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Anno V
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TlifffHn
IL DISCERNIMENTO
DEGLI SPIRITI
«A un altro [credente] è dato il discernimento degli spiriti»
I Corinzi 12,10
Questo dono o carisma è sempre
esistito, quello cioè del discernimento, del sapere come stanno le cose
e del mettere a fuoco i problemi, ma in
questa forma è il carisma del 2000. Se
nei primi secoli la chiesa è stata costretta a riflettere su Gesù Cristo, chi
sia cioè quell'uomo in cui poniamo la
nostra fiducia assoluta (il Credo che
recitiamo tuttora, confessione di fede
di quella chiesa, per tre quinti parla di
Cristo), se la chiesa della Riforma è
stata combattuta fra pensieri e ipotesi
diverse sulla nostra salvezza, se la
chiesa deU’800 ha dovuto affrontare,
sia pure in termini meno tragici ma
non meno impegnativi, il problema di
Dio (chi è Dio per noi, il creatore della
realtà, il giudice delle azioni, il destino
dell’uomo, la volontà assoluta), il problema su cui si dovrà confrontare la
nostra generazione è quello dello Spirito, e degli spiriti, e ciò che occorre ai
credenti per varcare la soglia del ventesimo secolo è la capacità di discernere lo Spirito dagli spiriti.
YJARVEY Cox, il teologo statunitenjn se che ebbe un momento di celebrità per un suo libro sulla città secolare, ha scritto di recente un saggio dal
titolo «Fuoco dal cielo» in cui analizza
l’esplosione quantitativa dei pentecostalismi nel mondo moderno, dalla
Corea all’America Latina, che si contrappone al declino delle chiese storiche. La cristianità del Duemila, sostiene Cox, sarà una cristianità pentecostaleggiante. Forse Cox ha ragione, forse si sbaglia, ma certo chi ha ragione è
Paolo che ci ricorda il compito di discernere gli spiriti. Discernere per lui
significa dividere, distinguere, giudicare, e questo occorre fare oggi. Oggi
più che mai perché il mondo si sta
riempiendo di spiriti, come quello della parabola detta da Gesù che, mandato via dalla casa, torna con tutta la
combriccola dei suoi soci.
La fede cristiana ha liberato la co
scienza, l’anima, il cuore dalla
presenze degli spiriti, di tutti i tipi: terribili e gentili, generosi e rassicuranti,
ma ora torniamo ad esserne preda. Ar
rivano da tutte le parti, da Oriente e
Occidente, dall’antichità più remota e
dal computer, per vie segrete e originali, a guarire, rendere felici, salvare dai
malanni, far scoprire mondi interiori e
soprattutto spiegare, dare luce. Questa
infatti pare essere nel profondo l’attesa
della nostra società: la luce; e non come l’intendevano gli europei del Sette
cento, i filosofi naturalmente ma probabilmente anche la gente comune:
l’intelligenza, il capire le cose del morido, l’uscire dal mistero, la luce come illuminazione, scoperta del mistero stesso, oltre le tenebre e forse nelle tenebre
stesse. Il nostro torna ad essere il tem
po della mistica.
La grande eresia del nostro tempo
sarà di credere che l’intelligenza
non serve, che la materia è opaca. Dio
è lontano ma ciò che è presente, vivo,
vero, che rinnova e trasforma è lui lo
Spirito e come c’è un solo Dio che nessuno conosce e tante religioni che cercano di spiegarlo, c’è un Grande Spiri
to Assoluto di cui tutte le potenze spiri
tuali sono espressioni, contingenti e le
gittime. Io ho il mio, tu hai il tuo. Qui
occorrerà invece avere discernimento,
perché di Spirito ce n’è uno, quello del
Dio dell’Evangelo, gli altri, come gli
idoli contro cui combatteva Isaia, sono
aria, non vento (comesi sa nelle lingue
bibliche vento e spirito sono la stessa
parola), aria che cerca però di tornare
a riempire la casa.
Giorgio Toum
SKi I IMANALE DEl.LE CHIESE EVANGELICHE BATTfSTE, METODISTE, VALDESI
Gli elettori francesi hanno preferito una politica in chiave sociale e non ultraliberista
Jospin: efficienza, giustizia e solidarietà
Dopo ¡a Gran Bretagna la Francia: nel giro di un mese i governi di due dei più importanti
paesi europei sono passati dalla destra alla sinistra e a due leader di cultura protestante
JEAN-JACQUES PEYRONEL
UN vento nuovo soffia sull’Europa. Nel giro di un mese, i
governi di due dei maggiori paesi
europei sono passati dalla destra
alla sinistra: il 1“ maggio in Gran
Bretagna, con la vittoria di Tony
Blair, il 1° giugno in Francia con
quella di Lionel Jospin. «Jamais
deux sans trois» direbbero i francesi. Il terzo potrebbe essere, fra non
molto, quello della Germania del
cancelliere Kohl, alle prese con
l’opposizione congiunta della Bundesbank e del partito socialdemocratico (Spd). Cosi, alla vigilia di un
anno decisivo per il consolidamento dell’integrazione europea, il panorama politico appare improvvisamente cambiato.
Contro tutte le attese, la mossa
delle elezioni anticipate si è trasformata in un boomerang la cui
prima vittima è stata l’ex primo
ministro Juppé. Chirac ha giocato
tutto sul fattore sorpresa, dando
per scontato che, ad appena due
anni dall’elezione presidenziale, la
sinistra fosse ancora in deficit di
credibilità dopo il lungo e controverso regno mitterrandiano. Non
ha tenuto conto del fatto che sono
passati quattro anni da quando la
destra è tornata al potere e che in
questi quattro anni, prima con Balladur e soprattutto con Juppé, i
conflitti sociali si sono succeduti
senza soluzione di continuità. Basta ricordare i grandi scioperi che
hanno paralizzato la Francia per
oltre un mese alla fine del ’95 e
quelli degli autotrasportatori lo
scorso anno, per non parlare della
vicenda dei «sans papiers» e delle
manifestazioni antirazziste di questi ultimi mesi che hanno rivelato
nuove forme di mobilitazione politica della società civile.
Due anni fa Chirac era prevalso,
di poco, su Jospin, dopo una campagna interamente incentrata sui
temi sociali e contro il predomirtio
di una visione tecnocratica dell’azione politica. Ma anziché puntare
subito sul gollista «sociale» Philippe Séguin, che sembrava il più
adatto ad incarnare questo nuovo
modo di governare, scelse invece
l’uomo che più si identificava con
la concezione tecnocratica. Il 26
ottobre 1995, al suo ritórno da una
visita a Bonn, l’euroscettico Chirac
annunciava la sua conversione alla lettera del Trattato di Maastricht, puntando decisamente sul
monetarismo e sulla difesa del
franco, a scapito delle promesse
elettorali sulla «riduzione della
frattura sociale». Da allora è cominciata a precipitare l’effimera
popolarità del tandem ChiracJuppé. I non pochi francesi rimasti
delusi dagli ultimi anni dell’era
mitterrandiana e che si erano lasciati convincere dal volontarismo
sociale del candidato Chirac, cominciarono a ricredersi. Questo
spiega l’alta percentuale di indecisi e di astenuti al primo turno
nonché l’ulteriore avanzata del
Fronte nazionale di Le Pen.
«Solo un governo di centro-destra può portare la Francia in Europa», aveva detto Chirac nel suo intervento televisivo tra i due turni di
queste elezioni volute appunto nel
nome dell’Europa. Anche su questo gli elettori francesi hanno dimostrato di pensarla diversamente. Intanto perché i due terzi dei 15
paesi dell’Unione europea che si
accingono a realizzare l’unione
economica e monetaria sono retti
da governi di centro-sinistra e, per
quanto riguarda la Francia, l’uomo
simbolo dell’Europa, Jacques Delors, è come Jospin e Rocard esponente di spicco di quella nuova socialdemocrazia europea che, dopo
la vittoria di Blair in Gran Bretagna,
è ormai nettamente maggioritaria
nel Consiglio europeo. Ora Delors,
che del Trattato di Maastricht è
stato il principale artefice, non si
stanca di ripetere che per realizzare gli obiettivi di Maastricht biso
gna applicare «il trattato, solo il
trattato, ma tutto il trattato», cioc
non solo una valutazione prettamente tecnica dei criteri economici e monetari, ma anche un governo (politico) dell’economia e l’inclusione nel Trattato stesso del
Protocollo sociale, che era rimasto
fuori per il veto dell’ex governo
conservatore britannico.
Insomma, così com’è, il Trattato
di Maastricht può essere interpretato o in chiave ultraliberista o in
chiave socialdemocratica (o cristiano-sociale). In fondo lo ha ammesso lo stesso Chirac proponendo, dopo il siluro di Juppé, il tandem Séguin-Madelin, cioè appunto l’approccio cristiano-sociale e
quello ultraliberista. A questa improbabile quadratura del cerchio i
francesi, ormai ampiamente disillusi sul piano interno, hanno preferito dare una nuova «chance»
all’ipotesi socialdemocratica che
molti in questi ultimi tempi davano per moribonda. Certo, nella sostanza, quest’ipotesi non è del tutto alternativa all’altra, ma sicuramente si fa maggiormente carico
della questione sociale europea,
ormai drammatica, e delle prerogative peculiari della politica rispetto alla pura logica del mercato.
In fin dei conti quindi, l’inedita
coabitazione tra un presidente di
destra (ma non ultraliberista) e un
governo di sinistra (di chiara tendenza socialdemocratica) potrebbe rivelarsi vincente sia per la
Francia che per l’Europa.
Ultima considerazione, forse
marginale ma comunque significativa: Blair è anglicano, Jospin è
di origine protestante, così come
lo sono diversi esponenti della
Spd tedesca. Sarà interessante vedere se e in quale misura questo
dato inciderà sul processo di costruzione europea che finora ha
visto prevalere una leadership democristiana con chiari riferimenti
alla dottrina sociale cattolica. Il dilemma dell’Europa oggi è di saper
conciliare efficienza, giustizia e
solidarietà: una bella sfida per dei
protestanti.
Germania
Attentati neonazisti
a protestanti e cattolici
In Germania un incendio doloso di stampo neonazista ha raso
al suolo, domenica 25
maggio, una chiesa cattolica, la St. Vicelinkirche, in un quartiere periferico di Lubecca. Gli
attentatori hanno cosparso le pareti di croci
uncinate e tracciato a
grandi lettere il nome di
Gter Harig, pastore evangelico, che da tre settimane offre asilo nella
sua chiesa, la St. Mariengemeinde, a una famiglia algerina. Harig era
stato già in precedenza
vittima di minacce. Ancora poco chiaro il rapporto esistente tra l’in
cendio della chiesa cattolica e l’asilo concesso
dalla comunità evangelica agli algerini.
Fatto sta che dall’attentato neonazista, che
coinvolge tutte e due le
confessioni, è subito
scaturito un forte spirito
ecumenico e di solidarietà. La comunità protestante del quartiere, la
St. Martingemeinde, ha
invitato la comunità
cattolica della St. Vicelinkirche a celebrare la
messa nella loro chiesa.
Intanto esponenti ai più
alti livelli delle due confessioni hanno duramente condannato l’aggressione. (nev)
Consultazione a Ecumene
L'identità metodista fra
le chiese e nella società
Si è svolta dal 23 al 25
maggio presso il Centro
giovanile di Ecumene
(Velletri, Roma) l’annuale Consultazione delle
chiese metodiste, assemblea consultiva e occasione di riflessione e
comunione del métodismo italiano, neU’ambito dell’integrazione con i
valdesi. Al centro dell’incontro, i temi dell’identità metodista, del suo
ruolo aU’interno di una
società in costante evoluzione, i rapporti con il
metodismo internazionale. L’affermarsi di modelli di vita caratterizzati
da forte individualismo,
le conseguenti difficoltà
delle chiese ad orientarsi
e adeguarsi alle nuove
realtà, a proporre soluzioni e risposte alla crisi
di partecipazione dei
giovani, sono stati lo
spunto di un’ampia riflessione sul ruolo formativo di Ecumene. Incoraggianti le indicazioni dell’assemblea sul rilancio del servizio e della formazione dei predicatori locali e sul piano
delle relazioni con il
metodismo internazionale, con l’avviamento
di iniziative di interscambio culturale. Ampio servizio su questo
importante incontro nel
prossimo numero.
DIACONIA E PROFEZIA. In una nostra
intervista, il noto teologo tedesco Jürgen Moltmann ha detto, tra l'altro,
che le chiese devono dire alla società
in modo chiaro che le cose non vanno
e che bisogna agire per i poveri e per
i senza lavoro. (pag. 3)
PRIMO LEVI. In una nostra intervista lo
studioso inglese lan Thomson, che sta
preparando una biografia dello scrittore, afferma che sarebbe fuorviente
limitarsi a costatarne il ruolo di testimone e sopravvissuto dejla «soluzione
finale» nazista. (pag. 4)
IL PROCESSO A PRIEBKE. In una indifferenza quasi assoluta si sta svolgendo il
nuovo processo a Erich Priebke, accusato di crimini connessi alla strage delle Fosse Ardeatine del 1944. In questione non ci sono solo le responsabilità di una persona che ormai non ha
più l'età per stare in galera, ma anche
la memoria e le responsabilità collettive, di ieri e di oggi. (pag. 6)
LE CHIESE PER L'EUROPA. Graz e Maastricht: i nomi di queste due città sono
diventati il simbolo delle nostre ansie
e speranze per la costruzione di una
nuova Europa. (Testi & Documenti)
2
PAG. 2 RIFORMA
Della
VENERDÌ 6 GIUGNO ì\0^
«La parola
delVEterno mi fu
rivolta in questi
termini: "Prima
che io ti avessi
formato nel
grembo di tua
madre, io ti ho
conosciuto; prima
che tu uscissi dal
suo grembo, io ti
ho consacrato
e ti ho costituito
profeta delle
nazioni”. Io
risposi: “Ahimè,
Signore, Dio, io
non so parlare,
perché non sono
che un ragazzo”.
Ma il Signore mi
disse: “Non dire:
Sono un ragazzo,
perché tu andrai
da tutti quelli ai
quali ti manderò,
e dirai tutto
quello che io ti
comanderò. Non
li temere, perché
io sono con te per
liberarti”, dice il
Signore. Poi il
Signore stese la
mano e mi toccò
la bocca; e il
Signore mi disse:
“Ecco, io ho messo
le mie parole nella
tua bocca. Vedi, io
ti stabilisco oggi
sulle nazioni e
sopra i regni,
per sradicare,
per demolire,
per abbattere,
per distruggere,
per costruire
e per piantare”.
Poi la parola del
Signore mi fu
rivolta in questi
termini:
“Geremia, che
cosa vedi?”
Io risposi: “Vedo
un ramo di
mandorlo”. E il
Signore mi disse:
“Hai visto bene,
poiché io vigilo
sulla mia parola
per mandarla
ad effetto”.
La parola del
Signore mi fu
rivolta per la
seconda volta:
“Che cosa vedi?”.
Io risposi: “Vedo
una gran pentola
che bolle e ha la
bocca rivolta dal
settentrione in
qua”. E il Signore
mi disse: “Dal
settentrione
verrà fuori la
calamità su
tutti gli abitanti
del paese”».
(Geremia 1,4
-14)
«VEDO UN RAMO DI MANDORLO»
È nella domanda rìvolta a Geremia che sta la missione che Dio ci affida .
Anche a noi è chiesto di vegliare, cioè di vedere e di annunciare ciò che viene
MICHEL BERTRAND
.. EREMIA, che cosa vedi?».
'' \ J Che cosa vedi di questo
Sinodo, di che cosa ha discusso,
quali prospettive ha dato a questa chiesa minoritaria e disseminata? E questa chiesa, la vedi.
Geremia? Riesce a mettere in
pratica il suo desiderio di visibilità, la sua preoccupazione di
uno spazio per Dio nella nostra
«società di arcipelaghi»?
«Geremia, che cosa vedi?». A
nostra insaputa, questa domanda ci ha accompagnati durante tutte queste giornate in
cui abbiamo discusso sul presente e sul futuro della nostra
chiesa in questa regione, in cui
abbiamo cercato di vedere, di
percepire, di prevedere quello
che sta venendo. Del resto è
proprio questa l’etimologia del
nome Geremia: Dio apre, Dio
genera, Dio offre un nuovo futuro al suo popolo.
«Geremia, che cosa vedi?».
Questa domanda non ci riporta
a una specie di introspezione
ecclesiale, ma allarga il nostro
orizzonte, rimette la chiesa e
ciascuno di noi di fronte alla
propria vocazione di vedere e di
parlare, ci pone nel cuore della
storia, nel cuore della città, per
portare la promessa di Dio, ci
indica un futuro possibile in un
mondo «in deficit di speranza».
«Geremia, che cosa vedi?». In
un primo tempo Geremia non
vede gran che. È visibilmente
sconvolto di essere chiamato da
Dio ad essere il suo «profeta per
le nazioni». (...) Per questo si tira
indietro. Come il fico, ha mille
scuse per non obbedire. E a noi
che parlavamo di «ringiovanire i
quadri». Geremia replica: «Sono
troppo giovane»! Probabilmente
ha il presentimento di quello
che costa cadere nelle mani del
Dio vivente.
Allora, in mezzo a questo suo
smarrimento, Dio dà al suo profeta una visione, una specie di
parabola in atto per incoraggiar
lo nella sua missione. «Geremia,
che cosa vedi?». E il profeta risponde: «Vedo un ramo di mandorlo». Ci vien voglia di dire: e allora! In che cosa questo ramo di
mandorlo può portare qualche
lume e qualche consolazione al
profeta? (...) Se leggiamo questo
testo neH’originale ebraico, comprendiamo subito la portata del
messaggio che ci offre quest’albero. C’è infatti un gioco di parole intraducibile. In ebraico, la parola «mandorlo» (shaqed) si dice
quasi come la parola «vegliatore»
(shoqed). Del resto Dio lo conferma a Geremia: «Hai visto giusto!
10 vigilo sulla mia parola per
mandarla ad effetto».
Dio non lascia a nessun altro
11 compito di compiere la sua
Parola. (...) Possiamo quindi tornare a casa con questa immagine del mandorlo che ci dice sia
la promessa che ci viene fatta sia
la missione che ci viene affidata.
stri sguardi ancora increduli i
segni di vita nuova di cui sarà
fatto il domani.
La missione
La risposta di Dio e la pro
1
La promessa
PER cogliere la dimensione e
la portata di questa promes
Preghiamo
Qualcuno vicino a te fa la sentinella,
vicino a te veglia quando i tuoi occhi sono chiusi.
Vede meglio di te stesso i tuoi sogni e il tuo segreto.
Vede la tua speranza e sente la tua preghiera appena
mormorata.
Ti manda in questo mondo per essere il suo profeta,
e per vigilare su di esso. Che cosa vedi Geremia?
Qualcuno ha risposto. Qualcuno, sei tu, sono io.
Qualcuno per il Signore fa la sentinella.
sa, dobbiamo rimanere ancora
un attimo nella visione del mandorlo. Tra il Dio vegliatore e il
mandorlo c’è più che un gioco
di parole. Anche il mandorlo è
un «vegliatore». Come Dio, è
sveglio mentre gli altri alberi
dormono ancora. Come Dio, annuncia una promessa di vita
nuova, malgrado le sofferenze e
l’oscurità. Tutti i popoli mediterranei lo sanno, il mandorlo è
il «vegliatore» per eccellenza,
perché nel cuore dell’inverno e
prima di tutti gli altri alberi, annuncia la primavera. (...)
Comprendiamo meglio allora
l’analogia tra questo albero così
particolare e il Dio vegliatore, il
Dio della memoria e della speranza che vigila «per mandare
ad effetto la sua Parola». Infatti,
nel cuore dell’infedeltà del suo
popolo, il Dio fedele veglia e annuncia per mezzo del suo profeta che al di là della crisi, al di là
degli scatti e dei sarcasmi della
storia, della disperazione e della
rovina, domani egli «ricostruirà»
e «ripianterà» un regno. (...)
Nel cuore della vita delle nostre chiese freddolose e a volte
intristite come alberi in inverno,
queste nostre chiese minoritarie
e disseminate in una società anch’essa «frammentata», Dio veglia e ci dà la forza di annunciare
la sua Parola e la speranza per
viverla. (...)
Nel cuore delle sofferenze di
questo mondo, come il mandorlo, Dio vigila e offre oggi ai no
_ messa che essa contiene non
deve però farci dimenticare la
domanda «Geremia, che cosa
vedi?». Infatti, è nella domanda
che sta la missione che Dio ci affida. Se Dio veglia nel cuore della notte del mondo, egli chiede
anche a noi di vegliare, cioè di
vedere e di annunciare ciò che
viene. Ministero della Parola,
ministero dello sguardo. Dio ci
fa sentinelle per dire quello che
vediamo quando guardiamo e
decifriamo il mondo alla luce
della sua Parola. Compito rischioso in un mondo che, oggi
come ieri, non è pronto a ricevere l’Evangelo. (...) Compito difficile perché certo possiamo sbagliare. Non tutti sono profeti, e
non vediamo tutti la stessa cosa
nella realtà. Eppure non possiamo sottrarci a questo compito, a
questo dovere dello sguardo,
della parola, della vigilanza e a
volte della resistenza. Resistenza, perché non sempre vediamo
mandorli in fiori e neppure, come Geremia, le pentole fumanti
dei bracieri della calamità.
«Geremia, che cosa vedi?».
Ogni giorno ci porta la sua parte
di smentite alla speranza. 1 nostri telegiornali straripano di immagini insostenibili... E quando
non possiamo vedere, oggi comunque possiamo sapere. Grazie ai moderni mezzi di informazione, non possiamo più dire
che non avevamo visto o che
non sapevamo. Che non sapevamo della situazione in Zaire, in
Algeria... Che non sapevamo del
Sud del pianeta che sta affondando nella disperazione, nell’immenso corteo dei profughi e
degli sradicati. O ancora, più vicino a noi, alle nostre porte, che
non avevamo visto arrivare, che
non sapevamo delle forme concrete e quotidiane dell’esclusione, del razzismo e della xenofobia banalizzati e proclamati, dei
drammi della droga e della tragedia dell’Aids, di tutti i sintomi
del male di vivere delle nostre
società moderne, della paura e
della violenza dei giovani senza
orizzonte (...) e di tutti gli altri,
«tutti quegli altri, dice Paul
Ricoeur, che non vedrò mai, ma
il cui appello alla giustizia mi toglie il sonno».
«Geremia, che cosa vedi?». Eccoci sentinelle, quelle che non
possono tacere su quello che ve
dono e sentono, quelle che
.avvertono e rendono conto delle situazioni di disperazione e
di sofferenza di tanti uomini e
donne che non conoscono la
pace bensì l’esilio e l’esodo di
una vita dilaniata o rotta.
Ma i lamenti e gli appelli di
queste sentinelle non rimbombano più in un cielo vuoto, non
si perdono più in cuori e sguardi
umani indifferenti. Siamo sentinelle nel nostro culto, nel cuore
della vita, quando affidiamo a
Dio nella preghiera le sofferenze
e le gioie della terra e annunciamo al mondo che soffre e spera
la saldezza che viene da Dio.
Predicatore più che preveggente, il profeta-sentinella dice
la promessa, là dove la paura
chiude i volti e i cuori. Egli annuncia il perdono possibile là
dove si accumulano gli odi. Egli
proclama la certezza di essere
amati, quando tutto cambia e a
volte scompare. Inoltre, egli discerne e indica i segni di rinnovamento nelle nostre chiese, i
segni della salvezza all’opera
nelle nostre vite e nella storia.
Segni modesti, fragili, discreti
che i nostri occhi di gente frettolosa o disincantata non sanno
sempre percepire. (...)
Sì, siamo chiamati ad essere
sentinelle per nominare e denunciare gli idoli di questo tempo, per offrire a coloro che non
ne hanno più, ragioni di vivere,
di credere e di sperare, nonostante l’oscurità, i dubbi e le sofferenze. Ma in questo compito
difficile e rischioso abbiamo la
certezza che il Signore non ci lascia soli. Sì, Dio stesso veglia, nel
cuore della notte del mondo.
Meravigliosa consolazione e formidabile promessa per le nostre
vite di chiesa e per le nostre vite
personali. Se a volte il giogo della sentinella è troppo pesante, se
siamo incapaci di vedere o se
siamo schiacciati e disgustati da
quello che vediamo e viviamo,
se siamo scoraggiati, non esitiamo ad «aggrapparci ai rami»...
Voglio dire al ramo del mandorlo, quello che fiorisce nel cuore
dell’inverno.
(Ultima di una serie
di tre meditazioni)
Predicazione tenuta dal pastore
Michel Bertrand, presidente del
Consiglio nazionale della Chiesa
riformata di Francia (Erf), in occasione del Sinodo regionale Provenza-Costa Azzurra-Corsica, svoltosi
nel novembre 1996. (Traduzione
di Jean-Jacques Peyronel)
Note
omiletiche
\é
«
Geremia è uno dei]
feti più familiari e pij
tuali. Sono note le sue,
mande, le sue esitazion
fronte alla vocazionei .
Dio gli rivolge, la suaf)l3C
fetenza di essere incj
preso e respinto, lej
«confessioni» (11, 18- EMI
6; 15, 10; 15, 20; 17, 1^
18, 18-23; 20, 7-18) ¡n|L tei
grida a Dio la sua proti mani
contro il male, la sua (¿aggio
ca della religione, iligiosofi
annuncio della nuovamn di
leanza futura (31, 314^’esc
Per capire a che puntoiy ’90(
remia sia un «profeti
tempo di crisi», una
¿ter aci
.¿are di
sotto molti aspetti vicir|jjg
quella che stiamo att
versando, occorre situa
nel suo contesto storico "
Negli anni 587-586 0Ìtna
il regno di Giuda perdfl964, è
sua indipendenza, GenfCirtza»
lemme è conquistatafiniere;
babilonesi; le élite ven0iasto i
no deportate a Babiloifesueo
mentre gente semplicei «È se
mane nel paese. Per Isr^andi
le l'esilio fu uno «ch4erar
profondo che scosse leLj.„„o
si della fede: niente
Tempio, niente più pa8?Ìl.,,i
niente più re. Sorge, laC )i.
nante, un interrogatili^*
Dio ha abbandonato
popolo? È diventato irtii^wing
tente, più debole degli|teologi
babilonesi? Lontanodranza?
paese, bisogna cercare dina è rii
le risposte, ritrovare mdell’ut
identità. Allora ci si ricoiebrei (
delle predicazioni di giuimincia
zio pronunciate da Geijanza.
mia e dei suoi appelli d g^erdai
conversione. Aveva inii gpgrar
to il suo ministerio pn „G p.prima dell'esilio (probai
mente nel 627-626) e n ‘
va più volte avvertito il|
polo e annunciato glii bioch
venimenti tremendi d
poi si sono verificati. Al Bloch,
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bi raccolgono tutto quel ero rir
che si sapeva di lui sullra di (
sua vita, i suoi oracolUprediC
sue visioni. E mettendo la Gei
punto il libro di Gereni centra
che ora abbiamo, dicco regno
le loro proprie idee e lak sta te
ro propria speranza. teolog
Il messaggio di Gereni quanti
è già contenuto per inltfjup j
ro fin dall'inizio del 1'*’® lUQud
in sei verbi raggruppai .
due a due e che sono tut ^
immagini del giudizioi . ^
della salvezza: sradicali^)*-®
e demolire, abbatterei “iven
distruggere, costruirei dietro
piantare. Il giudizio infai ranza
non può essere l'ultiniichem
parola che Dio pronunci _ Q|
sul suo popolo. Vuole l è coll
sua felicità, non la sua i Che c
sgrazia. Per cui sta per a« ¿gHn,
nunciare un avvenire nu) creazii
vo alla comunità esiliata.!
lo fa tramite la voce df ^
suo profeta che, come un
sentinella, è incaricato (
vedere e di parlare, di d rérnm
scernere e di proclamare. SVilup
Il profeta deve guardalato e
re intorno a sé, decifrare può cl
mondo, perché la Parolai tastro
fa corpo, si esprime in si o d’al
gni. L'immagine del mal molte
dorlo si arricchisce ancoiMaqj^
di più quando si sa cheifatu^.,
mandorlo è l'albero chi ¡.jjg
fiorisce per primo nel cu» ^0
re dell'inverno. Nel cuori
della prova del fr'^ddo^
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cuore della tragedia d(
popolo in esilio, Dio vegli
e annuncia una nuova '
leanza. Nel cuore delle cn essere
si e dei drammi della st» ma di
ria e delle nostre vite, Dir di Die
vuole «darci un avvenire* ho la
una speranza» (29, lD
suoi fiori portano già i
promessa dei frutti. N»
Per
approfondire
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futuri
viene
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dei “t
- T. Römer, Discours
Jérémie, ou l’actualité ta e r
manente de la Parole é ia rit
Dieu, Editions du MouliA rnani
1992. in Su
- S. Amsier, Les acte* (jj yj.
des prophètes, Genève. pjyj.j
1985 (Essais bibliques, ehe i
- H. Mottu, Les «conter
sions» de Jérémie, Genev.
1985.
Aa. Vv., Jérémie,
ut
de cf|
prophète en temps . ,
se, Genève, 1985 (Essais
bliques, 10).
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JGNO i,\gjERDL^lUGNO 1997--------------------------------------------------------------------
PAG. 3 RIFORMA
etiche
Intervista al teologo Jürgen Moltmann, a Torino per un seminario
I due compiti delle chiese: diaconia e profezia
«Profezia significa dire alla società, in modo chiaro, le cose che non vanno
Oiaconia significa essere accanto ai poveri e ai senza lavoro e agire in loro favore»
eMMANUELE PASCHETTO
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i» (11, 18'
20;17, l-T ,
3. 7-18) infL teologo Jürgen Molta sua protlmann ha tenuto il 15 e 16
le, la sua (waggiti presso il Centro studi
igione, il Éosofico-religiosi L. Parey;lla nuovafen di Torino un seminario
a (31, 3i-&’escatologia nella teologia
che punto^ ’900. Lo ringraziamo per
1 « prof eta^gj. accettato di farsi intervida Riforma, settimanale
spetti vicio^^ come egli stesso ha afirmato, già conosceva.
!sto storico - Moltmann, la sua
587-586 ¡0Ìtnci iììiportunte opera, del
iuda perdei, è «Teologia della speenza, ^ nato in lei
Tquistata per questo tema, ri
Ì élite vengpwwfo sempre vivo anche nels a Babilofesueoperesuccessii^e?
e semplice, «È semplice. Ci sono tre
ese. Per Isrfafandi virtù teologiche: fede,
uno «choi^eranza, amore. Nel me- '®Moevo alcuno grandi teologi,
'• '^'®^^®l|priino fra tutti Tommaso
ite piu si sono occupati
.donato il Riforma Lutero. Calvino e
tentato im«Zwingli hanno scritto una
bole degliiteologia della fedo, e la speLontano iranza? Solo in epoca modera cercare (Una è riaffiorata alla coscienza
itrovare uidelTuomo: nel XVII secolo
"a ci si riconebrei e cristiani hanno codoni di gii( tninciato a parlare della speate da Geiranza. Un rabbino ad Am)i appelli ij jterdam scrisse un libro: “La
Aveva inii speranza di Israele” e c’era
P« nel Pietismo la speranza in
7 626)°™ ioorpf migliori, così come
vi;ertito°iJ Spener scrisse sul regno di
iciato oli i Dio che doveva venire. Prima
emendi cl ‘f’ conoscere il filosofo Ernst
irificati. M Bloch, che nel 1950 ha scritto
a, alcuni sj “H principio della Speranza”,
tutto quel ero rimasto colpito dalla figu) di lui sullra di Christoph Blumhardt,
Di oracoli,Ipredicatore del Risveglio nelmettendo la Germania dell’800, che
I di Gererai centrava la sua missione sul
amo, dico» regno di Dio che viene. Que■ idee e lali sta teologia è dunque una
rama. teologia del regno di Dio. Per
D di Gerem quanto mi concerne verso la
uTi'ffme della seconda guerra
' ® 'J' mondiale fui arruolato per
ne sono M ^ prigionia per
I qiudizioi ^m. La mia visione della
a: sradicalicambiò in quell’epoca,
abbatterei divenni credente e scoprii,
costruirei dietro al filo spinato, la spejdizio infall ranza come una forza vitale
are l'ultini che mi aiutò a sopravvivere».
0 pronunci _ Questa speranza dunque
lo. Vuolel è coHegafa all'escatologia.
Dn la sua a c/jg cosa pensa del futuro
li sta per aj del futuro della
vvenire inuo creazione? Come legge il mesla voce df biblico in proposito?
e come un si guarda solo alla vita
ncaricato ( come la sperimentiamo, che
arlare, di d i^mina con la morte o allo
roclamare. sviluppo della storia nel paseve guardi sato e nel presente, non si
', decifrare può che immaginare una ca; la Parolai tastrofe atomica o ecologica
prime in s( o d’altro genere: circolano
ne del ma« molte profezie apocalittiche,
■''sce ancoii questo non ha nulla a che
1 si sa che fate con la speranza cristiana
^ che si fonda sulla risurrezioTriinti di Gesù Cristo crocifisso,
el heS n'^^^fi^^èstata in realtà
tano già **31210. La sua risurrezione e
frutti. Ni '^presenza attuale dello Spiagedia de *3fo Santo fanno sì che la spe), Dio vegli! tanza sia fondata in Cristo,
á nuova al f’fon si tratta dunque né di
)re delle d essere ottimisti né pessimisti,
li della sW ma di aver fede nella fedeltà
tre vite. Di' di Dio. Poiché io credo in Dio
1 avvenire! ho fg speranza nel futuro del(29,11)- la vita eterna per l’essere
umano, nella vita del mondo
futuro, nel regno di Dio che
. ,, viene. La speranza cristiana
onci II"® ®* fonda sulla risurrezione di
^’’isto. Ci sono poi dei segni,
Discours d< dei “miracoli” nella nostra vi:tualitép^'' ta e nella società. Prendiamo
I Parole la riunificazione della Gerdu Mou I ’ mania o la fine dell’apartheid
rtei 'T Aftica con la creazione
Stato democratico e
r 9). Pr'**'**'^2ziale senza guerre
rnnfei' sembravano inevitabili.
;fe, Genève f * aspettava questi
eventi. Ciò per me significa
irómie è'' ®* deve sempre essere
iTdecti aperti alla speranza».
5 (Essais hi Pensa che le Chiese abbia
II teologo protestante Jürgen Moltmann
no preso sul serio la teologia
della speranza o che sia necessario ancora insistere?
«Certo, si deve insistere.
Ma mi ha stupito per esempio quanto la teologia della
speranza abbia significato
per molte persone che vivevano nella Ddr, uno stato
ateo, dando loro la capacità
di resistere. E la teologia della
Liberazione in America Latina ha stretti legami con la
teologia della speranza, e in
molti altri contesti ancora ha
portato fermenti impensabili.
Le nostre chiese devono alimentare la speranza, prender
posizione più coraggiosa
contro le ingiustizie crescenti
nei nostri paesi, come il divario che aumenta, in tutta
l’Europa, tra i disoccupati e
coloro che si arricchiscono
sempre più, che rischia di
portarci fuori dalla democrazia, a una sorta di dittatura
del capitalismo. Le chiese,
cattoliche ed evangeliche
hanno cominciato a farlo, ma
non basta».
-A proposito di Europa,
sembra che ci si avvìi più verso un’Europa delle banche,
dei complessi industriali, dei
mercanti che non verso una
Europa delle persone.
«Credo che nei nostri paesi
dove crescono ingiustizia,
povertà, disoccupazione,
condizioni che si avvicinano
un po’ a quelle dell’America
Latina, dobbiamo sviluppare
una teologia della liberazione
dall’emarginazione, dalla povertà, dalla disperazione. Le
chiese hanno due compiti essenziali: la diaconia e la profezia. Profezia significa dire
chiaramente alla società le
cose che non vanno, diaconia
significa essere accanto ai
poveri, ai senzatetto e senza
lavoro e agire in loro favore.
In parte le chiese hanno già
intrapreso questo cammino:
ma quanto più la diaconia è
attiva tanto più la profezia risalta e viceversa».
- L’appuntamento di Graz è
una tappa di questo cammino 0 rischia di essere solo una
vetrina?
«Credo che sia una tappa
sul cammino del processo
conciliare. Occorre unificare
la nostra società, ma non
orizzontalmente bensì verticalmente. In Germania si è
avuta una riunificazione
orizzontale, ma la separazione verticale fra ricchi e poveri
è aumentata. Se si vuole la riconciliazione si devono ricomporre le divisioni sul piano sociale e politico. L’altra
grossa divisione in Europa
non è tanto fra cattolici e protestanti quanto fra chiese occidentali e chiese orientali. Lo
si è visto nella guerra di Bosnia. E in Grecia si sta sviluppando un movimento di rifiuto degli ortodossi verso ciò
che viene dall’occidente, rifiuto che si estende a Serbia,
Bulgaria, Romania, Ucraina,
Russia. Si vorrebbe un modello Est europeo in contrasto con quello dell’Europa
occidentale. La separazione
religiosa segue la divisione
dell’impero romano operata
da Teodosio, che ha fatto sorgere due diverse culture cristiane in Oriente e in Occidente. E c’è la tendenza a
Bruxelles e Strasburgo a costruire un Europa solo “latina” escludendo il mondo ortodosso. A Graz bisogna che
questo sia affrontato, che si
parli di una Europa delle diversità riconciliate, anche
con l’Est».
- Ma cinquant’anni di collaborazione tra protestanti e
ortodossi nel Consiglio ecumenico non sono serviti?
«Almeno quaranta di questi cinquant’anni sono stati
di declamazioni dei delegati
ortodossi che prima dovevano essere approvate dai loro
vescovi, patriarchi e sottoposte alla censura statale. E oggi
ci sono in quei paesi reazioni
che tendono a rafforzare le
vecchie divisioni».
- Nella sua teologia lei torna spesso sul regno di Dio;
com’è questo Regno?
«Molti pensano al regno di
Dio come al futuro ignoto. I
cristiani ci pensano partendo
da Gesù, dal suo annuncio
del regno di Dio ai poveri e
poiché Gesù era il regno di
Dio in persona, ed è stato
crocifisso ed è risorto, il regno
di Dio c’è già, nascosto. Iniziato con la predicazione di
Cristo, continua con l’azione
dello Spirito Santo. Il regno di
Dio è l’estate, l’esperienza
dello Spirito è la primavera
che sfocerà nel Regno».
- Tuttavia molte chiese
sembrano ancora vivere nell’inverno...
«Le chiese tradizionali non
devono lasciare l’esperienza
dello Spirito alle sole chiese
pentecostali. La Pentecoste,
discesa dello Spirito Santo,
deve essere esperienza di tutte le chiese cristiane: allora il
regno di Dio agirà nella vita
di ognuno di noi. Battezzare,
partecipare alla Mensa del Signore, leggere la Bibbia insieme: ecco dei semplici segni
del Regno, cominciamo da
cose vicine a noi».
Per decisione del Santo Sinodo
La chiesa ortodossa georgiana
si ritira dal Cec e da
la Kek
La Chiesa ortodossa della
Georgia (ex Unione Sovietica) ha deciso di ritirare la sua
adesione ai due principali organismi ecumenici e cioè, rispettivamente a livello mondiale ed europeo, al Consiglio
ecumenico delle chiese (Cec)
e alla Conferenza delle chiese
europee (Kek). La decisione è
stata presa il 20 maggio scorso nel corso di una riunione
straordinaria del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa della Georgia, in seguito alle forti
pressioni provenienti soprattutto dagli ambienti monastici ebe considerano l’impegno
ecumenico una «eresia». Il capo della Chiesa georgiana, il
Catholicos-Patriarca llia li, è
noto come leader ecumenico
a livello mondiale, e dal 1979
al 1983 è stato uno dei presidenti del Cec, di cui la Chiesa
ortodossa georgiana fa parte
sin dal 1962. AH’inizio del mese di maggio, l’archimandrita
Georgi, superiore dell’influente monastero di ShioMgvima, aveva indirizzato
una lettera a llia li, annunciando la «rottura della comunione» col patriarca «a
causa della sua eresia ecumenica». La lettera dell’archimandrita Georgi aveva ottenuto il sostegno dei principali
monasteri del paese, e di un
gruppo di sacerdoti che, il 19
maggio, ha lanciato un appello chiedendo il ritiro dell’adesione al Cec e alla Kek.
L’immediata decisione del
Sinodo, che ha stupito gli
stessi oppositori del movimento ecumenico, sarebbe
stata presa per evitare la
spaccatura della chiesa; insieme alla decisione di lasciare gli organismi ecumenici, il
Sinodo ha adottato pesanti
sanzioni contro l’archimandrita Georgi e gli altri esponenti antiecumenici, accusandoli di aver attentato
all’unità della chiesa, sospendendoli dalla celebrazione
dell’eucarestia.
È la prima volta che una
Chiesa ortodossa prende la
decisione di abbandonare il
Cec e la Kek anche se, ad
esempio, vasti settori della
Chiesa ortodossa russa hanno recentemente fatto pres
sioni nello stesso senso. Il
movimento antiecumenico
fra gli ortodossi sarebbe motivato soprattutto dall’attività
proselitistica delle altre chiese, protestanti e cattolica, nei
paesi del blocco ex comunista dopo la «caduta dei muri». Secondo quanto dichiarato all’agenzia ecumenica Eni
dall’arciprete Victor Petljucenko, direttore aggiunto del
Dipartimento per le relazioni
esterne del Patriarcato di
Mosca e uno dei quadri importanti della Chiesa ortodossa russa, la decisione del
Patriarcato della Georgia è
una decisione di una Chiesa
ortodossa autocefala e «non
provoca automaticamente il
ritiro di altre chiese ortodosse». Petljucenko non pensa
che i monasteri siano alTorigine del movimento antiecumenico, bensì che questo sia
«dovuto alle attività di proselitismo di diverse chiese, alcune delle quali sono i nostri
partner aH’interno del Cec».
Secondo Petljucenko «la gente non reagisce contro il Cec,
bensì contro le attività di
proselitismo con cui si trova
quotidianamente confrontata». Oltre al proselitismo, altri
problemi sovente citati dai
critici ortodossi del movimento ecumenico sono l’apertura al sacerdozio delle
donne e le posizioni etiche su
problemi controversi come
l’omosessualità.
Il Cec e la Kek hanno confermato la notizia dell’abbandono della Chiesa ortodossa di Georgia ma per ora
non hanno rilasciato dichiarazioni in merito. È indubbio
che la decisione influirà negativamente sulla prossima
Assemblea ecumenica europea, convocata dalla Kek e
dal Consiglio delle conferenze episcopali europee a Graz.
La Chiesa ortodossa della
Georgia è una delle 15 chiese
«autocefale» che compongono l’ortodossia. Risale alla
prima metà del IV secolo,
quando il cristianesimo fu
adottato in Georgia come religione di stato. Buona parte
degli oltre 5 milioni di abitanti della Georgia ne sono
membri. (nev/eni)
Sinodo nazionale della Chiesa riformata di Francia
Rapporti internazionali e impegno ecumenico
Il Sinodo nazionale della Chiesa riformata di Erancia (Erf)
si è tenuto dall’8 alTll maggio a Reims. In quell’occasione è
stato votato un ordine del giorno sui rapporti internazionali
delTErf Riprendiamo la parte riguardante i rapporti con il
Consiglio ecumenico delle chiese (Cec).
«Il Sinodo è grato di aver potuto ascoltare una conferenza
sostanziosa del pastore Konrad Raiser, segretario generale
del Consiglio ecumenico delle chiese, sul tema “Rapporti internazionali e impegno ecumenico”.
Il Sinodo nazionale di Orthez (1991) aveva attirato l’attenzione del Cec sui seguenti punti (citiamo):
- Incoraggiamo il Cec a proseguire la riflessione di fondo
già avviata sulla sua vocazione e i suoi obiettivi, ivi compresa
la difficile questione della sua ecclesialità. Molte ragioni portano a rinunciare all’idea, forse utopica e sbagliata, di un’istituzione ecclesiastica unica: non andrebbero però abbandonate l’esigenza e Tinterpellazione che [quest’idea] rappresentava per le nostre chiese.
- Incoraggiamo il Cec nella sua volontà di lottare contro
l’ipertrofia dell’istituzione, nonché contro un discorso spesso
percepito come perentorio e unilaterale. Ci sembra che [il
Cec] dovrebbe puntare a favorire relazioni e scambi tra chiese membro. Pensiamo inoltre che sarebbe utile un’articolazione più efficace tra il Cec e gli organismi interecclesiastici
internazionali.
Il Sinodo ha sentito nelle parole di Konrad Raiser delle risposte chiare alle preoccupazioni espresse dal Sinodo di
Orthez. Incoraggia pertanto il Consiglio nazionale a rispondere con interesse e attenzione al progetto di dichiarazione
di orientamento generale “Verso una concezione e una visione comuni del Consiglio ecumenico delle chiese".
Sottolinea in particolare la visione di un Cec inteso come
un organismo ecumenico fra altri: “Né il Consiglio ecumenico, né la Chiesa cattolica romana, né alcun’altra organizzazione ecumenica internazionale possono pretendere di esse
re il centro del movimento ecumenico. Nello stesso tempo,
se è vero che l’impegno ecumenico è caratterizzato dalla risposta a una visione comune, da una visione dell’unità e della comunione, è imperativo mantenere l’unicità del movimento ecumenico”.
È rallegrante vedere che le relazioni tra le chiese tornano ad
essere la preoccupazione principale del Cec, dato che il Cec ha
come obiettivo principale quello di essere per loro “uno spazio in cui possano esortarsi reciprocamente a tendere verso
l’unità visible in una sola fede e in una sola comunità eucaristica...”. (“Verso una concezione e una visione comuni”, 3.15).
Il Sinodo è consapevole che è possibile scoprire e vivere
questa realtà solo nel rispetto di una autentica “Carta” che
esprima l’adesione delle chiese alla comunità fraterna che
viene loro proposta. È grato a Konrad Raiser di avergli ricordato che la qualità delle nostre relazioni con le chiese vicine
è “il test decisivo del nostro impegno ecumenico”.
Riceve questa interpellazione come rivolta tanto alle relazioni quanto alle strutture del protestantesimo francese.
Il Sinodo ritiene che la molteplicità delle istituzioni a vocazione ecumenica e internazionale, dei loro programmi e delle loro Assemblee, non giovi alla visibilità del progetto ecumenico al quale è legata la Chiesa riformata di Francia.
Chiede dunque che il Consiglio nazionale dia priorità agli
impegni delTErf nell’ambito del Cec. Tale priorità data al Cec
in ragione del modello di relazioni ecumeniche che esso offre
(cfr. il progetto di dichiarazione di orientamento generale
proposto alle chiese membro) non esclude altre partecipazioni ad organismi a vocazione specifica.
Insiste presso il Consiglio nazionale affinché l’impegno
delTErf in tali organismi avvenga nella prospettiva ecumenica sopra accennata e in relazione con il Cec.
Chiede [al Consiglio nazionale] di vegliare sul fatto che la
diversità di queste partecipazioni corrisponda a reali specificità di questi organismi». (bip)
4
PAG. 4 RIFORMA
A colloquio con lo studioso inglese lan Thomson, che sta preparando una biografia dello scrittore
Primo Levi scienziato e bambino curioso del mondo
VENERDÌ 6 GIUGNO I90 sped«
art. 21*
Incas
al miti
L’Edile
Una ricerca condotta intervistando amici e conoscenti dimostra che è fuorviante limitarsi a constatarne il ruolo di testimofi
e sopravvissuto della «soluzione finale» nazista. Un'indagine che ha toccato anche i valdesi e le loro valli del Piemonte
ERICA SGROPPO
Nel marzo 1993, su invito della Società letteraria
ebraica, tenni a Edimburgo una conferenza su Primo
Levi, basata sulla mia conoscenza personale dell’uomo,
della famiglia, dell’ambiente di Torino: nel settembre,
trovai una lettera di uno
scrittore inglese che mi chiedeva di intervistarmi su Primo Levi. Dopo la conferenza
di marzo avevo scritto un
lungo articolo per VEdinburgh Star, e questo signore
l’aveva letto: inoltre era interessato a sapere di più sui vaidesi, sui rapporti tra ebrei e
valdesi a Torino e sembrava
già conoscere parecchio, anche il significato del frequentare la scuola ebraica torinese
o il liceo «D’Azeglio». Sapeva
anche che mio padre era un
importante pittore e così via:
chiunque fosse, aveva condotto bene le sue ricerche.
Accettai così di vedere lan
Thomson, che mi immaginavo signore anziano pieno di
sapienza e di saggezza e mi
trovai di fronte un bel ragazzo poco più che trentenne,
gentile ma deciso e risoluto.
La sua laurea a Cambridge
in Letteratura inglese era garanzia di fame e Thomson
scelse di partire per Roma a
insegnare inglese. Non conosceva l’italiano ma aveva letto in inglese Calvino, Sciascia, Pavese, Carlo Levi, Primo Levi. La lingua l’imparò
nei caffè e leggendo Natalia
Ginzburg, e presto decise di
raccogliere interviste di autori contemporanei da vendere
a giornali inglesi. La prima fu
fantascienza, cosa che gli
garbò parecchio. Calvino era
già morto e lui mi mostrò
una foto di una formica che
spingeva la vite di un microscopio, di cui lui e Calvino
avevano molto discusso al
tempo in cui ferveva il dibattito sulla “possibilità” di far
lavorare le formiche per noi.
Sembrava anche assai orgoglioso della dedica che Calvino gli aveva scritto su una copia delle Cosmicomiche: “A
Primo Levi che mi ha preceduto su questa strada”».
Martire a tutti i costi
Quando l’articolo stava per
uscire, nelT87, Thomson telefonò a Levi che gli chiese di
mandarglielo, ma qualche
settimana dopo, come tutti
noi, seppe della morte dello
scrittore. Secondo Thomson
«in America quasi volevano
che Levi si suicidasse: lo volevano martire, vinto, vittima
per sempre». Lui invece si
oppone a questa visione, che
porta alla conclusione che
Auschwitz ha vinto e continua a vincere. Nel 1987 l’editrice universitaria Yale chiese
a lan Thomson una biografìa
di Levi e lui rifiutò ritenendo
il lavoro troppo arduo: però
nel 1988 si recò a Torino per
un articolo in proposito e incontrò Cesare Cases, Silvio
Ortona, Bianca Guidetti Serra
e visitò la fabbrica di vernici
dove Levi lavorò tanti anni.
L’articolo non uscì, ma sintetizzava un vasto materiale e
quando un altro editore si fece avanti Tbomson non rifiutò più. La sua ricerca, condotta sul filo dei ricordi e della memoria di amici e cono
lan Thomson con la figlia Maud
con Italo Calvino: gli aveva
prima inviato 25 cartelle di
domande, Calvino ne fu colpito e accettò. Con lo stesso
sistema riuscì a penetrare
nella fortezza dei più restii
dei nostri scrittori, fra cui
Moravia, e a pubblicare in Inghilterra le interviste. Nel
frattempo, grazie all’entusiasmo di Saul Bellow', la traduzione inglese (1985) de II sistema periodico portava Levi
a conoscenza del vasto pubblico in Gran Bretagna e negli
Usa. Nel 1986 Levi presentò il
libro all’Istituto italiano di
cultura di Londra di fronte a
una folla e nell’estate lan
Thomson si recò a Torino per
intervistarlo. Passò con lui un
pomeriggio e da qui ebbe inizio il lungo viaggio che ancora non si è concluso.
«Presi l’ascensore - racconta - e salii al 3° piano: lui mi
aspettava fuori della porta,
gentile e cortese. Faceva caldo e indossava una camicia
bianca a maniche corte, sul
braccio spiccava il “tatuaggio” nazista. L’atmosfera del
suo studio zeppo di libri e
della casa in generale era
strana, un po’ cupa, ma la
sua personalità non lo era affatto. Non mi parve il caso di
iniziare da Auschwitz, e attaccai con i suoi racconti di
scenti, lo porta da ogni parte
d’Italia, in Francia, Germania, Polonia, America: tra il
1993 e il 1995 ha intervistato
centinaia di persone, alcune
sono diventati suoi amici. Su
tutta questa materia gli ho
fatto delle domande dirette.
- Quando ha iniziato la sua
ricerca aveva una tesi o ha seguito il filo della vita e delle
opere di Primo Levi?
«Non credo di aver avuto
una tesi. Certo non mi interessava fare paragoni grossolani tra la sua vita e il suo
scrivere, come scandagliare
Se questo è un uomo per trovare una risposta al suo apparente suicidio. Un autore
può essere perfettamente ottimista nel messaggio che
trasmette in un libro, ma
pessimista nella vita. Se
avessi una tesi sarebbe di dimostrare che Levi era un
personaggio estremamente
complesso».
- Ora che il libro sta prendendo forma Levi le pare diverso dall'uomo che ha brevemente incontrato?
«Primo Levi mi colpì come
un uomo con un senso di
meraviglia infantile per il
mondo che lo circondava,
una creaturina del bosco, curiosa, con un sorriso da bambino. La sua vera musa era la
curiosità, anche se ora so che
soffriva di gravi depressioni e
dubbi».
- Le pare di avere intervistato tutte le persone che le
servivano, ha trovato tutto
quel che cercava? È soddisfatto o continuerebbe la ricerca?
«Si può capire parecchio di
Levi semplicemente attraverso un’attenta analisi testuale
dei suoi scritti. Ovviamente
uno può continuare le ricerche per sempre, ma a un certo punto ci si deve fermare e
posso dire di essere soddisfatto: la mia ricerca è stata
profonda e accurata».
- Primo Levi è il suo scrittore italiano preferito del dopoguerra?
«È uno dei miei preferiti.
Ammiro anche Sciascia, Pasolini e Calvino, tutti per ragioni diverse. Di Primo Levi
alcuni libri mi piacciono più
di altri, non ho una grande
opinione su Se non ora quando?, che è l’unico suo romanzo di pura fantasia e a me pare un po’ legnoso, i personaggi mi paiono poco convincenti: questo perché Levi dà
il meglio di sé quando scrive
partendo dalla propria esperienza. Il suo genio era di tradurre il materiale grezzo della sua vita in alta letteratura.
Questo vale per Se questo è
un uomo come per i suoi altri
scritti. La grandezza di Levi è
di saper parlare a uomini e
donne di ogni credo e idee, è
uno scrittore universale e
certo Se questo è un uomo è
uno dei libri essenziali della
storia dell’umanità».
Un ponte fra le culture
- Mi ha detto una volta di
considerare «Il sistema periodico» un capolavoro di questo
secolo, che nessun testo è stato
insieme tanto innovativo e
leggibile e tanto radicale senza essere scioccante...
«Certo è un capolavoro,
non necessariamente di questo secolo. Altre opere letterarie hanno affrontato la chimica: per esempio Goethe
nelle Ajfinità elettive sostiene
l’origine chimica dell’amore.
La genialità di Levi nel Sistema periodico sta nell’aver
eretto un ponte tra le due cosiddette culture. Non molti
scrittori ci sono riusciti».
- Quando parliamo di Levi
ha senso separare il testimone
sopravvissuto dallo scrittore?
«La distinzione mi pare un
po’ forte e arbitraria. È vero
che il primo volume di fantascienza Storie naturali uscì
sotto lo pseudonimo di Damiano Malabaila perché l’editore Einaudi era preoccupato di confondere i lettori:
pareva inammissibile che il
testimone di Auschwitz potesse anche scrivere favole
tecnologiche spiritose. Per
me è possibilissimo: molti
dei racconti di Storie naturali
e poi di Vizio di forma parlano dell’abuso di scienza e
tecnologia da parte dell’uomo, e quale abuso della tecnologia del XX secolo fu più
grande di Auschwitz?».
- Nel suo scrivere Levi fu
condizionato dalla sua «metà» scientifica, o in lui ci sono
due persone?
«Era certo condizionato: un
critico americano, un po’
grossolanamente, lo ha chiamato “il Darwin dei campi di
concentramento”, ma c’è del
vero. Levi assorbì Darwin in
tenera età e Se questo è un
uomo è scritto con la comprensione di un evoluzionista per la natura bruta e la
spinta alla sopravvivenza. Levi spesso parìa di sé come di
due persone, lo scrittore e il
chimico, l’italiano e l’ebreo,
si descrive persino come cen
Primo Levi all’inizio degli Anni 70
tauro. In realtà lo scienziato e
lo scrittore sono in perfetto
equilibrio».
Ebreo e piemontese
-A me pare che il testimone
sia lo scienziato e lo scrittore
sia lo “spirito libero” che vaga
sempre in cerca di una bella
storia: quale parte della sua
personalità è ebrea e quale è
italo-piemontese?
«Non sono certo che Primo
Levi sia sempre un cerca di
una “bella storia”: piuttosto è
sempre in cerca del modo migliore di descrivere eventi che
gli sono accaduti. Sia Se questo è un uomo sia La tregua (il
capolavoro letterario) sono la
forma scritta di storie orali:
usando il suo dono di cantastorie Levi levigò alla perfezione queste narrazioni ripetendole più volte ai suoi amici, poi le mise su carta: spesso
penso a lui come a Ulisse nel
VII libro deìVOdissea, quando
i greci passano un’intera notte a raccontare le loro terribili
disavventure al re dei Feaci. A
volte sottovalutiamo che il
dovere civico che Levi provava, di testimoniare contro Auschwitz, era comunque secondario rispetto all’impellente, istintivo bisogno di raccontare semplicemente la sua
storia: e Levi è uno dei grandi
narratori della letteratura di
questo secolo.
Non so quanto ebraica fosse questa parte della sua personalità di narratore, forse
una certa subtilitas, un piacere rabbinico nel dividere il capello in quattro è presente
quando scrive di cose più
scientifiche, come quando
parla del salto della pulce: ma
nell’insieme Levi è soprattutto un italiano con forte formazione classica, in cui l’influenza della cultura greca e
latina, di Dante, Foscolo, Leopardi è certo assai più profonda del Talmud, cosa difficile da capire per molti ebrei
americani di oggi. Come italiano, poi, è certamente piemontese, torinese: i piemontesi sono famosi per la loro
paziente operosità e i loro
modi misurati, metodici».
Nelle valli valdesi
- Le sue ricerche l'h
portata anche nelle valli wj
desi...
«Tra il 1925 e il 1930 Le(
passò le vacanze al Baussaj
e le sue prime osservazioij
scientifiche le condusse sj
girini nel torrente Angrognaj
gli animali selvatici dei dii
torni di Torre Pellice: pipj,
strelli, talpe, donnole:-rimaii
sempre affezionato a quest
valli, e poi c’era la tradizioni
le affinità fra minoranze p®
seguitate: la Resistenza ha pi
cementato questa amicizij
una peculiarità del Piemonti
Giorgio Diena, Alberto Sai
moni e Giorgina Levi mi haj
no indirizzato in questo se»
so: la prima volta che so®
andato nelle Valli cercavo ta
stimonianze su amici inti®
di Primo come Emanuele à
tom e Alessandro Delmastti
e ho parlato soprattutto coi
Frida e Gustavo Malan: quaj
do ho abitato a Torino so»
andato spesso a cammina
nell’alta valle, sopra Angro
gna, Rorà, Bobbio Pellice».
- Per tornare in conclusim
a Levi, “I sommersi e i sai
vati”^ sono un’opera ultim
un commiato?
«No, Levi stava lavorando:
un altro libro, che doveva e
sere il gemello del Sisten
periodico, il corrispettivo I
sato sulla chimica organic
si doveva chiamare II dopfi
legame ed era un romana
epistolare tra un uomo!
scienza e una nobildonna è
secolo XVIII in cui veniva»!
spiegati fenomeni come pe
esempio ciò ebe succede chi
micamente a un uovo dii
bolle, e così via... Non so peti
se i pezzi rimasti saranno mi
pubblicati».
(1) Scrittore ebreo di Nei
York, premio Nobel per la lette
ratura nel 1976.
(2) Località tra Angrognai
Torre Pellice.
(3) Pubblicato nel 1986 è uni
riflessione a trent’anni di dista»
za sullo sterminio nazista degl
ebrei.
Un messaggio sempre valido nel teatro di Marivaux
Rispettare la dignità degli esseri umani
PAOLO FABBRI
Al fondo di ogni opera di
Marivaux c’è un intento
didattico-dimostrativo, che
mira a indirizzare i comportamenti umani secondo regole etiche risultanti da una ricerca apparentemente basata
solo sulla ragione, in realtà
strettamente influenzata dal
rispetto per la dignità degli
esseri umani in quanto tali, a
prescindere dalla loro condizione sociale, dal loro patrimonio, dalla loro cultura.
Nella prima metà del ’700, in
pieno secolo dei lumi, Marivaux non esprime una critica
alla società con le sue ingiustizie e diseguaglianze, il suo
interesse è per l’essere umano, dai cui intimi convincimenti nasce anche il modo di
essere della società stessa.
Nonostante il preciso riferimento alla ragione come
fonte ultima di discernimento, l’autore sembra essere influenzato da elementi etici
del cristianesimo, in cui la
considerazione dell’altro deriva dal gran comandamento
«ama il prossimo tuo come te
stesso». Ammonisce infatti
Trivellino nel finale dello
spettacolo: «Ci vuole un cuore buono, essere onesti, usare la ragione».
La trama, come in altri la
vori di Marivaux, si avvale di
una situazione estrema per
mettere a nudo l’animo dei
protagonisti e metterli in crisi. Una nave naufraga e si
salvano solo quattro persone, prive di ogni cosa: Silvia
e la Madame di cui è schiava
e Arlecchino con il Monsieur
di cui pure è schiavo. Pur
nella tragicità della situazione, si chiariscono subito le
gerarchie, non senza qualche travaglio che evidenzia
personaggi sostanzialmente
non cattivi quanto piuttosto
influenzati negativamente
dall’ambiente, dal ruolo imposto loro dal rango. L’isola
in cui i naufraghi sono capitati è coperta di una sabbia
bianca, che assurge a metafora di pulizia morale e
tutta l’isola sembra essere
un mondo sospeso fra la
realtà e il sogno.
È in questo contesto ebe
entra in scena Trivellino, una
sorta di capo spirituale dell’isola che spiega come la loro società sia stata fondata
molto tempo prima sul principio che i padroni debbono
servire i loro schiavi allo scopo di capire che cosa si prova
a subire angherie di ogni tipo. Così il nobile veste i panni di Arlecchino e altrettanto
fa Madame con Silvia. Lo
scambio degli abiti diventa
simbolo dello scambio de
ruoli, ebe si evidenzia coi
l’analisi spietata dei vizi'
delle meschinità dei due pe
droni. L’azione, sapienti
mente condotta da Trivelli
no, si concluderà con la coi»
prensione dei propri erro!
da parte dei due nobili e coi
il perdono da parte dei duf
servi, con il proposito di vivi
re sempre nel rispetto red
proco in questa nuova so
cietà ideale, in cui non ve»
gono abolite le gerarchie, W*
esistono solo «uomini veri'
uomini cioè che «sono tutti
ciò che pensano, tutto ci
che sentono, tutto ciò et»
esprimono».
Ne «L’isola degli schia''*’
uno degli spettacoli più raP
presentati al Piccolo di Miw;
no, si esprime al meglio qf®
teatro di regia che si basa si»
la perfetta cura del gesto, de
la cadenza nella battut
nell’inflessione della vo
sulla singola parola, che tfo ‘
in Strehier il regista più P
niale, anche perché ne e
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l’iniziatore. Fra gli attori
pa’
mela Villoresi, Renato
’ . .1- 111'
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Carmine, Mattia Sbragia ’^
terpretano in modo eccell
te lo spettacolo che
sempre l’incanto della P
pria attualità.
Milano, Teatro stu^
regia di Giorgio Streff
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Coedizione in a p- comma 26
legge549/95-nr, 22/97-Torino
f" so di mancato recapito si prega restituire
gì mittente presso i’Ufticio PT Torino CMP Nord.
L’Editore si impegna a corrispondere il diritto di resa.
Fondato nçl 1848
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La Festa dello sport sotto la pioggia
'MBBIBÌ55Si!é MMiííSti
La pioggia è stata la protagonista assoluta della 16“ Festa
dello Sport organizzata dal 3S a Luserna San Giovanni. Il
centro avrebbe dovuto essere come al solito il campo sportivo, purtroppo domenica molte attività sono state rinviate e
si disputeranno domenica 8 giugno, in concomitanza con la
24 ore di pallavolo. Sabato il tempo clemente ha fatto sì che
la prima parte della manifestazione potesse aver luogo senza intoppi. Il tripode è stato acceso dalle vecchie glorie
dell’atletica leggera lusernese: Bruno Franco, Ebongué,
Metti, Gerlero, Malan, Demo, seguiti dal gruppo dei giovanissimi. Di ottimo livello il meeting Isoardi di atletica intervallato da esibizione di ginnastica artistica delle ospiti di
Prievidza presenti alla manifestazione con gli atleti di Fola.
venerdì 6 GIUGNO 1997
ANNO 133 - N. 22
LIRE 2000
ittà d’arte a porte aXV V_^ perte»; è il nome di
un’iniziativa della Provincia
di Torino volta a propagandare le bellezze del Piemonte e
ad invogliare la gente a visitare e conoscere il proprio patrimonio artistico. Già, perché
noi italiani abbiamo a portata
di mano una grossa ricchezza,
che tutti ci invidiano, e noi
non solo non la sappiamo
sfruttare ma spesso la guardiamo con fastidio perché ci
impone dei vincoli ed è difficile da tenere. Io stesso ho
vissuto per vent’anni a un
passo da Pinerolo, ma posso
dire che non la conoscevo.
Ho dovuto venire ad abitare
nella città per conoscerla, per
cominciare a camminare per
le sue strade (non molte, in
INIZIATIVE DI ARTE E CULTURA E CHIESE
PORTE APERTE
PAOLO RIBET
verità) del centro storico, per
osservarne i dettagli e per conoscerne in parte la storia.
Purtroppo molte chiese sono sempre chiuse. Le loro
porte serrate danno tutto il
senso dell’abbandono, anche
fisico, in cui sono relegate.
Da considerazioni di questo
tipo nasce l’idea della Provincia, che ha deciso di sostenere vari Comuni nell’iniziativa
di aprire le porte di tutti quei
monumenti che di solito rimangono esclusi alla possibilità di essere visitati. Anche
Pinerolo ha aderito all’iniziativa e ha chiesto anche alla
Chiesa valdese di prendere
parte attiva alla manifestazione, aprendo il proprio tempio
il 24 e 25 maggio. Incredibile: il «comodino rovesciato»,
come era stato definito l’edificio, piace ed è considerato
uno dei monumenti da mette
re in mostra. Scopriamo così
che anche le cose che ci appaiono più normali hanno invece il loro valore. E lo hanno per un motivo molto semplice: esistono, là dove non
era affatto scontato che potessero esistere. Chi avrebbe
detto, centocinquant’anni fa,
che vi sarebbe stata una chiesa valdese a Pinerolo? Non
era normale che ciò avvenisse. Essa è il frutto di una lotta, dura, per la libertà di coscienza. E noi lo abbiamo riscoperto aprendo le porte agli
altri, rispondendo alle sollecitazioni che abbiamo ricevuto,
alla domanda che ci è stata
più volte rivolta: perché voi
siete qui? Ecco, solo aprendo
le porte agli altri sappiamo
meglio chi siamo.
I primi dati del '97
Osservatorio
regionale
del lavoro
Per l’osservatorio regionale
sul mercato del lavoro il ’97
in Piemonte inizia con una
preoccupante crescita della
disoccupazione maschile e
una brusca contrazione dell’occupazione industriale.
Complessivamente sono stati
calcolati 13.000 occupati in
meno rispetto al gennaio del
’96 e la flessione si concentra
soprattutto nell’industria, dove il saldo negativo è del 5,3%; continua invece l’espansione dei servizi, che non
è però sufficiente a compensare le perdite nel settore secondario, mentre segna un apprezzabile incremento il settore agricolo (-1-7.000 unità), dopo il ridimensionamento subito negli ultimi anni, anche se
il dato è reso poco significativo dalle oscillazioni di carattere stagionale dovute al periodo invernale.
Più nel dettaglio il calo
dell’occupazione nel settore
dell’industria in Piemonte riguarda sia l’industria in senso
stretto che il comparto dell’edilizia e dell’impiantistica
colpendo entrambi i sessi. A
questa situazione si aggiunge
inoltre, dicono all’osservatorio regionale, un’impennata
nel ricorso alla cassa integrazione, che lo scorso anno
sembrava in calo, ma che nel
semestre ottobre '96 marzo
’97 ha registrato un incremento di quasi 7 milioni di ore
sullo stesso periodo dell’anno
precedente, dato a cui contribuisce in maniera determinante la situazione della provincia di Torino con un incremento del -1-90%. Anche i dati
che vengono dalle sezioni circoscrizionali per l’impiego
sembrano confermare questa
situazione di calo dell’impiego neU’industria anche se fanno emergere, in un contesto
generale di flessione degli avviamenti (-5,8%), un deciso
incremento delle assunzioni a
tempo determinato (-1-14%).
1 dati dell'Aus110 riguardanti i 5 milioni 700.000 pasti annui forniti dalle mense pubbliche del Pinerolese
I rischi specifici della ristorazione collettiva
FEDERICA TOURN
Attenti a maionese, salsa
tonnata e tiramisù: sono
infatti gli alimenti maggiormente responsabili dell’intossicazione alimentare, secondo
un’indagine svolta dall’Ausi
10 per quanto riguarda il Pinerolese. In valori assoluti,
dal 1991 a oggi nei 46 Comuni del territorio 1.034 persone
sono state coinvolte in episodi più o meno gravi di tossinfezione alimentare, e di queste ben 411 sono state effettivamente colpite da vari disturbi, con sintomi quali febbre alta, diarrea e vomito.
Una situazione, quella del Pinerolese, che rientra comunque nella «normalità» a livello regionale. Nella stragrande
maggioranza gli eventi denunciati sono avvenuti nell’ambito della ristorazione
collettiva: mense aziendali e
ristoranti in primo luogo, ma
non mancano episodi verificatisi in famiglia (55 persone
coinvolte), per lo più per
l’uso di uova, in un caso anche di allevamento domestico. E fra gli alimenti incriminati frequente è appunto l’uso
di uova, insalate capricciose,
dolci, tonno e paté, formaggi
vari. L’agente responsabile
delle infezioni è stato in tutti i
casi lo stesso: la presenza della «salmonella enteritidis».
Di fatto la ristorazione collettiva (ristoranti, mense
aziendali, scolastiche e dei
presidi per anziani o sanitari
in totale sono 357 e producono 5 milioni 700.000 pasti
all’anno, pari a 21.101 pasti
al giorno) è un settore nel
quale negli ultimi anni si sono verificati episodi significativi di rischio per la salute: e
a livello più ampio si calcola
che almeno il 60% dei casi di
malattie di origine alimentare
è da correlarsi con gravi errori nelle tecniche di preparazione, manipolazione e conservazione degli alimenti serviti: il rispetto delle temperature e dei tempi fra produzione e consumo costituiscono i
fattori più importanti da controllare nella preparazione dei
cibi. L’inadeguata cottura dei
cibi ha provocato il 16% degli episodi di tossinfezione,
l’ingestione di alimenti crudi
contaminati l’ll% e l’inadeguata pulizia delle attrezzatu
re il 7%. Per quanto riguarda
r inadeguata refrigerazione,
che da sola costituisce il 46%
delle cause di danni agli alimenti, le operazioni improprie che contribuiscono alla
genesi degli episodi di tossinfezione alimentari sono lo
stazionamento a temperatura
ambiente (responsabile nel
56% dei casi), la conservazione in grandi contenitori
(23%), lo stazionamento a
temperatura ambiente in
grandi contenitori (10%), lo
stazionamento in frigorifero a
una temperatura più alta di
quella raccomandata per l’alimento e l’unità di trasporto
non refrigerata (3%).
Cause che indicano chiaramente la necessità da una parte di potenziare le attività di
vigilanza e ispezione, dall’altra di migliorare l’aspetto
preventivo e in particolare la
Esattamente 50 anni fa, sul n. 6 de
L’eco delle valli il pastore Rino Baima scriveva una lettera aperta ai giovani
valdesi di Torre Pellice in merito alla recita che stavano apprestando per il 17
febbraio: «Apprendo che state preparando per la sera del XVII febbraio a Torre
Pellice la commedia di Luigi Bonelli “Il
marito della signora malata’’», scriveva
e, pur assicurando da parte sua piena
comprensione per tutto ciò che è spirito
giovanile e approvazione per l’attività
teatrale (né avrebbe potuto essere altrimenti da parte di un appassionato di regia e di teatro), proseguiva «recitare
quella commedia è un errore. È indubbio
che la gente oggi si vuole divertire e preferisce commedie scapestrate al drammone lacrimogeno» e nessuno pensa di
mettere veti pastorali alle iniziative giovanili o invitare a disertare la serata ma
«suppongo che non ignoriate che cosa
sia per voi, per noi e per tutto il popolo
valdese il 17 febbraio, vale a dire che co
ILFILO DEI GIORNI
RECITE
____________GIORGIO TOURN____________
nosciate come il 17 febbraio vale soprattutto nella nostra storia per i secoli di lotte e persecuzioni violente. Il pubblico
che gremisce l’Aula Magna preferisce
senz’altro la rievocazione commossa, sia
pur un tantino romanticheggiante, dei
grandi eventi valdesi, la preferisce perché ne sente il bisogno» quella commedie «non fa per voi» e quella sera sarebbe il caso di andarla a recitare altrove.
Nel n. 7 l’Unione giovanile risponde.
Non per polemizzare ma per «chiarire
per chi non avesse visto la commedia e
potrebbe farsi idee sbagliate». Anzitutto
il copione è stato scelto fra quelli del ca
talogo Fuv (di cui «Ella è compilatore»)
se ne deve dedurre che è ritenuto recitabile. «Il problema era: avere dopo la tradizionale scena valdese (di cui Ella mostra di ignorare resistenza nel programma) un lavoro moderno senza complicazioni sentimentali e intrecci equivoci.
Avessimo avuto materiale adatto avremmo preferito avere un po' più lunga la
parte valdese della recita e più breve la
finale di divertimento ma Ella sa meglio
di noi che tra i drammi valdesi i pochi
rappresentabili son più che conosciuti
mentre gli altri, tra i quali alcuni recenti,
valgono davvero pochino».
Ormai i drammi valdesi si sapevano
già a memoria e la produzione era ferma
agli anni ’30, come fare ? Il giornale ci
ha dato una documentazione esauriente
di ciò che le nostre filodrammatiche hanno recitato quest’anno. A cinquant’anni
di distanza il pastore Balma manterrebbe
la sua opinione sull’importanza di un
dramma valdese?
formazione degli addetti, dai
cuochi agli ausiliari, ai magazzinieri di derrate alimentari, ai trasportatori. Per questo
l’Ausl 10 ha fatto un’analisi
del personale e ha disposto
l’assegnazione di 4 medici (di
cui 2 veterinari) e 4 tecnici di
vigilanza al servizio di prevenzione, innanzitutto nel
settore della ristorazione collettiva. L’obiettivo è quello
non solo di rispettare la frequenza minima di ispezioni
previste dai ministeri competenti (ogni 6-12 mesi a seconda della tipologia di ristorazione) bensì quello di superare tali prescrizioni attivando
un sistema di verifiche di
massima garanzia per la salute dei consumatori.
Sempre tenendo presente
però, tiene a sottolineare
l’Ausl 10, che non sono raggiungibili certezze di tutela
assoluta in questo delicato
settore, e quindi che il singolo episodio di tossinfezione
può sempre accadere; la stessa Organizzazione mondiale
della Sanità ha dichiarato che
la misura preventiva più efficace nei confronti delle malattie di origine alimentare
consiste nelle misure di autocontrollo, ovvero nell’educare gli addetti al settore a lavorare in modo tale da non
comportare rischi per la sicurezza degli alimenti.
Anche in quest’ottica, la direzione generale dell’Ausi 10
ha disposto, oltre al potenziamento delle attività di vigilanza e ispezione, l’attivazione di un programma di specifici corsi di formazione dedicati agli operatori e di un più
generale programma di educazione sanitaria. Dal 19 al
28 maggio si è per esempio
già svolto un corso di formazione, tenuto da due medici e
due operatori di vigilanza
dell’Ausl 10, rivolto ai 22
operatori (cuochi e ausiliari)
delle mense scolastiche di Pinerolo, e altre iniziative verranno prese prossimamente
nell’ambito di un programma
complessivo.
6
PAG. Il
Eco Delle ^lli Va ¡.pesi
VENERDÌ 6 GIUGNO 19,
2.000 ANZIANI A PINEROLO — Sono serviti 40 pullman
per trasportare le circa 2.000 persone che si erano date appuntamento a Pinerolo, martedì 27 maggio, per il raduno
annuale dei gruppi Anziani del Piemonte (foto). 11 raduno,
giunto alla sua sesta edizione, è stato organizzato dal Centro d’incontro anziani di San Damiano d’Asti sotto la guida
del sindaco locale, Alberto Marinetto, e ha visto la partecipazione di gmppi anziani provenienti da tutto il Piemonte. I
partecipanti divisi in gruppi hanno visitato i musei cittadini,
la fabbrica della Galup e la ditta Albergian. Alla soddisfazione da parte degli organizzatori per la buona riuscita della
manifestazione si è aggiunta anche quella del sindaco di Pinerolo, Alberto Barbero, per la risposta positiva che la città
ha saputo dare di fronte a questa «pacifica invasione».
COMMERCIANTI CONTRO LA ZTL A PINEROLO —
La zona a traffica limitato (Ztl) a Pinerolo continua a fa discutere e allarmare molti commercianti della zona del centro storico, interessata dal provvedimento, preso alcuni mesi
fa dall’amministrazione della città. Mercoledì 28 maggio
una sessantina di commercianti si sono recati in comune a
Pinerolo per protestare contro la chiusura del traffico nel
centro storico. Nell’incontro con il sindaco, Alberto Barbero, hanno espresso la loro preoccupazione per le ricadute
occupazionali ed economiche che potrebbe avere la chiusura chiedendo la riapertura della zona al traffico.
STUDENTI SALUZZESI IN PARLAMENTO — Sono
dell’istituto per ragionieri «Denina» di Saluzzo i cinque studenti che il r giugno hanno rappresentato il Piemonte in
Parlamento per la Festa della Repubblica. I ragazzi della II
B (Stefania Franco, Gabriele Lovera, Simona Foco di Barge,
Luca Fabre, Chiara Peverelli) con la professoressa Luciana
Ballatore sono stati selezionati insieme ad altri 515 allievi
del biennio delle scuole superiori italiane per porre dei quesiti a ministri e capigruppo riuniti a Montecitorio per la Festa della Repubblica. «Che cosa fare per evitare che la nostra generazione finisca con l’essere più povera di quella dei
nostri genitori?», questo hanno chiesto i giovani saluzzesi
durante rincontro in Parlamento, che li ha visti protagonisti
emozionati di un viaggio e di un’esperiezna da ricordare.
INCENDIATO MAGAZZINO A PINEROLO — Ha richiesto circa tre ore di lavoro lo spegnimento di un violento incendio in via Poirino dove all’intemo di un magazzino erano custodite delle roulottes. Le fiamme, sviluppatesi per
cause in corso di accertamento nella notte fra domenica e
lunedì, hanno causato notevoli danni; la presenza in zona di
un canale ha consentito fortunatamente un pronto accesso
all’acqua da parte dei numerosi mezzi dei vigili del fuoco
accorsi anche da fuori Pinerolo. Il 31 maggio i vigili del
fuoco avevano dovuto intervenire invece a Mentoulles per
il ribaltamento di un camion che trasportava pecore alcune
delle quali sono andate perdute nell’incidente.
STORIA E MEMORIA: UNA MOSTRA — È stata inaugurata al municipio di Torre Pedice, sabato 1“ giugno, l’interessante mostra «Storia e memoria, dalla Resistenza all’Italia repubblicana». Un gruppo di scultori, pittori, incisori
rendono onore alla Repubblica nella ricorrenza del cinquantenario e alle origini della Resistenza. La mostra, allestita
nella sala consiliare, resterà aperta fino al 15 giugno.
REGIONE: RIMPASTO IN GIUNTA — La giunta Ghigo
ha cambiato due assessori in corsa; a mettere una prima
volta in difficoltà l'esecutivo regionale furono le dimissioni
dell’assessore alla Caccia. Matteo Viglietta, coinvolto in vicende poco chiare sull’acquisto di trappole per animali, poi
problemi interni a Forza Italia. Nuovi assessori sono stati
nominati Gilberto Pichetto (Industria, Artigianato, Commercio, Fiere e Mercati) e Angelo Burzi (Bilancio, Finanze,
Programmazione economica. Personale, Patrimonio).
LARE
Venerdì 6 giugno 1997 ore 18
Presentazione del libro di Bruna Peyrot
PRIGIONIERE DELLA
TORRE»
Sarà presente l’autrice
PINEROLO, C.SO TORINO 44,
PER ULTERIORI INFORMAZIONI TEL. 0121- 393960
«Espaci Occitan»; protesta in Regione
Iniziativa da discutere
PIERVALDO ROSTAN
L9 ultima «querelle» nata
nel mondo occitano riguarda un cospicuo finanziamento per un’iniziativa, L’Espaci Occitan, i cui contorni
devono ancora essere delineati. Il progetto è stato presentato le scorse settimane in Regione dalla Comunità montana valle Maira sui finanziamenti Interreg 2 e consiste, si
può leggere sull’ultimo numero del mensile «Ousitanio
vivo», «nella messa a livello
del territorio frontaliero delle
valli eccitane d’Italia sul piano della promozione linguistica e culturale attraverso la
creazione di un campus che
prevede la realizzazione di un
Istituto di studi e di un museo
sonoro della lingua occitana,
affiancati da un centro di servizio e accoglienza turistica
per le valli eccitane e da una
boutique dei prodotti tipici
delle valli e verrà collocata a
Dronero nell’ex caserma Beltricco. Il piano finanziario
previsto è di circa 3 miliardi.
Dunque l’Espaci Occitan come identità culturale, come
punto di riferimento per la
valorizzazione della cultura
che finora è rimasta sovente a
livello elitario».
Ma rOccitania italiana, si
sa, è vasta; undici comunità
montane (7 in Provincia di
Cuneo e 4 in quella di Torino), una moltitudine di associazioni che si occupano di
storia e tradizioni. Così quando è parso invece chiaro che a
gestire tutta la partita sarebbe
stato il Movimento autonomista occitano, formazione dalla
sua specifica connotazione
politica, ecco che alcune associazioni del territorio sono insorte con una dura presa di
posizione. Le associazioni «E
Kyé» di Frabosa Soprana, «La
Valaddo» di Villaretto Chisone, «Soulestrelh» di Sampeyre, «Coumboscuro Centre
Provençal» di Sancto Lucio
de Coumboscuro e la «Società
di studi valdesi» di Torre Pellice hanno scritto ai massimi
responsabili della Regione e
ai presidenti delle Comunità
montane coinvolte una lettera
in cui, dopo aver sottolineato
di essere venute a conoscenza
del progetto solo occasionalmente e in modo generico, si
ipotizza che «Pur presentandosi formalmente quale iniziativa della Comunità montana valle Maira in progetto risulta in realtà voluto e studiato dall’associazione “Ousitanio vivo’’, di natura nazionalistica e antieuropea mentre
l’area alpina interessata presenta un insieme di altre associazioni etnoculturali, operanti nella medesima zona e ispirate a concezioni diverse». Le
associazioni dichiarano pertanto di «dissentire dal progetto così come risulterebbe formulato, deplorando il metodo
seguito» e chiedono un incontro agli enti pubblici. Un primo confronto con l’assessore
regionale Vaglio si è già svolto la scorsa settimana; «Il progetto è della Comunità montana valle Maira e non dell’associazione - ha ribadito l’assessore Vaglio ai presenti».
Fra conferme e impegno a sostenere eventuali altri progetti
analoghi in vallate vicine si fa
strada un rischio: alcune valli
hanno avuto soldi per altri
progetti (sono stati ricordati le
borgate e la cantina sociale di
Bricherasio in vai Pellice),
dunque si accetti un finanziamento nel Cuneese per la cultura occitana...
Le corali
Vorrei associarmi al dibattito proposto da Franco Taglierò nel suo articolo su
L’eco delle valli n. 18; sono
d’accordo quando dice che le
corali devono essere delle
(Salvaguardie» per il patri
monio musicale propriamente
valdese, ma questo non deve
essere un limite, mettere un
limite alla musica è mettere
un limite alla lode a Dio.
Molto più difficile è il compito delle corali come «traino»
del canto nel culto. Sappiamo
benissimo con quanta fatica
si impara un brano, i musicisti nelle nostre corali non sono molti, ma la drammatica
carenza musicale non è fenomeno valdese ma è da ricercare nella totale indifferenza
nei programmi scolastici italiani (e non solo per l’arte
musicale), un qualunque pezzo da innario è difficilmente
proposto in maniera da renderlo «popolare». Lo scambio
di spartiti tra gruppi è molto
raro, le proposte sono cadute
nel vuoto in passato. Su questo Taglierò ha nuovamente
ragione. Le corali sono gruppi a sé, ma qui credo che si
apra un’altra nota dolente.
Taglierò dice che secondo lui
il livello delle corali è migliorato, e in questo dissento totalmente. Non c’è un buon livello nelle nostre corali.
Quante sono le corali o i direttori di corale che fanno
della vocalità, un minimo di
insegnamento musicale, che
si specializzano un pochino?
Credo quasi nessuno o ce ne
accorgeremmo.
Fratelli e sorelle coralisti.
direttori, non basta aprire la
bocca, emettere un suono e
pensare che così si sappia
cantare. Assolutamente no!
Ma c’è la volontà di migliorare? L’assemblea delle corali
istituì tempo fa un corso con
il maestro Sebastian Korn
proprio per un aspetto tecnico
qualitativo sia nel canto sia
nel lavoro che dovrebbero
svolgere i direttori. Mi sembra di ricordare che se ne sia
andato perché «non faceva
per le nostre corali»... chi ha
preso una decisione simile
non capisce niente di musica
e didattica musicale. Ha ragione Taglierò quando dice
che in valle o altrove ci sono
cori per tutti i gusti e tutti i livelli e quindi chi vuole può
andarci, ma perché non possiamo cantare bene come in
un coro non confessionale?
Una complainte tradizionale
se ben interpretata, curata,
amata non ha nulla da invidiare al mottetto di Mozart o
al corale di Bach.
Credo che si debba parlare
seriamente di musica nelle
.nostre chiese. L’AssembleaSinodo del 1995 ha dato delle
indicazioni precise: quanto
dialogo c’è tra musicisti, pastori, Concistori, quanta collaborazione? Franco Taglierò
conclude che il dibattito va
presentato anche in sede di
Conferenza distrettuale, ma
quanti hanno le idee chiare in
materia e un minimo di conoscenza? Ha ragione Taglierò
a dire che le corali facciano il
loro mestiere: la musica va
fatta, fatta fare e gestita dai
musicisti e con i musicisti. A
ognuno il suo. per tutti.
Liliana Pavesio
Luscrna San Giovanni
Scuola di musica a Luserna San Giovani
Cinque anni di musici
CARMELINA MAURIZIO
La scuola di musica della
vai Pellice, gestita dall’Associazione musicale «Divertimento» con sede a Luserna San Giovanni, sta per
concludere il quinto anno di
attività. Al direttore, il violinista Daniele Griot, abbiamo
chiesto non solo di fare un bilancio, ma di raccontarci anche un po’ di storia della
scuola, ormai affermata sul
territorio pinerolese, e di parlarci di prospettive e obiettivi
futuri. «Abbiamo cominciato
il nostro lavoro in vai Pellice
nel 1992, soprattutto grazie
alla disponibilità di un gruppo di musicisti che mettevano
la loro professionalità e le loro competenze in un’impresa
che nasceva con tanto entusiasmo ma anche con tanti rischi - spiega Griot -, Si voleva soprattutto verificare il tipo di risposta che un’iniziativa del genere poteva avere. È
andata indubbiamente meglio
di quanto prevedessimo: nel
corso di questi cinque anni di
attività infatti la scuola è cresciuta, il numero dei docenti
si è allargato, ma soprattutto
è aumentato il numero di
quanti, tra bambini, ragazzi e
adulti si rivolgono alla nostra
scuola per accostarsi alla musica, per approfondire, per
migliorare. Questo ha fatto sì
che il Comune di Luserna
San Giovanni mettesse a disposizione dei locali più ampi, permettendoci così di diversificare le attività, di creare gruppi più piccoli e corsi
paralleli. Il problema più importante che abbiamo avuto
sin dall’inizio è stato quello
organizzativo soprattutto in
relazione ai costi, era cioè necessario trovare le risorse per
gestire delle attività con costi
comunque molto elevati rendendole il più possibile accessibili, pensiamo per esempio ai corsi strumentali necessariamente individuali. Questo ci ha convinti nel corso
del tempo a tentare il dialogo
con le istituzioni e bisogna
dire che la risposta ricevuta è
stata molto positiva: abbiamo
infatti attivato da quest’anno
una convenzione annuale con
la Comunità montana, il fj
ci ha consentito di migliotn
le offerte e le proposte».
Le cifre dell’anno in con
parlano chiaro: 140 allievi,;
corsi, 35 classi, 21 gli
gnanti coinvolti in ambiti n
sicali che vanno dal classi
al jazz, circa 2.500 le orc(
lezione, delle quali due tej
individuali. La maggiorasi
degli utenti frequenta attui
mente corsi annuali e si tra;
soprattutto di bambini e j
gazzi che provengono dal
vai Pellice e da quest’aui
c’è anche un nucleo co®i
stente da Pinerolo e dintonj
Proprio in questo senso a|
biamo chiesto a Daniele Crii
di spiegarci le differenze!
la scuola di musica da lui j
retta e l’altra grande rea!
musicale presente a Pinerol
il civico Istituto Gorelli.
«I rapporti con T Istituì
Gorelli - dice Griot - sci
molto stretti, infatti la gn
parte dei nostri docenti!
studiato lì. Rispetto alla«
stra scuola ci sono però di
grandi differenze: il Goreli,
innanzitutto un istituto civio
sostenuto quindi integralmei
te nei costi e nelToiganiza
zione dal Gomune, mentre!
nostra è di fatto una scuoi
privata, gestita da un’assodi
zione senza fini di lue»
L’altra differenza importa
è che l’istituto pinerolese;
una scuola professionale cl
prepara gli allievi per il Co
servatorio, mentre la nostri
una scuola amatoriale cheo
fre dei corsi che spaziano tn
generi, che ha rapporti moli
stretti con il territorio, coni
scuole, con la cittadinanza».
Pensando al futuro, tr
quanti operano nella scuola!
musica di valle c’è sopratw
to la volontà di continuarei
offrire un servizio aitameli
qualificato con un’ampia4
sponibilità di orario, rivoi
gendosi a tutti coloro che vt
gliono intraprendere lo studi
della musica in modo più af
profondilo, cercando di mai
tenere alto il livello di acce:
sibilità ai corsi, contando so
prattutto sul sostegno diretl
degli enti locali dal punto!
vista economico vista la sei
sibilità sin qui dimostrata.
Iniziativa in vai Pellice
A scuola di pesca
Ragazzi a scuola di pesca in
vai Pellice: per quattro .sabati
tra aprile e maggio una quindicina di bambini tra gli 8 e i
13 anni hanno partecipato al
1“ corso di pesca e conoscenza dell’ambiente fluviale organizzato dalla Società pescatori sportivi valle del Pellice.
Gli incontri hanno cercato di
far conoscere nel modo più
scientifico ma anche più piacevole possibile quel mondo
pieno di fascino che sono i
corsi d’acqua, ricchi di forme
di vita diverse e capaci di costituire un fantastico terreno
di gioco e di avventura per chi
sa avvicinarsi a loro in modo
rispettoso e cosciente.
L’anatomia e la biologia dei
pesci, il microcosmo degli insetti acquatici, l’attività degli
incubatoi di valle e tutti i problemi legati alla difesa c alla
gestione dei fiumi c dell’ittofauna: ecco alcuni dei temi
che sono stati trattati nel corso degli incontri, sempre cercando il più possibile di evitare la pura teoria, ma coinvolgendo invece i giovani partecipanti nell’os.servazione. manipolazione ed elaborazione
di quanto si stava studianà
Determinante per questo
stato l’impegno degli esperti'
del personale del Servizio pi
sca deH’amministrazione pii
vinciale di Torino, che co'
tutta la loro esperienza e d'
sponibilità hanno reso pos*'
bile la buona riuscita dell ii"
ziativa.
La seconda parte degli
contri è stata poi dedicata all
tecniche della pesca sportivi
quel modo appassionante <i
incontrare e conoscere il ni®"
do nascosto delle acque e ®
pesci. La pesca come discip'
na sportiva, dunque: non so
la cattura ma tutta una serief
attività che devono inserirsi"
modo cosciente e rispetto"'
negli equilibri complessi I'
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d’acqua. Nuovi pe.scatori
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Lo scrittore Tahar Ben Jelloun a Pinerolo
Rischio integralismo
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Incontro a San Germano Chisone
I luoghi della fede
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MASSIMO GNOME
Quella di venerdì 23 maggio è stata un’ottima occasione per conoscere uno dei
più noti scrittori dell’area maffebina, il marocchino Tahar
Ben Jelloun. L’iniziativa, organizzata nell’ambito della
VI edizione del «Premio editore donna» della città di Pinerolo e del Zonta Club, ha
visto la partecipazione, oltre
che dello scrittore, anche del
suo traduttore, il prof. Egi
Volterrani.
Il tema dell’incontro era il
controverso rapporto autoretraduttore, momento dialettico
per eccellenza. È proprio sulla
dialettica, forse un po’ particolare, che sembra basarsi la
relazione tra Ben Jelloun e
Volterrani; entrambi hanno ricordato che tra di loro non discutono mai di lavoro, di problemi di traduzione: «Quando
ci incontriamo - ha sottolineato l’autore - preferiamo
parlare di vino, di cibo, di
donne... di tutte quelle cose
della vita forse più importanti
della letteratura». Ben Jelloun
si definisce un cieco nei confronti della traduzione; sempre e comunque si fida del suo
traduttore, non ha paura di come il testo venga tradotto:
«Piuttosto - dice -, in questo
periodo di chiaro sviluppo
dell’integralismo islamico, è
la sindrome di Rushdie che mi
perseguita. Penso più al lettore, a come i miei scritti possano venire interpretati, a come
io possa venire minacciato
dal terrorismo». Inevitabile,
quindi, anche se breve, l’accenno ai problemi del mondo
arabo, da cui Ben Jelloun
proviene e a cui, con i suoi
scritti, continua a ritornare.
Ben Jelloun ama la sua terra, il Marocco, anche se nel
1971 scelse di andare in Francia, di sbarcare a casa dei conquistatori, di coloro che per
secoli avevano occupato e costretto la sua terra e il suo popolo. Ben Jelloun scrive in
francese, non in arabo. Questa
è soprattutto una posizione
polemica: un messaggio forte
di sfida nei confronti dei colonizzatori, usando la loro stessa lingua. L’autore spiega il
sentimento di profondo ruolo
sociale che egli prova esercitando il suo mestiere, come
marocchino: l’importanza, in
un paese con il sessanta per
cento di analfabeti, della capacità, propria di uno scrittore, di trasmettere idee, sensazioni, testimonianze di vita;
una proiezione nel futuro, nella storia e nella memoria.
Peccato che il tempo fosse
poco, che altri impegni incombessero e che non si abbia avuto la possibilità di fare
altre domande, di porre nuovi
interrogativi a un uomo così
fertile di ingegno e di così
grande intelligenza e simpatia
immediata; peccato che si dovesse passare alla cerimonia
di conferimento del premio
«Editore donna». Peccato,
perché non sono certo tante le
iniziative così interessanti,
soprattutto a livello locale.
Da parte nostra, non possiamo che congratularci con coloro che hanno organizzato il
tutto, confidando nella possibilità di avere nuove occasioni, forse più ampie, di dialogo e arricchimento culturale,
che scoprano tutto ciò che
esiste, e Ben Jelloun insegna,
al di là dei luoghi (sempre
più) comuni dell’immigrato
vu cumprà e spacciatore.
Il Collegio valdese
campione di calcio
Nell’ultima giornata di campionato il Collegio valdese battendo il Cemit per 2-0 (reti di Martina e Bottale) ha vinto il
campionato amatoriale Aics. Molta la soddisfazione dei giocatori, che ringraziano tutti coloro che con il loro aiuto finanziano hanno contribuito alla riuscita del campionato. Nella foto
(in alto da sinistra) Baratto (mister), D’Urzo, Paone; Geymonat, Albanese M„ Benedetto, Martina Davide (capocannoniene). Penna, Albanese S.; accosciati: Vighetto, Bottale, Odino,
Revel, Martina Daniele. Albis, Maggi.
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Con il convegno e la mostra dal suggestivo titolo
«I luoghi della fede», l’assessorato alla Cultura della Comunità montana valli Chisone e Germanasca ha aperto
una prospettiva su un aspetto
del paesaggio di questo territorio che ha caratteristiche
assolutamente originali: non
si trova in Italia e sappiamo
bene perché, un altro luogo a
così alta concentrazione di
edifici di culto cattolici e
riformati, testimonianza di un
passato secolare.
Le chiese e i templi conservano abbastanza fedelmente la
struttura originaria e sono come una pagina di storia, forse
un po’ offuscata ma leggibile
aperta davanti agli occhi dei
visitatori. I templi valdesi, illustrati dalle diapositive e delle relazioni del pastore Giorgio Tourn e dell’architetto
Renzo Bounous, sono all’origine dei grandi stanzoni provvisti di un pulpito mdimentale
e di sedie e panche per le donne e i vecchi: la disposizione è
a semicerchio, il pulpito si trova al centro di uno dei lati
lunghi e la tavola della Santa
Cena viene portata di volta in
volta. Il tempio di Prarostino è
un esempio di questa sistemazione che non è casuale ma
che ha un significato ben preciso: quello che conta non è
l’edificio ma la predicazione
della parola di Dio, che può
avvenire anche altrove, là dove i fedeli sono riuniti.
La maggiorpaite dei templi
che abbiamo sotto gli occhi
invece ha una disposizione
diversa. Costruiti nel secolo
scorso sempre a pianta rettangolare, hanno due file di
banchi separati da una corsia,
un abside che contiene il pulpito e il tavolo della Santa
Cena fa parte dell’arredamento. Sono diventati dei
luoghi dove si svolgono delle
cerimonie e si celebrano dei
culti ma, come scrive Giorgio
Tourn negli atti del convegno, il tempio si troverà in
dialettica con la sala delle attività, l’altro polo della vita
ecclesiastica. Esempio: il
tempio di Frali (molto visitato dai turisti per il suo bel
mosaico in pietre del torrente), dove il pulpito ha perso il
suo posto centrale a favore
del tavolo della Santa Cena;
la comunità si riunisce altrove, cioè nel salone adiacente,
che risponde assai meglio alle sue molteplici attività.
Come i templi valdesi, le
chiese cattoliche presentano
variazioni architettoniche non
casuali, ma derivate da una
diversa impostazione teologica. Le parole di don Livio
Brun, parroco a Campiglione
Fenile, e del geometra Egidio
Rol di Perosa Argentina hanno delineato le vicende storiche e le trasformazioni delle
chiese grandi e piccole che
punteggiano con i loro campanili i luoghi abitati delle
valli. Partendo dai ruderi della prima chiesa della vai Germanasca, costruita a S. Martino intorno all’anno 1000, di
cui il geometra Rol ha deplorato l’abbandono e l’incuria,
per tutti i secoli successivi fino alla Controriforma, la
struttura degli edifici di culto
è a pianta rettangolare con
l’altare nell’abside, mentre il
centro si rivolge ai fedeli che
gli stanno di fronte. Dopo il
Concilio di Trento, le chiese
si arricchiscono di decorazioni barocche; acquista grande
rilievo il tabernacolo dietro
l’altare, organo e coro abbelliscono le funzioni e il celebrante si rivolge non più verso i fedeli ma là dove sono
conservate le specie eucaristiche. Il Concilio Vaticano II
rimetterà in primo piano la
partecipazione al rito, e chi
celebra si rivolgerà di nuovo
verso l’assemblea dei fedeli.
Ancora un esempio a Ghigo
di Frali: un’aula quadrata con
gradinate che convergono
verso l’altare, il tabernacolo
spostato in una cappelletta in
vista dei fedeli.
Pur nei mutamenti ambientali, gli edifici di culto sono
lì, inseriti nel paesaggio, e richiedono ancora costose opere di manutenzione. Ma la loro funzione si è esaurita, vista
la poca gente che li frequenta? Secondo il direttore del
Fondo svizzero per il paesaggio, Hans Weiss, che con il
suo intervento ha concluso il
convegno, una dimensione
religiosa del paesaggio è necessaria anche all’uomo moderno, il quale può ricostituire nel tempo un rapporto
creativo con i luoghi in cui
vive, invece di correre da tutte le parti alla ricerca di spazi
nuovi ma privi di significato.
Nelle
Chiese Valdesi
CONFERENZA DISTRETTUALE — La conferenza del
I distretto si svolgerà sabato 7 e domenica 8 giugno ad
Angrogna, a partire dalle ore 9.
CAMPI BAMBINI AD AGAPE — Si svolgerà dal 15 al
22 giugno il campo «Sara e Abramo» per bambini dai 6
agli 8 anni, per scoprire insieme come vivevano donne e
uomini ala tempo di Sara e Abramo, seguendo il loro
cammino, incontrando persone e luoghi biblici. Dal 22 al
29 giugno campo per i bambini dai 9 ai 10 anni sul tema
«Data astrale 2997: rotta verso l’ignoto», viaggio immaginario verso un pianeta sconosciuto, dove si potranno
incontrare alieni e altre avventure.
MASSELLO — Per elevare il coinvolgimento della pastora nella vita del paese e per poter effettuare con più costanza delle visite, la pastora risiederà presso casa Micol
il 10, il 24 e il 25 giugno.
POMARETTO — Al Centro anziani, alle 16 di venerdì 6
giugno, meditazione della pastora Di Carlo.
PRALI — Domenica 15 giugno l’Unione femminile di
Torre Pellice sarà ospite della comunità: è prevista la
partecipazione al culto, pranzo con polenta e pomeriggio
in visita al museo; chi desidera trascorrere la giornata insieme all’Unione femminile può comunicarlo al pastore.
TORRE PELLICE — Venerdì 13 giugno alle 18 culto serale alla Casa unionista con la partecipazione del coretto.
VILLAR PELLICE — Domenica 8 giugno il culto sarà a
cura dell’Unione femminile.
5 giugno, giovedì — TORRE PELLICE; Al Ciao, dalle 17
alle 18,30, laboratorio multietnico per bambini; alle
19,30 alla Foresteria valdese
laboratorio teatrale per adulti
«Confrontarsi con la teatralità» condotto da Guido Castiglia di Nonsoloteatro. Alle 21,
al cinema Trento, proiezione
di «Dead Man» di J. Jarmush.
6 giugno, venerdì — LUSERNA SAN GIOVANNI: Dalle 9 per tutto il giorno, in zona Bersaglio, aH'aperto, ricostruzione di un villaggio della
tribù Dakota.
6 giugno, venerdì — TORRE PELLICE; Al Palaghiaccio,
alle 21, spettacolo«Oltremare» del Teatro del Sole.
6 giugno, venerdì — ANGROGNA: Nella sala unionista, alle 20,30, per «E...state in
Val d'Angrogna» festa della
fine dell'anno scolastico, spettacolo teatrale e canti dei
bambini della scuola materna
e elementare.
6 giugno, venerdì — PINEROLO: Alle 21, presso la sede dell'Anpi, per il Cineforum,
proiezione di «El viaje».
7 giugno, sabato — ANGROGNA; Alle 14,30 a San
Lorenzo festa dei bambini con
giochi, laboratori artistici e artigianali. Alle 21, al tempio
del Serre, saggio del gruppo
musicale di Angrogna diretto
dal maestro Riccardo Dosio,
con la partecipazione del
gruppo musicale di Bobbio.
7 giugno, sabato — TORRE PELLICE: Per via Repubblica teatrino per bambini, iscrizione alla gara di pittura.
7 giugno, sabato — LUSERNA SAN GIOVANNI; Nella sala mostre, alle 21, conferenza di M. Ferraris su «Little
big horn», una battaglia.
7 giugno, sabato — TORRE PELLICE; Alle 22, al Palaghiaccio, concerto di musica
moderna con il gruppo «Nottinsonni». Ingresso lire 5.000.
8 giugno, domenica —
TORRE PELLICE: Alla casa valdese, alle 18, l'Unitrè e la Fondazione Centro culturale valdese presentano il romanzo
«Prigioniere della torre» con
l'autrice. Bruna Peyrot.
8 giugno, domenica —
SAN PIETRO VAL LEMINA:
Dalle 9,30 alle 16, presso gli
impianti sportivi comunali, 3^
edizione del torneo quadrangolare di calcio «Memorial Teresa Reitano».
8 giugno, domenica — PINEROLO: Alle 21 presso il Circolo sociale primo concerto
della stagione concertistica
'97 dell'orchestra Camerata
ducale, musiche di G. B. Viotti,
concerto per violino e orchestra in do maggiore e concerto per pianoforte e orchestra
in sol maggiore. Ingresso lire
20.000, abbonamento sei concerti lire 110.000.
8 giugno, domenica —
TORRE PELLICE: Alle 15, nel
giardino del Collegio valdese, verrà inaugurato il nuovo
«spazio studenti».
CONSORZIO ACEA
IL PRESIDENTE
DELL’ASSEMBLEA
CONSORZIALE
RENDE NOTO
che, dal 04.06.1997 al
18.06.1997, sono aperti i
termini per la presentazione delle candidature
alla nomina di componente del Consiglio di Amministrazione del Consorzio
ACEA, in sostituzione di
membro dimissionario.
Gli interessati, in possesso dei reciuisiti previsti dall’art. 27.5 del vigente Statuto consorziale, dovranno far pervenire apposita domanda
completa di curriculum
al Presidente del Consorzio ACEA - Via Vigono 42
- Pinerolo, entro i termini
sopra indicati.
Pinerolo, lì 30.05.1997
Il presidente
Griot Giancarlo
8 giugno, domenica —
TORRE PELLICE: Alle 17, nella
sala Paschetto del Centro culturale valdese, inaugurazione
della mostra di olii su tela di
Sara Carbone dal titolo; «Echi
e memorie». Orario: giovedì,
sabato e domenica dalle 15 alle 18, lunedì, martedì, mercoledì e venerdì dalle 14 alle 17.
8 giugno, domenica — PINEROLO; Alle 10, all'Hotel
Cavalieri, str. Orbassano 11,
dibattito sulla riforma dello
stato sociale con Gianfranco
Morgando, responsabile nazionale del settore economico
del Ppi, Giorgio Cremaschi, segretario regionale Fiom, Valdo Spini, presidente Laburisti
italiani; moderatore Vittorio
Morero, direttore dell'Eco del
Chisone.
8 giugno, domenica —
TORRE PELLICE: Alle 15,30,
nella sala dell'Es. della Salvezza concerto del m.o P. Calzi.
8 giugno, domenica —
TORRE PELLICE: Al tempio
valdese, alle 21, concerto di
beneficenza di chitarra, violino, pianoforte e flauto con gli
allievi del civico istituto «Corelli» di Pinerolo a favore della raccolta fondi per il Comitato prò bambini di Cernobil.
9 giugno, lunedì — LUSERNA SAN GIOVANNI: Alle
21, al tempio valdese, concerto degli allievi della scuola di
musica, corso di organo e coro
di bambini. Ingresso gratuito.
11 giugno, mercoledì —
TORRE PELLICE; Dalle 17 alle
18,30, al Ciao, via Volta, laboratorio multietnico per bambini, a cura del Circolo didattico di Torre Pellice. Alle 21 al
cinema Trento concerto degli
allievi della scuola di musica;
opera lirica in miniatura con
coro di voci bianche e orchestra da una fiaba dei fratelli
Grimm. Ingresso gratuito.
11 giugno, mercoledì —
PINEROLO: Alle 20,45, al Centro sociale di San Lazzaro,
conferenza sul tema «Riproduzione vegetale» con il prof.
Maggiorino Passet Gros.
12 giugno, giovedì —
TORRE PELLICE; Al Ciao laboratorio multietnico, dalle 17
alle 18,30. Alle 21,15 al cinema Trento proiezione'di «Urga» di N. Mikaikov. Ingresso
lire 5.000, ridotto lire 3.000.
15 giugno, domenica —
TORRE PELLICE: Termine ultimo per iscriversi alI'VIII seminario di tecnica e interpretazione musicale, corsi di violino, musica da camera per archi e pianoforte, che si svolgeranno dal 23 luglio al 9 agosto. Per informazioni e iscrizioni, segreteria del Collegio
valdese, tei. 0121-91260, fax
0121-932272, E-Mail Collegio@Luserna.Alpcom.it
Cinema
TORRE PELLICE — Il cinema Trento ha in programma,
giovedì 5, ore 21,15 Dead
man di Jim Jarmush; venerdì
6, ore 21, 45“ Filmfestival
della montagna Città di
Trento (ingresso gratuito); sabato 7, ore 20 e 22,10, domenica 8, ore 20 e 22,10, e lunedì
9, ore 21,15 II santo.
BARGE — Il cinema Comunale ha in programma, venerdì 6, ore 21,15 Big night,
sabato 7, ore 21,15 Un paradiso di bugie; da domenica 8
(15,15, 17,15, 19,15 e 21,15) a
giovedì 12 II santo; feriali
spettacoli ore 21,15, chiuso
mercoledì.
PINEROLO — La multisala
Italia ha in programma alla
sala «5cento» Lìlli e il vagabondo, feriali e festivi 20,30 e
22,20, sabato 20,30 e 22,30;
alla sala «2cento» Cuba libre,
feriali e festivi 20 e 22,20, sabato 20 e 22,30.
L'Eco Delle Valli Valdesi
Via dei Mille, 1 - 10064 Pinerolo
tei. 0121-323422; fax 323831
redazione Torre Pellice
tei. 0121-933290; fax 932409
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Resp. ai sensi di legge Piera Egidi
Stampa: La Ghisleriana Mondovì
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20
PAG. IV
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——^ Vita Delle Chiese
PAG. 5 RIFORMA
^Chiesa metodista di Bologna
[Muovi membri attivi
nel giorno di Pentecoste
filOVANNI ANZIANI__
Domenica is maggio,
Pentecoste: per la Chiesa evangelica metodista di
Bologna è stata una giornata
di festa e di lode al Signore.
Durante il culto una piccola
bambina ha ricevuto il battesimo: lulia Sara Lisa König,
gglia di membri della comunità. A questo evento erano
presentì i familiari giunti dalla Germania e dalla Lombardia, che hanno potuto essere
testimoni delle promesse di
fede di questa giovane famiglia riguardo alla loro bambina. L'evento più sentito e più
Importante del culto è stato
l’ammissione di quattro nuovi membri di chiesa: una giovane catecumena, Debora
Anziani, è stata accolta con il
battesimo di confessione di
fede; altre tre persone, provenienti d^ cattolicesimo, hanno dichiarato la propria fede
e l’impégno a vivere la loro
vita di credenti nella nostra
chiesa: Donatella Canobbio
Serantoni, Mario Serantoni e
Claudio Bettini. A queste
nuove sorelle e a questi fratelli il presidente del Consiglio di chiesa ha offerto la
Bibbia con una dedica personalizzata legata a testi biblici
particolari.
Avere durante il culto di
Pentecoste delle nuove ammissioni di fratelli quali
membri comunicanti può essere registrato come un atto
normale e in nulla particolare. Ma proprio la «normalità»
di questo evento ci consente
di esprimere la nostra lode al
Signore della chiesa e del
mondo perché permette alla
sua chiesa di essere arricchita
di nuovi doni e di nuove forze
per la testimonianza del suo
Regno. Le nuove ammissioni
hanno registrato una dichiarazione di fede per nulla retorica piuttosto indirizzata a un
preciso impegno di servizio
nella vita della nostra chiesa.
La giovane catecumena è
impegnata nel Centro di formazione diaconale di Firenze
(erano presenti al culto i giovani del Centro stesso): le altre persone hanno esplicitamente chiesto di essere iscritte in particolari attività di servizio nell’ambito della programmazione della vita comunitaria. Molte volte la
«normalità» è segnale di evento straordinario. Questo avviene nella domenica nella
quale la chiesa invoca la potenza dello Spirito Santo. Tutto ciò ha segnato la nostra
giornata di culto come momento di lode, ma soprattutto
di ringraziamento a Dio per i
nuovi doni della sua grazia.
Chiesa valdese di Prarostino
Incontro comunitario
con la Casa delle diaconesse
FRANCO DAVITE
La chiesa di Prarostino ha
invitato ospiti e personale della Casa valdese delle
diaconesse alla giornata comunitaria di domenica 11
maggio. Una quindicina di
persone (benevolmente trasportata da un gruppo di
amici), ha preso parte al culto a cui hanno partecipato la
corale di Prarostino e il coretto della scuola domenicale
con canti molto apprezzati. È
seguito un pranzo di quelli
che sanno fare i prarostinesi,
allietato dal vino delle belle
vigne che avevamo ammirato
salendo. Dopo pranzo tanti
canti, tutti insieme. Un ricco
tè ha preceduto il nostro ritorno a Torre Pellice.
Vogliamo esprimere il nostro più sentito ringraziamento alla chiesa di Prarostino per questa iniziativa (la
prima del genere) che ha non
solo costituito una bella variante nella vita della Casa
ma, con l’apertura di nuovi
orizzonti e con nuove conoscenze, contribuisce in modo
sostanziale a evitare la «ghettizzazione» e a alimentare la
possibilità, che molti dei nostri ospiti conservano, di una
vita piena e personalizzata.
Scambi, problemi, informazioni dalle scuole domenicali
a cura del Servizio istruzione e educazione della Fcei
Un gioco di verifica finale
«Il mercatino delle idee» è una rubrica
che ha lo scopo di far conoscere le esperienze, le idee e le proposte maturate tra coloro
che si occupano di formazione e animazione biblica e teologica dei bambini, dei giovani e degli adulti. Gli articoli e i contributi
vanno inviati al Sie, via Porro Lambertenghi 28,20159 Milano, fax 02-6682645.
__________ANTONELLA VIOLI__________
IL gioco si può adattare alle singole
remtà, aumentando o diminuendo il
numero di carte. I bambini più piccoli
che non sanno leggere saranno aiutati
da quelli più grandi o da chi conduce il
gioco.
Io credo che sia fondamentale coinvolgere per quanto possibile direttamente i bambini nella costruzione del
materiale su cui verte la lezione di scuola domenicale, per cui può essere utile
scrivere di volta in volta le domande
che emergono ed eventualmente le ri
sposte che vengono date: è così che mi
è venuta l’idea di questo gioco, riprendere gli spunti di riflessione emersi durante una conversazione e ritrovarli poi
sotto forma di materiale di gioco è stato
una piacevole sorpresa per tutti.
Il gioco può essere adattato di volta
in volta a ogni sequenza o a più sequenze collegate fra loro. Si preparano
delle carte da gioco su cartoncino: su
25 cartoncini predisposti e ritagliati a
forma di rettangolo si scrivono da un
lato una domanda e sull’altro la risposta relativa alle sequenze scelte. Si predispongono ancora 5 cartoncini che
possono essere lasciati vuoti o decorati
a piacere (carte vuote).
Al momento del gioco le carte si dispongono sul tavolo, disegnando un
percorso: il lato scoperto è quello su
cui è scritta la domanda. Ogni 4 o 5
carte scritte, se ne inserisce una vuota.
Si costruiscono diversi simboli o pedine, tanti quanti sono i partecipanti al
gioco; è necessario inoltre un dado da
gioco dell’oca.
Svolgimento del gioco
Il primo giocatore o la prima giocatrice tira il dado e comincia il suo percorso
avanzando di tanti passi sulle carte
quanti ne indica il dado. Se ha raggiunto
una carta vuota, sta fermo un turno; se
ha raggiunto una carta scritta deve rispondere alla domanda: se la risposta è
esatta, si gira la carta, in caso contrario
la carta rimane come prima e il giocatore o giocatrice torna al punto in cui si
trovava prima del tiro del dado. Se ha
raggiunto una carta la cui risposta è scoperta, ha diritto a un altro tiro, chi arriva
per primo alla fine del percorso vince il
primo giro. Prima di iniziare il secondo
giro si tolgono le carte con le risposte
scoperte e una carta vuota: il gioco ricomincia e sarà premiato chi ha vinto più
giri. All’inizio si stabilisce il numero di
giri di cui si compone una partita.
La visita pastorale
ragione d’essere e specificità
Corso di aggiornamento pastorale italo/francese
Vallecrosia - Casa valdese
da domenica 8 giugno (sera) a mercoledì 11 giugno 1997
La commissione esecutiva distrettuale del 11 distretto e il
Consiglio regionale (Costa Azzurra - Provenza - Corsica)
della Chiesa riformata di Francia organizzano un incontro
pastorale italo/francese che si propone di affrontare il problema della visita pastorale tra la richiesta di senso e il
desiderio di credere in una società secolarizzata.
Relatori: Felix Moser
docente di Teologia pratica
Università di Ginevra
Marco Rolando
medico psichiatra (Torino)
Marcella Tron Bodmer
medico psichiatra (Zurigo)
La Tavola valdese considera la pastorale quale corso di aggiornamento e ne copre il costo
a tutti gli iscritti a ruolo
purché si tratti del primo e del secondo del 1997.
■I costo è comunque molto basso (lire 70.000 per vitto e alloggio,
per I intero periodo).
Sarà a disposizione un servizio di traduzione simuitanea
la Ced del II distretto
(per ulteriori informazioni telefonare allo 0125-617150)
Gl
TORINO — Dopo lunga malattia è mancata a Pianezza, il 10
maggio, la sorella Rosa Petrarulo in Peres. Il funerale si è
svolto il 13 maggio nella chiesa battista di Torino, via Passalacqua: il pastore Franco Casanova ha ricordato la speranza cristiana nella risurrezione. La chiesa esprime il proprio affetto al marito Aldo, che l’ha teneramente assistita,
ai figli e ai familiari.
CARRARA — In occasione di una visita del presidente Scalfaro
a Carrara, la Chiesa metodista ha offerto al capo dello stato
il libro di Salvatore Mastrogiovanni «Un protestante nella
Resistenza: Jacopo Lombardini», edito dalla Claudiana.
Lombardini, nato a Gragnana, frazione di Carrara, fu predicatore locale e insegnante a Gragnana e nelle valli valdesi; è
morto nel campo di concentramento di Mauthausen dopo
aver partecipato alla lotta di Liberazione, condotta senza
armi sulle montagne. L’omaggio al presidente intende manifestare, come dice il pastore Marco Gisola in una lettera
di accompagnamento, «il nostro impegno affinché l’assurda ferocia che ha ucciso milioni di persone, soprattutto
ebree, e che ha ucciso anche Jacopo Lombardini non si ripeta in nessun tempo e nessun luogo».
CARBONIA — La domenica mattina del 25 maggio è stata resa
speciale dalla testimonianza battesimale di tre catecumeni:
Giuseppe Dedola 28 anni. Marco Meloni 40 anni e Maria
Tuveri 92 anni. L’età dei tre evidenzia come la comunità
battista di Carbonia sia interessata ad essere presente, mediante la testimonianza dell’Evangelo, non solo fra i giovani e gli adulti, ma anche nel mondo della cosiddetta «terza
età». Per il gioioso evento la corale della comunità, diretta
dalla sorella Pina Mola, ha eseguito alcuni tra i migliori
pezzi del repertorio. Alla manifestazione hanno partecipato diversi simpatizzanti, amici e parenti dei tre catecumeni.
Agenda
PISTOIA —Alle ore 21,15 presso i locali della Chiesa evangelica battista in via Porta S.
Marco 9 si terrà un concerto d’organo: verranno eseguite musiche di Bach, Brahms e
altri compositori dall’organista Mariella
Mochi, docente di Organo e composizione
organistica al Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze.
Per ulteriori informazioni telefonare allo 055-294902.
AVIGLIANA — All’Abbazia di San Michele
della Chiusa si tiene il VI convegno sacrense
sul tema «Spiritualità culture e ambiente nelle Alpi occidentali». I lavori si apriranno alle
15 di venerdì 6 giugno e si chiuderanno la sera del giorno seguente; per la sera di venerdì,
alle ore 20,30 è anche prevista una visita notturna alle «Rovine» e musica antica del Nord Europa con i «Tùatha Dé
Danann» sullo Scalone dei morti. Per ulteriori informazioni e iscrizioni rivolgersi al più presto al n. 011-939130.
FIRENZE — Alle ore 17, presso il Centro culturale «Pietro Martire Vermigli», a conclusione del ciclo di studi sullo Spirito Santo, il
prof. Paolo Ricca parla sul tema: «Il tempo
dello Spirito: sfida per la fede». Per informazioni telefonare allo 055-2477800.
FERRARA — «Maschio e femmina, li creò...
istruzioni per l’uso» è il titolo del 1° corso di
formazione sulle relazioni interpersonali,
che si tiene dalle ore 15 alle 18 presso la chiesa battista di via C. Mayr llOa. Relatori la
psicopedagogista Iolanda Marsiglia e i pastori Carmine Bianchi e Lidia Giorgi. Tel. 0532-904308.
MODENA — Per il ciclo di incontri sul tema
«Le minoranze religiose in Italia e a Modena»
organizzato dal Centro culturale protestante
«Leroy M. Vernon» e daU’Istituto Gramsci di
Modena, alle ore 17,30 presso la libreria Feltrinelli in via Cesare Battisti 17, Cadi Luzzatto Voghera, studioso e pubblicista, parlerà su «La presenza
ebraica in Italia nell’800 e nel ’900». Conduce Brunetto Saivarani. Informazioni: Istituto Gramsci, tei. 059-220564.
SONDRIO — Presso il Centro evangelico di
cultura, alle 20,30, si tiene un seminario su
Dietrich Bonhoeffer dal titolò «Bonhoeffer:
note di cristologia ed ecclesiologia», relatore
il pastore Alfredo Berlendis.
MODENA — Per il ciclo di incontri sul tema
«Le minoranze religiose in Italia e a Modena»
organizzato dal Centro culturale protestante
«Leroy M. Vernon» e dall’Istituto Gramsci di
Modena, alle ore 17,30 presso la libreria Feltrinelli in via Cesare Battisti 17, Albano Biondi dell’Università di Bologna parlerà su «“Venti che soffia
no dai monti della Sassonia” - la penetrazione protestante
a Modena nel Cinquecento». Conduce Ennio Correnti. Per
informazioni tei. all’Istituto Gramsci, 059-220564.
VENARIA — Nella chiesa battista, alle ore 21,
festa in ricordo del 49° anniversario della
fondazione della chiesa locale, con le marionette di Paolo Casanova e la corale battista.
Per informazioni tel.Ol 1-9534752.
CULTO EVANGELICO: ogni domenica mattina alle 7,27 sul primo programma radiofonico della Rai, predicazione e notizie dal
mondo evangelico italiano ed estero, appuntamenti e commenti di attualità.
PROTESTANTESIMO: rubrica televisiva di
Raidue a cura della Federazione delle chiese
evangeliche in Italia, trasmessa a domeniche
alterne alle 23,40 circa e, in replica, il lunedì
della settimana seguente alle ore 9 circa. Lunedì 9 giugno andrà in onda la replica della
trasmissione: «L’anno degli sradicati; l’organo barocco di
Torino: Incontri: rubrica biblica». Domenica 15 giugno andrà in onda: «“Credevo che fossero sette invece erano tanti”, viaggio nell’arcipelago delle chiese evangeliche in
Campania». La replica sarà trasmessa lunedì 23 giugno.
AVVERTENZA: chi desidera usufruire di questa rubrica
deve inviare i programmi, per lettera o fax, quindici giorni
prima del venerdì di uscita del settimanale.
30
gioventù evangelica
SOTTOSCRIZIONE 1997
normale........................L. 45.000
sostenitore.......................90.000
estero............................60.000
«3 copie al prezzo di 2».........90.000
cumulativo GE/Confronti...........90.000
versamenti da effettuare sul ccp n. 35917004 intestato a:
gioventù evangelica
via Porro Lambertenghi, 28
20159 Milano
22
PAG. 6 RIFORMA
Riforma
Il processo a Priebke
Eugenio Bernardini
Ci chiediamo spesso che paese sia ii nostro. Da una parte mostra la sua sensibilità civile seguendo con risultati
da record (oltre 12 milioni di spettatori) la serata speciale
della Rai del 5 maggio dedicata a Yom ha Shoah («il giorno della memoria») con il film Schindler’s lisi, un film che
vuole aiutare la memoria di tutti, dei giovani in particolare, affinché non si dimentichi, affinché non accada di
nuovo che la ragione o la fede si oscurino in nome di principi ideologici disumani, affinché non accada di nuovo
che l’odio consumi gli esseri umani e il mondo, affinché si
ricordi che chi salva una vita salva il mondo intero. Questo da una parte. Dall’altra, il nostro paese è capace di dimenticare completamente (se si escludono pochissime
lodevoli eccezioni) il processo che si sta nuovamente celebrando in queste settimane contro Erich Priebke e Karl
Hass dopo la vergognosa sentenza del 7 agosto del tribunale militare che aveva dichiarato Priebke colpevole ma
non punibile perché le circostanze attenuanti equilibravano quelle aggravanti, ossia l’omicidio plurimo, sentenza annullata il 15 ottobre dalla Cassazione.
Che paese è mai il nostro? È quello degli slanci emotivi
e generosi ma incostimti? È quello che volentieri si indigna ma poi vuole dimenticare, pensare ad altro, chiedendo o aspettandosi un perdono a buon mercato, cioè senza
ammissione di responsabilità e senza conversione? È
quello che mette volentieri alla gogna i «padroni» di ieri
ma poi. sostanzialmente li riabilita per evitare che si vada
troppo a fondo nella ricerca di corresponsabilità che mostrerebbero una vergognosa diffusione di comportamenti
censmabili, di complicità e ignavia? Sì, questo è il nostro
paese. Un paese che non vuole sapere prima di giudicare,
un paese che delega a vari «sacerdoti» (della giustizia,
deU’informazione, dell’economia, del sacro) responsabilità e decisioni, che dovrebbe invece assumere in proprio,
in modo da potersene chiamare fuori in qualsiasi momento e a seconda delle convenienze. Che cosa succederà, per esempio, quando ci sarà la sentenza del nuovo
processo a Priebke e Hass? Come faremo a valutarla se
non sappiamo nulla dell’andamento del processo? Oppure abbiamo già deciso secondo il tradizionale schieramento degli innocentisti e colpevolisti che assomiglia soltanto a quello delle tifoserie sportive che staimo con i loro
campioni a prescindere che se lo meritino o meno?
Priebke, è noto, è accusato per aver partecipato con crudeltà e premeditazione alla strage delle Fosse Ardeatine, a
Roma nel 1944, in cui furono uccisi 335 ostaggi. Si trattò di
una rappresaglia per l’attacco dei partigiani dei Gap in via
Rasella in cui morirono 33 soldati tedeschi: dovevano essere eUminati 10 ostaggi per ogni tedesco ucciso, per errore ne furono portati 5 in più che non erano nella lista che
Priebke teneva in mano e controllava, ma anche questi
vennero trucidati alla fine per non lasciare testimoni
dell’eccidio, segno distintivo di tutti gli eccidi nazisti in
quanto c’era la consapevolezza di essere al di fuori di ogni
codice di comportamento, anche di guerra. Il recensissimo libro di un noto giornalista «investigativo», Robert
Katz, riordina dettagliatamente la drammatica vicenda e
le responsabilità di Priebke (Dossier Priebke, Rizzoli).
Ma il processo a Priebke e Hass non è un processo solo
a due vecchi nazisti che non hanno più l’età per stare in
galera, è molto di più: è un processo alla memoria e alle
responsabilità collettive, di ieri e di oggi, perché la distinzione tra colpevoli e innocenti, tra attaccanti e attaccati,
tra criminali e militari ha un valore morale per il passato
e anche per il presente, per non accettare o giustificare
oggi comportamenti inammissibili in un’umanità che si
vuole civile. In questo processo è anche in gioco l’individuazione di un confine deila responsabilità individuale
di fronte a ordini e situazioni ingiuste o illecite. Io credo
che in ogni situazione, anche quando è a rischio la propria vita, la responsabilità individuale rimane, è proprio
in questi casi che la saggezza ebraica del Talmud ricorda
che «chi salva una vita salva il mondo intero».
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E-Mail (Napoli): riforma.na@mbox.netway.it
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DIRETTORE. Eugenio Bernardini. VICEDIRETTORE PER IL CENTRO-SUD: Anna Maffei. IN REDAZIONE: Alberto Coreani, Marta D’Auria, Emmanuele Paschetto, Jean-Jacques Peyronel, Piervaldo Rostan (coordinatore de L’eco delle valli) Federica Tourn. COLLABORANO: Luca Benecchi, Alberto Bragaglia, Avernino Di
Croce, Paolo Fabbri, Fulvio Ferrarlo, Giuseppe Fioara, Giorgio GardioI, Maurizio
Girolami, Pasquale lacobino, Milena Martinat, Carmelina Maurizio, Luca Negro,
Luisa Nitti, Nicola Pantaleo, Gian Paolo Ricco, Fulvio Rocco, Marco Rostan, Mirella Scorsonelli. Florence Vinti, Raffaele Volpe.
DIRETTORA RESPONSABILE Al SENSI DI LEGGE: Piera Egidi.
REVISIONE EDITORIALE:Stelio Armand-Hugon; GRAFICA: Pietro Romeo
AMMINISTRAZIONE: Ester Castangia; ABBONAMENTI: Daniela Actis.
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PvMleuàam telOmuttíe unitaria con L'èco dalle va/» vaftfea/:
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Riforma è il nuovo titolo della testata La Luce registrata dal Tribunale di Pinerolo con il
n. 176 del 1® gennaio 1951. Le modifiche sono state registrate il 5 marzo 1993.
Il numero 21 del 30 maggio 1997 è stato consegnato per l’inoltro postale all’Ufficio
CMP Nord, via Reiss Romoli 44/11 di Torino mercoledì 28 maggio 1997.
VENERDÌ 6 GIUGNO 1%
La confessione di fede e i linguaggi teologici
Fare teologia insieme
È l'esigenza espressa dai candidati e dalle candidate al
ministero pastorale nelle chiese valdesi e metodiste
In occasione dell’ultimo seminario di formazione (Torre
Pellice, 13-16 maggio) che
due volte l’anno la Commissione permanente per la formazione pastorale (Cpfp) organizza per i candidati e le
candidate al ministero pastorale nelle chiese valdesi e metodiste, una dozzina di noi ha
voluto riunirsi con un giorno
di anticipo per avere un momento autogestito di riflessione teologica. L’esigenza è stata espressa nel corso del precedente seminario di formazione, tenutosi a Firenze nel
settembre scorso, dove i candidati e le candidate al ministero, in prova nelle comunità
della Chiesa valdese (da Palermo a Prali) hanno manifestato il bisogno e il desiderio
di continuare a lavorare, o fare teologia, insieme, anche
dopo gli studi in facoltà. A nostro avviso proprio questo,
prima ancora dei contenuti, è
l’elemento significativo dell’incontro in cui sono state
toccate due questioni: 1) la
confessione di fede; 2) strettamente connessa alla prima,
l’ampia problematica dei linguaggi teologici osservata
dalla prospettiva di un rinnovamento degli strumenti di
ricerca.
A partire dalla considerazione che all’atto della consacrazione saremo chiamati a
firmare la confessione di fede
valdese del 1655, è emersa 1’
esigenza, apparentemente
ovvia, di prendere sul serio
questa confessione. Nel prendere sul serio una confessione di fede è compresa anche
l’eventualità, anzi la possibilità, di muoverle delle critiche
e discuterla. Tutto ciò, a fronte di una condizione attuale
che sembra essere quella di
una mancanza di linea teologica nella chiesa, in parte
contraddetta dal fatto della
firma alla confessione, che
implica un’adesione alla teologia della Riforma, in parte
confermata dalla apparente
sottovalutazione di quell’atto,
da parte dei pastori.
Nella discussione la confessione di fede (nella fattispecie
quella valdese del 1655, ma
anche nel significato più ampio del «confessare la propria
fede» in ogni atto che saremo
chiamati a compiere: predicazione, catechesi, ecc.) è stata da noi osservata nel suo carattere di «consenso comune», nell’ambito del quale si
muovono diverse tendenze
teologiche. Tale consenso
sembra mancare nella nostra
chiesa, non tanto per carenza
di elaborazione, quanto per
mancanza di comunicazione
tra i molteplici linguaggi teologici, fatto, questo, che riflette una mancanza di metodo
nella ricerca, il quale possa
essere riconoscibile, cioè apprezzabile, da diverse prospettive teologiche.
Il consenso comune di cui
si è parlato dovrebbe essere
luogo d’incontro e confronto
tra le diverse linee teologiche,
per la comprensione della
pluralità dei linguaggi, alla ricerca di maggiore comunicazione e quindi di comunione,
attraverso cui crescere non
solo nella elaborazione teologica, ma anche nella fede.
Di seguito, ci siamo domandati se tali finalità non
debbano potersi sostenere
nel quadro più generale di
una «innovazione» degli stessi studi teologici, che ponga
al centro l’esigenza di acquisire un nuovo «pensiero analitico» dell’essere, così come
sembra suggerire una parte
significativa della ricerca filosofica e scientifica contemporanea, e anche teologica.
Secondo diversi autori, la
metafisica analitica fornirebbe quegli strumenti che permettono di riconoscere e
quindi utilizzare in maniera
appropriata i linguaggi teologici. Certo, l’analisi dei linguaggi può operare sul piano
della chiarificazione concettuale, e non su quello del
consenso generale che è condizione precipua della confessione. Detto in altro modo, una metodologia analitica aiuterebbe a far luce sulle
idee di fondo, le categorie di
pensiero presunte o esplicite
dei nostri linguaggi. Ma ciò,
si è osservato, metterebbe di
nuovo al centro dello sforzo
di ricerca la consapevolezza
che ogni novità linguisticateologica, in quanto si riferisce sempre a un ordine di
realtà, vale a dire, in quanto
si riferisce sempre inevitabilmente all’incarnazione (diversamente non sarebbe teologia, né fede cristiana) coinvolge in un’ontologia.
Bene, se questo non è un
motivo di consenso per la fede, si riconoscerà che è un
elemento costitutivo del discorrere teologico stesso, su
cui riteniamo essere estremamente significativa la ripresa
e lo sviluppo di una profonda
riflessione. Tale sforzo si colloca in un orizzonte di ricerca
teologica, filosofica e scientifica dal quale, con rinnovato
interesse, proviene l’indicazione di una nuova centralità
della metafisica analitica o
descrittiva in ermeneutica e
teologia. Nel nostro prossimo
incontro, attraverso la lettura
e la discussione di un documento e un articolo, inizieremo la verifica della validità di
questo discorso, nella applicazione che ne fanno alcuni
teologi contemporanei.
/ candidati e candidate
Tra i molti volti della politica impera quello maschile
La politica esclude «l'altra metà del cielo»
PIERA ECIDI
POLITICA, governo della
città. Politica, scienza
dello stato. Politica, arte somma. Politica, luogo del potere.
Politica, vile commercio. Politica, conoscenza degli animi
umani. Politica, sporco maneggio. Politica, nobile impegno. Politica, patto col diavolo. Politica, grande sirena.
Quanti volti ha la politica?
Per ora, di volti ne ha uno,
imperante da tutti gli schermi
televisivi. Tanti signori, rigorosamente maschi, rigorosamente in grigio-fumo-di-Londra, rigorosamente accessoriati di cravatte perlopiù azzurre o rosse a seconda delle
situazioni e delle identità, a
discettare in ogni dibattito e a
rappresentarci tutti/tutte. Ma
il resto del mondo, ma l’altra
metà del cielo, dove sono andati a finire?
Ebbene sì, è cambiato tutto
perché non cambiasse nulla.
O, in quanto alla rappresentatività della cosiddetta società civile, perché cambiasse
in peggio. 11 maggioritario,
forse ineludibile dopo gli
scandali e i 50 anni di sistema
bloccato, ha sì prodotto un
salto generazionale, ha spazzato via alcune vecchi e immarcescibili baroni della politica ma, proprio perché
maggiormente competitivo, o
di qua o di là, ha schiacciato i
soggetti più deboli, o comunque provvisti di un linguaggio
«altro», come le donne, ad
esempio. Dove c’è la mischia
e il corpo a corpo, dove la politica si fa molto simile alla
guerra, da millenni e millenni, per selezione naturale, sono molto più bravi i maschi. I
sentimenti, il vissuto, la parola delle donne vengono fatalmente stritolati. Di politica,
dell’arte del governare, parlano ancora e di nuovo e sempre i maschi.
E le donne? L’avete voluta
la parità? Adesso, in nome
(ancora una volta) del bene
comune, andrete in pensione
come noi maschi a 65 anni
anche perché, si vede dalle
statistiche, campate più di
noi e non possiamo mica
mantenervi in eterno, vecchie, sdentate, cadenti, arteriosclerotiche, inutili.
Una volta, tanti anni fa, si
era parlato di lavoro socialmente utile delle donne, non
riconosciuto né pagato: lavoro domestico, di accudimento di bambini e vecchi, e di
tutti i maschi di casa, del
doppio, alle volte anche triplo
lavoro delle donne. C’erano
stati studi, statistiche. Tutto
falso, superato, forse? O tutto
dimenticato?
Adesso c’è l’ossessione del
mercato. L’ossessione del
produrre, della merce (beni
di consumo e non beni di
uso, vecchia distinzione che
aveva permesso di comprendere il perché economico
dell’esclusione sociale delle
donne). Oggi impera l’ossessione della competitività, del
mostrare i muscoli. Che rischia di divenire sic et simpli
AJW» Í 'j .Í.
i Valdostani
citer la legge del più forte.
Sperando che non si tramuti
poi nella legge della giungla.
E se le donne, si constata,
sono più deboli ma statisticamente più resistenti (forse
anche lì, benedetta selezione
naturale, perché così attrezzate a portare dentro di sé le
gravidanze e le faticose trasformazioni ormonali, mese
dietro mese, del proprio corpo), ebbene, dato che non sono come noi, belli e rampanti, ma vogliono lo stesso, oltre
che accudirci dalla culla alla
tomba, sopravvivere da vecchie non affidate alla carità
pubblica, ebbene, che stiano
sulla breccia gli anni che ci
stiamo noi!
Questo ci dicono i signori
della guerra (pardon, della
politica) affacciandosi ogni
giorno dai teleschermi e dai
giornali. Specchiandosi l’un
l’altro, ammiccandosi l’un
l’altro, sgambettandosi l’un
l’altro, ma sostenendosi e riconoscendosi l’un l’altro. Immensi narcisi che si specchiano alle loro fonti. Barnbinoni
ipernutriti da noi, noi donne
(e mamme, le mogli, le sorelle, le figlie, le fidanzate, le
nonne) a cui torneranno tutti,
noiosi e cadenti, a farsi accudire quando sarà finita la
grande danza della guerra,
pardon, il nobile balletto della politica, perché solo noi li
sappiamo commiserare, e in
fondo sopportare e in fondo
compatire, e in fondo anche
amare. E sopravvivere. Così,
dalla culla alla tomba.
Valdesi nella Vallée
Al suo 4° numero (aprile)
la rivista bimestrale inserisce
un servizio sulla presenza)
valdese nella regione. Dopo
un’ampia carrellata storicasulle origini del movimento’
valdese e sulla successiva!
adesione alla Riforma, nel te.*
sto a firma di Aurelio Mance-'
so viene una nota sul dialogo
con il cattolicesimo: «...allo
stato attuale [il cammino
ecumenico] può concretamente portare non alla ricomposizione dei cristiani
sotto un’unica chiesa, ma al
riconoscimento reciproco
che esistono tante chiese cristiane con pari dignità»,
Quanto ai temi etici e mora!,
«in verità - dice l’articolo -i
valdesi non entrano quasi
mai nel merito delle leggi statali che possono riguardati
aspetti morali, perché ritengono che lo stato laico debbi
dotarsi di strumenti adattii
combattere piaghe socialit
problemi complessi, la decisione spetta al singolo». L’ultima parte dell’articolo affronta la storia della presemi
valdese in Val d’Aosta.
Calvinisti specie estinta?
I calvinisti non esistoni
più, così almeno crede qual
cuno. Un deputato leghisti
ha fatto in aula un riferimento ai celti e ha provocatole
reazioni che seguono. Come
riferisce il giornale romani
(15 maggio), «durante la discussione del “pacchetti
Treu”, il leghista Paolo Co
lombo in cerca di argomeni
contro “l’inesorabile proces
so di colonizzazione subiti
dalla società padana”, ha rivendicato “l’operosità calvi
nista e pragmatica dei popol
celtici”. Stefania Prestigiaco
mo (Forza Italia) gli ha chic
sto: “Dove l’hai copiato?’
Pietro Armani (Alleanza nazionale) ha protestato: “Ono
revole Colombo, lasci in pad
la storia, non è cosa sua. Laso
dormire i celti sotto i loro tumuli e i calvinisti a Ginevra’
Ma Rosario Olivo [valdese,
ndr], deputato di Catanzati
della Sinistra democratica, s
è risentito: “Perché Arma*
chiede di lasciare i calvinisti!
Ginevra? Così dimostra di e*
sere rimasto a 400-500 ani
fa: i calvinisti ormai sono dii
fusi nel mondo. Ce n’è qual
cuno anche in questo parla
mento. Me compreso”».
il Oiomale
Lo Spirito e le leggi
Sarcastico ma forse fuo<
luogo l’accostamento cl"
l’economista Sergio RicosS
fa sulla prima pagina del i
maggio nel criticare il 1>"
guaggio delle leggi e il sistf
ma assistenziale italiana
L’autore dell’editoriale ricol
re a un paragone con il pò"
tecostalismo, evidente fin d*
titolo: «I pentecostali dell'**
sistenza», e dice amarameo"
che nelle leggi italiane
Hor
19 lat
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che conta è lo spirito eh*
«precluso all’italiano coiu"
ne», sarebbe invece app""
naggio di fisco, sindacai*
Scalfaro, Scalfari, Bertinoth
via dicendo. «Io, ovviameli
- prosegue l’articolo - p"
sono fra i pentecostali [ci"J
coloro in grado di leggCp
interpretare la Gazzetta W
cíale]. Lo spirito, tanto
lo Spirito, è mai sceso*
mio capo».
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ipiato?
i Eutanasia
e malati di Aids
Ho molto apprezzato sul n.
19 la terza pagina, dedicata
completamente a uno dei tenti che si affacciano costantemente: l’eutanasia attiva.
Su quella «passiva» e circa
l’«accanimento terapeutico»
ormai anche in Italia il consenso è quasi generale, plebiscitario.
Ma alcune osservazioni
vanno fatte: se in Olanda il
medico di base è tuttora il
perno attorno al quale ruota
la vita sanitaria del malato,
con leggi molto forti sia per
l’uno sia per l’altro, in Italia la
situazione è da tempo quella
che negli Usa descrive Philippe Aries, cioè che ormai è lo
staff ospedaliero il «padrone»
tanto del momento quanto
delle circostanze del decesso,
per cui, al momento, l’idilliaca situazione esistente in
Olanda tra medici di base e
pazienti non esiste, salvo dovute eccezioni. Occorre quindi riabilitare, e non solo sulla
carta, la funzione del medico
di base che oggi, per fare un
solo esempio, se prescrive
una sola confezione di Temgesic a un paziente sa di finire
nel mirino dei Nas.
Ma soprattutto che dire
per i malati di Aids? Se attualmente il numero dei casi
si aggira attorno ai 42.000
(oltre 30.000 i morti) per i
12.000 viventi come comportarsi? Nessun medico si pronunzia apertamente. Forse
non sono nemmeno loro
informati, mentre l’operatività di un vaccino slitta sempre più lontano nel tempo,
come afferma il doti. Robert
Gallo. I nuovi farmaci, inibitori della proteasi, su diversi
soggetti hanno un buon effetto, ma a molti è inutile
somministrarli; per altri hanno effetti collaterali così vivaci da condurli in breve alla
morte, spesso dolorosa.
In Italia la maggioranza
(circa il 65%) dei malati di
Aids proviene dalla tossicodipendenza, il loro cervello è,
come dicono loro stessi,
«bruciato», funziona solo in
un’unica direzione: la costante ricerca della «roba», al
punto-che un paziente lavoro
di recupero durato anche
mesi in corsia è stato «bmciato» dalla prima azione compiuta fuori dal reparto con un
buco. Certo i volontari, come
i medici e i familiari, non abbandonano, ma alcuni interrogativi si pongono soprattutto alle autorità sanitarie
che ancora non hanno attuato la legge Aids. Nessun aiuto
psicologico è ancora in atto
per i malati e i loro familiari,
diverse strutture operanti sono tuttora parte di altri reparti, il numero dei medici e degli operatori è sempre al di
sotto del limite minimo, ecc.
Come dare «vita ai giorni» di
un malato terminale di Aids?
Come rispondere ai familiari
che chiedono la «puntura»
definitiva per il loro caro, che
non possono vederlo soffrire
oltre? E perché questi malati
sono sempre «Un altro problema» anche per le chiese
evangeliche italiane?
Giovanni L. Giudici
Mestre
■ l/antica
proposta valdese
Rileggendo quanto ha scritto Roberto Malan a proposito
dei «valdesi che si cattolicizzano sempre di più» («Riforma», 4 aprile ’97), non si può
non rilevarne la gravità, specie se si ricorda lo scontro che
avvenne all’epoca della Resistenza tra partigiani valdesi
ed esponenti della Chiesa valdese di allora («Riforma», 11
aprile ’97): quella «rigidità
istituzionale» e quelle «chiusure conservatrici», quelle
«opportunità politiche» di cui
parla Piera Egidi esistono tuttora? La domanda è lecita,
anche se oggi il contesto da
«politico» si è trasformato in
«ecumenico». Ma quale ecumenismo? Quello del fraterno
compiacimento per la fine
delle reciproche scomuniche
o quello della ricerca comune
della verità, sia storica che
dottrinale?
Per me è del tutto ecclesiologicamente ininfluente il lamento su un prete che preghi
anche per i defunti valdesi
(«Riforma», 14 marzo 1997),
ma mi pare teologicamente
grave che si confonda ancora
il tavolo della Santa Cena con
l’altare («Confronti», 1997/4,
p. 17). Come ho già rilevato
altrove a proposito del bell’opuscolo del canonico Gabriele Mercol (Verso un traguardo di riconciliazione: per
una visione ecumenica dei
rapporti tra cattolici e valdesi
nel Pinerolese, Pinerolo, Edizioni «L’eco del Chisone»,
1996, p. 32), la vera questione
in gioco non è tanto la «riscoperta (...) degli autentici valori evangelici» quanto il riconoscere francamente che
l’unico vero impedimento
esistente oggi sul cammino
ecumenico è la dottrina del
primato papale: se si è d’accordo sulla legittimità dell’antica proposta valdese,
sarà bene tener presente un
dato storico non conosciuto
0 spesso dimenticato, e cioè
che, tre secoli prima di Lutero, uno dei primi discepoli di
Valdesio di Lione osò dire
5 ».
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GIUGNO 1997
Riconciliazione
Seconda Assemblea ecumenica europea
23/29 giugno Graz - Austria
Graz
Riparte il movimento ecumenico?
Don Milani
I rapporti con l’evangelismo italiano
Donazione degli organi
Quando si è «realmente» morti?
Politica
Che cos’è il «partito del Nord-Est»
Confronti-, una copia lire 8.000; abbonamento annuo lire 65.000;
(sostenitore lire 120.000 con libro in omaggio). Versamento su! ccp 61288007
intestato a coop. Com Nuovi Tempi, via Firenze 38, 00184 Roma.
Chiedete una copia omaggio telefonando allo 06-4820503, fax 4827901,
(indirizzo Internet: Http://hella.stm.it/market/sct/home.htm)
che il loro «episcopo» era Gesù Cristo! (cf. Liber antiheresis attribuito a Durandus de
Osca, ed. a cura di Kurt-Victor Selge, Berlino 1967).
Giovanni Gönnet - Roma
I capisaldi
della Riforma
Ecco lentamente, ma inesorabilmente, profilarsi al
nostro orizzonte il «Giubileo
dell’anno 2000». Ecco avvicinarsi a noi il grande evento
religioso del nuovo millennio, che sembra inghiottirci,
inglobarci tutti in questa sorta di frenetica macchina organizzativa. In questa spasmodica attesa si torna a parlare di ecumenismo: mai come in questo momento la
presenza dei protestanti in
Italia sembra avere una tale
rilevanza. Eppure siamo una
minoranza oggi così come lo
eravamo ieri.
Che cosa è cambiato? Si
può veramente parlare di
«apertura» tra cattolicesimo e
protestantesimo? Francamente la cosa mi lascia alquanto perplessa e sconcertata, soprattutto quando sento parlare di una partecipazione protestante al giubileo.
Che cosa hanno a vedere i
protestanti con questo avvenimento che appartiene allo
specifico cattolico? Forse che
per ecumenismo dobbiamo
intendere l’ingresso in un business che per secoli, prima
dai nostri avi poi da noi stessi, era stato deprecato?
Sembra che le vecchie incomprensioni, gli antichi
dissapori fra le due confessioni siano improvvisamente
scomparsi o quanto meno si
siano affievoliti e diventati assolutamente superabili. I nostri punti fermi non sono più
tali: sono discutibili, mediabili. Ma i loro? Partecipando a
un incontro sui matrimoni
interconfessionali ho potuto
constatare de visu come questi incontri si risolvano in una
specie di «vogliamoci bene»
senza che però i punti cardine delle due parti vengano
presi in considerazione e dibattuti in modo paritario. I
protestanti sembrano essere
considerati come le «pecorelle smarrite» pronte a ritornare all’ovile e purtroppo da
parte di alcuni di questi sembra esserci una passiva accettazione di questa condizione.
I grandi principi della Riforma e la nostra identità
passano così in second’ordine per lasciare spazio a un
dialogo umiliante. Sarebbe
bene dunque riflettere sulle
parole del teologo svizzero
Alexandre Vinet, che scriveva:
«Qualunque sia l’importanza
dell’avvenimento del XVI secolo, la Riforma è ancora una
cosa da farsi, una cosa che si
rifarà in perpetuo, e alla quale Lutero e Calvino non hanno fatto che preparare un
cammino più unito. Essi non
hanno, una volta per tutte,
riformato la Chiesa, ma affermato il principio e poste le
Le riflessioni di un giovane neoaderente
Evangelici italiani: rinunciamo agli alibi
BRUNO OAMBARDELLA
CON l’entusiasmo del catecumeno, da
mesi leggo quotidianamente l’Evangelo
e mi interrogo, anche grazie a Riforma, su
tutto ciò che è protestantesimo. Mi accorgo
che il rifiuto del multitudinismo da parte
delle chiese storiche risulta essere un alibi,
forse formidabile, per giustificare l’esiguità
del numero di nuovi fratelli che scelgono di
seguire l’Evangelo riconoscendosi in tali
esperienze ecclesiali.
Un’altra osservazione che colgo leggendo
libri, anche recentissimi, sul protestantesimo, è quella secondo cui la nostra società sarebbe talmente impregnata di cattolicesimo
da rendere difficile per un evangelico un’efficace testimonianza di fede. Se fossi giudice
di un tribunale non esiterei a accogliere queste motivazioni come «attenuanti», ma condannerei il protestantesimo italiano per la
sua poca incisività. Giorgio Tourn nel suo ultimo libro scrive mirabilmente della cattiva
abitudine, tutta italiana, di delegare a altri le
proprie responsabilità; conseguenza di questo atteggiamento è la persistenza di uno stato-mamma e di una Chiesa cattolica autoritaria, ma rassicurante, madre e dispensatrice
di salvezza. Ma il cattolicesimo italiano non
incide, ormai, che su pochi giovani alla ricerca di riferimenti etici e di rassicuranti indicazioni morali (si pensi all’integralismo di Comunione e liberazione e alla disinvoltura politico-affaristica dei suoi leader) eie ideolo^e
sussistenti risultano essere lontane dagli interessi culturali e civili dei cittadini.
Come giovane insegnante di lettere in una
scuola superiore di una piccola città di provincia (Nuoro), ho maturato alcune esperienze, giungendo a comprendere davvero
che molti giovani, tanti insegnanti, troppi
italiani non conoscono il protestantesimo,
la sua etica della libertà nella responsabilità,
il messaggio di liberazione contenuto nella
Bibbia. Ho incontrato persone, ho testimoniato la mia volontà di seguire l’Evangelo e
la mia scelta di appartenere alla Chiesa battista di Cagliari.
Molti mi hanno ascoltato con curiosità: alcuni si sono detti «cattolici», ma hanno poi
dissentito sul dogma dell’infallihilità del papa, sulla gerarchizzazione della chiesa romana, sulla validità delle opere per la salvezza,
sulla confessione all’orecchio del sacerdote,
persino sul battesimo degli infanti come strumento di redenzione. Mi sono chiesto, e chiedo ai lettori di Riforma, che cosa facciamo
per incontrare questi fratelli delusi dal cattolicesimo, queste persone che, con una forzatura, definirei «cripto-riformatrici»? Perché
dialoghiamo solo con i «vertici» della chiesa
papista e con i movimenti organizzati trascurando l’incontro con i semplici, con i puri di
cuore che per tradizione familiare si dicono
cattolici, ma poi disertano le messe e i luoghi
di culto? Perché non usciamo più fuori dalle
nostre chiese per testimoniare senza fondamentalismi di sorta, ai giovani delusi e disorientati il più grande messaggio di speranza
che la storia dell’uomo abbia ricevuto da Dio?
La secolarizzazione non distrugge solo il
cattolicesimo romano, ma soffoca la spiritualità di tanti uomini che desiderano tornare a
credere. Graz sarà un appuntamento importante, ma lì ci saranno solo gli «schierati», i
convinti, non i confusi e gli agnostici. A questi dovremmo incessantemente pensare. Perché discutiamo tanto di ciò che ci divide tra
evangelici e non cerchiamo il modo di informare, nelle nostre città disperate, tanti uomini e donne che semplicemente non conoscono l’esisten za di un «altro» cristianesimo?
condizioni di tutte le riforme
future (...). Il cristianesimo è
giovane come il primo giorno, e nella sua speranza immortale, sempre pronto a ricominciare».
Che ben vengano allora gli
incontri'comunitari di preghiera e i dibattiti qualora
questi non ci facciano perdere di vista la coerenza che da
sempre ci ha contraddistinti e perché quei principi di Sola fide, Solus Christus, Sola
Scriptura, e Sola grada siano
e rimangano i capisaldi della
nostra fede senza alcuna possibilità di mediazione.
Loredana Brunetti - Bari
: Una diversa
politica
culturale
La Nuova Biblioteca nazionale francese vai bene un
viaggio a Parigi. Chi vi si reca
non dovrebbe mancare di visitare questa struttura intitolata a François Mitterrand
e inaugurata nel dicembre
scorso dal suo successore
Chirac, attuale presidente
della Repubblica francese.
Con notevole impatto visivo l’ardita costruzione si presenta lungo la riva sinistra
della Senna a Sud di Parigi,
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Roma, Montagnola, Piramide
Renzo Spanu: tei. 0338/7392585, dalle 14 alle 21
golo, raccordati tra loro da
lunghe vetrate. Il richiamo a
quattro libri aperti è evidente, al centro degli edifici è
stato piantato un sontuoso
bosco di conifere di altissimo
fusto. La vista che si gode dai
vari piani è splendida e crea
un’atmosfera di magia e di
spaesamento.
Da informazioni assunte
presso i responsabili e facendo riferimento al dépliant
preparato per l’inaugurazione, si capisce che la Nuova
Biblioteca nazionale è sorta
per esigenze di spazio; uno
spazio che risultava troppo
esiguo ormai nella Biblioteca
storica, che qualcuno chiama
Tempio del libro, di me Richelieu, nel cuore del quartiere del Marais.
La biblioteca dispone nella
sua nuova sede di 1.600 posti
disponibili in sei sale di lettura; le collezioni presenti e
consultabili in queste sale sono per ora 180.000 volumi di
cui 2.500 titoli di periodici.
Queste collezioni sono state
assemblate tenendo conto
dei testi che costituiscono i
grandi riferimenti del sapere
contemporaneo. Le raccolte
sono completate da microfilm, da un insieme di testi
informatizzati e da un imponente fondo audiovisivo e
multimediale. Il progetto
prevede che queste collezioni
raggiungano 350.000 volumi
nei prossimi 5 anni.
Per l’estate 1998, dopo il
trasferimento delle collezioni
degli stampati e degli audiovisivi provenienti dalla biblioteca di me Richelieu, sarà
aperta una biblioteca riservata a ricercatori, con 2.000 posti di lettura realizzati con gli
ultimi accorgimenti tecnologici. Nella vecchia sede rimarranno e saranno consultabili con maggiore agio, perché saranno «dispiegate» e
valorizzate le collezioni specialistiche, le carte, le mappe,
le stampe e le fotografie, i
manoscritti, le monete, le
medaglie, i documenti musicali e quelli delle arti dello
spettacolo.
Un opinionista di un grande giornale italiano, a proposito della Nuova Biblioteca
nazionale di Parigi, ha osservato che legare il nome di un
politico a un’opera che esalta
la cultura è una prerogativa
tipica del mondo francese
(anche Beaubourg è stata
creata in omaggio al presidente Pompidou) e non trova
riscontro in Italia. Quanto
dovremo aspettare perché un
gesto simile sia imitato da un
nostro politico disposto a impegnarsi in modo così coinvolgente per mettere in risalto le opere dell’ingegno e assicuri il meritato tributo al
sapere umano?
Franco Calvetti
Pomaretto
RINGRAZIAMENTO
«Il Signore è II mio pastore»
Salmo 23, 1
È mancata
Elena Tomoli Occhipinti
Ne danno l’annuncio, commossi, il marito Salvatore, il figlio Enrico e i nipoti tutti.
Si ringraziano il dott. Napoli e il
personale sanitario degli ospedali di Sanremo e Torre Pellice per
la loro fraterna cura.
Sono stati cari l’affetto e la partecipazione dei parenti e degli
amici che si sono stretti vicini al
nostro dolore.
Torre Pellice, 23 maggio 1997
Il pastore Giuseppe Tuccitto comunica il suo nuovo numero di telefono a partire
dall’11 giugno prossimo; 0803254913.
Il pastore Fulvio Ferrario comunica il proprio indirizzo:
via della Signora 6, 20122 Milano; tei. 02-76002654.
Librerie
CLAUDIANA
MILANO
via Francesco Sforza, 12/A
TORINO
via Principe Tommaso, 1
TORRE PELLICE
piazza della Libertà, 7
ROMA
Libreria di cultura religiosa
piazza Cavour, 3
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PAG. 8 RIFORMA
Villaggio Globale
venerdì 6 GIUGNO 1997 ¡
Piena solidarietà della Chiesa battista di Ariccia
I saharawi, un popolo pacifico e coraggioso
BRUNO COLOMBO
Anche se in ritardo desidero esprimere il mio
pensiero in merito alla mozione approvata in Parlamento il 13 marzo scorso, il
cui primo firmatario è l’on.
Maselli («A fianco del popolo
saharawi», Riforma n. 12 del
28-3-97). Voglio vivamente
sperare che gli amici dell’
ambasciata della Rasd a Roma abbiano ringraziato il
prof. Maselli per questa mozione, perché la sua importanza va oltre la mozione
stessa. Infatti la volontà di
pace espressa nel documento raggiunge la sede dell’Onu
in un momento in cui, con il
nuovo segretario generale,
sembra voler superare la lunga fase di stasi, di mancanza
di iniziativa politica propria,
perché soggiogata dagli interessi politici delle grandi potenze, Usa in prima fila.
11 popolo saharawi ha un
impellente bisogno di tornare nei suoi territori in una
condizione di vera pace, ha
bisogno che venga riconosciuto a livello mondiale il diritto aH’indipendenza nazionale nel suo territorio. Da oltre venti anni questo piccolo
pacifico e coraggioso popolo
africano vive ospite nel deserto del Sahara algerino, in
piccoli villaggi di poche migliaia di abitanti, quasi tutti
sistemati in tende e in abitazioni in muratura. Vivono
della solidarietà di alcune nazioni europee e di molte organizzazioni di solidarietà e
di volontariato. Quando, per
un qualunque motivo, tardano ad arrivare gli aiuti umanitari sono dolori e pianti
amari, perché le scorte finiscono in fretta e non c’è la
Famiglia saharawi in una zona
liberata del Sahara occidentale
possibilità di conservarle a
lungo. Questo popolo non è
stato ancora colpito dalla tremenda piaga dell’integralismo islamico che sta massacrando l’Algeria, anche per
questo motivo deve tornare
nei suoi territori. La chiesa
battista di Ariccia, da diversi
anni, si occupa di dare accoglienza, nel mese di luglio di
ogni anno, ad un gruppo di
dieci tra bambine e bambini
saharawi, questo gesto di solidarietà viene compiuto unitamente ad una associazione
di solidarietà di cui la chiesa
stessa è membro fondatore.
Dal maggio del 1994 la cittadina di Ariccia è gemellata
con il villaggio di Amgala e
ospita la giovane segretaria
delFambasciata a Roma, che
gode di una borsa di studio
presso la facoltà di lingue
all’Università di Roma donata
dal nostro Comune. La comunità battista ariccina si è impegnata molto e in molte occasioni per sollecitare l’amministrazione comunale a ge
mellarsi con un villaggio
saharawi, ad approvare mozioni a favore del rientro di
tutto il popolo saharawi nel
suo territorio nazionale, a
presentare tale mozione al
Consiglio provinciale, alla Regione Lazio, al ministro degli
Esteri e al capo del governo.
È da sperare che la mozione approvata dal nostro Parlamento, unitamente ad altre
iniziative simili, riesca a
smuovere l’Onu ad indire un
equo, giusto referendum affinché il popolo saharawi
possa tornare in pace a casa
sua. Per favorire questa soluzione il fronte Polisario ha
smesso di combattere contro
le truppe di occupazione di
re Hassan II da circa quattro
anni. Le popolazioni marocchine che occupano parte
del Sahara sono costituite da
avversari politici del regime
dittatoriale del monarca marocchino e queste popolazioni sarebbero favorevoli a vivere insieme ai saharawi in
questo territorio; il vero pericolo è costituito da re Hassan, dalle sue mire espansionistiche e dalla necessità di
avere un territorio dove inviare e isolare periodicamente i suoi avversari politici,
quando non vengono uccisi
dai sicari del regime.
È bene che il nostro settimanale ricordi periodicamente ai lettori la condizione
di vita di questo pacifico piccolo popolo africano, come fa
per tanti altri che vivono nel
nostro globo le stesse e più
difficili condizioni umane.
Sarebbe molto utile pubblicare interventi sul tipo di colonialismo spagnolo, poco conosciuto ma egualmente iniquo e disumano come quello
di tutte le nazioni europee.
In Colombia, uno dei paesi più violenti del mondo
Assassinati due membri di un centro religioso
Mario Calderon, un ex
prete colombiano di 50 anni,
e sua moglie Elsa Constanza
Alvara, di 36 anni, ambedue
membri del Centro di ricerca
e di educazione popolare
(Cinep) sono stati assassinati
lunedì 19 maggio nella capitale colombiana. Anche il
padre di Elsa Constanza Alvara è stata ucciso e la madre, Elvira Chachon de Alvarado, è stata gravemente ferita. Secondo differenti versioni, cinque uomini armati
che si erano fatti passare per
poliziotti hanno fatto irruzione nella casa delle vittime
alle due di notte sparando
sugli abitanti. Solo il figlio di
due anni di Mario e Elsa è rimasto indenne.
Mario Calderon era laureato in filosofia e lettere e
aveva conseguito un dottorato a Parigi. Negli ultimi 15
anni aveva lavorato nel campo dei diritti della persona e
della promozione della pace
e collaborava a un progetto
ecologico nella zona di Sumapaz, come consulente
dell’Istituto di cultura e di
turismo del distretto.
Calderon era inoltre impegnato nella parrocchia del
quartiere di Villa Javier e nel
programma per la pace della
Compagnia di Gesù. Sua
moglie aveva lavorato per sei
anni presso il Dipartimento
di comunicazione sociale del
Cinep. Il Cinep, uno dei centri più noti di ricerca sociale
di tutta l’America Latina, appartiene alla Compagnia di
Gesù e svolge un enorme lavoro a favore della pace, dei
diritti della persona, della
formazione di differenti classi della società civile e della
difesa dell’ambiente.
Con un comunicato uffi
ciale, l’organismo gesuita ritiene che «questo nuovo
massacro... fa parte della
campagna di accanimento
contro le Organizzazioni
non governative (Ong) e sociali che gli organismi di sicurezza dello stato ed i gruppi paramilitari hanno scatenato nel paese». Contattato
dall’agerizia ecumenica Eni,
Fernando Barón, coordinatore di progetti di comunicazione del Cinep, ha sottolineato che «dato il modo di
agire del gruppo, tutto fa
pensare che si tratta di gruppi paramilitari».
Fernando Barón, che da
quattro anni lavorava con le
vittime, ha espresso «il profondo dolore» di coloro che
hanno collaborato con Mario e Elsa, condividendo la
stessa utopia: il ripristino di
una pace autentica in Colombia. Interrogato sulle
reazioni che un tale delitto
ha provocato in Colombia,
Fernando Barón ha risposto
che «buona parte della società civile, dei movimenti
popolari, delle università,
delle parrocchie e delle organizzazioni religiose, è colpita
da questo lutto e si associa
alle manifestazioni di condanna» e ha dichiarato che il
Cinep, «tramite organismi
dei diritti della persona
dell’Onu che si trovano a Bogotá, ha chiesto al governo
nazionale la protezione degli
organismi di difesa dei diritti
che sono vittime di molestie
e di costanti minacce».
L’attentato che ha sconvolto l’opinione pubblica colombiana, e in particolare gli
ambienti delle Ong, ha provocato una reazione immediata degli organismi nazionali e internazionali, i quali
hanno condannato il delitto.
L’Ufficio di presidenza per i
diritti della persona ha dichiarato che il modo in cui è
stato commesso il delitto rivela «un livello di aggressività e di atrocità che, se non
verrà combattuto con il massimo rigore», potrebbe creare pericolosi precedenti e
potrebbe ripetersi contro i
dirigenti democratici del
paese. Nonostante quello
che dicono gli organismi ufficiali, molte voci si levano
contro il governo, accusandolo di permettere un sistema fondato sull’impunità.
Amnesty International, che
lavora in Colombia a stretto
contatto con il Cinep, ha
chiesto «un’azione urgente»
e ha emesso un comunicato
stampa di condanna. Gruppi
nazionali di Amnesty, tra l’altro in Svizzera, hanno espresso la loro solidarietà
con il Cinep e con le famiglie
delle vittime. Raramente, in
questi ultimi mesi, un’azione
criminale ha provocato una
simile reazione in quel paese
sudamericano. Le diverse
Ong colombiane hanno invitato a una manifestazione
spontanea il 20 maggio nella
capitale. D’altra parte, settori
della società, fra cui centri e
gruppi religiosi, hanno chiesto alle autorità di fare luce
su questo delitto.
La Colombia è oggi uno
dei paesi più violenti dell’America Latina e del mondo. Più di 920.000 persone
sono state costrette a lasciare il loro luogo di origine negli ultimi 12 anni a causa
della violenza interna. Solo
nel 1995 si sono registrati
33.147 delitti e non meno di
1.000 sequestri di persona
per motivi politici. (eni)
L
Il sogno di una casa, di cibo
a sufficienza, di una buona
istruzione, di un lavoro.
Per un bambino del Terzo
Mondo questi sogni si
avverano molto più
difficilmente che per un suo
coetaneo del Primo Mondo.
Per colpa delle guerre, delle
carestie, dell’alterazione del
clima, del sottosviluppo di
questo grande continente.
Per questo le chiese valdesi
e metodiste hanno deciso
di investire una quota deH’8
per mille, a loro
esplicitamente destinato
dai contribuenti, per
sostenere progetti di
cooperazione allo sviluppo
nel Terzo Mondo realizzati
in collaborazione con
organismi ecumenici,
istituzioni locali,
associazioni di volontariato.
uguali
Tutti i fondi
deli’8 per miiie
destinati alie
chiese vaidesi e
metodiste
saranno
investiti
esciusivamente
in progetti
sociaii,
assistenziali,
umanitari e
culturali in Italis
e all’estero.
Chiesa evangelica valdese (Unione delle Chiese metodiste e valdesi)
via Firenze 38 - 00184 Roma - tei. 06-4745537; fax 06-4743324