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Past. TACCIA Alberto
10060 ANGROGNA
DELLE VALU VALDESI
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 99 - Num. 1
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TORRE PELLICE - U Febbraio 1969
immia, Claudiana Torre PeUice - C.CJ. 2-17557
I ricchi cristiani e il povero Lazzaro
“Al centro sta l’Evangelo, alla periferia sta la politica - scrive H. Gollwitzer - al centro sta la salvezza
dell’uomo, alla periferia la sua salute,, - Nessuna confusione, dunque, ma un centro senza periferia non
è più un centro - La politica nella Chiesa non è una questione di evangelizzazione ma di ubbidienza
« Chi siamo, noi cristiani? Risposta : Siamo l’uomo ricco. Questa è
la nostra più precisa e più incontestabile collocazione. Apparteniamo
a quel terzo dell’umanità che si occupa di cure dimagranti, mentre gli
altri due terzi sono alle prese con
la fame e la morte per fame ». Questi altri due terzi (costituiti anzitutto dai popoli del cosiddetto « terzo
mondo », ma anche dal sottoproletariato delle società industrializzate)
sono a il povero Lazzaro » del XX
secolo. È una situazione paradossale e profondamente inquietante: i
popoli cristiani, che con buona o
cattiva coscienza portano il nome di
Colui che non ebbe dove posare il
capo, sono diventati i popoli più ricchi della terra, mentre i popoli non
cristiani sono i più poveri. Ma quel
che è peggio è che la ricchezza dei
ricchi cristiani è senza alcun dubbio dovuta in parte anche al « saccheggio del terzo mondo » (secondo
l’espressione del vescovo brasiliano
Helder Camara) compiuto dai « popoli cristiani » in epoca coloniale e
ancora praticato ai giorni nostri.
Queste cose si dicono e si sanno,
ma pochi, soprattutto fra i cristiani,
vi pongono mente. Qi fronte a questo jgroblema, e ad altri analoghi, le
cEiese' mostrano una ihspiègabiK 'im-'-'
perturbabilità. Sovente, nelle nostre
riunioni di chiesa, ci si lamenta dell’indifferenza e insensibilità dei nostri contemporanei per l’Evangelo.
Ma cosa dovremmo dire della nostra
nìdifferenza e insensibilità? Non è
Ìor-c ancora maggiore? Non è forse
aiuola più colpevole? Come potremo guarire da questa malattia mortale? Ln primo rimedio sarebbe che
le nostre chiese meditino attentamente quello che, a questo proposito, ha detto l’Assemblea ecumenica
di Uppsala, dell’estate scorsa. Il discorso di Uppsala, come è noto, contiene numerose e gravi lacune sul
piano della riflessione teologica:
qualcuno ha detto che a Uppsala ci
si è accontentati di una (c mini-teologia »; in realtà, oltre che cc mini »,
è sovente anche una teologia di dubbia sostanza evangelica. L’Assemblea di l'jipsala ha però avuto un
merito indiscutibile, che non le sarà
tolto: quello di aver sollevato, con
una insistenza e una passione inusitate (ma non spropositate se si pensa al grado di insensibilità che .si registra nelle chiese), il problema della responsabilità sociale della Chiesa. È questa la tematica onnipresente in tutti i documenti conclusivi dell’Assemblea che, nel loro insieme,
costituiscono un appello appassionato rivolto ai cristiani, perchè prendano finalmente coscienza dell’urgenza e della vastità dei compiti che,
in questo ambito, spettano loro.
Uppsala è una specie di idtimaturn
evangelico inviato alle chiese affinchè si rendano conto che esse sono,
nel nostro tempo, « l’uomo ricco »
del racconto biblico (Luca 16: 1931) e, essendosene reso conto, non
si comportino come lui.
Che cosa devono fare « i ricchi
cristiani » per « il povero Lazzaro »
del XX secolo? La prima cosa che
devono fare è prendere coscienza
della natura eminentemente politica
del problema ricchezza-povertà, per
cui esso non può essere affrontato
seriamente all’infuori di una riflessione e azione politica. Le chiese devono capire che il comandamento
dell’amor del prossimo oggi non può
essere pienamente ubbidito prescindendo da un impegno politico preciso e meditato insieme. Contraria
mente all’opinione di molti, secondo cui in chiesa non si deve « far
politica », noi pensiamo che una
chiesa che non si inserisca nella
problematica politica e sociale del
nostro tempo, disubbidisce, forse
senza volerlo, al secondo comandamento. E contrariamente all’opinione di molti, secondq cui in chiesa si
fa già « troppa politica », noi pensiamo che se ne fa troppo poca e,
forse, la si fa male, cioè sovente in
modo dilettantesco e poco critico.
I « ricchi cristiani » devono certo
imparare a dare non solo le briciole.
Questo sarebbe già un bel passo
avanti. Non sappiamo se noi, ricchi
cristiani, abbiam finora dato molto
di più che le briciole. Ma anche se
lo avessimo fatto o se imparassimo
a farlo in futuro, non avremmo ancora ubbidito appieno al secondo
comandamento. Questo accadrà solo
quando la Chiesa si convincerà che
l’amor del prossimo non può esaurirsi in un’azione a livello deUe singole persone ma reclama un’azione
più vasta a livello delle istituzioni
(o strutture, come oggi si dice), che
non può essere altro che un’azione
politica. « E se in alcuna cosa voi
sentite altrimenti. Iddio vi rivelerà
anche quella » (Filippesi 3: 15).
•WÍ Q’.’èsto non significa affatto trasformare la Chiesa in sindacato o in
succursale di partiti, come alcuni
erroneamente sostengono. Significa
solo trasformare la Chiesa da disubbidiente in ubbidiente. Questo deve
infatti essere chiaro; che « facendo
politica » la Chiesa non predica ma
ubbidisce (o cerca di ubbidire). Il
compito della Chiesa nel mondo è
certamente quello di predicare l’Evangelo ma anche quello di ubbidire
lei per prima all’Evangelo. « La fede sola giustifica, ma essa non è mai
sola » (Lutero): le opere l’accompagnano necessariamente. Così l’impegno politico accompagna necessariamente la confessione della fede. « Al
centro sta la fede, alla periferia stanno le opere: al centro sta l’Evangelo, alla periferia sta la politica; al
centro sta la salvezza del prossimo,
alla periferia sta la sua salute. La
vita umana si svolge al centro e alla
periferia; alla periferia si decide e
viene alla luce quel che è successo
al centro ».
L’impegno politico non è dunque
una forma di evangelizzazione che
in qualche modo possa sostituirsi all’annuncio dell’E vangelo: è solo una
forma di ubbidienza, ma entro questi limiti ben precisi essa è indispensabile. Nessuna confusione quindi
tra Evangelo e politica, tra centro
e periferia; ma tutti dovrebbero anche capire che un centro senza periferia non è più %n centro. Le nostre azioni politirlie, anche le migliori, Icipiù limpide e coraggiose,
non convertiranno nessuno e non
devono convertire nessuno. La conversione deve nascere sempre e solo
dall’Evangelo, che è l’annuncio delle opere di Dio in Cristo e non l’an
nuncio delle opere dei cristiani. Le
nostre opere, il nostro impegno politico, non van visti in rapporto alla
conversione degli altri, ma in rapporto alla nostra conversione; non
costituiscono in alcun modo l’Evangelo, ma la nostra obbedienza ad
esso.
Lo ripetiamo: la politica in Chiesa è una questione di ubbidienza,
non di evangelizzazione; non riguarda il contenuto dell’Evangelo, ma
la sua applicazione; non concerne
la salvezza dell’uomo, ma il suo pane e la sua dignità. Ed eceo allora
la solita domanda capziosa: Che cosa importa di più: la salvezza o il
pane? Dio dà entrambi, questa è la
verità! Siamo noi che vogliamo sempre dare solo o l’uno o l’altro, e defraudiamo così il prossimo della pienezza del dono di Dio.
(( I ricchi cristiani e il povero Lazzaro » è il titolo quanto mai eloquente di nn libro recente del teologo protestante tedesco Helmut
Gollwitzer, che la Claudiana pubblicherà — speriamo presto — in
versione italiana e che ci ha suggerito alcuni dei pensieri qpii esposti.
Ma non è solo il titolo di un libro :
è, se così si può dire, il titolo di
un’epoca, la nostra; è la descrizione
di una situazione insostenibile dal
punto di vista deirEvangelo e l’appello pressante a uscirne. Ma la
Chiesa non ne uscirà se continuerà
a dichiararsi politicamente neutrale.
Paolo Ricca
/ VALDESI DEL XIII E XIV SECOLO
Cristiani rihetli in pieno Medinevo
DifRcile stabilire la consistenza numeiica e la condizione sociale dei Valdesi medioevali
Molte donne aderiscono al movimento, che ebbe una rapida espansione su scala internazionale - I IZaidesi predicano un Vangelo che si rivolge in particolare ai poveri
Rispondendo a una nostra richiesta, il
prof. A. Molnàr della Facoltà teologica
« Comenius » di Praga ci ha mandato, in
occasione del 17 febbraio, questo articolo
che presenta e interpreta alcuni dati sulla
diffusione del valdismo nei primi due secoli. Questo scritto è tratto da uno dei primi capitoli della nuova « Storia dei Vaidesi » che lo studioso di Praga sta preparando, in collaborazione con i prof. Giovanni Gönnet e Augusto Armand Hugon,
e che uscirà prossimamente per Veditrice
Claudiana. Ci rallegriamo molto di questa
pubblicazione e ringraziamo il nostro collaboratore, studioso e assertore appassionato della ""internazionale valdese*"; seguiamo con partecipe gratitudine le sue ricerche e con animo fraterno il suo ministero
nel suo paese. rcd.
È impossibile stabilire l'importanza numerica dei Valdesi e dei
loro simpatizzanti nei vari paesi e
nelle varie regioni. Le poche cifre
menzionate dai narratori medioevali contemporanei non danno affatto dati esatti. Quando, nel
1235, Salvo Burci parla di appena
8.000 Poveri Lombardi, è nettamente influenzato dall’ analogia
che istituisce fra il successo "lampo” della predicazione missionaria dell’apostolo Pietro a Gerusalemme e quello, più modesto e più
lento, dei predicatori itineranti
valdesi. Appassionato di calcoli, il
nobile piacentino Burci addiziona
— la cosa non è stata notata finora — i 3.000 convertiti secondo
Atti 2,41 ai cinquemila secondo
Atti 4,4. Ora, se Burci tendeva a
minimizzare così il numero dei
settari destinati, il martire Neu
mester, ottant’anni più tardi, tendeva a gonfiare la cifra: secondo
lui essi avrebbero superato, nei
soli paesi danubiani, gli ottomila
(gli ottantamila dei nostri manuali sono il frutto di una lettura errata) e sarebbero semplicemente
un « numerus infmitus ».
Si può, è vero, desumere una
documentazione in cifre dai prodi Amedeo Molnàr
cessi inquisitonali, ma anche qui
i bilanci sommari, nei quali piacerebbe vedere dei dati statistici,
non coprono in generale se non
una sfera assai ristretta e sono di
natura diversa da quelli delle epoche recenti. Ad esempio, nel 1241 i
quaranta Valdesi condannati dagli
inquisitori a Montcuq rappresentano la metà degli eretici processati; a Montauban sono già 155 su
un totale di 257 condanne. Il che
indica l’importanza numerica che
essi hanno avuto, in queste località, a confronto con i catari. Questo rapporto non è tuttavia affatto
generalizzato per il resto del Mezzogiorno di Francia. Assai più significativa è l’indicazione data dalle forti proporzioni di donne aderenti al movimento: 29 a Montcuq,
72 a Montauban. Manchiamo invece di dati per stabilire la loro
condizione sociale, il loro mestiere. Resta comunque il fatto che il
valdismo tocca fin da questo momento intere famiglie, come ad
esempio i Carbonnel di Montauban.
Per i Poveri di Lione e per i
loro discepoli della Linguadoca,
conquistati dalla predicazione itinerante e coscienti dell’esempio
di Vaudès, il quale aveva lasciato
la sua casa spezzando cosi i legami familiari, non era ancora in
gioco un ripiegamento sulla discendenza naturale. Con i Valdesi
di lingua tedesca eccoci trasportati, un secolo più tardi, in un ambiente sensibilmente diverso. A ottant’anni una Valdese di Mohrin,
sulle rive del Baltico, confessa davanti agli inquisitori di essere già
nata in un ambiente valdese. Una
vedova di settant’anni, che viveva
a Prenzlau, si era convertita da
bambina, per influenza del padre
valdese, il quale era già stato a
sua volta formato da genitori anch’essi valdesi. Indicazioni analoghe pullulano nei documenti delinquisizione di Stettino, che nel
periodo di due anni (1392-1394)
aveva esaminato circa un mezzo
migliaio di Valdesi o loro simpatizzanti. In queste zone, e in questo periodo, dunque, la comunità
si reclutava mediante una preparazione che spettava in primo luogo alla famiglia. La famiglia, la
carne e il sangue erano additate dall’anziano valdese austriaco
( continua in 6’ pagina)
Anche per i Patti Lateranensi
Superamento
senza rottura?
Occorre rendere attento il paese affinché la revisione del Concordato
non si riduca, con qualche ritocco secondario, a dare una patente di de^''^^^raticita a un contratto che non la
merita - Novità significative : lo sciopero a rovescio di studenti milanesi
e il crescente dissenso cattolico
Pare che, quest’anno, in occasione
dell’anniversario dei Patti Lateranensi, sia aumentato il numero di coloro
che sono tutt’altro che convinti che la
« Conciliazione » (fra il totalitarismo
fascista e il curialismo più retrivo)
abbia « restituito Dio all’Italia e l’Italia a Dio ». Solo « L’Osservatore Romano » e la stampa cattolica che gli si accoda hanno ripetuto lo scontato ritornello, falso nella realtà dei fatti e più
ancora nell’impostazione teologica.
Vi è dunque una atmosfera diversa.
Quali ne sono gli elementi?
Anzitutto, il voto parlamentare del1 autunno 1967, pur con la lentezza cui
siamo abituati, ha portato alla nomina della Commissione parlamentare
per la revisione del Concordato (ma
qui si avrà una battaglia non puramente terminologica: il Concordato è
infatti soltanto la seconda parte dei
Patti, quella che regola le conseguenze pratiche della prima costituita dal
Trattato, ben altrimenti importante
nel fondo : è infatti l’art. 1 del Trattato che riconosce « la religione cattolica apostolica romana » come religione
dello Stato), mentre per parte sua il
Vaticano ha anch’esso proceduto alla
nomina della sua commissione. Tuttavia, non possiamo dire di avere grande
fidùcia in questo lavoro paritetico : da
un lato la composizione della commissione parlamentare italiana, non certo sospetta di laicismo, dalTaltro la
volontà evidente della Curia di aggiornare ma non mutare nulla nella sostanza (eloquente un ampio articolo
sul quotidiano vaticano dell’ll febbraio, «A quarant’anni dai Patti Lateranensi», pieno di santa letizia e
di pia fiducia nel sostanziale mantenimento dello status quo) rendono
poco probabile che, lasciando semplicemente fare la commissione, si approdi
a qualcosa di concreto. E’ necessaria
una maturazione nell’opinione pubblica e una pressione che parta da questa.
In questa linea — e veniamo cosi
al secondo asj^tto caratteristico delle
celebrazioni di questo fausto quarantennale si — pone la lotta di gruppi laicisti, per informare l’opinione pubblica e dibattere il problema, finora riservato a ristretti nuclei di anticlericali, nei quali persiste bene o male
il fermento ghibellino e illuminista dei
secoli passati. Va dato atto dell’impegno di questi gruppi, i quali, sia pure
in una prospettiva non teologica, hanno dimostrato maggiore penetrazione
spirituale della maggioranza dell’opposizione politica nostrana, individuando
nel clericalismo uno dei nodi fondamentali della minorità politica e sociale del nostro popolo. Quest’anno
alle manifestazioni consuete se n’è aggiunta una, ancora limitata, ma particolarmente significativa: l’impegno di
alunni settori studenteschi. In cinque
scuole medie superiori di Milano, benché il calendario preveda una giornata di vacanza, gruppi di studenti e
alcuni professori sono andati a scuola, TU febbraio, per due o tre ore di
lezione, discutendo i rapporti fra Chiesa e Stato. Uno degli studenti dell’« Umanitaria», all’uscita dalla scuola, dichiarava : « Siamo contro la politica
dei Concordati e in modo particolarissimo contro il Concordato del 1929 fra
la Chiesa e lo Stato fascista. L’opinione pubblica, che tanto spesso rimprovera a noi studenti di cercare ogni
sorta di pretesti per fare vacanza, questa volta dovrebbe capirci e approvarci: andiamo a scuola in un giorno di
vacanza per richiamare l’attenzione
su un problema che interessa tutta la
nazione ».
Ed infine vogliamo sottolineare il
numero crescente di cattolici del dissenso che si oppongono non solo a questo Concordato, ma a ogni politica
concordataria (che di fatto significa
«di privilegio») della Chiesa. Era la
linea di don Milani, è quella della comunità fiorentina dellTsolotto, di quella torinese del Vandalino e di tanti altri: ricordiamo, nel corso dell’anno
passato, i seri, schietti numeri speciali dedicati all’argomento dalle riviste
cattoliche « Testimonianze », « Momen
G. C.
(continua in 6“ pagina)
2
pag. 2
N. 7 — 14 febbraio 1969
ALLE ORIGINI DELLA STORIA VALDESE
Nasce una protesta laica?
¡1 pontefice e il Concilio Lateranense diedero sostanzialmente a Valdo e ai suoi un certificato di buona condotta: ma non si accorsero che tutta la passione di questi portava
sulla predicazione, sulla missione apostolica, sull’Evangelo; e questo avrebbe maturato
17 Febbraio: tappa di una
Verso il Concilio
Dopo la sua conversione, Valdo
(Valdesius, Valdes) ha approfondito
le sue conoscenze nel campo biblico, ha studiato e raccolto intorno a
sè un primo nucleo di compagni. Il
concetto di una « vita apostolica » è
sempre ispiratore della sua missione, il motore della sua attività, ma
è pure un concetto strettamente legato a quello della missione della
predicazione. Perciò Valdo ammae. atra i suoi compagni e li manda ad
annunziare l’Evangelo : è il frutto
della meditazione biblica.
Il Sermone sul Monte costituisce
il fondamento della loro « vita apostolica »; ma esso è indissolubilmente legato alle parole di Gesù:
« Seguitemi e io farò di voi dei pescatori di uomini ». « Ben è la messe grande, ma pochi sono gli operai.
Pregate dunque il Signore della
messe che spinga degli operai nella
sua messe ». Per quanto si riferisce
alla « vita apostolica », anche qui la
Bibbia è regola e norma di vita. Le
parole che leggiamo in Matteo 10,
V. 9 e sgg. : « Non fate provvisione
tiè d^argento nè d^ oro nè di rame
nelle vostre cinture, nè di sacca da
viaggio, nè di due tuniche, ne di
calzari, nè di bastone, perchè Pope
raio è degno del suo salario » furo
no prese sul serio da Valdo e dai
suoi amici; la rinunzia ai beni per
sonali ne era una logica conseguen
za, che doveva trovare la sua espres
sione anche nel modo di vestire
« Già nel 1177 » — secondo Selge —
i compagni di Valdo avevano adot
tato un calzare speciale, una sorta
di sandalo « che lasciava libera la
parte superiore del piede ».
Per quanto possiamo giudicare,
questa protesta sul piano moraleecclesiastico non dovette preoccupare eccessivamente le autorità ecclesiastiche. Il richiamo alla povertà,
alla Chiesa povera, non era nè nuovo nè originale; il Medio Evo è ricco di fermenti di questo genere; e
la protesta di Valdo in questo campo presentava alcuni elementi non
dissimili dalla protesta degli asceti
e dei monaci che, in definitiva, erano poi risultati servitori non inutili
della santa causa!
Inoltre, proprio sul piano della
povertà questi buoni valdesi potevano apparire come ausiliari da non
disprezzarsi nella loro rinunzia, contro i ricchi, i potenti, i Catari per
esempio.
La Santa Romana Chiesa sapeva e
poteva allora conciliare il fasto della vita prelatizia con l’esasperazione
ascetica della vita di un eremita; un
cardinale poteva bene diventare il
protettore di un ordine monastico.
Che cosa accadde dunque a Lione di così nuovo o di così grave da
provocare un intervento di un Concilio e più tardi l’anatema?
Il Selge — già da noi ripetutamente citato — ci ha dato una limpidissima analisi delle ragioni per
cui quello che accadde, e che Valdo non voleva accadesse in perfetta
buona fede, doveva accadere.
Non possiamo qui addentrarci nei
particolari, ma trarne le conclusio
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Dalmine 500; Chiesa Valdese, Reggio Cai.
750; Aliee Long, Abbadia Alp. 200.
Grazie! ( continua)
ni. I predicatori itineranti non costituivano una novità nella Francia
meridionale; erano per lo più chierici, ma vi sono stati anche isolati
esempi di laici debitamente autorizzati a questo loro ufficio. La novità consiste nel fatto che cc i Vaidesi chiedevano il riconoscimento
alla Missione per tutti i componenti di una comunità di predicatori,
comunità composta in prevalenza da
laici ».
Il contenuto di questa predicazione non sembra in discussione; anche gli eventuali attacchi alla corruzione della vita ecclesiastica non
sembrano esser tali da giustificare lo
sviluppo posteriore dei fatti; un
raffronto con Arnaldo da Brescia o
il Monaco Enrico non si può prospettare.
Rimane veramente sola e grave la
questione di principio: il diritto di
predicare rivendicato ad una confraternita di laici.
Sul piano teologico una assoluta
presa di posizione negativa da parte della Chiesa non esisteva.
Bernhard de Fonteaude, nel suo
trattato contro la setta dei Valdesi,
riconosce ai laici, quando siano buoni cattolici, obbedienti alla gerarchia, colti, senza moglie, poveri,
il diritto di « esortare il prossimo »;
nessun dubbio che Valdo rivendicasse a sè questi attributi. Ma egli
voleva non un’autorizzazione singola, ma per tutti i compagni.
Sorsero le prime difficoltà, i primi attriti e Valdo appellò al papa
per un riconoscimento ufficiale.
Valdo al Concilio
Era riunito allora il III Concilio
Lateranense; papa era Alessandro III. Valdo con una delegazione
valdese giunse a Roma. Tutti i lettori del nostro giornale conoscono
il racconto pittoresco che ne ha fatto Walter Map, e che è stato reso
popolare dalla volgarizzazione di
Ernesto Comba nella sua Storia dei
Valdesi: Valdo accolto a braccia
aperte dal papa che lo abbraccia benevolmente, poi lo passa all’esame
di una Commissione davanti alla
quale due compagni di Valdo cadono in un tranello di natura dogmatica; Valdo quindi viene congedato
con l’autorizzazione a predicare,
salvo parere favorevole dell’autorità
ecclesiastica competente in loco.
' Questa tradizionale interpretazione è sottoposta ad una attenta indagine dal Selge; vale la pena di seguirla nelle sue grandi linee.
Il giudizio negativo sui risultati
di questa missione romana va visto
alla luce della prassi conciliare.
Alessandro III non ha condannato
Valdo! Questo è un primo punto
positivo; non bisogna dimenticare
che allora la Chiesa era grandemente preoccupata dal dilagare dell’eresia nel sud della Francia. In sostanza Valdo ottiene un certificato di
buona condotta; i suoi lodevoli intenti, la sua « vita apostolica » sono
giustamente valutati; rimane il problema della predicazione laica, ma,
tutto sommato, il caso viene accantonato e la sua soluzione demandata
alle autorità locali che dovrebbero
pure trovare il modo di inc.apsulare
un così lodevole movimento.
Infatti nel 1180 troviamo l’arcivescovo di Lione e il Cardinal Legato
alle prese con i buoni valdesi per
chiarire gli equivoci. In questa occasione fu redatta una confessione
di fede con un Propositum, sottoscritta da Valdo. Un documento di
sommo interesse nel quale Valdo
riafferma la sua integrale fede cattolica e formula il suo proposito:
povertà e vita apostolica; nessun accenno alla predicazione! Questo silenzio in un documento così ufficiale
fu naturalmente interpretato in modo diverso dagli interessati.
Non è stata proibita!
Non è stata concessa !
Allo stato dei fatti ogni interpretazione è lecita e le conclusioni non
si annullano. La confessione e il
proposito di Valdo mettono l’accento sulla volontà di « Consilia quoque
evangelica velut praecepta servare ».
Per l’arcivescovo e il Cardinale
legato è chiaro che la vita apostolica
ed i « consigli evangelici » debbono
intendersi nel senso tradizionale di
una vita più o meno monastica che
s’impegna nei voti tradizionali:
« povertà, castità, obbedienza »; per
Valdo povertà, castità e obbedienza
sono strettamente, indissolubilmente legati alla predicazione. È sempre il capitolo X di Matteo che costituisce la base della interpretazione della vita apostolica valdesiana:
è la missione dei dodici che Gesù
mandò con le sue istruzioni; queste
istruzioni sono solo la manifestazione esteriore della missione del predicatore itinerante.
L’equivoco rimaneva ricco di implicazioni, i cui sviluppi dovevano
maturare presto, per la naturale forza della contrapposizione di elementi antitetici, per l’implacabile autoritarismo delle gerarchie ecclesiastiche locali: la vita apostolica di
Valdo diventerà la protesta valdese.
L. A. Vaimal
Il 17 febbraio rappresenta per tutti
gli evangelici italiani, non solo per i
Valdesi, una data storica. Fu infatti il
17 febbraio 1848 che per la prima volta
nella storia della nostra nazione furono riconosciuti i diritti civili ad un
gruppo di acattolici: ai valdesi e agli
israeliti del Piemonte.
Da 121 anni godiamo di quella libertà religiosa che attraverso varie vicende storiche, in un alternarsi di condanne e di assoluzioni, di interpretazioni costituzionali e giuridiche, ci_ha
consentito di manifestare « esteriormente », nella testimonianza cristiana
e nella evangelizzazione, quella libertà
spirituale dei figliuoli di Dio, che costituisce la grande ricchezza di ogni credente.
Voler ricordare ancora oggi quel lontano avvenimento significa porsi il
problema della validità attuale di una
tale celebrazione, e, siamo certi che,
nel contesto storico odierno in cui è
« moda » contestare ogni cosa, nori
mancheranno coloro che, numerosi di
certo, penseranno di essere all’avanguardia del pensiero e della storia contestando anche il 17 febbraio, senza
rendersi conto di ciò che esso ha significato per il passato nella storia della
testimonianza evangelica, e senza interrogarsi su ciò’ che esso può significare ancora per il nostro essere testimoni di Cristo nel domani della nostra storia.
Certo non voglio idealizzare un avvenimento del passato, né tanto meno
isolarlo dal contesto che lo ha originante per elevarlo a simbolo venerando
di un tempo felice; non desideriamo
che esso condizioni, se pur ciò’ fosse
ancora possibile, in modo nostalgico,
acritico, folkloristico, il nostro essere
credenti nel nostro tempo.
Vogliamo bensì, oggi ancora prendere
atto con responsabilità critica, liberi
della libertà dei figli di Dio, di fronte
ad ogni forma di celebrazione più o
meno valida, che le « Patenti di grazia» promulgate da Carlo Alberto nel
1848, in primo luogo furono un fatto
storico coerente con un preciso contesto politico-sociale a livello europeo.
Infatti gli anni 1847-1848 furono anni di particolare fermento rivoluziona
C’est en cherchant dans un album de ma mère, que j’ai trouvé la poésie
à Henri Arnaud. Mon père Vavait écrite au Pomaret le 27 février 1902.
Je Vai trouvée très belle et je suis heureuse de la présenter aux lecteurs
de VEcho pour le 17 février du 69.
J’ai revu l’été passé “la colline qui s’incline avec douceur vers l’immense plaine’’. La maison du héros, “simple comme celle du colon , est
maintenant un Musée, intéressant à visiter.
Dans l’église, restaurée après la dernière guerre, la pierre tombale à été
mise 0^ fond, derrière la table de la communion; "les sept étoiles” sont
gravéeig^sur le mur à droite; à gauche il y a toujours le portrait de Henri
Arnai^ simplement encadré.
Autour de la galerie du choeur, des épisodes de la vie d’Arnaud sont
reproduits sur des panneaux en bois clair; c’est la note moderne dans cette
jolie église où notre héros repose depuis le 8 septembre 1721.
Que les souhaits exprimés par mon père il y a 67 ans, puissent se
réaliser pour tous les Vaudois!
Hilda Cécile Forneron
A Henri Arnaud
Dans le pieux Würtemberg, au bas d’une colline
Qui vers l’immense plaine avec douceur s’incline.
L’on voit encore fleurir le hameau des Mûrieurs
Fondé par les Vaudois chassés de leurs foyers.
Après un laps de temps de deux fois cent années
Le bourg, fameux pour nous, a vu ses destinées
Changer profondément au sujet de son nom —
Aussi non plus « Mûriers » mais « Schônberg » le diton —
Là vécut le héros de la « Grande Rentrée »
Après qu’il fut proscrit deux fois de la Vallée
Où retentit sa voix de brave serviteur
Du Roi de tous les Rois, du Seigneur des Seigneurs.
C’est à Schônberg aussi que Arnaud se repose
De ses bien durs travaux, de sa course sans roses
Et c’est là que l’attend l’aurore du grand jour
Qui viendra l’éveiller, le conduire au séjour
Des élus, que Christ, dans sa grâce infinie,
A sauvés de la mort et conduits à la vie.
•K ♦ «
Dans un profond respect, l’on devrait d’âge en âge
Se rendre à Schônenberg presque en pélérinage
Pour aller visiter le modeste hameau.
Et pour se retremper d’un esprit tout nouveau.
Le Pasteur-colonel, le héros de Balsille,
Avait pour tout logis, non un palais de ville
Mais un modeste abri, une simple maison
Ressemblant à tout point à celle du colon.
« C’est que, ô noble Arnaud tes constantes pensées
« N’étaient point d’obtenir les gloires ambitionnées
« Par les gens vaniteux, mais ton désir était
« De paître le troupeau qui de secours manquait.
« Tu visitas les cours, parcourus les royaumes
« Attendrissant les coeurs et apportant des baumes
« Pour des coeurs ulcérés comme ceux des Vaudois.
« Et tu les as sauvés pour la deuxième fois !
l|e ÿ 4(
« Tu dors depuis longtemps et aucun mausolée
« N’amène le passant où ta cendre est placée !
« Mais on t’a réservé une place d’honneur
« Comme tu méritais, ô grand homme de coeur !
« Dans la petite Eglise où pendant des années
« Tu prêchas le salut aux âmes assoiffées,
« Au pied de cette chaire où tu montas souvent,
« Tu goûtes le repos et dors paisiblement.
« Ta tombe cependant n’est pas encor muette ;
« Une auguste lueur sur elle se reflète :
« Les sept étoiles d’or, ainsi que le flambeau
« Que nous voyons encor briller dans nos Vallées.
« Mais pour le conserver, ô tribus exilées
« Vous sacrifiâtes tout, sauf la fidélité I
« Que vous deviez garder au Dieu d’éternité.
« « «
Puisse ton noble coeur, héros de notre histoire
Rallumer notre amour, nous inviter à croire.
Nous pousser au travail pour le peuple Vaudois
Et l’aimer nous aussi, comme toi tu l’aimas.
Prof. Henri Forneron
rio in tutta l’Europa e il desiderio di
libertà, anche religiosa, non fu merito
dei Valdesi.
Nel Regno delle due Sicilie la rivoluzione scoppia a Messina il 1° settembre 1847, quindi a Palermo il 12 gennaio 1848, costringendo Ferdinando II
di Borbone a proclamare il 29 gennaio
una costituzione, la prima di altre che
ben presto seguiranno con accenni più
o meno drastici nei confronti della libertà religiosa.
La Costituzione proclamata a Napoli
il 10 febbraio 1848 precisa all’art. 3:
« l’unica religione dello Stato sarà
sempre la cristiana cattolica apostolica
Romana, senza che mai possa essere
I^rmesso l’esercizio di alcuna altra reli^one»; ma lo Statuto concesso a
Firenze dal Granduca di Toscana Leopoldo II rii febbraio 1848, pur dichiarando che « la sola religione dello Stato » era quella cattolica, afferma che
gli altri culti sono «permessi conformemente alle leggi ».
Lo Statuto del Regno Sabaudo proclamato da Carlo Alberto a Torino il
14 marzo 1848 all’art. 1° così si esprime : « La religione cattolica apostolica
romana è la sola religione dello Stato.
Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi ». Logicamente però lo « Statuto fondamentale pel governo temporale degli Stati
della Chiesa», emanato da Pio IX il
16 marzo 1848, pone « la professione
della Religione cattolica » quale condizione indispensabile per godere dei diritti civili nello Stato Pontificio.
In tale contesto le « Patenti di Grazia » del 17 febbraio emanate da Carlo
Alberto, che tra l’altro non promettevano nulla quanto alla libertà dell’esercizio di culto, costituirono tuttavia per i Valdesi una conquista sul
piano del riconoscimento del loro diritto ad esistere come uomini tra uomini, una conquista di diritto civile
di uomini inseriti in un contesto sociale. « I Valdesi sono ammessi a godere
di tutti i diritti civili e politici dei nostri sudditi; a frequentare le scuole
dentro e fuori delle università, e a conseguire i gradi accademici. Nulla è però innovato quanto all’esercizio del loro culto e delle scuole da loro dirette ».
Ma il riconoscimento di tali diritti
civiii non fu solo l’occasione storica
per una più vasta opera di testimonianza, bens’i il punto di arrivo, la prima tappa di una contestazione esercitata per secoli, dal Valdismo medioevale prima e dalla Chiesa Valdese poi,
contro la società laica e la società religiosa del tempo, in nome del Vangelo di Cristo.
Fin dal giorno della sua conversione,
nel lontano 1173, tutta la vita di Valdo
fu l’esempio di una vivente contestazione della società e delia religio»ità
ufficiale. A una società fondata sul
lusso delle classi nobili e della gerarchia ecclesiastica, e che considerava volontà divina l’esistenza dei servi e dei
poveri, Valdo ed i suoi seguaci predicano la povertà evangelica come condizione indispensabile per essere credenti, contestando l’etica corrente che
ammirava sì, la povertà, ma quale vir
tù particolare, retaggio di pochi cristiani consacrati in modo totale ad una
vita di sacrifici. La distinzione di valore tra clero e laici, tra gerarchia e popolo, viene contestata in nome della
libera lettura dell’evangelo che ci rende uguali al cospetto di Dio e che ci
indica la via del sacerdozio universale. Alla differenza di classe tra nobili
e sudditi, tra chi governa e chi ubbidisce, all’etica verticale e paternalistica
viene opposta, con il rifiuto del concetto di delega, di gerarchia e della prassi del giuramento, un’etica orizzontale dì rapporti fraterni nella responsabilità e nel rispetto reciproci.
Simili davanti a Dio, gli uomini non
possono che essere simili tra loro. La
giustificazione per fede, che erroneamente si crede sia stata riscoperta dai
riformatori del XVI secolo, è già professata nel XIV secolo dal Valdismo
medioevale tedesco in tutte le sue implicazioni teologiche e sociali.
Evangelo e libertà contestano la religione e la costrizione autoritaria;
alla libertà sovrana della predicazione
deve corrispondere la libertà spirituale
di decisione nella fede che esclude
ogni ricerca di garanzie umane, ogni
alleanza tra lo spirituale ed il temporale.
Le varie dottrine, nel loro progressivo evolversi e coagularsi in dogmi, e
le strutture ecclesiastiche tradizionali,
vengono man mano contestate con la
Parola di Dio alla mano nel rifiuto
sempre più cosciente di quanto nori
può essere compreso o inquadrato nei
termini di una fedeltà all’Evangelo di
Cristo che è sottomissione alla Parola
di Dio nella libertà dei figli di Dio.
Tutta la storia del valdismo medioevale testimonia di uomini che noti
vollero essere altro che testimoni di
Cristo, portatori della sua parola, segno del Regno che viene, anzi le persecuzioni e le sofferenze subite a motivo
della fede divengono per i Valdesi segno caratteristico della vera Chiesa e
assumono carattere ecclesiologico ed
escatologico. _
La storia d6i Valdosi si attua attraverso le più severe condanne e persecuzioni; dalla prima scomunica della
decretale « Ad abolendam » del Concìlio di Verona nel 1184 alla crociata contro i Valdesi francesi nel 1376 e al massacro dei Valdesi italiani nel 1484.
Anche dopo l’adesione del movimento Valdese alla riforma, nel 1532, attraverso il martirio di singoli Pastori
(Gioffredo Varaglia nel 1558 a Torino,
Gian Luigi Pascale nel 1561 a Roma,
3
pag. 4
N. 7 — 14 febbraio 1869
Prosegue, a tratti aspro, iljdibattito sulla “festa valdese,,
lalliei1à,el'U!iOClieiefiiGCianio Evangelizzare, come i Barbi ‘»er questa
La lettera aperta sul 17 febbraio si è meritata un commento piuttosto agro da parte
de ”Il Pellice’\ il quale non ha poi ritenuto
di dover pubblicare una mia replica, con la
scusa che era troppo lunga.
Chiedo dunque ospitalità all’« Eco-Luce »,
pubblicando di seguito il commento de « Il
Pellice », comparso sul n. del 31-1-1969, e la
m a risposta. B. R.
Una lettera aperta pubblicata « volentieri »
(laU’Eco delle Valli Valdesi nel suo numero
del 24 gennaio u. s., invita i Valdesi ad
astenersi dalle tradizionali manifestasioni del
17 febbraio. Ed hanno, gli estensori, perfettamente ragione. In fondo a che serve ricordare l’ottenuta libertà in un’epoca in cui
branchi di contestatori si danno da fare per
ottenere la schiavitù? A che serve esporre
il tricolore, visto che esso non rappresenta
p'ù niente per moltissimi giovinotti che gli
preferiscono il drappo del Viet-Nam comunista o di altri paesi dello stesso mondo? A
che serve ancora la fierezza per i sacrifici
comp uti per secoli, visto che la contestazione non sa cosa vogliono dire, essendo figlia
del benessere e della licenza?
Leggiamo adunque, anzi che dedicarci al
tristo tripudio, il nuovo testamento annotato
(come suggeriscono i firmatari della lettera):
anche così potremo beffare i nostri padri che,
proprio per il libero esame non esitavano ad
affrontare il martirio...
E se i piccoli delle scuole elementari saranno privati della massima loro festa religiosa, tanto meglio; verranno sù senza sapere
che si deve lottare per la libertà p saranno
perciò più docili a sopportare la spaventosa
schiavitù che la contestazione, non si sa se
più incosciente che colpevole, sta loro preparando. Dal canto nostro, a costo di passare
per reazionari (titolo che, dati i tempi, può
essere un complimento pregiato), invitiamo
i convalligiani valdesi e cattolici che rispettano le tradizioni ad esporre il tricolore, anche se la cosa può dispiacere a qualcuno.
« Il Pellice »
Egr. Sig. Dr. Tullio Contino
Direttore de « Il Pellice »
Torre Pellice
Torre Pellice. 31 gennaio 1969 —^
Egregio Signor Direttore,
il Suo giornale, sempre sensibile a tutto
ciò che tocca in qualche modo le tradizioni
del nostro paese, ha creduto bene di intervenire a proposito di una lettera, pubblicata
dall'Eco delle Valli Valdesi, sulla ceebrazione de! 17 febbraio.
Leggo infatti sul « Pellice » di questa settimana un articoletto intitolato « Lo contestiamo questo 17 febbraio? », in cui agli
estensori della lettera — compreso, quindi,
il sottoscritto — vengono rivolte accuse di
notevole gravità. In sostanza ci si accusa di
preparare il terreno a una dittatura di sini-Ira e di calpestare la libertà per cui i nostri padri valdesi lottarono.
Idi consentirà qualche parola di risposta,
pcrc¡!c ritengo che nelTarticoletto in questione ii senso della nostra lettera sia stato
loialnìcrHc travisato, mentre la tradizione liberale vorrebbe che il pensiero delTavversario fosse presentato nella sua giusta luce,
jiriina di essere discusso e confutato.
La nostra lettera è indirizzata alle comunità valdesi, cioè a tutti coloro che sentono
la fede e la testimonianza dei padri come
una realtà che non va soltanto ricordata, ma
va vissuta da noi nel presente. Se per noi
Cristo non è morto, ma è vivente, non potremo mai dimenticare, mai sentirci staccati
da coloro che hanno conosciuto e testimoniato la potenza del Cristo vivente nei secoli
passati, e non potremo mai pensare che la
loro fede e la loro testimonianza sia qualcosa di definitivamente scomparso, perchè
Cristo opera anche oggi, e può suscitare anche fra noi dei credenti capaci di mettere
in pratica l’Evangelo.
Abbiamo chiesto a coloro che si preoccupano di vivere oggi in obbedienza a Gesù
Cristo di celebrare come credenti il 17 febbraio; i cortei, le bandiere, i petardi e i fuochi d’artificio, i pranzi, non sono Tunica celebrazione possibile; noi riteniamo che distolgano l’attenzione da quello che è il vero significato della data.
I petardi e i fuochi d’artificio sono condannati anche da molti valdesi che tengono
fermamente alle buone tradizioni, perciò non
c’è bisogno che stia a dimostrare quanto essi
siano fuori luogo.
I cortei e le bandiere, invece, sembrano
essere diventati il segno principa'e da cui
si distingue la fede di un valdese; chi li rifiuta non può che essere un rivoluzionario
miscredente. Ora, se ci si attacca talmente
a simboli e cerimonie umani non si è più
veramente liberi; il credente è libero da tutto questo, miò ricordare il passato anche senza cortei e bandiere. Ma, si chiederà, perchè
noi ci accaniamo contro questi simboli innocenti? Perchè secondo noi non sono poi
tanto innocenti : essi fanno convergere Taltenzione sulla patria terrena; sembra quasi
che i valde.si abbiano sofferto e combattuto
per secoli per poter un giorno essere italiani,
e cosi si confondono j valdesi con la Giovine Italia. Una tale confusione era forse legittima nel 1848, ma non più oggi, quando
il problema non è più di fare l’Italia, ma di
risolvere ¡ .suoi colossali contrasti economici
e politici, cosa di cui i nostri buoni valdesi,
che espongono il tricolore e partecipano ai
cortei del 17 febbraio, non vogliono sentir
parlare.
Diventare italiani non è stato lo scopo per
cui i valdesi hanno sofferto c combattuto;
caso mai è stata una conquista parziale, di
cui i migliori fra loro hanno subito approfittato per intensificare l’attività in vista dello scopo fondamentale : la predicazione dell’Evangelo. Questo si deve ricordare al 17
febbraio, non la modesta parità di diritti civili e politici che il governo di Carlo Alber
to si degnò di concedere. Non le bandiere,
ma qualche iniziativa concreta di testimonianza^ evangelica è la migliore celebrazione.
Non ci interessa la libertà concessa, ma l’uso
che i valdesi seppero farne, e l’uso che noi
ne possiamo fare, in tutti i campi della nostra attività.
Noi abbiamo indicato alcuni esempi di
questo uso attuale della libertà, senza volerli
imporre a nessuno, perchè i modi di servire
il Signore sono infiniti. Il « P'ellice » ha citato uno di questi esempi, ma lo ha interpretato ,n modo tale che il lettore avrà senza dubbio visto rivivere in noi le figure più
nere della Controriforma! Il Nuovo Testamento Annotato è una pubblicazione ideata
da Giovanni Miegge, che si propone semplicemente di fornire qualche spiegazione
utile per lo studio del testo biblico, senza
nessuna pretesa di infallibilità e senza imporre una interpretazione ufficiale. I Riformatori hanno tutti scrìtto dei commentari ai
libri della Bibbia, e non per questo si possono accusare di aver voluto vincolare i lettori. Chi ama la Bibbia e la vuol meditare
in profondità sa che un commento permette
di arricchire la propria comprensione.
Invitare i credenti a usare la loro libertà
approfondendo la propria conoscenza della
Bibbia non significa beffare i nostri padri;
un’accusa di questo genere dimostra soltanto
la superficialità di chi la scrive e il desiderio di sporcare ad ogni costo coloro da cui
si dissente. E’ un metodo che francamente
mi rattrista di vedere impiegato da uno che
si fa paladino del 17 febbraio.
Come pure m¡ rattrista che un giornale
della nostra valle conosca cosi poco la fede
valdese da ritenere che, per i nostri bambini, il 17 febbraio rappresenti la « massima
festa religiosa ». Se cosi fos^, i cattolici sarebbero più evangelici di noi, perchè per loro
la nascita, del Salvatore e la sua resurrezione sono avvenimenti più importanti della
festa del Santo Patrono; forse soltanto in un
certo cattolicesimo deteriore e superstizioso
è vero il contrario.
Il « Pellice » vede certamente molto lontano e sa che la nostra opera condurrà a una
« spaventosa schiavitù ». Nel campo delle
previsioni sarebbe forse consigliabile essere
meno rec.si; io so soltanto che oggi far riflettere la gente e invitarla a discutere il significato di un atto che sta compiendo è un
invito alla libertà, perchè una tradizione a
cui ci Si adegua, una tradizione che non si
discute, una tradizione verso cui si prova
soltanto sacro rispetto è quanto di meno vitale e di più mortificante ci sia. Una tradizione è viva quando è di stimolo all’azione
presente, quando è continuamente ripensata,
discussa, criticata come si fa con l’insegnamento dei vivi. I nostri padri uon hanno bisogno di incenso nè di cortei nè di bandiere;
i nostri padri sono uòmini il cui insegnamento può essere prezioso se non li mettiamo al di sopra delì’Evangelo ma al di sotto,
se ci sforziamo di comprendere la loro lezione alla luce delTEvangelo, per la nostra
azione di oggi, senza farne dei simboli, ma
lasciando che siano semplicemente uomini.
La prego di pubblicare questa lettera, perchè ritengo che i Suoi lettori debbano essere
esattamente informati della nostra posizione;
molti non saranno d’accordo, ma almeno
comprenderanno — spero — che ciò che ci
sta a cuore non è la distruzione del passato,
ma la riforma e Timpegno delle nostre comunità.
Cordiali saluti
Bruno Rostacno
Ho letto attentamente la vostra lettera e
vorrei prima di tutto pregarvi di leggere o
rileggere, se l’avete letta, la storia valdese,
perché il vostro atteggiamento verso la nostra bella festa del 17 Febbraio mi dà l’impressione ebe quella storia vi sia poco conosciuta o che Labbia te quasi dimenticata.
Da parecchi decenni, e cioè dal 17 Febbraio del 1848, giorno in cui i nostri Padri
festeggiarono con una gioia e gratitudine indicibili la fine di sette secoli di terribili persecuzioni e dell’oppressione che gravava sul
nostro popolo, i valdesi, con ragione, celebrano tutt’ora quella data memorabile, non sopprimendo nessuna delle sue caratteristiche manifestazioni per mantenere al 17 Febbraio il
suo vero carattere di festa u sfondo storico e
popolare. Sono d’accordo che i petardi, manifestazione rumorosa del dopoguerra, dovrebbero essere soppressi. Credo pure che il pranzo del 17 Febbraio dovrebbe essere un’agape
veramente fraterna e possibilmente accessibile
a tutti, anche a quelli che hanno pochi mezzi. Buono il vostro suggerimento di non limitare le agapi al 17 Febbraio, anzi di organizzarne forse non uua al mese, ma almeno due
o tre all’anno.
Sono anche d'accordo che nella ricorrenza
La gratitudine
di un popoio in festa
Una lettrice, da Forano Sabino:
Cari giovani,
non sono una valdese ma ho vissuto per
qualche anno in m(‘zzo ai valdesi nella cittadina dove è naia, t ome voi dite, « la ChiesaPopolo ».
È qui che ho imparato veramente da loro
cosa vuol dire i Evangelica e avere una
fede profonda inme la loro. Non vi aspettate
da me, giacché non sono più giovane, paroioni né contestazii Ili. ma qualche cosa ha da
dire la mia fede
Non vi posso '.hiie ragione, anche se viviamo in un temjjo dutve tutto deve essere rinnovato: ma corney in che senso? Forse TE vangelo di Gesù non . sempre lo stesso?
È forse la fe-.ia dei Valdesi che ci da fastidio per com{>iere le nostre azioni di fede?
Cari giovani, forse ce lo potrebbero dire i
vostri avi dalle arceri, dall’esilio e da tutte
le loro tribolazioni sofferte per amore dell’Evangelo. Essi ben a ragione gioirono in
quel giorno « 17 feJ)braio » perché finalmente
erano liberi di portare l’Evangelo, l’amore di
Dio, la grazia del Salvatore dalle Alpi alla Sicilia.
Quindi lasciate la Festa dei Valdesi si
faccia per la gloria ^dèi Signore e la gioia di
un popolo. Pensate j^anto fu grande per loro
la libertà di testimííniare la propria fede e
portare l’Evangelo a tutte le creature.
Io m’inchino a questo popolo eroico: una
volta alVanno si ricorda che a causa dei loro
sacrifici noi voi abbiamo conosciuto la parola
di Dio.
No, cari giovani, uon sia una tradizione,
un equivoco; onoriamo i nostri avi per la Gloria del Signore e ringraziamoli col pensiero
riconoscente, ora che viviamo in questo tempo di libertà e forse, nel disegno dell’Iddio
Vivente, nell’avvento del Suo Regno.
Voi potete servire il Signore dovunque Egli
vi chiama : lavorate per il Regno di Dio e il
Signor Gesù vi dia tanta fede, tanto amore
come lo da a tutti i suoi fedeli.
M. SCARIINCI
del 17 Febbraio non dovremmo dimenticare
d’impegnarci a fare qualche cosa a favore dell’evangelizzazione nella nostra patria. È un dovere nostro di renderci degni in tutti i modi
della libertà finalmente concessa al nostro popolo valdese nel febbraio del 1848. E grazie a
Dio, quel sacrosanto diritto pagato a così caro
prezzo dai nostri Padri, non ci è stato ancora
tolto; perciò guardiamoci più che mai dal non
farne buon uso, anzi raddoppiamo i nostri
sforzi e non perdiamo nessuna occasione per
far conoscere l’Evangelo di Cristo con la parola. con la distribuzione di opuscoli, evangeli, giornali ecc., incoraggiando la lettura
della Bibbia ed aiutando a diffonderla.
Questo lavoro di evangelizzazione è molto
importante, ma affinché possa portare molti
frutti alla gloria di Dio, bisogna, anzitutto,
che la nostra testimonianza non sia soltanto a
parole, ma anche accompagnata da opere
buone : « Così risplenda la vostra luce nel
cospetto degli uomini, affinché veggano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro
che è nei cieli » (Matteo V : 16).
Ringrazio il Signore d’aver potuto compiere per più di vent’anni, un’opera evangelistica volontaria, specialmente nella vicina
valle di Fenestrelle e nella valle d’Aosta, dove
il nostro caro padre fu maestro evangelista
durante ventitré anni. Purtroppo ho ormai
più di settant’anni e perciò non posso più fare
quei lunghi e bei giri di visite e quelle simpatiche adunanze in casa dei nostri isolati.
Per questo motivo sarei molto contenta, cari
giovani fratelli, se qualcuno di voi si mettesse all’opera per evangelizzare quelle valli
dove i nostri fratelli isolati sono ben pochi in
confronto della popolazione cattolica che li circonda e hanno tanto bisogno di essere visitati
e fortificati nella fede. Auguro dunque che
nella ricorrenza di questo 17 Febbraio lo spirito dei nostri Padri animi tutti noi, e soprattutto voi, giovani fratelli, e ci riempia di zelo
per Vevangelizzazione di queste valli alpine
che sono un vastissimo campo di azione per
l’opera affidataci dal Signore e per la quale
dobbiamo lavorare con quell’ardente amore
per l’Evangelo di Cristo che fu la caratteristica dei nostri famosi Barbi valdesi.
Paolina Bert
On lettore, da Prarostino:
Signor direttore,
(...) celebrando la festa del 17 febbraio, questi giovani propongono di abolire ciò che i
nostri padri hanno ritenuto giusto e bello di
fare rispettando e osservando la vecchia tradizione tramandata da padre in figlio, nel ricordo solenne di quel lontano e fausto 17
febbraio 1848, senza menomare, anzi direi
rinsaldando la loro fede in Cristo.
Se non erro, questi giovani, parlano della
« vocazione attuale di credenti in Cristo » cercando una vocazione più profonda.
Ebbene, secondo il mio umile e semplice
punto di vista, chi ci dice che nei tempi passati la vocazione dei nostri padri, fedeli eredi
Valdesi, non era forse più profonda che non
quella di noi figli? E allora perchè dobbiamo
modificare o abolire ciò che abbiamo ereditato?
La « Fede Cristiana Valdese » deve essere
la guida della nostra persona per tutti i giorni della nostra vita, in qualsiasi luogo ed ambiente in cui viviamo; se poi seguiamo cortei
e portiamo bandiere o coccarde, non importa,
ciò non diluisce affatto la fede,
Erminio Gardiol
IIIIIIIIIIIIIIMIIUIIMII
iiimiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiii
iiiiiiiimimiiiiii
La libertà indivisibile
Lettera aperta ai pastori contestatori, alla
redazione dell’« Eco-Luce », ai firmatari nonché agli aderenti alla « Lettera aperta a consigli di Chiesa, pastori, ecc. » (n. 4 dell’« EcoLuce » del 24 gennaio).
Noi non abbiamo avuto bisogno di riunirci
« recentemente » perché un vero credente dovrebbe sapere sempre ed in qualsiasi momento
qual’è la via da seguire o quali sono le opinioni da prendere.
Di equivoei la Chiesa Valdese è piena a cominciare dai pastori contestatori o rossi che
dir si voglia; i quali anziché dedicarsi alla
cura d’anime, preferiscono dedicarsi alla politica; vien fatto di domandarsi come si possa conciliare il vero credente nell'Evangelo, e
come tali i nostri pastori dovrebbero dare il
buon esempio, dovrebbero essere il "non plus
ultra ” del credente : « Nel nome di Gesù si
pieghi ogni ginocchio nei cieli e sulla terra
ed ogni lingua confessi che Cristo Gesù è il
Signore, alla gloria di DIO PADRE » (Ep.
Fiiippesi 2: 10-11); viene da domandarsi, dicevamo, eome i nostri pastori riescano a conciliare il totalitarismo rosso che è la negazione di ogni forma di religione, che non sia
quella di partito, con la fede in Gesù Cristo.
Noi che vediamo fin troppo chiaro arriviamo alla semplice e logica conclusione che
questi pastori non sono più da considerarsi
tali, ma semplicemente dei dottori in teologia
votati al marxismo. Non ci renderemo MAI
disponibili per una meditazione o azione di
fede proveniente da certi pulpiti; potremmo
esaminare una proposta di collaborazione alla
luce delTEvangelo solamente lasciando da
parte ogni colore di partito.
Sapete voi almeno cos’è la Chiesa? la Chiesa è la comunità dei credenti, è il popolo, siamo noi tutti e deve essere quindi l’espressione
di questo popolo e di questa comunità di credenti : « Gesù Cristo stesso è la pietra angolare, sulla quale l’edificio intero ben collegato
insieme si va innalzando, per essere un tempio santo nel Signore » Ep. Efesini 2: 21-22.
Non si è MAI verificato che un Valdese
consideri santuario la propria chiesa, la quale
altro non è che la casa di Dio dove ci si ritrova insieme per celebrare le Sue lodi; ed anche se non ci fosse (la chiesa) potremmo be
nissimo glorificare Iddio, poiché : « là ove due
o tre sono riuniti nel mio nome, quivi è la
mia chiesa ».
A proposito di marce vi siete dimenticati
che i nostri padri, forti della loro fede in Dio
e animati da supremo slancio di testimonianza in Gesù Cristo, hanno fatto una marcia di
ben 380 km. e non crediamo che dessero l’impressione di recarsi verso il santuario.
A proposito di bandiere, Gesù stesso rispose
a chi gli chiese se doveva ancora pagare i
tributi : « date a Cesare quel che è di Cesare ».
E sia ben chiaro che il XVII Febbraio non è
una festa religiosa, ma una festa della libertà
quindi noi inalberiamo il tricolore perché in
questo caso il « Cesare » è lo Stato Italiano,
inalbereremmo la bandiera rossa se fossimo in
stati dell’Est e quindi ci avessero dato la medesima libertà, ma non crediamo che un fatto
del genere si possa MAI verificare in quei
paesi a regime totalitario, infatti da loro la
libertà viene concessa con i carri armati e sono
tutti liberi di fare come vogliono... i dirigenti
del partito.
L’Evangelo si annuncia con tutti i mezzi
possibili e soprattutto non distruggendolo, però
approviamo in pieno l’inutilità dei petardi.
Ci risulta che fin dai primi tempi in cui si
faceva il pranzo del XVII Febbraio il medesimo sia sempre stato un’agape fraterna alla
quale partecipava e partecipa chiunque abbia
caro il principio di libertà inteso nel vero
senso della parola.
Sarebbe bene cominciare ad impegnarci seriamente per rievangelizzare le nostre comunità, poiché da quanto sopra esposto ne hanno
assoluto e urgente bisogno.
Non ci necessitano i vostri suggerimenti per
usare la libertà di cui godiamo come va interpretato un Nuovo Testamento anche non
« annotato », annotazioni forse della Santa Romana Chiesa, o dei « dottori in teologia » di
cui sopra con le loro disquisizioni filosofiche
tanto vane quanto inutili?
Siamo d’accordo di organizzare delle agapi
fraterne poiché molto abbiamo da dirci e da
imparare gli uni dagli altri senza che da nessuna parte si pretenda di avere ragione :
« Non abbiate altro debito con alcuno se non
di amarvi gli uni gli altri, perché chi ama il
prossimo, ha adempiuto la Legge » Epistola
ai Romani 13: 8.
Vi diamo atto di aver scelto la via dell’appello fraterno ed infatti rispondiamo con
un’altra lettera aperta.
Non « tiriamo un respiro di sollievo » perché il XVII Febbraio non sarà contestato,
tanto anche fosse stato « clamorosamente »
contestato avreste solo dimostrato di avere poca intelligenza, appunto dato il carattere della festa, una festa della libertà, e quando si
dice libertà si intende in tutti i sensi, una festa che sta a significare gli sforzi fatti da
un popolo tenace durante otto secoli di lotta
per arrivare alla propria libertà.
Siamo d’accordo sul necessario richiamo alle comunità per un ritorno al vero significato
della testimonianza a Dio e a Gesù Cristo, però non possiamo accettare solamente la predicazione di Gesù Cristo come voi amate far
credere quale precursone sociale e oseremmo
dire marxista dei nostri tempi; ma dobbiamo
esaminarla in tutto il contesto biblico, quindi
Antico e Nuovo Testamento, in poche parole
la «SACRA BIBBIA» non annotata, e meditata quale unica, sola e vera Parola di Dio
agli uomini.
Troppo facile porre delle limitazioni anche
lì, (non impariamo dalla Chiesa Cattolica Romana!); « Io vi esorto, per il nome del nostro Signor Gesù Cristo, ad avere tutti un medesimo parlare, e a non avere divisioni fra
voi, ma a stare perfettamente uniti in una
medesima mente e in un medesimo sentire »
1' Ep. Corinzi 1: 10.
Auspicando costruttivi incontri sia con lettere aperte o di persona vi salutiamo fraternamente.
Speriamo che T« Eco-Luce» sia abbastanza
obiettivo da accettare altrettanto « volentieri »
questa lettera aperta, e non per essere dei copioni, ma soltanto per avere un’idea obiettiva
dell’opinione delle nostre comunità vorremmo
anche noi raccogliere della firme di adesione.
Attilio Sibille
Firmatari;
Gianni Testa, Ferruccio Cogno, Guido e
Vera Odin, Giorgio Cogno, Renato Eynard,
Graziella Valente, Dante Cogno,
volta ancora...,,
Ho letto con interesse la lettera aperta diretta alle comunità valdesi, ai consigli di
chiesa, ai pastori, ai comitati per la celebrazione del XVII febbraio, distribuita al termine di un’assemblea di chiesa tenutasi a
Pomaretto domenica 26 gennaio e pubblicata nell’ultimo numero dell’« Eco-Luce ».
Nella lettera stessa, i firmatari espongono
chiaramente il loro punto di vista in merito
alla celebrazione tradizionale del XVII febbraio, formulano proposte innovatrici e rivolgono infine un appello volto ad ottenere
adesioni e consensi alle loro proposte.
Fin qui, sono perfettamente d’accordo sul
metodo seguito dai firmatari della lettera.
Senonchè, nella lettera stessa, i firmatari
affermano anche di « rinunciare, per ora, ad
azioni contestatarie clamorose » e più oltre
« di aver scelto, questa volta, la via dell’appello fraterno ».
E’ chiaro quindi che i propositi futuri
non saranno più così miti!
A questo punto, i casi sono due:
— o le « azioni contestatari« clamorose »
si limiteranno ad azioni dimostrative coinvolgenti i soli dimostranti e loro eventuali
simpatizzanti;
— o le « azioni contestatarie clamorose »
avranno carattere di disturbo per il prossimo, con azioni di molestia, di violenza o di
costrizione (come ormai di moda, per es.,
in occasione di scioperi nelle fabbriche o
nelle scuole, tanto per intenderci).
Nel primo caso, sono ancora perfettamente d’accordo sul buon diritto di ognuno di
manifestar« le proprie convinzioni.
Nel secondo caso, poiché non approvo atti qualificabili come attentati alla libertà
personale, mi auguro invece che i tutori
dell’ordine siano in ogni caso all’altezza del
loro compito, poiché, quando non fossimo
più difesi nei nostri ideali di libertà, la nostra sorte sarebbe segnata : la storia del non
dimenticato ventennio dovrebbe averci insegnato qualche cosa al riguardo. Ma voglia
Iddio che in ogni circostanza prevalga il
buon senso e che non siamo, proprio noi
valdesi, nella ricorrenza della nostra emancipazione, a dar« sì indecoroso spettacolo.
E poiché i firmatari della lettera invitano
« coloro che respingeranno l’appello a rendere note le motivazioni evangeliche del loro
rifiuto », mi permetto di invitare i firmatari a motivare loro stessi evangélicamente
gli atti di costrizione e di violenza che si
collegano in genere alle azioni contestatarie.
Ad evitare di essere frainteso, devo precisare che non sono affatto un fanatico dei
cortei; dirò anzi che, fin dall’immediato dopoguerra, mi adoperai, con qualche successo, affinchè cessasse l'uso dei petardi. Tuttavia, onestamente non mi sentirei di affermare che cortei, esposizione di bandiere, falò
sono decisamente fuori luogo.
Si rileggano al riguardo le pagine della
storia valdese che dsscrivono lo stato d’animo
delle popolazioni valdesi, quando, in quella
storica fine febbraio 1848, giunge alle Valli
la notizia della firma dell’atto di emancipazione.
Uno storico valdese scrive testualmente :
« Senza che nessuno Labbia convocato, il popolo s’avvia ai templi dove s’improvvisano
culti solenni di lode all’Iddio liberatore e
poi, durante tutta la giornata, non cessano
di risuonare nelle campagne e sulle alture
i canti della libertà. E, la sera, s’illuminano
per incanto le case dei villaggi, mentre sulle pendici nevose dei monti centinaia di
fuochi di gioia risplendono in modo fantastico » (E. Comba •— Breve Storia dei valdesi — Ed. Claudiana).
E da allora, la scena si ripete di anno in
anno... Ma allora, dobbiamo proprio pensare che i nostri nonni ed i nostri padri non
abbiano capito niente ed abbiano sbagliato
tutto?
Le bandiere e le coccarde esprimono, è
vero, un sentimento di lealismo verso tina
società terrena, dai confini geografici limitati, come affermano i firmatari della lettera. Tuttavia, a mio avviso, è comprensibile
che, nell’animo generoso ed ingenuo del
montanaro valdese si sia radicato un sentimento di gratitudine, eh« si manifesta sventolando i colori d’Italia, nei confronti degli
autori materiali del dono della libertà.
Dirò, per inciso, che questi sentimenti forse sono rivolti non tanto al tentennante Monarca sabaudo che, con la firma dell’atto
di emancipazione, riscattò in minima parte
le colpe ed i crimini commessi dai suoi avi
nei lunghi secoli delle persecuzioni quanto
ai nobili esponenti del liberalismo piemontese che rispondono ai nomi di Roberto
D’Azeglio, Cavour e Gioberti, i quali, con
grande fermezza, perorarono la nostra causa.
Non sarà superfluo ricordare che, Se l’atto
di emancipazione ci ha resi liberi di professare la nostra fede, ritengo ohe, oggi, la
costituzione italiana ci garantisca, fra l’altro,
anche il diritto di partecipare a cortei, di
esporre bandiere, di accendere i fuochi di
gioia, senza essere molestati.
Ora, penso che i valdesi, con queste manifestazioni, non abbiano la pretesa di testimoniare della loro fede; è ovvio che questa
testimonianza si debba dare con la preghiera e col ringraziamento a Dio, unico vero
liberatore.
Mi si potrà obiettare che l’entusiasmo che
anima i valdesi il giorno del XVII febbraio,
per quanto concerne la frequenza ai culti
e le attività delle chiese, si nota una volta
all’anno o poco più. E di questo dobbiamo
sinceramente dolercene, ma non mi pare giusto ricercarne sempre le cause nel modo di
celebrare il XVII febbraio.
Termino auspicando da parte di tutti
maggior comprensione per l'avvento di una
società migliore.
Guido Babet
4
14 febbraio 1969 — N. 7
pag. 3
contestazione secolare
e Giacomo Bonello nel 1561 a Palermo), e la distruzione di villaggi interi
in Calabria (Guardia Piemontese) nel
1560, i Valdesi non vollero sapere altro fuorché Gesù Cristo, e nel suo nome sopportarono ogni cosa fino al
giorno in cui, a loro che erano stati
sempre liberi in Cristo, fu concessa la
possibilità di essere liberi anche fra
gli uomini per poter donare loro quel
messaggio deirEvangelo che rende gli
uomini veramente liberi.
Il ricordo del 17 febbraio 1848 ha un
senso ancora oggi, solo nella misura
in cui diviene richiamo alla libertà dal
peccato, alla libertà da ogni compromesso sia con il mondo, sia con il neocattolicesimo spiritualizzato ed integrista, sia con le molte ideologie di contestazione che nella apparente novità
delle rivendicazioni tendono a monopolizzare tutto l’uomo facendogli dimenticare resistenza di Colui che è
la via, la verità e la vita.
Nella situazione attuale di libertà di
espressione e di predicazione, il ricordo di quel lontano momento storico
deve essere giustamente spogliato da
ogni mistica del passato, da ogiii appannaggio folkloristico e ridicolo nella
sua incongruenza storica, da ogni tentazione di autocompiacimento farisaico, per divenire un energico richiamo alla fedeltà a Cristo in tutta la no
stra vita, ad una maggiore coerenza
tra il nostro essere concreto qui ed
ora, uomini tra uomini, e l’insegnamento di Cristo, per essere un indice teso
verso Gesù Cristo, verso colui che
« solo » ha l’autorità di contestare noi
stessi per primi e quindi le nostre
Chiese e la nostra società, e nel nome
del quale ci è lecito oggi riproporre al
mondo la contestazione del Vangelo,
non con fiumi di parole, slogans importanti, superproduzione di volantini
e di ciclostilati, atti inconsulti, cose
che in fondo costano ben poco, bensì,
con l’esempio concreto di una vita
rinnovata che sia manifesto visibile,
segno inequivocabile del Regno di Cristo che è presente tra di noi, e che costa cara perché comporta la rinunzia
a quelle comodità, a quel benessere che
in fondo è il nostro idolo preferito.
Forse, parafrasando una parola dell’Apostolo Paolo (Gal. 5: 13 e 5: 1),
potremmo riassumere quel messaggio,
che ci giunge ancora oggi dopo 121
anni di libertà spesa male e che spesso non abbiamo saputo percepire :
« Fratelli, voi siete stati chiamati a
libertà; soltanto non fate della libertà
una occasione alla carne... Cristo ci ha
affrancati perché fossimo liberi; state dunque saldi e non vi lasciate di
nuovo porre sotto il giogo della schia
Gìovannì Scuderi '« n^iA
Tardano le risposte
alla "lettera ai pastori"
Alcuni operai delle Valli avevano espresso il loro dissenso sulla
situazione della vita ecclesiastica nelle tensioni sociali odierna
Diversi lettori ci hanno detto e scritto che
si aspettavano una risposta alla ^lettera aperta ai pastori” pubblicata sul primo numero
’69 del nostro settimanale. .Anche noi! Avevamo subito domandato ad alcuni pastori di
scrivere tede risposta, ma per ragioni diverse
hanno declinato; poi abbiamo saputo con vivo
piacere che domenica 2 febbraio si sarebbe
tenuto a Pinerolo un incontro fra i firmatari
della lettera e il corpo pastorale delle Valli,
ma si è poi appreso che i firmatari della lettera hanno declinato l’invito, desiderando una
risposta pubblica sul giornale: forse avevano
pensato che li si volesse neutralizzare fra
quattro mura, in privato. In realtà non era
certo questa l’intenzione dei pastori e da
parte nostra intendevamo dare notizia con
ampiezza di questo incontro. Peccato, dunque.
Continuiamo ad aspettare e a sperare... Intanto pubblichiamo una lettera che da tempo
abbiamo ricevuto dal decano della Facoltà
valdese di teologia, e un’altra giuntaci ora da
un collaboratore, da Torre Pellice. Un’altra
deve attendere...
red.
Caro direttore,
ho letto la « lettera ai pastori I liil numero della Luce-Eco arrivato avant’ièfi, e c’è
un punto che mi ha colpito in modo speciale, sul quale l’attività che svolgo mi autorizza
a interloquire : si tratta del paragrafo conclusivo, dove mi sembra di sentire una profonda sofferenza : « ...Non scriveteci che noi
non conosciamo la teologia. La teologia come
la intendono molti di voi è una cosa da signori. E noi non la capiamo. Non siamo andati a scuola... ».
Queste parole hanno un suono autentico.
Chi può scrivere a La testimonianza nella fabbrica siamo noi », può anche sentire veramente, dolorosamente, la mancanza di una
formazione teologica adeguata. E qui c’è un
appello da udire, e un’azione da intraprendere, immediatamente. Perché è vero che ci sono degli operai che sanno di teologia, e sanno non poco; e c’erano dei catecumeni che
preparandosi a diventare operai specializzati
si interessavano vivamente ai problemi teologici del corso di catechismo, e ora che sono
membri di chiesa se ne vedono i frutti. Ma è
evidente che la maggioranza ad un certo punto sente il peso della sua « incultura teologica ». Uno dei motivi lo dice la lettera: «Noi
non siamo andati a scuola ». Qualunque sia
il motivo (pressione sociologica, egoismo della
famiglia, ansia di indipendenza economica),
un pentimento è sempre tardivo. Se all’età
giusta scegliere la via degli studi era pesante,
cambiare dopo è pesantissimo, per non dire
impossibile (le eccezioni sono la conferma
della regola).
Ma il sofferto lamento della « lettera ai pastori » è un richiamo. Le chiese della Riforma sono enti « di culto, di beneficenza e di
istruzione » : questo non è soltanto una etichetta che ci pone lo stato — è una vocazione che fa parte della natura stessa della comunità di Gesù Cristo mentre è su questa
terra. La testimonianza apostolica, la proclamazione, chiamava gli uomini alla fede; e la
didaché, l’insegnamento, alimentava la fede.
La Riforma lo ha riscoperto e rivalutato. La
missione del valdismo ne ha fatto per secoli la
sua ragion d’essere — non solo prima della
Riforma: anche nell’opera di evangelizzazione
del secolo scorso. In questo, non dobbiamo dimenticare che mentre alcuni (una minoranza!) sono teologicamente autodidatti, perché
possono darsi una formazione teologica grazie
agli studi che hanno fatti, e con l’orientamento generico che viene dal vivere nella comunione della chiesa, la maggiorana non può
essere autodidatta perché « non è andata a
scuola ». Di li l’esigenza di una mediazione .—
a tutti i livelli, ma specialmente al livello di
chi non può fare a meno di un insegnante,
di un fratello che guidi, che spieghi, che incoraggi, che cerchi insieme. A costo di fare
come il pastore che « lascia le novantanove
che sono al chiuso », riparate, provvedute .—
e va verso quella che affronta le incognite
della terra arida, ignota; dell’isolamento; dell’ostilità (solo che qui le proporzioni sono rovesciate). Verso coloro che per studiare teologia devono lottare non solo contro la mancanza di una base culturale, ma anche contro rinfluenza dell’ambiente, che cerca altre
« distrazioni » per il tempo libero e altri beni
per cui spendere i soldi, piuttosto che i libri;
contro la fatica del lavoro quotidiano; contro
la mancanza di aUenamento all’analisi razionale e così vìa. Nel quadro dell’attuale tendenza a gettare dei ponti e stabilire una comunicazione a tutti i livelli, lasceremo noi
cadere questo appello?
Bruno Corsani
UN’IINTERVISTA DI KARL BARTH OTTANTENNE
Credo che il grande peccato
sia l’ingratitudine
Semplici, vigorose parole di uu credente sulla vita cristiana, sul
pastorato, sulla preghiera - Siamo liberi ? Piuttosto galleggiamo, prigionieri di ogni ondata - L’Evangelo è un messaggio di libertà, ma
una libertà nelTobbedienza - Puerilità del mondo divenuto ((adulto»
Caro direttore,
sono passate sette settimane da quando è
apparsa la Lettera degli Operai ai Pastori, o
non ho visto fin’ora una risposta.
Ho pensato perciò mandarle su questo argomento alcuni miei pensieri, con la speranza
(o l’illusione) che ciò possa avviare il dialogo.
La mia non è dunque una risposta alla lettera
degli operai : non ho veste per formulare tale
risposta. Non ho la veste del Pastore; e nemmeno quello dell’Operaio. Sono solo un uomo;
o almeno cercò di esserlo. Come tale, mi rendo
conto che, mettendomi fra le due parti per
tentare di favorire il dialogo, posso essere
frainteso dagli uni e dagli altri e prenderle da
destra e da sinistra. Ma questo non importa,
purché il dialogo si possa avviare.
Il ritardo di una risposta può essere pensato come un buon segno. Può voler dire che
si riconosce l’importanza della Lettera, e che
perciò non le si può rispondere semplicemente con un’altra lettera. Ma il ritardo si può
anche pensare dovuto al fatto che qualcuno
vorrebbe scrivere una lettera di assenso e altri
una lettera di dissenso, e ognuno aspetta che
l’altro prenda per primo l’iniziativa. In questo caso il problema diventa grave perché
mette in evidenza che la Chiesa è divisa. È
cosa che tutti sanno, che salta agli occhi di
chiunque legga uno dei nostri giornali. Ma
rendersi conto che tale divisione non è più di
« correnti » ma di « fazioni », e che per questo motivo la Chiesa non è in grado di dare
una risposta univoca agli operai è la realtà
che si tende a respingere, a tacere. Ho detto
la parola « fazione » perché l’episodio menzionato dagli operai, e secondo cui (cosi come è
riferito) uno di loro, in un’assemblea di chiesa ha avuto i suoi pensieri definiti « fesserie »
e la maggioranza, con un applauso, ha deciso
di cancellarle dal verbale : questo, a mio avviso è pura faziosità e sopruso.
Non cito altri casi di faziosità : l’elenco potrebbe esser lungo, e sarebbe olio sul fuoco,
come olio sui fuochi del 17 Febbraio sono
giunte al riguardo, tanto che penso proprio di
non accendere il mio falò.
In questo clima, che cosa si risponderà agli
Operai? Una lettera che dia un colpo al cerchio e uno alla botte? non credo sia augurabile. Meglio sedersi tutti assieme attorno a
un tavolo e avviare un dialogo. Dico un dialogo e non una discussione. E parlo di un tavolo vero: la forma non importa, purché non
sia il tavolo di un concistoro e nemmeno il
tavolo della redazione del giornale. Il tavolo
di una « piola » è il più adatto. Se gli operai,
in quanto dissentono dalla Chiesa qual è, sono
ovviamente, per questa, smarriti, aspettarli o
cercarli nell’ovile non ha senso. In questo incontro nella « piola » (o nella fabbrica) può
darsi che la Chiesa trovi il legame che dovrebbe tenerla unita per poter rispondere univocamente agli Operai. E se ci si vuole ritrovare
in chiesa anche con gli operai, ciò mi sembra
indispensabile.
Gustavo Comba
In occasione del suo ottantesimo annimersario, nel 1966,
Karl Barth fu intervistato da uno dei redattori de « La Vie
protestante ». Vale la pena di rileggere e rimeditare quelle
parole. red.
Che direbbe a un pastore che iniziasse oggi il suo ministero?
5;.
Gli direi: per cominciare, si dia la pena di concentrarsi
sul suo compito. Non faccia troppe cose. Il pericolo, nella
nostra Chiesa moderna, è il troppo.
Ha l'impressione che il ministero sia oggi disperso in molte
direzioni?
Sì, e vedendo i pastori mi domando spesso quando mai
avranno il tempo di leggere semplicemente la loro Bibbia,
e dei libri, anche non teologici, seduti nel loro studio. Invece hanno delle automobili, girano il paese, danno conferenze, sempre conferenze...
E' stanco di conferenze?
Sì (sospiro). E poi bisogna che il pastore non sia i| commesso viaggiatore dell'Evangelo, ma un semplice testimone, bisogna sapere di che cosa bisogna testimoniare.
I pastori credono spesso di avere l'Evangelo in tasca.
II loro pensiero ruota intorno al problema: come presentare l'Evangelo? Secondo me il grosso problema non
è il come: più o meno moderno, più o meno liturgico,
più o meno filosofico — ma il che cosa. Devono portare
qualcosa di singolare, di sorprendente, e l'Evangelo è
una cosa singolare. Ma per scoprirlo ci vuole lavoro.
Ha parlato di letture non teologiche. Le pare che la Chiesa non conosca abbastanza il mondo?
Non bisognerebbe che il pastore e i credenti si figurassero di essere una società religiosa che s'impernia su di
un dato tema, ma piuttosto che essi vivessero nel mondo.
Secondo la mia vecchia formula, abbiamo dunque bisogno della Bibbia e |ièl giornale.
ÌB|.>
Ci dica allora in senso la Bibbia illumina il giornale
e in qual modo il giornale illumina la Bibbia.
La Bibbia ci insegna a vedere le cose umane nel loro
centro, nella loro altezza, nella loro profondità. Il giornale è il racconto quotidiano di ciò che avviene neH'umanità ; e la Bibbia ci insegna a conoscere l'umanità, inclusi
gli errori dei giornalisti...
Incasso !
Il giornalista ha un ruolo di primo piano nel mondo.
Da molto tempo ho l'abitudine, quando ho l'occasione di
predicare, di intercedere non soltanto per le autorità politiche, ma anche per i giornalisti, poiché anch'essi hanno,
a modo loro, una sorta di autorità.
Poco fa parlava dello studio della Bibbia, da parte dei
pastori. Avrebbe qualcosa da dire ai membri di chiesa,
a questo riguardo?
Ogni membro di chiesa dovrebbe prendere l'abitudine di una lettura seguita. Ci vengono proposti certi testi :
ebbene, leggete questi testi, non soltanto dei passi staccati ma, poniamo, un salmo, e poi meditate questo salmo, o una certa parte di un evangelo o di una lettera di
Paolo o di Giovanni. Per me, che sono professore di
teologia, è mio dovere quotidiano farlo. Penso che per
i cosidetti 'laici' (la parola non mi piace) questa meditazione può anche divenire una gioia. Bisogna abituarsi
a vivere con la Bibbia.
Come fa a pregare?
Ci sono due modi di pregare. Sono necessari entrambi : la preghiera abituale che si fa al mattino, la sera, a
tavola (perchè no?) — e poi c'è la preghiera diretta:
ci si trova in una situazione diffìcile, e la nostra preghiera non sarà altro che un sospiro, un'esclamazione, un
pensiero di riconoscenza : Dio mi ha permesso di essere
felice; ha permesso a me di raggiungere gli ottant'anni.
E poi anche gridi di pentimento, di dolore, di speranza.
Una specie d'istantanea, senza parole, sì quasi senza parole. Non che io voglia sopprimere la preghiera formulata, ma è necessario che vi sia pure questa preghiera
diretta, come una sorta di respiro.
A proposito dei suoi ottant'anni, ci può dire come si fa
a invecchiare bene?
Non sono sicuro di essere invecchiato bene (l'orologio, nella cameretta della Brüderholzallee, si mette a
suonare in questo preciso istante). Sono un grande peccatore, ho mancato in molte cose, ho trascurato molte
cose. Non posso che confessare di essere stupito come
questi ottant'anni sono trascorsi. Avevo il mio lavoro,
sapevo ogni giorno quel che dovevo fare. Questi ultimi
due anni sono stati una grande esperienza: ero malato,
semplicemente; tre volte in ospedale, due volte operato; ho avuto un attacco, qui (e designa la fronte) e
il buon Dio mi ha permesso di superare tutto questo; e
ora mi sento meglio di due anni fa.
Bisogna accettare tutto. Credo che quel che manca a
tutti noi è che non siamo abbastanza riconoscenti di quel
che Dio ci dà. Guardi ora la primavera (si volta sulla
sua sedia e guarda fuori), e poi l'estate, l'autunno, l'inverno. Vi è pure una primavera della vita, e un autunno.
Tutti questi tempi della vita umana sono doni di Dio.
Credo che il grande peccato è l'ingratitudine.
Un momento fa Lei ha citato un salmo, come prima lettura biblica ; ed è a questo che ora ritorna. Pensa che
vi siano nell'Evangelo degli elementi che siamo portati a fraintendere, oggi, a causa della vita che conduciamo? e, al contrario, elementi che possiamo comprendere meglio dei nostri predecessori?
I nostri genitori e i nostri nonni comprendevano l'Evangelo come una legge, una legge di credenza, una
legge morale. Forse ci è concesso di realizzare che
l'Evangelo è un messaggio di libertà. Non : « dovete
credere », ma ; « vi è permesso credere ».
Ma oggi è forse difficile capire che questa libertà è
una libertà nell'obbedienza. Oggi si galleggia. E galleggiare non significa essere liberi, ma invece prigionieri di
tutte le ondate che si scatenano.
Pensa che il disimpegno della Chiesa nei confronti dello
Stato, che è pur sempre la linea generale della storia,
contribuisce all'evoluzione di cui Lei parla?
Sì. Questa concezione 'obbligatoria' della religione
aveva un certo rapporto con la posizione della Chiesa
nei confronti dello Stato. La cosidetta religione faceva
parte della vita sociale. Ora dobbiamo camminare con i
nostri piedi : non c'è più chi ci sostiene a sinistra e a destra. La sola cosa che può mantenerci, oggi, è la comunione dei santi, non più la comunità politica e sociale.
A proposito, che cosa pensa della formula di moda, che
ci viene da Bonhoeffer, secondo la quale il mondo è
diventato adulto?
È una formula che non mi piace. Se leggo il mio giornale, non ho l'impressione che il mondo sia diventato
adulto. Prenda la politica americana — gli Americani
sono, dopo tutto, la parte deH'umanità che è più avanzata nella tecnica, nella scienza, e anche la più potente
— io trovo che la politica americana non è esempio di
atteggiamento adulto. Tutta la questione vietnamita è
puerile. No, siamo piuttosto dei ragazzi un po' viziati,
giochiamo, ci annoiamo e c'infastidiamo a vicenda.
Lei parla di tecnica. Pensa che la conquista dello spazio
cambierà la mentalità dell'uomo e rinnoverà la sua
percezione del divino?
Crede proprio che l'uomo sia mutato, dopo Gagarin?
Si va verso la luna, dietro la luna, ma la cosa non cambia gran che la nostra situazione umana. Tuttavia tutto
questo può costituire una circostanza favorevole per la
nostra comprensione di Dio. Impareremo meglio che
l'eternità di Dio, l'onnipotenza di Dio non è una questione spaziale o temporale, ma che sta al di là, oltre. Non
scopriremo che cos'è Dio nè meglio nè peggio dei nostri avi. Ma se egli si è fatto conoscere — e si è fatto
conoscere — lo coglieremo meglio come il sovrano della nostra vita, del nostro cuore. Compito della Chiesa è
dire la buona novella dell'Evangelo all'uomo contemporaneo di Gagarin. E torno alla Sua prima domanda: non
bisogna che coloro che hanno una responsabilità nella
Chiesa si perdano nel tempo o nello spazio, ma che si
concentrino sulla realtà del Dio vivente: di questo hanno bisogno gli uomini.
I giornali annunciavano, stamattina, che I Università di
Bonn L'ha nominata senatore onorario. Tutti i riconoscimenti che Le vengono dalla Germania devono esserLe particolarmente preziosi.
Serbo un ottimo ricordo di Bonn. Erano bei tempi. Avevo l'impressione, insegnando laggiù, di essere un mercante su di una grande piazza pubblica. Qui, a Basilea,
mi sentivo piuttosto come un piccolo droghiere ! Ma sono
molto riconoscente al Consiglio di Stato basileese. Ho
dato le mie 'dimissioni' a Bonn un sabato e il lunedì il
Consiglio di Stato mi ha nominato qui. In tutta la mia
vita non sono dunque stato disoccupato che una sola domenica !
Riunito a Roma il Consiglio
della Federazione Evangelica
Nei giorni 7 e 8 febbraio sì è riunito a Roma per la sua
periodica sessione il Consiglio della Federazione delle Chiese
evangeliche in Italia; erano presenti, oltre ai rappresentanti
delle Chiese membri (battisti, luterani, metodisti, valdesi) quelli dei due aderenti (Chiesa Apostolica ed Esercito della Salvezza)
nonché delle Assemblee di Dio; anche alle Chiese e organizzazioni evangeliche non membri viene data la possibilità di partecipare, se lo desiderano, a parte almeno dei lavori.
Sono stati esaminati i vari settori dell’attività federrfe, in
particolare quello del servizio sociale, quello deU’attività mediante i mezzi dì comunicazione (stampa e radiotelevisione).
Nel prossimo numero daremo più ampia notìzia dei lavori e
delle deliberazioni.
5
14 febbraio 1969 — N. 7
Nuova iniziativa svizzera contro l’inforestieramento
NEI NOSTRI ISTITUTI D’ISTRUZIONE SECONDARIA ALLE VALLI
Iniziativa e coraggio Vita e impenno stadeniesclii
I. ima n.i*ima ani_ —»a a_ a a a ___________^
L'anno scorso una prima proposta dì iniziativa popolare contro l’inforestieramento è
stata ritirata. I promotori hanno certamente
pensato che il popolo svizzero l’avrebbe rigettata, qualora si fosse arrivati a una votazione popolare.
Tuttavia sembra che quest’anno, ad opera
delle stesse persone, sarà presentata una seconda iniziativa, e forse questa volta il popolo svizzero sarà chiamato a dire, con il
suo si o con il suo no, quale strada si debba seguire.
Cosa si intende per « inforestieramento »?
5i intende il cambiamento che si potrebbe
eventualmente registrare nelle tradizioni e
nei costumi svizzeri a causa del troppo gran
numero di stranieri residenti in Svizzera.
La Svizzera infatti ha sul suo territorio
un numero di stranieri che, in rapporto alla
popolazione, è di gran lunga jl più alto di
tutta l’Europa. In cifre tonde e approssimate
vi sono 900 mila stranieri e 5 milioni di
svizzeri che vivono sul suolo elvetico. Si sa
che la Svizzera ospita un gran numero di
organizzazioni internazionali, ma i funzionari internazionali non sorpassano le 17.000
unità. Il resto degli stranieri è diviso in
molteplici attività, con una larga maggioranza di operai (più di 120 mila nella metallurgia, più di 150 mila nell’edilizia).
Sono pronto a riconoscere, essendo io stesso straniero, che la presenza di un tal numero di persone provenienti da altri paesi
costituisce un bel problema. Non c’è nessun
dubbio che reconomia elvetica ha bisogno
di queste persone. Come vedremo tra poco,
essa non può farne a meno, se non vuole
andare incontro a sacriiici molto duri. Nello stesso tempo bisogna guardare in faccia
i problemi e vedere chiaramente come risolverli.
Ma sono veramente questi stranieri che
fanno cambiare le tradizioni della Svizzera?
Anche a noi piacerebbe che questo paese rimanesse sempre uguale all’ideale che ce ne
siamo fatti. Anche a noi piacerebbe ritrovare sempre ancora la vecchia Svizzera delle
cartoline illustrate, ma sappiamo che la Svizzera è un paese che evolve e si sviluppa e
quindi diventa sempre più moderno.
Questo progresso non solo non è un male,
ma è il segno della vitalità della Svizzera.
Ora è normale, d’altra parte, che un tale
progresso porti con sè un gran numero di
nuovi problemi, che richiedono una buona
dose di intelligenza per trovare nuove soluzioni. Il che avverrà, ne siamo certi, nel rispetto delle motivazioni storiche profonde
che hanno fatto degli ordinamenti elvetici
un esempio ammirato dagli altri paesi. Gli
stranieri sono i primi a volerlo. Che i problemi nuovi siano risolti nello spirito proprio al popolo svizzero: è proprio questo che
noi ci auguriamo.
Ma questi problemi non verrebbero risolti
parAÜzzando rindustria e rinviando al confine circa trecento mila stranieri! Gli stranieri partirebbero, ma le strade rimarrebbero da pulire, le case da fare-», le industrie
rimarrebbero senza operai, e resterebbero
tutti gli altri problemi. Far partire gli stranieri non risolverebbe proprio nulla. Sarebuna soluzione meschina e priva di vere
prn‘'pettfve per il futuro.
<;i I Et-rrri dell'iniziativa
veniamo al testo della Iniziativa stessa. -i propone di ridurre severamente
il numero di stranieri. Ora il Consìglio fe-derale. coi': ileeroto del 28 febbraio 1968, ha
già stìil)ilj[o delle norme per diminuire Teccedenza (l- manodopera straniera. Si tratta
dì norme iien adattate e che praticamente
producono una stabilizzazione piuttosto che
una diminuzione. Non. contenti di queste
misure, i propugnatori della nuova iniziativa chiedono provvedimenti radicali.
La richiesta del testo deiriniziativa è formulata cosi : Il Consiglio federale veglia a
che in ogni cantone (Ginevra a parte) il numero degli srianierì non sia superiore al 10%del cittadini svizzeri contati nell'ultimo censimento. Per il cantone di Ginevra la proporzione ammessa e del 25%.
Naturalmente si prevedono delle eccezioni; i funzionari internazionali, gli stagionali
che vengono senza la famiglia, i front^ieri,
gli studenti, ecc. ecc., non sono presi nel
conto. Evidentemente non è il caso di mandare a casa quelli che vengono in Svizzera
per farsi curare nelle sue cliniche, nè i turisti. nè gli scienziati, gli ecclesiastici o i
diplomatici. Tulle queste categorie di persone possono dunque star tranquille. Ma sarà
tanto peggio per glj altri! Quante famiglie
straniere dovranno lasciare la Svizzera se
per ipotesi passerà questa iniziativa? Quanti
lavoratori, che contribuiscono al benessere
svizzero non meno che gli scienziati, i turisti o i funzionari internazionali, e fosse di
più, quanti lavoratori, dicevamo, sarebbero
spedili al confine?
I conti sono presto fatti. La Polizia federale degli stranieri li ha già fatti e pubblicati, con estrema precisione. Facciamoli anche noi : se la jmpolazione sv.zzerà è di circa 5 milioni (arrotondiamo le cifre per maggior semplicità e chiarezza), il 10 per cento
di stranieri equivale a '"^00 mila. Aggiungiamo a questa cifra le categorie di cui sopra,
che non vengono toccate dalla proposta : si
tratta al massimo di 100 mila }>ersone. Arriviamo così a 600 mila stranieri ammessi,
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mentre ora ce ne sono circa 900 mila. Dovrebbero partirne un terzo. La cifra esatta
dei calcoli della polizia federale è in realtà
(tenuto conto anche del caso di Ginevra) di
264.842 persone.
Ma questo non è tutto. Se si dovesse eseguire queUo che vogliono i promotori della
iniziativa, chi partirebbe per primo? Abbiamo visto che diverse categorie sono intoccabili. Ma certamente non si manderebbero via
quelli che hanno già un permesso di domicilio e che quindi sono considerati come ben
stabiliti in Svizzera. Si comincerebbe da
quelli che hanno un permesso di soggiorno.
Di questi il 42 per cento, quindi quasi la
metà, dovrebbe lasciare la Svizzera.
Le cifre pazzesche che abbiamo dato valgono per Tinsieme della Svizzera. Ma siccome l’iniziativa riguarda ogni singolo cantone. bisogna vedere praticamente cosa succederebbe a Zurigo, Ticino e Vaud. Le cifre
diventano ancor più pazzesche. A Zurigo dovrebbero andarsene 70 mila persone (pari al
61 per cento dei beneficiari di un permesso
di soggiorno); nel Ticino dovrebbero andarsene latti quelli che hanno un permesso di
soggiorno e in più circa 500 stabiliti. Il cantone di Vaud perderebbe la metà delle forze lavorative straniere (il 70 per cento dei
permessi di soggiorno sarebbero ritirati).
Il testo deiriniziativa dice che queste 300
mila persone non sarebbero mandate via tutte in una volta, certamente. Saranno liquidate nel corso di quattro anni, ma naturalmente non si dice come nè da chi verraimo
sostituite.
Noi speriamo che il popolo svizzero, per
fronteggiare i suoi problemi, sappia prendere delle iniziative più coraggiose di questa.
Sergio Rostacno
(da “Voce evangelica”)
Dal Collegio
Valdese
Anche quest'anno gli allievi della Scuola
Media del Collegio si sono recati, prima di
Natale, a festeggiare le persone anziane e
malate di alcuni dei nostri Istituti. Quelli di
I Media hanno recitato e cantato con grande
impegno nella cappella del Rifugio Carlo
Alberto, quindi hanno distribuito con garbo
i regali da loro stessi confezionati a scuola. Gli
alunni della seconda classe sono andati in
pullman a S. Germano Chisone per far visita
agli anziani dell’Asilo. Le rCcite, i canti natalizi, gli spirituals, le scenette comiche e i
doni hanno rallegrato gli ospiti della Casa.
Mentre gli studenti delle prime due classi
si davano da fare per arrecare un po’ di gioia
agli anziani e ai malati, quelli di III Media organizzavano una piccola festa con gare
e giuochi per divertire i loro compagni più
piccoli e, perché no? le loro insegnanti.
Questa è la cronaca di giorni ormai passati (scusatemi per il ritardo dell’articolo), ma
vorrei fare alcune i.-onstderazioni in proposito.
È evidente che le visite, che si fanno ogni
anno a Natale ai riceverati degli Istituti, hanno lo scopo di permei tere a questi di godere
non solo delle reciie e dei doni, ma anche
e soprattuto deiraìleeria e deU’esuberanza dei
ragazzi e della lor i infinita gioia di vivere.
Tuttavia non è ‘¡nesto il solo ed unico
scopo.
L’organizzazione d: queste feste, che richiede sempre molta faticn e lavoro in comune,
assume valore in <iu.;ìiìo è in funzione di una
didattica dell’educaz.orvs sociale. Tranne alcu
ne eccezioni, il r¡m
sugli undici-dodici an
AN6R06NA (Capoluogo)
W‘
Vino niiwD in nn otre
Già daU’Assemblea di Chiesa dello scorso
novembre è stato discusso il senso e il contenuto da dare al 17 Febbraio. Come si ricorderà, lo scorso anno il Concistoro aveva
deciso di innestare sulla festa tradizionale,
un discorso nuovo, che, proseguendo le linee della commemorazione, portasse in qualche modo ad una più cosciente presa di posizione a favore di un popolo che oggi soffre per mancanza di pace e di libertà : era
stato indicato il Viet Nam. Per rendere maggiormente sensibile la Comunità all’esigenza
di una rinuncia come atto di solidarietà si
era deciso di g^gtituire il classico pranzo comunitario con quello che, non senza ironìa,
fu chiamato un semplice pic-nic, in cui
ognuno portava il proprio pasto. L’incontro
conviviale pur mantenendo e forse accentuando il suo carattere di àgape fraterna, veniva così totalmente privato del suo carattere di formale ufficialità. L’iniziativa accolta con entusiasmo da una minoranza, fu
invece respinta come una balordaggine da
parte della maggioranza. Su questo tema fu
riaperta la discussione nell’assemblea di Chiesa in cui le diverse posizioni si sono confrontate con chiarezza e talora con durezza.
Alcuni ritenevano che l’iniziativa fosse giusta e che doveva essere continuata senza troppo curarsi del pensiero contrario, soprattutto
di troppi elementi periferici scarsamente impegnati nella vita della Comunità, che tuttavia fan sentire la loro resistenza proprio
verso iniziative del genere. Altri erano pensosamente preoccupati di non creare una
frattura troppo profonda nell’ambito della
Comunità con il risultato di allontanare definitivamente proprio gli elementi più periferici tuttavia legati sentimentalmente alla
festa del 17 febbraio. La discussione fu proseguita nelle riunioni di quartiere, in una
seconda assemblea di Chiesa in gennaio e alfine conclusa in una decisione del Concistoro, che dopo aver raccolto tutti i pareri si
orientò verso una posizione di compromesso
che, salvo ali estreme dalle due parti, sembra aver raccolto il consenso della maggior
parte; mantenere al 17 febbraio un carattere di apertura solidale verso un popolo che
oggi è nella sofferenza (in comune con le
Comunità della Val Pellice è stato scelto il
Biafra). senza tuttavia toccare alcun elemento (quindi neppure il pranzo comunitario)
della celebrazione tradizionale. E’ parso ad
alcuni che si sia voluto mettere il vin nuovo in un otre vecchio. Vedremo cosa succederà e se l’abbinamento sarà sempre possibile.
Prima di concludere desideriamo segnalare i progressi del gruppo fUodrammatico interun on-sta che in occasione del Natale ha
magistralment.e recitato la commedia « Una
famiglia americana », portando sulla scena
con espressiva vivacità il complesso problema della crisi della famiglia nell’ambito del
cosidetto progresso economico e della promozione sociale. La stessa opera fu recitata in
alcune Comunità delle Valli. Iti vista del 17
febbraio la recita in programma è la nota
commedia « L’omino .sul sicomoro ».
Ai primi di gennaio, in occasione della
Epifania, un gruppo di giovani cattolici della Parrocchia di Don Bosco di Torino, in
collaborazione con alcuni elementi nostri, ha
offerto una lieta e ben riuscita serata di beneffeienza a favore di tutti i bambini di Angrogna. Desideriamo ancora esprimere loro
la nostra riconoscenza per lo spìrito di fraterna collaborazione con cui si sono impegnali in questa iniziativa che, per Angrogna. è già alla sua seconda edizione.
Durante i mesi invernali la Comunità si
riunisce per il Culto in un locale delTantica
« Scuola grande », che a cura del Concistoro
e della Commissione edilizia, è stato rimesso
tutto a nuovo e che è rischiarato e rallegra
vetrate, offerte dal Cav.
forino, che ancora rin
to da due bellissiiHf
Vincenzo Taccia di
graziamo.
L’attività normali, della Chiesa continua
senza troppe scosse. Di particolare interesse
sono le riunioni qmiriierali fatte in comune
dai due Pastori di Aiigrogna in tutti i quartieri delle due Comunità, in cui si dibatte
il tema della crisi del ministero pastorale:
il problema suscita reazioni diverse di adesione, di opposizione e^Jtomunque molta perplessità. ^
Con vìvo dolore segnaliamo la scomparsa,
dopo lunga sofferenza, di Evelina Rivoira,
nata Sappi, degli Stringai, avvenuta il 26
gennaio all’Ospedale di Torino. Già moglie
dell’Anziano Alessio Rivoira essa era benvoluta e stimata da tutti. Ai figlioli vada ancora l’espressione del nostro rammarico e della nostra solidarietà fraterna.
Il giorno 15 novenibre scorso è nata Nadia
Bertin di Alda e Daniele; alla piccola e ai
suoi genitori rinnoviamo la nostra viva felicitazione.
IIIMIHHIIIIMniMIMIimim
PO MA RETI
Nel fior degli anni è deceduta Elena Giacomino in Bounous lasciando il marito e un
ragazzo di 7 anni. Che il Signore dia forza
alla famiglia per l’ora dura deUa prova.
Domenica 9 febbraio sotto gli auspici dell’unione femminile è stalo discusso il tema:
la testimonianza in un tempo di secolarizzazione. Oltre ad un gruppo di sorelle c’era
un gruppo di uomini dell’Inverso mentre
erano assenti i giovani e gli adulti di Pomaretto, Perosa. Il dibattito è stato proficuo e
ha toccato vari temi con proposte di maggior collaborazione laica al culto, di formazione di un gruppo di lavoro per l’ospedale.
Gli incontri della Val Germanasca proseguono ceni l’esame della relazione Giampiccoli in riferimento al rinnovamento della
Valle ed alla situazione sociale della zona.
Venerdì 7 marzo al teatro di Pomaretto
alle 20,30 il Pastore Giorgio Bouchard presenterà una conferenza dì attualità con dibattito.
Offerte ricevute dalla Direzione che, sentitamente, ringrazia.
Peyronel Uva (Chiotti) L. 5.000; Marcello
Pons (Perosa A.) in memoria dottor Quattrini 5.000; Elvira e Augusto Pascal (Maniglia)
5.000; Pascal Vanda (Fontane) 10.000; Marchetti Silvana (Pomaretto) in memoria dottor
Quattrini 5.000; F. R. (Pomaretto) in memoria Ezio Ribet 20.000; Long Elvia (Inverso
Rinasca) 5.000; Unione femminile Villar P.
17.000; Massel Fiorella (Pomaretto) 20.000;
P. I. (Pomaretto) 15.000; Morello Nadia (Pomaretto) 10.000; Pons Marcella (Pomaretto)
10.000; fiori in memoria di Aldo Vinçon, una
coetanea (S. Germano) 5.000; Pons Costanza
e famiglia (Prarostino) 5.000; Long Delia
30.000.
PERSONALIA
Con un ritardo di cui ci scusiamo vivamente, esprimiamo al pastore Elio Eynard e
alla sorella Elda, con tutti i loro familiari, la
fraterna simpatìa per la perdita della loro
mamma.
Con il nostro augurio più cordiale partecipiamo alla gioia di Franca Armand Hugon e
di Matteo Avanzini, sposatisi a Torre Pellice.
ni è ancora egocentrico, individualista; e perciò molto importante che egli collabori con ì
compagni in una attività svolta per uno scopo
comune. Egli si apre così alla vita di relazione, istituisce un rapporto nuovo sia con i
compagni che con gli insegnanti. Si tratta di
un rapporto nuovo in quanto non ha piu aUa
base la lezione e lo studio nel senso tradizionale. Inoltre questa esperienza lo proietta
fuori del suo mondo abituale e lo mette a
contatto con un ambiente che forse non ha
mai visto, dove scopre un’umanità che soffre.
E’ bene che il ragazzo dagli 11 ai 13 anni venga a conoscenza della vita malinconica e solitaria e piena di dolori degli ospiti delle Case
di riposo e quindi di uno degli aspetti più
tristi della società presente. Vorrei inoltre fare
notare che non a caso si scelgono per queste
visite i giorni che precedono il Natale, ma è
anche vero che i ragazzi sono soggetti, in modo particolare in occasione dì questa festa, al
condizionamento della società dei consumi;
infatti sono travolti anch’essi, come gli adulti, dalla febbre dei regali e dei divertimenti,
secondo la tradizione. Abituati ad essere festeggiati ed a costituire di frequente il centro
stesso deUa festa in famìglia, scoprono invece
per opera di questa iniziativa della scuola che
c’è la possibilità di agire in un modo diverso
e non come singoli individui, ma come facenti
parte di una comunità.
Il fatto dunque che proprio a scuola si
siano organizzate queste visite agli Istituti ha
la sua importanza. È segno che oltre ad insegnare l’italiano, la storia e qualsiasi altra materia, si cerca di combattere Tindividuallsmo
e l’indifferenza, risvegliando nei preadolescentì la coscienza d’una vita comunitaria, in senso cristiano, ed anche il rispetto della persona
degli altri.
Si mira a questo scopo in miUe modi, certamente non solo con l’attività di cui abbiamo
parlato. Cosi ora ci viene in aiuto una ricerca fatta insieme dai ragazzi, ora persino un
compito di latino fatto in collaborazione a
gruppi, oppure un dibattito sul razzismo o infine una lezione di storia sugli Albigesi e i
Valdesi o di educazione civica sulla Dichiarazione dei diritti deU’uomo.
Sono infinite le occasioni che permettono di
aprire un dialogo con gli studenti, solo U tempo molto spesso è tiranno. Questo dialogo è
più facile durante le lezioni di religione; alle
volte è la continuazione e l’approfondimento
di un discorso iniziato in altre lezioni.
Un’esperienza assai interessante è stata, due
anni fa, la corrispondenza con due missionarie in Africa da parte degli alunni e le visite al CoUegio, durante le legioni di religione,
di due missionàri. (Juesti contatti saranno di
nuovo ripresi, perché gli allievi di II media
si interessano al problema delle missioni, oggi, nel mondo.
Ancora altre opportunità per un dialogo
serio ed impegnativo possono venire o da una,
lezione dì scienze o dalla lettura di un libro
come « Il sergente nella neve » o « Il diario di
Anna Frank » oppure infine dalla relazione
che i ragazzi fanno degli avvenimenti e delle
notizie più importanti della settimana.
Per continuare questi colloqui anche dopo
le lezioni regolari e per aiutare gli alunni che
per vari motivi rimangono indietro, nel profitto, si è decìso di ricorrere aUo « studio pomeridiano di gruppo » e all’« insegnamento
individualizzato », esperienze nuove ed interessanti, di cui parleremo un’altra volta. Si è
inoltre preso questa decisione : se i genitori di
un allievo non possono prendere contatti con
la scuola per motivi di lavoro o per altre cause, gli insegnanti stessi si recano a casa loro
per parlare del ragazzo e per vedere di scoprire insieme in che modo lo si possa capire
meglio e aiutare di più.
Anna Marullo
I ragazzi del Convifto
di Torre Pellice disertano
la TV del Festival
di Sanremo
Dalla metà di gennaio vi è in Convitto
una grande elettricità nell’aria e mai come
in questo mese si sono rotti vetri e oggetti.
Tra le cause che hanno prodotto questa
irrequietezza vi è forse l’arrivo, nel giro di
15 giorni, di numerosi nuovi (6 jn tutto), alcune interruzioni del regolare ritmo scolastico per due gite, gli scioperi e la contestazione. Essa si fa anche a Torre Pellice, prendendo stavolta un volto serio per la solidarietà verso un gruppo di operai di fonderia
scesi in sciopero.
Le classi superiori si sono impegnate nella
creazione di un comitato di solidarietà. L’incontro con operai veri che raccontavano le
loro miserie li ha commossi tutti e li ha mobilitati, stavolta senza più divisioni di « tendenze ».
Ma ragazzi così giovani, al di sotto dei 18
anni, non sono ancora induriti e sono esposti a degli « strapazzi emotivi » che non possono non preoccupare. D’altra parte che fare? Bisogna essere al loro fianco: trattarli
da adulti anche Se adulti non sono, simpatizzare con loro; non creare con il nostro atteggiamento di critica un distacco che rischierebbe di condurli nelTisolamento in un
momento in cui hanno grande bisogno di
noi.
Dal punto di vista educativo le esperienze
concrete, la conoscenza diretta della miseria,
il sacrificio di alzarsi presto alla mattina per
andare a parlare con gli operai davanti alla
fabbrica per poi trovarsi a scuola alle 8.30,
sono esperienze cosi formative, che nessun
metodo didattico potrebbe avere.
Lo studente portato alTegocentrismo o all’astrattezza del ragionamento a vuoto si ridimensiona, plana sulla realtà, acquista in
umanità, e viene anche responsabilizzato di
fronte allo studio, per sfuggire alla critica
(che l’offende moltissimo) di militare nel
movimento studentesco, perchè non ha voglia di studiare!
Sì è creata un’atmosfera particolare che
consente di assimilare rapidamente i « nuovi » (ma ì ragazzi sono mutevoli e francamente non sappiamo prevedere l’avvenire).
Ci siamo un po’ dilungati in questa descrizione sulla vita dei « grandi » perchè essa
ha un’influenza su tutto il Convitto.
I] nostro lavoro diventa più difficile, ma
anche più interessante. Come sono lontani i
tempi iu cui i giovani si occupavano soltanto delle canzoni di Sanremo! (La sera Conélusiva del festival vi erano solo tre ragazzi
nella saletta della nostra televisione).
L'équipe del Convitto
Dalla Scuola Latina
Sabato 21 dicembre 1968, alla Scuola Latina di Pomaretto ha avuto luogo la Festa
di Natale.
Al mattino siamo andati a scuola come
sempre; all’ultima ora abbiamo fatto lo
scamblio dei doni : ogni ragazzo ha portato
un piccolo regalo che, numerato, è stato sistemato su un lungo tavolo; al momento
dello scambio, ognuno ha pescato un biglietto su cui c’era un numero corrispondente a un pacchetto, ed è andato a cercare
il suo donò. C’era un gran chiasso neU’anla
di III Media, dove è avvenuto lo scambio!
Tutti cercavano il loro pacco, fra fl fruscio
deUa carta strappata e tante esclamazioni di
sorpresa e di gioia.
Nel dopopranzo, gli studenti delle tre
classi, con le professoresse e il Pastore Bouchard, si ritrovati davanti alla scuola,
per recarsi gU’ospedale valdese. Un gruppo
di II e ili Media ha cantato degH inni, diretto daUa Signora Bouchard, spostandosi da
un corridoio aU’altro e da un p£ano all’altro, perchè tutti i malati potessero sentire.
Mentre i nostri compagni cantavano, noi di
I Media siamo andati in ogni stanza a trovare i malati ed a confortarli, augurando loro buon Natale ed offrendo a dcascuno dei
piccoli doni; dei bigliettini augurali preparati da noi R dei panettoncini. I malati erano commossi e alcuni ^angevano, ilingraziavano ed erano riconoscenti del nostro
pensiero; ^ÌOTSe alcuni, vedendoci, .ripensavano a quando anch’essi erano ragazzi come
noi. Questa visita ha fatto molto piacere ai
malati, soprattutto a quel# che dovevano
stare a letto e non potevano muoversi, ed a
quelli che erano soli e tristi.
Subito dopo le tre classi si sono ritrovate
nella sala del teatro presso il Convitto: un
gruppo di nostri compagni ha letto nella
Bibbia il racconto di Natale, ha fatto la preghUera, e, tutti assieme, abbiamo intonato
dei canti natalizi. Gli alunni di II e dì III
hanno recitato dei dialoghi in italiano ed in
francese; la signorina Gloria, una delle asafetenti del Convitto, ha eseguito, con alcuni convittori, delle danze folkloristiche :
quella che ha suscitato maggior interesse è
stata la « danza dell’asino di Massello ». Un
altro gruppo di convittori ha cantato una
serie di canzoni accompagnandosi con la
chitarra.
Al termine del programma, abbiamo fatto
gli auguri ai nostri professori e ce li siamo
scambiati fra noi. Tornati alle nostre case,
abbiamo messo da parte una piccola offerta,
quale segno della nostra solidarietà per gli
alluvionati, e Tabbiamo versata alla Scuola
Domenicale il giorno dopo.
Erica Borei, Donatella Pascal, Laura Poet, a nome dei compagni di
I Media.
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RINGRAZIAMENTO
La famiglia della compianta
Pascal Enrichetta
ved. Pons
ringrazia tutti coloro che hanno preso
parte al mesto accompagnamento; in
modo speciale la Direttrice della Casa
di Riposo di S. Germano e tutte le persone che l’hanno circondata di cure
durante la sua malattia.
Ferrerò, 8 febbraio 1969
Dal giorno 4 febbraio riposa nella
pace del Signore
Amelia Ogulin
di anni 92
Ultima superstite del Reparto «nonnine » del non mai abbastanza rimpianto Asilo Evangelico di Milano.
I nipoti Franco e Augiusta col figlio
Roberto partecipano e ringraziano vivamente le Suore e le infermiere per
la loro amorosa assistenza.
Milano, 7 febbraio 1969
6
■
pagre'
N. 7 — 14 febbraio 1969
ISotiziario Cristiani ribeiii in pieno Meilioevo
ecumen ico
a cura dì Roberto Peyrot
GLI STUDENTI DI ZURIGO
VOGLIONO UNA NUOVA RIFORMA
Zurigo (soepi) - Durante la celebrazione ufficiale del 450“ anniversario della Riforma di
Zuinglio alcuni studenti hanno accusato gli
adulti di guardare indietro con spirito trionfalistico, come se la Riforma si fosse totalmente realizzata.
Dichiarando che detto anniversario avrebbe
dovuto essere « un richiamo alla libertà^ al
coraggio ed allo spirito critico » di Zuinglio
gli studenti facevano notare che non era stato previsto durante le cerimonie un solo minuto per discutere le riforme di cui la Chiesa ha oggi bisogno.
Nel corso di una riunione alla Fraumiinster U pastore Hollenweger, segretario per
l’evangelizzazione del Cec ha parlato sul tema « La chiesa protestante, Vecumenismo ed
il terzo mondo »; il pastore viennese Henning
su « la sfida del marxismo al cristianesimo »
ed il prof. Kubler su <c la riforma della chiesa
di Zurigo ».
Gli studenti, in sostanza hanno affermato
che « la Riforma 1969 deve cominciare dal
pastorato ». Hanno infatti proposto la sostituzione del pastore con dei teologi e dei nonteologi. Hanno inoltre chiesto che si faccia
l’esperienza di nuove forme di culto.
PACE E AIUTI
PER LO SVILUPPO
Taizé, Francia (soepi). - A conclusione di
una stretta coUaborazione fra l’episcopato cattolico deR’America latina e la comunità protestante di Taizé è stato lanciato un appeUo
comune per la pace e lo sviluppo dei popoli.
a Fra i credenti come fra gli atei troppe
forze vive costruiscono astrattamente delle società ideali: alla fine, molte idee, ma nulla
di concreto per Vuomo... ».
« Ogni uomo è creatore. Con questa sua
capacità, egli può edificare questo mondo e
renderlo più fraterno con dei gesti di pace e
di spartizione ».
Come gesto di pace il messaggio suggerisce
che, per un anno, dei cristiani si impepino
a dividere sovente i loro pasti con altri cristiani aventi posizioni opposte aUe loro; come
gesto di spartizione : « dividere i nostri beni
fra latino-americani ed europei, nella reciprocità è fare un gesto che, per l’America latina, non si tratti di un sottoprodotto, anche
spirituale, dell’Europa: se la divisione avviene
a senso unico, essa aliena. Vivere in reciprocità è vivere secondo l’Evangelo ».
« Come primo gesto di reciprocità, dei Sudamericani si impegnano ad assistere degli
emigrati poveri in Europa. Da parte loro,
che degli europei portino un aiuto a delle
realizzazioni sociali in America latina, che successivamente si renderanno autonome : esitazioni, organismi agricoli, ecc. Che essi diano
lT"/o del loro reddito e si andrà già lontano... ».
UN CENTRO
«MARTIN LUTHER KING»
IVete York (hip). - La vedova del paspe
Martin Luther King, signora Caretta King,
ha annunciato la creazione ad Atlanta (in
Georgia) di un centro che ospiterà due Istituti per la ricerca sociale nonviolenta e per
gli studi afro-americani.
Inoltre, alla periferia di Atlanta è stato acquistato un terreno dove è in costruzione un
« Villaggio M. L. King » destinato ad albergare duecento famiglie con reddito modesto. Questo villaggio diventerà pure la sede
della Conferenza dei dirigenti cristiani del
Sud, che era presieduta dal pastore King.
RIUNIONE DEL COMITATO
ESECUTIVO DEL CEC
Tulsa, U. S. A. (soepi). - Il Comitato esecutivo del CEC recentemente riunitosi a TiJsa,
ha annunciato la probabile prossima creazione
di un consorzio internazionale di chiese cristiane per quanto riguarda gli aiuti ai paesi
sottosviluppati. Questo nuovo organismo ecumenico avrebbe lo scopo essenziale di facilitare la collaborazione internazionale neUa ripartizione delle somme raccolte.
In occasione della IV Assemblea del CEC
ad Uppsala i delegati avevano chiesto che ogni
chiesa versi per l’aiuto al terzo mondo una
parte del suo reddito regolare, tale da costituire per essa un sacrificio: la cosa è stata ricordata dal presidente del comitato del personale
del CEC per lo sviluppo.
Il Comitato esecutivo ha nominato un Comitato delle Strutture, di cui cinque membri
sono stati incaricati di redigere un uocumento per definire quali siano i compiti piu
importanti del CEC e proporre delle nuove
strutture.
Durante questa riunione del Comitato esecutivo, l'evangelista della città di Tulsa, Billy
Hargis, ha organizzato una grande riunione
diretta contro il CEC e contro « la sua ideologia politica ». Due estremisti di destra hanno
criticato il metropolita Nikodim, direttore de
Dipartimento delle relazioni esterne della
Chiesa ortodossa russa. Egli ha affermato ancora una volta che non è membro della
polizia segreta sovietica, nè membro del partito comunista del suo paese. Cifre alffi mano,
il metropolita ha dimostrato che la chiesa ortodossa ru.ssa è una chiesa vivente e non una
comunità « sotterranea ».
Il pastore Blake durante una conferema
stampa ha ricordato che nei paesi comunisti
la posizione dei dirigenti delle chiese e particolarmente delicata in quanto essi sono Mggiormente seguiti che non i semplici fedeli.
« In quanto Consiglio ecumenico delle Ldiese _ egli ha concluso — è nostro dovere di
tentare di mantenere i contatti con ognuno
di essi ».
(segue dalla 1“ pagina)
Siegfried, verso il 1368, come responsabili degli errori che aveva
abbandonato per riunirsi al corpo
della Chiesa ufficiale: « Nella mia
ignoranza — egli scriveva agli antichi amici valdesi della Lombardia — ho seguito le tradizioni dei
miei padri ».
Se si presta fede al papa Giovanni XXII, i “capitoli” tenuti periodicamente nella Val Pellice e
nella Val Chisone avrebbero riunito fino a 500 persone. Anche qui
la cifra menzionata indica l'impressione esercitata sul papa di
Avignone dalle informazioni inquietanti suH’importanza demografica dei Valdesi nelle valli di
Luserna e nel territorio di Perosa
durante il primo terzo del XIV secolo, ma non può essere presa alla
lettera. Tanto più che non risulta
se si tratta di riunioni strettamente locali che non avrebbero se non
« la façon de chapitres » (l’apparenza di “capitoli”), ovvero di veri
e propri “capitoli” di tipo sinodale che riunivano rappresentanti di
tutto il movimento provenienti da
numerose regioni assai lontane le
une dalle altre. Quanto a loro, i
Valdesi conservarono, fino a XIV
secolo avanzato, il ricordo dell'ampiezza delle loro riunioni sinodali frequentate talvolta da mille o settecento partecipanti, non
soltanto “delegati” ma anche semplici fedeli. Quanto ai primi, i
“ministri”, è impossibile valutare
qual’era la loro proporzione numerica in rapporto ai gruppi nei
quali prestavano servizio. Sappiamo che i Valdesi di Germania inviavano in generale, in queste occasioni, una delegazione che non
avrebbe superato le cinque persone. Ora, nel XIV secolo questi Vaidesi germanici costituivano già
vari nuclei geograficamente distinti. In quale misura i gruppi del
Brandeburgo, della Sassonia, della Svevia, della Baviera, dell’Austria, dell’Ungheria furono rappresentati a questo sinodo o concilio
periodico che « fieri consueyit potius in Lombardia quam alibi » (si
era usi tenere in Lombardia piuttosto che altrove)? E i delegati di
altre regioni della diaspora valdese? Tutti interrogativi per ora
senza risposta.
Pure, se non possiamo precisare
l’entità numerica dei Valdesi medioevali, è evidente che la loro
esistenza e la loro rapida espansione su scala internazionale inquietava seriamente la Chiesa dominante, in quanto istituzione.
L’iniziativa valdese non manca
d’originalità, che la distingue dalle rivoluzioni sociali e politiche
contrassegnate dalla lotta per il
potere. Senza fare una distinzione teorica fra le classi sociali, i
Valdesi predicano l’Evangelo che
si rivolge in modo particolare ai
poveri. Poiché quest’attività fu
ben presto ostacolata a livello del
grande pubblico, il valdismo tenta
di assumere la sua funzione quale
comunità ecumenica del popolo di
Dio, immagine in qualche misura
profetica dell’umanità futura. Certo, in quello che gli appare come
il carattere settario del valdismo,
lo storico potrà individuare una
forma acuta di alienazione ideologica. Considerata dal punto di vista dei Valdesi medioevali, la si
tuazione alienata del presente è il
luogo in cui, nell’obbedienza della
fede, il credente vive sotto il peso
liberatore dell’awenire, del Regno
avvenire. Fra la missione di vivere
questa libertà escatologica in vista della predicazione, e la necessità di viverla in vista della costituzione e della sopravvivenza di
una comunità chiusa a carattere
clandestino, vi fu senza dubbio
una tensione dialettica. Da un
punto di vista teologico, tale tensione costituisce il problema essenziale dell’esistenza valdese nel
Medioevo. ' ‘ ■
I Valdesi del XIII e del XIV secolo furono uomini in rivolta, non
dei rivoluzionari. Si tratta certamente di una rivolta contro una
“cristianità”, cioè contro una Chiesa del successo e conquistatrice
che aveva finito per cancellare lo
spirito del servizio e la passione
del sacrificio. Durante due secoli
di clandestinità, la protesta valdese non si leva se non eccezionalmente con un atto violento: questo è, allora, il risultato di una situazione locale troppo tesa, ma
non il risultato di un programma
premeditato per plasmare il mondo secondo un determinato quadro teorico. La serie delle insurrezioni di ispirazione valdese mostra che fra i Valdesi medioevali
iiiimiiiuimiiiiiiiiiiiiiiiimmitiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiimiitiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiimmiMiii
E’ uscito il volume II del
Nuovo Testamento
annotato:
Vangelo di Giovanni
Atti degli Apostoli
a cura di Giovanili Miegge, Giorgio
Tourn, Aldo Comba, Paolo Marauda,
Otto Rauch e Teofilo Pons,
8® grande, pp. Vili+ 232 - ^
vraccop. a colori; in brossura ; Lire
1.900 - rileg. uso-pelle: L. 2.600.
L’unico commentario disponibile
in italiano di questi due fondamentali libri biblici. Indispensabile per
ogni evangelieoi
EDITRICE CLAUDIANA
Via Principe Tommaso, 1
10125 . TORINO
v’era una convertibilità dialettica
di resistenza passiva in rivolta attiva. Tale rivolta, tuttavia, malgrado la sua frequenza differisce
qualitativamente dalla rivolta hussita del XV secolo. Fra la diecina
di casi di Valdesi in rivolta, non
ve n’è uno solo nel quale lo scopo
fosse il rovesciamento della situazione a larga scala sociale, politica
o nazionale. In tutti i casi, senza
eccezioni, si tratta di reazioni
spontanee di fronte alla violenta
repressione inquisitoriale e a cupe
crudeltà.
Nel XV secolo, l’incontro con lo
hussitismo si verificava sullo sfondo di una crisi del valdismo, crisi
cronica a partire dalla fine del secolo precedente. La crisi fu determinata dal rinnovamento naturale
delle generazioni in seno a una comunità che, in origine, nasceva
unicamente come risposta all’appello del messaggio apostolico.
Né lo hussitismo né, a maggior
ragione, la Riforma protestante
del XVI secolo si presentano come
un semplice prolungamento della
protesta valdese. Tuttavia, attraverso lo hussitismo il messaggio
valdese fu assunto e innalzato a
un livello sociale e teologico capace di mettere in questione le strutture della cristianità occidentale.
Amedeo Molnar
degli altri
Diamo un nuovo elenco dei sottoscrittori, relativo alle offerte pervenuteci in questi ultimi giorni.
Come già annunciato nel numera
precedente, abbiamo inviato 7.000’
fr. svizzeri all’Eper per la scuola
agricola di Linea Cuchilla in Argentina, situata nella provincia di Misiones (che è una delle zone della
cc geografia della fame ») ed attendiamo l’addebito sul nostro contocorrente postale.
La cifra che pertanto figura in calce comprende ancora la suddetta
somma in lire italiane e ci riserviamo di dare ulteriori precisazioni nel
prossimo numero.
Frattanto rinnoviamo il nostro caldo e fraterno invito a tutti i lettori
di voler contribuire a questa iniziativa allo scopo di fornire un aiuto,,
seppur modesto in confronto alle
immense necessità, a chi si dibatte
nelle arretratezze sociali ed è privodelle cose più elementari di questa
vita. Vi saremo grati se invierete le
vostre offerte indirizzando al conto
corrente postale n. 2/39878 intestato a Roberto Peyrot, corso Moncalieri 70, 10133 Torino.
........................miimiimiiiimmimniiimiuiiiiiiim-iuiimiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiitiiiMimiiimiiniiii
iiiiiiiiiiiiiiiiKiiiumiiiiimimiimiMiiiiiiiiiiniiimimiiiiimiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiimmiiiiimiiiiiiiiimiiiiiiiiiii
Echi della settimana
I DUE COMPARI
^ Durante la recente visita a Madrid, di
Michel Debré ministro degli esteri francese,
il suo collega spagnolo Fernando Maria Castiella gli ha reso omaggio (a un pranzo),
sottolineando « il significato politico della
sua visita, che segna il coronamento del processo di riuvvicinamento delle due ruedoni,
e che rinsalda la crescente collaborazione nei
settori economico, turistico, culturale ed
umano.
Il Castiella ha affermato ”la vocazione e
la volontà europea dfdla Spagna”, e ha fatto
allusione alla situatone nel Mediterraneo,
^’attuale teatro d’uji confronto politico, assai
più che militare’’. lUt concluso con le parole
del generale De Gaulle, che affermano la
necessità, per la Francia, ”d’un vicino meridionale stabile e ricco’^^ e la necessità, per
l’Europa, d’una Spagna che le dia della ’’profondità” » (La parola ci sembra di significato oscuro, ma è autentica).
Il Debré ha risposto nei seguenti termini.
« L’avvenire detVEuropa e del Mediterraneo sarà quel che rie faranno le vecchie nazioni come la Spagna e la Francia. L’Europa
deve dominare le proprie contradizionL Occorre che l’Europa prenda il suo posto, normale e necessario, per l’equilibrio del mondo. Naturalmente essa deve essere costruita
sul sentimento nazionale, che e il solo a permettere di prendere le proprie responsabilità.
La stessa cosa può dirsi del Meéhterrrmeo:
nei tempi in cui l’Europa aveva l’intera responsabilità di questa parte del mondo, il
Mediterraneo conobbe scambi fruttuosi, pace
e tolleranza. Ma nella situazione attuale,
particolarmente nel Mediterraneo orientale,
noi conosciamo l’intolleranza e i litigi. Se
ora si vuole la sicurezza in quella zona, occorrerà che le nazioni mediterranee uniscano
i loro sforzi.
Se si considerano i sentimenti e il destino
che ci spingono a moltiplicare i legami fra
le nostre due economie e i problemi reciproci, cioè la sicurezza e la pace in Europa e
nel Mediterraneo, tutto ci obbliga a unire i
nostri sforzi e a meglio comprenderci. Ecco
il valore dei legami fra i nostri popoli, le
nostre economie e la politica estera dei nostri governi. Noi abbiamo la certezza che non
vi può essere avvenire per la Spagna e per
la Francia, senza che venza elaborato un
atteggiamento politico comune.
Questo è il senso dei nostri incontri. Ed è
in questo spirito che i nostri due capi di
Stato, ognuno nel suo ambito, guardano con
soddisfazione la stabilità dei loro paesi, conformemente alle passibilità che essa apre ».
E’ il caso di domandarsi: menzogne convenzionali o collusioni sporche?
(Da fc Le Monde » deir8.2.1969).
NIXON REALISTA?
La politica del nuovo presidente americano sembra cominciare a delinearsì, forse
molto più realista e misurata di quella di
Johnson e, tutto sommato, forse anche più
intelligente.
René Payot, sul c< Journal de Genève » (del
12.2.’68), ritiene di potersi già esprimere come segue.
« Durante la sua campagna elettorale,
Nixon ha potuto constatare che il popolo
americano era stanco di portare il mondo
sulle proprie spalle, ed aveva bisogno di
calma e di tranquillità. Ha perciò ritenuto
saggio avviarlo tranquillamente per vie conosciute, e agire come un prudente amministratore il cui compito essenziale consisterà
nel ridurre Vinflazione, che costituisce la più
grande minaccia al paese.
Il rimedio migliore c la riduzione delle
spese pubbliche, le quali sotto Johi^on hanTio raggiunto un montante inverosimile. All’uopo Nixon ha Uintenzione di revisionare
la politica estera dei suoi predecessori, in
modo da diminuire gVimpegni eccessivi che
essi avevano contratto riel mondo intiero. Il
principale autore di queste iniziative multi
a cura di Tullio Viola
pie fu John Foster Dulles il quale, vedendo
comunisti dappertutto, aveva stretto patti di
assistenza e d’amicizia con più di quaranta
stati.
Uno di questi patti trascinò gli USA più
lontano di quanto essi avrebbero voluto andare (...). E fu la lunga, la costosa guerra
del Vietnam che non è ancora finita, ma che
Nixon si sforza di liquidare, persuaso com’è
deirimpossihìlità di vincerla sul piano militare. Egli vi riuscirà certamente,, perchè i
suoi avversari danno segni di stanchezza e si
trovano nella stessa situazione dell’esercito
americano.
Quando le ostilità saranno finite, gli USA
attueranno uno sganciamento progressivo: ritireranno poco a poco i loro reparti^ avendo
capito ch’è impossibile domare con la forza
dei rivoluzionari che godono degli aiuti del
popolo (...).
Certamente, deducendo dalle loro avventure la buona lezione, gli americani si guarderanno bene dal rimetter piede suolo
asiatico e d’intraprendere nuove spedizioni
periferiche. Ritireranno la loro linea di difesa, che sarà costituita da ’’fortezze : da
queste essi potranno continuare a difendere
i propri interessi. I loro punti essenziali saranno l’Indonesia, le Filippine, F ormosa,
l’arcipelago giapponese e VAustredia.
Questa nuova strategia permetterà d alleggerire le spese militari. Si calcola che, alla
fine della guerra del Vietnam, tali spese diminuiranno di 8 miliardi il primo anno, e
di 19 miliardi dopo due anni e mezzo (..■•)•
Non è sotto il regno di Nixon che nascerà
una nuova mistica americana. Egli si guarderà bene dal riprendere il tema di Wilson
che voleva assicurare il trionfo della democrazia nel mondo, o quello di Franklin Roosevelt che intendeva liberare l’universo dalla
paura ».
...........(Il.........
Superamento
senza rottura?
(segue dalla 1“ pagina)
to » e vari interventi sulla stampa periodica ed editoriale.
Nonostante tutto, guardiamo quindi con speranza all’avvenire, speranza
nella maturazione politica e soprattutto evangelica di cerehie via via piu
numerose fra noi.
Con questa speranza ribadiamo
quanto abbiamo già spesso ripetuto,
con forza rinnovata; non revisione
dei Patti Lateranensi, bensì abro^zione. Il Concilio o il post-Concilio,
anche quello progressista quello del
dissenso, in divenire, comporta un discorso diverso — ci hanno ben convinti che anche qui si cercherà il superamento senza rottura ». Ed è invece
anche qui, nella riprova di un agganciò storico G concreto estremaitncntG
significante, che s’impone la scelta, la
esigenza evangelica della rottura con
Tart. 1 del Trattato, che sancisce il
cattolicesimo romano come religione
dello Stato. Una semplice revisione
su punti secondari e di fatto in parte
superati nella realtà non avrebbe altro valore che quello di dare ai Patti,
com’è stato scritto, «una ratifica di
democraticità che davvero non inentano». Gino Conte
Direttore responsabile: Gino Conte
Da Torino: E. Giordano L. 10.000; L.G.C.
5.000; fam. Botta 2.000; fam. Caruso (due
vers.) 1.000; M. Bellina 500; A. Peyronel
2.000; I. Imperiale 2.000; L. Rostan 1.000;
I. A. 3.000 ( + 5.000 già versate in precedenza, contabilizzate ma omesse per una svista tipografica).
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Totale L. 89.800; tot. prec. 1.080.596; totale gen. 1.170.396.
AntìmaFia, occasione mancata
Michele Pantaleone presenta
a Torino il suo ultimo libro
Abbiamo ripetutamente parlato di Michele
Pantaleone, il pubblicista socialista siciliano,
oggi parlamentare, impegnato da anni, a fondo, nella lotta per la denuncia e la sconfitta
della mafia. Abbiamo parlato di lui, presentando le sue due opere principali : Mafia e politica e Mafia e droga.
L’il febbraio, nel quadro dell’Unione Culturale torinese, lo scrittore e uomo politico
ha presentato il suo ultimo libro che esce in
questi giorni nelle edizioni Einaudi (che già
avevano pubblicato i precedenti) : Antimafiay
occasione mancato. Con vivacità, con competenza, con un travolgente calore umano l’autore ha presentato questo 11 ' ‘eriore capitolo
deU’incredibile e drammatico “romanzo della
mafia”. Contiamo dare prossimamente più ampia presentazione del libro e speriamo, come
del resto Michele Pantaleone, che, nonostante
tutto, il lavoro della Commissione presieduta
dal Pafundi non sia stata un’occasione del
tutto mancata.
Ree. al Tribunale di Pinerolo
n. 175, 8-7-1960
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre Pellice (To)
Smentita N. 2
Mi scuso se l’insistenza del Direttore del1’« Eco-Luce » mi costringe a tediare i lettori
con aride cifre, ma la sua (C postilla » alla
mia ultima smentita sulle presunte responsabilità della Claudiana nei confronti della
Tip. Subalpina, mi spinge a rendere pubblici
j versamenti effettuati « in un arco di tempo
di più mesi », affinché ogni lettore possa
giudicare liberamente.
Ecco l’elenco dei versamenti effettuati alla
Tip. Subalpina per la stampa dell’« Eco-Luce » dall’inizio del corrente anno finanziario
(1/5/68) al 31/1/69:
6 maggio 1968 L. 600.000
3 giugno 459.800
22 luglio 1.000.000
17 settembre 1.381.183
22 ottobre 581.850
27 novembre 498.600
19 dicembre 600.000
10 gennaio 1969 545.100
30 gennaio 776.870
Totale L. 6.443.403
Da queste cifre risulta evidente che :
1) I versamenti sono stati regolari, a ritmo
mensile;
2) La media mensile è stata di L. 716.000.
Questa media supera di L. 166.000 la
corrispondente cifra del fatturato medio
mensile (L. 550.000); _
3) Ciò significa che, in nove mesi, la Tip.
Subalpina ha ricevuto un milione e mezzo in più del corrispondente fatturato nel
medesimo periodo.
Data questa situazione, parlare di « ritwdi » è semplicemente falso. Sono stupito che
il Direttore del nostro settimanale non abbia
sentito il dovere di documentarsi prima di
pubblicare.
Carlo Papini
Direttore della Claudiana