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BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
Anno III :: Fasc. Vili.
AGOSTO 1914
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 31 AGOSTO - 1914
DAL SOMMARIO: Giovanni Pioli: Le tendenze religiose nella filosofia di Bergson e la condanna dell’ “ Indice. ’’ — L. A. V1LLARI: Lettere inedite di Mons. Bonomelli. — GIOVANNI SAC-CHINI: 11 Vitalismo. — ROLAND D. SAWYER: La Sociologia di Gesù (Gesù e la famiglia - Gesù e la Società). — ATHANASE CO-QUEREL: I poveri in ispirilo. — JEAN ROTH : Una conversione al tempo degli apostoli. — G. E. M. : Jaurès. — La Provvidenza e la guerra (Documenti). — GUGLIELMO QUADROTTA : Geremia Bonomelli ; l’ultimo vescovo liberale. — TRA LIBRI E RIVISTE: La grande illusione. — Le origini cristiane del pacifismo contemporaneo. — Frammenti di lettere d’un cristiano-sociale. .
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo & ------- Via Crescenzio, 2 - ROMA ------D. G. Whittinghill, Th. D., Redattore per l’Estero ------- Via del Babuino, 107 - ROMA ---AMMINISTRAZIONE
Via Crescenzio, 2 - ROMA
ABBONAMENTO ANNUO
Per l’Italia L. 5. Per l’Estero L. 8.
Un fascicolo L. 1.
Si pubblica il 15 di ogni mese
in fascicoli di almeno 64 pagine. &
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Illustrazioni del presente fascicolo.
Ritratto di Enrico Bergson (Tavola tra le pagine So e 81).
Ritratto di Mons. Geremia Bonomelli (Tavola tra le pagine 88 e 89).
Copertina, disegni e fregi di Paolo A. Paschetto.
I VOLUMI DI "BILYCHNIS,, E QUINDICI
Insieme con questo fascicolo di agosto spediamo ai nostri abbonati gli INDICI del III volume di “ Bilychnis „ che comprende i sei primi fascicoli del corrente anno.
Collo scorso fascicolo di luglio (VII dell’anno) s’è iniziato il IV volume.
Il I volume di “ Bilychnis „ comprende l’intera prima annata della Rivista (1912) e il II, la 2* annata (1913). Di ciascuno di questi volumi pubblicammo gl’indici.
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SOMMARIO:
Giovanni PIOLI: Le tendenze religiose nella filosofìa di Bergson e
la condanna dell’ « Indice » ............ pag. 77
LUIGI Antonio Villari: Lettere inedite di Mons. Bonomelli . . >86
Giovanni Sacchini: Il Vitalismo ............ > 91
Roland D. Sawyer : La Sociologia di Gesù (Gesù e la famiglia Gesù e la proprietà ......... . . . . . > 101
PER LA CULTURA DELL’ANIMA:
AthanaSE Coquerel: I poveri in ispirito . . . . ........... > 109
Jean Roth: Una conversione al tempo degli apostoli . . . . . > 114
NOTE E COMMENTI :
G. E. M.: Jaurès ............... . . . > 120
La Provvidenza e la Guerra (Documenti)......... >120
Guglielmo Quadrotta: Geremia Bonomelli ; l’ultimo vescovo liberale > 124
TRA LIBRI E RIVISTE:
Norman Angell : La grande illusione ............... »129
J. Dumas: Le origini cristiane del pacifismo contemporaneo . ...... » 131 T. Fallot: Frammenti di lettere d’un cristiano sociale......... » 134
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PROSSIMAMENTE:
Roland D. Sawyer: — Gesù e la filosofia socialista della vita.
LUZZI: Il modernismo nella Chiesa cristiana del primo secolo. Angelo Crespi: L'evoluzione della religiosità nell'Individuo e nella Società. M. Velato : L'altare al Dio sconosciuto.
G. E. MEILLE: Intorno all'immortalità dell'anima.
Mario Rossi : Dii interpretazione religiosa di uno leggenda della Grande Sirte in Sallustio: i fratelli Fileni.
Giovanni Costa: L'Impero romano e il Cristianesimo.
Mario Rossi: Il « Tu es Petrus » e la storia delle religioni - Saggio di una nuova interpretazione.
F. Momigliano: Gioberti e i Gesuiti.
ANTONINO De Stefano : Saggio Sull'Eresia Medievale nei secoli XII e XIII.
GlOSUE Salatiello: L'umanesimo di Caterina da Siena.
Giovanni Costa: Mitra e Diocleziano.
ERNESTO RUTILI: La soppressione dei Gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi.
Silvio PONS: Tre fedi (Montaigne, Pascal e Alfred de Vigny).
T. Neal: Maine de Biran.
Gaston Frommel: La preghiera.
G. E. MEILLE e EDMONDO Gounelle : Un Libero-Pensatore religioso : Giovanni Jaurés.
P. Ghignoni: A propòsito dell'Unione delle Chiese.
J. E. Robertv: La porta aperta.
Ugo Janni: Le varie dottrine circa l'essenza della religiosità.
A.. Pascal: Antonio Caracciolo, Vescovo, di Troyes.
NB. — Degli articoli firmati sono responsabili i singoli Aatori.
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Le tendenze religiose nella [filosofia di Bergson
E LA CONDANNA DELL’ “ INDICE „
E la condanna alle mie opere fosse venuta da Lhassa o da Tombuctu, penserei io forse a lamentarmene o a discuterla? Essa viene, invece da Roma: forse non è così lontano, ma lontano è pur sempre. — Tale la risposta del Maeterlinck alla recente condanna delle sue opere: risposta che, almeno, sembra riconoscere la distanza da « Roma » del suo atteggiamento di fronte al problema della < Nostra eternità », che potrebbe venire espresso con le parole di Epicuro : « La morte non ci riguarda: finché viviamo essa non c’è, e quando essa viene noi non vi
viamo più ».
Ma è giustificata la condanna di Roma che colpisce nello stesso decreto del 3 giugno, per mezzo della Congregazione dell’Indice, le tre opere fondamentali del Bergson : « Essai sur les données immédiates de la conscience » ; « Matière et Mémoire > ; «L’Evolution créatrice»? E’ la condanna giustificata dal punto di vista dell’ortodossia cattolica? E' essa opportuna e matura? Un poco di luce su queste due questioni mi propongo di convergere, dall’esame sommario dei rapporti tra la filosofia di Bergson e le fondamentali idee religiose.
Del prof. Enrico Bergson ebbi il privilegio di seguire il corso al « Collège de France» nel 1909: corso che delle sue tre opere, di cui la terza, «L’Evolution Créatrice » era già stata pubblicata due anni prima, mostrava le armonie, completava le vedute, estendeva le applicazioni. La lezione ultima in cui, ricapitolando il suo corso, « stringeva più da vicino » la realtà psicologica e cosmica per domandarle il suo intimo significato, è stata, credo, la parola più alta fin qui da lui espressa ; come fu certo per me la fonte del più alto godimento spi-
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rituale, non sorpassato neppure dalla gioia di un privato colloquio che gentilmente mi concedette, in cui molto si parlò dell’Italia moderna e del suo contributo ad una filosofia dello spirito. E credo necessario tener conto, nell' interpretazione del pensiero bergsoniano espresso nelle tre opere fondamentali, di tutte le ulteriori elucidazioni ed elaborazioni da lui fornite in forme pubbliche: non solo per la conoscenza della sua filosofia in generale; ma anche per la comprensione della portata di quelle tre opere stesse.
Enrico Bergson nacque a Parigi nel 1859 e fu educato al « Lycée Con-dorcet». La sua inclinazione per le matematiche gli fece pubblicare un valevole studio sugli « Annales de Mathématiques », altamente lodato dal maresciallo Mac Mahon, e lo fece rivolgere alle scienze meccaniche. Ma la fisico-matematica costruisce il Mondo prescindendo dalla durata, cioè dal di dentro della vita, ed il Bergson trovò che il Mondo reale che vive e diviene nel tempo, gli sfuggiva. Abbandonato il corso di scienze — senza mai abbandonarne lo studio — egli entrò nella «Scuola normale superiore», ottenendo dopo tre anni il diploma di filosofia, e dopo diciassette anni d’insegnamento in vari licei e collegi, presentò nel 1889alla Sorbonne, quale tesi di laurea, il suo «Essai sur les données, ecc.»: « Je n’ai pas toujours pu vous saisir > — gli disse, al termine della tesi, con un fine sorriso elogiativo, il venerabile M. Ravaisson membro della giuria — «ma amo credere che voi, signore, vi siate’ ben compreso ». Nominato nell'anno seguente professore al < Collège de Franco, ivi forma tutt’ora la principale attrazione della famosa, democratica istituzione. Benché alle sue conferenze bisettimanali sia assegnata l’aula più ampia, l’uditorio poliglotta ne invade tutto lo spazio disponibile lungo tempo prima che la lezione incominci : ed è a rimpiangere, che la lodevole assenza di ogni formalità per l’ammissione al cenacolo di si alto nutrimento intellettuale, incoraggi troppo spesso l’ingresso e la sottrazione di posti sì preziosi da parte di persone, che, sia con lo sfoggio della loro toilette^ sia con il profondo e sonoro abbandonarsi a un... meritato riposo, contrastano a persone avide di luce, spesso venute di proposito da lontane regioni anche di altri continenti, il pane dello spirito. E’ a questo periodo che si devono le altre sue due opere: « Matière et Mémoire », e « L’Evolution créatrice », oltre a parecchi articoli di riviste e discorsi a congressi, alle università di Oxford, London, e ultimamente, Edinburgh.
L’influenza della filosofia di Bergson, anche più nei suoi metodi e vedute centrali Che nelle applicazioni, è stata veramente enorme. Oltre l’efficacia esercitata sullo stolido mondo accademico di tutte le nazioni, che è rimasto sorpreso nel vedere sgominata la schiera delle sue tesi, patrimonio comune a tutti i pur cozzanti sistemi ; oltre l’omaggio delle personalità più illustri, tra cui William James, che alla sua autorità ha chiesto di sostenerlo nelle sue vedute sul « Plu-ralistic Universe >, il bergsonianismo ha invaso il gran mondo della coltura, dell’arte, dell’attività sociale, della religione ; ha fatto sorgere una letteratura e un’arte speciale, e scindendosi, come l'hegelianismo, in due grandi campi, ha dato origine a due ali, la sindacalista e la neo-cattolica. Per non accennare che a queSt’ultima, l’influenza delle idee bergsoniane, rafforzate dal prammatismo del James, diede origine a numerose riviste di filosofia e teologia, a nuovi indirizzi nello studio dei santi e dei mistici, all’accettazione della concezione prammatica
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della verità, del concetto dinamico ed evolutivo nella storia e nella religione: insomma confluì poderosamente nella corrente «modernista», seppure non si voglia dire che le conferì una direzione, una coscienza, l’unità.
Si è spesso accennato alla ricchezza e suggestività dello stile di Bergson, alla signorilità e profusione delle sue figure e metafore, alla semplicità e « domesticità» della sua terminologia, allo splendore della sua arte, quali spiegazioni della popolarità delle sue idee: ma senza svalutare l’efficacia di questi fattori, il secreto è da ricercarsi nella direzione indicata in questi stessi giorni dal Bergson in un’ intervista : « La mia filosofia è concreta, ed abbraccia bensì tutta là realtà, ma la realtà quale ci si mostra nei casi particolari...: essa non si occupa dei mondi possibili, come quella del Leibnitz, ad es., ma solo del mondo attuale quale noi lo conosciamo... Quando il pubblico si avvede che la filosofia non è una goffa astrazione dalla vita reale, ma al contrario lo studio più vivente e concreto, finisce per prendervi interesse».
Ma l’interesse del pubblico trova la sua spiegazione completa nella genialità, nella limpidezza, nella vitalità prolifica del suo pensiero. Diamo un accenno appena al contenuto delle tre opere fondamentali, soffermandoci più a lungo su quella che si riferisce più direttamente al punto di vista di questo articolo: « L’Evolution créatrice ».
La realtà esistente — dirà il Bergson nella « Introduzione alla metafisica » — non è formata di oggetti fissi, definiti, discontinui... Questa è una deformazione operata dall’ intelligenza, facoltà pratica che vuole assicurarsi dei punti di presa sulla realtà, a scopo di azione. La conoscenza che parte da concetti preesistenti, da istantanee prese sulla realtà movente, e con questi pretende di ricostruire la vita stessa che è movimento e divenire evolutivo, è destinata a fallire. Solo la conoscenza intuitiva che si pone nel movimento e si abbandona ad esso adottando la vita stessa delle cose, solo essa, l’intuizione, può raggiungere l’assoluto ... Filosofare, consiste nell’ invertire la direzione abituale del lavoro del pensiero; nel risalire il corso per raggiungere la mobilità vivente delle cose; nel penetrare per mezzo di una vivente simpatia nel cuore della vita. Applicando questo metodo allo studio del tempo, Bergson riconosce in esso una durata vissuta ; non uniforme, non divisibile in parti omogenee, non risultante da una serie di istanti, bensì movimento, creazione continua, essenziale, e commisurata all’essere che evolve, irriversibile, e gravida di tutto il processo vitale. E poiché il tempo non è l’ambiente esterno del movimento ma appartiene alla sua stessa sostanza, l’atto volontario non è riversibile nè decomponibile nei suoi momenti, nè quindi questi possono essere considerati come frammenti statici o motivi distinti, che hanno dato origine con la loro complicazione all’atto volontario. Dire «lìbero» è dire «creatore».
Riassumere in poche parole il « Matiére et Mémoire » non è possibile, se non a condizione di non pretendere a darne una idea precisa, per quanto incompleta. La « Materia » è per Bergson un rilasciamento estensivo dello spirito : cioè — come poi dirà nella « Evolution créatrice » — «lo spirito Che segue la sua direzione naturale (istinto e intelligenza), è progresso, sotto forma di tensioni, creazione continua, attività libera: la sua inversione... o rilasciamento, dà l’estensione e la necessità ». Ma il vivente utilizza la materia, e ne fa una sua com-
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plice. « Il progresso della materia vivente consiste in una differenziazione di funzioni, che conduce prima alla produzione e poi ad una complicazione crescente dei sistema nervoso, reso capace di canalizzare le eccitazioni e di organizzare le azioni. Alla maggiore capacità di movimento nello spazio; corrisponde una tensione crescente di coscienza nel tempo: la coscienza organizza meglio il suo passato e .lo inserisce nella situazione presente ; e vivendo con una vita più intensa, diviene più capace di atti la cui indeterminatezza interna sparsa sulla più vasta molteplicità di momenti della materia attraverserà più facilmente le maglie della necessità ».
« ... Lo spirito prende, così, a prestito dalla materia la percezione di cui si nutre, e la restituisce alla materia sotto forma di movimenti su cui ha impresso l'impronta della libertà».
Ed eccoci introdotti all’« Evoluzione creatrice»: opera — notiamolo bene — di Cosmologia, che sarebbe supremamente ingiusto scambiare per una Teodicea incompleta o mal riuscita. Proviamoci di darne, anziché un riassunto che riuscirebbe ad una formula arida, sbiadita, qualche saggio suggestivo che restituisca la impressione dello spirito, e faccia indovinare le vedute dominanti: e facciamolo, al possibile, con le stesse parole dell’A. : < Il mistero che pesa sopra l’esistenza dell’ Universo proviene in gran parte dal pregiudizio, che l’assoluto non possa trovar luogo nella durata concreta che agisce ed evolve, e che sia necessario di porre da tutta l’eternità, o la molteplicità materiale degli esseri o l’atto creatore di essa, contenuto in blocco nell’essenza divina. Una volta sradicato questo pregiudizio, l’idea di creazione si confonde con quella di accrescimento... Tutto è oscuro finché si pensa a cose che sarebbero state create e ad una cosa che crea... Ma le cose e gli stati non sono che delle fotografie istantanee prese dal nostro spirito sul divenire (e nell’atto del suo proprio divenire). Non vi sono cose, ma solo atti. Dio, centro e sorgente di vita, non è una cosa ma è vita incessante, azione, libertà: egli non ha fatto nulla. La creazione, noi la sperimentiamo in noi stessi nel nostro atto libero che si avanza e ingrandisce. La vita è un movimento altrettanto semplice quanto lo è la materialità, che è il movimento inverso : la materia è flusso indiviso, e la vita, indivisa anch'essa, traversa la materia tagliandosi in essa degli organismi. Ma noi chiudiamo gli occhi all’unità dello slancio vitale che, attraverso le generazioni, collega gl’ individui fra loro e le specie alle specie, e snaturiamo tutto in un aggregato di molecole, cioè di fatti.... Riponiamoci, per comprendere e sentire la Creazione, in quei momenti di “ coscienza cosmica „ in cui il nostro assorbimento nel Tutto e la nostra indipendenza personale sono una cosa sola in una lucida equivalenza ed adequatezza... ».
« La vita intiera, dall’ impulso iniziale che la lanciò nel mondo, appare quale una marea che sale in opposizione ai movimento della materia che discende e si degrada. Nello sforzo tra la poussèe della vita e la resistenza della materia, la corrente si trasforma in vortici: solo in un punto essa passa liberamente, riuscendo a crivellare la materia in tanti punti ed istanti, che ciò praticamente equivale ad un libero passaggio : è questo il caso dell’umanità. In questo senso, l’uomo può dirsi il “termine,, e lo “scopo,, dell’evoluzione».
A questo punto del pensiero bergsoniano, una difficoltà è stata avanzata da parecchi — tra cui nomino il Farges — che la credono decisiva : la accenno per
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sgombrare il terreno alla questione generale ehe ci siamo proposti. «Donde viene questa materia ostile alla vita?» —essi dicono — «Abbiamo anche qui la “ materia preesistente,, e il dualismo che da essa è implicato? E se no, se la scaturigine di vita e materia è unica, donde il conflitto?»
Senza dedurre io la risposta dal sistema bergsoniano, mi permetto di riferire nella sostanza la conclusione della lezione di chiusura del corso al « Collège de Franco nel 1909, alla quale assistetti. E noto, « en passant», che questa interpretazione autentica di uno dei punti oscuri del sistema, mette in evidenza quanto doveroso sia, per interpretare sicuramente un pensiero sì originale, fare largo uso della concordanza dei testi con le altre espressioni del pensiero dell’A.: e non esporsi così a condannare senza esser certi di aver compreso.
« L’artista tenta la creta, aguzza il pennello, chiede alla sua penna di produrre un capolavoro : ma in ciò fare, non pretende di tradurre in atto un tipo già completo ed esistente nel suo pensiero e nella sua immaginazione: al contrario, ciò che egli chiede alla materia, è di suggestionarlo, di dare forma, con-cretezza,.completezza, a ciò che è ancora latente, virtuale, incompleto. Egli vuole cimentarsi nella materia, vuol divenire creatore attraverso ad essa, e con la cooperazione della sua resistenza. Non si crea perchè si è artisti, ma si diviene artisti plasmando la materia. Tale artista è la vita: essa non potrebbe divenire, creare, se non opponendo a se stessa quella degradazione, quel rilasciamento di sé, in cui e per cui vivere ed evolversi : e non fa quindi maraviglia se anche nelle sue opere più perfette, allorché sembra aver trionfato di tutte le resistenze, la vita è a discrezione della materializzazione che ha dovuto assumere... ».
Ma la concezione bergsoniana nulla ha da dirci riguardo ai problemi, — per quanto mal posti dalla filosofia spiritualistica tradizionale, — dell’origine e delle fasi successive della personalità umana? Ecco alcuni accenni seminati qua e là, con una fosforescenza più suggestiva ancora che luminosa:
« Il grande errore delle dottrine spiritualiste è stato di credere, che, isolando la vita spirituale da tutto il resto, ... la metterebbero al sicuro da ogni attacco. Certo, esse hanno ragione di ascoltare la coscienza quando essa afferma la libertà umana... : di credere alla realtà assoluta della personalità e alla sua indipendenza dalla materia — non ostante là solidarietà tra la vita cosciente e l’attività cerebrale. Quando un istinto proclama la probabile sopravvivenza della persona, hanno ragione di non chiuder l'orecchio alla sua voce : — ma se esistono delle «anime» capaci di una vita indipendente, donde vengono esse? quando, come, perchè, entrano in quei corpi che pur noi vediamo uscire così naturalmente da una cellula mista derivata dagli organismi dei due genitori?... Gli è che la vita dei corpi deve esser ravvisata sul cammino che conduce alla vita dello spirito... La corrente vitale ricca di virtualità che si compenetrano, alle quali non si convengono nè la categoria dell’unità nè quella della molteplicità proprie della materia, non si suddivide in individui che grazie alle ramificazioni della materia che reca con sè, e negli interstizi della quale s’inserisce. Così vengono continuamente create delle anime, le quali, tuttavia, in un certo senso, già preesistevano : ruscelletti, nei quali si suddivide il gran fiume della vita che scorre attraverso i corpi dell’umanità... Una tale dottrina non solo facilita la nostra speculazione, ma ci dà anche più forza per agire e per vivere, facendoci sentire non isolati
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dall’umanità, come questa appare non isolata dalla natura di cui è là dominatrice... Tutti i viventi sono legati intimamente, e tutti cedono allo stesso impulso formidabile, l’animale trovando il suo punto d’appoggio nella pianta, l’uomo cavalcando sull’animalità, e l’umanità intiera, nello spazio e nel tempo, è come un’immensa armata che galoppa a lato a ciascun di noi, avanti e addietro a noi, con una carica capace di rovesciare tutte le resistenze, e superare i più difficili ostacoli, forse perfino la morte».
Non è detrarre alla magnificenza di questa concezione, il notare che essa lascia tuttavia sussistere un duplicato di quello stesso problema della sopravvivenza personale, che sembrerebbe dover rimanere in essa sommerso, più che risolto: e che pur tuttavia si rassegna serenamente a questa lacuna od ombra, passando, semplicemente, ad un altro capitolo. Se i « ruscelletti usciti dal gran fiume della vita » vanno, in ultimo, a sboccare nel mare, dov’è allora il posto per una «probabilità» di sopravvivenza e per un «forse» dopo morte?
Non sarebbe egli che la concezione di Bergson è più ricca di quello che professi di essere?
E come, a lato alle pagine citate, ha diritto di cittadinanza l’atteggiamento di riserva: «Sulla nostra personalità, sulla nostra libertà; sul posto che noi occupiamo nell’insieme della natura, sulla nostra origine e forse anche sul nostro destino, l’intuizione, pallida fiammella, proietta una luce vacillante e debole, che non pertanto rompe l’oscurità della notte in cui l'intelligenza ci lascia»?
Non sembra questa troppa modestia?
Dove invece pare che il Bergson chieda al suo sistema più che esso non possa concedere, è nel concetto di Dio.
Anche riconosciuto che, con tutta l'avversione dell* A. per la teleologia tradizionale e per ogni idea di piano precontenuto, il suo élan vital ha veramente una direzione, una tendenza, uno scopo, e che anche per lui, come per Aristotile : ’Aet tò (JsXtwv TCpÓTSpov, «Il meglio è sempre al principio», troppi elementi concettuali impediscono di estrarre dalla « Evolution créatrice » il Creatore giudaico-cristiano. L’Assoluto di Bergson « si rivela in noi, vive in noi, e dura, (cioè vive nella durata), come noi, benché, per certi aspetti, infinitamente più concentrato e più raccolto su se stesso». Lo slancio vitale, il getto primitivo, è, nella sua essenza, della stessa natura della coscienza umana. E la coscienza, cioè « un’esigenza di creazione », o se vogliamo, la sopracoscienza, è essa il principio di ogni vita come anche di ogni materializzazione. « Cogliere questa realtà cosmica è cogliere l’assoluto, il reale stesso, quale esso è. Dio, — vita incessante, azione, libertà, — nulla ha fatto, e la creazione che noi sperimentiamo ogni qual volta agiamo liberamente non è punto un mistero ». Ma nella nostra esperienza attuale, noi assistiamo ad una creazione diminuita, impacciata: giacché noi non siamo la stessa corrente vitale pura, bensì questa corrente carica di materia, — parte congelata, a così dire, della sua sostanza. Creazione assoluta, invece, è quella che produce forma e materia. Dunque, all’origine delle cose, — origine, notiamolo bene, non di priorità ma di costituzione, e origine che è commensurata dalla propria durata, — si deve porre la creazione assoluta, l’attività pura, la pura coscienza; ma... nulla che ci faccia sortire dall’immanenza, dalla continuità interna, dallo sviluppo evolutivo,
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e ci trasferisca nel trascendente. «Tutto è oscuro nell’idea di creazione se si pensa a delle cose che verrebbero create e ad una cosa che crea ». Ciò che recentemente il Bergson disse in un’intervista: «Nulla può avvenire che non sia naturale >, ha una portata generale nel suo sistema. E sembrerebbe che, attenendosi soltanto ai testi stampati, sia esatto il giudizio che negli « Études » del 20 febbraio 1912 esprimeva il Tonquédec: « La causa suprema del Bergson non può creare che sviluppandosi : e se non è qui il caso di un monismo per identità ed omogeneità, — quale nel panteismo di Spinoza, nell’evoluzionismo di Spencer, nel monismo di Taine, ecc., — poiché ogni stato nuovo è irriducibile àgli stati precèdenti, siamo tuttavia in un monismo di sviluppo e di divenire».
E si sarebbe portati anche a sottoscrivere alle sue conclusioni : « Se la “sorgente della vita, ” (“apud te est fons vitae”) è per Bergson distinta dal mondo attuale e da tutto ciò che gli rassomiglia nel passato e nel presente, non si può però indovinare se per lui Dio sia il nome dato ad una realtà che diverrò. Mondo, o a qualche cosa o a qualcuno situato nel più remoto al di là ».
Ma ecco intervenire il Bergson con due sue lettere al Tonquédec stesso, a fornire la sua propria interpretazione su questo punto fondamentale. « Io parlo di Dio », — scrive egli nella prima lettera, — «come della sorgente da cui sortono, per effetto della sua libertà, le « correnti » o « slanci », « ognuno dei quali formerà un mondo : egli, dunque, resta distinto da essi... ». E nella seconda lettera si avvicina anche più alla concezione ortodossa, affermando che dalle sue opere « si distacca nettamente l’idea di un Dio creatore e libero, generatore insieme della materia e della vita, e il cui sforzo creativo continua... per mezzo dell’evoluzione delle specie e della costituzione delle personalità umane : da ciò deriva, in conseguenza, la confutazione del monismo e del panteismo in generale ... ».
Ma le lettere del Bergson non troncano la questione : le parole « Dio creatore e libero > e tutta la terminologia in esse usata, debbono necessariamente essere interpretate esse stesse in base alla concezione generale dal Bergson esposta nelle sue opere; ed allora, la sua protesta contro l’epiteto di «monismo» e «panteismo», sembra troppo assomigliarsi alle simili legittime proteste di ogni filosofo originale, che disdegna l’etichetta fatta, per un pensiero che sa non riducibile a sistemi anteriori.
Il prof. Marcel Hébert, in un profondo articolo sulla « Revue de l’Université de Bruxelles» (Mai-Juin, 1912), lo nota con gran nettezza quando scrive : «...il m'est impossibile d’admettre que “ de tout cela se dégage nettement l’idée d’un Dieu créateur libre." Je vois simplement une théorie qui se juxtapose à une autre théorie, une création au Sens rigoureux du terme qui vient doubler une création au sens large... Il y a vraiment un « abîme » entre l’élan divin et l’élan mondial... Quel rapport existe-t-il entre l’idée du « Créateur » dont parle M. Bergson, et celle du «Créateur» de la tradition judéo-chrétienne?...».
E a questo punto che possiamo proporci la questione : « È stata incoerente la Congregazione Romana dell’ Indice nel condannare le tre opere del Bergson ? ».
Può la concezione generale che le pervade e che determina specialmente le vedute su « Dio >, « anima », « sopravvivenza personale », chiamarsi puramente e semplicemente dottrina cattolica? — non quale è intesa dalla maggioranza
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di quei cattolici che sono insieme filosofi, ma dalla media delle masse che tuttora si trovano a quel livello la cui formulazione è data dalle definizioni del Concilio di Trento, del Sillabo di Pio IX e del Sillabo di Pio X? — Si farebbe un torto troppo grave ai Bergson, e più ancora a tutto l’orientamento del pensiero moderno, religioso e cristiano, se si rispondesse affermativamente. Per la stessa ragione per cui la filosofia di Bergson, — anti determinista, anti materialista, anti-razio-nalista, teistica, — appare, nelle sue linee generali, — anche a quei che, come il sottoscritto, dissentono da alcune vedute e deduzioni, — come la forma meno inadeguata e più ricca assunta dalle aspirazioni moderne dell’anima in cerca di una formulazione del proprio « slancio vitale » che da Dio parte e a Dio va, per la stessa ragione, la forma più Ortodossa, cioè meno evoluta, della concezione cristiana e religiosa, deve provare per questa filosofia tutta l’avversione gelosa che ispira una rivale fortunata, la quale osa di fare ciò stesso che essa pretende di monopolizzare, e meglio ancora. È doveroso però notare che, anche prescindendo dai cattolici modernisti,, i cattolici ortodossi medesimi han preso atteggiamenti assai diversi di fronte alla filosofia del Bergson: basti opporre al libello dèi Farges lo studio lodevolmente moderato del Tonquédec (un gesuita), con la sua conclusione : « Rien n’oblige à prêter à M. Bergson une erreur (monismo) que son texte n’implique pas formellement ». Ma si può ulteriormente domandare : È stato opportuno, — sempre dal punto di vista cattolico, — condannare opere della cui « eterodossia » dubitano anche scrittori ortodossi ? Ecco la seconda questione, alla quale non ci sentiamo di poter rispondere affermativamente come alla precedente. < Non spegnere il lucignolo fumicante », o, — con le parole del Bergson Stesso, —- « la pallida fiammella che proietta una luce vacillante e debole, che non pertanto rompe l’oscurità della notte » di coloro che ad altra luce professano .di non esser sensibili, sembra un dovere di umanità, prima ancora che di cristianesimo, finché non sia evidente che al bene spirituale delle masse (le « masse > che leggono Bergson ?) deve esser sacrificato il vantaggio spirituale delle anime intellettualmente più evolute. E notiamo di passaggio, che nelle altre chiese cristiane più aperte al senso evangelico del ehi « non è contro di noi è con noi >, la filosofia del Bergson, quando non è stata salutata come la migliore propedeutica alla religione dell’avvenire, è stata, salvo rare eccezioni, riguardata con simpatia, o almeno con benevola attesa.
Una benevola attesa sembra il meno che si avesse il diritto di attendersi anche da Roma in questo momento, e la condanna sembra meritare la taccia di prematura.
Se ne giudichi da ciò che segue:
Già nella lettera aperta al Tonquédec, due anni or sono, il Bergson aveva accennato alla possibilità, che la meditazione dei grandi problemi morali lo conducesse a precisare ancor più le conclusioni religiose da lui espresse nella lettera stessa, e ad aggiungere un notevole contributo: e da quel giorno, voci autorevoli gli han chiesto, con l’Hébert, di scrivere ormai il capitolo di cui ha enunciato il titolo.
Ora, il 21 aprile di quest’anno 1914, il Bergson nell’inaugurare il suo corso di « Conferenze Gifford sulla Teologia Naturale > all’università di Edinburgh, annunziò che, mentre si proponeva di trattare in quest’anno la prima delle tre
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questioni : « Chi siamo noi ? » — * Donde ne veniamo? » — « Dove andiamo noi ?» — riservava al corso che darà l’anno prossimo là risposta alle altre due questioni : «Donde ne veniamo?» — «Dove andiamo?». Sono questi i due capitoli fondamentali di ogni teologia, in cui un sistema filosofico ha la chance di manifestare e chiarire i suoi valori religiosi.
Perchè la Chiesa Cattolica non ha atteso il bergsonianismo al varco?
Perchè non ha atteso che «l’albero producesse i suoi frutti», per «condannarlo o giustificarlo dalle sue opere?».
Perchè la sentenza brutale di condanna lo colpiva solo due settimane dopo l'ultima parola pubblica pronunziata dal Bergson quest’anno?
Perchè questa sete di condanna e quest’avidità di rovina?
Sarebbe esatta ¡'insinuazione dell’«Humanité»;
«... Sa Sainteté a voulu faire sentir à MM. d’ Haussonville et Denys Cochin, académiciens catholiques, qu’il n’avait pas trouvé bon que ces messieurs eussent favorisé l’entrée à l’Académie d’un philosophe qui n'est ni royaliste ni chrétien ? ».
O assistiamo semplicemente ad un altro episodio della mania anti-modernista?
Giovanni Pioli (Asciuttòfòde£\.
La condanna di Bergson è stata a un mese di distanza seguita e completata dall’imposizione della “Summa Theologica” di Tommaso d’Aquino quale testo di Teologia in tutti i seminari e le Università cattoliche. È il “destruam et aedificabo.” Ma l’edificio è fondato sull'arena. Il pensiero moderno condannato in Bergson ha dinanzi a sè l’avvenire: il Medioevalismo canonizzato ed imposto nella restaurazione della “ Summa Theologica ” potrà essere galvanizzato ancora un istante, ma risorger non potrà. E l’ultimo decreto, se riuscirà forse a raffreddare l’ardore dei gesuiti nel secondare una follia di reazione che ora si volge contro le loro Università, non varrà certo a conquistare nuove reclute all' imperialismo romano. “Non in Theologia salus."
G. P.
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LETTERE INEDITE DI MONSIGNOR BONOMELLI
A Don B rizio Cocciòla sacerdote cattolico ad Erba di Conio, e a D. S. Gross pastore evangelico a Borgonuovo in Val Bregaglia, che per vie diverse, fra le ambagi dell'umana imperfezione, con egual purità fecondano l'uno e moltiforme senso di Cristo, offro col cuore che risponde.
u, credo, nel 1907, che io ebbi la ventura di conoscere HJbS)J ) y1 personalmente l'insigne e santo prelato che l’universa frzPvvrf GÌ Chiesa Cristiana piange e ricorderà sempre. Ero a Nigo-TI line in provincia di Brescia, ospite del mio diletto amico ■Sy/wAe valente cultore di studi religiosi conte Giuseppe Zop-y ¿fi| pola; e con me erano suoi ospiti una gentildonna rumena
\| (anche la fine e squisita contessa Zoppola è rumena), una signora anglo-italiana, la Cimino, e il capo dei socialisti inglesi, di cui non ricordo óra il nome, con la figliuola : a costoro si aggiungevano in visita preti e letterati e gentiluomini e borghesi e operai dei dintorni, ladyes e damesy e via via, che l'ottimo Zoppola non fa distinzioni partigiane, è amico libe
rale di tutti i buoni a qualunque classe 0 categoria o paese appartengano, e come me lavora, per quanto può, alla unità della specie. Uh bel giorno venne l’invito al pranzo che il clero locale offriva al nuovo arciprete, e Beppi mi disse subito che ci sarebbe stato anche monsignor Bonomelli, a cui mi avrebbe presentato. Ed io, che serbavo bella memoria di un suo cortese ricambio, ne fui proprio lieto. Un pranzo tutto di preti, ad eccezione del conte, del sindaco e di pochi altri; e davvero un pranzo arcipretale, nel quale il buon umore regnò sovrano dal principio alla fine, quando cominciarono i brindisi e, fra gli altri, la palma toccò a quello di un bravo sacerdote, che non era il solo alquanto vino gravatiti, il quale ci divertì tutti e fece ridere di cuore il degno vescovo di Cremona. Prima e dopo ebbi l'onore ed il piacere di discorrere a lungo con lui e, nella parola colorita e secura, spassionata e pia, ritrovai lo scrittore che avevo ammi
rato pur dissentendo più volte.
•Nel 1912 io pubblicai per i tipi del Coenobium di Lugano la mia operetta Le Chiese Cristiane, che suscitò vive discussioni nella stampa indipendente, protestante, e un po’ anche nella cattolica liberale ; il più stretto silenzio fu mantenuto da quella cattolica e clericale, quasi ci fosse parola d’ordine ; e mi permetto dir questo, perchè un sol giornale vi accennò per raccomandare ai suoi confratelli di non darmi importanza ! E si noti che V Index non mi aprì le sue tenere
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LETTERE INEDITE DI MONSIGNOR BONOMELLI
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braccia. Checché fosse, nelle mie pagine io, fra l’altro, mi sforzavo di provare modestamente che tutte le Chiese hanno i loro meriti e demeriti, han serbato dell’antico patrimonio, ma prevaricando, e che non è questa o quella dottrina particolare, ma la fede operante in Cristo che forma il cristiano. Fra coloro — e di ogni colore e sapore — che mi scrissero a lungo e sinceramente, fu il Bonomelli, il quale mi diresse questa lettera, come le seguenti, su carta pastorale intestata:
< Cremona, 14-6-1912.
Egr. Signor Villari,
Ebbi il suo lavoro e La ringrazio di cuore. Rammento bene l’incontro felice in casa Zoppola. Consenta che dica l’animo mio candidamente.
Ella presenta i tre tipi religiosi del greco ortodosso, del protestante e del cattolico e sono tipi virtuosi, bellissimi e non ho difficoltà a crederli storici ed io ne ho conosciuti parecchi e più d’una volta io stesso invidiai la virtù di alcuni dissidenti dalla nostra fede. La fede vera non sempre per sventura è unita alla virtù. Ma pare che Ella dia quasi la preferenza ai due tipi greco e protestante.- m’inganno? E questo non è troppo? La verità è verità anche quando non corrisponda la vita, come la cera è cera anche quando la figura non è bella, dice Dante.
Ella nega assolutamente il Primato del Papa di origine divina. Ciò equivale a non essere cattolico. Ne sono dolente. Permetta che Le dica : consideri bene la cosa : pensi che Dante, Manzoni, Rosmini ed altri sommi e virtuosi, conoscendo pure le non poche miserie della Chiesa cattolica, furono cattolici. Perchè non mettersi con loro? si troverebbe in buona compagnia!
Io non nego i fatti: nella Chiesa vi è molta zizania, ma vi è anche il buòn frumento: guardiamo a questo, non a quella. Ella ha forse aggravato la mano ricordando la zizania, che è nella Chiesa. Pare a me. Erro? Me lo dica. Anch’io vedo ciò che Ella flagella nella Chiesa cattolica: ma vedo in Essa la verità pur troppo poco attuata nelle opere. Preghiamo che sia altrimenti, ma non respingiamo la madre, che è sempre madre anche quando non in tutto buona madre.
Una trasformazione profonda, vasta, nella Chiesa cattolica è inevitabile : il fermento misterioso che si agita in essa la annunzia: deporrà lo squame medio-evale: lascerà cadere le vecchie foglie e si rivestirà di novelle: si monderà e rimonderà tutta, ma l’albero nella sua essenza rimarrà lo stesso. Son cose ch’ella insegna a me. Il fondo è immutabile, la parte accidentale si trasforma e deve cedere alle esigenze del tempo. Quand’era fanciullo, pensava da fanciullo, parlava da fanciullo, ecc. ecc.: è il suo S. Paolo. Dunque venga o resti nel vecchio ovile; vi starà sempre meglio che fuori. Rinnovo i miei ringraziamenti e mi tenga sempre Suo Dev.mo
Gsr. Bonomelli, Vesc. ».
Ricordo che, ringraziandolo con l’ossequio che meritava, gli dichiarai che egli dimostravasi così paterno da farmi desiderare di dargli quella filiale soddisfazione che pareva aspettarsi da me; ma pur troppo, per quanto aprissi gli orecchi e gli occhi alla verità, la sua voce mi allontanava anziché avvicinarmi al Papato, nel cui ingrandimento dal Vescovato Romano, fino a diventare emanazione degli < eminentissimi » cardinali, io non vedevo, proprio attraverso le Scritture, che un fatto storico ed umano, ora utile, or dannoso alla Chiesa, se pure anch’esso provvidenziale alla ventura economia cristiana, a quella trasformazione inesorabile che egli stesso prediceva. Che a far fede della mia imparzialità nel
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dare a ciascuno quel che mi era parso giusto, bastavano l’intonazione generale e alcuni brani salienti del libro, il dubbio opposto al suo, mossomi da alcuni dissidenti, cui le mie accuse al'protestantesimo avevan dato ai nervi, l'affermazione di due giornali stranieri, ai quali il mio italiano non aveva fatto perdere le staffe come a qualche compatriota ; di essi, uno, il Mercure de France, notava che, non chiedendo io a nessuno di mutare le proprie credenze, la stessa Curia Romana avrebbe potuto trar vantaggio dalle mie deduzioni; l’altro, il Journal de Genèvç, formalmente scriveva : < ... M. Villari connaît admirablement son sujet, et à mesure qu’il parle de l’une ou de l’autre confession, il semble sur le point de leur donner successivement une adhésion complète, tant il juge comme du « dedans », mais ce n’est chez lui que de l'impartialité et le talent de relever avec précision et clarté les vérités spéciales qui font la force de chacune. C’est aussi avec un accent viril qu’il relève ce qui lui paraît une erreur, une déviation du type primitif... ». Infine non nascondevo, rispettosamente, al Bonomelli, che mi pareva luogo comune ricorrere a Dante, a Manzoni, a Rosmini perchè siamo italiani; tanto varrebbe che un inglese esortasse a rimanere con Shakespeare, Milton e Bunyan, facendo così della religione un fatto puramente etnico e di razza, che pure può ammettersi come coefficiente, mentre il Cristianesimo è la lex spiritili vitae. E il Bonomelli di rimando:
< Cremona, 21-6-1912.
Egr. Signore,
Poiché ora ci troviamo alla mensa spirituale, com'Ella graziosamente mi scrive, è bene rimanerci e proseguire a nostro agio la conversazione. Io non nego tutte le piaghe della Chiesa cattolica e dei suoi Capi nel corso dei secoli: la storia è lì ed è inesorabile come la matematica, e assai male fecero certi apologisti più pii che .avveduti, che le vollero negare, o diminuire. Ciò eh’ essi coprirono d’un velo pietoso, altri senza pietà squadernarono sotto gli occhi del popolo. Confesso che una delle cause di tanti mali e non ultima fu la ricca dote data da Costantino e inventata anche questa. Ma io procuro di fare come il nostro S. Francesco d’Assisi, sto col Papa, mi prostro con lui alla sua presenza, lo venero, lo ascolto, ma non lo seguo in ciò che egli fa contro il Vangelo. Ricordo la parola di Gesù: Super cathedram, ecc.
Io ammiro e a due mani sottoscrivo quelle Sue parole sì alte e sì sante. « La mia preghiera costante è solamente questa : Signore, fammi conoscere il vero, solo il vero e tutto il vero (tutto è un po' troppo, è l’infinito) perchè il vero sei Tu stesso >. Questa è la sua e la mia preghiera e siamo fratelli. Ella aggiunge — e la voce da lungo tempo non risponde — risponderà: del resto chi scrive queste sì belle parole è già con Dio e si calmi. Sto leggendo un libro terribile < Ce qu'on a fait de PÉglise », è una spietata requisitoria contro il Papa e la Gerarchia. Non nego nulla: qualche cosa rettificherei, spiegherei : ma la mia fede è in Gesù C., in Dio e penso che la Chiesa alios vidit ventes, aliasque procédas e sto con Essa e credo, spero ed amo come posso.
Faccia così anch’Ella se non ¡sdegna il consiglio di un vecchio. Si sta così bene con la fede, essa è la lampana, che dobbiamo tenere in mano fino a che oriatur lucifer e vedremo faccia a faccia. Allora butteremo via la lampana. Io sono con Lei ed Ella è cattolico come me, sì, sì. Con vera stima e affètto vivo.
Dev.mo
Ger. Bonomelli, Vesc.
Ho ricevuto il lavoro sul Leopardi. Grazie >.
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MONS. GEREMIA BONOMELLI
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Io non serbo le mie lettere, ma dovetti rispondergli ancora che il mio stesso atteggiamento — che naturalmente non pretende di aspirare che alla parte di verità possibile alla creatura — mostrava quanto mi sentissi sereno ; che avevo avuto anch’io, e da Léon Chaine, che forse non vi era estraneo, il libro di cui parlava, e che se egli mi trovava cattolico come se stesso, non potevo che compiacermi che il suo cattolicismo romano in fondo non fosse troppo differente dal mio puro cristianesimo, dal mio cattolicismo apostolico. — Ed egli ancora:
« Cremona, 28-6-1912.
Egr. Signore,
Domani è san Pietro. Lunedì i miei Chierici partono per le vacanze ed io pure sento il bisogno, dopo 8 mesi di non interrotto lavoro, di sottrarmi ai calori che cominciano a farsi sentire e ritirarmi in qualche angolo delle Alpi e rifarmi. Ne sento tutto il bisogno. Prima di partire debbo rispondere alla sua buona lettera del 26.
La sua lettera mi tornò gradita assai per le cose che dice e più per l’intonazione. Ciò eh’Ella deplora, deploro anch’io e ài fatti spiacevoli e biasimevoli Ch’Ella ricorda troppi altri io potrei aggiungerne. Ricordiamo che nella Chiesa, anche in alto e anche in altissimo, c’è sempre l’elemento umano e ci sarà finché essa vive sulla terra. So del Santo alla moda sant' Espedito, vera superstizione e parto d’ignoranza. Io ebbi il coraggio in una Pastorale sul Culto e sugli abusi del Culto, che Ella parmi conosca, di additarlo e condannarlo. Parve che toccassi il dogma e non solo alcuni devoti del popolo, ma alcuni colleghi mi guardarono di mal occhio. Ci vuole pazienza e tirar via diritto. In quella Pastorale parlai abbastanza chiaro e più ancora nell’altra Perita Consolanti, tantoché un Vescovo scrisse una Pastorale confutandomi direttamente come eretico. E non è molto la S. Congregazione chiamò all’ordine quel Vescovo e gli ordinò di licenziare il Rettore del suo Seminario come modernista ed è un'anticaglia ! !
Son cose dolorose oltre ogni dire. Che fare? stringerci ben bene alla fede e al Capo Supremo nelle cose di fede e costume (che nel resto può errare), camminare nella via della verità e fare il nostro dovere osservando il decalogo, e lasciar dire e fare agli altri come vogliono. Dire ciò che soffro vedendo ciò che avviene nella Chiesa, non voglio, nè posso. Io prego solo Dio che mi conceda la grazia di salvare l'anima mia e di fare un po’ di bene alia mia Diocesi. La fiacchezza di carattere, l’adulazione, l’avidità del danaro, la febbre degli onori in tanto sfacelo religioso e morale crescono anche nel Santuario e si maschera l’interesse mondano più abbietto sotto le apparenze dello zelo. Da tre secoli urge la Riforma e la Riforma non si fa e credo non si possa fare. Dio abbia pietà di noi!
Con ogni stima.
Dev.mo
Ger. Bonomelli, Pese. >.
Chiusi brevemente per dirgli di essere sempre più soddisfatto di trovarmi con lui, ancorché si battesse una strada apparentemente diversa, e che egli mi aveva palesato tutto l’alto suo animo. Infatti non era certo il caso di ripetergli quel che già è nel libro, che cioè, se Paolo in fondo leggiferò più di Pietro, ad onta del privilegio di costui, così nella fede come nel costume, altri, a parte la disciplina inevitabile, può ben trovare in fallo il Papa anche in essi, visto che egli Bonomelli pel primo, come già Paolo per Pietro, trovava poi che possa «non camminare con retto piede secondo la verità dell'Evangelio » ; e che Adriano Vi, in
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persona, ristampando da Papa il suo Commentario al IV libro delle Sentenze, negava l’infallibilità papale anche in materia di fede', e sì che Pietro, apostolo primus inter pares* dopo aver riconosciuto per alto lume in Cristo Dio, perdendolo smentiva sic et simpliciter là missione di Lui, meritando il «Vade retro Satana» quasi nel punto stesso in cui aveva pronunziato la prima parola del Creda! Ma che importava più questo se il Bonomelli si sentiva meco affratellato nel deplorare il male e le colpe anche della Chiesa Romana, della quale io avevo affermato anche il bene e le glorie; se egli infine mi si palesava proprio per uno di quei cristiani eccelsi per santità operante che io presentavo alla ammirazione altrui, appartenessero a quella Chiesa, alla Ortodossa, alla Evangelica, o a nessuna di esse particolarmente, pur essendo con esse in quanto hanno di più o meno conforme alle intenzioni del Divin Fondatore ? Nè io ho bisogno certamente di far notare l’importanza delle lettere del Bonomelli, la loro fermezza e dolcezza insieme, e come nulla esse contenendo che possa far torto ad un Vescovo e seguace della sua Chiesa, s’elevino in una sfera cristiana in tutto superiore; quanto sia coerènte lo Stesso desiderio suo di avermi più vicino nel punto medesimo in cui si sente meco ; come il suo linguaggio, con gradazione naturale, passi da quello dell’ecclesiastico che ammonisce a quello del credente anziano che esorta, e infine più chiaramente al decisivo del sodale che insieme deplora, confida ed ama. Ai lettori il sentire quant’altro inspirano le franche affermazioni di questo san Bernardo redivivo, per augurarsi che trovi imitatori nella nova gioventù sacerdotale, in odio a quanto di settario o di gretto o di colpevole ammorba il vario ovile di Cristo.
Un’altra lettera mi scrisse il venerando uomo in data 12 novembre 1912, in cui si parlava * della buona e sì ingiustamente tribolata Antonietta Giacomelli » ; ne riporto il brano più importante : « Non conosco il P. Luca che mi nomina, nè il libro suo. Farmi cosa incredibile. Sono sogni di infermi, ma nuoce udirne parlare. Del resto si assicuri che oggi non fanno nè freddo nè caldo: le cose camminano da sè e il movimento di evoluzione e trasformazione anche nella Chiesa in tutto ciò che è buono continua in ragione del quadrato delle distanze e non vi è forza che valga ad arrestarlo: chi lo tenta è schiacciato ».
Altre prove di affetto mi diede questo intrepido soldato della Verità, ma di quella somma di avere inteso lo spirito che mi mosse al disopra di tutte le umane divisioni, gli serberò gratitudine usque ad mortern et ultra.
Portici.
Luigi Antonio Villari.
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IL VITALISMO
HE siamo in un periodo di completo rinnovamento scientifico nei vari campi delle scienze biologiche, lo dimostra il fatto che una serie numerosa di studiosi, mutati i metodi di ricerca, ha pronunciate conclusioni ed affermazioni, le quali se si oppongono arditamente a quello spiritò dogmatico materialistico che ha prevalso nel campo delle scienze naturali in quest’ultimo cinquantennio, vi gettano sprazzi di vivida luce rendendolo più razionale, e più confacente alla coscienza, alla psiche umana. Questo movimento nàto in Germania, a poco a poco va estendendosi anche in Italia, tanto è vero che il prof. Carazzi, rinnovando i metodi di ricerca dell’embriologia, dichiara apertamente di rinunciare alle costruzioni di Haeckel per ammettere una evoluzione limitata nell’interno dei tipi: Giardina segue le orme di Driesch, ed il Grassi si dichiara avverso all’antivi-talismo ed afferma che la biologia deve considerare come vana impresa tentare le essenze e le prime ragioni e deve confessare il mistero impenetrabile della vita. Poiché in questi ultimi anni le questioni biologiche hanno avuto grande influenza sullo sviluppo del pensiero e dello scibile umano, il carattere più importante del nuovo indirizzo è di essere eminentemente sperimentale tanto è vero che per esempio si sono studiati i problemi dello sviluppo, e si è venuta così formando in pochi anni una meccanica dello sviluppo: si sono studiate la variazione, l’origine delle specie, la rigenerazione, le relazioni tra la forma e le funzioni e così via via.
IL PROBLEMA DELLA VITA E LE SUE SOLUZIONI DAL CREAZIONISMO BIBLICO AL MONISMO HAECKELIANO
Però uno dei problemi che maggiormente ha ricevuto impulso da questo nuovo indirizzo è quello della spiegazione della vita e cioè: donde viene la struttura organica, ed in qual modo si conserva?
A questo problema furono date nelle varie epoche spiegazioni diverse le quali a volta a volta hanno sembrato trionfare.
Tralascio di parlare ex professo del creazionismo biblico, il quale, nonostante tutti i tentativi dei conciliatoristi (i), rimane contrario ai dettami della scienza perchè mentre la geologia insegna la simultanea esistenza, se non anche la preesistenza, delle forme animali accanto alle vegetali, ed il lento e graduale svolli) Dell’atteggiamento di uomini di fede ragionevole di fronte al racconto biblico ha parlato il nostro collaboratore prof. M. Falchi nel fascicolo di gennaio-febbraio del 1913, p. 31
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gimento di ambedue in modo parallelo alle continue e varie esigenze di quella duplice forma di vita, la genesi fa comparire la vita animale nel quinto e sesto giorno e la vegetale nel terzo, innanzi la creazione è l’attività fecondatrice del sole. Inoltre la geologia insegna che gli uccelli compariscono molto dopo l'apparizione dei pesci, e sono preceduti da molte specie di animali terrestri e rettili e insetti; mentre nella genesi questi sono creati solo nel sesto ultimo giorno, e gli uccelli ed i volatili di ogni sorta sono creati insieme ai pesci nel quinto giorno.
Tralascio ancora tutte le altre e svariate ipotesi e teorie che si sono succedute le une alle altre attraverso i tempi fino alla teoria della invariabilità della specie, la quale ritiene che specie esistenti attualmente sono quali furono create ab initio. teoria sostenuta da Linneo e poi da Cuvier, Dana, Quatrefages e molti altri insigni naturalisti. Però è ormai opinione comune la insostenibilità di tale dottrina, ma che invece le specie hanno subito una lenta, graduale, successiva evoluzione, la quale è stata però concepita sotto diversi aspetti, cioè sotto l’aspetto materialistico e teistico. La teoria materialistica evoluzionistica afferma che le specie organiche siano derivate da una materia protoplasmatica primitiva formatasi, a sua volta, dalla materia inorganica per pure e sole forze fisico chimiche. Questa teoria non è altro che il Monismo häckeliano. Häckel pone a fondamento dello sviluppo delle specie umane la cosiddetta legge biogenetica fondamentale, per la quale la ontogenesi recapitola la filogenesi, cioè gli organismi più elevati ancor oggi, nel loro sviluppo embrionale (ontogenesi) passano per quei medesimi stadii nello sviluppo filogenetico della loro schiatta.
Ora che questa materia protoplasmatica primitiva detta da Häckel Monera. sia sorta per generazione spontanea nel fondo dei mari, come i cristalli dei sali nascono nelle acque madri, è assolutamente falso, perchè oggi, con le ricerche assidue e scrupolose abbiamo messo come assioma incrollabile della biologia che < omne vivum ex ovo >, ed i più strettamente ancora « omnis cellula e cellula >, e « omnis nucleus e nucleo >, cioè l'essere vivente deriva sempre da altro essere vivente.
Gli entusiasti della chimica organica, la quale è riuscita a comporre per sintesi prodotti, quali l’urea, l’alcool, l’acido formico, e tenta di risolvere la combinazione albuminoidea del carbonio, non pensano che questi prodotti non sono che i residui delle analisi e delle disintegrazioni vitali, non la materia organica per eccellenza, non l'albumina. Che, se anche gli Sforzi di E. Fischer fossero coronati di successo ed egli nel suo laboratorio riuscisse ad ottenere le albumine più semplici, noi in realtà, non avremmo dinanzi che le pietre dell'edifizio vivente, il materiale morto non il vivo.
« La legge, dice Häckel, che riunisce tutti i progressi particolari della fisica «e della chimica ad un comune fuoco “è la legge della sostanza” siccome « questa legge cosmica fondamentale stabilisce la persistenza eterna della materia « e della forza e la costanza invariabile in tutto l’universo, essa diventa la stella « polare che guida la nostra filosofia monistica, attraverso l’intricato laberinto, < verso la soluzione dei problemi del mondo ».
Ora affermare la persistenza della materia e dell’energia significa mettere innanzi un nuovo problema, ma non una serie di concetti chiari e saldi donde possa dedursi una legge. Il Lodge, illustre fisico inglese, afferma nella sua opera
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IL VITALISMO
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« Vita e Materia » che riconoscere l’inesplicabile e rilegarlo fra gli atomi vuol dire aver trovato una via comoda per non spiegar nulla: ogni dubbio dello spirito cessa col monismo, e la religiosità dell’anima umana è un avanzo di epoche barbariche. I ricercatori delle leggi delle cose conservarono vivo un anelito d’ideale e le ali del loro pensiero seppero più volte il brivido del mistero. Chi non ricorda Isacco Newton che, nello sforzo di ridurre il Cosmos nell'ambito della meccanica, non perdette mai l’aspirazione divina della propria esistenza? E’ di Hume la frase che sia impossibile attribuire un significato definitivo alla parola « sostanza » usata per designare l’ipotetico substrato dell'animo e della materia. Huxley, fervente materialista, dice a tale proposito: «Io non comprendo come il materialismo possa influire sopra le idee etiche e religiose che ciascuno possiede, ed ancor più come possa alzarsi a comprendere ¡’Universo». Carlo Darwin protestò nobilmente contro le esagerazioni haeckeliane delle sue teorie e mantenne la sua fede. H. Spencer non esitò ad asserire che resistenza ha misteri imperscrutabili e, quando anche questi si superassero, ne comparirebbero innanzi altri ancora più trascendenti. Dal fisiologo Wundt, nella prima edizione della sua opera, la psicologia era trattata come una scienza fisica' avente le stesse leggi della fisiologia di cui non è Che una parte: trent’anni dopo egli riconosce che la psicologia è una scienza spirituale con principi e obietti del tutto differenti da quelli della scienza fisica. Il Lodge al termine della sua opera citata dice che ad Häckel, combattuto aspramente dagli stessi scienziati a lui più vicini, non rimane che assistere melanconicamente al tramonto della Sua scienza e della sua filosofia. La sua voce ormai (così si esprime il Lodge) è la voce di uno che parla al deserto, ma non come quella del pionie.ro all’avanguardia di un’armata Che si avanza, ma piuttosto come il grido di disperazione di un alfiere, ancora ardito ed imperterrito, quantunque abbandonato dalle file dei suoi commilitoni, che, chiamati da nuovi comandi, si rivolgono verso una direzione nuova e più idealistica.
Io non dico che la voce di Häckel si spanda al deserto, e che la sua scienza debba fatalmente tramontare: no, perchè la teoria evoluzionistica escogitata e promulgata con validi argomenti da C. Darwin, continuata da Häckel sotto altro aspetto e la legge biogenetica, di cui egli è il creatore, sono validamente confermate da moltissimi fatti desunti dalla paleontologia e dalla embriologia. Solo posso dire che l’avere concepito la vita dal lato prettamente materialistico, chiudendo le orecchie ad ogni nobile impulso dello spirito, ad ogni manifestazione delle facoltà superiori, alle estrinsecazioni del pensiero e della vitalità multiforme, in modo tale da essere nè più nè meno che viva espressione della matèria bruta, eterna, rende la sua scienza priva di idealità, di bellezza, non appaga la mente ed il cuore, ma fa sorgere una crisi che si può dire la crisi dell’anima: e per questo l’opera di Häckel può ben dirsi esagerata, il continuatore estremo di Darwin.
Che la scienza dei nostri giorni incominci a rientrare nell’orbita delle sue attribuzioni ed acquisti coscienza dai propri metodi e partecipi, anche per segni non dubbi, alla rinascita dell’idealismo non è certo un danno. Un primo vantaggio, e di non lieve momento, è il determinarsi di un limite sempre più netto tra scienza e filosofìa.
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LA SOLUZIONE ODIERNA: IL VITALISMO - SUE VARIE FORME.
Donde viene la struttura organica ed in qual modo si conserva ? Che cosà è che spiega le manifestazioni caratteristiche della vita?
Il vitalismo esagerato, o vitalismo di Montpellier, che contava tra i suoi sostenitori Bichat, Leydig e J. Mìiller, considerava come causa unica della vita organica una o più forze immateriali distinte dalle forze che funzionano nel regno inorganico. Le prime anzi tendono a conservare l’organismo, si trovano in continuo conflitto con le seconde che tendono a distruggerlo.
Il vitalismo odierno si può aggruppare in quattro gruppi : però tutti i filosofi e biologi vitalisti, più o meno, ammettono il finalismo nella natura. Essi negano che nell’universo ci siano soltanto cause efficienti che producano determinati risultati, ma ammettono un principio di attività che tende verso un fine intrinseco, e che, per attuare questo fine, usa delle forze, delle quali esso è la sorgente originale.
* #
Un primo gruppo di neovitalisti è sostenuto da Wolff, il quale riconosce che si è pervenuti a determinare certi fattori fisico-chimici che entrano in giuoco nei fenomeni vitali, quali ad esempio l’osmosi, la . tensione superficiale, le forze di adesione e di coesione o se si è riusciti ad analizzare le condizioni fisicochimiche necessarie, o almeno utili, per compiere certe funzioni, non è meno vero che sin qui non ci si è reso conto di certi fatti, come per esempio là elaborazione della clorofilla, la divisione dei nucleo. Ma questa spiegazione non è sufficiente per il biologo, perchè il vero vitalista ammette ciò che Driesch chiama autonomia dei fenomeni vitali, cioè Che questi fenomeni obbediscono a leggi loro proprie, differenti essenzialmente da quelle che governano la materia non organizzata.
« «
Il secondo gruppo, di cui e alla testa Reinke, ha emesso la teoria dei dominanti. Egli si vale nella sua argomentazione dello studio dell'adattamento degli esseri viventi, della coordinazione dei fenomeni dell'ontogenesi, della tendenza verso un fine manifestato dagli organismi. Egli paragona l’organismo ad una macchina costruita dall’uomo in cui si possono distinguere due sorta di forze, cioè: le forze fisico-chimiche degli elementi materiali che entrano nella composizione della macchina, e altre forze superiori a queste, le quali regolano e dirigono le attività fisico-chimiche in maniera tale da far loro raggiungere il fine al quale la macchina è destinata. Queste forze egli chiama dominanti, e distingue due sorti di dominanti : cioè i dominanti del lavoro, l’influenza dei quali è il dirigere il funzionamento dell’organismo costituito, e i dominanti dello sviluppo i quali hanno per ufficio di orientare e coordinare la formazione ontogenetica dell’organismo. Però, in seguito, per liberarsi dalla sua soluzione troppo Stretta dell'organismo, egli distingue col nome di forze del sistema ciò che un tempo chiamava dominanti dello sviluppo. Di più ammise un dominante generale al quale sono subordinati tutti i dominanti particolari.
Secondo Reinke perciò l’organismo è una macchina nella quale esiste un
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IL VITALISMO
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fattore vitale che dirige e ordina le forze e le attività fisico-chimiche. Ma ciò non è da ammettersi, perchè l’organismo risulta di due principi sostanziali che si completano a vicenda perchè incompleti nell'ordine della sostanza, e cioè la materia prima e la forma sostanziale, la quale ultima non è un principio determinante la materia prima ad una natura specifica.
* # *
11 terzo gruppo dei vitalisti con a capo Schneider e Neumeister introduce i fatti psichici. Infatti secondo Schneider la materia vivente è costituita da un insieme di granuli appartenenti esclusivamente alla materia vivènte e chiamati biomolecole.
Queste biomolecole sono dotate di una certa energia che ha l'ufficio di percepire le eccitazióni venute dalle altre biomolecole e trasmetterle alle molecole vicine. Quest’iZ//iWzà psichica che ha ogni biomolecola si compendia in una percezione conoscitiva rudimentale, in un sentimento, in una volontà elementare.
Che questo sistema presenti tutti i caratteri di speciosità è evidente perchè attribuendo i fenomeni vitali a proprietà o ad energie inerenti alle biomolecole, non ci dà la spiegazione della condizione delle attività vitali e dell’unità dell’èssere vivente.
*
* »
Il quarto gruppo dei vitalisti, capitanato dall* illustre embriologo Driesch, fonda il suo sistema sui principii filosofici di Aristotile espressi nel trattato « De Anima ». Il principio vitale è secondo Hans Driesch « una complessità intensiva ». Ecco come si esprime: « Questo qualche cosa, che è la ragione ultima dello sviluppo embrionale dei sistemi, non ha nulla delle parti estese ordinate nello spazio, ma è un principio di attività, ossia è qualche cosa non già estinsivo, ma intensivo che presenta tuttavia delle virtualità complesse». Questo principio è chiamato da Driesch entelecheia, o anima degli stessi viventi, e lo paragona alla costante della fisica e della chimica, però è il principio della individualità degli organismi e della loro specificità. Driesch è il solo che si dichiara antimeccanico e che dichiara essere impossibile spiegare i fenomeni vitali per mezzo delle leggi inorganiche.
Egli proclama nettamente l’autonomia dei processi vitali, che vengono dominati da qualche cosa che non è esteso ed ordinato nello spazio, ma che è invece un principio di attività che possiede un valore qualitativo non quantitativo, intensivo non estensivo.
Già tutta l'embriologia contemporanea, e più specialmente le ricerche iniziate dal Roux, che ora hanno creato il corpo di una nuova scienza, la « fisiologia dello sviluppo », ci offrono ogni giorno sorprese. Se isoliamo l’embrione di un animale inferiore nello stadio in cui risulta di sole quattro cellule, e quindi separiamo artificialmente i quattro elementi, noi vedremo che ciascuno di questi dà origine ad un nuovo individuo. Se con un taglio noi dividiamo dal resto del corpo il sacco branchiale di un'ascidia marina « la clavelina », questa riesce ben presto a rigenerare la parte scissa ed a completare da sè la sua individualità. Prendiamo la stella di mare: ad un certo punto dello sviluppo l’embrione con-
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siste di due strati (foglietti cellulari) detto gastrula, perchè ha forma di sacco con un’apertura ad una estremità. 11 foglietto interno (entodermico) darà luogo a suo tempo al canale intestinale. Driesch divise la gastrula in due parti con un taglio perpendicolare all’asse del foglietto cilindrico e ciascuno dei due frammenti produsse nuovamente una gastrula con i due toglietti esterno ed interno, con la sezione del canale intestinale.
Come è possibile spiegare meccanicamente questi fenomeni ? Se ogni sezione del sistema organico può comportarsi come il tutto, ai meccanicisti non resta che pensare che ogni parte del loro fantastico congegno debba contenere in miniatura tutta la macchina. Nello studio dello sviluppo, anche seguito nelle linee più semplici, si è presi da un senso profondo di stupore. Vi constatiamo regolazioni di elementi anatomici secondo un disegno prestabilito. L’occhio si forma nell’embrione quando la funzione della vista non è ancora necessaria, e lo stomaco si abbozza ancora prima che l’organismo ne senta il bisogno. V’è una capacità in noi, una potenza dinamica che opera per un dato fine, cui tende raggiungere in armonia con le condizioni esteriori, un’attività, diciamolo pure, finalistica, la quale non è possibile ridurre al gioco delle pure energie fisico-chimiche. Noi non conosciamo alcuna altra sostanza materiale capace di una simile attività. L’ordine del mondo organico, l’ordine vitale, còme dice il biologo prof. Grassi, è un « superordine » che ha qualche cosa di proprio, di non dimostrabile, di attivo, che lo eleva di molto sul passivo ordine del mondo inorganico. La non dimostrabilità ci fa ricordare un’osservazione del Bergson, per cui le proprietà vitali non sono giammai interamente realizzate, ma sempre in via di realizzazione, non sono degli «stati», ma delle «tendenze».
IL VITALISMO FA PARTE A SÈ?
Spiegata brevemente la teoria vitalistica possiamo domandarci: il vitalismo fa parte a sèr può vivere rimanendo estraneo alle altre forme di concezione della vita?
Il vitalismo, contrariamente a quanto si vuol far credere dà molti evoluzionisti, o anche dai loro avversari poco sereni o poco competenti, è pienamente d’accordo con l’evoluzionismo, ed anche con il mutazionismo, nuova dottrina scientifica, che comincia a prendere il sopravvento all’evoluzionismo, emessa e sostenuta con argomenti indiscutibili e molteplici, suffragati da numerose esperienze dal botanico di Amsterdam De Vries.
Il vitalismo è conforme alla teoria evoluzionistica, perchè l’idea dell’evoluzione non è affatto in contrasto con il sentimento religioso seriamente inteso: l’evoluzionismo non esclude la creazione, ma solo estende al di là dei limiti tradizionali un concetto già universalmente accettato, secondo il quale ogni organismo ha una forza intrinseca di trasformazione e di auto regolazione. Come già si concede che tutti gli individui viventi siano suscettibili di limitate trasformazioni, e capaci di perpetuare con la riproduzione l’effetto dell’atto creativo soprannaturale intervenuto soltanto per i capo-stipiti delle rispettive specie, così si può pensare che le trasformazioni siano più illimitate e che tutte le specie abbiano uno stipite unico, o per meglio dire un’origine comune remotissima.
L’intervento di un Ente speciale che abbia messo la sostanza vivente in
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condizione di trasformarsi perfezionandosi continuamente non è certo meno giustificato, nè meno importante, nè meno maraviglioso.
E’ cosa sicura che la vita ha avuto origine sul nostro pianeta. Vi fu un tempo in cui la terra si trovava nello stato fluido e la vita organica era impossibile. Oggi la superficie del globo è inondata di vita organica. Questa vita ha avuto origine in un’epoca sconosciuta ed in maniera sconosciuta. Può darsi che essa sia entrata in relazione con la materia in maniera graduale: ma se si pensa che la terra dopo lo stato fluido si trasformò in stato acqueo e se si riflette, che all’epoca cambriana del nostro pianeta il mare aveva già una fauna quando non vi potevano essere, per la mancanza di continenti emersi, acque dolci, è facile arguire che la vita fosse nell’ambiente acqueo.
Ed oggi René Quinton in una sua opera recente stabilisce con molte e valide argomentazioni che la vita animale, apparsa allo stato di cellula, è comparsa nel mare: essa si è trasformata, si è svolta, si è plasmata nelle varietà delle forme fino a divenire vero e proprio organismo. Ed infatti se noi pensiamo che il mezzo vitale in cui vive ogni cellula, dalla più bassa forma animale alla più alta, è un liquido (plasma del sangue, linfa) che imbeve i tessuti; se pensiamo inoltre che il plasma cellulare possiede una proporzione di acqua uguale ai tre quarti circa del suo volume, e che messo a secco muore; di più che il plasma cellulare è imbevuto di acqua salata come quella marina, tanto che se mettiamo una cellula in acqua, per es., distillata od in alcool, ecc., essa muore, non ha più vitalità alcuna, è chiaro che la vita ha avuto origine in un mezzo acqueo e per giunta marino.
Ebbene: il vitalismo allora prende tutte queste conclusioni e conclude così : ammettiamo pure che la vita si sia originata da una cellula « primordiutn vitae > o, come dice Huxley, « base fisica della vita » la quale abbia avuto il suo primo ricettacolo il mare, che poi, mediante i fatti di riproduzione propri della cellula, mediante gli aggregati cellulari, le lente, graduali, successive trasformazioni ed evoluzioni sia sorto il primo organismo, e da esso poi tutti gli altri esseri, è bene porre come fondamento stabile, incrollabile, che questa cellula madre, genitrice di tutti gli organismi sia stata creata da un Essere superiore, trascendente, il quale, con un atto spontaneo della Sua volontà e della Sua intelligenza abbia determinato questo grande avvenimento e che tale si perpetuasse nei secoli avvenire.
Ecco che ciò è consentaneo alla ragione, soddisfa le aspirazioni umane, è conforme alla teoria evoluzionistica, non certo alla monistica di Hàchel ed al creazionismo biblico, ed anche alla nuova teoria, del mutazionismo, ed alle scoperte tanto grandiose della Paleontologia, la quale dimostra che i primi animali a sorgere sul pianeta sono stati gli esseri inferiori, i protozoi, e quelli marini, fino ad arrivare all’uomo, cioè all’« Homo sapiens».
Ma il vitalismo è concorde con il darwinismo?
No, sebbene, il darwinismo sia, ripeto, teista; perchè mentre il vitalismo è una teoria che nobilita l’origine e l’evoluzione della vita mediante un’opera di edificazione e di vita rigogliosa, attiva, e fattiva, il darwinismo è una teoria sterile con i suoi capisaldi, quali la lotta per resistenza e la selezione naturale (ed anche embrionale) la quale opera per la morte, non per la vita, per distruggere, non per edificare, per far regredire, non per evolvere.
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Il vitalismo è conforme con la nuova teoria del mutazionismo?
La teoria della « mutazione » oggi si contrappone a quella della evoluzione che ebbe nel Darwin e nel Lamarck i suoi più autorevoli assertori. La < mutazione » consiste in una variazione repentina, brusca come in una improvvisa origine di nuove specie, somigliante alla progenie della pianta, ma differente per varie particolarità dai loro genitori, e tuttavia normale, capace di vivere e di riprodursi. Questa teoria trionfa ora per gli esperimenti del botanico Ugo De Vries su alcuni esemplari di rapunzie, e specialmente su V lOenothera la-marchiana ». E’ questa una pianta a fusto ben saldo ed a grandi fiori importata dall’America in Europa: essa ha la particolarità di produrre, ad intervalli non lunghi, un certo numero di nuove specie, che il botanico di Amsterdam descrive morfologicamente e fisiologicamente e raggruppa in 12 tipi.
Ma ciò non si riscontra solo nel regno vegetale, ma anche in quello animale. Infatti Wasmann ha potuto classificare 4 specie nuove di Dinarda (genere di insetti brachitteri della famiglia delle aleocarine) le quali derivano da un’unica specie primitiva per un processo di adattamento alle diverse condizioni di ospitalità, essendo insetti che vivono simbioticamente con le formiche vivendo delle prede di quelle. Parimenti il naturalista americano Tower ha trovato altri esempi di mutazione nel terribile insetto distruttore delle patate iLeptino farsa decemli-neata » i quali sottoposti a un trattamento speciale, a temperatura elevata -e asciutta, con bassa pressione hanno dato luogo a 98 nuovi individui, di cui soltanto 14 erano normali, e 84 appartenevano a due tipi di mutanti noti.
Questi e moltissimi altri fatti erano stati intraveduti da Darwin, tanto che egli disse: « Le specie si trasformano le une nelle altre, ed è un divenire fatale da forme più semplici a quelle più complesse e più adatte alle mutate condizioni dell’ambiente». La teoria dell’evoluzione è nel trasformarsi delle specie. Le cause di questa trasformazione non debbono riporsi nelle influenze esterne di clima, di nutrizione e negli adattamenti diversi, come voleva Lamarck, ma più ancora nella selezione naturale, per cui nella lotta della vita vengono a conservarsi le variazioni più utili, e queste, trasmesse per ereditarietà danno sempre tipi più evoluti.
La teoria delle mutazioni del De Vries colma molte lacune della teoria dell’evoluzione darwiniana, specie a quella della selezione naturale, perchè non è vero che in natura si abbia il fatto relativo per la riproduzione di esseri più utili, più evoluti, ma se la lotta per la vita avviene, avviene per l'unico scopo egoistico, quale è quello di carpire al più debole il cibo oppure la femmina.
Evoluzione dunque o mutazione? Certo la teoria delle mutazioni ha più numerosi elementi di verità e maggiori lusinghe per la corrispondenza nel mondo inorganico e nel sociale. Anche l’evoluzione dei pensiero umano procede per improvvisi trionfi che si distanziano per lunghi periodi. Che se fosse monotono ed uguale il ritmo delle energie spirituali la specie umana annegherebbe definitivamente nella mediocrità. E’ per questo che il vitalismo si trova in tutto conforme alla nuova teoria della « mutazione ».
LE OBIEZIÓNI
Il vitalismo, possiamo ora domandare, ha avuto ed ha trovato degli oppositori?
Tutte le teorie più o meno plausibili, più o meno razionali non sono state
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immuni dalle opposizioni e forti obiezioni, ed anche il vitalismo ha dovuto lottare e lotta ancora contro acerrimi nemici, che di giorno in giorno portano nuovi argomenti per abbattere tale concezione della vita.
Il Loeb con le sue celebri esperienze sulla partenogesi ha creduto di abbattere completamente il vitalismo. Le esperienze del Loeb dimostrano che la fecondazione non sia altro che un processo fisico-chimico, mentre fino ad oggi non sapevamo come lo spermatozoide provocasse lo sviluppo dell’uovo in un nuovo individuo. Egli è riuscito a fare sviluppare in larve le uova di riccio di mare con acqua satura di sale: così pure ha potuto sviluppare le uova di altri animali (così stelle di mare, vermi, molluschi) con acqua di mare mista a un po’ di acido butirrico e dopo in una soluzione ipertonica contenente ossigeno.
Di più : il Loeb sostiene che la continuità, che i fisico-chimici scorgono tra i fenomeni vitali, si prolunghi fino nelle più alte manifestazioni del pensiero cosciente. Egli dice che la tendenza che certi insetti hanno a volare versò la luce o a scostarsene e che si chiama fototropismo, si presenta in certi animali come la manifestazione di un impulso cui l’animale non può resistere, ed al quale obbedisce, benché spesso gli costi la vita. Ora il Loeb spiega questo fenomeno mediante l’azione della luce sulle sostanze fotosensibili Che si trovano negli occhi degli animali, ed i Cui prodotti di reazione agirebbero sui muscoli del corpo per mezzo del sistema nervoso centrale. E’ così che la pretesa volontà o istinto dell’animale si ricondurrebbe a processi fisico-chimici.
Con questi ed altri argomenti ed esperienze egli si crede in diritto di concludere: i° Che la fertilizzazione dell’uovo non risulta da un qualsiasi influsso vitale portatovi dall’elemento maschile, poiché questo si può costituire con reagenti fisici o chimici; 2° che i nostri desideri, le nostre speranze, le nostre sofferenze, la morale stessa ed i sentimenti bassi o sublimi della nosta vita interiore, hanno la loro origine in istinti paragonabili al fototropismo degli insetti e sono determinati in noi chimicamente ed ereditariamente.
Dinanzi a tali obiezioni però possiamo dire che la produzione artificiale di una cosa non ci conduce a conoscere la natura della cosa prodotta. Un fenomeno prodotto in un laboratorio può essere studiato con maggiore facilità, ma il suo mistero rimane inviolato. La nascita artificiale della vita sarà un effetto delle proprietà dei composti chimici, dei materiali adoperati e delle leggi dell’azione reciproca fra la vita e la materia. Insemina nulla di sostanzialmente diverso da quello che avviene quando poniamo un seme nel suolo, od un uovo in una incubatrice. Certo avremmo fatto un passo più in là, ma non avremo fatto una cosa di genere assolutamente nuovo. La natura della vita ci resterà ignota, nello stesso modo Che la natura del magnetismo è ignota al fanciullo che riesce a magnetizzare un pezzo di acciaio avvicinandolo ad una calamita.
Riguardo poi all’essere determinati chimicamente ed ereditariamente i nostri desideri, le nostre volizioni, la nostra stessa inorale, dobbiamo dire con Armand Gautier che il determinismo di Loeb sopprime la libertà, e quindi è un determinismo esagerato, non accettabile.
VITALISMO E FEDE
Parlato brevemente della dottrina vitalistica, delle sue aspirazioni e tendenze, dei vari modi con cui è stato concepito, delle sue corrispondenze ed affinità con altre teorie riguardanti l’origine e lo sviluppo degli organismi, delle
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opposizioni e delle lotte aspre che deve combattere per far trionfare i suoi fondamenti, dobbiamo parlare ora della sua conformità con la fede.
Certo se per fede si intende un corso di dottrine positive ed assolute, un sistema di dogmi immutabili ed indiscutibili, il concetto della realtà che ella impone per esso alla coscienza religiosa non può non trovarsi sovente in aperto dissidio con quello offerto dalla scienza; ed anche il Lodge insiste su questo punto: che inconciliabilità organica vi è di fatto fra la scienza ufficiale e la religione dogmatica per i loro opposti insegnamenti. Ma quel che sembra dividere Luna dall’altra e creare fra di esse una specie di incommensurabilità logica è piuttosto il loro modo diverso di adesione alla verità che esse insegnano. Tutti i tentativi di accordare, per il contenuto della loro dottrina, la Bibbia e la scienza moderna, anche quando avessero conseguito il loro intento, sarebbero riusciti vani, perchè la scienza più che dottrina è metodo; e perchè mentre le sue formule sono imposte dalla religione ufficiale come oggetti di fede, dalla scienza le verità sono proposte come i risultati di libera ricerca. Per la sostanza delle loro dottrine possono accordarsi. Ma la scienza non può ammettere la natura assoluta ed intangibile di una proposizione qualsiasi, perchè l’esperienza su cui ha fondamento è vivente e progressiva, e la convinzione che essa induce non è convinzione fiduciaria, bensì nata dall’evidenza dimostrativa della esperienza o del discorso.
Ed ecco perchè fino dal principio del presente lavoro ho premesso di tacere sul primo capitolo della Genesi, perchè la ragione e la scienza serenamente intesa, si ribellano con tutte le loro forze e le loro potenze argomentatrici e sperimentali. Credere come verità assoluta, incrollabile, fondamentale di tutto lo scibile, l'origine è lo svolgimento degli esseri narratoci dalla lettera della Bibbia, sarebbe un volere chiudere gli occhi alle continue e meravigliose esperienze che quotidianamente l'intelligenza umana e la natura stessa ci offrono a larga mano : sarebbe un volere menomare, diminuire, umanizzare, quasi direi, un’opera sì eccelsa e sublime, quale è l’atto creativo, non già reso manifesto con il plasmare della vile creta e poi infonderle l’alito della vita, ma sibbene reso manifesto con un atto supremo e spontaneo della volontà superiore mediante sostanza che già racchiude in se stessa tutte le funzioni di attività e di vitalità.
Nel riconoscere in noi una origine superiore, nel riconoscere in noi stessi delle forze, delle energie... un quid insomma che trascende e si eleva al di sopra delle pure forze fisico-chimiche della materia bruta ed inerte, sentiamo la mente ed il cuore appagati, più contenti e più nobili. Mentre il saperci impastati di fango, essere sorti nella stessa terra in cui nascono e crescono le piante, ci sentiamo invadere di sconforto, di tristezza ed energicamente ci ribelliamo.
L'io pensante e senziente sa di avere avuto più nobile e sublime origine, lo conosce appieno e lo proclama ad alta voce senza tema di errare e senza tema di andare incontro alle censure della Chiesa ufficiale, la quale, comeconservatrice, soffoca tutte le migliori e le più alte e plausibili aspirazioni del pensiero e dell’intelletto umano.
Perciò auguriamoci che il vitalismo possa maggiormente trionfare ed annientare completamente tanto il creazionismo biblico, quanto il monismo hàckeliano.
Quod est in votisi
Jesi (Ancona). GIOVANNI SaCCHINI.
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(Continuazione. Vedi Bilychnis, fascicolo gennaio 19x4. pag. ix).
CAPITOLO IV.
Gesù e la famiglia.
OTTE le persone intelligenti sanno oggi che la famiglia non cominciò con una coppia divinamente coniugata nel giardino di Eden, ma ch'essa è una istituzione venuta fuori dall'espe-rienza della razza umana nella sua lunga lotta per resistenza. La promiscuità, la poliandria, la poligamia, tutto questo precedette il concubinaggio patriarcale dei tempi di Abramo, il primo precursore del popolo di Gesù. Più tardi troviamo contemporaneamente la poligamia e la monogamia ai giorni di Salomone; stato di cose in cui il povero doveva accontentarsi di una moglie, mentre il ricco ne aveva quante ne poteva mantenere. Questo sistema non era del tutto scomparso ai giorni di Cristo, sebbene la monogamia fosse praticamente trionfante in Palestina.
Orbene, quale fu l’attitudine di Gesù riguardo alla famiglia e allo stato matrimoniale?
Notiamo anzitutto che Gesù ebbe una conoscenza pratica di queste cose: l’esperienza della vita domestica fu una parte della sua esperienza generale. Suo padre morì presto e lo lasciò a capo di una famiglia composta almeno della vedova, di 4 fratelli più giovani e di due sorelle minori ; forse di più (Marco */,).
Fu evidentemente a motivo di questa responsabilità che Gesù non pensò mai a crearsi un proprio focolare, perchè l'ultimo suo pensiero sulla croce fu per sua madre. Egli pose serenamente questo peso sulle sue deboli giovani spalle, e non lo abbandonò (neppure per iniziare il suo ministerio pubblico) finché gli altri piccini furono grandi abbastanza per provvedere a loro stessi (i). Gesù fece dei vino per una festa nuziale ; egli trovò il luogo suo prediletto nella quiete
(1) Lasciamo naturalmente all’autore la responsabilità dì queste sue alquanto razionalistiche soluzioni dei due problemi: Perchè Gesù non si creò una famiglia pròpria? e perchè Gesù iniziò l’opera sua pubblica all’età di 30 anni? L’autore stesso del restò dà, un po’ più sotto, delle ragioni assai più serie. (M d. T.)
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e nella pace della casa di Betania ; egli non fu un sostenitore del celibato. Alto fu il suo concetto dell’ istituto della famiglia. Egli riconobbe che la famiglia rende la vita migliorese anche non la rende più facile; eh’essa sostituisce l’altruismo all’egoismo, ch'essa sviluppa gl’ istinti dell’amore naturale, dimentico di sè stesso. Se la cura della famiglia di suo padre lo trattenne dapprima dal pensare al matrimonio, il grande pensiero ch’egli era chiamato ad essere il Messia Giudaico lo trattenne più tardi da simili propositi. Perciò lo vediamo stendere le braccia verso la folla intorno a lui raccolta ed esclamare : « La mia famiglia, i miei fratelli, le mie sorelle e mia madre sono coloro che fanno la volontà di Dio ».
Che questo rinunziare a crearsi una casa propria fosse un sacrificio per Gesù non può esser dubbio. Egli sentì profondamente questa mancanza, spesso vi fece allusione, e disse pateticamente di sè stesso : « Le volpi hanno delle tane, e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figliuol deH’Uomo non ha luogo ove posare il capo ». Noi possiamo dire adunque che Gesù credette nella famiglia; la famiglia che esisteva tra il común popolo intorno a lui, cioè la famiglia monogamica. Egli riconobbe, in primo luogo, che le relazioni sessuali erano meglio regolate da essa; e, in secondo luogo, che il lungo periodo di dipendenza del bambino la richiede. Ma Gesù ebbe chiara coscienza delle ingiustizie che il sistema sociale dei suoi tempi faceva gravare sulla famiglia, proprio come ai giorni nostri. Nell’amarezza della sua esperienza personale, egli conobbe gl' ingiusti gravami che la società impone sui coniugi poveri che allevano numerosi figliuoli. Egli sarebbe oggi dalla parte di coloro i quali domandano che la società riconosca che rallevare dei figliuoli è un servizio sociale e che i coniugi dovrebbero essere più adeguatamente aiutati e ricompensati. Gesù sarebbe pronto a sostenere che l’ideale cristiano del focolare domesticò (dell7awr¿) non può prevalere in un ordine pagano di società e che ciò che più urge per il bene della casa non è il sanzionare dommi o il votare degli ordini del giorno, ma il sollevare le famiglie povere dall’ intollerabile oppressione economica.
E ancora, Gesù sentì profondamente nelle relazioni familiari l’ingiustizia verso la donna. Le donne sono state le amiche migliori che mai abbia avute Gesù ; esse lo servirono, lo aiutarono, lo nutrirono, lo ammirarono. Ed egli fu molto tenero in tutti i suoi rapporti colle donne ; egli sapeva ch’esse, assieme ai lavoratori, partecipavano al comune retaggio di oppressione. Gesù parlò varie volte contro il prevalente costume degli uomini che ripudiavano le loro mogli, e il suo pensiero in proposito sembra potersi riassumere come segue. Primo: l’uguaglianza dei sessi. Secondo : gli uomini e le donne devono sposare ; il matrimonio completa reciprocamente i sessi ; la relazione sessuale non è cosa .morale o immorale, ma una cosa necessaria e naturale. Terzo : i diritti della donna, nei contratti di qualsiasi specie, devono essere uguali a quelli dell’uomo.
Sulla questione astratta del divorzio com’essa è al presente discussa, Gesù non disse mai nulla, per quanto certe chiese pretendano che esista un suo divino divieto al riguardo.
La questione che divideva in proposito le due scuole di Shammai e di Hillel gli fu sottoposta. Non si trattava del divorzio com’è oggi concepito, ma dell’antico istituto mosaico del ripudio. Si trattava di sapere se un uomo poteva ripudiare la moglie, cioè cacciarla di casa per qualsiasi ragione, per es., per non
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saper cucinare, oppure se poteva farlo soltanto in caso d’infedeltà della moglie nella relazione sessuale monogamica. Gesù, come c’era da aspettarselo, decise favorevolmente ai diritti della donna e disse che una donna poteva essere rimandata dal marito con la « lettera di ripudio » soltanto per causa di adulterio. Ma, oltre a ciò, noi non abbiamo alcun insegnamento suo che possa guidarci nella ricerca di quello che sarebbe il suo pensiero nella questione del divorzio quale oggi èssa si presenta fi).
D'infra le grandi istituzioni sociali, Gesù sembra aver pensato e detto meno cose intorno allá famiglia che intorno alle altre. Egli accettò la famiglia come una buona cosa, la quale diventerebbe ottima quando lo Stato e l’ordinamento economico cessassero dall'opprimerla. E probabilmente oggi molti uomini e donne di larghe vedute concorderanno con lui e diranno, com’egli sembra avere sentito, che, allorquando gl’ istituti dello Stato- e della proprietà saranno raddrizzati, la famiglia potrà svilupparsi normalmente per il bene comune del vivere sociale.
CAPITOLO V.
Gesù e la Proprietà.
La Proprietà è là più recente d’infra le grandi istituzioni della razza umana, ma il suo nascere ha completamente trasformato tutti i vecchi istituti.
A suo riguardo la mente umana ha preso e prende tutt’ora attitudini varie.
I. C’è il concetto tradizionale della proprietà: l'egoismo anarchico di Nietsche, Rockefeller, Morgan, ecc. : il concetto, reso giusto dalla forza di chi lo sostiene, che la ricchezza ha da procacciarsi non importa come. Noi viviamo sotto il dominio di questa teoria; la nostra civilizzazione è una civilizzazione, basata sulla proprietà e l’apice di essa si è manifestato negli Stati Uniti d’America. Questo apice fu criticato alcuni anni or sono dallo scrittore Jan Mac-Laren quand’egli disse : « L’America è un luogo di uomini grossolani e illetterati, di cui l’anima non è mai stata toccata dalla religione o dalla cultura, ma che piegano le ginocchia davanti al vitello d’oro. Il dollaro è il monotono ritornello di ogni conversazione e non si fa mai questione s’esso è guadagnato illegalmente o senza scrupoli ». Questo è difatti il vertice della civiltà proprietaria.
2. Poi c’è il punto di vista dei mendicanti: la protesta violenta di zelanti anime idealiste, le quali hanno sempre sostenuto che la proprietà è un male necessario e che solo i poveri possono essere salvati. Questo fu il concetto degli Ebio-niti ai tempi di Gesù, e questo è stato il pensiero dei frati mendicanti del Medio Evo.
3. Quindi c'è il punto di vista riformatore al latte e miele, la teoria cioè dei « Propietari amministratori » accettata dai miti riformatori religiosi d’oggi(1) Noi siamo in questo pienamente d’accordo coll’autore. Tanto i predicatori cattolici romani i quali affermano che il pensiero di Gesù è contrario al divorzio, quanto i predicatori evangelici i quali stiracchiano i testi per dimostrare che il pensiero di Gesù vi è favorevole, sono dei pessimi esegeti. , (zV. d. Z',)
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giorno. Essi dicono che la ricchezza appartiene a Dio e che i possessori ne sono i fiduciari (trustees). Al che noi possiamo solo rispondere che, se si pensa che i grossi detentori moderni della ricchezza sono uomini come Morgan, Rockefeller, ecc., Dio o qualcun’altro ha fatto un cattivo affare nella scelta dei suoi fiduciari (i).
4. Poi c’è il concetto comunistico, che la proprietà è un male, che tutte le cose dovrebbero essere possedute in comune, che ciascuno dovrebbe versare a questo fondo comune in proporzione delle sue capacità e attingervi in proporzione dei suoi bisogni.
5. Quindi c'è il principio socialista secondo il quale vi sono due categorie ben distinte di proprietà, delle quali la prima è essenzialmente sociale e la seconda necessariamente privata. Una retta organizzazione sociale fondata su questo schema ci darebbe una approssimativa uguaglianza di proprietà e di giustizia economica.
Ora, quale sarebbe l’attitudine di Gesù s’egli oggi fosse in vita? Da che parte stette egli quando era sulla terra ?
Poiché i suoi insegnamenti non sono sistematici ma frammentari, è stato possibile a tutte queste varie scuole d’invocare l’approvazione di Gesù. Renan disse che Gesù fu un Ebionita e professò il punto di vista dei mendicanti. Nitti sembra giungere alla medesima conclusione. I comunisti del Medio Evo, del pari che i Dukobors, Russi comunisti di oggi, affermano di essere dei seguaci degli insegnamenti di Gesù. Un capo dei socialismo germanico dichiara che Gesù, se fosse in vita oggi, sarebbe un socialista e, come prova del suo asserto mette in rilievo non solo alcuni insegnamenti di Cristo come questo : « Presta senza chiedere interessi » ma ancora il fatto che Gesù sembra adottare la legge di Mosè la quale proibiva che gli strumenti di lavoro fossero posseduti da altri che non fossero i lavoratori. E naturalmente i piissimi multi-milionari pilastri dello stato attuale di cose invocano la sanzione di Gesù e così fanno gli avvocati al latte e miele della teoria dell’amministrazione.
Per afferrare il vero insegnamento di Gesù, non dobbiamo seguire il metodo della dimostrazione per mezzo di testi, arraffando delle citazioni di quà e di là; ma noi dobbiamo considerare tutto l’insegnamento di Cristo e accertare il suo atteggiamento abituale, l’armonia delle sue dichiarazioni. Raccogliendo insieme le sparpagliate istruzioni, pesando e comparando i suoi vari insegnamenti, noi siamo in grado di fissare almeno la direttiva generale del pensiero di Gesù. E la cosa che maggiormente ci stupisce quando ciò facciamo è questo : quanto esaurientemente egli deve avere trattato l’argomento.
Gesù certamente si occupò a fondo delle questioni di proprietà e qualsiasi tentativo di negar ciò da parte di coloro che insegnano religione conduce al pervertimento della verità pel timore di offendere interessi finanziari. Un esempio luminoso di quanto affermiamo può constatarsi nel più recente e più autorevole
(1) A parte il gusto molto discutibile di questo umorismo, noi siamo qui pienamente d’accordo coll’autore. La teoria dei « Possessori amministratori > non basta. Un amministratore è soggetto a controlli, e a verifiche dei conti. E, per chi tiene nelle mani la sorte di centinaia di migliaia di creature umane, non ci sembra sufficiente il controllo della propria coscienza è la verifica dei conti nell’Al di Là. Occorre istituire il controllo della Società, cioè l’intervento dello Stato: e questo è un principio eminentemente socialista. {N. d. T.).
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dizionario della Bibbia, quello di Hastings. Quest’opera è stata levata alle stelle; l’edizione è costata diecine di migliaia di lire, e rappresenta il verdetto ufficiale della chiesa moderna sulle questioni bibliche. Quest’opera consacra venti pagine a una discussione sulla parola < Danaro >. Di queste venti pagine, diciannove e gran parte della ventesima sono occupate da un’esposizione intorno al conio delle monete, ecc., mentre appena nove righe sono concesse all’insegnamento di Cristo riguardo alluso e ai pericoli della ricchezza.
Gesù nacque da una contadina; nel suo crescere fu accompagnato dalla povertà della classe dei contadini; e ciò in un tempo in cui c’era un’amaro spirito di classe tra ricchi e poveri. Se nessuna parola di Gesù relativa alla proprietà ci fosse stata conservata, noi sappiamo ch’egli non avrebbe potuto evitare una qualche trattazione dell’argomento. Ma Sta il fatto che noi non siamo lasciati alle supposizioni. Sin dal suo primo apparire come insegnante pubblico, quando egli annunziò che Jahveh lo aveva unto per predicare ai poveri, Gesù continua-mente e insistentemente chiamò a raccolta intorno a sè i poveri e gli umili, condivise la loro sorte, fu uno di loro nella sua mentalità di classe, e predicò riguardo alla proprietà delle idee che implicavano la liberazione dei miseri.
Riassumerò questi insegnamenti sotto tre titoli :
Io II pensiero di Gesù intorno alla detenzione della proprietà;
2° Il pensiero di Gesù intorno zWacquisto della proprietà.
30 II pensiero di Gesù intorno allWo della proprietà.
« * *
I. Riguardo alla DETENZIONE DELLA PROPRIETÀ.
Gesù insegnò la vita comunistica; i primitivi cristiani formavano una comunità. Ma il comunismo di Gesù sembra essersi limitato ad una compartecipazione comune ai frutti del lavoro, ad una comune ripartizione delle entrate. Gesù sembra avere condannato la proprietà privata solo quando era usata per sfruttare il prossimo, o egoisticamente conservata, mentre altri erano nel bisogno. Così al giovane ricco fu ordinato di vendere ogni cosa e di distribuirlo ai poveri; ma i primi discepoli conservarono le loro barche e le loro reti, Pietro rimase un padrón di casa, Zaccheo restituì soltanto la metà dei propri beni, Giovanna rimase proprietaria dei suoi denari, gli amici di Betania non ricevettero mai l’ordine di disfarsi dalla loro comoda abitazione.
Da questi esempi sembrerebbe che Gesù riconobbe un certo diritto alla proprietà, richiesta dai bisogni della vita personale oppure adoperata pel bene altrui. Il suo comunismo sembra essere stato molto liberale; un comunismo di utilità piuttosto Che un comunismo di principio. Poiché egli vedeva che la ricchezza maturava il cancro della concupiscenza, che il possessi) personale significava la povertà di altri, egli insegnò a mettere insieme le rendite e il lavoro e a ripartire le entrate cornimi. Il suo ideale di società fu una fratellanza, una grande famiglia umana. La famiglia fu il suo esempio e il suo ideale in materia economica, ma egli non sembra aver pensato a proibire la proprietà privata nella famiglia poiché egli aveva presente l’eguaglianza e la fraternità di vita che scaturisce dalla mutua compartecipazione al lavoro comune della famiglia. Si
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consideri il noto fatto della Nutrizione dei cinque mila. E’ una molto adatta illustrazione dell’insegnamento di Gesù intorno alle possibilità di un affettuoso, comunismo familiare. Questo incidente è ricordato in tutti e quattro gli Evangeli (Matteo ’Vxs-a; ; Marco ; Luca */J0.,7 ; Giovanni Vi u)» e<1 è sempre stato considerato dalla Chiesa come una dimostrazione del potere miracoloso di Gesù. Ma in nessuna delle quattro narrazioni tale fatto è presentato come un miracolo, anzi le narrazione sembrano indicare come là più naturale delle basi storiche di quell’evento il semplice fatto che Gesù raccolse e si trascinò dietro una grande moltitudine avida di udire la sua parola.
Venne l’ora del pasto, e molti non vi erano preparati ; ma subito Gesù espose i suoi insegnamenti comunistici ; poi, dato ordine alla moltitudine di sedere iti gruppi, egli prese quel poco che avevano portato seco i suoi propri discepoli, rese grazie a Dio e cominciò a distribuirlo tra i suoi vicini, piuttosto che porsi a sedere insieme ai dodici per goderne. Seguendo i suoi insegnamenti e il suo pratico esempio gli altri che avevano portato del cibo fecero lo stesso, e ne risultò che nessuno rimase affamato; tutti mangiarono e dodici panieri di residui furono raccolti dagli Apostoli come provviste per continuare il viaggio (i).
Per quanto posso comprendere, Gesù stava cercando l’ideale del socialismo moderno, per provocare l’uguaglianza e la fraternità, nel partecipare al lavoro e alle entrate comuni della razza. In un mondo basato sul principio della concorrenza, in un momento in cui la proprietà non può essere detenuta senza eccitare l’invidia, la volgarità e la lotta di classe, e non può essere garantita senza oppressione e ingiustizia, Gesù naturalmente Si dichiarò contro ad essa.
Ma che potesse venire tale un’età quale il socialismo la contempla, dove la ricchezza sarebbe prodotta solo dall'economia e dall’ ingegno, dove la proprietà privata potrebbe raggiungersi senza i suoi strascichi di mali e d’ingiustizie, non c’è nulla che indichi che Gesù non lo abbia pensato. Gesù adunque fu un comunista, ma il suo comunismo fu di utilità piuttosto che di sistema sulla base di diritti astratti; e, prolungando le linee dei principi da lui stabiliti, appare che egli sarebbe molto d’accordo oggi col socialismo moderno (2).
* * »
2. Riguardo all’ACQUISTO E all’aumento della proprietà, Gesù stabilì quattro grandi leggi :
«) La prima è il divieto dell’interesse. I traduttori ecclesiastici hanno addolcito un tantino le cose ad uso e consumo degli affaristi moderni sostituendo nella Bibbia la parola usura alla parola interesse. Ma ¡’Antico Testamento proi(1) Questa interpretazione della Moltiplicazione dei Pani non è nuova. S’essa distrugge il miracolo fisico, essa mette più che mai in evidenza il miracolo morale. Ed è il miracolo morale che importa pel seguace di Cristo poiché il miracolo dei miracoli, la persona di Cristo perfettamente santa, è un miracolo morale. (Ai d. T).
(2) Confessiamo che la forza di questo ragionamento non ci pare eccessiva. L’autore ha un’attenuante nella necessaria brevità colla quale egli svolge in un solo studio un amplissimo tema. Non mancano del resto sull’argomento poderosi lavori completi ed esaurienti.
(A’, d. r.).
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LA SOCIOLOGIA DI GESÙ IO?
bisce il ricavare interesse dal prestito del danaro, i suoi scrittori esaltano l’uomo che non prende interesse, e Gesù accolse questo punto di vista ed enfaticamente ingiunse ai suoi seguaci di prestare senza sperare interesse alcuno. Che le religioni ebraica, cristiana, maomettana, proibiscano tutte quante il prendere interesse, è un fatto storico, e gli scrittori di economia politica notano che l'osservanza di questa legge per 1500 anni impedì in parte l’accumularsi di grandi patrimoni. Le leggi di Hammurabi mostrano che l’interesse era un’usanza esistente molto tempo prima di Mosè. Dunque la legislazione mosaica, gl’ insegna-menti dei profeti e di Gesù costituiscono un divieto perentorio di questa usanza.
b) In secondo luogo, Gesù — d’accordo cogli antichi Ebrei — proibì che un uomo possedesse gli arnesi necessari ad un altro uomo per fare il proprio lavoro. Essi videro, come noi socialisti vediamo, che gli strumenti coi quali un uomo lavora sono la sua vera e propria vita. Di conseguenza Gesù ordinò ch’essi non fossero presi come pegno o in qualunque modo sottratti all’operaio.
c) In terzo luogo, Gesù domandò un rigoroso ossequio alla giustizia nelle relazioni reciproche. Egli insistette sulla misura piena, il giusto peso, gli adeguati salari; ei condannò l’inganno, la malizia, la frode.
d) In quarto luogo, Gesù, come i più antichi Ebrei, credette che la terra fosse di lahveh. La proprietà privata della terra era, secondo lui, uno sbaglio ; un uomo poteva possedere tanta terra quanta egli poteva usare e migliorare col proprio lavoro, ma non di più. Nel pensiero di Gesù, la terra, come l’aria e l’acqua, era di Dio, data in proprietà comune ai suoi figliuoli. Nulla avrebbe riempito l’animo di Gesù di maggiore orrore che la creazione moderna d’immensi patrimoni per mezzo della proprietà privata della terra, delle miniere, delle foreste che appartengono a tutti i figliuoli di Dio.
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3. E passiamo all’uso DELLA PROPRIETÀ. Gesù la regolò in tre modi.
La forma inferiore dell’uso della proprietà consiste nel largire delle elemosine ai poveri e ai bisognosi. Gesù dichiarò che chi faceva questo avrebbe ricevuto una benedizione nell’ultimo giorno. Egli formulò alcune regole intorno alla beneficenza: che non fosse fatta con ostentazione, ecc.
Un secondo e più alto uso della proprietà era di adoperarla nel servizio per l’allargamento della vita umana. « L'uomo non vive di pane solamente » adoperare la ricchezza a beneficio dell’educazione, della musica, dell’arte, oppure per aprire all’umanità le risorse della Natura : questo era un uso della ricchezza superiore a quello consistente nell'elemosina ai poveri.
In terzo luogo Gesù insegnò la fedeltà nelle questioni di danaro. Egli considerò il danaro come rappresentante la proprietà, come mezzo di scambio ed egli domandò l’onestà nel possederlo. Fare delle elemosine, o costruire delle scuole non avrebbe alcun valore se il benefattore fosse disonesto.
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Questa fu in riassunto l'attitudine di Gesù nelle questioni di proprietà; di ricchezza e di danaro. Questa attitudine fu presa di fronte alle condizioni sociali
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che esistevano 2000 anni fa. E impossibile, anche a chi maggiormente lo desidererebbe, di dire che essa costituisce in qualsiasi modo una regola definita che noi dovremo seguire oggigiorno, eppure i più contrari devono ammettere che i grandi ideali sociali di Gesù, che si possono discernere nel sostrato del suo insegnamento, furono straordinariamente saggi e di lunga portata.
Inoltre questi ideali furono stranamente analoghi agl’ ideali socialisti di oggi, tanto che noi socialisti possiamo con ragione sostenere che, se Gesù fosse ora in terra, egli sarebbe uno dei nostri. Ciò facendo, noi sosteniamo che Gesù, nelle sue proibizioni, intese dire sempre le -stesse cose che noi diciamo.
Per esempio, nel suo negare il diritto all’ interesse dev’essere ammesso che egli seguiva semplicemente la legge ebraica che proibiva il prendere interesse da un connazionale in distretta, ma permetteva la cosa di fronte ai Fenici, i commercianti di quel tempo; perchè, partecipando alle loro speculazioni e ai loro rischi, i Giudei pensavano che avevano anche il diritto di partecipare agli utili dell’ impresa.
E in quanto alla proibizione di possedere gli arnesi del lavoratore, il pensiero di Gesù era molto analogo a quello dell’antica legge inglese che proibiva di prendere la zappa del contadino, la scure del' legnaiuolo, il libro dello studente. Era più analogo a queste disposizioni che a quelle che permettono oggi la proprietà privata delle strade ferrate e delle officine.
Noi dunque non tentiamo di sostenere che uno studio delle idee di Gesù intorno alla proprietà dimostra ch'egli è stato un socialista nel senso moderno della parola. Nè pretendiamo, neppure per un minuto, che noi troviamo nel suo insegnamento delle formole definite sui problemi sociali moderni.
Ma affermiamo che questo studio dimostra che Gesù fu molto profetico e ardito nel vedere i mali della civiltà proprietària e nell' invocare qualcosa di diverso ; noi affermiamo che il lavorìo del suo pensiero fu tale e fu talmente nella nostra direzione che noi possiamo dire con sicurezza che, se Gesù fosse in vita oggi, egli sarebbe con noi nel folto della mischia per la giustizia economica.
Ed i suoi seguaci dichiarati — s’essi intendono rappresentare fedelmente il Maestro — devono venire a noi ed aiutarci a ricostruire il mondo sopra un nuovo piano sociale.
Roland D. Sawyer.
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PERIAG/DVRÀ DELL'ANIMA
I POVERI IN ISP1RITO
Beati i /averi in iifiìrìto poiché il regno dei cieli é loro.
Matt. V, i».
Fratelli,
non solo troppo raramente si fa ricorso ai libri sacri del Nuovo Testamento, e non si sa far uso nella vita dei lumi, delle consolazioni, degli aiuti che si potrebbe senza fine trarsene, ma, in genere, FEvangelo vien letto malamente, e se ne comprende ben poco. Non si conosce a sufficienza il valore che debba attribuirsi ai termini speciali dei quali sovrabbonda, qual grado di relatività, quale di autorità abbia questa o quella pagina, questo o quello scritto contenuto nel piccolo libro. Considerando tutto senza discernimento alla stessa stregua, non si tien conto della subordinazione delle varie parti e dell’armonia dell'insieme: si crede di aver tutto considerato mentre non si è nulla distinto.
Le parole del Maestro divino, più che tutto il resto, devono esser da nei venerate, poiché hanno un carattere specialissimo, unico, di grazia e di autorità, di elevazione e di senso pratico, di penetrazione e di poesia. Ed oggi, a venti secoli di distanza, sembrano ancor così nuove, così poco praticate e tradotte in realtà, che per cambiar la faccia del mondo, basterebbe governarlo con esse. Noi stessi, suoi discepoli convinti, non ci nutriamo dei suoi discorsi : forse non li abbiamo neppure meditati mai seriamente ed applicati con un po’ di sincerità alla nostra condotta.
Non basta di credere in lui come figlio di Dio e Salvatore del mondo; non basta di aver fede nella sua divinità, di commuoversi per la sua morte, di sperare in suo nome il perdono. Prima di morire per noi, ha vissuto per noi ed ha parlato per essere da noi ascol
tato, ha comandato per essere obbedito, ha insegnato per crearsi dei discepoli.
Tra le parole del Cristo, un discorso merita particolarmente da parte nostra uno studio profondo e severo, il discorso che va sótto il nome di « Sermone delia montagna ». Tenuto da Gesù all’inizio della sua opera, ne è come il programma, il programma della nuova religione indirizzato da lui ad Israele e per mezzo d’Israele al mondo tutto. E’, per usare un’espressione moderna, una dichiarazione di principi, è una bandiera dispiegata agli occhi di tutti, è la proclamazione solenne e pubblica del regno di Dio.
Si è creduto spesso di poter vedere in questo lungo sermone, ima raccolta fatta dall’evangelista, o, prima di lui, dagli uditori immediati di Gesù, di parole pronunziate in diversi luoghi ed in diverse occasioni. Ma ricerche più profonde e più precise ne hanno stabilito nettamente i caratteri di un solo discorso, che ha come esordio le otto beatitudini con cui Gesù saluta coloro che riconosce per suoi, e, come perorazione, quella eloquente figurazione, in cui dopo aver opposto al mosaismo ed alla morale mosaica, una morale ed una religione superiori, egli predice la sorte di coloro, che avendo udito la sua parola, la porranno o no in pratica. La casa che essi si son costruita crollerà al primo uragano, se sarà basata sulla sabbia delle credenze giudaiche, ma resisterà a tutte le tempeste se sarà fondata sulla roccia della sua parola.
In questo discorso, e, particolarmente, nelle beatitudini che l’iniziano con tanta solennità e grandezza, v’è così evidente l’impronta per-sonale del Cristo, che coloro stessi che han revocato in dubbio tutti i fatti della vita di Gesù, han dovuto constatarne l’autenticità.
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E confessano che parole sì nuove, si ardite, così spiritualmente pure, così teneramente amorose non possono essere di altri al mondo che di Gesù di Nazareth.
Se tale è l’impressione che provano gl’increduli all’udir queste dichiarazioni del nostro Maestro, con quale pietà, con quale zelo dobbiamo noi porgere ad esse l'orecchio e studiarci di penetrarne tutta la profondità ?
I.
Dice Gesù : « Felici i poveri in ¡spirito ». Di nessun altro degli insegnamenti di Gesù si è forse tanto abusato quanto di questo. E’ cosi facile svisare il senso di una parola pronunciata duemila anni fa : basta non far giusto conto delle circostanze in cui è stata pronunziata. Così, per comprenderla, è necessario e doveroso porsi nell’ambiente in cui f u delta, fra gli avvenimenti, le idee, gli uomini di allora. »
Trasportiamoci nei dintorni di Cafarnao, sulle sponde del lago di Genezareth. Una folla immensa, attratta dalla fama del profeta nazzareno, l’ha seguito in queste solitudini incantevoli, dove l’Oriente, spesso arido e secco, si riveste di tutta la magnificenza che conferisce la frescura delle acque, dovunque questa temperi il calore opprimente del clima.
Il Maestro si asside su d’un’altura, le cui pendici sono subito occupate, come il vasto piano che si distende ai piedi, dalla moltitudine avida di ascoltarlo. Qui l’evangelista usa questa formula che pare ingenua: «Ed egli, aperta la bocca, li ammaestrava », formula che nell’antichità giudaica annunzia solo le più solenni e le più auguste rivelazioni.
Che attendono tutti quegli uomini che gli si serran d’attorno con tanto entusiasmo? Perchè da tutta la Galilea lo si segue ? Che sperano, che chieggono?
Attendono la liberazione d’Israele. I più son pervasi da impazienti speranze, da ardenti e impetuosi desideri. Oppressi dal giogo dei Romani, minati dal fisco, decimati con implacabile rigore ad ogni tentativo di rivolta, feriti, ulcerati nel loro orgoglio patriottico e religioso, questi figli di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, sono sospinti da un triplice desiderio: di liberazione, di vendetta, di fanatica ambizione. Purgare il suolo israelita dall’ultimo dei romani, schiacciarli alla lor volta, questi maledetti idolatri sotto un giogo ferreo, raccoglierne l’eredità della dominazione sull’universo, vincere come essi e soggiogar tutti i popoli, conquistare il mondo alla fede dei vero Dio ed imporre a tutta la terra la legge
di Mosè, la legge deli’Eterno; far di Gerusalemme la Roma nuova, capitale del genere umano ; del tempio del Moria il santuario universale; del trono restaurato di Davide il seggio del Messia circondato dalla sua corte; della razza d’Israele, una casta privilegiata, opulenta, sacra, che tutte le nazioni abbiano a servire in ginocchio ; ecco il sogno da gran tempo accarezzato, il sogno orgoglioso e patriottico di devozione e di rappresaglia, che essi credono sia alfine per realizzarsi. Ecco i grandi secreti che vengono ad apprendere, ècco ciò che aspetta questa folla enorme interessata e fanatica. I tempi sono maturi : quaranta secoli di preparazione son per terminare nella più magnifica manifestazione della gloria di Dio. II sole di giustizia sta per spuntare all’orizzonte, l’ora è giunta : Dio ha visitato il suo popolo, le profezie si verificano. « Benedetto il re che viene nel nome del Signore! » Gloria a Dio e a colui ch’egli ha scelto, guerra senza quartiere ai romani ! Ai figli d’Israele la vendetta, il trionfo, la dominazione ! Questi sono i loro pensieri; queste le passioni furenti che li menano ai piedi del Messia che si è manifestato in Israele ; e tacciono, e ascoltano, muti e frementi, con quella pazienza muta ma minacciosa, Con quell’ardore contenuto degli orientali, che, pronti a tutto, non attendono che una parola d’ordine per levarsi e pugnare.
Che dirà loro Gesù ? Li disperderà ? Li respingerà ? Li condannerà ? Ma come, se in questo groviglio di passioni incoerenti v’è una parte di verità, di fede, di vero patriottismo, di zelo sincero per Iddio, di appello alla sua giustizia e di devozione ad una causa buona? Sarebbe ingiusto., spietato, delittuoso rigettare queste nobili aspirazioni. D’altronde, Gesù li contempla con infinita compassione, con tenera misericordia, con amore senza limiti. Illuminarli poco a poco, disingannarli riguardo al male ed all’errore, senza scoraggiarli circa il bene ed il vero ; usare tenere delicatezze per guadagnar l’anima loro e farvi penetrare uno spirito nuovo, contrario ad ogni odio, ad ogni vendetta ; conservare preziosamente e far maturare, per gradi, quanto le loro speranze celano di generoso e di santo, senza rendersi affatto complice o, peggio, fomentatore delle loro pericolose passioni ; trarii, in una parola, fino a sè. senza discendere fino ad essi, ecco ciò che Gesù vuoi fare. Ma come riuscirvi, qual delicatezza di linguaggio, qual grandezza, ignota ancora, di sentimento e di pensiero adoprerà ?
Egli paria, fratelli, come un profeta possente nell'opera e nella parola, come il Messia
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tanto atteso ; parla congiungendo mirabilmente l'autorità e la dolcezza. Austero ed insieme pieno di amore, tenero e carezzevole come santo ed augusto, egli comincia col proclamare, con accento commosso, chi son coloro che egli considera come suoi, coloro per cui egli viene, coloro a cui egli si dona, coloro il cui concorso egli accetta. Ed ecco in quali termini il figlio di Dio, il Redentore, designa e saluta, fra questa moltitudine grandiosa, le anime che gli appartengono; ecco con quali parole di accogliènza, di felicitazione e d’augurio, comincia i suoi meravigliosi ammaestramenti, benedicendo coloro che egli vuole raccogliere intorno a sé:
Beati i poveri in ispirilo, perchè il regno dei cieli è loro.
Beali coloro che piangono, perchè saranno consolali.
Beali i mansueti perchè erediteranno la terra.
Beati coloro che han fame e sete di giustizia, perchè saranno saziali.
Beali i misericordiosi, perchè misericordia sarà loro fatta.
Beati ipuri di cuore, perchè vedranno Iddio.
Beali i pacifici, perchè saranno ch iamali figliuoli di Dio.
Beali coloro che son perseguitali per causa giusta, perchè il regno dei cieli è loro.
Quanta maestà e solennità in questo esordio sì breve ! Quanta novità in queste parole strane e quale accento d’autorità e di sublimazione! Come egli si è impadronito all’istante di tutti i suoi uditori, sorpresi, meravigliati, delusi forse, eppure miranti come in un sogno promesse assai più grandi di quanto essi desideravano, confusi ed atterriti nei tempo stesso ! Qual’è questa nuova religione ? Ah ! come i cuori puri, le anime generose, gli umili, i piccoli, i deboli, i disgraziati dovettero sentirsi rinascere !
Per essi, è certo il compimento di gloriose speranze che formano il privilegio ed informano tutta la storia d’Israele. Il regno dei cieli è loro: due volte Gesù l’ha detto; è la promessa che chiude la sua prima benedizione, e l’ha ripetuta dopo l’ultima. Si tratta d’ereditar tutta la terra, d’esser consolati di tutti i mali,.colmati d’ogni bene, d’ottenere misericordia e di veder Dio, d’esser chiamati suoi figli.
n.
Ma a chi promette questi beni ? Perchè non ha detto : beati gli osservatori più rigidi della legge, perchè Dio deve loro la ricompensa; felici i figli d’Àbramo, perchè tutte le nazioni
saranno loro schiave? Perchè i pacifici e non i guerrieri? Perchè i misericordiosi, i miti, i puri di cuore ? Perchè coloro che piangono e gli assetati di giustizia? Particolarmente, che vuol dire questa strana espressione : « Poveri in ispirilo?»
La esamineremo ora più da vicino. Se Gesù avesse cominciato il sermone della montagna col dire : « Beati i poveri perchè il regno dei cieli è loro», la moltitudine che lo ascoltava avrebbe con trasporto accolto le sue parole. I poveri, i disgraziati, i miseri, così proprio, nell’amarezza del dolore, nella loro umiliazione di vinti, gli Ebrei designavano se stessi, secondo le costumanze delle fiere e grandi razze orientali, inconsolabili nella loro umiliazione; così proprio i loro profeti li chiamavano ai tempi delle disfatte, della cattività, dell’asservimenlo ad altre genti.
Dare il reame ai poveri, ai vinti, era ciò che volevano. Questa però non era che una ambizione interessata ; cercavano la grandezza materiale, non quella dello spirito, e pel regno dei cieli poco importa essere ricchi o poveri di beni materiali. Non è un’opera precaria, locale, nazionale che Gesù vuole compiere, non è nè una conquista, nè una rivoluzione politica. Non sono questi sogni di gloria, di signoria o di opulenza che egli vuole realizzare : egli è venuto per lo spirito ; cosi i poveri, che egli proclama suoi discepoli, sono i poveri in ispirilo.
Mettiamo da parte tutte le significazioni moderne attribuite di sòlito a questa parola. Per noi, lo spirito equivale alla intelligenza, e spesso a ciò che questa ha di più brillante ma insieme di più superficiale. Per gli ebrei, lo spirito fu, dapprima, il respiro, questo alito fuggitivo da cui dipende la vita. Passò poi a significare Panima, in quanto opposta ai corpo; l’anima, cioè quanto l’uomo può avere di somiglianza con Dio; l’anima con le sue facoltà più belle e più nobili ; P anima, sede della vera vita, religiosa, morale, eterna.
Per essere del regno celeste non importa — ripeto — l’essere ricchi o poveri di beni terreni; goder nell’opulenza o soffrir nella miseria, non significa accampar dei dritti dinanzi a Dio. Si può soffrir fame e sete, senza esser di questo regno. Ma aver fame e sete di giustizia, di santità, esser poveri in ¡spirito significa sentire in sè, profondamente, dolorosamente, il bisogno, il desiderio delle cose di Dio.
Felici coloro che sospirando corron dietro a questi beni che nessun altro può sostituire. Felici, quanto alla intelligenza, quei che han sete di verità: il più sovente sono essi, tra
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gli intellettuali più acuti, più alti, più illuminati.
Quelli che credono di saperne abbastanza e si contentano di quel po’ di verità che credono di possedere, resteranno per sempre infissi nella loro ignoranza, o, se posseggono qualcosa, la vengono inesorabilmente perdendo. L’odierna calamità, diceva un fine scrittore francese, consiste nell’opinione di sapere ; questa calamità è particolarmente diffusa tra noi. Si crede sapere e perciò non si ha cura di apprendere. Felici coloro che, considerando quel che sanno e quel che ignorano, si sentono poveri dello spirilo di verità.
Cosi pure, quanto alla volontà, ciò di cui siamo poveri è l’amore del bene, l’orrore del male, la santità. Quante anime si credono doviziose di questo e se ne compiacciono sommamente. Meschina, funesta soddisfazione che li svia! Laccio fatale in cui son presi! Sonno di morte in cui si addormenta la vita morale e in cui la coscienza muore! Felici, per la rigenerazione e per la salvezza, quei che si sentono poveri dello spirito di santità.
Lo stesso, infine, è dell’amore. Un’infinità di egoisti conservano un resto di sensibilità ed in essa si illudono. Perchè son capaci di commuoversi, credono d’esser capaci di sacrificarsi. Perchè il loro cuore non è chiuso del tutto alla pietà, essi si compiacciono d’esser tanto misericordiosi. Perchè han fatto qualche volta l’elemosina, essi magnificano la loro carità. Ma solo quelli che si rendono giusto conto dell’egoismo nascosto nel fondo di ogni essere umano, solo quelli che son presi da un salutare terrore quando pensano a tutto il bene che potevano fare ed al poco che han fatto, solo quelli possono apprezzare la verità profonda di questa benedizione del Cristo. Felici coloro che si sentono poveri dello spirito di carità!
Felici, in una parola, tutti coloro che sanno quanto lo Spirito di Dio, lo Spirito del Cristo, lo Spirito Santo manchi loro; quanto sarebbero più possentemente soccorsi, più efficacemente consolati, più sicuramente rigenerati, se la loro anima fosse aperta alla sua influenza, penetrata dei suoi lumi, accesa della sua fiamma.
Ma perchè Gesù esprime questo mirabile pensiero con una forma così paradossale, così urtante a prima vista? Perche, anche per un solo istante, sembra ch’egli voglia compiacersi con coloro che in realtà mancano dello Spirito di Dio?
Non era certo soltanto per colpire l’attenzione ed imprimere l’insegnamento nella memoria ch’egli usava questa contraddizione apparente. Non era certo soltanto per umiliar
quelli che si credevano ricchi delio Spirito disceso dall’alto, quegli orgogliosi farisei che presumevan di sè come se fossero dei Giusti, e rendevano grazie a Dio per non essere come gli altri uomini, e non gli domandavano altro che una restaurazione politica.
Non era solo per confondere quei Sadducei, ancor più carnali, materialisti soddisfatti di sè e del mondo e non aventi altro di mira che di starvi il meglio possibile, senza curarsi affatto delle disgrazie, della vergogna, dell’as-servimento della loro patria.
Non era solo a condanna di quegli Zeloti, distruttori insensati e per sistema, che volendo livellar tutto con la violenza e col sangue, concentravano tutta la loro religione, il loro patriottismo e le loro speranze in un rinnovamento puramente materiale, basato sulla forza bruta.
Preferire alia loro vana sapienza, alle loro pretese orgogliose, gli umili ma fervidi desideri, le secrete angoscio, la confessata deficienza degli uomini che si sentono poveri dello Spirito dall’alto e che se ne attristano, ciò era più che scacciar dal suo regno il formalismo ipocrita, il materialismo sensuale, la violenza brutale. Era inaugurare il regno di Dio in modo veramente degno di lui. Era un appello tenero e grandioso a tutte le anime sofferenti ed oppresse ; era chiamare a sè quel pubblicano calunniato e maledetto, che rivolgeva a Dio l’umile preghiera: Signore, abbi pietà di me peccatore ! ; quella peccatrice pronta ad amare Dio con tutta l’anima ed a cui Dio perdonava molto ; quella Samaritana disprezzata dagli stessi apostoli, come donna, come straniera, come eretica ed i cui scandali parevano giustificare il loro sdegno ; quel padre, infine, che mentre chiede la guarigione del figlio, angosciosamente grida : Credo, Signore, ma tu soccorri alla mia incredulità.
Questi intenderanno, con inesprimibile riconoscenza, queste prime parole, che destano l’orgoglio degli altri: Felici i poveri in ispirilo. Deboli nello spirito! Lo sono, lo sentono, lo comprendono. E sanno che parlar loro così, è dir loro : lenite a me voi tutti che soffrile e siete oppressi ed io vi darò sollievo. E sanno che ciò è dir loro: Caricatevi del mio giogo; apprendete da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete pace alle anime vostre. E sanno che ciò vuol dire : Lo Spirito di Dio è su di me; perciò egli mi ha unto, per annunziare la buona novella ai poveri e per guarir quelli che hanno il cuore spezzalo. E sanno che chiamarli in tal senso i poveri in ispirilo, equivale a dire che loro è il regno dei cieli.
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PER LA CULTURA DELL'ANIMA
III.
Sì, fratelli, loro è il regno dei cieli. E di chi sarebbe altrimenti? Dei perfetti? Degli impeccabili? Degli infallibili? Ah, il mondo non ne ha mai visti, e chi osa pretendersi tale è forse il più lontano dal meritarlo.
Felici i poveri in ¡spirito, perchè il regno dei cieli è loro. Ed è loro fin d’ora, in questa vita, in questo mondo. Il regno dei cieli con tutte le sue ricchezze, le sue glorie, le sue dolcezze, la sua santità, è loro. Colui che ne è il re, lo dona ad essi, ed inizia l’opera sua ed i suoi ammaestramenti proclamandolo. Il regno di Dio, vale a dire il regno del cielo sulla terra, il regno di Dio sulle coscienze e sui cuori, il regno del bene, del vero, del bello, eternamente svolgentesi in questo mondo oggi, e domani, nei mondo dell’ immortalità.
Tutto ciò è loro. Ma per qual privilegio? Per quale ragione viene ad essi donato?
Fratelli : desiderare il bene con ardore, è già, in parte, possederlo ; tendere con tutte le forze verso Dio, è già avvicinarsi a lui ; sentir la propria miseria, è già cominciare a rilevarsene; veder la verità, è impadronirsene. Dio non ci domanda di riuscire, ma di adoperarci con tutte le nostre forze ; egli non esige da noi d’esser perfetti ma che abbiamo volontà d’esserlo. Non è possibile, che sotto lo sguardo di Dio, veraci e ardenti aspirazioni verso di lui restino sterili e senza effetto. Sta scritto : Cercale e troverete, chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto. Se voi che siete cattivi sapete dar buone cose ai vostr i figli, quanto più il vostro Padre celeste donerà lo Spirilo Santo a chi glielo chiederà? Fratelli, io lo dico con emozione e con gioia, nel nostro tempo e nel nostro popolo, vi sono, lo so, molti di questi poveri in ispirilo, di queste anime sofferenti ed oppresse, molte di queste
coscienze agitate e di questi cuori spezzati, che cercano, che chiedono, che bussano, che si sentono poveri di verità, di santità, d’amore, Ì»overi di fede, di virtù, di carità, poveri di orza e di abnegazione e che implorano da Dio lo Spirito Santo tra lacrime ed angustie. Questi uomini, in nome di Cristo io li saluto come suoi discepoli, come fratelli miei nel peccato, fratelli nel dubbio, fratelli nel perdono, fratelli nella speranza, nella gratitudine, nella redenzione.
O voi tutti che soffrite e che cercate in Gesù il rimedio, la verità nella sua parola, nel suo aiuto la forza, io vi- saluto. Fratelli, in suo nome io vi accolgo, in suo nome vi benedico, in suo nome pronunzio su di voi questa solenne benedizione, che è corona a tanti dolorosi sforzi, che pone termine a tanti tormenti : Pelici i poveri, in ispirilo, perchè il regno dei cicli è loro.
E chieggo a Dio di spandere in abbondanza su di voi il suo Santo Spirito. E chieggo a voi, quando sentite il fuoco sacro accendersi nella vostra anima: non spegnete lo Spirito in voi.
Se conserviamo questo fuoco sacro nelle anime nostre, esso le purificherà sempre più dall'egoismo e dalle sue sozzure. Raccolti, a nostra volta, in questi nuovi cieli e in questa nuova terra ove abita la giustizia, dove non vi son tenebre, dove non avrern bisogno di lampada falla da mano d'uomo, nè del sole fatto dalla mano di Dio, perchè il Signore ci illuminerà egli stesso, noi regneremo con. lui nei secoli dei secoli, non secóndo l’umano orgoglio che vuol piegare alla sua l’altrui volontà, ma secondo la carità di Dio, che vuole che ogni volontà si unisca e si confonda con la sua, perchè regni ovunque la santità, la verità, l’amore.
Athanase Coquerel.’
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UNA CONVERSIONE AL TEMPO DEGLI APOSTOLI
Non si tratta della conversione di un pagano nè di quella di un ebreo, ma è la conversione di un cristiano dei più ardenti, dei più fedeli, dei più attivi tra i cristiani.
Discepolo di Gesù di Nazareth dalla prima ora, egli ha, per tre anni, seguito passo passo il Maestro dolce ed umile di cuore e può ben dirsi senza esagerazione che egli fu uno di quelli che più e meglio lo amarono. Egli per il primo fu come illuminato dal raggio della divinità emanante dal figlio dell’uomo ; egli, per primo e per tutti gli altri, rese pubblica testimonianza della sua fede nel Cristo il figlio eterno del Padre.
È vero che nella sua vita, nell’ora triste e dolorosa dell’arresto, del giudizio, della condanna di Gesù, egli ebbe un istante di incomprensibile debolezza, di abietta viltà per cui giunse a rinnegare odiosamente il suo Maestro. Ma è vero puranco che lacerante fu il rimorso, profondo il pentimento, pronto e certo il rilevarsi, poiché Gesù risuscitato volle egli stesso reintegrare solennemente nel suo ufficio l'apostolo così disgraziatamente caduto, ma cosi profondamente affezionato.
E, d’allora, nessun altro ha dato prova di un attaccamento pari al suo. E’ lui che, il giorno della Pentecoste, prende, a gloria del suo Maestro, dinanzi alla folla beffarda ed ostile, la difesa dei suoi compagni spauriti e tremanti ; è lui che, sfidando la collera dei magistrati e dei sacerdoti, proclama la
risurrezione di Gesù e predica la redenzione per mezzo del crocifisso; è lui, che, un giorno, salendo con Giovanni al tempio, guarisce un paralitico e, con la sua parola, conquista al Cristo le masse; è lui, che, imprigionato, ha la folle audacia di rispondere a tutte le intimidazioni dei giudici : « Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini >; è lui che, fiero vindice della verità, pronunzia contro Anania e Saffi ra la nota terribile sentenza; è lui la cui fama si era talmente diffusa che, quando passava per una via qualsiasi, vi venivan portati gli infermi perchè almeno l’ombra li adombrasse; è lui, la cui autorità, nel collegio apostolico, era sì grande, che gli occhi di tutti ad ogni istante convèrgevano su di lui.
Ebbene, sì, è lui, Pietro, questo convinto, ardente, appassionato di fede e di amore per Cristo, questo zelante, fedele predicatore del Vangelo, è lui che si è convertito, che ha dovuto convertirsi. Dico che ha dovuto convertirsi, perchè stanno a provarlo le circostanze, innanzi tutto, e quindi principalmente lo speciale intervento divino nella preparazione della sua conversione, e nella evoluzione che è venuta operandosi nel suo pensiero, nel suo cuore, evoluzione donde è sorto un uomo nuovo per la più grande gloria di Dio e per la salute di molte, di migliaia di creature umane.
Non dovrebbe recar meraviglia alcuna ai cristiani, che un cristiano come Pietro si convertisse : vi sono delle con-
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versióni che non possono operarsi che tra convertiti, vale a dire che vi sono dei mutamenti che non possono operarsi che tra i redenti dal Cristo, in virtù della rinunzia assoluta che fanno di sé stessi ed alla volontà che li anima di realizzare il Cristo in ogni atto della loro vita. E’ impossibile che chi non è già convertito riesca a comprendere o solo ad immaginare che la conversione non è reale che alla condizione di non cessar giammai, che non è vera che a condizione di generare conversioni successive, rinnovate ad ogni istante.
Così queste mie parole non sono per gl'increduli, ma per dei credenti pii, sinceri, pieni di rettitudine, lo vorrei dir lóro: se Pietro dovette convertirsi, chi è fra noi che possa affermare di non aver bisogno di conversione ? Non vi sembra che sarebbe singolarmente strano colui che confidasse esclusiva-mente in ciò che sa, che è nulla in rapporto a quel che occorrerebbe sapere; in ciò che egli crede, che è un nulla in rapporto a quel che bisognerebbe credere; in ciò che opera, che è un nulla in rapporto a quel che dovrebbe fare; in ciò che egli è, che è nulla in rapporto a quel che dovrebbe essere, per pensare, per dire che sta bene così come si trova, che nulla gli bisogna di più nè di meglio, e soprattutto nulla di diverso nè per il suo pensiero, nè per la sua volontà, nè per la sua vita, nè per lo sviluppo sino a perfezione del suo essere morale e religioso?
Per me, ripeto, mi sembra che la conversione non sia di quelle cose che, conosciute una volta, non occorra avvicinare più oltre. Al contrario, mi sembra che debba essere la compagna abituale dell'uomo che, richiamato in vita dal Cristo, vuole per mezzo del Cristo, ascendere di luce in luce, di verità in verità, di vita in vita, E stimo disgra
ziati coloro che per il loro spirito limitato, per la loro corta vista, o per partito preso, fanno dell' immobilità un principio ecclesiastico e dello statu quo un ideale sociale. Poiché la vita non è immobilità, ma è moto; poiché il progresso non è lo statu quo, ma è mutazione. Certo non cambiamo per il piacere di cambiare; ma, puranco, non ci fossilizziamo, non ci mummifichiamo. Apriamo le nostre menti a tutto quanto è vero ; i nostri cuori a tutto quanto è buono; le nostre volontà a tutto quanto è giusto, felici di potere ogni giorno apprendere, e di modificarci ogni giorno, secondo che Dio ci farà conoscere, sempre pronti a convertirci sia ad una idea, sia ad una maniera d'essere, sia ad un modo di operare, appena intendiamo la parola del Maestro ingiungerci : « Levati e cammina ! »
I.
In quale occasione si è convertito Pietro ?
Nella conversione di Cornelio. Dio aveva bisogno dell’apostolo per la conversione del centurione Cornelio di guarnigione a Cesarea. In questo non v’è nulla che ci sorprenda, poiché avviene così d'ordinario. Ma Dio aveva pur bisogno di questo pagano, il centurione Cornelio, per convertire l’apostolo Pietro. Sembra strano ma è pur così che generalmente avviene. Per questo Dio disse a Cornelio : « Manda a cercar Pietro », ed a Pietro : « Va da Cornelio ».
Ambedue ubbidirono, e ben fecero in questo. Pur tuttavia io noto — poiché gli Atti ci hanno con cura minuziosa narrato l'episodio — che il centurione pagano obbedisce all’istante alla voce divina, mentre l’apostolo cristiano, nella sua ignoranza di alcune vie del Signore, risponde no per tre vòlte, ed occorse
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un ordine specialissimo di non opporre più pretesti, per indurlo ad obbedire.
Vi son di coloro che si persuadono facilmente di non aver nulla da apprendere dagli altri, e ciò è prova di orgoglio e d’ignoranza. Ognuno ha bisogno di tutti e tutti di ognuno. L’apostolo Pietro aveva bisogno di Cornelio, quanto il pagano Cornelio aveva bisogno di Pietro. Così qualcuno per quanto lontano da noi per le sue idee, le sue convinzioni, il suo partito, la sua posizione sociale, 'la sua religione, la sua nazionalità, ha bisogno forse di apprendere da noi —- ed a ciò. molto volentieri crediamo, poiché ci fa piacere —, ma nel tempo stesso noi abbiamo forse da apprender da lui — ciò di cui, il più delle volte, non riusciamo a convincerci, perchè ci umilia. — E fossimo pur noi, come l’apostolo Pietro, i depositari autentici, immediati del pensiero del Maestro, della verità evangelica, fossimo pur noi, come lui, pronti ad agire, fermi nella fede, ricchi di attaccamento, pur noi avremmo bisogno, di un Cornelio per apprender da lui qualche cosa che ignoriamo.
Cosi, spesso, Dio si serve di mezzi diversissimi, di circostanze, di avvertimenti, di casi fortuiti, di uomini — di uomini sovratutto ■— che, almeno in apparenza, son separati da noi da abissi, che, secondo noi, non hanno nulla a che fare con i disegni di Dio, per aprire gli occhi su qualche cosa ancora incompresa, ed anche su verità essenziali, a cui, sino allora siamo rimasti affatto estranei.
Ed a che cosa doveva convertirsi l’apostolo?
Lo dirò subito: egli doveva convertirsi ad una nozione nuova del cristianesimo. Non son passati che pochi anni da quando Gesù viveva sulla terra, l'origine della Chiesa era ancor quasi im
mediata, si era all’aurora di quella che amiamo chiamare Chiesa primitiva, eppure già, sospinta da circostanze e sotto l’influenza dello spirito di Dio, si sente il bisogno, s’impone la necessità di una Riforma.
Non ce ne meravigliamo. Dio aveva confidato in mano ad uomini la sua opera di rigenerazione e di salute, ed è naturale, è necessario che questa opera, perchè si tenga sempre all’altezza dei bisogni del momento e nel contempo delle intenzioni divine, sia rivedibile e riesaminata. Solo a questa condizione il credente, individuo, ed i credenti, collettività, saranno il lievito che farà sollevar tutta la massa. Lo straordinario sarebbe l’opposto. La storia della Chiesa, in quanto essa è strumento della salute del mondo, non può nè dev’essere se non la Storia di una perpetua, di una incessante riforma.
Ed io noto ancora che una riforma, qualunque essa sia, prima di generalizzarsi, comincia sempre individualmente. Bisognava che la Chiesa primitiva si riformasse; perciò Dio cominciò con la riforma di Pietro. Così di secolo in secolo, così pur oggi, se Dio agisce sullo spirito e sulla coscienza di alcuni, se egli li riforma al punto che stentano a riconoscer sè stessi, è perchè vuole, perchè prepara un'altra Riforma che batte alle porte colpi che solo i sordi ñon sentono.
Occorreva dunque che Pietro si riformasse perchè la Chiesa fosse riformata. Quali erano infatti, all’epoca, la concezione e la pratica della Chiesa? Esse non erano universaliste. Vi eran certo comunità sempre più numerose in Giudea, in Galilea, in Samaria ; certo gli apostoli si moltiplicavano per visitarle; certo, lodevoli sforzi erano stati compiuti per organizzarle; certo, qualche discepolo, come, ad esempio l’evan-
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geli sta Filippo, allargavano la cerchia dell’attività cristiana e si spingevano da una parte sino ad Azot, dall'altra sino a Cesarea, alla ricerca dei giudei dispersi per recar loro l’Evangelo.
Ma v’era qualche cosa che non era stata ancora compresa e che non si voleva comprendere. Non s'era compreso che il credente in Cristo doveva cessare d’essere giudeo; non si voleva comprendere che il cristiano poteva, doveva accostarsi ai non giudei, che la Chiesa doveva cessar di vivere nel particolarismo, che aveva fatto suo, e che doveva risolutamente incunearsi nella stessa società pagana per trasformarla, che vi erano in questa società degli uomini come Cornelio, il centurione di Cesarea, che benché estraneo ad ogni fede cristiana positiva, praticavano cionon-pertanto le opere cristiane e precedevano molti nel cammino del Regno, che bisognava andare ad essi, annunziar loro il Cristo, aprir loro le porte della Chiesa e cessare alfine di tenerli lontani perchè non erano della razza di Abramo.
La Chiesa evidentemente aveva torto: non v' ha alcuno, oggi, che non lo riconosca; ma, allora, l’errore era generale. Ed era anche l’errore di Pietro, come egli stesso confessa a Cornelio. Era l’errore di tutti gli apostoli, di modo che, Pietro, di ritorno a Gerusalemme, trovò che il suo nuovo atteggiamento aveva sollevato l’opposizione di tutti i suoi confratelli : e l’errore era sì tenace che, quattordici anni circa più tardi, quando Paolo risollevò la questione per porla nei suoi veri termini e risolverla a fondo, ciò dette occasione ad una memorabile disputa.
Vi prego inoltre di notar bene Che l’errore aveva, per accreditarsi e perpetuarsi, oltre al conservatorismo ad oltranza che sì facilmente forma il riposo del nostro spirito e la quiete del
l’anima nostra, una parola, un ordine, o piuttosto una proibizione di Gesù. Non aveva egli, infatti, proibito un giorno ai discepoli di annunziare la buona novella ai pagani ? Sì, certo ; solo essi dimenticavano che tale proibizione era stata loro fatta in vista di una missione specialissima, che noi chiamiamo la missione dei dodici, ed esclusivamente finché tale missione fosse condotta a termine ; dimenticavano che occorre sempre distinguere, pur nel Vangelo, ciò che è temporaneo da ciò che vale per ogni tempo, e ciò che vale per ogni tempo è il precetto del Maestro : < Andate ! evangelizzate tutte le nazioni!».
Ebbene, la verità rivelata dallo Spirito a Pietro e che per lunghi anni egli ‘ fu il solo a comprendere, è oggi patrimonio comune. Aveva, allora, contro di sé la maggioranza, per non dire l’unanimità, dei cristiani, la maggioranza degli apostoli. Oggi l’errore di tutta quella gente non ha neppure una piccola minoranza a cui appoggiarsi, e tal cambiamento è avvenuto per la conversione di Pietro, che fu il punto di partenza della necessaria riforma.
Lo stesso si può dire di ogni verità. La verità non è tale perchè ha per sé la maggioranza, nè tanto meno è l’errore perchè la maggioranza le sta contro. Con o senza maggioranza la verità è sempre la verità, ed anche fosse rivelata ad un uomo solo, la verità più Dio e quest’uomo che la serve quaggiù sono la maggioranza. Per questo, io vorrei che ogni uomo si impegnasse; per questo, ogni giorno più io stesso voglio abituarmi a non dir mai leggermente di qualsiasi cosa: ciò non è vero; come pure a nulla condannare col pretesto della tradizione contraria, o perchè è contrario alle abitudini invalse di fare, di pensare, di Sentire, di credere. Io voglio, ponendomi direttamente sotto
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l'influenza dello Spirito, chiedermi sempre sinceramente, lealmente : « È vero ? », e se è vero, seguire sino in fondo, sino alle più estreme conseguenze, la verità che Cristo mi avrà rivelata, perchè ogni verità procede da lui ed a lui mena, a lui che è la Verità.
II.
Così fece Pietro.
Vedete infatti come si operò la sua conversione.
Innanzi tutto v’ è l’illuminazione dello spirito di Pietro da parte dello spirito di Cristo, illuminazione che gli fece considerar come vero ciò che egli riteneva falso, come possibile ciò che credeva impossibile, come necessario ciò che stimava peccaminoso. Ora, se ammettiamo, se comprendiamo che lo spirito di Cristo abbia potuto illuminare quello di Pietro, ci bisogna pure ammettere e credere ch'egli può illuminare lo spirito di ogni altro, oggi come nel passato. Negar questa possibilità sarebbe negar tutto.
Vi è, immediatamente dopo nell’ordine degli avvenimenti, il precetto fatto dal Signore a Pietro di non opporre più difficoltà, e di andar verso quelli, a cui egli aveva fino allora creduto non dover nulla. Era un sovvertimento completo nel metodo e nella pratica di Pietro. Vi sono oggi, per noi, degli ordini non meno positivi e sempre più urgenti. Obbediremo? Si certo, è necessario. Sarà anche per noi un sovvertimento completo del metodo e della pratica, ma che importa! purché noi siamo fedeli, fedeli nei nostri sforzi per ben comprendere, e sovrattutto per bene obbedire, poiché questo è l’essenziale.
V’è la confessione volontaria e pubblica che Pietro fa deil'errore di cui, sino allora, si era compiaciuto. Ascol
tatelo. Appena egli è sotto il tetto di Cornelio dice : « Voi sapete come non sia lecito ad un giudeo di far relazione con uno straniero o di entrare in casa sua ; ma Iddio mi ha mostrato che non debbo chiamare alcun uomo immondo o contaminato». È all’istante, quando, dopo letto nel cuore di Cornelio, vi scopriva cose che non avrebbe supposto mai trovar presso un pagano, questa secreta vivente affinità tra un’anima e la verità, questo amore degli uomini elevato all’altezza d’una religione, questa costante e pura aspirazione, questo moto perpetuo dell'essere verso Dio, questi stessi bisogni, bisogni di vita, dell’al di là, e questa elevatezza di carattere, raggiunta per solo sforzo personale, questa rettitudine di coscienza, questi nobili sensi, quando — dico — ebbe visto tutto questo i suoi occhi si aprirono. E poiché egli ora crede ciò che non voleva credere, riprende la parola per accentuare ancor più la sua confessione, ed esclama: < In verità io riconosco che Dio non ha riguardo alla qualità delle persone, ma che, in qualunque nazione, chi lo teme ed opera giustamente gli è accetto».
Parole memorabili di cui dobbiam sovvenirci all’occasione, perchè Pietro si onora grandemente agli occhi degli uomini e agli occhi di Dio, o piuttosto egli onora il suo Cristo, confessando così il suo errore. E noi, se un errore individuale o un errore collettivo ci fossero dimostrati, se ci venisse provato che su di un punto o su diversi ci siamo ingannati, se per esempio ci venisse dimostrato che noi abbiamo vissuto sino ad oggi in un amore troppo esclusivo della Gerusalemme, tra le quattro mura dei nostri templi, se divenisse certezza per noi che non ci siamo a sufficienza o affatto incastrati nella società contemporanea, che per abitudine, o per igno-
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ranza, o per partito preso, per egoismo ci siamo opposti come avversari ostinati al Cristianesimo Sociale ed alle riforme ch'esso domanda, noi disonoreremmo noi stessi, disonoreremmo Cristo non facendo pubblicamente, lealmente, sinceramente la confessione del nostro lamentevole errore.
V’è, infine, l’atto decisivo: Pietro, dopo averlo istruito sul Cristo, battezza Cornelio. Egli non sa ancora qual posto potrà occupar questo pagano nella Chiesa visibile : non è questo che importa. Non sa neppure se in tale Chiesa vi sarà un posto per questo pagano; ma ciò non lo preoccupa di più. In fondo, che importa tutto questo? Egli non si domanda se l'atto da lui compiuto è conforme alle costumanze in vigore, nè se glie ne potrà venire qualche fastidio. Anche questo importa pochissimo. Una considerazione domina su tutto: su Pietro, sulla situazione, sulle costumanze, e questa considerazione eccola : « Può alcuno impedire che ciò che dev’essere sia?».
Ed è questa stessa considerazione che gli dà la calma, la gravità, l’autorità di cui dà prova quando, accusato dinanzi al collegio apostolico d’essere un pericoloso novatore, dopo avere ristabilita la verità dei fatti, risponde semplice-mente ma energicamente : « Chi era io da potermi opporre a Dio?» Facendo ciò, egli è tranquillo ; gli altri, senza dubbio, hanno per sè la maggioranza, la tradizione, le costumanze; essi pos
sono, certo, revocare in dubbio la realtà della testimonianza interna ch’egli porta seco; tutto ciò, senza dubbio, turba, e turba a volte profondamente. Ma quando questa coscienza dopo essersi attentamente scrutata, sotto lo sguardo del Cristo, forte della volontà del suo Maestro, può dire come Pietro a Gerusalemme : « Chi sono io da oppormi a Dio?» essa ha poggiato il suo piede sulla roccia e nulla prevarrà contro di essa.
E questo vorrei ripetere io a tutti quanti si inquietano e scandalizzano pel nostro bisogno, per la nostra volontà di riforma: Chi siamo noi, chi siete voi per opporvi a Dio? E vorrei ricordar loro una storia — per gli apostoli era storia recentissima — la storia di Gamaliele il fariseo. In verità vi sono dei farisei più saggi e meglio ispirati di qualche apostolo ! Gamaliele, dunque, riprendeva i suoi colleghi del Sinedrio dicendo loro : « Badate bene a quel che fate! Se questa idèa o se quest’opera vien dagli uomini, sarà dissipata, ma, se è da Dio, voi non la potete dissipare, e voi correte il rischio di trovarvi a combattere contro Dio >. Sì, vi scongiuro. badate bene. Badate bene che alla resa dei conti non vi accorgiate di aver combattuto contro Dio, poiché, ancora una volta, chi siete voi per opporvi a Dio?
Jean Roth.
lD»l volume: Paroles du Livre).
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JAURÈS
Parigi, 31 luglio X914.
Stasera, alle 21.55, Giovanni Jaurès, il capo dei socialisti francesi, il più grande oratore della Camera, mentre si trovava al caffi Croissant, vicino agli uffici dell' « Humanitè » è stato avvicinalo da un individuo che gli ha tiralo due revolverale alla testa. Jaurès è morto poco dopo.
Questa la notizia che ha sconvolto tutto il mondo civile quasi quanto il vertiginoso sue* cedersi delle varie dichiarazioni di guerra. Perchè Jaurès era tale una personalità, e tale un difensore di tutte le cause nobili e grandi che — nell’immenso sfacelo morale che noi attraversiamo — la sua fulminea scomparsa rappresenta pel mondo intero una irreparabile perdita.
Noi ci raccogliamo con dolore intorno a quella tomba immaturamente scavata e rievochiamo il pensiero, e la voce e il gesto del grande tribuno: egli tante volte dominò le folle, ma sempre le guidò verso altissimi ideali di giustizia.
A lui, alla sua vita politica, e specialmente al suo pensiero filosofico e religioso — perchè Jaurès fu un nomo religioso nel senso profondamente umano del termine — noi consacreremo un accurato studio nei prossimo numero della nostra Rivista. Intanto mandiamo un saluto al Grande il quale - anche nella fine tragica — è rimasto un discepolo di Colui che, per esser fedelmente servito, domanda una cosa sopratutto: l’amore per gii umili, per gli oppressi, per i reietti della vita.
Diranno gli adoratori della lettera che Jaurès non è stato un cristiano.
Noi abbiamo udito invece, dalle regioni lontane delio spirito, ia voce di Cristo che accogliendolo diceva : « Bene sta, buono e fede! servitore ».
G. E. M.
LA PROVVIDENZA E LA GUERRA
[documenti]
IX0 Secolo avanti Cristo. Dalla S. Scrittura, Z° l. dei Re, c. r$, w. 9-/3:
11 profeta Elia « camminò quaranta giorni e quaranta notti, fino in Horeb, monte di Dio. E quivi entrò in una spelonca, e vi passò la notte. Ed ecco la parola del Signore gli disse : “Che hai tu a far qui, Elia?... Esci fuori, e fermati sul monte, davanti al Signore ”. Ed ecco, il Signore passò, e davanti a lui veniva un grande ed impetuoso vento, che schiantava i monti, e spezzava le pietre; ma il Signore non era nel vento. E dopo il vento veniva il terremoto ; ma il Signore non era nel terremoto. E dopo il terremoto veniva un fuoco; ma il Signore non era nel fuoco. E dopo il fuoco veniva un suono sommesso e sottile. E come Elia l’ebbe udito, s’involse la faccia nel suo mantello, e uscì fuori, e si fermò all’entrata della spelónca ; ed ecco una voce venne che gli disse : “ Che hai tu a fare qui, Elia? ” ».
28 luglio 1914. Dal proclama dell'imperatore d'Austria:
« Il mio più grande desiderio fu sempre quello di consacrare gli anni che la grazia di Dio ancora mi riserva alle opere di pace e di preservare i miei popoli dai gravi sacrifici e dagli oneri dèlia guerra. Ma la Provvidenza ha deciso altrimenti. La condotta di un avversario pieno d’odio mi obbliga, per difendere l’onore della mia Monarchia, per proteggere la sua autorità e la sua potenza, per garantire la sua posizione, a prendere in mano la spada dopo lunghi anni di pace...
«... Assumo in quest’ora grave tutto il peso della mia decisione e ia responsabilità a cui
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NOTE E COMMENTI
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vado incontro di fronte all’onnipossente Iddio, Ho tutto esaminato e tutto studiato. In tutta coscienza ini impegno nella via che mi è mostrata dal dovere. Ho fiducia nel mio popolo che durante tante tempeste si è sempre riunito intorno al mio trono, ho fiducia nell’esercito deli’Austria-Ungheria animato da sentimenti di valore e di devozione. Fio fiducia nell’onnipossente Iddio che darà ai miei eserciti la vittoria ».
1° agosto. Parole dell’imperatore di Germania al popolo, dopo L’ordine di mobilitazione:
Noi siamo stati assaliti dal nemico che c> accerchia mentre eravamo pacifici nel vero senso della parola. Per 25 anni ho cercato la pace, ora sono costretto a snudare la spada che spero di poter rinfoderare con onore. Voi dovrete sopportare enormi sacrifizi di sangue e di benessere, ma li sopporterete, io lo so, e combatteremo il nemico. Ora andate nelle chiese e pregate Dio perchè conceda la vittoria all’esercito e alla causa tedesca».
2 agosto. Parole di Pio X a tulio il mondo cattolico :
« In cosi gravi angustie sentiamo e comprendiamo bene che questo da noi richiede la carità di padre e la bontà dell’apostolico ministero, di fare cioè innalzare gli animi a Colui da cui solo può venirci aiuto, a Cristo, principe della pace e mediatore potentissimo degli uomini appresso Iddio.
« Esortiamo pertanto i cattolici di tutto il mondo a ricorrere fiduciosi al suo trono di grazie e di misericordie, ed agli altri vada innanzi col suo esempio il clero, indicendo nelle rispettive parrocchie, dietro ordine dei vescovi, pubbliche preci per ottenere che Iddio, mosso a pietà, allontani quanto prima la funesta face di guerra ed ispiri ai supremi reggitori delle nazioni pensieri di pace e non di afflizioni ».
2 agosto. A Pietroburgo:
« Quando i Sovrani ebbero preso posto per la cerimonia religiosa, l’elemosiniere imperiale lesse ad alta voce il manifesto di dichiarazione di guerra. Fu poscia celebrato un Te Deum per la vittoria dell’esercito russo sul nemico. Dopo la cerimonia religiosa i Sovrani adorarono la Croce e le Sante Immagini. L’Imperatore pronunciò quindi un discorso. Mentre l’imperatore parlava i presenti caddero in ginocchi, molti di essi avevano gli occhi pieni di lagrime, molti hurrà echeggiarono ed i militari, tratte le sciabole dal fo
dero, lè brandirono in aria. Durante la cerimonia una folla di parecchie decine di migliaia di persone invase la piazza del palazzo recando bandiere con la scritta : « Dio salvi lo Czar ! Viva la Serbia ! Viva la Francia ! Viva l’Inghilterra! Libertà agli Slavi!».
2 agosto. Dal manifesto imperiale dello Czar di Russia:
« Nói crediamo incrollabilmente che tutti i nostri fedeli sudditi si leveranno con unanimità e devozione in difesa della terra russa, che le interne discordie saranno dimenticate in questa minacciosa ora di prove, che la unità dello Czar col suo popolo divenga anche più stretta e che la Russia sollevandosi come un sol uomo respinga l’attacco del nemico con profonda fede nella giustizia dell’opera nostra e con umile speranza nella provvidenza dell’Onnipotente.
« Noi invochiamo con la preghiera la benedizione di Dio sulla santa Russia e sulle sue valorose truppe».
4 agosto. Dal discorso del Kaiser di Germania in apertura della sessione straordinaria del Reichstag:
«... con coscienza pura e mente netta noi impugniamo la spada.
« Ai popoli ed alle stirpi dell’ Impero di Germania il mio grido: difendere coi nostri confederati, in fraterna comunanza, quello che abbiamo creato col nostro lavoro pacifico. Secondo l’esempio dei nostri padri fieri, fedeli, seri, cavallereschi, inchiniamoci dinanzi a Dio e con spirito elevato di fronte al nemico.
«Confidiamo nell’eterna Onnipotenza perchè voglia sorreggere la nostra difesa e dirigerla a buon fine».
4 agosto. Dal giornale « Militar Wochen-blatt» di Berlino:
«Se esiste un Dio in cielo, ed esiste, noi dobbiamo contare sulla vittoria della giusta causa delle nostre armi tedesche. Nessun’altra parola salvo questa ci è dettata dall’ira ardente per questo attacco portato al pacifico popolo tedesco: se Dio con la sua grazia ci accorderà la vittoria allora, vae vietisi II nostro grido di guerra sia dunque : “ Viva l’Imperatore. ,, La Germania sopra tutto».
6 agosto. Dall'appello dell' Imperatore di Germania al popolo tedesco:
«... Noi resisteremo a questa lotta anche contro un mondo di nemici ; giammai la Germania sarà vinta fino a che sarà unita.
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« Avanti con Dio, che sarà con noi, come fu con i nostri padri».
6 agosto. Dall'appello dell' Imperatore di Germania alle forze armate tedesche :
«... Confido su voi, soldati tedeschi ! In ciascuno di voi vive, ardente e incrollabile, la volontà di vincere e ciascuno di voi sa, se occorra, morire da eroe.
« Pensate al nostro glorioso passato e pensate che siete tedeschi. Dio ci aiuta ».
6 agosto. Dall’ordine del giorno dell’ Imperatore d’Austria-Ungheria al!Esercito e alla Marina :
«... Ricordatevi dei vostri padri, che in combattimenti innumerevoli tennero alte le loro bandiere e le portarono vittoriosamente in battaglia. Mostrate ai nemici ciò che sanno fare i miei popoli, pieni di glorioso amore per la patria e uniti fra di loro. Che Dio vi conduca alla vittoria e alla gloria ».
I COMMENTI DEGLI ALTRI.
Dall’ « Unità cattolica » :
«Si dimentica il Digiltis dei est hic cosi come si dimentica il secolare e sapiente epiII dio invocato dagli imperatori e dai re...
Avanti/ del za agosto 1894).
fonema popolare Non cade foglia che Dio non voglia-, si dimentica che la guerra è un fla
gello come la fame, la peste, il colera, e così via ; un flagello che la mano di Dio scaraventa sull’umanità, quando la scienza e l’arte riescono a paralizzare gli altri. Che la morte falci milioni e milioni di vite umane in un modo piuttosto che in un altro, ciò rientra — teologicamente altrettanto che fisiologicamente, anzi fisicamente — nel normale governo — notisi normale — della Provvidenza divina. Ci si lamenta ad ogni piè sospinto della distanza enorme e sempre piò crescente tra la' produzione e la popolazione ; ci si inventa dei delitti — il neomalthusianesimo, il libero amore, ecc. — per sopprimere quella distanza ; ci si affastellano sistemi filosofici, sociologici, economici, per ridurla. E non si sa più — o non si vuol sapere — che i vecchi metodi della Provvidenza sono ancora i più decisivi in tal materia. Il periodico sterminio di una parte della umanità, sia per fame o per guerra, sia per terremoto o per peste, fu sempre, per chi ha occhi da vedere e cervello da pensare, un fatto permesso dalla Divina Provvidenza pei suoi scopi altissimi, certo ad corripiendos ho-mines.
« E se il valore dei medici, o piuttosto la fortuna, ha potuto circoscrivere i disastri epidemici o contagiosi — e quella dei sociologi e degli economisti è arrivata a lenire — quanto lievemente, ahimè — i bisogni àeW'animalis homo-, è intuitivo, è giusto anzi, che s’intensifichino nelle mani della Provvidenza molti mezzi per ottenere i medesimi fini. Ed è così che alla minore intensità delle stragi per fame o per contagio, corrisponde nettamente, evidentemente, una maggiore ferocia nei macelli per guerre e per terremoti».
Dal « Sècolo » .(8 agosto 1914) :
«Se un epilettoide appicca il fuoco ad un capanno, è arrestato, processato, condannato. L’uomo che testé ha appiccato il fuoco alle polveri asciutte della vecchia Europa, che ha tirato fuori dalle case e dalle caserme oltre dodici milioni di combattenti, non avrà torto un capello. Contro i grandi violenti non vi sono che i castighi e le sanzioni storiche.
Abbiamo osservato che vi son dodici milioni di armati scesi in campo, gli uni contro gli altri, perchè uno, forse uno soltanto, aveva premeditato, per la sua cupidigia, questo spaventevole spettacolo, questa orrida coreografia sanguinosa.
Alla guerra come alla guerra! Se ognuno di codesti disgraziati combattenti, accorsi alle armi senza sapere e senza chiedere un perchè, verserà appena un quinto di sangue, formerà un bel fiume ! 2.400.000 litri di sangue !
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NOTE E COMMENTI
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Pensateci ! Se per un bagno occorrono, in media, cinquanta litri, si potrebbero avere 48.000 bagni di sangue che, divisi per i 365 giorni di un anno, assicurerebbero un bagno al giorno per 133 anni.
La statistica fantastica e macabra è qui posta per indicare la potenza che è ancora nelle mani dei Pastori bisunti dal Signore!
La guerra non è però unicamente schifosa perchè cava il sangue. E’ la devastazione, la rovina, la miseria, la fame.
Erano forse responsabili dell’episodio di Serajevo, quei due bambini che rientrarono morti in patria, ieri, dopo la lunga pena di un viaggio senza alimenti ? E il Papa che scomunica i lettori dei Vangeli, perchè non ha minacciato di scomunica Erode, responsabile della strage d’innocenti?»
8 agosto.
La Slrasburger Post scrive : « Le nostre truppe hanno ottenuto in Alsazia un grande successo.
« Il Kaiser ha espresso il suo compiacimento col seguente telegramma al Supremo Comando dell’Armata : Grazie a Dìo, che era con noi, e grazie a voi ed alle truppe valorose ».
8 agosto. Nella seduta della Duma a Pietroburgo :
... Dopo una breve sospensione della seduta il presidente lesse un manifesto imperiale nel quale è detto che la guerra dichiarata dall’Austria fa sorgere tutti i russi come un sol uomo con la spada in mano e la croce sul cuore. La Duma applaudì freneticamente e cantò l’inno nazionale...
8 agosto. Da Pietroburgo:
Lo Czar ha ricevuto oggi in udienza solenne al Palazzo d’Inverno, alla presenza dell’intero Gabinetto, i membri del Consiglio dell’ Impero e della Duma.
Nel suo discorso, lo Czar disse che lo slancio patriottico, che soffia come un uragano su tutto il paese, è garanzia che la Russia condurrà a buon fine la guerra che Dio le impone.
9 agosto. Dal proclama del comando supremo degli eserciti austro-ungarici al popolo polacco :
« Al popolo polacco ! Per la volontà di Dio, che guida le sorti dei popoli, e in virtù della
potenza del nostro supremo comandante, gli eserciti alleati, austro-ungarico e tedesco, varcano la frontiera...
«... Ciascuno abbia fiducia nella giustizia e nella clemenza del nostro capo supremo e compia i doveri della sua professione, i doveri per la conservazione della sua casa, i doveri che vi ha prescritto la volontà dell’Onnipotente con la piega assunta ora dagli avvenimenti ».
11 agósto. Dal rapporto del Capo del quartiere generale tedesco :
«... Se abbiamo raggiunto lo scopo desiderato [dinanzi a Liegi], ciò si deve alla buona preparazione e al valore delle nostre truppe, alia direzione energica e alla assistenza di Dio... ».
13 agosto.
Il coadiutore dell’arcivescovo di Posen e Gniesen ha inviato una bolla al clero e ai fedeli delle due diocesi in cui si dice: « In tutta Europa fiammeggiano le torcie della guerra accesa dal Governo russo... So bene che il sentimento del dovere verso il comando datoci da Dio non è scomparso. Compite, dunque, il vostro nella lotta, quali degni figli di una Nazione cavalleresca. E voi che restate nelle vostre case, conservate un’attitudine tranquilla. Abbiate fiducia in Dio... Abbiate fiducia che se terrete un contegno fedele e coraggioso verso il Sovrano e contribuirete alla vittoria, Dio esaudirà i vostri desideri... ».
14 agosto.
A Urga, per ordine dei Choutouchta, la notte del 14 corrente ebbe luogo un solenne servizio religioso nella pagoda principale per implorare la vittoria delle armi russe. La cerimonia fu celebrata da 10,000 sacerdoti giunti dalle varie provincie della Mongolia, col gran sacerdote alia testa.
22 agosto. Dispaccio inviato dall'imperatore Guglielmo a sua figlia dopo la vittoria riportala dalle sue truppe nella Lorena:
« Il Signore Iddio ha benedetto le nostre valorose truppe e ci ha accordato la vittoria. Che tutti, nei nostri focolari, gli rivolgano azioni di grazie. Possa Egli essere nell’avvenire con noi e con l’intero popolo tedesco ».
(Contìnua).
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BILYCHNIS
GEREMIA BONOMELLI
L’ULTIMO VESCOVO LIBERALE
(t 2 AGOSTO 1914)
Geremia Bonomelli era forse ia figura più insigne della chiesa cattolica in questo momento storico; non già per la carica che rivestiva (egli rimase vescovo, non ostante i voti di molti cattolici, anche eminenti, che lo designavano al cardinalato), sibbene per l’altezza e la larghezza della mente, e l’influenza, che ebbe costantemerte, seppur negli ultimi tempi diminuita nella vita e nel pensiero del cattolicismo.
Nato a Nigoline (Brescia) il 22 settembre 1831, il Bonomelli fu eletto vescovo di Cremona il 27 ottobre 1871 (1), e da allora egli non ebbe più alta destinzione nella ge-. rarchia cattolica. Ma non se ne rammaricò mai : amava anzi quell’ufficio che lo metteva in contatto diretto con le anime, e ne usò per manifestare apertamente il suo pensiero, anche quando esso era discorde dall’indirizzo prevalente della chiesa romana.
Furono le sue pastorali (2) che diedero alla alla sua parola una grande diffusione, e rivelarono ia dottrina ed il pensiero del vescovo di Cremona, che molto si innalzava in con(1)Eccolo dunque vescovo in età giovanissima: robusto di forte, l'ingegno che non finiva d'aprirsi a tutte le forme di verità, una gran voglia di pensare, di studiare, di lavorare, una diocesi di ben 227 parrocchie da governare, un seminario che doveva essere trasformato.
Le prime cure rivolse al seminario, lo volle nuovo e moderno. Con la cessione del vecchio edificio e spendendo a profusione i forti avanzi del beneficio, con una spesa di oltre 600,000 lire realizzò il suo sogno: un fabbricato organico e signorile ; gli studi rinnovati ; gli allievi portò da Ì> gradatamente a quasi 300. I migliori studenti inviava a orna od a Friburgo a perfezionarsi. Austero nel costume e con se rigido in tutto, volle che il suo clero seguisse rigorosamente le norme della disciplina comandata ; nell’am-monirc, nel reprimere, era perfino duro c violento.
(Corriere della sera del 4 agosto).
(2) Guidato dal multiforme ingegno e dalla sua facilità oratoria, per esercizio di arte e per dare a! clero un esempio supcriore, si fece a tradurre le orazioni del Monsabrc, l'ùl-timo grande oratore di Notre-Dame. Tale versione, continuata per vari anni, forma una serie di oltre venti volumi, che il traduttore annotò largamente, commentando il testo dell’oratore francese. (Corriere della sera).
fronto di quello dei suoi confratelli e dei suoi superiori.
Il Bonomelli era rimasto solo (i) a rappresentare la corrente dei cattolici-liberali vecchio tipo, quella corrente che risaliva al nostro Risorgimento e che aveva avuto, fra gli ultimi rappresentanti, Lampertico, Tancredi, Canonico, Fogazzaro. I cattolici-liberali d’oggi lo consideravano come un loro maestro lontano che veneravano ma non seguivano, adottando un metodo diverso fatto più di calcolo che di fede ; più d’astuzia che di sincerità.
La «sincerità», infatti, era la caratteristica più spiccata del Bonomelli ; ed alla libera espressione delle sue idee egli doveva l’ostracismo al quale era condannato dal Vaticano, che preferiva innalzare alla porpora uomini indotti, oscuri ed intriganti, anziché il dotto ed illustre vescovo di Cremona.
. D’idee larghe, erudito in scienze sacre e profane, scrittore chiaro, efficace, elegante, spirito alacre e desideroso di attività, il Bonomelli scrisse molti libri e opuscoli, composti in gran parte dei racconti dei suoi viaggi in Europa e in Oriente (2), delle sue pastoS) Per un corco tempo il suo nome venne accoppiato a lo di mons. Scalabrini, vescovo di Piacenza, altro uomo dignitoso in tutto, che una costante amicizia univa al vescovo di Cremona. Al tempo della intransigenza vivace in Vaticano i due vescovi Bonomelli e Scalabrini rappresentavano quasi soli il liberalismo ortodosso, che doveva più tardi gradatamente imporsi. Morto lo Scalabrini, rimase solo il vescovo di Cremona ; ma sebbene solitario, potè sempre rappresentare una potenza di fronte agli elementi più retrivi, poiché nessuno poteva negare i .meriti del suo ingegno, la forza operatrice dei suoi atti.
(Corriere della sera).
(2) Viaggiò ncll'Oriente vicino, in Terrasanta ; di ritorno scrisse il primo volume : Un autunno in Oriente, libro composto in ventisei giorni.
Viaggio nella Spagna, nella Francia del Sud: Un autunno in Occidente fu il secondo libro descrittivo.
Nel terzo. Dal Piccolo San Bernardo al Brennero, espose le impressioni avute da un ampio giro nei paesi confinanti con la fronlieia italiana ; c così nel quarto. Tre mesi di qua e di là dalle Alpi, ritrasse paesi, costumanze
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rali ( 1 ), dei suoi discorsi, ove egli profondeva la sua dottrina , ilsuo acuto spirito di osservazione, le sue visioni dei piò ardenti problemi della vita intellettuale e sociale.Uomod’azione, fondò V Opera d’assistenza degli emigranti, che se potè esser fatta segno a critiche vivaci per lo spirito di confessionalità in essa praticato, ha avuto anche, per dichiarazioni di organizzatori avversari delle idee del Bonomelli, la sua efficacia e utilità (2).
La vita del Bonomelli fu quanto mai «movimentata» ; egli aveva, fino agli ultimi giorni, un bisogno irresistibile di operare. E’ spiegabile quindi che, sia caduto in errori, talvolta gravi, e, innamorato delle sue idee, abbia giudicato sommariamente quelle degli altri, trascurando fenomeni notevoli di vita sociale, e
a noi vicine, studiando specialmente le condizioni dei nostri operai della emigrazione temporanea, ai quali aveva già dedicata la sua opera filantropica, conosciuta col nome di Ofera Bonomelli. •
Questi viaggi del Bonomelli ebbero la fortuna di vario edizioni. [Corriere della séra}.
(«) Il suo scritto propriamente più religioso, e religiosamente più audace, è la Pastorale del 1905, su Gli aiuti del culto religioso, nel quale è vivacemente biasimata la importanza eccessiva che si dà al culto della Madonna e dei Santi. In questo fascicolo sono deplorate le devozioni e pratiche materiali c paganeggianti, inspirate a pregiudizi, che se dovessero trionfare dappertutto, trasformerebbero i templi in botteghe di basse indulgenze.
{La Stamfa del 4 agosto).
(a) Alla Stazione Centrale di Milano, al di là della grande tettoia, sorge un fabbricato modesto; e \’Ofera dì assistenza Bonomelli. E' una casa piccola quella di Milano; ma a Chiasso sorge un$ grande casa-ospizioj aperta nel 1905, vero modello del genere ; c un altro ospizio completo venne aperto a Domodossola l'anno seguente. E a queste vanno aggiunti i Segretariati, assai numerosi nella Svizzera, e poi altri in Germania, nel Lussemburgo, in Francia, in Austria, lutti collegati ad un Segretariato generale con sede a Milano, tutti raccolti sotto l’egida di moni. Bono-molli. Trattasi di un’opera eminentemente filantropica ed italiana.
La fondazione di assistenza risale al maggio
del 1900. Essa è diretta a vigilare e regolare il. fenomeno dell'emigrazione temporanea degli operai italiani nell'Europa e nel Levante. Le statistiche hanno misurato le correnti continue di questi emigranti nostri che, spinti da diversa causa, vanno in cerca di lavoro fuori della patria; da un totale di 3.00.000 nel 1899, si sali al mezzo milione, a 700, 800 mila all'anno; di questi, una metà all’incirca sono emigrati che faranno ritorno. Ma erano sfruttati da speculatori alla partenza, spesso anche dalla stessa ignoranza, talora vittime di ingiustizie; poi anche si disamoravano della patria, della lingua, della buona disciplina domestica. Il Bonomelli, uomo di larghe vedute sociali, si commosse delle sorti loro, quando scarseggiavano l’interessamento dei pubblico e le cure del Governo; mosso da squisita carità di patria, diede l’impulso aH'Opera che porta il suo nome: l’Opera crebbe, trovò aiuti e simpatie e persino l’appoggio. del Governo. Soli a combatterla furono i socialisti e gli intransigenti della Chiesa ufficiale, che opposero un loro patronato sotto gli auspici di San Carlo; ma il patronato riuscì sterile: mons. Bonomelli vinse col bene, attirando nella sua istituzione altri vescovi e il cardinale Ferrari ed anche il Vaticano.
[Corriere della sera}.
sovrapponendo talvolta ad essi concezioni e movimenti assurdi. Così, appare inesplicabile, al lume delle medesime idee del Bonomelli, l’appoggio da lui dato a quel movimento sindacalista, organizzato nelle sagrestie della sua diocesi, che ha per esponente l’on. Miglioli. Anche i suoi giudizi sul socialismo, sui rapporti fra il capitalismo ed il proletariato, sulla vita politica, benché profondamente diversi da quelli prevalenti fra i clericali italiani, peccano di concetti teologici e di velleità conservatrici, sia pure ammodernate.
L’opera del Bonomelli non ha che scarso valore se applicata alla vita sociale esplican-tesi fuori del cattolicismo ; ma ha un valore notevolissimo in quanto essa è partita da un vescovo cattolico e rappresenta uno sforzo, in gran parte fallito, di imprimere alia vita cattolica un ritmo più alto, più consentaneo ai progressi della cultura e della vita sociale.
Ma, anche in questo campo, il Bonomelli era un «superato». Tentativi più arditi e più complessi, come quelli dei modernisti, erano stati compiuti invano; ciò non ostante, egli continuava a bandire la sua parola, con la certezza che essa sarebbe stata raccolta da altri.
La sua attività ha segnato delle date che rimarranno; i suoi conflitti con la curia romana sono parte della storia degli ultimi anni.
Noto da prima per le sue opere apologetiche, il Bonomelli acquistò una grande notorietà con un suo discorso per i caduti di Dogali, che rivelò al gran pubblico la elevatezza della mente ed il patriottismo del vescovo di Cremona. Quel discorso sollevò un grande scalpore anche per le idee che conteneva, che erano giudicate eterodosse ; e da allora la curia romàna, non volendolo colpire direttamente per lo scandalo che avrebbe suscitato, sottomise il Bonomelli ad una serie di odiose misure che culminarono nella condanna della famosa pastorale : « La Chiesa e i tempi nuovi», e nel rifiuto opposto da Pio X, alla sua richiesta di essere ricevuto dal Papa.
Il Bonomelli, in ogni sua pastorale, amava trattare un argomentò di attualità e cosi scrisse sul « Liberalismo e i suoi equivoci », sul « Culto », sulla « Chiesa », sui « Misteri e la Ragione», sull’«Istruzione catechistica» e, nell’ultima pastorale di quest’anno, sui «Clericali e Anticlericali ». In tutti i suoi scritti egli rivelava la sua libertà di giudizio e la sua indipendenza dalla curia, egli era un conservatore moderno o, come si dice oggi, illuminato; ma frequentemente usciva dal seminato e appariva un rivoluzionario.
« La storia — il Bonomelli ha scritto — è
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inesorabile come la matematica e non deve guardare in faccia a chicchessia, laico o cherco, non a individui, non a ceti di qualunque natura e non sarà mai che noi, discepoli di Colui che disse: Io sono la verità - ne alteriamo una sola pagina. Il nostro motto deve essere la sentenza di Cristo — E', è ; no, no. — Fanno oltraggio al Vangelo tutti quelli (e non sono pochi) che per non so quale prudenza mondana nascondono la verità col silenzio, o la scemano colle mezze bugie e con artifiziose reticenze. Deve essere ben debole la fede di certa gente nella causa e nella vittoria della Chiesa allorché crede essere conveniente e doveroso tacere i suoi mali per timore di scandali. Essi si copriranno e gli avversari sveleranno e io scandalo sarà maggiore. Io non istò in forse a dichiarare che se gli esigli, le carceri, i tormenti più atroci e i patiboli più vituperosi fecero versare alla Chiesa lagrime e sangue, gli onori, le ricchezze e le grandezze terrene la fecero vestire a lutto, la imbrattarono di polvere e di fango.,. ».
Ed applicando queste idee, egli disse sempre quel che gli pareva la verità, criticando le deformazioni ideali e pratiche della vita cattolica.
Il Bonomelli, per esempio, aveva compreso perfettamente le deficienze del clero italiano ed il contrasto della sua concezione della vita con quella reale.
«Uno dei difetti del Clero è precisamente questo — egli ha scritto — di giudicare la società moderna senza conoscerla in se stessa, ma ragionando in astratto. Ciò è scusabile in parte per la natura delie cose. Il prete comincia da chierico a vivere in seminario: fatto prete, coadiutore e parroco, più o meno, per l’ufficio suo, pel suo carattere, deve vivere separato dalla società: la società stessa io esige e quasi lo costringe ed egli per cessare i pericoli deve appartarsi da essa in moltissimi casi; egli, come prete, deve interdirsi certe compagnie, certe letture, che lo isolano dalla società. Di qui la sua imperfetta cognizione della società stessa e quella diffidenza che raramente l’abbandona. E’ una condizione del suo stato, del suo ufficio sacro: ma è pur sempre un danno e grave. Noi preti in generale conosciamo poco praticamente la società, in cui viviamo e di qui il riputarla ora più buona che non è realmente».
Mons. Bonomelli riteneva che la Chiesa dovesse assumere un indirizzo più democratico. Parlando della democrazia, egli ha scritto :
« La Democrazia si avanza su tutti i punti dell’orizzonte: il suo avanzarsi è inevitabile, irresistibile, fatale, e sotto i suoi passi le montagne si abbassano e si colmano le valli, e
si va delineando l’immensa pianura, sempre un po’accidentata, delia uguaglianza; quel che perdono le monarchie assolute e costituzionali, le oligarchie e le aristocrazie io guadagnano le moltitudini : la piramide dei Poteri pubblici si va capovolgendo : un tempo il Z»o-tere discendeva, di grado in grado, dall’alto: oggi sale dal basso all’alto e il suffragio universale ne è l’espressione più perfetta. Tutti gli Stati civili entrano a gonfie vele nel gran mare della libertà, mare agitato, seminato di banchi di sabbia e di scogli e sul quale tratto tratto si scatenano i venti e infuriano le procelle. E’ forza correre questo mare e la Chiesa, che vive sulla terra e in mezzo a tutte le Società più disparate, deve pur essa spingere sull’infido elemento la sua nave. Essa a buon diritto può dire: ho visto altri venti, altre procelle e le ho superate ; ho superato la violenza di crudeli persecuzioni : ho superato le insidie e i pericoli di fallaci protezioni : supererò anche e più facilmente la prova della separazione ».
Com’è noto, infatti, il Bonomelli era fautore della separazione della Chiesa dallo Stato, e le sue idee svolse in una pastorale che venne condannata (1). Intorno alla separazione egli ha scritto : « Secondo ogni verosimiglianza, la base del futuro Stato della Chiesa sarà la libertà per tulli, il diritto comune, ampia tot(s) La pastorale del 1906 gli sollevò attorno una vera bunasca; fu allora il pronunciamento più ardito del vescovo. Erano i giorni in cui in Francia s'era inaugurata definitivamente la separazione della Chiesa dallo Stato ; giorni di lutto per i vescovi e il clero francese, di amarezza grave per il Vaticano. Si attendeva una parola ufficiale da Roma; l’enciclica poteva essere emanata d'ora in ora. Ed ecco il vescovo di Cremona, tentato dal tema, tradito dalla sua sincerità, mandare fuori la pastorale « Sulla separazione della Chiesa dallo Stato », dove parve prendere partito per la separazione!
Fu uno scandalo; se il Bonomelli non fece naufragio è perche a Roma si ebbe sempre di lui tuia grande stima, ed anche una certa paura della sua popolarità. Il card. Ferrari e quattro vescovi suffragane! scrissero a Roma una lettera (suggerita c imposta) per staccare là loro responsabilità da Cremona ; così il papa potè rispondere al cardinale di Milano un'altra lettera dove si diceva deplorevole il momento scelto: il vescovo temerario fu isolato dai confratelli, ostracizzato dal Vaticano; andato a Roma poco appresso, non venne ricevuto da Pio X.
Ma col passare del tempo l'atleta tornò in piedi, c ri-Suadagnò tutto il suo credito. La posizione fu salvata co! ire che la pastorale prospettava il metodo pratico; cioè, dato il fatto della separazione, il meglio è ancora valersi delle guarentigie offerte dallo Stato e rinnovare le forze sotto l'egida della libertà; cosi pensava il vescovo. L’enciclica papale venuta appresso prospettava il tema in ntat-rima, condannando nei principi tale acquiescenza alle persecuzioni. Come si vede, le due tesi si potevano comporre. Ci volle però un anno di tempo c l'intromissione di una dama dell'aristocrazia milanese, perchè il Bonomelli fosse chiamato a Roma ed avesse udienza — che fu lunghissima — col Santo Padre. E la pace fu celebrata.
{Corriere della /era).
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leranza in materia di religione. Sarà un periodo nuovo. Strano ritorno storico! Il problema sopra ogni altro arduo dei rapporti tra Chiesa e Stalo la prima volta fu sciolto con un decreto brevissimo dell’ Imperatore Costantino (olla Libertà per tulli. Dopo sedici secoli di paci, di lotte, di convenzioni, di dissidi, di concordati, di modus vivendi, ecc., si ritorna ancora con altre parole alla stessa soluzione del decreto di Milano, accolto allora, salutato e benedetto dalla Chiesa cattolica come un raggio di luce in mezzo alle tenebre; il Diruto comune, la Libertà per tutti, si considera ormai come il mezzo più spedito ed efficace di por termine ai litigi tante volte secolari. La libertà per lutti! La Chiesa, che domandò sempre la libertà, forte del suo diritto, svolgerà tutte le sue energie, e appoggiata non più alle canne fesse (espressione d’un profeta) di potenze terrene, spiegherà le sue vele al soffio divino, attraverserà l’oceano periglioso e raccoglierà nuovi e non più visti trionfi e il mondo e la Società maravigliata dirà, come il Centurione, che discendeva dal Calvario : — Veramente questa Chiesa è figlia di Dio : essa vive, grandeggia e vince senza di noi ! »
Ciò scrisse mons. Bonomelli all’indomani della separazione in Francia, arrecando un vivo dolore a Pio X, che aveva sostenuto, pochi mesi avanti, idee completamente opposte. Il papa se ne offese al punto da rifiutare di ricevere mons.'Bonomelli, recatosi appositamente a Roma. .
Il Bonomelli contava amici e ammiratori in ogni campo : dalla regina Margherita a Giovanni Pascoli, e uomini di Stato e politici. E’ noto come all’indomani della morte violenta di Umberto I, la regina Margherita compilasse una preghiera in suffragio del defunto e la inviasse a mons. Bonomelli per l’approvazione ; egli la diede, ma il Vaticano lo sconfessò e proibì la recita di quella preghiera. La regina madre aveva da allora conservato per il Bonomelli una viva amicizia, che gli dimostrò più volle. Si disse anche che ella si adoperasse, invano, per far innalzare alla porpora il vescovo di Cremona.
Mons. Bonomelli aveva la costante preoccupazione di affermare il patriottismo suo e quello dei cattolici, e si sforzava di dimostrare che si può essere cattolici e amare l’unità della patria. Anche su questo punto il suo dissenso col Vaticano era evidente. Egli era un ostinato «conciliatorista », ed un ottimista impenitente; se egli fosse giunto al soglio pontificio, la politica della Chiesa avrebbe subito un mutamento profondo. Egli, negli
ultimi anni, era riuscito a far accettare le sue idee al cardinale Rampolla, e con loro ora sono sepolte (1).
L’ultima sua pastorale: Clericali e anticlericali può esser considerata il suo testamento. Pur in mezzo a qualche luogo comune, rivestito di forma dignitosa, sull’anticlericalismo, il Bonomelli afierma delle incontrovertibili verità in confronto dei cattolici.
« Poniamoci bene nell’animo — egli ha scritto — che in materia politica e in generale in qualunque materia estranea per sé alla fede ed ai costumi ed anche alla disciplina generale della Chiesa, nessun cattolico è obbligato a credere e pensare, che non possono darsi anche in Essa errori e fatti biasimevoli, abusi ed eccessi. Sarebbe insipiente e stolto lo storico che si proponesse di giustificare tutta l’azione politica e affine alla politica, che la Chiesa ha esercitato nei secoli passati, ed esercita al presente. Ammettiamo sempre la rettitudine e santità di intenzioni fino a prova evidente contrària : ma non pigliamoci il carico di trovare tutto buono, tutto giusto, tutto sapiente: è una pia esagerazione di alcuni ».
(1) Nel 1S79, trovatosi a Firenze col card. Manning, aveva udito da lui queste parole : • Badato, voi italiani, di non mettere in lotta fra loro i due grandi sentimenti del cuore umano, il religioso c il nazionale. Se voi porrete il vostro popolo nella dura alternativa di appigliarsi o all’uno o all’altro, il popolo si appiglierà al sentimento nazionale ; e voi perderete l’unità religiosa, come l'ha perduta l'Inghilterra ». Parole che fecero sull’animo del vescovo una grande impressione: e lo disse.
Durante l’esposizione di Milano del i88r, tenne in Duomo un discorso che parve una fanfara di sensi liberali ; in pubblico ed in privato mons. Bonomelli discuteva libo, ramente la politica del Vaticano, che si ostinava a tenere il broncio all'Italia e ad esasperare il dissidio. C’era ancora chi credeva ad un ritorno del potere temporale, ad una retrocessione di Roma, ad un compromesso su basi territoriali ; credenza che si reggeva con la teologia e coi moniti del Sant'Uffizio. I cattolici liberali erano fortemente sospetti. Quand’ecco, nel 1889, apparire nella Rwegaa Nazionale, un poderoso articolo « Roma, l'Italia e la realtà delle cose», firmato ww vacavosi trattava a fondo la questione della conciliazione, ponendola di fronte alla realtà ; c scartando via via le soluzioni inverosimili, si persuadeva il papa a. rassegnarsi del passato, fidando nella simpatia degli italiani.
L'articolo, messo in estratti, diffuso a migliaia di copie, suscitò una grande commozione. In Vaticano si dubitò che l’autore fosse un vescovo; allarmati dal clamore, si pensò anche di condannare l'opuscolo. Avvenne ciò che doveva avvenire ; se ne moltiplicò ifiso facto la tiratura : fu tradotto in francese e tedesco: nel mondo religioso fu un fermento generale. L’anonimo taceva; ma il nome di Bonomelli si ridiceva da tutti. Alierà il vescovo, salito il pub pilo della cattedrale — era l’Ascensionc — in pompa magna per l'omelia, dichiarò solennemente, al cospetto di tutti. Che l'autore era lui, e che si umiliava aU’Autorità docilmente. Fu un meraviglioso scandalo: il Vaticano rimase interdetto, l’opuscolo fece furore: l'autore era salvo, e salva con lui l’idea delta conciliazióne, cioè della acquiescenza pratica alla realtà delle cose. (Corriere della sera).
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Il Bonomelli desiderava, come gli anticlericali, naturalmente con premesse diverse, il ritorno della Chiesa al diritto comune.
« Noi non chiediamo — ha scritto nell’ultima pastorale ai suoi fedeli — nè chiederemo mai privilegi e favori, che in altri tempi si riconoscevano dovuti alla nostra fede ; quel tempo, lo sappiamo, è tramontato : noi chiediamo la libertà, che si concede a tutti entro l’ambito delle leggi; la vogliamo, perchè è nostro diritto inalienabile. Noi, laici «clericali », figli della Chiesa cattolica, noi preti semplici e vescovi vogliamo essere trattati secondo il diritto comune ».
Che cosa rimarrà del pensiero di mons. Bonomelli, ora che egli è morto? Il vescovo di Cremona sarà onorato per certi sui atteggia
menti esteriori e per alcuni gesti compiuti, per il suo patriottimo e la sua sincerità: e sarà bene. Ma delle sue idee, disseminate abbondantemente in numerosi libri, rimarrà ben poca cosa: nessuno le raccoglierà. Non là Chiesa, per la quale furono espresse, non gl’individui, incapaci di applicarle e diffonderle. I cattolici-liberali d’oggi, politicanti e trafficanti, sono cosi diversi dall’operoso vescovo scomparso!
Dell’opera e dell’attività di mons. Geremia Bonomelli non rimarrà che un tentativo di rinnovamento della Chiesa romana : tentativo che questa ha respinto, come già molti altri, disposta a morire piuttosto che a rinnovarsi.
(Dal Stette del 4 agosto).
Guglielmo Quadrotta.
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LA GRANDE
ILLLUSIONE1,1
Chi non lo ha letto ancora questo libro, io legga in questi giorni e io mediti.
-*
* •
Quali sono i reali motivi della attuale rivalità degli armamenti in Europa e, special-mente, della rivalità anglo-tedesca? Ogni nazione pretende essere i suoi armamenti puramente difensivi ; ma è un pretèsto questo che implica di necessità il fatto che altre nazioni abbian interesse ad attaccare. Qual’è questo interesse, reale o supposto che esso sia?
Tale accennato interesse ha la sua origine nella teoria, generalmente accettata, che il potere militare e politico conferiscano ad una nazione dei vantaggi commerciali e sociali; che la ricchezza e la prosperità delle nazioni indifese sono alla mercè delle nazioni più forti che possono in tale debolezza trovare il pretesto di commettere un’aggressione; sì che ogni nazione si trova, così, costretta a proteggersi contro la possibile cupidigia delle altre nazioni vicine.
L’autore va a fondo di questa teoria, sinora universalmente ammessa e la dichiara fondata sopra una semplice illusione ottica. Egli giunge a dimostrare che tale situazione apparteneva ad una fase di sviluppo che noi abbiamo oramai al tutto superata; che il commercio e l’industria di un popolo non dipendono ormai più per nulla dalle sue frontiere politiche; che le frontiere politiche ed economiche non
(i) Norman Angeli., La grande illusione. Studio sulla potenza militare in rapporto alla prosperità delle nazioni. Vera. it. di L. S. Roma, >913, pag. 3x3, L. a,50. (Rivolgersi alla ¿Oreria Bilychnis).
coincidono per nulla fra di loro; che la potenza militare non ha valore dal punto di vista sociale ed economico e che non ha relazione con la prosperità della nazione che la esercita; che è impossibile per una nazione di annullare con la forza il benessere o il traffico di un’altra e di arricchire se stessa mediante tale dominio ; che, in breve, la guerra anche se vittoriosa non dà invero i risultati che comunemente si credono. L’A. dimostra la verità di tale apparente paradosso ; sempre in relazione con quanto è connesso col problema economico in questione, svolgendo il concetto che, nei mondo civile, la ricchezza ha per base il credito e i contratti commerciali; rappresentando questi lo sviluppo della interdipendenza economica dovuta alla sempre crescente divisione del lavoro e all’aumentato incremento delle comunicazioni.
Se il credito e i contratti commerciali sono minacciati dalla conquista del nemico vittorioso, la ricchezza (che dal credito appunto strettamente dipende) non soltanto svanisce, ma non lascia nulla al vincitore in cambio della sua vittoria, e, anzi, lo trascina nella sua stessa caduta ; di sorta, che se egli vuole che la sua vittoria non gli rechi alcun danno, tale supposto vincitore deve scrupolosamente rispettare la proprietà del vinto nemico, laonde, si può dire che sia sempre vana la vittoria, dal punto di vista economico.
Il benessere d’un territorio conquistato rimane indiscutibilmente nelle mani della popolazione di esso territorio.
Quando la Germania si annettè l’Alsazia non un solo cittadino tedesco ottenne una lira di proprietà dell’Alsazia stessa quale risultato della guerra. La conquista nell’attuale
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momento della nostra storia, è un processo in cui bisogna moltiplicare per -r, ma poi anche dividere per x lo stesso fattore. E così che per una nazione moderna un aumento di territorio ha lo stesso risultato sul benessere dei suoi cittadini di quello che potrebbe averlo per gli abitanti di Londra l'annettersi la città di Oxford.
L’autore dimostra del pari che la finanza internazionale è divenuta così interdipendente nei rapporti col commercio ed industria che l’intangibilità della proprietà del nemico è da considerarsi ornai come estesa anche ai di lui commerci. Ne risulta che il potere militare e politico non ha alcuna influenza sul commercio stesso ; ed in realtà i mercanti e gli industriali dei piccoli Stati privi di tale potenza rivaleggiano con successo con quelli dei grandi Stati. I commercianti della Svizzera e del Belgio stanno ora cacciando gli inglesi dal mercato coloniale britannico e la Norvegia ha, relativamente alla sua popolazione, una marina mercantile ben più sviluppata di quella della Gran Britannia, inoltre, il credito pubblico (indice, fra gli altri, di sicurezza e benessere) dei piccoli Stati, privi di potenza politica, è spesso quotato assai più alto di quello delle maggiori potenze di Europa : così il Tre per cento del Belgio è a Novantasei, mentre quello della Germania a 82; e il Tre e mezzo della Norvegia è a 102, mentre quello della Russia a 81.
Ed è questa medesima forza la quale ha dato luogo alla futilità economica della potenza militare che rende impossibile di stornare gli ideali morali di una nazione o imporre ad un popolo conquistato istituzioni sociali ad esso non conformi.
Così, sarebbe oggi impossibile alla Germania di fare del Canadà o dell’Australia una colonia tedesca (cioè annullare la loro lingua, le leggi, la letteratura, le tradizioni, ecc.)col catturarle.
Sono i vari rapporti della vita moderna e le rapide intercomunicazioni e lo scambio dei traffici e la sicurezza dei domini privati rispettivi che proteggono ora, anche le minori comunità contro simili pericoli della più completa conquista militare. E, del pari, la lotta per gli ideali non può più assumere la forma di lotta fra le nazioni, poiché le linee di divisioni delle questioni morali sono oggi nelle nazioni medesime e, in luogo di coincidere con le frontiere politiche, le intersecano.
Laonde, non esiste Stato moderno che sia interamente cattolico o protestante, interamente liberale o autocratico, o aristocratico o democratico, o socialista o individualista; le lotte sia morali che intellettuali nel mondo attuale non si svolgono fra pubblici poteri di Stati rivali ma, nello stesso Stato fra gruppi di cittadini che si trovano ad essere in linea di intellettuale cooperazione (sia pure inconsapevole) con gruppi corrispondenti in altri Stati.
Ed è questo tipo di classificazione a base di strati sociali che implica necessariamente altre direzioni alle lotte umane; basate ornai piuttosto sugli interessi e le rivalità di classe che sulle divisioni di Stato.
E così la guerra non è più giustificabile dal punto di vista della sopravvivenza del più forte, se al benessere di questo è strettamente connessa anche la sopravvivenza del più debole; e l’idea che la lotta fra le nazioni sia parte della legge dell’evoluzione umana include un profondo equivoco di ciò che sia analogia biologica ; così le nazioni guerriere non sono per nulla le padrone della terra e il fatto che la forza fisica diventa un fattore di sempre minore importanza nelle zone dell’attività umana coinvolge importanti modificazioni psicologiche ai riguardo.
È tutto un insieme di fatti adunque, a cominciare dai cambiamento avvenuto delle condizioni della vita moderna e dovuto all’avvenuta maggior rapidità nelle comunicazioni, che ha reso e rende ornai di gran lunga diversi dagli antichi i problemi dell’attuale politica internazionale.
Li ha resi profondamente ed essenzialmente diversi ; tuttavia le nostre idee in proposito sono ancora totalmente dominate dai principi e dagli assiomi, dalle imagini e dalla terminologia della vecchia e superata politica.
L’autore mostra come questi fatti sinora poco riconosciuti possono essere utilizzati per risolvere le difficoltà degli attuali armamenti e come una conforme modificazione dell’opinione pubblica europea possa influire nel senso di dimostrare che l’aggressione non sia ornai per nulla fruttuosa e, diminuendo in tal guisa le possibilità dell’attacco, diminuisca del pari la necessità della difesa.
Egli mostra come tal modificazione politica debba essere invero la meta di una politica pratica ; ed indica le vie da seguire per giungere a tale meta.
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TRA LIBRI F. RIVISTE
*3’
LE ORIGINI CRISTIANE
DEL PACIFISMO CONTEMPORANEO
Su questo soggetto la rivista di Parigi Le Christianisme Social nel suo V fascicolo dell’anno in corso, pubblica un articolo molto interessante di Jacques Dumas; dal quale spigoliamo pei nostri lettori alcuni fra i moltissimi dati eh'esso raccoglie.
In un forte discorso pronunziato al Senato francese nel novembre 1907, Leone Bourgeois, eh'è stato uno dei più attivi fautori dell’opera delle Conferenze dell’Aja, diceva che s’eran sentiti in quelle conferenze i primi palpiti del cuore dell’umanità. Di meglio non si poteva dire ; ma se questi primi sintomi d’un cuor nuovo hanno potuto manifestarsi è perchè all’infuori e al disopra delle contingenze materiali, esiste un principio di vita. Ora questo principio di vita comune, è la religione cristiana che l’ha rivelato al mondo, presentandogli la fratellanza degli uomini come la conseguenza logica e necessaria della paternità di Dio, e per questo l’efficacia del movimento pacifista dipende dalla misura in cui, consciamente o inconsciamente, gli amici della pace subiscono l’influsso dell’ispirazione del Cristianesimo e vi conformano la loro azione.
Dal Sinai al Golgota, tutte le dottrine che la Cristianità attribuisce alla rivelazione diretta di Dio si sono incise sui fianchi dei sacri monti come delle proclamazioni di pace. V’ha forse nel decalogo un imperativo più categorico di questo: « Non uccidere »? La visione più consolante d’Isaia non è forse quella dell’età dell’oro in cui il lupo pascolerà insieme coll’agnello e un fanciullo condurrà per la criniera il leone? I più anticristiani dei nostri socialisti cedono all’attrazione divina del messaggio della notte di Natale: «Pacesulla terra agli uomini di buona volontà», e si ripete con compiacimento che l’ultima o la penultima parola del Cristo, prima dell’agonia, è stata una sconfessione definitiva della forza brutale : « Chi ferisce con la spada, per la spada perirà... ».
Sant’Agostino (1) domandava che nessuna guerra oltrepassasse il carattere d’una puniti) Città di Dio, XIV,_ x»; J» Epistola a Mareellino; tOJ* Epistola a lioni/azio.
zione e che la pace venisse ristabilita non appena fosse stata inflitta la punizione, senza che si fosse commessa — durante le ostilità — la minima infrazione ai principi della carità cristiana. (Veramente non sappiamo concepire delle ostilità compiute con carità cristiana /). Molto più ardite e piò conseguenti furono le tesi di teologi come Tertulliano, Origene e Lattanzio. Il primo scrisse (1): «Disarmando Pietro, il Signore ha disarmato tutti i soldati. Nessuno può considerare lecita un’uniforme che rappresenta degli atti illeciti ». Origene scrisse tutt’un libro — Contro Celsum — per respingere le accuse di Celso contro i cristiani che si tenevano lontani dall’esercito. Quanto a Lattanzio, ecco come la pensava (2) : « Non è permesso al giusto di portare le armi ; la milizia sua è la giustizia. .. Che v’ha di più orribile, di più terribile? uccidere un uomo! per questo le guerre sono esecrande ».
Il pericolo della casuistica doveva apparire quando ai distinguo dei canonisti sarebbero successi quelli dei Gesuiti, sempre pronti ad accomodare la Legge di Dio alle debolezze del mondo ed alle sue violenze. La necessità di dover difendere il bene comune o la pubblica tranquillità, basterà ormai ad assolvere i conquistatori ; la ragione di stato coprirà coll’ampio mantello dell’interesse nazionale, tutte le guerre e tutte le violenze.
Ma la forza dei principi fortunatamente è tale ch’essi sopravvivono a tutte le loro deformazioni. .. Grozio predicava a Luigi XIII il rispetto dei doveri internazionali, nella dedica della sua celebre opera sul diritto della guerra e della pace : « Come sarebbe bello, scriveva al re, come sarebbe dolce per la vostra co-scenza stessa di poter dire con fiducia, allorché un giorno Dio vi chiamerà nel suo Regno, il solo che sia superiore al Vostro: Questa spada che ho ricevuto per la difesa della giustizia, te la rendo netta di sangue, pura e innocente ».
... La storia di coloro che dividono con Grozio l'onore di essere stati i fondatori del
(•«) Dell’idolatria , XIX.
(a) IstitHtioHf divina, VI, 2.
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diritto internazionale abbonda di particolari spesso assai commoventi che rivelano il profondo accordo da loro mantenuto tra le loro convinzioni religiose e le loro tesi scientifiche. In Alberico Gentile, in Pufendorf di Zouch, in Emmerich di Vattel, nel Barone di Wolff, in Barbeyrac, in tutti si rinviene questa convinzione fondamentale che i doveri internazionali sono una categoria importante dei doveri cristiani e che vi sono dei postulati del Vangelo che dominano i rappporti fra gli Stati come dominano quelli tra le famiglie e gl’individui...
I Quackeri sarebbero del resto bastati a preservare la nozione cristiana dei doveri internazionali se i giuristi avessero avuto Fin-coscenza di trascurarla. Il più illustre di loro, Giorgio Fox, non cominciò la sua propaganda che nel 1647, cioè 22 anni dopo la pubblicazione del Diritto della guerra e della pace dà Grozio, 60 anni dopo la nomina d’Alberico Gentile ad una cattedra d’Oxford, ma è da notare che è stato nel 165S che i Quackeri fondarono in Olanda il loro primo gruppo continentale e che è precisamente in quest’anno 165S che Pufendorf, prigioniero dei Danesi, meditava nella sua cella intorno ai mezzi per la difesa dei diritti delle genti contro gli abusi delia forza brutale e concepiva l'idea del suo grande trattato Sul diritto della natura e delle genti... Se è permesso di opporre la concezione dei Quackeri a quella dei grandi teorici del diritto delle genti, diremo che, mentre costoro definivano i doveri dei conduttori di popoli e dei conduttori di eserciti in termini adeguati alle regole del Vangelo, ma non senza fare la parte della necessità dei tempi e delle circostanze, e accomodando, con un opportunismo pieno di riserve e d'eccezioni, la ragione pura dei testi biblici e la ragione pratica dei sovrani, i Quackeri non hanno mai consentito ad allontanarsi da una beila e rigorosa intransigenza che non tollerava, per nessuna ragione, in un cristiano, l’uso delle armi e che esigeva che i loro adepti s’astenessero ad ogni costo, da qualsiasi violenza. Per essi il diritto della pace, prima d’essere materia di Stato, era materia della coscenza individuale e richiedeva da parte dell’individuo, applicazioni immediate, anche a costo della sicurezza del proprio paese e della propria vita. L’esempio personale di William Penn, fondatore della Pensilvania, ne è una luminosa illustrazione. Si sa che suo padre, ch’era ammiraglio, aveva prestato grosse somme di denaro al re d’Inghilterra, e che questi non potendo restituirgliele, gli fece accettare in cambio una concessione di terreni in America, in una regione
in cui la forza brutale sembrava necessaria per vincere i selvaggi Pelli-Rosse. Carlo II, prendendo congedo dal nuovo colono, gli suggerì di armarsi bene. Un Quackero non poteva accogliere tale suggerimento. Per William Penn, non c’era selvaggio che non fosse possibile conquistare con buone maniere ed aveva il cuore pieno d’amore per gl’indigeni che gli si chiedeva di sterminare : « Sire — rispose al Re — in loro e nella protezione di Dio ripongo la mia fiducia». Partì per l’America facendosi precedere da questa lettera diretta alla tribù dei Lenni-Lenapè :
«Cari amici; vi auguro felicità ora e per l’avvenire. Vi scrivo per informarvi ch’è piaciuto a Dio, nella sua Provvidenza, di affidarvi alle mie cure. E’ una responsabilità che non ho ancora mai avuta; ma Dio mi ha dato, insieme con la coscienza dei miei obblighi, uno spirito diritto che mi permetterà di compiere onestamente il mio dovere. Spero che la scelta del Re non sarà per voi la causa d’alcun pregiudizio materiale, giacché il governatore alla cui mercè siete posti, non viene da voi per arricchirsi. Desidero governarvi con le leggi che voi medesimi vi farete, affinchè viviate come uomini liberi, e, se lo desiderate, come uomini sobri e lavoratori. Non usurperò il diritto di alcuno ; non opprimerò alcuno... ».
Un amico personale di-William Penn, il capitano Markham, che l’aveva preceduto, lesse questa lettera non soltanto agli indigeni ma anche agli Olandesi ed agli Svedesi che occupavano diversi punti della concessione e ne dimostrò la sincerità costituendo, tra gli abitanti, un’assemblea deliberante di nove persone ch’è stato il germe del Parlamento attuale. Allorché giunse Penn, lungi dal considerarsi come il padrone della sua concessione, ne comperò, pezzo a pezzo, il territorio dai capi delle tribù locali e dopo aver così dimostrato loro la sua buona fede, firmò con loro quel famoso Trattato d’amicizia .celebrato da tanti quadri storici negli edifici ufficiali degli Stati Uniti. Con esso i Bianchi e i Pelli-Rosse s’impegnavano reciprocamente a non farsi mai alcun torto gli uni gli altri ; a non prestar mai fede alle false informazioni che potessero venir riferite a carico degli uni o degli altri ; a vivere da buoni vicini, con le porte aperte e le strade libere, e, nel caso in cui venisse fatta un’offesa, a non ricorrere mai alla vendetta individualmente, ma a riferirne a dodici uomini scelti ai quali spetterebbe di determinare la responsabilità. Finalmente i Bianchi e i Pelli-Rosse s’impegnavano perchè il vincolo d’amicizia col quale s’erano uniti,
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non venisse giammai macchiato di sangue» finché brillerebbero gli astri nei firmamento e finché l'acqua dei fiumi si verserebbe nel-i’Oceano.
Secondo la regola dei Quackeri, questo trattato solenne non fu confermato da alcun giuramento, ma, come è stato notato da Voltaire (t), questo trattato che nessuno aveva giurato di osservare, è stato l'unico al mondo che non sia mai stato violato...
* * *
Durante tutto il xix secolo, la propaganda pacifista è stata, quasi senza eccezioni, l’opera quasi esclusiva di Società a base religiosa e specialmente della Peace Society di Londra i cui statuti esigono dai loro aderenti la firma sotto la seguente professione di fede : « Io credo che ogni guerra sia contraria agli insegnamenti del Cristo ».
* » «
Allorché nel 1907 la II Conferenza della Pace si radunò all'Aja, le Chiese vi fecero udire la loro voce. Il presidente Nelidow ricevette una delegazione che si presentava col titolo di Deputazione delle Chiese e che rappresentava, difatti, la grande maggioranza del mondo cristiano. Essa consegnò al presidente un «Appello delle Chiese nell’interesse della Pace*.
Il presidente accolse cortesemente lo scritto; ma in termini molto diplomatici volle osservare eh'erano 2000 anni circa che la dottrina cristiana veniva predicata nel mondo e che tuttavia s’era dovuto attendere sino al 1S99 per veder radunata la prima conferenza della Pace. Durante 19 secoli le Chiese avevano rivolto tutti i loro sforzi per sviluppare i sentimenti della carità, senza pronunziarsi dogmaticamente sulla questione della pace. Non conviene forse oggi ch’esse diano prova di pazienza lasciando ai Governi qualche anno di respiro per realizzare un voto ch’esse hanno impiegato tanto tempo a formulare? L’obiezione pareva speciosa, ma dimostrava una grave ignoranza dei fatti più certi, giacché tutta la storia dei Concili, tutto il piano politico di Carlo Magno, la struttura stessa del Sacro Romano Impero, l’istituzione della Tregua di Dio e degli arbitrati pontifici e la elaborazione del diritto delle genti fatta dai migliori pensatori cristiani, sonò la prova del
(i) Dictiounaire ¿kilosopkique, al vocabolo Quaker.
lungo sforzo tentato dal Cristianesimo per far regnare, nonostante le passioni umane, una pace definitiva nel mondo.
Durante quella 2* Conferenza per la Pace, in occasione della posa della prima pietra del palazzo regalato dal Carnegie, il conte Nelidow nel suo discorso disse tra l’altro: <11 culto della Pace è stato predicato, or sono 19 secoli, dai Divino Redentore, al tempo stesso che l’amore del prossimo, la carità e la fratellanza ; ma di tutti i precetti sublimi che riassumono le aspirazioni più elevate dell’anima umana, è l’idea della pace quella ch’è stata maggiormente negletta. Facciamo voti perchè questo culto si propaghi vieppiù, fra i Governi e fra i popoli ».
Il delegato del Portogallo disse: «... La massima cristiana: Non fare agli altri quel che non vorresti che fosse fatto a te, detterà ai Governi, nella maggior parte dei casi, la loro attitudine».
Il delegato della Repubblica Argentina, facendo allusione nel suo discorso di chiusura, al progetto dello Stead in favore d’un pellegrinaggio mondiale della pace, disse: «Fra gli apostoli e i pellegrini della nuova dottrina ve ne sono già che guardano verso il Nuovo Mondo. Questa terra è generosa e fertile per far germogliare tutte le buone semenze. Li riceveremo col cuore aperto e faremo loro vedere che anche noi abbiamo i nostri altari, là, sulla massima altura della Cordigliera delle Ande, dove abbiamo scolpito, insieme col Chili, l’imagine del Cristo Redentore ispirante la concordia degli uomini e dei popoli ».
Questa imagine del Cristo delle Ande ricordata dal delegato argentino simboleggia molto bene l’azione che P influsso cristiano può esercitare tra due popoli disuniti. Da settant’anni il Chili e la Repubblica Argentina erano in lite fra loro con continua minaccia d’uno scoppio della guerra, quando monsignor Benaventi, vescovo di Cuyo, propose nel 1900 l’erezione di una statua del Cristo sul punto contrastato della comune frontiera.
L’idea che dapprima non ebbe seguito venne ripresa qualche tempo dopo da monsignor Lara, vescovo di Ancud. Di comune accordo gli avversari scelsero allora iì re Edoardo VII per arbitro, concludendo tra di loro per sei anni, una convenzione di disarmo parziale sulle seguenti basi:
Nessuno dei due Stati aumenterà, durante questo periodo di tempo, le proprie spese navali, due corazzate saranno soppresse da en-
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trambe le parti e ciascuno venderà gli edifici di guerra in costruzione. Per suggellare questo accordo fu data il 21 maggio 1903 una splendida festa nautica cui parteciparono tremila navi.
Sir Thomas Holdich, che rappresentava E-doardo VII alla festa, ricevette una delegazione di cileni e argentini che gli rivolsero queste parole : « Noi ci poniamo nelle vostre mani, chiudendo gli occhi a qualsiasi pensiero basso e gretto, e preghiamo Dio di permetterci di aprirli davanti all’orizzonte luminoso di una pace onorevole». La colossale statua del Cristo, dominante sul territorio dei due popoli cosi riconciliati, fu inaugurata nel marzo del 1904. Essa era stata fusa nel bronzo di antichi cannoni spagnoli e le spese che ammontarono a 500,000 lire, furono coperte da una sottoscrizione popolare. La storia narra che per innalzarla su) punto culminante delie Ande si ricorse dapprima alla forza dei muli e che, quando il pendio divenne troppo ripido per questi, degli uomini, pieni di zelo, afferrarono le corde e trascinarono con fatica la statua sino al posto. Una moltitudine fervente aveva trascorsa la notte sulla montagna per assistere alla cerimonia, la quale si svolse con ogni solennità. Quando venne scoperto il monumento due eloquenti iscrizioni apparvero sulla base: da un lato l’eterna promessa della notte di Natale : « Pace sulla terra agli uomini di buona volontà »; dall’altro la formula di un vero giuramento : « Queste montagne cadranno in polvere prima che gli argentini e i cileni rompano la pace elle hanno giurato di mantenere ai piedi di Cristo nostro Redentore».
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LETTERE DI UN CRISTIANO-SOCIALE
Riservandoci di parlare più estesamente del Pastore Tommy FallotcIic ha onorato il Protestantesimo Francese con la sua vita ispirata alla più decisa coerenza cristiana, con la sua. predicazione di profeta e di apostolo e coi suoi scritti che continuano ad esercitare un’efficace influsso suìle Chiese francesi nella direzione d’un cristianesimo sociale profondamente mistico e fortemente pratico, dopo aver riprodotto nel fascicolo V di quest’anno alcune pagine del suo bel volume L’Action botine, diamo qui alcuni suoi pensieri che spigoliamo dalle belle lettere inedite che Paul Doumergue ha pubblicato nei fascicoli 11-14 della sua rivista Foi et vie.
11 Vangelo secondo Gesù Cristo.
«... Noi crediamo, lei ed io, che per quanto prezioso sia il Vangelo secondo san Paolo, giacché è in esso che le anime trovano il primo segreto della liberazione, c’è un Vangelo che bisogna una buona volta cominciare a leggere e a praticare, è il Vangelo secondo Gesù Cristo.
Non dico i sinottici, ma un Vangelo che ne tenga largo conto. Lei ed io crediamo che la predicazione del Regno di Dio stilla terra — ch’è in somma l’affermazione terrestre del fatto centrale dell’incarnazione — deve ritrovare il posto eh’essa ha perduto da secoli e che non ha ritrovato dopo Lutero.
E come traduzione concreta di questa convinzione abbiamo, lei ed io, un concetto della pietà assolutamente opposto a quel concetto commovente ma piuttosto buddistico le cui bricciole alimentano ancora la vita di quasi tutta la nostra letteratura popolare religiosa... ».
Il valore dell’indivìduo.
«... La nostra vita terrestre ha dei diritti, il nostro corpo stesso ha dei diritti, la società è qualche cosa... sì, ma se in virtù di questa legge d’inerzia alla quale è così difficile sottrarsi, noi ci lasciamo trascinare al di là del limite, noi finiamo per cospirare col visibile contro l'invisibile, arriviamo a dimenticare il valore dell’individuo— questa cellula sociale il cui vigore soltanto crea il vigore della società — dimenticheremo l’Eterno per seppellirci nell’effimero... ed una volta di più si realizzerà il detto: propler vilam, vivendi perdere causas... ».
«... Non è recando una nuova dottrina che dia meno importanza alla salvezza individuale, che noi riusciremo, ma è predicando una concezione più potente e più completa della salvezza individuale che faremo saltare in pezzi la vecchia concezione; ma è specialmente col dare nella nostra vita personale un posto più grande alla pietà intima e intensa che recheremo con noi delle certezze di cui gli uomini s’impadroniranno.
L’individuo non può comprendere le bellezze della società nuova secondo Gesù Cristo, se non divenendo una individualità abbastanza potente per portare virtualmente in sè questa società nuova. La semenza delle società rinnovate saranno gl’ individui più fortemente costituiti in Dio, cioè più individuali.
I veri eroi del visibile sono i servitori del-l’invisibile. Bisogna aver vinto Dio prima di vincere gli uomini. In una parola il segreto
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d’ogni vittoria in un campo qualunque, non s’acquista se non col prendere risolutamente posizione nel campo superiore. Per amare, bisogna cominciare col credere.
Non vi sarà rivoluzione terrestre decisiva all’infuori di quella che sarà stata preparata da uomini il cui pensiero penetra nel cielo e che agiscono quaggiù mediante le forze dell’alto. Cerchiamo vieppiù di divenire uomini di preghiera e uomini di fede che il compito attuale e provvidenziale lancia nella preoccupazione delle cose visibili e nel turbine de l’effimero... ».
{Dalla lettera in Aita 4 marzo iSgt).
Come parlare di religione ai giovani.
«... Vernano al soggetto importante : Conferenze religiose pei giovani.
Ella desidera le mie idee in proposito : eccole come ho potuto raccoglierle in una notte d’insonnia.
Non conosco lavoro più difficile, ma più necessario e più fecondo.
La religione appropriata ai bisogni dei nostri giovani.
Ella non vi riuscirà se non vi metterà molta arditezza. Occorre avere il coraggio di dire: — E’ ai giovani ch’io mi rivolgo — e d’imporre silenzio alle altre categorie. Ella farà bene di escludere le donne che sarebbero scandalizzate da tutto, dal metodo come dal contenuto.
i° Metodo-, quello della libertà; quello dell’autorità non fa più presa. Parli come un fratello maggiore a fratelli minori ; come un fratello che ha fatte certe esperienze che vuol facilitare ai più giovani.
Tener conto dei bisogni dei giovani.
La noia li fa fuggire ; il pietismo di stile vecchio ha lo stesso effetto ; le astrazioni anche.
Occorre loro qualcosa di virile, la giovinezza è l’età eroica. Una religione eroica, ecco il loro sogno incosciente.
Ricostituire una cavalleria cristiana. Sentimenti e onore. Grande ideale.
Mostrar loro nel Vangelo il segreto della virilità. Il cristiano è Puomo più uomo..Predicar loro la purezza positiva, \* purezza ch’è rispetto di se stesso, la purezza che è rispetto della donna, la purezza che è fonte dell’amore vero, la purezza ch’è condizione d’un grande ideale.
2® Contenuto. Al giovane piace il concreto. L’astrazione lo spaventa.
Non conosco nulla di più eroico e altresì
di più concreto della Buona notizia del Regno di Dio che si stabilisce sulla terra.
11 Paolinismo è la liberazione delle anime affaticate; ma il Paolinismo non è compreso dal giovane. Per agire su di lui bisogna ricorrere ai sinottici, mostrargli la divinità di Gesù Cristo mettendo in evidenza la pienezza della sua umanità.
Un Vangelo umano che risponde al bisogno d’ideale: la vita restaurata.
Un Vangelo che risponde ai bisogni compiessi di attività.
Predicare il regno di Dio sulla terra, per far entrare Dio in tutti i campi dell’attività umana e farlo uscire dalle sacrestie.
Non v’ha questione pratica che non possa trattarsi così nel modo più naturale.
Tutte le questioni che riguardano:
a) il lavoro e l’industria;
b) l’arte ;
c) la scienza;
d) la conquista della terra.
Tutte queste questioni si ricollegano direttamente alla venuta concreta del regnodi Dio...
... Un’esperienza lunga e concludente mi permette d’affermare ch’è questa predicazione sola che ricondurrà al Cristo la nostra gioventù intelligente.
Secondo il mio metodo, bisogna farla finita con la vecchia predica : bisogna prendere un testo nella vita reale, un soggetto concreto, e poi farvi entrare direttamente Gesù Cristo, il Re della terra, il Re dell’umanità, il Principe d’ogni progresso...
... Per me personalmente ho bisogno di san Paolo, ho bisogno di san Giovanni, ma a 19 anni, quello di cui avrei avuto bisogno prima di tutto, era l'appello dei sinottici : Io ti farò pescatore d’uomini pel servizio della più santa causa terrestre, quella del regno di Dio.
Legga il Padre Gratry, i Commentari di san Matteo. A 20 anni quest’uomo m’ha afferrato. Come teologo è infantile; come filosofia sociale, c’è spesso del maraviglioso. Il sentimento del Regno di Dio, la pietà sociale, la pietà collettiva vi ispira ogni cosa.
Da noi... siamo imprigionati nelle esigenze (talvolta assai egoiste) della pietà individuale.
Bisogna spezzare questo cerchio di bronzo.
La più pia delle mie parrocchiane — vecchio stile — mi ripeteva sempre: “ Mi parli dei miei peccati, mi dica ch’io sono una miserabile peccatrice; non voglio sapere altro”. Che di più morboso e di più ingenuamente egoistico ? ».
{Dalla lettera in data rj nffvemère /Sg/}.
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Per la pietà intensiva.
< Legga e inediti Romani VI : tutto è li, per quelli che aspirano alla libertà reale, concreta. Morire con Lui per risuscitare con Lui.
Più m’avanzo e più mi persuado che il comprendere la Rivelazione è cosa meno complicata di quel che diciamo. Se la complichiamo tanto gli è perchè rifacciamo sempre quell’errore di metodo che fu l’errore dell’uomo primitivo.
Vogliamo mangiare direttamente i frutti della conoscenza sistematica, prima di assaggiare i frutti dell’albero della vita. Ora il piano divino — che la S. Scrittura illustra in mille modi — è questo :
Vivere — per conoscere.
Vivere = conoscenza implicita.
La conoscenza implicita deve precedere la conoscenza esplicita.
Nella vita — dice san Giovanni — era la Luce.
Vivendo, diventiamo luminosi ed illuminiamo i nostri fratelli.
Cerchiamo prima di tutto la pietà intensiva. Per fare, sforziamoci di essere. E, per essere, andiamo dritti alla sorgente prendendo il sentiero retto, la via del rinunziamento, della morte (il che non implica affatto l’abdicazione dei pensiero : anzi. I sacrifizi coscenti — i soli che valgano — sono intelligenti... ».
Il culto di Gesù Cristo.
«... Sto leggendo con molto profitto le Lettere di I^acordaire ai giovani, pubblicate dall’abbate Perreyve (1884), e rileggo anche di Lacordaire la Lettera ad un giovane sulla vita cristiana (1889. 84 ed.).
Ciò che mi fa tanto bene in queste pagine, piene d’idee che non posso accettare, è la devozione alla persona del Cristo.
Ecco, caro amico, tutto è lì e ciò semplifica tutto : Il cullo di Gesù Cristo, secondo l’espressione di Lacordaire che accetto con tutte le conseguenze.
Il culto di Gesù Cristo, è la realtà santa:
tutto il resto non è che modi e mezzi. Stabilire il culto di Gesù Cristo, là dove è ignorato, stabilirlo là dove non esiste più, consolidarlo e purificarlo là dove è praticato, ecco, mi pare il solo programma degno di tutta la nostra consacrazione.
Ma per rizzare l’altare del Cristo in mezzo al mondo che gli diviene estraneo, facciamo della nostra esistenza un santuario, della nostra anima un altare, della nostra volontà l’offerta santa, o meglio ogni giorno santificata. (Romani VI : La carta del servizio efficace)... ».
(Dalla Mitra del 14 marzo 1893}.
COBNOBIUM.
Sommario del 670 volume: G. Desdevises du Desert: Conscience nouvelte — Amedeo Gazzolo: La storicità di Gesù — R. P. Scera : Hors du cercle des Evangiles — Fr. Bielle : Religione e Morale — M. Charvoz : Les grandes Religione : Le Mahométisme — Marcel Hé-bert : Note sur le Fidéisme — Nel vasto Mondo: Clod : La psicologia della conversione; Sulle cause e sui caratteri del sonno — Pagine da meditare : H. Bergson : A propos de l’au de là; Angelo Conti : Sul fiume del tempo — Guerra alla guerra: Seminalo il vento... Discorsi di Elia Musatti, Ed. Giretti, A. Valdarnini — Per l’idealità della pace— Note d’arte: Augusto Calabi: Contrasto tra le teoriche e le espressioni artistiche — Note d’arte drammatica : Cesare Lodovici : Z teatri all'aperto — Rassegna bibliografica: B. B. Piini, Angelo Crespi, D. Aschenbrodel, ecc. — Rivista delle Riviste : La Religione come forza sociale; Rivelazione e sistemi teologici; La morte utile; te Chiese istituzionali; Igiene sociale; Opposte tendenze nella Chiesa anglicana; La situazione religiosa in Germania; Misticismo e logica; Posi-Modernismo ; Il significalo della morte — Tribuna del Coenobium : C. Acca-sana, A. Calabi, A. Crespi — Note a fascio.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma. Tipografia dell'Unione Editrice, via Federico Cesi, 45
71
LIBRERIA EDITRICE “ blLYCHNLS ,,
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BERGSON
LE ROY EDOUARD, Uno philosophic nóu-velle : Henri Bergson. 1913.3» ed. Voi. in-16. L. 2.85.
Ottima guida come introduzione allò studio del pensiero del Bergson. Riconosciuto tale dal B. stesso.
OLGIATI, La Filosofia di Bergson. Fratelli Bocca Editori, 1914- L. 4.
MICHELE LOSACCO, Razionalismo e intuizionismo. Due Intuizionisti : Bergson e Schmitt (Estratto dalla Cultura Contempo-ranca). L. 1 per L. 0.60.
N. SÖDERBLOM
Le Religioni del Mondo. Trad., introd. e appendice del Dott. Aschenbrödel. L. 1.25 per L. 1.
OPERE DI GASTON FROMMEL
La vérité humaine . . . . L. 4-5<>
Etudes de théologie moderne. • L. 4.50 Etudes littéraires et morales . . L. 3 75 Etudes morales et religieuses. . L. 3.75 Etudes religieuses et sociales ... L. 3.75
OPERE DI CARLO WAGNER Prcd ica tore a Parigi.
La vie simple. In-16, 12® édition.. L. 3-7SL’âme dès choses, In-12, 4* édition 1913.
L. 3-75A travers les choses et les hommes. Pour apprendre à vivre. L. 3.75.
A travers le prisme du temps. In-12, 1912.
L. 3.75.
Auprès du foyer, ln-12, 6® édition. L. 3.75. Ce qu’il faudra toujours. In-12, 1911. L. 3.75.
Discours religieux. 2 vol. in-12,1912, cia'sCun'o.' L- I’25,
En écoutant le Maître. Discours religieux, in-12, 1910. L. 1.20.
Par la loi vers la liberté, ln-12, y' édition.
L. 2.25.
L’évangile et la vie. Sermons, in-12 6e édition. L. 3*75« : .
Jeunesse. In-12, 32® édition, (opera premiata dall’Accademia francese).' L., 3.75. .
Justice. Huit discours, in-12, ¡85 édittop, 19074 i<<( L> 3‘75‘
N’oublie pas. Discours religieux, in-16, 1913.
ï..' 1.20.
Pour les petits et les grands1. Causeries sur la vie et la manière de s’en, servir, (Opera premiata dall’ Accademia délié Scienze mirali e politiche di Parigi), in-12 4« édition, 1911. L. 3.75.
Sois un homme. Simples causeries sur la conduite dé la vie, in-12, 4® édition. LLr.’sò.
Vaillance. (Opera premiata dal Ministero dell’istruzione Pubblica di Francia), in-12, 22® édition. L.'3-75OPERE DI WILFRED MONOD Predicatore a Parigi.
11 a souffert, ou là soufranCe humaine éclairée par Jésus-Christ. Six méditations. L. 2.25.
Il vit Six méditations. L. 3.75.
Il regnerà. Dix tableaux de la gloire de Jésus Christ. L. 3.75. ’•
Sur la terre. Sermons. L.* 3.75.
L’Evangile du Royaume. Sermons'. L. 3.75.
Vers la justice. Sermons. L. 3.75.
Le problème de la .mort. Cinq méditations.
L. 2.25.
Certitudes. Sermons. L. 3.75.
72
Il
BILYCHNIS. FASCICOLO DI AGOSTO 1914
Délivrances. Sermons. JL. 3.75«
Aux Croyants et aux athées. L. 3-75-Libre-penscurs et penseurs libres. Conférence. L. 1.20.
Peut-on rester chrétiens? Trois conférences.
L: x-65’
Venez à moi! Manuel élémentaire d’instruction religieuse. L. 0.60.
Que ton règne vienne. Essai de catéchisme chrétien en 29 leçons, avec 3 cartes, 294 sujets de rédaction ou d’études bibliques et l' indication de morceaux choisis de F Ecriture Sainte. L. 1.15.
La fin du Christianisme. Trois conférences.
L. 2.25.
Silence et prière. Simples.méditations matinales pour chaque jour du mois. L. 2.25.
Prière et silence. 2® serie de Silence et prière. Simples méditations matinales pour chaque jour du mois. L. 2.25.
GIORGIO TYRRELL
Medioevalismo. Pag. 250. L. 2.50 per L. 1.50.
Da Dio o dagli uomini? L. 1 per L. 0.50. Lettera confidenziale ad un Professore d’antropologia. L. 0.60 per L. 0.30.
I tre volumi complessivamente L. 2.10.
Le Christianisme à la croisée des chemins («11 Cristianesimo al bivio»). Ottima traduzione dall’inglese in francese. Paris, 1911. Pag- 338. Prezzo L. 3.50.
Suis-je Catholique? (« Medioevalismo»). Examen de conscience d’un Moderniste. Paris, 1908. Pag. 260. Prezzo L. 3.50.
• ■ • zlf
CRISTIANESIMO SOCIALE
W. RAUSCHENBUSCH, Prières du réveil social. L. 2.75. •'
Espériences sociales (Conférences). L. 3.80.
GESÙ
ALEX WESTPHAL, Jésus de Nàzaret d’après les témoins de sa vie. 1914. 2 grossi volumi. L. 14.
H. MONNIER, La mission historique de Jésus. 1914. Grosso vol. di pag. 380, L. 8.
C. G. MONTEFIÓRE, ’ Gesù di Nazareth nel pensiero ebraico contemporaneo. 1913. Pag. 152. Prezzo L. 2.50.
OPERE DI A. HOUTIN A PREZZO RIDOTTO
La question biblique au XXe siècle. 1906. In-8, p. 337. Prezzo L. 4 per L. 2.50.
La Crise du Clergé. 1908. In-12, pag. 332. Prezzo, L. 3.50 per là. 2.
Evêques et Diocèses. 1908-1909. In-12. 2 volumi. Complessivamente L. 3.25 per L. 2.10.
L’Américanisme.,1903' In-i2,pag. 497- L. 3.50 per L. 2.
Un dernier Gallican. Henri Bernier, chanoine d’Angers ( 1795'’859). 1904. In-S, p. 482. L. 6 per L. 3.25.
Un Prêtre marié. Charles Perraud, chanoine honoraire d’Autun (1831-1892). 1908. In-12, pag. 135. L. 1.25.
Autour d’un Prêtre marié. Vol. in-12 di pag. xnv-405. Prezzo L. 4 pér L. 3.
Histoire du Modernisme catholique. 1913. Pag. 458- L. 5 per L. 3.25.
OPERE Di MARCEL HÉBERT
■ Le pragmatisme. Étude de ses diverses formes anglo-américaines, françaises, italiennes et de sa valeur religieuse. 2° ed. avec la réponse de W. James. Paris, 1909. Pag. 168. L. 2.50.
■ La forme idéaliste du Sentiment Reli-Sieux. Deux ’ exemples : St Augustin et St ïançois de Sales. Paris, 1909. Pag. x6o.
L. 2.50.
■Jeanne d’Arc a-t-elle abjuré? Étude critique précédée de Jeanne d’Arc et ses voix et Jeanne d’Arc et lès'Fées. Paris, 19x4. Pag. 154. L. 2.50.
PREDICHE
CHARLES WAGNER, Le bon Samaritain (cinq sermons). In-12, adorno di 5 riproduzioni di quadri del Rembrandt. L. 3.
NUOVO TESTAMENTO
Prof. ENRICO BOSIO, Le prime Epistole di S. Paolo. I e II ai Tessàlonicesi ed-Epistola ai Galati. Traduzione e Commento. Firenze, Libreria Claudiana, 1914. Volume in-8° di pagine. 170. Prezzo L. 4. rilegato in tela e oro L. 5.
CHIESA E STATO
A. GIOBBIO, Chiesa e Stato nei primi secoli del Cristianesimo. Milano, 1914. Prèzzo L. 5.50.
73
B1LYCHN1S. FASCICOLO DI AGOSTO 1914
II!
A. C. J EMOLO, Stato e Chiesa negli scrittori italiani del Seicento, e Settecènto. Voi. in-16, pag. 320. L. io.
ANDRÉ MÀTER, La Politique Religieuse de la République Française. Paris, 1909. Pag. 42S. L. 4Les Textes de la Politique Française en matière ecclésiastique. Paris, I9°9- Pagine I84. L. ,2.
RIFORMA
GIOVANNI JALLA, Storia della Riforma in Piemonte fino alla morte di Emanuele Filiberto (1517-1580). Firenze, Libr. Claudiana.
1914- Grosso volume di pag. 400, con 19 illustrazioni fuori testo. Prezzo L. 5.
(OCCASIONE FAVOREVOLE
A. DE STEFANO, La Noble Leçon des Vaudois du Piémont. Edition critique avec introduction etglossaire. Paris, 1909. Prezzo L. 5 per L. 3.
Sommario : Le poème. - Manuscrits et éditions. - Versification et langue. - La doctrine - La date - Le texte - Glossaire.
PROFILI
BONTEMPELLI, S. Bernardino da Siena. Li i.
ALESS. D’ANCONA, Jacppone da Todi, il giullare di Dio del Secolo XIII. L. 2.
A. OLIVET, L’Amiral Coligny. Pag. 190, con il illustrazioni. L. 2.75.
Biografia popolare d’una delle più nobili figure dei Protestantesimo e della Storia di Francia.
DORA MELEGARL Les victorieuses. (Ames et visages de Femmes: Ste Catherine de Sienne. — Christine de Pisan. — Isabelle d’Este. — Françoise d’Aubigné. — Marie-Thérèse. — Juliette Récamier. — Florence Nightingale. — Helen Keller). In-ï6 con 8 ritratti. L, 4,50..
MARC BOEGNER, La vie et la pensée de T. Fallot (La préparation 1844-1872). In-8, con 4 ritratti. L. 8.50.
STORIA DELLE RELIGIONI
JEVONS-PESTALOZZA, L’idea di Dio nelle religioni primitive. Milano, Hoepli, 1914-Voi. di pag. 178. Prezzo L. 2 (rilegato).
Sommario: Prefazioni dell’autore. - Avvertenza del traduttore. - Bibliografia. - I. In
troduzione. - II. L’Idea di Dio nella Mitologia. - III. L’Idea di Dio nel Culto. -IV. L’Idea di Dio nella Preghiera. - V. L’Idea e l’Essere di Dio.
FILOSOFIA
G. PAPI NI-, Sul pragmatismo. L. 2.50.
M. DE UNAMUNO, Del sentimento tragico della Vita. L. 2.50.
G. FERRARI, La mente di G. D. Roma-gnosi. E’. 2.'5Ó;' :
A. CARLINI, Avviamento allo studio della filosofia. L. 1.
PAOLO ORANO, La rinascenza dell’anima.
Bari, Casa Ed. « Humanitas», 1914. Volume di pag. 230. Prezzo L. 2,50.
I primi quattro capitoli di quésto libro (L’attimo risolutivo — L’illusione scientifica — Monismo e panteismo — Dio nella Scienza) sono ben noti ai lettori della nostra Rivista, ch’ebbe il piacere di pubblicarli parte nel 1912 e parte nello scorso anno. A quelli l’Orano ne ha aggiunti altri quattro che compaiono per la prima volta in questo volume. Di essi diamo qui il sommario particolareggiato. Essi sono :
V. Dio nella coscienza. — VI. L’anima «pazza». — VII. La morte. — Vili. Anima e società.
CAMILLO 'PRIVERÒ, Nuova critica della
Morale Kantiana in relazione colla teoria dei bisogni. Torino, Bocca, 1914- Pag- 308. Prezzò L. 8.
E. P. LAMANNA, La religione nella vita dello spirito, Firenze, £« Cultura Filosofica Ed., 19x4. Voi, di pag. 500. L. 7.
G. RENSI, La Trascendenza. Studio sul problema morale. L. 5.
F. NIETZSCHE, Contro Wagner. Prezzo L. 1.50.
MORALE
Morale religieuse et Morale laTque. Lecons faites à l’Ecole des Hautes Etudes sociales. ln-8, p. 271, rilegato. L. 7.
UBERO PENSIERO
L. DUGAS, Penseurs libres et Liberté de Pensée. L. 2.80.
(E* una rivendicazione dei diritti dell’ individuo in tutti gli ordini dei sentimento e del pensiero).
74
IV
BILYCHN1S. FASCÌCOLO DI AGOSTO 1914
LE RAGIONI DEI NON CREDENTI
PIETRO SACCHE Perchè abbandonai la Religione. Il legame tra la Morale e la Felicità (spiegazioni filosofiche di un Dilettante a’ suoi Figli). Pag. 344- L. 3.
E. BERNARD-LERQY„Confession d'un in-croyant(Dpcumentpsycologique). Pag. 100. L‘. -' -•‘.l'AJ
TEOSOFIA
C. W. LÈÀDBEATÈR, Manuale di Teosofia. L/a.
PEDAGOGIA
Dqtt.,GIOVANNI FRANCESCHINI, Igiene sessuale, ad uso dei giovani e delle scuole^ Milano, Hoepli, 1913. Voi. di pagine 192. Prezzo L. 2 (rilegato).
Sommario: I. La educazione sessuale. -li. La riproduzione della specie. Fisiologia ed igiene sessuale femminile. - HI. La riproduzione della specie. Fisiologia ed igiene sessuale maschile. - IV. L’etica sessuale. - V. La patologia sessuale. - VI. Per sè e perla prole. - VII. Educazione sessuale ed ambiente. -Vili. La igiene del sentimento.
A. HOFFMANN, Il libro de le madri (Versione italiana di Maria Gandolfo). Padova, Società editrice « In cammino », 1913. Elegantissimo volume di pag. 180. Prezzo L. 3.
LETTERATURA
EDUARDO TAGLI ALATELA, La poesia di Rabindranath Tagore. Roma, 1914. Pagine 74- L. 1.
Interessantissimo saggio sull’opera del poeta idealista indiano cui fu conferito l’anno scorso il premio Nobel per la letteratura.
EDUARDO TAGLIALATELA, Dante Gabriele Rossetti. Rosa Maria. - La Nave Bianca. - La tragedia dei Re. - Dante a Verona. - (Studio è versione). Roma, 1914'. Pag. 150. L. 2.50.
VARIA
Prof. E. REPOSSI, L’origine della terra. L. 1.50 (rilegato).
ARNALDO CERVESATO, Formazioni, Bari, Casa Ed. « Humanitas », 1914. Volume di pag. 260. Prezzò L. 3.
P. SAINTYVES, Les Vierges Mères et les Naissances Miraculeuses. Essai de mytho-logiecomparée. Paris, 1908. Pag. 280. L.3.50.
J.; FRANÇAIS, L’Église et la Sorcellerie. Précis historique suivi des documents officiels, des Textes principaux et d’un Procès inédit. Paris, 1911. Pag. 272.. L. 3.50.
V. HENRY, La Magie dans l'Inde Antique. Paris, 1911. Pag. 286. L.. 3.50.
Les Fiches Pontificales de Monsignor Mon-tagnini. Paris, 1908. Pagi 236. L. 3.50.
KANSO. OUTCHIMOURA
La crise d’âme d’un Japonais
COMMENT JE SUIS DEVENU CHRÉTIEN?
Pagine 220
L. 3 (Aggiungere per il porto 0.25).
Vedi recensione di questo interessantissimo libro in Bilychnis di febbraio 1914, pag. 153
SALVATORE MINOCCHI
IL PANTEON
ORIGINI DEL CRISTIANESIMO
Grosso volume di pag. 40S L. 6 franco di porto.
ìndice: Parte prima: Il Tempio: I Profeti — La legge — La costituzione teocratica — — Misteri delPOriente — Ellenismo — Giudaismo —- La pienezza dei tempi.
•Parte seconda: Il Cristo :, Dalla legge al Vangelo — Dal mito alla storia — L’ammonitore (Giovanni Battista) — Il Profeta — La fine.
LA VOCE
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77
BILYCHNI
RIVISTA MENSILE ILLUSTRATA
DI STUDI RELIGIOSI ® ® ®
VOLUME ni.
ANNO 1914 - I. SEMESTRE
(Gennaio-Giugno. Fascicoli I-Vl)
ROMA
VIA CRESCENZIO, 2
78
_________________ ’ ----------------------------
79
INDICE PER RUBRICHE
INDICE DEGLI ARTICOLI.
Aschenbrödel : « Boanerges » o i Gemelli celesti, p. 5, 173.
Costa Giovanni : Critica e Tradizione. Osservazioni sulla Politica e sulla Religione di Costantino, p. $5.
De Stefano Antonino : Le due riforme - Giovanni Calvino e Sebastiano Castiglione, pagina 165.
Lesca Giuseppe : Sensi e pensieri religiosi nella poesia di Arturo Graf, p. 245, 394Lover John : Religione e Chiesa, p. X13.
Müller Alphons Victor : Agostino Favaroni, generale degli Agostiniani, e la Teologia di Lutero, p. 373.
Munì Romolo: Religione e Politica. Lettere a un liberista e a un socialista ufficiale, p. 24.
Id.: Nazionalismo e Cattolicismo, p. 184.
Id.: Estrema Destra, p. 269.
Id.: La politica ecclesiastica della Destra, pagina 400.
Pioli Giovanni : « Fede ed immortalità » nelle opere inedite di Giorgio Tyrrell, p. 309,388.
P. L.: Religione ed arte. Il nuovo Tempio Valdese a Roma, p. 16.
Pons Silvio P.: Il pensiero politico e sociale del Pascal, p. 192.
Id.: Voltaire giudice dei « Pensieri » del Pascal, p. 3x7.
Rosazza Mario: Fedi crepuscolari, p. 327.
Rossi Mario: Il Giudaismo liberale e Gesù, p. 261.
Rostan C.: Le idee religiose di Pindaro, pagine 106.
Rutili Ernesto : Vitalità e vita religiosa nel Cattolicismo, p. 31.
Sawyer Roland P.: La Sociologia di Gesù. Gesù e lo Stato, p. xx.
PER LA CULTURA DELL’ANIMA. Conferenze - Prediche - Sermoni.
Adami G.: Cambiavalute e Banchieri, p. 132.
Delio Antonio : La rivelazione di Gesù è luce o tenebra? conforto o umiliazione?, p. 284.
Duperrut Frank : Cristianesimo : religione spirituale (Pensieri), p. 338.
Fallot T.: L’azione buona di Gesù, p. 413.
Funk Philipp: Pasqua, p. 201.
Giran Etienne: Vivere, in pace!, p. 126.
Loyson p. Giacinto: La riforma della famiglia, p. 212.
Monod Wilfred : Una domanda attuale, p. 48.
P. G.: L’esperienza del mistero religioso, p. 56.
Quiévreux A. : Il problema del Cristo, p. 203.
Redazione: Dalle prediche all’arte!, p. 45.
Rendei Harris: La liturgia dell’allodola (Liturgia della primavera), p. 278.
Rossi M.: I tre «Misteri» cristiani di Wood-brooke, p. 275.
Stapfer Edmond: La fede, p. 335.
Tagliatetela Alfredo : Pensando alte « Gioconda», p. 59.
Id.: Una virtù che se ne va, p. 407.
Pagine sedie.
Beecher H. W.: L’oratoria, p. 220.
Deismann: Anatolia, p. 2x8.
De Sanctis Francesco : Il libro divino, p. 63.
Kamm Adele: Felici nelle afflizioni, p. 287, 341Keller E.: Fede nell’amore, p. 62.
Lhotzky H.: La vera educazione, p. 137.
Minocchi Salvatore: Tèrra Santa, p. 414-
80
IV
BILYCHNIS
Montefiore C. G.: Gesù e la donna, p. 289.
Schubert Ernst: Predicazione e Politica, pagina 135.
Sbderblom Nathan : Il mondo della Religione, P« 343Preghiere.
Oberlin G. F.: Preghiera di consacrazione, p. 140.
Rauschenbusch : Preghiera della sera, p. 63.
Tagore Rabindranath : Preghiera, p. 344.
Wagner C.: Preghiera. Dio della lodolai, pagine 220.
NOTE E COMMENTI.
Billia M.: Il mistero dell’educazione, p. 419.
Ferrando Guido : Alcuni aspetti della coscienza religiosa contemporanea, p. 417.
Ghignoni P.: Giuro sul mio onore, p. 415.
Rutili Ernesto : Lemire, p. 143Id.: F. De Pressense, p. 223.
Sbderblom Nathan, arcivescovo di Upsala, P- 417.
Vaccari Antonio: La Civiltà Cattolica denunzia!..., p. 345.
***: L’eterno conflitto; sacerdozio e profetismo, p. 223.
***: Reazione alla reazione : i gesuiti avanzano liberaleggiando, p. 290.
VOCI E DOCUMENTI.
Mastrogiovanni Salvatore: I Protestanti e la Massoneria - A proposito del recente congresso socialista, p. 353.
Pel Congresso di Cristianesimo Sociale, p. 120.
LIBRI E RIVISTE.
Cardauns Hermann: Aus dem Leben eines deutschen Redacteurs (Ernesto Rutili), pagina 430.
Cento Vincenzo : Condizioni morali delie Marche (Ernesto Rutili), p. 431.
Cotugno Raffaele : La sorte di Vico (R. Murri), p. 72.
Della Torre Arnaldo : Il Cristianesimo in Italia dai Filosofisti ai Modernisti (Ernesto Rutili), p. 158.
Falco Mario: La politica ecclesiastica della Destra (R. Murri), p. 400.
Fawkes A. : Studies in Modernism (A. G.), p. 70.
Funk Philipp: Von der Kirche des Geistes (Ernesto Rutili), p. 302.
Gentile Giovanni : Sommario di pedagogia generale (R. Murri), p. 73.
Gill Everette : La scuola della Chiesa (Mario Rossi), p. 66.
Giran Etienne : Sébastien Casteilion et la Ré--forme Calviniste (A. De Stefano), p. 165.
Hébert Marcel: Jeanne d’Arc a-t-elle abjuré? (G. P.), p. 364Heltau Karl: Rom-Not (Ernesto Rutili), pagina 430.
Lodge sir Oliver: Man and Univers (N. H, Shaw), p. 230.
Michieli A. A.: Enrico Stanley (Ernesto Rutili), p. 260.
Missiroli Mario : Là monarchia socialista.
Estrema Destra (R. Murri). p. 269.
Morn Ellick: Sorgi e cammina! (Franco Panza), p. 428.
Müller Wilhelm : Das religiöse Leben in Amerika (Ernesto Rutili), p. 258.
Opuscoli e lettere di Riformatori italiani del 500, a cura di G. Palladino (Ernesto Rutili), p. 74.
Orano P.: I Moderni, p. 235.
Outscimura Kanso: La crise d’àme d’un Ja-ponais, ou Comment je suis devenu chré-tien? (Ernesto Rutili), p. 153.
Palladino G.: Opuscoli e lettere di Riformatori italiani del 500 (Ernesto Rutili), p. 74.
Paschetto Lodovico: Ostia, Colonia Romana (A. S.), p. 432.
Pedagogia e Religione, di Giovanni Gentile, P- 237.
Pelazza A.: Guglielmo Schuppe e la filosofia dell’immanenza, p. 238.
Pey Ordeix Sigismundo : El Padre Mir è Igna-cio de Loyola (Ernesto Rutili), p. 225.
Rauschenbusch Walter : Pour Dieu et pour le Peuple (Giovanni E. Meille), p. 359.
Rivari: La mente ed il carattere di Lutero (A. Fasulo), p. 366.
Saitta Giuseppe: La personalità di Dio e la filosofia dell’immanenza (Ugo Janni), p. 294.
Salvatorelli Luigi: Introduzione bibliografica alla scienza delle religioni (R. Murri), p.73.
Schubert Ernst : Die Evangelische Predigt im Revolutionsjahr 1848 (E. Rutili), p. 71.
Spire André: Quelques juifs (Felice Momigliano), p. 42'1.
81
INDICE
V
Strauss B. F.: L’antica e la nuova Fede (Ernesto Rutili), p. 239.
Tagliatatela Eduardo : il divino nell’educazione (Mario Rossi), p. 64.
Id.: La poesia di Rabindranath Tagore (Mario Rossi), p. 424.
Utscimura Kanso (Vedi Outscimoura K.).
Valloton Paul: La grande aurora (Felice Cac-ciapuoti), p. 67.'
Verso la fede. Scritti di R. Mariano, F. De Sarlo, E. Comba, G. Arbanasich, G. Luzzi, V. Tummolo, A. Crespi (Bernardino Vari-sco), p, 145Vitali Giulio : Tolstoi pedagogista, p. 147.
Westphal Alexandre: Jésus de Nazareth (Felice Cacciapuoti), p. 299.
NOTIZIE.
Pag. 75ILLUSTRAZIONI.
Il nuovo Tempio Valdese a Roma:
I. Veduta del Tempio dal Palazzo di Giustizia.
II. La facciata.
IH. Interno: l’abside.
IV. Navata di destra. Galleria.
V. Pulpito.
VI. Tavola della S. Cena.
(Sei tavole tra le pag. 16 e 17).
Leone Tolstoi, ritratto, p. 149.
Leone Tolstoi tra i fanciulli, p. 150-151.
Kanso Outschimura nel suo studio, p. 155.
Giovanni Calvino e Sebastiano Castiglione, ritratti (tavola tra le pag. 168 e 169).
Le donne al Sepolcro: disegno di Paolo A. Paschetto (tavola tra le pag. 200 e 201).
Sir Oliver Lodge, ritratto, p. 231.
Graf Arturo quarantenne e Graf Arturo negli ultimi anni (due tavole tra le p. 248 e 249).
Lettera autografa di Arturo Graf, p. 255.
L’Allodola. Disegno a p. 278.
Tomba di Giorgio Tyrrell a Storrington (tavola tra le pag. 3x2 e 313).
Biagio Pascal, ritratto (tavola tra le pag. 320 e 321).
Lo Studio di Giorgio Tyrrell (tavola tra le pag. 388 e 389).
La «Rinascenza» cristiana nel secolo xvi : La scoperta della Bibbia (tavola tra le pagine 406 e 407).
82
INDICE GENERALE
Adami G., p. 132.
Allodola (Liturgia della), p. 278. Anarchismo: L’anarchia di Gesù, p. 13. Archeologia : Origine e valore del monogramma costantiniano, p. 88; Ostia, p. 432.
Arte: Religione ed Arte, p. 15 ; Dalle prediche all’Arte, p. 44.
Aschenbrödel, p. 5, 173.
Anima: Per la cultura dell’A.» p. 45.» >26, 201, 275. 335, 4<>7 ; Crisi d’A. di un Giapponese, P- *53Autorità: L’A. «lei vescovi e l’episcopalismo, p. 31 ; L’A. dottrinale della Coscienza, pagina 310.
Banchieri: Cambiavalute e B., p. 132. Baraca (Il movimento), p. 67.
Beecher H. W., p. 220.
Bibbia (La): Il libro divino, 63; La B. come libro di testo per l’insegnamento religioso, p. 65; La scoperta della B. (quadro), pagina 406.
Billia Michelangelo, p. 419.
«Boanerges» o i Gemelli celesti, p. 5, 173;
I Gemelli celesti santi protettori dei fiumi e dei viaggi terrestri, p. 8; Id. protettori del mare, p. 9; Id. venerati come assessori del sole, p. 173 ; Santuari in onore dei Gemelli cedesti, p. 174; L’elemento Diosco-rico fattore attivo dell’Antico e del Nuovo Testamento, p. 176; I Dioscuri pagani sostituiti da altre coppie di Dioscuri cristiani, p. 176.
Cacciapuoti Felice, p. 67, 299.
Calvino Giovanni, p. 165; C. Saboteur tipico della Riforma protestante, p. 166 ; C. e l’appello al braccio secolare in materia di fede, p. 167 ; l’Ecclesiastici sino calvinista, p. 167 ; Serveto vittima di C.: come questi cerca giustificarsi, p. 169.
Cambiavalute: C. e Banchieri, p. 132.
Cardauns Hermann, p. 430.
Castiglione Sebastiano, p. 165 ; C. difensore e salvatore dell’onore della Riforma contro Calvino, p. 171.
Cattolicismo : Vitalità e vita nel C., p. 31; Nazionalismo e C., p. 184; Il C. in Germania, p. 430.
Cento Vincenzo, p. 43’•
Chesterton G. K-, p. 75Chiesa (La) : Deve la C. accogliere la Christian Science?, p. 76; Religione e C., p. 113; Per la spiritualità della C., p. 302.
Christian Science' Deve la Chiesa accogliere la C. S. ?, p. 76.
Congresso (Pel) di Cristianesimo sociale, pagina 120.
Coscienza: L’autorità dottrinale della C., pagina 310; Alcuni aspetti della C. religiosa contemporanea, p. 417.
Costa Giovanni, p. 85.
Costantino imperatore : Osservazioni sulla politica e sulla religione di C., p. 85; Sulla origine e valore del monogramma costantiniano, p. SS; SxxW'istinelu divinilatis del-l’Arco di Costantino, p. 96; C. sincretista monoteistico, p. 101.
Cotugno Raffaele, p. 72.
Cristianesimo: Pel Congresso di C. sociale, p. 120; Il C. in Italia dai Filosofisti ai Modernisti, p. 158; Il C. nel Giappone, p. 153; C. religione spirituale, p. 338; Cristo e lo spirito del C., p. 311. (V. Cristo; Storia del Cristianesimo).
Cristo: Il problema del C., p. 203; Il Giudaismo liberale e Gesù, p. 261 ; La rivelazione di Gesù è luce o tenebra?, p. 284; Gesù e la Donna, p. 289 ; Jesus de Nazareth d’après les témoins de sa vie, p. 299; C. e lo spirito del Cristianesimo, p. 311 ; L’azione buona di Gesù, p. 413.
Cultura: Per la C. dell’anima, p. 45, 126,201, 275, 335» 407 {Prediche e Sermoni).
83
BILYCHNIS
Darwinismo: Il destino del D., p. 235.
Delio Antonio, p. 284Deismann, p. 218.
Della Torre Arnaldo, p. 158.
De Sanctis Francesco, p. 63.
De Stefano Antonino, p. 165.
Dioscuri. Vedi « Boanerges ».
Duperrut Frank, p. 338.
Ecclesiasticismo : L’E. calvinista, p. 167; Le istituzioni ecclesiastiche, p. 315.
Educazione: La vera E., p. 137; I> mistero dell’E., p. 419 (V. Pedagogia).
Elezioni : Il Vaticano e le E. politiche, p. 34. Episcopalismo (L’) e gli episcopalisti in Italia, p. 32Falco Mario, p. 400Fallot T., p. 413.
Fasulo Aristarco, p. 366.
Favaroni Agostino, generale degli Agostiniani, P- 373Fawkes A., p. 70.
Fede: F. ed Immortalità nelle opere inedite di Giorgio Tyrrell, p. 309, 388; Fedi crepuscolari, p. 327; La F., p. 335.
Ferrando Guido, p. 4« 7Filosofia : La sorte di G. B. Vico, p. 72 ; Sommario di pedagogia generale, p. 72 ; Il destino del darwinismo, p. 235 ; Una conclusione circa l’immanentesimo, p. 238; I classici del libero pensiero, p. 239; La personalità di Dio e la filosofìa dell’immanenza,, p. 294.
Folk-lore morale, p. 43 *• Funk Philipp, p. 201, 302.
Gentile Giovanni, p. 73» 237.
Gentiioni (Il Patto): la sua applicazione e i suoi effetti, p. 34*
Gesuiti: Chi fu Ignazio di Loyola?, p. 225; La fondazione della Compagnia di Gesù, p. 229 ; Reazione alla reazione : i G. avanzano liberaleggiando, p. 290 ; La Civiltà Cattolica denunzia !..p. 345Ghignoni P., p. 415Gill Everette, p. 66.
Gioconda (La): Pensando alla G., p. 59Giovanna d’Arco, p. 364Giran Etienne, p. 126, 166.
Giudaismo : La situazione degli Ebrei in Russia, p. 78 ; Il G. liberale e Gesù, p. 261 ; XI tragico spirituale ebraico, p. 421.
Graf Arturo, p. 245, 394.
Hebert Marcel, p. 364.
Heltau Karl, p. 430.
Immanentismo: Una conclusione circa l’L, p. 238 ; La personalità di Dio e la filosofia dell’immanenza, p. 294.
Janni Ugo, p. 294.
Kamm Adele, p. 2S7, 341.
Keller Ellen, p. 62.
Lemire (l’Abbé), p. 143.
Lesca Giuseppe, p. 245» 394Lhotzky H., p. 137.
Liberismo: Lettera a un Liberista (Religione e Politica), p. 24.
Liturgia (La) dell’Allodola, p. 278.
Lover John, p. 1x3.
Loyola (di) Ignazio : Chi fu Ignazio di Loyola?, 225; I., leggenda e storia, p. 225; I. e le donne, p. 227; I. processato e bruciato in effigie dall’inquisizione, p. 228; La fondazione della Compagnia di Gesù, p. 229.
Loyson p. Giacinto, p. 212.
Lutero Martino: Uno studio clericale su L., p. 366; Agostino Favaroni, generale degli Agostiniani e la teologia di Lutero, p. 373.
Massoneria: I Protestanti e la M., p. 353.
1 Mastrogiovanni Salvatore, p. 353.
Meille G. E., p. 359.
Michieli A. A., p. 162.
Minocchi Salvatore, p. 4x4.
Missiroli Mario, p. 269.
Mistero (II): L’esperienza del M. religioso, E. 56 ; I tre « Misteri » cristiani di Wood-rooke, p. 275.
Modernismo: Studi sul M. p. 70; Il Cristianesimo in Italia dai Filosofisti ai Modernisti, p. 158.
Momigliano Felice, p. 421.
Monod Wilfred, p. 48.
Montefiore C. G., p. 261, 289.
Morn Ellick, p. 428.
Morte (La): La grande aurora: qual’è la sorte dell’uomo dopo la M., p. 67.
Müller Victor Alphons, p. 373Müller Wilhelm, p. 159.
Murri Romolo, p. 24, 72» 73» *84, 269, 400.
Nazionalismo : N. e Cattolicismo, p. 184 ; l’atteggiamento spirituale del N., p. 186 ; Come il N. si è volto verso il clericalismo, p. 187.
Nuovo Testamento : « Boanerges » o i Gemelli celesti, p. 5, 173 ; La Sociologia di Gesù : Gesù e lo Stato, p. 11; Il Giudaismo liberale e Gesù, p. 261 ; Jesus de Nazareth d’après les témoins de sa vie, p. 299.
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Vili
INDICE
Oberlin G. F., p. 140.
Ochino Bernardino, p. 74.
Orano Paolo, p. 235.
Ornitomorfismo : L’O. e il Therismorfismo precedono le varie personificazioni de) Dio del Cielo e del Tuono, p. 6.
Pace: Vivere in P. con tutti!, p. 126.
Pailadino Giuseppe, p. 74.
Panza Franco, p. 428Pascal Biagio: Il pensiero politico e sociale del P., p. 192; Voltaire giudice dei «Pensieri» dei P-, p. 317.
Paschetto Lodovico, p. 432.
Paschetto Paolo A., p. 199.
Pedagogia : P. e Religione, p. 64, 237 ; Sommario di P. generale, p. 73; La vera educazione, p. 137 ; Tolstoi pedagogista, p. 147; Il mistero dell’educazione, p. 4*9Pelazza Aurelio, p. 238.
Personalità (La) di Dio e la filosofia dell’immanenza, p. 294.
Pindaro (Le idee religiose di), p. 106.
Pioli Giovanni, p. 309, 388.
Politica: Religione e P., Lettere elettorali:.
A un liberista, p. 24; a un socialista ufficiale, p. 27 ; Il Vaticano e le elezioni politiche, p. 34; Osservazioni sulla P. e sulla religione di Costantino, p. 85; Predicazione e politica, p. 135; Nazionalismo e Cattoli-cismo, p. 173 ; Il pensiero politico e sociale del Pascal, p. 192; Estrema Destra, p. 269; La politica ecclesiastica della Destra, p. 400.
Pons Silvio P., p. 192, 317.
Predicazione: Il Regno di Dio grande argomento della P. di Gesù, p. 11; Dalle prediche all’arte, p. 45 ; La P. evangelica durante la rivoluzione del 1848, p. 71 ; P. e Politica, p. 135 ; L’Oratoria, p. 220. (V. Cultura dell’Anima).
Preghiera (La) della sera, p. 63 ; P. di consacrazione, p. 140; P. Dio della Lodola, pagina 220; P. di Rabindranath Tàgore, pagina 344 ; P- del risveglio sociale, p. 359.
Pressensé (De) F., 223.
Profetismo: L’eterno conflitto: Sacerdozio e
P., p. 221.
Protestanti (I) e la Massoneria, p. 353.
Quercia Sacra (La): sua importanza nella storia delia cultura e della religione, p. iv.
Quiévreux A., p. 203.
Rauschenbusch Walter, p. 63, 358.
Regno di Dio (II), grande argomento della predicazione di Gesù: suo significato, p. xx.
Religione: R. ed Arte, p. 15; R. e Politica (Lettere elettorali), p. 24; Pedagogia e R.,
p. 64, 237 ; Osservazioni sulla Politica e sulla R. di Costantino, p. 85; Le idee religiose di Pindaro, p. 106; R. e Chiesa, p. 113; La vita religiosa in America, p. 159; Il mondo della R., p. 343 ; .Alcuni aspetti della coscienza religiosa contemporanea, p. 419.
Rendei Harris, p. 5, 275, 278.
Riforma : Le due R. - Giovanni Calvino e Sebastiano Castiglione, p. 165 ; La R. della famiglia, p. 212.
Riformatori (I) italiani del Cinquecento, p. 74. Rivari Dr., p. 366.
Rivelazione: La R. di Gesù è luce o tenebra? p. 284.
Rosazza Mario, p. 327.
Rossi Mario, p. 64, 261, 275, 424.
Rostan C., p. 85.
Rutili Ernesto, p. 30, 71, 74, *43> *53, *58, 159, 160, 223, 225, 239, 303, 430. 43*Sacerdozio: L’eterno conflitto: S. e profetismo, p. 221.
Saitta Giuseppe, p. 294.
Salvatorelli Luigi, p. 73.
Sawyer Roland D., p. 5, xx.
Schubert Ernst, p. 71, 135.
Scienza delle Religioni : Introduzione bibliografica alla S. d. R., p. 73.
Sepolcro (Le donne al). Disegno, p. 199.
Serveto Michele : S. vittima di Calvino, p. 169.
Shaw N. H., pi 230.
Sòderblom Nathan, p. 343, 416.
Socialismo : Il S. di Gesù e dei primitivi cri-tiani, p. 13 ; Lettera a un socialista ufficiale (Religione e Politica), p. 27.
Sociologia: La S. di Gesù. Gesù e lo Stato, p. xx.
Spire André, p. 421.
Stanley Enrico, p. 160.
Stapfer Edmond, p. 335.
Storia del Cristianesimo : Modernismo, p. 70 ; La predicazione evangelica durante la rivoluzione del 1848, p. 70 ; Riformatori italiani del Cinquecento, p. 74 ; Critica e tradizione. Osservazioni sulla politica e sulla Religióne di Costantino, p. 85 ; Il C. in Italia dai Filosofisti ai Modernisti, p. 158; La vita religiosa in America, p. 159 ; Giovanna d’Arco abiurò veramente ?, p. 364 ; uno studio clericale su Martino Lutero, p. 366 ; La Teologia di Lutero, p. 373.
Storia delle Religioni : Introduzione bibliografica alla scienza delle Religióni, p. 73 ; Riformatori italiani del Cinquecento, p. 74; La vita religiosa in America, p. 159; Chi fu Ignazio di Loyola ?, p. 225 ; Il Giudaismo liberale e Gesù, p. 261 ; Il tragico spirituale ebraico, p. 421.
85
R- '
BILYCHNIS
Strauss B. F., p. 239.
Tabù: Il T. nella procreazione dei Gemelli, p.6.
Tagliatatela Alfredo, p. 59, 407.
Tagliatatela Eduardo, p. 65, 425.
Tàgore Rabindranath, p. 344, 425.
Teologia: Agostino FavarOni, generale degli Agostiniani e la T. di Lutero, p. 373.
Therismorfismo : L’Ornitomorfismo e il T., precedono le varie personificazioni del Dio del Cielo e del Tuono, p. 6.
Tolstoi Leone: Tolstoi pedagogista, p. 147;
Ritratto di T., p. 149.
Tyrrell Giorgio, p. 309, 388.
Utscimura Kanso, p. 153.
Vaccari Antonio, p. 345Valdesi: Il nuovo Tempio Valdese a Roma,
P- »5Valloton Paul, p. 67.
Varisco Bernardino, p. 145.
Vaticano (II) e le elezióni politiche, p. 34.
Vico Giambattista, p. 72.
Vitali Giulio, p. 147.
Voltaire, p. 316.
Wagner C., p. 220.
Westphal Alexander, p. 299.
87
B1LYCHN1S. FASCICOLO DI AGOSTO 1914
V
L. SALVATORELLI
Introduzione bibliografica alla Scienza delle Religioni
Roma, 1914. 8° grande pag. 180. L. 5
Indice: Opere generali — Storia della Scienza — Metodologia — Fenomenologia: Magia. Culto. Rappresentazioni religiose. Cultura e religione — Storia dell? religione : Scuola filologica (Il naturalismo). Sistemi astrali. Sistemi Fallici. Manismo. Scuola antropologica — Teismo preanimistico. Scuola sociologica.
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Vedine recensione in Bllychnls di gennaio 1914 pag. 67
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Nel quale il nostro chiaro collaboratore tratteggia magistralmente le figure di Onorato di Mirabeau. — G. Fed. Herbart. — Antonio Rosmini. — Ruggero Bonghi. — Leone Gambetta. — Giovanni Bovio. — Andrea Costa. — Giuseppe Sergi. — Tullio Martello. — Benedetto Croce. — Arturo Labriola. — Ewin Szabò.
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ESPERIENCES SOCIALES
(CONFÉRENCES)
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Tables des matières: Le christianisme et l’art, par André Michel — L’Évangile et la société antique aux premiers siècles, par Eug. de Baye — L’Evangile et la question sociale, par G. Chamorel — L’Evangile et les divisions de la chrétienté, par Marc Boegner — L’Evangile et l’immortalité, par E. Gounelle — L’Evangile et l’Estrème-Orient, par Raoul Allier. — L’Evangile et lé monde païen, par G. Lauga — Un peuple sauvé par l’Evangile, par Jean Bianquis.
E. S. GREW
LO SVILUPPO DI UN PIANETA
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Indice: La formazione di sistemi solari — L’origine dei satelliti — Sfere che si raffreddano — Analogie planetarie — L’interno della Terra — La forma della Terra solida — L’azione vulcanica — L’atmosfera — Il mare antico — Gl’inizi dèlia vita, ecc. — Età e clima — L’influenza della vita — Successione geologica — Sviluppo organico — Il regno animale — La durata dell’uomo.
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88
BlLYCHNIS. FASCICOLO DI AGOSTO 1914
V!
ARTURO PASCAL
La Società e la Chiesa in Piemonte nel Secolo XIII Gonsidera'e in se stesse e nel rapporti colla Riforma Pinerolo, 1912. Pag. 60. ,
L. 1
BENITO MUSSOLINI .
GIOVANNI MUSS
IL VERIDICO
Collezione storica dei martiri del libero pensiero
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Saggi di storia e politica religiosa
Città di Castello, 1914. 8° grande, pag. 290.
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Indice: L’« Orpheus» di S. Reinach — Religione,- civiltà ed arte —- Maometto e l’islam — Diritto è' morale 'dell’IsIam — La storia della Chiesa Ant. di M. Duchesne — La cattolicità della Chiesa primitiva secondo Pierre Batiffol — Gli apologeti greci del 11 secolo — La politica religiosa degl’ imperatori romani e la vittoria del cristianesimo sotto Costantino, -----Il presente e l’avvenire del modernismo in Italia — La Politica di Pio X — La personalità di Pio X — Filosofìa e religione nell’Italia con temporanea.
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Indice : Autels — « Ecce homo ! » — Les pauvres — Suivre — Le monde — «O mes enfants» — L’àigùillè et le chameau — La guerre — « Beaucoup des justes » — Servir — Soffrir pour la communauté — « Çrois-tu aux prophètes? — Le Christ spirituel.
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Indice: Le iahvisme populaire — Les premiers prophètes. La lutte contre le syncrétisme et la civilisation — Amos, Osée (ïahv, Dieu de Justice) — Esaïe, Michée (lahvèe, le saint d’Israél) — Le iahvisme syncrétique et la réforme deutéronomique — Jérémie. (L’individualisme religieux) — Ezéchiel (L’évolution du iahvisme pendant l’exil) — La prophétie deutéro-ésaïaque (lahvé, le Dieu universel) — Le monothéisme des prophètes et le monothéisme oriental.
GIOVANNI COSTA
L’IMPERATORE DALMATA
C. VALERIUS DIOCLETIANUS
Roma, 1912., Pagine 250. .
L. 5
Indice: I. L’ avviamento all’ Impero — IL. Guerre e repressioni —- III. La riforma costituzionale e governativa — IV. La difesa dell’impero nelle province — La difesa dell’impero nell’esercito —- VI. Là restaurazione religiósa — VII; L’impronta dell’epoca — Vili. La « quies Augustorum » — IX. L’uomo e l’opera sua, ecc.
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BILYCHNIS. FASCICOLO DI AGOSTO 1914
VII
PRIMO FASCICOLO D’ARTE DI “BILYCHNIS,,
DEDICATO AL NUOVO TEMPIO VALDESE DI ROMA
Un giudizio sul nostro FASCICOLO D’ARTE.
«Je suis certain que le prof. P. Paschetto compte en France des amis et des admirateurs. C’est non seulement à eux mais à tout le public religieux de langue française que je recommande très chaleureusement le premier cahier d’art de Bilychnis. Us y trouveront de nombreuses photographies, reproductions et dessins des décorations et des vitraux exécutés par Paolo Paschetto pour’la nouvelle grande église vaudoise de Rome. Les décorations de l’abside, des nefs, des galeries sont d’une grande sobriété, d’une parfaite élégance, d’une rare distinction. Le seize vitraux surtout sont remarquables. M. Paschetto semble avoir suivi le conseil de M. Burnand: «S’inspirer des anciennes églises, appliquer à nos conditions actuelles toutes les formes, toutes les combinaisons et toutes les beautés que nous ont léguées les vieilles et poétiques choses d’autrefois ».
Ces « vieilles et poétiques choses d’autrefois » Paolo Paschetto a été les chercher plus loin encore que dans les vieilles églises: dans les catacombes dé Rome et dans la Bible. Voici la liste des merveilleux vitraux repro
duits dans lé cahier d’art: I. Le buisson ardent: 1‘'affirmation de Dieu. — IL Le mono-gramme chrétien : l'affirmation du Verbe. — 'III. La colombe: l’aspiration de l’âme vers Dieu. — IV. Le lys : la promesse que l’âme verra Dieu. — V. L’Agneau : la réconciliation de l’âme humaine avec Diu. — VI. L’ancre: l’espérance est l'ancre de l'âme. — VIL La lampe: la foi. — VIII. La palme : la victoire de la foi. — IX. L’arche: le baptême. — X. La coupe et le pain : la Sainte-Cène. — XI et XIÏ. Le bon pasteur et le phare: Vie chrétienne : les fidèles marchent sans crainte dans les pâturages et dans la lumière. — XIII et XIV. La vigne et le chandelier : Vie chrétienne : les fidèles doivent, en demeurant en Christ, marcher dans la perfection. — XV et XVI. L’aigle et le paon : La vie éternelle le rajeunissement du chrétien se poursuit dans l’éternité. Chaque symbole est commenté par un passage biblique approprié.
Le cahier d’art imprimé sur papier de luxe, avec une belle couverture ornée du chandelier de l’Eglise vaudoise d’Italie, est tout à fait réussi ».
(Dalla Rivista di Parigi:
Lt CfsrüiiaHii’HC social, Marro 1914. pag. a 10).
Il fascicolo costa L. 2 (Estero L. 2.50).
Rivolgersi al Prof. Lodovico Paschetto. Via Crescenzio, 2 - Roma.
Fa • F- FORMÌGGJNI ^^^DUÒReiN-GCNOVA
CLASSICI DeLRID€R€"B RlVISfi bl-FJlffSOmORGANO
PROFILI...&,v2|3FrB DCLLA-SOCIÈB-FILOSOFICAPOÇn-nrtUrtNI-D€LXX’-5£CO19 ITALIANA • ••©".—^“33
BlBUOTCCADl-VARlA-COLÏVRrt PVBBLICAZIONI - VARIE - - E9
BIBUOT€CA-D1-F1I9SOFIA-CDI S %....—E3
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90
Vili
B1LYCHN1S. FASCICOLO DI AGOSTO 1914
“BILYCHNIS” NEL 1914
l 12 fascicoli dell’infera annata comporranno due grossi volumi di oltre 400 pagine ciascuno, riccamente illustrati.
Abbonamento annuo per l'Italia L. 5 per l’estero L. 8 — Un fascicolo L. 1
L'abbonamento si può pagare anche a quote semestrali di L. 2.50 per l'Italia e L. 4 per l’estero
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1. La Direzione della « Biblioteca di Studi Religiosi » offrirà in dono interamente gratuito ai nostri abbonati libri di sua edizione, ora in preparazione.
22« La stessa Direzione concede agli abbonati fortissimi ribassi per le pubblicazioni ch’essa ha in deposito e di cui abbiamo dato la lista sulle pagine verdi di Bilychnis del mese di marzo 1914.
3. Stiamo organizzando una Biblioteca Circolante per lo studio della Religione (storia, critica, filosofia della religione). Agli abbonati di Bilyehnis sarà concesso l’uso gratuito della Biblioteca, di cui pubblicheremo presto il regolamento.
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sono avvertiti che i seguenti nostri Agenti volontari sono autorizzati a ricevere gli abbonamenti a Bilyehnis
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Prezzo del fascicolo Lire 1