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ECO
DELLE VAILI VALDESI
valdese
■TORRE PELLICE
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno XCVII - N. 23
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TORRE PELLICE — 9 Giugno 1967
Ammin. Claudiana Torre PeUice . C.C.P. 2-17557
LETTERA APERTA
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Dopo il u Dio Io vuole! » crociato e il « Goti mit uns » nazista
Viva l’Italia ALLAH A KB AH
Signor Presidente,
Le confesso che in questo momento in cui balenano quelle che potrebbero essere le orribili avvisaglie della terza guerra mondiale, mi
ha rivoltato in modo particolare la
celebrazione della ’’festa della Repubblica”.
Il 2 giugno Lei ha rivolto, quale
Capo dello Stato, un messaggio; ma
non lo ha rivolto a tutti noi, cittadini, lo ha rivolto alle forze armate,
’’agli ufficiali, sottufficiali, graduati
e soldati di ogni arma e specialità”.
Perchè?
Forse per Lei le forze armate costituirebbero l’élite della Nazione,
la sua parte più responsabile? Forse che noi tutti, cittadini di una
res-publica ’’fondata sul lavoro”
(ponti e ponticelli a parte...), non
ne siamo parte integrante, ugualmente corresponsabili del bene (e
del male) comune? Non aveva nulla da dire a tutti noi, in questo
giorno, sulle nostre responsabilità
interne e internazionali?
In questa ’dies festa’ nazionale,
perchè le celebrazioni hanno essenzialmente avuto un carattere marziale? Perchè non è stata data giornata libera ai militari come a tutti
gli altri cittadini, e si sono invece
sottoposti alle penose e grottesche
corvées di parate che hanno intralciato il traffico nelle nostre città,
assordato le nostre orecchie, sciupato l’asfalto delle nostre strade con i
cingoli dei carri armati? E’ possibile che la retorica bellica, per la nostra generazione, abbia ancora tanto potere?
Amo come Lei la nostra patria.
Se detesto il nazionalismo gretto, mi
irrita altrettanto un internazionalismo ({ualiinquista e senza radici
umane in una lingua, in una cultura, in una terra. Ma i nostri ’’baldi’'
(li sentiva i moccoli, prima durante
e dopo le parate?) soldati e i nostri sferragliatiti mezzi cingolati non
sono certo la mia gloria. Sono servizi di triste ed estrema necessità.
Vederli sfilare in gloria, è per me
come veder sfilare balde (?) guardie carcerarie sventolando le loro
chiavi di sicurezza o trainando facsimili di carceri più o meno modello
(certo meno modello dei nostri caccia supersonici). Non sono un utopista e so che queste realtà sono necessarie alla vita associata della nostra come di ogni nazione; nè intendo svalutare a priori questo servizio
e i sacrifici, anche umani, che esso
sovente comporta. Ma è inaccettabile che essi assurgano a simbolo supremo della nostra vita italiana.
Signor Presidente, io ignoro quanti miliardi sia costata, in tutta Italia, la giornata del 2 giugno. Indubbiamente parecchi. Mi permetto di
chiederLe, con deferente ma ferma
insistenza, se quei miliardi, fino all’ultimo, non sarebbero stati più
utilmente, più seriamente spesi costruendo un ospedale su un qualunque punto della terra d’Africa, un
centro di formazione in Iiulia, oppure offrendo borse di studio a un
Certo numero di tecnici afroasiatici,
di infermieri e medici latino-americani. Quell’ospedale, quella scuola
quei diplomi e quelle lauree, quelle amicizie, anno dopo anno, sono la
sola gloria, la sola ’’influenza” cui
oggi un paese serio e civile possa
aspirare, il solo monumento, la sola parata.
Oso pensare che questo discorso,
se Le giungerà all’orecchio, non Le
suonerà estraneo.
Riceva il saluto deferente e cordiale del Suo concittadino
Gino Conte
Come si è giunti alla repentina crisi del
Medio Oriente? Cercare di rispondere a
questa domanda basandosi sulle informazioni e le valutazioni contenute sulla nostra stampa italiana è pressoché impossibile. I fatti vengono presentati in modi diametralmente opposti che si ha quasi l’impressione di leggere articoli che si riferiscono non allo stesso, ma a due avvenimenti diversi. Il tentativo di valutazione
che segue è quindi basato in gran parte
sul quotidiano francese « Le Monde », che
è uno dei più seri e più documentati giornali esistenti.
La versione israeliana della crisi è che
la Siria è responsabile dei frequenti attacchi terroristici di frontiera compiuti dall’organizzazione E1 Fatah (21 dalla metà
di marzo) e che Israele non può subire
queste provocazioni senza reagire. In seguito ai ripetuti avvertimenti la Siria avrebbe creduto a una vera e propria minaccia
armata (non programmata, afferma Israele)
e avrebbe chiesto aiuto all’Egitto. La risposta aggressiva degli Stati arabi avrebbe
portato perciò davanti alla coscienza mondiale l’evidenza che Israele è sotto una minaccia diretta e che la continuazione degli
attacchi terroristici costituisce un pericolo
mondiale. Israele denuncia la propaganda
siriana che vede nell’azione dei commandos El Fatah « la fase concreta della guerra popolare di liberazione della Palestina ».
La versione siriana ed egiziana è che gli
stati arabi non vogliono un confronto diretto poiché la liberazione della Pales'ina
é affidata all’esercito popolare la cui punta
avanzata sono i commandos El Fatah. Radio Siria vede negli avvenimenti presenti
« i segni precursori di una guerra di liberazione che comincerà con una guerriglia
generalizzata per estendersi su tutti i fronti ». Per ciò che riguarda la crisi attuale,
Israele avrebbe organizzato (in collaborazione con la C.I.A.) un attacco di sorpresa alla Siria con lintenzione di penetrare
nel territorio siriano fino a Damasco, rovesciare il governo e ritirarsi con l’arrivo
delle truppe O.N.U. che avrebbero dovuto
presidiare la frontiera da parte siri'ana. Lo
scopo sarebbe stato non solo la ritorsione
per gli attacchi terroristici, ma un colpo di
stato in Siria per rovesciare il governo
progressista siriano e dare via libera alla
destra filo-occidentale. Solo il tempestivo
movimento di truppe egiziane a sud e la
richiesta di ritiro 'die forze dell’O.N.U.,
avrebbe prevenuto questo attacco.
* * «
Quale delle due versioni ha il maggiore
fondamento di realti'? Volontà da parte dei
paesi arabi di passare dall’azione terroristica alla guerra aperta (naturalmente prendendo spunto da qu.ilohe azione israeliana)
e posizione difensiva siro-egiziana, o volontà da parte di Isr aele di risolvere la sua
diffìcile situazione di frontiera e di ottenere al nord una situazione favorevole per
mezzo di un colpi' di stato e posizione
essenzialmente difensiva da parte siro-egiziana? È estremame.'ite difficile tracciare un
giudizio netto, ma forse alcuni dati possono aiutare a chiarire la situazione.
Se anche Israele denuncia i raids terroristici, é necessario tener presente che
Israele non ha mai mancato di procedere
a ritorsioni nei confionti della Siria. Il caso
più grave in data 7 aprile ha portato 'non
alla posa di mine su qualche strada, ma
alla distruzione di b Mig siriani. Il 13-14
maggio si é svolto, a Gerusalemme l’annuale festa deH’indipendenza. Nel quadro
di questa festa si é avuta, tra le proteste
dei paesi arabi, una -sfilata militare nella
città di Gerusalemme. Pur essendo questa
sfilata al di sotto del limite delle forze armate consentite dt U’armistizio giordanoisraelita in zone di frontiera come Gerusalemme, i paesi occidentali si sono rifiutati
(Inghilterra in testa) di essere rappresentati
a questa sfilata in base alla dichiarazione
del ’47 che stabilisce per Gerusalemme la
posizione di città internazionale. I ripetuti avvertimenti a!i||t. Siria tendenti a eliminare i raids terrorfstici non riguardavano
soltanto ritorsioni limita-te, ma qualcosa di
diverso. Ripetute dichiarazioni del generale Rabin, capo di stato maggiore e una
dichiarazione del premier Eshkol parlavano della necessità di «uno choc frontale»,
di « un colpo decisivo ». necessario per ridune la Siria alla l*®giDae.'La dichiarazione sovietica di appoggio all’Egitto riportava la notizia ohe il 9 maggio il Parlamento israeliano avrebbe decretato i pieni poteri per azioni militari organizzate contro
la Siria (notizia non commentata da « Le
Monde ».) D’altra parte, se i paesi arabi
avevano intenzione di passare alla guerra
aperta, l’Egitto avrebbe dato tanta pubblicità ai propri movimenti di truppe nei primi giorni della orisi? « Le Monde » parla
di una guerra psicologica per sostenere la
Siria piuttosto che di un inizio di ostilità.
La cosa, come si sa, si é complicata gravemente con il ritiro delle truppe delrO.N.U. ordinata da U Thant su richiesta
di Nasser, che ha dato a quest’ultimo la
possibilità di bloccare lo stretto di Tiran. A
questo proposito, notando le deplorazioni
eli diversi stati occidentali di fronte alla
rapida decisione di U Thant, « Le Monde »
parla di una vera e propria gaffe del Segretario delle Nazioni Unite che, con le sue
dichiarazioni avrebbe dato esca a Nasser
per richiedere un ritiro immediato dei caschi blu dopo che la richiesta originaria
(indirizzata attraverso il generale indiano
che comandava le truppe dell’.O.N.U. e
cioè in via indiretta e meno ufficiale) di una
limitazione delle zone di manovra dei caschi blu era stata respinta. Secondo alcuni
commentatori U Thant avrebbe potuto tergiversare e guadagnar tempo appellandosi
anche ad una lettera di Nasser che a suo
tempo si impegnava con Hammarskjòld a
consentire la presenza delle truppe del
CO'NTINUA
IN QUARTA PAGINA
L’Italia pei' il liietnam
Venea-dì 2 giugno, nel pomeriggio, Milano è stata attraversata da Porta Venezia a
Piazza Castello da un eorteo lungo oltre due
chilometri (centomila partecipanti?): la manifestazione « L Italia per il Vietnam », organizzata dai vari Comitati locali « Città
europee per il Vietnam» dell’Italia settentrionale. Come già è avvenuto in varie mani,
festazioni locali, pure qui vi è avuta una
partecipazione relativamente rilevante di evangelici e fra gli otto oratori, accanto a
Margaría (presidente della Consulta milanese per la pace), a Albani (AGLI), a Gorghi
(DC), a R. Lombardi (PSU), a Luzzatto
(PSIUP), ad Amendola (PCI), ha parlato
Tullio Vinay.
Mentre « L’Unità » dell’indomani pubblicava un servizio molto ampio sulla manifestazione e sugli interventi, la stampa di destra e quella « indipendente » ha taciuto
o minimizzato. Il confronto fra « L’Unità »,
di cui non si manca di sottolienare la faziosità, e « La Stampa » va in questo caso a
netta squalifica di quest’ultima, la cui informazione è nettamente più disonesta dell’altra : una corrispondenza irrisoriamente
breve, perduta nelle ultime pagine, e per di
più velenosamente tendenziosa, in quanto
pensa di poter « squalificare » la manifesta
OONTINUA
IN S'EiCONDA PAGINA
iiiiimmiiiimiiiiKiiiiiiiiiiiiimiMMmmiiiii
iiiiiiiiiiminiiiiiiitiiiiitiiuiiiiiiiii
Ha veramente taciuto
È stato puibblicato nei giorni scorsi
il terzo volume degli Atti e Docuinenti della Santa Sede durante la seconda gruerra mondiale.
Secondo un giornalista come Vittorio Gorresio, ohe non può certo essere
sospettato di anticlericalismo viscerale, e secondo un giornale come « La
Stampa » di Torino, sempre riguardosa e spesso generosa nei confronti della Chiesa cattolica e in particolare del
Vaticano, il volume citato conferma
in sostanza la tesi sostenuta da
R. Hochhuth nel suo celebre dramma
« Il Vicario », secondo cui Pio XII, per
paura o per calcolo politico, ha taciuto di fronte alle atrocità naziste, per
quanto egli ne sia sempre stato al
corrente e sia stato per ben quattro
anni (dal 1939 al 1943) più volte ri
ANCORA UNA PAGINA DI GIOVANNI MIEGGE
Decesso del cristianesimo ?
Un mondo tramonta : se fosse
quello del Cristianesimo? La tesi
non è nuova, ma toma con insistenza nel nostro tempo. Il Cristianesimo è superato : il Cristianesimo,
s’intende, come religione, come fede in Dio personale e vivente, in
Cristo suo Figliuolo, nella redenzione per mezzo della sua croce, nella
vita eterna come avvenire personale; poiché come complesso di « valori », come amore del prossimo,
come senso deirunità e della solidarietà umana, come inclinazione
al rispetto dei nostri simili e della
persona umana in generale, nessuno dice che il Cristianesimo sia
morto; esso rimane tra le cose più
vive e desiderate, nel nostro mondo
di oggi, tanto più desiderate, quanto più se ne avverte la carenza.
COME NEL QUINTO SECOLO
Ma il Cristianesimo come fede, il
Cristianesimo come dogma, si dice,
è morto: sia nella sua forma cattolica, sia, sebbene forse un po’ meno, in quella evangelica. E si badi
bene, non si dice che il Cristianesimo stia morendo, si dice che è già
morto, e morto da alcuni secoli, e
quello che ne rimane sulla scena
della storia, in realtà, sopravvive a
se stesso, come gli alberi dis.seccati
continuano a stendere i loro rami
possenti, ma senza vita, verso il
cielo.
Il Cristianesimo è morto da quattro o cinque secoli, e si trova oggi
in una situazione analoga a quella
del paganesimo aU’epoca di Giustiniano. La vittoria del Cristianesimo
non faceva dubbio, allora; eppure
il paganesimo sopravviveva nelle
campagne e nella nostalgia di alcuni gruppi di intellettuali. In realtà,
era morto; e bastò che venissero gli
imperatori cristiani, da Teodosio a
Giustiniano, per decretarne la fine :
il paganesimo scomparve senza violenze (o quasi), appunto perchè non
viveva più, e la sua soppressione
ufficiale non fu altro che il suo atto
di decesso. Così è, si dice, del Cristianesimo.
LA RELIGIONE DELL'UMANITÀ'
Nulla scompare veramente se non
è sostituito. Il paganesimo non fu
rimpianto, perchè la vittoria del
Cristianesimo era un progresso. Ma
anche oggi, si dice, la nuova religione, che dovrà sostituire il Cristianesimo, è sorta: è la religione
dello (c spirito », o della « libertà »,
o della « umanità ». Essa è nata,
qui in Italia, nel Rinascimento; ha
vissuto per qualche tempo in accordo, almeno parziale, con la nuova
forma del Cristianesimo che aveva
contribuito a formare: il protestantesimo; poi se n’è staccata, nel secolo XVIII, ed ha preso coscienza
della sua diversità e indipendenza;
ha raggiunto la sua maturità nell’idealismo tedesco del secolo scorso. Ormai, questa nuova religione
non è soltanto pronta ad assumere
la successione del Cristianesimo :
l’ha già assunta. Ormai, anche quelli che continuano a dirsi cristiani in
realtà pensano con i pensieri di
questa nuova religione. Tutte le loro concezioni scientifiche, filosofi
che, storiche, politiche sono dominate da questa nuova fede; la quale
del resto è ben lungi dal disconoscere tutto quello che deve al Cristianesimo, anzi si presenta come la
sua continuazione, come un cristianesimo purificato dei suoi elementi
« mitologici » o « teologici », e chiarito sul piano della ragione.
LA SUA UNIVERSALITÀ'
E LA SUA DIALETTICA
E come il Cristianesimo, anzi forse anehe più di esso, questa nuova
religione è universale : essa è identica, in fondo, a Washington e a Mosca: nelle più diverse, e in apparenza inconciliabili, concezioni della
vita e del lavoro umano, si riflette
una identica fiducia deU’uomo in
se stesso, nella sua capacità di organizzare razionalmente la propria
di
Se vogliamo dare un
nome a questa nuova religione, non
ve n’è alcuno migliore del vecchio,
glorioso nome con cui si presentò
agli albori del Rinascimento: umanesimo.
L’umanesimo integrale è la fede
comune del mondo nuovo. Come
tutte le fedi vive, si frange nella
dialettica delle sue correnti ortodosse ed eretiche: umanesimo ortodosso, la religione della libertà, lo
storicismo, il liberalismo; umanesimo eretico: il comunismo; tra i due,
tutta la gamma di tendenze intermedie {V ermittlungstheologie, direbbero i tedeschi) dal socialismo al
CONTINUA
IN QUARTA PAGINA
vita, di assegnarle i suoi fini e
raggiungerli.
chiesto dai vescovi polacchi di condannarle puibblicamente. Lo sconcertante silenzio di Pio XII deve aver
turbato molte coscienze, specialmente in Polonia, se nel 1943 mons. Radonski, vescovo esiliato di 'Wladislavia, scriveva : « Quando sono commessi tali crimini che gridano vendetta
in cielo, il silenzio inesplicabile del supremo maestro della Chiesa diventa
per coloro che ne ignorano le ragioni,
e sono migliaia, una causa di rovina
spirituale ». Vittorio Gorresio afferma
che i documenti pubblicati «non dimostrano in Pio XII se non paura e
calcolo politico ». Troppo poco evidentemente. « Il compito di un capo religioso non è infatti difendere le strutture materiali della sua Chiesa — ohe
i nazisti potevano minacciare — bensì quelle morali... » (« La Stampa » del
l-6-’67). Si è dunque avverato quello
che il card. Tisserant temeva (come
risulta da una lettera dell’ll giugno
1940 alTarcivescovo di Parigi cardinale Suhard) e cioè che « la storia
rimprovererà alla Santa Sede di avere fatto una politica di comodo per
se stessa e non qualcosa di più ». È
proprio quel che è successo e il rimprovero della storia e delle coscienze
è ormai a buon diritto pronunciato.
Se rileviamo queste cose non è certo in uno spirito farisaico di condanna del prossimo. Pio XII ha già, come
noi tutti, il suo Giudice. Comunque
non potremmo condannare il silenzio di Pio XII senza anzitutto condannare il nostro silenzio. Pio XII
non è stato il solo a tacere. Anche il
Sinodo della Chiesa Valdese, come
tutti sanno, ha taciuto, pure essendo
stato sollecitato a parlare da uno dei
suoi membri. Anche noi, oggi, taciamo su tante cose, coscientemente o
per incoscienza, e i credenti di domani ce lo rimprovereranno. Il peccato
di Pio XII è stato, purtroppo, anche il
nostro e forse continua ad esserlo.
Una domanda, però, deve essere posta. La pone, con il consueto rigore
logico, Roland de Pury nel suo ultimo
libro Aux sources de la liberté (Labor
et Fides 1967). Accennando al fatto
che il recente colpo di Stato militare
in Grecia, col quale sono state soppresse tutte le libertà e tutti i diritti
deH’uomo, è stato sostanzialmente appoggiato dall’Arcivescovo di Atene,
Roland de Pury si chiede : « Ma a che
cosa serve la gerarchia? » (p. 65, n. 1).
La stessa domanda sorge pensando
al comportamento di Pio XII nei
confronti del nazismo. Il cattolicesimo sostiene che la gerarchia è la suprema e sicura guida spirituale e morale della Chiesa e pensa che senza la
gerarchia la Chiesa sarebbe grandemente disorientata. Ma il silenzio di
Pio XII dimostra in modo lampante
ohe quando la Chiesa e i popoli hanno davvero bisogno di guida e orientamento, la gerarchia e il papa stesso
possono miseramente fallire. E allora
perchè attribuire loro tanta importanza spirituale? Perchè fidarsi tanto
di loro? Non solo il Nuovo Testamento ma anche la storia dimostra che
questa fiducia nella gerarchia non è
veramente giustificata e può essere
ingannevole. I*- R-
2
pt>.
N. 23 — 9 giugno 1967
FEDE E PSICOLOGIA
Fede e violenza
La rivoluzione non-violenta operata da Cristo non ha nulla a che vedere con
le inibizioni della aggressività alle quali in genere si richiama la Chiesa —
Cristo non solletica, ma mortifica l'amor proprio deH'uomo, di quello religioso in particolare : mai nessun'altro ha fatto tanta violenza all'uomo, chiamandolo a morire e rinascere — Dio contesta all'uomo la sua esistenza ; il
giudizio ( V« ira » ) di Dio non è non violento, ma giusto nella sua violenza —
Gli equivoci della « rinuncia » e la via della fede come lotta — La violenza
cristiana è guidata dall'Agape, ma proprio per questo acquista vigore ed efficacia incomparabili.
Nell’articolo precedente abbiamo
esposto il contrasto che sembra esistere tra Evangelo e psicologia ricordando le parole inequivolabili di Cristo, che condannano ogni forma di
violenza e non sembrano giustificare
nemmeno le forme estreme dell’autodifesa... poi gli infiniti esempi forniti
dalla storia della Chiesa, in cui si è
venuto meno a tali principi e si è
fatto uso abbondante della violenza
pubblica e privata— ed infine l’attacco congiunto della psicologia che denuncia l’ingenuità di ohi crede di liberarsi della propria aggressività inibendola (sarebbe come nasconderla a
se stessi) e del marxismo ohe denuncia nel suo insieme la religione cristiana come oppio dei popoli e delle
coscienze, e invita alla lotta, se necessario armata (rivoluzione). Infine la
stessa vita della chiesa (in periodo di
pace) fatta di infinite forme di aggressività e violenza appena velate e
mascherate... Sembra veramente che
l’invito del Cristo sia stato tradito
costantemente dai cristiani, che esso
sia cosi irreparabilmente contro natura che assai meglio vivano i non cristiani, i quali, meno preoccupati di
inibire e nascondere la propria aggressività, finiscono con l’essere più veri,
più spontanei e in definitiva più
buoni !
Ma il modo con il quale il Cristianesimo, come religione, ha cercato di
assolvere il compito della non violenza indicato dal Cristo, e ohe sembra
per lo più o ingenuo o francamente
ipocrita, costituisce uno dei più grandi drammi della cristianità e al contempo uno dei più spaventori travisamenti delle parole di Gesù Cristo!
Infatti, e qui il discorso da i>sicologico che pK)teva sembrare all’inizio si
fa certamente teologico ( teologico speriamo nel senso buono, nel senso della fede vissuta nella totalità della persona umana) non è passibile concepire nulla di più sconvolgente e rivoluzionario del Cristianesimo, a bene
intendere. La rivoluzione operata da
Cristo non ha nulla a che vedere con
le « inibizioni » della aggressività cui
generalmente si richiama la Chiesa.
S * *
Infatti Cristo non solletica l’amor
proprio di nessuno chiamandolo ad
inibirsi per essere più buono e mansueto, ma mortifica l’uomo cui si rivolge sino in fondo, ricordandogli la
perfezione di Dio e vivendo lui stesso
nel senso del Sermone sul Monte. Mai
è stata fatta tanta violenza all’uomo,
mai la natura umana era stata prima
così, calpiestata. Poiché, é ora il caso
di dirlo. Cristo riassume in sé, e compie, la Legge, l’Antico Testamento, la
voce di Mosè e dei Profeti. Dio fa violenza all’uomo, lo consuma fino a
morte, non lascia sussistere in lui alcrm appiglio e alcuna sicurezza umani. È questa la violenza inaudita dell’Ira di Dio, che gli Ebrei ben ricordavano, e che giova ai cristiani di
ogni tempo ricordare. Quäle riformatore o rivoluzionario umano ha mai
osato appellarsi cosi poco alle possibilità umane, sfruttare cosi poco, anzi
per nulla, le aspirazioni in apparenza
legittime e naturali dell’uomo? Eppure Gesù ha chiamato gli uomini a
non essere più quelli di prima, a morire (al peccato) e rinascere!
Nella prospettiva, certo scandalosa,
inaudita, del nuovo Regno, che non
è di questo mondo. Cristo non chiede
rinuncie o inibizioni quali purtroppo
le ha intese la Chiesa infinite volte
richiamandosi falsamente alla sua
parola.
Certo da un lato Dio chiede all’uomo di amare, di perdonare, di essere
mansueto ed umile... ma d’altra parte
non vi è forse violenza, talora terrificante, nelle azioni con le quali EHo
giudica l’uomo? La « vendetta » di Dio,
di cui parla l’Antico Testamento più
di una volta, è ancora presente in non
poche parole di Gesù, e tra le più incisive e profetiche!
Gesù non si presenta affatto come
un non violento, ma è giusto nella
sua violenza. E certamente il suo amore per l’uomo precede e supera il giudizio. Tuttavia quando Gesù si adira
contro i farisei, si scaglia contro i
mercanti del Tempio, annuncia la distruzione di Gerusalemme, non esprime forse una giusta ira divina? Contrasta forse ciò con la perfezione
astratta e disincarnata di Dio che
molti vorrebbero? O non è proprio anche questo che lo rende presente e
vivo in mezzo a noi?
Dio contesta all’uomo la sua esistenza, lo giudica, e certo anche lo
redime e lo_salva.
Che cosa deve fare allora l’uomo
della sua violenza e della sua aggressività? Inibirla, cioè nasconderla anche a se stesso? Reprimerla il più pos
sibile, infine autodistruggersi piuttosto che nuocere al prossimo? In questo senso si è quasi sempre creduto di
trovare una soluzione negli ambienti
cristiani: nella rinuncia. Ma una soluzione di questo tipo è assolutamente insufficiente, e non può che portare
sul piano religioso ad una religiosità
nevrotica (rifugio nella religione per
paura) e sul piano psicologico ad ima
totale e costante rinuncia a farsi valere (anche nei propri giusti diritti)
o tutt’al più a tentativi di trasformare le proprie tendenze aggressive (sublimazione), che rappresentano un
compromesso piuttosto fragile.
* « *
La soluzione che rEvangelo propone è completamente diversa e nuova:
la fede. La fede è sotto molti aspetti
atto di spettacolare violenza (si ricordi la « lotta » di Giacobbe con Dio,
la preghiera della donna cananea, la
« violenza » richiesta da Gesù stesso
per entrare nel Regno) per impadronirsi del Regno di Dio. Ed ancora la
fede è « buon combattimento » come
ricorda Paolo, lotta senza quartiere
contro il male, la falsità, l’errore...
certo in ima prospettiva di vita, non
di distruzione o di morte!
Allora, in questa prospettiva acquista un senso il sacrifìcio di chi ha resistito al nazismo, idi chi si è opposto
alle ingiustizie sociali con varie forme
di lotta (anche le pratiche di digiuno,
così, cariche di violenza solo in apparenza autodistruttiva!), di chi ha difeso la verità e la libertà contro i
suoi oppressori. Si deve pure ricordare che tutta la Bibbia è percorsa da
una esigenza di giustizia che non può
andare disgiunta dairamore, ma ohe
anzi lo fonda. Così certi attacchi durissimi di 'Cristo contro i farisei del
suo tempo, così, i discorsi contro i nemici della verità, cosi, .ancora l’annuncio del Giudizio finale che divide la
« pula » dal « grano ». L’amore crocifisso di Dio, in Gesù Cristo, non può
essere eluso o mistificato.
« 9|( 4:
Così, concludendo per ora queste
considerazioni certo non esaurienti,
da un discorso psicologico che intendeva mostrare tutta la vanità della
presunta e apparente bontà e carità
della chiesa fatta di troppe rinuncie
ed inibizioni, siamo passati ad un discorso teologico più ampio, ohe ci ricorda come l’impegno di amore nel
servizio rende veramente liberi dalle
inibizioni e fa appello a tutte le energie disponibili da parte dell’ucmo.
Certo questo è possibile soltanto se
Cristo lo ha liberato dalla vanità di
tutte le sue difese psicologiche e ribellioni spirituali e morali.
Ma ciò che è veramente essenziale
è la fede in Gesù Cristo che investe
con violenza l’uomo stesso, costringendolo a cambiare modo di vivere e
di agire (la metanoia), e che investe
le strutture stesse della società in cui
vive, e le istituzioni tradizionali. Certo la violenza cristiana non si può ridurre a cieco furore distruttivo, è guidata dall’Agape, ma proprio per questo fondamento acquista incomparabile vigore e straordinaria efficacia.
Enrico Pascal
L’amore si raffredderà
(Matteo 24: 12)
Stiamo vivemlo un’ora drammatica della nostra storia. La corda
dei rapporti internazionali è estremamente tesa. Può darsi che, a
forza di tenderla, la corda si spezzi, e allora sarà la catastrofe universale, sarà rapocalisse. Dio aveva preparato e donato la terra all’uomo perchè fosse il suo giardino, ma l’uomo ne ha fatto un campo di battaglia.
Sulla situazione critica dei nostri giorni si proietta la luce della
parola profetica di Gesù: « l’iniquità sarà moltiplicata e la carità dei
più si raffredderà ». Quante volte si è già raffreddato l’amore, anche
solo nel nostro secolo! In poco più di 50 anni, che non è neppure la
vita di un uomo, abhiamo avuto: due guerre mondiali, i campi di
sterminio, la homha atomica, la guerra di Libia, la guerra d’Etiopia,
la guerra di Corea, la guerra d’Algeria, la guerra nel Congo, la
guerra in Indocina, la guerra tra Arabi ed Ebrei nel ’56, la guerra
nel Vietnam... Il nostro mondo ha la forza di conquistare gli spazi
ma non ha la forza di amare. E « chi non ama rimane nella morte »
(I Giov. 3: 14). Questo mondo è destinato a morire perchè non ama.
E non ama perchè non crede. Non solo gli atei o i pagani, ma anche
i popoli cristiani credono molto più nelle armi che neH’amore. Per
questo la storia umana, anche dopo Cristo, continua a grondare di
sangue. Si dice che nel mondo ci sono circa 800 milioni di cristiani:
se fosse vero ci sarebbe più amore. E’ in primo luogo Pamore dei cristiani che si è raffreddato.
L’amore dei più si raffredderà. Questa non è una diagnosi politica, è una profezia che purtroppo si avvera anche sotto i nostri occhi.
Quale speranza ci resta, per noi e per il mondo? C’è ancora una speranza? Sì, ed è che l’amore di Dio non si è raffreddato e non si raf fredderà.
Per questo unico motivo noi continuiamo a sperare contro speranza, per noi e per il mondo, e continuiamo a predicare l’unico,
grande comandamento di Dio, che è quello dell’amore di Dio e del
prossimo. Molti dicono, oggi come sempre, che predicare l’amore è
tempo perso perchè sono parole e ancora parole. Certo che lo sono.
Sono tutte parole, anche « Dio » è una parola. Si tratta di credere in
queste parole. Solo allora si vede che non sono solo parole. Ma se diciamo sèmpre: « Son solo parole », allora succedono le tragedie.
Paolo Ricca
IIIIIimilimulllIMMMMtM II
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iHiimiMiiHUiHHiiiini
ALLA GLORIA DI DIO G PER L’AVANZ4MENTO DEL SUO REGNO
Una fanfara, a bandiera spiedata
l’Italia per il Vietoai
SEGUE DALLA PRIMA PAGTN.\
Chi, la sera di martedì 30 maggio, transitava per corso Vittorio a Torino, ha potuto assistere ad una scena alquanto inusitata : una fanfara, con impeccabile passo di
parata, giubbe rosse, bandiera spiegata, suonava una marcia festosa. Niente paura, nessun feld-majesciallo in testa; era la fanfara
di un esercito, ma di un esercito di pace :
Tesercito della salvezza! Per il « Salvation
Army » la musica con strumenti portatili è
sempre stata uno degli elementi caratteristici della sua opera missionaria. Tutti hanno presente la piccola banda musicale che
suona agli angoli delle strade dei quartieri
più malfamati delle grandi metropoli, con
vari « soldati » e « ufficiali » uomini e don
ne, nella caratteristica e inconfondibile di
visa, che rendono la loro testimonianza, per
chiamare i peccatori al pentimento e condor
re ai piedi di Gesù le anime perdute. Si suo
na dunque alla gloria di Dio e per Tavanza
mento del suo Regno. Si può suonare nor
malmente, si può suonare bene, si può suo
nare ottimamente e infine in modo tecnica
mente perfetto. In questo ultimo caso vale
la pena di farsi ascoltare da molti, di lascia
re gli angoli delle strade per affrontare pub
blici più numerosi, in ambienti più vasti
Ma a questo livello insorge la tentazione sot
tile del « concerto ». Tentazione che deve
essere respinta con sdegno : si suona neiram
bito di un culto: i pezzi musicali saranno
preceduti, seguiti, intervallati da canti reli
giosi. letture bibliche, messaggi, preghiere.
Eppure anche cosi, il concerto profano, p>er
quanto esorcizzato e cristianizzato, riaffiora
quasi con prepotenza, affermando i suoi diritti e i suoi valori autonomi. Questa è stata la sensazione che abbiamo avuto e di cui
non siamo riusciti a liberarci, assistendo al
culto-concerto che la fanfara in giubbe rosse
ci ha offerto nel Tempio Valdese, che per
Toccasione era gremito come nelle grandi
solennità. Si trattava della « Chalk Farm
Band )> di Londra, una delle migliori fanfare delLEsercito della Salvezza, attualmente in
tournée in Italia. Svìzzera, Francia.
Il culto-concerto era vario e ben programmalo. ma ugualmente i due elementi del binomio non si sono fusi, rimanendo su due
piani quasi indipendenti.
11 concerto, dopo una briosa introduzione
(gli strumenti a fiato erano potenziati da
quelli a percussione, dai piatti e perfino abbelliti dal triangolo), ha offerto una selezione di melodie di Tchaikovsky, trascritte per
strumenti a fiato da un salutista-musicista;
ha quindi fatto seguito Tesecuzione dei
« Canti del cuore » di intonazione romantica con un a solo di cornetta di un bravissimo salutista, ohe era anche trombettiere del,
la regina; si è passati poi al « carillon
gioioso », doppio terzetto di cornette e tromboni. magistralmente eseguito e composto
anche questo da un ufficiale delTE.d-S.; come pure di un salutista era il poema sinfonico, d'intonazione vagamente wagneriana
con il Forte rocca di Lutero come leitmotiv :
la guerra santa, il bene contro il male.
Le esecuzioni musicali sono state largamente applaudite (cosa piuttosto inusitata
in chiesa!), segno della meritata approvazione del pubblico. Ma la psicosi dell’applauso
era tale, che furono applauditi persino i sermoni (cosa ancor più inusitata!).
Secondo Io stile salutista uno dei membri
della fanfara, Peter suonator di trombone,
fu richiesto di dare a un certo punto la sua
testimonianza. E tanto per cominciare iniziò con una frase... storica : cc noi facciamo
storia! » (si vede che è una particolarità che
i salutisti inglesi condividono con i vescovi
anglicani, sia pur su piani diversi...). E nel
caso di Peter, Tavvenimento storico era che
per la prima volta la Chalk Farm Band suonava a Torino. La breve testimonianza di
Peter rivelò la sua chiara coscienza vocazionale di servire Dio con i propri talenti.
L'amore di Dio si è rivelato a lui, ed egli
ha deciso di servirlo e da questo servizio
derivava per lui una grande gioia. La stessa
gioia che il giovane Peter augurava per i
suoi uditori nel caso in cui anch’essi decidessero di servire il Signore. Diciamo che la
testimonianza di Peter, contrariamente a
quanto generalmente accade, era valorizzata
dalla traduzione, fatta da una simpatica salutista italiana, che aggiungeva slancio e
forza di convinzione al piuttosto compassato discorso in inglese.
Il messaggio biblico è stalo invece presentato da un ufficiale salutista, pure inglese,
che sì soffermò sul testo di I Giovanni 1: 7,
sottolineando il « condividiamo una fede
comune ». (( Noi non siamo venuti per il
mercato comune » esordi molto argutamente l’oratore, ma per affermare una fede ab
di là della differenza di lingua e di nazionalità. che si esprime nel servizio alPunico
Signore. Il Tempio valdese raccoglieva quella sera molti fratelli evangelici provenienti
da varie denominazioni e questa realtà di
fede comune era profondamente sentita e
vissuta in quel momento, sia pure se il modo di manifestare tale fede nel servizio, potesse essere espresso con modi ed accenti diversi. Non ci resta che raccogliere l’esortazione, che veniva da quel messaggio, di rendere più forte la nostra fede, più forte la
gioia di appartenere al Signore, più forte la
volontà di servirlo e di testimoniare di lui
nel mondo.
La manifestazione era poi completata da
due inni deH’assemblea, da un inno cantato
dai membri della fanfara stessa (a amore che
redime »), da vari messaggi di saluto e di
ringraziamento da parte del Pastore Sig.
Ayassot e dal comandante dell’Esercito della Salvezza di Torino, magg. Calzi.
Alberto Taccia
z’oiie etichettandola come comunista : la ola composizione del comitato promotore e ie
figure degli oratori bastano a rendere ‘ idente la malafede dì questa infcirmazi. :ie
« indipendente », la peggiore e più ipoc':-;a.
Un atteggiamento del genere squalifica gravemente un quotidiano del livello de «
Stampa ».
E' certo possibile che a sinistra cerche no
di strumentalizzare certi interventi evar elici, e ci sforziamo di evitarlo e di chiarire:
ma con altrettanto vigore rifiutiamo di 'asciar strumetalizzare dai benpensanti la nostra pretesa strumentalizzazione.
iiiMiiimiiiiiiiiiiimiiiiiiimmmiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
imiiiiiHiiininiiiiiii
•iiiiiiiiimiimiiimiiiiii
CACCIil
E
I
misti,
matrimoni
e i’esegesi
di padre Rotondi
Su « Grazia » (4 giugno 1967) un tenore
dì Quarto S. E., Giacomo Pintus, ha
scritto:
La risposta data su Grazia t’fel 15 gennaio al quesito proposto da G. I. - Savona;
« lui non è cattolico », vorrebbe affermare
che soltanto ila benedizione invocata dal
prete cattolico sugli sposi viene accolta da
Dio nei casi di matrimoni misti. Come
faranno il molto rev.do Padre Rotondi e
il Card. Ottaviani, estensore della disposizione 18-3-1966 sui matrimoni misti, a svalorizzare quanto afferma l’Apostolo Paolo
in I Cor. 7: 12-24; «Se un fratello ha la
moglie infedele (cioè non cret’ente) ed ella
consenta di abitare con lui non la lasci.
Parimenti ancora la donna che ha il marito
infedele, se egli consente di abitare con
lei, non lo lasci poiché il marito infedele è
santificato nella moglie, e la moglie infedele è santificata nel marito »? Gli otto decimi degli esseri umani, non avendo avuto
la benedizione divina tramite il prete cattolico, sarebbero in peccato? Dove sta scritto, nella Bibbia, che al prete cattolico è
stata conferita dal Signore l’egemonia della
benedizione divina?
E p. Rotondi, nella rubrica « Cerchiamo
insieme », ha risposto:
La sua conclusione è assai più ampia
delle premesse.
Io non portavo la questione della benedizione e della Grazia divina per coloro
che stanno fuori dalla Chiesa, bensì per
coloro che, nella Chiesa, vogliono fare del
matrimonio un Sacramento.
Costoro devono sapere che i Sacramenti
sono stati dati alla Chiesa e ai legittimi
Pastori che la governano in nome e per
autorità del Signore. Questi Pastori, a seconda dei tempi, possono mutare per il
bene della Chiesa la disciplina dei Sacramenti.
La legge da me citata è certamente una
legge transitoria, come ufficialmente è sta’o
detto, ma è ancora in vigore; a me. quindi, non può essere chiesto altro che l’esortazione all’osservanza della legge.
Quanto al passo citato, lei si rivela cattivo esegeta. Ma soprattutto dimentica che
un passo va armonizzato con gli altri, che
S. Paolo non ha parlato solo in quel passo
dei rapporti fra fedeli e infedeli; che non
esiste solo Paolo, ma anche altre fonti; che,
infine, l’autorità disciplinare di Paolo è
posseduta pienamente anche da Pietro e
dai suoi successori.
Ma a questo punto il discorso si allarga.
Evidentemente, lei è protestante. Mi creda, allora; il dialogo fra protestanti e cattolici sarà equivoco finché i protestanti non
avranno detto chiaramente se considerano
il matrimonio come Sacramento oppure no.
P. Rotondi sa benissimo che il matrimonio per i protestanti non è un sacramento;
speriamo che non saltino fuori equivoci
compromessi nei lavori del gruppo misto
C.E.C.-Segretariato vaticano per l'unione
che studia questa questione: ogni chiesa
protestante non potrebbe che sconfessare
qualunque cedimento in tal senso. Grazie
a p. Rotondi per la chiarezza della sua
inaccettabile dogmatica.
PERSONALIA
Il dott. Marco Ricca, assistente presso la
clinica deirUniversità di Firenze, ha conseguito brillantemente a Roma la lib.;ra
docenza in semeiotica medica.
Il dott. Dario Varese, già specialista in
cardiologia, nei giorni scorsi ha conseguoo
a Roma, con esito brillante, la libera docenza in patologia speciale medica e ineUo
dologia clinica.
A questi due amici neo-professori i nostri più vivi rallegramenti e un auguno
cordiale per la loro attività nel campo
della medicina.
Invitu a Losanna e Oinevia
Ci consta che a fine giugno verrà piffltuato un viaggio in pullman, (con esattezza
dal 29 giugno al 1» luglio p. v.) con mola
Losanna e Ginevra che ha per scopo di far
incontrare parenti ed amici di qui con i lamiliari e conoscenti residenti nei Cantoni
di Vaud e Ginevra. Gli interessati che leggono il presento inserto sono pregati di rivolgersi per prenotazione posto o informazioni
al Sig. Silvio Rivoìr - Condominio « ba
Quercia » ■ Luserna San Giovanni (To.) con
una certa sollecitudine includendo indirizzo
e francobollo per la risposta.
A funerali avvenuti la famiglia del
Dott.
Emilio Decker
ringrazia commossa gli amici delle
Valli che hanno partecipato al suo
dolore.
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pensione desiderata.
3
;9 giugno 1967 — N. 23
P£«. 3
LA CHIESA E L’EVANGELIZZAZIONE
SPIGOLANDO NELLA STAMPA
DocumBnti di studio Echi della settimana
Due nostri articoli pubblicati nel
mese di novembre 1966 hanno dato ai
lettori un’informazione generale sul
Congresso mondiale di Berlino dedicato interamente al problema della
evangelizazione in questo nostro secolo e nella nostra civiltà. L’evangelizzazione non costituisce im aspetto
particolare o facoltativo della missione della Chiesa cristiana: è la vera
.missione affidata da Gesù Clisto ai
sugi discepoli, in tutti i tempi e in
^qualsiasi situazione. Come si esprimeva il documento conclusivo del Congresso : « L’Evangelo della redenzione procede innanzi tutto da Dio, non
dall’uomo ; la volontà e l’opera di Dio
per la salvezza del mondo sono da
noi annunziate dal momento in cui
proclamiamo la Parola di Dio, che è
Parola di salvezza».
Per evidenti ragioni, in una cronaca informativa non ci fu possibile addentrarci nello studio dei documenti
del Congresso (studi biblici, relazioni,
studi vari). Siamo lieti di annuraiare
che, per opera dei delegati di lìngua
francese, un certo numero di studi e
di relazioni sono stati pubblicati in
un volume di 150 pagine e sono ora
disponibili per quanti sentono l’esigenza della evangelizzazione nell’ora
presente.
Il volume ha per titolo le tre parole che costituirono il motivo cen^
frale del Congresso berlinese; «Un
seni monde, un seul Evangile, un seni
devoir ». Contiene, oltre ad alcuni
studi biblici introduttivi e ad un messaggio di Billy Graham, alcune relazioni su « Teologia della evangelizzatone» (J. Ockenga); «L’autorità eh
Dio nella evangelizzazione» ( J. Schneider); « Riforma 1517 e 1966» (G. Bergmann); «Ostacoli alla evangelizzazione» (R. Halvorsen e G. Hudson).
Il Congresso di Berlino non ha certamente esaurito tutta la discussione
sul programma della evangelizzazione
e non ha preteso di esprimere da solo
tutta la ricchezza del messaggio evangelico. Ha messo in luce alcuni aspetti della Verità cristiana che la Chiesa
deve del continuo riscoprire e manifestare dinanzi al mondo in ubbidienza all’ordine del Maestro.
Nel mese di aprile di quest’anno i
delegati di lingua francese al Congresso di Berlino si sono riuniti in Svizzera per un incontro che è servito a
riprendere in esame i temi del Congresso con speciale riferimento alla
situazione dei paesi latini. Eravamo
stati Invitati a quel raduno, ma non
ci fu possibile intervenire. A commento di quanto abbiamo detto, desideriamo ora pubblicare una parte del
documento conclusivo di quelle giornate, utilmente trascorse sotto la guida dei Pastori Maurice Ray, Jean-Paul
Benoit, del Prof. Jacques de Senarclens della Facoltà teologica di Ginevra, del Past. Pierre Courthial. La
Conferenza svizzera ebbe anche la
gioia di ricevere la visita del Pastore
Marcel Pradervand, Segretario dell’Alleanza Riformata Mondiale.
Così dice il rapporto conclusivo della Conferenza:
« Evangelizzare significa presentare
Gesù Cristo per la potenza dello Spirito Santo, affinchè gli uomini possano mettere la loro fiducia in Dio mediante Gesù Cristo, riconoscerlo come loro Salvatore e servirlo come loro
Re nella comunione della Sua chiesa ».
Sottoscrivendo questa affermazione,
i partecipanti alla Conferenza
« rammentano che la potenza dello
Spirito Santo è legata alla fedeltà alle Sacre Scritture;
« precisano che l’annunzio di Gesù
Cristo è al tempo stesso proclamazione del messaggio e incarnazione delrEvangelo in una vita di servizio ; questi due aspetti sono inseparabili;
« sottolineano il fatto che, trattandosi di ubbidienza ad un ordine del
Maestro (Andate e ammaestrate tutti
i popoli), l’evangelizzazione rimane
valida anche senza risultati visibili
immediati.
« L’evangelizzazione è la missione
permanente di tutta la Chiesa, ma un
posto speciale è riservato all’evangelista. Egli è colui che, da un lato e in
certe occasioni, proclama Gesù Cristo dinanzi agli increduli, agli indifferenti o ai tiepidi, daH’altro lato, insieme con i pastori e gli anziani, prepara
e allena il popolo di Dio per l’opera
della testimonianza. Pensiamo che
certi doni (carismi) non sono sfruttati perchè la Chiesa, le Facoltà di teologia e le scuole bibliche non riescono
a scoprirli, a riconoscerli ed a potenziarli.
« Crediamo che le riunioni di massa
sono un importante mezzo per annunziare Gesù Cristo alla nostra generazione. Tuttavia, quel tipo di proclamazione pubblica nasconde alcuni
pericoli che non sono sempre stati
avvertiti ed evitati: insufficiente preparazione e qualificazione, messaggio
disincarnato di fronte alle persone ohe
vivono concretamente nefia realtà
della vita quotidiana, legalismo, zelo
intempestivo e carnale, assenza di
soffio profetico...
« Di fronte ad un certo distacco nei
riguardi della evangelizzazione mediante la parola, affermiamo che non
si può fare a meno nè della proclamazione dell’Evangelo nè della conversione. La salvezza non può essere assicurata al di fuori di una risposta
personale e cosciente alla chiamata
di Cristo. L’evangelizzazione, come anche la vita della Chiesa, è inseparabile da una chiara testimonianza alla
efficacia redentrice del sacrificio di
Gesù Cristo sulla croce e alla vittoria
liberatrice della sua risurrezione corporea. I profondi bisogni dell’uomo
di oggi sono quelli di sempre.
« La descristianizzazione del mondo,
la sua esplosione demografica costituiscono un appello di Dio alla evangelizzazione. Bisogna domandare a
Dio una visione nuova e. invece di opporre l’uno all’altro i vari modi di
presentare l’Bvangelo, è necessario
utilizzarli tutti, coordinarli, rafforzarli con insieme.
« Le campagne di evangelizzazione
devono essere preparate e sostenute
dalla preghiera e dalTinteresse di tutta la Chiesa... Le riimioni di evangelizzazione non devono essere concepite per conservare o estendere in modo
interessato la comimità locale... Non
diventeranno un alibi alla Chiesa per
sfuggire alla sua missione costante
che è quella di evangelizzare. Devono
essere preparate, accompagnate, seguite da sforzi cornimi, lasciando ohe
lo Spirito Santo ci guidi nei sentieri
nuovi o antichi. Esse dovranno rispondere a rigorose esigenze qualitative:
la vita santificata della comunità locale, formazione e qualiflcatìone di
collaboratori locali, informazione, volontà di ubbidienza allo Spirito Santo
più ancora che agli schemi tradizionali».
Come si vede si tratta di un ilinguaggio un po’ nuovo per la nostra generazione. Ma è un linguaggio che è
necessario alla Chiesa cristiana del
nostro tempo.
Il volume ; « Un seul monde, un seul
Evangile, un seul devoir » (Editions
Labor et Fides, Genève 1967, p. 158,
L. 1.200), è in vendita alla Claudiana,
a Torre Pellice e a Torino.
Ermanno Rostan
Il concistoro israelita di Parigi ha adottato all’unanimità, su proposta del Dr. Charles
Merzbach, una mozione nella quale viene
suggerito a tutti gli ebrei di tenersi pronti
a far la guerra a favore dello Stato d Israele.
Si chiede inoltre ohe « ogni ebreo, dal più
scrupoloso osservante fino all indiferente.,.,
compia una ^’mitzva*^ ai giorno, cioè metta
in pratica un comandamento religioso, rientri esso, 0 no, nelle sue abitudini. (Per comprendere tale richiesta, occorre ricordare che
il giudaismo rabbinico ha definito ben 613
modalità che permettono di applicare i dieci
comandamenti. Si tratta di azioni varie che
possono essere positive, per es. compiere tale
o tal altro atto di carità, oppure negative,
per es. non lavorare il sabato, o digiunare, o
non fumare ecc.) ».
La mozione prosegue : a Chi sarebbe tanto
borioso, oggi, da ritenersi sicuro che questo
comandamento supplementare, assunto volontariamente, non possa servire da argomento capitale al cospetto delle milizie celesti, la cui esistenza ci è stata dimostrata da
tanti avvenimenti contemporanei? Chi oserà
hiiiuhMilillllllllim
iiiiiiilililiiillimim
Una libera stampa democratica ?
Siamo studenti e professori delle università di Saigon, Hue, Dalat, Can-Tho e
Van-Hanh nel Vietnam del Sud e vi ringraziamo per quanto cercate di fare onde
porre termine a questa guerra tremenda
che dilania il nostro Paese. Non possiamo
agire ufficialmente come voi perchè il governo non permette che le nostre università
si esprimano liberamente. Abbiamo inviato petizioni e lanciato appelli ma non
ci firmiamo per tema di essere arrestati e
imprigionati. Vi scriviamo per ringraziarvi
e per esortarvi a continuare negli sforzi
intrapresi pregandovi di volere prendere in
considerazione j fatti seguenti;
1) Nelle città del Vietnam del Sud il
potere degli Stati Uniti a favore del governo del Generale Ky è talmente vasto che
nessuno può proitestare contro la guerra
senza rischiare vita o libertà.
2) Se così non fosse milioni di noi farebbero udire le proprie voci. I Vietnamiti
desiderano ardentemente la cessazione delle ostilità ma sono ffiduciati. Non sono
comunisti, ma se la guerra non finisce pre
miiiimiiiiimiii
iiifiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiifiimiiiimiiiiii -ii
Il Jiuiiiiiiniiiiiuiiiii
Agape, 2-4 giugno 1967 - Convegno di comunità
Vocazione e rinnovamento
della Chiesa locale
Ad Agape, dal 2 al 4 giugno, una trentina di evangelici di Bre&cia, Bergamo, Milano, Saronno e Torino hanno voluto dedicare
un « ponte » della nostra annata festaiola a
discutere insieme la vocazione e il rinnovamento della Chiesa locale. Varie ragioni possono spiegare il numero scarso dei partecipanti; ma ci sia permesso dire ai molti che
avrebbero potuto e non hanno voluto, che
hanno mancato una buona occasione.
Nel num. scorso su queste colonne è stato
scritto ampiamente su « Una chiesa per gli
altri ». Questa visione di una chiesa che
vive in funzione degli « altri » ha improntato queste giornate di studio e di discussione, che sono state arricchite dalla partecipazione del dr. Hollenweger, segretario del
Dipartimento per la Missione e TEvangelizzazione del Consiglio ecumenico delle Ghiese (1).
Il primo giorno il past. Aldo Comba ha
introdotto il tema dell’incontro, quindi il
past. Franco Giampiccoli ha presentato la
situazione delle Valli, m particolare dopo la
crisi della TalconGrafite, e lo sforzo di partecipazione da parte della chiesa. Sia che il
past. Comba ricordasse i -progetti e le realizzazioni del nuovo tempio nella nuova Frali
(« si voleva un... tempio-tinello, un centro
che fosse veramente luogo d’incontro per la
comunità; e abbiamo avuto una piccola cattedrale di lusso »), sia che il past. Giampic
Billy Graham a Torino
Informiamo le Chiese che, in seguito ad accordi presi tra un gruppo
di Pastori e di responsabili delle Comunità evangeliche di Torino e
Diaspora
l’Evangelista BILLY GRAHAM
verrà a TORINO
mercoledì 5 luglio
e vi presiederà alcune adunanze.
Il programma della visita sarà comunicato prossimamente in modo
definitivo. Possiamo tuttavia annunziare fin d’ora che esso comprenderà
AL MATTINO: una conferenza stampa. - Una riunione pubblica,
dedicata particolarmente ai Pastori, membri dei Consigli^ di Chiesa,
responsabili di attività ecclesiastiche, persone imipegnate nell’opera evangelistica e di testimonianza. Il Dr. BILLY GRAHAM parlerà su:
« L’evangelizzazione del mondo come risposta all’ordine di Gesù Cristo ».
La riunione avrà luogo nel salone di Via Pio V, 15.
LA SERA alle ore 21: riunione pubblica nel tempio valdese di
Corso Vittorio. Predicazione di appello dell’Evangelista Billy Graham.
La venuta di Billy Graham è stata organizzata su base interdenominazionale. I credenti delle nostre comunità daranno, non ne dubitiamo, il contributo della loro preghiera e della loro presenza.
Il Signore prepari e benedica le riunioni che si terranno a Torino
il 5 luglio.
Per il Comitato organizzatore
Ermanno Rostan
coli notasse certi problemi emersi durante
il lungo sciopero minerario (« si sono celebrati culti nelle miniere, con gli scioperanti; ma ci sono dovuti venire i pastori;
non era proprio il momento in cui i credenti potevano celebrare il loro culto, in una si.
tuazione data particolare? »), si è sottolineato
che situazioni di evoluzione o di crisi trovano spesso impreparate le nostre comunità
oppure ne mettono a nudo carenze e deformazioni.
La sera, vari partecipanti hanno vivacemente presentato le loro comunità e i loro
problemi, e la serata è volata.
L’indomani, clou del convegno, ha parlato il dr. Hollenweger. La sua tesi fondamentale — che pare sia un po’ lo slogan del Dipartimento che egli dirige al OEC — è questa : « E’ il mondo a presentare alla chiesa
l’ordine del giorno »; in altre parole, la
chiesa è continuamente, in ogni generazione e in ogni situazione, chiamata a riflettere e confessare la propria fede di fronte a
problemi concreti, a contestazioni o a minacce sincretistiche ben definite. Nè si dica
che questa è una innovazione delle ultime
generazioni, un’immistione, ingiustificata, di
problemi politici, economici, culturali, sociali nella vita della fede e nella purezza dell’Evangelo. Tutta la rivelazione biblica mostra nel modo più chiaro che i profeti e gli
apostoli hanno reso la loro testimonianza di
fronte a situazioni materiali e spirituali, sociali e culturali molto concrete; e così è
stato nei momenti vitali della storia della
chiesa. Lo stesso spetta a noi oggi, senza dimenticare il passato, le testimonianze e le
risposte del passato, ma senza accontentarci
di ripetere. E perchè la chiesa sia fedele,
qui e ora. bisogna che il suo primo sforzo
sia di conoscere l’ordine del giorno che le
propone il mondo contemporaneo, un mondo che si fa sempre più complicato, pluralistico, sì da richiedere risposte spesso assai
diversificate. Quindi, ampia discussione a
gruppi e generale. La seconda sera il dr. Hollenweger ha ancora presentato vari esempi
concreti di come gruppi in diversi paesi sì
sforzino di condurre avanti questa ricerca.
Senza nascondersi il rischio di essere, cosi,
determinati dall’epoca anziché dall’Evangelo
riferito all’epoca.
La domenica, il culto, le conclusioni, la
celebrazione della S. Cena, il commiato.
Belle giornate cui si ripensa con piacere e
riconoscenza.
rep.
sto, si uniranno al Fronte di Liberazione
Nazionale, perchè non vedono altra via di
scelta.
3) Gli Americani non dovrebbero credere di proteggere i Vietnamiti del Sud
contro il Comunismo. Siamo in gran parte
persuasi che è soltanto per preparare una
guerra contro la Cina -che gli Stati Uniti
desiderano dominare il nostro Paese.
4) L’attuale governo del Vietnam del
Sud non è un governo nostro e non rappresenta il nostro popolo; ci è stato imposto dagli Stati Uniti ed è composto da
membri delle Forze Armate che combatterono per la Francia contro il popolo
Vietnamita prima del 1954. Se potessimo
votare liberamente, questo governo non
durerebbe un sol giorno. Desideriamo un
governo nostro così da poter risolvere noi
stessi i problemi del Vietnam su una base
di fraternità nazionale ; negoziare la pace
con il Fronte di Liberazione Nazionale e
con il Vietnam del Nord; negoziare con gli
Stati Uniti il ritiro delle truppe Americane dal nostro territorio.
5) Non crediate che il pericolo di una
presa di potere Comunista giustifichi la
continuazione della guerra. Siamo convinti di essere abbastanza forti per formare un
governo indipendente. Ma sta a noi, e non
a voi, il prendere le decisioni iperchè sono
le nostre vite ed il nostro Paese ad essere
in gioco.
6) Appoggiamo le proposte di pace
scritte dall’amico Thich Nhat Hanh e pubblicate nel suo libro intitolato : « Loto in
un mare di fuoco » e vi domandiamo di
aiutarci a tradurle in realtà.
Il testo di cui sopra è la sostanza di una
lettera aperta che fu inviata al movimento
degli studenti degli Stati Uniti da settanta
studenti e professori del Vietnam del Sud.
Essa fu inoltrata per mezzo della sezione
Americana del Movimento della Riconciliazione e, nel corso di una conferenza
stampa tenutasi a New York, fu offerta
alla stampa, alla radio ed alla televisione.
Benché ogni ufficio editoriale al quale il
Movimento della Riconciliazione si era rivolto avesse espresso un certo interesse,
nessuno prese parte alla conferenza stampa
e la lettera in questione non è ancora stata
pubblicata sulla stampa americana. « Le
Monde » fu l'unico .giornale a pubblicarla,
in data 23 marzo 1967.
(1) Approfittando della sua presenza in
Italia, abbiamo intervistato il dr. Hollenweger; la settimana prossima pubblicheremo le
sue risposte. red.
Il due alberi « La fenice » ci proprietà
del Gruppo d’Azione Quacchero e capitanato da Earle Reynolds, scienziato, membro della sezione Americana della Società
degli Amici, è arrivato il 30 marzo a Haiphong durante un attacco aereo americano
con un carico di medicinali per un valore
complessivo di lire sterline 3.500 diretto ad
Hanoi. Il viaggio dal Giappone, dove Farle
Reynolds risiede da vari anni con la famiglia, è stato intrapreso a seguito della
decisione del governo degli Stati Uniti di
bloccare le vie normali di trasporto di medicinali al Vietnam del Nord. Gruppi della
Società degli Amici detti Quaccheri, sono
operanti anche nel Vietnam del Sud. Il
carico dei medicinali è stato consegnato
personalmente dai membri del Gruppo di
Azione Quacchera ai membri della Croce
Rossa del Vietnam del Nord perchè esso
venga distribuito attraverso tutto il territorio vietnamita. Il gruppo, composto da
nove uomini ed una donna, (vedi « The
Guardian », 20 aprile 1967), ospite delta
Croce Rossa del Vietnam del Nord, ha
visitato ospedali, villaggi bombardati e fabbriche tessili. Esso è stato trattenuto a cordiale colloquio dal Signor Nguyen Duy
Trinh, Ministro per gli Affari Esteri. Altri
incontri hanno avuto luogo fra i membri
del gruppo quacchero e quelli del Comitato per la Difesa della Pace. dell’Unione
della Gioventù, dell’Unione delle Donne e
varie altre organizzazioni. Stando ad osservazioni fatte durante il loro viaggio i
Membri del Gruppo Quacchero sono convinti che il Vietnam del Nord è solidale
con il governo di Ho Chi Min e che non
si sente intimidito dai bombardamenti aerei
americani più di quanto non lo fosse la
popolazione inglese sotto la Luftwaffe.
Malgrado l’intento dichiarato degli Stati
Uniti di colpire solo obbiettivi militari,
prove tangibili dimostrano che scuole, abitati ed ospedali vengono distrutti. Inoltre
uomini, donne e bambini vengono uccisi
e mutilati da bombe costruite appunto con
lo scopo di mutilare.
assumersi la responsabilità di rifiutare una
’’mitzva”, una sola, che potrebbe essere la
salvaguardia di Israele e dell’umanità? ».
Per quanto autorevole possa ritenersi il
parere del detto concistoro, non bisogna credere che tutti gli ebrei la pensino allo stesso modo. Tutt’altro! Per es. il sig. Emanuele
Levyne, che si dichiara ebreo praticante e
« discepolo dei rabbini », protesta con vivissima energìa contro la succitata mozione,
« che può far credere ai lettori del giornale,
che la religione ebraica sia al servizio dello
Stato e delle forze armate ».
Il Levyne cosi prosegue : « La religione
ebraica non ha nulla a che vedere con lo
a cura tU Tullio Viola
Stato: anzi l’ebraismo rabbinico e fariseo è
nato precisamente dal rifiuto dello Stato. Esso respinge categoricamente il nazionalismo ».
Lo Stato d’Israele è una creazione ed una
emanazione degli ambienti ebraici assimilati, principalmente tedeschi. I rabbini hanno
combattuto, in grande maggioranza, il sionismo nelle sue origini ed hanno annunziato ohe esso sarebbe destinato a risolversi in
un disastro... Non sì possono obbligare gli
ebrei del mondo intero ad impegnarsi per
10 Stato d’Israele, sulla base degli insegnamenti rabbinici. Anzi, le cose stanno proprio al contrario, perchè alla luce di autorevoli citazioni (che l’autore produce ampiamente e con precisione) si vedrà che la
« mizva », l’azione giusta che occorre compiere, è quella di non impegnarsi nella guer.
ra, proprio nella guerra cui conduceva inevitabilmente l’idea della creazione d’uno
Stato ebraico.
Non già mobilitando il popolo ebraico e
pregando Dio di’essere con gli eserciti d’Israele (« Gott mit uns »), si eviterà il massaero e un nuovo olocausto, anzi rinunciando
allo Stato ebraico fino al ritorno del Messia,
così come l’insegna la Tradizione. Infatti il
popolo ebraico può disinteressarsi dello Stato, come lo dimostra la sua storia, e la sua
esistenza si fonda essenzialmente sul suo attaccamento alla Torah. Per evitare il peggio, bisogna costringere i dirigenti israeliani a conformarsi agl’insegnamenti della tradizione rabbinica, tal quali si trovano esposti
in certe lettere (l’autore cita per es. la lettera : « Daate harabbanim », Opinione dei
rabbini, pubblicata da Abraham Baruk Steinberg, Varsavia 1902). Far la pace ad ogni
costo con le nazioni arabe, magari anche rinunciando aHo Stato, ma alla sola condizione che gli ebrei credenti conservino il diritto di soggiornale e d’abitare in. Palestina,
e di vivervi secondo i progetti della Torah.
Quanto agli ebrei atei e non religiosi, che
costituiscono la maggioranza degli israeliani, essi potranno vivere la loro vita profana
altrettanto bene (e persino meglio) fuori di
Terra Santa, nei paesi occidentali, cioè in
USA, in Inghilterra, in Francia ecc. Perchè
la storia, ohe è un eterno ritorno, mostra
che gli Stati Ebrei sono sempre finiti con le
guerre civili e con gl’interventi stranieri...
L’articolo precedente ha dato l’avvio (come era ben prevedibile!) ad un’accesa polemica, cui hanno preso parte numerosi dotti
ebrei, polemica cui vogliamo qui acoennare.
11 prof. H. Baruk, illustre medico ed accademico di Francia, risponde al Levyne rifacendo tutta la storia del popolo ebraico, da
Abramo ai nostri giorni, e ritenendo di poter dimostrare esattamente il contrario.
L. Poliakov riprende le famose argomentazioni che un certo numero di rabbini, al
principio di questo secolo, avevano già sostenute in difesa delle tesi di Teodoro Herzl,
il fondatore del «sionismo politico ». E. Jar.
mon, anch’egli parigino, ritiene infine che
le imprese del popolo d’Israele nel presente
secolo, e soprattutto le tragiche vicende che
l’hanno afflitto, hanno un inequivocabile significato escatologico che basta a confutare
le affermazioni del Levyne...
{da « Le Monde », 28-29 e 31/5/5’67)
A quali mostruose aberrazioni possa condurre l’odio politico, oppure il nazionalismo
razzista, è dimostrato da un piccolo ma significativo episodio. La sera di sabato 27-5,
i giovani studenti del ginnasio classico di
Berna si produssero a beneficio del famoso
villaggio « Pestalozzi » (centro educativo che
raccoglie orfani di guerra): scenette folkloristiche, recite, cori dell « Echo romand »,
ecc. Per l’occasione, gli studenti invitarono
una dozzina di gruppi di bambini, alcuni tunisini (allevati nel noto centro di Trogen),
altri coreani, altri ancora israeliani ecc. La
ambasciata di Tunisia aveva accordato il suo
patronato, ma quando ebbe riavuto il programma completo della serata, ed appreso
ocsi che anche dei bambini israeliani sarebbero intervenuti, immediatamente ritirò il
patronato stesso e diede ufficialmente ordine
che i bambini tunisini non intervenissero^..
{da « Le Journal de Genève », 1/6/ 67)
CULTI AL CIABAS
Ogni domenica alle ore 15
fino alla fine di settembre
Questi culti estivi sono stati istituiti per i membri delle Chiese dì
Torre Pellice, Angrogna e San Giovanni abitanti nella zona del Ciabas
e per tutti i villeggianti e turisti che
amano la pace e il raccoglimento
nell'antico storico tempio.
^ (Dal settimanale pacifista indipendente
« Peace News », 7 e 14 aprile 1967;
5 Caledonian Rd„ London N. 1; trad,
di Liliana Munzi).
4
pag. 4
N. 23 — 9 giugno 1967
Ma
Ma
ALLAH AKBAR
Un altro sanio,
un aliro miio
Su « Epoca >1 del 4 giugno 1967 si legge
un ampio servizio di Brunello Vandano,
« Papa Giovanni è rimasto fra noi ». Si
prepara la sua santificazione, adducendo
tutta una serie di interviste con « miracolati ».
<i Abbiamo cercato in giro, si può dire
a caso, alcune persone la cui pene sono state alleviate o cancellate per intercessione
di Papa Giovanni XXllI. Non è detto che
questi siano casi più clamorosi fra i tanti
(ne vengono segnalati da tutto il mondo,
sempre più frequentemente), in cui un appello ardente al Pontefice scomparso, una
concentrazione totale nell’immagine di lui,
un’assoluta dedizione di fede nel pronunciare il suo nome, ha scongiurato condanne o messo termine a sofferenze in modi
che alla scienza risultano inesplicabili. Non
sappiamo se questi che racconteremo siano
"miracoli”. Alcune delle situazioni misteriosamente risolte erano tragiche, altre
meno. L’importante è che tutte testimoniano l'intervento di Papa Giovanni nel
dolore umano, e che questo intervento protettore assume proporzioni così grandiose
da rappresentare di per sè una specie dimiracolo collettivo ».
Dopo questa alata introduzione, ecco
sette casi, invero abbastanza discutibili, diversi dei quali potrebbero comunque essere
opportunamente psicanalizzati. Certo, il
reporter riconosce: « È curioso come certi
casi di miracoli o grazie abbiano poca risonanza negli ambienti in cui avvengono » ;
ma allontana le perplessità con il brillante
ricorso a « una specie di gelosia inconsapevole riguardo alla predilezione divina »,
che spiegherebbe silenzi e risposte evasive.
E il servizio si conclude:
« Questi, ripetiamo, sono solo pochi tra
le centinaia di interventi benefici di Papa
Giovanni che vengono segnalati. Tra gli
eccezionali connessi a un’invocazione a
Giovanni XXIII ne abbiamo di clamorosi,
e di più modesti. Per alcuni viene più spontanea la parola miracolo, per altri meno.
Quel che importa sottolineare, la cosa certa, il grande significato, è la grandiosa forza di fede e di amore che Giovanni XXIII
ne! suo passaggio sulla terra ha saputo far
scaturire dagli animi umani ».
È chiaro che la nostra reazione non è
dì tipo razionalista — anche se la realtà
dei miracoli va controllata, meglio di quanto non faccia il nostro lirico reporter (sarà
interessante sentire le reazioni della Chiesa
romana, sebbene sia evidente come essa
giochi sul mito giovanneo).
Noi non neghiamo certo la possibilità
che il Signore conceda oggi ancora segni
della sua sovranità, della realtà splendida
del suo regno che viene come una nuova
creazione. Ma i miracoli hanno sempre
carattere ambiguo. Di fronte ai « segni »
veri sì drizzerà sempre — come dinanzi a
Gesù —- lo scherno degli scettici e ancor
più lo scandalo dei religiosi (Marco 3, 221):
scettici e religiosi ugualmente increduli
nella sovranità di Cristo. L’importante non
è il « miracolo », anche se esso appare più
difficile da accettare, forse, alla nostra
mentalità moderna di quel che non fosse,
in sè, per quella contemporanea a Gesù:
l’importante è la realtà, la persona che il
miracolo addita, attesta, illumina. E qui
appare allora l'indebita, amabilmente satanica sovrapposizione della creatura al Creatore, contro cui protestiamo con tutte le
nostre forze; non ci si dica che « santificare » il nome di papa Giovanni significa
in ultima analisi santificare il nome di Dio:
NON È VERO. O per lo meno è vero
solo per una chiesa che in ultima analisi
pretende divinizzarsi, far corpo con Dio.
I cattolici ci permettano di ricordare loro
che l’apostolo Paolo ha scritto: « quand'anche un angelo dal cielo vi annunciasse
un evangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema » (Galati 1: 8); ora questo è un evangelo diverso.
E l'apostolo Giovanni, nella sua visione
apocalittica della bestia che sale dalla terra
(13: 11 jsJ, vede che essa « seduceva quelli
che abitavano sulla terra con i segni (= miracoli) che le era dato di fare... ». Non possiamo non vedere su questo sfondo oscuro
il sorriso di papa Giovanni, nell’utilizzazione mitologica che ne viene fatta: un grande seduttore. L’apostolo Pietro continua ad
attestare (Atti 4: 12): «In nessun altro (che
Cristo)! la salvezza: non v’è sotto il cielo
alcun altro nome che sia stato dato agli
uomini, perchè ci salvi ».
g. c.
Dal 29 giugno il Convitto Maschile Valdese di Torre Pellice
(Torino) accoglie ragazzi dai 7
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SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
rO.N.U. finché queste non avessero esaurito il loro compito di pace.
Gli sviluppi successivi della crisi non
permettono di qualificare semplicisticamente le posizioni di Israele e deH’Egitto rispettivamente come aggressiva e difensiva,
ma non permettono neppure il contrario.
« Le Monde » nota che Israele ha commesso la grossa imprudenza di dichiarazioni minacciose nei confronti della Siria contando sul fatto che come per il passato
tanto la R.A.U. q^uanto l’U.R.S.S. si sarebbero tenute in disparte. Dal canto suo la
R.A.U. ha colto l’occasione di una minaccia israelita per cercare di riguadagnare il
terreno perduto nel ’56. Le responsabilità
sembrano dunque essere abbastanza ripartite. Naturalmente se fosse vero — ma questo è circa impossibile saperlo — che Israele stava veramente preparando un colpo
diretto contro la Siria, Israele non solo non
sarebbe l’agnello accerchiato dai lupi presentato da una parte della stampa, ma porterebbe il peso di una più grave responsabilità.
* * *
Tuttavia non è possibile farsi un quadro
della situazione attuale senza tener conto
dei lunghi anni di pace fittizia che hanno
caratterizzato i 19 anni di vita di Israele.
Da una parte i paesi arabi non hanno mai
accettata la creazione dello stato israeliano
« tagliato nella carne del mondo arabo » e
« origine di tutte le violenze in questa regione del mondo », come ha dichiarato recentemente l’ambasciatore del Libano a
Parigi G. Naccache. I commandos terroristici che agiscono dalla Siria e dalla Giordania e l’organizzazione per la liberazione
della Palestina che lavora per costituire
una repubblica palestinese sul territorio
acquisito da Israele e dalla Giordania dopo
la guerra del ’48, costituiscono una pressione continua nei confronti di Israele.
D’altra parte non bisogna dimenticare che
nel ’48 centinaia di migliaia di arabi sono
stati cacciati dalle loro case e privati dei
loro beni. Se era giusto che Israele ritrovasse la propria antica terra era altrettanto giusto non strapparla con la violenza a
chi seppur da meno tempo la abitava. In
Culto radio
domenica 11 giugno
Past. ERNESTO AYASSOT
Torino
domenica 18 giugno
Past. GIORGIO BOUOHARO
Oinisello Balsamo (Milano)
questo senso gli accordi con l’O.N.U. presi da Israele con il riconoscimento dello
stato di Israele (compresa l’U.R.S.S.), preveiceva la soluzione del problema dei profughi, nel senso di una scelta ad essi lasciata tra la vita nel quadro della nazione
isiaeliana o l’indennizzo per le proprie
perdite per chi rinunciava a queste possibilità. 19 anni sono passati, ma 1.300.000
profughi palestinesi vivono ancora nella
zona di Gaza ammassati nella più disperante miseria, focolaio inestinguibile di
rancore e di lotta per una rivalsa contro
Israele. Israele protesta giustamente contro
la pressione araba che non le lascia respiro, ma come può pensare di arrivare ad
un moicibs vivendi con i paesi arabi e ad
un riconoscimento dei propri diritti se si
rifiuta ostinatamente di rispettare gli impegni presi a proposito dei profughi e dichiara, come fece l’anno scorso il primo
ministro Eshkol, che 100.000 profughi palestinesi in Israele avrebbero l’effetto di
una bomba atomica per Israele? E se la situazione è andata sempre più peggiorando
e la soluzione del problema dei profughi
è oggi diffìcilissima, è proprio tutta colpa
degli arabi?
* * *
Ora il blocco del golfo di Akaba è al
centro della contesa. Certo se Nasser non
avesse operato il blocco la crisi si risolverebbe molto più facilmente e in questo
senso la partenza delle forze dell’O.N.U.
è stata fatale. Ma anche qui è troppo semplice parlare soltanto di aggressione da parte dell’Egitto. L’Egitto non ha fatto altro
che ritornare, dopo lunghi anni di attesa
e in un momento particolarmente pericoloso, alla situazione alterata dalla guerra
del Sinai del ’56, di cui è stato vittima.
Prima del ’56 lo stretto di Tiran apparteneva all’Egitto che esercitava il blocco per
le navi israeliane e imponeva che le altre
navi chiedessero il suo consenso per passare sulle sue acque territoriali (il passaggio dello stretto è a un km. dalle coste egiziane) e questo stato di cose era pacificamente accettato dalla comunità internazionale (il porto di Eilath israeliano era rifornito da navi battenti altra bandiera che
non quella israeliana). Dopo la guerra del
1956, dopo che le forze francesi e britanniche si erano ritirate il 24 dicembre, Israele sfidando la richiesta idell’O.N.U. di far
ritirare le truppe dal Sinai (74 voti favorevoli, 0 contrari e 3 astenuti) dichiarava
che le avrebbe ritirate solo se l’O.N.U.
avesse garantito lo «tretto di Tiran come
acque internazionali e se le forze delrO.N.U. avessero jyesidiato la frontiera
egiziana. Hammarskjèld fu in grado dì far
accettare i caschi blu a Nasser e Israele si
ritirò. In seguito diverse nazioni marittime
occidentali firmarono un riconoscimento
dell’internazionalità dello stretto di Tiran
Il decesso del cristianesimo?
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
partito d’azione. In verità, vien fatto di domandarci se non dovremmo
rinunziare senz’altro al nome di cristiani, per inserirci semplicemente
in qualche punto di questa nuova
dialettica religiosa!...
VITALITÀ' DEL CRISTIANESIMO
E’ permesso fare due osservazioni.
Anzitutto, come dato di fatto, il
Cristianesimo presenta oggi, nel V
secolo della « religione dell’umanità », una vitalità incomparabilmente maggiore del paganesimo nel
V secolo dell’era cristiana. Gli ultimi quattro secoli della sua esistenza storica sono stati secoli di vita
intensa, varia, feconda, che non temono il confronto con qualunque
secolo del suo presunto apogeo. Basti ricordare che questi quattro secoli hanno prodotto la Riforma, il
pietismo, le missioni nel mondo intero, i risvegli, la teologia liberale,
col suo ampio lavoro di revisione
critica, che ha liberato e ravvivato
certe posizioni essenziali e dimenticate del cristianesimo primitivo, la
teologia barthiana, che ha rinnovato rintelligenza del pensiero della
Riforma, il movimento ecumenico,
che sta riconquistando il senso di
una pietà « cattolica », cioè universale, i movimenti « cristiano-sociali » che hanno ridestato, sia pure in
una a élite », la coscienza delle responsabilità del cristianesimo verso
la « città terrena ». Tutto ciò non è
l’indice di un invincibile decadimento.
IL PROBLEMA NON RISOLTO
Ma soprattutto: vi è un problema
fondamentale al quale l’umanesimo
non può rispondere : quello della
redenzione dell’uomo, direi, della
sua redenzione da se stesso. Tutto
ciò che ci viene detto sopra questo
argomento è singolarmente debole.
Il problema profondo del peccato e
del perdono di Dio, il problema che
sorge da una visione senza illusioni
della realtà umana quale è, e che
non può risolversi se non in qualche forma di disperazione rassegnata o attiva, se non si risolve in Dio,
non solo rimane insoluto, ma non
sembra neppure essere avvertito
dalla religione umanistica, almeno
nella sua forma classica ed ortodossa, quella liberale, mentre la sua
soluzione è cercata dal comunismo
per una via, alla quale il Cristianesimo ha esplicite e gravi riserve da
fare. Insemina, per saggiare l’insufficienza di questa nuova religione
dell’umanità, basta scendere alquanto nella propria convinzione di peccato. Finché questa è distratta, o
sonnecchia, Tumanesimo integrale
può soddisfare; non appena si desta, esso appare insufficiente. Ora,
questa è la critica più grave che
possa farsi ad una nuova religione:
se è inferiore alla religione che vuole sostituire, nella sua visione della
realtà umana, nella consapevolezza
delle sue più vere ed essenziali esigenze, è chiaro che non potrà sostituirla, o che se riuscisse a farlo, il
suo avvento non segnerebbe un progresso nella storia spirituale del
mondo.
IL DIALOGO CONTINUA
Parlare di decesso del Cristianesimo sembra dunque per lo meno
prematuro. Del resto, se si guarda
bene, l’antagonismo tra la nuova e
Tantica fede non è nepjiure recente.
Esso risale fino alle origini del Cristianesimo, almeno fino a quando
questo ha preso coscienza della sua
posizione nei riguardi della cultura: ben poco rimane da dire, che
non sia stato detto nel terzo secolo,
tra Celso ed Origene.
Il dialogo è continuato per sedici
secoli; esso è stato fecondo per
l’uno e l’altro dei due interlocutori; e non c’è veramente ragione di
pensare che debba cessare per il
definitivo silenzio di uno di essi.
Giovanni Mieggf,
(il riconoscimento al quale oggi il ministro
degli esteri israeliano fa appello per ottenere precise garanzie da Washington), ma
si trattò di un accordo unilaterale mai riconosciuto dalla R.A.U. e dall’U.R.S.S.
Che valore possa avere, sul piano del diritto e non su quello della forza, la decisione di fare della soglia di casa di qualcuno un terreno pubblico senza il consenso
del proprietario, è evidente. L’Egitto ha
quindi aspettato 11 anni per far valere la
propria posizione che era stata mutata con
il mantenimento di una situazione acquisita con la forza. Ha tutti i torti? Si, se si
considera solo il momento attuale perchè
significa un pericoloso alteramento dello
status quo. Ma se si considera il fondamento e il modo con cui è stato stabilito
quello status?
Che la situazione precedente il ’56, per
ciò che riguarda lo stretto di Tiran, non
fosse ideale e fosse basata non su accordi
bilaterali ma sull’assenza di accordi (per
cui vigeva solo la legge che riguarda le
acque territoriali in genere) è un fatto indubitabile. Un giurista francese, R. de
Geouffre de la Predelle, che esamina su
« Le Monde » la questione giuridica dello
stretto, conclude che la mancanza di accordi precedenti fa sì che la questione possa essere risolta solo dalla diplomazie e
non da riferimenti giuridici. Certo ora la
soluzione diplomatica di questa questione
è enormemente più difficile di prima.
Sul piano internazionale più largo per
fortuna la situazione rimane moderata.
U.R.S.S. e U.S.A., al di là delle prese di
posizione scontate, non hanno alcuna intenzione di peggiorare la situazione. 11 ministro inglese Brown ha riportato da Mosca l’impressione che il governo sovietico
lavori per moderare l’Egitto e a Washington il ministro degli esteri israeliano non
è riuscito a strappare l’assicurazione che
oltre a mantenere la posizione Idei ’57 sull’internazionalità dello stretto di Tiran gli
U.S.A. sarebbero disposti a far seguire i
fatti alle parole forzando il blocco se necessario con la forza. D'altra parte la situazione ha delle ripercussioni internazionali di enorme gravità; come osserva « Le
Monde », una netta vittoria di Israele significherebbe la caduta del governo siriano e anche di quello egiziano e al contrario una netta vittoria egiziana provocherebbe la caduta dei governi della Giordania e ceU'Arabia Saudita.
4: 4« >1:
C’è la possibilità di un accordo diplomatico? A giudicare dalla logica del prestigio è ben difficile. Oltre a questo l’atteggiamento arabo sembra non lasciare alcuna speranza. I discorsi di Nasser sono
di una violenza estrema, parlando di distruzione totale in caso di un inizio di
guerra da parte israeliana; Damasco ha
rifiutato una « intrusione » dei 4 grandi
nelle questioni arabe; dalle moschee di Damasco e del Cairo è stata invocata la guerra santa tra il delirio della folla; nella situazione interna araba la corsa al primato
del prestigio è pericolosissima e sembra
ignorare i pericoli ad essa connessi. D’altra
parte mi chiedo se la nostra mentalità occidentale è in grando di valutare esattamente le espressioni ufficiali e popolari dei
popoli arabi; se la propaganda, l’auto-esaltazione, le prese di posizione assolutamente
intransigenti esprimano una assoluta volontà di passare alla guerra santa o se in
tutto questo non vi sia una buona dose
(dico questo non per minimitsiare il pericolo — come si potrebbe? — ma per
cercare di capire) di esagerazione, di più o
meno consapevole contrattazione da bazar
orientale. Questo atteggiamento contrasta
con la lodevole moderazione — almeno in
questo caso — del primo ministro Eshkol
che nel suo discorso immediatamente successivo aH’annuncio del blocco del golfo
di Akaba ha perfino evitato di menzionare
questo fatto (attirandosi naturalmente le
reazioni (più civili, ma non meno significative), della propria potente opposizione
estremista. Ma anche nel contesto delrestremismo arabo sarebbe forse bene sottolineare non solo le parole violente, ma
anche l’impegno che Nasser ha preso con
U Thant di non attaccare per primo e l'accettazione — che sembrava molto improbabile — di riesumare la commissione di
armistizio egizio-israeliana se Israele, malgrado le dichiarazioni a suo tempo emesse
da Ben Gurion, accetterà di non considerarla « morta e sepolta »,
Certo perchè un accordo diplomatico sia
possibile è necessario che da una parte e
dall’altra non si proceda nell’escala’ion.
Qualsiasi altro passo arabo o l’inizio delle
ostilità da parte di Israele a seguito di un
tentativo di forzare il blocco di Tiran, significherebbe ora una vera e propria aggressione.
Israele può aspettare la soluzione diplomatica senza lasciarsi determinare dalla
propria destra che vede nel blocco di Eilath il soffocamento della propria nazione;
solo il 5% del commercio estero passa per
questo porto e il rifornimento del petrolio può avvenire (e già gli U.S.A. si stanno
muovendo in questo senso) nel Mediterraneo attraverso il porto di Haifa. L’Egitto può mantenere le posizioni raggiunte e
resistere alla tentazione di un ulteriore passo in vista della guerra aperta. Con il mantenimento della calma in Israele, si può far
decrescere gradatamente la marea psicologica del mondo arabo. Se questo avviene
si potrà sperare che si giunga al negoziato Sarebbe troppo sperare in un compromesso che ottenga da una parte il riconoscimento dell’internazionalità dello stretto di Tiran mediante un accordo bilaterale
e dall’altra l'impegno a non usare la forza nei confronti dei paesi arabi imputando
ai vari governi la responsabilità diretta degli incidenti di frontiera e concrete misure per la soluzione del problema dei profughi? Solo i fatti lo diranno.
In questo momento mi sembra che le
responsabilità siano ripartite. Per il futuro la responsabilità maggiore (non nel senso di colpa, ma di parte determinante) mi
pare stia sulle spalle di Israele. Non solo
per il fatto che l'Egitto, raggiunte le proprie posizioni precedenti al ’65, può aver
conseguito una situazione di equilibrio,
mentre Israele avendo dichiarato in precedenza ói considerare la chiusura del golfo
di Akaba come un casus belli si trova in
posizione più difficile. Ma anche perchè
a chi più è stato dato più sarà ridomandato. E ciò che si può chiedere a Israele, con
il tesoro di esperienza che ha accumulate»
nella sua storia unica al mondo, è di riconsiderare le proprie responsabilità nella
guerra del ’56 e il modo — non il proprio'
diritto come stato riconosciutogli dalrO.N.U., ma il modo con cui ha esercitato
questo dirtto in 19 anni di vita per ciò cheriguarda lo straniero che era dentro e fuori
delle sue porte. La speranza di chi conosce
che l’Eterno è il Signore non solo di chi
lo riconosce ma anche di chi non lo riconosce, è che Egli voglia fermare la manodi chi sembra essere — come gli arabi —
guidato soltanto dalle proprie rivemeicazioni e dal proprio desiderio di rivalsa. Ma
tanto più la speranza di chi è spiritualmente vicino alla secolare vicenda del popoloche ha conosciuto il Signore della storia e
la sua volontà, è che esso non abbia più
a ripetere nelle parabole e nei fatti che
— come disse il primo ministro Eshkol
nello scorso ottobre — esistono situazioni
in cui un dente per un dente non è sufficiente edi è necessario pretendere molti
denti per un dente solo.
Franco Giampi((< ìi
Sono molto grato a F. Giampiccoìi per
questo ampio panorama; la situazione mediorientale è così intricata che ogni supplemento d’informazione è sempre preziosa, e
sappiamo quanto l’informazione che riceviamo dalla stampa )cosidetta d'infi -, inazione sia filtrata e parziale, così come ci
sono molte cose da leggere dietro ^risonanti discorsi occidentali (e orientali, Idei
resto). Sono anche pronto a ricono.: ere
— come certo riconoscono volti israsUani — che la componente nazionalistici, ha
giocato e gioca fortemente nelle reanoni
governative e popolari; non mi stupi.'.i ,>no
per altro in un popolo thè ha dietro lespalle la storia secolare, millenaria che ha
Israele. È vero che a chi più è stato ¡'-ito,
più (rara ridomandato; ma attenti, criniani!
Tuttavia, pur pubblicando questo .orticolo, tengo a dire che la tesi di fonde, che
F. Giampiccoìi vi sostiene, quella di ina
suddivisione di responsabilità fra i raesi
arabi e Israele, non mi trova consenzo ite,
per le seguenti ragioni.
— La campagna israeliana del iiinai
(1956) non è stata una guerra di contrista
imperialistica, ma una risposta al òloc: :> di
Suez al traffico marittimo israeliano tuttora ¡vigente, naturalmente).
— Non mi pare sia giusto dire c!i( Icr
stretto di Tiran è lina foglia di cast, egiziana; lo è altrettanto, ad es., per l'Acthia
Saudita; inoltre che direbbero URSS Romania e Bulgaria se Bosforo e Dardiveelli
fossero chiusi alle loro navi (il dis usosi potrebbe ripetere per innumeri iretti")? anche le nostre soglie dì casa i di
giardino hanno spesso delie "servitù talvolta pesanti. Vi è qui tutto un lato che
dovrebbe occupare le N.U.
— Franco Giampiccoìi parla del pi-iblerna idei rifugiati. palestinesi. È indn'chiamente grave e doloroso, l'ho ricordmo la
scorsa settimana; ma l'unico aiuto esd, Icr
hanno ricevuto dall'.4Ito Coninvssa: ' ito
delTONU per i Rifugiati, non dai loro fratelli di razza e di fede, che li hanno tenuti
deliharatamente in campi, dalla Giordania
a Gaza; quanti .fondi investiti in armamenti avrebbero potuto essere meglio utilii.zati
per questi sofferenti? quante royalties petrolifere dell’Arabia Saudita avrebbero potuto essere dedicate loro? Sono invece rimasti una massa di manovra psicologica e
demagogica sfruttata senza .scrupoli. Non
ci vengano a magnificare la fraternità araba.
Quindi, pur riconoscendo nelle informazioni e nelle valutazioni di F. Giampiccoìi
molti elementi che vanno giustamente
espressi e sottolineati, dissento fortemente
dal .suo giudìzio globale. E penso che debba essere detto ben chiaramente Y-he hic et
mine — un "qui e ora” certo radicato nella vicenda storica passata — le vociferazioni arabe sono e restano manifestazioni
aggressive, da respingere con tutta la forza morale di cui sappiamo ancora '.essere
capaci. Solo una volta detto questo, e detto
aito e forte, potremo richiamare Israele di
frimte al rischio indubbio di lasciarsi prendere nella spirale funesta del nazionalismo: .sottoscrivo infatti toto corde la conclusione di F. Giampiccoìi, e Io ringrazio.
Gino Conte
Dirrttnrc rpsp. : Ginn Conte
Beg. al Tribunale di Pinerolo
n. 17,5. 8-7-1960
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