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Anno 127 - n. 28
12 luglio 1991
L. 1.200
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delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
IL VATICANO E LE DONNE
L’INCERTEZZA DI FRONTE ALLA CRISI
Non c’è dialogo
Lacrime amare
Vedendo la lettera del papa in
difesa della vita, indirizzata ai
vescovi di tutto il mondo, mi
sono chiesta se si trattasse di
un ennesimo attacco alle donne.
Le donne sono citate esplicitamente due volte in questo testo: quando si parla della loro
diflicoltà, nel momento della
gravidanza non voluta, e sono
subito riassorbite nelTimmagine
della famiglia e quando si parla della Vergine Madre. Il livello simboUco del testo è interessante: il Dio Padre è la «fonte
amorosa di ogni vita » e Cristo
è « l’autore della vita », generato
però da questa Vergine Madre
di cui non si comprende bene
la funzione, dato che tutti i soggetti datori di vita sono identificati come soggetti maschili.
Questo latto non è di poco
conto in un testo che parla di
aborto: significa che ancora una
volta ci si rivolge agli uomini
(maschi) considerandoli i veri
soggetti di una decisione di vita o di morte, i veri agenti etici e materiali. Le donne sono in
questa vicenda quasi per accidente, un pezzetto dell’ingranaggio, ma chi decide sono gli uomini. Questa nulla considerazione della decisione lemminfie, come se le donne seguissero solo
degli impulsi fisici e non mettesserc? in gioco la loro etica
nella decisione di avere o non
avere un figlio, va a pesare ancora di più sulle donne e mostra quanto poco gli uomini siano in grado di sostenerle in un
cammino positivo rispetto a
questi temi.
Del resto uomini come quelli
che hanno scritto e ricevuto questa lettera si nascondono non
soltanto il fatto che può esistere un soggetto etico diverso da
loro e capace di affrontare un
cammino così doloroso come
quello dell’aborto o dell’eutanasia; si nascondono il fatto che
l’etica non può essere comandata, ma che è fatta dal nostro
stesso percorso di vita e dagli
ostacoli contro i quali andiamo
a sbattere e dalle relazioni che
ci sostengono.
Ma questi uomini si nascondono ancora la loro stessa posizione di potere sociale: come
se fossero assediati e minacciati da ciò che avviene nella società, queste gerarchie ecclesiastiche sanno reagire solo irrigidendo il loro controllo e il loro
potere sulla legislazione civile,
usando a questo scopo tutti i
loro mezzi: ospedali e cliniche
cattoliche, per esempio. Ma, ci
chiediamo, quanti ospedali statali e laici esistono nei paesi
del Sud, in Africa, Asia, America latina, o anche solo nel Sud
del nostro paese? Ben pochi, lo
sappiamo, anche grazie agli abusi della cosiddetta cooperazione
allo sviluppo dei nostri stati.
Ancora, nella lettera del papa, l’eutanasia è affiancata alla
pratica dell’aborto e alla denuncia dello « spegnersi della sensibilità morale nelle coscienze ».
Questo mi fa venire in mente
una parola molto nota di Bonhoeffer che denuncia la nostra
abitudine di chiamare in causa
Dio ai margini della vita, nei
momenti più difficili, per ignorarlo invece al centro della vita, quando la forza ci è data.
Una chiesa che non sa trovare
le vie, né morali né materiali
per sostenere la vita nel pieno
della sua forza, la vita di quanti soffrono la fame o l’oppres
sione o la persecuzione, riversa
il suo pesante senso di colpa sulle donne e sugli anziani, e usa
delle belle parole su Dio chiamato fonte di ogni vita non per
valorizzare ogni momento più
bello della vita ma per colpevolizzare chi daUa vita è stato
schiacciato.
Grave poi mi sembra Facoostamento di questa presa di posizione a quella della Rerum Novarum a fianco della classe operaia sfruttata. Grave perché vengono piegate delle parole e delle idee in una direzione piuttosto diversa; ad un’apertura delia chiesa aUe correnti di liberazione presenti allora nella società corrisponde oggi con questa presa di posizione ima regressione sociale. Si usano le
stesse parole (« i poveri del mondo... minacciati, disprezzati e oppressi... chi non ha voce »), staccate demagógicamente da una
analisi della società in cui questa lettera si inserisce.
Così non c’è posto per domande reciprocamente poste fra chi
sta nella società da credente e
chi ci sta da non credente. La
« sensibilità morale che si va
spegnendo » è motivo di una
semplice affermazione, non c’è
dialogo o ascolto nel confronti
della « coscienza morale » odierna, di come funzioni e quali siano i suoi fondamenti: siccome
non corrispondono più ai concetti di bene e di male elaborati nella tradizione cristiana, il
papa ritiene che non esistano.
E ancora una volta non c’è
dialogo con le donne e le loro
per la Jugoslavia
Trieste vive con angoscia questi giorni d’incertezza - Informazione e disinformazione - Come potrà nascere la futura «nuova Europa»?
Ciò che alcuni di noi paventavano da mesi è accaduto. La
Jugoslavia, sull'orlo di una guerra civile di paurose dimensioni
e dalle ripercussioni imprevedibili, si sta disgregando.
Chi vive, qui a Trieste e a Gorizia, Sul confine "più aperto
d’Europa”, lo sapeva benissimo.
E chi, su questa fascia orientale
d’Italia, ha più di cinquant’anni,
riscopre con angoscia che la storia può ripetere il suo mostruoso
copione di odio, sangue, nazionalismo, e follia.
Dove è finita la
professionalità?
Letizia Tomassone
(continua a pag. 4)
Da poche ore sono cessati i
combattimenti e si è instaurata
una fragile tregua mentre cominciano a farsi più sfumati i toni
della propaganda di parte e più
attente e precise le analisi dei
commentatori internazionali e
della stampa.
Per una settimana abbiamo
comunque vissuto — ancora una
volta — la kermesse della disinformazione e lo spettacolo della
guerra in diretta.
Una miriade di giornalisti ed
inviati — o supposti tali — ci
ha bombardato di "notizie”
confuse, contraddittorie, false e,
spesso, anche stupide. C’è da
chiedersi che fine abbia fatto
la professionalità in questo tempo di informazione di massa
dove chiunque è in grado di far
passare, nelle zone calde, un foglietto di carta o una voce per
una notizia; dove sia finita l'attendibilità e la credibilità di giornalisti e giornali. Scrivere e parlare comunque, mostrare a tutti
i costi immagini, magari sempre
le stesse, tenere toni e atteggiamenti catastrofici ed allarmistici senza rendersi conto che prc>
prio chi ha la grande responsabilità di informare non può e non
deve agire con la leggerezza delrartista di varietà che recita a
soggetto.
Seguire il magistero
di Gesù Cristo
Forse bisognerà cominciare a
imparare a difendersi dalle overdosi di ’’informazione”, a ragionare, a far riferimento — per
noi credenti — nelle valutazioni
politiche, anche quelle a caldo.
IL DOVERE DELLA TESTIMONIANZA
Patto e misericordia
« O Eterno, Etóo d’Israele ! Non v’è Dio che sia
simile a te né lassù in cielo, né quaggiù in terra!
Tu mantieni il patto e la misericordia verso i tuoi
servi che camminano in tua presenza con tutto il
cuor loro...» (I Re 8: 23).
In questi giorni pensiamo alla tragedia della
Jugoslavia: una nazione che si sfalda ai nostri confini, travolgendo uomini, donne, bambini, anziani.
Riemergono problemi antichi, il cui intreccio ci
sfugge; riemerge la « questione balcanica », dal suono sinistro per l'intera Europa. Siamo, con tutta
probabilità, solo all’inizio di un dramma le cui
ripercussioni non tarderanno a farsi sentire anche
da noi e in altri paesi europei. Quella jugoslava
rischia inoltre di essere solo una parabola della
crisi che potrebbe esplodere nell'Unione Sovietica
e i cui segni premonitori si sono già fatti sentire.
Questa crisi, come altre simili, in altre parti del
mondo, non giunge inaspettata. Venuta meno la
figura carismatica del maresciallo Tito, svuotata di significato l’ideologia socialista, sono venuti a mancare i due elementi essenziali che
tenevano unite le repubbliche jugoslave; i nazionalismi latenti, le rivendicazioni egoistiche,
ma anche la sete di giustizia, compressi per anni,
esplodono oggi in modo incontrollato ed incontrollabile. Non so che cosa si possa fare per giungere ad una soluzione; mi auguro che i politici riescano ad elaborare un progetto valido che scongiuri
un aggravarsi della situazione ed un suo estendersi
a macchia d'olio.
Come chiesa non credo che abbiamo in tasca
alcuna soluzione: possiamo esprimere la solidarietà con i fratelli e le sorelle della Jugoslavia, ricor
all’insuperato magistero di Gesù
Cristo. Senza distacco ma con
la passione di chi, in questa come
in altre vicende, ha imparato
dallo Spirito di Dio che la violenza, la guerra, il razzismo, l’egoismo non possono essere le basi
sulle quali si costruisce la nascita delle nazioni, Fautodeterminazione dei popoli, la speranza di
maggior giustizia, il futuro della
società.
Se questa non sarà la nostra
diversità e la nostra testimonianza, come singoli credenti e come
chiese, non ci distingueremo in
nulla e per nulla dagli altri, con
le loro mille ragioni tutte esatte,
perfette e spesso diametralmente
opposte.
Ma noi viviamo nel mondo e
la nostra partecipazione dev’essere autentica e completa.
Gesù pianse guardando Gerusalemme. E anche noi piangiamo. E le nostre lacrime cadono
sulle parole di Paolo ai Galati;
« Perché, fratelli, voi siete stati
chiamati a libertà, soltanto non
fate della libertà un’occasione
alla carne. Ma per mezzo dell’amore servite gli imi agli altri... Ma se vi mordete e divorate
gli uni gli altri, ^ardate di noti
essere consumati gli uni dagli
altri ».
L’Europa
che dimentica
dandoci che ci sono in quella nazione delle chiese
a noi vicine.
In due momenti critici della storia d'Israele (la
successione al trono di Davide e la ripresa dopo
l’esilio in Babilonia - cfr. Nehemia 1) i profeti ricordano due termini: patto e misericordia (in
ebraico chesed). Non il « patto » solo, ma anche la
misericordia, come se questa ne fosse la sostanza
profonda, l’anima. Un patto può essere stipulato
sulla base di diversi motivi: convenienza, interesse,
paura, ecc. Ma, venute meno le cause esterne, il
patto si svuota di senso, decade. Fondato sulla
«misericordia», cioè l'amore che si dona, esso resiste alle crisi, dura nel tempo, diventa un terreno
che permette lo sviluppo armonioso della vita.
Questo è il patto di Dio con Israele che permette, in due tornanti della sua storia, la continuità o
addirittura la ripresa dell’esistenza.
Per la misericordia del Signore, anche noi siamo
entrati con Gesù Cristo in questo patto (che perciò chiamiamo «nuovo patto»). Certo, queste osservazioni non risolvono la questione jugoslava. Ma
anche le nostre chiese stanno insieme per un «patto », stipulato reciprocamente in tutta libertà e in
obbedienza a quel patto di Dio. Se dovessimo permettere che criteri di convenienza, potere, particolarismi, egoismi entrassero a far parte del nostro patto, forse anche noi andremmo incontro ad
una « balcanizzazione » dei nostri problemi. Da qui
l'esortazione del profeta a « camminare alla presenza di Dio con tutto il cuore ».
Noi non possiamo risolvere la questione jugoslava; però possiamo testimoniare nel concreto delle nostre storie che è possibile vivere un patto, la
cui anima profonda è data dalla misericordia.
Luciano Deodato
Sono lacrime amare non solo
per la Jugoslavia oggi, ma per
un’Europa che pare voler nascere dimenticando che nei suoi
confini politici e geografici ci
sono povertà, ingiustizia, odi
razziali e religiosi, sacche di autoritarismo, problemi tutti da
affrontare e da risolvere.
Se la nostra risposta sarà
l’esportare e l’imporre il modello di un sistema lasciato alla
mercé di quella che chiamiamo
eufemisticamente ”la libertà dei
mercati”, allora dobbiamo sapere fin da oggi, in ogni angolo di
questo vecchio continente ma
anche altrove, che si creeranno
milioni e milioni di situazioni
di nuove povertà tra i soggetti
più indifesi — vecchi, bambini,
ammalati, donne, disoccupati,,
giovani — che saranno tante
mine vaganti messe sul cammino
di chi ha deciso di impostare il
futuro non sulla condivisione e
la solidarietà ma sull’egoismo
economico e nazionale.
Dobbiamo sapere che quest’Europa che ci viene prospettata sarà un’Europa di parte che
nascerà male, che ripeterà antichi errori, che sarà destinata
a frantumarsi con violenza un
domani così come oggi si sta
frantumando la Repubblica federativa di Jugoslavia.
Claudio H. Martelli
ter
2
commenti e dibattiti
12 luglio 1991
FINANZIAMENTI ECCLESIASTICI
L’INTESA NON E’ UN FETICCIO
P6r un sistema nuovo 9ran rifiuto
Non possiamo permettere che i soldi ci dividano - Attenti all’obbligo di fare qualcosa per giustificare i proventi dell’8 per mille
Sulla questione deH’S per mille, tra il ’sic et non’, credo che
sia stato detto più o meno
tutto. Senza entrare nel merito
diretto della questione, vorrei
esprimere alcune considerazioni:
a) le opinioni dell’una e dell’altra possibilità raccolgono entrambe un vasto consenso nella
nostra chiesa che ha visto una
larga e a volte appassionata partecipazione di tutti. Questo fatto evidenzia la validità e la serietà dell’una e dell’altra scelta,
entrambe meritevoli di rispetto
e attenzione. Quindi toni più o
meno ironici di reciproche accuse e condanne sono da escludere.
Abbiamo opinioni diverse e, a
parer mio, ugualmente rispettabili ma non dobbiamo essere
’spaccati’, come si usa dire oggi.
L'unità della nostra chiesa ha
ben altri fondamenti che questa
questione. Essa deve mantenere
carattere secondario davanti alla vocazione di testimonianza
che tutti ci unisce. Ridimensioniamo il problema e non permettiamo che i soldi ci dividano.
b) è noto a tutti che il proble^
ma non è accettare o meno i
soldi dello stato, da cui riceviamo già parecchi miliardi per la
gestione delle nostre opere e
anche per le spese in conto capitale (vedi gli ospedali). La
condizione è che tali opere siano aperte, senza discriminazioni,
a un servizio per il pubblico, in
base a precisi accordi bilaterali,
senza che per questo le nostre
opere perdano il loro legame
con la predicazione che dovrà
anzi essere accentuato e approfondito. I contributi statali sono
dunque un rimborso spese per
servizi effettivamente resi oppure, come ad esempio per le case
di riposo, una sovvenzione data
non all’istituto ma alla persona
assistita in base alle sue necessità; o una retta concordata per
gli ospiti degli istituti per mino
ri. Se riteniamo di avere le idee,
le forze e la capacità di allargare il nostro settore diaconale
per servizi nuovi e diversi, non
abbiamo bisogno di aspettare i
proventi dell’8 per mille. Se il
servizio risponde ad effettiva
necessità non è impossibile metterlo in atto con accordi precisi
con Comuni, USSL o Regioni.
Non è peraltro neppure impossibile, nel caso in cui accedessimo alla ripartizione dell’8 per
mille, di regolarne la gestione
in base agli stessi principi di correttezza che ci hanno finora guidati neH’utilizzo del pubblico
denaro. Se poi dovessimo avere
troppo denaro, il che non è impossibile raccogliendo i frutti
della fiducia che ormai molti
hanno nei nostri confronti — vedi offerte per gli interventi a
favore dei terremotati e le continue richieste da parte di estranei sul come fare per attribuire
a noi la quota prevista — possiamo sempre, dietro l'ottimo
suggerimento di Tullio Vinay,
aiutare i fratelli del Terzo Mondo.
I princìpi guida
Considero tuttavia pericoloso
trovarci in un certo modo nelTobbligo di dover fare "qualcosa”, investendo le nostre scarse
energie umane, in progetti di
servizio solo per giustificare i
proventi dell’8 per mille. Questo
vorrebbe dire sconvolgere im
principio che ha sempre guidato
la nostra azione diaconale: si
parte da una situazione di necessità, si abbozza un progetto, lo
si discute e lo si confronta anche
con la controparte pubblica e,
se è approvato, si cercano i finanziamenti e si stabiliscono i
dovuti accordi con gli enti competenti.
Quando questo processo è stato sovvertito, raramente i risultati sono stati positivi. Credo
che un chiaro dibattito sulla
nostra politica diaconale debba
precedere quello relativo al si
0 al no aH’8 per mille, che deve
essere, in ogni caso, secondario.
c) credo tuttavia che il vero
problema stia nel modo in cui
tutta la problematica è stata impostata, che cioè si tenti di operare un'"estensione ” a noi di
principi e metodi che ci sono
estranei (il principio concordatario). Ritengo utile avere anche
accordi finanziari con lo stato
e la prassi seguita nella diaconia
e le varie deliberazioni sinodali
fin qui espresse delineano, a
parer mio, un orientamento abbastanza chiaro che supera la
rigidità delle attuali Intese con
lo stato. Lo strumento deve però
essere sempre una "intesa” elaborata in modo autonomo e bilateralmente confrontata, secondo
1 nostri principi e non una semplice "estensione” di delibere
altrui. E’ possibile operare all'interno dell’8 per mille con
limiti e precisazioni (come hanno fatto gli avventisti e i pentecostali) oppure rifiutare tale
scelta a favore di un tetto più
alto di defiscalizzazione (come
ha fatto l'Unione delle comunità
eljraiche), oppure elaborare un
sistema completamente nuovo.
Il tempo per pensarci non
manca. In ogni caso la scadenza,
se non ricordo male, è la revisione della nostra Intesa, nel
1994. Anziché irrigidire il dibattito su 8 per mille sì o no, vi è
ancora spazio per una riflessione
generale che, accogliendo il principio di accordi finanziari con
lo stato, lo elabori nei termini
e nei modi compatibili con la
nostra ecclesiologia.
Alberto Taccia
La diaconia non è un lusso anzi è parte integrante della testimonianza e della vocazione
OTTO PER MILLE
Ben venga Solo per l’agàpe
Se potessi scrivere parole brevettate in favore delT8 per mille le scriverei.
Qui, in Italia, si fanno tanti
ragionamenti per avvalorare la
purezza evangelica che ci è stata catecluzzata da Alexandre Vinet e noi non pensiamo minimamente che la nostra chiesa sorella del Cantone di Vaud (zona del defunto Alexandre Vinet)
ha i pastori pagati dallo stato
e che i pastori sono dei magistrati dello stato di Vaud!
Quando questi pastori vengono da noi per servire nella chiesa italiana, questi sì che sono
degli eroi! Rinunciano al loro
non piccolo stipendio per assaporare le ristrettezze degli stipendi italici!
E alle molte Ville Olanda che
la chiesa gestisce, non ci vogliamo fare un pensierino?
Ma non sapete che il nostro
sarà un avvenire geriatrico?
Venga, venga l’8 per mille e diamoci da fare per sviluppare la
diaconia! Piuttosto dovremo studiare la tecnica per far conoscere questi nostri servizi in modo
che il cittadino italiano sia informato e dia alla chiesa evangelica (Federazione delle chiese
evangeliche) italiana il suo 8
per mille. Intanto i soldi ci occorrono; o vogliamo mandare i
nostri pastori a fare i frati cerconi nei paesi dove la Riforma
è passata?
Smettiamola di fare i frati
cerconi tra i nostri fratelli d’oltremare e d’oltralpe.
Guido Pagella
;b
Un rapporto diverso tra chiesa e stato - Il
nostro orgoglio anteposto alle sofferenze?
E’ la seconda volta che la dibattuta questione dell’8 per mille viene nel nostro giornale analizzata sulla base dell’agàpe.
La prima volta nel n. 31/’90,
la seconda, recentissima, nel n.
25/’91.
Due impostazioni non identiche, ma che entrambe in quella luce dicono « sì » all’accettazione della nota quota Irpef.
Sembra si possa comprendere
che, sia pure nell’amarezza di
quella iniqua legge concordataria creata unicamente per favorire la Chiesa cattolica, le ragioni del « sì » trovano conforto:
a) nel fatto che con le « Intese » anche da parte nostra è venuto a crearsi un rapporto tra
chiesa e stato (sia pure su basi
ben diverse da quelle concordatarie); b) che il rifiuto sic et
simpliciter da parte nostra dell’8
per mille è basato su una visione estremamente umana della questione, dimenticando totalmente l’insegnamento biblico
che dall’agàpe discende.
Non è questo un pizzico di
presunzione ed un completo rifiuto deH’umiltà? Mi pare che il
rifiuto dell’8 per mille con il
semplice « no » all’accettazione
da parte nostra non costituisca
una chiara ed attiva lotta a
quella impostazione concordataria; che il nostro assenteismo,
se totale, favorisca per una per
centuale la Chiesa cattolica; se
invece va a privilegiare lo stato sappiamo bene che inesoraDiimente una parte della nostra
tassazione si incanalerà in tangenti e/o in operazioni che quasi sempre non poggiano su di
una piena regolarità. Infine, sia
pure in parte nella diversa visione dell’utilizzo prospettato
dai due precitati articoli, non
1 ^ possa temere che anche la nostra chiesa possa abusare fraudolentemente di tali
fondi.
Sorge il dubbio che tale timore sia un ulteriore argomento
pretesto per cercare di avallare
tale rifiuto.
E proprio possibile che da
dopo aver tanto
combattuto perché l’agàpe della
croce, base del nostro credere,
sia la « realtà » del nostro modo
di agire, si dimentichi cosa è,
cosa vuole e deve essere l’agà
E’ proprio possibile che si arrivi così ad anteporre il nostro
orgoglio umano alle umane, tragiche sofferenze di coloro che
sotto ed anche non sotto alla
croce, aspettano e talvolta sperano che su loro cada una goccia di amore?
E l’amore, l’agape, non può
avere barriere.
Ugo Zeni
La Chiesa valdese, fin dalle sue
origini, per sopravvivere e per
mantenere il culto evangelico in
Italia, ha dovuto accettare delle erogazioni da parte delle chiese e delle nazioni protestanti
d’Europa. Anche la diaconia è
stata sovvenzionata dalle chiese
estere con fondi in parte di provenienza statale.
Nel dopoguerra si levò fra noi
una forte opposizione contro la
possibilità di fruire per le nostre opere dei pubblici contributi. Ma i nostri amici esteri
non riuscivano a capire i motivi
del nostro rifiuto.
Oggi si discute sulla questione dell’8 per mille e la si vorrebbe risolvere con la diaconia,
ma solo per il Terzo Mondo.
Ma anche nel Meridione ci sono delle sacche e dei problemi
da Terzo Mondo e corriamo il
rischio di non entrare nella Comunità europea perché considerati paese « in via di sviluppo ».
Quando a Palermo iniziammo
il nostro lavoro nel quartiere
della Noce dovevamo dare da
mangiare e vestire i fanciulli che
accorrevano nel nostro Centro.
Ma, dopo oltre un trentennio, la
situazione è cambiata: la nostra
diaconia oggi consiste nel proteggerli .e sottrarli all’infiuenza
della mafia che li strumentalizza per lo spaccio della droga e
la criminalità minorile. Le autorità responsabili sollecitano la
creazione di centri di accoglienza e il nostro è uno fra i pochi
esistenti.
La nostra diaconia non è un
di più o un lusso, o un’idea fis
sa di qualcuno, ma è parte integrante della nostra testimonianza cristiana e della nostra
.vocazione. Ma poiché non possiamo caricare sulle nostre povere comunità anche la diaconia,
dobbiamo avere l’umiltà e il coraggio di dire: « Da soli non ce
la facciamo, aiutateci, per amore di Dio! ». Di fronte al progressivo disimpegno delle chiese
estere, i nostri centri corrono
il rischio di chiudere ogni loro
attività con grave danno per chi
ne fruisce e per il personale che
vi è occupato.
Se rinunciamo alla diaconia
per non venir meno ai nostri
principi, non dovremmo accettare neppure i contributi che ci
vengono daH’esterc per il maxitenimento del culto. Così saremmo più coerenti.
Le nostre Intese con lo stato,
le nostre discipline ecclesiastiche non devono essere delle gabbie di ferro entro cui soffochiamo le nostre istituzioni. Dobbiamo compiere un atto di umiltà
e non pretendere di essere sempre i più bravi e di potere fare
sempre da maestri. Non mi sembra giusto che con le nostre
chiusure, coi nostri scrupoli, impediamo ai nostri membri di
chiesa, ai nostri simpatizzanti di
esercitare la loro preferenza nella destinazione deil’8 per mille.
Solo quando le nostre chiese
saranno in grado di provvedere
a tutte le spese per il mantenirnento del culto e per la diaconia, allora e solo allora potremo fare il gran rifiuto.
Pietro Valdo Panasela
COMUNICATO
Convegno
e corpo pastorale
agosto (ore 9-13, 15-17) avrà luogo a Torre
Penice, nell Aula_s^c^le, un convegno pastorale sul tema:
Pastorato
e formazione permanente
Il convegno, basato su un documento del prof. Ermanno
Genre inviato ai pastori lo scorso gennaio, sarà condotto
dal Coordinamento corpo pastorale (E. Genre, M. Bonafede,
M. Berutti) che ne curerà il programma nei dettagli.
e aperto alla partecipazione di quanti sono
mteressati. La partecipazione (pranzo) dei pastori e consorti
e a carico della Tavola.
Per venerdì 23 e sabato 24 è convocato il
Corpo pastorale
Venerdì 23 (ore 17,30-19)
C/Ommissione culto e liturgia; la liturgia di consacrazione pastorale (past. Gino Conte).
Sabato 24 (ore 9-13, 15-17,30)
— Esame di fede della candidata Teodora Tosatti.
Commissione consultiva per le relazioni ecumeniche'
documenti presentati al CP (sig.a Maria Sbaffi Girardet).
— Varie.
I pastori sono pregati di ritirare presso la Casa valdese
di Torre Pellice il materiale relativo alla riunione del CP a
partire dal 23 luglio.
Tutti i membri del CP sono caldamente invitati a partecipare sia al convegno che ai corpo pastorale. Le sedute
del CP, salvo particolari argomenti, sono aperte a tutti i
membri delle chiese valdesi e metodiste.
Il moderatore della Tavola valdese
Franco Giampiccoli
3
12 luglio 1991
vita delle chiese 3
RIESI: DIBATTITO SULL’OTTO PER MILLE
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Come essere chiesa? Gita alia Lausa
Il problema dei finanziamenti ecclesiastici ci obbliga a riflettere
sulla nostra ecclesiologia - Terzo Mondo anche nelle nostre città
«Io mi vergogno profondamente ad andare a chiedere soldi all’estero per mandare avanti le
nostre opere sociali, assistenziali
o culturali. Siamo cittadini del
quinto paese industrializzato del
mondo e membri di chiesa il
cui reddito è certamente superiore a quello della media degli
italiani. Vorrei poter dire ai nostri fratelli e sorelle occidentali
che ci aiutano con tanta generosità: ’’Questi soldi non dateli più
a noi ma dateli ai popoli del
Terz.o Mondo”. Insomma mi sentirei la coscienza più a posto
accettando l’8 per mille dell’IRPEF che non andando a collcttare all’estero... ». Così Piero
Trotta, avvocato a Palermo, nel
corso dii un dibattito a Riesi il
39 giugno ha puntualizzato la propria posizione di fronte ad una
cinquantina di persone raccolte
nella saletta valdese di via Paraci.
Il Consiglio di chiesa che ha
organizzato l'incontro, a distanza
di un mese dalla consegna della
denuncia dei redditi, intendeva,
come ha precisato Gino L’Abbate, « capire le ragioni dei sì e dei
no alla possibilità di diventare
destinatari come chiese dell'8
per mille dell’IRPEF ». Diciamo
subito che si sono sentite soprattutto le ragioni dei sì. In effetti,
almeno a Riesi, a livello di base
quasi nessuno s’oppone all’idea
di ricevere l’8 per mille purché
venga gestito, com’è nella tradizione valdese, con chiarezza; « E,
allora — dice Trotta — perché
non affittare la pagina di qualche
grande quotidiano italiano e pubblicare il bilancio di come si
spendono i soldi che i cittadini
ci affidano? ».
Secondo Trotta non dobbiamo
caratterizzarci sempre e soltanto
per essere contro tutto quello
che fa la chiesa cattolica, occorre riscoprire un nostro stile più
propositivo. Anche sulla questione delT8 per mille si tratta di
rifiutare sia l’effetto trascinanaento, ovvero incamerare i soldi non espressamente destinati,
sia di sviluppare una pubblicità ambigua per ’vendere meglio
il prodotto’. Viviamo già ampiamente di denaro pubblico grazie
alle convenzioni degli ospedali
e delle case di riposo. La strada
delle convenzioni indicata più
volte come la ’soluzione’ nel concreto risente di pressioni partitiche, patteggiamenti, compromessi.
Anche la defiscalizzazione —
secondo Trotta — non è un’alternativa all’8 per mille perché
finisce col sottrarre soldi allo
stato. « Il problema —conclude
Trotta — sta nel restituire alla
collettività in forma di servizi
gestiti con serietà, professionalità oltre che senso vocazionale,
il denaro che la collettività ci
affida. Le ragioni dei no all’8 per
mille si attestano, almeno per
il sottoscritto, al timore che cambi nel profondo il modo stesso
di essere chiesa ».
Prima che il Sinodo decida sulla scia del documento della Commissione, che questo giornale ha
pubblicato (molto a favore dei
sì) occorrerà aver chiaro dove
si vuole andare, diaconalmente
parlando. Decidere solo in forza
di un imperativo economico non
pare la strada migliore.
Mei dibattito a Riesi è rimbalzata anche la proposta di mediazione, ’’sub luce Christi” di Tullio
Vinay; accettare l’8 per mille
e destinarlo interamente ai popoli del Terzo Mondo. Si è notato
che il Terzo Mondo è anche presente nelle nostre città e campagne. Anche qui c’è gente che
muore nella miseria. Diamo pure
al Terzo Mondo ma nel quadro
di progetti che riguardano anche
le situazioni in Occidente. Finalménte potremmo finanziare progetti garantiti dal CEC evitando
INCONTRO DI COMUNITÀ’ RIFORMATE
Intorno al Bianco
AOSTA -La nostra comunità
e quella di Martigny (Svizzera)
sono state osipiti della Chiesa
riformata di Chamonix (Francia).
E’ questa una simpatica iniziativa che vede le nostre tre chiese
alternarsi nell’ospitalità. Un culto in francese, presieduto dai
tre pastori, uno spezzare il pane
della Cena del Signore nella
gioia e nella riconoscenza, im’agape fraterna, canti e tanta voglia
di sentirsi parte di una sola testimonianza di fede.
Le comunità riformate del
Monte Bianco sono ancora una
volta un po’ più vicine. Ma abbiamo la gioia di riconoscere che le
nostre radici, i nostri vincoli
sono molto più estesi, e vogliamo
quindi ricordare la presenza ad
Aosta dell’Unione femminile di
Pomaretto e poi ancora di im
gruppo di pastori e diaconi delle
comunità riformate di Losanna,
ed in ultìriio la gita della nostra
chiesa alle valli valdesi. Un fine
settimana dedicato a mettere a
fuoco ricordi di testimonianze
del passato quanto ad incontrarsi
con realtà del presente. Luoghi
ed eventi che fanno rivivere
momenti che forse non sapremmo più affrontare, ma che ci
spronano a riflessione ed a solidarietà.
Domenica 7 luglio abbiamo
avuto ancora due momenti importanti: il battesimo del piccolo Mattia Menegazzi e la riapertura estiva della chiesa di
Courmayeur con culto alle ore 18.
COLLE DELLA CROCE
58° incontro
Programma:
Ore 10,30: culto con S. Cena (pastori di Bobbio e Gap
e la partecipazione di un gruppo di animatori di Gap). Al
termine: « Uomini nuovi per un mondo nuovo, credenti nel
’’tutti uno in Cristo” » (prof. E. Canale, preside del Collegio). Pranzo al sacco.
Gruppo musicale diretto dal cap. Inniger.
Ore 14: interventi e riflessioni (A. Sibille e P. Rostan, di
Radio Beckwith, E. Sampoux, G. Rousseau con il suo gruppo
di animazione giovanile, G. Toum, P. Comba).
A seguire saluto del past. C. Mazel; la « renccntre » termina con il « Chant des adieux ».
di spedire ’cargo’ di biscotti ammuffiti o medicinali scaduti.
In conclusione la questione è
di estremo interesse, ma sia che
si dica sì oppure no nessuno
ritiene che sia in ballo il modo
stesso di essere chiesa. E se fosse vero il contrario?
Giuseppe Platone
VILLASECCA — Per la chiusura delle attività, l’unione femminile di Villasecca ha organizzato una gita alla Lausa, in bassa vai Germanasca. Oltre alle sorelle unioniste vi hanno partecipato amici, simpatizzanti e il pastore Ludwig Schneider, al quale
sono stati donati due volumi con
le « Confessioni di fede valdesi »
per ringraziarlo per il suo anno
di prova svolto nella comunità
di Villasecca.
• Il gruppo del viaggio a Gine
SCUOLA DOMENICALE
Vita in comune
PINEROLO — Úna ventina di
bambini della Scuola domenicale
ha vissuto, tra il 1° e il 7 luglio, un’esperienza di vita comune per tre giorni interi e due pomeriggi.
Seguiti con amore e fantasia
da un gruppo di mamme e nonne, si sono trovati per giocare
nel prato (dove era stata installata anche una piscina) e nel
giardino che circondano lo stabile di via dei Mille e per preparare recite, canti, oggetti vari,
mangiare insieme.
La comunità è stata informata
del programma di queste giornate, e una visita si poteva fare in
qualunque momento; ma siccome le cose nuove lasciano spesso
dei dubbi ai « benpensanti » quasi nessuno è venuto, a parte i genitori, che hanno poi partecipato
in massa alla cena e alla serata
conclusiva di venerdì.
Io sono andata a vedere cosa
facevano questi ragazzi, ed ho
fatto un’esperienza veramente
positiva e gioiosa di cui sono ri
conoscente. Il venerdì sera eravamo una bella famiglia seduta
al fresco sotto il pino, ed abbiamo consumato una cena coi flocchi. Poi abbiamo fatto un gioco
che coinvolgeva genitori e Agli:
raccogliere il maggior numero
possibile di caramelle che erano
state sparse nel prato. Il nucleo
familiare vincente ha ricevuto un
libro per ragazzi in premio.
Infine, nella sala, il « clou » di
queste giornate : i ragazzi ci hanno offerto tre recite e canti bellissimi, alcuni seri, altri pieni di
gioia, il tutto preparato quasi interamente in quei quattro giorni e mezzo in cui hanno anche
confezionato oggetti in legno,
perline, fiori secchi.
La maggior parte della comunità si è privata di un momento
di letizia e di comunione fraterna; speriamo che la volta prossima (perché i ragazzi intendono
proseguire nella strada intrapresa) qualcuno ci faccia su im pensiero. Ne sarà certamente arricchito. E. R.
COLLEGIO VALDESE
Corso di tedesco
Si è concluso con un incontro
con un gruppo di evangelici del
Baden, guidato da Susanne
Labsch, fino allo scorso anno
pastore in Torre Pellice, l’annuale corso di tedesco che il Collegio valdese organizza per adulti. In quattro mesi i 25 partecipanti hanno seguito un corso
sulle nozioni di base della lingua tedesca e sulle frasi elementari per affrontare un viaggio in
Germania. Divisi in due gruppi,
principianti e livello superiore,
ogni settimana hanno seguito le
lezioni della prof.sa Amalia Geymet che, con fotocopie e con
1 aiuto di un corso audiovisivo,
li ha messi in grado di poter
affrontare un primo approccio
con la realtà e la popolazione
tedesca. Gli allievi, di età e livelli molto diversi tra loro, han
no mostrato molto entusiasmo,
durante il corso, in cui vi era
un’atmosfera serena e cordiale,
e hanno affrontato il gruppo
della pastora Labsch con grande coraggio.
L’incontro finale, infatti, che a
fine maggio si è concluso alla
Foresteria valdese, ha permesso
di conoscere la realtà della immigrazione dall’Est che sta ponendo vari problemi agli occidentali. Notevole la testimonianza di due signore discendenti
della colonia tedesca del Volga,
ivi stanziata ai tempi della zarina Caterina, che hanno preferito ritornare dopo due secoli
nella loro patria d’origine.
Visto il successo si prevede di
riaprire il corso di tedesco già
in autunno con tre livelli.
Elio Canale
TESTIMONIANZA EVANGELICA VALDESE
Comunicato
In occasione del 15° anniversario della fondazione del
movimento di Testimonianza evangelica valdese, siamo invitati a riunirci a Luserna San Giovanni, domenica 11 agosto,
partecipando al culto nel tempio alle ore 10.
(dii aderenti e simpatizzanti saranno i benvenuti all’àgape
otterta nei locali della sala Albarin, gentilmente messi a disposizione. Per evidenti motivi di organizzazione è necesstirio
che coloro che desiderano partecipare si prenotino al più
presto e, comunque, non oltre il 31 luglio, versando una quota
di lire diecirnila. In seguito, chi vorrà fare un’offerta per le
spese sarà libero di farlo. Le prenotazioni possono essere
latte mediante il nostro c.c. postale n. 16552101 intestato a
Graziella Perrin, o presso la nostra sede di Torre Pellice o
presso le signore Gardiol, Perrin, Itala Beux.
I signori pastori che vorranno partecipare all’àgape saranno nostri graditi ospiti.
Alle 14, nei locali della stessa sala Albarin inizierà l’Assemblea plenaria, da cui ci attendiamo delle indicazioni per
il proseguimento della nostra testimonianza.
vra si è incontrato in una piacevole serata a scambiarsi impressioni e ricordi.
Matrimonio
ANGROGNA — Sabato 29 giugno si sono uniti in matrimonio
Paola Grand e René Gönnet. Dopo il matrimonio i due sposi, da
anni membri attivissimi del
Gruppo teatro Angrogna, hanno
voluto rappresentare, con gli altri membri del Gruppo, una scena di un matrimonio del secolo
scorso alle Valli che faceva parte dello spettacolo « La maciverica », portato sulle scene anni fa
con grande successo : un modo
simpatico di rivivere un momento significativo della loro storia
d’amore.
Il pastore Marchetti ha consegnato agli sposi la Bibbia a nome della nostra chiesa e in un
PnnTf augurato a
Paola e Rene e a tutti i presen
deifn « « trovare nella Parola
della Scrittura quelle parole che
aiutino a vivere sempre nella venta e nella sincerità degli uni
verso gli altri, perché solo
Sara possibile vivere davvero nel1 amore.
• Martedì 2 luglio, una folla
numerosa di parenti ed amici è
salita al tempio di Pradeltomo
per ^ partecipare ai funerali di
Enrico Long, deceduto dopo una
lunga e dolorosa malattia all’età
di 81 anni.
Alla moglie Margherita Gavdou, ai figli, alla nuora e alle nipoti esprimiamo la nostra solidarietà cristiana nella speranza
della risurrezione.
Benvenuto!
VXLXiAR PELLICE — Un benvenuto a MicheUe di Stefano Janpel e di Gabriella Mollard,
punta a rallegrare i suoi familiari, con l’augurio che la grazia
del Signore accompagni i componenti di questa famiglia.
• Si sono uniti in matrimonio
Eabnzio Crespo e Silvana Giovo,
ai quali rinnoviamo l’augurio che
l’insegnamento di Gesù Cristo sia
sempre il fondamento della loro
vita in comune.
• La sorella Rosina Bertinat,
ospite da alcuni anni della casa
Miramonti, ci ha lasciato all’età
di 88 anni; esprimiamo ancora
ai familiari la nostra simpatia.
Solidarietà
RORA’ — Dopo una lunga
malattia, combattuta fino alla fine con la fede nel Signore, ha
lasciato la vita terrena Marisa
Mourglia; al marito ed a tutti
i familiari la nostra fraterna solidarietà.
Nozze
SAN GERMANO — Sabato 6
luglio si sono uniti in matrimonio Riccardo Bertalmio e Patrizia Ferrerò; la corale si è stretta intorno al suo direttore per
manifestargli il suo affetto e la
partecipazione alla gioia degli
sposi.
PROTESTANTESIMO
IN TV
DOMENICA 14 LUGLIO
ore 23.30 circa - RAIDUE
Replica:
LUNEDI’ 22 LUGLIO
ore 9 circa - RAIDUE
In questo numero:
«LE CHIESE E
IL SUD AFRICA»;
«VIVERE IN CRISTO» ■
150 anni di testimonianza
a RIO MARINA
4
ecumenismo
12 luglio 1991
MORIJA (LESOTHO): 21® CONSIGLIO DELLA CEVAA
Una missione in prospettiva universale
Un confronto appassionato tra le chiese del Nord e del Sud del mondo - Il dialogo con l’IsIam e il dramma dei rifugiati - Solidarietà per le chiese africane che si sono schierate dalla parte dei popoli per la loro liberazione
Seguendo la consuetudine ben
radicata di tenere le proprie riunioni annuali alternativamente
in un paese del Sud e in uno
del Nord del mondo, il 21° Consiglio della CEVAA nel giugno
di quest’anno si è riunito nel
Centro evangelico di incontri a
Morij a, nel Lesotho.
L’accoglienza è stata ottima, e
non poteva essere altrimenti in
un’Africa in cui la cultura dell’ospitalità è ancora molto viva
e segue spesso cerimoniali complessi fatti di discorsi di benvenuto e di danze. A noi delegati
al Consiglio è poi capitato di
avere i lavori aperti addirittura
dal giovane re del Lesotho.
Per ragioni tecniche di orari
e date dei voli aerei quest’anno
i giorni di riunione sono stati
ridotti ad una settimana. Questo
ha causato qualche malumore
nei delegati, non tanto per le
lunghe ed intense sedute di lavoro, quanto piuttosto per la
mancata opportunità di dialogo,
di scambi, di riflessione in comune, che fanno del Consiglio
anche im po’ il forum in cui le
chiese membro della CEVAA
hanno Analmente la possibilità
di dialogare e di informarsi attraverso il canale della comunicazione orale, molto più consono al costume africano e tutto
sommato gradito anche a noi
europei.
Quest’anno i delegati compo
nenti il Consiglio, presenti a Mori j a, erano venticinque (13 dal
Sud e 12 dal Nord); ma con i
membri del segretariato, gli invitati e gli osservatori, le persone presenti alle sedute erano
una quarantina, e fra queste diversi erano i membri della Chiesa evangelica del Lesotho.
I lavori di un Consiglio
CEVAA sono imperniati sui rapporti del presidente e dei vari
segretari (segretario generale,
segretario allo scambio di persone, segretario all’informazione
e segretario alle finanze; è ancora vacante il posto di segretario
aH’animazione teologica) e così
è stato anche quest’anno; però
al centro dei lavori del Consiglio c’è stato un rapporto nuovo: quello sui risultati della valutazione della CEVAA, presentato da un’apposita commissione.
II lavoro di valutazione, durato più di un anno, condotto anche con rapporto di un’agenzia
di esperti, ha avuto come momento forte un’indagine capillare che ha coinvolto più di duemila persone nelle chiese membro. A Morija davanti al Consiglio stava la sintesi dell’elaborazione delle risposte ricevute.
A parte, in questa stessa pagina, è riprodotta la parte iniziale del documento conclusivo
del Consiglio che è ora affidato
allo studio delle chiese membro.
Sarà interessante vedere come
SCHEDA
Il Lesotho
Il Lesotho è uno stato dell’Africa meridionale, compietamente circondato dalla Repubblica sudafricana, che ha una
superfìcie di 30.335 km^
La capitale è Maseru, la popolazione è di 1.760.000 abitanti, basotho, di etnia bantu. Già
protettorato britannico, il Lesotho conseguì l’indipendenza
nel 1966; ora è una monarchia
costituzionale, il cui nuovo re,
Letsie III, è stato insediato nel
novembre 1990. Il paese è governato da un Consiglio militare, il cui presidente ha promesso al popolo il ritorno della democrazia con il ristabilimento
della Costituzione e con libere
elezioni nel 1992.
La terra è un bene nazionale
gestito dai capi in nome del re:
ogni famiglia riceve un pezzo di
terra da coltivare senza poter
acquistare. Il Lesotho vive grazie agli stipendi dei suoi emigrati, che lavorano nelle miniere
del Sud Africa.
L’attività economica principale è la pastorizia, che occupa il
65,9% del suolo (l’agricoltura occupa il 9,9%).
I cattolici sono il 43,5%, i protestanti il 29,8%, gli anglicani
l’ll,5%. Altre denominazioni arrivano all’8% e i culti animistici toccano il 6,2%. L’Evangelo
fu introdotto dai missionari della Società delle missioni di Parigi nel 1833.
La Chiesa evangelica è diventata autonoma nel 1964. E’ divisa in 12 distretti, uno dei quali è in Sud Africa; conta 125.000
membri, divisi in 100 parrocchie
con 71 pastori e 115 evangelisti.
L’attività della chiesa si esplica in campo ospedaliero (a Scott
e Tebellcng); scolastico (scuola
di teologia, scuola biblica, licei
e scuole elementari); editoriale
(tipografìa, casa editrice, pubblicazione del giornale Leselinyana).
Oggigiorno lavorano presso la
Chiesa evangelica, tra altri missionari, anche una decina di
« envoyés » della Cevaa, provenienti da Svizzera, Francia, Italia che sono pastori, insegnanti,
tipografi e contabili.
Laura Nisbet
reagiranno le chiese, compresa
la nostra! Risponderanno a questa aspettativa del Consiglio e
sapranno scambiarsi le proprie
riflessioni?
In effetti quello della comunicazione e del riscontro della riflessione in una prospettiva
CEVAA alla base delle chiese
membro è probabilmente il problema più serio, e se non viene
affrontato e risolto con il concorso di tutte le parti coinvolte
rischia di confinare tutta la bella avventura CEVAA in un « circolo per pochi affezionati ».
La valutazione ha toccato tutti
gli aspetti della vita, dell’attività, dell’crganizzazione e del funzionamento della CEVAA. A differenza di qualche altro argomento all’ordine del giorno, che
sembrava suscitare solo l’attenzione o degli europei o degli
africani, sulla valutazione c’è
stato un confronto serrato, a
volte appassionato, che ha coinvolto tutti e in cui sembrava di
avvertire forte lo spirito della
CEVAA: comunità di chiese in
missione nella prospettiva universale, non più in rapporto di
dipendenza di alcune da altre
(leggi: di quelle del Sud da quelle del Nord) ma in un rapporto di uguaglianza, di mutuo servizio e di condivisione.
E’ questa l’idea che ha guidato la CEVAA fin dall’inizio, e
quest’idea rimane ancora la meta valida verso cui tendere, cercando di liberarsi di alcune eredità del passato, che continuano
a determinare mentalità, stile di
lavoro, funzionamento e... fraintendimenti, sia nella stessa
CEVAA che nelle chiese ed organismi che ne fanno parte.
Il lavoro sui documenti della
valutazione non è stato l’unico
momento forte delle sedute del
Consiglio. Si sono avute discussioni più brevi, ma altrettanto
intense e coinvolgenti, su due
sfide che vedono oggi impegnate tutte le chiese della CEVAA,
con qualche rara eccezione, dovuta forse anche ad una presa
di coscienza non ancora matura. Si tratta del dialogo-confronto con l’Islam e della questione
bruciante dei migranti e rifugiati.
Due esempi su quest’ultimo
problema: la chiesa che ci ospitava ha decine di migliaia di
emigrati in Sud Africa, da anni
li segue da vicino ed ha ben
otto comunità nei luoghi dove
questi emigrati risiedono. Lo
Zambia ha centinaia di migliaia
di rifugiati dai paesi vicini; la
chiesa ha assunto come una delle sue priorità di lavoro l’assistere questi rifugiati, curarli, educarli e aiutarli a formare le loro comunità provvedendo alla formazione di evangelisti e pastori fra gli stessi rifugiati. Tutto ciò rappresenta un
peso enorme per quelle chiese,
eppure non si sono tirate indietro.
Nel Clonsiglio abbiamo appena
cominciato a discutere su questi temi e c’è ancora molta strada da fare, ma già in questo
primo approccio ci si è resi conto della specificità della CEVAA
rispetto ad altri raggruppamenti ecumenici. Qui infatti le chiese hanno il privilegio di affrontare insieme queste sfide, di condividere riflessioni ed esperienze
e di individuare le risposte, che
molto spesso — soprattutto nel
caso dei migranti e rifugiati —
devono vedere coinvolte insieme
due, tre chiese « che sono ai due
capi della situazione ».
Come è ormai consuetudine
nei lavori del Consiglio, anche
questa volta si è dedicata qualche ora alla formulazione di
messaggi diretti a diverse chiese
che si trovano in situazioni particolari.
Ricorrente nei messaggi è stata l’espressione di solidarietà
verso quelle chiese africane che
si sono schierate, non senza rischi, dalla parte dei loro popoli
nella lotta per la liberazione dalle dittature; in proposito c’è anche stato un messaggio rivolto
alla Federazione protestante di
Francia affinché quest’ultima
chieda al governo francese di
interrompere l’assistenza — ivi
compresa la fornitura di armi
riflessione su un tema che riecheggiava quello dell’Assemblea
del CEC a Canberra: vieni Spirito Santo, rinnovaci e liberaci.
Senz’ombra di arroganza, eppure in modo inquietante, ha posto a tutti noi alcune domande
sulla sincerità della nostra fede,
delle nostre preghiere, delle nostre aspettative, del senso della
DAL DOCUMENTO FINALE
Vivere insieme
il Cristo vivente
Dopo vent’anni di esistenza della CEVAA abbiamo preso
coscienza di un passato anteriore che rischia di ostacolare la
marcia della Comunità.
Mentalità ereditate dal passato coloniale si riattivano, favorite dal degrado dei rapporti Nord-Sud, soprattutto in campo
economico.
Molte chiese del Nord continuano a giocare il ruolo di quelle che aiutano, e molte chiese del Sud rimangono nel ruolo
di coloro che ricevono.
Queste mentalità rischiano di falsare le regole di vita della
Comunità nella quale non ci sono più chiese che danno e
chiese che ricevono, ma chiese che condividono quello che hanno ricevuto.
Negli anni 10 la CEVAA ha saputo cogliere le sfide del momento: integrare la missione nella chiesa; considerare l’Europa
come terra di missione; inventare nuove relazioni fra le chiese
del Nord e quelle del Sud; accompagnare la presa di coscienza
di una responsabilità missionaria comune e la speranza di nazioni indipendenti di conoscere lo sviluppo...
Saprà la CEVAA cogliere le sfide degli anni '90? Aiutare le
chiese a non ripiegarsi su se stesse e i cristiani a non sprofondare nell’individualismo e nella mancanza di speranza; testimoniare l’Evangelo in una società secolarizzata e pluriculturale;
lottare per i diritti delle persone minacciati dalle ideologie
consumiste e razziste, dalle migrazioni e dall’impoverimento...
al fine di confessare e vivere insieme il Cristo vivente.
— a quei governi che negano le
libertà democratiche e i diritti
umani ai loro popoli. Credo che
questa iniziativa di sollecito nei
confronti dei governi occidentali
riguardi anche noi in Italia.
I delegati africani, che una sera ci hanno riferito della, situazione drammatica nei loro paesi, hanno apprezzato questo tipo
di iniziativa, perché è uno di
quei segni capaci di dare corpo all’espressione di Paolo: « Se
un membro soffre, tutte le altre
membra soffrono con lui». Dal
momento che ci trovavamo nel
cuore dell’Africa australe, non
poteva mancare un messaggio al
Consiglio delle chiese del Sud
Africa, che si riuniva di lì a pochi giorni in un momento quanto mai diffìcile e carico di tensione per il paese.
Molta dì questa tensione fra
disperazione e speranza, fra paura e fiducia, fra odio e riconciliazione, fra resistenza ai cambiamenti e inevitabilità dei cambiamenti l’abbiamo sentita in
modo forte durante gli studi biblici condotti da un giovane sudafricano nero, nativo di Soweto.
Con passione e con profonda
spiritualità ci ha condotti nella
nostra missione nel mondo, in
quanto chiese che dicono di riconoscersi parte di una comunità evangelica di azione apostolica.
Nei membri del Consiglio, che
sulla via del ritorno avrebbero
dovuto affrontare il problema di
occupare la lunghissima attesa a
Johannesburg, era nato il proposito e la speranza di poter fare una visita alla comunità della township nella quale quel giovane fratello è pastore. Solo pochi fortunati delegati svizzeri
hanno potuto lasciare l’aeroporto e una di loro ha promesso
di scrivere un breve articolo per
il nostro giornale.
I meno fortunati fra noi si
sono accontentati di occupare le
interminabili sette ore all’aeroporto scambiandoci impressioni
sui lavori del Consiglio, sulla visita che abbiamo fatto alle opere della chiesa del Lesotho e
sulle informazioni ricevute da
chi in essa lavora.
L’anno prossimo il Consiglio
della CEVAA, accogliendo l’invito della Tavola, tornerà a riunirsi in Italia a distanza di undici
anni.
Bruno Tron
Non c’è dialogo
(segue da pag. 1)
ragioni, non si pensa che tutto
il nodo legato a gravidanza, sua
interruzione, prima infanzia, non
è un fatto astratto ma è strettamente connesso alle condizioni sociali in cui si vive, alle condizioni di violenza e di miseria
cui le donne sono costrette nel
mondo. Dunque, ancora una volta, invece di pensare ad una trasformazione della società nel
l’orizzonte di attesa del regno
di Dio, si è preferito schiacciare il capo alle donne e costringerle a mantenere la società così come si presenta oggi. Senso
di colpa che nasconde le possibilità della trasformazione e della libertà: questo in definitiva
mi sembra essere il programma della « nuova evangelizzazione », almeno come essa viene
presentata in questo documento.
Letìzia Tomassone
5
12 luglio 1991
obiettivo aperto 5
IL PESO DELLA STORIA
Jugoslavia ieri e oggi
La democratizzazione dell’Est si è innestata su una situazione che
era controllabile all’epoca di Tito e ora esplode inevitabilmente
Voler interpretare ciò che accade in questi giorni in Jugoslavia senza tener presenti gli ultimi
50 anni di storia è impossibile.
Quello che era stato per decenni
il sogno del maresciallo Tito, la
creazione di uno stato multietnico e multireligioso che desse consistenza unitaria al ventre molle
dei Baloani, naufraga oggi per il
risorgere dei fantasmi del nazionalismo aggravati da implicazioni economiche e culturali di
tipo nuovo.
Il processo di democratizzazione in corso in tutto l’Est europeo si è innescato, in Jugoslavia,
su una situazione che solo la capacità di un grande statista e di
un leader carismatico come Tito
aveva saputo tener sotto controllo per decenni. Infatti mentre le
repubbliche del nord — Slovenia
e Croazia —, anche a causa dei
profondi legami con le regioni
occidentali confinanti, hanno liquidato in pochi anni e in modo
democratico il partito unico e i
residui del collettivismo, ben diversa si presenta la situazione al
centro e nel sud del paese, dove
permangono forti il potere comunista e la tendenza al centralismo. La situazione è ancora più
grave nelle zone calde del Kossovo e della Macedonia, che da anni ormai costituiscono un problema drammatico per la Serbia.
L’incapacità di Belgrado, a livello locale e anche federale, di
cogliere i segni dei tempi è stata
tale da impedire non solo ogni
forma di realistico dialogo ma
anche da impedire il crearsi di
un nuovo nazionalismo serbo,
che si oppone al duplice nazionalismo di croati e sloveni. Sullo
sfondo tornano anche le divisioni
tra ortodossi e cattolici mentre
la divisione coinvolge profondamente la collettività islamica. Di
nuovo, dunque, come nel 1939 e
nel 1941, tutti contro tutti, in una
babele inestricabile di rivendicazioni che si frazionano in mille
nvoli nel mosaico in disfacimento della Repubblica federativa
socialista jugoslava. A nulla è val
so il rnarchingegno pensato da
Tito prima di morire e la rotazione annuale tra presidenti di
diversa nazionalità è stata impedita dai nazionalisti serbi che
hanno così messo in moto l’escalation.
Il plebiscito nazionale in Croazia e Slovenia, con il 90% di sì,
ha messo in luce il desiderio di
queste due popolazioni di percorrere una via diversa in direzione
di una Jugoslavia nella quale i
rapporti di forza e l’organizzazione statale fossero tali da gamntire in ogni momento la reale capacità di autogoverno delle singole repubbliche. Fin qui tutto
sembrava filare liscio, garantito
anzi proprio dall’unica struttura
unitaria apparentemente rimasta
efficiente, e cioè TArmata popolare.
A nord però i falchi di Zagabria, e soprattutto quelli di Lubiana, innescavano tutta una serie di apparentemente ingenue
provocazioni mentre ci si preparava ad agire premendo con forza su un distacco effettivo dal resto della Jugoslavia. In mancanza di un presidente {capo dello
stato), l’armata accettava incostituzionalmente ordini dal capo
del governo e si muoveva per respingere i gesti formali e sostanziali di sovranità dei croati e degli sloveni. Il confronto armato
tra le truppe federali — non più
di 10.000 uomini, quasi tutti di
leva — e la ben organizzata milizia territoriale slovena — più di
30.000 uomini altamente addestrati e fortemente motivati — si
risolveva in una serie infinita di
scaramucce e piccole battaglie
nelle quali i federali venivano
facilmente sopraffatti.
Lo scontro però ha messo in
luce come proprio quell’esercito
jugoslavo, modello speculare di
un paese unito pur nella diversità, si rivelasse del tutto impreparato e incapace di imporre ordine e senso della responsabilità
tra i vari contendenti. Si è poi
assistito anche al tentativo, non
del tutto esiaurito, di instaurazione di un’egemonia serba e conservatrice nei quadri di alto comando e intermedi delle forze armate, a cui la truppa ha risposto
con diserzioni e incertezze di ogni
genere. Risulta evidente che lo
scontro armato tra le milizie slovene e le unità federali non avrebbe potuto avere esiti diversi nel
quadro attuale. Se la situazione
politico-mil itane fosse stata un’altra, non c’è dubbio che l’armata
jugoslava avrebbe avuto la capacità di rispondere con estrema
durezza.
Il mancato o parziale uso di armi pesanti, dell’aviazione e della
marina, la mancanza di ordini
precisi e di un piano che prevedesse quanto è successo dimostra che, malgrado le colpe dei
generali, nessuno allo stato maggiore si aspettava quanto è accaduto. E’ stata così una battaglia
combattuta più che con i cannoni
con la chiusura delle linee elettriche, telefoniche e dei rubinetti
dell’acqua nelle installazioni militari; più con la cessazione dei
rifornimenti e dei viveri che con
le granate si è potuto isolare, di
fatto e psicologicamente, l’esercito federale. A nulla fortunatamente sono però servite le menzogne
della propaganda, usiata senza
scrupoli da tutte le parti, per sostenere di volta in volta, a seconda dei casi, o l’invasione straniera dal nord per motivare i soldati
serbi, o i bombardamenti su inermi popolazioni civili delle città
della Slovenia per mantenere vivo il clima di odio verso l’esercito federale.
Chi in questo caos ha dimostrato di avere più buon senso di
tutti sono stati proprio quei genitori, quelle mogli e fidanzate di
Belgrado che hanno invaso l’aula
del Parlamento chiedendo a gran
voce il ritorno a casa dei loro cari
che rischiavano di essere le vittime di un gioco crudele. Vedere
i pullman pieni di questa gente
in lacrime partire da Belgrado
per Lubiana e Zagabria dovrebbe
far riflettere sul cliché che vuole
DAL SECOLO SCORSO ALLA MORTE DI TITO
Attraverso i secoli...
Le vicende storiche jugoslave
sono legate nel bene e nel male,
lungo il corso del XIX secolo, alle vicende dei due imperi che in
quell’area si fronteggiavano da
secoli; l’Austria-Ungheria a nord,
l’impero ottomano a sud.
Serbi e montenegrini si rivoltarono all’inizio dell’800 e sotto
la guida dei Karageorgevic ottennero dapprima un’autonomia liniitata e poi, nel 1878 (Congresso
ni Berlino), l’indipendenza.
Con il grande scontro della pfitna guerra mondiale, preceduta
dalla guerra balcanica del 1912-13,
la Serbia si annetteva la Macedonia e, al trattato di pace, la Croazia (parte del Regno di Ungheria dal 1102), la Slovenia, l’Erzegovina.
Dal 1929 lo stato prende il no^e di Regno di Jugoslavia: è
fortemente centralizzato, in forgia di monarchia costituzionale,
dopo i risultati del plebiscito
non il quale le varie nazioni annesse decidono di confluirvi. Particolari autonomie vengono previste per croati, sloveni e montenegrini.
Moti nazionalistici, particolarmente forti nel sud, in Macedonia, destabilizzano però la siJ^^fpne. Quando nell’ottobre del
1934 il re Alessandro viene assas®mato da nazionalisti macedonica
Marsiglia si apre, per il Regno
di Jugoslavia, un periodo torbido
durante il quale l’alleanza tra
fascisti e nazionalisti croati si
oppone alla Serbia. Tutti contro tutti, comunisti compresi,
durante la reggenza in nome dell’undicenne erede al trono Alessandro, con enorme dispiegamento dell'apparato repressivo. In
questo contesto, nel 1937, si inserisce la questione religiosa, nata
dalla ferma opposizione ortodossa al concordato tra Jugoslavia e
Vaticano.
Allo scoppio della II guerra
mondiale, nel 1939, il paese proclama la sua neutralità, ma in seguito all’invasione italo-tedesca
della Grecia la Jugoslavia stringe
un patto di eterna amicizia con
l’Asse. Un colpo di stato e una
rivolta militare ripudiano l’alleanza con i nazi-fascisti, cosicché Germania e Italia invadono
la Jugoslavia. In Croazia si installa il governo fantoccio di Ante Pavelic con sovranità anche
sulla Bosnia e sull’Erzegovina e
le formazioni di ustascia massacrano centinaia di migliaia di serbi. La risposta serba si organizza attorno alle bande di guerriglieri cetnici sostenute dalla
Gran Bretagna, che rispondono
con altrettanti massacri della
popolazione del nord.
Nel 1941, dopo l’invasione te
desca della Russia, nasce il movimento di liberazione nazionale
sotto la guida del croato Josip
Broz, « Tito », e del partito comumsta. I cetnici passano dalla
parte dei nazi-fascisti e si schierano di fatto a fianco degli ustascia croati contro le truppe italiane e tedesche, pur continuando a combattere tra loro
Alla fine della guerra, fortemente sostenuta dai sovietici a
Yalta, nasce la Repubblica di Jugoslavia che si modella sulla Costituzione sovietica del ’36 l0 j.0
lazioni sovietico-jugoslave conoscono però un progressivo deterioramento e nel 1948 la Jugoslavia di Tito esce dai satelliti sovietici e rompe i legami con le
alleanze militari ed economiche
dell’Est.
Progressivamente, soffocando
qualunque tentativo di democratizzazione, la Jugoslavia, pur rimanendo strettamente comunista, si pone tra i paesi non-allineati divenendone uno dei leader
e proclamando la dottrina delle
vie nazionali al socialismo.
Alla inorte del maresciallo
Tito, inizia la disgregazione della Jugoslavia ed emergono allo
scoperto le rivalità nazionalistiche, aggravate dalla sperequazione tra il nord più ricco ed industrializzato e il sud più povero.
Luoiana: camion e bus per bloccare l'accesso all'esercito.
(Per gentile concessione del "Piccolo" di Trieste).
il popolo serbo guerrafondaio a
tutti i costi. Dovrebbe anche farci
riflettere l’orrenda figura del ministro della difesa sloveno che,
travestito da Rambo, in tuta mimetica e occhiali scuri, è apparso
in tutti questi giorni sugli schermi televisivi annunciando catastrofi fortunatamente almeno fino ad ora non accadute. Deve
fare anche riflettere il discorso
del vice-capo di stato maggiore
Adzic che, in un drammatico appello televisivo, dichiarava di non
capire il perché di,tanto odio verso l’armata federale, che non voleva la guerra e che ha eseguito
solo gli ordini ricevuti. Certo nella durezza della risposta di Adzic
non è estraneo il ricordo del suo
intero villaggio, dei suoi genitori
e dei suoi otto fratelli massacrati
dagli ustascia croati durante l’ultimo conflitto mondiale. Chi ha
giocato le sue carte a Lubiana
doveva prevederlo e capire che
una rivendicazione del tutto legittima poteva trovare altre vie
per affermarsi senza riproporre
scontri che risvegliano i fantasmi sanguinosi del passato. Questa era ed è la posizione dei partiti di opposizione sloveni.
Non era e non è ragionevolmente pensabile, infatti, che una Serbia umiliata, chiusa e circondata
dagli ex fratelli divenuti o ritornati nemici, possa sedersi al tavolo di una buona trattativa. Potrà esserle imposto di accettare
il fatto compiuto, potranno esserle rinfacciati tutti i suoi errori, passati e presenti, ma crediamo sinceramente che una simile
imposizione non sia una vittoria
politica ma solo lo spostare più
in là nel tempo lo sciogliersi di
un nodo di vitale importanza per
l’Europa, e cioè il futuro assetto
della Jugoslavia. Se è vero, com’è
incontestabile, che Slovenia e
Croazia hanno diritto di determinare il loro futuro, è anche vero
che la maggioranza di quelle popolazioni non è d’accordo confi
conflitto ma preferisce una ragionevole gradualità al bagno di sangue. Qualcuno dunque ha pensato, a nord come a sud, che due
o trecento morti potessero essere
un prezzo da pagare per accelerare il presente processo storico.
Probabilmente questo sarà il verdetto che emergerà a passioni
quietate. Mi diceva un amico, appartenente alla minoranza slove
na in Italia, senatore di Rifondazione comunista, che le colpe dei
serbi sono grandi ma, aggiungeva, è mostruoso il risorgere del
nazionalismo in Slovenia e Croazia.
A chi, come sempre, è pronto a
lanciare ogni tipo di critica sul
comportamento del governo italiano per suDDoste incertezze ed
errori in questa fase, bisogna far
presente che due paesi molto simili alla Jugoslavia, Polonia e Cecoslovacchia, sono stati assai più
cauti di noi ad attribuire torti e
ragioni. Essi sanno infatti assai
bene come l’Est sia una polveriera dove un solo fiammifero può
far saltare tutto e compromettere una democratizzazione ancora
fragile. Sanno bene come domani
Polonia e Cecoslovacchia potrebbero a loro volta disgregarsi per
il rinascere dei nazionalismi. E lo
sa bene anche l’Unione Sovietica, che vive sulla propria pelle simili situazioni. A chi plaude alla
determinazione e alla prontezza
nella scelta di campo di austriaci
e tedeschi va ricordato che Slovenia e Croazia possono costituire ulteriore territorio di conquista per il forte marco e il suo
vassallo scellino e che un pangermanismo, sia pure economico, è
un rischio che l’Europa deve evitare.
Venga dunque il tempo della ragione, prevalga la politica — quella vera e non la demagogia — e
la trattativa con sullo sfondo una
visione dell’Europa che nei suoi
confini geografici, culturali, ideali
non si limiti all’Qccidente ma
comprenda tutti i popoli del vecchio continente veramente stanco
di guerre, ingiustizie, oppressioni
e nazionalismi. In questo quadro
anche la Serbia e la Macedonia
sono Europa, come la Bulgaria e
la Romania, e non solo la Francia
e la Danimarca. Ricordiamocelo e
ricordiamolo ai razzisti e ai nazionalisti di ogni paese che, in
nome di una falsità ideologica
questa sì senza confini, sono disposti a giurare e spergiurare che
al di sopra di im certo grado di
latitudine c’è solo gente onesta,
seria, lavoratrice, colta e democratica — i migliori insomma —
e sotto tale grado di latitudine ci
sono solo i fannulloni, i mafiosi, i
violenti e i totalitari.
Claudio H. Martelli
SCHEDA
Nazionalità,
lingua, religione
La Jugoslavia è un puzzle di popoli e di lingue. Non esiste infatti
una lingua nazionale ma un pluralismo linguistico anche a livello
ufficiale.
Il principale ceppo linguistico è
il serbo-croato, che si suddivide
in tre dialetti. Seguono lo sloveno e il macedone. Sono parlati anche, da consistenti minoranze, l'albanese, l'italiano, il rumeno, l’ungherese, Il tedesco, ecc.
Tre sono le religioni prevalenti:
ortodossa (serbi, macedoni, minoranze a sud), cattolico-romana (sloveni e croati), musulmana (a sud).
Scarsa la presenza protestante,
concentrata sui residui storici del
luteranesimo a nord — dove ci
sono anche presenze riformate —
e appartenenti alla Chiesa metodista unita (circa 100 comunità, concentrate soprattutto in Macedonia
e in Erzegovina) e alle nuove chiese di tipo pentecostale, sorte un
po’ dovunque nell’ultimo decennio.
6
valli valdesi
12 luglio 1991
REGIONE PIEMONTE
Grave carenza
T, , , di infermieri
L ambulanza
_ IV In estate presenze in corsia ridotte al
e l assessore
Domenica 7 luglio, alla festa
della Croce Rossa (CR) di Torre
Penice, è stata presentata (dia
popolazione una nuova autoambulanza dotata di tutti gli strumenti per il soccorso d'urgenza e
la rianimazione. E’ costata 136
milioni, tutti aderti dalla gente
alla locale sezione della Croce
Rossa, che da tempo aveva tra i
suoi obiettivi quello dell’acquisto
di questo mezzo.
L’ambulanza non potrà essere
usata perché « il progetto delrUSSL 43 è del tutto avulso da
ogni forma di programmazione
regionale e nazionale », come scrive l’assessore regionale Eugenio
Maccari in una lettera del 27 giugno scorso, trasmessa via fax all’USSL 43 solo il 6 luglio alle 8
del mattino, quando era impossibile bloccare la festa di inaugurazione del nuovo servizio.
La gente accorsa per la festa
ha salacemente commentato la
decisione dell’assessore regionale
e si è aperto un ennesimo scontro tra quest’ultimo e i responsabili dell’USSL 43. Uno scontro
fatto di interpretazioni delle leggi. Per Maccari la convenzione
tra l’USSL e la CR per l’utilizzo
dell’ambulanza è in contrasto con
le leggi sanitarie e regionali che
regolano il soccorso d’urgenza e
che affidano al DEA (Dipartimento di emergenza e accettazione)
di Pinerolo il compito di organizzare tale servizio. Per il coordinatore sanitario dell’USSL Giovanni Rissone il progetto di soccorso urgente era stato deliberato
dalTUSSL nel 1985 e successivamente approvato dalla Regione
ed inoltre risponde alle delibere
del 1986 del DEA di Pinerolo.
Nell'attesa che venga chiarito
chi ha ragione secondo le leggi,
vogliamo osservare:
1) è sconcertante che si sia
atteso il giorno prima dell’inaugurazione per dire che la convenzione con la Croce Rossa era
sbagliata. Possibile che l’assessore regionale non potesse telefonare la sua posizione al presidente
dell’USSL o al manager neoassunto, invece di affidare il tutto ad
un fax dell’ultima ora?
2) i volontari della Croce Rossa che da anni, gratuitamente e
per spirito di solidarietà, si prodigano giorno e notte per il soccorso non meritano di essere
considerati solo in modo burocratico dall’assessore. Se la sanità
funziona in vai Pellice meglio che
altrove, lo si deve anche al volontariato della Croce Rossa. Se
tra i volontari della Croce Rossa
ci sono anche medici e infermieri,
con titoli ed esperienza per eseguire il soccorso d’urgenza e che
lo fanno gratuitamente, bisognerebbe dar loro un encomio, anziché impedirne il lavoro volontario;
3) il rinvio al DEA di Pinerolo è giusto, ma non si può
dimenticare che per anni nel cortile del DEA è stata parcheggiata
e inutilizzata un’ambulanza simile a quella acquistata dalla CR di
Torre e che, alla fine, è stata assegnata alla Croce Verde per un
suo utilizzo almeno come trasporto degli infermi, stante l’incapacità del DEA di dotarla di personale in grado di utilizzarla.
Può succedere che là dove l'amministrazione e la burocrazia non
riescono, il volontariato e la solidarietà facciano le cose che dovrebbe fare il pubblico. Bisognerebbe aver l’umiltà di riconoscerlo e non mettere i bastoni tra le
ruote a chi fa.
Può darsi che chi fa non segua
tutte le procedure, ma in campo
di soccorso sanitario chi non fa,
fa danni ben più gravi.
Giorgio Cardio]
La carenza di infermieri professionali in Piemonte ha raggiunto livelli di eccezionale gravità; durante il prossimo periodo estivo, secondo i dati raccolti dallo stesso assessorato alla Sanità, si prevedono « presenze in corsia » non superiori al
50% rispetto al reale fabbisogno,
circostanza che presuppone un
drastico ridimensionamento' e addirittura la chiusura di interi
reparti ospedalieri; neH’intera
provincia di Torino, che rispetto
alle altre risente maggiormente
del fenomeno, le presenze raggiungeranno appena le 2.300 unità sulle 5.240 previste.
Per cercare di affrontare una
situazione difficile ds tempo era
stato decise il potenziamento degli organici degli ausiliari sociosanitari al fine di recuperare infermieri alle mansioni loro proprie, ed' è stato inventato « l’amministrativo di reparto », liberando personale sanitario da incombenze burocratiche.
Inoltre, ad una capillare campagna promozionale ed informativa sulle professioni infermieristiche aveva fatto seguito un
massiccio ampliamento delle
scuole che aveva consentito in
un triennio di triplicare i posti
disponibili e dunque gli iscritti.
L’assessore regionale Maccari
aveva anche portato nei giorni
scorsi aU’apprcvazione della
giunta due deliberazioni di importanza determinante che si ponevano nell’ottica di tamponare
il pericolo di chiusura di interi
reparti (sull’esempio della Regione Emilia Romagna) che sono state bocciate, per motivi meramente formali, dal commissario di governo, circostanza che
ha determinato un immediato ricorso agli organi di controllo ed
Escursioni estive
Gli alpini del battaglione « Susa », di stanza a Pinerolo, rinforzati da xm distaccamento di cugini « chasseurs des Alpes » francesi hanno effettuato sulle montagne della vai Pellice le tradizionali escursioni estive.
Accampate inizialmente in alta
vai di Susa, le compagnie del
battaglione hanno iniziato i loro
trasferimenti in vai Varaita dopo aver scavalcato le valli Chisone, Germanasca, Pellice e Po,
percorrendo a piedi circa 150 km
e superando im totale di più di
10.0(X) metri di dislivello.
Gli alpini hanno compiuto anche ascensioni alpinistiche a cime di rilievo. La 133» compagnia
mortai, partita dal campo base
di Novalesa, dopo aver pernottato in quota presso il rifugio Cà
d’Asti, ha conquistato il Rocciamelone (m. 3538).
La 35» e la 36» compagnia alpini, invece, sono salite sulla Fea
MOBILIFICIO
esposizione e laboratorio :
via S. Secondo, 38 ■ tei. (0121) 201712
(di fronte alla caserma alpini)
ABBADIA ALPINA - PINEROLO
VALLI CHISONE E GERMANASCA
Provincia alpina
Nuove possibilità per la montagna fra turismo, industria e collaborazione con la Francia
al prefetto. In particolare il prefetto ha manifestato di condividere le preoccupazioni della
Regione anche nella parte riguardante la copertura di posti
vacanti « mediante il ricorso a
modalità diverse da quelle del
rapporto di pubblico impiego ».
Verranno dunque riproposte
delle delibere che consentiranno,
secondo le previsioni, l’immediata copertura dei «vuoti infermieristici » più gravi: l’obiettivo è
quello di consentire alle USSL
di stipulare, fin da subito, convenzioni « a termine » sia con
cooperative di servizi infermieristici, sia con singoli infermieri professionali, purché regolarmente iscritti all’albo, che non
abbiano alcun rapporto di pubblica dipendenza.
Alla fine di luglio dovrebbero
comunque diplomarsi oltre 900
giovani, circa un terzo degli'
iscritti nell’anno ’88/89, tuttavia
tutte le USSL segnalano una carenza rispetto ai posti in pianta
organica; il fenomeno vale ovviamente anche per il Pinerolese dove la USSL 44 su 207 posti ne ha 76 vacanti, la USSL 42
manca di 3 infermieri su 16 e
la 43 di 1 su 20.
Questa ormai cronica situazione ha riscontro anche negli ospedali valdesi di Torre Pellice?
« La situazione, pur non ottimale — dice il dott. Andrea Ribet della CIOV — è sicuramente
migliore che altrove. Se consideriamo i posti effettivamente coperti rispetto alla pianta organica tra caposala, responsabili dei
servizi, infermieri professionali e
generici, a Torre Pellice superiamo il 70% ; meno buona la situazione a Pomaretto, dove siamo a
circa il 55% dei posti in pianta
organica ».
ALPINI DEL ”SUSA”
Nera (2946 m.), sul Bric Rosso
(3026 m.) e sulla Punta Udine
(3(^ m.) portando al proprio seguito anche un plotone di « chasseurs des Alpes ».
Una novità dei campi estivi
di quest’anno è stata l’assenza
dei tradizionali muli e la comparsa, quali sostituti dei fedeli quadrupedi, dei nuovi motocarrelli
da montagna, che hanno suscitato un po’ di stupore nei nostri
valligiani.
Le escursioni, allo scopo di sottolineare gli stretti vincoli di amicizia e solidarietà fra gli alpini
e la popolazione locale, sono state completate anche da attmtà
di carattere sociale, come, ad
esempio, gli incontri con le autorità civili locali, i rappresentanti
dell’Associazione nazionale alpini
e i concerti del coro e della fanfara di brigata esibitisi a Pragelato e a Bibiana con notevole successo di pubblico.
Nell’ultima seduta del consiglio della Comunità prima del
periodo di ferie, che ha avuto
luogo il 7 luglio, è tornata alla
ribalta la questione della provincia alpina che, per quanto se
ne discuta, rimane sempre ancora nei confini delle ipotesi.
Prima di questo argomento il
presidente Ribet ha illustrato
un’altra opportunità che viene
offerta alle nostre valli di allargamento degli orizzonti ad una
realtà intemazionale: si tratta
della costituzione di un’associazione italo-francese che prende
il nome dagli Escartons, antica
denominazione di territori che
si estendevano, oltre che nella
vai Pragelato, nel Briangonnais
e nell’alta valle di Susa.
Unendo a queste zone le valli
valdesi, si ottiene un complesso
abbastanza omogeneo per cultura e tradizioni, che ora sta prendendo forma anche come ente
riconosciuto nell’ambito CEE,
quindi con possibilità di gestione economica di contributi.
L’apertura delle frontiere favorirà chi sarà riuscito a predisporre progetti concreti e in questo campo i francesi partono con
un buon ^ vantaggio dovuto alla
possibilità di usufmire di una
legge specifica per la montagna
e ad una maggiore flessibilità
amministrativa che permette di
realizzare le iniziative in tempi
brevi.
La posta in gioco è la conquista del mercato, sia sotto il profilo industriale (condizioni di
favore per i nuovi insediamenti),
sia sotto quello turistico (stazioni sciistiche facilmente raggiungibili e a basso costo). Ma anche
. dal punto di vista culturale stiamo perdendo colpi, perché abbiamo trascurato il patrimonio
tradizionale della lingua francese,
che ci avrebbe dato un’opportunità in più sul piano internazionale.
La concorrenza, o la collaborazione, francese sarà quindi la
sfida dei prossimi anni? E in
che cosa questo riguarderà il
progetto della costituzione di
una provincia alpina, di cui si
parla in tutte le occasioni?
Nel dibattito che è séguito è
stato più volte ripetuto che una
provincia con le caratteristiche
di quella attuale non avreblje
nessuna prospettiva e che le sue
particolari condizioni geografiche
di territorio estremamente svantaggiato la terrebbero lontana da
ogni processo produttivo. Diversa sarebbe la posizione di una
regione alpina, in grado di ammi
nistrarsi e di legiferare in modo
autonomo, valido partner della
zona francese confinante. A questa suggestiva ipotesi, sostenuta
come punto di vista personale
da Ribet, ha fatto riscontro la
proposta del sindaco di S. Germano, Bergeretti, di documentarsi meglio per ricavare dei dati
attendibili sull’area da prendere
in considerazione e sulle sue effettive risorse.
Con l’impegno di ricercare elementi su cui discutere e come
base per un eventuale documento da approvare, tutta la questio^
ne è stata rinviata alla prima
seduta della ripresa autunnale.
Liliana Viglielmo
Mostre
TORRE PELLICE — Domenica 14 luglio, alle ore 17,30, presso il Centro
culturale valdese, verrà inaugurata la
mostra « Immagini di vita partigiana »,
disegni dello scultore Roberto Terracini rifugiato in vai Pellice durante la
persecuzione razziale (1943-1945); interverrà Emilio Vita-Pinzi, presidente
dell’ANPI provincia di Torino.
PINEROLO — Venerdì 12 luglio, alle ore 17, presso il salone del Circolo sociale di via Duomo, verrà presentata la mostra « I civici pompieri
a Pinerolo e nel Pinerolese ».
Amnesty International ~
TORRE PELLICE — Domenica 14 lugiio, alle ore 14,30, presso la Foresteria valdese, il Gruppo Italia 90 vai
Pellice propone un « trattenimento pomeridiano per Amnesty » con mercatino deile pulci, tè e dolci, sottoscrizione a premi e raccolta di firme.
Manifestazioni
MONTOSO — Domenica 14 luglio,
a partire dalie ore 9,30, si svolgerà
il tradizionale incontro di rievocazione della Resistenza presso il monumento che ricorda i 287 caduti fra
partigiani e civili.
Incontri
SANFRONT — Venerdì 12, sabato 13
e domenica 14, si svolgerà il Rescontré ousitan, tradizionale incontro di occitani delle valli alpine, con momenti
di festa, musica, ballo e anche dibattito: quest'anno ii tema è quello dell'uso delle acque nelle valli.
Rorà: un paese per tutte le stagioni
MINI-MARKET
Alimentari - Tabacchi
APERTO LA DOMENICA
Tfcl. 93.144 - RORÀ
ALBERGO - RISTORANTE
COLLE DI PIAMPRÀ - in. i *50
CUCINA CASALINGA
Iti. (0121) 93.101
Bar - Ristorante KOLIBA.
NEL IMCO MONTANO
Servizio Ristorante su prenot.
Iti. (0121) 93-139
A 8 km da Lusema S. G. si estende fino ai piedi del monte
Frioland. Centro della resistenza dei Valdesi guidati da
Giosuè Gianavello.
Gite consigliate: Monte Frioland - Comour - Rif Valanza
- Cave di pietra - Pianprà - Rocca Bera.
Da visitare il museo che contiene una interessante documentazione sulle vicende rorengbe del passato.
Nel Parco Montano vi sono un ristorante, un’area attrezzata per il campeggio ed un anello di fondo di 12 km.
7
w
12 luglio 1991
lettere
DUE DOMANDE
Caro Direttore,
mi rivolgo a Lei per pregare tramite suo un qualunque valdese lettore
del nostro giornale e favorevole ad
accettare l’8 per mille dell’lrpef di
voler cortesemente rispondere alle seguenti mie due domande:
1) qualora la Chiesa valdese accettasse l'offerta dello stato italiano
di partecipare alla « ripartizione della
(attuale) quota pari all’otto per mille
deirirpef » dei valdesi, rappresentanti
ufficiali della Chiesa valdese italiana,
parteciperebbero alla apposita Commissione paritetica prevista dall'articolo 49 della legge 222 (stato ItalianoChiesa cattolica), dall'articolo 24 dell'Intesa fra lo stato italiano e le Assemblee di Dio e dall'articolo 32 dell'Intesa fra lo stato italiano e l'Unione delle chiese cristiane avventiste
che ogni tre anni successivi al 1989
(quindi 1992, 1995, 1998, 2001, ecc.)
procede alla revisione deH'fmporto deducibile (art. 46 legge 222) e alla valutazione del gettito della quota Irpef
di cui all'art. 47, legge 222, al fine di
predisporre eventuali modifiche?
2) qualora la Chiesa valdese accettasse l'offerta di partecipare alla
« ripartizione » dell'8 per mille, ma la
risposta alla domanda precedente fosse no (nessun rappresentante valdese
alle riunioni delia apposita Commissione) verrà automaticamente accettato
dalla Chiesa valdese quello che codesta Commissione (in pratica lo stato
italiano e la Chiesa cattolica) di volta
in volta deciderà in merito alla percentuale dell'lrpef?
Ad entrambe le domande sarebbe
oltremodo gradita una risposta chiara
ed inequivocabile: sì oppure no.
Ringrazio fin d'ora colui o coloro
che vorranno gentilmente rispondere a
queste mie due domande.
Mario Tron, Roma
STOP ALLE PAROLE
Carissimi fratelli in Cristo,
dal giorno in cui è entrata in vigore la legge sull'8 per mille,, frequentemente leggo sul settimanaie un
articolo, o una lettera, pro o contro
I accettazione di questo contributo da
parte dello stato.
lo penso che la preferenza degli
evangelici sia andata all'Unione chiese avventiste del 7° giorno oppure alle Assemblee di Dio in Italia, in quanto solo queste comunità hanno accettato il ■■ compromesso » (se così vogliamo chiamarlo).
Ora io mi domando e vi domando:
è veramente un compromesso con lo
stato, oppure, come la penso io, è
un mezzo in più per evangelizzare?
A questo punto, secondo il mio modo di pensare, non sarebbe ora dì
porre termine alla filosofia delle parole per entrare veramente nel concreto della cosa?
Vostro fratello in Cristo.
Antonia Gay, Rapallo
DUE PROPOSTE
Caro Direttore,
finalmente una parola chiara sul tema del fondamentalismo. L'intervista al
prof. Bolognesi mi è parsa molto utile a chiarire molti aspetti della questione. Per esempio il fatto che gran
parte di coloro che vengono detti fondamentalisti sono in definitiva dei neofondamentalisti, ossia una distorsione
di un’impostazione tutto sommato accettabile.
Vorrei fare due proposte. La prima
è che i nostri pastori ricevano anche materiale d’orientamento fondamentalista. La Tavola potrebbe forse
proporre loro un abbonamento ad una
rivista come Studi di teologia perché
mi pare che i nostri pastori non abbiano sempre informazioni di prima
mano. La seconda proposta è che si
organizzino incontri con esponenti del
fondamentalismo e si lascino da parte
i neofondamentalisti. Ciò potrebbe far
progredire la reciproca comprensione.
Distinti saluti.
Mauro Baldi, Firenze
OMISSIONE E
PRECISAZIONE
Abbiamo letto con molto interesse
l’intervista di Paolo T. Angeleri al
prof. Pietro Bolognesi riguardo al fondamentalismo (« Fondamentalisti perché », n. 23, 7 giugno 1991).
Ma un’affermazione — per la quale
riteniamo necessaria una precisazione
— ed un’omissione ci hanno lasciato
alquanto perplessi.
La precisazione: rispondendo alla domanda riguardante i periodici che riflettono i diversi orientamenti fondamentalisti, Pietro Bolognesi indica la
rivista « Certezze » per i fondamentalisti conservatori (la cui posizione è
espressa in Italia « dai battisti del sud
e dai Fratelli »). Ora, « Certezze » è
la rivista dei Gruppi biblici universitari, la cui posizione teologica è
CONSORZIO
PINEROLESE
ENERGIA
AMBIENTE
energia ambiente
map£R LAimmiTE
Ciao,
sono solo uno
piccola goccia
d'acqua, ma ci
siamo già visti un
socco ai volte!
Lo strado che
faccio ogni giorno
3er arrivare fno o
e è un servizio del
CONSORZIO e
dell'ACEA!
Le mie rodici
sono forti, lo mio
chioma è bello e
folto perché gli
operatori ecoloqici
deT CONSOR®
e dell'ACEA, col
servizio di
raccolta e
smaltimento
rifiuti, lasciano il
mio ambiente
pulito!
Il CONSORZIO e
l'ACEA hanno
pensato anche o
me!
Con il servizio di
depurazione
defle acque
psso tornare o
saltare felice e
contento nell'acqua dei fiumi!
Il metano è
energia pulita!
Ig mio fiamma è
allegra, ti riscalda
e non inquina.
Tanti vantaggi:
pensaci,
anche questo è
un servizio del
CONSORZIO e
dell'ACEA!
INIZIATIVE
Fondo
di solidarietà
Come già annunciato in occasione della pubblicazione del precedente elenco, abbiamo provveduto ad inviare la somma di L.
6 milioni 300 mila per il progetto Isalama del IVladagascar,
vale a dire la creazione di farmacie di villaggio, patrocinata
dalla Cevaa, necessaria per
sopperire alle grosse carenze sanitarie ed ai disagi delle popolazioni locali.
Due sono le altre iniziative in
corso: la prima è a sostegno del
lavoro del Consiglio delle chiese del IVledio Oriente nei confronti delle centinaia di migliaia
di profughi della guerra del Golfo, di cui abbiamo fornito dettagli.
Per quanto riguarda la seconda iniziativa, vale a dire l’appoggio alla casa Eben Ezer per malati di Aids di Zelarino OMestre),
quanto prima dovrebbe essere
definita la sua fisionomia ed il
suo eventuale inserimento nel
campo socio-sanitario. Frattanto
prosepe l’attività personale di
questi fratelli che hanno anche
l’appoggio delle chiese evangeliche di Padova e Venezia.
Segnaliamo infine che ci sono
pervenute L. 130.000 per il Bangladesh. Ricordiamo che questa
è un’iniziativa della Fcei (ccp. n.
38016002 Roma) a cui abbiamo
inviato la somma senza qui contabilizzarla.
Le offerte vanno inviate come
di consueto al conto corr. postale n. 11234101 intestato a La Luce-Fondo di solidarietà, via Pio
V 15, 10125 Torino, possibilmente indicando la causale del versamento: in caso contrario,
provvederemo noi al riparto.
ELENCO OFFERTE PERVENUTE IN
MAGGIO
L. 200.000: Livia Gay; Kelda Bongardo.
L. 100.000: Marta Frache; Elena e
Franco Piccotti; Giuseppina Pepe.
L. 90.000: Graziella Mariani e Cinzia Carugati.
L. 50.000: Marina Geymonat; Ida
Martinat Bonessa; Chiesa valdese Torino via Nomaglio.
L. 30.000: Anonimo veneziano.
Totale L. 970.000.
Totale precedente L. 10.995.039.
In cassa L. 11.965.039.
Inviati per « Progetto salute Isalama », farmacie in Madagascar L.
6.300.000,
Restano in cassa L. 5.665.039.
SONDAGGIO
espressa nei loro « punti di fede », riportati in ogni numero della rivista
stessa; i Gruppi biblici universitari
(GBU), essendo In tutto il mondo e
perciò anche in Italia un’opera interdenominazionale, non sono aperti alla
posizione teologica di una sola denominazione o chiesa, o di un ristretto
gruppo di chiese, ma a quella di tutti coloro che si riconoscono nei « punti di fede ».
L’omissione: come mai, per i « fondamentalisti conservatori (Fratelli) »,
non è citata la ben nota rivista « Il
cristiano »?
la Redazione di « Certezze »
Caro Direttore,
tornando a casa dalla Conferenza
distrettuale, svoltasi recentemente a
Napoli, riflettevo sulle prospettive del
nuovo giornale unico tra valdesi, metodisti e battisti.
L’occasione del riflettere è anche
legata alla decisione di istituire una
redazione sud e credo che Napoli possa essere una sede adatta purché si
sappiano promuovere e mantenere collegamenti con vari corrispondenti, tutti o quasi da « formare ». A parte il
Sud — che purtroppo registra non più
di 300 abbonati all’attuale nostro giornale — ho sentito cose diverse sul
nuovo giornale comune, sicché m’aspetto che il Sinodo discuta a fondo la
questione. A questo proposito perché
non dare — magari sulla base del
lavoro sin qui fatto dall’apposita commissione in accordo con gli esecutivi delle tre chiese — la parola ai
Jettori? Distribuire insomma un questionario tra gli abbonati per capire
cosa i lettori s'aspettano che il gior,nale comune sia. Quale « taglio », quale direzione, quale redazione e via dicendo. Il questionario potrebbe essere distribuito già al Sinodo. Ritengo
che i dati che emergeranno da questa
possibile inchiesta potrebbero aiutarvi
parecchio nel difficile compito di pensare e organizzare un nuovo strumento d’informazione al servizio delle nostre chiese. Cosa ne pensi?
Giuseppe Platone, Riesl
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Aut. Trib. Pinerolo n. 175.
EDITORE: A.I,P. - vìa Pio V, 15 10125 Torino - ccp 20936100 - tei.
011/655278.
Consiglio di amministrazione: Roberto Peyrot (presidente), Silvio Revel (vicepresidente), Paolo ' Gay,
Marco Malan, Franco Rivoira (membri).
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8
8 villaggio globale
12 luglio 1991
UN FENOMENO CHE COLPISCE ANCHE I PAESI RICCHI
I poveri in mezzo a noi
Fra le definizioni raccolte in un sondaggio, povertà non è solo quella materiale ma anche l’impossibilità di ricavare vantaggi dalle opportunità offerte dalla società - Preoccupante è anche la "femminizzazione” dei fenomeno
La Comunità economica
europea stabilisce il livello
di povertà alla metà del reddito netto di ogni paese. Con
questo metodo, 10 anni fa,
si consideravano poveri 10
milioni di persone, ossia
ril,4% della popolazione (si
intende della Comunità, di
cui però non facevano parte
Grecia, Spagna e Portogallo).
Con l’ingresso della Spagna
è aumentato del 30% il numero dei disoccupati e la
povertà in genere. Cifre dello stesso anno affermano che
il 79,6% della popolazione
è non povero e rimane tale;
il5’3% esce dalla povertà; il
10,6% cade nella povertà,
mentre il 4,5% è povero e
continuerà a rimanerlo. Ma
da allora la situazione è molto peggiorata e sono molto
aiunentate le due ultime categorie.
Ufficialmente la povertà
non esiste in Germania, ma
le persone che ricevono l’assistenza pubblica sono oltre
un milione e la vendita di
alimenti per cani e gatti è
molto più elevata di quanto
non sarebbe giustificabile in
base al numero di questi animali nelle famiglie. In Gran
Bretagna i poveri diventano
sempre più poveri, in Francia 6 milioni vivono di elemosina o dell’aiuto di organizzazioni di carità.
La ’’nuova povertà’
in Europa
La parola « uguaglianza » compare poche volte nella Scrittura, ma si trova in uno dei capitoli
centrali: 2 Corinzi 8.
E’ il capitolo che riguarda la cosiddetta « colletta » per i poveri di Gerusalemme. Un’iniziativa
che stava talmente a cuore all’apostolo Paolo
che il suo arresto, il suo processo e la sua morte
ne sono le conseguenze indirette.
I cristiani di Gerusalemme erano poveri, o impoveriti. Se la fratellanza cristiana ha un senso
bisognava aiutarli. Ma non si tratta affatto di un’elemosina, per cui chi è ricco rimane appena un
po’ meno ricco e chi è povero rimane appena un
po’ meno povero. Si tratta, invece, di creare una
condizione di uguaglianza, che trae il suo impulso
spirituale da Cristo (il quale seppe impoverirsi
per il bene degli altri) ed ha come modello e punto di riferimento il miracolo della « manna » (Esodo 16; vai la pena rileggere quel capitolo).
Di solito quando si parla di « una manna dal
cielo » si pensa a un’improvvisa fortuna che capita a qualcuno. Ma il miracolo biblico della
manna è di tutt’altra natura: quelli che erano egoisti — o anche soltanto più robusti — e ne avevano raccolta una gran quantità, tornando a casa
scoprivano che ne avevano giusto di che mantenere sé e la famiglia fino all’indomani; chi ne
aveva raccolta poca scopriva che essa era sufficiente per nutrire sé e la famiglia fino al giorno
dopo.
Questo miracolo dell’uguaglianza è quello che
Paolo mette alla base della sua riflessione sulla
colletta. La nostra società sembra andare sempre
più verso un regime « a due velocità », cioè con
pochi ricchi sempre più ricchi e molti poveri sempre più poveri; e in milioni di casi, come sappiamo, tale povertà giunge, nel Terzo Mondo, fino
alla miseria assoluta, alla fame, alla morte.
Una chiesa profetica dovrebbe oggi centrare il
suo messaggio appunto sul tema biblico dell’uguaglianza.
Uguaglianza all’interno della famiglia dei credenti, ma uguaglianza pure nell’ambito della famiglia umana.
Nel 1968 il pontefice Paolo VI parlava a Medellin, in America latina; ai poveri diceva: « Le
vostre umili condizioni sono più propizie di altre
per il Regno dei Cieli... se sopportate con pazienza... », e ai ricchi: « Ciò che a voi si domanda è la
generosità ». Niente uguaglianza, dunque, per il
pontefice, ma la solita elemosina. Una perfetta
illustrazione della religione come oppio del popolo (come commenta G. Casalis).
La sfida rivolta alla chiesa oggi è quella di non
dare ascolto a quelli che parlano come Paolo VI,
ma di ascoltare piuttosto l’apostolo Paolo: mettere al centro della propria predicazione l’uguaglianza.
Non la standardizzazione dei robot che fanno
tutti identici ma l’uguaglianza del miracolo della
manna, per cui grandi e piccoli, forti e deboli,
hanno tutti avuto il necessario, senza superfluo e
senza carenza.
E ciò non per costrizione esteriore ma perché,
come i destinatari della lettera dell’apostolo Paolo,
sono mossi dall’esempio e dall’amore di Cristo.
Aldo Comba
tri che vivono sull’orlo della
povertà. Di fronte a loro sta
il gruppo di coloro che vivono in sicurezza e partecipano al processo lavorativo,
decisi a non rinunciare a nessun prezzo ai loro diritti per
paura di cadere a loro volta
nell’emarginazione.
Sono alcuni esempi di
quella che è chiamata la
’’nuova povertà” in Europa.
Non vi è praticamente nessun paese nell’Europa occidentale dove la povertà non
affligga larghi strati della
popolazione, malgrado il sistema di assistenza sociale
esistente.
E’ difficile precisare che
cosa è la povertà. Secondo
la Commissione ecumenica
chiesa e società, di Bruxelles,
il modo migliore per comprendere la povertà è chiedere alla gente stessa che cosa
intende con tale parola.
Un’inchiesta in Gran Bretagna ha dimostrato che bisogna capirla in termini dinamici. Certo la povertà ha a
che vedere con le necessità
base della vita (cibo, casa,
vestito) ma anche con la lingua, la formazione e l’educazione; è il modo di partecipare alla cultura di cui si è
parte. Povertà è l’incapacità
o l’impossibilità di trarre
vantaggio dalle opportunità
offerte dalla .società.
Il numero degli emarginati aumenta nei nostri paesi;
nei ricchi paesi dell’Europa
occidentale tocca ormai il
25% della popolazione: persone dipendenti dall’assistenza sociale, riserva di mano d’opera, disoccupati permanenti che ner sopravvivere devono lottare contro al
Come in tutti gli altri paesi, anche in Europa oecidentale la povertà riflette il razzismo: i più poveri dei poveri in Europa sono immigrati, neri africani o comunque
gente dalla pelle scura. Sono
di gran lunga più numerosi
dei poveri bianchi.
Il movimento ’’Quarto
mondo” si occupa da anni
dei più poveri tra coloro che
vivono in povertà estrema,
i poveri che sono esclusi e
che non hanno né futuro né
presente perché sono pesantemente condizionati dal
loro passato. Spendono di
più per vivere perché non
hanno mai delle riserve; si
affannano per pagare i vecchi debiti contraendone di
nuovi. Non ricevono soccorsi sociali perché i formulari
sono troppo difficili (o impossibili) per loro da leggere.
’’Diritti umani” ed
estrema povertà
Per lavorare con loro è
importante ascoltarli e aiutarli a partecipare alle deci
sioni che li riguardano. Infatti nella dichiarazione rivolta dal Comitato quarto
mondo (che ha lo statuto di
Organizzazione non governativa — ONG) alle Nazioni
Unite si sottolinea la necessità di questa partecipazione anche nel quadro dello
studio su ’’Diritti umani ed
estrema povertà”, iniziato
dalla Commissione dei diritti umani. La dichiarazione
del Comitato quarto mondo
afferma che: « ...uno studio
sui diritti umani dei poveri
senza una loro effettiva partecipazione sarebbe una violazione dei diritti umani ».
ri senza veramente conoscere le loro esperienze e le
loro aspettative. Il movimento lavora in questo modo da
anni e tale è anche la posizione del Consiglio ecumenico delle chiese, e delle sue
chiese membro quando parlano di essere ”la voce di chi
non ha voce”, o di essere una
chiesa con i poveri.
E’ noto che molti dei poveri nelle nostre società sono
donne: si parla comimemente di femminizzazione della
povertà. Invece di parlarne
in termini generici può essere interessante vedere i dati
raccolti dall’Ufficio per
l’uguaglianza, a Ginevra, interrogando un campione di
413 donne. Di queste il 77%
sono svizzere, il 22,5% straniere con ’’permesso C” (cioè
l’aristocrazia degli immigra
ti). Età fra i 20 e i 70 anni.
Il 78% vive sotto il livello
di povertà secondo i criteri
stabiliti nel paese. Il 58% si
trova in questa situazione a
causa di separazione coniugale o divorzio, alcune per
vedovanza, ma sono le meno
numerose. Un terzo sono
donne sole, un altro terzo
sono capifamiglia. La metà
non ha diplomi e i tre quarti
lavorano come cassiere, commesse, donne delle pulizie,
cioè fanno i mestieri mal
pagati. Spesso perché, dovendo occuparsi dei figli, non
possono assumere dei lavori
più impegnativi.
Emarginazione
e frustrazione
Non è più possibile studiare i poveri, parlare dei pove
Pagato l’affitto (spesso il
30% del salario) tutte le altre spese devono essere ridotte al minimo e non ci
si può certamente permettere un cinema o una vacanza. Senza dubbio nessunomuore di fame, ma in una
società ricca, di consumo,
chi non può permettersi di
stare alla pari con gli altri
viene emarginato e si sente
sminuito e frustrato.
Le nostre chiese sono in
generale formate di persone
di classe media. Chi sale
socialmente e diventa molto
ricco tende a separarsene
perché spesso trova che le
esigenze di moralità e di solidarietà rallentano il suo
successo.
E chi nelle nostre chiese
diventa povero o molto povero, dove va a finire? Molti
probabilmente scompaiono
perché non riusciamo ad offrir loro una solidarietà che
non sia umiliante. Ma è vera
questa ipotesi? In quali casi
è vera e in quali no? Forse
dovremmo analizzare questo
problema molto più da vicino. Magari scopriremmo, tra
l’altro, anche quale sia il
nostro autentico rapporto
con il fatto povertà.
Fernanda Comba