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Anno 126 - n. 49
14 dicembre 1990
L. 1.000
Sped. abbonamento postale
Gruppo II A/70
In caso di mancato recapito rispedire
a: casella postale - 10066 Torre Pellice
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
CRISI DEL GOLFO
LA GERMANIA DOPO LE ELEZIONI
Il tempo L'identità e ia democrazia
stringe
Care sorelle, cari fratelli
nel Signore,
il 29 novembre il Consiglio
di sicurezza delle Nazioni
Unite ha votato a maggioranza una risoluzione che autorizza di fatto l’uso della guerra per ristabilire il diritto
nello stato sovrano del Kuwait, qualora l’Iraq non rinunciasse alle sue pretese sul
territorio di quello stato entro il 15 gennaio.
In noi è ancora fresca la
memoria dell’Assemblea ecumenica di Seoul, dove nel
marzo scorso i rappresentanti di centinaia di chiese ortodosse e protestanti e di molti
cattolici di tutto il mondo si
sono unanimemente impegnati « a lavorare per bandire la guerra come mezzo riconosciuto legalmente per risolvere i conflitti ».
Il Sinodo delle chiese vaidesi e metodiste, l’Assemblea
delle chiese battiste, la Federazione giovanile evangelica
del nostro paese hanno preso
posizione sulla crisi del Golfo
in tempi e modi diversi, ma
su un punto sono stati concordi: nella richiesta che lo
sbocco di quella crisi non
sia una guerra, le cui proporzioni nessuno oggi è in grado
di prevedere.
Il tempo stringe; i margini
per trattative, nuovi tentativi negoziali, iniziative di pace si restringono, ma ci sono
ancora. Non possiamo prepararci a questo Natale come
se fosse un momento tranquillo o vivendo alla giornata
senza interrogarci su quanto
potrebbe accadere all’inizio
del 1991.
Vi invitiamo perciò a cercare nel culto di Natale, nella
predicazione e nella preghiera per la pace la forza che
la parola di Dio può dare, per
non restare passivi. Insieme
con le chiese, i credenti, gli
uomini e le donne che in Medio Oriente e in tutto il mondo si sforzeranno nello stesso periodo di fermare la
guerra e di osare la pace, vi
esortiamo anche a render
conto pubblicamente della
speranza che l’avvento di Gesù Cristo, Principe della pace, rappresenta per noi.
La Commissione
delle chiese battiste,
metodiste e valdesi per la
giustizia, la pace e la
salvaguardia del creato
riunita presso la Chiesa battista
di Mottola (Taranto)
3-4 dicembre 1990
Un voto che ha premiato il benessere deH’Ovest ma ha lasciato irrisolte le questioni sociali ed etiche più pressanti - La chiesa deve trovare al più presto un suo ruolo profetico
Domenica 2 dicembre il popolo tedesco ha eletto unitariamente, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, i
suoi rappresentanti al Bundestag (il Parlamento tedesco). La ripartizione dei seggi è la seguente: CDU-CSU (Unione cristiana democratica - Unione cristiana sociale) 319, FDP (Partito liberale)
79, SPD (Partito socialdemocratico) 239, PDS (Partito del socialismo democratico, ex comunisti dell’Est) 17, Alleanza 90 (alleanza
tra Verdi dell’Est e gruppi della sinistra alternativa) 8. Spariscono dal Bundestag i Verdi occidentali che non riescono a superare
10 sbarramento del 5% dei voti necessari per avere eletti. Nel
precedente Bundestag sedevano 48 verdi. Perdono sensibilmente
anche i socialdemocratici dell’Ovest.
Il futuro politico della Germania è dunque in mano all’alleanza tra democristiani e liberali, ed Helmut Kohl dovrebbe essere
riconfermato cancelliere, prima di Natale. Quanto al futuro governo i liberali chiedono un aumento della loro presenza in ministeri qualificati, ministeri che gli uomini della CDU/CSU non
vogliono per ora lasciare. Sul piano politico, poi, esistono contrasti tra liberali e democristiani sul tema della legge sull’aborto,
11 diritto d’asilo e sul ruolo dell’esercito.
Ma qual’è la posizione delle chiese evangeliche dopo queste
elezioni? Giuseppe Platone, da Prancoforte, ci invia questo servizio.
L’euforia della vittoria dei cristiano-democratici tedeschi per il
loro leader Kohl e del suo alleato
liberale Genscher non si è ancora
spenta. Continua a brillare nelle
vie riccamente addobbate per la
corsa annuale al regalo natalizio.
Ma il regalo più bello del ’90 è
stato quello della riunificazione
politica della Germania, sotto la
spinta della grande rivoluzione
nonviolenta dell’ex Repubblica
Democratica Tedesca (RDT).
Ha vinto Kohl, un democristiano, che ha accelerato il processo
d’unità tedesca ed ha perso chi ha
cercato di frenarlo, come ha fatto
il socialdemocratico Oskar Lafontaine in compagnia dei « Grünen »
(Verdi), che così scompaiono dal
Bundestag.
Appena terminata l’euforia si
ripresenteranno puntuali i temi sui
quali Lafontaine aveva cercato di
attirare l’attenzione durante la sua
campagna elettorale: dalla giustizia sociale ai problemi economici
della riunificazione.
Sulla situazione generale tedesca
di questi giorni abbiamo chiesto
un primo commento a Detlef Peter, pastore a Berlino Est.
« I socialdemocratici hanno perso la loro battaglia perché non
avevano un programma chiaro, i
cristiano-democratici e i liberali
hanno fatto molte promesse che
non riusciranno a mantenere. Soprattutto l’idea vincente di non
aumentare le imposte appare irrealistica ». « Qui nell’ex RDT —
continua Peter — la situazione sociale è grave. Stanno esplodendo
contraddizioni che aumentano il
senso di generale insicurezza. Ormai lo sappiamo: la Germania
orientale è destinata a restare povera per lungo tempo ».
I tedeschi, votando Kohl, hanno
votato per mantenere e valorizzare
la società odierna, mettendo in secondo piano le grandi questioni
etiche poste dalla stessa riunificazione. Anche i vecchi bastioni luterani come la Sassonia e la Turingia si sono schierati con i cristiano-democratici. Dopo decenni
di cappa comunista occorreva voltare pagina puntando direttamente
su chi offriva un’alternativa depurata da tutto ciò che odorava di
socialismo.
E la chiesa evangelica che, a
detta di tutti, ha svolto un ruolo
fondamentale per l’abbattimento
del muro, oggi cosa dice?
Abbiamo girato questa domanda a Carola Wolf, nota giornalista e da anni organizzatrice del
Kirchentag.
L’INVITO DELL’EVANGELO
Andiamo a Betlemme
«Andiamo fino a Betlemme per vedere quello
che è accaduto e che il Signore ci ha fatto sapere »
(Luca 2: 15).
Andiamo fino a Betlemme! Andiamoci anche
noi, secondo l’invito di tutto l’Evangelo.
Betlemme è una cittadina in Palestina. Lì nacque Gesù ebreo, figlio di ebrei, per vivere da ebreo
in Nazareth di Galilea e morire a Gerusalemme. Si
dimenticarono di questo i « cristiani » tedeschi che
negli anni del nazifascismo appoggiarono le persecuzioni contro gli ebrei.
Andare a Betlemme oggi significa riconoscere
che Gesù Cristo non è un mito inventato dalla fantasia umana, adattabile alle nostre esigenze filosofiche o sociopolitiche, ma una persona storica vissuta in una località ben precisa della terra, che
ha fatto sentire la voce di Dio forte e potente
a tutta l’umanità: un Dio che salva e guida il suo
popolo e dona la sua misericordia e la sua guida
amorevole ad ogni uomo di buona volontà.
Andare a Betlemme in ideale sintonia con l’attesa e la curiosità dei pastori di quel lontano primo
Natale significa essere sempre e di nuovo pronti ad
accettare il modo di ragionare e di agire di Dio, molto diverso dal nostro (Is. 55: 8-9). Dio sceglie coloro
che non contano, i deboli ignorati dal mondo per
.svergognare saggi e potenti (I Cor. 1: 28-31)).
Ai tempi di Gesù, Betlemme era un piccolo villaggio poco noto, insignificante come tanti altri
borghi, sì che il profeta Michea, per difenderlo dal
disprezzo dei suoi contemporanei, afferma che nei
piani di Dio è e sarà importante (Michea 5: 1).
E così sarà per Nazareth: non dimentichiamo
la frase di Natanaele, piena di stupore più che di
disprezzo: « Può forse venir qualcosa di buono da
Nazareth? » (Giovi 1: 46).
Decisamente Dio ha una « teologia » diversa da
quella della religiosità naturale dell’uomo che vorrebbe un Dio pronto a manifestare la sua forza attraverso coloro che contano. La teologia divina appare paradossalmente molto laica...: ignora templi
e santuari religiosi, gerarchie e caste sacerdotali e
per proclamare il suo messaggio di salvezza si serve di località non importanti, di gente che non conta, di un piccolo fanciullo, di genitori errabondi,
raminghi, sospinti qua e là dal potere civile e militare, incurante dei miseri e dei deboli. Dio invece
ama i deboli e si serve di loro e continua a mandare a Betlemme perché ci si renda conto che il
primo annuncio della salvezza fu fatto ai pastori,
gente ignorante, disprezzata dagli ecclesiastici di
quel tempo e dalle autorità civili, al punto di non
poter rendere neppure testimonianza nei tribunali.
Andare a Betlemme significa sentirsi come i pastori, indegni e bisognosi di aiuto; significa rendersi
conto che chiunque siamo, qualunque ruolo ricopriamo, abbiamo bisogno di salvezza e di guida.
Alla scuola di Dio dobbiamo ancora e sempre imparare l'umiltà e il cammino della giustizia. Giorno
dopo giorno, abbiamo bisogno di essere nutriti del
pane che viene dal cielo (Giov. 6: 22-65) e Betlemme — non dimentichiamolo —- etimologicamente significa « casa del pane ».
E’ hello rispondere alla chiamata divina, esortandoci reciprocamente ad andare « a Betlemme
per vedere quello che è accaduto e che il Signore
ci ha fatto sapere ».
Bruno Costahel
Detlef Peter, pastore evangelico
a Berlino Est.
« Oggi la chiesa evangelica nell’ex RDT tace. Si è annegata nella grande EKD (la chiesa evangelica tedesca), così possiamo confrontarci soltanto con grandi istituzioni ecclesiastiche e non con
dei segni di speranza. Penso —
dice la Wolf — che la chiesa deve
ritrovare al più presto un suo fuolo profetico, forse aprendo di più
le orecchie alle esigenze dei giovani e delle donne nella società. Il
problema numero uno del popolo
tedesco sta in questa domanda:
’’Chi siamo noi?”. In cosa consiste
la nostra identità tedesca? Senza
vera identità non c’è tolleranza,
senza tolleranza non c e vera democrazia. La chiesa può aiutarci
nello scoprire la nostra autentica
identità nell’Europa che sta nascendo.
Quest’ultima guarda alla Germania riunificata — conclude la
Wolf — affascinata dalla rapidità
di eventi per i quali nessuno di noi
era veramente preparato e, allo
stesso tempo, intimorita dalla sua
straordinaria forza economica ».
Per la Germania iniziano i tempi difficili della ricostruzione. A
Hof, in Baviera, dove prima del
crollo del muro arrivavano dall’Est i « Freiheitszuge » (treni della libertà), alcuni tedeschi occidentali hanno bruciato le « Trabant »
(piccola auto popolare dell ex
RDT) della numerosa colonia di
tedeschi orientali stabilitisi in
quella regione. « Subite — gli hanno detto — e state zitti perché
siamo noi che vi sfamiamo ».
Terminata l’euforia della vittoria del cancelliere dell’unità, la
vita politica quotidiana riprende
avendo davanti un futuro pieno
di incognite. In questo senso le
chiese hanno molto da dire e da
vare.
Giuseppe Platone
HAI RINNOVATO
L’ABBONAMENTO?
2
commenti
14 dicembre 1990
BATTISTI
Scissione in USA
La decisione dovuta ai contrasti tra
l’ala fondamentalista e i « moderati »
La Convenzione battista
del Sud (SBC) si spacca?
Non per il momento, ma
alla fine di agosto 3.000
battisti del Sud dissidenti
si sono dati convegno ad
Atlanta per dare vita alla
Southern Baptist Fellowship (SBF).
I battisti che si sono incontrati sono i cosiddetti
« moderati » della Convenzione, coloro cioè che si oppongono alla dispotica guida fondamentalista della
denominazione. Sostanzialmente sono gli appartenenti a tre gruppi di oppos_zione: la Southern Baptist Alliance, la Baptists Committed to thè SBC e la Concerned Southern Baptists.
I fondamentalisti guidano la più grande denominazione protestante d’America già da dodici anni, da
quando un gruppo di battisti fondamentalisti texani
organizzò im take over, un
« attacco alla giugulare »
— come uno di loro si
espresse — per impossessarsi della guida della denominazione. Il metodo
usato fu un atto di strategia politica denominazionale molto discutibile ed il
colpo fu perpetrato con metodi più consoni ad un golpe che ad una democratica
assemblea ecclesiastica.
I fondamentalisti hanno
guidato la denominazione
battista snaturandola: infatti i moderati lamentano
che tutti i principi battisti
vengono disattesi, dal battesimo degli adulti al sacerdozio universale, dalla libertà di coscienza all’autonomia congregazionalista,
dalla separazione tra chiesa e stato allo zelo missionario. I fondamentalisti
si ispirano a principi estranei alla tradizione battista
ed usano la Bibbia e le Confessioni di fede in modo
del tutto estraneo allo spirito battista.
Più volte i battisti del
Sud moderati si sono interrogati sulla possibilità di
fuoriuscire dalla denominazione per fondarne una
nuova, oppure per associarsi alla American Baptist
Convention, la denominazione battista del Nord, progressista ed ecumenica (alla quale appartiene la Riverside Baptist Church di
New York). Ma il momento non è ancora stato giudicato opportuno per fare
una scelta così dilaniante.
Uno storico battista molto conosciuto, Walter Shurden, affermava che le denominazioni battiste si sono
formate per successive controversie: la crisi landmarchista, la crisi antimissionaria, la crisi segregazionista
(che portò alla nascita della
SBC), la crisi successionista, la prima crisi fondamentalista, ecc. Tutte hanno condotto alla formazione di nuove denominazioni
battiste.
Oggi una maggiore maturità e consapevolezza ecumenica tendono a non creare nuove divisioni. Ma la
tentazione è forte e ancora
più forti sono i grandi problemi che il radicalismo
reazionario e dogmatico
fondamentalista pongono
alla libertà delle agenzie ecclesiastiche, dei professori
di teologia, dei seminari,
delle chiese e dei loro pastori.
Per ora i moderati della
SBF si organizzano come
affiliazione indipendente
della denominazione (come lo è il Movimento femminile della SBC). Alla
Convention di Atlanta la
SBF ha eletto un Comitato
costituente di 60 membri e
Daniel Vestal come presidente (alla Convention
di giugno si era presentato, senza successo, come concorrente moderato
alla presidenza della denominazione).
Il primo atto della
Fellowship battista sarà la
creazione di un « Programma cooperativo battista di
missione ». Molte chiese
moderate sono esitanti a
partecipare al programma
di sostegno finanziario della denominazione a causa
del modo spregiudicato ed
ideologico della leadership
di amministrare le finanze.
Il programma cooperativo raccoglierà, tramite una
banca di Atlanta, i contributi delle chiese moderate
alla denominazione per distribuirli a quei programmi
denominazionali che vengono negletti dai fondamentalisti. L’amministrazione di
questi fondi verrà gestita
dal Comitato costituente e
controllata da una commissione di probiviri indipendente. Quindi i moderati
continueranno a sostenere
la denominazione, ma, scavalcando l’attuale dirigenza, essi finanzieranno solo
quelle attività e quelle
agenzie ecclesiastiche che i
fondamentalisti vogliono
reprimere.
La novità dello stile di
azione della Fellowship è
già evidente. Il criterio di
formazione del Comitato
costituente è stato inclusivo. Si è cercato di tenere
conto del numero delle
donne, delle diverse aree
geografiche, delle minoranze etniche, ecc. (i fondamentalisti vietano il pastorato femminile e l’integrazione degli ispanici nelle
chiese bianche).
L’obiettivo dichiarato della Fellowship non è quindi
quello della divisione, né
della vendetta, ma quello
del rinnovamento, come il
suo presidente ha subito affermato. Secondo Vestal i
battisti del Sud hanno bisogno di un rinnovamento
spirituale, degradatosi a
causa del conflitto e dei
metodi polizieschi praticati dall’attuale dirigenza denominazionale.
La SBF ora è di fronte a
molte incognite: funzionerà questo stratagemma del
finanziamento privilegiato?
Come continueranno i fondamentalisti ad amministrare quei fondi che ancora sono in loro potere? I
fondamentalisti ricorreranno ad azioni punitive contro le chiese ed i pastori
che hanno aderito alla
Fellowship? Se i fondamentalisti continueranno a
rimuovere i moderati dalla
guida delle agenzie denominazionali. seguiteranno i
moderati a finanziare la denominazione? Lo spirito di
rinnovamento proposto dai
moderati prenderà davvero
piede in tutta la denominazione?
Non si può dire come terminerà questa lunga e dolorosa crisi che ha attanagliato la denominazione,
ma una cosa è certa: la crisi è arrivata ad una svolta.
Italo Benedetti
RIFLESSIONI
Natale 1990
Palestina. Tre anni fa iniziava ITntifada: oggi è ancora
lungo il cammino verso la pace.
Tecnico e politico
Avvengono strane cose nella nostra vita politica.
Da un lato si proclama la necessità di una conduzione poUtica «manageriale», affidata aUe persone
gmste nelle sedi giuste, togliendo spazio all’improvvisazione e al dilettantismo.
D’altro lato però non si presta grande attenzione
a quanti di certi problemi si fanno carico giornalmente.
Facciamo alcuni esempi: la legge sulla droga (per
mesi e mesi gU operatori delle comunità terapeutiche hanno lamentato di non essere stati presi in
considerazione, con poche e non casuali eccezioni.
In ogni caso,^ cM ha lanciato allarmi tecnici per
1 inapplicabilità di alcune norme della legge non è
stato ascoltato un granché).
Altro esempio, di questi ultimi giorni: il decreto poi ritirato — con cui il governo si proponeva
di «bloccare» alcuni effetti della legge Gozzini di
riforma carceraria. Si diceva: a causa della permissività di questa legge (che concede riduzioni delle
pene e modalità alternative alla carcerazione, a determinate condizioni) boss e killer escono di galera,
sparano, uccidono. Bastava ascoltare non dico le opposizioni politiche, ma il direttore degli istituti di
prevenzione e pena e un alto ufficiale dei carabinieri (in uno speciale del TGl) per capire dalla voce di chi lavora nel carcere che le cose stavano
diversamente, che la legge ha consentito di ridurre
l’atmosfera tensione delle prigioni, di contenere
la violenza insita nell’istituzione carceraria, oltreché, non va dimenticato, ridare la speranza di un
cambiamento di vita a molti detenuti. Ma ce n’è
voluto perché queste voci, e quelle dei detenuti stessi, venissero prese in considerazione.
Si potrebbero fare altri esempi, dalla legge 180
al dibattito sull’adozione dei bambini.
Ma perché, se si vuole una politica che non faccia parole, ma produca effetti concreti, non si ascolta chi lavora in determinati settori?
Le risposte possono essere due, collegate fra loro:
intanto gU operatori di cui si parla sono dotati di
ben poco peso nel mondo dell’informazione. Non
sono loro che «fanno opinione». La possibilità di
comunicare è altrove, sempre più concentrata, può
essere indirizzata in un senso predeterminato senza che si concedano troppe deviazioni.
E molto spesso accade che questa direzione è
quella che la gente, la società chiedono per la propria tranquillità. Che è cosa diversa dal dire che
essa sia realmente « utile » e produttiva per la società stessa. I nodi prima o poi vengono al pettine,
molti problemi restano; nonostante leggi che promettono sicurezza e « legalità » ad una società Insicura come la nostra, si continua a non avere il
polso della situazione sulle tossicodipendenze, si
continua a non poter quantificare il numero degli
immigrati detti irregolari, si è rischiato di colpire
nel mucchio le speranze riabilitative di uomini e
donne che, dentro e fuori dal carcere, cercano di
cambiare vita. (Ma davvero si poteva pensare di
risolvere il problema della grande criminalità organizzata in questo modo?).
Però queste sono le rassicurazioni che la società
chiede, bisogna dargliele.
Non sono certamente convinto della necessità di
un « governo di tecnici », come si diceva non molti
anni fa; ben vengano gli esperti, ma al loro posto.
Noi eleggiamo del parlamentari che debbono rii
spondere in prima persona delle loro scelte (assunte direttamente o meno). Quello che ci serve non
è un ministro «tecnico» (Reagan scelse un militare,
Haig, come segretario di stato!), ma un politico che
sappia ascoltare la società ai suoi più vari livelli,
senza orientarne in partenza le idee, ma adeguando
le proprie ai bisogni del paese. Le proprie e quelle
di chi lavora con lui. Sono in tanti, e spesso bravi.
Facciamo anche noi uno sforzo per ascoltarli, gli
spazi che sfuggono alla demagogia sono ristretti.
Alberto Corsani
Il Natale è da tempo immemorabile per noi cristiani legato a immagini
dolci e rassicuranti di tepore e di affetto, di tenere riunioni di famiglia, di
serenità, di regali, di cibo
e di sazietà: e sa persino
di retorica parlarne... Eppure vicino a noi — non a
migliaia di chilometri, ma
a pochi metri — ci sono
tanti nostri fratelli non cristiani a cui questa festa
non dice nulla, che ci osservano, stupiti della nostra opulenza, di questo
Gesù che è sulla bocca di
tutti, nato forse povero (così dicono: ma sarà poi vero?!) duemila anni fa, oggi evidentemente dalla parte dei ricchi, delle nazioni
industrializzate, dei popoli che hanno lo stomaco
pieno e il portafoglio gonfio. Capitati in mezzo a noi
per sfuggire alla crudele
miseria del loro paese non
cristiano, sperimentano sulla loro pelle la crudele ricchezza del nostro... che si
dice cristiano! Ci domandiamo spesso che cosa sarà di loro e discutiamo sul
loro destino, se cacciarli o
accoglierli, se dar loro un
salario o un foglio di via
per il ritorno... senza mai
chiederci che cosa sarà di
noi se continueremo a chiamarci con un nome che
non meritiamo..., a invocare la presenza di Cristo
senza accorgerci che è già
alla nostra porta e picchia
e vuole entrare...
Chiesa metodista
di Padova
L'Avvento
Luca I: 67-80
Dinanzi al suo neonato
Giovanni, il sacerdote Zaccaria ha una visione: vede
nel piccolo colui che annuncerà e precederà l'atteso
Messia preannunciato dai
profeti; colui che sarà il
precursore del « potente
Salvatore, che libererà il
popolo dai suoi nemici ». E
col cuore giubilante rende
lode a Dio esclamando:
« Sia benedetto il Signore ».
Quale sublime esclamazione! Oh se ogni cristiano,
in mezzo alle molteplici tribolazioni della vita, potesse elevare a Dio un proprio cantico di lode e di
ringraziamento come lo elevò Zaccaria! Potessimo anche noi avere la visione di
Zaccaria che ci faccia esclamare: « Sia benedetto il Si
gnore »! Potesse il nostro
cuore sentirsi ripieno di
gioia spirituale proprio in
questo tempo di Avvento!
Ma lo possiamo? Lo possono gli uomini, le donne del
nostro Paese e di ogni nazione in questi giorni intossicati di violenze, di omicidi, di inganni, di insicurezze e di paure? Qggi, in
cui siamo un po’ tutti oppressi dallo sgomento di
una guerra sterminatrice,
è possibile avere una visione di speranza che ci faccia
esclamare: « Sia benedetto
il Signore »? In questo nostro tempo nel quale, anziché pace ed amore, vediamo piuttosto i segni che
preannunciava Gesù: « ...Il
fratello darà il fratello alla
morte, ed il padre il figlio;
e i figli si leveranno contro
i genitori e li faranno morire... » (Marco 13: 12). Oggi, chi può giubilare col
cuore?
La speranza e l’ansia che
Zaccaria esprime col suo
cantico sono le stesse di
tutti noi. La speranza che
« ...liberati dalla mano dei
nostri nemici, possiamo servire il Signore in santità e
giustizia tutti i giorni della
nostra vita » (v. 74).
I nemici dai quali noi vogliamo oggi essere liberati
non sono letteralmente
quelli di Zaccaria, tuttavia
non sono meno tremendi. I
nostri nemici sono quelli
cui alludeva l’apostolo Paolo: «I dominatori di questo
mondo di tenebre, sono le
forze spirituali della malvagità » (Efes. 6: 12). Sono le
forze dell’avidità di potere, della prepotenza, della
falsità, dello sfruttamento
deH’uorao sul suo simile!...
Oh, che il Signore operi nei
cuori e nelle menti d’ogni
umana creatura, e particolarmente in tutti i responsabili delle nazioni, affinché
ognuno possa servire il Signore in santità e giustizia,
cioè con amore, con giustizia e col servizio degli uni
verso gli altri. Avvicinandoci dunque alla ricorrenza
del Natale, eleviamo il nostro pensiero e la nostra
speranza in Cristo Gesù,
poiché Lui è il potente Salvatore che solo PUÒ liberare il mondo da ogni ingiustizia e da ogni malvagità,
e sia in tutti la speranza fiduciosa che « l’Aurora dall’alto ci visiterà per risplendere su quelli che vivono in
tenebre e in ombra di morte » (vv. 78-79).
Giuseppe Anziani
Abbonamenti 1991
ITALIA
Ordinario annuale L. 46.000
Semestrale L. 25.000
Costo reale L. 70.000
Sostenitore annuale L. 85.000
ESTERO
Ordinario annuale L. 80.000
Ordinario (via aerea) L. 140.000
Sostenitore L. 150.000
Semestrale L. 45.000
Da versare sul c.c.p. n. 20936100 intestato a A.I.P. - via Pio
V, 15 - 10125 Torino.
■ A chi si abbona per ia prima voita, gratis II settimanale
fino alla fine del 1990. -
■ Chiedete tre copie saggio gratis telefonando al n. 011/
655278 0 inviando un fax al n. 011/657542.
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14 dicembre 1990
chiese e stato
INTERVISTA AL MODERATORE FRANCO GIAMPICCOLI
Fede cristiana e laicità
Il Concordato doveva rinnovare ¡ rapporti fra Chiesa cattolica e uno
Stato che dimostra sempre più di fallire proprio sulla sua laicità
Il trimestrale « Laicità », organo del « Comitato torinese per la
laicità della scuola », pubblica nel suo ultimo numero un’intervista
al moderatore della Tavola valdese. Franco Giampiccoli, relativa alla
posizione delle nostre chiese in merito all'ora di religione nella
scuola, al rapporto fede cristiana e laicità. La riproduciamo qui di
seguito.
La decisione del recente Sinodo delle chiese valdesi e metodiste ha ribadito l’impegno delle chiese ivi riunite nella lotta
per la laicità della scuola e per
le garanzie di libertà di tutti i
suoi utenti. Desideriamo un tuo
commento di prospettiva in relazione anche alla problematica
ecumenica ed a quanto si attende dallo Stato e dalla Corte Costituzionale.
Da quando fu revisionato il
Concordato, nel 1984, non è passato anno senza che il Sinodo
delle chiese valdesi e metodiste
abbia dovuto registrare le discriminazioni e il disagio inflitti ad
alunni e studenti che non si avvalgono deH’insegnamento religioso cattolico, abbia espresso la
sua protesta per questo stato di
cose, abbia dovuto dare alla Tavola valdese — che è il suo organo esecutivo — dei mandati
di resistenza, anche giudiziaria,
nei confronti della soluzione che
si è voluto dare al problema della religione a scuola. E’ questo
uno dei sintomi oggettivi, a cui
lo Stato dovrebbe prestare la dovuta attenzione, che manifestano
un dato di fatto incontestabile:
la soluzione che si è voluta dare al problema della religione a
scuola è una non soluzione, in
quanto è sentita da chi non è allineato sulle posizioni della maggioranza come una vera e propria
prevaricazione; il Concordato,
che doveva regolare una pacifica modernizzazione dei rapporti
tra Stato e Chiesa cattolica, si
rivela un « Concordato della discordia » a causa delle pretese
cattoliche che invadono la sfera dei diritti e della libertà di
chi cattolico non è; lo Stato sta
fallendo in questo campo la propria responsabilità laica consistente in una assoluta neutralità religiosa, condizione indispensabile per dare effettiva attua
zione alla pari dignità sociale e
all’uguaglianza dei cittadini sancite dall’art. 3 della Costituzione.
Va tuttavia operata una distinzione all’interno dello Stato.
Non tutti i poteri sono stati sordi a questo stato di cose. Se sordo si è mostrato finora il potere esecutivo rifiutando di fatto di dare attuazione alle leggi
di approvazione delle intese stipulate con alcune confessioni religiose, ben più attento ai diritti
delle minoranze si è dimostrato
il potere giudiziario, pur nella
contraddittorietà delle sue sentenze (TAR Lazio, Corte Costituzionale, vari pretori da una
parte; Consiglio di Stato dall’altra). La annunciata pronuncia
della Corte Costituzionale — chiamata a chiarire ulteriormente lo
« stato di non obbligo » dei non
avvalentisi — dovrebbe chiarire
le cose in questo ambito, senza
che questo significhi automaticamente una « conversione » dello Stato inteso in senso generale. Al chiarimento sul piano del
diritto è quindi ^ estremamente
importante che faccia riscontro
un impegno di resistenza nei
confronti delle soluzioni ambigue, degli equilibrismi e delle
contorsioni con cui si vuole, e
si vorrà, mantenere intollerabili
privilegi ad una confessione religiosa.
La Chiesa cattolica, in questo
quadro, aveva già prima una
grande responsabilità. Questa è
enormemente cresciuta quest’anno, quando l’intervento del presidente della CEI nell’azione giudiziaria a sostegno esplicito dell’obbligo di permanenza a scuola dei non avvalentisi ha mostrato l’arroganza, e insieme la
debolezza, di una politica che
intende basare il mantenimento
delle proprie posizioni sull’iniposizione di carichi ad altri. Poiché questi altri sono anche evangelici con cui la Chiesa cattoli
DIRITTI CIVILI
Sì può uscire
Su richiesta del Comitato nazionale Scuola e Costituzione, il
ministro della Pubblica Istruzione Gerardo Bianco ha ricevuto,
il 5 novembre, una delegazione
che intendeva fargli presente il
frequente manifestarsi di gravi
abusi nei confronti della libertà di coscienza nelle scuole. La
delegazione del Comitato ha sottoposto al ministro una serie di
illegalità in corso (limiti nella
libertà di scelta delTinsegnamento di religione cattolica, opportunità negate agli alunni che non
intendono avvalersene, collocazione oraria discriminante, ecc.).
Per tutto ciò la delegazione ha
chiesto tempestivi interventi di
governo che garantiscano la legalità nelle scuole. Il ministro
ha assicurato il suo interessamento per la situazione segnalata, e ha dichiarato che è sua
intenzione far rispettare la legalità nelle scuole, ¡mentre a suo
giudizio il ricorso alla magistratura porterebbe elementi di turbativa nell’operato dell’amministrazione. Da parte della delegazione si è osservato che a tutt’oggi la legalità si è affermata
soltanto grazie all’intervento dei
magistrati. E’ giunto infatti in
questi giorni anche quello del
pretore di Montevarchi, che ha
imposto al preside della scuola
media di San Giovanni Valdarno di non opporsi all’uscita di
un alunno che non si avvale dell’ora di religione cattolica.
Quest’ultima, comunque, non
è l’unica sentenza perché i pretori di Monza, Asti, Firenze e
Padova hanno già ordinato a
scuole di diverso grado di quelle località di non trattenere nell’edificio scolastico gli alunni
che hanno dichiarato di non volersi avvalere né dell’ora di religione né di attività alternative, perché ciò costituirebbe im
atto arbitrario.
Altri come i pretori di Milano,
Pordenone, Massa Carrara e Siena (sezione di Poggibonsi), investiti della questione, si sono
pronunciati sulla piena facoltatività dell’ora stessa, pur adottando provvedimenti diversi sul
piano tecnico e procedurale. E
c’è da aggiungere che in numerose scuole gli alunni che non
si avvalgono non sono trattenuti a scuola per « un’ora di niente », grazie alle decisioni degli
organi collegiali e dei capi d’istituto.
ca sembra essere ancora interessata a dialogare, questo fatto
non può non comportare delle
conseguenze sul piano ecumenico. Alle reiterate prese di posizione nei confronti dello Stato,
il Sinodo delle chiese valdesi e
metodiste ha perciò aggiunto
quest’anno una parola, pacata
ma netta, rivolta alla CEI, avvertendola che la sua azione viene recepita dalle chiese evangeliche come « contraddittoria di
un ecumenismo determinato dall’Evangelo » e manifestando « il
proprio disagio per il perdurare,
da parte della CEI, di un atteggiamento che nei fatti limita
la libertà altrui». E’ indubbio
che, a seguito di questa presa
di posizione, le nostre chiese, nel
quadro del dialogo ecumenico,
renderanno evidente ovunque e
in tutti i modi possibili questo
disagio per un’azione che sta ponendo un macigno a sbarrare
il cammino ecumenico.
Come si delinea, nell’ottica evangelica, il rapporto tra fede
religiosa, istituzioni ecclesiali e
laicità?
Nell’ottica evangelica il rapporto tra fede religiosa e istituzione ecclesiale, e cioè tra il
singolo credente e la comunità
organizzata dei credenti, si vuole fondato sulla libertà e sulla
responsabilità. « Se perseverate
nella mia parola — ha detto Cristo — siete veramente miei discepoli: e conoscerete la verità
e la verità vi farà liberi » (Giov.
8: 31-32). Il discepolato evangelico si può dire sia una pratica
perseverante della parola alla ricerca della verità e nella acquisizione della libertà. L’adesione ad
una comunità organizzata di credenti non può che fondarsi quindi su un permanente rapporto
di libertà, al di fuori di ogni
costrizione, nella messa in questione anche dei sempre possibili condizionamenti sociali.
D’altra parte l’assenza di qualsiasi mediatore tra Dio e gli
uomini che non sia il Cristo « perché uno solo è Dio e uno solo
è il mediatore tra Dio e gli uomini: l’uomo Gesù Cristo » (1
Tim. 2: 5) fonda la responsabilità personale di ogni credente,
espressa — nel linguaggio della critica alla pretesa di una
casta sacerdotale mediatoria —
dal concetto protestante del « sacerdozio universale dei credenti ». L’adesione ad una comunità organizzata di credenti non
può quindi che fondarsi su un
permanente rapporto di responsabilità, nel senso di partecipazione personale e di corresponsabilità, al di fuori di ogni principio e di ogni pratica di dimissione, delega O' ubbidienza.
Nell’ottica evangelica il rapporto tra fede religiosa e istituzione ecclesiale è perciò del tutto
laico e non credo ci sia da stupirsene: la Riforma è stata una
formidabile scuola di laicità in
quanto contestazione di un sistema gerarchico e clericale.
Il rapporto tra fede evangelica e laicità non è tuttavia di
identità bensì di tensione dialettica perché dal Rinascimento in
poi — e particolarmente dalTIlluminismo in poi — ai caratteri
della laicità si sono progressivamente mescolati in misura
maggiore o minore elementi di
laicismo e cioè di un dogmatismo rovesciato, di una squalifica del credere, di un’assolutizzazione del dubbio. Come è noto il laicismo ha giocato un ruolo non indifferente nella questione della religione a scuola. Sarebbe interessante verificare se
esso è ancora presente nelle posizioni di laici (e di credenti
evangelici), determinando posizioni oltranziste.
□ 8 PER MILLE: IL GETTITO PER LE CHIESE
ROMA — Un campione abbastanza significativo elaborato dal
ministero delle finanze, su una sezione di 2 milioni e 800.000 dichiarazioni dei redditi, su un totale di 26 milioni, prospetta gli
orientamenti degli italiani in materia di 8 per mille Irpef. Il dato
in esame riguarda circa un ottavo dei modelli 740 e non comprende invece i modelli 101, che rappresentano un quarto delle
denunce fiscali.
La somma da destinare, per il 1989, è di 800 miliardi circa.
La Chiesa cattolica avrebbe ricevuto il 75% delle scelte; lo Stato
il 23%; la Chiesa avventista avrebbe avuto Tl% mentre alle Assemblee di Dio sarebbe toccato lo 0,5%.
Se questi dati fossero confermati, alla Chiesa cattolica andrebbero 600 miliardi, allo Stato 184 miliardi, alla Chiesa avventista 8 miliardi, alle Assemblee di Dio 4 miliardi di lire.
Dal campione elaborato risulterebbe un’alta percentuale di
« astenuti », ovvero caselle prive d’indicazione, che potrebbero raggiungere quasi il 40% del segmento analizzato.
I dati, non ufficiali, sono stati ricavati dal flusso immediato
delle dichiarazioni dei redditi, man mano che giungevano, e
potrebbero quindi essere modificati dall’effettivo spoglio delle
dichiarazioni.
(SCC)
□ SVIZZERA: CROCIFISSI FUORILEGGE
LOSANNA — I crocifissi non potranno essere affìssi alle pareti delle aule scolastiche svizzere. Questa la definitiva sentenza del
massimo organo giurisdizionale, il tribunale federale di Losanna,
che ha così posto fine ad una questione sorta nel 1984 in un piccolo villaggio del Cantón Ticino. La Costituzione svizzera afferma
il principio della neutralità confessionale, ed a giudizio di un genitore che si è rivolto al tribunale amministrativo, la presenza sulle pareti delle aule del Cristo sulla croce, simbolo per eccellenza
della religione cristiana, violava la libertà di coscienza e di fede.
Dopo numerosi ricorsi e sentenze, la controversia è giunta dinanzi
al tribunale federale di Losanna, le cui decisioni diventano legge.
Nel motivare la sentenza il tribunale ha sottolineato due punti:
da un lato la costante presenza del crocifisso nelle scuole potrebbe apparire una sorta di accoglimento e di promozione da parte
dello Stato della religione cristiana, mentre dall’altro il simbolo
di Cristo sulla croce influenzerebbe i piccoli alunni delle elementari, non ancora formati sul piano religioso, sostituendosi così ai
genitori, ai quali è riconosciuta invece libertà di scelta nell’educazione spirituale del fanciullo.
(SCC)
□ DEFISCALIZZAZIONE
PER LE ASSOCIAZIONI
ROMA — Tornerà alla Camera per l’approvazione la proposta
di legge a favore dell’associazionismo, di cui è primo firmatario
Fon. Franco Bassanini della Sinistra indipendente, dopo aver ottenuto dal ministro del bilancio, Cirino Pomicino, l’impegno del
governo che « nel momento in cui sarà esaminato il provvedimento concernente la materia ne sarà assicurata la copertura finanziaria ». Un impegno ribadito anche dal presidente della Commissione bilancio della Camera, on. Mario D’Acquisto.
La proposta di legge Bassanini prevede la possibilità di detrarre dalla dichiarazione annuale dei redditi, fino alla somma di un
milione di lire, il 50% di eventuali « erogazioni liberali » devolute
a favore « di enti o associazioni che perseguano scopi umanitari,
scientifici, culturali, di religione o di culto, di promozione sociale
e civile della popolazione, di salvaguardia dell’ambiente naturale
e del patrimonio culturale e artistico nazionale », escludendo i partiti politici e « a condizione che tali enti o associazioni non perseguano scopi di lucro, e purché iscritti nell’apposito elenco istituito
presso il ministero dell’interno » (art. 1).
La nuova legge, guardata con simpatia sia dai comunisti che
dai democristiani, è sostenuta da una « Convenzione dell’associazionismo », che raggruppa circa 300 realtà in rappresentanza di
alcuni milioni di associati. Fra queste anche le Adi che, il 22
novembre, hanno convocato a Roma una conferenza stampa per
informare sullo stato attuale della questione e sull’iter parlamentare del testo. Ne è emerso che in Italia sono oltre 5.000 gli enti
e le associazioni sovvenzionati dallo Stato con 7.000 miliardi di
denaro pubblico secondo « criteri più o meno discutibili e comunque ampiamente discrezionali », il che non può certo favorire la
trasparenza del meccanismo di finanziamento.
Di qui il tentativo, con la nuova legge, di mettere ordine per
evitare ogni forma di finanziamento clientelare ed occulto con una
misura « alla quale — aveva ricordato alla Camera, il 15 novembre, lo stesso on. Bassanini — si fa ricorso in moltissimi paesi
occidentali » e « che contribuirebbe a favorire l’autofinanziamento
delle associazioni da parte degli stessi cittadini ». Un primo atto
di « riconoscimento — aveva aggiunto il parlamentare — di quel
pluralismo associativo che rappresenta una risorsa fondamentale
per una democrazia pluralista ». E la conquista di un’autonomia
« anche materiale ed organizzativa », si legge in « Arci oggi 1991 »,
è condizione fondamentale per « un superamento definitivo del collateralismo e della ’’tutela politica” », cui ancora molte associazioni
devono sottostare, che assicuri quella reale ridislocazione dei poteri
indispensabile all’efficace funzionamento di una moderna democra
Appuntamenti
TORINO — Sabato 15 dicembre, a
cura del Segretariato attività ecumeniche, alle ore 16, presso la Chiesa
di Gesù Nazzareno (via Duchessa Joianda), proseguono gli incontri sul tema: Il ruolo delle Chiese nella nuova casa europea. Il past. Giorgio Tourn
e don Ermis Segatti parleranno su: « I
valdesi >•.
TORINO — Sabato 15 dicembre, alle
ore 20.30, presso la Sala valdese di
c.so Vittorio 23, l'Associazione culturale afro-europea organizza una tavola
rotonda su « Le malattie dell'immigrato di colore: nuove realtà e antiche
paure ». Aspetti clinici, sociali, giuridici
e etici.
4
vita delle chiese
14 dicembre 1990
FIRENZE
VILLA OLANDA
La nostra ragion d 'OSSOrO una dimensione
ecumenica?
La soddisfazione per la prima fase di lavori al tempio si è unita
alla riflessione su un problema che impegna tutti gli evangelici
La Chiesa valdese di Firenze
ha colto l’opportunità di unire in una medesima manifestazione la conclusione della fase
principale dei lavori di restauro
del tempio di via Micheli con
la rinnovata riflessione sul significato della presenza protestante
in Italia e in particolare a Firenze. Per questo è stata scelta
la domenica 11 novembre, successiva alla conclusione della sessione congiunta del Sinodo valdese-metodista e dell’Assemblea
dell’Unione battista. L’invito è
stato rivolto alle Chiese evangeliche di Firenze e alla cittadinanza. La risposta delle une e
dell’altra è stata notevole.
Il past. Sonelli ha presentato i
lavori di restauro premettendo
rapide indicazioni della storia del
tempio: dal settembre del 1829,
quando la Chiesa anglicana riusciva ad acquistare il terreno
dove il tempio è stato costruito
(prima come « magazzino » e poi,
alla fine secolo, nella veste attuale, quale raro esempio di gotico inglese in Italia). Dall’entusiasmo dell’acquisto, nel 1967
(450° anniversario della Riforma), la Chiesa valdese era passata al sofferto problema della
manutenzione, fino al maggio del
1987, quando l’assemblea decise
di affrontare l’avventura del restauro, nominando ima commissione.
Il past. Sonelli, dopo aver indicato alla riconoscenza della comunità i fratelli che studiarono
il problema e che stanno ancora svolgendo il loro compito
con dedizione, ricordava che la
decisione non era stata determinata soltanto dal senso di responsabilità civica nei riguardi
di un’opera d’arte che è un bene
comune, ma soprattutto dal desiderio di fare del tempio uno
strumento di testimonianza e di
evangelizzazione.
Proprio la finalità di testimonianza trovava la sua espressione nella seconda parte deU’incontro mediante la conferenza del
past. Gino Conte — da poco
giunto a Firenze — sulla « ragion d’essere » del protestantesimo oggi.
Il past. Conte affrontava direttamente l’interrogativo che talvolta si pone all’intemo delle
chiese sorte dalla Riforma e che
il professor Baubérot ha dibattuto nel suo libro dal titolo molto provocatorio Le protestantisme doit-il mourir? Secolarizzazione ed ecumenismo sembrano aver svuotato di significato
la presenza protestante, almeno
nel mondo occidentale. Da una
parte si sono diradate le file dei
membri di chiesa a causa della
secolarizzazione; dall’altra l’ecumenismo sembra aver appiattito
le differenze confessionali, diffondendo la convinzione che ormai si è tutti uguali: basta il
dialogo e non serve più la « protesta ».
Il past. Conte ritiene che si
debba partire proprio dalla realtà della « protesta » della Riforma. Troppo spesso si indulge alla diffusione di un concetto negativo del protestantesimo: i
protestanti sono quelli che dicono di no al papa, che rifiutano
il culto di Maria e dei santi,
ecc. La Riforma è sorta e si
regge su una chiara e precisa
affermazione positiva, che è la
testimonianza resa a Gesù Cristo come unico signore e salvatore. Dal « soltanto Cristo » (che
si esplicita poi nel « soltanto la
Scrittura », « soltanto per grazia,
mediante la fede », « soltanto a
Dio gloria », cioè nelle affermazioni fondalnentali della Riforma) derivano anche le negazioni, per coerenza.
Dalla fedeltà a questi concet
ti dipende la vitalità del protestantesimo: essi sono la sua
« ragion d’essere » e la loro franca affermazione è il compito che
il protestantesimo ha anche oggi
li confronto ecumenico ha portato all’accettazione di alcuni tetni della Riforma; anche i cattolici affermano oggi la « giustificazione per grazia »; ma soltanto per grazia? Essi le pongono accanto i sacramenti, il
sacerdozio ministeriale, il magistero infallibile: c’è sempre ima
mediazione umana frapposta all’unica mediazione di Cristo e
alla libera azione dello Spirito.
L’uditorio ha ascoltato con
molta attenzione la conferenza
del past. Conte. Qualcuno si
aspettava che venissero messe in
evidenza le caratteristiche culturali ed etiche del mondo protestante e la loro incidenza nel
confronto attuale con la cultura
e con la politica. Il past. Conte
non le ha negate, ma ha voluto
mettere in luce l’aspetto fondamentale del protestantesimo, senza il quale anche quelle caratteristiche si esaurirebbero o potrebbero diventare una tentazione di compiacimento chiuso
in se stesso, privo di slancio
evangelistico. Il protestantesilmo
non è chiamato ad annunciare
al mondo la propria cultura, ma
Cristo, che è per tutti gli uomini speranza di rinnovamento e
salvezza.
A Firenze c’è un Consiglio dei
pastori e responsabili delle Chiese evangeliche di Firenze e dintorni e il problema dell’evangelizzazione è fortemente sentito. La conferenza del past. Conte ha avuto anche in questo ambito viva e positiva risonanza.
Alfredo SoneUi
BIELLA-IVREA
Quando i fratelli
se ne vanno
L’autunno ha portato via alle
chiese di Biella e di Ivrea due
fratelli che molto hanno lavorato nelle due comunità e fuori di
esse per cercare di essere testimoni di Cristo nel nostro tempo.
All’inizio di ottobre se ne è
andato, all’età di 87 anni, Edoardo Beri. Tutti coloro che in questi ultimi decenni si sono recati
a Biella o a Piedicavallo in occasione di un culto o di un incontro lo ricorderanno per la sua disponibilità.
Da quando — e sono ormai
molti anni — la chiesa di Biella non ha potuto avvalersi di
un pastore residente, il fratello
Bert era diventato un punto di
riferimento fondamentale. Il piccolo, ma prezioso archivio della
chiesa è stato costruito interamente da lui, uomo tenace e
mansueto che ha reso un servizio estremamente importante
nelle cose quotidiane, apparentemente più piccole: settimana
dopo settimana, domenica dopo
domenica era quasi sejmpre lui
ad andare a prendere alla stazione chiunque venisse a Biella
per tenere un culto, per organizzare un incontro, per visitare
un ammalato, per salire in estate
allo splendido tempio dei « picapere » di Piedicavallo. La « diaconia », il servizio cristiano è stato una dimensione, forse la più
importante, della sua esistenza.
Bert era « il diacono », a prescindere dalle elezioni nei Consigli
di chiesa e nelle strutture che
le nostre comunità si danno.
E so personalmente che molte sono state le incomprensioni
e le amarezze anche per quest’uomo, che non condivideva forse alcune delle idee dei giovani
pastori (comprese le mie), ma
che non ha disertato nemmeno
per un giorno questa chiesa che
amava e che continua a vivere
per la grazia di Dio, ma anche
per la perseveranza nelle piccole cose di tanti credenti come
Edoardo Bert.
A pochi giorni di distanza, una
folla di persone commosse come raramente succede si è congedata da Claudio Bertin. Ad
Ivrea e ad Angrogna giovani ed
anziani, evangelici e cattolici
hanno espresso il dolore di chi
perde un amico prematuramente e difficile da sostituire nella
comunità, nella presenza in tante realtà cittadine, nei propri affetti.
A distanza di qualche settimana, mi accorgo di quanto la personalità di Claudio mi avesse
« affascinato ».
Molti, anche sul giornale diocesano di Bettazzi, hanno ricordato l’austerità, la dirittura morale, la disponibilità di questo
angrognino tenacissimo, laureato in economia e commercio,
che accanto al suo lavoro all’Olivetti ha fatto mille altre cose,
dall’impegno nell’AIAS a quello
nella comunità e nella Claudiana.
Uomo sempre senza etichette
e senza tessere, ha reso forse la
sua testimonianza più bella e
più dolorosa in questi ultimi anni, segnati dalla malattia. Ha continuato ad invitarmi, con la compagna della sua vita, quasi ogni
settimana per discutere di ogni
cosa, per esprimere il suo parere (sovente convincente), per
esprimere il suo rifiuto della rassegnazione. La sua capacità di
inquadrare qualunque tipo di
problema in un orizzonte molto
più ampio di quello della (maggior parte della gente è rimasta
integra fino alla fine. Ha lavorato ed ha voluto essere presente
nella sua chiesa e nei suoi impegni anche quando le forze non
glielo consentivano più. Anche se
non ce la faceva a stare in piedi, ha continuato ad essere presente, a dare il proprio — intelligente — contributo.
Ha dato pieno significato al
termine « resistenza », una parola che oggi più nessuno usa, ma
che è sufficiente a riempire di
senso un’esistenza. « Temprato,
non indurito », secondo una bella espressione di Etty Hillesum:
e c’è una distanza infinita fra i
due aggettivi...
Oggi speriamo che al dolore e
al senso di vuoto subentri la riconoscenza nei confronti di un
Signore che ci ha tolto un fratello un po’ troppo presto ma
che attraverso di lui ha dato
molto a chi ha avuto occasione di conoscerlo. Fino al giorno
in cui « nella luce della grazia
diverrà e sarà molto luminoso
tutto ciò che ora è oscuro » (K.
Barth).
Gianni Genre
Nello scorso Sinodo alcuni
momenti sono stati dedicati alla questione di Villa Olanda, la
casa di riposo per anziani situata sul territorio di Luserna
San Giovanni.
Come noto la Tavola, che ne
è la proprietaria, aveva deciso
la vendita dell’immobile a causa
delle pesanti spese di ristrutturazione che essa richiede per la
prosecuzione dell’attività.
E’ sorto successivamente un
comitato spontaneo che, facendosi portavoce di coloro che sono convinti dell’utilità e della
testimonianza che questo istituto reca alle valli, e non solo ad
esse, ha presentato al Sinodo,
tramite la commissione d’esame,
una relazione. Dalla medesima
risultava fra l’altro che, per adeguare l’immobile alla normativa,
occorrevano 650/700 milioni, già
raccolti dal comitato stesso in
ragione del 50%.
A sua volta la Tavola ha presentato una previsione notevolmente più alta (aggirantesi sui
2,5 miliardi) per una ristrutturazione più radicale.
Di fronte a questo divario di
cifre, il Sinodo ha dato incarico al Seggio di nominare una
commissione che riferisca al
prossimo Sinodo su tutte « le
possibili alternative, anche finanziarie », chiedendo nel contempo
alla Tavola di sospendere la vendita.
Di tutto questo si è discusso
a Torre Pellice, presso la Casa
unionista, in una riunione assai
affollata malgrado l’inclemenza
del tempo. Dopo la presentazione del problema da parte di un
componente del comitato spontaneo, è seguito un fitto scambio di idee e di suggerimenti,
fra i quali è emersa in modo
particolare l’opportunità di contattare tutto l’evangelismo italiano in modo da poter eventualmente giungere alla soluzione di una conduzione e gestione comuni, dando così anche un
significato ecumenico all’attività
di Villa Olanda, ecumenismo già
operante durante l’accoglimento
dei profughi russi.
Fra i presenti vi era anche
un membro della commissione
sinodale, il quale potrà far presente alla commissione stessa
questa indicazione evidenziata
con rilievo da parecchi interventi.
Frattanto, il comitato spontaneo continua la raccolta di fondi e — preferibilmente — di
impegni, che possono essere rispettivamente inviati al conto
corr. bancario presso IBI Torre Pellice n. 84/13641 o a mezzo lettera di impegno indirizzata al Comitato prò Villa Olanda, casella postale, 10066 Torre
Pellice.
R. P.
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Le nuove zone
ANGROGNA — L’assemblea di
chiesa di domenica 25 novembre
si è aperta con alcune comunicazioni del concistoro: il presidente Jean Louis Sappé ha esposto i criteri seguiti per la nuova suddivisione dei vecchi quartieri in 9 zone, omogenee per
numero di membri di chiesa, affidate ciascuna ad un anziano.
Si tratta per ora di un « esperimento » della durata di un anno. In base ai risultati, si vedrà
poi se portare avanti questo progetto oppure no.
Altre comunicazioni sono state quelle relative al parziale rinnovamento della commissione
stabili e della commissione per
il cimitero del capoluogo (che
si dovrà occupare anche della
revisione del regolamento del cimitero stesso). E’ stata inoltre
istituita una nuova commissione
per i musei storici della nostra
chiesa.
E’ stato poi eletto l’anziano
per la zona 2 (Capoluogo-OdinBertot). La scelta dell’assemblea è caduta su Adriano Chauvie che ha accettato di riprendere questo servizio, da lui già
prestato sino a due anni or sono.
Si sono infine discussi i criteri per un aggiornamento, ormai necessario, dell’elenco dei
membri elettori.
Una comunicazione del pastore sullo stato delle finanze della chiesa ha chiuso l’assemblea.
abbastanza numerosa (45 persone) se si pensa alla improvvisa
nevicata che, proprio domenica
25, si è abbattuta su Angrogna.
• I ragazzi dell’Unione giovanile, proseguendo in quella che è ormai diventata una bella tradizione, si recheranno, sabato 15 e domenica 16 dicembre, nelle case
degli anziani di Angrogna a portar loro gli auguri di Natale e
di buon anno nuovo. Quest’anno
si è deciso di visitare tutti gli
anziani della vai d’Angrogna.
Se non si riuscisse, data la
vastità del territorio da « coprire », a completare il giro di visite nei due giorni previsti, esso sarà portato a termine domenica 23 dicembre.
Battesimo
POMARE’TTO — Domenica 2
dicembre è stata battezzata la
piccola Sonia Peyrot; la comunità si è rallegrata assieme ai genitori, Amato e Luciana Giacomino, per l’annuncio di grazia e
di speranza che pone Sonia nella prospettiva dell’amore del Signore, fondata sulla sua promessa di vita.
La Corale valdese di Luserna San Giovanni organizza il IV CONCERTO prò organo
SABATO 15 DICEMBRE
alle ore 20.45 nel tempio di
San Giovanni
CORO DI VOCI BIANCHE
di Milanollo di Savigliano
Direttore Sergio Chiarlo
PROTESTANTESIMO
IN TV
DOMENICA 16 DICEMBRE
ore 23 circa - RAIDUE
replica:
LUNEDI’ 24 DICEMBRE
ore 9.45 circa - RAIDUE
ANNUNCIARE
UNA SPERANZA
Gli evangelici, di fronte al
dramma del carcere, si interrogano sulle possibilità di recupero e di reinserimento sociale alla luce dell’evangelo.
5
pr
14 dicembre 1990
vita delle chiese 5
CASA CARES: CORSO PER OPERATORI DIACONALI
CORRISPONDENZE
Formazione permanente La lettera di Giacomo
Questa la veste che stanno assumendo i cicli di studio e di ricerca
- Un viaggio esplorativo aH’interno delle strutture ecclesiastiche
Il corso autunnale per operatori nei servizi e nella diaconia,
organizzato dalla Commissione
di studio per la diaconia a Casa Cares, sta diventando sempre
più un appuntamento importante.
Esso è proseguito anche in
questa sessione, tenutasi dal 16
al 21 novembre scorso, sui filoni
già lanciati negli anni precedenti, con un ciclo di formazione ed
aggiornamento su temi di attualità, un momento di ricerca biblica ed uno di ricerca storica;
si sta quindi ponendo nell’ottica di una formazione permanente per diaconi, membri di commissioni e comitati, personale di
opere diaconali e giovani studenti.
Dando uno sguardo più preciso aH’intemo dei vari filoni di
ricerca, si è avuta anzitutto una
prima fase coordinata dal prof.
Nedo Baracani e dall’ing. Gianni Rostan. Partendo dagli incontri degli anni precedenti, in cui
si era iiffrontato il tema dell’organizzazione con esempi interni
ed esterni alle strutture ecclesiastiche, a cui aveva fatto seguito lo scorso anno l’analisi dei
criteri di valutazione del lavoro
all’intemo delle opere diaconali,
si è giunti quest’anno ad analizzare l'organizzazione del lavoro
partendo dal coinvolgimento e
dalla partecipazione ai diversi livelli, dei comitati, delle direzioni, degli operatori.
Questa ricerca si è anche avvalsa della presentazione da parte del comitato del Gould del
proprio statuto. Da questo è
emerso come nel breve volgere
di dieci anni le situazioni reali,
all’interno di strutture in forte
evoluzione, superano ciò che era
stato previsto statutariamente.
Scaturisce quindi la necessità
che si possa procedere, oltre a
delle verifiche periodiche sull’andamento dei processi in corso,
anche al contemporaneo adeguamento degli strumenti statutari
per dare efficacia e correttezza
all’operare di una qualsiasi struttura diaconale.
Nella seconda fase del corso,
i professori della Facoltà valdese Daniele Garrone ed Ermanno Genre hanno condotto i partecipanti in una ricerca sul tema che ha sempre impelato e
preoccupato l’uomo: il significato della vita e della morte. Così è stato possibile ripercorrere
i diversi momenti della storia
di Israele come gli scrittori biblici ce l’hanno tramandata, con
le loro ansie e le loro testimonianze, accompagnate dalle annotazioni degli esegeti che nei
secoli si sono soffermati a ragionare su questo particolare tema.
Ed infine la terza parte, a carattere storico, condotta dai professori Giorgio Spini ed Emidio
Campi, i quali hanno proposto,
a partire da uno spaccato del
contesto europeo del 1600, sia
la storia civile dei vari stati, sia
quella dei pensatori che hanno
influenzato l’evoluzione del pensiero protestante. Si è così passati dall’analisi della situazione
creatasi dopo la guerra dei 30
anni (1618-1648) al periodo dell’ortodossia protestante, sui quali si è andata ad innestare negli ultimi decenni di quel secolo una grande varietà di spinte
riformistiche che hanno ridisegnato a nuovo le chiese provenienti dalla Riforma del secolo
precedente, creando un nuovo
protestantesimo da cui oggi ancora attingiamo.
Nel breve volgere di un ventennio, sulla crisi della coscienza
europea nascono movimenti e
chiese che sono all’origine della
libertà del pensiero contemporaneo. Si è parlato quindi dello
sviluppo del pietismo, deH’illuminismo nella teologia, del metodi smo, del battismo, dei quaccheri, dei puritani, giungendo sino aH'analisi dei riflessi che queste spinte hanno avuto sul nostro contesto italiano.
Adriano Longo
RICORDO
Valdo Vinay pastore a Fiume
Gli anni difficili che precedevano la guerra e la sua lettera del
1947: fraternità e convinzione che in Cristo vive la vera salvezza
Ho ascoltato con commozione,
al notiziario TV 2“ rete, alle ore
20 del 26 novembre, la notizia
della dipartita del pastore Valdo Vinay a Roma.
E' stato mio pastore nella
Chiesa evangelica di Fiume ed
Abbazia dal 1932 al 1940.
Di recente gli avevo inviato
Un mio lavoro di ricerca su « Essere evangelici a Fiume » e mi
aveva risposto puntuale:
« Mi ha molto interessato e
mi ha fatto rivivere il tempo vissuto con la comunità di Fiume
e di Abbazia, più di cinquanta
anni or sono. Sono giunto a Fiume nel 1932, quando avevo 26
anni. Ora sono a metà strada fra
gli 82 e gli 83. Ma i giorni trascorsi nella comunità evangelica
di colà sono un vivo e caro ricordo. Il mio primo incarico di
predicazione ricevuto dalla Tavola valdese e del 1« luglio 1928,
quando ero ancora studente. Il
Signore mi dà ancora un po’ di
forza per predicare ogni settimana, ma quel primo periodo, che
va fino al 1945, lo chiamo "la Parola nella tempesta": eppure anche nella tempesta c’era la Parola e perciò la grazia ».
Ed alla fine della bufera, nel
1947, quando noi naufraghi lasciavamo il Quarnaro per l’esilio, il pastore Valdo Vinay ci
scrisse una lettera, che nella cruda realtà dei fatti indicava la
via della grazia e della speranza:
« In questi tristi giorni posso
rivolgervi la parola con comprensione per il vostro stato d’animo, essendo io stesso cresciuto
a Trieste sotto l’Austria (anche
durante la prima guerra mondiale), dalla prima infanzia fino a
quasi vent’anni, ed avendo com
piuto poi un ministero pastorale di otto anni tra voi a Fiume,
Abbazia e occasionalmente a Fola al tempo della guerra d’Etiopia, di Spagna e nel primo periodo della seconda guerra mondiale.
La maggior parte della mia vita l’ho dunque trascorsa tra voi
e, sentendomi anch’io un po’ giuliano, conosco e comprendo i vostri problemi ed i vostri pensieri.
La vostra storia è una vecchia
storia di forte e intelligente popolo di frontiera... con lo stesso
problema, che costantemente ritorna, perché in fondo sempre
insoluto, come quello di tante
altre genti di frontiera. Oggi lo
si vuole risolvere a vostro danno, come ieri a vostro favore,
ma né ieri né oggi è risolto dalla politica e dalla guerra, perché è un problema spirituale...
Neri siamo colpevoli come tut
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Dir. propr.: GHINELLI MONICA
IVREA — Le serate del 26 e
27 ottobre sono state occupate
dall’interessante presentazione
delle caratteristiche tematiche e
dall’interpretazione della lettera
di Giacomo da parte del prof.
Bruno Corsani, della nostra Facoltà di teologia. Gli incontri sono stati seguiti da numerose persone della comunità e anche da
diversi amici cattolici.
Attualmente, e fino a Natale,
rincontro di formazione biblica
sta approfondendo il libro del
profeta Michea.
Nell’anno nuovo verrà affrontato il tema della teologia protestante nel XX secolo, con lo
studio delle grandi figure di teologi del nostro secolo.
• Sabato 10 e domenica 11 novembre il gruppo di canto della
comunità, accresciuto da una sorella biellese e alcuni fratelli di
Torino e accompagnato da diversi parenti e amici di Ivrea e
Biella, è stato ospitato a Firenze
dall’Istituto Gould, dove ha ricevuto un’accoglienza molto fraterna e ottimi pranzi. Nella mattinata di domenica ha partecipato, con il canto di tre inni,
al culto nella chiesa ¡metodista
di via dei Benci e nel pomeriggio ha trascorso alcune belle ore
nella casa di riposo « Il Gignoro », dove ha presentato diversi canti e si è intrattenuto con
gli ospiti e il personale.
Questo viaggio della corale è
stato un’occasione di fraternità
per tutti i partecipanti.
Grazie ancora agli amici fiorentini per aver contribuito così attivamente alla buona riuscita del soggiorno e naturalmente grazie al fratello Giorgio Crespi di Torino per la consueta
disponibilità e per la sapiente
direzione del coro.
to il nostro popolo. Vi è una colpa collettiva nazionale, alla quale partecipiamo. Non possiamo
rifiutare questa solidarietà con
il nostro popolo. Esso è colpevole non perché vinto, ma perché
la sua politica e la sua guerra
erano un crimine.
Ma di una cosa mi duole, che
voi più di tutto il nostro popolo
dovete gustare l’amarezza della
espiazione, poiché non è sentita
da tutti la solidarietà nel dolore, come è reale nella colpa. Ma
pure ci conviene confessare la
colpa, perché soltanto così potrebbe venire reimpostato in modo promettente e nuovo il vecchio problema della vostra storia di gente di frontiera ».
« Noi viviamo in un tempo di
ferro... L’Evangelo non ci dice
soltanto di non odiare ma di amare... Il problema di tutte le
genti di frontiera... gli uomini
politici non lo risolveranno mai,
perché è già risolto in Cristo.
Lo ha insegnato Paolo, l’apostolo delle genti, dicendo: qui non
c’è greco o giudeo..., schiavo o libero, ma Cristo è in ogni cosa
e in tutti.
Ormai non c’è altra via di salvezza che l’attuazione di questa
soluzione. Se oggi soffrite è perché le generazioni passate l’hanno svalutata come parola pietistica ed era invece altamente politica ed umana ».
Parole che, alla luce degli ultimi avvenimenti alle frontiere
orientali d’Europa, risuonano
profetiche: « ...non c’è altra via
di salvezza... ».
Quale profugo fiumano, assieme ai miei fratelli fiumani dispersi per l’Italia e per il mondo, ricordo con riconoscenza il
pastore della mia gioventù; egli
mi ha condotto a « confermare »
la mia fede il 28 maggio 1939,
a Pentecoste, a Fiume.
Sauro Gottardi
Al culto nella
Chiesa di Cristo
PIOMBINO — Una parte del
gruppo valdese che solitamente
teneva dei culti quindicinali nella sala della Chiesa di Cristo ha
partecipato con gioia al culto tenuto dagli stessi fratelli di questa chiesa il 25 novembre. E’ stata un’occasione per pregare insieme, cantando inni tratti dalla raccolta della Chiesa di Cristo (ma la cui melodia è ben
nota anche ai valdesi). Al predicatore locale (che secondo il
programma, se non ci fosse stato vento troppo forte, avrebbe
dovuto tenere il culto a Rio Marina, sull’Isola d’Elba) è stato
chiesto di tenere la predicazione.
Anche la celebrazione della
Santa Cena, avvenuta insieme a
questi fratelli con grande spontaneità, ha fatto sì che dobbiamo ringraziare il Signore per
questa opportunità, che speriamo si possa ripetere.
Un protagonista del
Centro « La Noce »
PALERMO — Venerdì 2 novembre ha chiuso gli occhi a
questa vita terrena Michele Paratore. I funerali, cui ha partecipato un folto numero di parenti, di amici, di membri della nostra comunità, sono stati
presieduti dal pastore Pietro Valdo Panasela che ha annunziato
non l’Evangelo della rassegnazione, ma della speranza e della
vita nuova che abbiamo in Cristo.
E’ doveroso ricordare che Michele Paratore, sensibile ai gravi problemi della nostra città,
fin dagli anni sessanta ci diede
la sua preziosa collaborazione,
assumendosi il carico della gestione degli ambulatori che ave
vamo istituiti in via Spezio e in
via Dossuna per le famiglie e i
fanciulli rispettivamente di Borgo Vecchio e di Cortile Cascino.
Nel 1965, insiejTte alla signora
Lidia, mise a nostra disposizione la villa Bonci con il parco
annesso, in via Angiò alle falde
di Monte Pellegrino, per la istituzione del convitto valdese destinato ad accogliere bimbi orfani, figli di carcerati, ragazzi
della strada allo scopo di sottrarh allo stato di abbandono e
alla tuttora dilagante criminalità minorile.
Quando nel 1973 si verificò a
Novara di Sicilia (Me), ove egli
si era temporaneamente trasferito, una forte alluvione che provocò sui monti Peloritani paurose frane con alcime vittime,
rivolse al Centro diaconale di Palermo un così pressante appello che determinò il nostro intervento e anche dei nostri fratelli della Germania. Egli stesso
offrì la sua villa come centro di
raccolta e di distribuzione dei
soccorsi e si prodigò nell’assistenza ai sinistrati.
Michele Paratore fu membro
per alcuni anni e presidente del
Comitato esecutivo e generale e
uno dei più impegnati protagonisti nella creazione del Centro
diaconale « La Noce » ed è giusto che la sua memoria sia ricordata con rendimento di grazie a Dio che ci fa, per la sua
grazia, strumenti del suo amore.
Avvicendamento
pastorale
REGGIO CALABRIA — Cam
bio pastorale nella nostra chiesa: il 30 settembre scorso il pastore Giovanni Lento ha tenuto
la predicazione di commiato alla comunità e il 7 ottobre il sovrintendente di Circuito, Samuele Giambarresi, ha insediato il
nuovo pastore Piero Santoro.
Ad entrambi i culti era presente una folta delegazione della Chiesa battista col suo pastore, Salvatore Rapisarda. La collalDorazione con la Chiesa battista è continuata la settimana
successiva in occasione del battesimo per immersione della sorella Daniela Santoro, figlia del
pastore valdese, che è avvenuto
nei locali della chiesa battista.
• Due sorelle ci hanno lasciato: Caterina Passarelli-Russo e
Caterina Romeo. In occasione
dei funerali il pastore ha annunciato la speranza cristiana della
risurrezione.
Assemblea di chiesa
ed evangelizzazione
TARAN'TO — L’Assemblea di
chiesa del 25 novejmbre ha discusso il tema dell’evangelizzazione, vista come annuncio dell’Evangelo a tutti gli uomini e
non a fini di proselitismo.
L’Assemblea ha deciso che la
rifiessione su questo tema proseguirà durante tutto l’anno ecclesiastico sia con studi biblici
sull’argomento, sia con altri momenti di rifiessione.
L’Assemblea è incoraggiata in
questo suo impegno dalle decisioni assunte dall’Assemblea del
XIV Circuito e dalla Federazione delle Chiese evangeliche di
Puglia e Lucania.
• Il 14 ottobre scorso è stato
insediato quale pastore della nostra chiesa Odoardo Lupi. La comunità ha apprezzato il messaggio evangelico che le è stato rivolto ed alla fine del culto si è
riunita in un’agape fraterna per
conoscere meglio il nuovo pastore.
6
6 prospettive bibliche
14 dicembre 1990
ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA
Il «fare operativo» tra la gente
« Dopo queste cose, Gesù se ne andò all'altra riva del mar di Galilea,
eh’è il mar di Tiberiade. E una gran
moltitudine lo seguiva, perché vedeva i miracoli ch'egli faceva sugli infermi. Ma Gesù salì sul monte e quivi
si pose a sedere coi suoi discepoli.
Or la Pasqua, la festa dei Giudei, era
vicina. Gesù dunque, alzati gli occhi
e vedendo che una gran folla veniva
a lui, disse a Filippo: Dove compreremo noi del pane perché questa gente abbia da mangiare? Diceva così
per provarlo; perché sapeva bene
quel che stava per fare. Filippo gli
rispose: Duecento denari di pane non
bastano perché ciascun di loro ne abbia un pezzetto. Uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro,
gli disse: V’è qui un ragazzo che ha
cinque pani d’orzo e due pesci; ma
che cosa sono per tanta gente? Gesù
disse: Fateli sedere. Or v’era motta
erba in quel luogo. La gente dunque
si sedette, ed eran circa cinquemila
uomini. Gesù quindi prese i pani, e
dopo aver reso grazie, li distribuì
alla gente seduta; lo stesso fece dei
pesci, quanto volevano. E quando
furon saziati disse ai suoi discepoli:
Raccogliete i pezzi avanzati, che nulla se ne perda. Essi quindi li raccolsero, ed empirono dodici ceste di
pezzi che di quei cinque pani d’orzo
erano avanzati a quelli che avevan
mangiato. La gente dunque, avendo
veduto il miracolo che Gesù aveva
fatto, disse: Questi è certo il profeta
che ha da venire al mondo. Gesù
quindi, sapendo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, si ritirò di
nuovo sul monte, tutto solo ».
Giovanni 6: 1-15
Abbiamo ascoltato insieme una
narrazione tratta dal Nuovo Testamento, ci accingiamo adesso ad
ascoltare, a riflettere su quanto essa
ci comunica. Tutto questo è "normale” per ogni attività intellettuale,
è di norma in ragione della nostra
fede comune. Non possiamo però dimenticare quanto questo sta diventando rapidamente passato, obsoleto,
secondo gli schemi della cultura occidentale. La nostra società privilegia
l’avvento solo di un’epoca dominata
dal « pensiero operativo », per riprendere una espressione pregnante
di Tomás Maldonado.
Una società che avrà sempre meno
spazi per « il pensiero discorrente ».
Voi iniziate, o riprendete, un "corso
per operatori”: in sintonia con la richiesta travolgente del nostro tempo
siete chiamati a esercitare adesso il
vostro « pensiero operativo » nella
« specializzazione » che avete scelto.
In un domani sarete "intellettuali
organici” (l’espressione è di Gramsci), strutturati in ragione della cultura specifica.
Fare operativo e
’'pensiero discorrente”
v’è pertanto un fatto da non dimenticare, e lo segnalo in termini
« laici », non sacralizzati: qualsiasi
Questa predicazione è stata tenuta dal pastore Luigi Santini in occasione dell’apertura dei corsi 1990-91 del Centro di formazione diaconale
« Giuseppe Comandi » a Firenze.
La pubblichiamo anche per il carattere propositivo e stimolante che
la caratterizza, e per il fatto che si rivolge ad un ambito più vasto,
quello cioè di tutti quanti si impegnano in attività concrete fra la gente,
con spirito di testimonianza e di diaconia. (red.)
« attività » porta fra la gente, qualsiasi « fare operativo » abbiate scelto
avviene in un rapporto con gli altri,
è dialogico. E il dialogo, la comunicazione, fa sempre ricorso al « pensiero discorrente » che ognuno porta in sé. Un’umanità robotizzata, oppure assuefatta all’imbonimento dei
media, non è una prospettiva, è un
incubo. Ma è qui, in questo nostro presente che in rapidità da vertigini s’infutura, che si pone — come
contraddizione, inattuale inattualità
— questo aspetto tipizzante del vostro corso, destinato a nutrire ’’l’intelligenza discorsiva" della fede cristiana che ha il suo nucleo vitale in
Cristo, «il Verbo», la Parola-azione di
Dio che ci è comunicata, che ci è testimoniata anche nel racconto-promemoria che abbiamo letto.
Abbiamo letto la pericope della
moltiplicazione dei pani nel quarto
Evangelo, ma uso anche le tre redazioni precedenti per quanto può essere utile nei particolari.
L’evangelista Marco, per esempio,
ci offre un antefatto. Racconta che i
discepoli si erano ritrovati con Gesù al termine di una missione, per
fare relazione di « quanto avevano
fatto e insegnato ». Erano stanchi, il
contatto-colloquio con la gente non
era possibile: Gesù propone loro un
tempo di riposo, un ritiro, diremmo
oggi. Di questo noi tutti abbiamo bisogno, ma non per ridurre il sedicente tempo libero a un’abbuffata di più
stressanti fatiche (che peseranno sulla ripresa del servizio).
Scambio di esperienze
finalizzato al servizio
Qui si indica un incontro fra amici che discorrendo comunicano le loro esperienze, le verificano, e, in contatto col Maestro, usano quella intelligenza discorrente che con discrezione ricarica la dinamo della
vita interiore, e che domani sarà influente sul servizio.
Tutto bello, buono, ma soggetto all’imprevedibile che scompiglia non di
rado i nostri progetti. Qui l’imprevedibile è la massa di gente che, sul
luogo del buon ritiro preconizzato,
fa ressa attorno a Gesù e, naturalmente, anche ai discepoli delusi. I discepoli non osano allontanare gli importuni (lo proporranno più tardi a
Gesù, che lo faccia lui). Qui entra in
discorso « la disponibilità ». Se ne
parla molto, anche della disponibilità pagata a ore. In una società che
premia l’intelligenza operativa inserita in strutture economiche o produttive, gli spazi concessi o tollerati
per la disponibilità e non monetizzati sono ridotti sempre più. Eppure
« la disponibilità » è una misura non
secondaria dello spessore reale, della
qualità non tanto del carattere, delle
qualità individuali, ma del radicamento intellettuale nella nostra personalità delTagàpe di Cristo.
Ma Gesù « ebbe compassione » di
quella gente, dice l’Evangelo di Marco. Egli usa un verbo assai raro
(splanchnìzomai) che nel Nuovo Testamento ha due sottolineature diverse: se per Marco è la misericordia
divina, del Messia che si fa compartecipe della miseria, del bisogno
dell’uomo, per l’apostolo Paolo è un
dato antropologico, è la misericordia
che viene dal cuore dell’uomo, un
modo di sentire nella fede in Cristo
che tocca, afferra la persona nella
sua interiorità più profonda.
Accennare ai sentimenti, oggi e anche in ambienti cristiani, è ancora
andare controcorrente: i sentimenti
sono umiliati, sprezzati, al più sono
malattie da psicanalista. Il cuore lo
affidiamo all’intelligenza operativa
del cardiologo. Ma l’intelligenza discorrente resta, è strutturale per la
persona. Qui, nella pericope che leggiamo, la misericordia che si fa compassione viene esaltata come sentire
di Cristo che nel credente si fa sentimento di appartenenza al Signore e
alle sue creature.
Il testo prosegue; Gesù ha un modo tutto suo di esercitare la misericordia: alla gente parla, insegna. Colui che è « Verbo, Parola-azione di
Dio », esprime se stesso nel pensiero
discorrente. Possiamo immaginare i
discepoli che fremono impazienti: il
tempo passa, la gente non se ne va
ed essi ci rimettono il riposo previsto. La svalutazione della comunicazione orale, a voce, è implicita, mentre oggi è evidente, clamorosa. Siamo
assaliti, scombinati dall’oceano di parole che i media ci arrovesciano addosso, e ci difendiamo svalutando la
parola per preferire « i fatti »; così
diciamo. Anche se poi i fatti sono filtrati, dosati da parole che hanno una
loro tecnica di convincimento.
Dalla parola detta
alla parola operante
Ma qui v’è un passaggio fondamentale: dalla parola detta Gesù passa
alla parola operante in quel miracolo della moltiplicazione dei pani
che si dispiega anche come grandiosa parabola-proclamazione dell’Evangelo.
Sulla occasionalità del miracolo
torneremo fra poco. Adesso — in
« questo luogo deserto » — vediamo
Gesù che rende grazie e spezza il pane, i discepoli che lo danno alle persone, una a una. E come i credenti
della Chiesa antica, non possiamo ve
dere questa parola resa nei gesti senza riviverne i messaggi consegnati
alle Scritture: dal deserto della tentazione dove le pietre restano pietre
perché l’uomo non di solo pane vive,
ma « d’ogni Parola che viene da Dio »
alla parabola del gran convito; dal
Signore che dice: « Io sono il pane
della vita » al Signore che spezza il
pane deH’ultima Cena, ai discepoli di
Emmaus che lo riconobbero nell'atto di rompere il pane. Questo autocommento che ci offre la testimonianza apostolica parla nella vita nostra, ci introduce a quella intelligenza del Vero da cui scaturisce il senso
dell’esistenza, del nostro rapporto
col prossimo.
Il racconto giunge a conclusione.
Ancora una conclusione che contraddice l’andazzo del tempo: noi siamo
sommersi dai rifiuti, dagli sprechi, e
qui si raccolgono i resti; noi parliamo della fame nel mondo e talmente è ottusa la nostra sensibilità
che perfino i cani devono avere cibi particolari, e creature a milioni
muoiono di fame. Noi siamo più
sprovveduti della donna cananea,
l’extracomunitaria che credeva che
una briciola di pane caduta dalla tavola della grazia di Dio bastasse a dare la vita.
Davvero non abbiamo
nulla da offrire?
Ma prima di chiudere vorrei rilevare qualcosa che ha pure un significato. Ricordate: i discepoli chiedono a Gesù che mandi via la gente,
che se ne vada a cercarsi da mangiare; Gesù risponde che ci pensino
loro a dare cibo per tutti. Essi non
hanno nulla, sembra, e hanno racimolato in tutto cinque pani e due pesci. Solo il quarto Evangelo ci dice
che si tratta di un ragazzo. E’ un particolare, lo diremmo trascurabile se
non fosse stato registrato nella Scrittura.
Qra permettetemi una domanda
molto infantile: come avrebbe fatto
Gesù a dare cibo, a moltiplicare i pani, se quell’ignoto ragazzo non avesse
portato con sé qualcosa? E perché
tanta imprevidenza tra tutta quella
folla?
Una risposta possibile tante volte
mi sono data. Questo particolare è
riportato per darci nuovo coraggio
nei momenti di stanchezza, di sfiducia sul nostro impegno. E’ dato per
ricordarci che siamo piccoli strumenti, credenti che portano davanti al
Signore quel tanto poco che hanno
dato perché egli lo utilizzi, lo doni
come pane di vita, messaggio della
sua misericordia. In sostanza, è già
un dono della sua misericordia comprendere noi stessi, il senso della
nostra esistenza, come quello del giovane che offre quello che ha, senza ricorrere a false umiltà, ma convinto
che nulla va perduto e anche le briciole della nostra vita nelle mani del
Signore sono e saranno nella grande parabola della moltiplicazione
dei pani.
Luig;i Santini
7
r
f
14 dicembre 1990
obiettivo aperto
UN TESTO DEL TEOLOGO JUERGEN MOLTMANN
Tortura, inferno, speranza
La Passiona di Cristo corno ombloma dolía solidariotà con lo vittimo dolía violonza: una croco fra lo molte altre
croci - Dio non è morto ad Auschwitz, ma sottopone a giudizio proprio quanti hanno recato la sofferenza e la morte
La « Federazione internazionale dell’azione
dei cristiani per l’abolizione della tortura »
(FIACAT) ha tenuto tra il 26 e il 28 ottobre
il suo primo congresso internazionale all’università di Basilea. Più di trecento partecipanti
hanno rappresentato 12 società nazionali d’Europa occidentale e dell’America del Nord delI’« Azione dei cristiani per l’abolizione della
tortura » (ACAT). Sono state rappresentate anche organizzazioni per i diritti umani attive
nell’Europa dell’Est e nel Terzo Mondo.
Heino Faicke, teologo dell’ex Germania
orientale, ha respinto le richieste di « riconciliazione ad ogni costo». Nel caso della polizia
segreta « Stasi », per esempio, l’annuncio evangelico del perdono non può essere utilizzato come « coperchio posto a soffocare la rabbia delle
vittime dell’ex Servizio di sicurezza». Invece
compito delle chiese è quello di favorire gli incontri tra vittime e colpevoli.
In vari gruppi di lavoro, persone coinvolte
e testimoni oculari hanno presentato casi di
violazione dei diritti umani in Africa, America
latina e Asia. I partecipanti hanno anche potuto ricevere informazioni sul movimento internazionale per l’abolizione della pena di morte.
L’ACAT, associazione d’orientamento ecumenico, conta 300.000 aderenti nel mondo intero. E’ radicata soprattutto in Francia, dove
è stata fondata nel 1973 (tra i fondatori vi è
anche il pastore Tullio Vinay). Pubblichiamo
qui alcuni estratti della relazione presentata dal
teologo Jürgen Moltmann, protestante, docente
all’università di Tubinga.
Come degli uomini arrivano al
punto di torturare altri uomini?
I torturatori possono rispondere a delle motivazioni religiose.
Nel corso della rivoluzione iraniana, sotto Khomeini, le guardie
della rivoluzione torturavano e
dilaniavano i corpi dei nemici per
salvare la propria anima, considerando i nemici come nemici di
Dio.
Nel Medioevo la tortura corporale, che aveva come finalità la
purificcizione deH'anima e il passaggio nell’aldilà, esisteva in
due sensi: come tortura personale e come tortura degli altri.
Nei due casi c'erano forme paragonabili tra loro: flagellazioni, digiuni, rottura di membra, rottura della resistenza interiore, isolamento nella clausura o in prigione. Ora, chi si impegni contro
la tortura del prossimo deve anche ribellarsi alle forme di tortura rivolte contro se stessi. Se
l’una e l'altra delle torture sono
motivate dai « tormenti » che si
impongono al corpo in vista della
purificazione dell’anima, allora
questo dualismo tra corpo e anima deve sparire a vantaggio di
una visione « totale » dell’uomo
e della vita.
Nella Bibbia e nel cristianesimo l’idea della tortura è legata a
quella deH’inferno: l’inferno è
come una sala di tortura religiosa, luogo « in cui i diavoli e i dannati devono patire delle pene
eterne ».
Mentre le torture terrestri sono limitate e le pene corporali
hanno un termine, se non altro
con la morte, la crudele immaginazione apocalittica non ha limiti: « La tortura deve durare in
eterno ». Non c’è morte che salvi i dannati.
Le due forme di tortura si sono
poi rinforzate a vicenda: la tortura terrestre aveva come scopo
di anticipare la tortura eterna
dell’inferno. Le pene infernali,
immaginate dal desiderio apocalittico rivolto agli atei e agli
empi, descritte secondo il modello biblico, servivano sicuramente
come esempio per tutti quei modi di praticare la tortura che rendevano la vita degli altri infernale.
Chiunque voglia condannare la
tortura deve scindere lo schema
apocalittico « amico/nemico ». E’
il segno di un manicheismo escatologico — i buoni contro i cattivi, e i cattivi sono sempre gli altri —, e non il segno della speranza cristiana, anche se la Bibbia
descrive l’inferno. Finché un inferno troverà posto nella religione, saranno possibili giustificazioni dirette o indirette per le stanze della tortura.
A un altro livello troviamo una
giustificazione religiosa della tor
tura nel diritto di espiazione del
colpevole, e nella concezione della pena come mezzo di dissua-,
sione. Nell’espiazione si infligge
al colpevole un male pari a quello
che ha commesso. Gli si rende
il male per il male; non si tratta
della sua personalità, ma del fatto che l’ordine divino universale
è stato ferito dalla sua azione, a
cui deve seguire la riparazione.
Alla punizione della tortura corporale si è poi sostituita la privazione della libertà: la pena viene inflitta a scopo deterrente. Da
qui deriva la tortura pubblica
dei delinquenti, destinata a reprimere le rivolte politiche e sociali
presso i popoli sottomessi.
Motivazioni
profane
I torturatori obbediscono anche a delle motivazioni profane.
Il fine giustifica i mezzi, per
esempio: è permesso, in caso di
guerra, torturare dei prigionieri
per estorcere informazioni? Uno
stato ha il diritto di permettere
la profanazione dei suoi fini utilizzando la tortura, senza perdere il
rispetto di se stesso? Uno stato ha
bisogno di questo rispetto di sé,
perché ne va della sua legittimazione. Una nazione in cui si tortura non è più una patria, non
c’è patria in una tirannia.
Chiunque, in nome dello stato,
militare o poliziotto, torturi altri
esseri umani distrugge questo
stato.
Tra i torturatori esistono, certo, anche i sadici veri e propri,
che obbediscono a motivazioni
perverse. Ma i peggiori sono sempre le persone insensibili e apatiche che si limitano « a fare il
proprio lavoro », come dicevano
alcuni, nei lager, che non facevano che obbedire agli ordini ricevuti; al di fuori del loro servizio costoro potevano essere dei
tranquilli padri di famiglia che
amavano ascoltare la musica
classica. Il meccanismo professionale in base al quale praticavano la tortura e massacravano
è ancora più efferato del sadismo perverso, perché può coinvolgere chiunque di noi, una volta che la forza della coscienza
personale sia stata « sospesa » o
si sia rimessa ad altre istanze.
Fratello
dei torturati
Al centro della fede cristiana si
trova la storia della Passione,
questa storia del Cristo venduto,
rinnegato, torturato e crocifisso.
Nessun’altra religione colloca, al
centro di sé, una persona martirizzata. Eppure Cristo non signi
fica forse la fine della tortura, essendo il termine di ogni giustificazione religiosa o secolare della
tortura stessa? Gli evangeli ci descrivono la storia della Passione
di Cristo, una storia di sofferenza,
in maniera dettagliata, ma senza
masochismo né volontà di suscitare pietà. Essi raccontano la
storia dell’Emmanuele: Dio con
noi, con noi nella nostra sofferenza e nella nostra morte. Raccontano la storia di Cristo: Dio per
noi, per noi che siamo diventati
colpevoli. Parlano della solidarietà del Dio resosi uomo con noi, e
del distacco progressivo dei rapporti umani e divini da Cristo: i
discepoli scappano, i sacerdoti lo
condannano. Egli perde la propria identità e, infine, muore con
il grido che esprime il profondo
abbandono da quel Dio che Cristo chiamava Abba, Padre, e che
egli stesso aveva annunciato ai
poveri e ai bambini.
Gesù perde la sua identità divina come figlio di Dio e figlio del
Padre celeste, per sprofondare
nella nostra miseria: «Si annichili, prendendo forma di servo...
e abbassò se stesso facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla
morte della croce ».
Così l’apostolo Paolo riassume
la Passione nella lettera ai Filippesi (2: 7-8).
Se questo Gesù non è solo tin
essere umano fra tanti, ma il
Messia, liberatore d’Israele, redentore degli uomini, allora la
sua storia esprime la solidarietà
di Dio con le vittime della violenza e della tortura: la croce di
Cristo si trova fra le innumerevoli croci che costeggiano le strade degli imperatori e dei despoti, da Spartaco fino ai campi di
concentramento. La sua sofferenza non ricava dignità dalla sofferenza degli altri: essa si colloca in una posizione di fraternità
con la sofferenza degli altri, e
simbolizza la nostra sofferenza.
Fra gli innumerevoli torturati
« senza nome », si trova sempre il
servo di Dio che soffre. Sono
suoi fratelli e sue sorelle, perché
egli è diventato uno di loro. Fra
i torturati Cristo torturato ci
guarda ogni volta con un volto
nuovo: « Quanto avete fatto a
uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me » (Matteo
25: 40).
Se leggiamo così la storia della
Passione, la tortura di Cristo significa la fine della tortura e la
sua morte la fine di ogni pena di
morte. Ma, nella storia della
Passione, Cristo è risuscitato
dai morti il terzo giorno. Andando fra i morti ha portato loro la
redenzione. Così si può dire: « O
morte, dov’è la tua vittoria? ».
L’inferno, dopo la discesa di Cristo laggiù, è obiettivamente trasformato. Dante viene smentito:
qualcuno ha portato la speranza
Il "Cristo torturato", secondo la visione di un artista
dell’America latina.
anche laggiù. Quindi, per la fede
cristiana, non c’è più 'Un inferno
nel senso della «camera di tortura » religiosa. Le porte si sono
spezzate, i bastioni aperti.
Giudice
dei torturatori
Un tempo si torturava in pubblico e i cadaveri venivemo lasciati sul posto per metter paura.
Oggi si tortura a porte chiuse, in
segreto, e i cadaveri vengono fatti sparire. Li si seppellisce o li si
brucia, perché non si trovino le
loro tracce, e li si dimentichi:
nessuno deve essere in grado di
accusare gli assassini. Per questo
la ricerca delle tracce è così difficile in Argentina e in Cile. Già
Himmler faceva esumare le vittime dei campi di concentramento
per bruciare i cadaveri per far
sparire le tracce. La resurrezione
significa che i morti ritorneranno, i « senza nome » avranno il
loro nome: e sarà il giudizio. Gli
assassini non trionferanno definitivamente sulle loro vittime, e
i torturatori saranno chiamati a
render conto.
Anche degli esseri umani che
non credono più in un Dio personale hanno un desiderio ardente di giustizia e capiscono che
resurrezione significa: « Sarà resa giustizia ai morti ».
Per i cristiani, il Cristo risuscitato è portatore della resurrezione dei morti: con lui inizia il giudizio dei torturatori e degli assassini. Si può capire che le vittime e i loro parenti dicano: «Dopo
Auschwitz non si può più parlare
di Dio », ma per i colpevoli e i loro discendenti si deve parlare di
Dio proprio dopo Auschwitz, perché siamo sotto il giudizio di Dio.
Chi tra loro dichiara che Dio è
morto si sottrae alle proprie responsabilità. Dio rende giustizia
a quelli che patiscono la violenza. Dio giudica gli assassini. Diversamente non arriveremmo
mai ad un mondo di pace, un
mondo senza torture.
Ma posso io pregare per i torturatori? Nessun essere umano
può perdonare un colpevole in
nome delle vittime morte. Ma,
senza perdono, il colpevole non
può più vivere, e non c’è perdonp
senza espiazione, ciò che non rientra nelle possibilità umane. E’ allora una possibilità divina? Isaia
(cap. 53) aveva la visione del servo sofferente che toglie i peccati
del popolo. E’ Dio stesso che ha
pietà dei peccatori e porta il loro peccato, divenendo espiatore
per il popolo. Come accade tutto
questo? Dio trasforma l’errore
umano in sofferenza divina portando il peccato dell’uomo. Di
questo parla la nuova alleanza
che si compie col sangue di Cristo. Egli, con la 'Passione e la
morte in croce, diviene non solo
fratello delle vittime, ma anche
espiatore al posto dei colpevoli.
« Tu, che porti i peccati del
mondo, abbi pietà di noi ». Questa è la preghiera che ci riunisce
con i colpevoli e ci conduce alla
misericordia divina. La misericordia è un amore che sopporta il
dolore e che ama, malgrado tutto.
Finché ci sarà questo mondo
Dio sopporterà la storia della sofferenza umana così come la storia dell’ingiustizia degli uomini.
Nel crocifisso, Dio è vittima tra
le vittime. Per questo la riconciliazione dei colpevoli verrà da
parte delle vittime, se riconciliazione avverrà.
Il peggio?
L’abitudine
La cosa peggiore è che ci si
abitua all’ingiustizia, sia come
vittime che come colpevoli. Quando l’ingiustizia si produce frequentemente, quando non si vede
più alternativa, ci si abitua al
filo spinato, si lascia affievolire
l’interesse per la vita, ci si abbrutisce come un carro armato, e
niente ci scuote. 15.000 morti sulle strade: ci si abitua. 10.000 per
droga: ci si abitua. Sei milioni di
persone vivono alla soglia di povertà: chi ne parla più? Vittime
della tortura: non interessa!
Come uscire, allora, da questa
malattia della civiltà che si chiama apatia? Appelli e convegni
non servono. Ma quando la libertà si avvicina le catene cominciano a farci male; quando l'interesse per la vita si risveglia, cominciamo a protestare contro i
poteri della morte. Quando la
fame e la sete di giustizia si svegliano in noi, non accettiamo più
l’ingiustizia, ma cominciamo a
combatterla. Rinforziamo la nostra volontà di vivere, la nostra
vita e quella degli altri; allora le
forze della resistenza contro la
tortura cresceranno.
La tortura è insopportabile:
La tortura deve sparire, perché
la vita è qui
la pace è possibile
il regno di Dio è vicino
è già in mezzo a noi.
Jürgen Moltmann
(traduzione Alberto Corsani)
8
8
ecumenismo
14 dicembre 1990
BATTISTI IN URSS
Gioia della testimonianza
La ritrovata libertà religiosa dà luogo a un gran fermento di iniziative - Il peso delle difficoltà economiche e sociali del paese
Echi dal mondo
cristiano
Dopo oltre settant’anni di ateismo di stato e di compressione
del fenomeno religioso, si assiste
in Unione Sovietica ad una fioritura di iniziative religiose. I mass
media hanno dato enorme risalto alle due processioni ortodosse,
entrambe ^date dal patriarca
Alessio II, in occasione dell’anniversario della fondazione della
città di Mosca (domenica 23 settembre) e per la posa della prima
pietra per la ricostruzione della
cattedrale di Kazan, distrutta per
ordine di Stalin nel 1936.
Per la prima volta dalla Rivoluzione, i luoghi sacri del potere
sovietico, il Cremlino e l’adiacente Piazza Rossa, si sono riempiti di migliaia di fedeli con le loro
artistiche icone.
In Unione Sovietica, in particolare nella Repubblica russa, esistono numerose comimità evangeliche, prevalentemente di matrice awentista, battista e pentecostale. La recente legge sulla libertà religiosa (1° ottobre) garantisce finalmente spazi alla libera
testimonianza della fede, senza le
restrizioni di polizia tipiche del
passato.
La principale denominazione
evangelica, per numero e per diffusione geografica, è quella battista. L’Unione delle chiese cristiane evangeliche battiste dell’Unione Sovietica, secondo i dati
ufficiali della « Federazione mondiale battista » (Congresso di
Seoul, agosto 1990), raggruppa
2.260 chiese costituite e 204.156
membri di chiesa; i battisti indipendenti, secondo stime attendibili, oscillerebbero tra le 250.000
e le 300.000 unità con 5.000 tra
chiese costituite e chiese in formazione.
In comune con i battisti americani, molti gruppi battisti accentuano l’importanza dello Spirito Santo nelle liturgie comunitarie, che assumono così aspetti
di tipo carismatico. Nell’ultimo
decennio si è praticamente dissolta l’artificiosa unione battistipentecostali, pur rimanendo fra
loro buoni rapporti di comunione
fraterna.
In una bella domenica di sole
abbiamo incontrato, nella regione
di Leningrado, Alexander Zìnoviev, tecnico in pensione e pastore di una comunità evangelica
battista indipendente.
— Quanti membri di chiesa ha
la sua comunità e come organizza
le attività? ».
— I membri battezzati sono
285, la popolazione ecclesiastica
raggiunge le 700 imità. La domenica, data la scarsa capienza del
nostro locale di culto, abbiamo
due culti: alle 9 e alle 11. Come
ha potuto vedere, partecipando
oggi al culto, accanto alla predicazione vi è largo spazio per la
preghiera e il canto comunitario.
Tra poco, nel pomeriggio, avremo
una serie di riunioni quartierali
di evangelizzazione, ospiti delle
famiglie della comunità. Riunioni
tra le sorelle, per i giovani e i
bambini avvengono, nelle case,
durante la settimana.
— Come valuta l'attuale situazione economica e sociale in
URSS?
— Stiamo vivendo, dopo lo zarismo e il potere sovietico, una
bella stagione di libertà. Finalmente il cittadino russo è libero
di pensare con la propria testa.
La situazione economica è difficilissima. Nei negozi di stato
mancano tutti o quasi i beni di
prima necessità; solo a mercato
nero possiamo trovare abbondanza di beni e di merci. Negli anni
di Breznev le industrie non hanno rinnovato i loro macchinari
ed oggi ne stiamo pagando le conseguenze. Inoltre i paesi del
Comecon hanno praticamente
interrotto le relazioni economiche con noi. Anche i settori guida
dell’economia sovietica attraversano un periodo di crisi profonda, così come l’istruzione e l’assistenza sanitaria. Gorbaciov sconta gli errori dei suoi predecessori.
— Quali sono i rapporti con le
altre chiese battiste?
— La legislazione penale sovietica prevedeva per tutti i gruppi
e le comunità religiose l’istituto
della ’’ventina”. Ogni comunità doveva registrarsi all’atto della sua
costituzione presso le locali autorità di polizia, indicando i norni
e gli indirizzi di almeno venti responsabili. La nostra comunità,
insieme ad altre, si è rifiutata, secondo il principio battista della
libertà di coscienza, di registrarsi presso l’autorità statale. Abbiamo pagato di persona: negli anni
cinquanta e sessanta sono stato
incarcerato due volte; altre sorelle ed altri fratelli sono morti nei
campi siberiani. Grazie a Dio, la
persecuzione è finita. Mi auguro
che le incomprensioni con i fratelli battisti registrati abbiano fine. Penso che questo sia un desiderio comtme oggi in URSS.
— Vi sono per le chiese possi
bilità di testimonianza pubblica
oggi in URSS?
— Innanzitutto possiamo evangelizzare liberamente, senza subire più intimidazioni e ancor peggio il carcere e l’esilio. La Chiesa
ortodossa, che ha due settimanali di informazione religiosa diffusi nelle edicole, ha la possibilità di accedere con propri insegnanti alle Università di Kiev,
Mosca e Leningrado. E’ un fatto
straordinario: in un biennio si è
passati dai corsi obbligatori sull’ateismo a quelli liberi di storia
del cristianesimo!
L’Unione battista ha potenziato il suo periodico « Messaggero
fraterno » ed ha in progetto im
seminario per la formazione dei
pastori e predicatori locali.
Per quanto ci riguarda stiamo
aprendo una piccola casa editrice. In primo luogo abbiamo bisogno di Bibbie, Nuovi Testamenti,
innari. Con l’aiuto del Signore
stamperemo corsi biblici per le
comunità e dispense teologiche
per la formazione dei nostri predicatori.
Il Signore ci guidi nella testimonianza evangelica.
a cura di
Eugenio Stretti
GIOVENTÙ’ OPERAIA CRISTIANA
Chiese e lavoratori
« Da cristiani nel mondo operaio, da lavoratori nella chiesa »:
questo lo slogan che ha accompagnato i 250 militanti, rappresentanti di tutti i gruppi d’Italia della GiOC (Gioventù operaia cristiana), convenuti a Bellaria (Fo)
dal 1° al 4 novembre scorsi per
un convegno nazionale.
Al centro dei lavori il tema della chiesa, aspetto centrale nella
vita del movimento della GiOC.
A partire da questo nodo, i partecipanti si sono confrontati sulla
loro esperienza di chiesa: è emerso il forte ruolo della GiOC nel
far riscoprire ai giovani in contatto con il movimento l’esperienza
di chiesa, ma sono emerse anche
molte difficoltà. In che misura la
chiesa propone oggi il modello di
Cristo? Le nostre comunità sono
luoghi in cui si cresce nella fede
o luoghi dove si « consuma il sacro »? Come è possibile oggi vivere la fedeltà a Gesù e ai giovani
lavoratori?
A tutte queste domande ha cercato di rispondere Giannino Piana, teologo morale e docente
presso l’Università di Urbino, soffermandosi su tre « figure » dell’indifferenza nei confronti dell’esperienza di chiesa. Il primo tipo riguarda l’indifferenza come
« crisi della domanda religiosa ed
ecclesiale ». La risposta a questo
atteggiamento, ha spiegato Piana, viene dal Nuovo Testamento,
in cui la chiesa viene presentata
come popolo di Dio in cammino
verso la liberazione totale. Ogni
uomo è chiamato ad essere parte
integrante della comunità ecclesiale, ad entrare in comunione
profonda con Dio e a vivere e testimoniare la logica dell’amore
gratuito.
Il secondo tipo di indifferenza
si manifesta nel ritorno del sacro, in modo molto allargato e
differenziato: « E’ diffuso nella
nostra società un atteggiamento
di indifferentismo religioso — ha
sottolineato Piana — o anche di
sincretismo religioso. La nostra
risposta deve essere quella di recuperare l'identità cristiana ed
ecclesiale, attraverso il ritorno al
Vangelo nella sua paradossalità,
e riscoprendo i segni del Regno
di Dio (la giustizia., la scelta degli
ultimi, la fraternità, la pace) ».
Infine il terzo tipo di indifferenza di cui Piana ha parlato, e che
richiama la volontà di « differenziazione ». Secondo il teologo, « la
differenziazione nasconde però
anche un'esigenza positiva: quella
di una fede adulta e di una partecipazione responsabile alla chiesa.
Da qui l'idea teologica di chiesa
come esperienza di comunione e
fraternità: una ma non uniforme,
santa ma non di élite, cattolica e
di tutti ma a partire dai poveri,
apostolica ma non clericale. Solo
una chiesa povera — ha concluso
Piana — è una chiesa libera che
rispetta le differenze e lavora per
un'unità escatologica ».
Nella mattinata di sabato 3 novembre Gianni Fornero, assistente del Coordinamento internazionale della GiOC (CIGiOC), ha
sviluppato il tema che dava il titolo al convegno: « Da cristiani
nel mondo operaio, da lavoratori
nella chiesa ». Secondo Fornero,
lo specifico della GiOC viene dalla « revisione di vita » (il metodo
del vedere, valutare e agire). « La
GiQC deve insistere — ha detto
Fornero — sull'importanza della
promozione umana e della liberazione, attraverso la sua caratteristica di missionarietà in mezzo
al popolo dei lavoratori, di "azione cattolica specializzata" ». Fornero ha poi sottolineato con forza la dimensione missionaria della GiOC: «L'aggregazione e l'evangelizzazione dei giovani lavoratori
è un'esperienza di missione ».
In chiusura di convegno, dopo
la presentazione di una serie di
esperienze di chiesa (Daniele Turcone, parroco a Cinisello Balsamo; Vincenzo Salvati, parroco a
Rossano Calabro; Carlo Carlevaris, prete operaio in pensione, e
Felice Tenero, dell’organismo brasiliano che si occupa della pastorale operaia), il teologo Ermis Segatti della Facoltà teologica di
Torino ha presentato una relazione di approfondimento su « Chiesa dell'Est, Chiesa del Sud: quali
le .sfide ».
(ADI STA)
La Bibbia al computer
PADOVA — La Bibbia in dischetti è una realtà anche in Italia. La società Unitelm di Padova ha elaborato un programma
sulla versione del testo C.E.I.
(Conferenza episcopale italiana)
in grado di offrire anche una
concordanza per argomenti, oltre
quella per le singole parole. La
Bibbia elettronica, per essere utilizzata, richiede un personal computer IBM o compatibile avente
il sistema operativo MS-DOS con
una memoria di almeno 11 milioni di byte. L’opera ha richiesto due anni di lavoro tra la
programmazione e la lettura del
testo tramite un lettore ottico.
Pagine e capitoli possono « scorrere » sul video del computer ed
essere incrociati con le concordanze inserite nel programma. Il
costo del programma, che a seconda della dimensione dei dischetti va da un minimo di 2
dischetti fino ad un massimo di
34, è di L. 500.000.
(SCC)
Europa ecumenica
e casa comune
BOLOGNA — La « casa comune » dell’Europa unita presuppone un’unità spirituale. Ma, dato che lo spirito dell’Europa è
spirito cristiano, bisogna ricercare l’unità dei cristiani. Sono cioè
implicite le conseguenze ecinneniche delle grandi trasformazioni che l’Europa sta vivendo, ad
ovest come ad est. Con questi
concetti ha esordito, al « Martedì » del 27 novembre scorso organizzato dal Centro San Domenico in collaborazione con la
Diocesi di Bologna e con il gruppo bolognese del Segretariato attività ecumeniche (SAE), il card.
Johannes Willebrands, presidente emerito del Consiglio pontificio per l’unità dei cristiani e
testimone operoso dell’impegno
ecumenico della Chiesa cattolica
di questi ultimi anni.
Il cardinale ha presto allargato il discorso alla situazione generale del dialogo ecumenico.
« Fino a qualche anno fa — ha
ricordato — i cristiani erano divisi da una sorta di ’’guerra
fredda”: cattolici e protestanti
non si parlavano quasi; dopo il
Concilio Vaticano II la Chiesa
cattolica entra nel movimento
ecumenico con convinzione e
con forza. I problemi erano e
sono comunque gravi e complessi ». Non tutti se ne resero conto, cosicché, ad una prima illusione su una rapida ricomposizione dell’unità, seguì una forte
delusione.
Ma l’ecumenismo non è « impresa semplice e facile ». I cristiani — ha- affermato Willebrands — avvertono tutta la
drammaticità della separazione,
sentendosi al contempo fratelli
e sorelle in Cristo. Se da una
parte è « evidentissima », in particolare fra i cristiani d’Oriente
e i cattolici, la comunione sui
sacramenti e su alcuni temi teologici (il cosiddetto « filioque » —
ha detto — non è più ritenuto
causa di divisione), dall’altra persistono delle profonde divergenze: sul ruolo del vescovo di Roma con i cristiani d’Oriente; sul
mistero e sul ministero della
chiesa, sulla funzione di Maria
nell’opera di salvezza, sul rapporto tra sacra scrittura e chiesa, su alcune conseguenze in
campo morale, con i protestanti.
Proprio sulla divisione, malgrado esista quel reale vincolo
di comunione che è il battesimo.
in passato si è troppo insistito,
a detta del cardinale, « con uno
spirito acre e sterile di polemica, vissuto con atteggiamenti di
estraneità e ostilità. La vera tragedia religiosa dell’epoca moderna è stata l’esigenza di opporsi a tutti i costi agli altri,
si è addirittura arrivati a scrivere catechismi polemici ’’contro” gli altri ». Ma « lo Spirito
del Signore è attivo anche nelle chiese separate e opera in tutti i battezzati: possiamo dire
senza superbia e con gratitudine che se la nostra chiesa è entrata nel movimento ecumenico,
essa vi è entrata forte di serie
consapevolezze ecclesiologiche ».
« Le difficoltà sono immense —
ha concluso il cardinale —; i dialoghi in corso sono tanti e sono complessi, ma tutti i cristiani sentono fortemente il bisogno di una nuova evangelizzazione della società: l’Europa unita ha bisogno dello sforzo unitario di tutti i cristiani; se mancherà all’Europa l’unità del suo
spirito cristiano le mancheranno
le radici profonde della propria
identità ».
(ADI STA)
La DC tedesca
scheda i pastori
BERLINO — Alla fine la CDU/
CSU lo ha ammesso. Un suo
gruppo di lavoro ha « repertoriato » i dirigenti della Chiesa
evangelica tedesca orientale secondo gli orientamenti politici.
Da un « documento di lavoro »
della CDU/CSU si apprende così che Christoph Demke, presidente della Federazione delle
chiese protestanti nella Repubblica democratica tedesca, è « un
uomo di centro sinistra che cerca di accentuare il profilo sociale delle chiese presso la classe operaia ». Heino Falche invece è « un portavoce degli apologeti dell’ultrasinistra che cercano di giustificare un socialismo passato ». Manfred Stolpe,
presidente del Concistoro di
Berlino, « è fondamentalmente
un socialista ». Al fine di evitare che il protestantesimo della ex RDT sia troppo segnato
« a sinistra », sia dominato dai
« Verdi » e dagli alternativi e si
impegni nel « movimento per la
pace », il documento della CDU/
CSU invita i propri esponenti politici ad essere presenti nel dibattito delle chiese, specie in un
momento come questo « in cui
i responsabili delle chiese evangeliche attraversano rm momento di disorientamento ».
Salviamo
l’atmosfera
BERNA — La Commissione
ecumenica di lavoro su chiesa
e ambiente ed altri comitati
hanno lanciato il 24 novembre
scorso un appello per la protezione dell’atmosfera terrestre
chiedendo a ciascuno di sentirsi
corresponsabile dell’effetto serra
e quindi di adottare nei comportamenti misure per:
— ridurre la circolazione di
sostanze che contribuiscono alla distruzione dell’ozono (boicottaggio degli spray e dei prodotti che contengono gas clorofluorocarburi);
— ridurre del 2% il pr®'
prie consumo di energia rispet;
to all’anno precedente. Darsi
quest’obiettivo è facile, occorre
controllare il riscaldamento e d
consumo di energia elettrica;
— cambiare lo stile di vita.
9
14 dicembre 1990
valli valdesi
COMUNITÀ’ MONTANA VALLI CHISONE E GERMANASCA
Nuova Giunta;
Ribet presidente
Dopo lunghe e laboriose trattative si riforma la giunta unitaria - li
neopresidente: « Dobbiamo riprendere il contatto con la gente »
DIBATTITO
Le trattative sono state piuttosto laboriose, ma in compenso
l’accordo è risultato perfetto. Così, il 7 dicembre, la giunta della
Comunità Montana Chisone e
Germanasca è stata annunciata
ed eletta in tempo brevissimo.
Erano perfino pronte le schede
con i nomi da votare ed il relativo quadratino, per rendere ancora più agevole l’operazione.
Il nuovo presidente è Erminio
Ribet, sindaco di Inverso Rinasca,
già assessore alla cultura; vicepresidente Naldo Breusa, assessore allo sport e turismo nelle ultime amministrazioni.
I gruppi consiliari hanno poi
espresso i sette assessori, ripartiti in modo da assicurare un certo
equilibrio: Gerolamo Sola, Gino
Long, Alfredo Benedetto (PSI);
Piero Pazé, Gaetano Rossi (DC);
Pietro Polissero, Raimondo Genre (Sinistra).
La giunta unitaria ha pure prodotto un programma, frutto di
una ricerca di consenso tra le varie posizioni. C’è da augurarsi
che lo si possa realizzare, anche
se le nubi che si addensano sugli
enti pubblici e in particolare sulrUSSL 42 non lasciano molto spazio all’ottimismo.
Nel suo discorso di investitura,
il presidente Ribet ha manifestato il proposito di riprendere il
contatto con la gente, un po’ venuto a mancare negli ultimi tempi, e ha invitato i corrispondenti
dei settimanali locali a svolgere
verso la popolazione un compito
di informazione critica.
Ben avviata
l'economia delia neve
* Ì
Dopo alcuni anni disastrosi per l’economia di Frali a causa della
totale mancanza di precipitazioni nevose, quest’anno le cose stanno
andando per il verso giusto. « Se anche quest’anno mancherà la neve
— dicevano gli operatori turistici dell’alta vai Germanasca — sarà
difficile risollevare la nostra economia ».
Negli anni scorsi era stato deciso anche l’acquisto dei cannoni,
messi in funzione anche quest’anno, nel tentativo di garantire l’apertura almeno della pista di fondo e di un tratto di discesa, ma ciò non
è bastato in passato a richiamare in numero sufficiente i turisti: molte delle seconde case, infatti, negli inverni scorsi sono rimaste chiuse.
Dopo una prima nevicata, un paio di settimane or sono, la precipitazione di domenica scorsa ha portato un buon mezzo metro di
neve. Gli impianti sono entrati in funzione e la stagione si presenta
dunque sotto i migliori auspici.
Naturalmente le precipitazioni nevose, riprese nei primi giorni
della settimana, hanno causato alcuni disagi alla popolazione e alla
circolazione. Pur senza raggiungere le dimensioni degli inverni della
metà anni ’80, la precipitazione ha messo alla prova i vari piani neve
predisposti da comuni e comunità montane; quest’anno i bilanci comunali dovranno nuovamente prevedere cifre elevate per lo sgombero neve.
croci ugonotte in oro e argento
oreficeria - orologeria - argc
Quale lingua
tutelare?
italiano, francese, patuà, piemontese: momenti e cause diverse per l’introduzione nelle valli
borri
di tesi & delma^w
via trieste 24, teL Í93ÍI7
pinerolo ao)
Questo è senza dubbio importante, ma è anche essenziale che
un organismo, dal quale è stata
volutamente allontanata ogni forma riconosciuta di opposizione,
sappia trovare al suo interno la
capacità di sottoporre ad un rigido controllo le proprie decisioni
e trovare anche le occasioni
per farle conoscere su tutto il territorio.
Liliana Viglielmo
VAL PELLICE
Studenti
in sciopero
Venerdì scorso 7 dicembre gli
studenti degli istituti superiori
di Torre Pellice (Bosso e IPSIA)
e di Luserna San Giovanni (Istituto tecnico per geometri e ragionieri) sono scesi in piazza
per protestare contro il ventilato aumento delle tariffe di trasporto degli autobus.
Riunitisi in piazza a Luserna
hanno fatto rilevare come queste tariffe incidano in modo
troppo oneroso per le loro famiglie.
NONE
Accordo
suirindesit
E’ stato raggiunto l’accordo
sul piano di ristrutturazione dell’Indesit di None; il piano, approvato anche dai sindacati, prevede la riduzione del personale di
oltre la metà degli attuali occupati, con un investimento per
altro dell’azienda di oltre 21 miliardi.
Il piano di ristrutturazione dovrebbe svolgersi su tre anni puntando, per coprire i vuoti lasciati, su cassa integrazione, prepensionamenti ed eventuali incentivi per chi deciderà di lasciare
l’azienda.
In base alle proposte della
Merloni, l’investimento dovrebbe comunque essere finalizzato
ad un miglioramento della produzione, cosicché, oltre alle lavastoviglie, a None si dovrebbero anche produrre le cucine.
Qual è l’originale patrimonio
linguistico della Val Pellice, da
tutelare, valorizzare e promuovere in virtù della legge regionale n. 26/90 del 10.4.90?
Ecco il nocciolo della questione sulla quale si sono scontrati
ultimamente nel nostro giornale
(nn. 42 e 46 del 26.10 e 23.11.90) i
signori Giorgio Tourn e Sergio
Hertel.
Che le cosiddette «valli valdesi»
siano caratterizzate da un ricco
pluralismo linguistico è noto a
tutti, ma forse pochi sanno esattamente perché accanto all’iialiano (lingua nazionale) e al patois e al piemontese (parlate locali) ci sia anche il francese
(un'altra lingua. nazionale, ma di
un altro paese). Già il concetto di
« lingua nazionale » in un’Europa
che tende ad eliminare tutte le
sue frontiere interne appare in
un certo senso superato, pur che
si pensi che, oggi come ieri, intere porzioni del nostro territorio
sono alloglotte, cioè parlano lingue di paesi confinanti, oltre
naturalmente all’italiano e alle
parlate locali, e ciò per motivi iniseme storici ed etnici. Prescindendo dai casi ben
noti della Valle d’Aosta e dell’Alto Adige, soffermiamoci su quello
più vicino a noi della Val Pragelato che, insieme con l’Alta Val
Susa, fece parte per lungo tempo
del Delfinato e poi della Francia,
fino al 1713; è ovvio che, per contingenze d’ordine anche politico e
amministrativo, la lingua francese si sia progressivamente imposta e sia poi rimasta viva in strati importanti della popolazione.
Tutt’altra origine ha l’introduzione del francese, che — scrive
Sergio Hertel — sarebbe stato
« inserito in valle dai pastori vaidesi a scapito di quella preesistente parlata provenzale alpina
che la Regione intende difendere ». Le cose stanno un po’ diversamente. La tristemente famosa
peste del 1630 non causò soltanto
morte e desolazione in tutte le
sfere della popolazione, ma ridusse il corpo pastorale a due
soli elementi, per cui fu necessario rinnovarlo con gente straniera proveniente specialmente dalla
calvinista Ginevra, con la conseguenza che « la peste segnò quasi
definitivamente l’abbandono della lingua italiana nella vita ecclesiastica e l’adozione del francese.
Fino a quel momento le Valli erano state bilingui: i salmi cantati
nelle chiese erano quelli francesi,
ma i pastori predicavano in italiano, anche per riguardo a quei
rifugiati di altre zone che non
potevano comprendere che tale
lingua » (cfr. Augusto Armand
Hugon, Storia dei Valdesi/2, Torino 1974, p. 66).
Dunque, alle Valli, prima della
peste, l’italiano era d’uso corrente, indubbiamente accanto al patois e al piemontese. Ma in quale misura? Esìstono delle ricerche statistiche da cui risulti quali
erano le percentuali di coloro
che, prima e dopo la peste, usavano di preferenza un idioma a sca
pito degli altri?
A Chanforan, nel 1532, le « risoluzioni » di quel sinodo, che decise l’adozione della Riforma precalvinista, sono redatte in italiano, però si decise di finanziare una traduzione della Bibbia in
lingua francese. Le prime storie
dei valdesi o della Riforma compilate da pastori sono in italiano
(Scipione Lentolo nel 1559 e Gerolamo Miolo nel 1587), ma appena
un mezzo secolo dopo il loro collega Pietro Gillio (Gilles) di Torre
Pellice è costretto a riscrivere in
francese quel che aveva già composto in italiano. Ma tutto quell’operare era a vantaggio solo
dei « dotti », oppure anche del
« popolo », il quale — ne sono
convinto — era parte attiva di
tutti quei processi di trasformazione sociale, in cui il fattore linguistico aveva lo stesso peso di
quello religioso?
Come si vede, la materia è piuttosto complessa, e solo ulteriori
indagini fatte possibilmente a
tappeto potranno consentirci di
fissare con maggiore sicurezza
quali sono effettivamente le
« parlate » originali che formano
quel « patrimonio » da tutelare,
valorizzare e promuovere...
Giovanni Gönnet
Quasi duecento
le radio in Piemonte
TORINO — Secondo le prime
stime risultano essere 185 le radio piemontesi che hanno presentato la domanda di concessione entro i termini fissati dalla legge Mammì sulla radiofonia;
di queste, 87 risultano appartenere a società residenti nella
provincia di Torino.
Com’è noto la legge prevede la
suddivisione in due categorie
delle emittenti: le commerciali
e quelle comunitarie, portatrici
di particolari istanze culturali,
politiche e religiose.
Queste ultime risultano essere,
sempre in provincia di Torino,
soltanto 6 (su 87).
Le Ferrovìe
appaltano i lavori
TORINO — I sindaci dei comuni della vai Pellice e quelli
di altri comuni interessati dalle possibili sospensioni di servizi ferroviari, causa lavori di ammodernamento, sono stati informati dal prefetto di Torino
circa i possibili tempi per l’apertura dei cantieri.
La direzione compartimentale,
alla fine di novembre, ha infatti
comunicato che, al di là del
programma di massima degli interventi, al momento « non è
possibile fornire i dettagli operativi, perché ancora da definirsi con le imprese cui saranno
affidate le opere e da sottoporre successivamente all’approvazione conclusiva della direzione
generale dell’ente FS ».
Pertanto la direzione compartimentale non sarà in grado di
fornire indicazioni precise prima del 20 dicembre; « a tale data — conclude la comunicazione delle FS —, se risulteranno
conclusi i necessari accordi ed
autorizzato l’inizio lavori, si
provvederà ad informare sollecitamente la prefettura sulle
modalità dei vari interventi ».
10
10 valli valdesi
14 dicembre 1990
LA SITUAZIONE IN PIEMONTE
LUSERNA SAN GIOVANNI
Quale futuro
per l'agricoltura?
La « rivolta dei trattori » fa scoprire una crisi latente da anni - Discorso a parte per la montagna: la fuga dell’uomo è preludio al degrado
Mercoledì 28 novembre sono
stati in molti a "scoprire” i problemi dell’agricoltura; le migliaia
di trattori sulle strade del Piemonte, a sostegno di ima manifestazione di protesta unitaria
dei coltivatori, hanno mandato in
tilt traffico e attività della giornata.
Poco abituate a sentire la voce
dei contadini, le altre classi sociali hanno scoperto che uno dei
settori chiave della vita del paese
è in forte crisi.
Crisi di addetti (diminuiscono
i giovani agricoltori, diminuiscono in assoluto le aziende), ma,
alla base, crisi sui prezzi dei prodotti rispetto ai costi e forti incertezze sul futuro.
Gli effetti delle politiche europee ed in futuro i rischi derivanti
dai possibili accordi commerciali
e tariffari in sede GATT {General
Agreement Trade and Tariffs) a
livello mondiale ipotizzano forti
riduzioni nei sostegni aU’agricoltura.
Le ricadute che tale situazione
potrà avere suH’agricoltura montana, che spesso, a parole, è considerata fattore di "presidio” a
tutela dell’ambiente, ma viene da
sempre dimenticata, sono immaginabili: si corre il rischio di lasciare le zone montane senza
questa importantissima copertura riducendo, nel giro di una
quindicina di anni, l’agricoltura
alle migliori zone di pianura e a
poche aree collinari particolarmente vocate.
I segni sono evidentissimi, tant’è che nelle valli alpine gli agricoltori con meno di 50 anni sono
pochissimi e gli altri rimangono
legati alla terra anche per un
difficile inserimento in altre attività produttive.
Ma qual è, in termini economici, la situazione dell’agricoltura
piemontese?
Le carni bovine rappresentano
in valore circa il 20% della produzione lorda vendibile (PLV), oltre
800 miliardi di lire; il prezzo degli animali di razza piemontese,
la più pregiata, è sceso del 20%
in poco più di un anno, per le altre razze il calo è stato di circa
il 10%. Molti allevamenti in zone
svantaggiate hanno già chiuso ed
altri seguiranno, se il mercato
non si risolleverà. Il mercato dei
capi da ristailo è fermo.
Anche la zootecnia risente della crisi dell’agricoltura.
Il latte rappresenta invece circa il 13% della PLV regionale;
l’imposizione delle quote costringe gli allevatori a non superare
la produzione del 1989, che copre
soltanto il 65% del fabbisogno nazionale, per evitare il pagamento
di una tassa di 541 lire al litro (su
un prezzo medio di 620 lire): così
è evidente che sta aumentando
considerevolmente il numero dei
produttori che preferisce chiedere i contributi ner la cessazione
dell’attività piuttosto che continuare in perdita.
Sempre a livello regionale sono
in forte perdita, sia in quotazione
che in resa, le coltivazioni di riso, cereali e soia; non va bene
neppure per gli allevamenti di
polli e conigli e per la produzione
di uova.
Le uniche attività agricole che
paiono andare bene sono la viticoltura e le carni suine, peraltro
con presenza percentuale molto
bassa nelle valli pinerolesi.
In sostanza, mentre negli ultimi dieci anni il potere di acquisto degli altri settori produttivi è aumentato dello 0,9%, in
agricoltura esso è diminuito dello
0,4%.
Nel tentativo di rilanciare il dibattito su tutta la problematica,
le tre organizzazioni di categoria
(Coldiretti, Conf agricoltura e
Confcoltivatori) hanno inviato
alle amministrazioni comunali
della zona una proposta di ordine
del giorno, sollecitando l’impegno
dei singoli consigli comunali.
Questo documento è stato già
discusso in molte assemblee comunali ed approvato; esso chiede
che l’agricoltura venga considerata per il suo ruolo strategico rispetto alla politica del territorio,
in particolare nelle zone svantaggiate, e più in generale l’impegno
di tutti gli organismi politici per
qualche parte interessati.
Piervaldo Rostan
TORRE PELLICE
L'«isola» dimenticata
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in mostra
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ORARIO
martedì-venerdì 16-19,30
sabato 9,30-12,30/16-19,30
aperto
domenica pomeriggio
Sta suscitando vivo disappunto
la situazione venutasi a creare
nel centro di Torre Pellice dove i
lavori di « arredo urbano » iniziati varie settimane or sono stanno
prolungandosi oltre ogni aspettativa, anzi sono da tempo fermi.
Il progetto prevedeva la costruzione di un dosso all’altezza dell’incrocio fra l’isola pedonale e
via Caduti per la libertà, proprio per tutelare maggiormente i
pedoni dal traffico; nel contempo deve essere ripavimentato a
pavé un tratto di via Arnaud ed
installate alcune fioriere e panchine.
L’appalto è stato aggiudicato
alla ditta Zublena che dovrà realizzare anche due parcheggi in
altre zone del paese.
I lavori sono iniziati in vari
punti più o meno in contemporanea, poi si sono fermati, ripresi
per due giorni e poi più nulla;
resta il disagio, qualche distorsione di caviglia e le proteste
della .gente.
Cosa è successo?
« Ho più volte sollecitato la ditta appaltatrice — spiega il sindaco Armand Hugon — a riprendere celermente i lavori. La situazione venutasi a creare mi ama
Una rete fognaria
per tutta la valle
Una proposta dell’ltalgas per il rinnovamento totale - Esaminate alcune interpellanze
Consiglio comunale di ordinaria amministrazione quello svoltosi giovedì 6 dicembre a Luserna.
In apertura di seduta il sindaco Longo, nelle sue comunicazioni, ha reso pubblico quanto accaduto durante un incontro
fra esponenti della società Italgas ed amministratori di alcuni
comuni della valle.
Circa un anno fa era stato
chiesto airitalgas uno studio di
massima per la raccolta delle acque reflue con un impianto che
fosse utilizzabile non solo da Luserna San Giovanni ma anche
da altri comuni della valle, razionalizzando e migliorando un
servizio che oggi presenta ancora diverse crepe in molti dei nostri paesi: funzionano male molti depuratori e alcune zone, anche densamente abitate, sono
lontane dalle reti fognarie costruite in questi anni. Per restare al territorio di Luserna se
ne avvantaggerebbero in particolare la zona di Pralafera, ma anche aree collinari. Il progetto
esposto ha naturalmente carattere generale e quindi necessita
di una elaborazione dettagliata:
« E’ comunque possibile — ha
aggiunto Longo — avere un progetto esecutivo entro il 1991 »;
il costo di tutta l’opera dovrebbe aggirarsi sui 12 miliardi.
Come reperire tale somma?
Potrebbero essere messi a disposizione dei fondi CEE per tali infrastrutture oppure la stessa Italgas sarebbe disposta a finanziare direttamente l’opera, a
condizione che la gestione le
venga affidata per 30 anni.
Da notare che, ancora recentemente, il servizio di igiene pubblica deiruSSL 43, a fronte delle
difficoltà evidenziate nella depurazione in quasi tutti gli impianti, ha più volte suggerito come
soluzione più valida la creazione di una unica rete fognaria di valle.
Il progetto ora presentato va
dunque in questa direzione, anche se, con l’attuale rete, con
sentirebbe appena di servire la
metà degli abitanti della valle;
toccherà perciò ancora ai comuni un ulteriore sforzo per l’ampliamento delle zone collegate.
Chiuso questo argomento, è
stato affrontato l’ordine del giorno; all’unanimità è stato approvato il nuovo regolamento per
le commissioni consultive comunali, così come tutti hanno deciso di dare scadenza triennale
all’appalto per il taglio di siepi,
prati e potatura alberate con una
spesa prevista di 15 milioni annui.
Troverà anche una soluzione la
carenza di servizi igienici pubblici determinatasi con il restauro dell’ex peso pubblico adibito
ora a sede della Pro Loco: con
una spesa di un milione verranno riadattati i servizi della stazione ferroviaria.
Erano state avanzate anche
due interpellanze; la prima, della Lega Nord, riguardava il ritardo nella conclusione di lavori
stradali in località Baussan e
rassicurazioni in materia sono
state fornite; la seconda, proposta dal consigliere verde Garciiol,
riguardava la possibilità concessa dalla legge nazionale in materia di tossicodipendenza circa
il finanziamento di progetti « mirati alla prevenzione ed al recupero ». Progetti non sono ancora stati redatti ne ciò avverrà entro il 15 dicembre, la data
che la legge fissa per l’anno in
corso, tuttavia l’interpellanza
verrà discussa in un prossimo
consiglio.
Infine sono stati resi pubblici i nuovi orari degli uffici comunali che, a titolo sperimentale, prevederanno l’apertura al
pubblico di tutti i servizi dalle
9.45 alle 12.30 dal lunedì al venerdì, con riapertura pomeridiana il mercoledì dalle 16 alle 17.30;
inoltre il sabato mattina, dalle
9.45 alle 11.45, sarà aperto l’ufficio tecnico.
P. V. R.
POMARETTO
reggia molto, anzitutto per il disagio che crea ai cittadini ma anche per l’atteggiamento di chi deve ultimare i lavori ».
Di fronte a questi ritardi non è
possibile costringere la ditta al
pagamento di una « penale »?
« La situazione è più complessa; la ditta deve ultimare i lavori
entro il periodo di Natale, secondo l’appalto. A noi era parso logico che ognuno dei singoli interventi dovesse essere iniziato e
concluso prima di aprire un altro
cantiere: invece qui è accaduto
l’esatto contrario ».
Ma cosa sta alla base di questa
fermata dei lavori?
« La ditta Zublena si è trovata
improvvisamente in diificoltà con
gli incaricati della pavimentazione a pavé; ci è stato detto che è
difficile individuare imprese in
grado di effettuare auesti lavori;
tuttavia sembra proprio che ora
si sia arrivati al momento buono
con una nuova impresa. Il cantiere doveva essere riaperto lunedi scorso, ma la nevicata di domenica ha rinviato la cosa ancora
di alcuni giorni; comunque entro breve tutto dovrebbe essere
a posto ».
O. N.
Una terra, la sua musica
Solo se la gente resta legata al territorio
la cultura locale riuscirà a mantenersi viva
Dario Anghilante di « Ousitanio vivo » e Gianpiero Boschero
dell’associazione « Soulestrelh »:
diversità di posizioni forse nell’impostare un’attività culturale
più o meno legata all’azione politica, ma un comune amore per
la propria terra e per la gente
che ancora vi abita.
Sul tema della musica tradizionale occitana e della sua riproposta Anghilante, nell’incontro del 4 dicembre a Pomaretto,
ha rievocato le esperienze delle
valli del cuneese, i tentativi di
riprendere le vecchie canzoni e
le danze popolari, ma ha dovuto ammettere che le difficoltà
non mancano, sia perché si perde la capacità di suonare gli antichi strumenti — ghironda, violino — sia per l’insensibilità degli enti che dovrebbero sovvenzionare le iniziative.
Formare gli insegnanti di musica popolare, organizzare corsi
di occitano, pubblicare libri so
no obiettivi da perseguire, se si
vuole ancora mantenere in vita
la cultura locale, che desta comunque interesse anche per chi
abita altrove.
Boschero si è dimostrato più
ottimista, pur condividendo l’opinione che i contributi regionali siano elargiti con criteri di
parzialità, sostenendo che le
danze popolari vanno riprendendo quota presso i giovani e che
i suonatori non mancano.
Si è visto così che tutte le
vallate hanno più o meno gù
stessi problemi, è fondamentale
però che rimangano un ambiente dove si abita e si lavora e
non solo un grande palcoscenico dove si svolgono piacevoli
spettacoli che divertono i turisti, ma che in conclusione scorrono come l’acqua dei torrenti
senza lasciare alcuna traccia durevole.
L. V.
11
14 dicembre 1990
lettere 11
PLURALISMO DELLE
MAGGIORANZE
Da un po' di tempo a questa parte
i vescovi di varie diocesi, in occasione di visite pastorali alle parrocchie,
vanno anche a visitare e a benedire
gli alunni delle scuole di stato.
Ritengo che sia proprio il caso di
non far passare sotto silenzio queste
iniziative e di far sentire anche cosa,
in proposito, ne pensano le minoranze.
Non mi si venga a dire che accettare la visita di un vescovo in una
scuoia di stato sia una dimostrazione
di « spirito pluralistico », perché non
riesco a capire di quale pluralismo si
tratti...
Non è forse sufficiente alla chiesa
cattolica l’aver ottenuto ore di insegnamento di religione cattolica perfino
nelle scuole materne e di aver monopolizzato il tempo dei gruppi minoritari costringendo, da un lato, gli alunni
a rimanere nelle strutture scolastiche
e, dall’altro, gli insegnanti ad inventarsi nuovi (?n ed improbabili insegnamenti alternativi?
Dunque si tratta di un piuralismo a
senso unico e prepotente di chi, già
vittorioso, pretende una volta di più
di estendere il suo potere nelle scuole di stato!
Credevo che il dovere democratico
della maggioranza fosse quello di difendere il diritto delle minoranze ad
essere se stesse, e non proporre la
sua presenza, già evidente per il fatto stesso che è maggioranza.
Se di pluralismo si trattasse si dovrebbero accettare nelle scuole di stato tutti i culti presenti in Italia, compresi musulmani e testimoni di Geova (preciso che non appartengo a nessuna di queste due confessioni).
Ad ogni buon conto sarebbe sicuramente molto più pluralistico che ciascuna confessione religiosa adoperasse le proprie strutture (chiese, sinagoghe, moschee, parrocchie, oratori,
scuole domenicali, ecc.) per la propaganda religiosa e la cura delle anime
e non le scuole di stato che dovrebbero essere di tutti, atei compresi.
Susanna Angeieri, Arezzo
RITIRIAMOCI
DAL GOLFO
(...) Siamo ad una svolta nella crisi
del Golfo. Il 15 gennaio scadrà l’ultimatum per l’Iraq o sarà la guerra, con
tutto ciò che questo significa in vite
umane, in soldi, in sofferenze, in inquinamento atmosferico e così via.
Certo, ancora si parla di trattative
e l’altalena della borsa va su e giù a
seconda deil’umore della giornata. Le
mie previsioni non sono rosee e ho
paura che — per l’infantilismo dei
« grandi » e la loro incoscienza di
cui la storia è piena — possa accadere il peggio.
(...) Per fortuna, anche tra le nostre
chiese adesso c’è la paura e il documento più importante in questo senso ci viene dall’Assembiea battista, che
in un suo ordine del giorno sostiene:
« L’Assembiea deil’Unione cristiana evangelica battista d’Italia... rifiuta fermamente l’idea di una soluzione miiitare deiia crisi e, riaffermando il primato deiia politica, protesta contro l’invio di forze militari italiane nel Golfo poiché contrario allo spirito di pace della nostra Costituzione... ».
Vorrei che questa protesta si allargasse e venisse fatta propria da tutta
la FCEI.
Chiedo che i responsabili delle nostre chiese prendano accordi con il
clero cattolico, affinché vi sia un coro unanime da parte delia chiesa cristiana tutta.
il Governo e il Parlamento devono
sapere che l’italiano non vuole la
guerra, che questa guerra non potrà
servire a nessuno se non alle sole
multinazionali del petrolio, che questa
guerra porterebbe danni enormi in
ogni settore della vita.
10 lo griderei nelle piazze e nelle
città, ma io non sono nessuno e la
mia voce non ha alcuna autorità.
Ma un documento ufficiale della chiesa avrebbe autorità e farebbe riflettere maggiormente politici (anche se non
tutti) e gran parte deila popolazione,
ancora ignara e fiduciosa.
« Ritiriamo il nostro contingente dal
Golfo! ».
Potrà essere un segno anche per
altre nazioni non più convinte come
all’inizio. « Ritiriamo il nostro contingente dal Golfo! ».
Oltre a rimetterci in regola con la
Costituzione, ne guadagneremmo in denaro e anche in credibilità.
L’ONU sia un vero organismo internazionale, dove tutti gli aderenti sono
alla pari. Non sia una struttura agli
ordini di sole cinque nazioni nel mondo e soprattutto degli Stati Uniti, che
oggi può benissimo considerarsi la superpotenza, che ha messo in ginocchio
anche l’Unione Sovietica così travagliata dai suoi problemi interni.
■■ Ritiriamo ii nostro contingente dal
Golfo! ».
Fate — vi supplico — un documento in questo senso, cercate l’adesione
di quante più chiese possibile, fatelo
conoscere « nelle piazze e dall’alto delle mura » tramite tutti i mezzi a vostra disposizione.
11 Natale sia veramente l’occasione
per una riconciliazione e per una pre
delle valli valdesi
settimanale delle chiese valdesi e metodiste
Direttore: Giorgio Gardioi
Vicedirettore: Luciano Deodato
Redattori: Alberto Corsani, Adriano Longo, Piervaldo Rostan
Comitato editoriale: Paolo T, Angeieri, Mirella Argentieri Bein, Claudio
Bo, Franco Carri, Franco Chiarini, Rosanna Ciappa NittI, Gino Conte.
Piera Egidi, Emmanuele Paschetto, Roberto Peyrot, Sergio Ribet,
Mirella Scorsonelli
Segreteria: Angelo Actis
Amministrazione: Mitzi Menusan
Revisione editoriale: Stello Armand-Hugon, Mariella Taglierò
Spedizione: Loris Bertot
Stampa: Coop. Tipografica Subalpina - via Arnaud, 23 - 10066 Torre
Pellice - telefono 0121/61334
Registrazione n. 175 Tribunale di Pinerolo. Reap. F. Giampiccoli.
REDAZIONE e AMMINISTRAZIONE: via Pio V, 15 - 10125 Torino - telefono
011/655278, FAX 011/657542 — Redazione valli valdesi: via Repubblica, 6 - 10066 Torre Pellice - telefono 0121/932166.
V.
FONDO DI SOLIDARIETÀ’; c.c.p. n. 11234101 intestato a La Luce, via
Pio V. 15 - 10125 Torino
Amministrazione del fondo: Maria Luisa Barberis, Renato CoTsson, Roberto Peyrot
EDITORE: A.I.P. - via Pio V, 15 - 10125 Torino - c.c.p. 20936100
Consiglio di amministrazione: Costante Costantino (presidente), Paolo
Gay, Roberto Peyrot, Silvio ReveI, Franco Rivoira (membri)
Registro nazionale della stampa; n, 00961 voi. 10 foglio 481
Il n. 48/’90 è stato consegnato agli Uffici postali di Torino e a quelli delle
valli valdesi il 6 dicembre 1990.
Hanno collaborato a questo numero: Cinzia Vitali Carugati, Leonardo Casorio, Guglielmo Cruciti, Pietro Valdo Panascia, Luigi Marchetti, Ruggero
Marchetti, Roberto Peyrot, Teofilo Pons, Carmine Ruggieri.
sa di coscienza reale e non una vuota parola e un rito astratto!
Nino Gullotta, Pachino
IL CRISTIANESIMO
ORIENTALE
Nella collana « Grandi saggi » della
Oscar Mondadori è stato pubblicato
il libro di Nicholas Zernov II cristianesimo orientale.
Scritto in maniera divulgativa, ma
nello stesso tempo scientifica, il libro costituisce un valido sussidio a
chi volesse approfondire da un punto
di vista storico e teologico il cristianesimo orientale.
In Italia, per i tipi del Mulino, era
stata precedentemente pubblicata la
fondamentale opera di Endokimov
L'Ortodossia.
Ma essa si rivolgeva principalmente ad un pubblico specializzato.
L’autore, che è stato lettore onorario alla Scuola di studi slavi presso
l’Università di Londra, docente di cultura ortodossa orientale a Oxford, direttore del Catholicate College di Pathamamthitta dell’India meridionale e
professore di teologia ecumenica alla
Drew University negli Stati Uniti, dà
un’ampia informazione storica nei primi sette capitoli della storia dell’Ortodossia e negli ultimi quattro si sofferma sugli aspetti teologici.
Colpisce il profondo carattere ecumenico del libro: ■■ Oriente ed Occidente stanno oggi a fianco a fianco,
dando ciascuno il suo particolare contributo... Solo insieme essi possono risolvere i problemi dell’umanità contemporanea. Nessun sistema equilibrato di dottrina cristiana, nessuna azione efficace è possibile senza la reintegrazione della cristianità, li cristianesimo è una religione universale, e
nessuno dei singoli rami della comunità cristiana, per quanto potente, può
trasmettere ii suo messaggio in maniera convincente se si isola dal resto. Il settarismo è il peggior nemico
del progresso cristiano e l’antidoto è
la riconciliazione tra Oriente ed Occidente. La loro separazione fu la più
grande catastrofe della storia cristiana; la loro riunione promette di essere uno dei suoi maggiori trionfi ».
Lo sviluppo delle relazioni ecumeniche, il ruolo che in esso ha avuto
per quanto riguarda noi, chiese europee, l’Ortodossia deve spingerci ad
approfondire meglio ed a valorizzare
quanto di teologicamente importante
c’è neirOrtgdossia.
L’intervista che il patriarca Alessio
ha concesso a "Repubblica" ne è un
esempio.
La Facoltà di teologia non dovrebbe trascurare in questa visione ecumenica l’approfondimento storico e
teologico del cristianesimo orientale.
Parecchi anni fa Vinay, di felice memoria, nelle sue dispense sulla storia
della chiesa aveva fatto questo tentativo.
Perché non riprovare oggi, attuando
scambi teologici con ie chiese orientali?
Gianni Musella, Fresinone
A PROPOSITO DI
’’ANTISRAELISMO”
Caro direttore,
ho letto attentamente la reazione dei
firmatari dell’articoio comparso sul numero del 19 ottobre 1990 a proposito
di un programma televisivo diffuso da
’’Protestantesimo” e che da questi ultimi è stato definito come antisraelìano,
ma che per ragioni geografiche non
ho potuto seguire.
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Pur non avendo avuto questa opportunità, credo che alcune considerazioni debbano, in merito alla loro costernazione, essere fatte.
In primo luogo ritengo a dir poco
triste che nell’articelo summenzionato
non vi sia il benché minimo segno di
dolore, di mestizia per quanto concerne quella che può ormai rettamente essere definita come la tragedia del
popolo palestinese.
Ho dei colleghi che quasi mensilmente mi informano da Nazareth sulla situazione; dei soprusi, delle violenze che vengono commesse in quei
luoghi dall’esercito israeliano e son certo che non sono storie! E poi come
negare le evidenze, i morti giornalieri;
certamente questi ultimi non sono fatti di cartapesta — così come non lo
erano gli ebrei nei lager nazisti — messi lì per impressionare l’opinione pubblica! Qualcuno potrebbe sollevare il
problema del numero e dire: ma cosa è poi qualche migliaio di palestinesi di fronte ai milioni di ebrei
uccisi...?
Non credo che questo tipo dì considerazione aiuti cristianamente a cercare una soluzione alla luce della Parola di Dio. E non credo neppure che
evocare la questione della ricostituzione dello Stato d’Israele e identifire questo programma con la venuta 0 il ritorno del Messia aiuti veramente le cose, anzi, in questo leggo
una visione fendamentalista e letteralista deiia storia.
Il Dio di cui ci parla la Bibbia, infatti,
è colui che ci precede in ogni affermazione del diritto dei minimi, dei
senza voce, dei Davide che con <■ pietre » (perché senza altri mezzi, oltre
a quello della disperazione) rivendicano
il loro diritto ad esistere e ad autogestirsi.
Anche li versetto citato alla fine dell’articolo necessita a mio avviso di
una ulteriore indagine.
La potenza a cui fa riferimento il
versetto non è forse la Croce? Non
è forse il disarmo totale e unilaterale
di Gesù dinanzi all’ignominia dei potenti? La salvezza non concerne forse il recupero della dignità per ogni
essere umano? Se è così, perché allora non cercare il dialogo e lo shalom
biblico che sta per pace nella giustizia, anziché abbattimento di case, lesioni corporali gravi oltre che su adulti anche su bambini? Perché campi di
concentramento (perché di ciò si tratta) per un popolo, quello palestinese,
che paga le spese del senso di colpa
del mondo occidentale?
Più volte Israele viene esortato a
ricordare che era schiavo in Egitto. Non
sarà questa esortazione un invito a
non compiere sugli altri ciò per cui
era stato liberato?
Certe il giudeo prima e poi II greco;
ma per che cosa? Per testimoniare della misericordia e della grazia di Dio
nel mondo, non certamente per manifestare una forza brutale alla quale
Dio in Cristo ha rinunciato.
Lo stato d’Israele non è in questo
momento il fedele testimone a cui la
Bibbia fa riferimento, non credo quindi che vi sia deH’antisemitismo a ricordarglielo, anzi, pur neH’umiltà e nella consapevolezza che questo stato agisce in questi termini per il timore di
un nuovo olocausto, occorre dire: Israele, ciò che stai compiendo non ti è
lecito! La soluzione va cercata al tavolo del dialogo e nella ricerca del
rispetto delle reciproche identità, e
parlo di rispetto, non dì tolleranza; si
tollera difatti chi o cosa è difficile da
digerire, soprattutto quando chi o cosa è vicino dì casa.
Fraternamente.
Claudio Musto, Vicosoprano (Grigioni)
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Teatro
ANGROGNA — Alle ore 15 e alle
ore 21 di sabato 15 dicembre nella Sala unionista replica di « A la brua! »,
del Gruppo Teatro.
Concerti
VILLAR PELLICE — Sabato 22 dicembre, nel tempio, alle ore 20.45 la
Corale di Bobbio-Villar Pellice ed il
Gruppo flauti vai Pellice terranno una
serata di canti e musiche natalizie. Ingresso libero, colletta a favore di Casa Miramontì.
Programmi di Radio Beckwith
_________FM 91.200 ■ 102.350_________
Fra i programmi settimanali segnaliamo: Rendez-vous di martedì 18, ore
17 e mercoledì 19, ore 11.30, dedicato al problema alcoolismo, con interviste; lunedì 17, ore 9.30, e martedì
18, ore 15.30, viene presentata una trasmissione sui battisti, a cura del past.
Piero Bensì.
Cinema
TORRE PELLICE — Venerdì 14 dicembre, al Trento, inizio ore 21.15,
Enrico V.
POMARETTO — Alle ore 21 di venerdì 14 dicembre, all’Edelweiss, viene
posto in visione Voglio tornare a casa.
RINGRAZIAMENTO
« Il Signore dice: Le sofferenze
del passato saranno dimenticate,
svaniranno davanti ai miei occhi »
(Isaia 65: 16)
I familiari della cara
Elvira Sappé ved. Jahier
riconoscenti per la grande dimostrazione di stima e di affetto tributata
alla loro cara, ringraziano di cuore
tutti coloro che, con presenza, fiorì,
scritti e parole di conforto sono stati
loro vicini nella triste circostanza.
Un ringraziamento particolare al pastore Ruben Vinti, ai vicini di casa, al
medico curante dottor Broue, ai medici e personale dell’Ospedale valdese
di Pomaretto e dell’Ospedale civile di
Pinerolo, reparto chirurgia, ed alla
Croce verde di Porte.
Pramollo, 14 dicembre 1990.
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PRIVATO acquista mobili vecchi e antichi, oggetti vari. Tel. Pinerolo
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Notturna, prefestiva, festiva: presso Ospedale Valdese di Pomaretto - Tel. 81154.
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Ambulanza :
Croce Verde Perosa; Tel. 81.000.
Croce Verde Porte: Tel. 201454.
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(Distretto di Pinerolo)
Guardia medica :
Notturna, prefestiva, festiva; Telefono 2331 (Ospedale Civile).
Ambulanza :
Croce Verde Pinerolo: Tel. 22664.
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Guardia medica :
Notturna, prefestiva, festiva: Telefono 932433 (Ospedale Valdese).
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GRIBAUDO - Via Roma 7 - Telefono
909031.
Ambulanza ;
CRI Torre Pellice: Telefono 91.996.
Croce Verde Bricherasio: tei. 598790
SERVIZIO ATTIVO INFERMIERISTICO: ore 8-17, presso i distretti.
SERVIZIO ELIAMBULANZA, elicottero: tei. 116.
12
12 fede e cultura
14 dicembre 1990
LA MEMORIA VALDESE
TORINO
Fra oralità e scrittura Le domande
Un ampio lavoro di ricerca e raccolta di materiale, su cui si innesta una riflessione di tipo nuovo: quali ricordi formano l’identità?
Martedì 27 nov. è stato presentato a Torino il libro di Bruna Peyrot apparso quest’estate presso la
casa editrice Forni di Bologna b
Il suo titolo dice poco, anzi
è piuttosto enigmatico (La roccia dove Dio chiama) ma il sottitolo è molto esplicito: Viaggio nella memoria valdese fra
oralità e scrittura. La « memoria » è il ricordo che si ha di
qualcosa: si ricordano i fatti capitatici in passato, ma si ricordano anche fatti ed avvenimenti
di cui non si è stati protagonisti, che ci sono stati a loro volta tramandati e raccontati. La
memoria valdese è tutto ciò che
riguarda la vita della chiesa valdese e dei suoi membri e non
è senza interesse chiedersi che
cosa resta del passato nel ricordo
e nella fede dei credenti.
Ma si tratta solo di un primo
aspetto del problema. Non è infatti Sufficiente porre la domanda in termini quantitativi, chiedersi cioè quanto la gente valdese ricorda della sua storia.
E’ forse più interessante, ed
importante, chiedersi che cosa
ricorda e come ricorda. Ed è proprio a queste due domande, legate Luna all’altra, che il libro
cerca di rispondere.
Avvertiamo subito i lettori: il
saggio di Bruna Peyrot è in alcune parti molto semplice e discorsivo, in altre più complesso,
ma nel suo insieme va letto
con applicazione,
ta infatti di un primo, del primo, approccio di tipo nuovo e
di metodo nuovo al problema
della storia valdese. Finora si è
scritto di storia valdese, libri,
opuscoli, articoli, qui se ne parla non unicamente, ma soprattutto nel quadro di decine di
riunioni quartierali da Bobbio a
Frali, l’autrice parla della ricerca, interroga e lascia raccontare
e da queste ore di ricordi regi
strati e schedati viene il materiale su cui lavora.
Le conclusioni sono molto significative: la generazione che
parla alle riunioni ricorda parecchio ma specialmente del proprio passato vissuto nella chiesa. Della storia ricorda in particolare gli avvenimenti dell’epoca del Rimpatrio e di Gianavello, cioè il 1650-1690, del resto ha
una idea vaga che esprime con
la parola: persecuzione, il passato è il tempo delle persecuzioni.
Questo ricordo, questa memoria, è frutto di insegnamento,
lettura, studio, si è imparato al
catechismo sugli opuscoli e i libri e soprattutto nelle recite storiche in occasione del XVII febbraio.
Molto interessante è però la
parte del libro in cui la Peyrot
studia il collegamento fra la
« memoria » storica, cioè il ricordo degli avvenimenti della
storia e gli altri ricordi della
gente, in particolare quelli che
fanno parte del folclore e che un
tempo costituivano il tema di
tutti i racconti orali: storie di
fate, gnomi, tesori, posti miracolosi, ecc. I valdesi della zona
delle valli, come tutte le popolazioni contadine, hanno vissuto in
questo mondo di racconti leggendari ma hanno in qualche modo trasformato questo patrimonio, inserendolo nella loro storia.
Basti pensare alle grotte: non
più abitazione di fate ma rifugio nelle persecuzioni; i tesori:
tutti beni lasciati dagli esuli partiti dopo le persecuzioni; le feste, che occupano tanto posto nella cultura popolare, sono due feste ecclesiastiche-storiche: il 17
febbraio ed il 15 agosto, il falò
non ricorda una festa agraria e
riti propiziatori, ma l’Editto di
emancipazione.
Queste ’’revisioni” nostre mostrano quanto sia stimolante e
deireconomista
Una ricognizione nel pensiero di Claudio Napoleoni; il ruolo del politico e del sacro
La memoria storica valdese è estremamente legata alle persecuzioni.
Una stampa d’epoca relativa alle Pasque Piemontesi.
ricca di idee la ricerca della Peyrot. Vi è però un elemento implicito nel suo percorso, essenziale e su cui meriterà fare chiarezza: la memoria non è solo
un bagaglio che ci si porta appresso, una biblioteca che uno
riceve in eredità e poi lascia ai
figli, è una identità, uno è in
un certo modo secondo quello
che porta nei suoi ricordi. La
identità valdese, l’essere cioè credente riformato, evangelico ha
avuto sino alla generazione che
dà la sua testimonianza in questo libro una fortissima coscienza storica. Si era valdesi perché
si apparteneva ad una comunità di credenti che aveva vissuto nel tempo una vita di fedeltà evangelica. L’identità è stata
data sino alla generazione dell’anteguerra dal riferimento alla fede evangelica vissuta in un
contesto di « memoria ». Questa
situazione è oggi in forte crisi
e lo abbiamo visto in occasione
delle manifestazioni del centenario del Rimpatrio. E’ evidente
che sia l’ecumenismo in tutte le
sue espressioni, interevangelico
o interconfessionale, l’impegno
sociale e recenti espressioni del
pensiero teologico conducono ad
una cancellazione, come superflua e arretrata, dell’identità storica.
Sarà bene chiederci perché è
avvenuto questo, se è un passo
irreversibile, se la nostra testimonianza ne ha tratto e trae vantaggio. Il libro di Bruna Peyrot
ci può aiutare a porre il problema.
Giorgio Tourn
' Bruna PEYROT, La roccia dove Dio
chiama. Viaggio nella memoria valdese
tra oralità e scrittura, Bologna, Forni,
1990, L. 45.000.
« Posto che la società contemporanea culmina nella società
opulenta (meglio detta, dopo,
società tecnologica, o meglio ancora, società della secolarizzazione), è possibile un’uscita da essa
per via puramente politica? ». Ci
sono molti modi per cercare di rispondere all’inquietante interrogativo posto nelle sue ultime settimane di vita da Claudio Napoleoni, celebre economista di « estrazione » marxista. Un modo
schiettamente umano, uno economico, uno appunto politico. Il
Centro evangelico di cultura « A.
Pascal » non ne ha voluto aprioristicamente escludere alcuno,
chiamando a parlare sull’argomento Raniero La Valle, parla” mentare e amico di Napoleoni, e
Riccardo Bellofiore, suo discepolo.
L’interrogativo, di per sé coinvolgente, acquista suggestione se
s’- considera che è stato formulato da Napoleoni al termine di
una vita passata a studiare II capitale, come economista, e la praticabilità di una soluzione politica in senso rigoroso, come militante di sinistra e deputato. Si
tratta, come qualcuno ha suggerito, solo di un ripensamento dell’ultima ora? Sarebbe riduttivo e
superficiale liquidare l’intera questione in questo modo. Napoleoni sapeva di avere i giorni contati, era affetto da, un tumore maligno, ma ha ragionato e scritto
con la piena e convinta consapevolezza della « provocazione » e
dello « scandalo » che questi suoi
dubbi e incertezze avrebbero scatenato.
Claudio Napoleoni era un uomo
ricco di interessi e curiosità. Eco
UN’INDAGINE SCONVOLGENTE
Segreti di famiglia
Gli autori « si addentrano tra
le mura domestiche con la curiosità scientifica e la circospezione di chi sa che sta entrando in stanze inesplorate e gelosamente tenute segrete ».
Si tratta di un drammatico libro-denuncia sulla piaga dell’incesto, in Italia, che raccoglie
l’esperienza di un pool di psicologi, psicoterapeuti, magistrati,
criminologi ed assistenti sociali '.
« L’idea di questo volume ha
direttamente origine dall’esperienza di lavoro dell’équipe del
CBM, una società cooperativa di
specialisti, fondata a Milano nel
1984, con Ib scopo di intervenire sulle situazioni di maltrattamento di bambini all’interno della famiglia. Il lavoro del CBM
(Centro per il bambino maltrattato e la cura della crisi familiare) si colloca all’interno del
movimento internazionale per
la protezione dell’infanzia ». Il
Centro, grazie alla sua attività,
costituisce un luogo di documentazione sul maltrattamento ed
un laboratorio permanente di riflessione sui principali problemi
dell’intervento sulle situazioni di
violenza intrafamiliare.
Il fenomeno attraversa orizzontalmente le classi sociali e
la sua diffusione è ormai talmente allarmante che più della
metà dei 410 esperti di abuso
sull’infanzia, riuniti in settembre ad Amburgo per un congresso intemazionale, ha presentato relazioni proprio sul tejma
dell’incesto.
In molti Paesi occidentali, spe
cie in USA, le indagini in proposito sono ormai numerose e
gli studi sono così avanzati da
permettere una buona conoscenza del fenomeno (l’età della vittima si aggira sugli 8, 12 anni;
in più del 90% dei casi l’aggressore è il padre; il fenomeno raramente ha luogo una sola volta). La letteratura specialistica
straniera è ricca di dati allarmanti sulla diffusione del fenomeno, oggi, nella famiglia moderna. « In Italia la generale povertà di ricerche epidemiologiche sull’abuso dell’infanzia non
fa eccezione per ciò che riguarda l’abuso sessuale sui minori
e l’incesto ». Ma ciò, assieme alle carenze nella preparazione dei
ginecologi ed alla impreparazione ed alle resistenze psicologiche degli operatori sanitari di base e degli insegnanti, crea
una barriera tanto spessa da respingere le richieste d’aiuto.
Significativo il fitolo: ’’Segreti
di famiglia”. L’incesto inso¡mma,
come segreto che deve restare
nascosto per non danneggiare il
sacro totem della famiglia.
Il volume si articola in tre
parti ed i vari contributi affrontano in successione i diversi nodi problematici, giuridici e psicologici che caratterizzano le
singole fasi del processo di intervento.
Nella prima parte viene presentata una descrizione generale delle caratteristiche dell’abuso sessuale intrafamiliare, poi
dei confini stabiliti dalla legge,
entro i quali deve collocarsi l’intervento delle istituzioni.
La seconda parte tratta delle
complesse tematiche che riguardano l’avvio del processo di intervento: la rilevazione medica,
psicologica e sociale dell’abuso
sessuale all’interno della famiglia, contemporaneamente l’attivazione della magistratura e penale e minorile, le difficoltà specifiche del lavoro di protezione
della vittima.
La terza parte, dopo una loro
presentazione, discute degli aspetti più strettamente clinici
del trattamento: il ruolo svolto
dai vari protagonisti, le dinamiche ijsicologiche della famiglia
incestuosa, le conseguenze psicologiche delia mancata rilevazione doil’abuso sessuale, la recuperabilità della famiglia incestuosa.
Da sottolineare che i contributi e le considerazioni fatti nel
volume si riferiscono particolarmente alle situazioni di incesto
padre-figlia. Gli altri tipi di incesto sono meno osservati e meno studiati. Ma ciò è dovuto al
fatto che gli autori hanno deciso di circoscrivere la trattazione solo a ciò che fosse loro noto attraverso l’esperienza professionale diretta.
Il libro non può mancare nella biblioteca privata del magistrato, dell’avvocato, dello psicologo, dell’assistente sociale, del
politico, dell’insegnante, del medico e del pastore.
Fernando lachini
' M. MALACREA-A. VASSALLI (a cura di), Segreti di famiglia, Milano, ed.
Raffaello Cortina, pp. 347, L. 39.000.
nomista autodidatta senza laurea,
divenne negli anni ’60 uno dei più
autorevoli e ascoltati studiosi
italiani di economia, autore del
celebre Dizionario di economia
politica. Un uomo a cui alla fine
della vita non tornano più i conti, non bastano più i numeri e le
ideologie e che si pone la domanda: « Può bastare, per uscire da
questa società, la via puramente
politica? ».
Dopo aver criticato il tentativo
di Franco Rodano di organizzare
una risposta affermativa, conclude con un altro, più inquietante
interrogativo: « Rimane aperta
sia la possibilità dì un’altra risposta affermativa, sia la possibilità
di una risposta negativa. Quest’ullima non è stata già formulata '
da Heidegger nella sua semenza
’’ormai solo un Dio ci può salvare?” ». E che Napoleoni si riferisse al Dio biblico della tradizione
cristiana è fuori discussione se
egli stesso, in altri scritti, dialoga sull’eucarestia e discute a iun
go sulle tesi di san Tommaso.
Perché questo cambiamento così radicale? Quale significato dare
alle domande e alle « provocazioni di Napoleoni? La Valle e Bellofiore, i due oratori intervenuti,
hanno fornito spiegazioni divergenti.
Il primo ha sottolineato la progressiva disaffezione maturata da
Napoleoni nei confronti della soluzione marxista all’alienazione
della classe proletaria e soprattutto l’ostilità piena nei confronti delle società del « socialismo reale », ree di aver riprodotto il dominio autoritario senza
nemmeno aver cercato la liberazione dall’economia politica. Eppure c’è qualcosa nell’uomo (Napoleoni parlava di « elemento residuale ») che non può essere
spiegato con l’economia né con
la politica.
E’ dunque necessaria la via religiosa per uscire dalla nrigionia di
questa « società opulenta »? Quel
che è certo, ha concluso La Valle,
è che Napoleoni voleva un rinnovamento totale che prescindesse
dalla mera politica, che mirasse
piuttosto a una rivalutazione delle potenzialità umane e spirituali.
A quel punto il confine tra sacro
e politica è, probabilmente, varcato.
Riccardo Bellofiore, discepolo
di Napoleoni, ha dissentito serenamente da questi per quanto riguarda gli ultimi esiti del suo
pensiero. In sostanza Bellofiore
ha ricordato che le inquietudini
di Napoleoni sono e restano interrogativi e non conclusioni. Comunque si trascura in esse l’importanza e la centralità assoluta
dell’uomo, «(...) perché la dimostrazione della necessità di un intervento trascendente non può
che essere dedotta dal nostro
pensiero e dalla nostra esperienza
storica ed è dunque, contro le intenzioni, radicalmente immanente ».
Insomma non è possibile uscire dal capitale per vie che non
siano puramente politiche.
Napoleoni sapeva bene quali
fossero le priorità e le esigenze
che assillano il mondo attuale (ripartizione tra tempo di lavoro e
riposo, superamento della struttura industriale impostata sul;
la moltiplicazione all’infinito de'
consumi, questione ecologica come vincolo alla produzione capitalistica), semplicemente all’ultimo disperava che vi si potesse
dare soluzione politica o economica e credette di intuirne una
più radicale e definitiva. La sua è
stata solo tardiva utopia?
Michele Vellano