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Roma, 27 Norembre 1909
Si pobbliea ogni Sabato
ANNO li - N, 48
Propugna grinteressi sociali» morali e religiosi in Italia
ABBONAMENTI
Italia : Anno L. 3,00 — Semestre h. 1,50
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L’ASCENSION’ÜN’ANIMA j
Di Alfredo Oriani un Amico scriveva giorni sono
nel « Giornale d’Italia » le parole seguenti, che riportiamo con vera compiacenza:
« A malgrado della leggenda di satanismo che si |era
formata intorno al nome di lui, palpitava nella sua arte
una grande anima di bontà. La ribeliione filosofica, la
negazione romanticamente blasfematoria, il pessimismo
integrale dei primi libri si andò a poco a poco sere
nando in un’ampia vi.sione metafisica che di tutto
deva ragione, anche del dolore, e che riconosceva a
nel dolore la suprema nobiltà della vita. Ed egli
rivò cosi alla « Kivolta ideale », chiara epifania d
nuovo idealismo italico, la quale fu l’ultimo e forse il
più alto e ampio volo della mente di lui. A chi detta
queste righe frettolose, poco tempo dopo la pubblicazione di quel libro, l’Oriani domandò un giorno:! —
Hai scoperto il terribile difetto di « Eivolta? ». Io
gli accennai due o tre sproporzioni o lacune nella còmposizione del volume. Egli scrollò sdegnoso le spalle :
— No, no ! Pensaci... Qualcuno, qualche cosa che non
vi è nominato... — Eiflettei un minuto, indovinai ; —
Il Dio cristiano. — L’Oriani annui, triste. Poi soggiunse : — Ma vi è sottinteso, dalla prima pagina alriiltima.
E nel cospetto della morte egli confessò francamente la fede che gli era risorta a grado a grado nell’anima.
Il prete, che gli aveva amministrato i sacramenti,
lo esortò a offrire a Dìo le sofferenze procacciategli dal
l’indifferenza e dall’ingratitudine del pubblico. L’Orjaui
rispose con sublime modestia : — Innanzi a Dio, ora,
non vi sono qhe i miei peccati.
E spirò. Ma prima di lui, era morto il suo sovrumano orgoglio ».
Se questo cenno è tutto esatto (e non vogUamp dubitarne) eccovi una vera ascensione d’anima. Sono rare
le conversioni come queste nel... mondo, perchè nel
mondo le anime « oneste e buone » sono poche. Per
sollevarsi fino a Dio, occorre una coscienza retta e ùn
bisogno incalzante di vita santa. Se il materialista ¡tira
innanzi imperturbabile per la sua via, non è perchè sia
più dotto di tanti credenti nè di tanti spiritualisti^ ma
è perchè sente meno vivamente di quelli il bisogno di
salire continuamente verso la luce fulgidissima dell’ideale morale. i
Poiché le anime sitibonde d’ideale morale sempre; più
alto sono poche in questo povero mondo, tanto più ci
allieta rincontro insperato che facciamo di tanto in
tanto in qualcheduna di esse.
L’Oriani fu certo una di queste anime, e noi con gioia
pari a quella dello scrittore che ha parlato di lui nelle
colonne del « Giornale d’Italia », salutiamo neU’Oiiianì
testé rapito alla patria tanto povera ancora di coscienze
candide che s’aprino al bacio della Verità, salutiùmo
l’uomo dei nobili istinti, delle sincere e sublimi aspensioni, l’eroe delle vette spirituali circonfuse dal Isole
divino.
Ogni uomo dovrebbe e potrebbe essere per lo meno
un Oriani. Dico questo prescindendo naturalmente da
la coltura; che certo non tutti sono in grado di apquistare una coltura simile a quella deU’illustre defunto*
La coltura (che è ottima cosa in sè, e utile per il bene
dei nostri fratelli) non è però indispensabile — checché
ne pensi Enrico Ferri — a sollevare gli uomini sopra
il fango comune ; la coltura anzi non sempre inalza.
E’ cosa certa, in ogni modo, e sperimentalmente dimostrabile che anime d’operai, di villici si possano senza
scrupolo mettere a paro, per elevatezza di sentimenti,
per candore d’entusiasmo, per squisitezza delicata di
bontà con le anime di sacerdoti consacrati della scienza
e delle lettere. Ci siamo, su la nostra via, talora imbattuti in cuori d’operai, che non daremmo, no di sicuro,
in cambio di altri cuori nè alla d’Annunzio, nè alla
Carducci, e neppure alla Lombroso. L’aristocrazia morale talora ha le mani callose e non saprebbe scrivere
una lettera seuz’infiorarla ad ogni frase di qualche sfarfalloncino esilarante.
Facciamoci un altro concetto delle altezze spirituali,
ve ne prego ; e pigliamo l’abitudine di discernere il
bene ove si trovi per davvero, « senza riguardo alla
qualità delle persone ».
La coltura è in tanti mai casi un vero ostacolo alle
ascensioni spirituali ; ed è, per questa considerazione
appunto, che mi sento commovere innanzi alla bella
figura dell’Oriani, e anche un po’ innanzi a quella dell’Amico e Fratello di pensiero e di sentimento, che ne
ha scritto affettuosamente nel « Giornale d’Italia ».
Che peccato tuttavia che l’ascensione dell’Oriani non
sia avvenuta prima e più rapida ! Oh voi giovani che
siete ancora in tempo, aprite la mente e soprattutto
il cuore allo Spirito di Dio che aleggia su ogni anima
per fecondarla santamente 1 e salite presto, cou l’entusiasmo dei vostri vent’anni, verso le vette più eccelse
d’onde vi apparirà più bella e più solenne la vita, che
è una missione, un sacerdozio d’amore nella santità e
nella giustizia sublimate nell’uomo e praticamente professate dal Cristo I
Nessun ideale, nessun dio è pari all’Iddio cristiano,
all’Iddio nostro, solo vivente e vero ; di cui ogni creatura umana può sentire il palpito del cuore, appoggiando il capo sul petto di Gesù Cristo, che vive unito
al Padre, come il ramo alla pianta, profondendo d’intorno a sè i frutti della santità e dell’amore nutriti
da una linfa che non può essere altro che linfa divina. La vostra vita deve divenir una... « rivolta
ideale », e « una chiara epifania d’nu nuovo idealismo
italico », in cui Dio si abbia almeno a « sottintendere », in cui l’azione di Dio si possa almeno indovinare 0 intravvedere.
Quanto grandi e quanto potenti riescireste allora 1
Povero prete ! Lui, chiamato ad « assistere » l’Oriani
al gran passo, sarebbe certamente stato men pronto
deirOriani ad andarsene... « Offrire a Dio le sofferenze
procacciateci dall’indifferenza e dall’ingratitudine del
pubblieoi ». Oh, si sarebbe potuto dire più ridicola
sciocchezza innanzi a un letto di morte ? Non abbìam
nulla da offrire a Dio, salvo « i nostri peccati », come
splendidamente osservò il morente ; i nostri peccati, e
non i nostri supposti meriti da nevrastenici affetti da
una più 0 meno grave mania di persecuzione. Sicuro,
il pubblico ci è indifferente e ingrato; ma anche noi
siamo indifferenti e ingrati verso i nostri Fratelli ; e
che ci ha a che far questo peccato altrui, che è un
peccato anche mio, quand’io mi trovi in procinto di presentarmi all’Iddio giusto e santo?
Povero prete 1 tu non bai capito un ette nelle pro
fonde verità evangeliche, che sono verità sperimentali
e sperimentabili, specie innanzi alla morte.
No, muoia il « nostro » orgoglio ; che non chiamerei
« sovrumano » però, poiché purtroppo è semplicemente
umano. E sollevandoci su l’ali della fede — la quale,
intensificandosi, si converte in visione, e in visione
sempre più limpida — come Alfredo Oriani, compiamo
noi pure con passo risoluto la nostra ascensione, riguardando al Cristo, che è asceso prima di noi, senza
labe ; al Cristo, « via, verità e vita 1 ».
In Vaticano
Ripensando sempre^...
Il 16 corr. si compivano 25 anni da che nn umile
canonico di Treviso, Giuseppe Sarto, ascendeva la
cattedra episcopale di Mantova. Quel canonico è ora
Pio X, Taugusto prigioniero del cerimoniale vaticanesco e il servo della corte pontificia. Per suo espresso
desiderio il fausto avvenimento fu celebrato modestamente senza ricevimenti del corpo diplomatico, nè
udienza collettiva del sacro collegio, e senza quel
fasto di superba mondanità, che è pure l’ambizione
degli azzimati monsignori e degli abatini che conoscono le ampie scale e i lanti stipendi dei sacri
palazzi apostolici, ma che cosi duramente contrasta
con la semplicità e Pansterezza del Vangelo di Gesù.
Ed oh ! potesse sempre cosi l’antico vescovo di
Mantova nostra seguire liberamente, spontaneamente,
senza ritualismi ed imposizioni, i desideri! buoni del
suo cuore nobilissimo, educato a l’amore di quel
povero popolo che oggi è fiero di averlo veduto
crescere tra le proprie file ! Ma disgraziatamente non
sa imporre la propria volontà a quell’ entourage
farisaico che ha terminato per eclissare quella aureola di sincerità che il Pontefice buono portava dalla
sua Venezia neU’eterna città dei sette còlli — la gloriosa capitale dell’Italia una e libera, forte ed emancipata, con il valore e con il sangue di mille prodi,
dal regime teocratico. Sotto l’immensa cupola lanciata fra le nuvole dal genio potente di Michelangelo, si agita e freme un mondo nero, che ha scavato attorno a Pio X quel vuoto che tutte le coscienze oneste e leali lamentano, e quelPisolamento
funesto che rende, fatalmente, l’azione di lui spesso
inefficace, perchè costretto a prendere atteggiamenti
incoerenti, contraddittori!, fatti di inqualificabili aberrazioni. Cosi il mondo nero, il piccolo mondo nero
moderno, ai più ancora ignoto, trionfa ai danni della
giustizia, mentre Pio X rinchiuso nelle sue stanze
e nei suoi giardini, si limita solo a firmare decreti
per forse rimangiarseli allegramente o mestamente
di poi.
Che cosa dirà la storia del pontificato di Pio X ?
Lo ignoriamo : ma dovrà pronunciare una parola —
come la pronuncierà senza dubbio — e quella parola
suonerà condanna a Ini medesimo, perchè non ebbe
a forza e l’energia di reggere una grande parte
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LA LUCE
della cristianità con larghi criterii ispirati da fermo
carattere.
Io non posso dare consigli a un Pio X, ma se
un giorno io potessi trovarmi in Vaticano, ai suoi
piedi, anche per brevissimi istanti, avrei la forza
morale di dire : « 0 Padre di molti credenti nel
Salvatore divino, nscite alla luce del sole, all’aria
libera di Roma : osservate con i vostri occhi medesimi tutti coloro che vivono alle vostre spalle, sulla
cieca fede di 250 milioni di credenti : come vivono,
come praticano il Vangelo, la legge dell’amore ? Con
quali sentimenti cooperano essi alla vostra azione,
ai vostri desiderii grandi di pace e di conciliazione ?
Rendetevi conto esatto di quanti vi circondano, o
bianco Pastore, e sappiate agire, fortemente agire
sopra quel vostro entourage che vi serve egoisticaa
mente, farisaicamente per avere da Voi una mitra o una
croce episcopale o uno straccio di porpora, di quelli
porpora che un di brillò — clamide irrisoria — sugli
omeri divini di Gesù davanti ai tribunali corrotti di
Gerusalemme : osservate come l’obolo di S. Pietro —
sangue e sudore dei poveri cattolici, munifica elargi
zione di facoltosi aristocratici ancora credenti nel Cristo
— vada miseramente sperperato in cose frivole spesso 1 0 Pastore del gregge di Cristo, allontanate con
mano di ferro dal mistico ovile cristiano tutti i lupi
rapaci » I Cosi il cattolicismo romano, solo cosi, si
rifarebbe cristiano nel vero senso della parola, ritornerebbe alle grandi e santissime idealità del Vangelo, e il Vaticano, non sarebbe più il superbo palazzo del piccolo mondo nero moderno, ma l’umile
casa di Dio, abitata da sacerdoti di Cristo veramente
evangelici.
Mantova E. D’ilvezzo
IMPORTANZA DEL MOYIMENTO EVANGELICO
IN ITALIA o>
Numericamente e stando all’apparenza, tale importanza è molto piccola. « La Chiesa cattolica è ai
giorno d’oggi assolutamente suprema in Italia ». Che
sono poche migliaia di evangèlici in uiia"popolazione
df 33 SÌliè^i ?'“L’ÌteliSSn)diirdiÌ^^^
con sospetto tutto ciò che sa di protestante e lo
ritiene come roba di contrabbando." Per indole e per
atavismo, non intende la spirituaÌitT^ù profonda
della religione evangelica e prova avversione pel
suo culto più semplice ma più freddo e più disadorno
del cattolico romano. In Italia si è papisti, indifferenti, atei e magari liberi credenti ma non evangelici; monti di pregiudizi, di ignoranza, di idee
errate e di riguardi mondani impediscono di sentirsi
e dichiararsi tali. La mentalità di nostra gente sembra incompatibile con l’evangelismo. Lo si vede nei
risultati pratici e lo si sente anche nelle persone
più imparziali e spregiudicate. Quando non c'è il
disprezzo o il lieve sorriso di compatimento^ c’è la
fredda deferenza e il sussiego più o meno rispettoso,
ma manca la simpatia, la cordialità.
I nostri studiosi più eminenti di quistioni religiose, come il Labanca e il Mariano, pur dolendosi
che l’Italia non abbia avuto anch’essa la sua riforma
religiosa, come i paesi del nord di Europa, e addimostrando simpatia per quel protestantesimo di cui
sono in gran parte figli spirituali, hanno cura però
di marcare il loro distacco da esso, perchè sono
persuasi che quella non è la forma di culto che si
addica all’Italia. Il prof. Labanca è convinto che dal
contrasto fra le varie confessioni evangeliche e « la
Grande Confessione » debba venirne bene anziché
male, quantunque la loro opera aggressiva « non disturbi in modo percettibile la pace della Chiesa cattolica, perchè non rappresentano nell’ora attuale che
«na insignificante minoranza ; » ma, soggiunge egli,
« non si supponga che io desideri schierarmi dalla
parte del protestantesimo. «Ilmio attuale tentativo
e le mie classi in Roma, non hanno in nissun modo
(1) The study o£ Religión in thè Italian Universitiea — by Louis Henry Jordan — in collaboration
with Baldassare Labanca. Henry Frewde Oxford, University Press 1909.
un carattere confessionale ». E non potrebbe, osserviamo noi, essere altrimenti.
In quanto al modernismo, che tante speranze e
tanto entusiasmo aveva destato in certi circoli evangelici, esso ci è avverso quanto lo siano i fanatici
cattolici romani. Del protestantesimo esso ha in parte
la mentalità e segue i metodi ; ma, non conoscendolo
bene e vedendolo ancora attraverso le affumicate
lenti clericali, lo avversa e si protesta, ipocritamente
0 con irriducibile contraddizione, cattolico apostolico
romano. « Noi siamo cattolici romani per incrollabile cpnvinzione », diceva padre Tyrrel. « Noi consideriamo il cattolicismo romano come la più completa realizzazione del Cristianesimo », leggesi nell’opuscolo « Quello che vogliamo ; » e Marcello
Hébert ha dichiarato che « giorno verrà in cui anche il cattolicismo farà il suo atto di protestantesimo, e allora sarà la fine del protestantesimo ».
Il Rev. Jordan, che ha studiato quel movimento
a fondo, dice : € il modernismo è coscientemente in
guerra con il protestantesimo. Si ribella contro certe
caratteristiche del cattolicismo, ma avversa il protestantesimo dieci volte più. Più e più volte si è
preso la briga di mettere codesto fatto perfettamente
in chiaro ».
Non è dunque il caso di fare moine ai modernisti,
nè di aspettare aiuti o nuovi contingenti da quella
parte, nè di architettare progetti di un’ opera comune. Anzi il Jordan dice espressamente, e a quanto
pare con conoscenza di causa, che « l’errato tentativo di promuovere ora una crociata protestante in
Italia » avrebbe per effetto di « stringere rapidamente le file disordinate e di unirle in compatta
falange ». < I prof. Mariano e Labanca », soggiunge
egli, « per quanta simpatia nutrano verso molto di
quello che i protestanti predicano, respingerebbero
immediatamente e si opporrebbero a qualunque progetto simile ».
Dunque la crociata che le varie chiese evangeliche conducono da qnarant’anni in Italia non conta
per il nostro autore, è una « quantità trascurabile ? »
E’ veramente un po’ troppo poco e ci pare che codesta stima di un'opera che pure ha segnato la sua
impronta e ha dato i suoi frutti, per quanto materialmente poco palesi, non corrisponda alla realtà.
Infatti, se la libertà di coscienza e di propaganda
è entrata nella nostra legislazione e nei nostri costumi ; se l’interesse per lo studio delle quistioni
religiose, fatto con maggior indipendenza e con metodi moderni più razionali, si è ridestato anche in
Italia ; se clero e laicato cattolici sono oggi, come
mai in passato, agitati da un senso di irrequietezza
e di ribellione contro un giogo teocratico iniquo e
se aspirano a forme di pietà e di culto più semplici
e pure; se persino il Vaticano si è scosso e ha sentito il bisogno di dare una parvenza di studi biblici
e di diffusione della parola di Dio fra il popolo ad
imitazione delle chiese protestanti, non lo si deve
forse in buona parte all'influsso o all’esempio venuti
dall’estero e dall’interno, per quanto qui fossero limitati ? Quelle quistioni, gli evangelici, compresi
quelli d’Italia, le hanno sempre tenute vive, le hanno
agitate e, insieme coi loro metodi e i loro sistemi,
le hanno fatte penetrare in modo talora inconscio
nell’opinione pubblica, determinando così una nuova
mentalità in una parte del popolo italiano medievalista per abito e per tradizione, Non trascurabile è
dunque stata idealmente l’influenza esercitata dalla
« insignificante minoranza » sopra il nostro popolo,
per quanto « ligio al cattolicismo » esso possa essere
ancora.
Maggiore probabilità di rapido accrescimento « sotto
’impul so delle attuali circostanze » avrebbe la chiesa
Valdese, della quale il Jordan traccia in una nota
un quadretto molto benevolo e lusinghiero, già riprodotto in questo giornale. Ma essa pure ha il difetto di essere troppo apertamente protestante. Per
tanto, vani riescono i suoi appelli al c perfetto modernista ; » le sue reclute, « per ora almeno, devono
continuare a venire da tutt’altra parte ». Donde si
vede che se non c’è nulla da sperare dal movimento
modernistico, c’è però una parte del nostro popolo
che è accessibile al Vangelo, anche se presentato
in veste protestantica ; e di questo per ora ci accontentiamo.
Donde adunque ci verrà la sospirata riforma, più
vasta e più accetta agl’italiani di quella che hanno
tentato gli evangelici ? Non dal popolo, * ostinato
nella sua fede religiosa », nè dal papato, « irremovibile ne’ suoi propositi », ci dice il prof. Labanca,
ma et da un movimento organizzato da uomini di
competente cultura religiosa e di onesto sentire,
siano essi laici o preti ». Codesto movimento non
dovrebbe essere altro che la continuazione e il perfezionamento dell’ opera rimasta incompiuta dei nostri gloriosi riformatori italiani. Ottimamente. Su
codesta base, non ci possiamo noi incontrare e edificare insieme ? Pertanto, pur lavorando attualmente
con metodi alquanto diversi ma miranti al medesimo
fine, ci associamo loto corde alla speranza augurale
del prof. Labanca : « Se aspettiamo con pazienza,
avverrà certamente che, dalla scintilla gittata da
quegli uomini in mezzo a pochi giovani studiosi,
una grande conflagrazione si accenderà ancora nelle
città e fra il popolo in generale ».
Envieo Rii/oire
Col 30 corrente
cesserà la spedizione della
LUCE a chi non ci abbia pa^
gaio Tabbonamento di L. 3 per
I l’anno 1909.
Pubblicazioni cattoliche romane in Germania
Una libreria catt. rom. della Germania mi fa la gentilezza di mandarmi, ogni tanto, il suo catalogo, del
che le sono grato.
L’ultimo, testé ricevuto, contiene quasi esclusivamete
l’elenco di prediche ed omelie classificate secondo le
materie che sono niente meno che 52. Non oscureremo
le colonne dalla Luce col farne reuumerazione. Alcune
però dobbiam citarle : Prediche relative alle « Indulgenze » Prediche antropologiche. Prediche per le
anime del Purgatorio, Prediche cristologiche. Prediche
morali. Prediche sulla Vergine Maria, Prediche per le
feste patronali. Prediche sul rosario ecc.. Gli autori
sono i più celebri oratori ecclesiastici da S. Giovanni
Grisostomo, Tomaso, d’Aquino, Bertoldo di Regensburg
a Padre Segneri, Bourdaloue, Fénelon, Alfonso dei Liguori sino al principe Max di Sassoma, attualmente
Professore aU’Università di Friburgo. Una cosa ci colpisce in quell’elenco di autori ecclesiastici, ad eccezione
delle traduzioni di Segneri e Bourdaloue non c’è quasi
nessun gesuita.
Un’altra che ci rallegra é questa il gran numero di
discorsi 0 meditazioni sulla passione del N. S. G. C.
0 sulle sette parole.
Oltre airOmiletica vengon raccomandati vari altri
libri che possono interessare anche i cristiani evangelici p. es. Tommaso daKempis: Dell’Imitazione di G. C.
Doti. W. Capitaine : Gesù di Nazaret. J. Mtlllendorf.
La fede nel risuscitato.
Segno evidente che esiste anche in seno alla chiesa
romana un pubblico che non s’accontenta di leggende
ma ha bisogno di trovar « verace fondamento. »
D’altra parte però siamo stupiti di vedere in che
conto vien tenuto Alfonso Marca de’ Lignori le cui opere
tradotte in tesdesco fanno tre volumi vendibili ciascuno al prezzo di 8 Marchi, lire ital : 10, e vengono
raccomandate ai preti ai predicatori ed ai confessori.
Noi, a dir vero, non abbiam letto altro che dei brani
delle opere del famoso fondatore dei Redentoristi « o
Lignoriani » (l) ma quel tanto ci basta per dare una idea
assai chiara delle sue massime morali non sempre molto
morali.
Comunque sia è sempre interessante di vedere quanta
attività la chiesa romana esplica in Germania e quanto
il diapason dell’interesse religioso sia in quel paesa
superiore a quello che regola il papismo italiano.
(1) Alfonso Maria dei Lignori nato a Napoli il 27 settembre 1696, morto in San Michele dei Pagani il !•
agosto 1787, fu dapprima avvocato, ma avendo perduto, un processo si fece prete, fondò la Confraternità del^ Santissimo Salvatore, chiamati anche Redentoristi o Liguoriani. Spiegò un’ attività sorprendente in tutto il regno di Napoli, fu proclamato santo
da Gregorio XVI e « dottore » della chJesa da Pio
IX ch’era state a venerare le sue reliquie, questo è
importante a sapersi per la polemica.
3
LA LUCE
profili di riformati ifalian
Àntonio Rlzzetto
Compagno, nella testimonianza della fede, del
Glerlandi e di Francesco della Sega fa Antonio Rizzetti, un umile pur Ini, ma quanto grande nel suo
apostolato e nel martirio l ^
Era nato a Vicenza. Conobbe ben presto il Yan.
gelo : ma avendo accompagnato il della Sega nel
ritorno in patria dalla Moravia fu con lui arrestato a
Capodistria, mentre stava per salpare alla volta di
Trieste. In carcere, non ostante la dolorosa separazione dai suoi cari e dai suoi confratelli nella fede,
non vacillò un solo istante. E sempre rispose con
fermezza alle varie e insistenti domande degli inquisitori, riguardo alla fede e riguardo ad altre informazioni che potevono compromettere persone a lui
care. Uno di quelli, avendolo visitato in carcere, lo
giudicò « ignorante, duro, senza ragione ». E due
anni dopo era pur stato trovato «i duro, ostinato,
impenitente ».
Per ismuoverlo tentarono tutti i mezzi ; persino
ricorsero al figlio dodicenne onde lo scongiurasse a
non lasciarlo orfano. Si può ben immaginare quanto
riuscisse pietoso queU’incontro. Ma pure il martire
si mostrò disposto a rinunziare anche ai suoi figli,
per non venir meno alla coscienza, perchè il cristiano — cosi diceva — deve esser pronto a rinunziare a tutto. E quindi oramai era disposto a andare
incontro alla morte.
Ma per un’altra prova, non meno tremenda, dovette
egli passare, quando il capitano incaricato di eseguire
la sentenza di morte gli disse che Francesco della
Sega era disposto aU’abiura. Il Eizzetto fu.conturbato assai a tale notizia, ma risoluto subito disse :
« Trista l’anima sua ! Ma se lui ha perso l’anima
sua, io non voglio perdere la mia, e quello che ho
detto, ho detto ». Condotto finalmente nel luogo
fatale, dove molti altri l’avevano già preceduto, senza
aspettare che le barche si scostassero, come era
l’usanza, si buttò da sè in mare.
Nelle memorie della Comunità di Moravia, si leggono intorno al Rizzetto e al suo compagno della
Sega queste parole : « Furono inabissati nei mare
nell’anno 1565, ma il mare renderà i suoi morti
nel giorno del giudizio di Dio ».
Hnpieo IWeynief
Un nuovo comandamenfo
Era notte. Il traditore era uscito, per consumare
il più gran delitto dei secoli ' per tradire il Santo
ed il Giusto. Come uno spirito malefico, egli strisciava lungo le mura della città addormentata.
Là in quella stanza, ove egli s’è ritirato per celebrare rultima Pasqua, il divino Maestro sente più
che mai vicina l’ora suprema. Attraverso le tenebre
che circondano l’anima del famigerato Giuda, Egli
ha letto chiaramente il tradimento ; ma davanti alla
visione della croce, che fra poco s’innalzerà sul Golgota, l’anima sua si spande in un inno di trionfo,
che deve riconfortare l’animo degli Undici rimastigli
fedeli. « Ora il Figluol deH’Uomo è glorificato ».
Difatti la gloria sua non risplendette mai tanto
come nelle sue sofferenze. E glorificando sè stesso^
Egli glorifica pure Iddio; la causa sua è quella del
Padre 1
Ma la sua glorificazione significa per gli Undici,
separazione dal Maestro, perchè ove Egli va essi
non possono seguirlo per ora. Per questo tempo della
separazione inellutabile. Egli lascia loro un comandamento, che dovrà dominare tutte le loro azioni,
tutti i loro pensieri ed essere la base della loro comunità. E’ la legge dell’amore. « Io vi do un nuovo
comandamento : che voi vi amiate gli uni gli altri ;
acciocché come io vi ho amati, voi ancora vi amiate
gli uni gli altri », (Giov. XIII, 34).
Ma questo non è un comandamento nuovo, perchè
si trovava già nell’Antico Testamento (Lev. XIX, 18);
però, come Gesù lo dà e come deve esser messo
in pratica dai Cristiani, è una cosa tutta nuova.
Nessuno prima di Lui aveva amato come Lui e quanto
Lui ; Egli pel primo fu un esempio vivente, un’incarnazione dell’amore. Egli pel primo ne portò al mondo
la vera norma, la forza, la sorgente. Fra i due grandi
sacrifici, rappresentati dalla sua incarnazione, e dalla
sua morte, vi fu un periodo di attività straordinaria,
di abnegazione completa. Per chi tutto questo ? Per
delle creature traviate che hanno smarrita la via dei
Cieli ! Qual è quell’energia maravigliosa che lo spinse
ad abbandonare la gloria dei Cieli altissimi e ad incarnarsi su questa terra di miseria e di peccato ? Non è
un comando imperativo dell’Altissimo ; no, "Egli venne
liberamente a sacrificarsi, spinto dall’amore.
« tu
L’amore ! Ecco l’energia dinamica di tutta la vita
di Gesù. Ed è perciò che Egli solleva la legge dell’amore all’altezza di un comandamento « nuovo »,
che dovrà essere il distintivo dei suoi discepoli nelle
età future. Purtroppo, coll’infiacchirsi e col corrompersi del Cristianesimo, il sentitnento di quella legge
sublime andò affievolendosi nelle coscienze e quelli
che avrebbero dovuto chiamarsi discepoli e ministri
di Cristo, si mostrarono spesso egoisti e rapaci.
Se il comandamento dell’amore fosse sempre stato
praticato in mezzo alla società cristiana, il mondo
ne sarebbe stato trasformato, e la pungente questione sociale non esisterebbe più. Ogni giorno mi
debbo persuadere maggiormente che la chiave di
volta del grande problema sta unicamente nella legge
dell’amore. Mi fanno compassione quei retòri egoisti
e piazzaiuoli, che vanno eccitando gli istinti violenti
e feroci d’nna folla cieca ed ignorante e che poi se
la svignane, quando sentono salir minacciosa la
marea.
Poveri illusi ! Non sarà mai detronando i cosidetti
potenti e spogliando i ricchi per rivestire i poveri
che voi arriverete a sopprimere i guai e le miserie
di questa terra. Non sarà abbattendo i santuarii e
distruggendo ogni sentimento religioso che voi arriverete a creare una società onesta, illuminata ed
evoluta. Enrico Ferri disse ultimamente al Congresso Filosofico, che era riconfortante di vedere il
popolo allontanarsi sempre più dalla religione. Ebbene, se domani il popolo si spogliasse di ogni sentimento religioso e diventasse realmente ateo, il
grande Ferri dovrebbe tremare lui per il primo.
I nostri demagoghi, che vogliono trasformare la
società, dovrebbero pensare anzi tutto a trasformare
l’individuo. Finché nel cuore dell’individuo dominerà
l’egoismo e non l’amore, l’umanità della nostra terra
sarà sempre infelice ; anche con una organizzazione
sociale perfetta e con una civiltà molto evoluta,
persisteranno le passioni, i delitti, le miserie. Se
l’umanità vuol gustare la vera felicità, bisogna che
i suoi membri si spoglino dell’egoismo, che è il peccato più grave, e coltivino sempre più l’amore,
che è la più grande delle virtù. Quando si arriverà
a comprendere l’ideale di Cristo, quando gli nomini
si sentiranno veramente fratelli, quando il ricco darà
la mano al povero e sentirà il suo cuore palpitare
d’amore per quell’anima sorella, allora sarà risolta
la questione sociale, allora sarà venuto il Regno di
Dio, cioè il Regno di Giustizia e d’Amore ! E gli
uomini saranno veramente solidari e si daranno la
mano, per camminare uniti sul gran sentirò della
vita, rialzandosi e perdonandosi a vicenda nelle loro
cadute.
Uomini, fratelli miei, amiamoci gli uni gli altri come
Cristo ci ha amati, e allora sarà più facile e più rapida per noi quella grandiosa evoluzione, per cui,
dagli stadi più bassi della vita, dobbiamo salire alla
perfezione, alla quale ci chiama l’Altissimo. E sappiate che la felicità non è nella lotta e nella vendetta; essa sta nell’anione dei cuori e delle vovolontà !
Prudens.
PnanflPlirn contabile corrispondente, trent’annl caruVuiiyiilIblI riera, attualmente occupato presso primaria Ditta Commerciale in Napoli, desidera lasciare
questa città per qualunque altra del Settentrionale,
preferibilmente della Toscana. — Rivolgersi * al sig.
Gaio Gay, Pastore della Chiesa Valdese, Vir Scarlatti
N. 201, Vomero (Napoli).
PJVQIHE PI STORlÌt
Filippo 5eoza Terra ed i Valdeji
Piena d’oscurità è tutt’ora la storia dei Valdesi
negli ultimi anni del Medio Evo. Pur difettando
tutti di dati precisi, i cronisti sono concordi nel
riconoscere lo zelo che spiegò contro l’ere.'sia Filippo
di Savoia, detto Senza Terra per essere stato diseredato quando orasi ribellato contro suo padre, il
duca Ludovico. Era governatore del Delfinato quando
vi infieri la crociata e la favori con ogni sua possa,
ma non è vero che quello stesso anno, 1488, egli a
Pinerolo costringesse all’abiura i dodici deputati delle
Valli, poiché Pinerolo obbediva allora al duca Carlo I.
Morto costui nel 1492, la vedova con lo zio Filippo,
assunsero la reggenza del bambino Carlo Giovanni
Amedeo e fu allora che il Senza Terra potè sfogare
il suo zelo fanatico. Gliene porse il destro la calata
di Carlo Vili il quale passando ad Oulx con Filippo
fece impiccare un barba pugliese che esercitava il
•SUO ministerio fra i Valdesi delle Valli della Dora
e del Chisone. Le bande armate che attraversavano
il Piemonte avviate alla conquista di Napoli, servirono probabilmente a Filippo, che le mandò contro
Angrogna, sotto i capitani Sacchetti ed Animanegra,
i quali, come s’è visto, vi lasciarono la vita. Nel
1496, essendo morto il duchino suo pronipote, Filippo sali finalmente sul trono agognato, ma per
poco, chè moriva egli pure Tanno seguente. Può
darsi che, abbia imposto un’abiura ai Valdesi, venuti
a prestar omaggio al nuovo sovrano ; ma la sua
morte li liberò dalle gravi conseguenze di queU’atto.
Le cronache dicono che egli si sforzò di ristabilire
il papismo nella Valle d’ Angrogna, e suo figlio e
successore, Filiberto II (1497-1504) ne imitò lo zelo
ma senza ricorrere alla violenza.
Glov. Jalla
La Dottrina Cristiana spiegata al popolo
La Rigenerazione
D. — Di che volete parlare in questa lezione ?
R. — L’opera dello Spirito Santo nelle anime per
condurle alla salute è infinitamente varia. Il vento
soffia dove' vuole. (Giov. III. 8). Cosi lo Spirito di Dio
soffia liberamente a traverso la diversità delle età, dei
temperamenti, delle circostanze. Ora la sua azione sarà
molto palese, ora più o meno nascosta. Ma sebbene
quest’opera non sia punto nniforme, vi sono tuttavia
alcune esperienze attraverso le quali lo Spirito Santo
ci fa passare necessariamente, una di queste esperienze
è appunto quella di cui vogliamo oggi occuparci, cioè
la rigenerazione.
D. — Che cosa non è la rigenerazione ?
E. — Bene posaste la questione domandando che
cosa non è. Poiché le confusioni che si sono fatte da
molti a cotesto riguardo sono senza fine ; e il loro effetto è stato di proiettare ombra su parecchie importanti dottrine cristiane. Alcuni hanno confusa la rigenerazione col risveglio della coscienza. Il risveglio è
quell’atto della grazia che afferra la personalità umana
e la solleva ad altezze religiose ignorate. E’ una nuova
luce nell’anima dell’uomo ; e questa illuminazione è
seguita ualla contrizione pel doloroso sentimento del
peccato e delle sue conseguenze. Orbene, tutto questo
non ha niente a che fare con quel fatto che si designa
col nome di rigenerazione.
Altri, e sono molti, confondono ai nostri giorni la
rigenerazione con la conversione o con la trasformazione
del cuore e della mente. E’ una gravissima confusione
di parole e di cose. La parola rigenerazione non implica il senso di rinnovazione, nè l’innesto di abitudini
nuove nell’anima, nè il cambiamento dell’uomo naturale
in uomo spirituale. Non implica un cambiamento sensibile avvertito al momento dall’individuo che di essa
è oggetto. E neppure essa è tal dono dello Spirito Santo
da implicare necessariamente un continuo progres.so nel
bene e la finale perseveranza per parce di coloro che
la rigenerazione ricevono. Tra la rigenerazione dello
spirito delTuomo e il rinnovamento del suo cuore e
della sua mente corre tanta distanza quanta ne passa
tra un seme e il frutto che questo seme potrà portare
in appresso. Nessuno può essere convertito o rinnovato
il quale non sia stato rigenerato. Ma la reciproca non
4
4
LA LUGE
è vera: anzi vi sono molti rigenerati i quali muoiono
inconvertiti (1) ; nello, stesso modo come vi sono molti
sémi piantati i quali non portano mai frutto, e molti rami
di alberi viventi i i^alì si iissecéanò e muoiono. Insomma, la rigenerazione non implica un cambiamento
morale in àlito. prè!sup|)òStó néCelsafiÒ di tale cam
nià « nón* è éssà i il cambiamento morale, iiè liiEl^per necessario effetto il èambiamento morale.
D. — Dite ora che cosa è la rigenerazione dal mon^;nto che essa non ^ un cambiamento della mente e
^l cuore, non è una rinnovazione o trasformazione
morale.
C • « . • • ■. j I, /
K. — La rigenerazione è il dono della presenza dello
Sj)irito Santo ; è, in altri termini, non già, l’attuale
rinnovaménto del cuore, ma l’assicurata presenza del
Einnovatore. La rigenerazione è perciò il germe ed il
phnto di partenza della trasformazione morale, punto
di partenza nel quale Dio solo opera. Quest’ultima osservazione giova a lumeggiare bene la differenza tra la
rigenerazione e la trasformazione morale. Questa, infatti, richiede dne elementi, due fattori: a) la previa
influenza del Einnovatore: h) l’abbandonpsi della volontà del ricevente a cotesta influenza. Ma al punto di
partenza non ci sono i due elementi ; c’ è solo uno di
«sso, c’è il dono del Einnovatore e l’assicurazione della
sua presenza. Ecco perchè la rinnovazione morale in
atto implica bensì il dono e l’assicurata presenza del
Einnovatore ; ma non si restringe a questo, anzi è
qualche cosa di più complesso. E, viceversa, il dono e
rassicurata presenza del Einnovatore mirano alla rinnovazione morale come allo scopo loro, ma uon si confondono con questo scopo e non lo producono necessariamente. Si tratta, insomma, di due momenti coordinati, ma distinti ; e il confonderli è grave errore psi
cologico e religioso ad un tempo. E confondere l’atto
di Dio solo, con un’altro atto che è dì Dio e dell’uomo
nel tempo stesso.
D. — Che cosa è dunque implicato nella rigenerazione ì
E. — Nella rigenerazione sono implicate due cose :
(a') L’innesto nell’anima dì una virtualità nuova per
opera dello Spirito Santo.
(b) Un cambiamento di stato di relazione con Dio, (a
causa deH’assicnrata presenza del Einnovatore) il quale
cambiamento di rapporto ci costituisce potenzialmente
figliuoli di Dio per grazia. u. i.
(1) Ci pare un po’ spinta questa recisa distinzione
tra rigenerazione e conversione. N. d. D.
)<(lla Ptaisola e atlle Jsoic^
Torrepellioe
Novantadue alunni sono iscritti nel nostro Ginnasioliceo pareggiato.
San Germano
E’ morta la vedova del dottor Edoardo Eostan. Le
nostre profonde condoglianze ai parenti.
Torino
Come annunziammo, il pastore T. André tenne la
sua conferenza con splendide proiezioni luminose nel
tempio (Viale Vittorio Emanuele) su • Gerusalemme ».
Parlò in francese durante un’ora e più, fra l’attenzione
generale. Cosi il Zien, organo della nostra chiesa di
lingua francese di Torino.
Como
(B) — Domenica scorsa, 14 corr., la sera, il signor
Paolo Calvino di Lugano, diede a Como un’interessantissima conferenza, illustrata con proiezioni luminose,
sopra il suo recente viaggio in Norvegia. Egli ci raccontò cose commoventissime sopra gli usi e costumi
di quel popolo, sopra i progressi eh’ egli ha fatto e
sugli sforzi di quei Cristiani per combattere le piaghe
che travagliano la società, come l’nbbriachezza ecc. e
sugli importanti risultati che essi hanno ottenn to. Tanto
la conferenza quanto le belle proiezioni interessarono
vivamente gli uditori accorsi assai numerosi; e si spera
che il sig. Calvino potrà ancora, fra uon molto, favorirci un’altra conferenza sopra uno di quegli argomenti
ch’egli sa trattare in modo cosi cattivante. E se egli
volesse ascoltare un nostro modesto consìglio, gli diremmo di ripetere la sua conferenza sopra il suo viaggio
in Norvegia, in altre città, perchè siamo sicuri che
essa farà del bene ad altri, come essa ne ha fatto a noi.
Mantova
("8. B.) — Merceledì sera, 17 and., nel nostro piccolo
e grazioso Tempio di Vìa Bacchio n. 5, ad un’adunanza
numerosa, qnasi tutta di condizione civile, il sig. Paolo !
Calvino di Lugano descrisse un suo viaggio in Nor- |
vegia, servendosi per illustrarlo di una serie di belle
proiezioni luminose che al pubblico piacquero assai.
Ecco, se non erriamo un mezzo nuovo ed efficace di
segnalare al pubblico i nostri luoghi di culto, di attrarre alla nostra volta .gl’indifferenti, d’incoraggiare i
timidi e ritrosi, di diradare l’ignoranza e il pregiudizio
di tanti.
In un tempo in cui i nostri avversàri mettono boriosamente tutto il cainpo a romqre con ostentale dimostrazioni eucaristiche, pedagogiche, ginnastichej perchè
nòn faremmo noi; un j)ò’ qiia un pò’ là, l’opera che il
sig. P. Calvino ha fatto di questi giorni a Como, a
Brescia, a Mantova?
Càruneliio
La piccola Chiesa Eva,ngelica di questo paese ha
ricominciata la sua marcia ascensionale, sotto l’assìdna
ed amorevole cura del candidato in teologia sig. Francesco Peyronel, il quale fin dal suo arrivo fra noi ha
richiamato alle adunanze un bel numero di fratelli ed
amici. Ho il piacere di rilevare il buon successo da lui
ottenuto nel dare, la sera del 21 corr., una splendida
conferenza sul tema : « Che pensate voi del Cristo ? »
annunziata con pubblico manifesto.
Altre conferenze il sig. Peyronel darà coll’aiuto di
Dio. Noi gli auguriamo sempre ottimi successi pel
progresso della verità.
Gennaro Cantone
Roma.
Il pastore sig. Galassi, lasciando Eoma, ha affidato
ad ottime mani la direzione della Vedetta Cristiana :
il nuovo direttore è infatti il cav. uff. A. Fiori, mente
colta, anima piena di candore e di zelo. Gli auguriamo
di cuore di poter compiere, tutto il bene che il suo
cuore anela.
— (A. M.) Domenica sera, 21 corr., l’A. C. D. G. di
Eoma dava principio a’ suoi trattenimenti familiari
con Un concerto di pianoforte del chiarissimo Maestro
Giuseppe Mancini già prof, di perfezionamento nel conservatorio di Atene. L’attraente programma Chopin,
Liszt e in gran parte del Mancini stesso, fa eseguito
con meravigliosa abilità, e gli intervenuti che gremivano la vasta sala passarono un’ora di alto godimento
spirituale, di cui con calorosi e prolungati applausi
furono grati all’esimio artista.
Tutti chiamarono fortunata l’A. C. D. G. di avere
un si esimio maestro quale direttore della sua giovane
Scuola di Pianoforte.
Una lode di cuore al caro sig. P. Coisson, segretario
generale, il quale con si splendido esordio ha saputo
dar principio ai trattenimenti di quest’ anno, che ci
ripromettiamo sempre altrettanto riusciti ed attraenti.
Reggio Calabria. — Martedì 16 corr. si addormentò
nella pace del Signore la signora Maria Spinelli, consorte del nostro carissimo signor Vincenzo Scuderi,
capo stazione in Eeggio-Porto.
Il servizio funebre presieduto dal sottoscritto ebbe
luogo in casa della defunta alla Stazione Porto. I numerosissimi amici e parenti, addolorati per l’immatura
morte della buona Signora, ebbero il dolce privilegio
di ascoltare parole di speranza e dì Vita eterna.
« Chi crede in me — disse Gesù — ha vita eterna ».
La lettura e la meditazione della Parola di Dio
adatta per la circostanza riuscì di grande edificazione
per le anime angosciate. Parecchi assistettero alla
cerimonia funebre, standosene in ginocchio. Benché ammalato il sig. Scuderi volle rendere fervida testimonianza della sua fede in Cristo, Via, Verità e Vita.
Vada ai parenti tutti l’espressione sincera della nostra cristiana simpatia. Biagio Panascia
•
• •
Spadafora (Messina) — La già tanto provata congregazione nostra della Diaspora Messinese ha perduto
un forte credente con la morte del Dr. Vincenzo d’Amico, medico condotto per più di 50 anni del ridente
borgo di Spadafora-Venetico. Tranquillo e pacifico se
ne è andato (come sempre era vissuto apportatore di
conforto e dì pace) altamente testificando della propria
fede evangelica. Tutta la popolazione e le Società operaie hanno assistito commosse e riverenti alla funebre
cerimonia.
Ai figli, di cui il maggiore è chirurgo primario nell’Ospedale di Newark (Stati Uniti), alle figlie e parenti
ed ai beneficati serva, anche dopo scomparsa, la sua
bella figura dì esempio del come possa un sincero ere
dende unire scienza e fede col vincolo tenace dell’amore. L’estinto era un lettore regolare ed appassionato
della € Luce » C. J.
Leggendo e annotafid<>
Il dottor Ox (Alfredo Niceforo ?) vlcWAvanti !, a
proposito dell’attuale sìtuazionè delle cose di Spagna,
pubblica un notevole articolo, in cui dimostra tqt|i
i danni della selezione di un popolo fatta a rovescio,
cioè col rogo e con l’esilio. Egli cita l'opinione del
De Candolle, il quale ha dimostrato esaurientemente
con l’esempio delle persecuzioni contro i protestanti,
che in periodi di reazione religiosa coloro ohe osano
innovare e proclamare i lofiJ diritti, e tornare a rivedere gli statuti della coscienza religiosa—sono certamente tra i più intelligenti della massa — o, almeno,
le intelligenze svegliate e spiccate sono in grande frequenza nel loro gruppo. Chi può dire tutto il danno
recato alla Francia dalla revoca dell’Editto di Nantes?
Il doti. Ox scrive: « Gli ugonotti, gentiluomini,
borghesi o commercianti, che preferirono emigrare
dalla Francia piuttosto che piegarsi alla schiavitù religiosa, durante la guerra di religione in Francia, e
dopo la revoca dell’Editto di Nantes, tono stati valutati dagli storici a cirga settecentomila. Ebbene, facendo il computo soltanto degli uomini resisi illustri
tra i discendenti degli emigrati, si trova ohe questo
gruppo, vera selezione superiore, ha dato in due secoli venti volte più di scienziati illustri del resto della
po'polazione non emigrata. Il grande De Candolle
stesso, il Savigny, il Sismondi, J. J. Rousseau, sono
per l’appunto discendenti di famiglie protestanti emigrate dalla Francia ai tempi delle persecuzioni religiose ; sono uomini, insieme a cento altri, che il pensiero francese — selezionato a rovescio — non può
contare tra i suoi figli ♦. È perfettamente vero. Ma
c’è ancora dell’altro. Edgard Quinet ha dimostrato il
danno immenso recato alla stessa rivoluzione francese
dalla strage di S. Bartolomeo e dalla revoca dell’Editto di Nantes, c Quando voi vedete nello spirito
francese — egli scrive nella sua opera « La Revolution » — delle lacune così grandi, che sarebbe oramai
puerile negare, non dimenticate che la Francia si è
strappato da sè il cuore e le viscere, con l’espulsione
e l’annientamento di quasi due milioni dei suoi migliori cittadini. Quale nazione, quale società resisterebbe ad un esperimento di simil genere? Sono queste piaghe tali che i secoli non guariscono... Avrei
preferito vedere i nostri rifugiati recare in massa,
alla rivoluzione francese, 1’ appoggio che essi hanno
dato alle rivoluzioni di Olanda, Inghilterra, Svezia
e di America.
€ Dovunque essi hanno aiutato, illuminato affermato
lo spirito moderno in quelle lotte civili. Non è che
nella loro patria che non hanno potuto mostrarsi. È
dunque vero ohe una nazione non guadagna nulla
nel privarsi di quelle grandi forze morali che sono
proprie dei riformati. Il vuoto prodotto dalla loro
espulsione non potè essere colmato da nessun olocausto. Questa Francia del XVI e del XVII secolo due
volte decapitata, non fu possibile sostituirla. Nella
crisi suprema, la metà della nazione venne meno all'altra : e ancora oggidì vi viene meno...
Non si poteva meglio precisare uno dei più grandi
effetti della Riforma sulla evoluzione civile e morale
dei popoli. E lo stesso doti. Ox così conclude : « Non
si può evitare nel concludere che se la Francia, che
poi sì è mantenuta così grande avesse oggi i figli dei
suoi emigrati eterodossi sarebbe ancor più grande e
gloriosa ».
♦ *
Il Ftowdawic, a proposito del Congresso di filosofia
di koma, pubblica un notevole articolo di Giuseppe
Rensi, che è un filosofo credente in una maniera tutta
sua. Invero in questo articolo intitolato « Il ritorno
a Dio », il Rensi afferma che tre coscienze si sono urtate in quel Congresso : la coscienza vecchissima abbarbicata a decrepite e superstiziose forme di credenze religiose: la coscienza vecchia che giura, con
ingenuo realistico dogmatismo, nell’esclusività della
scienze ; la coscienza nuova che assurge ed uno spirito religioso ampio e profondo in cui confluiscono
le istituzioni prime e più schiette di tutte le religioni
e nell’istesso tempo le elaborazioni più serie e definitive pai pensiero filosofico. Di queste tre coscienze,
la prima è impersonata dal padre Gemelli, il commesso viaggiatore dei miracoli di Lourdes ; la second«
impersonata da Ferri, la terza da Minocebi e Bellone!.
A quest’ultima appartiene pure il Rensi. il quale ci
presenta il Dio che essa adora. Confessiamo che questa divinità è essenzialmente un Ente metafisico, e
quindi assai nebuloso; e perciò non di facile comprensione, inaccessibile alle masse. Come poi emanazione di questo Dio sia il socialismo non riusciamo
a comprendere. Quanto più semplice e accessibile a
tutti il Dio di Gesù ùristo e del Nuovo Testamento !
»
• «I
Enrico Ferri, ohe nel Congresso di Filosofia n»n
aveva raccolto che una scarsa messe di assentimenti
I e <|i applausi, ha voluto, nella commemorazione dì
Cesare Lombroso fatta all’Università di Roma pren-
5
LA LUCE
dere la rivincita, inalzando un inno entusiastico alla
scienza, la quale basta a tutto, anche a dare agli nomini il senso del bene. Così egli dimostra di non conoscere quale sia l’ufficio e il campo di esplicazione
e della religione e della scienza, le quali hanno bensì
fini diversi ma non divergenti, o, in perpetua contraddizione. Quanto più nel vero Erberto Spencer, il
grande filosofo della teoria della evoluzione, che, secondo il Ferri « sola risolve il maggior numero dei
segreti naturali ».
Il pensatore inglese sorivea : « Le cognizioni positive non possono, nè potranno mai colmare tutto il
dominio del pensiero possibile. Nell’ultimo sforzo della
ricerca sorge e sorgerà il pensiero : Che cosa sta al
di là ? » « E se la scienza e la religione hanno basi
nella realtà delle cose, allora fra di loro ci dev’essere
un’armonia fondamentale... » * Una ricerca senza paura
tende a dare una base sempre più ferma alla religione ». Enrico Meynier
attorno
(Noterelle e Spigolattire)
La letteratura sul « Modernismo. ì. s’è accresciuta
d’un nuovo libro: « AttitudedesModérnistes dans le
Catholicisme romain, par René Bonnamy, — 2 fr. -
Fischbacher, Paris, 23 rue de Seine »,
*
• •
Un giornaletto cattolico romano ha pubblicato in
più puntate un articolo sul tema : « È proibito ai cattolici di leggere la Bibbia ? »
Non è proibito ?
Ce ne rallegriamo immensamente. Leggetela dunque,
o cattolici; e voi, sacerdoti, diffondetela d’intorno a
voi incessantemente. Noi cristiani evangelici non siamo
gelosi.
• *
Al concorso bandito dal Coénobium di Lugano su
« la possibilità di conciliare in una sintesi superiore
la scienza con la fede » han preso parte 82 persone.
Ecco un segno eloquente che mostra se non altro
— che la quistione religiosa agita e impensierisce molte
anime.
Secondo noi, il tema non fu ben posto, e richiederebbe una profonda modificazione ; ma cionondimeno
vivamente ci rallegriamo col Coénobium per le ottime
intenzioni.
«
• •
Lo stesso Coénobium neU’ultimo numero reca, tra
gli altri, un lunghissimo lavoro del venerando prof,
comm. B. Labanca intitolato » Prolegomeni alla storia
comparativa delle religioni »,eun articolo su Giorgio
Tyrrel dovuto all’assennata penna del nostro egregio
collaboratore Angelo Crespi ; del quale si promette
per il prossimo numero del periodico luganese un
altro scritto su * la filosofia del misticismo ».
*
• •
La stampa quotidiana ha continuato ad occuparsi
del caso di mona. Turinaz vescovo di Nancy in lotta
col giornalista francese prof. Rocafort, corrispondente
della Corrispondenza romana, e supposto agente segreto del Vaticano in Francia. La quistione è imbrogliatissima. Il vescovo di Nancy, fino ad un certo
aegno liberaleggiando, scrisse un opuscolo ad invitare
i diocesani all’unione insieme coi « liberali sinceri »
e con gli « onesti » di tutti i partiti, per il bene della
Francia. Al Rocafort questi intenti generosi e larghi
sono dispiaciuti. Eppure l’opuscolo di Mons. Turinaz
era stato lodato dal Pontefice stesso, che fece scrivere
al vescovo una lettera gratulatoria. Se non che la lettera gratulatoria vaticanesca sarebbe stata — su pei
giornali — pubblicata con mutilazioni ; e le mutilazioni
sarebbero state introdotte dal vescovo stesso. Il quale
ora si difende sostenendo che egli aveva soppresso
semplicemente un periodo — certo di non capitalissima importanza — in cui il papa, per mezzo del suo
segretario, consigliava di togliere dall’opuscolo la locuzione « liberali sinceri » implicitamente compresa
in quell’altra di « onesti di tutti i partiti ». Comunque, e nonostante la solidarietà dei vescovi francesi
di fronte ai maestri querelanti, è chiaro che il disordine e il dissidio minacciano sempre più la compagine del cattolicismo papale in Francia. Oh se ne venisse finalmente una riforma’ vera! Ma percbè la
Chiesa non si risolve a cambiar rotta? Che acceca-^
mento !
«
t» •
Il ministro Briand ha parlato alla Camera francese
in difesa della scuola laica. Approviamo il suo dire
fino... ad un certo punto. * Qual è la libertà essenziale di cui siete stati privati ?» ha esclamato, volgendosi ai nazionalisti. « In qual momento il vostro
clero ha goduto libertà maggiori di quelle di cui gode
attualmente P »
Amicus Plato, sed magie amica veritae; o noi quindi
diciamo : Non è vero che nella Francia atea si goda
tanta libertà, e noi Tabbiamo già provato con fatti
qui nella Luce. Augagneur, governatore di Madagascar, per citare un solo esempio, è più che altro un.„
inquisitore. ‘
E a che stupida ragione è ricorso il Briand !
€ Voi sopprimete tutte le nostre scuole » osserva un
deputato nazionalista. — * Sì, ma voi le riaprite tutte »
risponde il Briand.
Si poteva risponder più stolidamente? Che i clericali riaprano le scuole senza permesso, sarà un male,
sarà tutto quel che volete ; ma la quistione è tutt’altra: ha diritto un governo di sopprimere delle scuole,
salvo infrazioni alle leggi vigenti, ben s’intende ? Questo è il problema.
Noi pure vorremmo soppresse le scuole clericali,
perchè le crediamo nocive ; ma non possiamo approvare lo spirito inquisitoriale di quel governo ateo. Ci
convinciamo sempre più di quanto abbiamo sostenuto in queste colonne : la Francia non è mutata, }a
Francia — sotto colore d’ateismo — è clericale fin nella
midolla delle ossa. L’aiuto quiudi non le può venire
che da l’Evangelo. 'A ohe serve sopprimere scuole P
Bisogna sopprimere lo spirito clericale dei... clericali
e lo spirito clericale dei... liberi pensatori. Qui sta il
punto.
L’ateismo, in ogni modo, non è miglior fautore di
elevazione morale del clericalismo propriamente detto.
La Francia è tutta malata. E nell’odierna lotta, noi
non possiamo schierarci nè da una parte nè da l’altra.
C’è una terza via praticabile: è quella cristiana della
morale, della tolleranza reciproca, dell’amore fraterno,
della libertà per tutti.
#
L’assoluzione della Steinheil (del cui dramma, seguito da allegro scioglimento, non abbiam mai parlato,
perchè ci ripugnava) prova in modo lampante la giustezza delle nostre idee circa al disequilibrio morale
di cui è affetta terribilmente quella nazione, a cui si
ha l’ingenuità di guardare come a maestra !
*
E l’Italia ?
Il papa ha festeggiato il suo giubileo episcopale,
ma quanti guai ! Certi seminaristi di Fermo sono
stati espulsi, per aver scritto una lettera allo scomunicato don Murri ! È una lotta continua ! Diserzioni,
ribellioni, atti di emancipazione. Ma perchè non sì
vuol capire, in Vaticano, che è giunto il tempo di
« instaurare » per davvero, e non solo a parole, « omnia in Christo », cominciando dai costumi per terminare con quell’incrostazione di dottrine non evangeliche che è opera puramente dei secoli medievali ?
per troppi dotti nei paesi detti latini è pur d’altra parte
sommamente rallegrante il con.statare che la gran maggioranza dei dotti nei paesi Evangelici sono avversi
all’ateismo ed al suo fratello gemello il Materialismo.
*
* *
©orriere germanico
Il « Kepplerkund » del quale abbiam parlato ha celebrato a Cassel i giorni 8, 9 e 10 ottobre un « congresso » cui presero parte illustrazioni della scienza,
dell’arte della filosofia, della teologia, e persino della
politica, provenienti da ogni parte della Germania : il
Principe Otto von Salm Korstmar, Presidente il Dott.
Hartvrig Direttore dell’osservatorio astronomico di Barn- ^
berg, il D.r Rade di Marburgo, il Generale Klingender
di Amburgo, il Principe Schbnaich-Carolath e varie
altre celebrità.
La relazione letta dal Direttore Tendt di Godesberg
constata un rallegrante costante progresso nel numero
dei membri dell’associazione nonché nelle contribuzioni
ordinarie e straordinarie che paragonate a quelle raccolte l’anno scorso segnano un aumento di 10000 Marchi
I tre c corsi di scienze naturali », istituiti durante
l’anno. Vennero frequentati da maestri e professori di
ginnasi e scuole normali provenienti da tutte le provinCie della Germania.
Numerose pubblicazioni d’indole ad nn tempo stret
tamente scentifica e popolare, hanno trovato nel pubblico un’accoglienza lusinghiera ed hanno contribuito
a sfatare la riputazione usurpata di qualche dilettante
di scienze naturali, troppo presto proclive a spaccciarsi
quasi profeta del materialismo ed ateismo che sotto
il nome di Monismo pretende essere il nuovissimo ed
infallibile verbo della filosofia.
II dott. Hans Driesch di Heidelberg tenne un discorso
sulla dottrina del « Vitalismo, » il Prof. dott. Dennert
sulla « conoscenza della Natura » e i « godimenti »
ch’essa procura, il Prof. Teudt sul tema « libera fede
e libera scienza » e il Prof. dott. P. Volkmann sulle
« singolarità nella natura e il capriccio del Monismo »
tutti applauditissimi.
Nè meno applaudita fu una lettera di adesione del
Conte Zeppelin esprimente il proprio rincrescimento di
non poter assistere al congresso a causa di troppi altri
impegni.
Per quanto sia doloroso il vedere delle menti colte
e intelligenti offuscate da preconcetti della filosofia ma
terialistica com’è il caso per Hackel, in Germania e
«
L’Apologetische Rundschau rivista mensile della
stampa papista in Germania, pubblica nel N. di settembre un lungo articolo nel quale coi soliti argomenti
mette in ridicolo la mancanza di « unità » nel Protestantesimo di fronte « all’unità » della chiesa papale.
E fin qui nulla di nuovo 1 Ma interessante è l’argomento
addotto per provare la diversità di origine del Protestantesimo. Traduciamo ad lìtteram :
« Neanche comune origine possono vantare i Prote« stanti, non tutti provengono da Lutero nè da quello
c che chiamasi l’epoca della Riforma. I Valdesi, per
« esempio, che di recente molto han fatto parlare di sè
« a motivo del proselitismo senza riguardi da essi
« esercitato nella Calabria e in Messina sono sorti già
« nel XII secolo e con ciò sono di 400 anni anteriori
« ai Riformatori ».
« La sola unità che esista nel Protestantesimo è
« quella della lotta contro Roma ».
Ècco : E’ ingenuo chi dice che le bugie hanno le
gambe corte. La bugia riguardo al proselitismo esercitato dai Valdesi sui luoghi del disastro Calabro Siculo
continua a fare il giro del mondo sulle ali della stampa
papista.
«
* *
Alla jpresenza dei Reali del Württemberg e di una
eletta e numerosa schiera di rappresentanti della scienza,,
dell’arte, della politica e della religione nomini e donne
venne inaugurato a Tübingen, la graziosa città universitaria sveva, il 20 corr. ottobre, un istituto altamente
umanitario dovuto alla generosa iniziativa del filantropo
cristiano Paolo Lechler di Stuttgart. E’ questo « l’istitnto germanico per la missione medica », destinato
1. a preparare, mediante studi complementari, quei giovani dottori in medicina che volessero esercitare la loro
arte in mezzo ai popoli pagani ; 2. mettere gli studenti
missionari in grado di acquistare quelle cognizioni mediche indipensabili a chi ai pagani non vuol portare
soltanto i lumi della parola evangelica, ma altresì quell’aiuto talvolta si urgente pel sollievo del corpo e più
eloquente delle più belle prediche; 3. preparare delle
iiiifermiere le quali potranno, d’intesa col medico e col
Missionario, prestare preziosi servigi alle donne pagane
ammalate penetrando là dove l’uomo non può penetrare
e concorrendo cosi a dileguare pregiudizi e superstizioni, • talvolta soltanto ridicoli, spesse volte orribili e
sempre dannosi alla salute.
Lo scopo che si prefiggono quelle tre categorie di
persone è l’imitazione di Colui che durante il suo terrestre pellegrinaggio «: andava di qua e di là beneficando e risanando la gente perchè Dio era con Lui »
Atti 10, 38
Come lo dissero altrettanto il Prof. dott. Wurster,
quando il sig. P. Lechler, negli elevati discorsi pronunziati in quella solenne circostanza : è l’amore di Cristo
e l^amore per Cristo che deve unire in un tutto armonico la scienza del Medico e quella del teologo per
portare^ ai poveri pagani i benefizi della civiltà cristiana.
Se i cristiani di lingua inglese contan già non meino
di 850 dottori e dottoresse in medicina al servizio della
missione, la Germania finora non ne conta che 18 e
18 altresì è il numero degli studenti col quale s’inaugura il nuovo istituto sotto la direzione del Prof. dott.
med. Fiebig che per ben due anni esercitò la medicina
nelle Indie Olandesi e del dott. Olp che fu medico nella
Cina.
Il Re volle attestare il proprio compiacimento di
qnell’opera eminentemente cristiana e umanitaria col
conferire le solite decorazioni al S. P. Lechler nonché
ad altri personaggi eminenti e l’Università di TUbinga
creò dottore in medicina honoris causa l’ottimo signor
Lechler al quale anche noi mandiamo le più sincere
felicitazioni e i più fervidi auguri per la prosperità
dell’Istituto dovuto alla nobile sua iniziativa.
Paolo Calvino.
NOTIZIA
Per chi si abbona per 11 1910, prima del 31 dicembre prossimo, Pabbònamento non è che di L.2,llK).
Dopo costerà lire 3.
Nessuna proroffa quesi^anno, ricor-r
datevene.
6
LA LUCE
Dall’ aSiuaRa a cheleB
Sono in Gheleb per un paio di mesi. Gheleb dista
la bellezza di 100 chilometri dall’Asmara, mia residenza
Che viaggio disastroso! Ne ho ancor le ossa rotte e
la pelle scorticata. Cavalcare il muletto per più di due
giorni per viottole ingombre di sassi, non mai diritte
ma serpeggianti, non mai piane ma piene di ondosità
come questo altipiano, non è davvero, almen per chi
non c è avvezzo, il più bel divertimento di questo mondo.
Massime in certe ore del di il sole ti brucia, ti abbaglia, tu sudi, sei infiacchito, eppnr hai da cacciar con
la mano un nuvolo d’insetti che t’assalgono il viso, e
nel tempo stesso por mente che i rami non ti strappino un occhio e non ti graffino il volto.
L altipiano è scabroso. La via va su e giù pe’ monti
e spesso ti porta sull’ orlo de’ precipizi. Hai da sormontare rupi, dove soltanto le scimmie possono arrampicarsi. Se al muletto fallisse il piede, addio Italia!
addio parenti ed amici !
Nei mesi di maggio, giugno e luglio, nei quali si
aprono le cateratte del cielo e vien giù l’acqua a secchi, tu vedi un’infinità di torrenti grandi e piccoli che
scorrono per le valli e per le strette gole de’ monti
ma fuori di quel tempo viaggi de’ giorni senza incontrare il più piccolo corso d’acqua. E’ tutto secco. E
chi tra via non vuol morir di sete abbia cura di portarsi una ghirba d’acqua potabile.
Si capisce che io non avrei mai potuto fare da solo
viaggio si lungo e si pericoloso. Nel partire dall’Asmara eravamo in undici : il rev. sig. Eoden, praticissimo delle vie, mia moglie ed io, tutti e tre a muletto,
€ ci seguivano a piedi 8 indigeni. Altri due muletti
recavano la soma dei bagagli.
La partenza ebbe luogo alle 16 del 29 settembre u. s.
Dopo un ora e mezzo si giunse a Belesa, dove pernottammo.
Questo primo tratto di strada fu il migliore. Vedeansi da per tutto campi di frumento, d’orzo, di dura,
di taf. Non parlo dei fichi d’India che forman tante
siepi vive col frutto dorato. Incontravansi quasi ad
ogni piè sospinto mandrie di buoi, di pecore e di capre
che tornavano dai pascoli. Qua e là, aratori che guidavano un paio di buoi aggiogati all’aratro. Questo è
tanto corto corto e stretto stretto che i solchi riescono
assai piccoli.
In sull’imbrunire giungemmo ai piè del colle, su cui
è situato il paese di Belesa. A sinistra, proprio in riva
alla strada, c’erano mucchi di pietre disposte circolarmente. Quello è il cimitero dei Musulmani. Chi noi
sapesse, difficilmente indovinerebbe essere quello un cinaitero, non essendovi alcun segno che lo indichi. Le
pietre servono a proteggere il cadavere dal dente dell’iena. A destra, un po’ discosto, v’ha un altro cimitero con un rozzo muro di cinta e poche croci inalzate sulle tombe : 11 stan sepolti i missionari e gli altri
cristiani.
Questi paesi sono in gran parte misti di cristiani
Copti e di maomettani. Quantunque questi siano infedeli per quelli, e gli uni non mangino la carne di bestia uccisa dagli altri, tuttavia si rispettano nè mai
contendono per motivò di religione. Il musulmano, ordinariamente, si coutenta di un cencio detto mandaachi per coprire le vergogne e mostra il petto e le spalle
nude. In certe ore del di si butta in ginocchio dovunque si trova e fa la sua preghiera volgendosi alla Mecca.
II cristiano invece, oltre il mandaa.hi, porta eziandio
10 sciamma (specie di piccolo lenzuolo), con cui si copre
le spalle ed il petto.
Come souo’neri quei cenci! L’abissino è indolente,
noa si cura della pulizia, non sa neppure dove essa
stia di cosa. Piuttosto che darsi la briga di lavare, se
ne sta .lunghe ore seduto e sdraiato per terra, ozioso,
immobile come statua.
Salito il piccolo colle, siamo alla Missione Svedese,
che s incontra prima del paese indigeno. Ci riceve ospiti
11 dottor Winqnist che con la sua degna signora e con
un amorino di bimba, un angiolo di beltà, è quivi da
anni e anni. Oltre il gran bene che fa visitando i malati, tiene aperto un ospedale, una vera benedizione per
tutta la Missione. E quasi a compimento dell’ opera
benefica, è pur quivi una giovine levatrice, signorina
Teresa Palmqviet, che ardente di carità cristiana, assiste le partorienti indigene.
Su quel colle benedetto vi è pure la famiglia del
maestro sig. Nistron, il quale con l’aiuto della sua signora e di due maestre, pensa all’edncazione ed all’istruzione di oltre 70 allieve indigene, ricoverate in ap
posito locale. Che pulizia e che ordine nelle case della
Missione! Entrando in esse quasi dimentichi l’Africa.
I Ma quale contrasto se metti il piede fuori e ti ac
I costi alle abitazioui del paese ! Ti sembra di passar da
un elegante salottino ad una stalla piena di letame.
Belesa, situata cum’è sopra un colle, sarebbe una
delle più beile stazioni se non avesse un guaio : il
vento, che soffia quasi del continuo e dà sui nervi. Io
10 sentii tutta quella notte.
^ La mattina seguente, fatti i saluti e i ringraziamenti,
ci rimettemmo in cammino, ma la nostra carovana era
diminuita. Il mio servo che avea voluto accompagnarci
un tratto, giunto a Belesa, dovette tornarsene all’ Asmara. Nel prendere commiato da me e da mia moglie
pareva avesse un nodo alla gola che lo impedisse di
dir parola e i lagrimoni gli cadevano dagli occhi. Oh !
11 cuore 1 hanno pur questi popoli mezzo selvaggi forse
più dei civili! Però bisogna rispettarli.
Mentre si scendeva il colle, gli -abitanti ci guardavano rispettosi e i bimbi seminudi alzavan la voce:
« Italiano ! salam salam (salute, salute) italiano ! » Qui
han 1 abitudine di salutar sempre.
Sono quasi le nove. I muletti riposati affrettano il
passo, e il sole ci segue co’ suoi raggi sempre più cocenti.
Più si va più la vegetazione si- fa inten.sa. E quando
si passa per 1 ombra di qualche albero ci par di sentire un po’ di sollievo.
Allo scoccar delle 13 ci fermammo al rezzo di un
tanbac, che dalla forma delle foglie par si accosti al
nostro pioppo. Un grosso calabrone, ronzando tra le
fronde, non volea lasciarci goder in pace quel dolce
riposo.
Aperti i bagagli, si tolse il cibo e si fè un po’ di
merenda. Ma più che la fame era la sete che ci tormentava. Per bere avevamo una buona ghirba d’acqua.
II rev. sig. Eoden, fatto accendere il fuoco, ci offri poi
una bella tazza di caffè caldo fumante.
I nostri uomini, condotti i muletti in luogo di pascolo, pensarono al proprio nutrimento. Gli uni accesero un bel fuoco, e gli altri, tolta da un sacchetto un
bel po’ di farina di frumento, la intrisero con acqua
su di una pietra e ne fecero la pasta. Questa venne
spartita in tanti pezzi. Ciascuno s’ebbe il suo. Osservai che per ottenere una pronta e buona cottura, al
pezzo di pasta si diè la forma di palla con dentro una
pietra calda calda, anzi rovente, e si pose al fuoco.
Chiamano il cibo così preparato burcutta. Come fu
pronto, la comitiva si dispose in cerchio non all’ombra,
ma al sole ardente per ordine del loro piccolo capo.
Mangiavano allegramente, bevendo acqua torbida attinta nelle pozzanghere.
II piccolo capo non è veramente tale, ma figlio del
capo del lojo paese e mio allievo in Asmara. Gl’indigeni portano rispetto ai loro capi al punto da considerarli come parenti.
« Possibile che stiano al sole con la testa nuda e
rasa ! ? » pensavo io. Cosi è ! Essi ci sono abituati fin
dalla nascita. Le loro mamme li portano appena nati
sul dorso con la testolina scoperta in qualunque ora
del di.
Gli abissini non si preoccupano più che tanto di quel
che può succedere. Son fatalisti, convinti che non può
avvenire se non ciò che ha da avvenire.
Si amano, si aiutano a vicenda ; ma se mai nasce
qualche contesa, perdono facilmente il lume della ragione e si combattono a sangue. Se in rissa uno uccide l’altro, la vendetta del sangue, per parte dei parenti dell UCCÌ.SO, non è più attuabile in Colonia mercè
la vigile sorveglianza del governo italiano, ma fuori
è tuttavia cosa sacra. 0 presto o tardi uno della famiglia dell’uccisore verrà cacciato nella tomba.
Dopo un paio d’ore di riposo tornammo in sella. La
carovana s’avviò alla volta di Uara, paese che sta sul
dorso di un monte ed è abitato soltanto da neri.
Tra via nulla di notevole. Non si vide che qualche
sciacallo attraversar la via sotto i nostri occhi.
Alle 18 è già buio, e noi arriviamo davanti ai primi
tucul del paese.
Questo è come tutti gli altri paesi indigeni, un insieme di hedmò e di tucul, disposti senz'ordine, qua e
là. Non vi son vie nè piazze, nè mura, nè edifizi, nulla
che dia 1 aspetto di un vero paese. Gli hedmò sembran
tane di forma rettangolare coperte di paglia e di terra.
I capretti vi saltan su a pascolare l’erba che vi nasce.
I tucul, che sono in maggior numero, visti da lontano,
appariscono come tanti punti neri, come mucchi di cosa
annerita dal tempo.
Chi vuol farsi un’idea del tucul immagini un’ area
circolare del diametro di quattro o ciuque metri, più
0 meno, chiusa da una siepe lavorata in legno, alta,
due metri circa, e coperta esternamente di malta piuttosto resistente, o da un muro. Nel mezzo dell’ area
sorge un tronco d’albero, ben piantato, a cui si fanno
1® travi del tetto conico coperto di un’erba'
lunga lunga e fitta fitta. A motivo della pendenza massima del tetto non c’è caso che la pioggia penetri nell’interno, L’ uscio é piccolino in proporzione dei fabbricato e le finestre, se vi sono, han la forma di buchi.
In tale abitazione non si rifugia la notte, soltanto la
famiglia umana, ma eziandio il muletto o il ciuccio o
il ronzino, eziandio la pecora o la capra, eziandio i polli.
Non ti fai un’idea della sporcizia che c’è là dentro ;
non mancano gl’insetti, di tutte le specie.
Eppure in una di quelle tane ci toccò ripararci la
notte dagli animali feroci. Io non chiusi occhio. Mia
moglie, che giaceva sur una branda portata apposta
con due buoni guanciali di lana sotto il capo, a una
cert’ora senti punger,si da tutte le parti ; accese il lume,’
e non so dire quale fu il senso di ribrezzo provato nel
vedere tanti... animaletti ! B. Giudici
(continua)
i, LA PRIMA FieiRA?
■ Tu sei forse di quelli che gettano con facilità la
pietra contro il prossimo.
Davanti a te, volontariamente o involontariamente
tutti passano e tu distribuisci con autorità, a volta
a volta, la lode... ma soprattutto il biasimo.
Ecco un atto che tu non approvi, un’attitudine
che ti sembra dubbiosa, e di subito, dalla tua mano
febbrile, parte la pietra omicida : parole, atti, attitudini...
Io veggo che tu sei destro, in questo genere di
esercizio, poiché il colpo ha ferito, ha fatto sanguinare il cuore che tu hai colpito... e tu te ne vai
sorridente, ammantato nella tua dignità di magistrato che non ammette appello, felice del dovere
compiuto.
10 non ti dirò che una cosa : Hai tu qualche volta
considerato l’attitudine del Maestro ? E’ da lui che
hai ricevuto questo sacerdozio ? Ah I malgrado la tua
professione di fede, io dubito che tu nou Lo conosca
affatto. Cristiano in parole, pagano d’animo !
Lanciando la pietra, così per abitudine, si rischia
di colpire un innocente.
Del resto, ancorché vi fosse fallo vero, flagrante,
credi tu che la severità rialzi il colpevole ? Niente
affatto... l’amore solo lo rileva.
Tu lo vedi, il Maestro, egli stesso, pur essendo
senza peccato, perdona, e, invece di lanciare la pietra,
porge una mano fraterna.
Ora sei tu senza peccato ? e se tu pecchi, con
quale diritto schiacceresti colui che pecca come te ?
Ah ! egli é forse per comparire giusto agli occhi
degli uomini !
11 tuo compito di giudice, ti tiene luogo di santità ? Ipocrita, sepolcro imbiancato, orgoglioso....
questi severi epiteti non sarebbero meglio indirizzati a te stesso ?
Sii dunque severo per il male, ma indulgente per
il peccatore ; severo per te stesso, ma indulgente
per gli altri.
Lascia le pietre sulla strada e porgi a tutti, soprattutto ai peccatori, una mano fraterna.
(Vers la Paix di E. Soulié).
Tito Celli
Anonimi
Ci preme avvertire ohe, come ogni giornale fa, anche noi non pubblichiamo scritti d’anonimi. Se i nostri corrispondenti non intendono firmare col proprio nome, ricorrano a uno pseudonimo ; ma a noi
il loro nome dev’essere noto.
Certi articoli firmati che abbiam ricevuto non potranno esser pubblicati, perchè o scorretti, o troppoprolissi, o non confacenti all’indole del nostro periodico.
Abbiamo ricevuto una poesia discreta, ma è anonima I
Domenico Giocoli, gerente responsabile
Tipografìa deH’lstitutq Gould Via Marghera 2, Roma
7
LA LUCE
IL TRAMONTO DI ROMA
do
au
— Continuo io il suo ma. Ella vuol dirmi che qu
mio esempio mal s’attaglia al nostro oggetto. Ebbe
10 rispondo ch’esso quadra a capello. D’ogni tem
quando sì volle riformare la Chiesa, s’invocò il ritoi'
all’antico. E qui mi permettano un’osservazione,
bellezza, la forza e la sublimità delle cose tutte :
si trova nella loro vecchiaia, nè nella infanzia. Ques
come la vecchiezza, ha il suo bello ; ma la prima è
sole che spunta, la seconda è un sole che muore
culmine della bellezza si ha nel pieno meriggio
cose belle. Così avviene della pianta, dell’animale,
l’uomo, del giorno della vita, in breve, di tutte le c
Dovrebbe essere altrimenti della religione ? Certo
no. Essa segue il corso comune delle cose. Indah
cerchiamo la perfezione d\ lei nella sua infanzi
nella sua vecchiaia. Convien cercarla nella sua
ventò e nella sua piena virilità. Se volete rinnov
un vecchio cadente, fatelo tornare indietro, girati!
ruota del tempo a ritroso, riconducetelo alla primi
gioventù ! Riacquisterà la bellezza, la forza, la grais:
la vigoria dell’ingegno, la vita perfetta del corpo
dell’anima. Volete migliorate la religione? Fate
questa ritorni ai tempi gloriosi della sua balda
ventò.
— Allora i protestanti hanno colto nel giusto servò il Mellow.
— Sì, e no — rispose D. Ottavio. — Alcune chi
protestanti, a furia di tornare indietro, sono arriv
all’infanzia, cadendo con ciò nell’eccesso contrario
difetto che volevano correggere.
— Quando pensa Lei che la religione cristià
toccò l’apice della sua bellezza? — domandò D. S
ranzanì.
— Alla morte dell’ultimo degli Apostoli.
— Cioè, intorno all’anno cento dopo Cristo — n
D. Romani. — Così Ella in poco piò dì sessant’;
farebbe pervenire la religione al suo massimo
luppo.
— No, no : non intendo questo. Per me sviluppi^
bellezza non sono sinonimi : tutt’altro ! Se fossero t
la Chiesa non sarebbe ancora pervenuta al suo m
simo fiore o solo di recente, perchè, almeno fino al Ifl
essa continuò a svilupparsi e ad evolversi.
— Che cosa intende, dunque, per perfetta belle
e più bel fiore del cristianesimo ?
— Intendo quel periodo di tempo, piò o meno lun
quando il cristianesimo, giunto ormai alla perfezio
del proprio interno organismo, unì insieme la m
sima efficacia esterna, colla massima libertà indi
duale lasciata ai suoi seguaci. Quindi io esigo tre
perchè una religione possa dirsi e sia veramente
fetta: primo, ch’essa abbia conseguito lo sviluppo
senziale a sè proprio ; secondo, che spieghi in me
agli uomini la sua massima attività moralizzatri
terzo, che lasci allo stesso tempo all’individuo la
grande libertà, compatibile coi doveri e coi prec(
essenziali della religione. Ove manchi la prima
la religione sarà necessariamente imperfetta, anc
in fasce, e di scarsa efficacia morale ; se fa difettc*
seconda, la religione diventa inutile o quasi ; qua
poi venga meno la terza, essa si cambia in una
sopportabile tirannìa.
— Ed Ella crede — disse l’inglese — che il oris^
nesimo abbia posseduto queste tre doti alla morte
l’ultimo degli Apostoli ?
— Ne sono sicuro. Prima di tutto, il suo organisi
interno era perfetto, perchè possedeva tutta e inti
la rivelazione di Gesù Cristo, e la forma gerarci)
che meglio gli si confaceva. In secondo luogo,
ebbe allora la sua massima efficacia evangelizzati
avendo ridotto al Vangello vaste turbe di uomin i
tutte le nazioni, non con la spada o coll’autorità
principi come avvenne di poi, ma per pura v
interna della parola. Finalmente, il cristiano all
non s’impaniava come adesso in mille mazze di
cetti morali, di riti ecclesiastici, di comandamenti
Chiesa, di peccati veniali che gli hanno tolta in g
parte ogni onesta libertà.
— E allora — disse D. Romani — quid agendw
— Ritorniamo il cristianesimo ai suoi inizii ; in
parola, ringiovaniamolo, e tornerà ad avere nel mo:
l’antica efficacia.
— Il Papa non vuole che si tocchi — sciamò D.
ranzani.
— E sia ! Che c’importa di lui ? Sopra il P|
c’è Dio.
— Anzi la Chiesa, la collettività, i fedeli — aggii^
11 dott. Mellow.
— Così è — osservò D. Romani — il Papa è
Chiesa, non questa pel Papa.
— Anzi osservo un’altra cosa — notò D. Ottavi
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ciò è, che lo stesso organismo interno della Chiesa
è di natura sua ordinato al bene dei fedeli. Ove questo
venga a mancare quello diventa perfettamente inutile,
perchè, a trar dei conti, il fine della religione è uno
solo : < far gli uomini moralmente migliori >. Se il
cristianesimo non è piò capace di ottenere questo altissimo fine, tanto fa ch’esso sparisca dalla faccia della
terra. Ha fatto il suo tempo, è una inutile cianfrusaglia, o al piò, un balocco estetico pei giovani immaginosi e per le donne, o anche una specie di morfina
spirituale per attutire, non togliere, i dolori della povera umanità.
I tre amici lasciarono verso seraD. Ottavio,e fecero ritorno a Roma. Il loro colloquio col dotto sacerdote non
era stato inutile. Avevano almeno ben capito una cosa,
che, cioè, secondo la parola del Redentore : « Non si
mette il vin nuovo negli otri vecchi ». L’organismo
della Chiesa romana era il vecchio otre di cui parla
il Vangelo: ma il vin nuovo, che cosa era ? D. Ottavio
lo sapeva bene : ma essi ?
Nel crepuscolo vespertino palpitavano debolmente
gli ultimi raggi del sole che discendeva all’occaso. Le
ombre uscivano dalla terra ed oscuravano le cose tutte,
nè la mano dell’uomo aveva peranco accesa la luce
artificiale della civiltà. Quell’incerto chiarore, quelle
tenebre crescenti, quel desiderio di luce rappresenta
vano lo stato del loro spirito, e i fati del modernismo.
XXV.
La morte a Via Qiulia.
Non si more solo di dolore: anzi, spesso, è piò atta
ad uccìdere la gioia. Il Cardinal Turini morì, letteralmente, di piacere e di gaudio.
La sua vita, in apparenza, era passata tranquilla,
come un lago placido, sul quale non scorre mai fiato
di vento irato ; in realtà, era stata un oceano, quasi
sempre in tempesta. L’anima del Turini era un’anima
appassionata. Aveva amato ardentemente : aveva del
pari odiato con eguale ardore. Aveva sentito gli ec
citamenti dell’ ambizione, gli affanni del timore, la
voluttà del trionfo, la gioia del successo, l’ebbrezza
del fanatismo, l’aspettazione persino, del trono supremo. Ed ora quell’uomo dalle passioni ferfide e violenti, moriva letteralmentedalla gioia.
Egli amava con immenso affetto la sua Bice. Quella
cara creatura, nella quale si specchiava la natuja piò
bella e fiorente, stava in cima a tutti i suoi pensieri.
Eppure, per venti lunghi anni egli non aveva mai ardito di chiamarla col dolce nome di figlia. È vero :
glielo aveva mormorato molte volte questo caro nome
sopra 1 suo letticciuolo di bambina di pochi anni ;
ma, di poi, non ne ebbe piò il coraggio. Temeva di
tradirsi: dubitava del suo forte amore. Negli ultimi
anni si frenava dal baciarla, per timore dì spiegare
in un bacio da zio, tutto l’ardore da padre. Aveva paura
della sua cara figliuola.
Che cosa avrebbe detto essa al sapersi sua figlia ?
Avrebbe avuto orrore di luì? Avrebbe mantenuto il
segreto ? L’avrebbe continuato ad amare, almeno quale
zio, lui ohe essa non poteva riconoscere pubblicamente
qual padre ?
E poi, da tre anni a questa parte, egli aveva fatto
unadolorosascoperta.Lasua Bìce,cheegli tanto amava»
per la quale avrebbe dato volentieri la vita, non gli
voleva piò bene. Fra lui e la figlia, era sorto un muro
di divisione, prima, un nuovo amore, di poi.
La Bice aveva altre idee, mirava ad altri ideali, nutriva in cuore altri desiderii, ben diversi dai suoi.
Come il corpo della fanciulla si sviluppava nella bellezza della femminilità, così l’anima di lei, si apriva
ad una concezione della vita, troppo diversa dalla sua.
Quel bel fiore, dal fusto eretto, dal portamento elegante e nobile, dalla corolla bianco-rosata e piena di
profumi, chiedeva, col linguaggio potente della sua bellezza, aria, luce, ammirazione, amore. Ed egli, egoista,
lo voleva tener tutto per sè. Lo voleva mettere in un
angolo segreto del suo cuore, e ivi adorarlo privatamente; senza nè anche farglielo sentire, alla sfuggita,
come un ladro, come un prevaricatore. Qual meraviglia, se il fiore volse altrove il bello sguardo, e alitò
verso altre plaghe i suoi deliziosi profumi ?
D. Ottavio gli aveva rubato il cuore della sua Bice.
Ecco la peggior eresia di quel sacerdote. Ah ! egli lo
capiva ora. I.’aveva perseguitato, non tanto perchè
eretico, quanto perchè la Bice l'amava e si era allontanata da lui, da lui che aveva ogni diritto alla
bellezza, agli sguardi, ai sorrisi di quel bel fiore.
Ma ecco! D. Ottavio aveva rimediato a tutto. La
sua Bice, educata da lui, aveva sentito senza scandalizzarsi, senza provarne rossore di cui fosse figlia : e
D. Ottavio l’avéva scusato, difeso, reintegrato nella
storia della madre e della figlia. Aveva fatto dì più.
La Bice era stata esortata da lui ad amarlo, a mostrarglisi grata, a prodigargli tutte le tenerezze di cui era
capace. E la cara fanciulla, oh ! sì, era adesso tutta
mutata con lui. L’amava da vera figliuola, non più
da nipote ; l’amava con quell’amor tenero, intimo, dolce
che egli aveva tante volte desiderato da lei, ma sempre
indarno. Egli si sentiva felice, potentemente felice : e
questa sua felicità la doveva a D. Ottavio, tutta a lui,
e solamente a lui I
Sulla casa del cardinale Turini passava un soffio
di felicità. Egli pareva ringiovanito. La Bice gli rendeva la vita non pur gradevole, ma piena di gioia e
di oneste soddisfazioni. Per lui ella aveva il sorriso
più dolce, la parola più cara, il bacio piò ardente.
Aveva preso sopra di sè la cura della camera particolare del cardinale, e con questo motivo gli era sempre
vicina, bella, sorridente, amabile. Prima, essa temeva
e rispettava lo zio : ora essa amava il padre. Voleva
condensare nelle sue tenerezze. tutto l’amore che si
era adunato nel suo cuore figliale; pareva presentisse che il tempo era breve ; che da lontano sull’orizzonte balenava già la falce sanguigna della morte.
Come il cardinale aveva trovato la figlia, così la Bice
aveva scoperto il padre. La fanciulla non aveva saputo prima d’ora che cosa volesse dire amare il padre.
Ora il sapeva, e ne godeva intensamente. Era una esperienza nuova per lei, un esercizio nuovo delle sue facoltà amatorie, un nuovo campo alle attività del suo
spirito, ed essa vi si gettò dentro a capo fitto, con
tutta la foga e l’ardore amoroso dei suoi vent’anni.
Ella rese il cardinale felice, troppo felice.
In verità, senza pensarlo, essa fece morir di gioia
suo padre. In un cuor giovane si può gettar la gioia
a torrenti ; nel cuor di un vecchio bisogna lasciarla
cadere a stilla a stilla. La Bice non fu abbastanza prudente, e la morte rotò la sua inesorabile falce. Ma
prima di morire il cardinale potè godere tre mesi
d’intensa felicità.
Dal momento ch’egli seppe della bella azione usata
da D. Qttavio verso di lui, non cessò di metter in opra
ogni suo,influsso per reintegrare il sacerdote nel suo
onore e nei suoi diritti sacerdotali. Ma dovette presto
accorgersi, con infinito rammarico, quanto sia più facile demolire un buon nome che riedificarlo. Poi, il
cardinale era osteggiato da D. Ottavio stesso. Questi
non voleva fare nessuna ritrattazione, non voleva dare
nessuna promessa, non voleva prendere nessun impegno. Domandava solo due cose : di venir dichiarato
innocente dall’imputazione di esser lui uno degli autori dell’anti-enciclica, e di essere purgato della taccia
di modernista. Quanto al primo, non fu difficile
provare al Papa la verità dell’ asserzione ; ma rispetto alla seconda accusa, tutti gli sforzi del cardinale non approdarono a nulla. La logica, almeno
apparentemente, stava in favor del Papa contro D. Ottavio. — Se D. Ottavio non è modernista — diceva il
Pontefice — allora condanni il modernismo, predichi
e scriva contro di esso. Ma esca dalla neutralità, anzi,
cessi dalla sua amicizia pei caporioni della nefanda
eresia. To mi attengo al proverbio antico : c dimmi
con ohi pratichi e ti dirò chi sei ». Non hanno
ragione i buoni cattolici di reputarlo modernista,
quando Io veggono stretto in intima amicizia coi capi
della sètta ?
A questa proposta, l’anima altera di D. Ottavio si
ribellò fieramente. Si voleva da lui, non pure il rigettamento del modernismo, ma che si distaccasse da
amici, a sè cari, solo perchè questi tenevano opinioni
condannate dalla Chiesa. A questa pretesa, egli rispose con un fiero no. Volevano far di lui un ingrato, un giuda, un persecutore. Pretendevano non
pur di guidare e foggiare a loro posta il suo intelletto, ma di metter regola e freni al suo cuore. Ma
chi erano essi mai ? — È il Papa 1 — rispondeva il cardinale, cioè un Vice-Dio. — Vice-Dio ! O Eminenza,
non bestemmi 1 II Papa è un povero mortale, come
Lei, come me, come l’ultimo degli uomini. Non avviliamo con indegne comparazioni l’infinita maestà di
Dio! Il Papa ha diritto di suggerire agli uomini
l’esatta osservanza della legge di Dio : non ha nessun
diritto di aggiungere al Decalogo, ,in nome di Dio,
un solo comandamento; o meglio, lo può fare se il
vuole ; ma saranno sempre precetti umani, non ordinazioni divine.
(35)
{Continua).
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