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BILYCHNIS
Anno Vili. - Fasc. II. ROMA - 28 FEBBRAIO 1919
Volume XIII. 2
ROMOLO MURRI : II nuovo partito dei cattolici italiani.
GIOVANNI PIOLI: La ‘'Ricostruzione industriale,, e i cristiani.
Fra MaSSEO da Pratoverde : Intermezzo sacramentale (A proposito d’Unione delle Chiese cristiane).
GIOVANNI E. MEILLE: Psicologia di combattenti cristiani.
M. DELL'ISOLA e DlNO PROVENZAL : C'è una spiegazione logica della vita?
RUBRICHE FISSE:
Per la cultura dell’anima - M. Billia:
Il Vero uomo (Meditazioni) - Spigolature. Cronache - G. Quadrotta : Note di poli-.
tic* Vaticana e azione cattolica - Cronologia.
Note e documenti ~ E. Rutili : Forme di degenerazione religiosa in tempo di guerra.
Tra libri e riviste - M.: Rassegna di filosofia religiosa (XXV) - GIOVANNI COSTA: Religioni del mondo classico (VI.2) -(r. ep.): Cronaca Biblica (Vili).
Notiziario - Pubblicazioni - Cose nostre.
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BILYCHNIS rivista mensile di studi religiosi
. < < 4 < FONDATA NEL 1912 ► » > »
CRITICA BIBLICA STORIAI DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA PEDAGOGIA FILOSOFIA RELIGIOSA - MORALE - QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E_ALU ESTERO SI PUBBLICA LA FI NE DI OG NI M ES E. REDAZIONE: Prof. LODOVICO PaSCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WHITTINGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. 7; Per l’Estero, L. 10; Un fascicolo, L. I. (Per gli Siali Uniti e per il Canada è autorizzato ad esigere gli abbonamenti il Rev. A. Di Domenica, B. D. Pastor, 1414 Culle Ave. Philadelphla. Pa. (U. S. A.)].
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Il volume comprende i seguenti capitoli:
1..I1 mondo al tempo della nascita di Gesù.
II. Il paese di Gesù.
III. La Madre di Òesù.
IV. Gli anni silenziosi di Gesù.
V. La predicazione di Gesù.
VI. Le Parabole di Gesù.
VII. I principali insegnamenti di Gesù.
Vili. Gli “ agrapha ” o le parole di Gesù non registrate.
IX. I miracoli di Gesù.
X. Le riforme operate da Gesù.
XI. L’ultima settimana della vita di Gesù.
XII. Oltre la tomba.
Il voi. di oltre 500 pagine si vende al prezzo di L. 4.
Rivolgersi alla Libreria Ed. Bilychnis, Via Crescenzio, 2 - ROMA.
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Anno ottavo - Fasc. II.
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RIVI51À DI SlVDl RELIGIOSI EDfTACALLA FACOLTA DELIA SCVOLATEOLOGICA BATTISTA • Di ROMAFebbraio 1919 (Vol. XIII. 2)
SOMMARIO:
Romolo Murri: Il nuovo partito dei cattolici italiani. - La tesi e l’ipotesi - La politica del Papato - I precedenti storici - La reazione di Pio X - La guerra e la vittoria dell’Intesa - Il programma del partito ............................ . Pag. 82
Giovanni Pioli: La Ricostruzione industriale* e i cristiani ... » 91
Fra MaSSEO da Pratoverde : Intermezzo sacramentale (A proposito
¿’Unione delle Chiese cristiane}...... ...... » 98
Giovanni E. Meille: Psicologia di combattenti cristiani (Note e documenti .............. ...... » 106
C'è tíña spiegazione lògica della vital
Red.: «Giuoco fatto» ............... »*116
M. dell’ Isola : Giuoco da farsi. Lettera aperta al Sig. Dino
. Provenzal ......... ......... » 117 Dino Provelzal: Alla Signora M. dell’isola ...... »122 PER LA CULTURA DELL’ANIMA :
Michelangelo Pilli a: Il vero uomo: I. Ricordo umbro - II. In manus tuas. Domine, commendo spiritum meum - III. Ai morituri che piangono i loro cari . . . . . . ...... ........ ....... ■ 126
Spigolature: Risultato proficuo che deriva dalla meditazione e dall'esame di
/. coscienza - Vita- azione ......................... 131
CRONACHE:
Guglielmo Quadrotta: Politica Vaticana e azione cattolica. Il Pontefice e il Presidente - L’incontro - Il significato della visita - Un'altra visita -I «fratelli separati* - Wilson e gli alleati - La soddisfazione vaticana Cronologia ............... ’. . . . . .......... > 133
Ernesto Rutili : Forme di degenerazione religiosa in tempo di guerra. Note e documenti . . .-....... . . ....... . ........ . » 141
TRA LIBRI E RIVISTE :
m. ; Rassegna di filosofia religiosa (XXV).- - Marxismo e idealismo - La religione del sindacalismo - Chiesa e Stato in conflitto sul terreno etico La fede cristiana - Che cosa è il cristianesimo ?............ » 145
Giovanni Costa : Religioni del mondo classico (VI,2) - Lustrum - Magia
latina - Martire - Misteri ellenistici - Mitra - Ornsmo - Porfiro «contro
i cristiani» - Prometeo - Ramo d’oro - Sacrificio israelitico e fenicio Sóle - Zeus .......... . ....... . . . .. .’................... 152
(r. «p.): Cronaca biblica (VIII).-I salmi - Libro di Giobbe - Vita di Gesù . » 157
Notiziario .... ;....................................*............ » 163
Pubblicazioni pervenute alla Redazióne............................. 167
Cose nostre .............. '........... ....... ■ 167
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IL NÜOYO PARTITO DEI CATTOLICI ITALIANI
LA TESI E L’IPOTESI
I cattolici italiani si sono costituiti in partito politico. Senza etichetta confessionale, senza assistenti ecclesiastici, con non più che un discreto cenno alla Chiesa, per la quale chiedono « libertà e indipendenza nella piena esplicazione del suo magistero spirituale », con aperta dichiarazione di lealtà nazionale, col nome di « partito popolare italiano », e con grande lusso di rivendicazioni democratiche nei dettagli.
L’importanza del fatto può difficilmente essere esagerata. Un giornale liberale di Milano, la Perseveranza, osservava (e togliamo la citazione dal Corriere d'Italia, organo del nuovo partito, che non le ag-=e commenti): « È un bel gesto di ecisione, col quale i cattolici italiani proclamano non soltanto la piena maturità, ma la decadenza di ogni forma di tutela sull'opera loro ». E non si potrebbe dire meglio. Consenziente, col silenzio, il tutore, il Vaticano, i cattolici d’Italia possono oggi finalmente avere una loro politica, non subordinata e non sacrificata alle rivendicazioni politiche della Santa Sede. Le quali erano di duplice ordine: dottrinali ed universali le une, specificamente italiane le altre.
Sulla posizione della Chiesa nella società cristiana, sui diritti del potere ecclesiastico e del chiericato, sulle libertà costituzionali la Chiesa stessa ha una dottrina notissima, che si può vedere in ogni canonista ortodosso e in innumerevoli documenti ponti-ficii: dottrina di privilegio divino, di preminenza sullo Stato, di collaborazione fra i due poteri secondo norme dettate dalla Chiesa stessa o concordate con essa, di ripudio e condanna delle libertà, per un concetto teocratico della autorità e del governo degli uomini. In quanto debbono professare, se vogliono essere ortodossi,’ queste dottrine politiche, e lavorare alla riconquista della posizione sociale che la
Chiesa si assegna e ha perduto e rivendica, ¡cattolici sono già senz’altro, e necessariamente, un partito politico. Ma la Chiesa che, sotto un tale aspetto, ha già perduto tanto terreno, ne va ancora perdendo ogni giorno. Essa non riusciva già più in quasi nessuno Stato a raccogliere i cattolici sotto un program ina politico che avesse le sue finalità; e l’istinto di libertà e di autonomia, che è l'anima stessa dell'anima contemporanea, insinuandosi insidiosamente nei suoi, la sopraffaceva; o, se essa si appoggiava a Stati e ad autorità antidemocratiche, queste le facevano pagar caro il loro favore, con una servitù pericolosa e compromettente. Partiti cattolici non ce • ne sono in nessun luogo; neanche nella Spagna. La guerra, con la vittoria dell'Intesa e della democrazia, ha dato l’ultimo colpo al medioevalismo politico papale. Ma si noti qui l'equivoco in cui sono anche caduti molti dei commentatori della novità che ci occupa. Essi spiegano il carattere non confessionale del nuovo partito dicendo che i cattolici non possono costituire un partito. Falso: nella dottrina ufficiale cattolica sulla posizione della Chiesa nella società e di fronte allo Stato, e dei doveri dei fedeli verso di essa, c’è quanto basta ed avanza perchè si abbia un partito, il partito clericale nel senso stretto* della parola, sino a che i diritti della Chiesa non sieno riconosciuti ed accettati dallo Stato. Chi segue rigidamente quella dottrina non può non essere di questo partito. La verità è che di cattolici i quali, sul terreno della loro azione politica, aderiscano lealmente a quel programma — che era il programma dell’opera dei Congressi prima della crisi, di questa — non se ne trovano-più in numero sufficiènte. Il clericalismo dichiarato è coerènte fa bancarotta anche in Italia.
Per questo gli apologisti del cattolici-smo, sottilizzando, hanno introdotto la distinzione famosa della tesi e della ipotesi. Sì, il dovere e il programma politico dei
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IL NUOVO PARTITO DEI CATTOLICI ITALIANI
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cattolici di ogni paese è quel che è, fissato dai canoni, per tesi che non subisce negazioni o mutilazioni; e dove la fioritura della vita ecclesiastica sia tale da permetterne lo spiegamento, lavorare a questo è dovere indeclinabile dei cattolici. Ma vi sono condizioni storiche in cui ciò non è possibile. Anche in paesi che son dati per cattolici, nella loro grande maggioranza, il programma massimo, cioè vero ed intiero, dei cattolici non trova che pochi seguaci, segnati a dito dalla universale diffidenza. E allora subentra l’ipotesi. Allora si accetta il terreno della libertà, si accetta una posizione di parità civile dei cattolici con protestanti e con non credenti (« Si intende che per libertà religiosa noi intendiamo libertà religiosa per tutti i culti »: dichiarava Don Sturzo, il segretario politico del nuovo partito, ad un redattore del Messaggero; e togliamo anche questa citazione dal Corriere d'Italia, 24 gennaio), si rinunzia praticamente alle rivendicazioni della Chiesa non compatibili con la natura degli Stati moderni, si redige un programma minimo, il programma delle libertà, non cattoliche, ma « cristiane », come lo chiama D. Giulio De Rossi.
In questo scartare le tesi ed accettare Yipotesi, in questo mettersi sul terreno dèlie libertà ieri deprecate, sta l’importanza Ì¡rande del partito — non cattolico — popo-are italiano, per la politica e per la religione del nostro paese.
LA POLITICA DEL PAPATO
Questo passaggio acquista una particolare importanza in Italia, per la presenza, nella stessa Roma, del pontificato italiano. Roma papale aveva con lo Stato italiano una doppia querela: quella del vedere proclamati ed applicati nella stessa nazione e per lo stesso popolo in mezzo al quale il pontificato risiede i principi nuovi di autonomia totale del potere civile e di libertà religiosa di tutti i cittadini, e quello dell’essere stata privata del potere temporale, guarentigia dichiarata indispensabile alla effettiva libertà della Chiesa. Dopo il 20 settembre 1S70, vinta questa sul terreno politico,* non volendo accettare il nuovo stato di cose, impóse ai cattolici italiani di non accettarlo neanche essi, e di associarsi durevolmente e fedelmente alla sua protesta. Espressione di questa fedeltà religiosa, che diveniva solidarietà politica fra il-papato e i cattolici italiani, fu il non expedit, che Leone XIII fece in
terpretare come non licei. I cattolici rifiutavano di dar la loro adesione allo Stato unitario, di entrare a costituirlo, astenendosi dalle elezioni politiche, l’atto tipico della sovranità popolare sulla quale riposava il nuovo Stato. Cattolici prima che cittadini, devoti alla dottrina cattolica dei diritti e dell’autorità della Chiesa, essi stavano per questa, contro lo Stato anti-cattolico ed usurpatore.
Rimane la protesta del Vaticano? Don Sturzo, il nuovo partito popolare non ne sa nulla. « Non abbiamo' da sostenere nessuno speciale programma circa i modi di questa libertà (della Chiesa), non dipendendo dal nostro apprezzamento ». Ah, no. Don Sturzo. Col fatto stesso del costituirvi, voi sancite l’apprezzamento che fra, i modi di questa libertà non c’'è più per voi quello che vi impedì così a lungo di esistere come partito, di accettare là nazione e il suo Stato e il diritto fondamentale su cui questo riposa e l’unità nazionale. E voi stesso, infatti, avete cura di aggiungere che l’antico dissidio fra Stato e Chiesa si è venuto attenuando e l’esito della guerra ha « eliminato molti tramestìi internazionali ai quali fu a scopi politici spesso ritenuta (sic) mescolata la Santa Sede, e ,« il problema dell’indipendenza della Chiesa è un problema spirituale al quale i cattolici italiani si interessano come si interessano i cattolici di tutto il mondo ».
Formule ambigue, meditatamente scritte perchè il programma minimo non paia escludere definitivamente il massimo, l’ipotesi non uccida la tesi. Ma che pur dicono molto. Se la libertà della Chiesa è un pro-Í¡ramina spirituale che riguarda gli Ita-iani come i cattolici di tutto il mondo, vuol dire che esso oramai non è più un programma che tocchi la nazione nella sua integrità nazionale e nel suo diritto costitutivo, così come non tocca le nazioni francese 0 inglese o americana; è divenuto Sroblema spirituale, evadendo dal terreno ell’antica contestazione: terreno che è così rimasto sgombro per voi. E questo, più che la vostra cauta parola, dice del resto, inesorabilmente, la storia stessa.' Conquistando oggi la vostra libertà politica, costituendovi a partito non confessionale, sostituendo alla libertà cattolica la libertà cristiana, voi avete vinto la guerra, la vostra guerra. Ma, se voi l’avete vinta, chi è che l’ha perduta? Non attendo là risposta.
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I PRECEDENTI STORICI
Il valore di questo fatto nuovo lo si intenderà meglio ricordandone brevemente i precedenti. Da pochi e solo assai vagamente li abbiamo visti ricordati in questi giorni: perchè c’è qualche nome di mezzo che questa miserabile borghesia liberale italiana e i suoi degni giornalisti non osano scrivere; e pure è storia recentissima e assai nota e senza di essa non si spiega nulla di quel che oggi avviene.
Sin verso la fine del secolo scorso in Italia, a protestare e agitarsi contro il non expedil e la politica vaticana non c’era che un piccolo gruppo di conservatori senza seguito, i quali si duolevano sólo che le forze cattoliche non potessero essere impiegate in Italia per la reazione, Ser il consolidamento dei potere civile e ell’ordine costituito che la marea montante dello spirito democratico pareva minacciare.
Erano i cattolici alla De Maistre e alla Don Margotti, i quali non vedevano la salute che nell’accordo fra potere regio e potere ecclesiastico, fra trono ed altare, contro il comune nemico; ma di essi alcuni volevano chb lo Stato riconoscesse il suo errore e pericolo e si volgesse alla Chiesa, gli altri che la Chiesa, facendosi più concedevole e rinunziando al potere temporale, facesse un passo versò il trono.
Il ’98 fu l'anno critico per la borghesia conservatrice e reazionaria italiana. Allarmatasi per alcuni moti popolari spontanei e improvvisi, essa scése, in campo donchisciottescamente e ferocemente contro un immaginario piano di rivoluzione, volgendosi con eguale furore contro i sup posti rivoluzionari e contro quei cattolici che negavano ostinatamente allo Stato il loro concorso; D. Albertario andò recluso con Filippo Turati.
Quando la reazione vide la vanità di quella sua grossa paura e ne ebbe vergogna, e quando i rivoluzionari videro lo Stato più solido, nella coscienza nazionale, di quel che credessero, lo spirito della politica italiana mutò radicalmente.
Ma c’era già intanto un gruppo di giovani — era apparsa al principio di quello stesso anno 1898 la Cultura sociale — il cui programma era di spingere la Chiesa a rientrare nella vita pubblica italiana, non a servizio della reazione, ma a servizio del popolo e della democrazia. Essi avevano preso sul serio certuni insegnamenti di
Leone XIII, e fondarono la democrazia cristiana. La quale ebbe un cosi rapido successo che già due anni dopo, sorti in tutta Italia gruppi di aderenti, si pensò di istituire regolarmente un partito politico nazionale, di azione sociale, col nome di democrazia cristiana italiana; e una adunanza numerosa fu tenuta a questo scopo in Roma nel settembre del 1900: e annunziata la fondazione del Domani, organo del nuovo partito (1). Fu allora che Leone XIII fece sapere a chi scrive questa nota, per mezzo del card. Respighi, vicario di Roma, che il S. P. si riserbava egli solo di giudicare quando e come avrebbe potuto permettere ai cattolici di costituirsi
(x) Do qui il testo del proclama pubblicato nella Cultura del Popolo, xo nov. 1900.1 lettori noteranno la sostanziale identità con l'appello del nuovo partito, il quale, a 18 anni di distanza, non fa, quasi, che'ricopiarci.
«Cattolici italiani,
« Il sette decembre prossimo uscirà il primo numero del nuovo giornale: Domanti
« L’esistenza di un complesso di forze cattoliche in Italia che segue orientamenti nuovi, in base sopratutto alle direzioni sociali della Santa Sede e tende a penetrare più efficacemente la vita pubblica italiana e a dare ai cattolici unità e forza di partito politico, è fatto noto ed evidente da qualche tempo. Una efficace propaganda di idee e di cultura, la difesa della libertà della Chiesa, la tutela degli interessi delle classi umili in base ai dettami della giustizia, la tendenza verso ùna politica sociale nuova e molti altri orientamenti più precisi ed opportuni nelle questioni pubbliche costituiscono la sua im--pronta speciale.
« Per dare a questo movimento democratico-cristiano, a questo partito nascente un organo popolare nazionale, noi fondiamo oggi, con l’approvazione e l’appoggio di numerosi amici di tutta Italia, il Domani! settimanale ora, quotidiano, speriamo, più tardi.
« Il Domani! sarà periodico sociale, politico, letterario. Organo di un partito, esso cercherà inoltre di essere lo specchio più largo e fedele della vita italiana quale è in realtà e il più valido impulso a che il nostro programma sociale di oggi divenga la realtà del domani ». »
Firmavano l’appello Murri, Mattei Gentili, l’attuale direttore del Corriere d'Italia, organo del nuovo partito, e G. B. Valente, segretario attuale della Confederazione italiana (cattolica) del lavoro. Tra ì rappresentanti regionali del Comitato centrale del nascente partito erano il sac. Luigi Sturzo di Calta-girone e l’avv. Giovanni Berlini di Prato.
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in partito; e veniva vietata la pubblicazione del nuovo giornale. Intanto quei giovani avevano portato lo scompiglio nella vecchia Opera dei Congressi; e vio; lentissime ardevano le polemiche fra i" fautori e sostenitori di questa ed i giovani murriani; e il- Vaticano doveva spesso intervenire-a sedar le discordie e imporre tregua, annunziando sue decisioni.
Tre mesi dopo il divieto del quale ho detto era pubblicata l’enciclica Grave* * de communi. Allora, facendo le viste di aver vinta la causa, senza interpellare l’autorità, ma senza più 'far parola apertamente di un nuovo partito, iniziammo la pubblicazione del Domani d’Italia, dando opera efficacemente all'organizzazione; tanto che un anno appresso si contavano già circa 300 associazioni d. c. in tutta Italia, delle Juali alcune, come il « Fascio di Milano », orentissime, e molte organizzazioni professionali di operai e contadini.
Invano! Cresceva rapidamente, insieme con le nostre forze, la opposizione ostinata e violenta dei reazionarii del cattoli-cismo e del ceto industriale. Il 3 febbraio del igoz furono pubblicati i nuovi statuti dell’opera dei Congrèssi con istruzioni annesse; e ai democratici cristiani si imponeva di entrare nel secondo gruppo della nuova Opera, di . dipendere gerarchicamente da esso e di accettare nelle Sezioni l’assistente ecclesiasico nòminato dai vescovi. Era la morte della nostra autonomia politica. Il Vaticano schiacciava un partito politico, di cattolici, ma non confessionale.
Grande fu la commozione fra noi. Il 9 febbraio il Domani d'Italia pubblicava una breve dichiarazione redatta da me, ma non recante la mia firma, in cui, con termini molto rispettosi, si annunziava di non poter accettare il nuovo Statuto e la presentazione alla Santa Sede di un memorandum (1). Per non compromettere
(x) Ecco alcuni brani di quella memorabile dichiarazione:
• Abbiamo letto' il nuovo statuto dell’Opera dei congressi fatto conoscere ora ai cattolici, insieme a istruzioni emanate dalla S. Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari: e più Specialmente la parte che riguarda la riorganizzazione della democrazia cristiana in Italia.
«Cattolici sinceri e devoti alla Santa Sede, amanti sopra ogni altra cosa l'unione sincera e costante con essa, ma gelosi altresì dei diritti e delle esigenze della attività civile e sociale dei cattolici italiani, c pieni di
io sacerdote la resistenza dei miei amici feci annunziare la mia partenza da Roma e rimasi per più giorni nascosto in casa, non vedendo che qualche fedelissimo collaboratore. Il Vaticano ebbe paura. Se il laicato cattolico, che aveva oramai un numeroso stato maggiore, in cui erano già quasi tutti gli antesignani di oggi, fosse stato meno vile, la causa era vinta sin da allora e costituito, dieciassette anni fa» il partito popolare italiano.
Accettati, per la debolezza di molti dei nostri — fra 1 primi a cedere il Fascio di Milano — e per le làrghé promesse fatte dal Vaticano, i nuovi Statuti, entrammo nell’Opera dei congressi e vi acquistammo una fortissima posizione. Morto, nell'estate dell’anno seguente, Leone XIII, e succedutogli Pio X, chi scrive dovè chiedere ed ottenne il permesso di partecipare al Srimo congresso nazionale della rinnovata 'pera che si teneva nel novembre a Bologna: e vi ottenne, con i suoi amici, una vittoria clamorosa e definitiva sui vecchi elementi. Poco appresso Pio X sciolse l’Opera dei congressi.
Ci ricostituimmo allora, tenacemente, in Lega democratica cristiana-, riprendendoci la nostra libertà, benché assai meno numerosi, oramai; e primo presidente della nuova organizzazione fu ravv. Gio-vanni Bertini, oggi deputato ed uno degli undici del Comitato provvisorio del nuovo partito. Pio X ci lanciò contro una enciclica,. nella quale vietava ai sacerdoti di far parte della Lega che, nel 1906, tolto l'oramai equivoco appellativo di cristiana, prese il nome di Lega democratica nazio-naie, e vide poi lentamente assottigliarsi le sue file.
sollecitudine per l’avvenire delle nostre giovani asso-eiezioni operaie, noi cimentiamo in dovere di osservare che le nuove disposizioni statutarie dell’opera di congressi con tengono, norme politiche e regolamentari le quali ci sembrano non diradare un equivoco che in questo momento era necessario veder evitato — quello che vela la distinzione necessaria a farsi fra il compito'religioso e i compiti civili e sociali delle organizzazioni popolari — e contenere un pericolo serio per lo sviluppo ulteriore delle nostre giovani fòrze operaie».
Seguiva poi l’annunzio di un memorandum da sottoporre alla approvazione delle associazioni d. c. di tutta Italia per esser poi presentato alla Santa Sede. .
Fra i formatali, tutti laici, era ancora l’avv. Mattei Gentili,
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Nel 1908, quando chi scrive, già colpito dalla sospensione a divinis, trattava con l’autorità per la revoca del provvedimento e si dichiarava disposto a ritirarsi da ogni attività pubblica, trovò la via della riconciliazione sbarrata da due pretese che non ritenne di poter accettare: impegnarsi a non aver più alcuna corrispondenza privata Con i suoi antichi amici e collaboratori ed aderire formalmente al principio della assoluta obbedienza al pontefice anche in materia politica e sociale. Per difendere, adunque, il diritto dei cattolici a una loro colitica, non ufficialmente regolata e dii Atta dalle autorità ecclesiastiche, egli fu escluso dalla Chiesa e colpito di scomunica maggiore, nominalmente. Se non avesse avuto la strana pretesa di possedere una coscienza propria, nel cat-tolicismo, egli sarebbe oggi il segretario Ìiolitico del partito, fondato dieciotto anni a in un modesto appartamento di Piazza Torretta, in Roma.
LA REAZIONE DI PIO X
Ma non fu male. Fu il processo ineluttabile dello spirito e della storia; della lenta erosione del cattolicismo tradizionale. La democrazia cristiana ripeteva e rinnovava, con felice ingenuità, un tentativo già due volte fatto, dopo la rivoluzione francese, in !• rancia, con La Mennais, e in Italia, con Gioberti: il tentativo di conciliare la Chiesa cattolica con la democrazia, sul terreno politico e sociale. Esso muoveva dalla consapevolezza della sostanziale identità fra lo spirito della democrazia e lo spirito del cristianesimo; e non avvertiva che tale coincidenza ed identità non può affermarsi storicamente se non con la laicizzazione del cristianesimo, cioè con la abrogazione delle pretese autocratiche della Chiesa romana, domina di trascendenza ontologica e di eteronomia, istituto giuridico-politico di privilegio e di dominio. Come da V Avenir si era passati alle Paroles d'un croyant, dal Primato al Rinnovamento, così dalla democrazia cristiana si passava al modernismo. Due anime c’erano in questo; l’una, più profonda e filosofica, affaticata dalla concezione dell’umanesimo e dell'immanenza, che intendeva sempre più esplicitamente la libertà c la democrazia come dominio dello spirito su se stesso e sulla sua storia, l’altra, ortodossa, rivendicante solo una certa autonomia politica dei cattolici e
una efficace azione sociale, conforme ai tempi.
Il partito popolare italiano è l’antica democrazia cristiana, ma depauperata e immunizzata, attraverso la reazione di Pio X, di ogni germe di modernismo; è il risultato di una selezione che durò dieci anni. La guerra e il suo esito hanno accelerato il movimento, ma non vi hanno portato nessuna mutazióne essenziale.
Pio X, per il fatto stesso dell’aver riconosciuto nel modernismo, questo « veleno di tutte le eresie », la minaccia di una nuova filosofia (che non è'proprio quella della Risposta dei modernisti e delle Lettere di un prete modernista) (1) contro le basi tradizionali della dottrina cattolica, una espressione, sorgente dal séno stesso della Chiesa e rivolgentesi contro di questa, di quello spirito di autodecisione e di autogoverno che è il più intimo valore di tutta la vita contemporanea, si sentì tanto più fortemente mosso a chiamare a raccolta tutte le forze di conservazione, a riavvicinarsi allo Stato — secondo il concetto che egli ne aveva — egualmente minacciato dal sviluppo logico ideale del principio democratico.
Cosi egli diè impulso a quella che fu chiamata la politica del disastro; allentò il non expedit, e permise ai cattolici di accedere alle urne politiche, non apertamente come cattolici, ma come conserva-tori, fautori dell’ordine costituito. Egli tendeva la mano ad ogni elemento di eteronomia e di reazione che fosse nei partiti borghesi e nello Stato. Strinse più ferreamente i cattolici nelle organizzazioni ufficiali e favorì gli accordi elettorali con uomini di ogni colore, per la tutela dell’ordine. Capolavoro di questa politica fu il patto Gentiloni-Peano, per le elezióni del 1910.
Ma i cattolici tipo Meda accettavano volentieri quello che il nuovo pontefice e la nuova situazione offrivano, senza per questo rinunziare intieramente all’antico
(x) Molti di versi indirizzi vanno sotto il nome generale di immanenza, dall’estremo positivismo all’idealismo di G. Gentile. Di fronte ad essi sta la « concezione trascendentalista del cristianesimo» che il Buonaiuti rivendica nel n. 26 genn. del Tempo, dicendo che « col crollo tedesco tutta una concezione della vita c della storia precipita nel nulla e... di fronte ad essa risolleva la pienezza della sua significazione la concezione trascendentalista del cristianesimo ».
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Hramma popolare. Meno ieratici e più , essi si proponevano bensì di far argine alla democrazia radicale e socialista, ma senza rinunziare alla forza ed al vantaggio che potevano venire dal legare a sè ed alla propria azione politica quanto più tosse, possibile degli elementi popolari e delle aspirazioni delle masse al benessere. Essi offrono al popolo i risultati materiali d’una ascensione economica e politica come compenso per la rinunzia alle ragioni ed ai valori ideali della sua liberazione spirituale. Tendono ad averne, con benemerenze positive, un mandato di fiducia, del quale si avvantaggerà anche la Chiesa.
Ciò facendo, essi otterranno certamente un vantaggio che non sarà solo loro nè della Chiesa; ma sì anche della stessa società. Poiché l’indisciplina è contraffazione della libertà e il popolo non diviene libero davvero solo perchè, perdendo ogni rispetto per i tradizionali valori sociali, si giova del potere per giungere alla dittatura del numero; il socialismo è un pericolo, e pericolo grave, non perchè e in 3uanto vuol essere stimolo e strumento i autogoverno, ma perchè, trascurando il lungo e delicato processo di educazione all’autogoverno, mediante la disciplina interiore, prepara una tirannia più insopportabile di ogni altra.
Storicamente il cattolicismo in Italia è una somma di energie e di freni morali che è necessario non disperdere, ma affinare con la cultura e con l'educazione della volontà; sino a quando tutto quello che è in esso sostanza di valori spirituali possa reggersi da sè, senza superstizioni c servitù; e il cammino è lungo e difficile. Noi saremo grati ai cattolici e al nuovo partito, se ci daranno il tempo di compiere questo lavoro, di preparare le masse alla libertà religiosa, a quelle che essi chiamano, con frase che potremmo far nostra se non. fosse la loro, le libertà cristiane, pedagogia dei credenti alla libertà dello spirito.
LA GUERRA E LA VITTORIA DELL’ INTESA
Come Pio X doveva correggere Leone XIII, Benedetto XV doveva correggere Pio X. Sgombrato, momentaneamente, il terreno dal pericolo del modernismo, immunizzata la democrazia cristiana, bisognava oramai disfare quello Che Pio X aveva fatto. Il rinnovarsi di
qualcosa come il patto Gentiioni avrebbe coperto di obbrobrio la Chiesa, travolto essa e lo Stato nella abiettezza, nell’estinzione di ogni valore morale in politica.
Ad accelerare il processo, a facilitare il compito del nuovo papa è venuta la guerra, cioè il tramonto decisivo della politica vaticana di tutto il secolo scorso, salvo la breve interruzione neo-guelfa del ’46-’48.
La tremenda gara che si aprì il i° agosto 1914 fra le nazioni europee interessava enormemente il Papato. Da una parte e dall’altra erano cattolici ed erano Srotestanti; molti interessi particolari eli-istituto cattolico suggerivano diversi criterii di. preferenza fra i combattenti. Ma nell’insieme, nella sua configurazióne ideale, il -conflitto — salvo talune pretese dello czarismo panslavista — era nettamente posto fra una concezione medioevale degli Stati e dei popoli e il diritto delle nazioni; grandi e piccole, all’autonomia.
I cattolici delle varie democrazie pretesero spesso che il Vaticano dovesse allearsi col diritto dei popoli, senza riflettere che questo diritto era nuovo, sorto e svoltosi specialmente nel secolo xix, infrequente contrasto dottrinale e pratico con la Santa Sede. A un cattolicismo che si andava rapidamente adattando qua e là alle esigenze della vita nazionale di Stati democratici e imbevendo di democrazia, il Vaticano era rimasto « superiore »; spesso aveva accondisceso, dinanzi a taluni problemi pratici, spesso aveva preso le parti di autorità e di Stati vecchio stile fi). Se dunque il Vaticano non poteva, per un maturo concetto di giustizia, mettersi risoluta-mente dalla parte dei principi proclamati dall’Intesa, ed insieme giudicava, con diffidenza non del tutto ingiustificata il suo idealismo di guerra, dall’altra parte esso non poteva neanche dar carta bianca all’imperialismo 'germanico, rifacimento luterano del vecchio impero romano che
(x) Solo nell’ultimo periodo della guerra. Benedetto XV ha fatto una dichiarazione esplicita a favore dei diritti delle nazioni, che non muoiono. Ed è il passo e l'atto più importante del pontificato nel corso del conflitto mondiale. L’adesione .alla Società delle nazioni, termine vago che per la Chiesa può èssere anche eco e ricordo della egemonia occidentale del papato nel Medio Evo, ha assai minore importanza, anche per la maniera fredda e generica in cui è stata annunciata.
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tante beghe gli aveva procurato, germanizzandosi.
La sua neutralità ebbe adunque motivi più profondi di quello che molti abbiano pensato; c non fu rotta neanche dai metodi di guerra tedeschi, dinanzi ai quali, pure, il giudizio morale e religioso era molto più facile, e che provocarono solo ovvie riprovazioni generiche.
Ma c’era un punto sul,quale la condotta della S. S. doveva ritenersi predeterminata da una tradizione politica ininterrotta e tenace: quello che riguardava il giudizio della guerra nei rapporti con l’Italia. Qui gli interessi erano veramente antitetici. Quel che giovava all’Italia nuoceva al programma politico del Vaticano; e viceversa.
Dopo che il Governo italiano, ebbe proclamato la neutralità, interesse politico del Papato era che esso non passasse dalla parte. dell'Intesa, determinandone forse la vittoria. E il Vaticano suggerì dichiaratamente ai cattolici suoi dipendenti la neutralità italiana, lavorò per essa, de-Erecò l’entrata dell’Italia in guerra. Il àcato cattolico, avido di ricuperare -la sua libertà politica, poteva avere un interesse contrario, voler mettersi dalla parte della lealtà nazionale, auspicare una vittoria che l’avrebbe fatta finita con la questione romana; e la partecipazione di due cattolici al Ministero Boselli rispondeva a questo criterio. Ma altri erano trattenuti da preoccupazioni elettorali,. Oltreché non si aveva fiducia nella vittoria dell’Intesa, non si voleva lasciare ai socialisti ufficiali lo sfruttamento elettorale dell’opposizione popolare alla guerra.
La situazione mutò dopo Caporetto, dinanzi al grave e imminente pericolo nazionale- Astenersi dalla mirabile reazione nazionale alla sventura era far consapevolmente getto della patria; partecipare a quella era stringersi a questa con un fervore nuovo e purificante di affetto. Questa seconda fu la via che molti cattolici seguirono. E il mutamento politico implicito nella scelta fu sanzionato dalla vittoria venuta un anno dopo, improvvisa ed intiera. Oggi, per secondare e sfruttare questo movimento di ritorno spirituale alla patria, i leaders cattolici prendono la mano agli stessi nazionalisti; la Giunta diocesana di Roma indice dei comizi prò Dalmazia e al Congresso coloniale sono dei cattolici i quali chiedono che l’Italia partecipi con pari diritto della Francia e del
l’Inghilterra alla spartizione dell’Africa e dell’Asia turca.
Intanto la difficile situazione interna creata dai terribili sacrifici della guerra e dalle nuove esigenze dei lavoratori persuade i cattolici ad accorrere e profittare dei servigi che essi possono rendere per l’aumento della loro potenza politica.
Così il Vaticano, perduta ogni speranza nel giuoco diplomatico e nel rimaneggiamento della carta d’Europa, adotta definitivamente il criterio, già espresso dal card. Gasparri in una sua' lettera dopo l’intervista Latapie, che la Santa Sede, per la rivendicazione della sua indipendenza, si rimette alla libera volontà degli Italiani, meglio illuminati e più saggi; e i cattolici che durante la guerra hanno sempre mostrato, in numerose riunioni ed iniziative, di occuparsi attivissimamente della loro organizzazione politica, favorita dalla tregua dei partiti, si affrettano a prender posizione nelle lotte politiche nella maniera più utile e conveniente, che è anche la più saggia, secondo le vedute del card. Gasparri.
IL PROGRAMMA DEL PARTITO
Ed ecco il nuovo * partito popolare italiano », quello che non fu potuto costituire nel 1900; ed ecco il programma popolaresco e sotto certi aspetti ultrademocratico di esso.
Diamo uno sguardo rapido a questo programma. Esso va diviso in tre parti. Una parte abbraccia otto dei dodici articoli dei quali è composto: il 4®, il 5®, il 6°, il 7°, il 9°, ilio®, rii® e il’12®. Questi articoli non hanno nulla di specificamente cattolico. Sarebbe interessante un accurato esame sui molti punti che si sono inclusi —- ad es., il voto alle donne —'e su qualche postulato democratico escluso, come l’antiprotezionismo, o la- libertà commerciale. Notevole anche, per il significato che può assumere di volontà di indebolire lo Stato e di aprirsi la via più facile alla penetrazione nei suoi organi, il largo programma di decentramento; ma un esame particolareggiato di questi punti esula dal compito del presente articolo.
Ecco questi articoli:
«IV. Legislazione sociale nazionale e internazionale che garantisca il pieno diritto del lavoro e ne regoli la durata, la mercede e l’igiene. Sviluppo del provibi-rato per i conflitti anche collettivi del lavoro industriale e agricolo. Sviluppo
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IL NUOVO PARTITO DEI CATTOLICI ITALIANI
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della cooperazione. Assicurazioni per la malattìa, per la vecchiaia e invalidità e per
• la . disoccupazione. Incremento e difesa della piccola proprietà rurale e costituzione del bene di famiglia.
« V. Organizzazione di tutte le capacità produttive della Nazióne, con l’utilizzazione delle forze idroelettriche e minerarie, con l'industrializzazione dei servizi generali e locali. Sviluppo dell’agricoltura, colonizzazione interna dei latifondi a coltura estensiva. Regolamento dei corsi di acqua. Bonifiche e sistemazione dei bacini montani. Viabilità agraria Incremento della marina mercantile. Risoluzióne nazionale del problema del Mezzogiorno e di quello delle terre riconquistate e delle provincie redente.
• VI. Libertà ed autonomia’ degli Enti pubblici locali. Riconoscimento delle funzioni proprie del Comune, della provincia e della Regione in relazione alle tradizioni ‘della Nazione e alle necessità di sviluppo della vita locale. Riforma della burocrazia. Largo decentramento amministrativo ottenuto anche a mezzo della collaborazione degli organismi industriali, agricoli e commerciali del capitale e del lavoro.
* « VII - Riorganizzazione della beneficenza e dell’assistenza pubblica verso forme di previdenza sociale. Rispetto della libertà delle iniziative e delle istituzioni private di beneficenza e assistenza. Provvedimenti generali per intensificare la lotta contro la tubercolosi e la malaria. Sviluppo e miglioramento dell’assistenza alle famiglie colpite dalla guerra, orfani vedove e mutilati.
« IX. - Riforma tributaria generale e locale con l’esenzione delle quote minime.
« X. - Riforma elettorale politica con il collegio plurinominale a larga base, con rappresentanza proporzionale. Voto femminile. Senato elettivo con prevalente rappresentanza dei corpi della nazione (corpi accademici. Comune, Provincia, classi organizzate).
« XI. - Difesa nazionale. Tutela e messa . in valore della emigrazione italiana. Sfere di influenza per lo sviluppo commerciale del Paese. Politica coloniale in rapporto agl’interessi della nazione e ispirata ad un programma di progressivo incivilimento.
« XII. - Società delle nazióni con i corollari derivanti da una organizzazione giuridica della vita internazionale; arbitrato. abolizione dei trattati segreti e
della coscrizione obbligatoria. Disarmo universale ».
Una seconda parte è costituita dai tre primi articli:
Eési dicono:
«I. - Integrità della famiglia. Difesa di essa contro tutte le forme di dissoluzione e di corrom pimento. Tutela della moralità Siubblica, assistenza e protezione dell’in-anzia, ricerca della paternità.
« II. - Libertà d’insegnamento in ogni grado. Riforma scolastica. Lotta contro l’analfabetismo. Educazione e coltura popolare, istruzione popolare, diffusione dell’istruzione professionale.
« III. - Riconoscimento giuridico e libertà dell’organizzazione di classe nell’unità sindacale, rappresentanza di classe senza esclusioni di parte negli organi pubblici del lavoro presso il Comune, la Provincia e lo Stato ».
Il primo è contro il divorzio: posizione naturale per un partito di cattolici ed accettabile anche per molti non cattolici, da un punto di vista strettamente giuridico e sociale. Ma esso dice molto di più, e in Sarte vagamente. La famiglia è la cellula elio Stato e in parte anche la base della società religiosa. Assumendone la tutela, contro certe tendenze che possono essere anche, da spiriti superficiali, addebitate alla democrazia, i cattolici si propongono certamente di fare opera efficace di pene-trazione sociale e civile; e qui il partito si identifica veramente con la religione.
Il secondo articolo c’è specialmente per rivendicare la libertà di insegnamento, in ogni grado. Molti significati può avere questa formula, che è ora vigorosamente sostenuta anche dal prof. G. Gentile. Per i cattolici essa ne ha uno assai preciso, chiarito da loro recenti polemiche. Essi vogliono che lo Stato si riconosca incompetente in materia di educazione, si spossessi del diritto di educare, metta i suoi denari a disposizione della scuola libera, cioè delle scuole di ogni grado che i cattolici vogliono istituire per quelli che il P. Gemelli ed altri sacerdoti e frati dicono « i nostri figliuoli ». Questo è il dichiarato programma massimo,* nel quale si rispecchia evidentemente un concetto dello Stato che vuota questo di ogni contenuto e sostanza etica e ideale propria, a vantaggio della Chiesa.
Nel terzo articolo si afferma con non sappiamo quale significato preciso l’unità sindacale, ina insieme si rivendica alle
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organizzazioni sindacali e professionali cattoliche il riconoscimento ufficiale dello Stato, che dovrebbe ammetterle, a parità di condizioni con gli organi di classe meramente economici, senza cioè uno speciale contenuto religioso, in tutti gli uffici pubblici del'lavoro.
La famiglia, la scuola, il sindacato, ecco i tre grandi strumenti dell'azione pubblica dei cattolici. Quando essi se ne saranno impadroniti, si tornerà dalla ipotesi alla tesi...
Infine va considerato a parte l’ottavo paragrafo, il quale avrebbe logicamente dovuto essere il primo, e si intende bene perchè sia stato cacciato in mezzo a una lunga lista di rivendicazioni politiche.
Esso dice:
«Vili. - Libertà ed indipendenza della Chiesa nella piena esplicazione del suo magistero spirituale. Libertà e rispetto della coscienza cristiana considerata come fondamento e presidio della vita della nazione, delle libertà popolari e delle ascendenti 'conquiste della civiltà nel mondo ».
C’è in questo articolo una contraddizione insanabile, la quale mostra come il nuovo Sartito popolare sia null’altro che l'antica emocrazia cristiana, depauperata di ogni tendenza modernistica. Anche i d. c. del 1900 parlavano — l’abbiamo visto — della liberta della Chiesa. Ma allora la Chiesa non si fidò di essi; oggi si fida di questi. Quelli infatti che il Vaticano perseguitò e dei quali si liberò erano venuti un poco alla volta nella persuasione che la libertà della coscienza cristiana dovesse sovente, e prima che contro lo Stato, essere rivendicata contro la Chiesa.. E tanto ciò è vero che solo oggi, — e ci voleva la guerra! —-la coscienza cristiana degli Italiani ha conquistato la libertà, lungamente contesale dalla Chiesa, di agire con lealtà nazionale, nell'unità nazionale, nel campo politico. Questa libertà cristiana, ostacolata e combattuta e negata in molti modi dall’istituto ecclesiastico, è un diritto fondamentale e personal issi »no che lo Stato moderno, fondato sulle libertà, prima delle quali la libertà religiosa, deve tutelare e proteggere esso contro ogni avversario. E noi rimproveriamo appunto allo Stato italiano
di essere mancato e di mancare, in molti casi e in molti argomenti, a questo suo dovere, preoccupandosi proprio, e troppo e male, della libertà della Chiesa.
Quando si è parlato di libertà cristiana, e meglio è dire libertà religiosa, e lo stesso D. Sturzo ammette, per conto del nuovo Crtito, la libertà di culti, inutile è pare di libertà della Chiesa, poiché si è già riconosciuto a ogni cittadino il diritto di appartenere alla Chiesa che preferisce, di farsi la Chiesa che vuole, ed affermato quindi nello Stato il dovere di lasciare liberamente — cioè sul terreno dèlia libertà e della parità — svolgersi e agire tutte le Chiese. Quando, oltre la libertà cristiana e prima di essa, si chiede la libertà della. Chiesa, è inteso che si vuole aver facoltà e modo di combattere a favore dei molti diritti che la Chiesa si attribuisce, delle molte pretese che ancora rivendica, delle molte colpe che ancora com-, mette contro la libertà religiosa.
E qui è fra noi c il nuovo, e così vecchio!, partito il dissidio profondo e insanabile Noi siamo per la libertà religiosa. Essi sono per la loro libertà, cioè per il diritto della loro forza, contro la libertà religiosa. E l’ipotesi è una maschera della tesi.
Ma la forza delle cose, la dialettica dell'idea vai più che le intenzioni degli uomini. La costituzione del partito popolare è, nel fatto, una liberazione di forze etiche, di energie morali, che oggi affluiranno allò Stato, il quale di un rinvigorimento etico, di una più alta concezione ideale dei suoi compiti, ha urgente bisogno.
É due ipotesi possono farsi. O lo Stato italiano saprà accogliere queste nuove energie, nutrirsene, fonderle nella sua sostanza spirituale, ed accelerare così a un tempo il processo di laicizzazione del clericalismo, e sarà questa una grande vittoria vinta da esso. O, mancando di una coscienza morale propria, incapace di unificare in sè lo spirito della nazione, sarà sopraffatto dagli estremi — il nuovo popolarismo e la democrazia rossa — e tra questi si svolgerà la lotta più grave, il cui esito definitivo non può esser dubbio.
Romolo Murri
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La “ Ricostruzione industriale „ e i cristiani
a la concezione cristiana della, vita e del valore dell’individuo e della società qualche contributo da recare all’opera di Ricostruzione, che deve ora succedere alla grande demolizione di quell’epoca della Storia che si chiuse il 4 agosto 1914?
Mentre economisti e sociologi, statisti e giuristi, conservatori e socialisti e bolchevikisti si affaticano a chiedere che sia loro accordata la « chance » di sperimentare i loro specifici, di mostrare l’efficacia ricostruttiva delle loro ricette infallibili, non
avranno' i cultori del principio della figliolanza divina e della fratellanza universale
degli uomini alcuna soluzione da offrire, alcun programmi di palingenesi sociale da proclamare? Nello scorrere il rapporto presentato alla Società Cristiana degli « Amici » (Friend») da 90 industriali della medesima Società — rappresentanti di 75 Case, che impiegano circa 44.000 operai e abbracciano una grandissima varietà di industrie — adunatisi nello scorso aprile a Woodbrooke presso Birminghan per discutere seriamente dei loro doveri d’industriali cristiani, un ricordo sale vivis
simo alla mia memoria.
Mi trovavo io stesso ospite di quel medesimo « Settlement » di Woodbrooke pòco prima dello scoppio della guerra. Avevo pochi giorni prima visitato con mia somma soddisfazione ed edificazione lo stabilimento della fabbrica di cioccolato, presso Bournville, nel quale Giorgio Cadbury, un « Santo » moderno ed insieme un gran capitano dell’industria, aveva tradótto in una massiccia realtà quella visione di uno stabilimento modello, che il suo cuore di umanitario e la sua coscienza di
cristiano avevano cinquant'anni prima vagheggiato e perseguito con tenacia e con successo. Avevo visitato le vaste sale di lavoro, festose di luce, di pulizia, di gaiezza; i grandiosi refettori nei quali i circa 6000 operai e operaie possono ricevere a prezzi inferiori al costo il pasto del mezzodì, salubre e abbondante e variato; i campi da giuoco nei quali essi possono ricrearsi dopo il pasto e nei dì festivi, forniti abbondantemente di ogni genere di apparati sportivi; le vaste piscine per bagno e per nuoto; l'infermeria coi laboratori chimici e con la farmacia che distribuisce gratis medicine e ricostituenti per « cure »; le aule scolastiche nelle quali ogni sera sono impartite gratuitamente lezioni di coltura generale e specifica, primaria, secondaria e superiore; le scuole di musica e là sala .dei concerti dati dagli operai Stessi, ecc. Mi ero reso conto dei sistemi e metodi di accettazione, di tirocinio, di
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disciplina, di lavoro, di assistenza e di rimunerazione, includenti una partecipazione àgli extra-profitti, un sistema di pensioni per l’invalidità e per la vecchiaia, una organizzazione per facilitare viaggi d’istruzione o una dimora al mare o in montagna nei quindici giorni di vacanze estive accordate per turno a tutti gli operai a pieno salario, ed una geniale istituzione di ricovero pei vecchi, nel quale il vantaggio della piena libertà di ogni individuo, ciascuno nel suo grazioso appartamento con ‘giardino e « confort » completo, è armonizzato con quello di potersi con facilità ritrovare in società con vecchi amici d’infanzia e veterani nel lavoro, e con la più accurata assistenza.
Avevo sopratutto ammirato lo sviluppo dato nella disciplina, nella direzione, nell’amministrazione della grande impresa, al principio della collaborazione e della corresponsabilità degli operai, nel promuovere l’ordine, il buon funzionamento, il successo industriale della Casa: l’opportunità ad essi offerta di suggerire proposte di comune vantaggio, che vengono seriamente discusse, e il più spesso adottate; l’ammissione di una rappresentanza degli operai nella decisione di misure disciplinari contro colpevoli d’infrazioni diverse; la grande parte di responsabilità devoluta dalla direzione ai suoi collaboratori con una prova di fiducia che aumenta in questi il senso di dignità umana e imprime a tutta la vasta impresa il carattere non solo di una grande famiglia, ma di una famiglia modello... Ed ero uscito da quella visita, come da un santuario del lavoro, ricco di una nuova esperienza: io avevo visto all’opera la concezione cristiana del valore assoluto dell’iWividwo umano, della personalità morale, applicata al problema dei rapporti fra padroni e operai nelle grandi armate moderne del lavoro.
' La domenica seguente una nuova esperienza mi attendeva — su cui però devo qui sorvolare — quando per la prima volta assistetti ad un’adunanza religiosa tipica, nella grande sala delle riunioni dì culto dei Friends, nel villaggio — giardino di Bournville — costruito esso stesso quale villaggio modello ad iniziativa del Cad-bury, a vantaggio precipuo dei suoi operai.
Non altare io scorsi, non immagini, non ministri del culto, non riti, non cerimonie; non udii formule, nè « credi », nè preghiere ufficiali. Solo, dopo un periodo di silenzio — quel silenzio eloquente solcato da lampi di luce e dì amore, da onde Ohe dai cuori salivano alle menti e dalle menti rifluivano ai cuori — un individuo qualunque della folla disse la sua parola, comunicò all’assemblea qualche esperienza sua di quei giorni o di quell’ora. Un'altra voce rispose; e poi silenzio. Un’umile operaia disse la sua semplice, ma profonda verità e innalzò la sua preghiera; un cultore di studi filosofici e sociali riprese il suo motivo e lo rivestì di maggior luce, ma non di più calore; una fanciulla fece squillare la sua fresca voce dì gioia e di speranza: sembrò il trillo di un uccello penetrato nell’aula dai giardini in fiore nella primavera inondante. E poi, « silenzio dell’eternità interpretato dall'amore ». Il silenzio fu, non rotto, ma reso articolato, da un vecchio venerando col capo compieta-mente calvo, che si levò di mezzo ad un gruppo eterogeneo di « amici », curvò le ginocchia, e, come in preda ad un senso profondo del' sacro e del divino che dominava potente, presente, in quella sala nuda e muta d’immagini, di riti e di sacerdoti, ma popolata di figli di Dio, curvò profondamente il capo sorretto dalle palme.
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LA " RICOSTRUZIONE INDUSTRIALE • E I CRISTIANI
e pregò ad alta voce. Poche furono e semplici le' sue parole: eppure quelle parole sarebbero bastate a riempire, fino a farlo traboccare, il tempio più vasto della Cristianità; semplici; eppure nessuna parola ha mai prodotto sul mio animo un’impressione più solenne e indelebile: esse erano veramente pregne di un'anima e veicolo di essa.
« Signore! — disse il vecchio venerando con un tono di persuasione profonda, che si scandiva in ogni sillaba come un'impronta di sincerità e verità — Signore, facci bene comprendere, che noi non potremo mai essere veri tuoi figli, fino a che non riconosceremo come nostri fratelli e non ameremo veramente come noi stessi tutti i figli tuoi, immolando tutta la nostra vita, tutto ciò che abbiamo e tutto ciò che siamo, al loro servizio... Amen! » — « Amen! » risposerò commossi gli astanti: e il silenzio vibrante ed orante tornò a dominare per qualche minuto. Poi i fedeli si levarono e l'adunanza si sciolse. Quelle parole erano state un epilogo e un programma di vita: l’intiera settimana doveva restarne profumata e consacrata.
« Quel vegliardo che ha con la sua preghiera chiusa l’adunanza — chiesi io a qualche amico con cui mi ritrovai all'uscita dalla sala del culto — deve aver fatto qualche gran cosa... Le sue parole avevano il tono dì una gran vita consacrata al-l’umapità... ».
« SI, — mi rispose semplicemente un « Amico » (un Friend) — egli è Giorgio Cadbury ».
♦ • •
La figura di Giorgio Cadbury col ricordo del suo stabilimento modello viene rievocata alla mia memoria dalla lettura del resoconto del Congresso e del Rapporto suaccennato, non solo dall’associazione locale di Woodbrooke e dal nome di Giorgio Cadbury figlio ed erede dello spirito paterno, il quale fu relatore nella quinta sessione del Congresso, sull'argomento: Condizioni del lavoro, ma anche dalle conclusioni del Congresso e dalle proposte del Rapporto, che sembrano quasi formulare in termini di suggerimenti generali lo spirito, i sistemi, i metodi che nello stabilimento del Cadbury Sono da più decenni una magnifica e solida realtà.
Ma accanto ad essa, altre figure radiose ed altri ricordi del periodo anteriore e contemporaneo alla guerra emergono dal sacrario delle più belle speranze e dalla galleria delle personalità rare che ai loro principi sublimi han reso l’omaggio della loro condotta eroica. Quelle, fra altre di Arnold e di Seebohm Rowntree, grandi servitori sociali, grandi studiosi dei problemi della povertà, benemeriti aneli'essi per l’esempio di stabilimenti modelli dato nella Sunlight Soap Co.; e quella del redattore stesso della relazione di questo Congresso dei Friends, Jon. Edward Hodgkin, che durante la guerra tanto efficacemente si adoperò, in collaborazione con Miss Ellis, per preparare quella « Fellowship of Reconciliation » (Comunione di Riconciliazione) che si presenta ora come l’aspetto più arduo e più importante della « Instaurai io magna » del dopo-guerra.
Il Congresso dei « Friends » per studiare l’atteggiamento cristiano da assumere di fronte ai problemi industriali è stato il risultato di un voto accolto dall’« Adunanza Annuale » dei « Friends » nel 1915, quando nominava una Commissione « per in ve-
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stigare quali siano le responsabilità che il presente ordinamento sociale ha della guerra, per incoraggiare lo studio della questione, e per stabilire un contatto con quei «Friends» i quali, a causa della guerra, sono stati condotti a sentire il bisogno di un riordinamento personale della loro maniera di vita ».
Come il deputato Arnold Rowntree, Presidente del Congresso faceva notare nella prima sessione sulle «Prospettive industriali», gl'industriali «Friends» riuniti a Congresso avevano speciali titoli per occuparsi del grave problema, e ciò per quattro ragioni almeno:
ia essi avevano una vasta conoscenza di materia industriale;
2a essi si erano sforzati di comprendere il punto di vista degli operai e di nutrire con essi, per quanto possibile, rapporti di personale amicizia;
3“ essi avevano già fatto parecchi esperimenti in materia, sui quali era possibile basare alcune conclusioni più o meno nette e precise;
4a essi riconoscevano l’importanza di rendere alla nazione in questo periodo critico il miglior servizio possibile.
Dal suo discorso presidenziale estraggo alcune considerazioni illustrative della urgenza e della grandezza del compito.
« ...Noi viviamo in un periodo di democrazia politica e insieme di autocrazia industriale. La rivoluzione industriale ha posto innanzi a ogni individuo, quale legge di vita, una concorrenza sfrenata per la conquista dei beni della vita... Le ultime diecine di anni hanno veduto sorgere un corpo considerevole di leggi e di regolamenti industriali, altre imposte dal Parlamento, altre d'iniziativa spontanea. Patti collettivi, accordi reciproci, Comitati di riconciliazione. Comitati industriali. Federazioni di industriali e Federazioni operaie, non sono solo riusciti a mitigare querele passeggere e comporre discordie, ma hanno'adombrato di già la richiesta che non doveva tardare, di un vero e proprio parlamento industriale. È stata la guerra a gettare tutto questo nel crogiuolo... Una cosa è ormai chiara: che gli eventi attraverso ai quali siamo passati hanno imposto alla pubblica opinione con una insistenza sempre crescente il concetto che il principio di autonomia conquistato dal popolo in materia di vita politica e municipale dovrà essere esteso alla nostra vita industriale. È inevitàbile che la democrazia politica sia seguita dalla democrazia industriale... ».
Ed egli cita le parole ¿li un « Friend », M. L. Hickens: « Se è possibile che noi riusciamo a risolvere il grande problema industriale, ciò sarà solo riconoscendo che l'industria è anzitutto un seryizio nazionale, e che lo scopo di coloro che sono impegnati in essa è sopratutto il bene della comunità considerata come un tutto». E commenta: «Se ogni capitano dell'industria la pensasse così, noi non avremmo davvero dà temere l’avvento di quel nuovo spirito nell'industria, dal quale tante cose dipendono... Il concetto che ogni uomo rappresenta l'immàgine di Dio ed è un rivelatore di Dio; suo messaggero al mondo, portatore dovunque di un riflesso della- luce e sapienza e amore di Dio;, possessore di doni sacri e legato con vincoli stretti e saliti a tutti gli altri uomini, è un concetto ricco delle piu remote conseguenze, che debbono trovare espressione nella vita e nella condotta: è un concetto che deve inevitabilmente produrre la convinzione che nell'industria moderna deve
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esservi il posto per la libera espressione della personalità umana; e non meijo che in essa, in ogni sfera della vita umana... ».
La seconda sessione trattò delle « esigenze dei lavoratori » espresse da tre personalità di organizzazioni operaie; la terza dei « salari », relatore Seebohm Rowntree, una competenza in materia; la quarta, della «condizione degli operài»; la quinta, delle « condizioni del lavoro », relatore Giorgio Cadbury; la sesta, della « partecipazione ai profitti »; la settima, dei « problemi delle piccole imprese industriali » e della «stabilità di occupazione»; l’ottava si occupò specialmente della questione dell’« occupazione dei soldati ài loro ritorno alla vita civile »; la nona, dell'« impiego degli extra-profitti »; la decima fu consacrata ad uno speciale esame del Rapporto, che doveva rappresentare le vedute sui diversi argomenti discussi. Facciamo però notare che in ogni sessione si era già ampiamente discussa quella parte del Rapporto che specialmente la riguardava.
Ed è appunto al Rapporto finale che dobbiamo limitarci, nel nostro desiderio di dare un resoconto delle conclusioni a cui giunsero le diverse sessioni dell'importante Congresso.
Faremo soltanto una lieve eccezione per alcune idee espresse da Giorgio Cadbury nella sua relazione, che meriterebbe, se lo spazio lo permettesse, di essere qui integralmente tradotta a fianco del Rapporto stesso: sono idee troppo profonde nella loro semplicità cristiana, perchè non ne dia almeno un saggio.
« ...Quanto alla questione generale dei rapporti fra padroni e operai, a mio parere, essi dovrebbero basarsi, sulla fiducia. Abbiate fiducia nei vostri uomini e addossate su di loro delle responsabilità, ed essi faranno loro onore, e in cambio del vostro salario vi daranno fedeltà e valida cooperazione... Se questo sarà l'atteggiamento con cui vi volgerete a loro, nelle piccole come nelle grandi imprese, non solo vi troverete contraccambiati, ma scoprirete nell’industria un interesse affatto indipendente dal guadagno del danaro. Dopo tutto, questo guadagno economico non è che un aspetto degli affari, e non certo il più importante. Un’impresa industriale esiste allo scopo di fornire alla comunità merci o servizi; e a meno che essi siano forniti in condizioni dignitose, sarebbe meglio non fornirli affatto. Fate entrare nella mente dei vostri uomini il concetto che voi collaborate insieme nel rendere un qualche servizio alla comunità, ed essi risponderanno all'appello. Fate solo che essi comprendano che un’impresa non funziona soltanto per il vantaggio del padrone e seguendo il suo capriccio, e gran parte dei sospetti e delle agitazioni spariranno. Giorno verrà in cui sarà possibile di condividere coi vostri operai non.sblo i problemi e le preoccupazioni dell’amministrazione dello stabilimento, ma anche gli altri vostri problemi di compra e vendita, e dei rischi finanziari: quando cioè essi diverranno veri soci della vostra casa ». (Notiamo di passaggio che a quest’ultima fórma di piena cooperazione il Cadbury è giunto già parzialmente con un ingegnoso sistema di compartecipazione alle responsabilità e agli utili).
Ed ecco un accenno di> dimostrazione sperimentale di Come il buono spirito e il buon volere si traduca in risultati materiali tangibili: « Anni fa noi riducemmo a 48 ore settimanali il lavorò degli uomini, e a 42 quello dèlie donne e degl'impiegati. La produzione rimase inalterata, e non abbiamo mai avuto bisogno di tornare
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all’antico orario. Solo, in tempo di guerra..., quando il 25 % dei nostri operai si recarono a lavorare alle fabbriche di munizioni, i rimanenti spontaneamente accettarono ore « extra » di lavoro per sostituirli, lavorando in media 60 ore la settimana. Ma un anno fa gli uomini trovarono che l’orario era eccessivo,- e si profferirono a fare la stessa quantità di lavoro in 54 ore, purché il salario non fosse diminuito. Noi condiscendemmo ai loro desideri e corrispondemmo loro il salario di 6 ore di lavoro: e non abbiamo avuto motivo di lamentarcene».
Ancóra un tocco di squisita morale del lavoro: « ...Non è mai conveniente che le donne lavoratrici siano poste sotto la direzione di uomini, benché le sorveglianti sian donne. Anche se le donne riescono a compiere' alcuni dei lavori più faticosi e più sordidi, è spesso cosa assai poco giudiziosa permetterlo. Non solo ciò può condurre a serie conseguenze lesive degl’interessi della razza, ma una donna che compie lavori sudici è resa più proclive a perdere il senso della propria dignità. Nói vogliamo tenere alto il senso di cavalleria, e dobbiamo curare che le nostre donne lavoratrici non siano adibite a lavori che possano abbassarle dinanzi agli occhi degli uomini».
Questo pericolo non corre certamente alcuna donna e neppure alcun uomo nella fabbrica Cadbury, in cui veramente, « ogni figlio della nazione è trattato come se fosse il figlio di un nobile».
Un altro tocco di fine delicatezza è di squisita nobiltà d’animo. Dopo avere accennato a provvedimenti, comodi, vantaggi, da offrire agli operai nello stabilimento, fa osservare: « È necessario far somma attenzione pei* evitare qualunque apparenza di iniziative prese per il bene degli altri, e gettate in faccia a loro. Fate che gli operai acquistino fiducia in voi, e chiedete loro di aiutarvi: forse, meglio ancora, chiedete loro di assumersi la responsabilità del funzionamento delle istituzioni sociali commesse con lo stabilimento, ed essi penseranno a farle prosperare. Saranno essi a pregarvi di venire ad aiutarli e ad apprezzare la vostra presenza nelle loro adunanze e nel funzionamento delle loro imprese, e voi vi sentirete onorati di tale invito.
Fate un passo ancora innanzi. Se voi e i vostri operai avrete stabilito tra voi uno spirito .di reciproca fiducia e se voi ed essi siete convinti che la vostra industria è di importanza nazionale, perchè non farete un passo avanti e non li metterete a parte dei vostri problemi industriali? Dopo tutto, nessuno è più di essi interessato alla prosperità dell'industria stessa e nessuno più desideroso del suo successo.
Non c’è davvero da temere con ciò di far loro conoscere i vostri dividendi: essi probabilmente credono che essi siano anche più alti di quello che sono in.realtà, se non vi sentite in grado di arrivare così lontano, sarebbe almeno giudizioso di discutere coi vostri operai le questioni relative alla capacità produttiva, alla produzione effettiva, ai salari. La maggior parte degli operai son disposti a dare un rendimento conveniente di produzione purché siano assicurati che essi saranno convenientemente compensati in proporzione al lavoro fatto, e che una produzione superiore alla media non avrà per effetto di licenziare qualche operaio, e che voi intascherete a vostro vantaggio gli extra-profitti... In conclusione: Abbiate fiducia nei nostri operai, ed essi avranno fiducia in voi. Quanto più voi potrete associarli a
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LA » RICOSTRUZIONE INDUSTRIALE » E I CRISTIANI
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voi, tanto maggiore .sarà la loro fedeltà e tanto più i vostri affari prospereranno. Unitevi nel comune scopo di rendere un servizio alla comunità;, e in questo grande ideale tutti i problemi minori e tutte le meschine cause di attriti resteranno sommerse».
Ed ora vorrei dare ai lettori nella sua traduzione testuale (salvo qua e là il sagrifìzio di allusioni locali senza riscontro con le condizioni dell’industria in Italia) il Rapporto (i) offerto dalla «Società degli Amici» ai suoi industriali desiderosi di andare incontro fiduciosi alla « Instaurati© magna », ad una Ricostruzione industriale, che rispecchi nel campo economico e sociale il trionfo di quegli stessi principi di giustizia e di umanità che nel campo politico dovranno essere realizzati nella « Lega delle Nazioni ».
È una specie di codice di legislazione industriale cristiana, che, senza averne punto la pretesa, la « Società degli Amici » offre a tutti gli uomini di buona volontà, ' desiderosi di utilizzare le sue esperienze e contribuire alia grande palingenesi invocata.
Ma poiché lo spazio manca, rimando la pubblicazione del « Rapporto » ad un prossimo numero.
Giovanni Pioli.
(i) il titolo completo del volume è: Quakerism and Industry, relazione completa di un Congresso di industriali, in maggioranza membri della Società degli Amiei, tenuto a VVoodbrooke presso Birmingham (Inghilterra) nei giorni n-14 aprile 1918. insieme col Rapporto steso dal Congresso. Estensore !. E,. Hodgkin (Darlington, The North of England Newspaper Co., Friestgate, 1918).
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_____1.
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[A proposito d’ Unione delle Chiese Cristiane]
INTERMEZZO SACRAMENTALE
(Continuazione e fine. Vedi Bilychnts, Gennaio, >919, pag. 35).
ìli i fatti, còlti a volo d’uccello sul gran campo della storia. — Io mi sono tante e tante volte domandato: — ‘ Queste trasformazioni, così radicali, come mai si poteron produrre? come si spiegano? ’ — Io' me le spiego così. Non è da credere che le prime, maravigliose vittorie riportate dal cristianesimo sui culti pagani fiaccassero subito il nemico in modo da ridurlo* nella impossibilità di reagire. Tutt’altro: il nemico, debellato, vegliò sempre alla porta, meditando una rivincita. E il destro
per tentarla, glielo porsero i suoi misteri. Anche la Chiesa avea de’ misteri. Va bene che questi misteri erano<tutt’altra cosa di quelli pagani (i); ma, intanto, il fermine c’era, e bastava. Quando fra due religioni c’è una identità di termini di cotesto genere, si sa che si fa presto a ingarbugliar le idee in modo da arrivare a una, se non altro, apparente identità del loro contenuto, che passa poi presto per identità reale fra la gente che non pensa e non ragiona. E poi, un certo contatto fra i misteri pagani e quelli, cristiani, c’era. Difatti, come dalle speciali, numerosissime cerimonie pagane erano assolutamente esclusi i non iniziati, quelli cioè che non v’erano stati ammessi dopo aver adempiuto a certe condizioni preparatorie, così, quando con la lettura delle Scritture e l’Omelia finiva la prima parte del servizio religioso della comunitàjcristiana e cominciava la seconda, la parte eucaristica, non appena il diacono si presentava a dire: Ite missa est (2), i non iniziali, vale a dire i non battezzati, doveano ritirarsi.
(i) La parola mistero si trova ventisette volte nel Nuòvo Testamento, e vuol sempre dire, non una cosa arcana, impossibile o difficile a comprendersi, ma una cosa rimasta occulta nel passato, e diventata perfettamente chiara da che l’ha illuminata la parola rivelatrice del Cristo o degli apostoli. Così, per esempio, è parlato dei 4 mistero del ‘Regno di Dio ’ (Marco 4, 11), del 4 mistero della pietà ’ (1 Tim. 3, 16) c, in generale, de’ • misteri di Dio ’ (1 Cor. 4, 1); ne’ quali passi, il 4 Regno di Dio ’ non è una cosa astrusa, impossibile a capirsi, ma un fatto che, occulto per le generazioni passate, Gesù ha messo in luce col suo Vangelo. Nello stesso modo, il 4 mistero della . pietà ‘ è ' la verità della religione rivelata da Cristo e dai suoi apostoli,’ e l’espressione '.i misteri di Dio’ abbraccia tutti quanti i tesori di quella rivelazione evangelica della salvazione per grazia mediante la fede in Cristo, che, nel passato, fu ignota all’umanità; ma oggi, messa in luce dalla predicazione apostolica, può diventar? il patrimonio e il conforto di tutti. Confr. 1 Cor. 2, 7.
(2) La parola missa, in origine, significava 'licenziamento./ Nel quarto sècolo conservava ancora questo significato primitivo. Difatti Sant’Agostino dice: 4 Dopo il sermone, ha luogo la missa catechumer.orum (il licenziaménto dei catecumeni):; i fedeli rimarranno.’ Più tardi, la parola passò poi a designare invece l'eucaristia.
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A facilitare questa infiltrazione pagana nel cristianesimo, ci voleva un termine nuovo, scultorio. Il termine fu trovato: sacratnenlum; e, strano a dirsi, lo trovò, innocentemente, un Padre della Chiesa: Tertulliano (i); il quale lo prese dal paganesimo e lo trasportò nel linguaggio cristiano. Dico * innocentemente ed ecco perché. Sacramentum era il giuramento col quale i soldàti romani promettevano fedeltà alla loro bandiera e al loro imperatore. A mente del Padre della Chiesa, questo termine si prestava bene a designare certi riti cristiani, e specialmente il battesimo e la eucaristia, mediante i quali il credente giurava fedeltà al suo Signore. Più oltre Tertulliano non andava; e io non mi pèrito a dire che, s’e’ si fosse immaginato quale estensione avrebbe potuto prendere in avvenire il significate del suo termine, e’ l’avrebbe di certo lasciato dov’era (2).
L’idea sacramentale trovò subito nell’àmbito cristiano un’atmosfera adatta a prendere ampio e rapido sviluppo. Due fatti specialmente contribuirono ad effettuare questo sviluppo suo: il fascino che sui primi tre secoli della Chiesa esercitò la credenza nella magìa, negli amuleti-, nelle incantagioni: credenza, che i cristiani ereditarono dal decadente Impero romano, e che spinse i fedeli fino a portarsi addosso il pane eucaristico per proteggersi dalle malattie e dalle saette durante i temporali, e la difficoltà che le prime masse convertite alla fede cristiana aveano a intendere di linguaggio parabolico e immaginoso del Vangelo. Gesù avea parlato da orientale a orientali; aveva usato un linguaggio adattato alla mentalità rude, infantile, della gente a cui parlava; e se cotesto linguaggio riusciva ' duro ’ agli stessi Giudei (3),
(1) 160-230.
(2) A questo proposito è istruttivo il passo di Efesini 5, 25-33. nel quale San Paolo parla de’ doveri coniugali. L’apostolo dà come ideale dell'amore che 1 mariti debbono nutrire per le loro mogli, Eamore del quale Cristo ha amato e ama la sua mistica sposa, la Chiesa. Arrivato alla fine della sua esortazione, dice: ‘ Questo mistero è grande — parlo di Cristo e della Chièsa ’ (5, 32). San Paolo, quasi prevedendo i possibili malintesi futuri, dice: ' Questo mistero 'è grande: badate, non intendo parlare del matrimonio, ma della unione mistica di Cristo con la Chiesa: di questo gran fatto, ch’è stato finora un mistero, ma che il Vangelo ha oramai messo in luce.’ — Ad onta di tutto questo, San Girolamo tradusse nella Vulgata: Sacramentum hoc magnum est; e il passo è stato sempre, per la teologia, la pietra angolare del sacramento del matrimonio. La teologia mi ricorda spesso una nobil dònna, mia penitente, clic ha per suo motto: Ce que je veux — commi je veux.
(3) Sulla riva orientale del Mar di Galilea, Gesù, vedendo la folla che, entusiasmata per il miracolo della moltiplicazione de’ pani, lo seguiva di nient’altro bramosa che di pane materiale, cominciò a parlarle di un altro pane: del ‘ pane della vita,’ e a dirle che quel pane era egli stesso, e che il mezzo per nutrirsene era la fede: * Io sono il pane della vita; ehi viene a me non avrà più fame.’ ‘ In verità, in verità, io vi dico: Chi crede in me ha vita eterna ’ (Giov. 6, 35, 47). La qual fede, a mente sua, non doveva essere un pazzo corrergli dietro spinti dalla bramosia di veder cose straordinarie, miracolose, ma un atto interiore, un atto individuale di assimilazione della sua opera, della sua parola, della sua vita, da compiersi spiritualmente nel cuore. Per dare a questo suo pensiero una forma vivida, scultoria, Gesù disse: ' Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna’ (Giov. 6, 47). I Giudei non ci capiron nulla; presero coteste parole alla lettera, le intesero come una specie d’invito a un pasto cannibalesco, e si misero a disputar fra loro, dicendo: ’ Come mai’costui può darci a mangiare la sua carne? (6, 52) ' Questo parlare è duro; chi lo può ascoltare?’ (6, 60). E Gesù ebbe un bel dire: ‘ Lo Spirito è quel che vivifica; la carne non giova nulla; le parole che io vi ho dette sono spirito e vita!...’ (6, 63). Era come dire al muro; * da allora, molti de’ suoi discepoli si ritrassero indietro, e non andaron più con lui ’ (6. 66).
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qual maraviglia se rimaneva incomprensibile alle prime masse barbare convertite al cristianesimo, e se il senso profondamente spirituale delle immagini del Maestro sfuggiva loro del tutto?
Tertulliano non avea definito teologicamente il suo sacramcntum', ma la definizione non poteva tardare a uscire dai lambicchi dogmatici di qualche pensatore; e difatti la distillò così Sant'Agostino: ' signum visibile invisibilis gratiae'segno visibile di una grazia invisibile Definizione splendida per un verso, ma che per l’altro si prestava in modo maraviglioso alle elucubrazioni della futura Scolastica; ché veniva fatto quasi naturalmente di vedere nella ‘ grazia invisibile ’ la sostanza, e ne’ ‘ segni visibili ' dell’acqua, del pane e de) vino, gli accidenti del sacramento.
Oramai non rimaneva più da stabilire che il numero di questi sacramenti. Da principio, il termine sacramcntum fu usato in due modi: in un modo vago, largo, a significare qualunque parola o qualunque fatto che esprimesse o implicasse una verità religiosa; e, in un modo più circoscritto e meglio definito, a designare certi riti cristiani/di numero incerto ma sempre limitato, de’ quali principalissimi erano il battesimo e la eucaristia. Si stimava che nessun rito meritasse meglio di que’ due il nome di ' sacramento ', perché rispondevano a maraviglia alle idee convenute in cotesto termine, ed erano riti istituiti da Gesù stesso. C’erano però altri riti menzionati dalla Scrittura e riconosciuti dalla Chiesa.Jai quali si sarebbe potuto giustamente applicare la designazione di sacramento; e il rito posto comunemente a lato al battesimo e alla eucaristia, era l’unzione o il crisma. Il numero tre attraeva molto, per l’idea trinitaria; ma un altro numero, sacro esso pure, attraeva anche di più, ed era il sette. Una lista di sette sacramenti non sembra però essere apparsa avanti il dodicesimo secolo, quando Gregorio di Bergamo prima, e poi Pietro Lombardo, patrocinarono cotesto numero che, adottato da San Tomaso d'Aquino, fu finalmente’fissato dal Concilio di Trento: Battesimo, Cresima, Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordine Sacro, Matrimonio. Dei quali, i primi cinque, necessari a tutti per salvarsi; gli ultimi due, no. E fu distinzione savia; perché è un fatto che uno si può salvare anche se non si fa prete e se non prende moglie; anzi, se mai, 'si potrebbe aggiungere che que’ due sacramenti, non soltanto non son necessari alla salvezza, ma qualche volta la rendono più difficile, per non dire addirittura impossibile. Se lo sanno certi tonsurati messeri di mia conoscenza, e se lo sa, qui a due passi dal convento, Cecco della Gora con quella serpe dì donna che si trova sacramentalmente alle costole.
• ♦ ♦ * •
Di queste e di tante altre simili e importanti cose Fra Gabriele, Era Angelo ed io parliamo spesso in convento. La sera, quando i frati si raccolgono in gruppi secondo i loro gusti e secondo le loro inclinazioni, noi, ‘ i tre indivisibili ’, come ci chiamano, ci troviamo, ora in un angolo dell'orto, ora in una delle nòstre celle, a fare un po’ di seria e fraterna conversazione. Fra Gabriele, uomo di forte cultura predicatore di vaglia ricercato dalle grandi chiese delle prime città d’Italia, ha sempre
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una quantità di cose da dirci, relativamente alle sue esperiènze o alle sue continue, svariate letture; Fra Angelo, uomo di minor cultura, ma di straordinario buon senso e dalle idee spesso arditissime, per non dire ereticali, infiora sempre le conversazioni nostre di quel suo linguaggio figurato e parabolico, per cui è diventata© addirittura una ' macchietta ' del convento.
L'altra sera, la nostra conversazione .prese un'giro sacramentale, e s’avventurò nel ginepraio delle questioni relative alla trasformazione subita dalle primitive istituzioni cristiane. Io dissi la mia, suppergiù nel modo che ho fatto qui. Fra Gabriele non era del mio parere. Egli spiegava invece le cose con la ‘ teoria del germe ’, della quale, a dir vero, mi pareva assertore più incaponito e facondo, che profondamente convinto. Per lui, a dirla in due parole, come la ghianda contiene virtualmente la quercia e la quercia non è che la evoluzione naturale della ghianda piantata in un terreno adatto al suo sviluppo, così le istituzioni cristiane primitive contenevano, virtualmente i dogmi come li abbiamo oggi: e i dogmi, come li abbiamo oggi,, non sono che la evoluzione naturale di quelle istituzioni primitive, avvenuta sotto Fazione dello Spirito che tutto feconda e a tutto dà vita nella Chiesa. — Fra Gabriele s'infervorava in questo suo dire, quando Fra Angelo, con uno dei suoi soliti scatti, esclamò: —- ‘ 0 Fra Gabriele, ma che ci venite cantando!. Trent’anni fa. Fra Umile, che Dio l’abbia in gloria, piantò qui nel nostr’orto un ciliegio, un fico, un noce. Quando li piantò, si vedevano appena; eran come questo mio dito. E oggi, lo vedete che po’ po’ d’alberi son diventati! Ma il ciliegio è rimasto ciliegio, il fico è rimasto fico, il noce è rimasto noce. Mettete un po’ che, invece, il ciliegio fosse diventato un platano, il fico un pino e il noce un cipresso; che direste? Direste: — Mondo sagrato, qui c'è stata qualche diavoleria! ’ E, corso a un tratto a metterla stanghetta alla toppa dell'uscio (eravamo in cella mia), tornò; e abbassando il tono della voce riprese:. — ‘ Per me, io vi dico che se San Paolo tornasse fra noi ed entrasse in una delle nostre chiese quando battezziamo un bimbo o diciamo messa, a sentire che con l’acqua battesimale intendiamo cancellare il peccato originale, imprimere il carattere di cristiani e far degli eredi del paradiso, e che nella eucaristia diciamo convertirsi tutta la sostanza del pane nel Corpo di Gesù Cristo e di quella del vino nel suo Sangue in guisa che vi si contiene veramente, realmente e sostanzialmente il Corpo, F Anima e la Divinità di Gesù Cristo, io son certo che griderebbe, come sapeva gridar lui: — ‘ 0 gente insensata! che avete mai fatto? qui, del cristianesimo di Cristo non c’è più neppur l’ombra! ’.
L’uscita di Fra Angelo fe’ chiudere la conversazióne con una bella risata. Era tardi, ci augurammo scambievolmente la buona notte, e i due amici se ne andarono. • >
Io, con la mente sempre piena delle cose di cui avevamo ragionato, mi' coricai; m’addormentai profondamente... e feci un SognoMi pareva che un violento ciclone pentecostale fosse passato sulla Chiesa, ne avesse abbattuto tutti i muri che per secoli l’avean tenuta divisa, avesse portato via sacerdozio, altari, formule dogmàtiche, catechismi, sacramenti, e di ‘ sacra-
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IQ2' • BILYCHNIS .
mento ’ avesse cancellato dalla memoria de’ fedeli perfino il termine. Tutte le cose nuove erano sparite, e le antiche, ravvivate dallo Spirito eterno, eran tornate a ridare alla Chiesa di Cristo la semplicità apostolica, l’esuberante vigorìa della sua prima giovinezza. Al posto del sacerdozio stava di nuovo il primitivo presbiterato, l’episcopato primordiale; il luogo dell’altare era occupato dalla 4 mensa ’, e le grandi istituzioni cristiane avean ripreso la fisonomía che. aveano a' tempi che le videro nascere. Il presbiterato o episcopato non costituiva una casta, ma insieme coi diaconi e con le diaconesse formava un corpo di gente, a cui lo Spirito avea comunicato i doni necessari alla edificazione e all'amministrazione della Chiesa; e la Chiesa, riconosciuti i doni, imponeva solennemente le mani ai chiamati dal Signore, che assumevano così i loro uffici, e li esercitavano 'pascendo il gregge di Dio, sorvegliandolo, non com’essendo obbligati a farlo, ma di buona voglia; non per amore di sordido guadagno, ma con zelo spontaneo; non da dominatori di quelli ch’eran loro affidati, ma essendo gli esempi del gregge ', contenti del pane che i fedeli provvedevano loro, e nessun’altra ricompensa aspettandosi de’ loro 4 servigi ’ che 4 la incorruttibile corona della gloria ’, tenuta in serbo per loro dal 4 sommo Pastore ' (i).
Le mamme, dopo quaranta giorni dal loro parto, tornavano in chiesa per la prima volta, a 4 entrare in santo ’, come dicevano; e, accompagnate dai babbi, andavano a presentare le loro creature a Dio, in mezzo alla 4 raunanza ’ alla loro famiglia spirituale. Il presbitero, o vescovo presidente, come un tempo avea fatto il vecchio Simeone, riceveva le creaturine 4 nelle sue braccia, e benediceva Iddio ’ (2) in nome di tutta la comunità. I bimbi, sulle ginocchia delle mamme imparavano il Vangelo dell’infanzia di Gesù, e 4 crescevano in sapienza, in statura e in grazia dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini ' (3). Poi, più tardi, la Chiesa provvedeva lei alla educazione religiosa de' suoi giovani; e vi provvedeva col genuino insegnamento del Vangelo, col semplice ricordo delle parole e degli atti del. Signore, e con l’ap-plicazióife pratica de’ precetti di Gesù alla vita. E quando i giovani erari giunti a formarsi delle convinzioni profonde e personali, chiedevano l’ammissione regolare alla Fratellanza, mediante il battesimo.
Il battesimo era loro amministrato .nella forma primitiva, per immersione, a significare scultoriamente il programma che, fidando nell'aiuto di Dio, promettevano di adottare per la loro condotta: 4 morire al peccato e rivivere alla giustizia '. E i battezzati eran così riconosciuti come 4 fratelli ’ e come 4 sorelle ', ed erano ammessi alla partecipazione della eucaristia, che si celebrava la domenica e tutte le volte che i fratelli si radunavano per offrire il loro culto a Dio.
Nell’ora grigia del dolore, nell’ora tormentosa del dubbio, nell’ora tragica della tentazione, i fedeli prendeano la ben nota via del presbiterio; e nella intimità della stanza illuminata dalla presenza del Signore, versavano il cuor loro nel
(1) 1 Pietro 5, 2-4.
(2) Luca 2, 28.
(3) Luca i, 52.
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cuore del presbitero, a cui l’età, l’esperienza della vita e la continua comunione con Dio tenuta viva dalla costante preghiera, suggerivano parole di conforto, d’ammaestramento e di consiglio; e quando, dopo essersi inginocchiati con lui, e dopo aver con lui chiesto al Signore il balsamo che lenisse la piaga aperta dalla prova o la luce che dissipasse il dubbio o la forza per vincere la tentazione, se ne tornavano a casa, sperimentavano, nel santuario della loro vita interiore, come veramente divina fosse la potenza del Vangelo di Cristo.
I giorni ne’ quali i giovani si presentavano alla raunanza a domandare a Dio la benedizione dall’alto sul matrimonio che avean contratto dinanzi alle autorità civili, erano giorni di festa. Le mogli de’ presbiteri (il celibato non era imposto ma volontario) adornavano di fiori il luogo del culto; i giovani e le giovani cantavano dei cori sacri, e il presbitero ufficiante, dopo aver ricordato agli sposi i doveri coniugali secondo la Parola di Dio, implorava su loro la benedizione del Signore.
I poveri, sovvenuti dalla carità dei ricchi, non conoscevano le angosce e le umiliazioni della miseria; e i ricchi esercitavano largamente la carità loro, non solo verso la chiesa, ma anche verso * que’ di fuori ’, ricordando che al disopra ' dell’amor fraterno’ sta la '-carità', la grande carità, che abbraccia quanti son fatti a somiglianza di Dio (i).
Fra le altre cose, il ciclone pentecostale- avea portato via anche la parola mòrte. I fedeli, profondamente convinti che il loro Salvatore avea ' distrutto la morte e messo in luce la vita e l’immortalità mediante il Vangelo ' (2), e memori delle grandi parole del Maestro: 1 2 3 4 Chiunque vive e crede in me non morrà mai ’ (3) e: 4 Chi ascoltala mia parola e-crede a Colui che mi ha mandato ha vita eterna ’ ed 4 è passato dalla morte alla vita ’ (4), non dicevano mai d’un fratello giunto alla sua grand’ora 4 è morto ’; ma dicevano 4 s’è addormentato ’, 4 dorme ’ o 4 è andato col Signore ’ o 4 è con Cristo La 4 morte ' non era per loro che una ‘ crisi ’. un 4 trapasso ’, 4 la porta della vita ’, 4 l’ascensione alla città di Dio ’.
Delle cose 4 nuove ’, il ciclone non ne avea risparmiate che due: le campane e l’organo; erano le sole vestigia del culto dell’antico Israel rimaste nella Chiesa. Le campane s’eran sostituite alle antiche trombe d’argento, che nel deserto avean servito a convocare Israel all’ingresso della 4 tenda di convegno e l’organo s’era sostituito agli svariati strumenti che avevano accompagnato le ispirate salmodie nel Tempio.
E, nel mio sogno, mi pareva appunto che le campane sonassero a distesa e salutassero l’apparire della Domenica, del 4 giorno del’Signore’, sulla terra.
Poi, l’ora del servizio religioso s’era avvicinata, e la folla de’ credenti, ciascuno de’ quali portava la propria Bibbia e il proprio Innario, s’avviava alle varie chiese. Io, confuso tra la folla, entrai. — Sopra un sedile in alto, dietro la mensa, stava
(1) 2 Pietro 1, 7.
(2) 2 Tini. 1, io.
(3) Giov. il. 26.
Vi) Giov. 5. 24.
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già' il vescovo, o ministro presidente (i), in faccia alla congregazione. Gli altri presbiteri e i diaconi gli sedevano attorno, in semicerchio, un po’ più in basso. Nessuna veste speciale li distingueva dal resto dei fedeli. Nella raunanza, i fratelli e le sorelle sedevano promiscuamente.
Il vescovo cominciò il servizio con una preghiera d’ispirazione personale, terminata col * Padre nostro ’. Tutti pregavano in piedi, con le mani levate in alto o disposte in croce; soltanto le preghiere esprimenti sensi di tristezza, di umiliazione e di pentimento si dicevano in ginocchio. La preghiera era in lingua volgare.
Dopo la preghiera, s’intonò un ‘Salmo’(2). Poi, un fedele, dall’anibone, lesse, nella lingua del popolo, un brano dell’Antico e'uno del Nuovo Testamento (3). Dopo la lettura, il vescovo, da un altro ambone, pronunciò l'Omelia: un discorso breve, piano, familiare, pratico, mirante ‘ a esortare il popolo alla imitazione delle buone cose che aveva udite dalla lettura fattagli della Bibbia ’ (4). Il vescovo disse quindi la Colletta, Voralio ad collectam, o preghiera collettiva, che riassumeva tutte le preghiere precedenti. E dopo V offertorio, dopo aver cioè fatte le loro offerte (5), i fedeli celebrarono la eucaristia. L’assemblea rimase seduta; il vescovo lesse la parte del Vangelo relativa all’ultima cena di Gesù co' suoi discepoli; e, dopo una preghiera d'invocazione, i diaconi cominciarono a passare ai fedeli il pane ed il vino che, finito il servizio, portavan poi anche ai malati assenti.
Durante la celebrazione, la raunanza, silenziosa, raccolta, parea rapita in una estasi celeste; Sembrava che, chiusi gli occhi della carne a tutto ciò ch’è terreno e passeggero, avesse aperto quelli dello spirito a goder la visione di cose ineffabili ed eterne: delle cose ‘ che occhio non vede, che orecchio non ode e che non entrano in cuor d’uomo, ma che Dio ha preparate per quelli che l’amano ’ (6). Vibravano per l’aere le note solenni d’una melodia grave, celeste, che l’organo spandeva per le navate ove non era altra luce che quella che veniva dall'alto. Ogni distinzione fra presbiteri, vescovi, fedeli, scompariva in quell’ora; quivi non erano che anime anelanti a una comunione sempre più intima col Salvatore, che si moveva inispi-rlto in mezzo all'assemblea: invisibile, eppur visibile allo sguardo rapito di tiitti. In que’ momenti di pace profonda, io capii, per la prima volta in vita mia, che cosa veramente fosse la ' presenza reale ’ che il Maestro avea promesso ai suoi nell’ora solenne in cui stava per dipartirsi da loro.0
(1) Così lo chiamava Giustino martire.
(2) II canto sacro antico era canto antifonale; a risposte alternate. Si cantavan de’ Salmi, ed erano o i Salmi dell’Antico Testamento, o, in generale, de’ componiménti poetici di carattere sacro; degl'/wni, ed erano de’ componimenti poetici di carattere sacro, aventi per nota fondamentale la lode; de’ Cantici spirituali, ed erano la espressione improvvisa di quel che dettava il cuore ispirato dallo Spirito di Dio. Confr. Efes 5» IO! Col. 3, 16.
(3) La lettura era fatta da un presbitero, da un diacono o da un sempl’ce fedele.
(4) Giustino martire.
(5) Primitivamente i fedeli andavano a deporre sulla mensa le loro offerte; e offrivano il pane e il vino che servivano per la eucaristia che si stava per celebrare-quel che restava era destinato ai ministri del culto e ai poveri.
(6) 1 Cor. 2, 9.
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Dòpo un inno, la raunanza si sciolse col ' bacio della pace.’ (i) I fratelli baciavano i fratelli, le sorelle baciavan le sorelle. E in quel bacio, scambiato fra persone di condizioni così diverse ma indissolubilmente unite dal vincolo d’un medesimo affetto, era un tal candore, una tal semplicità che m’inteneriva.
La folla, ordinata, in silenzio, usciva; l'organo l’accompagnava con una melodia ch'era tutta uno spirituale rendimento di grazie... quando, alle ultime note dell'organo, io mi svegliai;
Avevo gli occhi pieni di lacrime; e, in cuore, un sentimento di pace profonda, intensa; l’anima mia non era più sulla terra: era 4 ne' luoghi celesti con Cristo.’ Uno spirito era entrato nella mia cella, sulle candide ali dell’alba: lo spirito del Signore. Il primo oggetto che mi cadde sotto lo sguardo all’incerto chiarore del giorno che appena spuntava, fu il Crocifisso, il mio compagno fedele nelle ore più tormentose e al tempo stesso più care della mia vita, che parea tendermi le braccia con un amore infinito. M’alzai; corsi a lui; gli caddi in ginocchio dinanzi; l’abbracciai con una effusione in cui era tutta l’anima mia, e con voce rotta dal pianto esclamai:
0 Padre santo, se il peccato della tua Chiesa non è troppo grave perché tu lo possa perdonare, perdonalo, Signore! E dove il peccalo è abbondato, sovrabbondi ancora una volta la tua grazia! Tu che avresti risparmiato le città della pianura per amor di-dieci giusti che si fosser trovati in Sodoma e Gomorra, deh, salva la tua Chiesa per amore delle .molte anime che in lei piangono, pregano, soffrono, anelano a cose migliori! Per Gesù Cristo, Signor nostro. Amen.
0 Salvator pietoso, che fondasti la Chiesa col sacrifizio di te stesso, tu che V ’ami d’un amore ineffabile ed eterno, e che dicesti: ‘ Le porte dell’Ades non la potranno vincere,’ odi il sospiro della parte di lei che ti brama e ti dice: ‘ Vieni, Signor Gesù! ' Vieni a fugarne gli errori, a ribattezzarla con lo Spirito tuo pentecostale, a ridarle l’unità che ha perduta, e per la quale tu,pregasti nel Getsemani! Per amor delle anime che anelano a te, vieni, o Stella mattutina, vieni, Signor Gesù! Amen.
0 santi martiri, che amaste la Chiesa più della vita, che foste anche voi nella ' gran tribolazione ’ e, bianco vestiti e con la palma della vittoria in mano, servile ora giorno e notte Iddio nel suo tempio, voi che, glorificati testimòni, circondale la Chiesa che milita e soffrite con lei nella sua miseria, unite l’incenso delle vostre preghiere all'incenso delle preghiere nostre, affinché lo Spirito eterno la risvegli, la rinnovi, e affretti così l’avvento del Regno di Dio sulla terrà! Per Gesù Cristo, Signor nostro. Amen.
Fra Masseo da Pratoverde.
(i) i Tess. 5, 26; i Cor. 16, 20; 2 Cor. 13, 12; Rom. 16. 16; 1 Pietro 5, 14.
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PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
NOTE E DOCUMENTI
(Continuazione. Vedi Bilycknitài Gennaio 1919, pag. 24).
AMICIZIA
L’amicizia è un vero dono di Dio; la parola, lo sguardo dell’amico è il balsamo che sana o almeno lenisce le più profonde ferite : il sentimento di fiducia e di abbandono che si prova confidandosi ad un amico è uno dei più dolci conforti della vita.
E se l’amicizia è così preziosa per l’uomo adulto, che cosa è mai per il giovane? E’ il profumo più sottile .e delicato dell’anima sua.
che lo ingentilisce, e lo innalza buono e generoso.
Molti giovani riducono è vero ben poca cosa; la limitano cioè
e lo rende
l’amicizia a al comune
interesse, al comune divertimento, ai comuni gusti intellettuali. Ma quest’amicizia semplicemente umana, che potrebbesi chiamare «comune», non nel senso di « volgare», ma nel senso di «abituale», tanto più s’innalza e si nobilita quanto più alti e nobili sono i suoi moventi ed i suoi scopi. Essa diventa allora amicizia spirituale : amicizia di cuori. e delle menti non solo, ma amicizia delle anime.
Di tale amicizia hanno goduto e si sono nutriti, tale amicizia hanno data e ricevuta i giovani di cui ci occupiamo. I loro migliori amici li hanno trovati nell’ambiente di quella « Federazione di Studenti Cristiani » che tanta parte ha avuto nella formazione della loro personalità e di cui tratteremo di proposito nell’ultimo capitolo del nostro lavoro. Accontentiamoci per óra di analizzare quale parte abbia avuto ¡’amicizia nella loro vita.
* * *
Appunto nell’ambiente dell’Associazione Studenti Cristiani, Giovanni Klingebiel trova dei caratteri affini al suo nella persona di vari coetanei : Leone James, Daniele Essertier ed altri. L’anima sua delicata conosce tutto il valore e tutti i benefici della sana e forte amicizia, ed egli si compiace di analizzarne gli elementi profondi riassumendo, nel suo quaderno, un articolo di Abele Bonnard. Occorre citare la chiusa di quell’articolo per descrivere con maggiore esattezza i preziosi servigi che Klingebiel attende dàlia conversazione tra amici, in cui sono messe in comune le pròl
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PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
io;
prie osservazioni e le proprie esperienze : « Mentre ciascuno esprime il suo parere e si •compiace di farlo ritoccare dal parere di un altro, da tutti questi conversari scaturisce un disegno delicato, qualcosa di nobile e di giusto; e se mai la verità si lascia afferrare dalle parole umane, essa, più che altrove, appare meglio nei colloqui tra amici ».
• * *
Amicizie formatesi nell’ambivnte della < Federazione » sono anche quelle rievocate nella corrispondenza di A. A.
i2 Febbraio 1915.
... ogni giorno ricevo qualche buona lettera. Me ne giungono da ogni parte e sperimento quanto forti sieno i vincoli che uniscono tra loro i servitori della Grande Causa e dello splendido Ideale. La distanza non conta più; i cuori si ricongiungono come per incanto, e una parola scambiata tra loro basta per constatare che essi vibrano all’unisono.
E ancora, un mese dopo:
19 Marzo 1915.
Da quando sono al reggimento ho prèso coscienza di quella cosa magnifica e incomparabile ch’è la fraternità, la unione dei cavalieri del bene, che combattono insieme per l’ideale e per le grandi cause. Ho ricevuto da alcuni amici delle lèttere, delle semplici cartoline scarabocchiate trà due azioni e mi bastava dare un’occhiata a quei messaggi Per sentire che non ci eravamo lasciati mai, che nè il tempo nè lo spazio potevano separare due amici uniti nello stesso servizio, nella stessa volontà...
... Nei giorni così agitati e dolorosi in cui viviamo, questa solidarietà, questa fraternità fra gli uomini dalla volontà buona non è dessa, da sola, la luce e la pace?
Questa è proprio la vera amicizia, e sino a qual punto essa fosse sentita dal giovane A. A. si può constatare confrontando con quanto precede questo passo di una lettera
scritta un anno' prima ad un gruppo di studenti cristiani :
Il mio grande desiderio è che questa fraternità diventi più feconda, ch’essa compenetri tutte le ore nostre, anche le ore grigie e quelle meste. Senza un raggio d’affetto, avremmo noi il coraggio di percorrere l’oscura e fredda via. la quale sola conduce al perdono del Padre? Per fortuna c’è l’amor di Dio, coll’amore reciproco dei suoi figlioli, il quale sólo può darne l’idea e il pallido riflesso...
L’amicizia era per Ruggero Allier un bisogno del cuore. Ma essa, in lui, non aveva niènte di esclusivo. Non •èra dì quelli che hanno uno o due amici intimissimi e che serbai» per quelli tutta la loro affezione. Neppure egli era ciò che' suolsi chiamare un « buon ragazzo», uno di quegli individui che hanno l’aspetto di darsi a tutti e che non si danno a nessuno.
Per mantenere il più a lungo possibile coi compagni quei vincoli che sono così piacevoli durante gli anni di studio, e che purtroppo la divergenza delle professioni finisce per sciogliere a poco a poco, egli aveva organizzato pei suoi amici personali un piccoli ricevimento regolare. La terza domenica d’ogni mese; nel pomeriggio, gli amici di Ruggero erano certi di trovarlo in casa insieme a tutta la famiglia. Non c’erano inviti. Veniva chi voleva e chi poteva. Si discorreva un po’ di tutto e si rideva insieme. Molti degli assidui ricordano ancora con nostalgia i ritrovi della terza domenica.
* * *
Coll’amore per l’ideale che lo possedeva, Gustavo Escande amava naturalmente e ricercava le amicizie che fortificano e uniscono le volontà pei raggiungiménto del bene. Membro d’una Società di studenti astemi, la «Spes», e d’una Sezione di «Attività cristiana », dove giovani uomini e donne cercano insieme a meglio conoscere e servire il « Maestro», ei poneva, in tutto il suo lavoro, l’ardore contagioso della sua fede e del suo entusiasmo.
Ai suoi compagni .della «Spes»:
Circostanze gravi m’hanno separato da voi. Spesse volte mi salgono le lacrime agli occhi sentendomi così solo in mezzo a tanti giovani senza mora-
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lità, senza religione, che passano il loro tempo alla bettola. E ringrazio Spes di ciò che ha fatto per me. Nell’ambiente di Spes ho imparato a dire no, e questo è che fa la forza morale dell’uomo. Approfittate del tempo in cui vi trovate riuniti; il ricordo che ne conserverete vi sarà prezioso. E pensate qualche volta al soldatino il quale cerca di compiere lietamente il proprio dovere.
Più tardi, in occasione d’una seduta anniversaria della medesima Società:
E’ doloroso per me essere lontano da voi in questo giorno anniversario; vi vedo adunati intorno alle abituali tazze di thè, e per un istante vorrei essere in mezzo a voi. Vorrei dirvi quanto il ricordo delle buone ore trascorse a Spes mi sostiene nelle prove che sto attraversando attualmente.
E un’altra volta:
... la domenica, nell’ora in cui s’aduna 1 ' « Attività », che cosa non darei per trovarmici anch’io!
A un amico :
Se torno da questa guerra, come sa-remo felici di ritrovarci, sulla panca, in fondo al tuo giardino. Quanto ci siamo divertiti assieme!... Come te, amo ripassare nella memoria i nostri vecchi buoni momenti. Inutile ringraziarmi di quanto ho fatto per te; ne hai fatto altrettanto, se non di più, per me. Ciò che v’ha di così bello, di così nobile nell’amicizia, è ch’essa unisce insieme due o parecchie personalità per completarle a vicenda. L’una, violenta, si modererà al contatto d’una natura più dolce, ecc... Tu m’hai dato molto, in particolare hai temperato il mio slancio che avrebbe potuto prendere una brutta piega; hai moderato le mie esagerazioni di meridionale...
Ancora ad un amico:
Ho un minuto soltanto per scriverti, voglio, approfittarne per ridirti tutto il mio affetto... Quanto penso ai momenti
passati con te. Mi sentivo legato a te da un’affezione tenera e profónda, ed è per me un conforto il pensare che tu ed io siamo in comunione di pensiero, che ambedue lottiamo per raggiungere il medesimo ideale.
... Ho guardato adesso la fotografia della nostra gita del 14 luglio scorso. Sei dietro a me e t’appoggi alle mie spalle : è un simbolo. Sento che sei vicino a me nel pensiero e nella preghiera, come io sono vicino a te. Ci appoggiamo l’uno sull’altro, sulla nostra mutua amicizia. Questa amicizia s’è rinforzata colla separazione, s’è purificata nella prova. Che bella cosa l’amicizia che ci unisce! Ringraziamo Iddio per la giòia che abbiamo altre volte provata stando insieme.
E l’amicizia gettò ancora un raggio di luce sull'ultimo periodo della sua breve vita terrena.
Dal diàrio degli ultimi giorni:
Beauséjour, 22 Marzo 1915.
... Ieri ho scoperto un giovane protestante nell’altra squadra della mia sezióne. E’ della classe ’93 ; ha fatto tutta la campagna. Molto gentile e serio; ho stretto amicizia con lui; mi sento meno isolato.
***
Col suo bisogno innato di aver qualcuno al quale poter confidarsi e chiedere consiglio, Andrea Comet Auquier ebbe, dovunque egli visse, un amico fedele al quale comunicava le sue aspirazioni e le sue speranze più intime. Quest’amico lo ebbe anche in piena guerra.
4 Novembre 1914.
... Dacché • sono al comando della Compagnia ho un amico eccellente. Era aiutante nella riserva quando sono giunto ed è stato nominato sottotenente. E’ un maestro di scuola molto distinto e molto serio; è da poco sposato ed innamoratissimo; parla di me alla sua giovane moglie in tutte le sue lettere e questa mi è così grata pel poco che faccio a favore di suo marito. Naturalmente tra noi ci raccontiamo le nostre piccole faccende...
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PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
IO9
Questa amicizia — di cui i nostri giovani erano così larghi verso i compagni di studio o i colleghi nella vita militare — era loro largamente resa. E’ un privilegiò delle anime nobili di poter dare molto affettò, ma è la loro dolce, sebbene non cercata, ricompensa di riceverne .altrettanto in contraccambio. Tra uomini retti e puri soltanto può esistere mia perfetta « corrispondenza di amorosi sensi ».
La miglior prova dell’amicizia di cui erano oggetto i giovani di cui ci occupiamo appare nelle parole di largo e profondo rimpianto di quelli che sono loro sopravissuti. Certo è una pia usanza — e non è l'ultimo segno della gentilezza innata nell’uomo — di dire bene piuttosto che male dei defunti. Ma è facile distinguere tra le dichiarazioni reboanti di stima rese più o meno obbligatorie dalle circostanze e le parole semplici, ma veramente «sentite» che scaturiscono dal cuore.
Troppo lunga, e forse tediosa, riuscirebbe una serie prolungata di testimonianze di persone che hanno conosciuto ed amato i nostri giovani eroi. Limitiamoci dunque a pochissime.
• • •
Nel novembre 1907 Giovanni Monod si iscriveva come studente nella Facoltà teologica di Parigi. I suoi amici hanno rievocato con dolore quel ch’egli era per essi. « Le sue qualità dominanti, scrive uno di essi, erano una profonda potenza d’affezione, la dolcezza, il tatto. Senza rumore, senza parlar molto, per una specie d’irradiamento, egli esercitò subito intorno a sè una grande influenza». — Un altro suo compagno qualifica nello stesso modo questa influenza : « Essa era, anzitutto, molto discreta. Ei non era di quelli che cercano d’imporsi agli altri o di agire superficialmente. Ma presto si riconosceva il profondo e reale valore ch’ei nascondeva; si era attratti dalla sua pietà così calma, cosi personale, nemica di ogni manifestazione che la ponesse in vista ; pietà che si sviluppava nella meditazione e nella preghiera e che irradiava da tutta la sua persona».
* * »
Andrea Comet Auquier ha lasciato dietro di sè una larghissima eredità di aflètti, tanto nell’ambiente dei suoi colleghi professori che in quello dei suoi colleghi ufficiali:
«Voi sapete — scriveva un egregio insegnante ai genitori di Andrea — voi sapete tutto l’affetto che da dieci anni nutrivo pel vostro figlio. Da presso o da lontano ei nou
ha mai cessato dal confidarmi le sue speranze, i suoi progetti, talvolta le sue esitazioni, i suoi dubbi. E posso dire che, in 33 anni di vita universitaria, non ho incontrato un’anima più pura, più sincera e più bella ».
E il maggiore R. scriveva : « Il mio ricordo è pieno del suo coraggio, della sua. energia, della sua dirittura, della superiorità ch’ei manifestava nel comando, dell’incanto che spandevano intorno a lui la sua allegria, il suo sapere, il suo carattere affettuoso e fermo. L’abbiamo amato subito perch’egli era interamente amabile. La sua natura piena d’elevazione, la sua condotta intemerata forzavano la simpatia. .Era un bel soldato, del tipo di quégli eroi che pagano una dura vittoria col loro sangue molto nobile e molto generoso ».
»♦*
Tutti i suoi amici rendono testimonianza alla sincerità, all’entusiasmo di Ruggero Allier. Un suo intimo scrive:
«Appassionato per la franchezza, la praticava per suo conto > la supponeva sempre negli altri. Profondamente urtato s’ei supponeva che non si avesse fiducia in lui, egli andava con fiducia verso gli uomini e verso le cose. Preferiva avere delusione piuttosto che commettere una preventiva ingiustizia... Da ciò derivava un entusiasmo fatto non di emozioni fittizie e momentanee, ma di fiducia naturale e ragionata, d’una gioia candida nel trovare il bene dovunque ci può essere, d’uno sforzo a scoprire il bene, il quale sforzo spesse vòlte aveva il suo premiò».
Un altro suo amico cosi parla di lui : « Il tratto più caratteristico della sua fisionomia era il suo sguardo: sguardo in cui c’era più ancora che della dirittura, sguardo in cui c’era della luce, la quale esprimeva la limpidezza dell’anima sua. Tutta la sua coscienza si rivelava da quello sguardo, e tutta la sua volontà di servire ».
In presenza di tali testimonianze vien fatto davvero di esclamare : — Beati quei giovani che in tal modo hanno saputo amare e farsi amare, e benedetti quei padri e quelle madri che, coll’educazione, coll'aflètto e certo più ancora coll’esempio, hanno prodotto simili tempre di giovani !
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HO
BILYCHNIS
INTELLETTUALITÀ,
LETTERATURA, ARTE
Non v’è giovane, anche di modesta cultura — eccettuati quelli che non pensano se non al piacere e quelli unicamente preoccupati della «carriera» — non v’è giovane, ai tempi nostri, che non ami coltivare il proprio spirito colla lettura, colla musica, colla contemplazione dei capolavori dell’arte. Nè a tale regola fanno eccezione i giovani cristiani. Se una eccessiva reazione al paganesimo introdottosi nella Chiesa ha portato in altri tempi alla condanna dell’estetica in nome della religione, è ormai ammesso da tutti che la bellezza è un’efficace interprete dei movimenti dello spirito e che la fede si è dimostrata potente ispiratrice dell’arte..
I giovani di cui stiamo parlando sono tutti studenti, o giovani professionisti. Sono dunque persone colte ; essi appartengono, per definizione, alla classe degli intellettuali.
• **
Gl’intellettuali amano naturalmente discutere, e discutere di ogni cosa.
Per prepararsi ai suoi esami di Ufficiale di complemento, Allier segue un corso speciale nel villaggio alpino dei Chapieux e di quel soggiorno conserverà un piacévolissimo ricordo :
20 luglio 1912.
Se sapeste tutte le questioni che si agitavano nella nostra cameretta dei Chapieux dalle ore 8 alle 11 di sera! Tutto vi passava; la realtà del mondo sensibile, la libertà, il determinismo, la morale evoluzionista, i sofismi classici, i problemi sociali più appassionanti. E così non si riusciva mai ad andare a letto. Perciò,, quale pigrizia la mattina. Verso le 5» uno di noi, preso da un nobile zelo, gridava: « Su, in piedi ! » Poi si rigirava e continuava a dormire. In un altro angolo della camera, una voce gemeva : « Oh ! che fiacca >. E un terzo rispondeva: «Volete tacere?... Non si può dormire».
• **
Gustavo Escande compie con zelo la sua istruzione militare; ma lo studente fa capo
lino talvolta sotto la giubba della recluta, e nella sua corrispondenza si sente la nostalgia delle quiete ore passate a tavolino coi suoi libri.
Tolone, dicembre 1914.
... La nostra istruzione militare è terminata; è stata molto affrettata ed intensiva; quindi qualsiasi occupazione intellettuale era impossibile. Se mai torno a Ginevra, avrò ben dimenticato il mio greco e il mio latino. Insomma, cerco di prender le cose dal lato buono e finisco collo star bene dovunque mi trovi.
»««
Giorgio Teyssadre ha provato l’influenza deprimente, per l’intelligenza e pel cuore, della vita in trincea ; egli analizza sottilmente tale influenza intrattenendosene con un amico:
Come tu dici, si. ha l’anima vuota e non si può parlare d’altro che di cose banali. Questa vita semplice si trae dietro una grande povertà d’idee: le sole che restano sono i ricordi. A forza di abitudine, gli eventi che ci avvolgono senza toccarci non ci fanno più pensare. Si vede soltanto se stesso e si vedono le conseguenze di un fatto solo in rapporto a se stesso.
« * «
Anche Casalis è uno squisito intellettuale.
A Montauban, prima di presentarsi al Distretto militare, egli saluta la sua cameretta di studente:
21 novembre 1,914,
La mia camera è sempre lo squisito piccolo santuario dove mi sento così bene. La lampada illumina in giro tutto quanto mi circonda e, un po’ più lungi, le cose riposano nella penombra, salvo il focolare dove il fuoco scintilla. Ho davanti a me, sul mio tavolo, i miei libri che sono Stati scritti, e anche letti.
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PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
III
per la maggior parte, con tanto fervore e tanto amore. E poi siete lì, te e il babbo, sotto’ un mazzo di fiori.
. Durante il duro tirocinio militare,nulla lo rallegra maggiormente che un dono di libri :
13 febbraio 1915.
... Grazie mille per il pacco. Apprezzo molto la tua scelta di libri. Li faccio un po’ circolare. I miei disgraziati compagni sono stupefatti: essi non credevano ch’esistesse una così bella letteratura e .la divorano.
E l’esperienza gli fa dettare alcune regole preziose per la disciplina dello spirito:
16 marzo 1915.
L’essenziale, al reggimento, è di non lasciarsi «abruti re». La mente ha fin troppo la tendenza ad arruginirsi; bisogna tenerla desta del continuo e, per ciò fare, occorre prepararsi, prima di partire per la caserma, una serie di argomenti che si desidera studiare, i quali formeranno l’oggetto delle nostre riflessioni durante le ore di marcia o d’inazione.
Se Casalis sente il bisogno di reagire contro la pigrizia dello spiritò durante la sua preparazione militare, tanto più questo bisogno è sentito da A. A. durante la vita così gravosa della caserma e del fronte.
Nelle sue lettere e nei suoi appunti egli di frequente ritorna su tale argomento:
23 dicembre 1914.
Per quanto materiale, terra-terra e monotona essa sia, la vita di caserma, come tutte le esistenze, lascia qualche istante che bisogna afferrare a volo, per elevarsi al disopra delle sue minuzie e fuori delle sue sbarre, per raggiungere col pensiero gli amici e i fratelli : in una parola, per liberarsi.
23 gennaio 1915.
... Quasi tutto il mio tempo e la mia attenzione sono presi dagli esercizi mi
litari. Talvolta la loro abbondanza è tale che me ne sento profondamente disgustato... Devo imparare a dominare la situazione, a conservare un pensiero virile e elevato pur occupandomi delle più prosaiche faccende... Fare le piccole cose come se fossero grandi, in questa prima fase della vita militare; e, fra qualche mese, fare le grandi come se fossero piccole!
2 febbraio 1915.
Devo dirvelo? Ciò che fa maggiormente soffrire alla caserma non è il cibo, nè il giaciglio, nè gli esercizi: è la bestialità dell’ambiente in cui si vive, è l’estrema rarità dei compagni ai quali si possano esprimere idee o sentimenti un po’ elevati : è la solitudine morale.
È doloroso vedere quanti vivono come brut^ non conoscendo altre gioie che quelle del bere e del mangiare, esistendo senza sapere perchè.
Eppure, riflettendoci sopra, si diventa meno severi e Ci si dice una volta di più che « comprendere è perdonare ». Che educazione hanno ricevuto quegli uomini? Chi ha loro aperto il significato di una vita pienamente e coscientemente vissuta? E allora' si accusa se stessi, l’uomo «colto», l’uomo «morale», che fa così miseramente brillare davanti ai fratelli la luce ch’egli possiede.
io febbraio 1915.
... L’intenso allenamento fisico che ci è necessario arruginisce rapidamente le facoltà intellettuali. Si ha un bello sfogarsi di conservare una certa personalità sotto la djvisa, non si resiste quanto lo si vorrebbe all’abrutimento e alla « routine > del mestiere.
A suo fratello :
14 febbraio 1915.
.... Faccio il possibile per non lasciare che il mio pensiero s'arrugginiscà troppo.
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BILYCHNIS
Mi sforzo di conservare una qualche individualità sotto la divisa. La corrispondenza m’è stata in proposito di grande ausilio. Anche nelle marce il pensiero ha del tempo libero, tra le chiacchiere che si sentono o che si fanno.
Ai suoi genitori :
26 aprile 1915.
Sono andato a ... sabato sera e vi sono rimasto sino a domenica dopo pranzo. Sono stato accolto col calore abituale e ch'io so tanto apprezzare. Oh! quelle dolcezze! leggere a letto..., prendere un bagno..., sentire una con-ver sazione diversa dalle bombonate, dalle sciocche e sempre solite ingiurie del reggimento! Oh! ricevete in casa quanto lo potete i soldati che vi sono raccomandati. Voi non sapete ciò che vo-glian dire per essi quelle poche ore di invito; a voi saranno forse parse senza importanza, per essi saranno state una tappa benedetta, un ricordo pieno di conforto.
« J'ai mon gars soldat cornine toi! »
Ancora ai suoi genitori :
Domenica, 13 giugno 1915.
Vi scrivo, confortabilmente seduto sopra un cassone di cui il coperchio forma un’ottima scrivania. Sono le 16 e un sole opaco continua a spandere su di noi il suo pesante calore. Ciò che m’occorrerebbe perchè fosse completo il riposo è la vista di un po’ di bellezza e non è certo questa regione mineraria che potrà soddisfarmi a questo riguardo.
... Approfitto del riposo per realizzare lo scopo ch’esso deve avere: la restaurazione completa dello spirito e del corpo.
Constato che, per riempire i frequenti momenti d’ozio di cui godiamo, mi è necessario un importante servizio di
rifornimento intellettuale. Mandatemi specialmente degli opuscoli e delle riviste. Date di tempo in tempo un’occhiata alle vetrine dei librai per vedere un poco quel che potrebbe interessarmi. Quando si è presa affezióne agli studi, com'è il mio caso, la mancanza completa di cibo intellettuale diventa intollerabile.
• * *
Giovanni Klingcnbiel nutriva una vera passione pei libri. Egli aveva incominciato metodicamente a mettere su la propria biblioteca di contemporanei. I libri del James, del Péguy, del Claudel, del Suarès, d’Andrea Gide, di tutti coloro, che hanno riconosciuto nella religione una quistione vitale, si allineavano sugli scaffali, mentre, nei cassetti della scrivania, si ammucchiavano i quinterni di appunti e di apprezzamenti personali corrispondenti a ciascuno di essi.
« Si restava meravigliati, scrive un suo amico, della varietà delle sue occupazioni : numerose ore consacrate alla musica, al suo caro pianoforte, al disegno, alla lettura, a tutto ciò che può sollecitare uno spirito ed elevarlo ».
Come frutto delle Sue letture, Klingenbiel possiede non solo molta filosofìa, ma un vero talento letterario. Egli ha tutte le doti dello scrittore.
15 maggio 1916.
Piove nel bosco, piove nella nostra radura... piove nella trincea coperta!
Ho cominciato oggi la lettura del « Giornale » di Stendhal : ecco la frustata necessaria per combattere il torpore dei giorni piovosi.
Stendhal giudica da artista uomini e avvenimenti e li vede sotto una luce personale ; ma sempre rimane vero. Le sue preoccupazioni d’artista non lo lasciano mai ; ma neppure mai gli sono d’impaccio : vede sempre giusto intorno a sé come in se stesso.
Ciò che vede e ciò che sente, ardisce dirlo. Come sono le cose, così le vede ; e quanto ha visto, ei nota: nulla più.
Decide di scrivere il suo giornale currenti calamo e impone questa regola
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PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
«3
a se stesso : < Non dimenticare che l'unica qualità che vada ricercata nello stile è la chiarezza ». La pagina che segue è scritta con tanto brio, e tanto colorito che farebbe onore al più celebre letterato:
.Domenica sera, 25 giugno 1916.
Sono « di servizio » e passerò il mio pomeriggio nel villaggio.
Con un libro ih mano, vado a fare un giro nella via principale. Le campane suonano, ma il villaggio è calmo: gli uomini validi sono alla guerra, le donne e i bambini ài campi. I vecchi si scaldano al sole davanti alle porte, leggicchiando un giornale. Restano così a guardar scorrer le ore per quanto la giornata è lunga. Parlano poco: che cosa avrebbe a dirsi quella povera gente, per cui la vita è tutta la stessa? Si alzano e si coricano col giorno. Fanno da soli la loro modesta’ cucina e « cenano > lentamente sull’angolo di un ta? volo. Vivono perchè bisogna bene aspettare che la morte venga, e poi perchè fa piacere scaldarsi al sole, e perchè è domenica e le campane suonano sulla piccola chiesa.
Per gustare a mio bell’agio la lettura, ho lasciato il villaggio. Oltre i fogli del mio libro, vedo scorrere lungo il fossato la linea rossa dei papaveri. In fondo alla via, sopra uno sfondo di fogliame, sorge il campanile di Char-montois-le-Roy. Da ogni parte, l’ombra delle nuvole corre sui campi. Un boschetto s’illumina d'un verde- inatteso.
Il mio libro è d’Andrea Gide, un « racconto », quasi una fiaba. Ed io ne godo immensamente. Penso: per tutta là nostra vita ci piace che ci si racconti delle storie; diventiamo solo un tantino più difficili circa il procedimento e l’abilità del narratore. Nelle pagine Che sto leggendo c’è immaginazione, buon umore e quello spirito d’intelli
gente e fervida curiosità, quasi religiosa, riguardo alla vita, che si ritrova in tutti i libri d’Andrea Gide.
Un picciol bosco di betulle si trova a due passi dalla strada. Le foglie sono grigie e fini, portate dai tronchi gracili e bianchi. Per giungervi attraverso un campo dove la terra è ancora calda. Un ragazzino vi ha appena condottò un aratro trainato da un pesante cavallo normanno.
Il bosco è profumato di fragola e vi raccolgo un grosso mazzo di fogliame rosso. Ma siccome vuol piovere mi affretto a ritornare nella mia camera. Termino di leggere la mia storia respirando il buon odore che dal giardino ammollato entra per la mia finestra.
* # #
La letteratura è una manifestazione dell’arte, e raro è il caso che chi ama i libri non ami altresì la pittura e la musica. Nulla ,di strano adunque che i nostri amici, così appassionati dì letteratura, coltivino altresì le altre forme dell’arte.
Andrea Cornet Auquier, per esempio, era un entusiasta della bellezza artistica. Egli godeva intensamente della poesia, della musica e del canto e la vista delle grandi opere di Dio : il mare, i monti, i laghi, i gloriosi tramonti, lo rapivano sino all’estasi.
***
Le manifestazioni dell’arte preferite da Ca- ” salis sono quelle musicali. Egli cerca di fare dell’arte pratica col reagire contro le canzoni volgari e antiestetiche cantate dai suoi compagni.
16 marzo 1915.
...Le ore più penose sono forse quelle di marcia. Allora la grossolanità degli uomini si manifesta nella sua pienezza e trova la. sua espressione nelle canzoni più scurrili. Si è stomacati, si tace. Ma viene il momento in cui anche i più arrabbiati sono stufi: è il momento buono per metter fuori la pròpria canzone, graziosa, pulita, benefica. Dì tali canzoni non mancano.
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BILYCHNIS
Interiormente però egli si pasce d’un’arte più elevata:
25 marzo 1915.
Quando non so ehe fare, per esempio in marcia, o all’esercizio, canto interiormente. Ascolto le melodie che sonnecchiano in me ; in questo momento è specialmente Beethoven che mi parla. Uno 0 due frasi musicali mi hanno, in questi giorni, fatto particolarmente del bene, il minuetto della sonata VII e l’andante della sonata X di Beethoven e il 7° preludio di Chopin.
E.il giornale trascrive a memoria alcune battute.
La musica non è soltanto il suo conforto, è anche lo sfogo ch’egli dà alla sua gioia e alla sua giovinezza:
13 aprile 1915.
Stamane, caffè squisito. .Durante la notte era gelato; il cielo era fresco, azzurro e senza pensarci ho cominciato a fischiare a pieni polmoni il «mattino» di Grieg.
Il nostro soldato doveva fischiare piuttosto spesso le sue «arie» favorite, poiché ad un certo punto scrive alla famiglia:
Figuratevi che l’altro giorno, nella scala della caserma, ho sentito un grosso contadino di Limoges che fischiava a più non posso il minuetto della 7“ suonata di Beethoven! L’aveva imparata « udendomi canticchiarlo durante le marce.
» * »
Anche Ruggero Allier aveva la passione della musica. Ripeteva volentieri ch’egli si sarebbe dato interamente ad essa se non si fosse sentito chiamato altrove da un imperioso dovere. Giovanissimo ascoltava con una specie di fervore, certe suonate che avrebbero fatto sbadigliare di noia molti bambini. A dieci anni incominciò lo studio del violino e vi si diede con uno slancio di tutto l’essere. Non perdeva un’occasione d’andare a sentire le opere dei grandi maestri. Nei concerti della «società Bach » e della « società Palestrina » egli ha trovato alcuni dei più profondi godimenti della sua vita. Soffrì d’essere privato di quei piaceri artistici durante il suo servizio mili
tare. Tornato alla vita civile, trovò nella musica l’incantatrice possente la quale sola, colla vita di famiglia, era capace di consolarlo un po’ d’avere abbandonato le Alpi.
* * *
Un puro esteta è Fontaine Vive.
Nato ad Annecy, in Savoia e trascorsavi l’infanzia, egli conservò sempre la forte impronta del paese d’origine di cui aveva spesso la nostalgia. La sua grande gioia, più tardi, sarà d’incontrare un Savoiardo, d’intrattenersi con lui in quel dialetto sonoro che tanto godimento procurava al suo orecchio musicale, di evocare i luoghi prediletti della terra avita che maravigliano i suoi occhi d’artista. Dotato d’una sensibilità vivissima, egli era fortemente commosso da tutte le forme della bellezza e non concepiva un ideale morale e religioso se non rivestito d’una forma bella...
* **
Un altro appassionato esteta è Klingenbiel.
Qualche mese prima dello scoppio delia guerra egli nota nei suoi quaderni d’appunti :
10 marzo 1:914.
Sentito oggi per la prima volta il sestetto di Chausson che è un’opera bellissima, dove si fondono la potenza e la finezza.
In questa specie di musica non ci si lascia distrarre dall’incanto degli accordi, dalla grazia della melodia... l’essenziale qui è il ritmo...
Ciò non vuol dire che in questa mu-. sica la forma sia sacrificata... In Chausson il ritmo è creatore di bellezza; esso si esprime in sonorità piacevoli e in frasi melodiche limpidissime...
Ma anche le considerazioni di arte pura conducono alle riflessioni e si risolvono in considerazioni morali.
Ed egli conclude:
Seguendo quel ritmo attraverso tutte le forme ch’egli "riveste, ci sembra di toccar col dito il secreto stesso di ogni vita e di ogni creazione.
In musica, come altrove, la vita deve creare una forma che la manifesti, altrimenti essa non può liberarsi dal caos
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PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
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c ci rimane inintelligibile; ma guai a chi sa vedere la forma soltanto e misconosce la vita che l’ha creata,
E di nuovo nel mese di marzo, ma due anni dopo, e due anni di guerra, che non hanno però affievolito il suo estetismo:
Parigi, 17 marzo 1916.
Abbiamo trascorso una giornata a Parigi. Ho voluto rivedere il Lussemburgo, ma i quadri né sono stati tolti e vi ho trovato i soli marmi, tra gli altri quelli di Rodin. È strano come i più noti, cento volte visti e cento volte ammirati, conservano la capacità di commuoverci : il Giovanni Battista, i bor
ghesi di Calais, il busto di Vittor Hugo, saturo di emozione e di pensiero, la piccola driade che si contorce nell’erba, le cui carni palpitano di vita.
Sono poi andato ad errare intorno a Notre Dame e sono tornato, al tramonto, per traversare il Louvre e le Tuileries.
Parigi è davvero il cuore della Francia. Una civiltà che porta ta’: .frutti, una nazione che ha saputo. creare un tale sfondo per la sua vita, meritano che le si difenda contro l’invasore [e che si offra la propria vita per esse.
(Continua)
Giovanni E. Meille.
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C’É UNA SPIEGAZIONE LOGICA DELLA VITA?
“ GIUOCO FATTO ”
el fascicolo di luglio del 1917 Bilychnis pubblicò un simpatico articolo di Dino Provenzal dal titolo “ GIUOCO FATTO ”, nel quale l’autore « esprimeva il desiderio di una spiegazione logica alla vita universa, il desiderio di una ragione da poter dare a se stesso dei siici e degli altrui movimenti, il desiderio di una norma, di una sanzione, di una legge».
L’articolo sincerissimo (1) terminava con questa pagina:
« Sentite : quando correvo di chiesa in chiesa, in cerca di rivelazioni, anelando a una grazia, visitai, una notte, anche un’elegante casa da giuoco. Non è forse un luogo sacro il tempio del Caso, ove alcuno prega sommessamente, altri fanno gesti e pratiche superstiziose per trarre a sé l’ignota forza che distribuisce i beni vani del mondo ? Contro i puritani dei nostri tempi, Dante mi aveva ammonito di ciò, dipingendo, fra le creature angeliche, la Foituna.
Un giovine gentiluomo, a capo di una lunga tavola verde, dirigeva il gioco. Sento ancora la voce dolcissima; vedo ancora il volto incorniciato dalla barba nazarena :
— Avanti, signori: avanti: così: puntare... Giuoco fatto. Accusare.
Silenziosamente, una ventina di mani accumulavano oro e biglietti ai due lati della tavola. Poi il giovine direttore prendeva tutto il denaro: o'pagava i vincitori, secondo la vicenda del giuoco.
Io trassi fuori un biglietto da cento lire e stavo per tentare la sorte affascinato da quel silenzio, dallo scintillio dell'oro sotto la luce elettrica, dalla voce dolce dei giovine. Ma mentre stavo per puntare (come si vedon bene le cose stando fuori del giuoco!) mi accorsi che colui che accusava i punti da sinistra aveva una carta nascosta nel polsino; un baro dunque.
Passai a destra. Di nuovo stavo per tentare la sorte, quando la voce del direttore risonò:
— ... Giuoco fattoi
Non era possibile aggiungere altro. Quando stavo per puntare, la terza volta il direttore si levò, calmo, tranquillo, ma pallidissimo: era stato sbancato.
(1) Trovasi in estratto presso la nostra libreria. (Centesimi 40).
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C’ È UNA SPIEGAZIONE LOGICA DELLA VITA ?
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Me ne andai anch’io e non ho mai giuocato, nè allora, nè mai. Seppi la mat- • tina dopo, che il gentiluomo il quale, con un gesto degente, aveva distribuito denaro a destra e a sinistra per tante ore, si era ucciso poi con un colpo di rivoltella in fronte.
Tutta la mia vita di pensiero somiglia a quella serata. Ho offerto quanto avevo, ma ho dovuto subito ritrarmi o perchè mi son chiaramente visto l’inganno dinanzi agli occhi o perchè il giuoco era fatto, tutti i posti presi e nessuno mi voleva, oppure perchè colui al quale mi rivolgevo era più povero e disperato di me.
Partita dolorosa: ho messo in giuoco l’anima mia e nessuno l’ha voluta: è qui ancora, palpitante e incredula e speranzosa a momenti : ma chi se la piglia? »
La voce di Dino Provenzal non rimase senza eco. Se ne parlò tra amici, fu commentata e se le circostanze della Redazione non l’avessero impedito si sarebbe avuto allora su Bilychnis un interessante scambio d'idee e di sentimenti al riguardo fatto a base di sincerità, ©ramai è trascorso un anno e mezzo... eppure non ci sembra troppo tardi per ritornare al grido dell’anima sempre palpitante di Dino Provenzal e siamo lieti di poter pubblicare finalmente la lettera aperta che la prof? M. dell'isola gl'indirizzò allora tentando di convincerlo che dopo il «giuoco fatto» rimane ancora un «giuoco da farsi». Il Provenzal, non convinto, replica. C’è sempre nell’anima sua palpitante lo stesso grido... «di chi vorrebbe conoscer la ragione della vita». [Red.].
GIUOCO DA FARSI
LETTERA APERTA
AL S1G. DINO PROVENZAL
o non posso valermi presso di Lei del titolo di « buona amica » ch'Ella rivolge alla signora Elena Bellieni. Ma come l'articolo che le indirizza sconfina dalla semplice epistola tra amici per entrare nel campo degli scritti dedicati al gran pubblico, io mi permetto di prendere la penna per esporle, così alla buona, le considerazioni ed i pensieri che mi furono man mano suggeriti dalla lettura delle sue pagine.
Se io fossi la signora che le ispirò. Le direi anzi tutto che il
suo scritto à il dono della simpatia. Le parrà ben piccola lode, rivolta da un ignoto ad un autore; tuttavia — a chi ben la consideri — è la migliore, quella che riconosce negli scritti nostri la vitalità necessaria per salvarli dall’indifferenza del lettore.
Dunque, « Gioco fatto » è un articolo simpatico. Lo è per la sincerità che lo intesse, per l’onestà di propositi che ló informa, per tutto quell’insieme di franco, di puro che ne ispira ogni parola e ci permette — a lettura finita — se non di conoscere, d’intravvedere almeno l'anima dello scrivente, e di giudicarla un’anima bella.
Sincerità. Purità. Onestà. Rare doti in uno scrittore moderno: rarissime affatto in chi scriva articoli che, sia pure lontanamente, possono collegarsi alle discipline filosofiche!
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...Se io fossi la signora Elena Bellieni, vorrei dirle ancora, illustre Amico, che le nostre anime s’incontrano in singolari affinità elettive. Io pure soffersi d'una infànzia precocemente aperta alle austere voluttà dell’intelligenza e mi affacciai alle soglie della giovinezza assorta in un sogno di bellezza impossibile ad avverare quaggiù. Amavo io pure, con passione unica, l'arte: e l'arte, per me, era la fusione in una sola perfezione ideale di due divine creazioni: la musica e la poesia.
Rampollo di un’antichissima famiglia che non sapeva considerare lo studio come un mezzo di pervenire é di guadagnar quattrini, bensì come, una sacra fonte . di godimenti intellettuali e come strumento di perfezione morale; per specialissime condizioni di vita estranea alle scuole regolari, dove s’incanalano anche le intelligenze mediocri indirizzandosi per la via più breve a conseguire le armi apparentemente cortesi con cui l'uomo e la donna combatteranno nella vita, quale pascolo si offriva alla mia intelligenza? I libri di mio padre; libri supeiiori tutti quanti allo sviluppo della mente, per quanto in me pure sia stato precoce e tale da farmi considerare diversa dagli altri fanciulli, da farmi « sentire » di essere divèrsa. Lèssi così — sola — raccolta in una specie di pudore intellettuale che non mi permetteva di accennare ai miei prediletti scrittori, lessi le opere di un'infinità di grandi, senz’ordine, senza metodo, senza disciplina: specialmente poeti e filosofi italiani e stranieri, che certo avevano alimentato il robusto ingegno di mio padre. Così alcuni problemi che alla mente di alcuni individui non si presentano mai durante il corso della vita, alla mente di altri germinano nell’età adulta, frutto d'esperienza o di lunga speculazione, si affacciarono a me all’uscir dall’infanzia. Sincerissima d'azione non che di pensiero, li giudicai secondo la mia coscienza, accettando gli uni, rifiutando gli altri; il giudizio non era prematuro perchè a vent’anni di distanza, dopo essere entrata nella vita ed avervi combattuto, lo mantengo intatto.
Così, prima ancora d’aver subita l'influenza dei filosofi detti « perniciosi » io mi ero staccata dall’autorità della Chiesa cattolica, giudicandola in troppe cose diversa da quanto dovrebbe essere una Chiesa, vale a dire una comunione di spiriti che si raccolgono a meditare sulla divinità, allo scopo di accostarvisi, perfezionandosi. Sorvolo sulla maggioranza degli insegnaménti religiosi Che mi parvero ipocriti od erronei; insisto nell’affermare che tutte le Chiese — la cattolica più d’ogni altra — impiccoliscono l'idea di Dio a loro immagine e somiglianza, sommergendola in. un oceano di pratiche, di riti, di canoni, di dogmi che la rendono irriconoscibile, se non la traviano addirittura. Perchè mai fare di Gesù, per esempio, un giudice implacabile? Egli che visse d’amore, aprendo le braccia a tutti gli uomini di buona volontà! E perchè farne la seconda persona di quella trinità così difficile da compréndele, mentre sarebbe così semplice e così grande insieme, considerarlo quello che fu, un uomo che l'infinita bontà dell’animo rese simile ad un Dio?! Io non so perchè tanta gente si affanni a dimostrare la divinità di Gesù; confesso Che il mio pensiero riconosce in Lui una grandezza maggioie considerandolo quale uomo piuttosto che quale Iddio. Non pare a Lei? Gesù di Nazareth — uomo nato da uomini — che malgiado le eredità di ogni specie gravanti sopra di lui, infiammato
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da un ideale di carità inestinguibile, vive un’esistenza singolarissima d'amore, d’insegnamento, di lotta contro tutte le forme di malattia che deturpano l'anima, e muore crocefisso per la bellezza dell'idea che persegue — ecco una vita degna di essere ammirata nei secoli dei secoli, una vita spesa per un esempio imperituro! Nella faticosa vicenda dell'umanità attraverso il suo destino, poche sono le figure paragonabili a quella del Cristo: Confucio e Socrate fórse sono le sole. Ma no. In època meno remota, ecco sorgere un altro educatore: la religione mazziniana consiste essa pure nel desiderio ardente di perfezionar l'uomo, avvicinandolo a Dio. « Il pensiero religioso — dice il grande genovese — innalza e purifica l'individuo, «dissecca le fonti dell’egoismo, mutando centro all’attività e trasportandola al-«l’infuori: crea per l’uomo quella teorica del dovere ch’è madre del sacrificio, «che fu ispiratrice di grandi e nobili cose, che sarà tale più sempre; teorica sublime « che ravvicina l’uomo e Dio, toglie in prestito alla natura divina una scintilla «d’onnipotenza, varca d’un balzo gli ostacoli, fa del palco del martire scala al « trionfo, e supera l’angusta, imperfetta dottrina dei diritti di quanto la legge «supera una delle sue conseguenze».
Quella sublime teoria che ravvicina l’uomo e Dio, che sa rapire a Dio una scintilla e trascende l’imperfettissima compagine del diritto umano, è, dunque, il fondamento di ogni religione; è, al disopra di ogni forma tangibile di religione, la vera, la sola, quella che supera i tempi ed i caduchi rivestimenti che ogni epoca umana sembra foggiare per la soddisfazione dell’istinto universale; è quella di cui Ella sente le stigmate ed il bisogno ad un tempo, é dunque « la religione » per eccellenza. Perchè complicare con definizioni quanto può essere semplice di sua natura? Dio è per Lei e per me questo bisogno di perfezionamento, perseguito in ogni momento della vita. La pura conoscenza non può, in morale, essere fine a se stessa. Conoscersi per migliorarsi e per migliorare, ecco la chiave di volta dell'edificio sociale: e come, per beneficare gli uomini migliorandoli, nel divino senso della parola, occorre quasi sempre combattere le istituzioni, le superstizioni, i pregiudizi, il malvolere, eccoci rientrati nel primo senso della parola di Gesù: « Non « vi pensate ch’io sia venuto a metter pace in terra; io non sono venuto fra voi « a mettere la pace, ma la spada ». Beneficare, significa far sacrificio della propria tranquillità e del benessere proprio. Ma che perciò? Dio è l’ascensione umana verso una vetta senjpre più alta.
Ora volgiamoci intorno, illustre Amico, cerchiamo insieme se vi sono opere di bene da svolgersi a favore dell’umanità. Ñon occupiamoci delle numerosissime opere di assistenza imposte dal flagello della guerci. Vi erano altri problemi da risolvere, prima àncora che il flagello dilagasse sopra di noi. Ricerchiamoli, riprendiamoli, studiamone, ove ne sia possibile e nella misura del possibile, il rimedio. Quante e quali questioni sociali si agitano intorno a noi! Quante situazioni terribili, perpetuate dall’ignoranza, promosse dal vizio, che precipitano nei mali più irreparabili, qualche volta più odiosi! Perchè gli uomini di buona volontà non si uniscono per purificare il mondo? Perchè gli onesti non tentano di porre un argine
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al dilagare del disonesto? È un dovere preciso, ed il ritirarsi in un contegno di riserbo, — sia pur dignitoso ma contemplativo — in questi tempi di febbre non è prudenza, è viltà. Dio ci à fatto nàscere in epoca speciale, che esige il dispiego di molte energie; per vivere, nel pieno significato della parola, ci occorre in questa ora il soccorso della virtù operante. Volgiamoci intorno. A cominciare dal risanamento fisico di migliaia e milioni di esseri umani, quanti altri compiti ci aspettano! Col risanamento fisico, ogni nostro sforzo pel risanamento morale: tutte le forme di delinquenza, e prima d’ogni altra la delinquenza dei minorenni; tutte le questioni che si ricollegano colla maternità illegittima, tasto dolorosissimo, fonte inesauribile di cancrenose piaghe sociali, da cui tutti sembrano torcere lo sguardo, quasi che il ribrezzo fosse più salutare della pietà! Il partito socialista-, lavorando per il miglioramento economico del popolo, le à talvolta sfiorate senza guarirle. Nè poteva, o potrà—- conservando i suoi caratteri fondamentali — occuparsi con successo di questioni sociali che oltrepassano di gran lunga il campo puramente economico e non si risolveranno con l’insegnamento dei soli « diritti » individuali o collettivi. Bisognerebbe saper insegnare che non v'è diritto senza dovere, come non v’è luce senz’ombra: quale sarà mai l’apostolo capace di risvegliare nei « pigri cuori » il senso della responsabilità? Poiché la massa intera abbisogna di una sveglia in questo senso: un’occhiata intorno a noi basta a farci notare che il mondo è invaso dalla follia di arrivare: che arrivare è divenuto.sinonimo di strafare o malfare; che dappertutto trionfano per arti subdole individui incapaci di adempiere le funzioni del loro grado: insomma, dall'alto al basso della scala una revisione s'impone. Per vivere, nel senso degno della parola, conviene modificare, migliorando. Dove? Còme? Da chi cominciare? E perchè, per esempio, non cominciare dalla scuola» infelicissima sotto molteplici aspetti e che, occupandosi della formazione del fanciullo e del giovinetto, travia l’elemento più malleabile e più sacro che dovrà dare l’uomo di domani? Chi scrive, per ragioni professionali, à contatto quasi esclusivo con adolescenti d'ambo i sessi, licenziati dalle scuole secondarie con tanto di diploma magistrale, o d'istituto tecnico, o di Liceo. Ahimè, quanta ignoranza! Che-incapacità di ragionare, di distinguere, di giudicare! La scuola come si fa ai giorni nostri, da maestri e professori in buona parte spostati essi pure, non può produrre che Spostati. Leggerezza dovunque, se non aperta ingiustizia ; votazioni che non rispondono neppure lontanamente alla valutazione di un individuo; un pappagallesco ripetere di cose imparate a memoria, pochissimo raziocinio, pochissimo criterio e, quel che è più grave, pochissima coscienza del proprio dovere» ma vigile in tutti un’ipersensibile pretesa del proprio diritto! Dalla scuola elementare alla cattedia universitaria una revisione d’impone; perchè non promuoverla? Perchè non combattei e tutte le forme di soperchieria, perchè non «purificare»?
Lo scoramento che La tormenta, illustre Amico, dopo l’affannosa ma inutile ricerca di una fede che nessuna dottrina religiosa può dare, deriva in Lei (mi perdoni l'ardire) dal fatto di trovarsi una vita « vuota ». S’intende vuota nel senso superiore della paróla; vale a dire che spostando successivamente verso forme mi-
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gliori d’ideale quel desiderio di bene che sentiva nell’anima sua, ed abbandonandole successivamente dopo averne provato la vacuità. Ella si trova adesso disgustato di tante esperienze, isolato dalla pluralità degli uomini che sente inferiori a Lei per tutti quei « perchè » affioranti uno dopo l’altro all’attenta lettura delle sue belle pagine... Ma non voglio credere che in quella dolorosa partita Ella abbia messo in gioco tutta l’anima sua! Sarà un fenomeno di stanchezza, un momento di psicastenia, superato il quale si ritroverà con nuove energie, alla ricerca forse di una nuova fede. O meglio, di un’ulteriore ragione di vita. Poiché la fede non. si può cercare, nè tanto meno, la sia può trovare: la fede è una mentalità che si eredita o si rifiuta, e non le spetta biasimo nè lode. Ma. le persone come Lei, perchè amareggiarsi quando non giungono alla fede? Non basta l’amore a riempire una vita? Quella forma universale d'amore, rivolta a tutte le genti, che molti chiamano carità, molti filantropia, molti altruismo e che si può dire costituita insieme da tali fattori, alimentata dalla simpatia umana, dal' desiderio di giovare agli altri, occupandosi del loro bene? Se io fossi l'Amica sua. Le proporrei di stringere i patti dì una santa alleanza: guerra al disonesto! Aiuto ai buoni, nel mondo! Il programma è vastissimo; pure non allontanerà, speio, un’anima come la sua. Allora la sua triste formola « Gioco fatto'» si cambierebbe in una formola meno amara: « Gioco da farsi ». La partita non è chiusa per chi Sente nel cuore l’appello della pietà; il verso immortale di Terenzio può essere interpretato nel senso della simpatia umana; l'Aomo smm penetrerà la nostra vita e la farà grande e. degna di esser vissuta, al difuori, al disopra di tutte le Chiese. Che bisogno v’è di culto determinato per t’anima che sente? Che bisogno di dogmi, di liturgia? Possono le aride parole di una preghiera (che si adatta a tutti i casi come la panacea di certi venditori di salute) esprimere il nostro stato d’animo particolare, parlare a Dio dell'anima nostra? Rispettabili e sacri sono i templi che consacrano l'anelito di un popolo verso un ideale ultraterreno; ma più rispettabile ancora, più sacro ogni aspetto particolare della natura che, ridestando in noi l’ammirazione, ci parla di una Mente ignota, la quale creò l’universo assegnandogli ignoti destini e ne pose l'ansioso desiderio nel cuore dell’uomo. Quale tempio meraviglioso di marmi, splendente di ceri, insigne per opere d’arte può parlarci di Dio meglio di uno spettacolo naturale? Piccola fede quella che si alimenta di chiesa e ricorre, per parlare a Dio, al frasario di una morta liturgia latina, invece di chiedere al proprio cuore il palpito che la parola umana non sa forse tradurre, ma che non potrà — se Dio esiste — restare incompreso da Lui!
• Concludendo, mi lasci- dire: A Lei, che à un’anima così ben dotata da farle rifuggire l’ipocrisa sótto qualunque forma, da farle riconoscere la vanità di troppe cose umane che sembrano ai più Serissime cose, mentre non sono che « aridità larvate di chimere », a Lei che sente di avere ancora un’anima incredula e palpitante e speranzosa, mentre si duole di sentirla palpitare inutilmente, vorrei rimettere sotto gli occhi alcune frasi di Mazzini: « No, Dio eterno! La tua parola ‘non è com-« pita; il tuo pensiero, pensiero del mondo, non si è tutto svelato. Esso crea tutta-
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« via e creerà per lunghi secoli, inacessibile al calcolo umano. Quei che trascorsero « non ne rivelarono a noi che alcuni frammenti. La nostra missione non è conchiusa. « Noi ne sappiamo appena l’origine, ne ignoriamo l’ultimo fine: il tempo e le nostre « scoperte non fanno che ampliare i confini. Essa sàie di secolo in secolo verso fati « che non ci sono ignoti: cerca la propria legge, della quale noi possediamo soltanto «le prime linee. D'iniziazione in iniziazione, attraverso la serie delle sue incar-« zioni successive, essa purifica ed amplia la formola del sacrificio: studia la pro-« pria vita, impara la sua fede, eternamente progressiva. Le forme si modificano « e si dissolvono. Le religioni si estinguono. Lo spirito umano le abbandona, come « il viaggiatore abbandona i fuochi che lo riscaldarono nella notte e cerca altri «soli. Ma la religione rimane».
La religione rimane. E può consistere, come già accennai, nell’oblio del proprio sogno individuale per il conseguimento del benessere altrui. Se tutti quelli che patirono le stesse delusioni e sentono talvolta i medesimi palpiti unissero la loro attività, dirigessero il loro comune lavoro all’elevazione individuale e sociale, non farebbero, nel limite delle loro forze, un’opera buona, all’infuori e al disopra di tutte le dottrine e di tutte le fedi?
Ella accolga senza sdegno questa mia domanda e perdoni se — dopo tanti mesi — mi faccio lecito ancora di lavorare i semi che le sue belle pagine di luglio ànno gettato nel mio cuore. Non è mai tardi per cominciare un'opera buona. Nella lega del bene contro il male. Ella potrebbe divenire un capo militante, sostituendo all’amarezza della sua frase « Gioco fatto » la fiducia della frase che Le è suggerita: « Gioco da farsi». Chi sa, se — a partita chiuda — non Le verrebbe naturale di dirsi che avevo ragione?... Devotamente
Pavia, marzo rplp. M. DELL’ISOLA.
ALLA SIG;« M. DELL’ ISOLA
a sua « lettera aperta » m' ha costretto a rileggere l'articolo di cui Ella parla con tanta benevolenza cortese. Dopo l'articolo ho riletto ancora la « ietterà aperta »e — se debbo essere sincero — m'è sembrato di non aver nulla da mutare à quanto scrissi.
Nel mio Giuoco fallo io esprimevo il desiderio di una spiegazione logica alla vita universa, il desiderio di una ragione da
poter dare a me stesso dei miei e degli altrui movimenti, il desiderio di una norma, di una sanzione, di una legge.
Ella non risponde (e come potrebbe?) a questo, ma rigettando o mettendo da parte i tanti legislatori e profeti che hanno parlato, in ogni tempo, in nome di Dio, mi pone davanti il profeta appassionato della risurrezione d'Italia, colui che parlò agli uomini in nome dell'umanità.
Mazzini? Ho sempre venerato la sua memoria; da fanciullo ne ho cercato le tracce nel Lorenzo Benoni e in altri libri contemporanei, ne ho custodito gelosa-
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mente alcuni cimeli e dall'essere Egli stato amico di mio .Padre credetti derivasse un titolo di nobiltà alla famiglia.
Ma la fede intransigente e superba che il Mazzini professa nei destini della umanità, quella sua affermazione dogmatica di una missione per ogni vita, quella sua religione del progresso civile mi fanno incline al rispetto, ma non mi convincono.
Che cos’è il progresso? Siamo sicuri che questo concetto moderno (agli antichi mancò la parola e Videa)i,di un’umanità che va sempre innanzi non sia un'illusione? Non le farò il torto, di credere che Ella chiami progresso ciò che con tal nome è indicato dal volgo, ossia il complesso degli amminnicoli per procèder più rapidi nello spazio e nel tempo, per conservar vini e cibarie, per mantenere la vita ai nascituri con l'incubatrice e prolungarla ai moribondi con le ispirazioni d’ossigenp. No: parliamo di- progresso spirituale. E l’esame psicologico dell’ultima guerra, pur con gli esempi di meraviglioso eroismo, le fa sentire intorno a sé un’umanità progredita? A me sembra che gli eroi della guerra non siano superiori ai loro fratelli d’altri tempi, da Mameli a Pietro Micca, da Bajardo ad Alberto da Giussano, dai grandi Romani ai compagni di Leonida. Invece la raffinata crudeltà, la lussuria, la frodolenta malizia adoprate dagli uomini in questi quattro anni di guerra vincono ogni eccesso ricordato dalla storia antica e moderna.
Ma ammesso pure che l’umanità proceda sempre verso una meta luminosa,-le pare inutile chiedere chi abbia accesa la stella polare che segna il cammino? A lei preme razione; operare per il bene al di fuori e al di sopra di ogni religione, di ógni fede individuale. Ma questo si chiama fare il bene per disperazione. Quan-d'io leggo i celebri versi dell’Idillio maremmano.
Meglio oprando obliar, senza indagarlo, • questo enorme mister dell’universo
vedo un uomo che vuole ubriacarsi col lavoro come altri col vino o con l’oppio. Ebbrezza più nobile, ma sempre ebbrezza, naufragio della ragióne, follia.
Seguiamo una legge e non ci occupiamo del legislatore? Ma no, ma no, ma no. Finché in noi resta un,atomo d'intelligenza frugheremo sèmpre, nella scienza dei fatti e in quella delle ipotesi, per cercare una Causa prima, una Ragione, un Perchè.
Anche se. questo bisogno non fosse insito in noi, più forte di noi, alla ricerca del legislatore moveremmo sempre per assicurarci della bontà della legge.
Quale è il vero bene? Le anime semplici ci dicono che ciascuno ha un’infallibile ammonitrice, la voce della coscienza. Chi primo inventò la parabola di un tale intimo avvertimento fu educatore avveduto. Infatti, mantenendosi puri e sinceri e caritatevoli, si odono di quando in quando consigli che partono dal di dentro e rimproveri e lodi e conforti e parole piene di luce. Perciò fu e sarà sempre opportuno parlare agli adolescenti della coscienza come di un tesoro da serbare immacolato ed intatto. Ma per gli adulti, per le menti use a sillogizzare, per chi sa fare scomparire un ragionamento sotto un giuoco di parole e ingabbiar la morale fra le sbarre di ferro della logica e ritèsse la storia della fede per poi, sorridendo, negar fede alla storia, per tutta questa gente la coscienza non dice più nulla.
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Io non nego l'importanza del Cristianesimo, anzi la sento profondamente ma non, forse, per i motivi addotti da Lei. Che Gesù sia morto per la sua fede poco monta: in questa divina umanità coloro che serenamente accettarono di morire per non tradire sono legione: e là cicuta di Socrate e le forche di Tazzoli, di Oberdan, di Battisti sono sacre quanto la croce e le migliaia di volontari che su tutti i campi d'Europa caddero adorando la patria sono martiri e confessori.
Altra è la grandezza di.Cristo. Prima di Lui ogni augusta sentenza era già stata pronunziata: non bastavano i detti di Platone, di Mosè, di Gothamo Buddho? Ma come chi fissa troppo lungamente un astro non ne scorge più lo splendore, così gli uomini, abbacinati dalle fulgide massime degli antichi, le adoravano senza più sentirle.
Ed ecco Gesù Cristo sorridere della superstiziosa adesione al precetto: si può mangiare il cibo vietato perchè non ciò che entra in bocca, ma ciò che n’esce offende il Signore, si può violare la legge del riposo settimanale perchè Dio è signore anche del sabato, si può astenersi dalle continue preghiere, perchè non chi dice «Signore, Signore» entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi eseguirà la volontà del Signore. La lettera uccide, lo spirito salva.
Sono passati quasi duemila anni da quando quel torrente di luce che fu la dottrina di Cristo pervase le anime umane ricordando ai ricchi e ai sapienti la loro fratellanza con gl’ignari e coi poveri. Sono passati duemila anni dal giorno in cui fu detto agli zelatori della patria ch’esisteva una patria celeste e agli uomini d'arme che la vendetta non vale il perdono e agli assertori della giustizia che la carità è una giustizia più giusta.
In questi venti secoli, attorno alla parola di Cristo hanno teso un’immensa ragnatela" e magistrati pubblicani e burocratici scribi e sacerdoti farisei. Ogni tanto un bagliore della luce cristiana s’accende: è il giudice Magnaud che chiude il codice e perdona a chi errò per debolezza, è il giudice Majetti che aspetta alla soglia del carcere il ladruncolo liberato e gli pone fra le mani un lavoro, è Domenico Orano che chiede l’elemosina per mutare in oro la feccia della popolazione, è Woo-drow Wilson, è tutta là nazione americana che dà sangue, denaro, vite per liberare l’Europa come un tempo il giovane Garibaldi aveva sfidato la morte per la libertà dell’America.
Brevi lampi, fra l'uno e l'altro dei quali passa la tenebra cupa: almeno ogni secolo occorrerebbe una nuova Pentecoste!
Ma la gioia dell'opera, il conforto di accorgersi che non ¡spendiamo male la vita potrà mai spegner la sete di chi vorrebbe conoscer la ragione della vita stessa?
Al bambino che fa domande imbarazzanti rispondiamo per distrarlo : « ora studia, ora divèrtiti, ora parla d'altro, la spiegazione l’avrai più tardi». Ma un uomo che si senta dir così ha tutto il diritto di ribellarsi, e di respinger la beffa di chi gli pone davanti una somma di lavoro da compiere, di piaceri da godere e un mucchio di parole vane promettendogli^ con qualche probabilità, un premio o per lo meno uno schiarimento dopo la porte.
No, o Signora. Anch'io cerco di aiutare i miei simili e di praticare, nel senso più largo, la^ carità evangelica e sono lieto se posso guidar pellegrini, illuminare
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ignoranti, guarire, dissetare, sfamare bisognosi, ma poiché rispetto la verità più d'ogni cosa al mondo, debbo dir forte che non so neppur io l'origine delle mie azioni, che non temo pene- oltremondane perchè non mi sembra di meritarne e tuttavia non è certo il timore di tali pene che determina la mia condotta: debbo dire che l’opera mia mi par quasi inutile se allevia dolori a gente effimera destinata, anima e corpo, a svanire.
Ricorda il poemetto L’immortalità di Giovanni Pascoli? Il poeta Omar dispregia le arti figurative perchè, con l'andare del tempo, il marmo diventerà polvere, il bronzo sparirà nel fuoco. — Invece, 7- egli esclama baldanzoso,
— quest’opera serena fatta d’anima pura e di parole, beltà dal tempo e dalla morte ha lena, vive la vita lucida del sole.
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— Dunque morrà — gli dice; l’astronomo Abdul — perchè anche il sole quando saranno trascorsi secoli e secoli, dovrà morire.
Allora Omar non amò più gl’inni di vita breve e non conobbe più la gioia del canto. Quand’egli fu moribondo, dal verziere un usignuolo gorgheggiò queste parole :
Giova ciò solo che non muore, e solo
per noi non muore ciò che muor con noi.
Filosofia da usignuolo, o da poeta. Io dico invece che tutto ciò ch’è fugace merita pietà, non ammirazione, che la felicità è immortale o non 'vale nulla
Chi, pur avendo qualche dubbio sull’ adempimento della promessa divina, accarezza¿tuttavia il sogno d'un paradiso in terra per l'umanità santificata dal lavoro, non può pensar come me. Io non nego il paradiso celeste, ipotesi che ha il torto d'essere solamente un’ipotesi alle anime ansiose dei mortali: e in terra poi non vedo che l’inganno volontario di molti, la cecità di molti altri e per parecchi uh gelido dubbio e per tutti dolore.
Mi abbia con rispetto suo
Dino Provenzal.
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PERI5G/0VRA DELL’ANIMA!
IL VERO UOMO
A Ha cara c lacrimata memoria dell'amico dilettissimo Vincenzo Baldìoli.
RICORDO UMBRO
’utilità nazionale italiana della tesi: «il tedesco non è uomo»(i) spaventa certe coscienze timorate e ne fa loro dimenticare la verità speculativa.
Sicuro: la verità sogna tutto, anche sopra la patria; ma se essere utile a noi non rende vera una dottrina falsa, neppure deve a priori farci ritenere falsa una dottrina vera. Anche se fortunatamente un giorno non ci sarà più un tedesco sulla terra, il pensiero che l’uomo reale che mangia e beve e veste
panni non è un'essenza sostanziale, ma è continuamente inconsistente, perieli-tante verso forme inferiori, peggiori, solo che per un istante si stacchi dal Principio, e tendente a forme superiori quanto più devotamente al Principio si attiene, questa è dottrina, e pur buona a qualche cosa. Quello che noi comunemente chiamiamo uomo chi oserebbe chiamarlo l'uomo? Verrebbe quasi da dire: l’uomo non è l’uomo. Ed ecco qualcuno gridare all'antitedesco che parla tanto da tedesco. « L’uomo non è l’uòmo »^sarebbe appunto l'enormezza di Hegel, che cattivo e falsò e grossolano trasportai nelle idee e fa guerra nell'assoluto di ciò che è invece la deficienza del fenomeno rispetto al noumeno. Ma io dico, tutto al contrario, che questo o quell’uomo non solo non è l’uomo, ma molto spesso è tutto il contrario. Si può dire che in lui rimane l'individuo animale, oppure il cupido, il conquistatore, l’uomo economico del filosofo di Bulow.
Mi ricordo^tanto bene un detto dell'Epistolà di Policarpo che esortando i suoi fedeli a non sottrarlo all'onore e alla gioia del martirio dice: « Così, soltanto così diventerò veramente uomo ».
(i) Tèsi dei due scritti citati più innanzi: Le ceneri di Lovanio e*la FUosofia^di Tamerlano c Dovere, io, coscienza (Milano, Libr. Ed. Milanese) e della non ancora stampata conferenza Sul concetto di specie.
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Sono due anni che le volli citare nel testo preciso che aveo sott’occhi... e insieme si leggevano in un Silvestro e caro ritiro della campagna umbra. E ora nel mio stato non posso andarlo a cercare: ma basta il detto per accorgersi che quelle parole toccano una profonda verità, e mostrano chiaramente che la filosofia platonica elevata all'ennesima potenza per la virtù creatrice del Cristianesimo vivo era ben penetrata e quasi fatta popolare negli spiriti, ai quali si poteva dire e facilmente fare intendere la distinzione fra l'essenza e ciò che più o meno ne partecipa. Ora, ripeto, tenére questa distinzione avanti alla mente e farne regola, stimolo continuo e impaziente sarà il principio di una migliore e più vera educazione. ,
Firenze, novembre 1916.
II.
IN MANUS TUAS, DOMINE, COMMENDO SPIRFTUM MEUM
EcCo dell'inconsistenza dell’io (fuori del suo sommo principio, il Dovere, Dio) un'altra prova o indizio.
Alle volte uno quando dorme e sogna compie certi atti immorali o meno morali che destò non commetterebbe, o erede che non commetterebbe; nè solo di quell'ordine o meglio disordine contro cui la Chiesa ci premunisce con un certo inno; ma anche atti di malignità, di superbia, di avarizia, insomma delle potenze superiori, e anche atti di viltà.
Così molto spesso vicino a morte. La morte consaputa di un santo, di un eroe è bellissima, ma rara; pericoloso è il passo, lo Spirito d'abisso, lo spiritus in frinitalis ci assale. Ecco in tutti questi momenti un pericolo pei buoni di diventare cattivi. L’tn manus tuas è inteso come un rendere l'anima a Dio, e molti pii così e in questo senso pronunziano morendo queste parole; ma non è escluso che l’Uomo dei Dolori abbia assunto pur questo nell’estremo della volontaria umiliazione, questa peggior parte del funesto retaggio, il terrò? che seconda il fallire, cóme già volle nel deserto provare la tentazione l'abbandono; e quindi l'in manus tuas commendò'è la negazione del proprio io per riunirsi al Principio, perchè Egli solo regni e sia in noi, è l’aiuto invocato del Padre che crea.
E a questo vero si connette pure il dogma profondo e consolante della remis-ione dei peccati. La remissione dei peccati non può intendersi fatta al soggetto che pecca, che vuol peccare, al peccatore; essa è la creazione di un soggetto nuovo che non pecca più; e allora soltanto i peccati sono rimessi.
Una volontà nuova, un principio attivo supremo nuovo costituisce davvero un soggetto nuovo; ecco Vimmulatio dell'Apostolo. È fatta la rimessione perchè non si pecca più, o non si pecca più perchè è fatta la remissione? Credo più cristiana questa seconda veduta; della prima direi che è vero ciò che spiace a Lutero. Ma in un certo senso i due punti si conciliano: se per non peccare più s’intende non commettere più atti esterni peccaminosi, non basta: il peccato rimane fin che non è abolita la mala volontà, dunque non si può rimettere: sarebbe ingiusto e contradditorio. Dunque la rimessione dei peccati non è una cancellazione nel libro mastro; è là stessa creazione del nuovo volere, del nuovo principio.
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E in questo senso l'Agnello immacolato tollil -peccata mundi, non nel senso luterano, diciamo pure bestiale, che assolva gli affondatoli del Lusilania, i violatori del Belgio, ma nel senso che commettendo il suo spirito nelle mani del Padre, cioè negata la natura inferiore e ogni egoismo, assume come principio supremo e unico il Bene, epperciò comunica a tutta la redenta natura umana lo stesso Principio
Pisa, novembre 1916.
III.
Al MORITURI CHE PIANGONO I LORO CARI
Anche questi pensieri voglio dedicali alla- cara memoria di Vincenzo Baldioli.
Benedetto il dolore! Esso insegna tante cose. Ecco a me che piango un diletto insegna questa cosa utile e confortatrice: che fai? non hai tante volte trovato piccolo e non poeta il Leopardi là dove impreca al terremoto? Il terremoto, tu dici, avviene per la stessa, stessissima legge per cui la terra sostiene gli alberi e olezzano i fiori e vivono gli animali e splendono le stelle. Così la morte avviene per la stessa funzione per cui si vive, ossia : se non venisse la morte al mancare di certe condizioni nel corso e nella composizione del sangue, non ci sarebbe neanche la vita nell’attuarsi di quelle condizioni. Quindi siccome la vita, quella almeno che noi vogliamo e che amiamo, è legata a tali‘condizioni, noi non siamo ragionevoli quando ci sdegniamo colla morte, perchè la vita che noi amiamo è appunto così fatta, è quella vita lì che non solo ha bisogno di quelle tali condizioni, ma così fattamente che se al loro mancare la morte non avvenisse, la vita non ci sarebbe neppure. Il sentimentale dirà: ma è orribile la vostra scienza, quando vuol consolare esaspera, è addirittura odiosa. Fratello. sentimentale, non mi riconosci più? sono sentimentale anch’io, ci tengo, anche e appunto perchè dispiace ai pedanti. Ma sentimentale non vuol dire irragionevole. Tu vuoi dirmi che i nostri cari non vogliamo che muoiano mai. Ma o questo sentimento è esso stesso irragionevole, o dobbiamo scavare, avvivare sotto di esso un qualche cosa di più vero e più profondo e piu degno. Volere che i nostri cari vivano, voler vivere noi stessi sempre d’una vita mortale è una assurdità. Come potremo a lungo contentarci di un'assurdità? E badate; noi piangiamo, ma è stato notato più volte dalla filosofia e dall'csper-rienza che questa assurdità taluna volta diventa capriccio.voluto, passione, ribellione pazza ed empia, e per un corso apparentemente strano eppure inevitabile conduce al suicidio, cioè ad affrettare dispettosamente quella morte di cui si è concepito un orrore così esagerato e contradditorio. Dunque, come dice Parmenide di quei che vogliono il non essere, questa via non è buona. Quell'anelito al perenne, che è il fondo del nostro sentimento umano, il fondo dell’amore, dev’essere ben altro che un’illusione. Lasciamo al tentatore, al vecchio barbogio suo degno discepolo, lasciamo al tedesco non mai abbastanza maledetto, al cantore e maestro del falso e del male, al fratello carnale di Hegel e di Nietsche dire all’attimo fuggente :
(1) Goethe che fa bruciare coi due innocenti abitatori la capanna di Bauci e Filemone è i! padre dèi lanciateri di bombe sugli ospedali di Castelfranco Veneto.
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arrestati sei bello. Ma non vedi, mala bestia prussiana (i), che se è fuggente non s'arresta?. che in quanto è fuggente non è bello? e se pure alcuna bellezza, e quanta! il pensiero che è uno e costante, scopre in virtù della propria unità e costanza pure in quello che fugge, questo bello, relativo, come quello d’un fiore, è condizionato appunto al fuggire, al non consistere, al nascere e correre alla morte, perchè la vita vuol così: le foglie secche devono marcire; il fiore deve appassire perchè si formi il seme germoglio di vita, principio della foresta. Il vecchio che troppo accanitamente contende alla morte il suo corpo in sfacelo è vista estremamente pietosa; ma il vecchio calvo, sdentato, incartapccorito, catarroso che vuol fare il giovinetto ad ogni costox è ridicolo, anzi schifoso. E la vecchia ancor più. Per contro il padre per sangue o per cuore che ama veramente il bambino, lo ama nel suo sviluppo, nel suo farsi altro, con santa crudeltà vuole che il suo bambino scompaia per dar luogo al giovane, all’uomo. E perchè fermarsi lì? Dunque? Dunque per questo anelito al perenne noi amiamo dei nostri cari l’eterno. E questo non è in tutto e per tutto quel medesimo soggetto che in terra mangia e beve e veste panni; e forse neppure peregrinando in terra è in tutto il medesimo se fa consistere se stesso nell'animale, che ciba terrà e peltro o nel pensante, folgore che siede al proprio sito. E la morte è passaggio, ma forse non è passaggio, è novità non solo di condizione, ma di soggetto. Non si dice il tale; ma l’anima del tale; il’tale come tale fu. La vita futura è continuazione di questa; eh no, almeno in quanto questa è soltanto questa, e il soggetto è soltanto capaxó; o anche soltanto òu/tzó; e non Tiveu^aTtzó?.
Dunque il materialissimo spiritismo, quando non è truffa, è empietà e vero abbassamento.
Dùnque si conferma nel pianto e nell’amore quel che scrissi altra volta (i) che un nuovo io si forma assai migliore. Quello amiamo: la nuova creatura di Dio Redentore; quella vince la morte; quella non è mortale.
Ancora: se si deve prendere alla lettera il detto dell’Apostolo che per il peccato è entrata nell’uomo la morte (2), se per noi la corruzione originale non è una parola, un dogma ammesso prò forma e a malincuore come pei Gesuiti, ma la chiave stessa della storia dell’umanità, la immortalità dei protoparenti non può intendersi di un corpo come il nostro in un continuo farsi e disfarsi.
Certo un maggior dominio dello spirito può prolungare la vita, certo la vita non è assolutamente condizionata proprio a quelle calorie, a quelle quantità di cibo, a quella ossigenazione dell'aria che alcuni igienisti pretendono (3) e che forse è necessaria a certuni che sono in »una condizione morale inferiore; io crédo
(1) Dovere , io, coscienza. Questo scritto qui ricordato, a cui il presente è un seguito, fa seguito alla sua volta, nella ma ed. milanese, alle mie Ceneri di Lovanio, pag. 47; ma in lezione più chiara e diffusa nella Rivista Rosminiana dell'annata 1916, nella quale Rivista, a cui l’A. è così notoriamente affezionato, doveano uscire da molto tempo anche questi tre scritteteli! qui (voci dell’anima contemplante nel dolore) con un quarto sul Concetto di Causa, e poi, accettati dà un pezzo, furono respinti (chi sa mai perchè, forse inimicus homo haec fecit?) a questo povero infermo.
(2) Rom., V, 12. . -noi
(3) Salvo a dimenticarsene se diventano Assessori, Soprintendenti alle Scuole, Amministratori d’ospedali, periti di Società d’acqua potabile.
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che si potrà, e l'esempio e la longevità di certi felici digiunatoli lo prova 0 almeno lo indica, e forse si potrà fra non molto, con una opportuna educazione prolungare la vita, e anche, che è più, la gioventù; credo che si possa arrivarvi con una nutrizione di massimo rendimento colle minime quantità da ottenersi non solo e non tanto da preparazioni chimiche di laboratorio quanto dall’opera dell’istinto vitale; ciò che fra l’altro diminuirebbe i veleni dell'organismo e ne faciliterebbe la pronta eliminazione conservando sani gli organi ed elastiche le arterie. Ma sarà sempre questione di più e di meno: vita condizionata non sarà mai vita immortale. La vita presente bisogna prenderla per quello che è: essa si può dire, consiste nell’inconsistenza, dipende da un complesso di condizioni mutabilissime così che non sarebbe appunto se non fosse così mutabile. Pure ad essa si tiene; ed appunto per questo ha valore: ed è merito e valore reale quello del soldato che la pone e la sacrifica; e il Vangelo lo proclama e dice che chi così fa ama più di tutti (1). Sotto un aspetto sembra, è qualche cosa d’inferiore far consistere il se Stesso nel vivente della vita attuale, ma appunto in questa temporanea ignoranza che forse è solo alla superficie, in questo sonno della coscienza più alta, è più alto l'eroismo perchè egli intende di dar tutto sè a ciò che ama. Ma il soggetto più degno, l'io superiore non consiste in tale vita, ha un’altra consistenza. Ed è questo soggetto superiore immortale, sempre presente che noi amiamo nei nostri cari pur nell’involucro di questa, talor sì bella, figura che passa.
E perchè? Perchè questa nuova creazione del soggetto superiore e tutto spirituale, e come? Il perchè e il come sono nella considerazione opposta a quella che porta all’empia ribellione che dissi sopra e al suicidio. A quel modo che anche nella vita presente, nell’attuale da parte nostra imperfetta partecipazione all’essere c’è, a dispetto di tutta la boria tedesca, qualche cosa in noi, anzi il meglio, anzi tutto, che non è da noi, cioè l’atto creativo ad ogni istante, così è dall'atto di Dio che dobbiamo aspettarci il nuovo io, nuovo perchè tutto buono, l’io che non sarà più ttitto io, ma nel quale si sarà attuato l’Adveniat regnum luum. Nè questo è da intendersi come il nirvana di una mistica morbosa e piccola di cuore, che invece il Cristianesimo aborre: a questo l’io attuale, l'uomo concorre, o meglio Dio fa e vuole che concorra doppiamente; col sacrificio attivo e volontario che è l'olocausto del piacere, del corpo, della vita, dell'amore proprio in riconoscimento di quel che più è, colla preghiera che è il riconoscimento mentale del nostro non essere per noi, del nostro .continuo ricevere, riconoscimento che è massima umiltà fino all’annientamento, epperciò è massima esaltazione, perchè ci unisce appunto pienamente colla Verità stessa.
Possano questi pensieri confortare alcuno, come conforta me chi me li ispira ed insegna.
Firenze, Vigilia dell’Epifania i$iS.
Michelangelo Billia.
il) Giov., XV. 13.
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SPIGOLATURE
RISULTATO PROFICUO CHE DERIVA DALLA MEDITAZIONE EIDALL’ESAME DI COSCIENZA
...Fu già detto che la meditazione suscita le convinzioni, le certezze e le credenze, e che, a differenza dell’osservazione, essa non determina le conoscenze teoretiche, le adesioni superficiali soltanto, ma le mozioni dell'io profondo, la conoscenza costituzionale, la credenza, l'azione.
La funzione meditativa consiste meno nel vedere i termini oggettivi della rappresentazione, che nel vedere i loro rapporti col soggetto. Nell'appropriazione spirituale e nel conoscimento della funzione meditativa, il soggetto e l’oggetto fanno tutt'uno; il conoscimento si salda con lo spirito, i suoi dati si compenetrano con questo in rapporto d’immediatezza e d’intimità. Questo vincolo saldo che si crea fra gli elementi del conoscimento e il soggetto è affetto della funzione meditativa.
Il risultato di questa è la formazione di massime direttive, di classi generiche di direzioni della condotta nelle quali si lasciano inserire le volizioni particolari e la cui vigile disciplina comunica alla condotta l’unità e la coerenza del carattere morale.
Se noi non abbiamo dèi principii direttivi, delle massime, la nostra volizione del caso particolare sarà sopraffatta ed intorbidata dalle varie determinazioni e
caduche'contingenze, che nel caso si presentano, noi non abbiamo un sostegno fisso, un fulcro, un wZ*> consistane; non abbiamo un termine noto a cui ricondurrei riferire, misurare, valutare l’ignoto^ Così nell’ordine teoretico della conoscenza se non avessimo degli istrumenti dj semplificazione dei dati, se no«^ avessimo cioè quegli utensili ideali < chiamano i concetti, noi non potremmc dominare la moltitudine c^òtjea delle pj «sentazioni e: dei dati, roI fissarH e poni in formolo: stabili. m mcdje tipiche ed evocative e: S1,m. coliche. Se non avessimo massime contanti della condotta, in ogni caso di de? terminazione ci Coveremmo in grande incertezza, dovendo scegliere tra varie possibilità di direzioni della condotta; laddove possedendo delle massime, ci è facile vedere quale di queste varie direzioni si assomiglia ed è omogenea alla massima che già abbiamo tracciato, quale di esse ha più aria di famiglia. Le massime ci si presentano come simboli abbreviativi che risparmiano o agevolano la iatica della determinazione e della risoluzione e costituiscono come il sostrato di quell’ambiente interiore che è necessario per superare la mobilità e la caducità dell'esterno.
Senza un patrimonio di massime, ogni contingenza esterna ci dominerà. Noi non possederemo noi stessi, in difetto di un contenuto nostro, noi saremo mancipi delle cose e degli eventi. Grazie alla virtù operosa dei principii direttivi e delle massime noi saremo più attivi, più snodati, più agili e più sicuri, perhè quei principii lavoreranno silenziosamente per noi, tracciandoci le linee della nostra determinazione, le direzioni della nostra azione.
Termine finale della funzione meditativa è l’azione immediata, l’azione determinata, .pratica, che non si consuma nella posizione teoretica e remota del fine, ma nella esplorazione e nell’analisi degli elementi intermedii e nella pratica dei mezzi che conducono difilato a quel fine.
Dicemmo che la meditazione è ordinata ad un unico e precipuo fine: all’azione, e l’azione è di fatto il cimento e la misura della meditazione. Una meditazione che non sia seguita dall’azione, non si riesce a distinguerla dal sogno. Non è espressione di volontà operosa, ma di velleità inattiva. E l’azione e l'esperienza dell'azione che ci educa al vero conoscimento di noi stessi. Finché non cimenteremo la nostra voli-
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zione all'azione, noi nutriremo illusioni molte, noi ci gonfieremo di presunzione e di orgoglio sterile. Sólo perchè avremo ob-biettivato e concepito un fine, una idea, ci crederemo attivi, virtuosi, possenti e gagliardi; ci mancherà la controprova, il controllo dell’azione.
Suando invece ci troveremo al cimento azione, ci sarà facile distinguere i veri dai falsi propositi, il vero dal falso coraggio, la volontà di possesso e di conquista dallo spasimo del desiderio. La mancanza dell'azione è il sostrato di quelle deformazioni della volontà che sono dovute ad eccedenza di analisi riflessiva ed a mancanza di potere d’impulsività pratica, dei fenomeni, cioè dell'abulia...
Igino Petrone.
(Dal voi. Ascetica edito dal Sandron dì Palermo, a cura del Dr. Guido Mancini).
VITA-AZIONE
La sua teoria della vita come azione, movimento, edificazione egli (Teodoro Roosevelt) la portò in tutti i campi della vita americana, da quello politico a quello religioso, da quello dell’agricoltura a quello della pubblica istruzione. La base di ogni istruzione, ad esempio, era per lui il convincimento, che doveva venir diffuso sempre meglio, che la vita senza ostacoli da superare e senza sforzi da compiere è indegna d'essere vissuta. L’istruzione doveva cominciare nelle famiglie e cominciare in Suesto modo: inculcando nei bambini il esidexio di vincere degli ostacoli e di compiere degli sforzi. «Insegnate ai vostri figli a combattere, insegnate ai vostri figli ehe se essi vogliono contare qualche
cosa nel mondo non debbono imparare a sfuggire le difficoltà, ma ad affrontarle e a superarle! » Ecco la massima fondamentale della sua predicazione riguardo all’istruzione pubblica. La felicità per lui era .il lavoro e la fratellanza nel lavoro; la comunicazione e l'interpenetrazione degli sforzi e della fatica; l’opera fatta in comune e dedicata alla comunità. La vita senza il lavoro non solo non è degna di essere vissuta, ma non è la vita, e chi non lavora per tutti, oltre che per se stesso, fa un lavoro indegno della vita. Rammento un suo discorso tenuto nel 1903 alla Young Men’s' Christian Association, l'As-sociazione che tante buone opere ha compiute in questa guerra. Egli lodava fin da allora questi giovani per l’operoso esempio di fratellanza che offrivano. « Tutti noi — egli diceva —- siamo legati insieme da vincoli che non possiamo sciogliere. Pel bene o pel male i nostri destini sono inestricabilmente intrecciati. Tutti noi, nella nostra civiltà odierna, siamo dipendenti l’uno dall’altro in un grado non mai prima conosciuto nella storia dell’umanità e alla fine procederemo o soccomberemo insieme. Per un momento, qualcuno può riuscire ad elevarsi sopra i suoi simili; per un momento, il più delle volte, qualcuno può pensare di essersi elevato e può compiacersi di aver abbattuto gli altri col suo odio c la sua invidia. Ma ognuna di queste ascese è probabilmente illusoria e di breve durata. Ogni ascesa permanente deve esser tale che ciascuno di noi senta di elevarsi un po’.;, e noi, se vogliamo elevarci, dobbiamo comprendere che nessuno di noi può elevarsi se non a condizióne di far salire gli altri in qualche modo con sè... ».
(Da un articolo di Aldo Sorani nel Marzocco del 12 gennaio 1919).
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CRONACHE
POLITICA VATICANA E AZIONE CATTOLICA
IL PONTEFICE E IL PRESIDENTE
Uno degli aspetti più singolari della politica vaticana durante la guerra è l’attitudine che essa ha assunto, a seconda degli avvenimenti, rispetto alla Republica Nord-Americana e particolarmente al suo Presidente.
Benedetto XV, salito al pontificato con il proposito di comporre il conflitto al più presto, senza entrare nello spirito di esso, restando anzi estraneo alle cause che lo determinarono e alla condotta seguita dai combattenti, trovò dinanzi alla sua opera molteplici ostacoli, principale fra questi la figura, non ancora gigantesca, ma già ben definita, di Woodrow Wilson.
Se i primi messaggi americani trovavano l’Europa impreparata a riceverli, non meno impreparato era il Vaticano a fronteggiare la graduale influenza che il ■ filosofo .•> asceso alla sommità della potente repubblica guadagnava in tutto il mondo. Il Papato' si accorse ben presto che il prestigio morale di cui riteneva di godere il primato, si trasferiva vèrso la Casa Bianca, di dove partiva una voce che aveva accenti nuovi, verso cui si orientavano popoli e governi. E di fronte al Pontefice si levò il Cittadino del Mondo, interprete di più universali pensieri. Da ciò l'atteggiamento di freddezza della diplomazia vaticana verso Wilson, fino all'entrata in guerra degli Stati Uniti, un’apprensione costante per la sua opera; uno sforzo più assiduo verso tutti i Governi, belligeranti e neutri, amici e nemici, perchè l’azione pontificia non fosse trascurata; una valorizzazione artificiosa dei magri risultati raggiunti per alleviare le conseguenze della guerra. La stampa ufficiosa ed amica della sede apostolica non nascondeva il suo malumore verso il
Presidente; ed in Vaticano non si celava, sul principio del 1917, il desiderio di vedere Wilson discendere dal suo ufficio, con l'elezione di un nuovo presidente. Ma la sua rielezióne, (4 marzo 1917), la proclamazione della guerra degli Stati Uniti alla Germania (6 aprile 1917), il consenso profondo che i messaggi presidenziali ottenevano in tutte le nazioni, l’indirizzo più concreto che l'intervento degli Stati Uniti dava alla guerra e ai suoi fini, costrinsero la diplomazia vaticana a mutar rotta, e a mettersi, in un certo senso, su i binari tracciati da Wilson. Così si giunse alla Nota per la pace di Benedetto XV, dell’agosto 1917, nella quale gli elementi per una giusta pace già determinati da Wilson nel gennaio 1917 (limitazione degli armamenti; unità della Polonia; libertà dei mari; governo basato sul consenso dei governati ; sostituzióne del diritto alla forza, ece.), sono prospettati in una luce particolare dovuta all’intonazione generale che si compendia nella proclamata « inutilità della strage >, e nei desiderio di un ritorno allo stata quo ante bellum, che fu ripudiato innanzi tutto da Wilson. Il tentativo di Benedetto XV di porsi.al di sopra di Wilson, per dettare le condizioni di pace, fallì anche quella volta; non restava, quindi, che mettersi al suo fianco, circondandolo di adesioni, incoraggiamenti, pressioni e... consigli. Seguire questa sottile opera, attraverso là stampa clericale e le mire calcolatrici della diplomazia vaticana, è sommamente interessante: e di certo non vi guadagna in prestigio la sede apostolica. La parola d’ordine per i cattolici fu quindi di unire, sempre alle manifestazioni wilsoniane la comparazione dell’opera benedettina, e non v’è articolo di giornale, discorso, spunto polemico, che provenga da fonte
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cattolica che non ponga, accanto a Wilson, Benedetto XV; perfino il nuovo « Partito Popolare Italiano », nel suo appello agli « uomini liberi e forti », in cui si accenna con tanta discrezione alla Chiesa, non ha voluto sottrarsi all’influenza della Segreteria di Stato — et pour cause — ha proclamato di sostenere « il programma politico-morale ricordato prima da parola augusta e oggi propugnato da Wilson ».
Si comprende, perciò, quale importanza attribuiva il Vaticano alla visita che il grande Presidente avrebbe ratta a Benedetto XV durante ’a sua breve permanenza a Roma. La preparazione del-l’awenimej to fu affidata a Mons. Corretti, della Segreteria di Stato del Papa, che, avendo già avvicinato Wilson a Washington, e conoscendo gli atteggiamenti ed i costumi del Presidente, era la persona più indicata a condurre le trattative. Mons. Corretti avrebbe dovuto incontrare il Presidente in America alla vigilia del suo viaggio in Europa, ma per avvenimenti ulteriori venne deciso che l’abboccamento sarebbe avvenuto a Parigi. Infatti, l’inviato del Papa che frattanto aveva visitato il Primate d’Inghilterra, quello d’Irlanda e del Belgio e l’arcivescovo di Parigi, si incontrò col Presidente americano nella capitalo francese e a lui consegnò anche un memoriale del Pontefice.
U INCONTRO
La visita di Wilson a Benedetto XV ebbe luogo il 4 gennaio. A titolo di documento ci' sembra interessante riprodurre, sullo svolgimento esteriore di essa, il comunicato ufficiale apparso sull'organo del Vaticano, L'Osservatore Romano. Esso dice:
« Oggi, sabato 4 gennaio, la Santità di Nostro Signore Benedetto Papa XV riceveva in udienza solenne il signor Woo-drow Wilson, Presidente degli Stati Uniti d’America.
Il signor Presidente giungeva in Vaticano alle ore 15.20 in automobile.
Era accompagnato dall’ Ammiraglio Greyson, generale Hart, signor Stugh Fraser.
Al giungere del Presidente nel Cortile di S. Damaso, rendevano gli onori militari una compagnia della Guardia Palatina d'onore, con la bandiera e agli ordini del capitano Mungo, e un distaccamento
della Gendarmeria Pontificia comandato dal tenènte Poggioli. Il concerto dei Gendarmi diretto dal maestro cav. Crisanti intuonava l’inno americano. Eiano altresì di servizio le Guardie del Fuoco addette ai SS. PP. con a capo il Maresciallo Mu-cetti.
Giunta l’automobile sotto la pensilina a piedi della scala papale, S. E. il Principe Ruspoli, Gran Maestro del S. Ospizio, a-priva lo sportello della carrozza dalla quale il Presidente discendeva avviandosi alla scala nobile.
Il sig. Wilson indossava il soprabito.
Sceso dall’automobile il sig. Presidente era incontrato da S. E. R.ma mons. Giovanni Tacci, arcivescovo di Nicea maggiordomo di Sua Santità, accompagnato dagli 111.mi e R.mi mons. Giovanni Battista Na-salli Rocca, arcivescovo di Tebe, elemosiniere segreto; Agostino Zampini, vescovo di Porfireone, sagrista; Nicola Canali, segretario della S. Congregazione Cdrcmo-niale, da S. E. il principe Giuseppe Aldo-brandini, comandante della Guardia nobile Sntificia con gli ufficiali compónenti il
mando signóri conte Salimei, conte Canali, march. Pellegrini e conte Bezzi; dal march. Clemente Sacchetti, Forier maggiore dei SS. PP.; dal march. Francesco Serlupi, cavallerizzo maggiore; dal sig. Colonnello Giulio Repond, comandante della Guardia svizzera, dal comandante della Gendarmeria conte Paolo Ceccopieri-Ma-ruffi, dai monsignori Greco e Mahoney, camerieri segreti soprani» merari; dai mons. Antonelli e Cruise, camerieri d’onore sopranumerari, dai camerieri d’onore di Spada e Cappa sopranumerari signori comm. O’ Neill, coinm. Bezzina, commendatore Croci, comm. Salviucci; inoltre mons. O’ Hearn, rettore del Collegio Americano del Nord, e i mons. Mengbini e Capo tosti, ccremonieri pontifìci.
Il corteggio preceduto da sei palafrenieri e dai Bussolanti e fiancheggiato dalla Guardia svizzera, si avviava per la scala papale.
Giunto il sig. Presidente, avendo a destra mons. Maggiordomo a e sinistra il principe Ruspoli, al piano ove sono gli aartamenti pontifici, veniva incontrato
Tll.mo e R.mo mons. Riccardo de Samper, Maestro di Camera di Sua Santità, circondato dagli altri personaggi addetti all’Anticamera segreta, cioè dai mons. Camillo Caccia Dominipni e Giuseppe Migone, camerieri segreti partecipanti, dal signor
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CRONACHE
conte Datti Alfonso, Esente dèlia Guardia nobile di servizio, dai mons. Cicognani e Pizzardo, camerieri segreti sopranumerari, da mons. Scialdoni, cameriere d'onore sopranumerario, dai signori conte Cesare Caterini e conte Paolo Folicaldi, camerieri segreti di Spada e Cappa sopranumerari, dai camerieri d’onore di Spada e Cappa sopranumerari comm. Leonori e eav. Tuc-cari, dal principe Massimo, dagli ufficiali superiori della Guardia Palatina d'onore e della Guardia Svizzera.
Sul passaggio del Presidente nella Sala Clementina è nelle anticamere, distaccamenti dei Corpi armati dei SS, PP., guardia svizzera, gendarmi, guardia palatina d’onore e guardie nobili, in divisa di gala, rendevano gli onori militari.
Giunto il sig. Presidente nella Sala degli Arazzi, avendo alla destra monsignor Mag-Siordomo e alla sinistra monsignor Maestro
i Camera, mons. Alberto Arbori© Molla di S. Elia, cameriere segreto partecipante di servizio, ne dava avviso a Sua Santità.
Nel momento che il sig. Presidente entrava nell’Anticamera segreta, il Santo Padre gli veniva incontro dal suo appartamento privato, e dopo i complimenti d'uso, l’invitava nel Suo gabinetto dove rimanevano in privato colloquio per circa 20 minuti.
Terminato il colloquio, mons. Maestro di Camera, chiamato da Sua Santità, introduceva il seguito, che il sig. Presidente presentava al Santo Padre.
Il Santo Padre, dopo l’udienza particolare, presentava in dono al sig. Presidente un quadro in mosaico riproducete l’immagine dell’apostolo S. Pietro di Guido Reni.
Quindi Sua Santità accompagnava il Presidente fino alla metà dell'Anticamera segreta, dove questi prendeva commiato.
Dopo l’udienza pontificia il sig. Presidente1 recavasi a visitare l’Ecc.mo e R.mo sig. card. Gasparri, segretario di Stato di Sua Santità. Nello accomiatarsi il signor Presidente dispensava gentilmente l’É.mo dal rendergli la visita.
. L’Ecc.mo Gasparri inviava il suo segretario all’Ambasciata americana, facendo rimettere al Presidente Wilson due copie del nuòvo Codice del Diritto Canonico ».
Il Corriere d'Italia recava questi altri particolàri:
« Alle 15.44 squillava il campanello della stanza pontificia, accennando che il collo
quio — durante il quale, ha fatto da interprete mons. O’ Hearn —- era terminato. Esso è durato oltre venti minuti.
Il cortile di S. Damaso era stato lasciato sgombro. Nella seconda loggia assisteva la sorella del Santo Padre, contessa Persico, il nipote, march. Giuseppe Della Chiesa, la nipote contessa Ginetta Dèlia Chiesa; il principe Orsini, assistente al soglio, ed altri personaggi addetti ai Sacri Palazzi ».
IL SIGNIFICATO DELLA VISITA
Indubbiamente, la visita del Presidente degli Stati Uniti al Papa, ha un'importanza alla quale nulla aggiunge il momento storico in cui si è svolta. Wilson è stato il primo Presidente della grande Repubblica che abbia compiuto un atto di omaggio al Pontefice, al quale tuttavia non avrebbe potuto sottrarsi, venendo a Roma, senza recare un affronto ai cattolici americani. D’altra parte, la sua superiore tolleranza di pensiero e di opere non poteva consentirgli di rinunciare ad una visita, che è divenuta ormai tradizionale per i capi di Stato che non siano in rotta con la Curia di Roma; ed il Vaticano stesso ha rinunciato a non poche formalità, alle quali tanto Wilson come qualunque altro capo di Stato ormai non si piegherebbe.
Per questa visita infatti, il Vaticano aveva chiesto, discretamente, che il Presidente partisse dal Collegio nord-americano; ma fu risposto che ciò non si riteneva necessario, ed il Vaticano non insistette. Wilson partì dall’Ambasciata americana presso il Re d’Italia, dopo aver assistito ad una colazione alla quale parteciparono anche i sovrani e il mondo ufficiale italiano; e si recò in Vaticano con automobili dell’Ambasciata e delle autorità italiane. Quanta distanza dalle visite di Guglielmo II e di Edoardo VII, per le quali furono imposti perfino gli equipaggi, che non dovevano appartenere nè alla Corte nè ad alcuna Amministrazione dipendente dal Governo italiano! L’imperatore di Germania fece venire dalla Germania i suoi equipaggi e gli staffieri co» le livree prussiane.
’ UN’ALTRA VISITA...
Ma non soltanto per questi epidosi esteriori, che nel protocollo vaticano hanno tanta importanza, la visita di Wilson al Papa può essere comparata a quella famosa di Guglielmo II fatta nel 1888 a Leone XIII. Anche allora il Papato si
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trovava in una singolare situazione in Europa, ed il vecchio pontefice sentiva il bisogno di cercare un appoggio autorevole che lo secondasse nei sucri disegni verso l'Italia. La politica ecclesiastica di Francesco Crispí non rassicurava il Vaticano, ove si pensava anche alla possibilità di trasferire altrove la sede del pontificato. Finito il KuUurkatnpf, Leone XIII inten? deva profittare della politica sottile del principe di Bismarck per porre all’Europa il problema della sede apostolica e dei suoi rapporti con l'Italia: e sull’argomento, per consiglio di Mariano Rampolla del Tindaro suo segretario di Stato, intendeva richiamare con l’autorità del suo alto ufficio-e della sua grande influenza personale, l’attenzione del giovane imperatore. Ma uno strattagemma dovuto ad un abile accordo del Crispí con Herbert di Bismarck figlio del cancelliere, che aveva accompagnato l’imperatore a Roma, con l'irrompere improvviso del principe Enrico di Prussia nella sala dove Leone e Guglielmo erano a colloquio, impedì al Pontefice di esporre il suo pensiero. Anche allora il colloquio non durò che poco più di un quarto d’ora, e non c’erano interpreti.
Per Wilson non occorreva, certo, di ricorrere a questi mezzi; egli entrava in Vaticano in condizioni ben diverse di Ìiuellc di Guglielmo II: e si trovava di ronte un Pontefice ai quale mancava la aureola di cui era circondata la fronte luminosa di Leone XIII. Egli era giunto in Roma, dopo aver visitato l’Inghilterra e la Francia; e in Vaticano, dopo aver preso contatto con l’anima italiana. Era colui che tutti designavano come il trionfatore; ed il suo trionfo aveva un carattere ideale profondamente diverso dai trionfi cui erano fatti segno i capi di Stato. L’idea wil-soniana non abbandonava il Presidente: a quest'idea — penetrata in tutti i popoli — s’inchinava anche il capo del cattolicismo romano.
Tuttavia l’incontro fra i due personaggi non potè avere quel contenuto politico, che molti si attendevano. La brevità del colloquio, l’intervento di due interpreti, uno di fiducia di Benedetto XV, l’altro di Wilson (il rev. O’ Hearn ed il signor Stugh Fraser), la necessità di trattare, in un primo incontro, argomenti generali, la consuetudine stessa di queste visite che hanno un necessario carattere di convenienza e di omaggio, escludono che il Papa abbia potuto esporre al Presidente
il suo pensiero politico e illustrare alcuni particolàri punti di vista.
Chi conosce il Presidente sa che se egli avesse dovuto assumere impegni di qualsiasi natura interessànti le altre Nazioni, non avrebbe mancato di renderli noti è di esprimere su di essi il suo netto giudizio. L'aver accettata la consuetudine vaticana di non comunicare al pubblico — come si fa per gl’incontri dei capi di Statò — il contenuto del colloquio avuto con Benedetto XV, significa che esso non ha varcato i limiti imposti dal carattere di di una visita di cordialità e di conveniènza. Tuttavia qualche particolare del colloquio è giunto fino a noi.
I « FRATELLI SEPARATI »
Mentre era per congedarsi dal Papa, Wilson lo informò che si recava a salutare i suoi fratelli di fede, i rappresentanti delle Chiese Evangeliche in Italia. Benedetto XV rispose: « Ho piacere che vada anche dai nostri fratelli protestanti ». Il Pontefice tralasciò per dererenza al. visitatore un inciso abituale nei cattolici quando parlano dei protestanti, che li fa chiamare fratelli separati.
Inoltre, fra quei rappresentanti evangelici erano anche coloro che Benedetto XV non aveva esitato di chiamare « ladri della fede », in un fiero discorso contro i protestanti tenuto nel 1917 ai soci della « Propagazione della fede », nel quale sostenne la necessità per i cattolici di « distruggere la congiura» dei protestanti. Ma ora il Vaticano, con due lettere del card. Ga-sparri ha aderito al Congresso pan-cristiano indetto dalle confessioni protestanti americane, e il Pontefice non poteva dimenticare che aveva dinanzi a sè un grande cristiano che a Dio si richiamava nelle ore Siù solenni della sua opera. Vogliamo creare che il calcolo politico esulasse in quel momento dal pensiero del Pontefice.
Un altro, accenno che ci venne riferito del colloquio è questo. Il Pontefice, stendendo la mano a Wilson, nell’incontrarlò, gli disse: « Ho desiderato vivamente di conoscere colui che ha potuto tradurre nella realtà anche le mie idee ». Al che Wilson rispose dicendo che conosceva gli sforzi fatti dal Pontefice per affrettare la pace, e li aveva’ apprezzati. Naturalmente del seguito del colloquio, durato poco più di un quarto d’ora, si ignora il contenuto, ma fu affermato autorevolmente ch'esso ebbe un carattere quasi apolitico,. pur
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avendo il Pontefice ripetuto al Presidente la sua adesione ai principi della Società dèlio Nazioni.
È da escludersi qualsiasi accenno ai rapporti fra lo Stato e la Chiesa in Italia, e ai pourparlers che, in argomento, si svolgono in alcuni ambienti.
WILSON E GLI ALLEATI
Il carattere di convenienza della visita fu messo in luce da tutta la stampa italiana e francese, dal Giornale d'Italia al Secolo, dal Corriere della Sera al Messaggero, al Temps, aìl’Homme Libre, ' aAVInformation., Questa agenzia pubblicò, anzi, il 7 gennaio che « quando Wilson ricevette a Parigi la visita di mons. Cerrétti, inviato del Papa, credette doveroso comunicare ai Gabinetti francese, italiano ed inglese la sostanza delle parole che gli aveva comunicato il Pontefice.
TI Papa si mostrava desideroso di ottenere da Wilson un colloquio segreto, durante il quale avrebbe esposto le linee essenziali della politica delia Santa Sede durante la guerra, nonché le vedute del cattolicesimo ortodosso alla vigilia della Elee. Nè Clémenceau, nè Orlando, nè loyd George elevarono obiezioni alla dimarche di mons. Cerretti, giudicando che Wilson non aveva nessuna ragione per opporre un rifiuto alla domanda fatta a questa condizione. La visita fu dunque decisa di comune accordo, dopo uno scambio di opinioni che permise a Wilson di conoscere esattamente il pensiero dell’Intesa sui grandi problemi religiosi, e specialmente sulle garanzie di libertà di cui usufruirebbero in avvenire i cristiani di Oriente, e anche sulla parte che avrebbe potuto esercitare nell’opera di pace la grande organizzazione morale della Chiesa.
Varcando la soglia del Vaticano, Wilson dunque non si è separato dai Governi alleati; ma ha invece illustrato con questa giusta risposta il liberalismo integrale che anima le nazioni dell'Intesa e che lascia a ciascuna piena libertà, di azione. Si sapevano già gli argomenti trattati fra Wilson e Benedetto XV; e si sapeva pure la soluzione che avrebbero avuto ».
E rinformation, aggiunse le seguenti dichiarazioni che le furono fatte da un personaggio intimo di Wilson:
« Principale preoccupazione del Vaticano era quella di ottenere l’appoggio di Wilson per ammettere una sua rappreseli
fan za alla Conferenza della pace. Ma Wilson rispose formalmente che le sole nazioni belligeranti hanno diritto di accesso alla Conferenza; e che toccherà alla Chiesa di collaborare dal di fuori all'opera pacifica e umanitaria con una propaganda sincera e ardente.
Affidare alla Chiesa altra missione sarebbe, secondo Wilson, compromettere la esecuzione di un programma che ha per base il diritto di nazionalità sopra qualsiasi divergenza religiosa ».
L’Homme Libre, organo del capò del Governo francese, nel.suo commento alla visita di Wilson al Papà, escluse che il colloquio abbia avuto qualsiasi portata politica. Il giornale rilevati i complessi problemi che avrebbero potuto essere oggetto di conversazione, affermò che questi non furono forse neanche abbordati nei diciotto minuti di colloquio con il Papa, e nei dieci minuti passati col cardinale Ga-sparri. L’Homme Libre così concluse: « Il Papa ha abbastanza il senso delle sfumature, e il Presidente quello delle sue responsabilità di Capo di Stato per essere certi che nè l’uno nè l’altro abbiano toccato, in questo breve tempo altre questioni all’intuori di quelle di loro esclusiva competenza. Sarebbe quindi temerario accordare alla visita del 4 gennaio altro carattere, oltre a quello di una semplice conversazione di cortesia ».
LA SODDISFAZIONE VATICANA...
Il Vaticano si mostrò molto soddisfatto della visita di Wilson, ed è naturale giacché essa è stata la prima visita che Benedetto XV riceva dal Capo di una grande nazione. Anzi è questa Ja prima visita notevole, dopo la morte di Leone XIII. Pio X infatti non aveva ricevuto che il Re di Grecia e il Re di Svezia; e l'attuale Pontefice solo il principe di Galles. L’ultima visita importante fu quella di Eduardo VII a Leone XIII.
Alla Segreteria di Stato del Pontefice tuttavia non piacque che la stampa italiana ed internazionale riponesse nelle sue Ìiuste proporzioni la visita di Wilson al apa, e l'intervista di mons. Cerretti al Gaulois, avvenuta subito dopo l’incontro in Vaticano, mette in luce lo sforzo di valorizzare al massimo quella visita.
La diplomazia vaticana è in un momento di grande operosità, e tenta per ogni via di influire sull'uomo al quale è connesso l’arduo compito della sistema-
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zlone politica del mondo. Mons. Corretti si sforza di ottenere il maggiore vantaggio; ben avendo egli compreso ehe questa è l’ora decisiva per la sorte politica del Vaticano. Ciò spiega l'ardore che egli pone nella sua opera e la singolarità del suo procedimento.
Mentre oltre il portone di bronzo, infatti, si è mantenuto sili colloquio di Wilson con Benedetto XV un riserbo che risente anche d’una certa delusione, egli ha rivelato il contenuto di un messaggio del Pontefice al Presidente americano che doveva preparare il « materiale » del colloquio.
Quel materiale però è stato ben poco utilizzato.
L’intervista di mons. Corretti^ avvenuta a Parigi il 4 gennaio, prima quindi che egli potesse conoscere il contenuto di quel colloquio, può considerarsi quale un tentativo di influenzare i Governi dei vari paesi in un senso voluto dalla Segreteria di Stato del Pontefice, che intendeva compiere una sottile opera di penetrazione nella stampa dei paesi dell'Intesa, con un ben determinato obbiettivo.
Ma probabilmente il Presidente Wilson, che, pur essendosi trattenuto brevissima-mente col cardinale Gasparri, ha avuto agio di scambiare con lui alcuni pensieri in materia giuridica ed ha potuto rendersi conto delle sue intenzioni e dei suoi propositi, non ignora molte cose sulle quali il Vaticano mantiene un rigoroso segreto.
La Segreteria di Stato ritenne opportuno ritornare dopo alcuni giorni sull'argomento della visita per correggere l’impressione unanime della stampa internazionale, con un comunicato che di per sé manifesta il suo scopo. Esso è apparso sul Corriere d’Italia del 9 gennaio, e dice:
« È evidente in non pochi giornali la preoccupazione di diminuire l’importanza della visita del Presidente degli Stati Uniti di America al Papa-. A questo mirano le replicate affermazioni dichiaranti che il
colloquio tra Benedetto XV e Wilson non ha avuto alcuna portata politica.
La stessa insistenza con la quale queste affermazioni vengono ripetute dimostra che esse rispondono ad un partito preso e ehe non va a loro dato maggior peso di quello che merita uno dei tanti episodi dell'abituale campagna contro la Santa Sede.
Comunque ¿l’impressione che quella visita ha lasciato in Vaticano è ben diversa, e le dichiarazioni che abbiamo potuto raccogliere in proposito ci autorizzano a dire che tanto il Papa quanto il Cardinale Segretario di Stato sono rimasti pienamente soddisfatti sia della visita in se stessa, sia del modo col quale essa fu compiuta, e ehe si ha ragione di credere che non meno soddisfatto sia rimasto il Presidente.
Naturalmente, a niuno è dato sapere che cosa siasi detto in quei colloqui, ma è altrettanto evidente che essi non furono impiegati a parlare del cattivo tempo, che fu il solo in quel giorno a turbare la solennità del ricevimento ».
Il giornale cattolico dimentica qui di ricordare l’intervista Cerretti, che esso annunciò con un titolo a caratteri vistosi assai significativo: «L’importanza politica del colloquio fra Wilson e il Papa ■: il tentativo, dun'que, di alterare la realtà degli avvenimenti, risale proprio alla Segreteria di Stato, della quale il Corriere è uno degli organi più devoti. D’altra parte non è mai avvenuto che il vaticano si dichiarasse non soddisfatto della visita di qualche personaggio; anche Leone XIII, non ostante la delusione e il dolore, si disse lieto di quella di Guglielmo II...
Ma la sorte politica del Vaticano non può dipendere certo dalle schermaglie diplomatico-giornalistiche: Wilson e l’Intesa, si può esser certi, non hanno alcuna intenzione di restituire al Papato l'ufficio politico che gli venne tolto il 20 settembre 1870.
Febbraio, 1919.
G. Quadrotta.
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CRONACHE
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CRONOLOGIA
GENNAIO 1919
1 - La Presidenza generale della Gioventù Cattolica Italiana indice una giornata eucaristica per il Congresso della Péce, con una circolare dell’Assi-stente ecclesiastico mons. Tedeschini e del presi*, dente avv. Pericoli, nella quale è detto:
a che il giorno 26 gennaio da un capo all’altro d’Italia essi innalzeranno in comune al Trono di Dio fervide preci facendo al Cuore SS.mo di Gesù Cristo dolce violenza perchè mosso a misericordia della misera umanità voglia, illuminando coloro che debbono riunirsi a congresso, concedere, ad essa i benefici ineffabili di una pace, basata sulla giustizia e sulla-carità, dare alla Chiesa nostra Madre amorosa di poter liberamente distentere per tutta la terra le sue pacifiche tende, perchè tutte le Nazioni strette finalmente in un amplesso fraterno, possano costituire veramente quella Società delle Nazioni che il Vicario augusto di Dio ha più volte auspicato e che varrà a unire intorno a Lui-, Pastore Supremo, in un 'cuore solo ed in un’anima sola tutti gli uomini di buona volontà».
2 - È giunto in Roma, ospite del Governo d’Italia, il P. Basilio Lucacin, ministro di Stato del governo di Transilvania, vice-presidente del Consiglio nazionale dell’unità romena: egli ha fornito interessanti notizie sulle condizioni religiose della Ru-menia nel momento presente.
4-11 Presidente degli Stati Uniti d’America, Woodron Wilson, si reca in Vaticano a far visita a Benedetto XV, ricevuto con onori sovrani; egli si intrattiene a colloquio col Pontefice circa venti minuti. Al colloquio sono presenti due interpreti.
— L'Agenzia Stefani comunica:
« Parigi, - 4. — Mons. Cerretti intervistato dal Gaulois prima della sua partenza per Liverpool e gli Stati Uniti, ha dichiarato che tutto il protocollo della visita di Wilson alla Santa Sede fu regolato col segretario di Stato del Vaticano' senza alcuna difficoltà. Circa la sua visita a Wilson, mons. Cerretti ha dichiarato che egli fu incaricato di rimettere al Presidente un messaggio'del Papa nel quale erano trattate alcune questioni ecclesiastiche e diplomatiche di attualità e fra le altre quella di cercare i mezzi per salvaguardare la pace nell’avvenire per mezzo della Società delle Nazioni e quella della ricostituzione dell’Europa futura sulla base del diritto e della giustizia con riparazioni per gli attentati cóntro là giustizia, il diritto delle genti ed il diritto intemazionale, questioni sulle quali il Papa e Wilson hanno punti di vista comuni ».
5 - Benedetto XV riceve la nobiltà e il patriziato romano (la cosidetta « aristocrazia nera »), per gli
auguri di capo d’anno. Il principe assistente al-soglio pontificio. Marcantonio Colonna, legge un indirizzo di omaggio, al quale risponde il Pontefice con un breve discorso.
6-11 Messaggero, rendendo conto del ricevimento della nobiltà in Vaticano, scrive:
« Don Marcantonio Colonna ha letto un indirizzo ricordando l’opera compiuta da Benedetto XV durante la guerra, non ha mancato — secondo quello ch’è ormai la parola d’ordine del Vaticano — di rivendicare al Papa di aver «gettato nel mondo sconvolto quel seme fecondo di principi immortali, che sapientemente raccolti, selezionati c popolari zzati da una magnanima voce d’oltre oceano hanno avuto poi così rapido c 'glorioso trionfo».
Il che significa che il Principe assistente al soglio pontificio ha dimenticato, non fosse altro, le date: che, cioè, là Nota del Papa per la pace è dell’agosto 1917, che la sospensione delle ostilità è del novembre 19x8, e che prima di raccogliere la voce pontifìcia, Wilson ha raccolto e portato di qua dall'Occano i primi soldati americani.
L’accenno del principe Colonna — infelice nella forma pur nei riguardi del Pontefice che forse non ha compreso perchè i « principi immortali » dovessero essere « selezionati » e specialmente inopportuno al domani della visita di Wilson in Vaticano — non è stato ripreso da Benedetto XV. Il quale ha risposto con una allocuzione di circostanza, rilevando invece solo l’accenno all’opera di pietà da lui compiuta per alleviare i mali della guerra ».
8 - In seguito al richiamo del Ministro dèi Belgio presso il Vaticano, signor Giulio Van den Heuvel, nominato delegato alla Conferenza della Pace, il Papa ha dichiarato il suo gradimento per la nomina del conte Lès d’Ursel, a rappresentante del Governo belga presso il Vaticano.
10- L'Osservatore Romano annuncia che «in occasione della chiusura delle nozze di diamante delle Apparizioni di Lourdes si porteranno in questo Santuario alcune rappresentanze cattoliche non solo delle varie regioni di Francia, ma anche del Belgio, dell’Inghilterra e della Alsazia-Lorena. Vi si unirà anche una delegazione cattolica d’Italia, per dare alla solennità il carattere d’ùn solenne collettivo ringraziamento degli alleati a Dio per la ottenuta vittoria ».
17- Mons. Nicotra, nunzio pontificio nel Belgio, lascia Roma per raggiungere la sua sede a Bruxelles.
19- Fondazione del nuovo partito politico dei cattolici italiani. Un comunicato ufficiale dice:
« In seguito a di verse riunioni tenute da deputati al Parlamento, da consiglieri provinciali e comunali eletti dai cattolici e da rappresentanti di organizzazioni operaie, è stata promossa la costituzione del
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Partito Popolare Italiano con programma, responsabilità c fisonomía propria.
■ La Commissione provvisoria, eletta dai promotori, ha redatto l’appello e promossa la costituzione delle Sezioni del partito in base allo Statuto. Essa funzionerà fino al primo Congresso nazionale ».
Nell’appello è detto, fra l’altro:
• A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della Patria, senza pregiudizi nè preconcetti facciamo appello perchè uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà. E mentre i rappresentanti delle Nazioni vincitrici si riuniscono per preparare le basi di una pace giusta e durevole, i partiti politici di ogni paese debbono contribuire a rafforzare quelle tendenze e quei principi, che varranno ad allontanare ogni pericolò di nuove guerre, a dare un assetto stabile alle Nazioni, ad attuare gli ideali di giustizia so-, cíale e migliorare le condizioni generali del lavoro, a sviluppare le energie spirituali e materiali di tutti i paesi uniti nel vincolo solenne della Società delle Nazioni.
< E come non è giusto compromettere i vantaggi della vittoria conquistata con immensi sacrifici fatti per la difesa dei diritti dei popoli e per le più elevate idealità civili, cosi è imprescindibile dovere di sane democrazie c di Governi popolari trovare il reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi intemazionali e le perenni ragioni del pacifico progresso della società.
« Perciò sosteniamo il programma politico-morale patrimonio delle genti cristiane, ricordato prima da parola augusta e oggi propugnato da Wilson come elemento fondamentale del futuro assetto mondiale e rigettiamo gli imperialismi che creano i popoli dominatori e maturano le violenti riscosse; perciò domandiamo che la Società delle Nazioni riconosca le giuste aspirazioni nazionali, affretti l’avvento del, disarmo universale, abolisca il segreto dei trattati, attui .la libertà dei mari, propugni nei rapporti internazionali la legislazione sociale, la uguaglianza del lavoro, le libertà religiose contro ogni oprres-sione di setta, abbia la forza della sanzione e i mezzi per la tutela dei diritti dei popoli deboli contro le. tendenze sopraffattrici dei forti.
« Al migliore avvenire della nostra Italia — sicura nei suoi confini e nei mari che la circondano — che per virtù dei suoi figli, nei sacrifici della guerra, ha con la vittòria compiuta la sua unità c rinsaldata la coscienza nazionale, dedichiamo ogni nostra attività con fervore,d’entusiasmi e con fermézza di illuminati propositi ».
L’appello reca le seguenti firme: on. avv. Giovanni Berlini, avv. Giovanni Bertone, Stefano Cavazzoni, rag. Achille Grandi, conte Giovanni Grosoli, onorevole dott. Giovanni Longinotti, on. avv. prof. Angelo Mauri, avv. Umberto Merlin, On. avv.- Giulio
Rodinò, conte avv. Carlo Santucci, prof. dott. Luigi Sturzo, segretario politico.
20 - L'Osservatore Romano pubblica un indirizzo al Papa del conte G. Dalla Torre presidente del-V Unione popolare cattolica, ed una risposta ad esso del card, segretario di Stato Gasparri, in nome del Papa.
21-11 Giardinétto di Maria raccoglie i voti delle personalità cattoliche perchè sia dedicato un giorno dell’anno alla ■ Festa del Papa ». Esso ha interpellato sulla proposta l’Episcopato. Il Circolo dell’immacolata sta preparando «un piano concreto che a suo tempo pubblicherà, per l’effettuazione del grandioso disegno per tutto il mondo ». Il Vescovo di Padova ha partecipato che nel .giorno fissato per la festa del Papa ha fatto dispensare 46.000 copie del foglietto: • Il Papa e la guerra - Fatti e parole ». Hanno aderito all’iniziativa del Giardinetto di Maria l’arcivescovo di Bologna card- Gusmini, Vare, di Palermo, card. Lualdi, gli arcivescovi di Parma, Perugia e Mantova; i vescovi di Acerra, Aosta, Andria, Acqui, Borgo San Donnino, Bergamo, Bobbio, Castellamare, Como, Cefalù, Cometo, Civitavecchia, Capaccio e Vallo, Cremona, Cotrone, Cariati, Forti, Foligno, Livorno, Modigliana, Mondovl, Noto, Nusco, Ozieri, Osimo e Cingoli, Orvieto,' Poggio Mirteto, Piacenza, Padova, Susà, Viterbo..
21 - L'Agenzia Stefani comunica:
• New York, 21. — Mons. Cerretti è giùnto a bordo del vapore Lapland. Egli viene in qualità d’inviato speciale del Papa per il giubileo «l’oro del card. Gibbons. Mons. Cerretti ha diramato un messaggio del Santo Padre agli Americani nel quale si dice fra l’altro: ■ Dite loro che li amo e li ammiro. Dite loro che amo la loro attività e il loro senso morale. Dite loro-che io sono pienamente d’accordo con i loro nobili ideali ed i loro elevati principi di libertà e di giustizia ».
Mons. Cerretti, che era accompagnato dal reverendo Dr. Roderik Macerchan dèli’Università cattolica di Washington, è stato ricevuto dal Vescovo mons. Patrik Hayes, da mons. Michael Lavello e da altri dignitari ecclesiastici.
Al suo arrivo mons. Cerretti ha detto: « Ebbi a Parigi il piacere di visitare il Presidente Wilson. Egli fu gentilissimo ed i suoi modi sono di una grande semplicità. Come giustamente venne détto dalla stampa europea l'incontro del Presidente Wilson con il Capo della antichissima istituzione democratica fondata 19 secoli fa da Gesù Cristo, ha costituito un avvenimento storico. Oggi gli sguardi di tutta la terra si volgono verso l’America come alla salvatrice del mondo. Che Dio dispensi su di essa le sue benedizioni morali e materiali »;
(Continua).
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FORME DI DEGENERAZIONE RELIGIOSA IN TEMPO DI GUERRA
NOTE E DOCUMENTI
'argomento che ci siamo prefissi di trattare è assai triste e penoso, sia che si consideri la degenerazione del senso religioso nel popolo, degenerazione che rende possibile che sulla sua fede si speculi moralmente e materialmente, sia che si ponga mente ai fattori, ai responsabili diretti di tale abbassamento spirituale che di esso si giovano ai loro fini. Ma crediamo necessario prospettare in un quadro unico le forme che ha assunto durante la guerra lo sfruttamento ecclesiastico di essa, col far rivivere
tutte le superstizioni o col collaudarle ufficialmente, coH’incoraggiare, sia pur col non opporvisi, le simulazioni del meraviglioso è il dilagare di pretesi interventi superiori, con la produzione di un’infinità di opuscoli, di fogli, di periodici intesi a trarre tutto il denaro possibile dalla credulità delle folle, col sospingere a promesse e a voti, atti a rinsaldare per l'avvenire le gravi catene del servaggio spirituale del nostro popolo. Lo crediamo necessario perchè la trama molteplice di questo tessuto appaia in tutta la sua estensione e in tutta la sua gravità a quanti hanno a cuore l’educazione morale e la redenzione spirituale della nazione.
Come è nostra abitudine nello scrivere queste note, non faremo che produrre documenti o riassumere fatti, coordinandoli e commentandoli ove ciò appaia conveniente. Tali documenti e fatti si riferiscono per la maggior parte, come è naturale, all'Italia. Ciò non infirmerà certo le deduzioni generali nei rapporti dell’indirizzo e dèi . sistemi ecclesiastici nel cattolicismo: le renderà piuttosto maggiormente probative, per la considerazione che esse si baseranno su risultanze che assai più difficilmente che in altri paesi dovrebbero sfuggire in Italia alle superiori autorità della Chiesa cattolica, le quali invece le incoraggiano e promuovono.
Togliamo dagli Alti Parlamentari (pag. 13957-13958) il resoconto di una interrogazione presentata dall'on. Giovanni Zibordi e svolta nella tornata del 5 luglio del 1917:
Segue l'interrogazione dell’onorevole Zibordi, al ministro delle finanze, « per sapere se intenda provvedere ad estendere ai sacerdoti l’imposta sui sovraprofitti di Ìuerra, in considerazione dei molteplici cespiti di lucro che lo stato d’animo creato alla guerra ha apportato alla Chiesa, e. delle numerose forme di speculazione sui rischi di guerra, che la Chiesa stessa ha iniziato e va esercitando, col richiedere alle famiglie oboli votivi in cambio di funzioni propiziatrici della divina grazia per la incolumità dei loro cari combattenti ».
L’onorevole sottosegretario di • Stato per le finanze ha facoltà di rispondere.
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Indri, sottosegretario di Stato per le finanze. {Segni d’attenzione). L’interrogazione dell’onorevole Zibordi, indubbiamente, anche perchè portata alla tribuna parlamentare, da dove altamente si difendono e si propugnano gl'interessi e i bisogni dello Stato, è soltanto determinata dal desiderio di recare un ausilio alle finanze dello Stato! (Si ride).
Ma a parte ciò, l’interrogazione stessa deve essere considerata sotto due aspetti, cioè, da un lato, in relazione alle disposizioni vigenti, dall'altro in rapporto alle eventuali modificazioni future. Nell'uria c nell'altra ipotesi i desideri dell’onorevole interrogante non possono trovare accoglimento.
Non possono trovare accoglimento di fronte alle leggi vigenti perchè indubbiamente è noto all'onorévole Zibordi che le disposizioni contenute nel decreto 21 novembre 1916, oggi fissate nell’articolo 1 del testo unico sui sopraprofitti di guerra, colpiscono soltanto, e quando i lucri siano superiori alle 2500 lire, quelli derivanti ai commercianti, industriali e intermediari {Commenti all’estrema sinistra).
Fintanto, onorevoli interruttori, che voi non vogliate considerare un sentimento alto dell’animo come l’esercizio di un commercio, non potete giustificare la vostra interruzione {Bene'.).
De) resto, continuando neiresame delle disposizioni attuali sui sopraprofitti di guerra, non sono fra questi compresi quelli per la prestazione di qualunque opera, ufficio o ministero che sono redditi normali compresi nella legge generale di ricchezza mobile.
Dunque, di fronte alle leggi vigenti, non vi è possibilità di assecondare il desiderio dell'onorevole interrogante.
Nella seconda ipotesi, poi, di modificazioni future auspicate dall’onorevole interrogante, il Governo non crede di dover seguire le aspirazioni dell'onorevole Zibordi, rese molto chiare e palesi dalla stessa forma usata nella interrogazione, appunto perchè le manifestazioni di quel sentimento che l’onorevole interrogante mostra di non dividere, meritano, ad avviso del Governo, e specialmente in epoca di guerra e in regime di libertà, una considerazione ben diversa da quella che non sia nell’animo dell'onorevole Zibordi, al quale quindi non ho altro da soggiungere. {Vive approvazioni).
Presidente. L'onorevole Zibordi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
Zibordi. Io credo che non occorresse soverchia virtù profetica per prevedere che la risposta del Governo sarebbe stata tale da non sodisfarmi.
Ho presentato questa interrogazione non per un basso anticlericalismo, che sarebbe stato anche un po’ malizioso per la posizione dell’onorevole Meda al Ministero delle finanze, ma per sdegno sincero dell'animo contro la speculazione indegna ed ignobile, che tutti i veri credenti dovrebbero essere i primi a deplorare vivamente; e li compiango se non lo intendono.
L'onorevole sottosegretario di Stato per le finanze ha detto, e non si è accorto di offrire, con questo, il mezzo ad una mia molto ovvia risposta, che i sopraprofitti di guerra colpiscono i commercianti e gli intermediari.
Passi per i commercianti, poiché non condividiamo quell'anticlericalismo di maniera che chiamava una bottega la Chiesa, dato che vi accedono uomini mossi da un sentimento che non si discute.
Indri, sottosegretario di Stato per le finanze. Se è un sentimento, non è più un commercio!
Zibordi. Ma quanto ad intermediari, i preti sono intermediari per definizione, fra il cielo e la terra. {Commenti — Rumori). È la loro funzione.
L’onorevole Indri ha cercato di confondere abilmente il sentimento dei credenti con lo sfruttamento del sentimento dei credenti, esercitato dai preti. Questa è la vera ignobilità di questa industria che si manifesta in forme diverse.
Sono stato così onesto che nella mia interrogazione ho distinto lo stato d’animo creato dalla guerra, che volge gli animi verso il misticismo' e che si manifesta con quella invasione di chincaglierie, di medaglie, di corni, di amuleti, appesi alle vesti e ai polsi dei combattenti, e che tanto deve offendere chi senta altamente della religione, del valore e della patria. Bisogna tener distinto questo da ciò che è industria fatta dai preti e che qui nei cinque minuti di un'interrogazione non posso sviluppare come vorrei, e che però mi riservo d’illustrare in altra sede.
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Vi sono esempi molteplici. L’amico Beltrami me ne citava uno dei più caratteristici.
Cambiali in bianco rilasciate al prete, che il padre, il fratello pagheranno se il combattente tornerà incolume; sottoscrizioni per la erezione di chiese alla Madonna della Salute e della Pace, mediante collette che hanno tariffe di prima, seconda e terza classe. Per 25 lire vi sarà assicurata l'incolumità; per 20 lire sarà meno certa, per 5 una ferita grave, e chi non dà nulla vedrà morire il proprio congiunto.
Queste sono vergogne che io mi dolgo di dover portare qui. (Interruzione del deputato Beltrami — Rumori).
Colgo l’occasione per avvertire l'onorevole sottosegretario per l’interno che, allorché presentai questa interrogazione, la censura di Milano non solo soppresse nel-V Avanti/ il testo dell’interrogazione, contravvenendo, io credo, anche ad una consuetudine o legge per cui gli atti della vita parlamentare dovrebbero essere esclusi dalla censura, ma soppresse anche un appello che io rivolgeva ai combattenti, ai compagni che sono nelle file dell’esercito, affinchè mi mandassero prove, oltre quelle che già aveva, di quésta ignobile industria dei preti.
Trasformerò, occorrendo, la mia interrogazione in interpellanza; mi dichiaro insodisfatto e constato che questo brutto esempio di misticismo di guerra viene dall’alto ed ai padri Semeria che sono presso il Comando supremo, corrispondono i cappellani che esercitano il basso mercimonio della fede nel fronte interno. (Commenti — Rumori).
La risposta ufficiale data all'on. Zibordi non poteva essere diversa in un paese come il nostro, dove l'educazionejmorale dei sudditi sembra non sia stata mai tra le preoccupazioni più vive dei governanti. Ma il deplorare, sia pure verbalmente dal banco del Governo, certe forme di sfruttamento religioso della speciale psicosi prodotta dalla guerra particolarmente nelle classi popolari, sarebbe stato ben opportuno, oggi che si parla tanto di rinnovamento spirituale della-iiòstra gente, se non altro per non collaudare ufficialmente, come sembra aver fatto con la sua risposta il sottosegretario di Stato alle Finanze, tutta la infinita serie di operazioni certo... non morali che passano col bollo e il visto delle autorità.
* * *
Non v'è, si può dire, il più piccolo borgo in Italia che non abbia in occasione della guerra valorizzato un suo santo particolare 0 una sua Madonna e levata la voce per accreditarli come infallibili protettori dei nostri soldati. Un gran numero di giornaletti, di fogli volanti, di immaginette è venuto fuori d’ogni dove come per incanto, a celebrare il valido ausilio che questo 0 quel santo, o questa o quella Madonna sono in grado di prestare, a preferenza di altri, ai militari, ed a chiedere per conseguenza offerte ai militari ò loro parenti per propiziarsene la protezione. Prendiamo a caso, nella moltitudine, qualche esempio.
Ecco qui un manifestino distribuito a profusione dal clero di Lodi e dai membri delle associazioni cattoliche di quella città lombarda di circa 30.000 abitanti, sede di vescovado e di tribunale. Il foglietto reca la piena approvazione ed il plauso dello stesso 'vescovo, mons. Zanolini. In esso si legge:
Un voto a San Bassiano perchè ritornino sani e vittoriosi i soldati lodigiani,
« Nell'ottimo giornaletto Stille Benefiche, in un dotto articolo di uno zelante parroco della nostra Diocesi, si mostrò la convenienza che in questi tragici momenti nulla si tralasci per l’incolumità dei nostri soldati, così che, dopo aver adempiuto valorosamente al proprio dovere, possano tornare vittoriosi e sani ai domestici focolari.
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E in quel l’articolo si suggeriva che, sull’esempio dei cattolici di altre città, anche i buoni lodigiani, che hanno figli sotto le armi, ne domandino a Dio il glorioso ritorno, obbligandosi con un voto a fare un’offerta proporzionata alle condizioni sociali di ciascuno, nel caso però che il proprio figlio non solo ritorni, ma che ritorni perfettamente sano e integro. La somma dell’offerta promessa può variare da un minimo di L. 25 a L. 200. Si noti bene che ora non si fa alcuna offerta, ma solo la promessa con voto, che cesserebbe di obbligare dato il caso che il figlio, per il quale lo si è fatto, morisse in guerra o tornasse senza qualche parte del corpo, o rovinato in qualche parte vitale come vista, udito, loquela, ecc.
Le condizioni quindi del voto, che obbligherebbe in modo grave, sono: i° Che il figlio sia sotto le armi:
o9 Che il voto sia scritto e deposto in una apposita cassetta che verrà messa all'altare di S. Bassiano, o mandato alla Direzione dell’oratòrio di S. Luigi, via Legnano, n. 16, Lòdi.
3° Che l'offerta sia proporzionala alle condizioni di chi fa il volo.
All’adempimento del vóto si è tenuti quando terminata la. guerra sarà possibile -versare la somma promessa.
Il ricavo dell’adempimento di questi voti per metà andrà ad onore di S. Bassiano e metà per sistemare economicamente l’oratorio nostro e iniziare la fondazione di quello femminile che porterebbe il titolo: « Oratorio Femminile di S. Bassiano <>.
Dei trentamila abitanti di Lodi circa un sesto deve trovarsi alle armi, e di questi soldati, quasi cinquemila, non v’ha dubbio che i quattro quinti almeno appartengono a famiglie cattoliche praticanti e quasi indubbiamente per ciascuno di essi o la madre o la zia o altri cari, nella preoccupazione che S. Bassiano non protegga l’assente, avranno fatto il voto richiesto dai preti del luogo con la compiacenza di monsignor vescovo. Dei quattromila, posti sotto la tutela del santo, non moltissimi certo morranno in guerra o saranno mutilati 0 gravemente lesi in qualche parte del corpo; per fare una cifra, supponiamo che questi poveretti sommino a cinquecento. Le persone che han fatto voto per essi non possono tacciare S. Bassiano di inadempienza, perchè il santo non ha preso nessun impegno formale a loro favore. Viceversa, da tremilacinquecento persone S. Bassiano, o meglio coloro che si son valsi del suo nome per sorprendere la buona fede dei lodigiani, ritireranno una somma « che può variare da un minimo di L. 25 ad un massimo di L. 200 ». Nella più piccola ipotesi i preti di Lodi raggranelleranno, così, « ad onore di S. Bassiano», 3500x25=87.500 lire. E si badi che, onde non contravvenire alla terza delle norme del voto, che cioè l’offerta sia proporzionata alle condizioni di chi emette il voto, chi farà la promessa si chiederà se, facendo un qualche sforzo, per meglio ingraziarsi il santo, non gli sia possibile di offrire 50 invece di 25, 100 invece di 50, e via di seguito. E si badi ancor più che alla esecuzione del preteso voto nessuno si potrà sottrarre, sia perchè nella loro ignoranza religiosa gli offerenti riterrebbero certo che S. Bassiano non mancherebbe di prender le sue vendette contro gli inadempienti, sia perchè una delle condizioni essenziali del voto «che obbligherebbe in modo grave » è « che il voto sia scritto e deposto in apposita cassetta presso l'altare di S. Bassiano o mandato alla Direzione deU’Oratorio di S. Luigi, ecc. ».
(Continua).
Ernesto Rutili.
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RASSEGNA DI FILOSOFIA RELIGIOSA
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MARXISMO E IDEALISMO
Uno studio su C. Marx, di Francesco Olgiati, occupa il n. i di una Biblioteca di coltura religiosa della quale la Società Editrice « Vita e Pensiero » inizia la pubblicazione. >
A parte un breve squarcio finale, — un confronto fra Gesù e Marx nel quale l’enfasi da predicatore aggrava il vuoto intellettuale e l’artificio stentato, e qualche raro accenno qua e là, che sa dei medesimi difetti — il lavoro dcll’Olgiati è semplice-mente espositivo; non nuovo, non profondo, non dialettico, gettato giù a schizzi sommari e impressioni, ma, nell' insieme fedele e chiaro.
La critica? si chiede l’Olgiati più serio. Ma la critica è nella esposizione stessa, Ser chi intenda qualche cosa. La dottrina i Marx è un caso particolare di quel materialismo nel quale la Germania- che ingrassava affogò il .misticismo romantico o l’idealismo trascendentale (e, sotto questo aspetto, essa rientra nei quadri generali di un 'procèsso di pensiero caratteristicamente borghese); e cinque o sei frasi tipiche e celebri nelle qualiè espresso, Ser i cervelli proletari!, il succo di quella ottrina bastano, ricordate, a far vedere l’abissó. profondo che la divide da ogni spiritualismo, e tanto più dal cristiano
cattolico, con là grazia, la Chiesa e il premio della vita eterna.
L’Olgiati riassume, conglobandola nella esposizione, una critica del pensiero di Marx, economico e politico, già abbondantemente fatta da altri. Il ciclo è compiuto; c oramai sapere quel' .che C. Marx realmente pensasse, in dettaglio, e dicesse non ci interessa più c non interessa più, crediamo, nessuno, salvo il sig. Longuet, che ha delle ragioni di famiglia, e qualche adoratore del santone Ebreo.
E possiamo invece continuare per la via per la quale si è messo, con molta preparazione e con molto acume, studiando non Marx ma il suo amico e collega e sovventore Engels, il prof. R. Mondolfo: indagare cioè e vedere quale posto occupa e che cosa significa il marxismo nello svolgimento e nelle contaminazioni pratiche dell’idealismo tedesco e, in generale, nella filosofia del secolo xix. E in questo il libro dell’Olgiati ci aiuta poco o nulla: ed è, dal punto di vista teorico, il suo torto Kncipale. Egli, lasciando da parte il briola, i cui scritti, che pur sono capitali in materia, pare che non conosca, si adagia nella conclusione di B. Croce* che fa del materialismo storico un canone’ di indagine storica; buono e pratico quando quel lato del reale, su cui Marx richiama l'attenzione, gli strumenti e i rapporti di produzione, è trascurato e negletto; ma che non bisogna esagerare e falsare, mutandolo in dottrina filosofica e in domma.
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Ma il Labriola e il Croce e il Mondolfo avevano già osservato e mostrato che quello del Marx non è propriamente « materialismo ma realismo storico; e un realismo quale era pensabile da allievi del sistema hegeliano, nutritisi del grande moto idealistico che va da Kant a Hegel; e che non deve quindi in nessun modo, neanche per . comodo artificio polemico, esser confuso con il grossolano e stupido materialismo volgare dei socialisti coscienti e tesserati e dei loro ciarlatani corifei; il quale è una pseudo-filosofia e uno pseudo-pensiero; come, del resto, doveva avvenire in gente che nega il pensiero e, dove non può sopprimerlo lo odia di tutta sua forza, nel nome della dea materia.
Il realismo di Marx e la sua dialettica della praxis sono una realtà e un processo in cui i vecchi termini del dualismo: materia e spirito, sono unificati e annullati; la storia che Marx e Engels indagano non è storia naturale,/ma storia umana, umanità, pensiero eJ volontà che diviene, nel suo mondo sociale, col quale è tutt’uno, e costruendo il suo mondo; e in- essa religione e filosofia e diritto sono bensì soprastrutture, ma nel senso in cui la stessa economia, come scienza e come sistema, può essere dichiarata, e fu dichiarata, ad es., contro Rogers o contro Loria, soprastruttura; manifestazioni cioè parziali e derivate dell’intimo processo crea; tivo che è la praxis, unità e identità di materia e spinto.
La differenza da Hegel, la celebre inversione, sta appunto nella sostituzione della praxis aU'iaea. Ma ad una idea che, come poi si è mostrato, poneva bensì l’unità di natura e spirito come una premessa trascendentale, e pur non era riuscita a riassorbire realmente e dialettica-mente la natura nello spirito; e di una praxis che, alla sua volta, poneva la stessa esigenza fondamentale, ma non riusciva foi a dedurre da sè 1’idea, a stabilire unità del processo fondamentale dello spirito umano, ma finiva col costituire solo una gerarchia, artificiosa e falsa come tutte le gerarchie.
Così il marxismo fu un momento di un Secesso filosofico e religioso che suppone int, Hegel e procede da essi e-vuol correggerli e inverarli senza riuscirci, e solo esagerando in un altro senso. E per questi motivi, i quali spiegano insieme la fortuna e la disgrazia del marxismo, esso ha un
posto notevole nella storia filosofica e religiosa, 0 nella storia toni court, del secolo xix; che poi quella dottrina si sia casualmente trovata a tenere a battesimo il comuniSmo proletario, questo importa poco ai proletari che non hanno, fra l’altro, modo di capire Marx.
LA RELIGIONE DEL SINDACALISMÓ
Nel suo volume: La disfatta dal socialismo (l’A. è un sindacalista soreliano; il socialismo che esce disfatto dalla guerra è quello ufficiale, demagogico, parlamentare, internazionalista). A. Lanzillo scrive: « L’epoca del superficialismo, dello scetticismo nazionale, del politicantismo incompetente deve finire. All’Italia è indispensabile una fase di raccoglimento e di disciplina, di, attività e di discernimento, è indispensabile cioè una rivoluzione psicologica, un sovvertimento dei costumi politici, e della coscienza pubblica, una sensibilità maggiore nei singoli e specie un più squisito sentimento del dovere in tutti ».
Siamo, naturalmente!, d’accordo in quello che il L. intende dire. Alla frase « rivoluzione psicologica » non riusciamo a dare nessun significato preciso; perchè la psicologia è per tre quarti almeno fisiologia e nella natura non ci sono rivoluzioni.. Mettete « religiosa » — parola che molti si rifiutano di usare, anche quando, per parlare propriamente, non potrebbero farne a meno — e il*significato corre; cioè, correrebbe, se le rivoluzioni religiose si potessero antivedere o preannunziare; o se, Kr farle, non ci dovesse essere già una
-te coscienza religiosa, che in Italia, come il L. osserva e mostra, non c’è.
D’accordo noi siamo col Lanzillo nel pensare che l’Italia non avrà davvero vinto la guerra, non supererà le crisi interne che già si annunziano vivacissime, non acquisterà significato e valore di vera potenza (lasciamo stare il grande, che piace tanto ad alcuni), non riuscirà a darsi un soddisfacente assetto politico di effettivo autogoverno, se a tutta quest’opera non presiederà una coscienza morale (io dico:-religiosa) più salda, più chiara, più sicura di sè, capace di instaurare con la- disciplina interiore e la volontà dei fini 'ideali un sincero ed onesto ordine sociale e nazionale.
Da quali gruppi, da quali correnti, di idee, da quali 'istituti può venire questa novità spirituale?- Il L., nel suo interes-
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sante e suggestivo volume non ne indica che due: il sindacalismo e il cattolicismo. Tutto il resto, marcio putrido.
Sul cattolicismo, la sua stessa opinione è... discorde. Ne parla brevemente a p. 269. Se. egli dice; la rinascita religiosa fosse rinascita cattolica, e il cattolicismo rifiorente fosse il tradizionale, quello per il quale « la lotta... è tutta interiore, è nell'individuo, che diventa migliore attraverso un perenne conflitto fra le buone e le cattive tendenze, fra la carne e l’anima, il corpo e lo spirito », così che « la considerazióne dei grandi interessi sociali e collettivi viene ad assumere una importanza secondaria », ciò sarebbe «un pericolo grave».- «Il cattolicismo concorrerebbe nel suo aspetto più intimo e religioso ad indebolire la compagine nazionale ». « L'Universalismo cattolico può esercitare una influenza pericolosa e deleteria ». Ma poi, a pagina seguente, in nota — oh forza dell'autorità del maestro Sorel! *— egli ci avverte che « non v’è nulla di più sterile e di pili stolto dell’anticlericalismo ». Si noti che il clericalismo, se la parola ha un senso, è proprio l’azione politica di quel cattolicismo che secondo il L. sarebbe deleterio. Deleterio dunque il clericalismo, sterile e stolto l’anticlericalismo.
Il !.. spera in un’altra tendenza del cattolicismo « che si adopera ad integrare la coscienza religiosa con una più marcata e netta coscienza nazionale. E per l’avvenire -d’Italia da augurarsi che questa tendenza prevalga ». Cattolicismo, dunque, temperato e corretto dal nazionalismo; religione, con una buona dose di politica. Ma che cosa è questo mixtum compqsitum ? È, religiosamente, il vecchio cattolicismo? È un’altra religione? E debbono gli Italiani, per compiere la rivoluzione religiosa che il L. vuole, farsi tutti cattolici-nazionali? O cercare qualche altra cosa?
Qualche altra cosa nel pensiero e nel libro di L. c'è; ma molto vaga. Un’esi-Senza che non sa ancora donde rifarsi e ove mirare. Il sindacalismo. Non quello dei sindacati, quali esistono, ma quello preconizzato da Sorel: una nuova visione etica dei doveri del proletariato. Questa, noti il lettore, non potrà affatto esser cristiana; poiché, come già scrisse il Sorel, e ci riferì il L., il cristianesimo fu, nel suo periodo eroico, la religione dei mendicanti, e il sindacalismo etico deve essere la religione dei liberi produttori; quello mirava
al Regno di Dio oltre i tempi, e questo mira ad instaurare nella storia e nei tempi la giustizia sociale. Ma, morfologicamente, l’avvento della nuova religione deve somigliare all’avvento della antica; e di qui una serie di precetti pratici: isolamento dei sindacati, ripudio in blocco della ideologia e della società borghese, mito dello sciopero generale, educazione all'entusiasmo e al sacrificio. Solo svila funzione della violenza c’è una variante: non si tratta più di subirla, affermando con la morte la vittoria dello spirito sulla forza bruta, come facevano i martiri, ma di Sararla ed applicarla per proprio conto, ora buona.
Ma in questo non c’è nessuna novità. La religione non è un metodo, ma una visione e una volontà; e il metodo discende dalla fede. Quali sonó i valori ideali, religiosi del proletariato? La produzione e i >rodotti? Ma allora siamo nel campo del-’economia: una classe si sostituisce al-'altra; e la classe non è un valore ideale. O il nuovo valore è, come per Loisy, l’umanità, la società umana? Ma, allora siamo nel campo di indirizzi noti: nello spirito e nelle concezioni dell’odiata democrazia. O è un nuovo Dio, una npova incarnazione? Ma, nel libro del L., non ce ne è che il desiderio inquieto e una .vaga intuizione; orientamento d’animo e di pensici© che si andrà chiarendo e precisando, non ne dubitiamo, nel nostro amico, così acuto e sincero interrogatore della vita, per bisogno di azione.
CHIESA E STATO IN CONFLITTO SUL TERRENO ETICO
Molto diversamente giudica e scrive del problema religioso italiano, ne! quale vede il problema stesso dello Stato ¿taliano — veduta, questa, che dovrebbe essere ornai familiare ai lettori di questa rassegna —- un socialista ufficiale, A. G. .che nel n. 30 dee. deìVAvantil ! esaminando alla luce di quel marxismo implicitamente idealista del quale ho parlato sopra, il costituirsi di un partito cattolico in Italia, scrive: « L’idea dello Stato liberale o parlamentare, propria della economia liberista del capitalismo, non si è diffusa in Italia con lo stesso ritmo e la stessa intensità che nelle altre nazioni. Il suo processo di sviluppo storico si è urtato irriducibilmente con la questione religiosa, 0 meglio col complesso di problemi economici e poli-
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tici inerenti ai formidabili interessi costituitisi in tanti secoli di teocrazia. La vita dello Stato italiano ne è stata raggrinzita e il partito liberale al governo si è ipnotizzato in un problema politico unico, quello delle relazioni tra lo Stato e la Chiesa, tra la dinastia e il Papato. I fini essenziali dello Stato laico furono trascurati o impostati empiricamente, e l’Italia, nei sessantanni del suo essere Stato, non ebbe una vita politica, economica, finanziaria, interna ed estera, degna di un organismo statale moderno: naturalmente, non ebbe neppure una politica religiosa; poiché la attività di uno Stato o è unitaria e audacemente tesa ai suoi fini più essenziali o è solo rappezzatura e basso compromesso di consorterie.
« Allo sviluppo dello Stato nuovo italiano mancò la collaborazione dello spirito religioso, della gerarchia ecclesiastica, la sola che potesse accostarsi alle innumeri coscienze individuali del popolo arretrato ed opaco, percorso da stimoli irrazionali e capricciosi, assente da ogni lotta ideale ed economica avente caratteri organici di necessità permanente. Gli uomini di Stato furono assillati dalla preoccupazione di escogitare un compromesso col cattolicismo, di subordinare allo Stato liberale le energie cattoliche appartate e ottenerne la collaborazione al rinnovamento della mentalità italiana e alla sua unificazione, di suscitare o rinsaldare la disciplina nazionale attraverso il mito religioso.
« Non era possibile conciliare due forze, come lo Stato laico e il cattolicismo, assolutamente irriducibili. Perchè il cattolicismo si subordinasse allo Stato laico, sarebbe Stato necessario un atto di umiliazione dell’autorità pontificia, una rinunzia alla vita da parte della gerarchia ecclesiastica: e solo con la forza e con l'audacia lo Stato avrebbe realizzato la sua volontà, con la dissoluzione degli istituti giuridici ed economici che potenziarono socialmente il cattolicismo ».
Qui A. G. esagera alquanto, per quel che riguarda l’umiliazione del Papato e nientemeno che la rinunzia alla vita da parte della gerarchia. In altre nazioni Juesta vive e fiorisce, e il Papato è circonato di rispetto — ultima prova, la visita di Wilson a Benedetto XV, imposta al capo del partito democratico degli S. U. da necessità politiche — benché il cattolici
smo abbia accettato il terreno della libertà. Non per necessità immanenti alla sua natura di società’religiosa il cattolicismo papale vuol essere Stato e difendersi, sul terreno politico, da uno Stato rivale; ma, appunto per motivi storici, di tradizione e di prestigio, ed economici, di ricchezza e di potere, che sono poi i soli che A. G. vede.
Assai giusto è quanto poi questi scrive sulle conseguenze che allo Stato vennero da questa sua debolezza e viltà. « Il partito liberale non ebbe l’audacia e la forza che sarebbero state necessarie; la tattica dittatoriale della Destra'non dette i risultati sperati, e lo Stato italiano minacciò spesso di scompaginarsi per le reazioni violente popolari alla sua-politica. Il partito liberale divenne opportunista, mandò in soffitta le sue ideologie e i suoi programmi concreti, si frantumò in tante cricche quanti sono i centri mercantili italiani, divenne vespaio di congreghe elettorali e di agenzie per . il collocamento e la felice carriera di tutti i parassiti e di tutti gli sfaccendati. Così snaturato e corrotto, senza unità e gerarchia nazionale, il liberalismo finì col -subordinarsi al cattolicismo, le cui energie sociali sono invece fortemente organizzate e accentrate e posseggono nella gerarchia ecclesiastica una ossatura millenaria, salda e preparata a ogni forma di lotta politica e di conquista delle coscienze e delle forze sociali: lo Stato italiano divenne l’esecutore del programma clericale e nel patto Gentiioni culmina un’azione subdola e tenace per ridurre lo Stato a una vera, e propria teocrazia, per sottoporre l’amministrazione pubblica al controllo indiretto della gerarchia ecclesiastica ».
A questo giudizio di A. G., un economista che, seguendo lo spirito del migliore marxismo, scrive questa volta come un filosofo, A. Lanzillo. obietterebbe forse che dello Stato poco gli cale. Ma lo Stato del quale qui si parla è la stessa nazione italiana, poiché non c’è nazione se non in quanto si esprime nella concreta unità e nella concreta volontà dello Stato; e, come questo, così la nazione italiana c’era, sì e no, nel cinquantennio precedente la guerra, appunto perchè essa aveva in sé la. contraddizione e l’antitesi immanente di due Stati, di due centri e strumenti di unità e di coesione; e lo Stato laico, cioè moderno e unitario e rivoluzionario, fu, nella lotta, il più debole.
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LA FEDE CRISTIANA
La guerra ha postp le premesse di una nuova storia del mondo. E facile prevedere che questa sarà caratterizzata da una specie di egemonia spirituale e politica degli AnglO-Sassoni; specialmente se — come è sperabile e probabile — le due grandi famiglie di questi, impero inglese e Stati Uniti d’America, troveranno nella comunità di origini, di cultura e di ideali la forza di procedere d'accordo. Gli Slavi appariscono ancora fanciulli; i Tedeschi, fallita, col loro grande e triste sogno, la loro cultura — come pretesa e tentativo di universalità, — dovranno ricominciare da capo. I latini — Francia e Italia — mostrano oggi come ci sia poco da sperare così in una loro intima unione come nella loro attitudine a far proprio seriamente ed efficacemente il'nuovo programma di umanità. Se questa è una religione nuova, un nuovo periodo di cristianesimo, essi, che non hanno ancora compiuto la loro rivoluzione religiosa, sono in ritardo.
Un segno dei tempi è il fatto che il modernismo, sorto in Francia e in Italia, sembra essersi ritirato da questi due paesi, sopraffatto dalla reazione- cattolica, ma vive e fiorisce fra gli Anglo-Sassoni con inesausta fecondità.
Questa riflessione, che ho dovuto far tante volte nel corso degli ultimi anni,, mi si riaffacciava al pensiero mentre leggevo nel numero ultimo dello Hibbert Journal (gennaio 1919) due articoli dei quali mi paro opportuno dar notizia, senza commenti, ai lettori di questa rassegna.
Il primo è dèi rev. I. M. Thompson, M. A., Magdalen College, Oxford, e si intitola: Christian jaith.
Sette anni fa, scrive il T. era ancora pericoloso per gli studiosi del N. T. reclamare la libertà della quale usavano gli studiosi dell Antico. Allora essi potevano giungere a negare la base storica dei miracoli del N. T.; ma si'Credevano in dovere di affermare e di dimostrare che non ciò la fede cristiana non era sostanzialmente scossa, poiché rimanevano intatti I idea c il domma della Incarnazione. Questo atteggiamento è oggi divenuto difficile. E si va facendo strada, e corrisponde alle intime esigenze della coscienza religiosa contemporanea, una più alta c più pura idea del Cristo e della Incarnazione.
La rinunzia ai miracoli, non per pregiu
dizio teorico contro di questi, ma in base a upa critica imparziale e accurata delle testimonianze, lasciava intatto il « miracolo morale ■ della persona di Gesù. Per la sua vita, per la sua dottrina, per l’attestazione sua e degli immediati discepoli e del mondo cristiano intorno a Lui, egli era Dio, parlò ed agl e morì come Dio: la fede in Lui rimaneva dunque intatta, come base della vita cristiana.
Il T. esamina accuratamente questa posizione. Egli crede di poter dimostrare che dinanzi alla critica, la persona miracolosa c gli eventi miracolosi sono esattamente esposti alle medesime difficoltà. Noi possiamo accumulare argomenti a priori per dimostrare la non improbabilità, la convenienza,' la consistenza ideale della persona miracolosa del Cristo, Dio Incarnato, secondo il vecchio concetto teologico. Ma la questione dell’evidenza storica rimane decisiva. E la critica-mostra come le testimonianze addotte dalla vecchia teologia sorsero e si svolsero insieme con la fede nel Cristo-Dio, gradualmente, per il concorso di molteplici influenze; vennero da essa, non ne furono la causa determinante. L’argomento stesso: aut Deus, aut homo bonus,- è stato radicalmente infirmato dalla psicologia religiosa, dallo studio delle più intense ed eccelse coscienze mistiche.
Dinanzi a ciò, quale è la via da prendere? Si può cercare di integrare le testimonianze storiche con l’interpretazione filosofica o teologica? Purché questa non alteri quelle. Riservare il giudizio? Ma la fede cristiana non può, , nel frattempo, restar sospesa nel vuoto.
< Per chiunque ha occhi per vedere e cuore per sentire, il Vangelo ci offre la descrizione di un carattere la cui intuizione religiosa e bontà morale non ha eguali nella storia: ma la Chiesa non possiede, nè mai possedè; una evidenza storica sufficiente a provare che questo carattere era miracoloso o superumano. Nè la migliore apologetica riposa su questo argomento. Come appare da principio nella storia l'atto cristiano di fede nel Cristo? Come fede nella sua qualità di Messia. Che cosa sostenne, nei giorni fra il Calvario e la Pentecoste, la fede degli apostoli? Non la fede nella Resurrezione, che essi non predicarono sino a 40 giorni dopo la morte, non la 4 memoria della vita ed esperienza di Nostro Signore, che essi non ricordarono per venti anni; ma la speranza non sradicabile che.
•Matti
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Juantunque rigettato come un impostore e annato a morte come un criminale. Egli sarebbe fra poco tornato come Messia. guando lo « Spirito di Gesù » trasformò la anda di discepoli fuggitivi in una Chiesa missionaria, i predicatori cristiani usarono l’argomento dei miracoli e l'argomento delle Scritture; ma i miracoli essi ricordavano come l'inizio dei segni che il Messia, tornando, avrebbe dato di sè e che la loro fede in Lui suscitava; e della storia evangelica parlavano per mostrare la rispondenza di essa alle profezie messianiche.
« Quando la conversione di Paolo e il dileguare velia attesa messianica fissarono le linee dei attolicismo, più ancora, quando il misticismo e il modernismo furono canonizzati dal IV Vangelo, la vera linea dell’apologetica cristiana non andava dallo studio dei ricordi storici alla dimostrazione del carattere miracoloso della vita di Gesù, ma dalla presente esperienza del Suo potere alla convinzione che per mezzo di Lui Dio avrebbe salvato il mondo. L’atteggiamento del IV Vangelo è special-mente significativo. Esso presenta in forme di storia un Gesù miracoloso; ma il suo assunto principale è di esaltare la fede che non riposa s«i miracoli. « Beati quelli che non videro e credettero... ».
« Ciò non mostra già che la Chiesa si è ingannata o si inganna nel suo grande atto di fede nella divinità di Cristo; ma solo che si sono ingannati e si ingannano quelli i quali riguardano questa divinità come un fatto storico da esser provato con argomenti storici, e non come una assunzione sul significato religioso di una persona storica, determinata da una esigenza religiosa e provata dall’esperienza religiosa...
« Io debbo esser pronto, se è necessario, a dire che Gesù era il figlio di Giuseppe, ma che Cristo è il figlio di Dio; che Gesù non fece miracoli, ma che Cristo fa cose più grandi che non siano i miracoli ogni giorno; che Gesù imparò la santità nella conquista contro le tentazioni e 1’,Umiltà, nella scienza vittoriosa della debolezza morale, ma che Cristo è in verità il Maestro e il Salvatore; che il corpo di Gesù riposa in Gerusalemme, ma che Cristo è eternamente vivo; in una parola, che Gesù era un uomo e che Cristo è giustamente adorato come divino ».
Tale è la fede di T. e; con lui, di molti inglesi modernisti di ogni Chiesa. Spiegandosi con una immagine, T. dice che il cristianesimo non è un circolo, con un
centro, ma una ellissi, con due fochi, uno dei quali storico e l’altro mistico, uno Gesù e l’altro Cristo. Ed aggiunge ingegnose spiegazioni, mostrando il rapporto spirituale fra il titolo e il nome, il processo Storico per il quale tutto il cristianesimo fu concentrato in Gesù e questi, che era in realtà il segnacolo di redenzione, fu Cristo per la fede. E Gesù vive nella fede cristiana, nella storia religiosa del mondo cristiano, nella fede nel Cristo, che non è solo recezióne passiva, ma creazione assidua, la opera eterna dello Spirito che abita non solo fra noi ma in noi.
CHE COSA È IL CRISTIANESIMO?
L'altro articolo, di un americano, si intitola: Ancora, che cosa è il cristianesimo? ed è del prof. I. B. Pratt, Williams College, U. S. A.
Il P. distingue due dottrine, secondo l’una delle quali il cristianesimo sarebbe l’insegnamento di Gesù, secondo l'altra, l'insegnamento intorno a Gesù. Quelli i quali sostengono che il cristianesimo è l'insegnamento di Gesù debbono, per necessità far ricorso alla dottrina delle Chiese e della tradizione intorno a Gesù: stabilire i suoi titoli-. Ma in questa indagine si viene a scoprire quali fonti ebraiche ed elleniche abbiano operato, a comporre la figura teologica di Gesù. E cosi, insistendo nella critica, contro, ad cS., Harnack o Eliot, si viene a delincare un insegnamento riguardante Gesù e la sua vita e la sua dottrina, il quale sarebbe la grande linea direttiva del processo storico del cristianesimo. (Loisy, Otto Pfleidercr).
Ma di queste due dottrine esclusive nessuna resiste all'analisi. Si accetta Gesù per la dottrina che le sue parole ci rivelano e si accetta la dottrina di lui per il concetto che ci facciamo della sua persona e della sua autorità. Questa è la dottrina ortodossa e tradizionale. Un’altra se ne può concepire secondo la quale il cristianesimo, in luogo di esser©' le due cose, non sia nessuna delle due, nè l’insegnamento di Cristo, nè l’insegnamento intorno a Cristo. Ma che cosa sarebbe allora il cristianesimo?,
« Sarebbe — ed è, secondo questo modo di vedere — non una raccolta di insegna-menti, ma un movimento nella vita spirituale dell'umanità. Non una cosa sémplice, ma una cosa complessa, come sono tutte le cose vive. Non può esser confinato in una provincia o ad un aspetto dello spirito
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umano, ma rivolge il suo appello a gran Sarte della nostra multiforme natura.
ei suoi vari aspetti, tuttavia Ire stanno dinanzi a noi con singolare rilievo, corrispondendo ai tre aspetti della vita psichica che la psicologia ha spesso distinto. Esso è una esperienza, una attività e una fede...
« Come fatto storico, e fatto contemporaneo, il cristianesimo è un certo tipo di esperienza interiore negli aderenti ad esso. Questa esperienza, distinta dall’attività cristiana e dal Credo cristiano, è multiforme, e varia da individuo a individuo; infinito campo di osservazione per chi cerca nello spirito umano le sue più nòbili espressioni. Varia, essa ha tuttavia delle caratteristiche che permettono di considerarla come un movimento religioso, distinto dagli altri...
« Nel secondo aspetto, esso è attività ; operoso fluire di quell’amore che' è il centro dell'esperienza cristiana. L’impulso a servire ed a rendersi utili ha sempre caratterizzato gli atti e gli individui che noi chiamiamo più specialmente cristiani...
« Infine, il cristianesimo è in parte anche una fede o un insegnamento: o include fede e insegnamento come una parte necessaria di sè. L’amore che esso prova, l’attività che spiega, hanno per base e per presupposto un certo atteggiamento verso la realtà universale... Non è certo possibile includere in questa maniera universalmente cristiana di considerare il mondo e la vita molti dettagli dei credo storici; qualche linea generale comune può tuttavia esser fissata. Ad es., per quanto teologi e filosofi cristiani abbiano sempre assai variamente concepito la natura di Dio, e continueranno in ciò a differire gli uni dagli altri, in questo concordano tutti che Dio deve essere inteso in modo da poterlo chiamare: « Padre ». E dalla paternità di Dio si è sempre dedotta la fraternità umana. Insieme con alcune altre grandi religioni, il cristianesimo ha, ma in un senso tutto
suo proprio, insistito sulla responsabilità individuale. Insieme con tutte le altre (eccettuato il buddismo Hinayana) esso afferma con trionfante certezza l’immortalità dell'anima.
« Altri elementi di fede si potrebbero aggiungere. Uno non può essere trascurato. La cristianità crede che, quantunque il grande movimento spirituale che essa è abbia le sue profonde remote origini nell’ebraismo e nell’ellenismo, c si accordi con le esigenze native dello spirito umano,, tuttavia, come corrente distinta e definibile, ha le sue origini nel primo secolo dell'èra nostra. Riconosce che alcune delle sue idee e parte del suo spirito sono dovuti a Paolo e all’autore del IV Vangelo o a vàrie altre fonti; ma è certo che, più che ad ogni altro .individuo, esso deve essere ricondotto all’esperienza religiosa e all’insegnamento di Gesù Cristo, e Lui riguarda come fondatore. Egli iniziò il movimento, e gli impresse i suoi segni indelebili: in Lui sono mirabilmente espressi i più preziosi insegnamenti; e questi esso accetta, non per la sua autorità, ma per il loro valore, come prova il fatto che altre cose da Lui insegnate ha lasciato cadere, come dovute ai limiti del suo tempo... E, come fatto passato ed esperienza presente, riconosce che dalla sua figura esso trasse e trae le più possenti ispirazioni per la vita di amore a Dio e di servizio degli uomini ».
A un cristianésimo vivo è necessaria una idea vivente del Cristo.
Di concezioni veramente false di Lui non c’è che quelle, le quali pretendono di esser definitive, perchè appunto la vita dello spirito non tollera il definitivo; e tutto quello che è in essa, o da essa discende, si muove e cresce con essa.
Questo senso di vita, contro il vecchio dommatismo ingenuo, mi par caratteristico nei due studi sommariamente indicati.
M.
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BILYCHNIS
RELIGIONI DEL MONDO CLASSICO
(VI, 2.)
10. Nel Rhein. Mus. (1916, p. 17 seg.) W. F. Otto studia il lustrum sotto l’aspetto religioso, politico, linguistico. Secondo lui lustrum è l’operazione per cui si conduce intorno della città un certo nùmero di be-'stie da sacrificio (souvetaunlia)’, lustrare invece è compiere una purificazione rituale. Perciò il primo evita la minaccia di un male; il secondo allontana una colpa od un delitto commessi. Respinte altre ipotesi etimologiche, 1’0. ammette la etimologia lustrum < lutrum (cfr. XvSpov).
Quanto a lustrare ' il cui significato, di purificare e recente, ma che à pur quello di rischiarare, si deve risalire alla radice lue che si trova in lux, lusso, Xióggw, quindi considerare, visitare, ecc. Lustrare vuol dire . far girare una processione d’animali per proteggere un luogo qualsiasi: lustrare, lustrum, onde questo non indica che la parte Erofana del censo. Rivista delle truppe è
lustratio cxetsilus; armilustrium èia consacrazione delle armi; dies lustri cus è il giorno in cui il bambino è mostrato, presentato. Così solo ammettendo un senso profano in lustrum si spiega lustrum cantere, ossia deporre e conservare negli archivi la lista del popolo passato in rivista àlì'inizio di ciascun censimento.
11. Benché non sia se non una raccolta di materiali, è importante il lavoro di E. Tavenner, Studi es in Magic from latin Literalure (New York, Columbia University Press, 1916) coinè contributo allo studio della magia latina. L’A. stesso riconosce però quanto il. suo studio sia manchevole, limitato come è alla ricerca del materiale magico latino nelle sole fonti letterarie. Vi è non solo la viva fiducia, ma anzi la formale promessa dejl’A. di uscire dai’limiti imposti dall’ecoriómia di una tesi di laurea e di completare lo studio. Naturalmente per far ciò egli dovrà non solo completare la ricerca esaminando tutte le fonti che possono illuminarlo sull’og-Setto (letteratura greca, materiale epigra-co e archeologico). ma servirsi della comparazione, come egli stesso lo riconosce (p. 123), per non fare del suo lavoro un puro studio di antichità classica. Come ò
affermato più volte qui e altrove, occorre assolutamente mettere gli studi classici al contatto della vita non con vane formule pseudomoderne, d’occasione, ma con un rinsanguamento scientifico più largo, che obblighi gli autori ed i lettori ad una più vasta concezione, così come pochi, ma buoni di noi pensarono e vollero non oggi, che i venditori di cerotti si impancano a scienziati, ma ieri e prima ancora di ieri!
In ogni modo il lavoro del Tavenner.è un buono , e diligente e interessante lavoro. Vi si esamina in primo luògo introduzione) che cosa sia la magia, come la si definisca e distingua, dalle altre consorelle con cui Suò confondersi, quali ne fossero le fonti itine e come queste varie-fonti ne giudicassero e ne trattassero. Naturalmente il tutto è diligentemente esposto e vagliato secondo il pensiero latino. Segue' in due capitoli lo studio.della magia preventiva, e precisamente della magia ihedica in rapporto alla religione ed alla medicina vera e propria. Còsi .si passa all'esame degli amuleti, di cui è largamente considerato l’uso, i mali che prevengono, il materiale ed altri particolari. In appendice a questa ricerca se ne compie un’altra pel materiale magico profilattico differente dagli amuleti e quindi si conclude sull’elemento essenziale della magia amuletica, la sym-pathia.
Trattandosi, come si vede, di un lavoro che à il carattere di saggio più che altro, e, alla fin dei conti, di compilazione, io non avrei delle osservazioni speciali da fare. Cionondimeno qualche noterclla dai miei appunti può esser utile all’autore e può non riuscire dispiacevole ai lettori.
La conclusione cui egli giunge a proposito della magia profilattica, conclusione avvalorata da una notevole sintesi della ricerca analitica che costituisce la parte centràle del suo lavoro,, non mi par dubbia, a malgrado di qualche apparente contraddizione o difficoltà di spiegazione. Si deve, cioè, ammettere che il principio su cui si fonda la profilassi magica dei Latini è quello della sympathia (p. 113 segg.).
Ugualmente conclusiva pii pare la ricerca. del Tavenner a proposito dell’origine italica della magia (p. 7 e p. 23 segg.) e
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della sua persistenza attraverso gl’influssi culturali e religiosi greci, orientali e cristiani fino ai tempi nostri. Sebbene questa persistenza per l’appunto sia una prova della sua- alta antichità, non credo che il T. farebbe male di provarla con testimonianze che non sarebbe difficile trovare e con qualche ricerca che se anche dovesse riuscirgli più gravosa, sarebbe, per ciò appunto, più soddisfacente e più importante.
Per quel che riguarda invece l’efficacia che si credette, sopratutto dagli scrittori tecnici latini, esercitasse la luna sull’agricoltura e la interpretazione magica che si dette a questa credenza, io sono di parere diverso' dall’A. (p. 27) e vorrei anzi, che questi estendesse le sue ricerche in questo campo servendosi dei lavori scientifici moderni. Ricordo a questo proposito — e potrei, quando si volesse, dar la citazione completa — come molti anni fa l’Accademia delle Scienze di Parigi avesse accertato quanto di veramente scientifico e positivo vi è nelle credenze popolari sull’influsso esercitato dalla luna sul taglio degli alberi. E la controprova di ciò la si à in ùria recente’illustrazione di un nostro studioso, tecnico anche questo, l’Ulpiani, sulle Georgiche. Egli le à riconosciute come un’opera veramente scientifica pur al lume delle teorie moderne. Ora il T. dice che è strano notare come le Georgiche e le Egloghe di Vergilio siano libere da* richiami alla magia rurale. Ne consegue che molte di quelle credenze che anche in tecnici latini si addebitano alla magia possono essere nuli’altro che uh effetto dell’esperienza inconsapevole alla quale unicamente una f>iù ampia ricerca moderna potrebbe dare I valore teorico che le si negava anteriormente.
È necessario perciò approfondire la cosa e nell’interesse degli studi magici, come in quello degli agronomici! distinguere chiaramente quel che era effetto di credenze magiche da quel che era effetto di pratica rurale.
Attendendo una più esauriente ricerca del T. su questo importante argomento, concluderò per ora col far riflettere i lettori come esso forse sia meno «classico» di quello che essi ed il T. stesso credano. Un simile lavoro interessa più che l’espressione ufficiale e culturale del governo di Roma, le quali erano fieramente e totalmente avverse alla magia (p. 59), lo stato di ignoranza é di primitività in cui vivevano le stirpi italiche allora, come vivono
tutt’ora, non dirado e non in pochi luoghi (p. 60). E se allo storico può interessare Juesta lóro espressióne per seguire il córso elle correnti religiose su questo fondo, al ricercatore dell’attualità può non rincrescere di trovare in questa forma antica gran parte dell’anima moderna del popolo italico e trarne le conclusioni.
12. Vài là pena di fàr rilevare ài lettori lo studio del Reitzenstein sul nome di martire, pubblicato nelle Nachrichten von d. Ges. zu Goettingen (1916. P- 417 seg.) per provare sempre più o sempre meglio quanto già sostenni nel mio studio «Impero romano e Cristianesimo» sulla germinazione giudaica di quest’ultimo e sulle sue conseguenze; Il R.» scartando alcune interpretazioni precedenti della parola martire (Katenbusch, Holl) crede di Kter stabilire che papruc designa dapprima
iviato di Dio- che proclama solennemente dinanzi alle autorità o alla folla la sua convinzione che Gesù è il Messia. È la concezione giudaica. In seguito con lo ’sviluppo delle persecuzioni, all’incirca verso la metà del 11 sec., « martire» diviene colui che con coraggio e sopportando ogni sofferenza afferma la verità della sua religione dinanzi al giudice. Vi è qui un'influenza ellenistica, che si può confortare con esempi tolti da Epiteto. Però il Cristianesimo unisce* al concetto di martire l’idea della morte accettata e subita così come l’aveva accettata e subita il Cristo che è il modello del cristiano perfetto*. In-somma per avere una concezione completa dell’idea di martire bisogna fondervi elementi ebraici, ellenistici e cristiani e condurne e vagliarne lo studio sugli evangeli, sui santi padri, su Tertulliano, Origene e altri testi antichi.
13. Per il collegamento che à con la religione dei misteri ellenistici, accenniamo alla risposta che il Reitzenstein dà al-l’Harnack nelle Nachrichten von d. Ges. z. Goettingen (1916, p. 367 segg.) a proposito del rimprovero da lui rivoltogli di aver E urtato un grave colpo all’originalità del* ristianesimo col pretendere che. la formula «fede, carità, speranza» di S. Paolo (I Cor. 13, 13) ed i concetti ch’cssa implica siano stati attinti dall’apostolo alla reli gione dei misteri ellenistici. Il fatto è, secondo il R., che la formula, pei' quanto l’H. lo contesti, non è antichissima perchè ìXirff è ignota ai sinottici e ijiicx vi appare una sola volta ;n Matteo e Luca. Quando, si ricordi che la «Gnosi» era l’orgoglio dei
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Corinzi e, dal punto di vista cristiano, che essa era il grande pericolo della loro comunità, non si avrà difficoltà ad ammettere che Paolo abbia tentato di sostituire ad una formula mistica, d’origine ellenistica, quale xfcrtQ Ìpw;, un’altra formula di carattere più specialmente cristiano, tanto più che una parola simile a quella corinzia si à in Porfiro, ad Marc. 24, il quale certamente non l’à inventata lui.
All'incirca sul medesimo argomentoM. Di-BELIUS nei Neue Jahrb.f. das Klass. Atteri., Gesch. u. d. Litter. ti. Pàdag. (1915. p. ■224 segg.) conclude che grazie al giudaismo ellenistico, che à servito d’intermediario tra l’Ellenismo ed il Cristianesimo, la formula s» <jo5 xcwra, iy coi x«vra, sì; cè wàvra è divenuta cristiana.
14. Il monumento di Ercole Saxanus nel Brohthal è da R. Wigand ne’ Bonner Jahrbùcher, (f. 1230, p. I) collegato con il culto di Mitra. L’A. ne dà la descrizione e ne riporta la raffigurazione in una tavola ed 8 illustrazioni: il monumento è conservato ora a Bonn.
15 Sulle sette òrfiche nell’isola di Creta discorre O. Kern in Hermes (1916, p. 554 segg.). Gli orfici pensavano che la razza umana discendesse sia dai Titani, sia dall’unione della terra e del cielo, e ciò è provato da varie .testimonianze. Tavolette funerarie orfiche furono trovate in Creta, ove i misteri orfici erano uniti a quelli di Ci-bele, che era assimilata a Demetra. Creta diede origine pure ad alcuni inni orfici.
Una buona proposta di integrazione di una parte frammentaria dell’inno orfico ad Iside pubblicato dall’Abel (in Orphica, p. 297, v. 24) fa N. Terzaghi nel BoV. di fil. class. (24.118), completando il semplice silku rt yàp rimasto del verso, con la parola [àppsvójSijXu;. Questo appellativo è veramente felice perchè a tutte le divinità maggiori si attribuiva la capacità generativa completa, tale cioè da procreare gli dei inferiori e l’universo in tutto o in parte, di Sor sè sole, senza bisogno del maschio e ella femmina, intesi come esseri diversi. Ora se tale appellativo si trova per tutti gli dei a cominciare da Zeus per finire con là Luna si riscontra maggiormente negli inni orfici, ove è facile trovare la equazione Sppr.v zac si).«? =S:ovi;, in modo che la dop-f>ia natnra viene concepita come indisso-ubilmente congiunta nella medesima divinità, che quindi è considerata Come x^opou xtwtt«, fondatrice dell’universo. Ora dà te
stimonianze irrefragabili (Apuleio, Plutarco) apprendiamo che anche ad Iside veniva dato un tale attributo, onde la proposta integrazione si può ritenere quasi sicura.
[La qual sagace integrazione del T. è ancor più e meglio confermata dagli studi recenti sulla religione egiziana la cui continuità egli tende a mettere in mostra con le sue «spigolature greco-egizie». Ricorderanno i lettori di questo bollettino il mio largo cenno dell’opera postuma del-l’Amélineau [II, 3], i cui capp. II-1Vcontengono uno studio sui sistemi cosmogonici egiziani che spiegano molte eresie dell’Egitto egiziano e che ci dànno per l’appunto nella concezione eliopolitana una divinità tanto da originare il
cosmo (v. sopra zíapov xTÌorij«) dà una propria... masturbazione],
16. A. Harnack nelle Abh.d. Kbn. Preuss. Akademie d. Wissenschaft. (Phil. histor. cl. 1916, n. 1) pubblica un importante studio sull’opera di Porfiro «contro i Cristiani» della quale riordina i frammenti e raccoglie le testimonianze.
I libri zarà xpscriavtóv furono redatti in Sicilia verso il 279 d. Cr. e costituirono ben presto l’opera capitale per estensione ed erudizione diretta a combattere i Cristiani. La tradizione fa Porfiro catecumeno cristiano a Cesarea di Palestina e per alcune sevizie di cui fu vittima in tale sua qualità apostata della nuova fede.Cionondimeno l’H. ritiene che l’insegnamento di Plotino aveva impresso al suo spirito un orientamento « mistico » conservatore, in modo da renderlo ostile a qualsiasi religione della folla e sopratutto quindi al Cristianesimo. L’opera sua del resto fu riconosciuta così dannosa che ai princìpi del v sec. era già sparita. Costantino fu il primo a ordinarne la soppressione e nel 448 Teodosio II e Va-lentiniano rinnovano l’ordine, senza dubbio perchè qualche esemplare era sfuggito alla condanna. I frammenti che ci sono rimasti provengono dal largo uso che ne feeero i polemisti anticristiani: Hierocle per il primo: poi un ignoto per la refutazioue di Porfiro che fece Macario Magnete: infine l’imperatore Giuliano se ne servì pure.
I Cristiani naturalmente lo combatterono: per il primo Metodo d’Olimpo; ’poi Eusebio da Cesarea con i suoi 25 libri che si può sperare ancora di ritrovare se fin nel sec. xvii se ne trovan le tracce; quindi Apollinare di Laodiceacon 30 libri e nel 400
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Macario Magnete. Non si pud esser sicuri invece che altri scrittori cristiani l’abbiano conosciuto direttamente. S. Gerolamo lo cita, ma a quel che pare derivandone le citazioni dalle opere dèi polemisti or óra ricordati.
I frammenti secondo l’ordine loro dato dall’Harnack permetterebbero una ricostruzione dell’opera in questo modo: I. Critica degli evangelisti e degli apostoli ; II. Critica dell'antico testamento ; III. Critica degli atti e delle parole di Gesù ; IV. L’elemento dogmatico; V. La Chiesa contemporanea. Porfiro non è un critico superficiale: conosce bene ciò di cui tratta e sopratutto la Bibbia. Non si c altrettanto sicuri se egli si sia .servito di Celso; mentre non è fuori dubbio che abbia utilizzato la polemica ebraica anticristiana o che sia stato sotto l’influsso delle idee gnostiche. Ih ogni modo, sia-pur prescindendo dà sofismi, pregiudizi e qualche altro difetto, l'opera è notevole. Per l'Hamack è « una delle ultime opere originali e importanti dal punto di vista storico-critico che l'antichità abbia prodotto».
È curioso notare come, dimenticato questo lavoro anticristiano, il Medioevo abbia avuto per Porfiro una strana simpatia. La memoria dell’Harnack si chiude con appendici critiche, indici, che seguono il testo dei frammenti.
17. Sul mito di Prometeo prima di Esiodo Kbblica un’interessantissima memoria N.
rzaghi negli Atti della R. Ago. di Arch. leti. e Belle Arti di Napoli (5.117). Con una sagace analisi delle Opere e i giorni e della Teogonia di Esiodo e grazie ad una glossa di Esichio che identifica Prometeo con Ithas, egli giunge alla conclusione dell'esistenza di due diverse leggende e tradizioni antropogoniche, fuse nella teogonia esiodea, le quali erano indubbiamente preelleniche. Per l'importanza della cosa ne riferiremo i termini principali.
Da Cronos, unitosi alla Terra-Rea nascono Zeus e gli altri dei; da Ithas, araldo dei Titani, unitosi con la Tcrra-Pandora nascono gli uomini. Dei e uomini quindi son figli della Tena ed ànno la medesima origine. La vita scorreva felice; se non che la nuova generazione volle imporsi all’antica. E poiché era fatale che se Zeus fosse sfuggito ad un figlio più forte di lui, la supremazia sarebbe spettata a lui stesso, occorse che il dominio fosse assegnato in seguito ad una prova. Questa si compì a
Maconc (== paradiso terrestre?), ove uomini e dei convivevano. Quelli che avessero scelto la parte migliore del bue sacrificale avrebbero avuto il primato. E siccome Ithas voleva che questo spettasse al suoi figli, gli uomini, ingannò Zeus che attratto dalle apparenze scelse la parte effettivamente peggiore. Ciò provocò la vendetta di Zeus il quale tolse agli uomini il fuoco: se non che Ithas lo ritrovò, lo rapì a Zeus e lo ridonò ai suoi. Zeus allora meditò un’altra vendetta e fece da Efesto creare la donna la quale, munita di un vaso ben chiuso contenente tutti i mali, fu accolta dagli uomini, aprì il vaso e sparse pei- il mondo tutte le infelicità.
L'altra leggenda invece faceva Zeus desideroso di distruggere, dopo i Titani, gli uomini per creare una nuova generazione. Ma Prometeo, dio dei Titani, Tappagli dei il fuoco e lo dette agli uomini che così Srecedettero nella via della civiltà. Allora eus punì Prometeo nel noto modo finché a gloria maggiore di suo figlio non ne permise la liberazione.
Le quali due versioni appaiono, se bene si esamini, nella tradizione esiodea, la prima nelle Opere, la seconda nella Teogonia e dànno origine poi, mercè il punto di contatto del dóno del fuoco fatto agli uomini, nella unificazione della leggenda dovuta alla nuova cultura ed alla nuova religione, nella tradizione per dir così sin-cretistica greca che culmina nel racconto di Platone (Protagora). Così si perde il nome di Ithas, conservato solo casualmente in una glossa, e la sua persona s’identifica con Prometeo, che prende il sopravvento su di lui.
Come si vede l’importanza letteraria del lavoro del Terzaghi è superata dalla importanza dei risultati «religiosi» del suo studio, al quale rimandiamo quanti desiderano di conoscere la dimostrazione della sua tesi.
18. Il ramo d’oro sui sarcofagi romani che il Robert aveva già proposto d’interpretare come simbolo del ritorno alla vita, a proposito del sarcofago di Adone al La-terano, è ora da lui stesso spiegato nello stesso modo nelle Sitzungsber. d. Kbn. Preuss- Akad. d. Wissen. (anno 1915, p. 709) a proposito dell'il lustrazione di un altro sarcofago attualmente a Vienna, nel quale è rappresentato il ratto di Proserpina (Over-beck, Kunstmyth. Atl. tav. 17, 22).
19. Del sacrifìcio israelitico è fenicio si
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occupa R. Dussaud in una speciale monografia, in cui descrivendo i principali sacrifici israelitici quali risultano dal Levitico e confrontatili con quelli che ci’ risultano dalle tariffe sacrificali cartaginesi rimasteci, rimonta alla loro origine comune. La quale non può esseie che il rituale cananeo, altrimenti detto fenicio. Il che non sembrerà strano quando si rifletta che constatando l'identità dei sacrifici israelitici con quelli cananei (es. II Re, io, 24) i rabbini non sapevano spiegarla diversa-mente che col pensare che Jahvé volesse in. tal modo distornare i suoi dal culto idolatrico. La comparazione con il rituale cananeo porta ad un’altra conseguenza: le norme sacrificali del Levitico sono anteriori all’esilio, forse del tempo della dedica del tempio di Salomone. Ma se il fondo del rituale è così antico, non lo è altrettanto la forma in cui il Levitico ci appare redatto. L’abuso che si fa in esso dei sacrifici è precisamente quello .stesso contro cui tuonano i profeti- che asseriscono che nel deserto gl’isràeliti non sacrificavano o sacrificavano poco e non in forme solenni (Amos 5, 25 e Geremia 7, 22). Ora per l'appunto con il confronto dei documenti cartaginesi si conclude che i sacrifici di cui il Levitico dà le norme sono un acquisto posteriore all’ingresso nel paese di Canaan, all’adozione della lingua, della, scrittura e delle abitudini cananee. Ciò collima col fatto che già da tempo l’attribuzione del Levitico, a Mosè era respinta dalla critica.
La tariffa cartaginese ci riporta ad un rituale antico e verosimilmente apportato dalla Fenicia sin dalla fondazione di Cartagine per opera dei Tirii. L’analogia col rituale israelitico è tale che si può ricostituire nelle sue grandi linee tutta la serie delle cerimonie.
Queste le-conclusioni cui giunge con acute comparazioni e ricerche il D. Meriterebbe conto di esporre alcuni dei risultati parziali delle'sue indagini, come quello a proposito della storia di Athalia, che è connessa all’affermarsi di miti sacrificali derivati appunto dall’influsso che subirono gli avvenimenti storici sotto la pressione <Jel-- l’importanza che ebbe il sacrificio nel culto israelitico.
Tuttavia daremo un saggio degli studi dèi D. facendo cenno della breve e interessante nota ch’egli fa al sacrificio pasquale. Sènza compiere uno studio speciale e ricordando che si'ammette in genere che la Pasqua è una fusione di due feste pri
mitivamente distinte: l’offerta dei primi nati delle greggi (Isiacliti nomadi) e la fèsta dei pani azimi, che apriva il periodo della mietitura (Cananei agricoltori) — il D. dimostra come non basti dire che per gli Israeliti si tratta d’un ricordo dell’offerta dei primi nati del gregge; se ne deve ricercare l’origine intima. Difatti se si nota come il rito pasquale consista nello sgozzare un agnello e cospargere col suo sangue, per mezzo d’un fascetto d’isopo gli stipiti e i battenti della porta di casa, si viene facilmente a riconoscere nella- cerimonia un carattere profilattico. Gli stipiti e i battenti della porta sono gli elementi architettonici ove albergano gli spiriti buoni o cattivi, per cui tingendoli di sangue si incorpora in essi uno spirito familiare, favorevole. l’ànima anzi della famiglia che ha compiuto il sacrificio. Cosi gli spiriti malvagi saranno fugati nel loro passaggio (pésah — hapasah — raa/a). Cfr. Esodo 12, 2x523. Óra se si 'unisce la Pasqua alla festa degli azimi che ha luogo l'indomani (15 Nisan) tutto si spiega chiaramente. Si teme il passaggio degli spiriti malvagi, nocivi all’atto che si sta per compiere: la mietitura. La falce colpirà domani gli spiriti della vegetazione: occorre quindi consacrarsi per agire senza danno e per maggior sicurezza compiere dei riti che allontanino la malvagità degli spiriti messi in moto: a questo bisogno corrisponde il sacrificio pasquale. Gli azimi indicano il rinnovamento e l'offerta della primizia: l'antico lievito è gettato; la primizia è offerta per la benedizione della messe.
La Pasqua dunque è una festa puramente agricola che inizia la mietitura e che si chiude con là Pentecoste.
Per concludere, il lavoro del D. è un ottimo contributo alla storia del sacrificio èd alla ricostruzione della sua teoria.
20. N. Terzaghi nel Boll. fi!, class. (24, 117), commentando Heim. Trism. 18, n, ove i raggi del sole sonò paragonati a mani che raccolgono i frutti della terra, fa notare come questo paragone, che potrebbe apparire a tutta prima strambo, non sia sé non una prova di più della forte continuità nelle concezioni religiose dell'antico e del più recente Egitto. Si'può di fatti con i rilievi di Amenophis IV documentare la raffigurazione del sole raggiante, ogni raggio del quale «finisce con una mano, e due mani da ogni lato reggono la chiave ansata, che si interpreta come il segno della vita». In tal modo si dimostra trionfai-
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mente la connessione tra le idee religiose egiziane antiche ed il pensiero del tardo commentatore greco (v. anche sopra al n. 15). >----'
21. A tutto rigore non dovremmo far cenno in questa rivista dell’opera di J. M. Arvidson, The languore of Titus and Ve-spasian or thè deslruclion of ferusalem (Lund, A. B. Ph. Lindsdedts Univ. Bohhan-del, 1916), poiché il poema epico Tito e Vespasiano che ne forma l’oggetto appartiene al ciclo delle leggende medievali e Suò tutt’al più formare argomento di stufo, quando se ne ricerchino le fonti, per la tradizione della storia e delle leggende classiche nel M. E. Si aggiunga poi che il dótto lavoro dell’Arvidson è. di carattere filologico ed à per ¡scopo di studiare e mettere in evidenza gli elementi linguistici di questa poesia così interessante per gli studiosi di filologia moderna (anglo-franco-*scandinava). Il poema è stato scritto nella secónda metà del xiv sec. dà uri autore . ignoto, sul quale tutto ciò che possiamo ' dire è che la sua- lingua è simile a quella del Chaucer e’che ciò ci autorizza a .credere che esso fosse delle vicinanze di «Londra. In ogni modo poiché il lavoro ci è stato gentilmente rimésso e poiché in questo momento se lo si restituisse all’A. non si sarebbe sicuri che la copia gli perverreb
be, riteniamo dover nostro di farne cenno per non incorrere nella taccia di aver avuto un libro e di non aver corrisposto come è naturale, al dono di un autore col far cenno dell’opera sua. I lettori non avranno perduto nulla da ciò... fors’anzi avranno guadagnato qualche cosa, poiché avremo contribuito molto probabilmente ad accrescere le loro conoscenze sulla ripercussione medievale delle tradizioni storiche e religiose del mondo classico.
22. Su Zeus, Cronos èd i Titani M. Pohlenz ne’ Neue Jahrb. f. das Klass. Alteri. Gesch. u. d. Li Iter.' u. Pàdag. (1916, p. 149 segg.) fa delle interessanti osservazioni che portano a queste conclusioni. Il culto di Crono, antichissimo e sporadico, dimostra l’esistenza di un culto ellenico anteriore alla loro separazione. Il fatto che Zeus è detto figlio di Crono stabilisce altresì la tendenza a far assorbire4!! culto del primo da quello del secondo senza però riuscirvi completamente. In Grecia il culto di Crono è nella parte continentale, quello di Zeus in Créta: sono dunque culti locali, la cui unione è dovuta forse al cretese Epime-nide. Quanto a Titano, esso era un termine che in origine doveva designare la generazione degli dei che furono poi sostituiti dagli dei dell’Olimpo.
Giovanni Costa.
CRONACA BIBLICA
Vili.
I SALMI
Encomiabile il pio intento che il professor Giovanni Luzzi, della Scuola teologica Valdese in Firenze, si propose nell’offrire al pubblico italiano Z Salmi tradotti dall’ebraico e corredati d’introduzione e di note (Firenze, Seeber, 1917; pp. xxxi-288,in-8°). « Più volte, egli dice, ho sentito esprimere da pie persone il rimpianto che nella Chiesa, nelle famiglie e tra il- popolo, il Salterio non sia oggi conosciuto ed amato com'era anticamente. E so che non pochi sacerdoti e laici, i quali mi onorano di un’amicizia che m’é cara e m’hanno seguito durante il mio lavoro con vivo interesse e con simpatia veramente fra
terna, s’augurano ch’esso contribuisca a ridare al Salterio, in Italia, la popolarità d’un tempo 0. Noi pure siamo di coloro che Erovano simpatia verso l’operosità del uzzi nel campo biblico, e che augurano alle sue nobili fatiche i più copiosi frutti di rinnovamento religioso nel popolo italiano. Anche l’eleganza della veste tipografica, e la tenuità del costo, debbono agevolare la diffusione di questo come degli altri suoi lavori di traduttore della sacra Scrittura.
Naturalmente il carattere di questa traduzione va giudicato dallo scopo predetto, a cui il L., com'egli medesimo dichiara, « unicamente ha mirato di continuo ». Perciò, mentre ha cercato che la sua versione fosse fedele, ha pur fatto del suo meglio
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perchè riuscisse popolare. Nelle note ha evitato le intricate questioni filologiche e critiche ch’egli sapeva non avrebbero interessato il popolo; e si è limitato ad accennare, fugacemente, alle questioni delle date e degli autori de’ singoli Salmi. Quantunque d’indole popolare, questo lavoro non è privo di ogni pregiò scientifico: è sì appropriato alla comune capacità del pubblico, ma dignitosamente.
L’atteggiamento del L. circa l’origine storica del Salterio nel suo complesso, risponde alle esigenze della critica temperata. Concede che possano essere davidici vari salmi; ma fa poi sua l'opinione di quei critici che attribuiscono gran parte della
Raccolta ai Leviti; i quali costituivano, come ognun sa, quasi una corporazione Srofessionale di cantori e musici in servizo el Tempio, subalterna alla classe dei Sacerdoti. Per ciò che riguarda il problema delle date di composizione de’ singoli Salmi,-il I,. accetta questa larga classificazione: 1. Salmi di David o dei tempi « consiglio degli empi » è quello dei fautori davidici; 2. Salmi anteriori all’Esilio; 3. del paganesimo ellenistico; i «peccatori» ......................... - • • * sono i rinnegati e traditori della religione mosaica (e la voce ebraica corrispondente significa anche « felloni »); i « beffardi »
Salmi dell’età esilica; 4. Salmi composti tra la fine dell'Esilio e l’età de’ Maccabei; 5. Salmi del tempo de’ Maccabei e dell’età seguente. Quali Salmi si debbano o si possano assegnare all’uno o all’altro di questi Sruppi, il L. avverte man mano nel corso ella • traduzione. La quale non è senza pregio sotto l’aspetto esegetico, tome pur nel rispetto letterario; benché non sempre vigorosa nè concisa quanto potrebb’es-sere, forse, senza nocumento alla chiarezza popolare.
Si comprende facilmente che gli studiosi del Vecchio Testamento, conoscitori delle questioni che la critica suscita quasi a ogni passo, possono alla interpretazione del Luzzi anteporre spesso un’altra ugualmente, ovvero, anche più probabile. Prendiamo, per esempio, il primo Salmo. Per ciò che si riferisce alla data congetturale della sua composizione, il L. dice: « questo soltanto si può affermare; eh’esso non è de’ più antichi della collezione: se Ger, 17.5-8; ed Ezech. 47,12; sono citazioni o reminiscenze del nostro Salmo, esso deve ritenersi anteriore alla deportazione del popolo di Giuda in Babilonia (597 av. Cr.) ». Taluno, invece, potrebbe dire che questo Salmo ha nel pensiero e nel .linguaggio impressa la data del tempo dei Maccabei. Già il Rudinger nella sua parafrasi dei Salmi, pubblicata 300 anni fa, scorgeva in questo Salmo un’allusione alle
condizioni religiose de’ Giudei nell’età di Antioco Epifane; e lo assegnava a quel tempo. Allora le allusioni ad avvenimenti posteriori, di poco o di molto, al re David, supposto autore del Salterio, gli esegeti le spiegavano concedendo, non la composizione tardiva di questo e di quel Salmo, ma attribuendo il dono di profezia al « reale Salmista ». Parecchi critici mo
derni assegnano al primo (e anche al se-, condo) Salmo la data nell’età de’ Maccabei. Se vogliamo ricordare il tragico conflitto che allora ferveva in Gerusalemme tra il Giudaismo e l’Ellenismo, tra la religione deità Legge, da cui parecchi giudei apostatarono, e la civiltà ellenistica, che i pii seguaci del Fariseismo avevano in orrore; e se di quel conflitto spirituale, che era individuale e nazionale a un tempo, noi vogliamo udire l’eco nel primo Salmo, allora quasi tutte le sue parole acquistano un significato ben più vivido, insieme con un drammatico colorito storico. Allora-il
sono quelli che, ammaestrati dalla civiltà nuova, deridono la circoncisione, l’osservanza del Sabato e le altre pratiche del Giudaismo; ed essi nel «giorno del giudizio », cioè, della crisi in cui la lotta avrà termine, non rimarranno i padroni del campo, ossia, del paese; ma saranno discacciati e dispersi, come «pula che il vento disperde », mentre sulraia rimane il grano, che simboleggia i figli d’Israele buoni e fedeli: questi sono «la comunità dei giusti », gli Assidei, la cui « via » o condotta Dio « conosce », cioè , approva e sostiene'(la voce ebraica significa « conoscere » con affetto ed effetto); e la « via degli empi », ossia, il partito dei rinnegati «finirà in perdizione», rovina ed esilio. Nel verso i. si può tradurre meglio (con la Vulgata) i tre verbi al preterito, anziché al presente: non’andò, non si fermò, non sedè con gli empi. Così l’Ewald, l’Haupt ed altri. E nel verso 2., invece di « medita la legge », meglio sarebbe « recita la legge », secondo il significato normale della rispettiva voce ebraica nel .Giudaismo. La « meditazione » come atto puramente mentale non è nelle consuetudini religiose pegli Ebrei; essi « recitano » il sacro scritto volendo « studiare » la parola divina; e la recitazione come lo studio, è per essi
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anche un atto di culto reso alla diletta Toràh.
Osservazioni filologiche si potrebbero fare su vari Salmi. Se non che il L. medesimo nell'introduzione scrive: «ch’io sia ben lungi dall’aver raggiunto l’ideale che m’ero proposto, nessuno sa meglio di me ». Nondimeno, per la cura diligente e reverente che vi pose, egli spera che in Italia si vorrà fare al suo Salterio la stessa buona accoglienza che già fu fatta alla sua versione del Nuovo Testamento. Tale speranza già. si è avverata; e ce ne rallegriamo.
Il riportare le origini della salmodia ebraica all’età più antica della vita nazionale d’Israele in Canaan, e quindi l’assegnare più salmi ai leviti del tempio salomonico, è proprio una tendenza della critica recentissima. Alla quale, per esem-Ì>io, propende il prof-. Kittei nel suo recente avorosni Salmi (Die Psalmcn, 1914). Dopo di avere tratteggiata l’antichissirfìa poesia religiosa dei Babilonesi e degli Egiziani, addita la rassomiglianza con essa della salmodia ebraica, e conclude facendo questa osservazione. Da ciò risulta, come assai Srobabile, la remota antichità delle origini ella salmodia israelitica; e in pari tempo la debolezza di certe congetture, propugnate con troppa fiducia anche oggidì, intése a mostrare la nascita tardiva della poesia religiosa presso gli Ebrei. Essa, per lo contrario, potè nascere con la vita nazionale d’Israele; e quindi accompagnarlo in tutte le età della sua storia (p. XXXIII). Però conviene soggiungere che quella tendenza mira anche, nell’intenzione dei fautori della scuola « storico-religiosa » in contrasto con quella del Wellhausen, a far apparire la salmodia ebraica come una derivazione dà quella babilonese, togliendole quasi ogni pregio di vera originalità; il che dovrebbe far dire agli esegeti ortodossamente conservatori: ® troppa grazia »!
LIBRO DI GIOBBE
Il prof. Luzzi, con lodevole operosità e pio scopo, dopo quella del Salterio, presenta al pubblico italiano la versione dèi capolavoro della poesia ebraica, (Giobbe, tradotto dall’ebraico e annotato. Firenze, Seeber, 1918; pp. xx-141 in-8°, I.. 1,80). Egli conosce le difficoltà di tale impresa nonché le moltéplici esigenze della critica in proposito; e di queste tien conto in quella misura che stima conveniente in un la
voro ’destinato, non agli ebraicisti, ma alle persone colte in generale.
Come saggio di questo lavoro, ecco la celebre descrizione del cavallo in guerra (cap. 39, 19-25). È lahvé che parla a Giobbe.
Sci tu che dài al cavallo il coraggio? che gli vesti il collo di fremito?
Sei tu che lo fai saltare come la locusta? l’orgoglio del suo sbuffare mette spavento.
Raspa la valle, cd esulta della sua forza;
si slancia incontro alle armi.
Della paura si ride, non trema; non rincula davanti alla spada.
Gli risuona in groppo il turcasso, l’asta lampeggiante ed il dardo.
Divora con rabida furia la terra;
lo squillo della tromba non gli par vero.
Com’ode lo squillo, dà in un nitrito, e fiuta da lontano la battaglia, il tuono dei duci, il grido di guerra.
C ’
Solamente qualche frase di questo bel tratto non ci piace. Invece di «si ride», noi ^netteremmo, con il Diodati, « si beffa ». Il perchè lo additiamo con una citazione leopardiana. « Si potrebbe dire in Ìualche modo, che gli uccelli partecipano el privilegio che ha l’uomo di ridere: il quale non Hanno gli altri animali... Cosa certamente mirabile è questa, che nel-l’uomo, il quale infra tutte le creature è la più travagliata, si trovi la facoltà del riso, aliena da ogni altro animale ». Ci sembra, insomma, che l’attribuire il riso al cavallo, sia far uso di una metafora troppo ardita. Col suo fare l’animale mostra disprezzo; e auel suo fare è bene designato dicendo: « si beffa ». Questo verbo, a nostro avviso, serba la necessaria imprecisione, ed esprime con proprietà il senso... In luogo di «com’ode lo squillo, dà in un nitrito », noi metteremmo la letterale traduzione: « alla tromba, risponde ahàl ». E nello stico: « sei tu che gli vesti il collo di fremito », in luogo di « fremito » (poiché la voce ebraica è oscura) noi metteremmo « criniera », filologicamente possibile. Qualche altra osservazione potremmo fare, ma dobbiamo fermarci.
Staremmo per dire che una traduzione italiana del poema di Giobbe degna in tutto della sua bellezza, non può uscire che dalla penna di un Leopardi redivivo che conosca a fondo l’ebraico. Con ciò non vogliamo insinuare che la versione del Luzzi sia senza pregio: essa è notevol-
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mente accurata c chiara. Ma il L. medesimo sa e dice di non aver potuto superare come traduttore tutte le difficoltà soddisfacentemente. « Ognuno capirà facilmente — egli nota nell’introduzione —'che un lavoro della natura di questo mio non è da considerarsi definitivo, esso non può essere che preparatorio. M’ha confortato il pensiero che altri, più forti di me, incoraggiati dal mio modesto tentativo, si sentiran forse spinti a riaffrontare la prova, e riusciranno a far meglio a. In tanto, la sua diligente traduzione segna un progresso su quella del Diodati; della quale è molto più chiara anche per le note, in cui à passo a passo è indicato con precisione lo svolgimento delle ide.e nel dialogo di Giobbe con i suoi amici, molesti e insolenti talora.
Nelle poche ma succose pagine introduttive. il Luzzi porge, a comuni lettori, le nozioni generali circa l’argomento, il carattere, lo scopo e l’autore del libro tradotto. Alla questione se il libro di Giobbe sia storia o finzione, il Luzzi risponde essere probabilissimo che l’autore non abbia creato tutto, ma si sia giovato della ricordanza di un fatto serbato nella tradizione popolare, a In che cosa esattamente esistesse cotesto ricordo tradizionale non si sa; ma in questo suppergiù: che ci fu una volta un uomo pio, chiamato Giobbe, il quale, colpito da inaudite sventure, proruppe in lamenti contro la Provvidenza e non si lasciò persuadere dalle parole che gli rivolgevano gli amici; ma siccome non abbandonò mai la sua fede in Dio, ricuperò, alla fine, tutto quello che avea perduto, e molto di più ». Su di questa tradizione il poeta elaborò i^' suo Sensiero di filosofia religiosa, proponen-osi il problema delle sofferenze del giusto. Lo scopo del poeta, dice il L.. è questo: « combattere il concetto tradizionale della giustizia rimuneratrice di Dio, che diceva: ogni sciagura è sempre una pena, che la divina Provvidenza infligge a chi ha commesso qualche peccato. Gli amici di Giobbe sono i patrocinatori della tesi ortodossa di que’ tempi ».
Chi fu l’autore di questo poema immortale non si sa. Quanto all’unità letteraria del libro com’è a noi pervenuto, il Luzzi dice: «è ormai generalmente ammesso che il prologo, l’epilogo, i discorsi del-l’Eterno, meno, se mai le descrizioni dell’ippopotamo e del coccodrillo, fanno parte del poema primitivo ». Dei discorsi
di Elihu, che evidentemente sono di un altro autore, delle perplessità create dallo stato del testo nei capitoli 25, 26, 27 e 28, il Luzzi si occupa; non senza abilità, nelle note.
Anche in questq studio, come in quello del Salterio, l’atteggiaménto del Luzzi è in armonia con le esigenze della critica temperata, quale si addice a un lavoro di sana indole popolare.
VITA DI GESÙ
Il libro di Pietro Chiminelli su « Gesù di Nazareth » (Roma, Scuola Teologica Battista; 1918; pp. xx-524 in-8®; L. 4) è un saggio storico di carattere popolare. L’A. si propose — com’egli dice nella prefazione —- di « individualizzare la luminosa figura di Gesù? per poterla adattare a questo nostro ambiente il quale più che ad una gnosi, ad un culto o ad un rito, tende di preferenza ad una vita eroica qual’è quella tipificata in sé da Cristo ». È cercò di • mettere nel più alto rilievo possibile la storicità di Gesù »; non. reputandola irraggiungibile, cioè, non ’accogliendo l’opinione di tanti .studiosi che stimano non potersi scrivere su di Lui che « un saggio poetico, oppure, un saggio dogmatico », Da ciò non si arguisca che in questo saggio sulla figura storica di Gesù non abbiano parte alcuna nè la poesia nè la teologia. Notevolmente la poesia c’è, in prosa;, e qua e là anche in versi, tolti dal Pascoli e da qualche altro -poeta moderno. *.a teologia, poi, c’è particolarmente in questi tre punte natura divina di Gesù, realtà storica dei’miracoli a Lui attribuiti nella narrazione evangelica, e realtà divina della Sua resurrezione, l’ero mólte pagine sono state scritte, dall’A. con atteggiamento libero da preoccupazioni d’indole teologica; e senza dubbio, come egli prevede, qualcuno « trincerato dietro la posticcia pretesa d’un’ortodossia mal compresa », troverà in questo libro una «interpretazione dell’opera e.del pensiero del Maestro non in tutto conforme al suo proprio ordine di vedute ». Ma l’A. ha già risposto ai censori di tal sorta, nella prefazione, dicendo: « quando ci accingemmo a stendere questo saggio di biografia del Cristo, noi ci siamo imposti il sacro dovere di coscienza di guardarlo fissamente in faccia, senza adoperare le lenti di nessun altro, e ci siamo sforzati di far passare le fonti da dove attingemmo^ il materiale di ricostruzione della sua vita attraverso il
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nostro cuore, la nostra intelligenza e la nostra coscienza ». E noi reputiamo onesta la indipendenza spirituale con cui il Chiminelli ha toccato certe questioni.
Circa varie -cose della narrazione evangelica, l’intelligenza e la coscienza interrogate liberamente gli hanno suggerito buoni pensieri che giungeranno all'animo' dei lettori turbati da idee pseudoteologiche o pseudoscientifiche, come raggi di luce mite e gioconda.
Ecco qualche esempio. Parlando del « vangelo dell'infanzia » di Gesù, scrive: « La nostra fede, in Gesù basa le sue ragioni inconcusse su motivi di ordine interiore. Non s’intralcino le indagini della critica. La fórma (di quei ' racconti evangelici) non è che un velo artistico che va guardato solamente dal lato poetico. Ciò che importa è il fondo, cioè, la natura divina di Gesù. Orbene, il fondo di quei racconti è pur sempre di un immenso valore religioso. Che vuol dire quella comparsa di ‘angeli melodianti ai semplici pastori se non che la gran luce è fatta per i semplici e per i poveri i quali in passato come in presente sono sempre i meglio disposti verso le verità sante? Quella stella accennante nel cielo il cammino a sapienti figli di Zoroastro,... quella epifania o manifestazione del divino non è il preludio del largo movimento che porterà il mondo al Vangelo? » (p. 67 s.). Circa la predicazione di Gesù il lettore trova buone osservazioni, come la seguente. «Gesù non trattò temi teologici. Gesù fu la vittima dei teologi c delle teologie. In quanto sistema di dottrina, la teologia non è una creazione di Gesù, poiché Egli non elaborò dogmi di fede o credi speciali. Tutte queste cose sono incrostazioni sovrappostesi al suo limpido pensiero. La mentalità ecclesiastica dei secoli posteriori passò a lambicco le idee di Gesù — idee fresche e fluenti come acqua di sorgiva — ed ebbe poi il torto di ostinarsi a presentare questo suo distillato come genuina dottrina del Maestro » (p. 100 s.). E quanto al miracolo nella vita di Gesù, vero ch’esso deve essere contemplato precipuamente come opera benefica, «sotto la duplice luce dell'amore umano, del quale esso è la più vibrante espressione, e dell’insegnamento divinamente bello ch’esso cela sempre in sè » (p. 229). Vero che Gesù anteponeva là fede al miracolo e che « secóndo Gesù, il valore de’ suoi miracoli nello stabilire la fede in Lui, non dev’essere assoluto ■
(p. 230). « Fino a oggi le Chiese hanno mostrato solo un lato dèi Cristo, il lato metafisico e trascendentale. È stato un vanto del libero cristianesimo del nostro secolo Juello di farci vedere anche l’altro lato ella sua vita, quel suo lato umano, pervaso da fremiti e da tenerezze, che non è il meno bello. Visti, come un quadro artistico, nella loro vera luce dì tenerezza e di solidarietà umana, i miracoli di Gesù acquistano un valore finora incompreso » (p. 248). Quanto alle parabole, il Chiminelli ne termina l’esame dicendo: «artistiche nella forma e luminose nell’insegnamento, esse mettono in luce la mente del Cristo e fanno sentire il palpito del suo immenso cuore» (p. 185). Enumerando le riforme operate da Gesù con la sua dottrina, fa pure, tra le tante, anche questa osservazione non nuova ma giusta: « l’interpretazione letterale e tolstoianamente intesa di quel precetto, del Sermone del monte, di non' fare resistenza al malvagio, non risponde al pensiero di Gesù: ha un ristretto valore individuale e morale, e limitata applicazione al cuore dell'indivi-duo. Errano coloro che in occasione di una qualsiasi guerra, senza fare alcuna distinzione, gridano al tramonto storico e all'ideale fondamentalmente pacificatore del Maestro» (p. 417). Vogliamo soggiungere, per nostro conto, che l’esegesi evangelica di Leone Tolstoi fu sempre guardata con sorriso dai conoscitori della moderna critica, da lui assolutamente obliata e fors’anche ignorata: a ridurre tutto il Vangelo in cinque versi di San Matteo, senza neppure collocare.quelle poche parole nella loro cornice storica — che innegabilmente è la prospettiva giudaica di una imminente palingenesi — ci voleva appunto uno straordinario talento romantico!
Ma vogliamo citare, dall’ùltima pagina del libro, un periodo che palesa bene il pensiero e il carattere di tutta la trattazione. « Figliuolo dell'uomo e figliuolo di Dio nella piena estensione di -questi due termini, il Gesù della storia e dei Vangeli, per essere compreso, non va guardato attraverso le pose ieratiche degli iridati finestroni d’una cattedrale, nè attraverso le caricature de’ suoi pretesi rappresentanti, cóme neppure attraverso le lenti affumicate d’una mente corrotta e d’un cuore egoista. La sua figura integrale non si rivelerà giammai a coloro che si sfòrze ranno di decifrarla come il convenzionale geroglifico di un monolito egiziano, bensì
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si rivelerà a coloro che lo avranno già interiormente trovato. Solo a codesti fervidi spiriti Egli si rivelerà nelle sue serene bellezze, ne’ suoi reconditi segreti, nelle sue eccelse idealità ed essi lo vedranno grande, grande come il suo celeste Padre del quale Egli fu, in terra, la più pura manifestazione » (p. 522 s.). I letton possono intendere anche dai soli passi qui citati come sia meritato l'elogio che di questo volume fa, nella bella pagina d’introduzione, il chiaro dott. D. G. Whittinghill dicendo esservi in questo lavoro « una presentazione del Salvatore del mondo atta a suscitare nel lettore un vivo interesse per Lui ed un ardente desiderio di obbedirlo lealmente e di amarlo sinceramente ». E noi ce ne rallegriamo per il bene che la lettura di questo libro potrà fare a tante intelligenze e coscienze anelanti alla luce del pensiero e alla pace dello spirito, nel turbine della vita angustiata da dubbi e delusioni.
Però, ai rallegramenti aggiungiamo qualche osservazione per amore di verità; per dire cioè all’A. che questo suo lavoro abbisogna di miglioramenti, ch'egli medesimo potrà farvi.
Troppo poche e troppo tinte di pessimismo convenzionale ci sembrano le pagine del capo primo, dove si descrive il mondo al tempo della nascita di Gesù. Meglio che nei luoghi comuni della letteratura classica, il sentimento religioso e morale del popolo pagano appare nelle umili e schiette testimonianze della vita domestica, che gli studiosi rintracciano nei papiri e nelle iscrizioni: ne risulta che la religiosità era assai viva e la condotta morale non troppo cattiva. Quanto alla filosofia greca, dopo la sentenza che dice avere essa addensato tenebre e tenebre con appena «qualche sprazzo di luce» (p. io), ameremmo leggere quest’altra, di Clemente Alessandrino: «.Dio ha educato a Cristo i Greci per mezzó della loro filosofia, come i Giudei per via della Legge » (Strom. I, 5, 28). Quanto all’ambiente religioso giudaico, in questo come generalmente negli altri capitoli, le nozióni accolte sono quelle comuni, che noi però stimiamo inesatte in più punti; benché correnti presso scrittori reputati autorevoli: se; condo noi, solamente due o tre autori moderni possono far testo in materia; e dal Chiminelli non sono citati, neppure di secónda mano. Anche le pagine del capo secondò, dove si descrive la Palestina, possono essere migliorate dall’A., quando
abbia consultato testi di geografia storica palestinese ben più autorevoli che non le descrizioni di romanzieri che videro si e no la valle del Giordano. Per ciò che concerne la critica evangelica ci limitiamo a due punti. A pie’ di una pagina (225) si legge questa nota. « Siccome là questione del Vangelo giovanneo è ancora sub indice, scientificamente non si può attribuire al quarto Vangelo altrettanto valore critico quanto ai tre Evangeli sinottici ». Ma nelle pagine del capo nono, dove sono descritti i miracoli, l’A. attribuisce al quarto vangelo un valore storico uguale a quello dei Sinottici. Non che il dubbio, c’è nel pensiero de’ critici veramente competenti e in pari tempo indipendenti la certezza scientifica che il quarto vangelo è una mistica interpretazione allegorica della vita di Gesù. Se non fosse senza pretese propriamente storiche, come conciliarlo — qui starebbe la questione insolubile! — con i Sinottici, in ciò che nar-. rano e per quel che tacciono? Ad esempio, se il raccontò giovanneo della risurrezione di Lazzaro anziché un sublime quadro allegorico, è un ragguaglio storico, come vuole il Chiminelli, chi ci spiegherà il silenzio di Marco, di Matteo e di Luca circa « il più solenne miracolo operato da Gesù nella sua vita » (p. 356) ? Si può, anzi si deve, in un saggio popolare com’è il libro che esaminiamo, addurre anche il quarto vangelo; ma con discrezione e circospezione. I.’altro punto che non approviamo nella critica evangelica dell* A. «concerne la complessa nozione di parabola come «geroglifico» da lui accettata e giustificata con i soliti argomenti escogitati a -posteriori. Che Gesù con le sue parabole cercasse di farsi capire, ma anche di non lasciarsi ben capire, è una teoria artificiale, per quanto sembri fondata su alcuni passi dei Sinottici in contrasto, però, con altri passi. La soluzione di questa difficile questione fu già intraweduta dal celebre esegeta Maldonato S. I., più di tre secoli fa; e al tempo nòstro è stata studiata in due poderosi volumi da A. Julicher, che fanno testo agli occhi di color che sanno. Può darsi che, talora, le parabole di Gesù siano state capite non bene dal volgo; ma la critica più acuta, d’accordo con la fede Eiù delicata, non osa dire che il dolce
Maestro intenzionalmente nascose, né tanto né poco, il suo pensiero rinnovatóre al Kolo di Galilea, il popolo del Suo cuore ocato di luce e di amore.
r. e p.
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NOTIZIARIO
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NOTIZIARIO
DANTE
Il Comitato di Ravenna per il Centenario della morte di Dante ha bandito un concorso sul tema : « Esporre le dottrine filosofiche e teologiche di Dante, illustrandole nelle loro fonti ». I manoscritti — inediti, redatti in italiano o in latino, in inglese, in tedesco, anonimi, segnati da un motto e accompagnati da una busta che ripeta il motto e chiuda il nome e cognome — devono inviarsi alla segreteria della Società Italiana per gli studi filosofici (via P. Maroncelli, 23, Milano). Il premio è di 3000 lire. Il lavoro rimarrà proprietà dei Comitato, il quale ne curerà la pubblicazione in occasione dei festeggiamenti.
Nella Casa di Dante a Roma (Torre dell’An-guillara in Piazza d’Italia) il 26 gennaio si sono riprese le letture dantesche con l’illustrazione del canto I del Purgatorio fatta da Vittorio Rossi dell’università di Roma. Il programma dell’intiero corso si svolge sui primi XI Canti del Purgatorio, come segue :
26 gennaio: Vittorio Rossi - Canto I — 2 febbraio : Luigi Valli - Canto II — 9 febbraio : Manfredi Porena - Canto III — 16 febbraio: Antonio Baldini - Canto IV — 23 febbraio: Corrado Ricci - Canto V — 2 marzo : Alfredo Fanzini - Canto VI —9 marzo: Goffredo Bellona - Canto VII — 16 marzo: Luigi Petro-bono - Canto Vili — 23 marzo: Alessandro Ghignoni - Canto IX — 30 marzo: Adolfo Venturi - Canto X — 6 aprile: Marco Besso -Cantò XI — 13 aprile: Salvatore Barzilai,-Dante e il sentimento nazionale.
SCOMPARSI
Teodoro Roosevelt, l’ex Presidente degli Stati Uniti, è morto nella sua dimora di Oyster Bay il 6 gennaio scorso.
Ermete Novelli, l’attore illustre, è morto a Napoli il 29 gennaio scorso a 68 anni compiuti.
NEL CAMPO DEGLI STUDI
L’Università libera di Bruxelles il 21 gennaio è stata riaperta con solenne cerimonia. Il rettore ha esortato gli studenti reduci dalle trincee a dare ora tutte le loro energie per la rinascita del Belgio nel mondo rinnovato.
La Biblioteca Nazionale di Firenze avrà presto una splendida sede. I lavori di costruzione del grande edifìcio ricevono un nuovo impulso con lo stanziamento da parte del Ministero della P. I., di tre milioni chè i primi fondi furono già spesi per far largo alla nuova costruzione, per aprire la via Magliabechi da tempo ormai aperta al transito, per l'ampliamento della Piazzetta dei Cavai leggeri che diverrà la piazza della Biblioteca, nonché per le opere di fondazione e basamento dell’edificio che, come è noto, coprirà un’area di mq. 6000, avendo due fronti principali e monumentali lunghe circa 100 metri ognuno verso l’Arno e verso S. Croce.
In questi giorni l’architetto dell’opera com-. mendatore Cesare Bazzani ha consegnato tutti i piani e gli alzali della tribuna dantésca che è la parte più significativa dell’edificio, dovendo essa accogliere tutti cimeli danteschi che sono in Firenze. È intendimento del Ministero della P. I. che la tribuna sia compiuta nel 1921 in occasione del centenario di Dante.
Una missione americana ha scoperto recentemente nelle rovine della città di Sardi una iscrizione bilingue, il cui interesse sta nel fatto eh’essa contiene il vocabolo Sfrd (Seferad) come forma semitica di Sardi. Si sa che questo nome trovasi nella profezia di Abdia (v. 20) e già parecchi commentatori avevano proposto di tradurlo in Sardi : « I captivi di Gerusalemme che sono a Seferad possedevano le città del mezzodì » (della Palestina). È un’iscrizione funeraria, quale se ne incontra un po’ dovunque nel mondo semitico, che risale circa il 394 a. Cr. Il proprietario invoca la maledizione di Artemis (Diana) di Colesse e di Efeso su chi danneggerà il sepolcro.
La presenza a Sardi d’un’iscrizione aramaica corrisponde bene al fatto ben noto della diffusione dell’aramaico in tutta l’Asia occidentale.
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H. Wlldon Carr esamina ampiamente la filosofia di Benedetto Croce nel suo recente volume edito a Londra : « The philosophy of B. Croce ».
I. Segond ha pubblicato un volume su « La guerre mondiale et la vie spirititene ». In questo studio l’a. esaminando la guerra dal pùnto di vista filosofico, critica largamente l’atteggiamento di Romain Rolland.
L’elogio della pazzia, l’opera a cui è legata la celebrità di Erasmo di Rotterdam, viene adesso ripubblicata presso la Biblioteca Besso, tradotta, commentata e corredata dall’iconografia dell’opera e dell’uomo da Marco Besso.
Si annunzia prossima la pubblicazione della traduzione italiana dell’opera di Baruch Hag-gani sulla vita del grande ebraicista Teodoro Herzl.
Federico Mistral come poeta, moralista e cittadino è studiato da Pierre Lasserre in un bel volume edito dal Payot di Parigi. Ne parleremo'.
Perchè la Francia non abbracciò la Riforma nel secolo xvi ? Questa quistione è trattata nel recente volume di Albert Autin: « L’échecde la Reforme en Franco au xvi siècle », edito dal Colin di Parigi. Ne riparleremo.
È pronta la nuova edizione della grande « Grammatica del Greco del Nuovo Testamento alla luce della ricerca storica», opera monumentale di 1400 pagine in ottavo dei prof. A. T. Robertson della Facoltà Teologica Battista di Louisville (U. S. A.).
La « Revue Biblique » di Parigi afferma che « quest’opera è senza dubbio il più importante contributo citte si possegga per la grammatica del Nuovo Testamento». Il grosso volume è rilegato e costa in Italia L. 32. — Per l’Italia le richieste debbono indirizzarsi alla Libreria Ed. Bilychnis..
«Charles Péguy et les cahiers de da quin-zaine » è un recente volume nel quale Daniel Halévy parla di quella curiosa, attraente, simpatica e suggestiva figura di cattolico francese.
Un numero speciale della « Revue de méta-fisique et de morale » preparato con cura dal suo direttore Xavier Léon è dedicato al IV Centenario della Riforma. Numerosi articoli sono raccolti sotto i seguenti titoli : I^a riforma tedesca — La riforma francese — La riforma inglese — Le origini protestanti della democrazia — La riforma e il mondo moderno. Ne riparleremo.
PERIODICI
La Nuova Giornata, Róma, (Via Abruzzi, 8), rassegna quindicinale, iniziò le sue pubblicazioni il i® novembre scorsoi
È dedicata specialmente agli ufficiali di tutte le armi e di tutte le età della giovinezza che ritornano dalle trincee. Il programmasi chiude cosi : « Tutti sentiamo il bisogno di un rinnovamento. Perchè voi possiate esprimere tutto quello di cui siete capaci in questo senso, occorre che non siate tagliati fuori dalle cognizioni tecniche, dalle correnti spirituali, dal pensiero moderno, dalla riflessione sopra il nostro paese. Se questa rivista riuscisse, almeno in parte, a svolgere questo programma e a raccogliere intorno a quest’opera qualche centinaio di giovani ufficiali, domani cittadini d’Italia, ci parrebbe quasi di aver sognato ».
Da un articolo nel quale Francesco Aquilani! su II Tempo del 23 novembre u. s. illustrava ampiamente il programma de. La Nuova Giornata, apprendiamo che « i pionieri di questa rinascita spirituale » che « si propongono di fare opera educatrice di libertà e di rispondere ad un’esigenza ideale vivissima... » sono l’avv. Mario Ferrara, Antonio Anzilotti e Giuseppe Prato, ai quali inviamo i nostri vivissimi auguri.
La Nuova Riforma, fondendosi col periodico « Il Grido », riprende le sue pubblicazioni trasformata in Rivista di Critica politica e sociale dal titolo: «Il Rinnovamento». Redattori : Gennaro Avolio e Dino Fienga. Abbonamento annuo L. 6 — Estero L. 8. (Napoli, S. Antonio a Tarsia, 2. Il primo fascicolo doppio esce in febbraio.
Ardita si chiama .la rivista mensile del « Popolo d’Italia» che uscirà il i° marzo. « Porterà nelle case — dice l’annunzio — negli ambienti letterari, nelle famiglie, il suo soffio di vita impetuosa e sana, seminando a piene mani la sua festa di luce e di colori».
La Vraie Italie con programma politico-letterario è sorta a Firenze per impulso di anime italianissime ed è diretta da Giovanni Papini.
Volontà la rivista quindicinale che « prima di esser parola fu vita aspra nelle trincee del-l’Isonzo e che fu fede provata con sacrificio-di giovinezza da alcuni di coloro che la pensarono quale espressione di vigorosa coscienza italiana », da Vicenza si è trasferita a Roma (Via delle Convertite, 9). « Preparatevi a fare l’Italia della pace degna della migliore Italia che si rivelò nella guerra ».
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NOTIZIARIO
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Energie nuove, rivista quindicinale di giovani per giovani, si pubblica a Torino (Via Venti Settembre, 60) e s’occupa di politica, letteratura, arte ed economia.
Vita fraterna, rivista quindicinale di studio e di azione è edita da un gruppo di donne italiane animate di fede illuminata ed operante. (Via Spiga, 25 - Milano).
« Noi », la rivista d’arte edita dalla « Casa d’arte italiana », ha ripreso le sue pubblicazioni. Essa mostra il suo desiderio di accentrare intorno a sé il movimento artistico moderno nelle sue più varie manifestazioni.
« Conferenze e prolusioni » del 16 gennaio-i° febbraio è tutto dedicato alla visita di Wilson in Italia. In questo fascicolo doppio sono pubblicati uno scritto del prof. Cosentini su « La opera scientifica di W. Wilson » ed una conferenza dell’ón. Bevione su « Wilson e l’Uma-nità» Oltre che i vari discorsi indirizzati a Wilson e quelli in risposta di Wilson stesso in occasione delle sue visite a Roma, Genova, Milano e Torino. Il fascicolo costa cent. 70.
Fol et Vie del 20'gennaio pubblica una conferenza di Emilio Doumergue, il noto biografo di Calvino, sul soggetto : « Calvino e l’Intesa; da Wilson a Calvino». Ne daremo un largo sunto.
NEL MONDO CATTOLICO
Una medaglia commemorante la Pace è stata fatta coniare da Benedetto XV. Essa reca nel retto l’effigie del Pontefice con la leggenda in latino : « Benedetto XV, vicario del Principe della Pace » e nel rovescio è rappresentato il Redentore fiancheggiato dagli angeli della Giustizia e della Pace.
Una cattedra dantesca è stata inaugurata il 22 gennaio presso il Collegio Angelico (in Roma - Via S. Vitale, 65) per iniziativa del Generale dei Domenicani. Nel discorso inaugurale l’oratore ha insistito sulla necessità di rinnovare l’insegnamento dell’ordine sullo esempio dell’Alighieri, che dal materiale della scolastica seppe trarre la « Divina Commedia ».
Colla riapertura delle Case e dei Collegi Salesiani di Turchia avvenuta testé per opera delle truppe italiane colà sbarcate, sond tornati alle loro sedi i Padri che ne erano stati violentemente allontanati ed internati.
All’ istituto Biblico Pontificio il 26 gennàio scorso ebbe principiò la serie di-.conferenze nell’aula massima con una lettura del Power sul tema : « Arabie Customs as illustrating thè Bible ».
La domenica 2 febbraio parlò il Rev. P. G.
de lerphanion su : < La part des Evangiles apocryphes dans l’iconographie du Moyen âge en Asie Mineur».
La domenica 9 febbraio tenne una conferenza il P. A. Vaccari su : « Profezie messianiche e teoria antiochena».
Monsignor Corretti è giunto a New York il 21 gennaio scorso, in qualità d’inviato speciale del Papa per il giubileo d’oro del cardinale Gibbons. Appena giunto Mons. Corretti diramò un messaggio del Papa agli Americani nel quale si dice tra l’altro: «Dite loro che li amo e li ammiro. Dite loro che io sono pieno d’accordo con i loro nobili ideali ed i loro elevati principii di libertà e di giustizia ».
L’Università cattolica di Lovanio a mezzo di un proclama del suo rettore « profitta della libertà di parola che le è restituita per manifestare pubblicamente la sua gratitudine verso tutti coloro che in tutto il mondò hanno compreso i suoi dolori, hanno stigmatizzato il crimine di cui è stata vittima, hanno organizzato spontaneamente manifestazioni, hanno provocato sottoscrizioni e doni in favore dell’istituzione così duramente colpita dalla guerra ».-L’Università conta oltre 2300 studenti inscritti.
Il Colleglum cultorum martyrum il 2 febbraio ha celebrato il 400 anniversario della sua fondazione avvenuta in Roma nel 1879 per iniziativa dei discepoli di Gio. Batt. De Rossi, il grande archeologo romano autore dell’immortale Roma Sotterranea e direttore degli scavi nelle catacombe romane. Tra i discepoli del De Rossi, lo Stevenson, l’Armellini, il Mantechi costituirono allora un primo nucleo di cultores martyrum., nel quale poi germogliò il progetto di fondare uno speciale Collegio avente per obbiettivo, il cullo dei martiri, soprattutto prestato entro le stesse catacombe. Per cura del Collegio nella prossima primavera verranno organizzate delle visite e delle radunanze domenicali nelle diverse catacombe, specialmente in quelle non accessibili a tutto il pubblico, cominciando da quelle di S. Ermete.
Alla Accademia di S. Tommaso d’Aquino il 30 gennaio scorso è stato inaugurato il ciclo delle tornate con una conferenza del P. Alessio M. Lepicier, Priore generale dei Servi di Maria, sul tema : « La dottrina tomistica sull’anima umana in relazione con gli errori moderni ».
Dopo aver rivendicato l’insegnamento di S. Tommaso sull’argomento, ha posto in rilievo le applicazioni ai diversi problemi psico-
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logici che agitano il mondo, specie alla pratica, che va continuamente diffondendosi, dello spiritismo.
li clero In Dalmazia secondo una lettera al-1' «Idea Nazionale» del 31 dicembre u. s. si troverebbe in condizioni spirituali assai misere. Approfittando dell’enorme prestigio di cui gode presso i rozzi ed ignorantissimi contadini slavi, il parroco diviene un pericoloso agente elettorale, sobillatore politico, con quale vantaggio della religione è facile immaginare!
Padre Gazzola, il famoso sacerdote modernista di Milano, perseguitato ed esiliato... è stato degnamente ricordato con la pubblicazione di un volume, che purtroppo è rarissimo, perchè non posto in vendita. Esso contiene una biografia dell’uomo e una raccolta dei suoi pensieri. Il volume — di cui l’autore rimane nascosto — è stato salutato dai discepoli e dagli amici del Gazzola come un’opera di giustizia e di bontà. Uno dei nostri solerti collaboratori promette di scriverne in « Bilych-nis».
ARMENIA
La questione armena come è giudicata dagli Armeni ? Non si deve credere che il « leit mo-tif » del compianto per il popolo straziato dal Turco, le commoventi descrizioni dei massacri e degli incendi, ecc., ecc., siano un argomento potente di conforto e di soddisfazione per gli Armeni. No. Essi dicono che la loro non è una questione di. compassione, ma di dignità. Gli Armeni hanno coscienza di se stessi, non come di un popolò che si impone per la forza numerica, ma come un’idea che si impone per il suo valore.
EBRAISMO
La questione degii israeliti in Romania ha avuto finalmente una soluzione legale. Infatti il « Monitore ufficiale » pubblicava nel gennaio scorso un decreto-legge che accorda la cittadinanza senza distinzione a tutti gli stranieri iscritti nei registri come aventi la loro residenza in Romania, che non dipendano da alcun Governo straniero.
Il Congresso del lavoratori ebrei che si radunò nel gennaio scorso a New York ha deliberato che la Palestina dovrebbe venire eretta a repubblica indipendente nella quale nessuna nazionalità potrà godere diritti speciali. I delegati del Congresso rappresentavano circa mezzo milione di lavoratori ebrei organizzati degli Stati Uniti.
Quale sarà il futuro assetto della Palestina ? A questa domanda rispónde il prof. Roberto
Almagià in una monografia ch’egli intitola : La questione della Palestina e che fa parte della serie geografica delle monografie pubblicate dall’istituto coloniale italiano.
NEL MONDO EVANGELICO
La Società Biblica protestante di Parigi ha celebrato recentemente il suo primocentenario. Durante la sua esistenza ha diffuso un milione e 160 mila copie, delle Sacre Scritture, di cui 400.000 Bibbie e 600.000 Nuovi Testamenti, con una spesa di tre milioni e 750.000 franchi. Essa ha pubblicato parecchie versioni moderne della S. Scrittura ed in occasione del centenario ha intrapreso la pubblicazione d’una nuova traduzione della Bibbia provvista di introduzioni e di numerose note esplicative. Dell’Importante lavoro sono già apparsi i due primi fascicoli.
Frutto di sette anni di lavoro è la nuova traduzione del Nuovo Testamento in lingua giapponese, compiuta da una Commissione di missionari evangelici e di cristiani giapponesi. Questa nuova traduzione s’era resa necessaria perchè la lingua giapponese, dall’epoca della prima traduzione, ha subito grandi cambiamenti a causa dell’accresciuto contatto con la coltura occidentale.
A Strasburgo (Alsazia) la Facoltà di Teologia protestante, già annessa all’ex-Università del-!’ Imperatore Guglielmo, nella quale compivano i loro studi regolari i Pastori per le Chiese dell’Alsazia, verrà ricostituita dopo la prossima Pasqua. In attesa però dallo scorso gennaio si sono iniziati dei corsi provvisori.
Il Moderatore della Chiesa Valdese Italiana ha compiuto un ampio ciclo di conferenze nelle forti chiese evangeliche degli Stati Uniti d’America, destando ovunque grande entusiasmo ed interesse per l’Italia.
Egli ha avuto campo di porre in evidenza l’opera ed i sacrifizi compiuti dal nostro esercito e dal nostro popolo per giungere alla vittoria, rendendo cosi un segnalato servizio alla causa italiana.
Le scuole evangeliche della domenica prosperano dovunque: notevole è il progresso che si accentua nelle Indie, dove le 682 scuole durante il 19x8 hanno avuto un aumento di oltre 14 mila alunni. Così anche nelle Isole Filippine si é verificato uno straordinario moviménto nel campo della preparazione degli insegnanti per le scuole, con un aumento dell’85 per cento nel numero degli alunni durante il periodo X915-1S.
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NOTIZIARIO
Il 16 febbraio le chiese protestanti in Francia hanno celebrato il JV Centenario della nascita dell’ammiraglio Coligny. Il Pastore Wil-fred Monod ricorda opportunamente in questi giorni le di lui parole: « Dimenticherò volentièri tutte le cose che non riguarderanno che il mio interesse particolare, sia ingiurie, sia oltraggi, purché in quanto concerne la gloria di Dio e la quiete pubblica possa esservi sicurtà». Lo storico Michelet, dopo aver descritto il fango della corte del re all’epoca del Coligny, concludeva, parlando di costui : «Questi è l’eroe del dovere, della coscienza. Per quanto io lo sottoponga all’esame, alla sonda, alla discussione, egli resiste e diviene sempre più grande». Ed un fanatico cattolico, il Merki, fu costretto anch’egli a concludere : » Quest’uomo sempre pronto a riprendere, sempre scontento, sembrava in qualche modo la coscienza».
Il prof. Massaryck, rappresentante dei Ceco-Slovacchi a Versailles, è un antico membro del Comitato Internazionale degli Unitari e delle Chiese Libere. È un devoto assertori della libertà religiosa al pari di quella politica. In un paese come la Boemia, che possiede tradizioni tanto gloriose di liberalismo religioso, guide simili al Massaryck non possono non assicurare lo sviluppo di germi così gloriosi.
Le chrétlen Belge, organo del protestantesimo belga, ha ripreso le sue pubblicazioni il 4 gennaio scorso a Bruxelles ( 11, rue de Dublin).
Nella Svizzera protestante è stato celebrato nella domenica 5 gennaio u. s. il 40 centenario dello stabilimento di Zwingli a Zurigo e l’inizio dell’opera riformatrice che doveva avere un successo così profondo ed esteso.
PUBBLICAZIONI PERVENUTE ALLA REDAZIONE
Enrico C. Sartorio : Sodai and religione life of Italiane in America. Christopher Pubbl. House, Boston, 1918. Voi. rileg. di pag^xgo. Prezzo : Un dollaro.
Quaderni de « La nostra scuola » : Per aprire nuove vie alla scuola (Fatti e documenti raccolti da A. C.). Lib. Ed. Mil., 1918, Milano. Pag. 158. L. 3,5p.
Angiolo Gambaro: Primi scrini religiosi di Raffaello Lambruechini. Firenze, 1918. Pag. 340. L. 6.
Victoire et dilivrance. Discours prononcés à l’Oratoire du Louvre et au Foyer de l’Ame par les Pasteurs Roberty, Monod et Viénot. Paris, 1919. Pag. 76. L. 2,50.
Alfred Valensi : Israel. Estratto. Tunis, 1918. Pag. 8. L. 0,25.
Biblioteca dei Maestri italiani : Guida bibliografica. Milano. Edizione dell’ufficio tecnico di propaganda nazionale, 19x9. Pag. 324. L. 4.
Haïm Harari: Littérature et tradition. I. Problèmes généraux (Création populaire - Creation littéraire). IL La tradition littéraire hébraïque (Hébraisme, Aggadah, création d’art.). Genève, Georg et Co. Ed., 1919. Pag. 424. frs 14.
Rinaldo Nazzari : Psicologia della volontà. Paravia Ed., 1918. Pag. 72. L. 2.
Soter: Im religione del Cristo. Saggio di Cristianesimo esoterico. F.lli Bocca Ed., 1918. Pag. 415. L. xo.
E parleremo di te, Eugenio Visitano! Edito dall’Associazione Studenti per la Cultura Religiosa. Napoli, 1919.
Mario Falchi : Problemi di ieri e di oggi. Ed. dell’Associaz. Stud, per la Cultura Religiosa. Napoli 1919.
T. T. : Della futura trasformazione dell’umanità. (Amministrazione Tornelli, Bologna, Via Mazzini 62). Pag. 16. L. 1.
Mario Foscolo Canella : Postulati metafisici. Bologna, 1919. Pag. 56.
Gino Saviotti : Charles Baudelaire e la questione dell’umorismo. Caserta, 1919. E. Marino Ed. Pag. 19. L. x.
Siamo'incoraggiati nel nostro lavoro:
1® dal fatto che i nostri vecchi lettori rinnovano in massa il loro abbonamento alla rivista;. •
2® dal numero rilevante dei nuovi abbonati ;
3® dalle numerosissime richieste di copie di saggio;
4° dalle ©gnor crescenti belle promesse di cooperazione e di collaborazione da parte di vecchi e nuovi amici.
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Tutto questo ci sprona ad andare avanti cercando di fare sempre meglio.
• • •
Al presente fascicolo sono uniti il frontespizio e gl’indici del voi. XII, ossia del •° semestre 19x8. Ricordino i nostri lettori che fanno collezione della Rivista di staccarli e metterli ài loro pósto• • *
Ci giungono in quésti giorni da varie parti richieste di collezioni inere della Rivista. • Facciamo notare che oramai la collezione completa di Bilychnis, dal 1912 a tutto il 1918 è divenuta cosa rara, essendo quasi esaurite le prime due annate 1912 e 19x3.
Non si meraviglino dunque i richiedenti se troveranno che i prezzi sono sensibilmente aumentati, come si rileverà anche dal nuovo catalogo delle nostre pubblicazioni, che è in preparazione.
• • *
Stiamo lavorando per guadagnare il ritardo con cui escono i fascicoli della Rivista.
Miriamo ad uscire puntualmente verso il 15 di ogni mése e contiamo di riuscirvi presto.
« * *
Siamo lieti di annunziare che alla nostra Libreria è stata affidata la rappresentanza in Italia della famosa Casa Editrice del-l’Università di Chicago: The Chicago University Press. Qualsiasi ordinazioni per quella Casa, da parte di privati o di Librerie italiane deve farsi per mezzo della nostra Libreria. Pubblicheremo regolarmente gli annunci delle sue principali pubblicazioni, e specialmente di quelle riguardanti le discipline che interessano i nostri lettori, come religione, filosofia, pedagogia, morale e Stòria.
• * *
Parecchi nostri amici e collaboratori attendono da tempo una nostra risposta od un nostro segno di vita. Mentre li ringraziamo della loro paziente gentile attesa, li avvertiamo che in questi giorni ci dedicheremo principalmente alla corrispondenza e ciascuno riceverà un nostro scritto.
COSA POSSONO FARE
I NOSTRI AMICI PER AIUTARCI:
1. Inviare subito l’importo del loro abbonamento pel 1919 (In Italia: anno L. 7; semestr. L. 3.50; Estero L. 10);
2. Procurarci almeno un nuovo abbonato (cui invieremo in donò il bel libro ” Verso la fede n);
3. Favorirci indirizzi di possibili abbonati ai quali manderemo copia di saggio della rivista;
4. Spedirci copia del giornale della città o dèlia provincia in cui sia un articolo, un pensiero, una notizia degni d’essere rilevati. — Tutti i nostri lettori possono così collaborare nelle rubriche : 11 Spigolature " — n Dalla stampa n — " Notiziario ” — I più solerti ed assidui riceveranno un premio in libri. <S> <S>
CHI VUOL FARE, FACCIA SUBITO !
_____________GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma - Tipografia dell'unione Editrice, Via Federico Ceti, 45.
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RIVISTA MENSILE ILLUSTRATA DI STUDI RELIGIOSI ® o •
VOLUME XII. .
ANNO 1918 - IL SEMESTRE (Luglio-Dicembre. Fascicoli VII-XII)
ROMA
VIA CRESCENZIO, 2
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INDICE PER RUBRICHE
ARTICOLI.
Allier Raoul: Il Cristianesimo e la Serbia, p. 276.
Fasulo Aristarco: Brevi motivi d’una gran-. de-sinfonia (Della Provvidenza), p. 218.
Giulio Benso Luisa: Il sentimento religioso nell'opera di Alfredo Oriani, pagine 27, 242.
Lattes Dante: Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico: Ahàd-haam e la sua opera, p. 40, 167.
Id.: Note di vita e di pensiero ebraico, p. 294.
Meille Giovanni E.: Psicologia di combat-, tenti cristiani. Note e documenti, p. 114.
Id.: La scomparsa di un profeta americano, p. 273.
Murri Romolo: La « Religione »di Alfredo Loisy, p. 49.
Id.: Giuseppe Toniolo, p. 269.
Nazzari R.: Le concezioni idealistiche del male, p. 133.
Pioli Giovanni: Il Cattolicismo tedesco e il «Centro Cattolico», p. 11.
Id.: L’« Etica della Simpatia n nella « Teoria dei sentimenti morali » di Adamo Smith (Esame critico), p. 147.
Provenzal Dino: L’anima religiosa di un eroe, p, 232.
Puglisi Mario: Realtà e idealità religiose (a proposito di un nuovo libro di A. Loisy), p. 63.
Rossi Mario: Giovanni Hus, l’eroe della nazione boema. - L’influenza germanica nella Boemia pre-ussita, p. 2.
NOTE E COMMENTI.
Emmanuel: Opera di' ricostruzione'. Un programma di riforme scolastiche, p. 94.
Fasulo-A.: A proposito di Riforma, p. 292. G. P.: Religiosità imperialistica tedesca (Documenti), p. 190.
Luzzatto Leone e Arturo Vinay: Osservazioni sulle previsioni di qui quondam, p. 290.
Qui quondam'. Previsioni? Risposta aperta ad una lettera chiusa, p. 185.
INTERMEZZO.
Qui quondam: La Carriola (La brouelle). Dalle Musardises di Rostand, p. 74.
PER LA CULTURA DELL’ANIMA.
Chiminclli Pietro: Gesù e la riforma dell’individuo, p. 77.
In memoria di Elena Paschetto Davio (tav. tra le pag. 280 e 281).
Lafon Giovanni: Le piccole cose, p. 89. Voci profetiche: Il desiderio dei malvagi perirà (Isaia). - Al popolo italiano (Raffaele Salustri). - Una coscienza etica mondiale (V. E. Orlando, presidente del Consiglio). - L'avvenire delle nazioni e la religione (Giorgio Tyrrell), p. 285.
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IV
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Wagner Carlo: « Lascia i morti », p. 178.
Id.: Preghiere, p. 279.
Id.: « Tutto a tutti... » (Sermone), p. 281.
TRA LIBRI E RIVISTE.
A) I libri.
Rohde E.: Psiche, p. in.
Salvadoretti Pietro: Dalla guerra alla pace, p. 215.
Sella Emanuele: L’Eterno Convito, p. 301.
Serra Renato: Esame di coscienza di un letterato, p. 306.
. Tharand Jérôme et Jean: L’Ombra della Croce, p. in.
Chiminelli Pietro: Gesù di Nazareth, p. 298.
Id.: Il « Padre nostro » e il mondo moderno, p. 298.
De Lorenzo. Giuseppe: India e Buddismo Antico, p. 309. ■
Gentile Giovanni: Il carattere storico della filosofia italiana, p. 196.
Kemme Landels W.: Storia popolare dei Battisti, p. 213.
Leoni Umberto: Fonti pagane di'usanze e riti cristiani, p. 212.
Loisy Aldred: La religion, p. 48.
Minucio Felice: L’Ottavio, con introduzione e versione di Umberto Moricca, p. 213.
Onomasticon totius latinitatis, p. 112.
Pansa Giovanni: La «Porta di ferro» e le leggende abruzzesi del tesoro nascosto, p. 210
Id.: Topolessicografia funeraria dell’Abruzzo, p. 210.
Id.: Il Rito Giudaico della profanazione ' dell’Ostia è il ciclo della Passione in Abruzzo, p. 210.
Petrone Igino: l’Etica e l’Ascetica, p. 303.
B) Le riviste.
Chiapponi Alessandro: Positivismo spirituale, p. 198.
Croce Benedetto: Paul Claudel, p. 200.
Gentile Giovanni : La profezia di Dante, P- X97Klattzkin Jakob: Problemi fondamentali dell’ebraismo, p. no.
La Cina religiosa, p. 107.
La Sorsa Saverio: Costumi e Riti Pugliesi, p. 211.
Lawrence Edward: Origine, significato e valore etico della, preghiera, p. 312.
Murri Romolo: Libertà e determinismo nella storia e nella guerra, p..2oo.
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INDICE GENERALE
Ahad-haam: Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico: Ahad-haam e la suà operai p. 40, 167;
Allier Raoul, p. 276.
Allier Ruggero, p. 122.
Anima: Per la cultura dell'A., pa. 77, 178, 279.
Ascetica: L’A. di Igino Petrone, p. 305.
Autocritica: Germanesimo e A., p. 194.
Battisti: Storia popolare dei B.» p. 213.
Buddismo: La dottrina del Budda e i moderni buddisti, p. 309; Il B. e l'avvenire della giovane Asia, p. 310.; Fasi del B. modèrno, p. 311.
Cambini Leonardo: L'anima religiosa di un eroe: C. L., p. 232.
Casalis Alfredo Eugenio, p. 128.
Cattolicismo: Il C. tedesco e il «Centrò Cattòlico», p. 11.
Centro: Il Cattolicismo tedesco e il « C. Cattolico», p. ii.
Chiesa: C. e Stato nel pensiero di Dante, P- 197.
Chiminelli Pietro, p. 77, 298.
Cina: La C. religiosa, p. 107.
Claudel Paul, p. 200. .
Cornet Auquier Andrea, p. 125.
Corso Raffaele, p. 210.
. Costa Giovanni, p. ni. 112, 213.
Cristianesimo: Fónti pagane d'usanze e riti cristiani, p. 212. Il C. e la Serbia, p. 276. V. anche: Storia dei Cristianesimo.
Croce Benedetto, p. 200, 308.
Cuche Adolfo, p. 129.
Cultura: Per la C. dell'Anima, p. 77, 178, 279,
D'Annunzio Gabriele, p. 199.
Dante: Chiesa e Stato nel pensiero di D., p. 197.
De Lorenzo Giuseppe, p. 309.
De Stefano Antonio, 213, 301.
Determinismo: Libertà e D. nella storia e nella guerra, p. 200.
De Vargas F, p. 107.
Durkheim Emilio, p. 195.
Ebraismo: II, filosofo- del rinascimento •spirituale ebraico: Ahad-haam e la sua opera, p. 40, 167; Problemi fondamentali dell’E., p. no; Note di vita e di pensiero ebraico (IV. L’organizzazione degli ebraicisti di America: La psicologia del ragazzo ebreo d’America e la sua educazione; Herman Kohen come pensatore ebreo), p. 294.
Escande Gustavo, p. 130.
Estetismo: Misticismo ed E., p. 199.
Etica: L’E. della simpatia nella « Teoria dei sentimenti morali » di Adamo Smith p. 147. L’E. di Igino Petrone, p. 304.
Etnografia: E. religiosa, p. 210.
Evoluzione: L’E. religiosa e morale, p. 54. Fasulo Aristarco, p. 218, 292.
Fede: I simboli della F., p. 59.
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Filosofia: Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico: Ahad-haam e la sua opera, p. 40, 167; Le concezioni idealistiche del male, p. 133; L’« Etica della Simpatia » nella « Teoria dei sentimenti morali » di Adamo Smith, p. 147. Rassegna di filosofia religiosa (XXIII): Germanesimo e auto-critica; Sociologia c religione; Il letterato italiano; Chiesa e Stato nel pensiero di Dante; Positivismo spirituale; Misticismo* ed estetismo; Libertà e determinismo nella storia e nella guerra; p. 194. — Id. (XXIV): Igino Petrone; l’Etica di I. Petrone; L’ascetica; Letteratura pura; Due pre-modernisti; Religione, p. 303.
Fontaine Vive Giovanni,*p. 128.
Gentile Giovanni, p. 196, 197.
Germanesimo: G. e autocritica, p. 194. Gesù: G. e la riforma dell'individuo, p. 77. Giulio Benso Luisa, p. 27, 242.
Guerra: G. e religione, p. 50. — Psicologia di combattenti cristiani, p. 114. — Previsioni? (i pericoli maggiori per l’Italia dopo la G.), p. 185. — Libertà e determinismo nella storia e nella G., p. 200. — Dalla G. alla pace, p. 215 — Osservazioni sulle previsioni di qui quo-dam, p. 290.
Guzzo Augusto, p. 298.
Hus Giovanni: Giovanni Hus, l’eroe della nazione boema (V. L’influenza germanica nella Boemia pre-ussita), p. 2.
I reland, mons. p. 307.
Kemme Landels W., p. 213.
Klingebiel Giovanni, p. 130.
Kohem Hermann, p. 296.
Laffay Paolo, p. 124.
Lafon Giovanni, p. 89.
La Sorsa Saverio, p. 211.
Lattes Dante, p. 40, in, 167, 294.
Leggende: Riti e L. abruzzesi, p. 210. Leoni Umberto^ p. 213.
Libertà: L. e determinismo nella storia e nella guerra, p. 200.
Loisy Alfredo: La « Religione di A. L., p. 49. — Realtà e idealità religiosa ( a proposito di un nuovo libro di A. L.), p. 63.
Lutero: Per il IV centenario della nascita della Riforma: III. Lutero, figura centrale della Riforma: Giudizi sull'uomo e sul riformatore, p. 98. — V. anche Riforma.
Luzzatto Leone, p. 290.
Male: Le concezioni idealistiche del M., P- 133Massip Giovanni, p. 125.
Mei Ile Giovanni E., p. 114, 273.
Mignot, mons., p. 307.
Minucio Felice, p. 213.
Misticismo: M. ed Estetismo, p. 199.
Mito: Miti e leggende abruzzesi, p. 210.
Monod Giovanni, p. 126.
Morale: Religione e M., p. 52.
Murri Romolo, p. 49, 200, 269.
Nazzari R„ p. 133.
Oriani Alfredo: Il sentimento religioso nell’opera di A. O., p. 27, 242.
Orlando Vittorio Emanuele, p. 287.
Pansa Giovanni, p. 210.
Paschctto Davio Elcna, p. 280.
Pedagogia: Opera di ricostruzione. Un programma di riforme scolastiche, p. 94.
Petrone Igino, p. 303.
Pioli Giovanni, p. 11, 98, 147, 202, 315.
Positivismo: P. spirituale, p. 198.
Preghiera: Preghiere, p. 279. — Studi recenti intorno alla P., p. 312.
Provenzal Dino, p. 232.
Provvidenza: Brevi motivi di una grande sinfonia (Della P.), p. 218.
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INDICE
VII
Psicologia: P. di combattenti % cristiani, p. 114. — La P. del ragazzo ebreo d’America e la sua educazione, p. 295. — Storia e P. religiosa, p. 309..
Puglisi Mario, p. 63, 309.
Rauschenbusch Walter, p. 273.
Religione: Il sentimento religioso nell’opera di Alfredo Oriani, p. 27. — La « Religione » di Alfredo Loisy, p. 49* — Realtà e idealità religiosa (a proposito di un nuovo libro di A. Loisy), p. 63. — La Cina .religiosa, p. 107. — Psicologia di combattenti cristiani, p. 114- — Rassegna di filosofia religiosa, p. 194, 303. — Etnografia religiosa, p. 210.—-L’anima religiosa di un eroe, p. 232. — Storia e psicologia religiosa, p. 309. — V. anche Cattolicismo, Etraismo, Riforma, Storia del Cristianesimo.
Riforma: Per il IV centenario della nascita della R. (III. Lutero, .figura centrale della R.: giudizi sull’uomo e sul riformatore), p. 98. (IV. Rapporti fra lo spirito della R. e quello della Germania contemporanea; Lutero commemorato in Germania), p. 202. (V. Aspetti dottrinali, teologici, rituali della R. luterana), p. 315. — A proposito di R., p. 292.
Riti: Il R. di domani, p. 60. — Il R. Giudaico della profanazione dell’Ostia e il elicle della Passione in Abruzzo, p. 211. — Fonti pagane d’usanze e riti cristiani, p. 212.
Rocco Edoardo, p. 73.
Rossi A. Mario, p. 2.
Rostand Edmondo, p. 74.
Salustri Raffaele, p. 286.
Salvadoretti Pietro, p. 215.
Serbia: Il Cristianesimo e la S., p. 276.
Serra Renato, p. 306.
Simboli: I S. dèlia fède, p. 59.
Smith Adamo: L'etica della Simpatia nella « Teoria dei sentimenti morali » dì A. S., p. 147.
Sociologia: S. e religione, p. 195.
State: Chiesa e S. nel pensiero di Dante p. 197.
Storia del Cristianesimo: Giovanni Hus, l'eroe della nazione boema, p. 2. — Per il IV centenario della Riforma, p. 98, 202, 315.
Teyssaire Giorgio, p. 129.
Toniolo Giuseppe, p. 269.
Tyrrell Guglielmo, p. 287.
Vinày Arturo, p. 290.
Wagner Carlo, p. 178, 279, 281.
99
In deposito presso la Libreria Editrice ‘‘Bilychnis” Via Crescenzio 2, Roma
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"... In questo libro M. B. B. ha fissato, con mirabile maestria, le linee del pensiero e la fisonomía della vita di Andrea Towianski : l'idea e l'opera sono fermate per sempre in queste pagine, ricche d'intelletto e d'informazione, nate e cresciute nell'ambiente che serba ancor vivida la vibrazione dell'uomo. E un libro che resterà fondamentale intorno all'argomento.. ." "... La storia dell'avvenire riconoscerà al Maestro polacco un posto eminente in quella profonda elaborazione religiosa che riempie la prima metà del secolo decimonono...1 "... A queste pagine ricorreranno molti spiriti bisognosi di certezza e di forzai molte anime anelanti alla luce della conoscenza e al riposo del bene..." Giovanni Amendola.
GLI SLAVI
di A. MlCKIEWICZ
... poiché in questo conflitto gli slavi stanno dalla parte della civiltà latina, è necessario che i latini conoscano i loro alleali... Nessuno in questa materia ha maggiore autorità del grande poeta slavo...
Sommario: 11 Me»iiani»mo La tradizione-L'idea del dovere-Delia proprietà -L'ideale della repubblica di Polonia - L antipatia della ehieta per lo Spirilo Nuovo -L’importanza della tradizione slava-Che cosa è la parola - Misteri della parola, eoe.
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In questo volumetto V. CENTO raccoglie scritti che nel periodico La nostra scuola agitarono e discussero largamente il problema della rinnovazione nazionale della scuola italiana. - Vi si trovano gli scritti di Anìle, Cento, Ferretti, Modugno, Murri, Prezzolini, Terraglia, Sanna, Varisco, Vidari, Vitali e Volpe.
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