
delle chiese oggi è la costruzione di una «cultura del
la democrazia»: nell’educare
alla democrazia uno degli
aspetti più importanti è il
chiarimento del concetto di
“tolleranza politica”. La nostra storia è stata caratterizzata da una estrema intolleranza, soprattutto nella forma dell’ apartheid. Ma anche
i movimenti di liberazione
non ne sono stati esenti, spesso per diffidenza dovuta
all’ infiltrazione di agenti e di
informatori. Dobbiamo fare i
conti con questa eredità che
continua ad essere presente
soprattutto nei movimenti di
destra e di estrema sinistra.
La democrazia e la tolleranza
non escludono la protesta,
ma le intimidazioni devono
essere combattute. E per
quanto riguarda le azioni di
massa, le occupazioni, ecc. la
chiesa deve aiutare, caso per
caso, a ridefinire i confini
della tolleranza».
- Una cosa che certamente
non può essere tollerata è la
corruzione. Perché le chiese
non hanno detto niente sugli
scandali nel governo e
nell’economia?
«Le chiese hanno preso posizione su questi fatti. Ci sono
state delle dichiarazioni, ma
in genere la stampa non le ha
riportate. Naturalmente posso parlare solo delle dichiarazioni sul piano istituzionale. Non so che cosa sia
avvenuto al riguardo nelle
singole comunità».
- Qual è la situazione nella
sua chiesa?
«La “Apostolic Faith Mission”(Afm) in origine era divisa secondo le razze. Nell’
ultimo anno si è giunti rapidamente ad una unificazione,
ma senza la componente
bianca. Io stesso nell’84 sono
stato sospeso dal pastorato
per «predicazione politica» e
sono stato reintegrato nel
’91. La Afm non fa parte del
Sacc perché la dirigenza, che
è composta da bianchi, si è
sempre opposta. Io sono segretario generale del Sacc
non come membro della mia
chiesa, ma per le mie prese di
posizione contro l’apartheid
e per la mia attività precedente di segretario generale
dell’Istituto per la teologia
contestuale».
- Che ruolo vede per le
chiese nel «nuovo Sud Africa»?
«Dovranno essere sempre
vigili e non perdere la loro
visione della giustizia per tutti, nella speranza del regno di
Dio che viene. L’impegno più
grande sarà quello di vegliare che l’interesse dei politici
non prenda il sopravvento rispetto all’ interesse della popolazione, specie della parte
più debole. La chiesa dovrà
sempre prender posizione in
modo chiaro e coraggioso
per i minimi. Per questo noi
premiamo perché si giunga al
più presto ad elezioni in cui
la gente possa scegliere i suoi
rappresentanti e questi si facciano garanti degli interessi
di tutti».
Dal Mondo Cristiano
Lituania: dopo 53 anni i battisti
si riuniscono in assemblea
KLAIPEDA — Il 12 giugno 1993 le chiese battiste della Lituania hanno tenuto la Conferenza annuale dell’Unione battista
lituana, conosciuta ufficialmente come Unione delle chiese
evangeliche libere in Lituania. È stata la prima assemblea dopo
53 anni alla quale hanno preso parte 80 dei 300 membri raccolti in sei comunità. L’incontro si è svolto nella chiesa battista di
Klaipeda, la stessa dove 60 anni fa si era costituita LUnione
battista. L’assemblea è stata preceduta da un seminario di due
giorni sull’evangelizzazione, il discepolato, la crescita della
chiesa e la predicazione.
Il presidente dell’Unione, Albertas Latuzis, ha evidenziato le
difficoltà delle chiese battiste lituane, che non sono neppure in
grado di mantenere finanziariamente i loro pastori e la necessità impellente di avere una traduzione della Bibbia in lituano
moderno. «Nonostante siamo pochi - ha detto - siamo certi che
il Signore può fare grandi così, servendosi anche dei fratelli e
delle sorelle di altri paesi».
La Lituania conta 3.700.000 abitanti, cattolici al 95%.
Estonia; la religione materia
obbligatoria a scuola
TALLINN — La Chiesa evangelica-luterana in Estonia ha
consegnato i primi diplomi a 35 insegnanti di religione che
hanno seguito un corso di due anni per insegnare la materia
nelle scuole pubbliche. Da quest’anno la religione evangelica è
materia obbligatoria nelle scuole: la frequenza degli allievi è
però libera. Questo è uno dei risultati dei rivolgimenti politici
nei paesi baltici. I corsi per gli insegnanti sono inziati nel 1991
con 150 iscritti e sono stati condotti dal Centro di formazione
della chiesa evangelica luterana in Estonia con l’appoggio
deirUniversità di Helsinki. Nel 1992 è iniziato il secondo corso, mentre da poco ha preso l’avvio il terzo. I requisiti per
l’arnmissione ai corsi sono l’esperienza nel settore della pedagogia e la raccomandazione del pastore della propria chiesa.
Romania: quale futuro per
i luterani tedeschi?
SIBIU — Nella primavera scorsa si è svolta a Sibiu, in
Transilvania, la 57- assemblea della Chiesa evangelica di confessione augustana di lingua tedesca. La chiesa, che ha festeggiato L'anno scorso il 450° anniversario dell’introduzione della
Riforma in Transilvania (cfr. Riforma del 30-10-92), sta attraversando un periodo di grave crisi. La presenza di popolazioni
tedesche nella regione risale alla fine del XII secolo, quando vi
fu un insediamento di coloni provenienti dalla Sassonia. Esse
rimasero sempre come un’isola culturale e linguistica, e quindi
religiosa, all’interno dell’Ungheria prima e della Romania poi,
con alterne vicende nei rapporti con il resto della popolazione.
La storia degli ultimi sessant’anni (nazismo, guerra, comunismo) non ha contribuito certamente a migliorare la situazione.
I 225.000 membri del 1939 erano scesi a 100.000 nel 1989.
In questi ultimi quattro anni migliaia di persone hanno ripercorso a ritroso il cammino di otto secoli or sono: i membri di
chiesa sono solo più 25.000, i pastori sono scesi da 120 a 58. Il
vescovo Christoph Klein ha definito la situazione come «una
sfida senza precedenti» nella storia dei luterani di Transilvania, perché il collasso delle strutture comunitarie sta minacciando la stessa sopravvivenza etnica dei tedeschi della Transilvania. Secondo il vescovo l’unica possibilità di sopravvivenza per la chiesa è «l’uscita dal ghetto della cultura e della
lingua tedesca». La chiesa deve avviare un processo doloroso
ma salutare che le permetta di trovare una sua nuova identità.
Occorre abbandonare la struttura ormai fatiscente di una chiesa di popolo e assumere una struttura più agile, adatta alla nuova situazione; occorre «mettersi in marcia verso la diaconia»
in una società politicamente e socialmente diversa.
Ultimamente la chiesa ha costruito quattro istituti per anziani e ne sta ultimando altri due: in questo e in altri settori simili
la chiesa deve impegnarsi, secondo il vescovo Klein, per lavorare a una riconciliazione fra le diverse nazionalità del paese:
«La diaconia sarà il segno di apertura della nostra chiesa, che
per 800 anni è vissuta rinchiusa in se stessa».
Europa orientale; sta crescendo
l'antisemitismo
LONDRA — Secondo lo «Instituto for Jewish Affairs» di
Londra l’antisemitismo è in crescita, soprattutto nei paesi
dell’Europa orientale. In Ungheria, Romania, Russia e Polonia
dichiarazioni ostili verso gli ebrei si riscontrano anche negli
ambienti politici. In Romania il partito al governo esalterebbe
«apertamente» l’antisemitismo, e la piccola comunità ebraica si
troverebbe in pericolo. L’Istituto registra con preoccupazione
la crescita di gruppi estremisti di destra. In prima linea sarebbero gli skinheads, attivi non solo in Europa occidentale, ma anche in Cechia, in Ungheria e in Polonia. In Russia circolerebbero oltre 50 pubblicazioni antisemitiche, distribuite in centinaia
di migliaia di copie.
I gruppi di estrema destra, sempre secondo l’istituto londinese, sono sempre più violenti. Nei primi mesi dell’anno la profanazione di tombe ebraiche ha raggiunto livelli senza precedenti. L’inasprirsi in tutta Europa delle leggi contrarie all’immigrazione è visto come un fatto pericoloso. Il limite all’accesso degli stranieri può essere visto da molti come una giustificazione
alla xenofobia e la legittimazione dei gruppi estremisti di destra
e non fa che acuire il clima di intolleranza.
3
\/FNERDÌ 17 SETTEMBRE 1993
IW
Vita Delle ChiesE'
PAG. 3 RIFORMA
iiPiP ■ ■;
Ottant'anni di storia della Chiesa battista di Isola del Uri (Prosinone)
Alle origini: la predicazione dell'Evangelo e l'impegno sociale
ITALO BENEDETTI*_______
Attorniata a nord dalle
colline che anticipano i
monti Ernici, Isola del Liri
sorge a valle in un paesaggio
della Ciociaria, che già appare per molti aspetti terra del
Sud. Essa ha un’economia
prevalentemente industriale
grazie al fiume Liri che l’attraversa e che ha favorito
Pinsediamento di fabbriche,
specialmente cartiere, alla fine del secolo scorso. Isola
del Liri vanta insieme alle
due cascate del Liri, nel centro urbano, una tradizione
industriale centenaria che ha
fatto della cittadina un’«isola
operaia» e di sinistra in tutto
il Frusinate, con una storia
assai più simile a quella delle
filande piemontesi e lombarde che non al resto della
Ciociaria.
Gli inizi
È su questo terreno politico
e sociale particolare che nasce, altrettanto particolare,
una chiesa evangelica battista. Oggi la comunità battista si riunisce senza difficoltà nel tempio di viale Pi
I due fratelli scrivono una
lettera al pastore Macioce,
invitandolo per una conferenza religiosa, ma temendo
la reazione padronale che
poteva sfociare nella perdita
del posto di lavoro la fanno
firmare da un loro amico
calzolaio che può agire liberamente lavorando in proprio. Il primo incontro con il
pastore Macioce si tiene nel
novembre del 1909 nel circolo popolare di Isola del Liri (Società operaia di mutuo
soccorso), poi in un locale
preso in affitto dove ogni
due settimane il pastore Nicola Macioce torna per incontrare il primo nucleo della comunità battista. Quindi
il pastore fonda il circolo
culturale «Girolamo Savonarola», poi chiuso d’autorità
con l’avvento del fascismo.
Il circolo, sorto con lo scopo
di promuovere la cultura e di
offrire un momento qualificato di socializzazione, costituisce un punto di riferimento per tutte quelle persone che anelano alla libera discussione dei problemi del
lavoro e della vita cittadina.
Frequentandolo, i cittadini
Un momento det culto oggi
scicelli, ma la sua nascita e
la sua vita si intrecciano con
le vicende della storia della
cittadina e non fu sempre
tranquilla e facile.
La storia comincia nei primi anni del secolo. Un giovane di Isola del Liri, Giovanni Venditti, terminato il
servizio di leva durante il
quale era venuto in contatto
con la comunità e il pastore
evangelico di Palermo, trascina il fratello Antonio nel
suo entusiasmo per quanto
aveva sentito del messaggio
evangelico. Insieme scrivono
una lettera a quel pastore invitandolo a venire a Isola del
Liri per tenervi una conferenza. La distanza è eccessiva (siamo nei primi anni del
1900) e il pastore di Palermo
indirizza i due fratelli al pastore evangelico Nicola Macioce che svolge il suo ministero ad Avezzano. Giovanni
e Antonio Venditti sono operai delle Cartiere meridionali, la fabbrica più grande di
Isola del Liri, dove i fermenti socialisti e sindacali, le
lotte per le otto ore, coinvolgono Antonio Venditti.
vengono in contatto con i
battisti e con la predicazione
dell’Evangelo.
Evangelo e socialismo
Non è difficile immaginare
le preoccupazioni che il nuovo fermento desta negli ambienti industriali e del clero
che, già irritati per resistenza di quest’«isola rossa» in una regione «bianca e
cattolica», si trovano di fronte ad un nuovo pericolo: i
battisti e per di più socialisti.
Costoro erano guidati da
Antonio Venditti, revisore
del circolo operaio (oggi
Soms) e membro attivo della
Camera del lavoro. Illuminante in tal senso è un rapporto fatto da don Antonio
Palombo, parroco della parrocchia isolana di S. Maria
dei Fiori alle autorità ecclesiastiche superiori: «Il popolo, fomentato dalla vasta
propaganda socialista e
massonica fatta in odio a!
cattolicesimo, aderì numeroso alla predicazione della
nuova dottrina. Le autorità
civili, apertamente ostili alla
Chiesa cattolica, favorirono
il sorgere della setta».
I primi battesimi si hanno
il 17 giugno 1911, si battezzano quattro donne e il giorno dopo quattro uomini.
Giovanni Venditti è battezzato il primo giugno 1913.
Cominciano a frequentare la
comunità battista di Isola del
Liri abitanti dei paesi vicini.
Il pastore Nicola Macioce e i
membri della comunità di
Isola del Liri visitano
regolarmente ogni mese i
piccoli nuclei di evangelici
che si vanno formando.
La reazione cattolica
La difficoltà di prendere in
affitto un locale adatto alle
nuove esigenze e alle attività
induce una famiglia ad acquistare un locale lasciandolo a disposizione della comunità che vi mantiene la
sede fino al 1948. Tutte le
possibili pressioni, anche vili
e ignobili, vengono usate per
contrastare lo sviluppo della
chiesa battista che conta già
200 membri, ma senza successo, dal ricatto all’intimidazione degli operai e
alla minaccia di far perdere
loro il lavoro. Nel succitato
rapporto di fonte cattolica,
del 1951, vi è un interessante
elenco di azioni fatte dal parroco per «arginare la propaganda protestante».
Nel libro di Martini «Biografia di una classe operaia»
(Bulzoni, 1984, Roma), si ricorda il saccheggio avvenuto
nel 1915 al locale di culto di
via Mascagni: «Ad Isola del
Liri dai primi anni del XX
secolo era sorta una piccola
comunità valdese (si tratta
invece di quella battista, perché ad Isola del Liri non c’è
mai stata una presenza valdese) che aveva ottenuto
dall’ amministrazione comunale un locale dove esercitare il culto. Nel 1915, in seguito al terremoto e allo
scoppio della guerra, i contadini della campagna circostante, spronati dal clero locale, assalirono la “Chiesa
valdese (sic) al fine di distruggerla”. In una risposta
del ministero degli Interni si
imputa al clero locale la volontà e r organizzazione della protesta. Il clero infatti
voleva scaricare sulla presenza valdese il malcontento
contadino cresciuto in seguito alle “disgrazie” del terremoto e della guerra. Il clero
imputava l’evento di questi
due episodi a un meritato
castigo divino per aver tollerato la presenza di “eretici”.
II 3 novembre 1919 la pretura di Sora condanna a 50
centesimi di multa e a 3 mesi
di carcere con la condizionale gli imputati per l’assalto al locale di culto».
In quel processo la pacifica comunità battista non volle costituirsi parte civile (dai
Un gruppo di membri di chiesa nei primi decenni di questo secoio
verbali del registro di chiesa). Un episodio avvenuto
nel periodo 1913-17, sintomatico del clima in cui viveva la piccola comunità evangelica, è ricordato dai più
anziani della chiesa. Gli abitanti di Isola del Liri si recano in processione a Sora, cittadina confinante e sede del
vescovo, per una festa religiosa e intanto installano un
certo numero di croci lungo
gli 8 chilometri del percorso.
I battisti vengono informati
che al ritorno la processione
si sarebbe mutata in una spedizione punitiva che avrebbe
assalito la chiesa di via Mascagni. Preoccupatissimo, il
pastore Beniamino Foderà,
che intanto era succeduto al
pastore Aonio Malan, telegrafa subito al prefetto di
Prosinone che invia un prete,
il quale colloquiando con gli
scalmanati armati di bastoni
in processione contro la comunità evangelica, li convince ad allontanarsi.
Fra le due guerre
Negli anni che precedono
la prima guerra mondiale un
emigrato che torna dall’
America apre, al castello di
Alvito, un locale di culto che
viene subito saccheggiato da
ignoti e costringe il gruppo
ad associarsi alla comunità
di Isola del Liri. Gli anziani
che sono rimasti fedeli e
hanno con coraggio mantenuta viva questa comunità fino ai giorni nostri ricordano
altre vicende, tipiche di un
epoca in cui si bruciavano le
Bibbie in piazza, come quella di un certo Bussei che fu
presentato nell’anno 1926
dalle parrocchie di San Domenico e San Lorenzo come
un protestante convertito al
cattolicesimo, battezzato e
cresimato dal vescovo di Veroli, padrino il comm. doti.
Viola, direttore delle Cartiere meridionali (a quell’epoca
le prime e più grandi cartiere
italiane).
Si susseguono nella cura
pastorale i pastori Gustavo
Lari, Lorenzo Palmieri, Bruno Saccomani e poi Liutprando Saccomani. Quest’ultimo, figura coraggiosa di
antifascista, già condannato
al confino, rimane pastore a
Isola del Liri fino al 1945.
Nel periodo fascista è costretto a stare a casa in una
sorta di arresto domiciliare
ogni volta che arriva un gerarca nella cittadina.
Slancio evangelistico
Il 13 luglio 1932, in seguito a una petizione firmata da
200 battisti e dal Saccomani,
viene concessa alla chiesa
l’autorizzazione governativa
all’esercizio del culto. Dal
1945 al 1948 l’Unione cristiana evangelica battista
d’Italia invia vari pastori e
studenti in teologia tra cui
Donato Castelluccio, Benito
Marzano e Filippo Bellisario. Dal 1948 al 1952 la comunità è curata dal pastore
Alfredo Casarano, ex frate
francescano, e in questo periodo viene costituita e inaugurata l’attuale chiesa costruita e donata dai coniugi
lafrate, con l’annessa casa
pastorale.
Le passate tristi esperienze
di persecuzione consigliano
la comunità di proteggere i
locali con una cancellata che
ancora oggi può vedersi; è il
1949.
Dal 1953, e per 17 anni, il
pastore Graziano Cannnito
lancia la comunità nell’opera
di testimonianza e di evangelizzazione che porta alla
costituzione di due nuovi
La chiesa battista di Isola del Liri (Prosinone)
gruppi a Santa Francesca e a
Spigno Saturnia e di una
nuova comunità battista a
Sant’Angelo in Villa (Veroli). In questi anni di slancio
evangelistico la chiesa studia
la Bibbia, la distribuisce,
predica l’Evangelo, privilegiando quei brani che sono
spunto di contraddittorio con
i cattolici, anche per difendersi.
Radici e tradizione
Sono gli anni dell’emigrazione (dal 1951 al 1969 da
Isola del Liri emigrano 1.741
persone) che riducono il già
piccolo gruppo di credenti.
Arrivano gli anni ’70 che
portano nella comunità di
Isola del Liri, più precisamente nell’Unione giovanile,
la discussione sul rapporto
che c’è tra fede e politica. I
giovani notano nella maggior parte dei membri di
chiesa un distacco dall’impegno politico per loro non
giustificato alla luce dell’
Evangelo.
Dal 1970 al 1976, sotto la
guida pastorale di Luigi Spuri, oltre al solito fondamentale lavoro di formazione e
riflessione biblica, il gruppo
giovanile scopre l’impegno
internazionalista e partecipa
alle manifestazioni per il Cile, il Vietnam, e alle lotte per
il referendum sul divorzio.
Il 24 giugno 1976, nella
trasmissione televisiva «Protestantesimo», tutta sulla comunità di Isola del Liri, i
giovani rilevano: «... nella
comunità (...) c’è stato un intervento di tipo pietista e
dogmatico e soprattutto acritico nei confronti della realtà
esterna... passato il periodo
delle lotte e delle persecuzioni, ora la comunità sta attraversando un momento di stasi, molto critico in quanto,
mentre da anni non considera più valida un tipo di presenza come quella del passato non riesce d’altro canto a
trovare un modo valido di testimoniare l’Evangelo al
mondo di oggi».
Altri pastori si sono succeduti nella guida della chiesa:
Saverio Guama e Gioele Fuligno, che hanno cercato di
rilanciare la testimonianza
evangelica radicandola e incarnandola nel tessuto sociale, culturale, politico ed ecumenico della cittadina, in
continuità con le radici e la
tradizione della piccola chiesa isolana, ma soprattutto per
fedeltà all’Evangelo di Gesù
Cristo. La comunità isolana,
mentre constata che «il Signore fin qui ci ha condotti»,
è consapevole che la storia
futura dovrà essere improntata dall’aspettativa e dalla
costruzione del regno di Dio.
* a cura della comunità
battista di Isola del Liri.
PLURALISMO IN
COSTRUZIONE
Laici, cattoiici, protestanfi, ebrei
e musulmani a confronto su:
- razzismo e antisemitismo
- dialogo e ecumenismo
- etica
-pace, giustizia, ecologia
- democrazia e riforma
delia politica
- iaicità e fondamentalismi
- attualità culturale
Abbonamenti: un anno lire 50.000 - una copia lire 6.000. Versamenti sul ccpn. 61288007 intestato alla coop. Com Nuovi Tempi,
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4
PAG. 4 RIFORMA
Vita Delle Chiese
VENERDÌ 17 SETTEMBRE 19Q-^
A Ecumene l'XI Congresso della Federazione giovanile evangelica italiana
■ giovani evangelici italiani^ la loro ricerca
di fede^ ^impegno sociale e politico
_______EMANUELE SBAFFI______
La nostra ricerca di fede il
Mezzogiorno, i migranti:
temi grandi, scottanti, forse
troppo grossi per essere affrontati da gruppi di giovani
con un’età media di 23 anni?
Pensiamo di no.
Per 30 mesi sono state queste le questioni principali su
cui la Fgei ha lavorato, organizzando nel suo piccolo incontri su problemi teologici e
sul nostro modo di vivere la
fede, scambi di esperienze e
di visite con un paese come
l’Albania (in collaborazione
con il Servizio migranti della
Fcei), questionari e convegni
per i giovani e con i giovani
sulla questione meridionale e
altre iniziative a livello locale
e regionale.
Qualcosa ha funzionato bene, qualcosa meno; la consapevolezza che comunque è
maturata nei partecipanti alrXI Congresso della Fgei è
stata che, dopo questi primi
approcci, valga la pena di
continuare a lavorare su questi importanti temi che resteranno preminenti nel lavoro
dei prossimi anni della Federazione.
L' XI Congresso
Il Congresso si è svolto a
Ecumene dal 2 al 5 settembre; per questa occasione 120
giovani battisti, metodisti,
valdesi e altri si sono riuniti
per verificare il lavoro svolto
dall’ultimo Congresso (1991)
e per darsi una linea di lavoro
per i prossimi 30 mesi (tale è
infatti l’intervallo fra un Congresso e l’altro).
Per molti era la prima volta
ma i lavori, seppur serrati, si
sono svolti ugualmente con la
partecipazione di tutti, a testimonianza di come ciascuno
sentisse propri i problemi che
si affrontavano e le decisioni
che bisognava prendere.
Il Congresso si è aperto, di
fatto, dopo essere stato for
Gli incarichi
per 30 mesi
Al termine dei lavori il
Congresso ha eletto il
Consiglio nazionale, i revisori per il prossimo
Congresso, e i rappresentanti della Fgei nei comitati dei centri giovanili.
Il Consiglio è risultato
composto da Silvia Rostagno (nuovo segretario
della Fgei per decisione
del Consiglio), Debora
Spini, Emanuele SbafTi,
Pasquale lacobino, Raffaele Volpe, Giorgio
Bonnet, Luisa Nini.
I revisori sono stati
eletti nelle persone di
Nunzia D’Auria, Gianluca Ng, Barbara Grill.
Nel comitato di Ecumene sono stati nominati
Alessandro Spanu e Antonio Feltrin.
Nel comitato del Villaggio della gioventù di
Santa Severa sono stati
nominati Laura Casorio
e Enzo Marziale.
Nel comitato di Adelfia
sono stati nominati Gaetana Grasso e Paolo Testa.
Nel comitato di Agape
sono stati eletti Giorgio
Guelmani, Renato Del
Priore e Giovanna Ribet.
malmente costituito la sera
del 2, con un coinvolgente
culto del pastore Lello Volpe,
che ha condotto i presenti in
una riflessione sui contrastanti sentimenti dell’abbandono
e della solitudine, della sorpresa, del dialogo con un Dio
che ci sfugge eppure è così
vicino da avere bisogno di
noi, e sul nostro cammino di
fede che dobbiamo avere il
coraggio di interiorizzare, assaporare e sentire dapprima
dolce, poi amaro, contrastante, scomodo per la vita del
credente.
Sarà questo l’atteggiamento con cui verranno affrontati
i vari problemi in discussione, una tensione di ricerca più
che una formulazione di risposte e di certezze, ed è in
quest’ottica che si è mosso
l’interessante dibattito che si
è svolto il venerdì sera.
Alessandro Pizzorno, in
quella «religiosa», calata
dall’alto, che riconosciamo
nel cattolicesimo?
Il modello di individuo che
è stato delineato nel dibattito
dovrebbe avere un approccio
totalmente rispettoso verso le
idee portate dagli altri individui, tutti diversi l’uno dall’altro, avendo la consapevolezza
che le proprie convinzioni,
seppur radicate, non sono dimostrabili migliori delle altre; in questo modo si costituirebbe una società veramente pluralista e finalmente
giusta. Di fronte a questa proposta, come vediamo il nostro modo di essere protestanti, soprattutto nella società
italiana, così profondamente
scossa dal crollo di un sistema di potere e dove si verifica una preoccupante crescita
di fenomeni di intolleranza?
Una mozione, su questo
punto, recita; «L’XI Congres
II lavoro di un gruppo nel Congresso
una raccolta di saggi sul consociativismo e la democrazia
(da intervista su Repubblica
del 8/9/93), afferma che
«l’orgoglio dell’invenzione
politica occidentale, il pluralismo, ci appare destinato ad
accrescere il cinismo tra i potenti, la segretezza dei governanti e l’indifferenza tra i
membri delle città», sostenendo come lo spazio che la
politica (intesa come partecipazione alla cosa pubblica)
ha nel cittadino si assottigli
progressivamente.
Citiamo questa intervista
perché è proprio di questo
che si è parlato la sera del 3
settembre con il filosofo Sebastiano Maffettone, che ha
spiegato le sue idee sull’etica
pubblica. Le domande emerse sono state tante e impegnative; si può veramente parlare
di un’etica pubblica? Come
protestanti possiamo veramente affermare di essere
portatori di un modello di
«etica laica», contrapposta a
so considera le sfide e le contraddizioni legate al fenomeno immigratorio non soltanto
uno dei terreni su cui si misura la credibilità della testimonianza dei cristiani nel
tempo presente, ma anche
un’opportunità di incontro,
ragione di crescita spirituale
e motivo di rinnovamento
della chiesa» e ritiene «che
l’impegno degli evangelici
italiani debba indirizzarsi con
sempre maggior forza verso
la costruzione di una società
inclusiva, aperta agli uomini
e alle donne di ogni razza e
cultura...»; e ancora un’altra;
«Un’esperienza di fede che
non venga comunicata a chi
ci circonda è un’esperienza di
fede monca. Ma altrettanto
monca è un’esperienza di fede che non sia caratterizzata
da un atteggiamento di ascolto nei confronti di chi ci circonda».
Che tutte le nostre azioni
non possano prescindere dalla nostra ricerca di fede è evi
L'Assemblea plenaria
denziato in molte delle mozioni approvate al Congresso
e a questo proposito in una di
esse «si riconosce nella ricerca in corso in questi anni nella Fgei intorno al nostro rapporto con Dio e alle forme in
cui si esprime, un aspetto essenziale nella vita della Federazione... e si decide che le
attività legate alla ricerca di
fede continuino ad essere una
priorità nel lavoro della Federazione».
L'autofinanziamento
Ma non sono stati solo questi gli argomenti di studio e
dibattito; i lavori si sono infatti svolti in plenaria e in vari gruppi anche su questioni
specifiche. L’annoso problema dell’autofinanziamento,
per il quale si punta decisamente verso una sempre maggiore indipendenza da aiuti
esterni, soprattutto dall’estero, con un ambizioso programma che prevede il raddoppio delle entrate in questa
voce nei prossimi cinque anni; i nostri rapporti ecumenici
intemazionali, che ci vedono
impegnati forse oltre le nostre
reali possibilità; il funzionamento della federazione. Era
su queste questioni apparentemente tecniche, ma di fatto
sostanziali per le scelte della
Fgei, che alcuni gruppi hanno
lavorato.
Altri gmppi invece si sono
occupati delle tematiche della
diversità sessuale, dei nostri
rapporti con le chiese, del
ruolo della formazione nella
Fgei.
Il Notiziario
Un’importante discussione
si è avuta sulla funzione del
Notiziario Fgei e su quello
della rivista Gioventù evangelica: il primo dovrà essere
potenziato «attraverso un aumento della periodicità o un
incremento del numero di pagine» e a tal fine «si studierà
la possibilità di creare una redazione per l’area meridionale con sede a Napoli, che collabori strettamente con quella
di Torino». Questo porterà a
un legame sempre più forte
con Riforma e, in generale,
con la vita delle nostre chiese.
In sostanza da tutti i gruppi
è emersa la volontà di guardarsi attorno e cercare di
capire la realtà in mutamento
che ci circonda, partendo dal
proprio specifico di evangelici.
Un congresso dalle molte
domande e dalle poche certezze? Senz’altro sì. Ma ben
vengano i dubbi se servono a
costruire coscienze critiche e
consapevoli. Intanto il prossimo Campo studi verterà proprio sul nodo,, tanto discusso
in passato, tra fede e impegno
coerente nella società in cui
viviamo.
In ultimo, un fraterno saluto a due amici che lasciano il
Consiglio Fgei, anche se non
il loro impegno nel lavoro
della federazione: Michele
Rostan e Daniele Bouchard,
che ha svolto le funzioni di
segretario. Chi li conosce capirà come queste righe siano
sincere e dovute a chi ha
svolto con tanto impegno un
lavoro molto importante nella
Federazione e la ha considerata soprattutto per quello che
fondamentalmente è: un
gruppo aperto di amici che si
incontra sui binari della fede
per crescere insieme e capire
il mondo che ci circonda.
Congresso Fgei
Le mozioni
L'annuncio della fede
L’XI Congresso Fgei, riunito a Ecumene dal 2 al 5 settembre 1993, riconosce che la dimensione della fede e la
dimensione dell’azione convivono indissolubilmente nella
vita dei/delle credenti. La chiamata che ci viene da Dio e la
ricerca di Dio che continuamente effettuiamo si situano necessariamente nell’ambito della nostra vita quotidiana: tale
chiamata e tale ricerca avvengono all’interno del nostro
agire e lo influenzano. Riteniamo che sia fondamentale per
la nostra condizione di credenti essere costantemente coscienti di questa dialettica e viverla con coerenza. Confessando di non saper riconoscere come l’azione di Dio si intreccia con la nostra, chiediamo a Dio di aiutarci a discernere la sua presenza nelle persone che incontriamo, nelle
contraddizioni con cui ci confrontiamo, nelle lotte a cui
partecipiamo.
Siamo consapevoli inoltre che la dimensione dell’annuncio è parte integrante della nostra vocazione. Un’esperienza di fede che non venga comunicata a chi ci circonda è
un’esperienza di fede monca. Ma è altrettanto monca
un’esperienza di fede che non sia caratterizzata da un atteggiamento di ascolto nei confronti di chi ci circonda. Ci rendiamo conto che è estremamente difficile relazionarsi con
altri/e quando la nostra idea di Dio non è chiara e definitiva
ma è continuamente percorsa dal dubbio; pensiamo però
che proprio il dubbio possa essere il presupposto corretto
per un atteggiamento di comunicazione e di ascolto nei
confronti di qualsiasi interlocutore/trice che si ponga su posizioni diverse dalle nostre. Auspichiamo che tale atteggiamento caratterizzi il lavoro della federazione per i prossimi
anni.
Il gruppo di lavoro teologico
Il Congresso (...)
Riconosce nella ricerca in corso in questi anni nella Fgei
intorno al nostro rapporto con Dio, e alle forme in cui esso
si esprime, un aspetto essenziale della vita della Federazione e incoraggia i/le singoli/e aderenti, i gruppi, le regioni e
il Consiglio a proseguire con energia e con passione lungo
il cammino intrapreso.
Si rallegra della nascita del gruppo di lavoro teologico e
dà mandato al Consiglio di rinnovargli l’incarico.
Decide che le attività legate alla ricerca di fede continuino ad essere una priorità nel lavoro della Federazione e individua i seguenti aspetti da porre al centro della nostra attenzione nella fase attuale:
a) il confronto con la persona di Gesù Cristo e la discussione sul ruolo che questo confronto occupa nella nostra fede;
b) la ricerca di metodi di lettura biblica che ci permettano
di svolgere quel dialogo critico ma profondo e coinvolgente con i testi, che è essenziale per la nostra fede;
c) l’elaborazione di forme e linguaggi atti ad esprimere
liturgicamente la nostra fede.
Raccomanda al gruppo di lavoro teologico di:
1) coordinare le varie attività che si svolgono localmente
e a livello regionale e raccogliere il materiale prodotto.
2) ricercare, studiare e diffondere contributi di teologhe e
teologi che possano stimolare e arricchire la nostra ricerca.
3) coinvolgere attivamente il maggior numero possibile
di persone e di gruppi attraverso la preparazione e la diffusione di materiale scritto e l’organizzazione di convegni da
adattare alle esigenze locali.
4) favorire ovunque possibile il confronto su questi temi
all’interno delle nostre chiese.
Il Notiziario
Il Congresso valuta positivamente il lavoro svolto dalla
redazione del Notiziario, sia per la qualità delTinformazione prodotta che per il servizio di collegamento reso alla federazione.
Il Congresso ringrazia la redazione per il lavoro svolto
sino ad ora e auspica un potenziamento del Notiziario attraverso un aumento della periodicità, oppure un incremento
del numero di pagine.
IHi mandato al Consiglio di studiare la possibilità di creare una redazione per l’area meridionale con sede a Napoli,
che collabori strettamente con quella di Torino.
5
\/F.NERDÌ 17 SETTEMBRE 1993
Vita
PAG. 5 RIFORMA
L'abito non indica solo il conseguimento della laurea
Nelle chiese riformate la toga è
il simbolo deirufficio pastorale
BRUNO CORSANI
Foto ricordo del gemellaggio tra le chiese di Nottola e di Renfrew
Gemellaggio tra le chiese battiste di Mortola e Renfrew (Scozia)
La Scozia è terra di «Risveglio»
VIRGINIA MARIANI
Scozia: storia, luoghi,
evangelizzazione. Questo
il tema di quattro incontri
condotti magistralmente dal
fratello Mimmo d’Elia, che
cura i nostri contatti di gemellaggio esistenti da ben tre
anni tra la comunità battista
di Mottola e la consorella
chiesa battista di Renfrew,
che si trova nella periferia
della città di Glasgow. I quattro afosi mercoledì di agosto
harmo così visto lo studio biblico trasformarsi in momenti
di approfondimento culturale
su una terra e sul suo popolo
che, pur essendo fisicamente
posta al polo opposto rispetto
al Sud d’Italia, condivide con
questo le stesse speranze di
sviluppo, comuni d’altronde a
ogni regione periferica del
continente europeo.
Il primo incontro, dopo una
breve introduzione di carattere geografico e folcloristico,
si è incentrato sulla «Nascita
della chiesa in Scozia»; si è
parlato dell’arrivo dei primi
missionari intorno al terzo secolo e dell’impronta fondamentale esercitata dalla preesistente cultura gaelica sul
cristianesimo scozzese; si è
passati poi alla figura di S.
Columba (a cui si fa ufficialmente risalire l’evangelizzazione in Scozia) fondatore
della comunità monastica di
Iona, ancora oggi esistente e
operante sul modello di quella francese di Taizé.
Nel secondo incontro si è
parlato della «Riforma in
Scozia», puntando la nostra
attenzione sulla figura della
cattolica Maria Stuarda, regina degli scozzesi, e sul riformatore John Knox, convinto
e talvolta intransigente calvinista, promotore della Church of Scotland (la Chiesa presbiteriana di Scozia); non sono mancati, inoltre, riferimenti alla Riforma negli altri
paesi europei e in particolare
alla vicina Inghilterra della
regina Elisabetta I.
Il terzo mercoledì ci si è
soffermati sul «Risveglio in
Scozia»: si è parlato della nascita del battismo e di come
questo sia giunto in Scozia
(strano a dirsi: con le armate
di Cromwell!), nonché del
metodismo e del Risveglio
che ha coinvolto anche la
Chiesa presbiteriana.
Giunti così all’ultimo incontro, il tema portante è stato «La Scozia oggi»; dopo la
lunga carrellata storica. Mimmo d’Elia ci ha illustrato la
situazione attuale del paese,
la vita e la testimonianza delle chiese scozzesi, con particolare riferimento aH’Unione
battista di Scozia, che conta
170 chiese con 16.000 membri battezzati.
Molto importanti sono i
centri sociali che le chiese
battiste gestiscono in una
realtà tanto bisognosa di aiuto materiale e spirituale perché afflitta da due piaghe dilaganti quali la droga e l’al
Nella collana «Piccola biblioteca teologica»
è uscito il n. 29
s . Ray S. Anderson
LA FEDE, LA MORTE
E IL MORIRE
pp. 205, £ 24,000 ,
In dialogo costante con la miglior cultura religiosa e laica l’autore si chiede: È possibile
dare un senso alla morte? Una risposta
all’antica domanda di Giobbe;' «Se un uomo
muore, potrà ritornare in'vita?». La dura
esperienza della morte e del lutto in una società che ha istituzionalizzato e professionaMizzato il processo del tmorire sottraendolo
agli affetti familiari.
m ; mmetStrice
dauekana
VIA PRINCIPE TOMMASO. 1-10125 TORINO
TEL. 011/668.98.04 - C.C.P. 20780102
colismo, piaghe affiancate da
una consistente crisi delle
chiese multitudiniste (presbiteriana e cattolica) in seguito
alla quale molta gente si è allontanata da qualsiasi chiesa.
Dunque i cristiani in Scozia, come in Italia, devono
affrontare problemi e situazioni che, pur in contesti differenti, necessitano del deciso annuncio dell’Evangelo (il
motto dei battisti è infatti
«Gesù Cristo è la sola speranza»).
Le quattro serate sono state
molto seguite, ricche di interventi e domande, a testimonianza che l’argomento, pur
nella sua complessità (devo
dire ridotta al minimo) ha suscitato vivo interesse, tanto
che si è proposto al fratello
d’Elia di proseguire in ulteriori incontri con queste «sane lezioni» di storia che, sebbene ci riguardino da vicino,
spesso misconosciamo.
Dal punto di vista storico
innumerevoli ritratti del
XVII e XVIII secolo rivelano che giudici, notai, borgomastri e altri personaggi importanti nella società civile
vestivano più o meno come i
pastori di allora, cioè con
una tunica scura e un colletto
bianco rivoltato, dal quale
discendono le nostre «facciole».
In particolare, quello era
l’abito che indicava il conseguimento di una laurea o di
un altro titolo universitario.
Nel 1664 il re di Francia
proibì ai pastori protestanti
di apparire così vestiti fuori
dai locali di culto (multa di
300 libbre e l’arresto in caso
di recidiva). Ma più che il
decreto reale è interessante
la protesta dei protestanti e
la sua motivazione; «Fu del
tutto inutile far presente che
quasi tutti i pastori avevano
dei gradi universitari, che
avevano conseguito delle licenze alla fine dei loro studi,
e che questo dava loro diritto di indossare abiti lunghi:
si dovette obbedire». (Benoit, Histoire de l’Edit de
Nantes, 1695, t. Ili, p. 628).
In tutto questo non c’è
nessuna traccia di riflessione
teologica sull’uso della toga.
Troviamo invece una riflessione teologica in uno
scritto che viene da una chiesa del Montbéliard e che risale al 1559. Si legge che le
regole dell’Antico Testamento in fatto di liturgia e di
paramenti sono state abolite
e che Gesù e i suoi apostoli
hanno lasciato alla chiesa la
libertà in queste cose, purché, come Paolo raccoman
Riscoperta la tradizione a Piedicavallo
Ant al tempìu»
«
Durante i mesi di luglio e
agosto, come di consueto, il
tempio valdese di Piedicavallo (Biella) ha aperto le porte
per ospitare non solo le attività della comunità, ma anche
alcune iniziative culturali organizzate dal Comune.
Una mostra di pittura e due
concerti di chitarra classica
hanno attirato nella sala, molto luminosa e acusticamente
favorevole e dunque adatta a
queste iniziative, un pubblico
eterogeneo che ha finito per
interessarsi anche della storia
valdese della fede evangelica.
La presenza continuativa
della famiglia pastorale ha
permesso di tenere il tempio
aperto anche al di fuori delle
manifestazioni artistiche o
comunitarie.
Un pubblico numeroso al di
là delle aspettative è poi intervenuto a una conversazione storica sulla chiesa valdese
di Piedicavallo, tenuta da
Franco Taglierò: una storia
ancora tutta da scrivere ma
che, in veste aneddotica, non
ha mancato di interessare i
presenti, tutti originari della
valle Cervo, che avevano
avuto dai parenti più anziani
solo cenni un po’ misteriosi
sugli avvenimenti della fine
del secolo scorso che avevano portato alla scissione della
comunità cattolica e alla nascita della Chiesa valdese.
Piedicavallo ha riscoperto
un piccolo pezzo della sua
storia? Sembrerebbe di sì, tenuto conto del fatto che a fine
anno scolastico gli alunni della scuola elementare della
valle, accompagnati dalle insegnanti (tra cui anche il sindaco) avevano visitato il tempio e incontrato il pastore.
Nel contesto della rivalutazione delle tradizioni del paese l’amministrazione comunale ha installato nelle borgate dei cartelli in legno con i
nomi delle località in piemontese: anche il tempio valdese ora ha la sua scritta:
«Ant al Tempiu», che contribuirà a destare curiosità nei
villeggianti più frettolosi.
L’attività della chiesa si è
conclusa con il culto in lingua
piemontese presieduto da Tavo Burat. Non è questa
un’iniziativa di tipo folcloristico né regionalista, ma una
testimonianza protestante del
fatto che l’Evangelo può e
deve essere annunciato nella
lingua della gente comune e
nel pieno rispetto delle culture locali.
Un folto pubblico di amici
non evangelici ha partecipato
al culto e ha ascoltato la testimonianza di fede di quel
grande appassionato di culture minoritarie linguistiche e
etniche che è il fratello Tavo
Burat.
dava, tutto sia fatto con decoro e per l’edificazione.
Più tardi, cioè quando
l’abito lungo cessa di essere
normale per i laureati e specialmente per quelli che
esercitano professioni liberali, il pastore in toga diviene
un’eccezione rispetto agli altri laureati. Allora si incomincia a riflettere su possibili valori simbolici della toga.
C’è chi la paragona al mantello del mandriano, ma soprattutto si vede nella toga il
simbolo dell’ufficio pastorale, che ha una sua obiettività
che supera l’individualismo
di chi lo esercita.
Essa deve ricordare tanto
ai fedeli quanto a chi la indossa che il sermone viene
dal Signore e che la predicazione non è un insegnamento
personale del pastore ma è
predicazione della parola di
Dio. Questo richiamo è sempre valido e opportuno e non
deve essere dimenticato. A
fronte di questi valori simbolici, si potrebbero elencare
gli inconvenienti. Ne menziono soltanto due:
1 ) la toga rischia di accentuare eccessivamente, soprattutto per gli estranei, la
distinzione fra «clero» e
«laici», mentre invece ci
vantiamo, come protestanti,
di avere abolito questa distinzione.
2) la toga rischia di suscitare, a chi entri la prima volta in una chiesa evangelica
nella quale il pastore indossa
la toga, l’impressione che ci
sia un «sacerdote». Ora, il
protestantesimo ha sostenuto
con vigore che da Cristo in
poi non ci sono più sacerdoti
perché lui è il Sacerdote supremo e definitivo. Nella
chiesa evangelica ci sono
soltanto predicatori che con
gli studi che hanno fatto aiutano i credenti a costruire la
loro fede e la loro vita cristiana sulla Parola biblica.
Essi non sono, costituzionalmente, diversi dai loro fratelli e sorelle. L’estraneo che
vede un pastore in toga rischia di non rendersene conto.
(Segnalazione di
Enos Mannelli)
Cronache
FLORIDIA (SR) — La chiesa battista di Fioridia ha ospitato
nel mese di giugno il giovane studente in teologia Giuseppe
Miglio, per uno stage. Il futuro pastore ha lavorato con serietà curando le varie attività ecclesiastiche e spronando la
comunità ad un maggiore impegno di testimonianza
all’Evangelo anche all’esterno La sua attività ha contribuito
ad aprire un proficuo dialogo anche con giovani intellettuali
cattolici che hanno mostrato vivo interesse per le attività
della nostra comunità. Consideriamo salutare questa iniziativa di mandare gli studenti in teologia ad operare al sud, e
questo anche per favorire un risveglio spirituale indispensabile per questa parte d’Italia così travagliata.
MOTTOLA — Venerdì 27 la comunità battista ha dato
l’estremo saluto alla sorella Giovanna De Vincenzo ved.
Barulli, scomparsa all’età di 87 anni. Il funerale è stato celebrato dal past. Odoardo Lupi della chiesa valdese di Taranto, che ha ricordato come la sorella Giovanna sia stata
per la sua veneranda età, ma soprattutto e ancor più per la
sua presenza in comunità, una cara mamma in Cristo per
tutti noi.
ANGROGNA — I culti delle due prime domeniche del mese
di settembre sono stati presieduti dagli studenti della Facoltà di teologia Italo Pons e Marco Gisola. Desideriamo
esprimere la nostra riconoscenza al Signore per il dono che
ci ha fatto di poter ascoltare due predicazioni molto belle a
opera di questi due giovani di origine angrognina che si avviano a continuare la bella tradizione «pastorale» della nostra chiesa, e per la speranza che ha voluto rinnovare nei
nostri cuori: finché ci saranno dei fratelli e delle sorelle che
consacrano la loro vita al servizio dell’Evangelo, la Chiesa
valdese continuerà la sua secolare testimonianza alla Parola
di Dio.
TORRE PELLICE — Con affetto e simpatia cristiana la comunità è vicina alla famiglia di Marco Pontet che ci ha lasciati.
BOBBIO PELLICE — Ringraziamo i pastori Teofilo Pons,
Giorgio Tourn, Ruggero Marchetti e il predicatore locale
Umberto Rovara, che in sostituzione del pastore titolare
hanno presieduto i culti di queste ultime domeniche.
• Ci rallegriamo vivamente nel Signore per la nascita di
Myriam Pontet, di Italo e Patrizia Geymonat. Voglia il Signore aiutare questi nuovi genitori nel laborioso ma gioioso
compito di educatori cristiani alla fede.
• Il nostro fratello in Cristo Paolo Michelin non è più tra
noi. Ringraziamo il pastore Teofilo Pons che ha presieduto
il funerale. Anche Angelo Ronchi, nostro simpatizzante,
non è più tra noi. Questo funerale è stato svolto nella chiesa
cattolica. La morte improvvisa di queste due persone ha
profondamente scosso la nostra comunità. La certezza di fede nella resurrezione dei morti in Cristo è il fondamento
della nostra consolazione e della nostra speranza. Ai familiari tutti rinnoviamo l’espressione della solidarietà e della
simpatia cristiana della nostra comunità.
CAMPOBASSO — La chiesa esprime la sua solidarietà fraterna alle famiglie di Concetta Vitolo Vitale e di Nicola De
Marco, i cui funerali si sono svolti rispettivamente il 3 agosto a Campobasso e il 6 agosto a Pescolanciano.
• Il 7 agosto è nato Paolo Boccia, figlio di Filomena Cimini
e Gian Luca Boccia. La chiesa ricorda le benedizioni del Signore con le parole del salmista «...ecco i figlioli sono una
eredità che viene dal Signore».
6
PAG. 6 RIFORMA
VENERDÌ 17 SETTEMBRE I993
UN'AZIONE
PIENA LUCE
BRUNO ROSTAGNO
Il motivo centrale del capitolo 10 di Matteo è
l’annuncio del Regno; ma
che cosa significa annuncio
in questo caso?
Non dobbiamo pensare a
un’azione di preparazione
paragonabile alla semina.
«La messe è grande», dice
Gesù in quella che si può
considerare un’introduzione
al discorso (9, 35-38); i campi sono già pronti per la
mietitura: non è tempo di semina, ma di raccolto. I discepoli inviati ad annunciare
il Regno non hanno il compito di preparare la gente a
un avvenimento futuro, ma
hanno il compito di guarire,
restituire la vita, ridare integrità fisica, psichica e sociale alle persone; in una parola; portare la pace, e chi si
chiude di fronte a questa
realtà, chi rifiuta di accogliere l’offerta di vita fatta dai
discepoli, si attira già ora un
giudizio di condanna (10, 115). Queste parole sono molto di più che una dottrina:
conferiscono ai discepoli il
potere di agire con la stessa
autorità di Gesù.
L’insegnamento di Gesù
non è teoria separata dalla
prassi. Matteo può presentarlo in modo distinto dal resto
della sua narrazione, ma solo
una sua particolare accentuazione:
1) la paura può essere alimentata dal dubbio sul valore attuale e universale della
parola di Gesù. Risposta: la
parola è destinata a diffondersi e niente può fermarla
(10, 26-27).
2) la paura può essere alimentata dalla coscienza del
potere distruttivo degli avversari. Risposta: la vita dei
discepoli è custodita dal potere creativo di Dio (10, 28).
3) la paura può essere alimentata dal senso di precarietà dell’esistenza. Risposta:
la nostra esistenza riceve da
Dio il suo valore e la sua stabilità (10, 29-31).
4) Gesù si impegna per i
suoi. Perciò chi lo segue non
può che riconoscere apertamente di appartenergli (10,
32-33).
Dedicheremo ora la nostra
attenzione al primo di questi
quattro detti. È il detto di
Gesù che ci sembra di poter
ascoltare con minor difficoltà, tanto è evidente la sua
realizzazione. La Bibbia è
diffusa in ogni parte della
terra e continua a essere tradotta; soltanto nel Pacifico
meridionale sono in cantiere
cinquanta nuove traduzioni
in altrettante lingue locali.
«Non li temetey dunque; perché
non c^è niente di nascosto che
non abbia ad essere scoperto, né
di occulto che non debba esser conosciuto.
Quello che io vi dico nelle tenebre, ditelo voi nella luce; e quello
che udite dettovi alVorecchio, predicatelo sui tetti»
(Matteo 10, 26-27)
per motivi di chiarezza; in
realtà, l’insegnamento di Gesù coincide con la sua azione. Dobbiamo riconoscere
che un’efficacia analoga è
data ai discepoli: il loro annuncio non è un semplice discorso, ma un’azione che trasforma la realtà. Le loro stesse persone sono coinvolte in
questa trasformazione; come
Gesù, così anch’essi si scontreranno con l’opposizione
dei gruppi dominanti (10,
16-25); il loro comportamento dovrà dimostrare che essi
appartengono a Gesù e non
essere paralizzato dal timore
dei potenti (10, 26-33); dovranno essere pronti a vivere
conflitti e lacerazioni (10,
34-36); rinunceranno a cercare una posizione sicura e
accetteranno la croce (10,
37-42).
Libertà dalla paura
Concentriamoci ora sulla
sezione in cui Gesù
chiama i discepoli a una vita
libera dalla paura (10, 2633).
Essa è composta da quattro
detti, certamente collegati
(l’esortazione «non temete»
è ripetuta tre volte), ma
ognuno dei quali possiede
La predicazione dell’Evangelo è oggi un fatto che nessuno può ignorare; vi sono paesi come la Corea del Sud dove le chiese sono stracolme e
i culti domenicali si susseguono per tutta la giornata.
Missione compiuta?
L9 insegnamento dato da
Gesù al piccolo gruppo
dei discepoli ha raggiunto
un’estensione universale.
Questo tuttavia non significa
che possiamo presentarci a
lui con la coscienza tranquilla e dirgli: «Missione compiuta». Non lo pensano i cristiani dell’Asia e dell’America Latina che sono impegnati
in un’azione evangelizzatrice
in piena espansione. Non lo
pensano i pentecostali europei, che continuano a crescere. Rischiano di pensarlo
quei protestanti che sembrano soddisfatti perché la salvezza è arrivata fino a loro e
non fanno nulla perché possa
arrivare anche agli altri.
Eppure non sono certo persone mute; sono persone che
sanno parlare, e talvolta anche molto bene. Ma se si dovessero mettere insieme le
parole che queste persone
sanno spendere per l’Evange
lo si otterrebbe solo un grande silenzio. Stiamo attenti a
che questo silenzio nelle nostre chiese non diventi la caratteristica dominante.
Quando questo accade, è
perché si è verificata una
sorta di distrazione: non ci si
accorge di ciò che l’Evangelo produce anche oggi, ci si è
convinti che sia una realtà
del passato o una realtà valida tutt’al più per certi ambiti
ristretti. Si dubita dell’attualità e dell’universalità della
parola di Gesù.
I nostri timori
Questo dubbio alimenta
poi oscuri timori: il timore di dover affrontare, se
si manifestano eonvinzioni
evan-geliche, conseguenze
spiacevoli sul piano del lavoro, della professione, della
reputazione; il timore di passare per uno che vive fuori
del suo tempo. Timori, beninteso, che uno non confessa neanche a se stesso. Se
uno, almeno, osasse confessarseli, se avesse il coraggio
di dirsi: «Tu hai paura di perdere la considerazione degli
altri, hai paura di essere isolato», avrebbe l’occasione
per ascoltare quello che gli
dice Gesù: «Non temere!».
Ma in fondo, coscienti o no
che siamo dei nostri timori,
la cosa migliore è proprio ripartire da quella parola. Riascoltarla, lasciare che si
diffonda nel nostro animo
come una luce, perché è una
parola luminosa: «Quello
che io vi dico nelle tenebre,
ditelo voi nella luce».
Quando consideriamo il
compito di testimoniare e
guardiamo la gente, ignara,
impreparata, occupata da
mille altri pensieri, possiamo
effettivamente sentirci
schiacciati. Ma se facciamo
un minimo di attenzione alla
forza, all’attualità, all’universalità dell’Evangelo, allora la testimonianza può davvero diventare un’azione in
piena luce.
Infatti non è la nostra testimonianza a dar forza all’Evangelo, è la potenza dell’Evangelo a rendere inevitabile la sua diffusione pubblica. L’Evangelo trova sempre
la sua strada. Può anche trovarla servendosi di te; se hai
questa fiducia, i tuoi timori
sono vinti e ti viene restituita
la parola.
Un’azione in piena luce è
sempre un superamento in
due direzioni: un superamento del segreto che teniamo
chiuso in noi e della verità
ufficiale in cui gli altri vogliono rinchiuderci.
In un certo senso è vero in
generale che «non c’è niente
di nascosto che non abbia ad
essere scoperto». Anche i segreti di tangentopoli vengono alla luce.
La differenza tra questi segreti e l’Evangelo è che essi
si vorrebbero sempre tener
nascosti, perché la loro scoperta significa la rovina di
chi se ne era servito. L’Evangelo invece rende chiara e
trasparente anche la vita di
coloro che lo testimoniano.
Il segreto talvolta è necessario. Viviamo in un mondo
di peccatori e il segreto è una
difesa. I problemi di una persona non devono essere messi in piazza, perché molti ne
approfitterebbero per avvantaggiarsi o divertirsi alle sue
spalle, e quella persona sarebbe presto distrutta. Il segreto è un diritto di ognuno.
È una garanzia della libertà
personale; senza impegno alla riservatezza viene meno la
fiducia. E se viene meno la
fiducia, ognuno deve difendersi contro tutti, e il più debole o colui che ha problemi
più seri viene schiacciato.
Ma quando in una vita (o
in una chiesa) ci sono troppi
segreti, vuol dire che la situazione non è sana. L’Evangelo ci spinge a vivere una
vita in cui non ci sia nulla da
nascondere.
Il segreto di Gesù
Nella chiesa, quando accade di dover tenere riservata un’informazione,
dobbiamo sempre chiederci
se tale segreto è veramente
indispensabile. Tener nascosto un problema può facilitare apparentemente il funzionamento delle cose, ma può
anche essere un serio freno
alla crescita comunitaria.
La vita secondo l’Evangelo è fatta di azioni responsabili, di cui possiamo rendere
conto a chiunque. La chiesa
è viva quando in essa si possono dire ad alta voce anche
le cose scomode e spiacevoli, perché nella chiesa ciò che
va male o che non funziona
va portato alla luce per poter
essere affrontato e superato
nell’agape.
Nella chiesa dovrebbe esserci posto per un solo segreto; il segreto di Gesù.
Questo segreto è la sorgente
di tutto ciò che è vivo. Ci sono, ci devono essere nella
chiesa dei momenti in cui si
riparte da quel segreto. Sono
momenti in cui non si parla,
non si agisce ancora. Un sermone, prima di essere detto,
dev’essere portato, forse per
giorni e giorni, nel cuore del
predicatore.
Un piccolo gruppo in cui
regolarmente si prega per il
rinnovamento della chiesa
passa inosservato, non attira
l’attenzione. Una decisione
in cui si cerca di ubbidire al
comandamento di Dio ha bisogno talvolta di una lunga
meditazione e di una consultazione tra poche persone.
Questi momenti sono essenziali; se non ci sono, la chiesa muore. Ma se sono autentici, essi assumono molto
presto il carattere di un’azione in piena luce, che rinnova
la vita della chiesa e si irradia aH’estemo.
Tale azione è anche la risposta necessaria a chi cerca
sempre di rinchiuderci nella
verità ufficiale, negli stereotipi convenzionali, nei
pregiudizi dominanti. L’attenzione pubblica non riesce
quasi mai a cogliere e a trasmettere l’annuncio che intendiamo dare; è troppo presa da ciò che si può vendere
alla gente. Nella carta stampata e alla televisione la
buona novella non fa notizia.
Non interessa ciò che pensa
una pastora, interessa che il
pastore sia donna; il sacerdozio universale non è capito,
ma si dà rilievo alle elezioni
alle cariche «direttive»; e così via.
Ciò che per la vita umana è
centrale, per i media è marginale. Noi dobbiamo invece
riaffermare ciò che è centrale: la parola di Gesù e il rinnovamento che essa produce
nel rapporto con Dio, nei
rapporti interpersonali, nel
corpo, nella mente, nel destino della persona umana. E
un compito immenso, ma
non temete: l’Evangelo trova
la sua strada.
Preghiera
Padre celeste, noi ti rendiamo grazie per la Parola
eterna, vivificante e salutare che in Gesù tu hai detto
e dici ancora agli uomini come noi siamo. Non permettere che r ascoltiamo fuggevolmente e che siamo
troppo pigri per obbedirla. Non ci abbandonare. Resta con la tua consolazione presso ciascuno di noi e
il suo prossimo. Fa’ che la tua Parola acquisti un po’
di chiarezza nei nostri cuori, in questo luogo, presso i
nostri cari, in questa città, nel nostro paese, su tutta
la terra. Tu conosci gli errori e le macchinazioni che
rendono ancora una volta e d’ogni lato la situazione
attuale così oscura e preoccupante. Fa’ dunque levare un vento fresco che possa dissipare almeno le nebbie più spesse nello spirito di quelli che governano il
mondo, nello spirito di quelli che si fanno governare
da loro e soprattutto nei pensieri di quelli che formano l’opinione pubblica.
Abbi pietà di tutti quelli che sono malati nel corpo
e nell’anima, del gran numero di uomini che soffrono
della vita, che sono smarriti e tormentati per propria
colpa o per quella degli altri, e particolarmente di
quelli che, in una simile situazione, non hanno né
amici né soccorsi umani.
Indica anche alla nostra gioventù quella che è la
vera libertà e la vera gioia. Non lasciare i vegliardi e
i morenti senza la speranza della risurrezione e della
vita eterna.
Ma tu sei ben il primo a cui stanno a cuore le nostre angosce e sei il solo che possa porvi rimedio. Ecco perché non possiamo e non, vogliamo alzare gli
occhi che verso di te: il nostro aiuto viene da te che
hai fatto i cieli e la terra. Amen.
Karl Barth
(Tratto da Preghiere, Karl Barth , Qaudiana, 19871 ^
7
Spediziiine in abb, post. Gr 11 A/70
In caso di iiianciito recapito risix?dire a;
CASELLA POSTALE 10066
torre PELLICE
Fondato nel 1848
Yaui "^ldesi
venerdì 17 SETTEMBRE 1993
Intervista al ministro del l'ambiente, Valdo Spini
Un parco alle valli valdesi?
Sì, se c'è il consenso della gente
PIERVALDO ROSTAN
Per ricordare l’anniversario deir8 settembre è salito alle valli Valdo Spini, ministro dell’Ambiente, socialista, qualche mese fa candidato alla segreteria del suo partito da parte di chi sentiva più
netta l’esigenza di chiudere
col passato di craxismo. Spini
al Bagnoou ha parlato di fine
di un mondo politico che aveva fatto del rampantismo un
metodo e uno strumento, quasi uno status simbol; si è rifatto egli ideali della Resistenza per ricordare il forte
messaggio di unità che essa
conteneva, contrapponendolo
a quelle spinte disgregatrici
che oggi si fanno strada nel
nord del paese. Ma con Spini,
dopo la parte «ufficiale», parliamo della sua attività di ministro dell’Ambiente.
- La montagna si spopola;
l’assenza dell’uomo dal territorio alpino non fa che aumentare il rischio di collasso
ambientale per le valli. Come
intervenire?
«Come ministero dell’Ambiente noi dobbiamo applicare la legge quadro sui parchi
e sulle aree protette. Vi sono
aree del paese in cui veramente il parco è l’unica soluzione possibile, non solo per
mantenere un certo habitat
che va conservato ma proprio
perché quella del parco è
l’unica vocazione possibile.
Per questo in luglio ho portato in Consiglio dei ministri
l’istituzione di tre parchi nazionali. L’attività del parco
implica una possibilità di intervento anche a favore delle
attività artigianali, culturali,
di restauro dei centri storici
che vanno assolutamente incentivate. Tuttavia ritengo sia
necessario mettere mano a
tutte quelle iniziative che
consentano di mantenere
l’uomo in montagna, cioè
creino quelle condizioni socio-economiche in cui l’integrazione dei redditi rappresenti un momento centrale».
- Concretamente quali interventi si possono ipotizzare?
«A giorni dovremo ripartire 180 miliardi fra parchi nazionali e parchi regionali. La
montagna potrebbe però contare su un altro occhio di riguardo grazie al piano triennale per le opere di protezione ambientale (depurazione,
disinquinamento e così via)».
- Il parco però viene visto
talvolta con sospetto dalle popolazioni più direttamente interessate, quasi che esso rappresenti più vincoli che opportunità...
«Se il parco fosse soltanto
vincolo sarebbe destinato a
perdere; in realtà il parco è
una vocazione naturalistica e
culturale di una certa area,
basti pensare alle opportunità di finanziamento e di incentivazione di determinate
attività che esso rappresenta».
- In alcuni ambienti politici
delle valli si parla periodicamente di istituire nell’area
un parco; secondo lei un’ipotesi del genere ha senso?
«Questa idea mi fu già sottoposta in passato; a mio parere potrebbe avere un forte
senso. Siamo in presenza di
elementi ambientali di notevole valore, di una cultura, di
una storia. Diciamo la verità: molte volte il problema
più difficile è quello della
caccia. Quest’estate, durante
una visita al parco del Gran
Paradiso, i sindaci mi esponevano le loro lamentele,
anche giustificate, rispetto
all’esistenza del parco. La
cosa divertente era che alla
fine mi aspettavano gli albergatori che mi dicevano: Non
dia loro retta, la gente viene
anche dall’Australia per vedere il parco..».
- In primavera, con un referendum, sono stati tolti i
poteri in materia ambientale
alle Ussl; cosa accade ora?
«All’inizio di agosto abbiamo fatto un decreto con cui i
controlli amministrativi passano dalle Ussl alle Province
che per il momento si avvalgono degli stessi organi che
funzionavano prima. Entro
tre mesi però le Regioni dovranno legiferare in materia
per riorganizzare servizi e
personale. Il livello regionale
troverà però anche riferimento in una agenzia nazionale che deve fare standard e
normative in rapporto con
l’agenzia europea a sua volta
in grado di garantire un quadro di intervento e di normative omogeneo».
- Durante il soggiorno in
vai Penice lei ha anche incontrato una parte dei socialisti interessati a un rilancio di
attività e impegno, e una delegazione dalla Liguria per la
questione della vai Bormida.
Il rapporto fra produzione e
ambiente è uno dei nodi più
forti di questo periodo in cui
la disoccupazione avanza;
sarà l’ambiente a fare le spese di una situazione economica e produttiva assai grave?
«Vorrei segnalare un fatto
nuovo volto a coniugare sviluppo e ambiente: ho fatto un
decreto legge per applicare
anche in Italia TEcolabel,
un’ etichetta ecologica che
un’impresa può chiedere volontariamente per il proprio
prodotto. Alla fine del 1994,
grazie a una nuova istituzione comunitaria, un’azienda potrà certificare il suo impianto circa le emissioni, le
acque reflue e così via. Allora si potrà vedere quanto il
consumatore, con scelte del
tutto libere, terrà conto della
valutazione ecologica sia dei
prodotti sia degli impianti di
produzione. Sono convinto
che questo rappresenterà un
grosso stimolo per le imprese
all’ innovazione tecnologica
in senso ambientale».
Angrogna. Una suggestiva costruzione di Barma Mounastira
© foto: Enrico Bertone
Mercoledì 15 settembre si sono riaperte le scuole in tutto il Piemonte. Qual è la situazione alle Valli?
Problemi per le 1.200 matricole delle scuole superiori
CARMELINA MAURIZIO
DANILO MASSEL
Inizia tra preoccupazioni e
grandi segnali di crisi l’anno scolastico ’93-94, in un clima generale di recessione e di
incertezza. Il decreto delegato
emanato poco più di un mese
fa, che prevede la riduzione di
circa 50 mila classi a livello
nazionale nel corso dei prossimi tre anni scolastici, ha gettato nella confusione e in
qualche modo nel panico la
scuola. A complicare le cose
c’è stata poi la mancanza di
tempo per rendere operativo il
decreto, reso noto a pochissimi giorni dall’effettivo inizio
dell’anno scolastico.
Se a livello nazionale regnano l’incertezza e la confusione, siamo andati a verificare
come stanno andando le cose
nelle nostre valli e nelle scuole della zona di Pinerolo.
L’inizio delle lezioni, che in
Piemonte è arrivato con leggero anticipo sul resto
dell’Italia, è indubbiamente
segnato anche nella nostra regione dall’arrivo del decreto
sulla riduzione delle classi
con pesanti influenze e ripercussioni che riguardano sia il
corpo docente che gli alunni.
Al momento, il problema
della riduzione delle classi e
la conseguente dislocazione e
utilizzazione degli insegnanti
in esubero sembra riguardare
nella nostra zona soprattutto
le scuole secondarie. Per
adesso, infatti, non dovrebbero essere toccate dal provvedimento le piccole scuole elementari di montagna e quindi
le pluriclassi e nemmeno le
scuole medie, anche se queste
ultime come ogni anno sono
comunque penalizzate dal calo demografico, che in diversi
casi ha portato alla scomparsa
di una o più classi; per il momento, però, niente tagli.
La situazione invece, come
già accennato, è decisamente
critica per le superiori. Tra gli
istituti di istruzione secondaria che hanno sede prevalentemente a Pinerolo non regna
l’ottimismo. In questi giorni,
terminati gli esami di riparazione e ultimate le procedure
per le iscrizioni, si fanno i
conti. All’incirca saranno
1.200 i ragazzi e le ragazze
che frequenteranno quest’anno la prima classe di una
scuola secondaria.
Facendo una rapida indagine fra le varie segreterie, sembra che in generale e al di là
del provvedimento sulla riduzione delle prime classi, ci sia
comunque un calo di iscritti,
complice fondamentale il già
citato calo demografico. In
particolare di leggera flessione
parlano al liceo scientifico di
Pinerolo, all’istituto tecnico
industriale, con sede centrale
sempre a Pinerolo e con succursale a Orbassano, e all’istituto per geometri; stazionaria
sembra la situazione al classico, all’alberghiero, al professionale e all’istituto magistrale, tutti a Pinerolo, al liceo
pareggiato di Torre Pellice, al
commerciale e geometri a Lusema San Giovanni.
All’istituto «Buniva» di Pinerolo, nelle classi prime si è
registrata una contrazione
nefl’indirizzo ragionieri; da
10 a 7 corsi iniziali, suddivisi
fra commerciale amministrativo e sperimentale Igea; stabile
o con un leggero aumento la
situazione per il settore geometri. Complessivamente,
considerando anche il corso
serale, gli iscritti al primo anno sono circa 350, con un totale generale dell’istituto di
circa 1.700 allievi. «La riduzione delle classi si avvia a rispettare abbastanza fedelmente le previsioni iniziali, con
problemi relativamente limitati per la distribuzione degli insegnanti sulle diverse cattedre, pur mancando ancora
l’autorizzazione alla nomina
di supplenti. Anche per i do
centi in soprannumero, per il
momento, i dati sono su livelli fisiologici» dice il preside,
Carlo Zanzottera.
Uno dei problemi originati
dai cosiddetti «tagli estivi» nel
settore scuola è dato dal mancato coordinamento fra inizio
dell’anno scolastico e i tempi
di autorizzazione delle classi
da parte del Provveditorato.
L’autorizzazione è finalizzata
alla verifica del rispetto dei limiti legislativi sul numero di
allievi per classe e sarà probabilmente successiva all’inizio
delle lezioni, con conseguenti
incertezze nel frattempo. Anche la sperimentazione del
Piano nazionale per Pinformatica per i geometri, pur approvata e non comportante oneri
finanziari, non può essere applicata per il momento perché
eccede la quota di sperimentazione ammessa.
È presto, almeno al momento, per valutare le conseguenze sia del provvedimento di
legge e sia del leggero calo di
iscrizioni. Restano infatti numerosi altri nodi da sciogliere
e, tra questi, per esempio c’è il
grave problema dell’utilizzo
del personale docente, che potrebbe trovarsi «disoccupato»
avendo perduto la classe ed
essere allora disponibile per
altri incarichi. C’è, sempre sul
fronte del corpo docente, il
problema dei precari, quest’anno più che mai tali, con
speranze sempre più ridotte di
entrare nei ruoli. E se tutto
questo sulla scuola italiana in
generale, e non sono più fortunate le nostre valli in questo,
gravano comunque annose e
pesanti inadempienze che al
momento sembrano di difficile soluzione, visti i problemi
urgentissimi posti dalla nuova
legislazione; pensiamo tra
l’altro, tanto per parlare ancora di scuola superiore, agli
esami di maturità, annunciati
sempre in via di riforma, pensiamo all’attuazione dei vari
progetti per la continuità, finora rimasti per lo più carta
bianca, pensiamo anche al
problema dei portatori di handicap che vedranno, sempre
che tutto funzioni, la nomina
degli insegnanti di appoggio
solo ad anno scolastico inoltrato.
E ci fermiamo qui per non
scoraggiarci e per pensare caso mai ancora una volta quanto sia importante che la scuola
non rimanga ai margini di un
discorso educativo e umano di
base per la formazione di individui, e che nelle nostre valli
come altrove, nonostante tutto, l’impegno per fare scuola
non cessi.
8
PAG. Il
E Eco Delle ¥vlli Aàldìsl
VENERDÌ 17 SETTEMBRE I993
'■**1
L’ingresso in Bobbio Peiiice. Suilo sfondo ia cima del Bariound
Cronache
INCENDIO ALL’EX MUNICIPIO — Verso le 4,30 di venerdì 10 settembre si è sviluppato un incendio all’ultimo
piano dell’ex municipio di Bibiana. le fiamme hanno distrutto parzialmente il tetto e arrecato notevoli danni all’interno dell’edificio composto di tre piani. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco di Pinerolo e di Luserna San
Giovanni, che hanno domato l’incendio.
GIORNATA DI ROIDE A INVERSO PINASCA — Sabato
18 settembre, su proposta dell’amministrazione comunale,
si ripeterà un’iniziativa già messa in pratica con successo
negli ultimi anni: grazie al lavoro volontario di numerosi
cittadini verranno ripuliti e risistemati strade, corsi d’acqua,
sentieri. «Armati» di adeguati attrezzi gli inversini si daranno appuntamento alle 8,15 in due punti, alla borgata Grange
(di fronte all’ex scuola elementare) e alla borgata Reynaud.
Il primo gruppo si orienterà verso la borgata Saretto, mentre
il secondo interverrà verso il Serre. Intanto il Comune sta
organizzando una giornata ecologica che dovrebbe svolgersi all’inizio di ottobre.
GIOVANE MUORE IN PISCINA A LUSERNA — Dramma venerdì scorso verso le 21 alla piscina comunale di Lusema. Cesare Bassani, pinerolese, di 25 anni, da tempo impegnato in attività sportive e in particolare nella pallanuoto,
veniva colto da improvviso malore. A nulla è valso il tempestivo intervento della Croce Rossa e i tentativi di rianimazione da parte dei medici; il ragazzo è deceduto all’Ospedale valdese di Torre Pellice. Cesare Bassani era figlio del
prof. Giorgio Bassani di Pinerolo e fratello del consigliere
comunale di Rifondazione, Alberto Bassani.
TOME D’OC: TRE PREMI IN VAL PELLICE — Tre produttori della vai Pellice hanno ricevuto domenica scorsa un
premio a un concorso ad Acceglio, in alta vai Maira, per
produttori di formaggi tipici. Il gruppo di concorrenti proveniente dalla vai Pellice è risultato il più numeroso in un
lotto che vedeva alpigiani provenienti da tutte le valli alpine
del Piemonte sud occidentale e dalla regione francese
deirubaye. La validità delle produzioni valligiano è stata
dunque ribadita in sede di premiazione; particolarmente
apprezzati i classici «sairas», con e senza fieno, ormai molto rari in altre realtà montane. I produttori premiati sono
stati Ivano Rostagnol e Ernesto Michelis di Torre Pellice e
Franco Durand Canton di Bobbio Pellice. Sul ruolo della
produzione casearia in montagna vi sarà comunque presto
occasione di tornare in quanto è alle porte il 40° anniversario della nascita del caseificio di Bobbio e per quell’occasione la Cooperativa e gli enti locali intendono organizzare
un momento di confronto-dibattito per il 10 ottobre.
PROPOSTE PER IL PIANO REGOLATORE — L’amministrazione comunale è impegnata nella valutazione del
nuovo piano regolatore in parte riscritto dopo le polemiche
della scorsa primavera. Lo strumento urbanistico viene presentato alla popolazione ma intanto i comitati spontanei dei
quartieri Fornaci, S. Michele e Tabona stanno proponendo
all’amministrazione e più in generale ai cittadini alcuni
punti definiti qualificanti per una città vivibile. Attenzione
viene ad esempio richiesta rispetto alla valorizzazione dei
corsi d’acqua interni con la costruzione di piste ciclabili,
della caserma Fenulli come sede di esposizioni e mostre in
modo da mantenere nel centro l’area espositiva; in alternativa viene proposta l’area dell’ex merlettificio Turk. Sul piano industriale viene proposta una scelta consortile, ad esempio utilizzando l’area già esistente a Luserna San Giovanni.
In ogni caso i comitati spontanei chiedono «vere»consultazioni con i cittadini, anche ricorrendo al referendum per le
scelte più importanti e all’incontro con i quartieri.
STUDI STORICI SUL PIEMONTE — La Regione Piemonte e l’Istituto per la storia del Risorgimento italiano hanno
pubblicato il bando di concorso per gli «Studi storici sul
Piemonte nell’SOO e nel ’900». Il premio, del valore di 15
milioni, viene assegnato ogni due anni; vi possono concorrere i laureati da non più di 5 anni che abbiano svolto in una
Università italiana la dissertazione di laurea in una disciplina storica su un argomento di storia piemontese nel periodo
1796-1915. Preferenza viene accordata ai residenti nella regione. Le domande dovranno pervenire al Comitato di Torino, Palazzo Carignano, via Accademia delle scienze 5,
dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, entro il
30 novembre.
Nelle Chiese Valdesi
Oltre quaranfanni di attività per il gruppo che in vai Pellice fa capo alla Fidas
I «volontari del sangue»: un dono che può
contribuire a salvare una vita
PIERVALDO ROSTAN
Sono passati più di 43 anni
da quando il 6 gennaio
del 1950, nello studio del
dott. Ulderico Lanza, un
gruppo di volontari, raccogliendo l’invito dello stesso
dottore diede vita al primo
gruppo di donatori di sangue
in vai Pellice. In questo lungo
periodo molti avvenimenti
hanno contrassegnato l’attività di questo gruppo: espansione, feste, regolarizzazione
dei prelievi che all’inizio
avvenivano molto più liberamente di oggi. Non faceva
differenza in quale giorno
della settimana cadeva il prelievo, non importava se
dall’ultima donazione era trascorso un mese o 45 giorni,
non si aveva diritto al giorno
di permesso retribuito. Il
gruppo iniziale era di nove
persone, le leggi molto meno
precise di oggi le tecnologie,
anche per l’utilizzo del sangue prelevato, molto meno
aggiornate: passi da gigante
sono stati infatti effettuati nel
corso di questi anni.
Eppure il ruolo del donatore non viene assolutamente
meno; resta questo primo
passaggio fondamentale del
dono di qualcosa di sé per il
prossimo. I donatori della Fidas sono oggi numerosi (e ad
essi, per capire in pieno la
portata del fenomeno, va aggiunto anche il numero che fa
riferimento a un’altra associazione qual è l’Avis) e
nell’alta valle si è costituito il
gruppo di Villar e Bobbio.
Altri gruppi si trovano a Bibiana e Campiglione Fenile.
Per il gruppo di volontari di
Torre Pellice la cifra attuale
di 300-350 soci non è il picco
assoluto ma è un numero che
potrebbe aumentare; in effetti
ia Fidas sta lanciando inviti e
messaggi affinché ciò accada.
«Come in molte associazioni - dice il segretario. Giuliano Burraio - mancano un po’
i giovani anche se ultimamente diversi hanno raccolto
i nostri inviti». Grazie alla di
Un rapporto curato dall'UssI 43
Le cause di morte
in vai Pellice
POMARETTO — Lunedì 20 settembre, alle ore 20,30,
presso TEicolo grando, si incontra il gruppo giovani per programmare l’attività invernale.
• Mercoledì 22 settembre, alle ore 20, presso l’Eicolo grando,
si incontra il gruppo che lavora per il Madagascar.
FEDERICA TOURN
I tumori al colon-retto e i
linfomi dell’utero e della
prostata hanno colpito in valle
circa il 50 % di persone in più
rispetto al resto d’Italia, mentre i tumori della trachea, dei
bronchi, dei polmoni e dello
stomaco hanno provocato meno decessi fra i valligiani rispetto alla media nazionale.
Questi sono alcuni dei dati
diffusi dalla relazione sulle
cause di morte nella vai Pellice curato dal dottor Marco
Pratesi dell’Ussl 43; il rapporto considera la situazione del
territorio negli ultimi 4 anni, e
la confronta con gli ultimi dati disponibili sul resto
dell’Italia, risalenti al 1987.
Dei 986 decessi verificatisi
dall’89 ad oggi, se si considerano soltanto i residenti in vai
Pellice, la maggior parte riguarda persone anziane; poche le morti nei bambini al di
sotto dei cinque anni - si tratta
soprattutto di neonati - praticamente nessuna nei giovani
al di sotto dei 40 anni e in
netto calo dopo gli 80 anni,
per esaurimento di persone di
età avanzata. Le donne, come
nel resto del paese, sono più
longeve, mentre gli uomini
attraversano un periodo critico tra i cinquanta e i sessant’anni, considerazione apparsa evidente in vai Pellice
nel 1989 e nel 1991, anni in
cui l’età media dei residenti
maschi si è abbassata da 72
anni circa a 69.
Un anomalo picco di mortalità si è registrato nella nostra zona all’inizio del 1990, a
causa della grave epidemia di
influenza che in molti casi è
stata letale per le persone anziane con malattie respiratorie
e cardiovascolari e ha portato
il numero di decessi a 50 nel
solo mese di gennaio.
Sono d’altra parte proprio
le malattie cardiovascolari nel
loro insieme a costituire la
principale causa di morte, visto che determinano il 50%
dei decessi in vai Pellice; al
secondo posto vengono i tumori, responsabili del 25%
delle morti, seguiti da tutte le
altre cause naturali e violente.
Tra le morti per cancro, i più
temuti sono il tumore al pancreas che ha ucciso circa il
doppio degli uomini del previsto (19 persone in quattro
anni). «Data la difficoltà di
eseguire una diagnosi precoce
che ne permetta la guarigione
- spiega Marco Pratesi a questo proposito - l’unica possibilità è la prevenzione, tramiate la lotta all’alcolismo, prin:ipale fattore di rischio noto
icr questo tipo di tumori».
Skmeriore alle previsioni, anchKse di poco, è anche la
mortè'p^er tumore alla vescica
e quelioNqlle mammelle, che
in particolafèT^ncora al secondo posto fra i decessi per
neoplasie (dopo il cancro ai
polmoni negli uomini), cosa
che si potrebbe probabilmente
limitare con una diagnosi precoce, vista resistenza di efficaci mezzi di trattamento di
questa patologia.
Dove si muore? Crescono i
decessi in casa, soprattutto
nel caso di malati di cancro,
elemento che suggerisce una
riflessione sull’assistenza
adeguata da fornire ai malati
terminali e sulla dimensione
da riservare alla cura domiciliare.
Un posto a parte nelle cause
di morte occupano i .suicidi:
di fronte a 10 suicidi statisticamente prevedibili in quattro
anni se ne sono verificati ben
19, «quindi quasi il doppio
dell’atteso - scrive Marco
Pratesi - come spesso avviene
nelle zone di montagna». Un
alto tasso di suicidi nei due
sessi si verifica anche a livello regionale: in Piemonte nel
1991 si è registrato 1,12 suicidi su 10 mila abitanti, quasi il
doppio del tasso italiano.
sponibilità dei volontari comunque è sempre molto elevato il quantitativo di sangue
offerto alla banca del sangue:
nel 1992, con 609 donazioni,
sono stati raccolti 243.600 cc
di sangue; alla fine dell’anno
scorso la sezione risultava
aver donato in totale oltre 8
milioni di cc. grazie a 25.440
trasfusioni.
Ma come avviene l’approccio col gruppo Fidas? «La
nostra sede è aperta in occasione dei prelievi - dice Burraio -, ed è sufficiente presentarsi in quelle occasioni. Il
prossimo appuntamento è fissato per sabato 9 ottobre dalle
16,30 alle 19,39». Oltre a responsabili della sezione vi sono dei medici, si procede a un
primo esame e successivamente si viene inviati a
verifiche di laboratorio più
specialistiche. Ciò garantisce
sia i malati che gli stessi donatori.
Ogni anno infatti si effettuano gli esami ai donatori,
che vengono inviati diretta
mente a casa degli interessati.
E bene ricordare che gli esami sono esenti da ticket e che
in occasione dei prelievi si ha
diritto a un giorno di prelievo
retribuito. Quante volte si
può dare il sangue? «Occorre
avere raggiunto la maggiore
età - continua Burraio - e oltre i 60 anni sono necessarie
verifiche più approfondite.
Nell’arco dell’anno si possono fare quattro prelievi l’anno
per gli uomini e due per le
donne; per ogni persona possono essere presi al massimo
400-450 cc di sangue, cifra
che può calare in ragione della mole corporea e di altri fattori».
Un dono possibile dunque,
con tutte le garanzie sanitarie
del caso, con la consapevolezza di poter concretizzare la
propria solidarietà anche se a
favore di una persona che
probabilmente non verrà mai
conosciuta ma la cui vita
spesso dipende proprio
dall’impegno di un volontario
donatore di sangue.
Il Coro alpino vai Pellice in Argentina
Uniti nella musica
PAOLO GAY
Nel settembre 1992 il Coro alpino Valpellice
ospitò il Coro polifonico della Municipalidad de Rafaela
(Argentina) che presentò alcuni concerti nelle valli del
Pinerolese.
Quell’occasione cementò
un rapporto tra i due cori che
nell’estate ha condotto il Coro alpino a un viaggio in Argentina. Partito l’8 agosto, il
Coro alpino in quindici giorni
di permanenza in Sud America, ospitato per lo più da famiglie di coristi di gruppi corali locali, ha presentato un
decina di concerti di fronte a
un pubblico sempre entusiasta, spesso commosso e assai
partecipe ai canti presentati.
Come ci ha raccontato il direttore, il maestro Ugo Cismondi, nella provincia di
Misione il Coro ha presentato
un concerto in Ruiz de Montoya, presso l’istituto «Linea
Cuchillas» fondato dalla
chiesa evangelica svizzera e
quindi nella città di Oberà.
Sempre nella stessa provincia, il Coro ha visitato le famose cascate dell’Iguazù e
quindi la Selva Misionera dove ha avuto l’opportunità di
conoscere la civiltà e la cultura degli indios guarani.
Nella provincia di Santa
Fe, i coristi italiani hanno rincontrato il coro della Municipalidad de Rafaela; a segnare
ulteriormente la fratellanza
tra i due gruppi corali a Ra
faela si è svolta una cerimonia particolarmente toccante,
un atto di fratellanza con
scambio di due pergamene
portanti il motto «Chi canta
ha il cuore buono»; sempre a
Rafaela il Coro Alpino si è
esibito di fronte a un pubblico assai caloroso di più di
mille persone.
A Ramona, mentre il Coro
era ospite del sindaco della
città, e un incontro con le autorità si è poi avuto in tutte le
tappe del viaggio, il governatore della provincia di Santa
Fè, Carlos Reutemann (già
campione di Formula 1 di automobilismo), che si trovava
a sorvolare la zona con l’elicottero, si è fermato appositamente per salutare il Coro ed
esprimere la riconoscenza per
i gesti di fratellanza dimostrati verso il popolo argentino.
Infine, nella provincia di
Cordoba, in San Francisco, il
Coro ha partecipato, anche
qui di fronte a un pubblico
numeroso ed entusiasta, a un
incontro intemazionale di cori per il 25° anniversario del
conservatorio provinciale di
musica Arturo Berutti: al termine del programma i cinque
cori partecipanti hanno intonato, con la direzione del
maestro Cismondi, il «Va
pensiero» dal Nabucco di
Verdi.
Altri concerti sono poi stati
offerti in Colonia Caroya,
Rio Ceballos, Villa Carlos
Paz, Cordoba (nella chiesa
dedicata a tutti gli emigranti).
Il Coro alpino Valpellice nella sala della Società italiana di Villa Carlos Paz (Cordoba)
9
VENERDÌ 17 SETTEMBRE 1993
E Eco Delle Vai.ii
Un progetto sostenuto anche dalla Cee
La vita di miniera
su due versanti
a
PAG. Ili
La Comunità montana valli
Chisone e Germanasca è
coordinatrice di un programma di scambi di esperienze
per la valorizzazione del patrimonio minerario. Il programma è cofinanziato dalla
Cee e vi partecipano come
partner il Comune di L’Argentière la Bessée, Regione
Provence-Alpes-Côte d’Azur,
lo Shannon Développement,
Regione Mid West (Irlanda) e
rironbridge Institute, Regione West Midlands (Gran Bretagna).
La Comunità montana e il
Comune francese hanno inoltre avviato un progetto transfrontaliero per la valorizzazione del consistente patrimonio minerario dell’area,
anch’esso finanziato in parte
dalla Cee nell’ambito dei progetti Interreg. Nelle valli Chisone e Germanasca sono numerosi i siti per l’estrazione
del talco, della grafite, del rame, ora abbandonati, dove la
presenza di gallerie, edifici,
infrastrutture industriali, sistemi e mezzi di trasporto è
ancora rilevante e interessante. L’attività del talco è tuttora attiva in vai Germanasca
impiegando un centinaio di
minatori. La regione francese
è interessata da molteplici vestigia minerarie, legate all’
estrazione del carbone e di
metalli diversi, risalenti dall’
età del bronzo fino all’inizio
del XX° secolo.
La Comunità montana, sul
STA
Tariffe
di alberghi e
ristoranti
troppo care
L’articolo sul turismo nelle
valli valdesi, a firma Piervaldo Rostan, apparso sul numero 33 del settimanale «L’Eco
delle valli valdesi», contiene
alcune constatazioni sull’argomento senza però approfondire le cause di quello
che l’articolista definisce «un
lento declino su cui sembriamo avviati».
Come cittadino di Torre
Pellice mi sento sollecitato ad
alcune considerazioni che
tenterò di esporre qui di seguito. La vai Pellice non fa
purtroppo eccezione al resto
d’Italia, dove i prezzi sono
generalmente elevati in rapporto alla qualità dei servizi,
dove spesso il cliente avverte
una sensazione di distacco, di
scarso contatto umano, prodotti forse da un malinteso
eccesso di professionalità.
Pecche alle quali in vai Pellice (in particolare a Torre Pellice, che meglio conosco) va
ad aggiungersi la scelta fatta
dai principali albergatori di
«raffinatezza ed esclusività».
Come dire che vanno bene i
pensionati con redditi medioalti perché pagano senza badare troppo alle spese e consumano poco, e che non vanno bene le famiglie che debbono far quadrare il bilancio,
magari con marmocchi rompiscatole al seguito e che, a
pensione completa, mangiano
più di qualche trota lessa.
La scelta di stile fatta dagli
albergatori e i prezzi per i posti, i soggiorni, ecc. è chiara,
ed è ben diversa da quella fatta dai loro colleghi della vici
FONDAZIONE
DOTT. ENRICO GARDIOL
BANDO DI CONCORSO
per l’assegnazione di borse di studio per rUjniversità.
Gli studenti valdesi che intendano avviarsi agli studi
universitari per esercitare nelle Valli le professioni di
medico, notaio, avvocato, segretario comunale, possono richiedere una borsa di studio indicando:
i risultati conseguiti negli studi medi superiori
- la Facoltà universitaria prescelta
- le condizioni economiche personali e familiari
t la previsione delle spese che intendono pagare con
fa borsa di studio
Per ulteriori informazioni rivolgersi alla presidenza
del Collegio valdese di Torre Pellice, tei 0121-91260
na Francia o di altre (rare)
parti d’Italia.
Mi pare che la selezione
della clientela avvenga per
forza di cose (per quale motivo una qualunque famiglia di
Torino o di Milano dovrebbe
scegliere Torre Pellice per
soggiornarvi in estate, quando pochi chilometri più in là,
nel vicino Queyras, simile per
condizioni geografiche e climatiche, si spende meno e si
è trattati meglio?) e mi sembrano quindi inopportune le
lamentele che di tanto in tanto si levano circa la crisi di
turismo in vai Pellice da parte
di chi ne è principalmente responsabile (senza dimenticare
le colpe di altre categorie che,
al pari degli albergatori, contribuiscono a mantenere alti i
costi di vita nella nostra zona!). Perché non cercare invece di smontare un pochino
quell’immagine di esclusività
che si respira in molte strutture alberghiere, rendendo
possibile, ad esempio, un pasto completo a 25-30 mila lire
anziché a 60-70 mila, o una
pensione completa a 50-60
mila lire al giorno anziché a
quote spesso assai superiori
che raggiungono anche le 160
mila lire (mi riferisco principalmente alle strutture di Torre Pellice citate nell’articolo
di Piervaldo Rostan, più qualcun’altra che non è stata menzionata)? Altrove è possibile,
perché qui no? Forse può apparire offensivo parlare di
miopia, di individualismo e di
incapacità a coordinare un
settore importante per la nostra economia quale quello
turistico, ma a me pare non
sia così.
Sergio Franzese
Torre Pellice
Un convegno organizzato del Club alpino
L^uomo e il bosco
nelle nostre Alpi
Due minatori ai iavoro con ii
marteiio pneumatico
la base di queste considerazioni, ha deciso di organizzare un convegno internazionale che si svolgerà il 2 ottobre al teatro Piemont di Porosa Argentina. Sul confronto
fra «Esperienze di valorizzazione turistico-culturale del patrimonio minerario»
si confronteranno esperti di
vari paesi. Verranno esaminati aspetti specifici quali la
protezione, la conservazione,
l’organizzazione di attività
collaterali, la sicurezza, il
marketing, le potenzialità future del settore tenendo conto
che il progetto italofrancese è
attualmente di 700 milioni di
lire.
Convegno e progetto verranno presentati il 23 settembre alle 18, presso la sede
della Comunità montana a
Porosa Argentina.
Torre Pellice
I costi
dell'asilo nido
Le attività per i minori faticano a trovare adeguate risposte; si continua a spendere
moltissimo per gli anziani,
ma per i più piccoli spesso
mancano i fondi. Le amministrazioni di Torre Pellice e
Luserna stanno proseguendo
nella gestione dell’asilo nido
in forma associata grazie a
una convenzione che in quanto tale limita le utenze ai soli
residenti nei due Comuni.
Nel frattempo la Regione
continua a tagliare i contributi a parziale copertura delle
spese; ecco dunque che la
giunta di Torre Pellice si è
trovata nella necessità di rivedere, cioè aumentare, le tariffe di utilizzo del nido. Del resto il tentativo di far pagare
una parte significativa dei costi agli utenti è l’unica via per
mantenere un servizio ritenuto di rilevante importanza.
La nuova tariffa «normale»
prevede ora una quota fissa di
250.000 mensili più una quota di 7.000 lire al giorno in
base alle frequenze.
Sono esentate dal pagamento le famiglie con un reddito
annuo inferiore ai 6 milioni e
agevolazioni sono previste
per i nuclei familiari con più
di un bambino al nido.
Come ormai consuetudine
consolidata in questi ultimi
anni, il Comitato scientifico
ligure-piemontese-valdostano
del Club alpino italiano organizza anche per il 1993 il tradizionale convegno didatticoscieantifico d’autunno.
Dopo essere stato ospitato
negli anni passati da varie località del Piemonte e della Liguria, il convegno di
quest’anno si terrà in Valle
d’Aosta, ospite del «Centre
d’études franco-provencales
Renè Willien» di Saint Nicolas, a una decina di chilometri
da Aosta, con il patrocinio
dell’assessorato Agricoltura,
forestazione e risorse naturali
della Regione autonoma Valle d’Aosta.
Come al solito è rivolto a
operatori ed esperti naturalisti
del Cai, a insegnanti, a operatori territoriali ma anche a
tutti coloro che dell’ambiente
vogliono conoscere qualcosa
di nuovo. L’argomento che
verrà trattato, «Il bosco e
l’uomo nelle Alpi occidentali» è infatti di estremo interesse non solo per gli addetti
ai lavori e vedrà la partecipazione di relatori qualificati. Il
Corpo forestale della Valle
d’Aosta terrà una relazione su
«Evoluzione dei rapporti tra
uomo e bosco nella Valle
d’Aosta»; Alexis Bètemps
parlerà del «Bosco in Valle
d’Aosta fra magia e realtà»;
Gian Paolo Mondino interverrà sulla «Tipologia fore
stale su base ecologica per la
gestione del bosco»; Enrico
Martini affronterà con una tematica altamente specifica
«La pellicola infrarossa falso
colore nel censimento della
qualità dei boschi montani».
Angelo Molisi interverrà su
«Licheni, purezza atmosferica e salute del bosco» e Massimo Bocca su «Studio e gestione del patrimonio forestale del parco naturale Mont
Avie».Il convegno si svolgerà
il 25 e 26 settembre e il ritrovo dei partecipanti è previsto
presso l’Hôtel Saint Nicolas
sabato 25 alle 9,30La giornata di sabato sarà interamente
dedicata alla visita guidata
del Bois de la Tour, un percorso naturalistico attrezzato
anche per non vedenti, e alla
visita del museo regionale di
Scienze naturali.
La quota di partecipazione
è di 100 mila lire e comprende, oltre al materiale didattico, la pensione completa
presso l’Hôtel Saint Nicolas a
partire dal pranzo di sabato
25 fino al pranzo di domenica
26 settembre. Per ulteriori
informazioni e iscrizioni, rivolgersi alla segreteria del
Comitato scientifico Vanna
Vignola in via Restano 42 a
Vercelli (tei. 0161-214361).
INFORMAGIOVANI
VAL PELLICE
Via Roma 45 - Luserna S.
Giovanni - 0121 - 900245
spazio adolescenti
Valli Chisone e Germanasca
Corsi per operatori
turistici montani
Che il turismo legato alla
montagna, e nel nostro caso
anche alla cultura e al mondo
valdese, possa e debba avere
un futuro, lo si dice da tempo.
Finora alcune iniziative sono
state avviate ma spesso si è
trattato di episodi sporadici e
per lo più non programmati;
solo in questi ultimi anni si è
fatto qualcosa di più concreto
e qualificato.
Negli scorsi mesi si è svolto a Pinerolo un corso per accompagnatori naturalistici
che ha fra l’altro prodotto una
associazione culturale e naturalistica che vede impegnati
molti dei partecipanti al corso. Ora la Comunità montana
valli Chisone e Germanasca,
grazie al contributo della Cee
e della Regione Piemonte,
propone un corso per operatori turistici montani. Si tratta
dunque di una iniziativa rivolta in particolare a persone
che già svolgono una attività
nel settore e che intendono
approfondire alcune linee
operative e alcune piste di riflessione.
La partecipazione di uditori
è comunque consentita a tutti
gli interessati, previa iscrizione mediante gli appositi moduli in distribuzione presso le
Comunità montane della zona. Il corso è articolato in 120
ore che prevedono interventi
di numerosi docenti nei settori del marketing, legislazione,
gestione e cultura professionale nel settore turistico montano, architettura, promozione ecc. La frequenza è gratuita e per 20 partecipanti, selezionati sulla base di alcuni requisiti quali l’attività turistica
svolta professionalmente e i
titoli di studio, è prevista una
retribuzione oraria di 8 mila
lire. Le iscrizioni devono
pervenire entro il 1° ottobre;
il corso inizierà TU dello
stesso mese per concludersi
all’inizio di dicembre. Le lezioni si svolgeranno nei giorni di lunedì e mercoledì per
un totale di 8 ore, mattino e
pomeriggio.
Per ulteriori informazioni
rivolgersi alla Comunità
montana valli Chisone e Germanasca, tei. 0121-81190 e
81497.
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TEL.0122/77106'-^/^^’
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10
PAG. IV
E Eco Delle ¥vlli Iàldki
VENERDÌ 17 SETTEMBRE 1993
L'associazione Urania e le sue iniziative di sensibilizzazione
Occorre «ripulire il cielo» per
poter osservare le sue stelle
GIOVANNI PEYROT
Sabato 18 settembre, alle
21, al Bric del Colletto in
Luserna San Giovanni si tiene
una conferenza sulle costellazioni autunnali con l’osservazione del cielo ad occhio
nudo e con telescopi, proiezione di diapositive e discussione
sul problema dell’inquinamento luminoso.
L’associazione astrofili Urania, seguendo una necessità
culturale già sentita e presente
in valle da più di trent’anni, ha
intenzione di costruire un osservatorio astronomico pubblico al Bric, su una collinetta di
sua proprietà, a 550 metri sul
livello del mare. 11 problema
più preoccupante che l’Urania
dovrà affrontare in questo progetto sarà proprio quello di
proteggersi contro l’inquinamento luminoso.
La lotta contro questo fenomeno, ormai crescente e di interesse mondiale, coinvolge
molte associazioni ambientaliste nazionali e intemazionali
con le quali l’Urania è associata, come il Centro coordinamento degli osservatori
astronomici popolari italiani
(Coapi), la Commissione inquinamento luminoso
dell’Associazione astronomica italiana (Sai) e dell’Unione
astrofili italiani (Uai), la Lega
per l’ambiente e Greenpeace
Italia.
I primi lusinghieri risultati
pratici in questa lotta si sono
ottenuti negli Stati Uniti ad
opera della Dark Sky Association con sede a Tucson, in Arizona, che è riuscita a far promulgare alcune leggi suH’illuminazione pubblica a tutela
dei siti astronomici statunitensi. Anche in Italia è stato presentato, dall’onorevole Lino
Diana, un disegno di legge in
Parlamento.
Contro l’uso indiscriminato
dell’energia elettrica in Italia
ci sono state recentemente
pubblicazioni, segnalazioni e
conferenze da parte di scien
Calcio
Il Pinerolo
cede a Vercelli
In una giornata, la seconda
del campionato dilettanti girone A, in cui le squadre
ospiti hanno fatto la parte del
leone conquistando ben 11
dei 18 punti a disposizione,
l’unica squadra sconfitta in
trasferta è stata il Pinerolo.
Sul campo di Vercelli i
biancoblù hanno resistito una
mezzora, poi quando la Pro è
riuscita a organizzare meglio
il proprio gioco, per gli uomini di Cavallo c’è stato poco
da fare. In rete al 30° con
Storgato, giocatore da un certo passato in formazioni ben
più blasonate, i bianchi hanno
poi raddoppiato al 67° con
Provenzano, senza che i
pinerolesi riuscissero nel frattempo a imbastire una reazione valida. Anzi la squadra di
casa ha sfiorato più volte
ulteriori marcature.
L’occasione per il riscatto
arriverà fin da domenica, inizio ore 16, quando al Barbieri
arriverà il Bra che ha saputo
imporre lo 0-0 al Rapallo,
uscito la domenica prima dal
confronto con il Pinerolo con
un pareggio.
Un osservatorio astronomico piemontese. L’associazione «Urania»
ne vorrebbe costruire uno ai bric dei Coiletto di Luserna S. Giovanni
ziati, oltre all’allarmante comunicato della Uai: «Il cielo
del nostro paese è così inquinato da luci artificiali da impedire qualsiasi tipo di ricerca».
Il problema, oltre a colpire
l’astronomo professionista e
l’astrofilo che sarà costretto a
cercare un cielo limpido in altri paesi 0 sulla cima dei monti, maggiormente colpisce il
singolo individuo, quello che
occasionalmente guarda la sfera celeste, che viene così privato dello spettacolo naturale
più affascinante per bellezza e
per mistero.
Le strategie per debellare
questo male sono molteplici e
sono nelle mani dei singoli come delle collettività. Fra queste, c’è innanzitutto l’uso di
lampadine a vapori di sodio ad
alta 0 bassa pressione, scarsamente inquinanti e di consumo
energetico inferiore dell’80%
rispetto a quello delle lampade
a incandescenza. Poi, la schermatura per dirigere il fascio
luminoso dove serve. Sono infatti ridicoli i lampioni a globo
del nostro e di altri Comuni
che disperdono la luce verso
l’alto anziché sulla strada. Da
non dimenticare anche la
schermatura dei fari degli stadi
(la spesa aimua di energia elettrica per il solo stadio di Lusema supera i 18 milioni).
Inoltre, è un luogo comune
del tutto infondato che i malviventi girino al largo da case
o luoghi illuminati; al contrario, costituisce un deterrente
moderno e un’arma psicologica efficace il dispositivo a fotocellula che scatta illuminando la zona al passare di un
estraneo. Sarebbe anche importante istituire delle «zone
di rispetto» attorno agli osservatori astronomici e nei parchi
naturali in cui sia tutelata l’integrità del cielo notturno alla
pari del paesaggio terrestre. In
tutto il mondo e anche in Italia
stanno sorgendo, a cura dei
vari gruppi astrofili, i cosiddetti «parchi delle stelle», nei
migliori siti astronomici, con
attrezzature atte all’osservazione del cielo.
Infine, sono indispensabili
la sensibilizzazione della popolazione e delle autorità pubbliche con la collaborazione
dei responsabili Enel per un risparmio energetico, e la promulgazione di leggi appropriate per vietare fasci luminosi di
discoteche o altri abusi.
La battaglia, indetta per la
prima volta in Italia con la
giornata del 18 settembre,
non è indirizzata certo contro
il progresso o la tecnologia,
né tanto meno contro l’interesse e le necessità della vita
sociale, ma viene sollecitata
per impiegare meglio e senza
sprechi l’energia elettrica con
indubbio risparmio, oltre al
rispetto di quel patrimonio
naturale che, quali uomini di
buon senso, dovremmo conservare per il nostro bene e
per il bene delle generazioni
che verranno.
Tennis tavolo: i tornei estivi
Verso il nuovo anno
Nel periodo estivo (i campionati sono ormai alle porte),
i pongisti della Polisportiva
Valpellice si sono mantenuti
in ailenamento partecipando a
numerosi tornei, conseguendo
risultati anche assai validi. Ne
sono la prova le posizioni assunte nella nuova classifica
individuale regionale redatta
in questi giorni: i fratelli Sergio e Giuliano Ghiri e Marco
Malano sono saliti nel terzo
livello regionale, Gino Piras è
terzo fra i non classificati,
Davide Gay è il numero 4
della seconda categoria. Paolo
Rosso 13° nella prima e Gaiofaro, neo acquisto per la serie
C, 18°.
A livello amatoriale Erik
Belloni, tornato a giocare dopo due anni di inattività a
causa di un incidente, si è aggiudicato i tornei di Rinasca,
Paesana e Torre Pellice; in
quest’ultima occasione è
giunto secondo Enrico Gay.
A Bobbio Pellice si è svolto il
torneo Fidas con successo,
fra gli amatori, di Marco Pallavicini su Massimo Battaglia
e di Francesco Ghiri su Simone Amoulet fra gli under 14.
Infine domenica scorsa Davide Gay si è aggiudicato il
prestigioso trofeo «Gittà di
San Mauro».
Sabato 18 settembre parte
intanto il campionato di serie
G: la Valpellice sarà in trasferta ad Aosta.
Venerdì 17 settembre LUSERNA SAN GIOVANNI: Alle 20,45, nella chiesa
del S. Guore, gli organisti
Walter Gatti, Fabio Bonino e
Silvio Sorrentino presenteranno un programma musicale dal titolo «Dalle origini a J.
S. Bach».
Domenica 19 settembre PINEROLO: La Gantarana e
il gruppo per l’Alternativa organizzano, alla Fontana ferruginosa, la festa dell’equinozio
d’autunno. Suonano La cantarana e Lou Senhal; inizio
ore 15,30.
Domenica 19 settembre TORRE PELLICE: 11 Grup
d’assion piemonteisa vai Pelis organizza una gita ad Alagna Valsesia, per un incontro
con i Walser, con partenza alle 7 del mattino; per informazioni telefonare al 012191696.
Domenica 19 settembre PRAROSTINO: Si svolgerà
la quarta edizione della Coppa Alpi occidentali di ski roll.
Sabato 25 settembre TORRE PELLICE: Alle 21,
presso il salone Opera gioventù di via Al forte gli Amici del Collegio presentano lo
spettacolo di cabaret Carosello; verranno raccolte offerte per una borsa di studio in
ricordo di Sergio Charbonnier e Marco Pontet.
Cinema
TORRE PELLICE — 11 cinema Trento ha in programma
per venerdì 17 settembre alle
21,15 e sabato 18 alle 20 e 22,10
Lezioni di piano di Jane Campion; domenica 19 settembre alle
20 e 22,10 e lunedì 20 alle 21,15
Robocop 3.
BARGE — 11 cinema Comunale ha in programma per giovedì 16 Giochi di potere; venerdì 17 Magnificat; sabato 18
Biade runner; domenica 19
Bella pazza e pericolosa; martedì 21 Le avventure di Peter
Pan e mercoledì 22 Una città
della gioia. Tutti gli spettacoli
hanno inizio alle 21.
PINEROLO — 11 cinema Italia ha in programma per giovedì
16 alle 20 e 22,20 Pomodori
verdi fritti; da venerdì 17 Jurassic Park, feriali alle 20 e
22.20, sabato alle 20 e 22,30 e
domenica alle 15, 17,30, 20,
22.20.
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DOMENICA 19 SETTEMBRE
Rinasca: Farmacia Bertorello - via Nazionaie, 22 - tei.
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Croce verde, Perosa: tei. 81100
Croce verde, Porte ; tei. 201454
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CRI - Torre Pellice, tei. 91996
Croce Verde - Bricherasio, tei.
598790
L’Eco Delle Valli Valdesi
Via Pio V, 15-10125 Torino
Tel. 011/655278
Reg. Tribunale di Pinerolo
n. 175/60
Resp. Franco Giampiccoli
Stampa:
La Ghisleriana Mondovì
Spedizione in abb. post.
Gr 2A/70
COMUNE DI PINEROLO
PROVINCIA DI TORINO
Ai sensi dell'art.6 della legge 25 febbraio 1987, n. 67 si pubblicano i seguenti dati relativi al
bilancio preventivo 1993 e al conto consuntivo 1991 ' :
I) Le notizie relative alle spese sono le seguenti:
(in migliaia di lire)
ENTRATE SPESE
DENOMINAZIONE Hrcvitiuni di enmpeienza du bi lancio ANNO JWI Aceerumenli da conio consuntivo ANNO IWI
- Avanzo d'amministrazione
• Tributarie 8.56().IKX) 6.638.052
• Contribuii c irasfcrimcnii 20.6.18.583 20.445.530
(dicui dallo Slato) 19,449.286 19.256.242
( di cui dalle Regioni) 1.112.298 1.071.310
- Exlrairibularie 4.708.910 3.311.971
(di cui per proventi di servizi pubblici) 3.066.000 2.037.213
Totale di entrate di pane corrente .13.907.491 30.395.55.1
• Alienazione di beni e irasferimcnii 8.512.000 6.286.623
(di cui dallo Stato) 1.100.(K)0
1 di cui dalle Regioni)
• Assunzione di prestili 18.820.000 3.180.106
( dicui pcraniicipazionidi tesoreria) 2.000.(KX)
Totale entrale conto capitale 27. 332.000 9.466.729
- Partile di giro .5.327.045 3.661.942
Totale 66.566.5.18 43.526.224
- Disavanzo di gestione 1.43.1.4.59
TOTALE GENERALE 66.566.538 44.9.59.681
DENOMINAZIONE Previsioni di competenza da bilancio ANNO 1991 Accertamenti da conto consuntivo ANNO IW1
- Disavanzo d’amministrazione
• Correnti 30.961.427 28.334.608
- Rimborso quote di capitale per mutui in ammortamento 3.199.066 .1.094.404
Totale spese di pane corrente .14.162.493 31.429.012
- Spese d’investimento 25.077.000 9.866,729
Totale spese in conto capitale 25. 077.000 9.866.729
• Rimborso anticipazioni di tesoreria cd altri 2.000.000
Partite di giro 5.327.045 3.661.942
Totale 66.566.5.18 44.959.68.1
• Avanzo di gestione
TOTALE GENERALE 66.566.518 44.9.59.681
2) la classificazione delle spese correnti e in conto capitale, desunto il consultivo, secondo
l'analisi economico funzionale è la seguente
(in migliaia di lire)
Ammin.gen. Isiruz. cultura Abitazioni Attività sociali Tiusporti Attività economiche TOTALE
• Personale 4.655.540 3.46.5.215 1.918.136 208.741 10.247.632
- Acquisto beni e servizi 2.111.199 2.591.310 3.445.024 1.170.460 328.025 9.646.018
- Interessi passivi 909.536 509.675 .555.178 1.542.976 769.412 74.944 4.361.721
- Investimenti effettuati dirett. daU'amm. 930.714 1.991.000 .5.434..178 9.50.000 155.164 9.461.056
- Investimenti indiretti 20.000 20.000
TOTALE GENERALE 8.626.989 8.557.200 5.989.3.56 7.856.136 2.303.777 402.969 33.736.427
3) la risultanza finale a tutto il 31 dicembre 1991 desunta dal consuntivo:
(in migliaia di lire)
-Avanzo/Disavanzo di amministrazione dal conto consuntivo dell'anno 1991 -^L. 1.054.006
-Residui passivi perenti esistenti alla data di chiusura del conto consuntivo dell'anno 1991 - L. 351.717
-Avanzo/Disavanzo di amministrazione disponibile al 31 dicembre 1991 L. 702.289
-Ammontare dei debiti fuori bilancio comunque esistenti e risultanti dalla elencazione allegata al conto
consuntivo dell'anno 1991
4) le principali entrate e spese per abitante desunte dal consuntivo sono le seguenti abitanti al 3I.I2.I99I: 35.202
(in migliaia di lire)
Entrate correnti L. 863 , Spese correnti L.893
di cui: di cui:
- tributarie L. 189 - tributarie L. 345
- contributi e trasferimenti L. 581 - contributi e trasferimenti L. 283
- altre entrate correnti L. 93 - altre entrate correnti L. 265
Pinerolo 14.06.1993 Il SINDACO
1 ) 1 dati si riferiscono atl'idlimo consuntivo approvalo Livio Trombotto
11
\/FNERDÌ 17 SETTEMBRE 1993
Attualità
PAG. 7 RIFORMA
La Conferenza delle chiese europee a Budapest
I diritti umani delle minoranze
pasquale castelluccio
Nel suo recente appuntamento di Budapest, dal 2
al 7 settembre ’93, la Conferenza delle chiese europee ha
ampiamente dibattuto il problema dei diritti umani delle
minoranze.
I diritti umani sono in pericolo: essi vengono calpestati
anche da quei governi che si
sono sempre espressi a loro
favore. Alle organizzazioni
internazionali e istituzioni
non governative, accanto alle
quali si collocano le chiese
(sebbene anch’esse talvolta
minoranze), riesce molto difficile intervenire al fine di affermare nei vari contesti storico-sociali i diritti dei popoli.
Credere nella validità di
una singola nazione-stato ha
prodotto un potenziale per
conflitti violenti nel momento
in cui i gruppi di minoranza
non si sentono adeguatamente
rappresentati e difesi. Riconoscendo che ogni situazione
di minoranza ha una sua caratteristica, è necessario esaminare i valori fondamentali
per poter trovare strategie atte
a mantenere la pace in Europa. Strategie per la prevenzione di conflitti possono includere lo sforzo di strutture pluralistiehe fra gli stati, favorendo comprensione fra maggioranze e minoranze, producendo meccanismi per una
migliore comprensione del
potere formale, permettendo
procedure di autentica denuncia e stabilendo leggi antidiscriminazione. Nel momento
in cui i conflitti scoppiano,
essere in possesso di meccanismi che possono garantire
effettivi canali di comunicazione diventa essenziale.
Quando l’ostilità diventa violenza, la soluzione del conflitto diventa impossibile.
Trattando problemi di minoranze non è possibile focalizzarsi su diritti storici, dato
che ci sono tante storie quante sono le parti in conflitto.
Ergersi a giudice di ciò che è
«giusto» o «sbagliato» nella
storia passata, conduce semplicemente a ulteriori scontri
e ingiustizie.
Ci sono dei diritti umani
basilari che appartengono a
ogni persona. Molti gruppi
operativi credono che tali diritti individuali siano un fondamento ottimale per venire
incontro alle esigenze delle
minoranze. Altri credono che
discutere sui diritti umani del
La piazza Mosca, nel cuore di Budapest
le minoranze sia un mettere in
rilievo disuguaglianze fondamentali che vanno riviste collettivamente, come l’assistenza sanitaria, il diritto al lavoro, l’educazione nella propria
madre lingua, ecc. Inoltre, disparità economiche negli stati
e fra gli stati, spesso contribuiscono a trattare le minoranze in modo oppressivo.
Valori cristiani fondamentali,
come l’amore del prossimo,
nella loro universalità trascendono le differenze etniche, sociali o nazionali. Alcuni vedono il ruolo delle chiese
in situazioni conflittuali come
quello di «naturali costruttori
di ponti». Comunque, una
riaffermazione dell’impegno
religioso in un contesto di
azione sociale e politica va ridiscussa in quanto alcuni non
sono a favore di uno sviluppo
che coinvolga le chiese in organizzazioni politiche. Come
risultati di insicurezza politica
e sociale, alcune chiese riaffermano valori più fondamentalistici che rendono il dialogo più difficile.
Attualizzare i valori cristiani è una sfida particolare per
quelle chiese che hanno storicamente forti legami con una
nazione, paese, cultura, lingua. In certe situazioni c’è il
pericolo di abusare della fede
per interessi nazionalistici.
C’è anche la tendenza di alcune chiese a mancare di
comprensione verso altre
chiese e altre fedi che rappresentano minoranza.
Le chiese occidentali potrebbero svolgere un ruolo
particolare, offrendo perizia e
conoscenza circa temi come
libertà, democrazia e diritti
umani a quelle chiese che
cercano di inserirsi in situazioni di veloci cambiamenti
politici, come nell’Europa
Nella collana «Studi storici» è uscito.
Fulvio Ferrarlo
U «SACRA ANCORA^
Il principi scritturale
nella Rifoiiia zwlngliana ,
(1522-1525)
pp. 314, £42.000
Gli anni decisivi della Riforma europea sono
attentamente ricostruiti sulle, fonti coève,
concentrando Tattenzione in particolare sulla comprensione del principio Sola Scrìptura cioè sul ruolo fondamentale svolto
dall’appello al principio scritturale: solo la
^sacra Scrittura è la fonte della teologia e
della prassi della chiesa.
dell’Est. Osservatori ecclesiastici potrebbero essere inviati in aree di conflitto, ed
informazioni potrebbero essere estese alla conferenza per
la sicurezza e la cooperazione
in Europa, e particolarmente
all’alto commissariato per le
minoranze nazionali.
Le chiese hanno una particolare responsabilità nel promuovere mutua comprensione fra gruppi di maggioranza
e minoranza. Esse sono chiamate ad esprimere un forte
messaggio in processi di riconciliazione, mutuo riconoscimento e coesistenza
pacifica fra gruppi, assumendosi concreta responsabilità
nell’iniziare e incoraggiare risoluzioni di tensioni fra, o
con, gruppi di minoranza.
Tutto ciò che ha a che fare
con le minoranze è inglobato
nella dinamica storica, linguistica, politica ed economica
di particolari stati. Per poter
applicare quei principi proposti da questa conferenza
sono necessari gruppi di lavoro regionali e consultazioni
per ogni aggiornamento sulle
iniziative relative alle minoranze in quelle aree, raccomandando passi concreti per
la soluzione di tensioni emergenti da quelle realtà.
Cattolici europei
No al piano
per la Bosnia
Praga. Siamo a un nuovo
corso dei cattolici in Europa.
Questa è l’impressione dei
giornalisti che hanno seguito
a Praga, dal 6 all’11 settembre, il «Simposio dei vescovi
europei», la prima assemblea
dei vescovi cattolici dopo il
1989.
L’assemblea, presieduta
dall’arcivescovo di Praga
Vlk, aveva come scopo quello di stabilire le linee di azione future del Consiglio delle
conferenze episcopali europee, un organismo che raggruppa tutte le Conferenze
episcopali cattoliche dall’Atlantico agli Urali.
I vescovi hanno notato con
piacere che «un nuovo slancio missionario» sta attraversando le chiese dopo la caduta del muro di Berlino. E si
sono fatti numerosi esempi di
missionari che vanno nei paesi dell’est.
Sul piano più strettamente
politico il Simposio ha
espresso il parere negativo al
piano di pace di Ginevra per
la spartizione della Bosnia.
«Non possiamo accettare hanno detto i vescovi - che la
forza dell’aggressione prevalga sul diritto dei singoli, delle
famiglie, dei gruppi etnici e
religiosi. In Bosnia muore il
concetto stesso di Europa e di
una comunità fondata sul diritto» Per questo il Simposio
si è impegnato a sostenere le
iniziative di pace del Papa,
ma anche quelle ecumeniche
della Conferenza delle ehiese
europee (Kek) e del Consiglio ecumenico delle chiese.
Sul piano organizzativo il
Simposio ha discusso una
proposta di trasferimento della sede da San Gallo, in Svizzera, a Praga, ma alcuni preferirebbero il trasferimento a
Roma. In ogni caso le Conferenze episcopali nazionali
sembrano decise a rafforzare
questo organismo.
RIPRESA POLITICA
LA MATURITÀ
DELLE MIGRAZIONI
ALFONSO MANOCCHIO
La ripresa della politica
non può dimenticare il
problema dell’immigrazione
in Italia. Specialmente dopo la
brutta figura del governo rispetto al milione di irregolari e
all’ingloriosa fine del decreto
legge sugli stagionali. Il fenomeno è grosso e interessa tutti
i paesi a sviluppo avanzato,
verso i quali si dirigono per la
sopravvivenza milioni di lavoratori provenienti dal Terzo
Mondo; non riesce a vederlo,
come del resto l’insieme delle
contraddizioni dell’industrializzazione e della tecnologia,
se non nel grande orizzonte
della riapertura della storia del
mondo al futuro e della ripresa
del cammino dei «grandi racconti di liberazione».
Si può essere d’accordo con
quanti parlano di schiavi del
XX secolo, per i quali nel nostro tempo la parola, la lotta e
la morte di Martin Luther
King e il carcere di Nelson
Mandela hanno iniziato la stagione della liberazione. La
collocazione in questo solco
di speranza e la fede nella
chiesa di Cristo in quanto manifestazione del «carattere
messianico delle liberazioni
storiche degli uomini oppressi
e sofferenti»' offrono forti
spinte a guardare dentro ai fenomeni e ai problemi quotidiani che ne derivano e possono aiutare nella ricerca degli
strumenti e a sfuggire alla
trappola burocratica e della razionalizzazione.
Se scendiamo nel concreto
ci rendiamo conto che la legge
Martelli non ha funzionato
proprio nei due aspetti che
avrebbero dovuto qualificarla:
la razionalizzazione dei flussi
migratori e l’integrazione degli immigrati. E non ha fun
Convegno di donne europee al Centro di Boldern, in Svizzera
Identità femminile e monocultura
maschile nella nuova Europa
R:" , VIA PRINCIPE TOMMASO, 1-10125 TORINO
L V Í r TEL. 011/668.98.04 - C.C.P. 20780102
ANTOINETTE STEINER KRIEG
Il Centro di studi delle
chiese riformate svizzere
«Boldern», vicino a Zurigo,
ha organizzato un incontro di
donne a livello europeo in
collaborazione con il Forum
delle donne. Boldern è conosciuto per il suo lavoro femminista già dagli anni Cinquanta, quando la signora
Marga Biirihg (che fa parte
del Consiglio ecumenico) è
stata la sua presidente per
molti anni, seguita da
Reinhild Traitler e Gina
Schibler.
Nel primo pomeriggio di
questo seminario, che è durato una settimana, sotto la
guida di un’esperta, noi centoventi donne ci siamo incontrate attraverso un ballo
che ci ha permesso, in maniera molto efficace ed elegante, di conoscere le diversità delle partecipanti. Sarebbe stato impossibile riuscire
in questo attraverso un discorso introduttivo. Quel prato verde del nostro ballo iniziale, con vista sulle montagne e sul lago di Zurigo, è diventato la palestra mentale
dei nostri incontri e delle di
scussioni interpersonali della
settimana.
Le relazioni mattutine sulla
sociologia, la giustizia, l’ecologia e la linguistica si sono sempre basate sul tema
dell’identità femminile. A seguito delle relazioni si sono
formati piccoli gruppi di discussione composti da donne
di diverse nazionalità per
portare in «plenum» i risultati delle loro riflessioni. Una
giornata intera è stata dedicata alle otto donne dell’ex Jugoslavia presenti. Una
rappresentante dell’organizzazione «Women in black» e
una coordinatrice di un’organizzazione chiamata «The
Humanitarian Law Fund»,
che raccoglie dati sui reati di
guerra, hanno raccontato del
loro impegno. Tutte queste
donne, di appartenenza etnica
diversa, si esprimevano con
una stessa voce: «Non vogliamo la guerra». Il loro faticoso e coraggioso impegno
di alleviare le ferite fisiche e
psicologiche causate dalla
guerra fra i loro popoli, ha lasciato noi donne dell’Ovest
sconcertate. In un documento
finale abbiamo espresso la
nostra solidarietà con le don
ne della Bosnia, Croazia e
Serbia chiedendo fra l’altro
che sia aggiunto alla Convenzione di Ginevra un articolo
distinto che riconosca la violenza carnale come crimine
di guerra, e che nella commissione e tribunale dell’Onu
ci sia una rappresentanza
maggiore di giudici donne.
In questa settimana di storie di donne si sono individuate le preoccupazioni comuni per l’aumento di
nazionalismo e confessionalismo nei paesi delle partecipanti. Si sono scambiati indirizzi e presentati modelli di
organizzazioni e «networks»
che lavorano sui temi del
femminismo, la pace, l’ecologia, la giustizia, l’ecumenismo e il razzismo. Questa
settimana intensa di amicizie
nuove, formate nei gruppi di
discussione e animazione,
trovandoci insieme nel canto,
la pittura, il ballo e la meditazione, è stata un’esperienza
unica. Il nostro ultimo ballo
sul grande prato è stato un
addio alla nostra unità nonostante la diversità, con ritrovato coraggio e solidarietà
per il ritorno alla propria destinazione e impegno.
zionato perché i presupposti
giuridici sono mutuati dal passato mentre il mondo è cambiato, creando spazi di liberazione per le identità, per le
idee e facendo venir meno
l’obbligo di schierarsi. Gli uomini si pensano diversamente.
Quante volte gli immigrati
inveiscono contro le questure,
contro la legge e contro l’Italia! C’è qui una insistente richiesta di giustizia. L’immigrato non si considera più solo
uno che produce e guadagna
(homo oeconomicus), ma agita
istanze sociali e politiche. Di
questa maturità non si può non
tener conto in una revisione
della legge, la quale sbaglia se
si ispira più alla compatibilità
economica nell’accordare il
permesso di soggiorno e meno
al diritto di cittadinanza, orientata al riconoscimento della
parità dei diritti e dei doveri.
Se il fulcro delle politiche migratorie è, come ora, la difesa
della torta del benessere, non
ci saranno grosse novità neppure nella parte politica, dove
ci si aspetterebbe sensibilità
diverse; se al contrario funzionerà il principio della cittadinanza, essa porterà con sé
un corredo di idee volte al
cambiamento e al suggerimento delle strategie dell’integrazione. Ognuno capisce che
senza integrazione il quadro è
occupato dallo stigma della
precarietà, che stringe tutti i
lati della vita dell’immigrato.
La diversità ghettizzata, specialmente nel caso degli irregolari, è un notevole incentivo
a comportamenti di clandestinità, che quando diventa una
dimensione sociale di un certo
spessore produce preoccupazioni, paure e tensioni nelle relazioni sociali e in rapporto alle istituzioni. È qui che si annidano alcuni presupposti del
razzismo. La considerazione
dell’importanza, della diversità, oltre che corrispondere a
tratti salienti della cultura
europea, è talmente necessaria
che il perseguimento dell’uguaglianza per gli immigrati
nelle società occidentali può
anche chiamarsi rispetto e
conservazione della diversità.
La specularità tra le due categorie sociali dell’uguaglianza
e della diversità certamente
può suggerire al legislatore e
all’operatore sociale una gamma di interventi corrispondenti
all’ampiezza del fenomeno
migratorio.
L’attuale maturità dell’immigrazione, che salta più di
una fase del vecchio progetto
migratorio del lavoratore migrante^ pone delle domande
nuove anche alle chiese e alla
loro diaconia. La ricchezza di
spunti presenti in questa concettualizzazione è tale che
ogni intrapresa di servizio può
attingervi dosi notevoli di
qualificazione. E comunque
quello che avviene e quello
che non avviene nell’immigrazione in Italia certamente suggerirà al nostro Srm (Servizio
rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia) una nuova fase di
intervento, che potrebbe voler
dire anche un raccordo più
stretto con la periferia. E importante guadagnare in consenso e in forza di intervento
in vista della liberazione e della felicità di nostri fratelli.
(1) J. Moltmann, Che cos’è
oggi la teologia?, Queriniana,
1991.
(2) M. I. Macioti - E.
Pugliese, Gii immigrati in
Itaiia, Laterza, 1991.
12
PAG. 8 RIFORMA
m
VENERDÌ 17 SETTEMBRE iggcj
Un libro di Beniamino Placido
Quello che la Tv
non potrà mai dire
PAOLO T. ANGELERI
La televisione: strumento
diabolico, a cui va attribuita ogni insufficienza spirituale del nostro tempo o benefico occhio magico che ci
consente di penetrare il mondo? «Se andassi a parlare in
una scuola di Assisi (...) - argomenta Beniamino Placido
in un suo recente saggio* —
direi ai ragazzi: una troupe
televisiva che venisse qui potrebbe riprendere e mostrare
cose egregie. Le vostre chiese, con le loro facciate. E anche le vostre strade attorcigliate che fiaccano il turista.
E anche le facce mistico-terrigne degli abitanti. Ma ci
vuole un D’Annunzio per dire cosa c’è dietro: quelle facce, quelle strade, quelle facciate» (p. 94).
Ecco, il saggio di Placido è
tutto qui, in questa domanda:
«Che cosa c’è dietro quello
che la televisione sa e può
mostrare?». Per penetrare
nell’intimo del reale e
dell’uomo questo mezzo non
basta, ci vuole la perizia dello scrittore, di un Cechov, per
esempio; i suoi racconti, in
particolare La signora col cagnolino, a cui allude il titolo
del saggio, servono a rivelare
l’aspetto segreto, il «doppio»
nascosto delle cose: non necessariamente il «peggio»,
anzi qualche volta il meglio.
Certo, può esserci anche un
doppio malvagio, quello analizzato dalla letteratura gotico-nera e da Stevenson (Lo
strano caso del dottor Jekyll e
del signor Hyde), per esempio.
La storia del «doppio» è
antica come il mondo, come
l’uomo, e la Bibbia ce lo conferma. E a questo punto Placido si abbandona a una digressione filologica sul kecharitoméne (Luca 1, 28:
Maria non «gratia piena», ma
solo riempita, favorita dalla
grazia: ma i protestanti non
dicono questo da secoli?) e
sul «ricino» di Giona.
Kikaión: «una parola che appare una volta sola nella Bibbia. Va a capire che significa
(...) non ci sono riscontri» (p.
Domenica 19 settembre —
VERONA: Con inizio alle 13,30
si svolge la manifestazione «Arena 5», organizzata dal movimento «Beati i costruttori di pace»,
sul tema Quando l’economia
uccide... Bisogna cambiare. Sono stati invitati il vescovo De
Souza (Benin), E. Dussel, S.
George, M. Gorbaciov.
68), Nel testo originario mancavano le vocali, kikaión si
scriveva “kkn”. Sono stati i
Masoreti a indicarle con i
puntini: «Prova a sostituire
(..,) dei puntini diversi da
quelli messi (arbitrariamente?) dai Masoreti: e non avrai
più Kaión, avrai Kain, Caino.
Altro che ricino: quella era la
pianta di Caino (...) Il Signore voleva dire a Giona: tu sei
proprio un Caino, con la tua
fissazione: bisogna distruggere Ninive (...) Che cosa ti
ha fatto la città di Ninive?
L’ho perdonata io, non la
puoi perdonare anche tu?»
Ecco, Caino è dunque il
«doppio», quel doppio che la
televisione non è in grado di
rivelare.
Altri, e numerosi, sono i
limiti di questo mezzo di comunicazione: noi riteniamo
di dominarlo con il telecomando, di potergli chiedere
ciò che vogliamo; e^ invece
ne siamo soggiogati. È un occhio simile a quello di Dio:
ma mentre Dio ci guarda
all’alto, ci scruta, ci riconosce, ci individua, ci dà identità e nome, senza lasciarsi
guardare - Mosè quando tenta, ne rimane «abbruciato» e
il suo volto appare perciò
splendente - la televisione
(onnipotente, onnisciente come Dio) ne è in realtà l’opposto: ci dà l’illusione di lasciarsi guardare, ma non ci
guarda, non ci chiama per
nome, non ci dà identità. Dovremo dunque aver coscienza che al di là del suo schermo esiste altro, una «realtà
“doppia” e tortuosa» («le tue
“tortuosità desiderose” o Assisi», come appunto sa dire
D’Annunzio, ma non la televisione).
Nonostante le citazioni, le
digressioni e l’erudizione.
Placido si dimostra attento
alle esigenze nostre, di semplici suoi lettori. NeH’ultimo
capitolo, una speciale bibliografia è destinata proprio a
noi: un riferimento a libri,
tutti godibili, tutti apprezzabili, per aiutarci a andare oltre, a scoprire ciò che sta al
di là delle apparenze, nel segreto di ogni uomo, nella sua
relazione con il suo doppio,
con Dio e... con la televisione. È inutile nasconderlo: dopo pagine così belle, il vuoto
e il rimpianto, che Placido ha
lasciato nei lettori di Repubblica (il giornale a cui ha collaborato per anni come critico televisivo, incarico da cui
ha chiesto di recente di essere
sollevato per un periodo di
congedo), risultano essere
ancor più evidenti...
(*) Beniamino Placido: La
televisione col cagnolino. Bologna, Il Mulino, 1993, pp 134, £
15.000.
Una nuova edizione del pregnante saggio del filosofo ebreo scomparso quest'anno
Dopo l'orrore di Auschwitz: per Hans )onas
Dio ha perso la propria onnipotenza
TIZIANO SGUAZZERÒ
La II edizione accresciuta
de II concetto di Dio dopo Auschwitz* di Hans Joñas
(1903-1993) presenta un motivo di particolare interesse:
racchiude infatti una delle ultime testimonianze lasciateci
dal grande filosofo tedesco di
origine ebraica, un discorso
pronunciato in occasione del
conferimento del Premio Nonino 1993, in cui affronta il
tema del razzismo che nell’antisemitismo e nell’olocausto
degli ebrei in nome della razza trovò una delle espressioni
più inquietanti e inquinanti
dello spirito della civiltà occidentale. Le diversità razziali
implicano inevitabilmente per
Joñas antagonismo, tensioni e
«un certo automatismo razzista». Dobbiamo tuttavia, posti
di fronte a tensioni di questo
genere, fare meglio di quanto
si sia fatto in passato nella
consapevolezza che il genere
umano deve combattere unitariamente la grande sfida posta
dai pericoli che minacciano
l’integrità della natura extra
umana e la stessa presenza
dell’uomo nel mondo.
Ma ciò che succede nella
ex Jugoslavia, il sistema dei
campi di concentramento, la
pulizia etnica, lo stupro
preordinato di massa delle
donne musulmane bosniache
ci riportano da queste considerazioni di carattere più generale sulla condizione umana nell’era della civiltà tecnologica, analizzata in profondità nel capolavoro della tarda maturità di Joñas II principio responsabilità (Einaudi,
1990), alla brutalità nazista
nei confronti degli ebrei, alla
situazione del ghetto di Varsavia, a quell’evento nella
storia del mondo che ha nome
Auschwitz.
Nel breve scritto di teologia
speculativa (considerato «una
delle espressioni più belle della teologia negativa ebraica»)
suggerito a Joñas da quell’
esperienza dello sterminio degli ebrei che segna uno spartiacque fra quanto si colloca
prima e quanto si colloca dopo Auschwitz, Dio stesso è
chiamato in causa. E non soltanto in relazione al problema
dell’esistenza del male nel
mondo, a tutto ciò che di spaventoso «gli uomini sono in
grado di commettere verso i
loro simili». La morte a Auschwitz di un bambino per impiccagione, «l’angelo dagli
occhi tristi», evocata da Elie
Wiesel nel romanzo La notte,
fa sorgere in uno dei prigionieri la domanda: «Dov’è
dunque Dio? - E io sentivo in
me una voce che gli rispondeva: - Dov’è? Eccolo: è appeso
lì, a quella forca!».
L’assassinio di «bambini
che non possedevano ancora
l’uso della parola», il destino
di annientamento totale del
popolo dell’alleanza e dell’
elezione in nome della diversità razziale e non della unicità della fede professata, la
sottrazione di ogni dignità
umana agli internati nei campi
di sterminio, costringe anche
Joñas a porre la domanda:
«Ma quale Dio ha permesso
che ciò accadesse?».
Chi non intende rinunciare
al concetto di Dio, secondo il
filosofo tedesco, «deve cercare questo concetto in modo
del tutto nuovo e cercare una
nuova risposta all’antico interrogativo di Giobbe». Il tentativo di risposta di Joñas utilizza
il mito, una forma di espressione del pensiero che lo stesso Platone ritenne di dover
impiegare per i temi che sovrastano le capacità discorsive
dell’uomo. Il mito a cui fa riferimento il pensatore ebreo è
quello «dell’esser-nel-mondo
di Dio»: Dio si è privato della
propria integrità divina a vantaggio del mondo e potrà riavere la pienezza dell’essere
divino soltanto nel divenire
cosmico-storico. L’eternità
viene vissuta nella dimensione
del tempo e l’immagine di
La riflessione di Hans Jonas fa riferimento anche ai romanzi dei premio Nobei per ia pace Eiie Wiesel
Dio è quella di un «Dio che si
cala nel tempo». Si tratta di
un’idea di Dio antitetica rispetto a quella del pensiero
classico (greco-ellenistico) ma
non, a giudizio dell’autore, rispetto allo spirito e alla lettera
della Bibbia.
Dio viene «toccato» da ciò
che accade nel mondo. A partire dalla stessa creazione, chè
muta radicalmente la sua condizione, Dio è posto in relazione con il mondo. È un Dio
sofferente, «che si sente ignorato e misconosciuto dall’uomo» e che patisce per la delusione che gli ha procurato. È
un Dio che «si prende cura»
della creazione e delle creature senza che questo implichi
un suo intervento diretto nel
mondo. Proprio perché «ha
fatto intervenire altri attori» e
ha affidato ad essi la responsabilità delle cose del mondo
nella dimensione della temporalità, possiamo comprendere
e accettare l’imperfezione del
mondo. Dobbiamo tuttavia
ammettere che «questo non è
un Dio onnipotente» e non
può esserlo sia per la contraddittorietà del concetto di onnipotenza (una potenza totale,
assoluta, non ammette nessun
oggetto su cui esercitare la
propria azione e pertanto nega
se stessa) sia per una ragione
di carattere religioso.
Dopo Auschwitz, di fronte
alle crudeltà inaudite che alcune creature commisero a danno di altre indifese e innocenti
Dio, per conservare il carattere di bontà assoluta, deve rinunciare all’onnipotenza: «Il
male c’è solo in quanto Dio
non è onnipotente». Dio tacque a Auschwitz, non intervenne. Non poteva farlo,
avendo «abdicato a ogni potere di intervento nel corso fisico del mondo» e concesso la
libertà all’uomo. Il concetto di
Dio che Jonas ci presenta in
questo frammento di teologia
filosofica è pertanto quello
ebraico che contempla la creazione del mondo dal Nulla. Al
tempo stesso Jonas sottolinea,
differenziandosi dalla più antica dottrina dell’ebraismo e
manifestando singolari affinità
con concetti cosmogonici della Kabbalah di Luria, l’autolimitazione del principio divino
che, in tal modo, garantisce
resistenza e l’autonomia del
mondo. «Dopo essersi affidato
totalmente al divenire del
mondo, Dio non ha più nulla
da dare: ora tocca all’uomo
dare ... che Dio [non] abbia a
pentirsi di aver concesso il divenire del mondo».
(*) Hans Jonas: Il concetto di
Dio dopo Auschwitz. Una voce
ebraica. Il ed. Genova, Il Melangolo, 1993, pp 49, £ 10.000.
Budapest: un seminario internazionale che si è occupato anche di guerre e immigrazione
A confronto con la sociologia della religione
_______EUGENIO STRETTI_______
eligione, cultura e
■^JV. identità» è il titolo
del convegno della Società
internazionale di sociologia
della religione (Sisr) che si è
tenuto a Budapest dal 18 al
23 luglio. Il tema del convegno rispecchia un’esigenza
molto sentita oggi nell’ambito degli studi di religionistica
e cioè il rapporto tra religione, contesto culturale e identità dei popoli.
La Sisr è nata nel 1948
presso l’Università cattolica
di Lovanio, ad opera di alcuni
religiosi cattolici. Col tempo
la società si è allargata ecumenicamente ad altre realtà e
a Budapest erano presenti circa duecento studiosi di matrice cattolica, protestante e di
altre religioni universali.
Nelle sedute plenarie sono
emerse diverse tematiche interessanti. Segnaliamo la relazione presentata dal sociologo italobrasiliano Roberto
Motta, sulla religiosità in
Brasile, dove è emersa la
commistione fra la religiosità
naturale e la confessione di
fede. Altro tema affrontato è
stato quello di guerra e identità, con particolare riferimento alla ex Jugoslavia, dove è emerso il gioco dei ruoli
in rapporto all’identità confessionale, e si è sottolineato
ancora una volta che non è
possibile classificare questa
guerra come guerra di religione.
Un altro tema che ci riguarda da vicino, sempre affrontato in sessione plenaria, è
quello dell’emigrazione in
contesto europeo, esaminato
dalla prof.ssa Macciocchi
dell’università La Sapienza di
Roma. Il fatto che l’Italia,
con la presenza del 2% di immigrati, sia uno dei paesi con
minore presenza di terzomondiali non diminuisce la drammaticità del fenomeno. Proprio per quanto riguarda l’Italia la prof. Macciocchi ha ricordato anche azioni di collaborazione ecumenica fra Charitas e Federazione delle chiese evangeliche, nonché
l’esperienza dell’Albergo del
popolo dell’Esercito della
Salvezza a Roma.
Nelle sedute di carattere te
matico si sono affrontati problemi concernenti le tensioni
all’interno del protestantesimo e del cattolicesimo contemporanei. Per quanto riguarda il protestantesimo ho
avuto la possibilità di partecipare a una tavola rotonda presieduta dal Jean Baubérot,
professore alla Sorbona, e
portare un contributo sul pentecostalesimo nella situazione
italiana, dagli inizi a Los Angeles, ai tentativi di inserimento nelle chiese evangeliche italiane fino al suo sviluppo come esperienza autonoma nel nostro paese.
Interessante anche l’analisi
della religiosità che emerge
dai seminari e dalle facoltà
teologiche degli Usa, sia di
tipo fondamentalista sia di
area teologica critica. Segnalo anche il lavoro di un gruppo di teologi e cattolici
dell’università del Quebec
(Canada francofono e cattolico) sul nuovo catechismo
della Chiesa romana. È stato
rilevato come, rispetto al catechismo uscito dal Concilio
di Trento, l’attuale abbia un
carattere fortemente sessista.
La sociologia delle religioni
è una disciplina nata in ambito protestante. Ricordiamo
solo Max Weber, il suo fondatore, e Rudolph Otto, con i
suoi studi sul «sacro».
Oggi occorre superare le
diffidenze di tipo teologico
nei confronti di questa disciplina (si pensi alle riserve poste da Karl Barth). In questo
compito un grande aiuto può
venire da una schiera di ottimi studiosi cattolici, come
Armando Nesti, dell’Università di Firenze, Silvano Burgalassi dell’Università di Pisa, il prof. Pace dell’Università di Padova, mons. Roberto
Cipriani e altri, che del resto
sollecitano un contributo protestante al dibattito in corso.
In molte Facoltà di teologia
all’estero questa disciplina e
presente, nell’ambito della
teologia pratica. Sarebbe interessante che anche in Italia,
d’altronde lo statuto della Facoltà valdese di teologia lo
prevede, si avviasse un gruppo di ricerca e di studio per
quanto concerne i problemi
della sociologia e della religione.
13
\?F,NERDÌ 17 SETTEMBRE 1993
PAG. 9 RIFORMA
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I secoli XVI e XVII nel Convegno storico promosso dalia Società di studi valdesi
Frontiere geografiche e religiose in Italia
MARCO BALTIERI________
Come di consueto gli ultimi giorni di agosto hanno visto, a Torre Pellice, lo
svolgersi del Convegno di
studi sulla Riforma e i movimenti religiosi in Italia, giunto ormai alla 33® edizione. La
Società di studi valdesi, che
organizza questi incontri, ha
scelto negli ultimi anni di
trattare in ogni convegno un
argomento specifico e di seguire una successione temporale, per poter meglio documentare i vari campi e indirizzi seguiti dalla ricerca storica.
Così nel ’92 si è tentato
(guidati dal prof. Grado Merlo) un bilancio dell’attività
delle varie scuole storiografiche in Italia e all’estero su
eretici e eresie medievali. Il
prossimo anno Giorgio Rochat curerà invece un incontro
su un tema di storia contemporanea: La croce e la spada.
I cappellani militari nelle due
guerre mondiali.
L’attenzione per i convegni
di Torre Pellice è sempre stata significativa, con l’intervento dei migliori studiosi sia
italiani che esteri; ma la Società di studi valdesi sta cercando di incrementare ulteriormente questa partecipazione con l’assegnazione di
un certo numero di borse-soggiorno a giovani studiosi che
potranno forse in futuro dare
un contributo o un indirizzo
nuovo alle ricerche che la Società promuove.
Il convegno di quest’anno
(dedicato a un tema di storia
moderna e curato dalla prof.
Susanna Peyronel, delTUniversità di Milano) aveva un
titolo forse un po’ complesso
ma denso di significati: Frontiere geografiche e religiose
in Italia. Fattori di conflitto e
comunicazione nel XVI e XVII
secolo. Per noi che viviamo
tragicamente un periodo storico di risveglio del nazionalismo e di ridefinizione dei
confini, il termine frontiera ha
riassunto forse quel significato (che d’altra parte aveva in
origine) di contrapposizione e
di baluardo ideologico e militare che i meccanismi di integrazione internazionale sembravano progressivamente
cancellare. Ma le frontiere, i
territori di confine (lo sa bene
chi vive all’interno e nei pressi dell’area alpina) sono sempre anche delle aree di contatto, di scambio, di comunicazione; non delle barriere,
quindi, ma delle situazioni
molto permeabili, in cui i rapporti reciproci tra le due
«sponde» sembrano paradossalmente essere favoriti.
Sono proprio questi i «territori di frontiera» che rincontro di quest’anno si è proposto di esplorare. Siamo in
un momento in cui; seppure
gradualmente, si va costituendo la contrapposizione
epocale tra Europa cattolica
ed Europa riformata e in cui
la circolazione di scritti, idee
e persone viene sempre più
controllata e impedita, man
mano che i due schieramenti
contrapposti si vanno cristallizzando. Data la specificità
dei temi, ci limitiamo a qualche accenno a alcune delle
relazioni presentate (che comunque potremo leggere in
versione integrale in uno dei
prossimi numeri del Bollettino della Società di studi vaidesi.
I primi interventi (di Achille Olivieri e di Simonetta
La pesca delle anime: il dipinto del 1609 commemora la «Tregua dei 12 anni» e nell’affiancare protestanti
(a sinistra) e cattolici esprime un messaggio di tolleranza
Adorni Braccesi) sono stati
dedicati al mondo dei mercanti italiani del ’500. Olivieri, in particolare, ha analizzato il formarsi di una specifica
(e grande) sensibilità religiosa
all’intemo di questo ceto sociale, che si esprime attraverso specifiche letture (accanto
a Erasmo sempre Machiavelli) e un fitto scambio epistolare (quasi a sostituire una concreta comunanza spirituale).
La maggior parte delle relazioni successive sono state
dedicate all’area delle Alpi
centrorientali, territorio tipico
di scontro e comunicazione
tra le due Europe religiose e
tra i vari schieramenti politico-militari. Ricordiamo solo,
tra gli altri, l’intervento di
Raffaello Ceschi che ha studiato un caso specifico di
questi meccanismi di incontro-contrapposizione, quello
dei territori del versante meridionale delle Alpi, assopettato dai cantoni svizzeri per
meglio controllare le vie di
comunicazione e in cui i sudditi cattolici sono governati
da magistrati riformati: situazione apparentemente paradossale, ma in cui si possono
ben studiare le complesse mediazioni tra società, potere e
religione.
Nell’ultima relazione del
convegno, Emidio Campi ha
presentato le sue ricerche sulle traduzioni italiane della Sacra Scrittura nella Zurigo del
’600, mettendo in evidenza
una inaspettata vitalità culturale delle comunità italiane
riformate al di là delle Alpi.
Se sono indubitabili la ricchezza e l’interesse di questo
33° Convegno storico, un po’
di rimpianto rimane per la
mancanza di studi specifici
sulle valli valdesi e, più in generale, sull’area delle Alpi
occidentali che, dopo Jean
falla e Arturo Pascal, attendono ancora una nuova stagione
di ricerche.
»
La polemica sull'attore e regista Jerry Lewis: le parole possono nascondere i pregiudizi
Il dìsabìle non è un eterno bambino
ALBERTO CORSARI
Jerry Lewis, il popolare attore, regista e show-man
americano dedito da decenni
alla causa dei disabili e dei
portatori di handicap, non è
più amico dei suoi protetti? E
quanto risulterebbe dalla protesta lanciata da alcune associazioni di portatori di handicap negli Usa.
L’attore, dicono, è colpevole di due cose: aver utilizzato
ai propri fini (di immagine
ma anche, pare, di portafoglio) le serate televisive di
«beneficenza» (i famosi «Telethon», interminabili show
nel corso dei quali gli spettatori telefonano le offerte che
metteranno a disposizione
dell’ente, dell'associazione,
della causa su cui si vuol sensibilizzare l’opinione pubblica); e soprattutto, nel corso di
quelle trasmissioni Lewis utilizzerebbe un linguaggio ormai superato, da evitare perché denigratorio e lesivo, nonostante le buone intenzioni,
della dignità dell’handicappato, del distrofico, del disabile.
Che cosa dice Lewis per
suscitare tanto risentimento?
Parla di loro come dei «miei
bambini», li chiama tutti «my
kids»: ciò significa attribuire
aH’individuo già penalizzato
fisicamente un carattere di
eterna immaturità, di incapacità a diventare uomo.
Naturalmente non è solo
una questione di parole. Esse
rivelano la difficoltà che forse tutti sperimentiamo nel
porci di fronte a chi parte penalizzato. Al di là del caso
Lewis, che probabilmente si
risolverà positivamente fatte
salve eventuali pendenze giudiziarie, è sotto gli occhi di
tutti che neir«aiutare» si rischia di confermare una mentalità paternalistica che sarebbe da superare.
E allora, giacché dal cinema viene la polemica, chiediamoci se e come il mondo
dello schermo abbia trattato
l’argomento. Il panorama non
è dei più confortanti: dei moltissimi film, anche recenti,
che hanno per protagonista
un disabile o un malato (il
Rain Man interpretato da Dustin Hoffmann era un autistico, il protagonista di Dietro
la maschera di Peter Bogdanovich era affetto da leontiasi
e aveva il cranio e il volto
deformati, l’immaginifico
Elephant Man di David Lynch era stato ridotto a un fenomeno da baraccone, rapito e
esibito in un circo di provincia) accreditano pur sempre
la visione di un personaggio
«tenero», vittima dell’incomprensione oltre che della ma
lattia, un essere da aiutare, da
assistere, magari da illudere
su quelle che saranno le sue
possibilità di affermazione
sociale e interpersonale.
Ma c’è un altro film, che risale agli anni ’30, un film
«maledetto», perché a tinte
fosche, realizzato con toni vagamente espressionistici, dal
titolo Freaks, quella parola
che alcuni traducono «mostri» e che nella seconda metà
degli anni ’70 divenne di moda per definire i giovani che
volutamente si esibivano (nei
capelli, nei vestiti, nelle abitudini) in stravaganze varie.
«Fenomeni», insomma.
Jerry Lewis in uno dei suoi film
Una manifestazione in clima di «Mani pulite» che esprime le attese
riposte dagli italiani nella giustizia
Libri
Freaks parla proprio di fenomeni, da circo come
Elephant man, ma in ben altri
termini: l’ambiente è quello
di un baraccone in cui vengono esibiti uomini e donne
dall’aspetto «inconsueto»: la
donna cannone, l’uomo privo
di arti, i nani. Una macchina
da soldi, come doveva essere
frequente nel secolo scorso
(anche Maupassant, in un racconto, descrive una donna
che riusciva a partorire «mostri» per affidarli dietro compenso a un circo).
Ma nel circo circolano anche le passioni; per una torbida storia di gelosia si scatenano odi e rivalità AU’interno
del gruppo, si arriva all’omicidio e ad altre violenze fisiche. E qui, per paradossale
che sia, sta la grandezza del
film: è proprio mostrando che
individui avviliti nel fisico e
umiliati nella personalità sono capaci di tutto (amore ma
anche odio, violenza, delitto)
che il film ci convince che essi sono uomini e donne. Offesi nella loro integrità, ma uomini e donne che provano
sentimenti e passioni. Individui che possono anche scegliere tra il bene e il male, e
che magari a volte scelgono il
male. Non, comunque, eterni
bambini!
Un impegno per la giustizia
Il nome di Ugo Betti, magistrato e scrittore, autore di drammi
rappresentati nei teatri di tutta Europa è, a quarant’anni dalla
morte, quasi dimenticato. Opportunamente la Newton Compton
ripropone oggi Corruzione al Palazzo di Giustizia*, la più nota
delle sue opere teatrali, scritta nel 1944 e proposta al pubblico,
con immediato successo, nel 1949.
La corposità dei personaggi e l’intensità della vicenda ci mostrano come in essa Betti concentri i frutti di un’esperienza di
vita maturata per 25 anni nella professione di giudice. Al tempo stesso però le risonanze kafkiane del testo lo proiettano al di
là del tempo. Nella storia, che ha la struttura e la capacità di
coinvolgimento di un giallo, emerge limpida una chiave di lettura universale, quella di una profonda riflessione sulla dimensione etica della vita sociale, riflessione applicabile alle strutture giudiziarie come a quelle politiche o imprenditoriali.
Betti non offre, né vuole offrne, soluzioni definitive. Delinea
la necessità di un impegno collettivo e consapevole, radicato
nella fame di giustizia presente in tutti gli uomini. Indica le vie
per un superamento del cinismo e dell’inerzia, ma anche
dell’ingenua fiducia in una miracolosa e fulminea palingenesi.
La capacità del drammaturgo di percepire le infinite articolazioni della realtà e di descrivere il faticoso muoversi degli uomini al loro interno fa sì che la sua opera possa a buon diritto
entrare nella schiera dei classici, (e.f.)
(*) Ugo Betti; Corruzione al Palazzo di giustizia. Roma, Newton
Compton, 1993, pp 96, £ 1000.
Vangeli del terzo Millennio
Paul Gauthier*, rifacendosi all’antica profezia di Gioachino
Da Fiore, si dichiara convinto delTimminente avvento dell’età
dello Spirito, di cui la «teologia della liberazione» sarebbe
chiaro preaimuncio: sarà così finalmente consentito agli esclusi, alle donne, ai poveri, agli emarginati l’assunzione del ruolo
sacerdotale a loro spettante.
Ma questa preoccupazione rivoluzionaria, per essere veramente buona novella (Evangelo), deve intendersi in netto contrasto con tutte le chiese e con il loro «cacangelo» (cattiva novella, dal greco «kakòs») volto a perpetuare viete discriminazioni e mortificanti schiavitù «anticristiche».
Il volume del Gauthier contiene la traduzione dei Vangeli di
Maria di Magdala, di Filippo e di Tommaso, un Vangelo secondo l’India e una ricostruzione dei Vangeli della Samaritana
e di Paolo. Nelle pagine conclusive l’autore invita i credenti a
riunirsi «in piccoli gruppi» per meditare su questi testi onde
trame sollecitazione a un cammino più spirituale e a una lettura meno cristiana e più «eristica» dell’antico Evangelo canonico. (p.a.)
(*) Paul Gauthier: Vangeli del terzo Millennio Torre dei Nolfi
(Aq), Qualevita, 1992, pp 252, £ 23.000.
Per una conoscenza poetica
Antonio Prete è docente di Letteratura comparata: ha quindi
sotto mano un’inverosimile quantità di riferimenti, esempi e risvolti della produzione letteraria al più ampio livello, dai classici dell’antichità (non solo greca e latina, ma anche orientale
senza escludere i testi biblici) alle letterature nazionali moderne
e contemporanee.
Così questa sua Prosodia della natura* gode di questa sterminata materia prima. Il sottotitolo del libro. Frammenti di una
Fisica poetica chiarisce l’intento dell’operazione: si tratta di ricostruire, accostando appunto produzione di mezzo mondo e di
venti secoli, un’immagine (o più immagini) del mondo naturale
attraverso la poesia.
Se il primo riferimento che può venire in mente è a Lucrezio
e al suo De rerum natura, i vari capitoli ci introducono a settori
diversi, particolari dell’osservazione di ciò che ci circonda: «La
luce, dall’ombra», «Planetario», «Terra Acqua Aria Fuoco»,
«Jardin des Plantes»... I fenomeni e i dati che siamo abituati a
indagare con il metodo sperimentale, con l’osservazione scientifica e con lo sguardo freddo dell’analisi rigorosa, trovano una
nuova interpretazione nelle pagine dei poeti romantici: «Ogni
esperienza poetica è davvero - dice Prete - la nascita di un
nuovo sguardo» che ci apre ogni volta a nuove forme e nuove
strade di conoscenza, quando siamo obbligati a inchinarci di
fronte allo spettacolo del mondo.
«I silenzi che fluttuano nello sguardo animale - si dice nel
capitolo conclusivo, dedicato proprio allo sguardo degli animali - fanno apparire ridondante e claunesca la proprietà umana di
dare nomi, di contrassegnare con parole il variopinto ordine dei
viventi, perché su quella proprietà (...) è stata innalzata la torre
della differenza e del dominio».
(*) Antonio Pretc: Prosodia della natura. Frammenti di una Fisica poetica. Milano, Feltrinelli, 1993, pp 175, £ 32.000.
14
PAG. 10 RIFORMA
Il fondamentalismo evangelico in Africa e America Latina
Torturatori convertiti?
WALTER J. MOLtENWEGEB
Evangelicali, pentecostali
e fondamentalisti vengono messi spesso e volentieri
in un unico calderone. Queste
tre correnti sono oggi dei movimenti imponenti all’interno
del protestantesimo mondiale. Soprattutto per quanto riguarda la collaborazione ecumenica e l’impegno sociale
gli evangelicali e i pentecostali europei possono imparare molte cose dai fratelli e
dalle sorelle dell’Africa e
dell’America Latina.
Molti rapporti cattolici che
trattano dell’esplosione del
protestantesimo neH’America
Latina portano il titolo «Il
problema delle sette». Testimoni di Geova, pentecostali,
seguaci di Moon ed evangelicali vengono messi tutti in un
mucchio e indicati come «lupi rapaci» che mettono in pericolo nell’America Latina la
pace e l’unità della cultura e
della Chiesa cattolica. Anche
il papa ha detto le stesse cose
a Santo Domingo, nel 1992,
nel suo discorso di apertura
alla Conferenza episcopale
latinoamericana.
La situazione concreta, come spesso accade, è molto
più complessa.
Innanzitutto il Vaticano, da
circa dieci anni, porta avanti
intense conversazioni ai massimi livelli con i pentecostali.
Non riesco a capire come il
papa possa definire «lupi rapaci» quegli stessi con cui il
suo Segretariato per l’unità
dei cristiani sta conducendo
un dialogo qualificato.
In secondo luogo Tevangelicalismo, considerato globalmente, è la corrente principale nel protestantesimo odierno. Dal punto di vista della
forza numerica è superato solo dal pentecostalismo. È
molto frastagliato al suo interno, ma certamente non
può essere identificato toutcourt con l’evangelicalismo
europeo.
Terzo: chi vuole dire qualcosa di ragionevole sul protestantesimo latinoamericano,
deve prima sapere di che cosa parla. E soprattutto deve
conoscere quelle chiese, talvolta anche grandi, autoctone, assolutamente indipendenti da società missionarie
straniere, esistenti in Africa,
nell’America centromeridionale e in altri continenti, che
spesso sono fortemente impegnate nella collaborazione
ecumenica.
SCHEDA
Gli evangelicali
Col termine «evangelicali»
(dall’inglese evangelical) si
comprendono quei movimenti evangelici che si rifanno
all’esperienza personale della
«nuova nascita» e della «decisione» individuale «per
Cristo» come elemento primario della fede cristiana.
Sono riuniti in organizzazioni
di chiese che, almeno in teoria, lasciano ampia libertà organizzativa a livello della comunità locale. All’intemo di
questa vasta categoria si collocano ad esempio i pentecostali che rappresentano la più
numerosa e significativa fioritura spirituale ed ecclesiastica nata dal protestantesimo. Tra i più noti esponenti
di questo movimento in Africa, vi è per esempio il pastore
Frank Chicane, segretario del
Consiglio delle chiese del
Sud Africa, l’organizzazione
ecclesiastica che più ha combattuto il regime di apartheid.
In questa collaborazione
ecumenica i pentecostali
dell’America Latina sono
all’avanguardia. Essi lavorano nel Consiglio delle chiese
latinoamericane, sono impegnati nella comprensione critica della «Teologia della liberazione» e alcune loro
chiese sono anche entrate nel
Consiglio ecumenico, e sarebbero molte di più se non
avessero l’impressione che il
Cec sia un po’ come un club
di quelli che hanno degli interessi da difendere.
E non è affatto vero, come
si sente spesso dire, che siano
degli ingenui tenuti a guinzaglio dai capitalisti nordamericani.
Sospetti alla polizia
Heinrich Schäfer, che è diventato credente in una comunità pentecostale e ha
scritto dei saggi sul protestantesimo in America Centrale,
distingue nettamente fra la
ricca borghesia carismatica e
le chiese pentecostali indigene. I primi si radunano in alberghi di lusso, pregano, parlano in lingue e danno la testimonianza sulla loro conversione. Quello che a loro
interessa è il «libero mercato» e la lotta ai sindacati. Le
comunità pentecostali indigene si organizzano nelle campagne (anche con i cattolici,
là dove è possibile) contro la
politica dello sfruttamento
condotta dai loro governi e
dai grossi proprietari terrieri.
Essi ritengono che anche questo faccia parte dei doni dello
Spirito.
Talvolta può succedere che
un commissario di polizia
«carismatico» torturi un «fratello pentecostale» o un povero predicatore laico per estorcergli il nome dei cosiddetti
«congiurati». È vero che il
«fratello pentecostale» appartiene alla stessa confessione
evangelicale. Ma purtroppo
ha avuto la sfortuna di trovarsi dal lato sbagliato dello
spettro politico.
Questa è stata l’esperienza
anche del pastore sudafricano nero Frank Chikane, pentecostale (oggi segretario generale del Consiglio delle
chiese sudafricane, del quale
la sua chiesa non fa parte).
Chikane sosteneva i neri perseguitati, fornendo loro degli
avvocati; per estorcergli una
confessione fu torturato, e
proprio da uno degli anziani
della sua stessa chiesa. Chi
era in questo caso il convertito? il torturatore, il pastore
pentecostale, tutt’e due, nessuno dei due?
Non si pensi che queste domande non vengano poste
negli ambienti pentecostali
ed evangelicali. Già al convegno sull’evangelizzazione
tenutosi a Berlino nel 1966
sotto l’egida di Billy Graham
era stato affermato che chi
non crede in Gesù Cristo è
condannato per l’eternità. In
quell’occasione un uomo intervenne e disse: «I miei parenti ebrei sono stati assassinati in un campo di sterminio
da uomini che generalmente
si dicevano credenti in Cristo. Questi miei parenti sono
ora condannati per l’eternità?». I partecipanti al convegno ebbero il pudore di dire che non si sentivano competenti a dare una risposta.
Tuttavia nel volume che riportava gli atti del convegno
non comparve nulla di questo
fatto.
Nel convegno degli evangelicali tenutosi a Losanna
nel 1974 le cose andarono in
modo diverso. Nel suo discorso di apertura Billy
Graham disse: «L’evangelizzazione e la salvezza delle
anime sono i compiti principali della chiesa. Noi possiamo discutere sulle questioni
politiche e sociali, ma la nostra priorità è la salvezza delle anime».
Se il mondo fosse
un villaggio
L’inglese Michael Green e
i latinoamericani Samuel
Escobar e René Padilla presentarono una protesta: «Immaginatevi che la popolazione del mondo sia contenuta
in un villaggio di 100 persone. In questo villaggio ci sarebbero 67 poveri. Gli altri
33 sarebbero più o meno ben
nutriti. Solo sette sarebbero
nordamericani. Gli altri 93
vedrebbero come i sette nordamericani usano la metà
delle risorse finanziarie,
mangiano il 14% della produzione mondiale di cibo,
possiedono la metà di tutte le
vasche da bagno. I 93 diventerebbero sempre più poveri
e i sette sempre più ricchi. E
adesso i sette nordamericani
qui a Losanna ci dicono: noi
portiamo il messaggio di Gesù a questi 93 che ci stanno a
guardare mentre sprechiamo
più cibo di quanto essi possano mai sperare di mangiare.
Noi costruiamo chiese meravigliose? Loro abitano nelle
bidonville. Noi raccontiamo
loro di Gesù, il Salvatore del
mondo, che ha dato la sua vita. Forse come ricchi possiamo dimenticare il contesto; il
problema è se i 93 lo possono
dimenticare. No, cari amici.
Scena di vita quotidiana in Coiombia
esprime le proprie convinzioni non in tesi ma con la
danza, non in concetti ma in
pasti conviviali, non in proposizioni dottrinali ma in
canti, non in definizioni ma
in descrizioni di una vita
nuova, nella festa e nella realizzazione di relazioni sociali
rinnovate. Le classi dominanti intendono questo linguaggio come un linguaggio
politico. Solo gli occidentali,
abituati alle espressioni
astratte, non se ne accorgono. In Africa si riscoprono i
legami con gli antenati e
spesso si è anche disposti ad
accogliere metodi tradizionali di salvezza. Lo Spirito
Santo non viene inteso solo
Coro di una comunità pentecostale in Africa
questo non è l’Evangelo:
questo è un Evangelo storpiato. Questo è, e qui usarono
uno degli slogan tanto amati
dagli evangelicali, un altro
Evangelo».
Gli interventi di Padilla e
di Escobar furono accolti da
applausi scroscianti mentre i
loro oppositori, gli specialisti
del come far crescere le chiese (McGravan e Lindsay),
incontrarono un gelido silenzio.
Questo avviene anche
neH’evangelicalismo del Terzo Mondo. E lo si riscontra
anche nell’America Latina.
L’etica sociale è una materia
di insegnamento in diverse
scuole bibliche pentecostali;
c’è la riscoperta di una religione popolare orale, che
più in modo «religioso», ma
viene considerato anche nelle sue dimensioni materiali
(per esempio in relazione alla salute). Lo Spirito dà loro
un linguaggio, li aiuta a difendersi; in particolare non si
accettano gli schemi europei
«naturale-soprannaturale»,
«religioso-secolare». Alcuni
teologi pentecostali (soprattutto negli Stati Uniti) considerano i doni naturali come
doni dello Spirito, quando
vengono messi al servizio
del regno di Dio. Anche il
parlare in lingue, la profezia
e molti altri doni vengono ricollocati nel loro contesto
naturale e sociale.
Per diversi credenti la chiesa non è più la comunità dei
«nati di nuovo», ma la comu
nità che confessa il Cristo. Il
che significa che non sono
più le connotazioni religiose
a determinare l’appartenenza
alla chiesa: come conseguenza in diverse chiese non si
amministra più in modo
esclusivo il battesimo degli
adulti. Miracolo è ciò che fa
del bene agli uomini e non
ciò che è spettacolare.
Miracolo è ciò
che fa del bene
Si scopre la possibilità, che
ha i^uoi limiti ma che pure è
necessaria, di un approccio
scientifico alla Bibbia e si
mandano i giovani pastori alle Università di Buenos Aires, Santiago, Pretoria e anche in America e in Europa.
Sebbene in diversi paesi
queste chiese abbiano loro
cappellani militari, si vanno
riscoprendo le radici pacifiste deH’evangelicalismo e
del pentecostalismo. Quest’
ultimo in particolare lo motiva non solo con il richiamo
alla pietà personale, al «non
uccidere», ma anche con la
denuncia dei legami esistenti
fra il capitalismo e la guerra:
questo è un argomento assai
discusso, soprattutto negli
Stati Uniti, mentre nella nostra stampa non se ne trova
traccia. Tutto ciò non ostacola lo zelo missionario, però
la missione non è più vista
semplicemente come la salvezza dalle fiamme dell’inferno, bensì come la scoperta
della liberazione di Dio che
agisce qui e ora.
Certo si tratta di minoranze, ma sono minoranze qualificate: sono il futuro tanto
delTevangelicalismo quanto
del movimento pentecostale.
Molti pentecostali ed evangelicali europei rimarrebbero
esterrefatti se scoprissero
quanto rapidamente e intensamente i loro fratelli e le loro sorelle in fede del Terzo
Mondo (e anche degli Usa)
si inseriscano nel discorso
ecumenico, come sostengano con naturalezza Nelson
Mandela in Sud Africa e come la signora Chang a Canberra abbia saputo trovarsi
sulla loro stessa lunghezza
d’onda.
Il mondo è perduto
I nostri evangelicali evangelizzano in genere secondo
questo schema: 1 ) il mondo è
perduto. 2) anche tu sei senza
via d’uscita. 3) ma Gesù ti
salva. In questo messaggio
l’accento è posto sui due primi punti, il passaggio al terzo
non è facilmente afferrabile.
Gli evangelicali del Terzo
Mondo non hanno bisogno di
sottolineare che il mondo è
rovinato e che gli stessi destinatari del messaggio sono
«morti nei loro falli e nei loro
peccati»; tutto ciò lo sanno
molto bene. Il loro sforzo è
dunque quello di render comprensibile il passaggio dal secondo al terzo punto, cosa
che essi fanno guidando i
convertiti con sensibilità sociale, umana e talvolta anche
politica.
Questo significa in concreto che in America Latina i
pentecostali si fanno intermediari per trovare posti di lavoro, aiutano i convertiti a
impadronirsi di alcuni strumenti elementari (come scrivere, leggere, imparare a maneggiare il denaro, a mettere
a frutto la manualità, a saper
effettuare lavori di riparazione). Si costruisce eosì una rete sociale che anche in situazioni dominate dalla droga e
dalla nevrosi rende la salvezza in Gesù un esperienza
concreta dal punto di vista
umano e sociale. È molto importante il fatto che vengano
affrontate anche le malattie.
I ricchi evangelicali e carismatici possono permettersi
medici, medicine e psichiatri.
Ma per la maggior parte dei
credenti questi sono dei lussi
al di fuori della loro portata.
Diventa quindi naturale che
gli ammalati, i depressi, i nevrotici, gli sfiduciati, gli oppressi (cristiani e non), vengano unti con l’olio nelle riunioni, accolti in ambienti sociali umani e curati con la
medicina elementare. Per
questo per un pastore-lavoratore nero di Birmingham (il
quale ovviamente per tipo di
spiritualità appartiene agli
evangelicali) la frase «Alleluia, sono salvato!» si ricollega al significato del verbo biblico «sozein» e cioè che
egli, grazie a Gesù e alla sua
comunità, può continuare a
vivere fisicamente, spiritualmente, culturalmente e psicologicamente.
Senza questo Gesù e la sua
comunità egli sarebbe morto
psichicamente. Ovviamente
per i nostri evangelicali e carismatici è diverso: un impiegato di banca carismatico
svizzero potrebbe continuare
a vivere anche senza la conversione. Per la conversione
non sarebbe letteralmente la
«salvezza dalla morte», ma
piuttosto l’aver ricevuto una
nuova direzione, un senso alla propria vita. Certo questo
è già molto, ma non è paragonabile all’esperienza radicale e totale della conversione che fa il cristiano del Terzo Mondo.
Traduzione di
Emmanuele Paschetto
15
\/F.NERDÌ 17 SETTEMBRE 1993
Dei Lettori
PAG. 1 1 RIFORMA
della Lega
Caro direttore,
non condivido la crescente
polemica anti Lega imbastita
da svariati ambienti politici
italiani e dagli organi di
stampa, semplicemente perché oggi, per la rinascita della nostra nazione, è condizione prioritaria, di assoluta precedenza, mandare a casa la
Democrazia cristiana, sia pur
riciclata nel Partito popolare,
e i suoi alleati del quadripartito (socialisti, liberali e socialdemocratici). Dopo 46
anni di governo, conclusisi
nel disastro morale, economico e politico, è doveroso voltare pagina! Il merito indiscusso della Lega Nord sta
nell’avere dato un contributo
determinante al crollo del sistema partitocratico.
Accusare la Lega di fascismo è del tutto deviante: gli
ingredienti fondamentali
dell’ideologia e della prassi
fasciste di tutti i tempi e luoghi sono il nazionalismo esasperato e la concezione totalitaria e statolatrica del sistema di governo, il contrario
esatto di ciò che sostiene la
Lega; alla quale, se mai, si
può imputare una visione di
eccessivo autonomismo, con
tentazioni centrifughe; ma
qui il discorso è ancora tutto
da fare e da verificare. D’altra parte, dopo 132 anni, il
modello di stato unitario scaturito nel 1861 è in parte fallito perché il divario tra
Nord-Centro e Sud, che era
di 3 a 1, si è oggi ulteriormente aggravato portandosi
da 6 a 1. E allora assolutamente indispensabile modificare tutti i meccanismi di distribuzione e di prelievo della
ricchezza nazionale prodotta,
se vogliamo superare finalmente questo divario.
Oggi il pericolo di svolta
autoritaria e di un ritorno a
un nuovo tipo di regime fascista non viene dalla Lega
ma, attenzione, dai possibili
colpi di coda della partitocra
U PI06ÊIA CAIXE iut ómn
£ iUót! imiUfTI
zia, gravemente ferita ma non
ancora defunta. Lo scenario
si può facilmente intravedere:
paralisi parlamentare e di governo, crisi economica sempre più grave, caos (magari
con altre bombe...) e quindi
l’emergenza autoritaria. Il
progetto presidenzialista di
Cossiga, Craxi e Fini è già
pronto, no?
Sul piano storico poi non
dimentichiamo che il fascismo degli anni ’19-22 è stato
la reazione della vecchia
classe dirigente monarco-militar-industrial-agraria contro
il nuovo che allora era costituito dal Psi, nonostante i
suoi gravi errori. Il fascismo
è stato l’ennesima operazione
trasformistica del vecchio assetto conservatore per bloccare la crescente avanzata del
Partito socialista, contro il
quale è stato costruito, dal
niente, uno strumento di violenza autoritaria. Facciamo
molto bene attenzione perché
anche oggi, come allora, per
una paura irrazionale della
Lega (il nuovo), come allora
dei «rossi», possiamo essere
sospinti verso un’involuzione
autoritaria di tipo fascista.
Il trasformismo è il vizio
permanente della nostra storia unitaria: oggi si intravede
già il disegno della solita area
cattolico-moderata (ex De) di
assorbire nel solito sistema di
potere, dopo il fallimento dei
socialisti e dei liberali, il Partito democratico della sinistra
e le altre forze democraticoprogressiste. La Lega può
contribuire a rendere vano
questo disegno, consentendo
finalmente un sistema basato
su una effettiva alternanza di
governi, come avviene da
Ritomma
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Peyrot, Gian Paolo Ricco, Giancarlo Rinaldi, Fulvio Rocco, Marco Rostan,
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Riforma è il nuovo titolo della testata La Luce registrata dal Tribunale di Pinerolo con il n. 176 del T gennaio 1951, responsabile Franco Giampiccoli. Le
modifiche sono stafe regisfrate con ordinanza in data 5 marzo 1993.
Nella foto di prima pagina: Le firme del riconoscimento reciproco tra lo Stato di
Israele e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina
tempo in tutti i paesi civili
dell’Occidente.
Adamo Donini - Treviso
Domande
dalla balconata
Sono appena terminati i lavori sinodali; molte sono state le novità emerse e i commenti diffusi fra gli interessati, che per cinque giorni hanno assistito e partecipato alle
discussioni dell’assemblea,
stretti sulla scomoda balconata della Casa valdese, nell’
improbabile sforzo di seguire
anche i gesti e le espressioni
facciali di chi parlava.
Anch’io ero tra questo pubblico interessato, e per la prima volta. E, forse per questa
mia inesperienza, devo ammettere che sono molti gli argomenti di cui avrei ancora
bisogno di discutere. Per
esempio, sarebbe interessante
approfondire qualche punto
della spinosa questione di
Villa Olanda, argomento che
tra l’altro ha coinvolto i presenti, più numerosi del solito.
Dalla relazione della Commissione d’esame emergeva,
oltre alle conosciute difficoltà
in cui versa Villa Olanda, una
cifra non troppo rassicurante:
si tratta del miliardo e 300
milioni richiesti dall’ex direttore Peyronel alla Tavola valdese. Certo, la causa è ancora
in corso e non si può affermare ancora niente di preciso:
ma dalla discussione che è seguita, ho dovuto dedurre che
la questione è effettivamente
seria.
Lo stupore, a questo punto,
non è soltanto mio: come si è
potuti arrivare a tanto? Coloro che prendono la parola non
mi aiutano a capire. Un mio
vicino di panca e di perplessità mi spiega che, a quanto
pare, Peyronel, finita la collaborazione con la Tavola valdese, ha chiesto che gli venissero riconosciute - oltre agli
altri oneri dovuti per legge le retribuzioni conseguenti alla sua qualifica di direttore
d’istituto, che pretende non
gli siano stati corrisposti. Lo
stupore, in me e in altre persone a cui chiedo un’opinio
ne, aumenta. Se la supposizione del mio vicino non si
discosta troppo dalla realtà,
perché mai al suddetto Peyronel è stato attribuito un titolo
a cui non corrispondeva poi
la giusta retribuzione?
Ingenuità, inesperienza?
Dal dibattito sinodale non
emerge niente. Non un accenno di autocritica da parte dei
componenti della Tavola, e di
nessun altro. Le accuse reciproche, fra la Tavola e i vari
comitati interessati, non mancano; anche dalla balconata
qualcuno non si trattiene dal
fare dei commenti tutt’altro
che sereni. Niente di chiarificatore, però: si dice solo che i
soldi, questo miliardo e rotti,
si troveranno, e non una spiegazione, un gesto di umiltà,
un «vediamo almeno di non
ricadere in futuro nello stesso
errore».
Perché di errore mi sembra
che si tratti; e se poi questo
caso ne riporta alla mente un
altro, che secondo queste,
supposizioni ora apparirebbe
davvero simile, e cioè quello
di Morelato, il responsabile
della Casa balneare valdese
di Borgio Verezzi che qualche anno fa fece causa al
Concistoro di Torino per un
motivo analogo, lo stupore
diventa indignazione. Recidivi?
O forse noi, personaggi della balconata, siamo compietamente fuori strada. Sinceramente, lo vorrei; perché se no
dovrei anche chiedere quali
altri casi di questo genere
dormono nell’amministrazione della nostra chiesa.
Infine, pur trovando giusto
recepire oggi l’ordine del
giorno di Subilia del 43, non
sarebbe anche auspicabile fare un po’ di autocritica, come
singoli e come chiesa, senza
dover aspettare una cinquantina d’anni? E senza dover assistere all’imbarazzante spettacolo di «fratelli in fede» che
si accusano a vicenda?
Federica Tourn - Torino
Non so di altri casi in sonno. Il «lavoro» nella chiesa
presenta anche molti aspetti
militanti. Quando la militanza viene meno, allora si contano gli «straordinari», di
qui l’origine di alcune vertenze di lavoro. (g.g.)
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TRS
TRS
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tei. 02/314444-316374
fax 02/316374
La Rai
e rimperatore
Nei giorni della visita in
Italia dell’imperatore del
Giappone, Akihito, ho ascoltato, purtroppo distrattamente, un telegiornale su un canale nazionale Rai nel quale,
ironicamente, si «presentava»
l’imperatore grosso modo come un qualcuno che si era arrogato il diritto di voler essere un quasi-Dio, e i giapponesi come dei poveri creduloni sprovveduti. Non ricordo
le parole esatte usate, ma la
sensazione avuta era questa.
Già in passato, per simili situazioni, la Rai si era espressa in modo analogo.
Certo, noi italiani siamo
superiori a coloro che hanno
il viso giallo e gli occhi a
mandorla, sebbene si abbia
un papa che anche se non è
proprio Dio dice di esserne il
vicario e quindi non può sbagliare mai (beato lui!) e al
quale gli italiani credono come i giapponesi credono in
Akihito, e una Chiesa cattolica a dir poco invadente, pro
babilmente molto più di
quanto lo sia lo stesso scintoismo. Ma certo la verità è
dalla nostra parte, come del
resto è sempre stata, e non
c’è poi da paragonare un
giapponese con un polacco!
Visto però che in Italia se
si parlasse «male» del papa si
incorrerebbe in gravi sanzioni in quanto egli ha stabilito
di essere anche un capo di
stato a tutti gli effetti, con
rappresentanze diplomatiche
e tutto quanto occorre, uguale
trattamento e rispetto richiederebbe come minimo l’imperatore del Giappone, che
tra l’altro rappresenta milioni
di uomini e di donne, anche
se gialli.
Vorremmo continuare a pagare il nostro canone di abbonamento alla Rai-Tv soprattutto per avere informazioni
possibilmente «pulite» e non
le opinioni insulse e razziste
di giornalisti squallidi che
alimentano solo intolleranza
e fanatismo nei confronti di
chi non la pensa come loro, e
molto spesso anche condizionati da coloro dai quali ricevono uno stipendio.
Baldo Conti - Firenze
RINGRAZIAMENTO
«lo so in chi ho creduto»
Il Timoteo 1,12
Le figlie e i familiari tutti deila
cara
Maria Richard ved. Rostan
riconoscenti per la dimostrazione di affetto, ringraziano tutti coioro che hanno partecipato al loro
dolore.
Un particolare ringraziamento
al medico curante dott. Rol per
l'assidua assistenza prestata, al
pastore Plescan e alla signorina
Elsa Grill.
Porte, 17 settembre 1993
Numeri telefonici
• Il pastore Ludwig Schneider comunica il suo nuovo numero di telefono a Parigi 0033-1-45778933
• Il professore Ermanno Genre comunica che la Sip ha ripristinato il suo vecchio numero telefonico: 06-3748331
• La direzione del centro di «Campo Sardegna» comunica i
numeri di telefono relativi al campo:
- 070-758018 (durante il periodo di apertura)
- 070-488714 (il direttore. Franco Meloni)
- 070-566876 (la Chiesa battista di Cagliari, pastore Giuseppe Mollica)
RINGRAZIAMENTO
«J'ai mis devant toi
une porte ouverte que personne
ne peut fermer»
Apocalypse 3, 8
Dopo un'intera vita laboriosa
dedicata al lavoro e alla famiglia
ha terminato, ii 6 settembre 1993,
la sua esistenza terrena
Ernestine Bastia
ved. Peyrot
A funerali avvenuti, per espressa voiontà dell'estinta, straziati
dai doiore per ii distacco ma altresì fidenti neile promesse dei Signore, ne danno l'annuncio i figii
Ferruccio, Fredy e Sergio i quali,
neil'impossibilità di fario personalmente, ringraziano di cuore tutte
ie persone che hanno condiviso
con i'aiuto, ia presenza e i messaggi ii ioro doiore.
Rivoigono un ringraziamento
particoiare al pastore Bruno Bellion, che ha annunciato l'Evangeio deila vita in Cristo, e gentiie signora; ai pastore Vito Gardioi; al
signor sindaco e giunta comunale
di Luserna S. Giovanni, ai segretario comunale dott. Prinzivalli, ai
dipendenti dei Comune di Luserna S. Giovanni nonché al Comando dei vigili urbani per io zelante
servizio d'ordine; ai signor sindaco e personaie dei Comune di
Bobbio Peliice; ai personale dell'Ufficio Pptt di Luserna S. Giovanni, al Comitato e aila direzione
dell'Asilo valdese.
Ai cugini Godine (Luserna S.
Giovanni-Torino), Clelia, Valdo e
Emilia (Usa); al dott. P. Scarognina, medico curante fin dal dopoguerra e che l'ha amorevolmente
assistita durante la lunga prova;
alla dr.ssa Miozzo, allo studio del
dott. Genesi, alle dott.sse Peyrot,
Pons e Seves; alle farmacie
dr.ssa Savelloni-Romano e dr.ssa
Gribaudo, a Dario e Massimo per
la loro grande disponibilità.
Eventuali offerte in memoria a
favore della Commissione stabili
della Chiesa valdese di Luserna
San Giovanni.
"Le coeur d'une maman est un
trésor que Dieu ne donne qu'une
seule fois».
"Ton courage doit être une force
pour ceux qui restent».
Luserna San Giovanni,
7 settembre 1993
RINGRAZIAMENTO
"Vi dò la mia pace»
Giovanni 14, 27
I familiari di
Mario Gnone
riconoscenti, ringraziano tutti
coloro che con offerte, scritti, parole di conforto e presenza al funerale hanno partecipato al loro
dolore.
Un particolare ringraziamento
ai pastori Bruno Bellion, Franco
Davite e Claudio Pasquet, alla
dott. Silvana Pons, ai volontari
della Cri di Torre Pellice, al personale medico e paramedico dell'
ospedale di Torre Pellice per la
costante e premurosa assistenza.
Luserna San Giovanni,
9 settembre 1993
RINGRAZIAMENTO
"L'Eterno riscatta l'anima
dei suoi servitori, e nessuno di
quelli che confidano in lui sarà
condannato»
Salmo 34, 22
Il marito, il figlio e la nuora della compianta
Miralda Durand Vittone
commossi, ringraziano tutti coloro che con fiori, scritti, parole di
conforto e presenza hanno voluto
essere loro vicini nella triste circostanza.
Un ringraziamento particolare
al dott. Mathieu e al personale
medico e paramedico dell'Ospedale valdese di Torre Pellice per
la grande umanità e sensibiiità dimostrata.
Luserna San Giovanni,
15 settembre 1993
RINGRAZIAMENTO
"Dio è per noi un rifugio
e una forza»
Salmo 46,1
La moglie e i familiari tutti del
compianto
Enrico Besson
sentitamente ringraziano tutti
coloro che in qualsiasi modo sono
stati loro di aiuto durante la malattia.
Un grazie particolare a tutta l'équipe medico-infermieristica e al
personale dell'Ospedale valdese
di Torre Pellice, ai pastori Bellion,
Davite, Gardioi e Berfinat, alle
suore Aurora e Giannina, a don
Aldo, alla dottoressa Seves e all'infermiera Paola.
Luserna San Giovanni,
15 settembre 1993
I necrologi si accettano entro le
ore 9 del lunedì.
Telefonare al numero 011 -655278
-fax 011-657542.
16
PAG. 12 RIFORMA
VENERDÌ 17 SETTEMBRE 1993
San Salvador: intervista al vescovo luterano Gomez, erede spirituale del prelato ucciso
Dopo dodici anni di guerra civile la pace
rimane precaria nei paese di Oscar Romero
______MANFREDO PAVONI_______
LO chiamano «E1 pulgarcito del Centro America», ovvero E1 Salvador, il
più piccolo ma più popolato
stato centroamericano.
All’aeroporto di San Salvador ci accoglie una ventata di
caldo tropicale e uno schieramento di militari superarmati. Dopo dodici anni di guerra
civile, che ha provocato più
di 80.000 morti e danni tremendi alla popolazione e alla
natura di questo paese, il 24
settembre 1991 vengono firmati a New York, nella sede
deirOnu, gli accordi di pace
tra il governo di E1 Salvador
e il Fronte Farabundo Marti
per la liberazione nazionale
(Fmln).
Il clima però che si respira
in città non è un clima di pace ma piuttosto assomiglia a
un cessate il fuoco. Ogni piccolo supermercato, ogni banca, ogni obiettivo nordamericano è presidiato da militari
armati simili a quelli che
molti di noi hanno visto nei
film sui massacri in E1 Salvador, compiuti dagli squadroni
della morte.
Eppure, nonostante che il
Fronte Farabundo Marti (che
comprende un’alleanza di
cinque forze politiche che
vanno più o meno dal partito
socialdemocratico a quello
comunista) abbia deposto tutte le armi confidando nel
processo di pace e nella presenza deirOnu-Salvador, il
governo di Cristiani (appoggiato dal partito di Arena,
quello del maggiore Roberto
D’Aubuisson colpevole di
aver fatto trucidare l’arcivescovo di San Salvador Oscar
Amulfo Romero) continua a
violare gli accordi rifiutandosi di epurare l’esercito dai
responsabili dei massacri, di
applicare tutte le garanzie e i
diritti civili in vista delle prime elezioni «libere» che si
terranno nel marzo ’94.
La campagna contro il
Fronte è delle più sporche, e
nonostante il candidato presidenziale della sinistra, Ruben
Zamorra, sia un avvocato
moderato, membro del partito di convergenza democratica, tutta la stampa di destra
lo dipinge come un «crudele
comunista», e al Fronte viene
rimproverato di nascondere
ancora delle armi della guerriglia mentre nello stesso
tempo gli squadroni della
morte continuano ad operare,
uccidendo (come è avvenuto
dopo una settimana che eravamo nella capitale) Oscar
Grimaldi, dirigente della gioventù del Fronte.
Dopo numerosi incontri
con le associazioni per diritti
civili, le comunità di base
cattoliche impegnate in prima linea nel lavoro sociale e
politico in tutto il paese,
incontriamo la piccola chiesa
luterana salvadoregna accusata addirittura di filocomunismo. Il vescovo, Medardo
Gomez, candidato al premio
Nobel per la pace 1992, è
considerato da molti il successore spirituale di monsignor Romero. La Chiesa luterana è impegnata senza soste nel denunciare le violazioni, le ingiustizie da parte
del governo, il pericolo che
le elezioni vengano truccate
o addirittura annullate.
Nella campagna la chiesa è
attivissima, con piccole comunità rurali che offrono servizi sanitari e scolastici a
centinaia di campesinos. In
«Ho cercato di essere un vescovo del popolo della minoranza emarginata, denunciando ringiustizia»
un modesto quartiere di San
Salvador, incontriamo il vescovo Medardo Gomez che
in un minuscolo ufficio di
una abitazione in muratura,
con il tetto di latta, ci riceve
per un’intervista.
- Dott. Gomez, quanti
membri conta la Chiesa luterana salvadoregna?
«I membri battezzati sono
circa 21.000, i simpatizzanti
molto di più».
- Qual è la posizione della
Chiesa luterana su questo delicato momento della vita politica in E1 Salvador che molti chiamano momento di transizione?
«E importante soffermarsi
sulla parola «transizione».
Molti confondono gli accordi
di pace con la pace. L’esperienza ci dice che questa pace è ancora lontana; ci sono
molte persone e gruppi di interesse che fanno di tutto per
far saltare questi accordi;
pensiamo soltanto all’invio
di un corpo speciale di marines nordamericani. Si tratta
di un vero e proprio attacco
all’ indipendenza nazionale e
alla dignità del popolo salvadoregno.
Dicono che sono venuti per
aiutare il governo a ricostruire, ma quando mai per
ricostruire si utilizzano i corpi speciali di un esercito?».
- A che livelli si gioca la
relazione tra la Chiesa cattolica e quella luterana?
«Attualmente la gerarchia
della Chiesa cattolica è su
posizioni moderate, forse
perché hanno paura di un
inasprimento con il governo.
Del resto la Chiesa cattolica
ha pagato un prezzo altissimo nei 12 anni di guerra in
El Salvador.
Però, a livello ecumenico,
abbiamo ottime relazioni tra
la base e le diverse comunità
impegnate nel sociale. Qui
r ecumenismo è inteso come
un rapporto dialettico di rispetto e di valorizzazione
delle differenze, mentre sovente la gerarchia intende
r ecumenismo come sottomissione verso il papato e la
«vera chiesa». Per questo ci
chiamano «fratelli separati».
- I giornali e gli osservatori politici dicono che il vescovo luterano di El Salvador
ha preso su di sé l’eredità politica e spirituale di monsignor Romero: è d’accordo
con questa sensazione molto
diffusa?
«Così la gente dice. Certo
è importante notare che molta gente, sorelle e fratelli che
appartengono alla Chiesa
cattolica, mi chiamano «nostro vescovo» ma questo non
significa che essi siano diventati luterani, e d’altra
parte noi non vogliamo che
10 diventino.
Questi credenti stanno bene dove sono perché vivono
la fede al di là dei soliti steccati confessionali. Se dicono
che io rappresento il successore spirituale e politico di
monsignor Romero è perché
in questi anni ho cercato di
essere un vescovo del popolo
della minoranza emarginata,
rischiando la mia vita in prima persona e alzando una
voce chiara di denuncia e di
ribellione là dove non si poteva sopportare l’ingiustizia
della morte e del dolore.
Naturalmente, dal punto di
vista teologico, il paragone è
improponibile. La nostra
chiesa è luterana e dunque
ha una ecclesiologia profondamente differente. Ma tutti
noi abbiamo imparato da
monsignor Romero l’importanza di una parola profetica
e del coinvolgimento personale per coloro che vivono
nella sofferenza e, come diceva monsignor Romero, cerchiamo di essere la voce di
«coloro che non hanno voce». Per questo la Chiesa luterana ha molte difficoltà con
11 potere politico.
Mons. Oscar Romero, assassinato Il 24 marzo 1980 •
Ci accusano di essere comunisti ma ciò che noi cerchiamo è soltanto di essere
una chiesa profetica. Per
questo, lo diciamo molto
chiaramente, questo governo
è delegittimato, è un governo
che affama il popolo e che
non ha interesse a migliorare
la situazione drammatica del
popolo. Questi governanti
devono andare via e lasciare
ad altri la possibilità di lavorare per questo paese. Se poi
anche la sinistra farà gli
stessi errori, la Chiesa luterana denuncerà di nuovo
r ingiustizia».
- Cosa pensa dell’epurazione dell’esercito?
«L’epurazione deve continuare ed è necessario offrire
un alternativa a tanti militari
che vengono mandati a casa,
altrimenti c’è il rischio di lasciare circolare liberamente
gruppi armati senza alcun
controllo».
- Cosa pensa delle prossime elezioni del marzo ’94?
C’è il rischio di una involuzione autoritaria o le elezioni
si svolgeranno in un clima di
garanzia costituzionale?
«Noi sospettiamo che non
si faranno le elezioni che
speravamo. Il governo e molta parte della stampa borghese stanno facendo una
campagna senza riserve contro la sinistra, dicendo che i
guerriglieri del Fronte non
hanno consegnato tutte le armi. Ma questa è una menzogna, al contrario è l’esercito
che non ha consegnato le armi dei corpi speciali che sono stati smantellati; costoro
girano indisturbati per il
paese seminando morte e dolore.
Non abbiamo una vera e
propria libertà di espressione, questa democrazia è formale ma non reale, basta vedere la situazione dei giornali; l’unico giornale progressista viene continuamente attaccato da gruppi che cercano di appiccare il fuoco nella
redazione e di boicottare il
lavoro tipografico.
Noi abbiamo molta fiducia
nelle elezioni perché speriamo che ci sia un forte cambio
nella vita politica del paese,
affinché vinca una politica
che lavori per la giustizia e
la pace, per servire il popolo
salvadoregno. Il nostro progetto è di lavorare per il popolo per un progetto di pace
e di amore».
- Che cosa significa per
voi teologia della liberazione?
«Siamo vicini alla teologia
della liberazione perché secondo noi, qui in El Salvador, essa rappresenta l’unico
modo di parlare di un Gesù
storico. La teologia della liberazione significa identificarsi con chi soffre di più,
ma questo non significa abbandonare i ricchi.
Sono i ricchi che emarginano il Dio di Gesù seguendo purtroppo gli idoli di
morte come il potere e il denaro. Il dio dei ricchi è un
dio di morte e di oppressione. Il Dio di Gesù è un Dio di
tutti, non emargina nessuno;
va detto chiaramente: è un
Dio di giustizia, di amore e
di vita».
Una notizia particolarmente scioccante
Il Giappone (e altri)
verso l'atomica?
ROBERTO PEYROT
Fra guerre e guerriglie che
funestano il mondo la
questione degli armamenti nucleari pare passata in seconda
linea. Le ultime «grosse» notizie relative a questo settore si
fermano praticamente all’inizio del corrente anno, allorché
venne firmato tra Bush, per
gli Usa, e Eltsin per la Russia
il trattato «Start 2», che prevede una notevole riduzione delle armi strategiche nucleari,
con una progressiva attuazione nei prossimi dieci anni, e
cioè nel 2003.
Anche se la notizia non ha
potuto che rallegrare per questa inversione di tendenza,
dovuta peraltro al crollo
dell’Urss, resta però chiaro
che una volta raggiunto tale
disarmo il nostro pianeta potrà essere sempre abbondantemente distrutto. Nel frattempo
le cose si sono ulteriormente
complicate in quanto, in seguito allo smembramento
dell’impero sovietico, sono
ora più di uno i nuovi stati indipendenti ad avere le armi
atomiche; oltre alla Russia vi
sono infatti l’Ucraina, la Bielorussia, l’Azerbaigian, il Kazakhstan i quali, oltre a aumentare il numero delle nazioni del «club atomico», tendono a svendere tali armi al
miglior offerente per un pressante bisogno di valuta pregiata.
Ma accanto a questi commerci e proliferazioni più o
meno sommersi e comunque
poco controllabili dall’«Agenzia internazionale per l’enerV già atomica», vi è ora una documentata denuncia del mensile francese Le monde diplomatique di settembre, secondo
cui il Giappone non esclude
più la possibilità di produrre
l’arma nucleare avvalendosi
della sua tecnologia in campo
civile e confermando così lo
stretto legame fra l’atomo
«pacifico» e quello bellico.
La notizia è particolarmente
scioccante; questa nazione è
stata l’unica finora a aver provato su due sue città (Hiroshima e Nagasaki) nel 1945 la
spaventosa potenza atomica
con centinaia di migliaia di
morti, con immani distruzioni
e con conseguenze ancora oggi visibili (a distanza di quasi
mezzo secolo) come cancri,
leucemie e malformazioni. La
nuova «Costituzione della pace» imposta dagli Stati Uniti
dopo la fine della seconda
guerra mondiale, fà un esplicito riferimento all’impossibilità, da parte del Giappone, di
acquisire capacità militari offensive e successivamente il
Parlamento, nel 1968, in occasione della presentazione del
Trattato intemazionale di non
proliferazione (Tnp) ribadì
l’interdizione al «possesso,
fabbricazione e introduzione
di armi nucleari».
Sono essenzialmente due le
motivazioni con cui il Giappone contempla la possibilità
di produrre armamento atomico. La prima è data dal fatto
che il Tnp firmato da Tokyo
nel 1970 è un «patto fra disuguali» perché consente ai cinque grandi paesi nucleari
(Usa, ex Urss, Cina, Gran
Bretagna e Francia) di amministrarsi da sé senza pensare a
un’eliminazione progressiva
di dette armi come previsto
dall’art. 6. Per contro vi sono
paesi nucleari che non hanno
aderito al Trattato, come l’India, il Pakistan, il Brasile,
l’Argentina e Israele, che sono
quindi liberi di completare e
aumentare il proprio potenziale. La Corea del Nord poi, che
lavora all’atomo, ha annunciato nello scorso marzo il suo ritiro dal Trattato «per difendere i suoi supremi interessi». In
occasione dell’ultimo incontro
proprio a Tokyo dei «G7» (i
principali paesi industrializzati), avvenuto lo scorso luglio,
il Giappone ha fermamente rifiutato un ulteriore prolungamento del Tnp che scadrà ’95.
Il secondo motivo è forse il
più determinante per Tokyo
ed è dato sia dal già accennato
ritiro della Corea del Nord dal
Trattato e sia dal programma
nucleare della Corea del Sud.
Ciò che più preoccupa il
Giappone nei confronti delle
due Coree, secondo il già citato servizio giornalistico, è la
possibilità di una loro eventuale riunificazione che potrebbe portare a un maggior
impegno nella via del nucleare militare.
Se poi si tiene presente che
le elezioni politiche giapponesi dell’agosto scorso hanno visto una prevalenza della parte
favorevole all’aumento delle
spese militari e all’indipendenza in materia di difesa, si
capisce ancor più chiaramente
questo nuovo atteggiamento.
La prima bomba atomica sperimentata ad Alamogordo 1116 luglio 1945, qualche giorno prima
di essere lanciata su Hiroshima
Da notare poi, ricorda ancora
il mensile, che l’avanzata tecnologia giapponese nel campo
dei satelliti commerciali e dei
relativi vettori consente una
facile conversione al loro uso
militare, con potenzialità intercontinentale.
Tirando le somme, mentre
agli alti livelli in qualche modo si disarma, ai livelli più
bassi succede il contrario.
Mentre, paradossalmente, ai
tempi deir«equilibrio del terrore» tra Usa e Urss vi è stato
un certo rispetto per il gioco
delle parti, che cosa potrà accadere domani, quando armamenti nucleari saranno a disposizione di un numero imprecisato e incontrollato di
paesi disposti anche a gesti
estremi? La maledizione nucleare continua; non si può
annullare ciò che è stato inventato, e il suo controllo sarà
sempre più arduo.
Più che mai le chiese, sia localmente sia a livello intemazionale, devono continuare a
denunciare queste gravi situazioni, non limitandosi a sia
pur apprezzabili dichiarazioni
a favore della pace e della giustizia, ma adoperandosi fortemente affinché, secondo la
profezia di Isaia, gli uomini
convertano le armi in strumenti di pace, cambino mentalità e «non imparino più la
guerra».