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24 giugno 1988
Facoltà di teologia
La Facoltà Valdese di Teologia
strumento di formazione e ricerca
IL RIFERIMENTO
La Sua Parola,
la nostra storia
Sulla Bibbia tutti hanno qualche idea: è il codice fondamentale del cristianesimo? E’ un libro di
morale? E’ la legge di Dio? Presente in molte case,
sfogliata per curiosità o riletta nelle sue pagine più
note, 0 consultata assiduamente, o citata come l’autorità ultima in materia di fede, vista ora come un
libro di poesia, ora come un codice dottrinale, tutti
pensano di conoscerla, almeno un poco. Ma pochi
sanno che la Bibbia è un libro vivo, che è nato ed è
cresciuto nei secoli, accompagnando il popolo in ogni
tappa della sua storia.
Per il popolo la Bibbia era il racconto dei fatti
antichi, quelli delle origini. Perché erano partiti un
giorno? Quando e da dove? Chi erano i « padri »
che si erano messi per primi in cammino? Chi aveva
scelto la strada, dove voleva arrivare? In quelle memorie si tramandavano gli oracoli e i canti, i racconti, le leggi, le regole di vita, le esortazioni. Può darsi
che nei momenti di grande pericolo, prima di traversare un fiume o alla vigilia di una battaglia, quei racconti siano stati scritti per essere certi che la memoria del passato non andasse perduta. 1 fogli sparsi
SINODO 1854
furono raccolti e trasmessi e copiati e riadattati; furono legati in
pacchi e alla fine cuciti insieme in
libri; sempre custoditi come il patrimonio più prezioso di tutto il popolo. Essi però restavano sempre
una storia viva, perché era la storia passata che veniva rivissuta nel
presente ed era sempre di nuovo
arricchita e modificata per interpretare le nuove esperienze. Quella raccolta di libri è il racconto
del rapporto fra Dio e il suo popolo, fra Dio e gli uomini. Al suo
centro, al principio, alla fine e in
ogni evento, c’è sempre Dio, il Signore, che chiama, che indica la
mèta, che punisce, che salva.
Quelle pagine sono giunte fino
a noi e tutti possono leggerle e
comprenderle. E’ la Bibbia. Essa
è un libro come tanti altri, scritto
da uomini per gli uomini del loro
tempo, sottoposto alle incertezze
ed alle limitazioni degli uomini
che scrivevano e rileggevano e
tramandavano quelle pagine. Ma è
un libro diverso da tutti gli altri,
perché attraverso la storia di quel
popolo, simile a quella di tanti altri popoli, con tutti gli errori e le
guerre e le stragi di ogni storia
umana, appare in filigrana, e qua
e là si fa chiarissima, la figura
stessa di un Dio che si mette dalla
parte dell’umanità e che si mescola e si compromette con le vicende umane, perché vuole il bene e
non il male: quel bene che gli
umani da soli non possono raggiungere.
Se dunque la Bibbia è nata come un diario, dobbiamo anche
noi leggerla come una lettera appassionata che una generazione ha
scritto all’altra e che i figli ricevono e trasmettono come un tesoro prezioso; la guida verso la
terra della promessa, attesa e quasi trovata, perduta e sempre sperata.
Come un diario di viaggio la
Bibbia è cresciuta un po’ alla volta, definendosi sempre più e precisandosi nei suoi contorni. Vi sono stati momenti difficili nella
storia del popolo; esso allora ha
fatto ben attenzione a distinguere i fogli e i libri « autentici »,
che erano la testimonianza più fedele della parola del Signore, da
quelli di origine incerta o di contenuto dubbio, definendo così il
« cànone » delle Scritture, cioè
l’elenco ricevuto e accettato degli
scritti che le compongono.
Così nei secoli la Bibbia è stata letta, recitata, cantata, ricopiata e tradotta; quando è nata la
stampa, è stata stampata e ancora
ritradotta in più di mille lingue e
ristampata in centinaia di milioni
di copie: essa è di gran lunga il
libro più tradotto, stampato, diffuso e venduto del mondo. Nella sua
forma attuale e definitiva essa è
rimasta il diario di viaggio del popolo che prosegue il suo cammino
anche dopo il momento cruciale in
cui il ponte è stato costruito sul
grande abisso e il passaggio per
mezzo di Gesù Cristo è stato aperto: essa perciò è anche il nostro
libro, il libro della chiesa cristiana, che segna le tappe e interpreta
le vicende del nostro cammino.
Perciò diciamo che, per suo
mezzo, « Dio ha parlato ».
(...) La Bibbia è la parola di
Dio: non come « oracoli » che
Dio abbia dettato o ispirato letteralmente, ma come testimonianza di una presenza attiva di Dio
nell’umanità, in modo particolare
nel « fatto » Gesù Cristo. Dio agisce, cioè « parla »: si comunica e
si rende presente ed attivo. La storia del popolo e gli scritti che la
raccontano sono il luogo di questa
azione: in questo senso sono parola di Dio.
Da GIORGIO GIRARDET, Cristiani
perché. Introduzione alla fede evangelica. Torino, Claudiana, 1988, p, 14 sgg.
La visione
Nuove necessità per !a formazione
« ,.,Dio ci ha liberati e, liberandoci, ci ha
rivolto una vocazione alla quale dobbiamo
rispondere. Per farlo abbiamo bisogno di
uomini educati in terra italiana, preoccupati
non della Francia o della Svizzera o della
Germania, ma dellTtalia; che ne conoscano
a fondo la ricca letteratura, la bella lingua
ed i costumi; uomini che siano simili ai loro
futuri uditori. E’ indispensabile far vedere
' ai nostri compatrioti che ci vogliamo fondere con loro e che noi siamo e vogliamo essere italiani. E' questa la condizione indispensabile per la buona riuscita della nostra
opera.
Ed ora valutate voi, Signori, l’opera della quale siamo incaricati; non si tratta più
di predicare a dei montanari, a degli umili
agricoltori... no, stiamo per essere lanciati
nelle grandi città d'rtalia, in mezzo ad una
società più ignorante, se volete, sotto il profilo religioso, ma molto i
struita, scettica, imbevuta di
idee papiste alle quali non
crede più. Sarà ben presto
necessario rendere ragione
della nostra fede di fronte a
uomini che sanno muoversi
in mezzo alle astuzie del
mondo e ai sofismi della filosofia. Bisognerà essere
pronti a tutto e adattarsi alle circostanze, sapersi comportare col ricco, frequentare il nobile e presentare ad
ognuno, in tutte le forme
possibili, la meravigliosa
chiarezza dell’Evangelo.
Detto questo, potrebbe
Torre Pellice essere il luogo
più adatto per quest’opera?
Ho i miei dubbi. Infatti non
sono gli Studi accademici
quelli che sviluppano maggiormente, ma l’ambiente che
si frequenta. Torre Pellice
può certo essere preferita
per quanto riguarda la sorveglianza morale, ma non altare ttanto per lo sviluppo intellettuale. Manca qui Taria;
si respira troppo allo stretto
e quando le idee vogliono
prendere uno slancio un po'
più ardito, il pubblico non
può seguirle, non si è compresi. Ed è così che, mancando lo stimolo, voi ricadete
scoraggiati su voi stessi. Se
questa è l’esperienza del maestro, quale sarà quella degli
studenti?
Ma il vento soffia, lasciamo che gonfi le vele. Non si
tratta più di restare sulle
montagne, bisogna defluire
nella pianura e andare incontro ai milioni di quei nostri concittadini che tendono
la mano. Se voi pensaste che
Dio ci abbia conservati in
questi luoghi per chiuderci
nei nostri confini, neghereste tutta la storia. Ma se gli
eventi parlano e se la provvidenza coi suoi doni parla,
e se la storia ci indica la sua
volontà, riconoscete che essa è là per dirci che noi dobbiamo portare all’Italia la
fiaccola della verità ».
Intervento al Sinodo 1854 del past.
Giovanni Pietro Melile. Da: V. VINAY,
Facoltà Valdese di Teologia, Torre Pellice, Claudiana 1955, p, 57.
Dalla Scuola Latina alla Facoltà
La fondazione di una Facoltà Teologica era un progetto troppo ardito per la
piccola Chiesa valdese, che non aveva
neppure là capacità economica per realizzarlo. Fu-necessario procedere per gradi durante ùn quarto di secolo. Inizialmente, non potendo fare di più, si pensò
di fondare, con l’aiuto di benefattori, degli istituti di istruzione secondaria. Già
nel 1829 il pastore anglicano Guglielmo
Stefano Gilly, benefattore del valdesi, aveva ideato la fondazione di un Collegio, nel
quale fossero compresi gli studi teologici.
Nel 1830 sorse la Scuola Latina di Pomaretto e nel 1831 il Collegio di Torre Pellice, che andò gradatamente sviluppandosi negli anni successivi. Il Sinodo del
1848 raccomandava alla Tavola di studiare la possibilità di istituire le facoltà di
filosofìa e di teologia al Collegio di Torre
Pellice ,« pour , former convenablement
les Ministres Vaudois, dans le sein des
Vallées ». Al Sinodo 1851 la Tavola riferiva di avere inviato sei degli otto profes
sori delle scuole secondarie in Toscana a
perfezionarsi nello studio della lingua e
della letteratura italiana, e nello stesso
tempo gli studenti valdesi a Ginevra confessavano a Luigi Desanctis, esule in
quella città, la loro intenzione di recarsi
in Toscana per imparare bene l’italiano
e fare opera di evangelizzazione.
La coscienza di tale missione evangelica da compiersi in Italia, predicando
quindi in italiano, si esprimeva chiara e
urgente per bocca del col. Carlo Beckwith
che tutto aveva fatto per ravvivarla in seno al popolo valdese. Egli scriveva riguardo alla fondazione della Scuola di Teologia: « Non c’è che la posizione attuale
della vostra Chiesa che possa giustificare
la creazione d’una Facoltà teologica da
questo lato delle Alpi. Il punto debole
del vostro clero è attualmente la sua cultura esclusivamente francese che lo rende poco atto al compito che gli eventi
degli ultimi anni gli hanno devoluto... La
prima condizione assoluta per attuare il
piano che avete in mente è di creare degli
uomini atti a presentarsi alle varie classi
della società piemontese e che si trovino
in casa loro nelle città della loro patria... ».
Nel 1853 il moderatore Giovanni Pietro
Revel si recava negli Stati Uniti d’America per collettare i fondi necessari alla
istituzione della Scuola di Teologia e riferiva al Sinodo del 1854 sui fondi raccolti
e sul progetto di creare detta scuola.
Al Sinodo del maggio 1855 la Tavola
comunicava che si era raccolta fino allora
una somma sufficiente per fornire l’onorario di due professori e proponeva l’apertura della Facoltà al termine delle vacanze estive. Il 5 settembre il corpo pastorale riunito in Torre Pellice fissò le
norme per la nomina dei professori. Essi
sarebbero stati scelti dal corpo pastorale fra i pastori più competenti nelle
discipline teologiche e di maggiore esperienza nella predicazione. Gli aspiranti
avrebbero dovuto iscriversi entro il 1°
agosto 1856 e la scelta sarebbe stata fatta nelle prime settimane di settembre.
Provvisoriamente vennero nominati il pastore Paolo Geymonat con 19 voti su 20
votanti e il moderatore Giovanni Pietro
Revel con 15 voti. In tale modo l’insegnamento teologico poteva avere inizio
e la Facoltà veniva inaugurata ai primi
di ottobre, nella sede del Collegio a Torre Pellice. Si iscrissero quell’anno due studenti che avevano terminato i loro studi al Collegio. In quel primo anno furono
impartiti i seguenti corsi: introduzione
all’Antico e al Nuovo Testamento, esegesi vetero e neotestamentaria sui testi
originali, storia ecclesiastica, enciclopedia
delle scienze teologiche, omiletica, esercizi pratici di predicazione.
Da: V. VINAY, Facoltà Valdese di Teologia, Torre Pellice, Claudiana, 1955, p. 51 sgg.
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II — Facoltà di teologia
24 giugno 1988
I professori
PAOLO RICCA SERGIO ROSTAGNO
La Parola:
qualcosa di essenziale
Paolo Ricca, dopo aver esercitato il ministero pastorale in
chiese del Centro e del Nord Italia, è stato nominato nel '76 titolare delle cattedre di Storia della
Chiesa e di Teologia Pratica. Tiene quest’ultima cattedra fino alV84. Attualmente, oltre ai corsi
di Storia, tiene anche un corso di
Simbolica.
« Stranamente, in un paese come il nostro, si sente molto la parola della Chiesa, ma poco la Parola di Dio.
E' im fenomeno di cui noi non
ci rendiamo abbastanza conto.
Ma la parola evangelica, anche
con le sue schegge, rimane una
verità fondamentale.
La parola evangelica non è un
lusso: né domenicale, né aristocratico. Tutte le immagini bibliche identificano Dio, Cristo, la
Parola di Dio, con le cose elementari, ma anche essenziali, della vita: il pane, l’acqua, la luce,
il sale. Ecco perché la Parola di
Dio non è un lusso di cui, in fin
dei conti, si può anche fare a meno e tutto, più o meno, funziona come sempre. No! Non è
così. Anche se resta una parola
negata, una parola tradita da noi
stessi, una parola fraintesa, ha
però questi connotati: è ciò che
fa vivere, che permette di esistere e quindi è una parola degna
di essere ascoltata. Non è Tabbellimento della vita, un « surplus d’âme » che aggiungi a una
realtà che è già compiuta e che
basterebbe a se stessa. No, è
qualcosa che va veramente al
cuore della realtà.
La Facoltà esiste, sostanzialmente, perché esiste una chiesa
ed esiste, in qualche misura, in
funzione del progetto della chiesa.
La Facoltà esiste per fare dei
pastori. Ma il pastore non è più
quella cosa che si vergognava di
dire che era pastore perché non
era operaio, non era intellettuale,
non era là, non era qua, senza
classe, senza razza, senza madre,
senza padre... Ma chi era? Un
poveraccio! Ti devi nascondere,
non esisti, sei un aborto! In fin
dei conti, socialmente parlando,
si considerava una specie di
aborto. Ed è vero il contrario! E’
un aborto come l’apostolo Paolo.
Sei una straordinaria benedizione. se fai il tuo mestiere, se stai
con la gente, se partecipi con loro, leggi con loro la Bibbia, se
entri nel loro orizzonte, se loro
sanno che non sono soli ma che
ci sono uno, due, tre, dieci, mille
pastori che sono lì, non per clericalizzare, ma per manifestare
questa cosa qui. I pastori stiano
con le pecore. Zwingli diceva che
il pastore deve restare con « les
brebis ». Per lui il pastore è un
profeta vetero e neotestamentario, che abbatte, distrugge, edifica, ma la sua caratteristica principale è l’amore. Che stia con le
pecore. Questo è fondamentale ».
GIORGIO GIRARDET
La mediazione tra le culture
— Come vedi la Facoltà in rapporto alla chiesa, alla società italiana, al cattolicesimo?
— Per certi aspetti la Facoltà
è un luogo privilegiato, dove si
può e si deve prendere distanza
dai fatti più immediati, cercar di
vedere e capire i movimenti lenti che sono in corso e che faranno la storia di domani. Dobbiamo conoscere e amare il nostro
passato e farlo conoscere e amare a^i studenti. Ma guai restarne
prigionieri, guai pensare che la
Facoltà debba soprattutto sfornare dei pastori adatti a mante;,
nere in piedi la chiesa così come
è oggi. Diceva recentemente un
teologo africano: « Nelle nostre
chiese, tutto ciò che non va nel
senso della creazione non deve
mobilitare le nostre forze. Il nostro compito non è quello di gestire le istituzioni della cristianità, ma di promuovere il futuro ». Così dobbiamo stare attenti a quello che si muove, a quello
che nasce. Per ragioni storiche e
culturali, il protestantesimo italiano è stato fino ad oggi fin troppo chiuso su se stesso, come minoranza arroccata nella propria
autodifesa.
— Sei professore di teologia
pratica da quattro anni: quali sono state le tue esperienze in questo periodo?
— Le esperienze sono state tante e molto ricche: ho ricevuto
molto dai colleghi e molto anche
dagli studenti. Personalmente, come dicevo, mi ha colpito la necessità di lavorare sui tempi lunghi.
Provenivo da un lavoro giornalistico di attualità ed è stato per
me interessante cercar di guardare dietro al fatto momentaneo,
dietro a quello che « fa titolo »,
per cogliere i movimenti in profondità e quindi essere meglio in
grado di lavorare in prospettiva.
Un’altra esperienza, più strana,
è stata quella di scoprire il rapporto ambivalente die esiste fra
la Facoltà e la chiesa, anzi, più
esattamente fra Facoltà e i pastori. Un rapporto quasi di amoreodio (da spiegare psicanaliticamente? Vecchi ricordi idealizzati?). Sono grandi l’affetto e l’amore iper il nostro lavoro, con sugge
rimenti costruttivi, inviti per la
domenica della Facoltà e anche
doni (preziosissimi): ma anche i
pregiudizi negativi (e non sempre
fondati su informazioni esatte),
rivolti soprattutto alle nostre capacità « didattiche », o al fatto
che non pretendiamo (o non otteniamo) di più dagli studenti.
Forse proprio perché la Facoltà
Tu ce l’hai
una palafitta?
Sergio Rostagno, dodici anni
d'insegnamento, dopo un iter pastorale che l'ha visto dapprima
al Sud, poi ad Agape, in Svizzera e alle 'Valli; una nomina ad
una cattedra non facile e di grande responsabilità, com'è quella di
Dogmatica.
« La predicazione è sicuramente il punto essenziale del protestantesimo, non può essere mollata. Però, pur restando aderente ai testi e ad un’impostazione
riformata, io starei abbastanza
attento a che la gente capisca,
sia coinvolta, toccata fino in fondo e anche presa sul serio nella
sua vita quotidiana.
I.a gente non ha un filo a cui
attaccarsi. Un giorno ti dicono
che Stalin è tutto; poi si scopre
che no, Stalin è niente. Tra po
co succederà lo stesso di altri.
Se tu non hai una radice un
po' più profonda di quella della
politica, se cioè tu non inserisci
la tua vita in un quadro molto,
molto più fondamentale, che cosa te ne fai della tua esistenza?
Ora, per me, se c’è qualche
cosa da predicare e da dire alla
gente chiaramente, è proprio la
salvezza. Sì, la salvezza! Non sei
salvato, ma puoi salvarti. Puoi
essere anche di un partito, purché tu abbia un mattone sotto,
una palafitta che ti tiene su, che
magari non si vede, ma c’è.
Questo, se vuoi, per me, è l’essenziale ».
BRUNO CORSAM
Una proposta
alternativa
è tanto amata e considerata importante, la si vorrebbe perfetta. E perfetti, certo, non siamo. E ancora, perché non viene
utilizzato meglio il Corso di aggiornamento pastorale che si tiene ogni anno? Potrebbe essere
l’occasione per un confronto serio fra le esigenze dei pastori al
lavoro e la nostra offerta. Ma in
questi anni mi è parsa un’occasione perduta. Se poi è l’epoca
che non va, o la durata o altri
fattori tecnici, perché non parlarne?
Bruno Corsani celebra quest'anno le sue « nozze d'argento » con
la Facoltà. Dopo un periodo d'insegnamento presso l'ISEDET di
Buenos Aires ed un altro di pastorato, viene nominato titolare
della cattedra di Nuovo Testamento. Fra le sue numerose pubblicazioni è da ricordare la voluminosa « Introduzione al Nuovo Testamento».
« Penso che abbiamo una funzione verso tutti coloro che non
s’identificano al 100% con la chiesa cattolica, perché si rendano
conto che esiste una possibilità
di fede e di vita cristiana indipendente dal cattolicesimo; ed
abbiamo una funzione anche nei
confronti degli stessi membri della chiesa cattolica che cercano
una maggiore realizzazione del
messaggio evangelico.
Il nostro lavoro, sia pure fatto intensamente, non arriverà
mai, per le nostre dimensioni, a
convertire tutti gli italiani! Ma
è indispensabile perché, attraverso questo lavoro, continuerà
a sussistere in tutte le città e i
paesi d’Italia una comunità cvangelica che potrà essere il testimone verso i laici e verso il
mondo secolarizzato, verso quelli che hanno rotto con la chiesa cattolica e verso i cercatori
della verità, e che sarà anche il
partner del dialogo con quei cattolici che vogliono dialogare. E’
essenziale che il numero delle
nostre comunità aumenti e che
quelle esistenti si fortifichino. E
questo è possibile solo dando
loro nuova linfa, forze fresche,
entusiaste, convinte, battagliere».
Concludendo, quale pensi essere il compito principale della
nostra Facoltà?
J. ALBERTO SOGGIN
— Il nostro è un compito di
mediazione fra culture diverse:
non possiamo ( come forse è stato fatto qualche volta in passato)
appiattirci sulla cultura teologica
centroeuropea e tedesca senza
mediarla seriamente con la realtà
culturale italiana (cattolica e laica). sia a livello « colto » che
« popolare ». Questo non lo facciamo abbastanza. Oggi, d’altra
parte, è tutta l’Europa (e i suoi
teologi) che si deve confrontare con una cultura e teologia planetarie in via di formazione. Dobbiamo aprire alle teologie extraeuropee. Operiamo in un crocevia culturale invidiabile, siamo
di casa in Germania e negli Stati
Uniti, possiamo esserlo facilmente in America latina. Dobbiamo
aprirci di più all’Italia e alle culture extraeuropee. Il nostro avvenire è là e non in un puntiglioso e arretrato confronto con i
settori più tradizionali del cattolicesimo.
Strumenti,
non ideologie
Jan Alberto Soggin, professore
di Antico Testamento alla Facoltà dal 1961, dopo un periodo
d’insegnamento trascorso a Buenos Aires (Argentina) presso
l’ISEDET. In questo quarto di
secolo ha pubblicato numerose
opere e articoli sull’Antico Testamento. Di lui è soprattutto nota
al pubblico italiano 1’« Introduzione aH’Antico Testamento »,
della quale sono uscite già alcune
edizioni, e una voluminosa « Storia d’Ìsraele » che ora sta per
uscire anche in tedesco.
Quest’anno Soggin lascia l’insegnamento presso la Facoltà di
via Pietro Cossa; il Sinodo, già
dall’anno scorso, ha indicato in
Daniele Garrone il suo successore.
Il suo giudizio sul corpo acca
demico e sugli studenti è sostanzialmente positivo. Con lui la
cattedra di A.T. (prima abbinata a quella di N.T. e tenuta egregiamente da Giovanni Miegge) ha
assunto una sua autonomia e raggiunto oggi un certo sviluppo. Gli
studenti studiano l’ebraico e seguono anche corsi di aramaico
con interesse.
« Io credo che i nostri studenti,
quando escono di qui, sono in
grado di usare un commentario
scientifico. Questo mi sembra che
sia anche il nostro scopo: quello
di dare strument ' di lavoro e non
quello di formare la gente ideologicamente, peìrcké dopo cinque
anni sarebbe tutto superato ».
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24 giugno 1988
Facoltà di teologia — III
F
Gli studenti
Chi sono...
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La sala da pranzo del Convitto: oltre agli studenti in teologia è facile incontrare ospiti provenienti da nazioni e chiese diverse
Non sono una legione, ma rappresentano un po’ tutta la geografia d’Italia e le varie denominazioni. Non ce n’è uno che possa dirsi uguale all’altro; ognuno è
un caso a sé, nel senso che ha
compiuto un percorso suo proprio, ha un suo taglio spirituale,
ha una sua visione delle cose,
una sua formazione culturale. Ma
questa grande diversità non mi
pare che generi tensioni o contrasti; anzi, si armonizza in un
quadro d’insieme, di certo ben
variopinto.
C’è chi proviene daH’area storica, dalle valli valdesi, si sarebbe tentati di dire che è lo studente DOC. In cifre, rappresenta un
po’ meno del 20%. Un altro 20%
degli studenti proviene dal Nord
Italia. Poi è presente il Centro
con circa un 25%. La sorpresa è
però di vedere ben rappresentato, con percentuali superiori, il
Sud, a un livello del 30%, e luoghi d’origine inconsueti nella geografia pastorale: Dipignano, Tra
pani. Foggia... E’ il segno che
qualcosa dunque è cambiato, o
sta cambiando. Ma è anche un segno, mi pare, dal duplice significato: da un lato un interrogativo posto alle chiese dell’area tradizionalmente protestante, come
per esempio le valli, e dall’altro
la riprova che la scommessa fatta nel 1855, in base alla quale è
sorta la Facoltà di Teologia, troverebbe oggi una realizzazione
maggiore che nel passato. I pastori dei prossimi anni porteranno sempre meno cognomi valdesi terminanti con consonante, e
saranno sempre più il frutto della predicazione nella vasta diaspora centromeridionale.
C’è chi proviene dal protestantesimo storico, e chi invece dalle
correnti cosiddette « evangeliche ». C’è chi si è iscritto alla facoltà subito dopo la conclusione
degli studi nella scuola media superiore, e chi invece ha maturato
la propria decisione dopo un itinerario lungo, talvolta tortuoso.
cosa vogliono...
Direi, essenzialmente, un maggiore rapporto con le chiese. Intendiamoci bene: non si tratta di
frequentare una chiesa e spendere in essa una parte del proprio
tempo e delle proprie energie.
Questo in parte avviene. La chiesa di Piazza Cavour, ma non solo
quella, offre grandi possibilità di
inserimento e collaborazione. Né
si tratta di andare a predicare
saltuariamente qui o là, o di sostituire occasionalmente i pastori. Questi possono èssere utili momenti di verifica della predicazione e di conoscenza dei problemi.
La questione è un’altra. Mi
sembra di aver capito, dialogando con alcuni di loro, che il problema, in sintesi, possa essere così espresso: per quale chiesa la
Facoltà forma dei pastori? E’ ovvio che dalla risposta a questa
domanda dipende anche la formazione pastorale.
Quello che gli studenti rimproverano alle chiese è di abbandonarli a se stessi. Sembra che per
loro sia sufficiente averli mandati in Facoltà e ora attendano
che il prodotto, debitamente lavorato, sia loro restituito pronto per essere utilizzato al meglio.
E’ questa ovviamente un’imma' gine che vale quel che vale. Ma
mi pare che l’immagine possa
! essere utile ad esprimere da un
i lato tutto l’intere.sse delle chiese per la Facoltà e dall'altro, paradossalmente, tutto il loro disinteresse. L’optimuBi sarebbe invece poter avere, tin dialogo continuo studenti-fecoltà-chiese, per
capire insienae come rispondere
/
al meglio alle sfide del presente.
La Facoltà, insomma, dal punto
di vista degli studenti, non è solo
un istituto nel quale uno entra
per appagare le proprie curiosità
teologiche e farsi una cultura in
questo campo. C’è, chiaramente,
anche questa componente; ma
l’altra, nient’affatto trascurabile
per chi intende dedicarsi al pastorato, è la questione del progetto. Che progetto hanno le chiese
per i prossimi anni, e come intendono portarlo avanti?
Esiste, è vero, la « domenica
della Facoltà »: in quell’occasione
gli studenti sono invitati a predicare nelle varie chiese, la colletta raccolta al termine del culto è inviata alla Facoltà, e talvolta quella è un’occasione per un
incontro tra gli studenti e la comunità. Quest'anno, per alcuni di
loro, questo contatto, al di là di
alcuni aspetti positivi, ha indicato anche dei grossi limiti. Detto
in parole povere e molto brutalmente, gli studenti hanno avuto
l’impressione che le chiese si
aspettino che essi diventino, domani, dei bravi e capaci « funzionari » ai quali demandare la
gestione delle cose.
■Se posso esprimere una valutazione, credo che questa critica
degli studenti vada recepita con
molta attenzione. Viviamo (ma
quando mai non è così?) in una
epoca di profonde trasformazioni. in una società in continuo movimento. Non si può pensare che
il grosso problema del come annunciare l’Evangelo oggi, per
quale uomo e per quale società,
e in vista di questo compito pre
parare in modo adeguato delle
persone che parlino, non a titolo
personale ma a nome di noi tutti,
possa essere semplicemente demandato alla Facoltà. E’ una responsabilità troppo grossa, un peso che rischia di schiacciare
chiunque, per lasciare che ricada
solo sulle spalle di alcuni. Non
solo non è fraterno, ma non è
neanche nello spirito delle chiese
della Riforma!
...cosa
studiano
ANTICO TESTAMENTO
a) aramaico biblico;
b) ebraico biblico;
c) storia, archeologia e geografia d'Israele;
d) religioni e storia dell'antico Vicino
Oriente;
e) introduzione all'Antico Testamento;
f) esegesi dell’Antico Testamento;
g) teologia dell’Antico Testamento;
h) lettura e spiegazione di testi dell’Antico Testamento.
NUOVO TESTAMENTO
a) greco biblico;
b) l'ambiente giudaico ed ellenistico
nell’epoca apostolica e sub-apostolica;
c) introduzione al Nuovo Testamento;
d) esegesi del Nuovo Testamento;
e) teologia del Nuovo Testamento;
f) lettura e spiegazione di testi del
Nuovo Testamento.
STORIA DEL CRISTIANESIMO
a) storia della Chiesa;
b) storia del movimento valdese;
c) storia del metodismo;
d) storia delle Chiese evangeliche in
Italia;
e) storia del movimento ecumenico e
delle missioni;
f) archeologia cristiana;
g) storia delle religioni.
TEOLOGIA SISTEMATICA
a) enciclopedia teologica;
b) storia dei dogmi;
c) simbolica: teologia delle confessioni cristiane:
d) dogmatica;
e) etica;
f) filosofia della religione;
g) filosofia contemporanea;
h) esposizione sistematica della fede
evangelica;
i) storia della teologia.
TEOLOGIA PRATICA
E MATERIE SUSSIDIARIE
a) omiletica;
b) catechetica:
c) teologia pastorale;
d) ecclesiologia;
e) liturgica;
f) musica sacra;
g) ordinamento della Chiesa valdese
e delle Chiese evangeliche in 'Italia;
h) storia e sistemi dei rapporti tra
chiese e stato;
i) legislazione italiana sulle confessioni evangeliche;
l) rapporti giuridici interecclesiastici;
m) psicologia religiosa;
n) sociologia.
Per Informazioni, ulteriori dettagli, iscrizioni ed altro cl si può
rivolgere alla Segreteria della Fa-,
coltà di Teologia — Via Pietro
Cosse, 42 — 00193 Roma.
Al secondo piano del Convitto un ampio terrazzo, sul quale si afiacciano le stanze degli studenti, diventa in primavera un luogo in cui
riunirsi in gruppi di studio
DAL REGOLAMENTO
Ciò che offre
la Facoltà
Concepita inizialmente come un istituto finalizzato alla preparazione dei pastori, la Facoltà ha subito grandi trasformazioni, soprattutto in questi ultimi decenni. La grande svolta, preparata da un lungo dibattito, è stata omologata nel « Regolamento » approvato dal
Sinodo del 1975, e rivisto dal Sinodo del 1984.
Tre sono oggi gli scopi della Facoltà: a) preparare i pastori,
b) promuovere gli studi teologici nell'ambito delle chiese, c) essere
un centro di cultura e ricerca protestante.
Questa apertura ha favorito l’iscrizione ai corsi di quanti, pur
non avendo in vista ¿'esercizio del pastorato, avevano comunque interessi teologici.
La Facoltà ha istituito due tipi di corsi. Riportiamo qui di seguito
alcuni articoli riguardanti i corsi, le materie, gli esami e le norme
per le iscrizioni, tratti dal « Regolamento » approvato dal Sinodo ’84.
Gli esami richiesti per il corso di laurea sono trenta, quelli per
il corso di diploma undici.
Art. 3 (Corsi)
Gli studi della Facoltà sono
articolati su due corsi;
a) uno, della durata di quattro anni, più uno all’estero, comprendente gli esami di cui all'art.
14, tendente in via primaria alla preparazione per l’esercizio
del ministero pastorale nelle
chiese evangeliche;
b ) uno, della durata di tre
anni, comprendente gli esami
delle undici materie di cui all’art. 15, tendente a fornire gli
elementi essenziali di una informazione teologica protestante.
Le modalità esecutive del corso di cui alla lettera b) vengono
stabilite dal Consiglio di facoltà, sentito il Collegio accademico, con apposita normativa.
Art. 4 (Speciali piani di studio)
Il Collegio accademico ha facoltà di ridurre gli anni di frequenza e di accettare un piano
di studi diverso da quello ordinario, per gli studenti che provengono da altri istituti teologici protestanti, o che abbiano già
superato gli esami di talune materie fondamentali o complementari in occasione di altri precedenti studi, tenendo conto degli
studi seguiti e dei titoli eventualmente conseguiti presso altri istituti universitari.
Art. 5 (Attestati e diplomi)
A coloro che hanno terminato il corso di cui alla lettera a)
dell’art. 3, la Facoltà conferisce
una laurea in teologia che attesta la completezza degli studi,
ma non abilita in vista del ministero pastorale.
A coloro che hanno inoltre superato le esercitazioni omiletiche, catechetiche e di teologia
pastorale dei primi quattro anni e le prove finali di catechesi
e di predicazione, la Facoltà conferisce la laurea in teologia in
vista del ministero pastorale.
Art. 6 (Modalità d’iscrizione al
corso di laurea)
Colloro che intendono iscriver
si al corso di cui alla lettera a)
dell’art. 3 debbono fame domanda scritta e motivata al Consiglio, allegando i seguenti documenti:
a) certificato di nascita;
b) diploma di maturità classica o altro diploma di scuola
secondaria superiore che il Consiglio si riserva di giudicare equipollente;
c) certificato medico attestante le condizioni di salute dello
studente;
d) presentazione da parte del
Concistoro o Consiglio della
chiesa di cui lo studente è membro;
e) due fotografie formato tessera.
In mancanza della presentazione di cui alla lettera d) o nel
caso in cui il richiedente non
sia membro di una chiesa evangelica, il Consiglio deve accertare in altro modo, anche mediante un colloquio diretto, l’idoneità dall’interessato ad intraprendere gli studi teologici.
Il &nsiglio, esaminata la documentazione raccolta, delibera
sulla iscrizione.
Art. 7 (Modalità d’iscrizione al
corso di diploma)
Coloro che intendono iscriversi al corso di cui alla lettera b)
dell'art. 3 debbono fare analoga
domanda al Consiglio, corredandola dei seguenti docum.enti;
a) certificato di nascita;
b) diploma di scuola secondaria superiore;
c) due fotografie formato tessera.
Il Consiglio ha facoltà di accettare una domanda corredata
di diploma di scuola dell’obbligo, richiedendo un esame di ammissione su argomenti storici o
linguistici, da concordare con il
Collegio accademico.
Il Consiglio, esaminata la documentazione raccolta, delibera
sulla iscrizione.
4
IV — Facoltà di teologia
24 giugno 1988
L’OPINIONE DI GIORGIO ROCHAT
La Facoltà
è delle chiese
La Facoltà dipende dal Sinodo
cioè, in ultima analisi, dalle chiese. Il Sinodo nomina annualmente il Consiglio della Facoltà, al
quale affida la responsabilità globale deU’istituto p)er ciò che concerne l’amministrazione, l’organizzazione e la conduzione degli
studi. Compongono il Consiglio
il decano, il’ quale viene scelto
tra i professori ordinari e dura
in carica non più di tre anni consecutivi, uno studente e tre consiglieri, dei quali almeno uno deve essere pastore ed uno metodista.
L’operato del Consiglio è soggetto all’esame e al controllo del
Sinodo.
Tutti i docenti, professori ordinari e straordinari, incaricati,
assistenti, una rappresentanza
degli studenti e, con voce consultiva, un rappresentante delle
chiese che si servono dell’opera
della Facoltà, compongono il Collegio accademico che predispone
i piani di studio, le materie complementari da attivare, segue il
lavoro degli studenti, in una parola tutto ciò che riguarda l’attività accademica.
Ad un membro del Consiglio,
Gioi-gio Rochat, docente di storia presso l’Università di Torino,
abbiamo chiesto una valutazione sulla Facoltà e il lavoro che
vi si svolge.
« Il problema principale della
Facoltà — egli osserva — è capire che cosa le chiese vogliono
dalla Facoltà stessa, quali studenti sono in grado di fornire, per
quali contributi finanziari si impegnano e quali richieste precise
hanno. La Facoltà offre un corpo accademico piccolo, ma estremamente qualificato, noto e
laborioso che, pur svolgendo un
ruolo culturale di alto livello,
non può però da solo assumere
i destini delle chiese e delle loro risposte al mondo ».
Ma — gli domando — che tipo
di formazione deve dare oggi la
Facoltà?
« Formare ' dei pastori — mi
risponde — è una cosa sempre
più complicata perché i giovani,
ma anche i meno giovani, studenti in teologia sono sempre
più diversi tra loro e sempre meno disposti a riconoscersi in un
modello preesistente; le chiese,
inoltre, chiedono loro cose abbastanza diverse, per cui io sono
convinto che la Facoltà deve dare una formazione teologica e
culturale ed alcuni strumenti
del mestiere, ma che poi i pastori li sbozzino e definiscano
meglio. Quando un giovane pastore o un candidato va in una
chiesa, ha un certo bagaglio culturale; ma è nella chiesa che impara a fere il pastore ».
Avendo notato un po’ di fermento tra gli studenti e raccolto
alcune lamentele sulla vita comunitaria, gli chiedo una sua o
f)inione, anche se capisco che per
ui può essere imbarazzante darmi una risposta.
« A vedere le cose dall’esterno,
— mi risponde — ho l’impressione che pochi studenti si rendano
conto di essere dei privilegiati.
Cioè di avere una facoltà piccola, con dei professori capaci e
presenti, con condizioni di studio
pressoché ideali, con una biblioteca a disposizione. Nessuno studente di università normali ha
un rapporto così fitto e intenso
coi docenti e una biblioteca a
disposizione paragonabile a questa. Pochi colgono il privilegio
che hanno di vivere in un ambiente quasi ideale per lo studio
e avendo la garanzia, salvo proprio collassi, di un impiego poco
retribuito, ma garantito e anche
di prestigio. Capisco che è difficile accettare i problemi vocazionali, una carriera poco remunerativa e confrontarsi con i ruoli pastorali tradizionali che oggi
sono talvolta in crisi. D'altra parte tutto questo è un dato di fatto che condiziona la Facoltà, ma
che dipende dalle chiese ».
La teologia
La teologia
è una .scienza
bella,
la più bella
delle scienze. Perciò
si può e si deve
fare teologia
con gioia.
Un teologo non lieto,
cattolico o protestante
che sia,
non è un teologo.
Karl Barth
LA BIBLIOTECA
70 mila volumi
Il gioiello della Facoltà è la
sua biblioteca. Anzitutto per
quello che vi si può trovare dentro e poi perché essa è a disposizione degli studenti e dei professori 24 ore su 24.
In questi ultimi anni ha subito un enorme sviluppo; sono
almeno 1.500 all’anno i volumi
che entrano e vanno ad aggiurigersi ai più di 67.500 già esistenti.
Entrare in una biblioteca incute sempre un certo rispetto;
sarà forse per il silenzio che vi
Elena Breda mentre
sta registrando il libro
n. 67.653, l’ultimo
arrivato in biblioteca.
La biblioteca cresce
ad un ritmo di
1.500-2.000 volumi l’anno
QUANTO COSTA E CHI LA SOSTIENE
Facendo I conti In tasca
Ma quanto costa la Facoltà?
E da dove ricava le sue entrate?
Chi la sostiene?
Una prima questione da mettere bene in chiaro è che la Facoltà ha un conto economico distinto e separato da quello della Tavola, anche se riceve un
contributo sia dalla Tavola che
dairOpcemi. Ma questo rappresenta grosso modo soltanto il 4%
delle entrate.
Anche le chiese danno un contributo limitato, intorno al 6%.
A queste percentuali si può aggiungere una quota intorno alri,5% proveniente da privati ed
amici della Facoltà. Il che significa che, globalmente, solo una
quota intorno al 12% delle entrate totali proviene dalle chiese evangeliche in Italia.
i.a Facoltà, e questo già fin
dalla sua costituzione a metà
del secolo scorso, ha usufruito
della generosità e solidarietà delle chiese sorelle dell’estero. Ancora oggi una quota pari al 2.5%
del bilancio è costituita da doni
dall’estero, dati sia per pagare
gli stipendi dei professori, sia
per borse di studio.
L’American Waldensian Society ha dato neH’86 circa 17 milioni; un altro cospicuo aiuto proviene dalla Svizzera, sia dal Comitato di Berna che dal Consiglio Ecumenico, e così pure dalle
chiese evangeliche tedesche.
Una fetta cospicua delle en
trate è data dal Convitto (circa
il 40%). E’ una gestione in attivo. L’anno scorso ha potuto versare nelle casse della Facoltà
circa 7 milioni, quasi l’ammontare dello stipendio netto di un
professore.
A fronte di queste entrate, quali sono le spese della Facoltà?
La spesa maggiore di un bilancio ordinario è rappresentata dalla voce « personale », comprendente gli assegni ai professori (i quali percepiscono uno
stipendio pari a quello pastorale), al personale della biblioteca,
ai professori emeriti, alle vedove. In totale questa voce rappresenta circa il 28% delle uscite. Le spese di amministrazione
sono state nell'87 di poco superiori airi%, quindi estremamente contenute. Ciò significa però
che molto lavoro amministrati;
vo viene svolto dai professori
stessi e quindi è loro sottratto
tempo prezioso allo studio e all’attività didattica. La voce « stabili » nel bilancio dell’anno scorso è piuttosto onerosa: sono
stati spesi più di 70 milioni per
la manutenzione straordinaria.
In totale la voce rappresenta il
17% delle uscite. D’altra parte
é difficile pensare che uno stabile grande come la Facoltà possa costare poco, anche tenuto
conto di tutti i servizi che deve
rendere.
Il conto dell’anno scorso, pur
troppo, si è chiuso con un passivo intorno ai 60 milioni. E’ un
passivo pesante per una gestione che si aggira sui 400 milioni
annuì. Ma è un passivo leggero,
se si considera che la Facoltà
è sostenuta dalle chiese valdesi
e metodiste per una somma di
poco superiore al 12%.
Quanto danno
le chiese?
Non molto, a giudicare dai doni pervenuti nel corso dell’87,
essenzialmente frutto delle collette raccolte nel corso della « domenica della Facoltà ». Ecco le
cifre, ripartite secondo i Distretti e la relativa percentuale, rap
portata alle spese. Come si vede, il gettito totale delle collette
riesce a malapena a coprire il
5% delle spese.
I Distretto; lire 7.951.850, pari
aH’1,8% delle spese. II Distretto: lire 10.396.858, pari al 2%
delle spese. Ili Distretto: lire
2.218.100, pari allo 0,4% delle
spese. IV Distretto: lire 2.858.450,
pari allo 0,6% delle spese.
Una volta, fino agli anni ’70, le
chiese avevano la voce « Facoltà »
inserita nel bilancio ordinario.
Poi, stranamente, è sparita. La
chiesa di Roma, Piazza Cavour,
ha deciso quest’anno di reinserirla. Forse il suo esempio potrebbe essere seguito dalle altre.
regna, appena rotto dal bisbiglio degli studiosi o dai passi
ovattati; sarà per l’odore della
carta stampata e della rilegatura dei libri; sarà forse per la
sensazione di trovarsi in presenza del pensiero di generazioni e
generazioni del passato, anche
più lontano, ormai codificato,
consegnato alla storia, non so.
La biblioteca è un meandro di
sale e salette, scaffali, scale a
chiocciola che portano a soppalchi dove, ben ordinate, si allineano le collezioni dei hbri.
C’è l’ampia saia di consultazione,
aperta al pubblico, con le enciclopedie e le opere di consultazione più usate. Qui si trova
anche la Weimarana, la raccolta
cioè di tutti gli scritti di Lutero;
un’opera preziosa e rara. Qui c’è
anche il Corpus Reformatorum,
contenente gli scritti degli altri
riformatori: un’altra collezione
particolarmente importante.
Se si fa parte della schiera degli « eletti » si può accedere in
un’altra parte, più interna, dove sono raccolte le opere di
storia, dogmatica e altro, scritte
in questo secolo.
Superando una porta, che una
volta immetteva su un terrazzo,
si trova oggi la sezione di esegesi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Anche qui una teoria
di scaffali che sembra senza fine.
Solo chiedendo un permesso
speciale si può infine accedere
al « sancta sanctorum »: una saletta stipata di Bibbie fino al soffitto. Il nucleo originario di questa collezione è costituito da un
lascito di Tito Chiesi. Fa un certo effetto trovarsi di fronte al
famoso Nuovo Testamento di
Erasmo, la prima edizione critica appunto del N.T., con la versione latina della Vulgata, accanto al testo greco, o sfogliare
la grande Complutense, la Bibbia poliglotta, opera del card.
F. Ximenes, francescano, arcivescovo di Toledo.
La biblioteca non è però solo una raccolta di libri antichi.
Gli investimenti fatti,sono tutti
in acquisti di nuovi libri. Roma
offre ampie possibilità per chiunque si occupi di studi teologici;
ma la biblioteca della Facoltà
consente allo studioso di avere
le opere che lo interessano prima che in altre biblioteche, senza doversi sottoporre a lunghe
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La biblioteca ha uno sviluppo
quasi geometrico: in questi ultimi 20 anni si è quasi raddoppiata! Si pensi che in un secolo
era riuscita a mettere insieme
20-30 mila opere. C’è dunque un
problema di spazio; dove mettere le nuove opere? Ma c’è anche un altro problema: come
classificare le nuove opere? Anche le scienze teologiche sono
in espansione e le vecchie classificazioni non sono più sufficienti a catalogare Tesistente.
La biblioteca dunque cresce,
ha bisogno di nuovi spazi e nuovi metodi. E’ un dato positivo
per uno strumento che vuole
essere al servizio delle chiese.
Questo inserto è stato
curato da Luciano Deodato