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ECO
DELLE VAIII VALDESI
Past. TACCIA Alberto
10060 .ANGROGM
Settimanale
della Chiesa faldese
Anno 98
Una copia
N. 25
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TORRE PELLICE - 21 Giugno 1968
Ammin. Oaudiana Torre Pellice - C.CJ*. 2-17557
Fede in Dio o neii’uomo?
La predicazione del pastore Bogo
ha aperto la Conferenza del 1 Distretto
In un discorso pronunciato mercoledì scorso, 12 giugno, nel corso
della consueta udienza settimanale,
il potitefice romano Paolo VI ha
parlato della fede in Dio nel nostro
tempo. Egli ha anzitutto accennato
alle (c hurrascose idee correnti nel
mondo contemporaneo circa il santo nome di Dio, che come una tremenda ondata sommergono la' fede
in tanti uomini », e ne ha fatto un
elenco : secolarizzazione, demitizzazione, desacralizzazione, contestazione globale, ateismo e antiteismo
(c dalle (!cnto facce » — un elenco
già di per sè assai discutibile in
quanto Paolo VI fa <jui in ogni erba
un fascio, rid iscemio al min imo denominatore coHiune del rifiuto di
Dio fenomeni tra loro assai diversi,
alcuni dei quali, nella prospettiva
della fede cristiana, nulla o ben poco hanno a che vedere con l’afferniazioue o la negazione di Dio. Ma
.a?(<Iiamo avanti: dopo avere ancora
esc lamato: « Quale turbine tenebroso investe oggi la fede in Dio! », il
jKintefice ha formulato la domanda
decisiva: «E’ ancora possibile oggi
credere in Dio? ». Risposta: « Sì, è
ancora possibile credere in Dio e in
Cristo. Possiamo spingere quest’affermazione anche più in là; oggi è
meglio di ieri possibile aver fede in
Dio, se è vero che oggi rintelligen-/.ii umana è più sviluppata, più educata a pensare, più incline a cercare
le ragioni intime ed ultime d’ogni
cosa. Perchè tutto sta qui: saper
pensare bened. Pe^r” arrivare Alla
certezza di quella ineffabile e sovrana esistenza [di Dio] basta pensare
bene ». Ci sarebbe oggi più fede in
Dio se gli uomini fossero più addestrati iicir« arte di pensare bene »,
dato che la linea del pensiero religioso è « iscritta nella mente sana
(h'iruomo ». Se molti non credono
in Dio è perchè « non adoperano la
¡oro mente secondo le leggi antenti, he del pensiero in cerca di verità ».
(.in « pensa bvue », chi ha una
« niente sana » c ¡’adopera come si
deve, non può non giungere alla
conclusione che « Dio è necessario,
come il sole ». Fin qui, Paolo VI.
Ed ora invitiamo i lettori a confrontare le affermazioni del ponh-fice con alcune affermazioni della
.Scrittura, che probabilmente sono
già venute loro alla mente - per contrcislo. « Io farò perire la sapienza
dei savi, e annienterò l’intelligenza
ilegli intelligenti », dice il Signore.
.< Iddio non ha egli resa pazza la sapienza di questo mondo? ». « Il
momlo, con la propria sapienza,
non ha conosciuto Dio » (I Corinzi 1: 19-21). E ancora: « La sapienza di questo mondo è pazzia presso
Dio ». « Il Signore conosce i pensieri dei savi, e sa che sono vani »
! Corinzi 3: 19-20). E ancora: « Io
icikÌ! lode, o Padre, Signore del
cielo c d Ila terra — dice Gesù —perchè liai nascoste queste cose ai
savi e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli fanciulli. Sì, o Padre, perchè così ti è piaciuto » (Matteo 11: 25).
Come si vede, il contrasto tra le
affermazioni di Paolo VI e
quelle della Scrittura è insanabile.
Nè può essere diversamente finché
il cattolicesimo romano resterà tenacemente ancorato — come sembra
voglia fare: il discorso di Paolo VI
ne è la più recente e autorevole con.
ferma — a quella teologia naturale
che, secondo la lapidaria espressione di Karl Barth, dev’essere considerata « non già come una delle numerose eresie possibili, ma come la
eresia per eccellenza » {Dogmatique
II/l/l, p. 140). Perchè è l’eresia
per eccellenza? Perchè mette in prillo piano il pensiero dell’uomo an
zicbè quello di Dio, perchè dà la
precedenza alla ragione umana anziché alla grazia divina. In fondo,
la teologia naturale. si fonda su un
atto di fiducia nell’uomo anziché in
Dio. E questa, dal punto di vista
dell’Evangelo, è la massima eresia
e l’origine di tutte le eresie. Secondo la teologia naturale, l’uomo può
conoscere Dio, mediante le cose
create, servendosi del lume naturale della sua ragione. Vi è continuità tra l’intelligenza dell’uomo e la
realtà di Dio: dalla prima si può
risalire alla seconda. Per giungere
alla fede in Dio, basta — come afferma Paolo VI — avere « una mente sana » e « saper pensare bene ».
Secondo la Scrittura, invece, si può
conoscere Dio solo conoscendo la
Sdii grazia. Il Dio testimoniato dalhì Bibbia non lo si conosce con una
■ mente sana », ma con una mente
iìiiova. E questa mente nuova è « la
Uicnte di Cristo » (I Corinzi 2: 16),
})¡asinata dallo Spirito Santo e dalla
Farola di Dio. Secondo la Scrittura,
il punto di partenza per conoscere
Dio non è la ragione umana, ma la
Parola di Dio. cc La fede vien dalrudire » (Romani 10: 17), non dai
pensare, e neppure dal pensar bene.
Perciò, riprendendo la domanda
di Paolo VI: E’ ancora possibile oggi credere in Dio?, risponderemo dicendo; Sì che è possibile; ma
non perchè c’è ancora chi ha la
« mente sana » o chi conosce « l’arte" BÌ pensare bene », non perchè
l’uomo ragiona, bensì perchè, da
Pentecoste in poi, « lo Spirito soffia » (Giovanni 3 ; 8) e Dio parla,
suscitando ancora nell’uomo, misteriosamente ma realmente, quel miracolo che si chiama fede.
Paolo Ricca
Vino nuoi/o e otri venchi
’’Nessuno mette del vin nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino fa scoppiare
gli otri, ed il vino si perde insieme con gli otri; ma il vin nuovo va messo in
otri nuovi” (Marco 2: 22).
La parabola del vino e degli otri
è stata soprattutto compresa e predicata in chiave individualistica :
l’Evangelo è il vino nuovo, noi siamo i recipienti che lo accolgono;
ma l’uomo vecchio non può accogliere l’Evangelo se non passa attraverso la rigenerazione, cioè se
non diventa una nuova creatura.
Rivoinziont! nella Chiesa
Parigi (soepi) — « Noi affermiamo il diritto di ogni credente al potere di decisione
nella sua comunità, alla libera espressione
della sua fede. Riliutiamo il solco scandaloso fra il culto e la politica, fra il sonno liturgico e razione rivoluàonaria, fra i credenti ’figli’ ed i lato padri’ curati o pastori ».
Guidati dalle suddette affermazioni, una
trentina di cristi.aii cattolici e protestanti
sono penetrati »ella chiesa cattolica di
S. Sévérin situala sulla riva sinistra della
Senna, a Parigi, chiedendo alla comunità,
ivi riunita, che una delle funzioni della domenica di Pentecoste fosse sostituita da una
riflessione in comune.
Questo imprevisto avvenimento ha portato
a delie violente opposizioni, presto tacitate
dai grandi organi e dalla resistenza dei preti. Tuttavia, si sono Ermati dei piccoli grup.
pi di discussione che haimo proseguito il dialogo nel chiostro della chiesa con alcuni pre.
ti. Essi hanno poi deciso di continuare, durante la settimana, un dibattito sui temi
proposti dagli (c invasori » : « Riteniamo necessario rendere pubblich i e dibattere in un
luogo di culto delle questioni che non vi
hanno mai trovato posto. Ciò che noi viviamo
non si esprime più nelt'ailuale struttura della chiesa. Noi la coni- stiamo. Vogliamo rifarla ».
Questa interpretazione è certamente legittima, e nessuno potrebbe contestare che per ricevere l’Evangelo è necessario lasciare dietro
di noi le « cose vecchie » per ricevere la vita nuova.
Tuttavia, se pensiamo al contesto
di questa parabola (il digiuno rituale e la legge del sabato), ci rendiamo conto che è sul piano comunitario che essa acquista tutto il suo
valore. E’ nel nuovo tipo di rapporto con Dio e con gli uomini che
l’Evangelo manifesta tutta la sua
novità e la sua potenza.
Ed in questa parabola Gesù afferma che soltanto in una struttura totalmente nuova l’Evangelo del Regno può essere annunziato e ricevuto.
II vino ha bisogno di un recipiente, di un otre, per poter essere trasportato. Così l’Evangelo ha bisogno
di una struttura umana, di un linguaggio, di una comunità di credenti —- la chiesa — per poter essere
portato e annunziato agli uomini.
L’otre è importante e insostituibile in questa stia funzione,' anche
se nessuno pensa di poter bere l’otre
con il vino. Così anche la Chiesa è
importante e insostituibile nella sua
funzione di portatrice dell’Evangelo, e tuttavia sappiamo perfettamente che quello che serve, che dà vita
e salvezza, è l’Evangelo e non la
chiesa.
Lfl r.OMFEREWZft DEL I DISTRETTO fl TURPE PELLICE
Un acceso dibattito sul Collegio
e sugli Istituti assistenziali olle volli
/ problemi economici e sociali delle Valli = Il culto in discussione = Chiesta la statizzazione del Collegio Valdese
I problemi delle Valli occupano da
qualche anno un posto di primo piano
nella nostra Conferenza. La situazione industriale rimane grave, e le fabbriche aperte recentemente o di prossima apertura interessano la manodopera femminile o manodopera maschile altamente specializzata.
Non minori sono i problemi del turismo, per la lentezza con cui procedono i lavori stradali e per l’insufiìcienza dell'attrezzatura turistica.
La discussione si sposta sulla necessità di scuole professionali, perchè senza specializzazione non c’è speranza
che i nuovi insediamenti industriali
siano di vantaggio alla popolazione.
La discussione comunque è scarsa di
proposte concrete. Da qualche mese
funzionano due commissioni, formate
dalla Commissione Distrettuale per incarico della Conferenza dell’anno scorso ; è iniziato un servizio di consulenza
per gli agricoltori. Si vorrebbe di più:
sia la commissione per l’agricoltura,
sia quella per Tindustria dovrebbero
fornire dei dati, perchè la situazione
economica sia conosciuta con precisione e si possa studiare in concreto dove e come intervenire con solidarietà
comunitaria. Si ascolta l’appello di
Italo Hugon, a non rassegnarsi allo
spopolamento, ad aver fiducia nelle
possibilità dell’agricoltura montana ;
ma per ora manca un’iniziativa in questo senso, nè si sa chi la possa prendere.
* *
La vita delle comunità presenta alcuni fatti nuovi che la relazione della
Commissione Distrettuale segnala e
di cui la Conferenza prende atto con
soddisfazione e con l’impegno di continuare. La collaborazione fra comunità
vicine si intensifica, si affermano i
corsi di preparazione per laici. Le comunità hanno quasi tutte versato interamente alla cassa centrale la somma per cui si erano impegnate all’inizio dell’anno; un respiro di sollievo e
un po’ di rammarico, perchè una comunità non ha creduto bene di partecipare allo sforzo comune e ha destinato una grossa somma a un altro
scopo, versando alla Tavola una quota
largamente decurtata.
Si discute, e ci si accalora, sul problema del culto e sulla proposta di sostituire il sermone con una discussione comunitaria. La proposta infastidisce molti e suscita perplessità anche
per i precedenti verificatisi a Roma.
Un delegato di Torre Pellice vorrebbe
la condanna del manifesto presentato
nel culto di Pasqua dal M.C.S. romano. Il Prof. Armand-Hugon chiede ai
giovani più rispetto per il carattere
sacro del culto e più umiltà. Ma la
Conferenza non si pronuncia con nessuna dichiarazione ufficiale; si continuerà a discutere nelle comunità, e
forse l’anno prossimo ci si potrà riferire a qualche esperimento concreto.
* >)C *
Lunga e appassionata la discussione sul Collegio Valdese. Si comincia
con un confronto di posizioni che hanno già avuto modo di esprimersi nel
passato. Non è infatti la prima volta
che il problema si presenta nelle nostre
assemblee, e si sente negli interventi
ii peso delle decisioni lungamente rinviate, l’amarezza per gli impegni presi
e non mantenuti, la complessità di una
situazione in cui si intrecciano tradizione, affetto, stima per il livello delr insegnamento impartito, e d’altra
parte l’incertezza sull’impostazione dei
nostri istituti di istruzione ( chi la vorrebbe confessionale, chi la vorrebbe
rigorosamente laica), l’incertezza della situazione scolastica generale, con
la riforma della scuola che tarda a
venire e gli studenti che premono per
la liquidazione della scuola autoritaria
e l’adozione di forme più democratiche
d’insegnamento.
La prima tesi: tener fede agli impegni assunti dalla Chiesa (un ordine
del giorno del Sinodo 1965 esclude la
chiusura degli Istituti di istruzione secondaria), riaffermare la validità di
questo servizio e impegnare le comunità a sostenerlo (I. Hugon, M. Sereno, Past. Geymet). Alfredo Sonelli propone di farne un servizio per tutto
l’evangelismo italiano.
La seconda tesi parte dalla considerazione che il centro delle Valli, anche
per i valdesi, non è più Torre Pellice,
ma Pinerolo, dove ormai si indirizza la
maggior parte dei nostri studenti;
quindi la soluzione sarebbe questa ;
chiudere il Collegio, e con il risparmio
cosà realizzato ampliare il Convitto di
Pinerolo e avviare fra gli studenti vaidesi un approfondito lavoro di formazione, consacrandovi una persona a
pieno tempo.
Ma un intervento del Preside Augusto Armand-Hugon mette la Conferenza davanti a un’alternativa molto precisa; secondo i Professori, l’unica possibilità rimasta nelle condizioni attuali, se si vuole evitare la chiusura pura
e semplice è di chiedere la statizzazione; se questa possibilità, che non dovrebbe comportare cambiamenti nel
corpo insegnante, non verrà adottata,
(continua a pag. 4)
La comunità cristiana, al suo sorgere, comprese questa parabola e
l’esigenza in essa manifestata e non
modellò la sua struttura nè sul Tempio nè sulla sinagoga. La comunità
cristiana era qualche cosa di nuovo
e di diverso. Non si servi della struttura cultuale e sacrificiale di Israele
semplicemenfe modificandola e neppure seguì la forma di vita dei riti
sinagogalì. Il culto cristiano, con la
sua gioia luminosa, e la struttura
della comunità, centrata sulla fratellanza e sul servizio, furono l’oire
nuovo adatto a contenere il vino
nuovo dell’Evangelo del Regno.
Ma la chiesa invecchiò presto, si
istituzionalizzò, si contaminò con il
potere politico e non riuscì più ad
essere struttura adatta a queU’Evangelo del Regno che restava sempre nuovo, che non perdeva la sua
potenza col passare dei secoli.
Gli otri si ruppero, il vino nuovo
si sparse. Qua e là veniva raccolto
in otri nuovi e sorsero movimenti
monastici, pauperistici, più o meno
eretici, ma che rappresentavano coTiinn^e una struttura per mezzo
della quale l’Evangelo del Regno
poteva di nuovo essere portato nel
mondo.
E gli otri vecchi furono aggiustati alla meglio, tanto da sembrare ancora buoni, ma il vino che ci si rimise dentro non era più il vino nuovo dell’Evangelo, ma il vecchio vino della vita e delle pratiche religiose, dell’istituzione salvifica che
assicurava agli uomini un aldilà,
contro certe osservanze rituali e un
aldiqua tranquillo e rassicurante.
Non era più necessario parlare del
Regno di Dio, bastava la Chiesa a
garantire una società umana ordinata, una civiltà che imitava i motivi delTEvangelo, ma non li realizzava.
Non illudiamoci che in questa via
si siano trovati soltanto gli « altri ».
No, anche le nostre chiese evangeliche, le chiese della Riforma hanno operato questa sostituzione del
vino nuovo con il vino vecchio, che
si adatta molto meglio alle possibilità e ai gusti dell’uomo, che non fa
correre rischi di rotture, di lacerazioni.
Qualche decennio fa, il rinnovamento biblico ci ha portato a riscoprire la pienezza dell’Evangelo e la
totalità dell’uomo che Dio ha amato, ci ha costretto a ridare all’annunzio del Regno di Dio il posto che
gli spettava e a ridimensionare la
chiesa nella sua funzione di comunità che ascolta e serve.
Abbiamo, cioè, cercato di rimettere il vino nuovo negli otri vecchi
della chiesa, anche se questi otri
vecchi li abbiamo qua e là aggiustati, modificati, ristrutturati. E oggi
assistiamo alla rottura di questi vecchi otri. La chiamiamo, nei nostri
sinodi e assemblee distrettuali, « crisi della comunità e delle sue strutture », cerchiamo di diagnosticarne
le cause e di proporre dei rimedi,
facciamo delle riforme di Costituzioni, di regolamenti e molte altre
cose, nel tentativo illusorio di « salvare il salvabile ».
Ma tutto questo non basta. Nelle
nostre assemblee, sulla nostra stampa, vediamo continuamente i segni
di qpieste tensioni, rotture, lacerazioni che si producono in mezzo a
(continua a pag. 4)
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pag. 2
N. 25 — 21 giugno 1968
/ nostri Istituti assistenziali alla Conferenza del I Distretto
IL SERVIZIO MORTO?
Il servizio è morto: lo hanno dichiarato la Relazione della CIOV e
la controrelazione : al Rifugio le
stanze son viiote e le famiglie di incurabili implorano l’ammissione: la
CIOV è crudele; pietà l’è morta,
dunque! Rifiutare degli infelici
mentre i posti son liberi è terribile;
eppure è così! Tutto è pronto per
accogliere i postulanti ma nessuno,
dico nessuno domanda di servire anche per un tempo breve; non parliamo più di servizio, dunque, poiché il nostro popolo preferisce guadagnare, far guadagnare presto ai figli adolescenti — perchè quello che
conta sono i soldi e coi soldi qualunque piacere è soddisfatto — ma
non servire gli altri. Pazienza il servizio, ma almeno i soldi per le nostre opere; ed invece neppure quello: l’Orfanotrofio è in deficit perchè
si pensa a sistemare un caso difficile
ma non ci si interessa di come vivono le 35 bambine che sono lì per
l’amore di alcune che si logorano,
si consumano, come avviene all’Asilo, al Rifugio o all’Ospedale. Intanto i giovani si dilettano delle crisi delle unioni o seguono problemi
lontani; se poi per caso salta fuori
una vocazione per un’opera nostra
la doccia fredda in casa provvede a
far dileguare anche quella. I soldi
non ci sono per l’ospedale di Pomaretto che è costato un occhio e che
si vorrebbe' vedere in funzione perchè dopo tutto è comodo e ci si trova in famiglia. ‘
Mariotti alle porte. Si sa ormai
cos’è la legge Mariotti : i nostri ospedali potrebbero essere, secondo questa legge, statalizzati e comunque
perderà* ogni autonomia. La CIOV
s’è tr^ata di fronte ad una scelta
terribile: o fondersi con altri ospedali con conseguente perdita di ogni
vera autonomia e quindi di ogni influenza evangelica oppure rischiare
la via dell’indipendenza con enormi
sforzi finanziari, mantenendo i nostri locali ed il personale sotto la
nostra Direzione con possibilità di
dare un tono protestante. La CIOV,
nella maggioranza dei suoi membri,
ha scelto questa strada. Sappiamo
che un piccolo ospedale di cinquanta posti deve fare miracoli per quadrare, dovendo avere l’attrezzatura
richiesta ad un ospedale moderno.
Inoltre c’è Venorme debito contratto di oltre cento milioni, che si deve estinguere in qualche modo. Staremo alla finestra per giudicare, oppure come persone e come comunità ci rimboccheremo le maniche e
faremo il possibile per esprimere
nei nostri ospedali non soltanto la
carità concreta, che non sia pura
elemosina? saremo anche vicini perchè diventino un luogo di testimonianza concreta?
La Conferenza ha votato per la
seconda via formulando il sedente
ordine del giorno:
La Conferenza del Primo Distretto, di
fronte alla carenza di vocazioni per il servizio nei nostri Istituti (vedi Rifugio), nonché alla drammatica situazione finanziaria
delle nostre opere, con particolare riferimento ai nostri ospedali, e riferendosi agli
A.S. 51 del 1966 e 37 del 1967 concernenti
l'impegno concreto delle Comunità nei confronti delle nostre opere, sia come servizio
sia come aiuto finanziario, indica, sul piano
pratico, le proposte seguenti;
1) Creazione di un gruppo di Amici
deirÓspedale di Pomaretto;
2) Invito a tutte le Comunità di inserire nel loro bilancio preventivo un contributo adeguato alle esigenze degli Istituti, in
particolare per l'Ospedale di Pomaretto;
3) Chiede una collaborazione tra Centro Diaconale e Comunità, intesa a suscitare
un concreto interesse per le nostre opere,
sia per il reperimento del personale sia per
l'aspetto vocazionale.
Sono convinto che se il nostro
popolo rinunciasse, a mo’ di esempio, alla spesa delle corone per i
.servizi funebri e la devolvesse per
le opere, le nostre Istituzioni sarebbero salve! Veramente avremmo per
una volta reso concreta la parola:
« lasciate i morti seppellire i loro
morti e voi andate ad annunziare il
Regno di Dio » che si esprime in
queste realtà viventi sempre secondo il messaggio d’una certa Bibbia
che ancora possediamo.
La CIOV accetta il dialogo. La
Conferenza ha chiesto alla CIOV di
essere più vicina alle nostre comunità, di esporre, come sta facendo la
Tavola, tutto il suo bilancio, stabilendo un contatto diretto con le comunità, Un inizio s’è avuto quest’anno con l’ospedale di Pomaretto, l’asilo di San Germano; si spera
che poco per volta i problemi siano
sempre più a conoscenza delle chiese e i membri della CIOV siano incoraggiati a svolgere la loro missione col conforto del popolo che comprende le responsabilità e le difficoltà enormi da sormontare. Per
questo, ogni tendenza autoritaria o
paternalista dev’essere bandita e
nella CIOV e negli Istituti, nella
prospettiva d’una linea sempre più
evangelica laddove l’autorità è tessuta d’amore e di reciproca comprensione e atta a risolvere situazioni non sempre facili come è avvenuto all’ospedale di Torre Pellice, sia
all’interno dell’ospedale sia tra
CIOV e ospedale. Per questo la Conferenza ha ricordato le precise funzioni del presidente-Pastore, che secondo i desiderata sinodali dovrebbe curare soprattutto i rapporti col
personale; mentre per la parte dell’Ufficio ha ritenuto di richiedere,
di fronte a sempre maggiori difficoltà amministrative, la nomina di un
Direttore amministrativo col seguente ordine del giorno:
La Conferenza del Primo Distretto, in
vista di un miglior funzionamento della
C.I.O.V. chiede ;
alche il Sinodo precisi le attribuzioni
ed i compiti dei membri onorari;
b) che si nomini un direttore amminil'irativo particolarmente qualificato.
Spigolando nella Relazione CIOV.
AlVOrfanotrofio femminile si va
avanti col sacrificio del personale
e con un bilancio passivo per il disinteresse del popolo valdese: speriamo che almeno le ex orfanelle si
ricordino concretamente dell’antica
casa che le ha ospitate in periodi
difficili della loro vita, se si vuole
che l’opera vada avanti!
Del Rifugio si è accennato qui sopra ed è il termometro della vocazione al servizio nella nostra chiesa.
All’Tsiio di San Germano si ricorda il servizio voloiitario di un gruppo di giovani della chiesa, che hanno dato il loro tempo estivo per venire incontro al personale; questo
gesto vale molto r più di tutte le
chiacchiere delle nostre Unioni. Una
modernissima cucina è stata procurata dalla CIOV all’Istituto.
All’Ospedale di Torre sta morendo il reparto TBC con probabile sostituzione d’un reparto di malati
psichici. Tutto si modernizza con
beneficio per i inalati, ma le finanze sono quest’anno in cattive acque,
proprio per l’aumento dei servizi ed
il trattamento d’orario che si dovrebbe risolvere con le otto ore.
L’Ospedale di Pomaretto è terminato: tutto è bello,^ tutto è fonte di
ammirazione; tutti sono entusiasti!
Ma sapete quanto si è dato per
l’ospedale, ivi < omprese alcune cifre di non evangelici? Cinque milioni su 125. Certo, abbiamo il diritto di sapere come sono stati spesi
i soldi, perchè siamo una famiglia
di credenti e la CIOV ci farà conoscere i dettagli delle spese della costruzione, per rasserenare i donatori; ma abbiami perciò anche il dovere di non le.-ànaré e di non dare
secondo il vecchio metodo dell’offerta-elemosina. Per questo l’ordine del
giorno della Conferenza è di importanza massima se vogliamo che
l’ospedale possa vivere. Questi concetti sono emei -i lUella discussione
ed è bene che i-iano tenuti presenti
dalla CIOV e ri;:l nostro popolo.
Questa è l’ora di prendere coscienza di esser, corpo di Gesù Cristo, con le sue nani, i suoi piedi e
la sua mente ; i ; pure un corpo canceroso su cui ì! tiacillo dell’egoismo
divora, distrugs ' la vocazione della
fede. l ; STAVO Bouchard
Le Gioraate Diaconali
Riflertidmo sul servizio nei nostri Istituti
Per la prima volta le persone che prestano servizio nei nostri Istituti si sono incontrate per fare il punto sul loro lavoro,
in un momento in cui si sente la necessità
di un rinnovamento interno e di una maggiore responsabilità da parte delle chiese
verso questo aspetto fondamentale della
test'monianza cris>:iana.
L’incontro, avvenuto in due turni, nelle
domeniche 9 e 16 giugno, al Castagneto e
alla pensione Miramonti di Villar Pellice, è
stato organizzato dal Comitato della Casa
delle Diaconesse, il quale si propone, attraverso il progetto del futuro Centro Diaconale. di preparare al servizio cristiano coloro che intendono impegnarsi nei nostri
Istituti.
Tra Torino e le Valli vi sono circa 120
valdesi che svolgono la loro attività nelle
TO 'opere; se si aggiungono quelli che lavorano negli ospedali civili, i membri dei
comitati e i medici, si compre"de come nella nostra zona possa sorgere una forte comunità di servizio, in grado di incidere e
nella vita delle comunità, e nella vita locale.
Ma perchè questo avvenga occorrono
molte condizioni; occorre che si abolisca il
distacco tra la Ch'esa e le Opere, distacco
assurdo ma oggi drammaiicamente reale;
occorre che si stabilisca un collegamento
tra tutti coloro che. in un modo o nell'altro,
sono impegnati nelle Opere; occorre che il
senso del servizio cristiano sia chiaramente
visibile nel modo di impostare il lavoro e i
rapporti tra chi dirige o amminiivra e chi
lavora nei servizi particolari.
Gii incontri di Villar Pellice. a cui ha partecipato in complesso una sessantina di persone di cui 43 direttamente inipegnate negli
Istif ' :. sono stati un primo tentativo per
realizzare quelle condizioni.
Due brevi esposizioni hanno inquadrato il
prob’ema del lavoro. Giorgio Tourn (Franco Giampiccoli. nella seconda giornata) ha
svolto il problema nella prospettiva biblica,
indicando nel dono di noi stessi ai nostri
simili il senso che libera jl lavoro dalla sua
maledizione. Marco Gay ha parlato delle
condizioni del lavoro moderno; tali condizioni si verificano anche nei nostri Ist.'tuti,
ed è molto difficile far quadrare le esigenze
dell'organizzazione del lavoro con le esigenze di un rapporto personale, libero, che
sono essenziali nel servizio cristiano.
Su questo problema si è molto discusso.
In generale è stato deplorato il rapporto
impersonale, burocratico, che l’amministrazione ha stabilito con il personale degli
Istituti (è molto sintomatico che nel nostro
linguaggio non ci sia una parola che in
iiimiiimiiiiiMi
iiimiimiiiiiiiiin
iiiiiimmimimii
SI A VVIA IL DIBATTITO
La nuova
predicazione
Torino, 11 giugno 1968
Caro direttore,
ti presento alcune riflessioni, molto
incomplete, e alcune obiezioni al tuo
articolo sulla predicazione (Eco-Luce
n. 23) anche perchè contiene una critica implicita a « la mia professione di
fede » che hai gentilmente aspitato nel
numero precedente del giornale.
1) Non è esatto parlare di « sfiducia nella predicazione ». Predicazione
ed evangelo sono inscindibili. E tu lo
hai mostrato bene e con dovizia. Parlare, come fai, di « sfiducia nella predicazione » significa assolutizzare la
forma storica che la predicazione ha
assunto prevalentemente fino a oggi.
Si può solo parlare di « sfiducia in una
forma di predicazione » altrimenti si
cade in una mistificazione e si finisce
col chiamare « tremenda tentazione
pseudocristiana » ogni «forma» nuova.
2) Gesù mostra, esplicitamente, la
possibilità di due « forme » di predicazione, quando (Marco 13; 31-33) pone
sullo stesso piano, come inscindibili,
l’amore per Dio e quello per il prossimo : l’amore di Dio è amore del prossimo (prima forma: da Dio a tutti);
l’amore del prossimo è amore di Dio
(seconda forma: da tutti a Dio). E,
chiaramente, conferma la validità della « seconda forma » dicendo (Matteo
25 : 40) che quando avremo bene agito
per il più umile degli uomini avremo
agito per Dio.
La scelta fra le due forme evangelicamente possibili di predicazione non
è assoluta. Esse sono, fino ad un certo
punto, coesistenti e complementari,
ma ogni periodo storico pone, secondo
la sua necessità immanente, un vigoroso accento sulla prima o sulla seconda.
3) Di fatto, oggi, la prima « forma »
di predicazione (da Dio a tutti) è in
crisi. E questo perchè essa era il preciso riflesso di una struttura sociale
« verticale » ( ad. es. : re-vassallo-suddito; papa-vescovo-laico). Una volta
terminata la funzione storica di tale
struttura, anche la « forma » di predicazione che ne era il riflesso, si svuota
e deve essere sostituita.
4) Si tratta di trovare una «forma» di predicazione, con fondamento
biblico altrettanto valido, che sia fedele riflesso di quella struttura sociale « orizzontale » che, gradualmente, ha
preso e sta prendendo il posto della
precedente. Con questo, non si tratta
di adattare l’evangelo al mondo ma.
semplicemente, di ut are una « forma »
di predicazione che non sia arcaica.
L’unica « forma » alternativa che l’evangelo ci pone è quella che va « da
tutti a Dio ».
Nè è corretto qui parlare, come hai
fatto, di « autolesionismo », perchè
« ciò che si lede » è solo una « forma »
di predicazione dimostratasi inefficace,
e tanto meno si può parlare di « via
traversa » solo perchè si assume una
forma di predicazione diversa dalla
tradizionale, ma lion meno fondata
sul Nuovo 'Testaménto di quella.
5) Tale nuova « forma » implica
un rapporto nuovo tra predicazione e
azione e, in ultima analisi, tra fede e
politica. Anche qui la dimensione « verticale » : dalla fede alla politica, deve
essere sostituita dalla dimensione
« orizzontale » della predicazione ; dalla politica (dall’azione fra gli uomini)
alla fede, (vedi ad es. Luca 10: 33 e
seg., la parabola del Samaritano che
era, per i giudei di allora, il « miscredente » per antonomasia).
L’unica « forma » di politica che, pur
con tutte le sue gravi deficienze, risponda, oggi, alle esigenze di questa
nuova « forma » di prediepione dell’evangelo (da tutti, a partire dai più
umili, a Dio) è quella socialista.
6) La «forma» nuova di predicazione implica pure un nuovo concetto
di «elezione ». Al concetto « verticale »
di «elezione» (come «atto» di fede
individuale e cosciente in Dio, da cui
nasce un « atto » sociale ) si sostituisce
quello « orizzontale » : T« elezione » come «atto» (azione, impegno) sociale
attraverso il quale si fa, per gradi e
necessariamente, cosciente che esso è,
ed era fin dalle origini, un « atto » di
fede in Dio.
Naturalmente, come ho detto sopra,
le posizioni non sono cosi, nette, anzi
sono, in una certa misura, complementari. Si tratta, soprattutto, di una differenza di accenti e quindi anche di
una riforma pratica della predicazione.
Il primo concetto è chiuso : gli « eletti » sono i « credenti » e, per il solo
fatto di essere tali, le loro azioni sono
considerate come « qualitativamente
diverse » da quelle dei « supposti noncredenti ».
Il secondo concetto è aperto : gli
« eletti » sono gli « agenti », anche se
non sono ancora coscienti individualmente che il loro « atto » sociale è, fin
dall’inizio, un « atto » di fede. Essi,
giunti alla fine del loro agire, potranno dire, con persuasione ; nel principio
era il (tristo. In entrambi i casi la dimensione originaria è quella «verticale » : il « verticale » è presente in ogni
istante dell’« orizzontale ».
Amo gli uomini, quindi amo Dio.
dichi coloro che lavorano per il Signore in
questo campo : essi sono chiamati col nome generico di « personale ». che è una parola tratta dal linguaggio burocratico aziendale!).
Si avverte dunque la necessità di superare
la distinzione tra direzione e dipendenti, e
formare dei gruppi in cui le decisioni sull'organizzazione del lavoro vengano prese
in comune; in alcuni Istituti questo sta già
avvenendo ; si tratta dunque di generalizzare l’esperienza.
Allargando il discorso, si è denunciata la
colpevole indifferenza delle nosihe comunità,
Ttsolamento in cui queste lasciano lé. Opere
e quelli che vi lavorano. Qui vi è tutta una
mentalità da cambiare; le nostre famiglie
considerano gli Istituti come dei servizi da
sfruttare; le cose andrebbero diversamente,
e molti problemi sarebbero risolti, compreso quello della mancanza di personale e
del conseguente sovraccarico di lavóro per
quei pochi che resistono, se le comunità
considerassero le Opere come parte integrante della loro attività.
Come raggiungere ques>to obbiettivo? Si
è proposto che ogni comunità assuma una
specie di « padrinato » verso una delle varie
Opere, impegnandosi a garantire il funzionamento di tutti i servizi, procurando le
persone e i mezzi necessari.
Tutte queste idee non vanno ora lasciate
cadere : il discorso dev'essere proseguito,
egreso a tutti i membri delle comunità; i
prossimi incontri dovranno avere il carattere di convegni generali, in cui si possa stabilire un dialogo fruttuoso fra le comunità
e le loro Opere.
Auguriamo quindi ad Alberto Taccia,
ideatore e sorridente animatore di questi
incontri, un buon successo e molta collaborazione. L’interesse e i contributi dei partecipanti, anche se il numero poteva essere
superiore, dimostra che l'iniziativa rispondeva a un'esigenza fortemente sentita.
b. r.
DONI RICEVUTI
PER ECO -LUCE
Da Roma: Eros Lala 1.500; Nunzio Palminota 500; Franco Michelangeli 2.500;
Raffaele Di Battista 500; Caterina Maurizio
500; Manlio Gay 500; Ottavio Prochet 1.000;
Mario Piacentini 500; Giorgina Mancini
500; Anna Tilli 500; Beniamino Amao 500;
fam. Socci Girardet 500; Gabriella Titta
500; Frida De Farro 500; Luigi Pongano
500; Silvio Benelli 500; Gianfiliberto Leonardi 500; Francesco Mandola 500.
Grazie! (continua)
Non diceva Agostino : « dilige ac fac
quod vis », prima ama, e poi fa quello
che vuoi?
Con affetto, tuo
Marco E. Franchino
Il mondo, sale
e luce della Chiesa
Ganterschwil/SG, 12 giugno 1968
Caro direttore,
ho letto con attenzione l’articolo di
Gianna Sciclone : « Appunti sulla predicazione » (in: Eco-Luce n. 23) e debbo dire che sono rimasto perplesso.
Sarò franco; sono addirittura sbalordito.
Che l’articolo tutto riveli una sfiducia nella predicazione — come bene
hai notato — mi sembra evidente.
Ma c’è qualcosa di più grave dietro il
discorso di Gianna Sciclone: la mancanza di una riflessione nuova, cioè;
teologica, sia sul fatto della predicazione sia sul fatto della chiesa. È vero : questi due termini ricorrono spesso
nell’articolo citato, ma non sono pensati, nè teologicamente, nè semanticamente, nè secondo i canoni della logica formale. Non credo che a Gianna
Sciclone sia richiesto di sapere e di
semantica e di logica formale, anche
se non sarebbe male analizzare il suo
discorso sotto quest’ultimo punto di
vista e dato che il suo non è un discorso teologico il risultato sarebbe interessante. Limitiamoci a vedere il tutto
attraverso un'ottica teologica. Tunica,
del resto, adeguata all’oggetto in questione.
L’affermazione : « ”11 Signore ti ha
salvato” non è più di grande aiuto,
anche se vi si aggiunge "dai tuoi peccati”, perchè comunque non si sa più
cosa capire sotto questa parola» è
fuori da qualsiasi contesto cristiano.
Si ha, mi sembra, dimenticato, fra
molto altro, la terza domanda del Catechismo di Heidelberg : « Donde conosci la tua miseria? Dalla legge di Dio ».
Non sarà male riportare qui il conimento di Karl Barth a questo proposito ( Karl Barth - Die christliche Lehre
nach dem Heidelberger Katechismus
München 1949, p. 30): «Si tratta qui
della situazione di uscita delTuomo che
ha che fare con Gesù Cristo. Non l’incredulo riconoscerà questo fatto iri
verità, non colui che non è nato di
nuovo, ma colui che ha incontrato la
Buona Novella ed è stato colmato di
grazia. Quest’uomo sa della sua miseria ».
Se si è giunti al punto di affermare
che il perdono dei peccati non ha senso, perchè l’uomo così interpellato non
comprende più di che si tratta, allora
(continua a pag. 4)
I lettori
ci scrivono
Un lettore., da Torre Pellice :
Signor direttore,
tempo fa suìVEco delle Valli è apparso un articolo del Signor Long,
da lei violentemente stroncato, e che
invece mi risulta essere stato approvato da un buon numero di lettori.
Ora allo stesso articolo risponde un
signor Di Blasì che approfitta della
occasione per esaltare il mondo comunista ed il marxismo.
Su questa lettera da parte Sua. naturalmente, nessun commento. Da
questo Suo silenzio dobbiamo dedurre
che la linea politica dell’organo di
stampa della Chiesa Valdese, coincide
con quella del signor Di Blasi.
Al signor Di Blasi che scrive da
Palermo ma che certamente vive o
per lo meno ha soggiornato oltre cortina chiederei se è vero che le fiorenti e prospere comunità evangeliche dei paesi marxisti abbiano ultimamente invitato, attraverso la loro
libera stampa, il Moderatore a collcttare (come se non vado errato è già
avvenuto nella capitalistica e imperialistica America) per venire incontro alle difficoltà economiche della
Chiesa Valdese.
Distinti saluti.
Loris Bein
Chi segue regolarmente il settima’
naie e legge quanto scrivo e pubblichiamo, sa perfettamente che nè io
personalmente nè il nostro gruppo redazionale condividiamo Vottimismo
del fratello Di Blasi sulla situazione
neirURSS e nei paesi orientali (altri
punti della sua lettera, si). Le sono
comunque grato di avermi strappato
questa postilla, una di piii... Non mi
era parsa necessaria; la cosa era diversa, invece, nel lungo articolo del
fratello Long,^ che costituiva non una
semplice analisi o valutazione della
situazione politica generale (tutte lecite e opinabili), ma un giudizio su
una parte delle nostre comunità, che
non mi pareva riflettere correttamente la realtà. Spero di averLa rassicu-^
rata. E sarei tanto felice che ci tirassimo su i calzoni da soli e i nostri
Moderatori non dovessero più essere
invitati (per collette) nè a Oriente
nè a Occidente. Fraternamente
Gino Conte
3
21 giugno 1968 — N. 25
pag. 3"
ESAMINANDO I DOCUMENTI PREPARATORI
DELL’ASSEMBLEA DI UPSALA
Sezione I - Spirito Santo e Chiesa universale
federazione Femminile Valdese
i 4 al 20 luglio si terrà a Upsala, nei pressi
it.ccolma, la quarta Assemblea generale del
C j.sstgiio Ecumenico delle Chiese ; essa riunirà 800
delegati di 232 Chiese membri, oltre, naturalmente a un gran numero di invitati e osservatori. Dall'Italia, la Chiesa Valdese e la Chiesa Metodista saranno rappresentate ciascuna lia un delegato, il
Moderatore Neri Giampiccoli e il Presidente Mario
Sbaffì; è inoltre invitato, quale consulente teologi€o il Prof. Vittorio Subilia. I lavori dell'Assemblea
saranno articolati in sei sezioni, su questi temi : Lo
Spirito Santo e la Chiesa universale — Il rinnovamento nella missione — Lo sviluppo economico e
sociale del mondo — Verso la giustizia e la pace
negli affari internazionali — Il culto di Dio in un
mondo secolarizzato — Verso un nuovo stile di
vita. In vistar di questo lavoro per sezioni, sono
stati sottoposti alle Chiese dei documenti preparatori : la loro versione italiana è Stata pubblicata
quale supplemento al n. 11 di « Nuovi Tempi » del
17 marzo 1968, e largamente diffuso nelle comunità. Non sappiamo quante di esse li hanno studiati ; sappiamo per altro che alcune lo hanno fatto,
e seriamente, in questo numero e nei prossimi, ormai all'antivigilia dell'Assemblea di Upsala, cercheremo di presentare una lettura critica di questi sei
documenti, in modo che possiate meglio seguire,
nella riflessione e nella preghiera, quanto si farà a
Upsala e ciò che vi si giocherà per l'avvenire del
movimento ecumenico e delle nostre Chiese.
n C ome cristiani siamo per fede
membra di Gesù Cristo, per natura
membra del genere umano — così ini-,
zia il rapporto della I Sraione — Nella
Chiesa aspiriamo all’unità nella fede,
nell’ordinamento, nella comunione di
vita; nella società umana ricerchiamo
per tutti gli uomini l’attuazione deldell’onestà e della giustizia, della libertà e della gioia. Per fede, vivendo in
una comunità che è erede della pienezza della vita, riconosciamo che Dio
vuole rendere tutti gli uomini partecipi di questa eredità. Riconoscere il carattere universale della Chiesa significa sentirsi chiamati a partecipare a
questa pienezza di vita, in comunione
con Dio. La nostra riflessione ha come
scopo di pervenire a una nuova comprensione di ciò che questo carattere
di universalità significa oggi per la
Chiesa ».
Si nota quindi la necessità di riparare alla distorsione che, nel corso dei
secoli, Il concetro di «cattolicità» ha subito, per CUI questa o quella sezione
della Chiesa io atmuca a sè stessa. « ristabilt n to originario del
l’univt rs 1 1 gni singola chiesa e
per tuli ! e nel loro insieme».
Sarà questo senz aitro uno dei temi
centrali aeiia riflessione, a Upsala; e
occorrerà riconoscere che la cosiddetta
« base » cristologìca e trinitaria di Nuova Delhi non è sufficientemente ampia
e precisa.
Il rapporto sottolinea poi l’indirizzo
impresso alla riflessione e all’azione
del C.E.C. dalla conferenza « Chiesa e
Società », chiarendo con evidenza e
veemenza che « la struttura della società umana è ovunque lacerata... In un
momento in cui le vecchie solidarietà
crollano dinanzi all’assalto delle nuove, le sofferenze degli uomini si moltiplicano. L’immagine, in Paolo, della
creazione che ’’geme ed è in travaglio”
sembra oggi particolarmente appropriata; sitigoiannente stringente ci appare oggi ìi tornandamento di Gesù di
amare Dio, il prossimo e i nemici, a
qualunque costo; di anrilinziare con vigore il giudizio di Dio sulle illusioni e
le pretese umane; di sopportare lietamente il disprezzo e l’oppressione per
amore del Signore ».
« Questo clima di lotta violenta non
esaurisce però tutto il quadro attuale.
Molti sperimentano che vi sono oggi
possibilità nuove di condurre una vita
utiJf e piena di significato. A dispetto
dei conflitti ideologici, gli uomini si
accorgono che una profonda unità
soggiace a tutti i mutamenti storici.
L’abisso fra le società è oggi superato
dalla comune fiducia in una stessa
tecnologia. Gli uomini combattono per
la libertà, ma usano questa libertà per
allottare uno stesso stUe di vita; nei
mofiiio lo spazio si restringe, le distan' ornano e ogni g;uerra punge
i porta di casa di ogni uomo,
del mondo è un fatto a cui
non Si V'HO sfuggire, l’unità dell’umanita i li 1 1 pirazione essenziale. Mentre
lo Spinto Gl Dio conduce le Chiese
verso una maggiore comunione reciproca, si risvegiia pure la consapevolezza che Dio, attraverso le sue vie
imperscrutabili, opera i suoi propositi
nella storia contemporanea. Egli stesso ci chiama a riflettere sulla difficoltà e sulla possibilità di attuare l’unilersalità di cui parliamo».
‘ uggendo quest’ultimo paragrafo si
perplessi; dove attinge la sua
i le sue indicazioni, la chiesa? È
la r irola del suo Signore, esclusivamente, o la situazione storica a determinare la sua riflessione e la sua azione? Il suo compito è quello di dare un
senso e un indirizzo alle aspirazioni
e alle iniziative degli uomini, ovvero
di richiamarli, oggi come sempre, al
Regno che è giudizio su ogni epoca e
che è il nuovo mondo creato esclusivamente da Dio? In che rapporto stan-'r, per lei, la costruzione della città
i jigna e l’annuncio e l’attesa fiduiella «Gerusalemme celeste»?
Quài'i’ la stella mattutina che sale dall’orizzonte di questo documento? Sono
interrogativi ai quali tutti i lavori dell’Assemblea, e non solo quelli della Sezione I, dovranno rispondere, e si vede
che non sono interrogativi minóri.
Dopo questa introduzione il rapporto vero e proprio si articola in due
parti: I, Un dono; II, Una ricerca.
Un dono, anzitutto, quello dello Spirito Santo il quale, « Signore e datore
di vita, fa della sovranità di Cristo
una realtà presente e operante»;
Lo Spirito porta ritorno peccatore
nella comunione della Chiesa di Dio. distruggendo le barriere del peccato e
creando la comunione universale dei
perdonati.
Lo Spirito, per mezzo della parola e
del sacramento, edifica la chiesa locale,
dandole la pienezza della vita divina.
Lo Spirito testimonia continuamente
alla Chiesa la verità dell'Evangelo e
provvede i mezzi per rendere l’Evangelo
comprensibile a tutti gli uomini.
Lo Spirito conserva la continuità della Chiesa attraverso tutti i tempi, passato, presente e futuro, anche quando tale continuità rimane nascosta.
Lo Spirito dà alla Chiesa un potere
di unità e di coesione, e la sostiene con
un’immensa varietà di doni, così che essa
fruisce delle ricchezze infinite della
creazione di Dio.
Lo Spirito conduce la Chiesa a sfidare le frontiere che dividono gli uomini,
divenendo così un fermento nella società e producendo i segni della divina
volontà di rinnovare e unire gli uomini.
Lo Spirito risveglia nei cristiani la
vigilanza e l’attesa della venuta del Signore che viene a giudicare i vivi e i
morti e a completare la nuova creazione.
Insistiamo sulla quarta di queste
belle affermazioni : per un documento
emanato da un Consiglio di cui fanno
parte diverse Chiese che danno importanza, e spesso importanza fondamentale alla cosiddetta « successione apostolica » ( del vescovi », si tratta di
un’affermazione che, relativizzando tale importanza, fa dello Spirito (e della
Parola) la sola e vera continuità della
Chiesa, come siamo convinti che sia.
Si tratta di un semplice accenno, sfuggito a certe Chiese, ovvero si apre qui
una possibilità ‘di approfondimento e
di chiarflcazione? È inutile dire quanto questo punto sia importante pure
nel quadro dell’« avvicinamento » della
Chiesa romana al C.E.C.
L’universalità data dallo Spirito è
dunque « dono di Dio » ; esso « esige la
risposta ilelLahbedienza..])iessuna chiesa può pretendere di essere universale
quando è isolata o separata dalla pienezza della missione di Cristo verso il
genere umano, o quando non è disposta a vivere nella pienezza della verità
di Cristo. Dio dà questa pienezza alla
Chiesa affinchè uomini e donne si trovino dovunque a casa loro nella sua
comunione e affinchè tutta l’umanità
sia rinnovata ».
« Dio offre questo dono agli uomini
nella libertà. L’azione dello Spirito
non costringe mai gU uomini, ma apre
dinanzi a loro le porte dell’amore di
Dio e dà loro la capacità di collaborare all’azione creatrice e redentrice di
Dio. Questa capacità è necessaria per
superare l’egoismo individuale e collettivo, per riconciliare i nemici, per liberare gli schiavi dalle catene dell’abitudine. Ma gli uomini usano male la
loro libertà e rifiutano il dono della
universalità, sia individualmente che
collettivamente ».
È proprio così che l’Antico e il Nuovo Testamento parlano dell’azione dello Spirito di Dio nell’uomo? Non riaffiora, sia pure in termini dinamici e
non statici, in termini di azione e non
dì natura, il vecchio sinergismo, la
cooperazione fra natura e grazia, fra
l’uomo e Dio? Forse che l’esperienza
del credente non è appunto che lo Spinto ci afferra e costringe, non come
un peso morto, certo, ma come una
Persona? È solo la cattiva volontà
— rimediabile — dell’uomo a renderlo
ribelle alla libertà di Dio e schiavo della nropria « libertà »?
Certo, è vero che si rinnega 11 libero
servizio di Cristo e dello Spirito quando « i cristiani permettono che l’unità
e l’universalità della Chiesa siano sostituite da altre solidarietà e dalle divisioni del mondo»; in particolare
quando vivono separati, di diritto o di
fatto, per motivi razziali, classisti,
etnici, culturali, quando «permettono
alla politica del loro paese di ostacolare o di distruggere il desiderio di
una comunione rei iproca con cittadini
cristiani di un’altra nazione», quando
« aderiscono a mo'ielH provvisori e arbitrari di credo e ‘i condotta, e vi insistono disprezzamio la continuità e la
comunione con 1ì> ^ .'hiesà ùh'iversale ».
Discutibile è inve" affermare che « la
distorsione più m ;dente appare quando l’obbedienza ul Evangelo è offuscata dalla fedeltà --unfessionale ed ecclesiastica, che ‘i.intiene i cristiani
separati l’uno i' :l’altro»; discutibile
perchè ambigue Iccorre ancora e ancora ripetere eh' vi è, certo, una «fedeltà confessio : ? » che è disobbedienza .all’Evan i>, quando è la carne, l’orgoglio, la a-adizione, la volontà
di sussistere e f-i affermarsi a dettar
legge nella chie: ■. nella denominazione, nella confes.*^. . ne; ma vi è una « fedeltà confessioi . it » che è il nostro
modo, umanamt.ire limitato e fallibile,
di credere e c<. ifessare con fedeltà
l’Evangelo. Nel t )cumento questa tensione è del tutto taciuta; è invece un
punto decisivo, U punto dove le vie
divergono, oggi, .'ra l’ecumenismo per
addizioni e miscele e l’ecumenismo per
alternative. Dopo tanti decenni di ecumenismo, i cristiani non sanno dirsi e
dire altro che : siamo divisi per la nostra poca fede? Non sorrcr ptù capaci di
stare insieme, davanti al comune Signore, riconoscendo ii essere divisi
nella fede? Magro rii ultato di tanto
travaglio.
* iti
Nella seconda partt del documento
si ricorda che,-propLo perchè è un
dono di Dio, ruhivers uità''implica anche una ricerca, per a Chiesa chiamata ad essere fermei ;o nella società:
«Che ironia! La socieià secolare produce forze di unificazione e di riconciliazione che sembrano ;pesso avere un
carattere più universa.ie di quelle esistenti nelle Chiese». E.amo lontanissimi dal difendere le Chiese; tuttavia
non bisogna esagerare, e non certo tutte le branche dell’ONU ( triste bilancio
del XX anniversario della Dichiarazione dei diritti dell'uomo...), nè le varie
involuzioni e perversioni della democrazia e del socialismo possono, tanto
per fare qualche esempio, dar troppi
punti alle Chiese: il confronto con
l’Evangelo è per queste sufficientemente sconvolgente, anche se qua e là i
figli di questo secolo sono anche oggi
più avveduti dei figli della luce. Nè ci
sentiamo d'accordo con il rapporto
quando continua: «La contraddizione
diviene così palese da spingere taluni
cristiani a guardare ai processi della
storia secolare come se ne scaturissero
delle rivelazioni divine che le Chiese
devono accettare: essi scorgono Fazione dello Spirito nel_ formarsi di nazioni libere e di solidarietà internazionali,
nelle azioni in cui cristiani e non cristiani collaborano alla ricerca della
giustizia o della pace, nelle nuove
strutture sociali create dalla rivoluzione tecnologica. Questa posizione contesta che la Chiesa soltanto abbia ricevuto il potere di annunciare il Re
iiiiiiimiiimmiiiM
iiiiMitiiiimiiliiiiiiiimimiMiiinimiuiiiliiii
'IIIIIIIHIIHIIIIlIXItllll
iiimiiiimHiiiiiMiiiiii'iMit
LO SPIRITO E LA PAROLA
E’ per mezzo di uomini che Gesù
Cristo vuole continuare ad essere
annunciato e vuol continuare a operare. Ma conosciamo l’impotenza
dell’uomo. Come può essere superato l’abisso fra l’esteriore e l’interiore? La promessa dello Spirito Santo
ci vieta però di accantonare con la
scusa della nostra impotenza la parola umana, il mandato della predicazione, cercando di influire sugli
uomini con altri mezzi più ricchi di
suggestione. Spesso ci pesa che la
predicazione stia al centro del culto evangelico. Ora, noi dobbiamo
pregare che ci sia data una predicazione migliore, ma non dobbiamo
mettere in soffitta la predicazione.
Infatti, poiché la Chiesa ha come
unica vera armatura, anzi come uni
ca vera arma la parola della predicazione, nella sua povertà essa non
ha assolutamente altra risorsa che lo
Spirito Santo, il quale le è stato promesso, ma non può essere evocato
a comando. E’ stato Lutero a esprimere con la massima acutezza questo rapporto fra lo Spirito e la Parola: « Quando ascolto, non per
questo credo automaticamente. Perciò Dio dà ancora lo Spirito Santo,
il quale imprime nel cuore questa
predicazione, in modo tale che vi
resta piantata e vi vive ». Solo fidando in questa promessa si può
osare di mettere la proprk debole
parola umana al servizio del mistero di Cristo; ma fidando su questa
promessa si può e si deve osarlo.
Helmut Gollwitzer
VI Congresso Jaziooale
Il VI Congresso Nazionale si terrà a
Torre PelUce, il 17 e il 18 agosto 1968.
Il programma sarà ulteriormente reso
noto. Il tema principale sarà; «Come
testimoniare della nostra fede in
un’epocà di secolarizzazione», relatore
Bruno Rostagno.
Segnalare in tempo la partecipazione delle delegate che desiderano essere alloggiate alla Foresteria Valdese,
informandone la slg.a Lillina Deodato,
Via dei Mille 1, 10064 Pinerolo (To).
Il Comitato Nazionale
Per le Scuole Domenicali
gno_ di Dìo e che la sua vita e la sua
testimonianza siano la sola vera anticipazione della venuta del Signore ».
Questa tesi è grave ed è grave che
sia riportata così, senza commento, come una delle molte opinioni coesistenti all’interno del C.E.C. Questo significa, in realtà, svuotare la Chiesa e la
predicazione del suo significato, negare l’irriducibile originalità dell’Evangelo; Gesù Cristo diventa un simbolo e
si diluisce nella storia, la storia mastra di fede e di vita (cioè ancora e
sempre l’Uomo, anche se in questo caso l’Homo societarius e magari revotionarius). Ma questo Evangelo non è
più il dono di Dio, è ciò che « rivelano » la carne e il sangue, ciò che sale
dal cuore, fleiruomo ; questa universalità autonoma non è più pentecostale,
è babelica ; questo « spirito » è lo spirito del secolo (XX), non lo Spirito Santo. È evidente che questa posizione è
in larga misura latente, allo stato di
tendenza: queste conseguenze ultime
sarebbero probabilmente respinte da
molti suoi rappresentanti; eppure è su
questa linea che essi si trovano ed è
questo il rischio che corrono e fanno
correre all’ecumene.
il documento constata quindi con
tristezza le profonde divergenze fra le
Chiese membri del C.E.C., per cui le
une insistono sulla necessità della
continuità, le altre su quella di un mutamento radicale, «penosamente consapevoli dei criteri contraddittori con
i quali riconosciamo i doni del ministero»; per non parlare della «tremenda ironia » della separazione proprio di fronte all’« unica mensa ».
« Quando consideriamo le divisioni
che ci separano in questa Assemblea,
ci rendiamo conto quanto siano vuoti
c illusori i nostri discorsi sull’universalità. Questo fatto stesso ci costringe,
tuttavia, a proseguire insieme nel desiderio di una comprensione più chiara e completa. Nelle nostre discussioni
comuni, ad esempio, è stato messo in
Ipce che la comunione nello Spirito
Santo,-fa. scaturire il. fupco.del giudizio di Dìo sopra tutti gli sfoVzl per
una ricerca di sicurezza e di comunione nelle istituzioni create dall’uomo e
nelle società che pongono sè stesse al
centro ».
E la conclusione : « Non vi è cammino verso il rinnovamento che non passi attraverso il pentimento. Anzi, il
pentimento rinnova in realtà le nostre
comunità secondo la promessa di Dìo.
Per natura siamo uniti al mondo che
Dìo ha giudicato sul Golgotba e che
sarà giudicato nell’ultimo giorno; in
Cristo, mediante lo Spìrito, siamo uniti alla comunità rinnovata a Pentecoste e che sarà rinnovata nell’anno del
Signore. Come individui e come Chiesa confessiamo la necessità che abbiamo di questo rinnovamento. In questa confessione e nella fiducia nella
promessa di Dio tutti i delegati cantano all’unisono: Vieni, Spirito
Santo ».
Forse, però, chi legge questo documento non è portato a rendersi conto
che proprio sul modo di concepire
l’azione dello Spirito Santo manca oggi il consenso fra le Chiese, quel consenso che pare raggiunto quando si
parla del Padre e del Figlio (v. la « base» di Nuova Delhi, certamente sottoscrivibile anche dalla Chiesa di Roma). In realtà, a proposito dello Spirito Santo si è parlato di un « vuoto
dottrinale » che ha accompagnato tutta la storia della Chiesa, suscitando
in modo ricorrente fenomeni di reazione, l’ultimo dei quali è il movimento pentecostale contemporaneo. Non
diremmo che questo documento ci aiuti a cominciare almeno a superare questo vuoto e questa oscurità. Ma forse lo Spirito Santo è appunto Dio che
non si lascia racchiudere nel pensiero
umano, soffia come il vento, libero ed
efficace. Cosi lo spiega un teologo danese, il Prenter, il quale ha scritto una
delle opere migliori dei nostri igmpi
su « Lo Spirito Santo e il rinnovamento della Chiesa »; è « Santo » nel senso
che si distingue da tutti gli spiriti e le
spiritualità che conosciamo e che rimangono pur sempre null’altro che
creature — è Dio, insomma; d’altro
lato è « Spirito » nel senso che incontra personalmente degli esseri personali ai quali ha dato lui stesso vita,
questa vita responsabile — è Dio con
noi, la presenza attuale dell’Emmanuele. Santo, cioè sovranamente, divinamente Ubero; Spirito, cioè realmente,
personalmente presente. Ogni attimo
della nostra fede, ogni attimo della
Chiesa vive, alla lettera, di lui.
G. C.
Tutto il materiale
è già pronto
Ai pastori, ai monitori, ai genitori
si comunica che tutto il materiale
S D. per l’anno prossimo è già disponibile :
— la rivista « La Scuola Domenicale »,
presentata ancora nel n. scorso (e
in cui è inserita una descrizione
dettagliata del materiale stesso,
con le modalità per ottenerlo);
— * Corso preparatòrio : 3-5 anni, L. 450
per tre fascicoli da ottobre a giugno;
— Domenica mattina: 6-8 anni, 23 lezioni bibliche sull’Antico e 11 Nuovo
Testamento, un volumetto illustrato L. 300.
— Guarda e ascolta: 9-12 anni, Id. id.,
L. 300.
— Corso superiore : 12-16 anni, L. 300
per tre fascicoli da ottobre a giugno ; quaderno per monitori, L. 300.
Il materiale segnato con * va ordinato a: Commissione della Scuola Domenicale, past. V. Corai, Via Cittadella 51, 44100 Ferrara ; il resto alla Claudiana, Via Principe Tommaso 1, 10125
Torino. Il direttore della rivista è il
past. Thomas Soggin, Via T. Grossi 17,
22100 Como.
RINGRAZIAMENTO
La famiglia della compianta
Lidia Gilles ved. Plavan
vivamente commossa della prova di
affetto tributatale nella triste circostanza, nell’impossibilità di farlo singolàrmente, ringrazia tutti coloro che,
di presenza, con fiori o scritti, hanno
preso parte al suo grande dolore.
Un ringraziamento del tutto particolare ai dottori L. Gay, A. Eynard e
C. Varese; alla signora A. Garnier;
alla signorina L. Roman; a tutto il
Personale dell’Ospedale Valdese di Torino; ai pastori signori Ricca, Conte e
Rostagno per la preziosa assistenza.
« Io sono persuaso che nè morte
nè vita, nè cose presenti nè cose
future, potranno mai separarci
dall’amore dì Dio che è in Cristo
Gesù nostro Signore ».
(Rom. 8; 38)
Torre Pellice, 7 giugno 1968
Il giorno 10 giugno 1968, presso
l’Ospedale Valdese di Torre Pellice,
dopo lunga e penosa malattia, sopportata con serenità e grande fede, il Signore chiamava presso di sè all’età di
57 anni
Fanny Buffa ved. Benech
Nel dame il triste annuncio, i familiari ringraziano tutti coloro che, con
la loro presenza, con fiori o scritti,
sono stati vicini nell’angosciosa prova:
un particolare ringraziamento al Dottor De Bettini, ai Pastori Rostagno e
Sonelli per la loro lunga, assidua e affettuosa assistenza; alla Direzione ed
al Personale dell’Ospedale Valdese di
Torre Pellice, alla Signora Angela Melino ved. Armand-Bosc, alla comunità
evangelica degli Appiotti e a tutti coloro che durante la sua triste e penosa
malattia le sono stati vicini sia presso
l’Ospedale Maria Vittoria di Torino,
sia presso l’abitazione di Torre Pellice.
Ne pleurez pas sur moi, mes frères.
Soyez heureux de mon départ ;
Loin du péché, loin des misères.
Je vais saisir la bonne part.
Viens donc bientôt, Jésus. Amen.
La presente serve da partecipazione
e ringraziamento.
Torre Pellice, 12 giugno 1968
FIRENZE
Il Cfintrfi Bvanj|f4ic»
di solidariHà
Via dei Serragli, 49 - Tel. 21238
È a disposizione di tutti i forestieri
e stranieri che vengono a Firenze
per studiare, per visitare la città, per
lavoro
Desiderando informazioni sulle
Chiese e Opere Evangeliche, venite a trovarci o telefonateci
Risposte in italiano : tutti i giorni
feriali
Risposte in tedesco e francese; martedì e venerdì dalle 16 alle 18.
4
pag. 4
N. 25 — 21 giugno 1968'.
Il mondo, sale e luce della Chiesa
(segue da pag. 2)
non ci troviamo più in un contesto
cristiano, allora si ha perduto coscienza del fatto che non la sociologia o la
psicanalisi o il partito, ma Dio accusa
quest’uomo di infedeltà e ne esige risposta. E la risposta sociale non è una
risposta conforme alla domanda. È un
adeguarsi agli schemi di questo mondo che oggi detta palesemente alla
Chiesa il suo discorso. Le parti si sono
invertite: il mondo è diventato «sale
e luce » della Chiesa. Questo nel metoi
do di lavoro 4«elogico moderno, laddove ci si fraò‘domandare se il metodo
non costituisca e sostituisca il messaggio; questo nel lavoro sociale e nella
psicanalisi che costituiscono e sostituiscono la cura d’anime; questo nel
cosidetto ecumenismo, che vien risolto
in un fatto semantico
Quando si afferma che non si ha
più nulla da dare e da insegnare significa che non si è ricevuto niente.
Allora non si è più pastori, ma funzionari, «mezze maniche» della religione.
Ed è chiaro che un « MònsU "Travet »
ecclesiastico non ha in sé né gioia né
autorità.
Corrisponde questo rassegnato atteggiamento a ciò cui la Scrittura rende
testimonianza? La posizione di Gianna Sciclone e di Eugenio Rivoir mi rattrista e mi addolora, perchè essi sono
nella Chiesa. La domanda che vorrei
rivolgere loro è questa : Che cosa prendete sul serio : Dio o l’uomo? Dio con
la sua promessa o l’uomo con la sua
disperazione? Dio ha preso Tuoino sul
serio in Gesù Cristo, non è sufficiente?
Mi sembra, se non vedo male, che stia
a noi di prendere sul serio Dio, anche
nei problemi sociali. Ci troviamo ad
un crocicchio, ad un Aut-Aut: La via
della Chiesa, per quanto nel mondo,
non è la via del mondo. Sarà opportuno meditare su quella parola di Karl
Barth (Karl Barth - Kirchliche Dogmatik - 1/2, 606): «Se la promessa:
’’Voi sarete miei testimoni” e: ’’Ecco,
io sono con voi tutti i giorni” non è
adempiuta, se la Scrittura non è Parola di Dio per la Chiesa, allora la Rivelazione è e rimane un semplice ricordo, allora non esiste più-la Chiesa di
Gesù Cristo... Laddove la Chiesa tira
a sé ciò che non le appartiene, apparirà subito la sua incapacità di rapporto
di ubbidienza, quale i Profeti e gli Apostoli avevano di fronte alla Rivelazione ».
Ci si lamenta che la nostra predicazione, sia essa, profetica, sia essa conformista, non interessa più. A parte il
fatto che una simile espressione tradisce un falso concetto della predic^ione, c’è da domandarsi se essa abbia il
compito di «interessare» e non piuttosto qùello di dividere gli spiriti. Umitarsi a constatare e voler sostituire
la predicazione con un’opera sociale
comunitaria è inutile e blasfemo. I Riformatori sapevano bene: praedicatio
verbi dei est verbum dei, la predicazione della parola di Dio è essa stessa
parola di Dio. Il Necprotestantesimo
non vuole più saperlo.
L’attività in comune, l’attività sociale possono dire alla Chiesa e darle
anche qualcosa, non lo nego. Ma l’unicum, che le è necessario, rimane nelle
salde mani di Dio, che dà dove e
quando a lui piace. Le Parola di Dio
può anche « rendere possibile nel vero
senso della parola ”il sonno ecclesiastico” di Samuele» (Ottò Weber - Meditazione su 1. Sam. 3, 1-12, 15-20 in;
Pastoraltheologie - Wissenschaft und
Praxis, 55. Jhg. H. 11, Nov. 1966 p. 84-89;
ora anche in : Predigt - Meditationen,
Gottingen 1967, p. 312-316). Che certa
gente dorma un sonno ecclesiastico rivestita di un pigiama sociale mi sembra chiaro. Altrettanto chiaro mi è,
però, che Dio può svegliarli e li sveglierà non con un'azione sociale, ma
con la sua Parola. Allora ci sarà, forse,
qualcuno che risponderà ; « Parla, Signore, il tuo servo ascolta ». Ascoltiar
mo non la voce del mondo- che passa,
anche se inon .toioìe riconoscerlo, ma
quella di Dio che rimane in eterno.
Alla Chiesa non è certo richiesto di
più. Eugenio Pecoraro
LA FAME NEL MONDO
India, età media: 27 anni
Un'epoca di esplosioni : atomica^ economica, demografica
psipologica - I privilegi dei ricchi e i 2 terzi famelici
SuH’ultimo n. de « Il Regno » (15 maggio
1968) è riportato il testo stenografico di una
conferenza tenuta a Bologna da losuè de
Castro, autore della prima indagine scientifica sul problema della fame e del sottosviluppo nel mondo (<i 11 libro nero della
fame ») e di tutta una serie d> opere che
se gli hanno valso ampi riconoscimenti internazionali, lo hanno pure costretto all’esilio dal suo paese, il Brasile, di cui ha
denunciato la situazione, neo-feudale: Bruno Costabel ha presentato qui uno dei suoi
libri: « Una zona esplosiva: il Nord-Est
brasiliano » e ultimamente Edina Ribet un
suo romanzo-verità'. « Des hommes et des
crabes», uomini e granchi. Stralciamo, per
la nostra rubrica, una parte di questa appassionata conferenza. red.
I grandi problemi della nostra epoca si
presentano tutti sotto forma di esplosioni.
C’è stata l’esplosione atomica del 1944, che
ha fatto cose terribili, che ha mostrato i
terribili pericoli della forza atomica capace
di distruggere, in una diecina di secondi,
70.000 persone in una pacifica città. Quest’esplosione ha inaugurato l’era atomica
sulla terra.
Poi abbiamo visto altre esplosioni:
l’esplosione economica del mondo, con le
due grandi superpotenze che sono gli USA
e l’URSS; l’esplosione demografica, per l'accellerarsi dell’incremento della popolazione
nel mondo, grazie all’applicazione parziale,
malfatta e maleorientata di certe tecniche
mediche che io chiamo tecniche di sopravvivenza, cioè tecniche di metodi (antibiotici
e insetticidi) che permettono alla gente non
di vivere, ma di sopravvivere. Un tempo,
i bambini nascevano per niente altro che
per morire; c’erano dei luoghi, nel nostro
mondo, dei paesi sottosviluppati, ed es. la
Nuova Guinea, in cui su 10 bambini che
nascevano 8 erano già morti prima del
primo anno di vita. Vale a dire che il coefficiente della mortalità infantile era di 800
su 1000. Oggi anche nella Nuova Guinea
non ne muoiono più che 150 su 1000. Questa riduzione, a che cosa è dovuta? Agli
antibiotici. Così anche in Sicilia, mentre i
bambini morivano, vent’anni fa, in numero
di 250 su 1000, oggi non muoiono più che
in una percentuale di 20 su 1000: vivono
in una cultura di antibiotici; ma se non deste più antibiotici, se la Sicilia non li importasse più, in un anno la sua popolazione
sparirebbe, perchè si tratta di una situazione
artificiale.
Creare un clima non significa dare vere
condizioni di vita; la diminuita mortalità
infantile del Terzo Mondo e l’esplosione
demografica non costituiscono per niente
un miglioramento delle condizioni di vita.
Questi bambini non muoiono più durante il loro primo anno di vita, sopravvivono.
Moriranno a 5 anni, o a 10, o 15, o 20. A
vent’anni in India è già morto il 60% della
popolazione indiana. La speranza di vita
media, nell’India, è di un massimo di 27
anni. L’India è un paese di orfani perchè il
bambino medio non ha la possibilità di conoscere i genitori, che muoiono a 27 anni;
il bambino medio perde i suoi genitori sui
7 anni, quando non si conosce niente. Dunque, è un paese di orfani. In fondo così è
tutto il Terzo Mondo: un paese di orfani...
C’è ancora un’altra esplosione, molto più
pericolosa per i padroni del mondo, quella
psicologica, legata a quella demografica. Ecco perchè i padroni del mondo vogliono
controllare le nascite; perchè l’esplosione
psicologica si verifica soprattutto nei paesi
del Terzo Mondo, dove l’esplosione demografica è più rapida. I padroni del mondo
pensano che applicando in questi paesi i
metodi di controllo della mortalità con l’uso
degli antibiotici, è poi necessario ridurre la
natalità elevatissima in questi paesi, poiché
iiiiiiiuiiiimmiiimiiiiiiiiiHiiiiiiimiiim)iiiii'
Conferenza del 1° Disfreno
(segue da pag. I)
1 Professori lasceranno il Collegio a
partire da quest’autunno.
Non rimaneva che prender atto di
questo aut-aut e, scartata la proposta
contraria di privatizzazione (che meritava forse di essere considerata più
attentamente), dopo una serie abbastanza lunga di richieste di chiarimenti sulle conseguenze, i rischi della statizzazione, fu votato il seguente ordine
del giorno;
La Conferenza del Primo Distretto,
esaminato il problema della funzione del
Collegio di Torre Pellice nella sua struttura
attuale, in riferimento alla situazione sociologica delle Valli,
non potendo suggerire per il momento
una strutturazione diversa finché la riforma
della Scuola non la renda possibile,
preso atto della grave situazione finanziaria e della conseguente situazione di precarietà nella quale sono tenuti gli Insegnanti,
chiede alla Tavola di presentare al Sinodo un progetto concreto di statizzazione del
Ginnasio-Liceo.
Dopo la discussione sulla C.I.O.V.,
che viene riferita in altra parte di questo giornale, si doveva discutere della
situazione giovanile; ma, dato che la
ristrettezza del tempo non avrebbe
consentito una trattazione adeguata
dell’importante argomento, si decise di
affrontare tutto il problema in un convegno autunnale.
La Commissione Distrettuale (Franco Davite, Giovanni Pontet, Marco
Ayassot) è stata rieletta.
Giovanni Bogo ha diretto i lavori
della Conferenza con grande serenità,
coadiuvato da Italo Hugon, vicepresidente, e da Aldo Rutigliano e Wanda
Peyrot, segretari.
Sede della prossima Conferenza sarà San Secondo.
Bruno Rostagno
si sa che più c’è fame più alto è il coefficiente di natalità.
Quello che è più pericoloso dell’esplosione demografica è dunque quello che chiamo
esplosione psicologica, cioè questa specie di
presa di coscienza, da parte dei nostri popoli arretrati, sottosviluppati, affamati, che
la loro fame, la loro miseria non sono problemi naturali, conseguenza di una miseria
della natura; la natura potrebbe fornire cibo sufficiente per nutrire benissimo tutti.
Tutto ciò è solo il prodotto delle ingiustizie
sociali, causate da strutture economiche ingiuste e assurde, nelle quali una minoranza
di privilegiati, che sono i dominatori, schiaccia i dominati. Generalmente si dice : mi
piace difendere la minoranza oppressa; io
dico invece : io difendo la maggioranza oppressa, poiché gli affamati rappresentano i
2/3 dell’umanità, oppressi e schiacciati da
1/3 di privilegiati. Questa ingiustizia sociale non può durare molto...
Avete visto che i rappresentanti dei paesi di tutto il mondo, qualche settimana fa,
si sono riuniti a Nuova Delhi per risolvere
i problemi del Terzo Mondo, dei paesi della fame. Sfortunaiamente, non si è trovata
alcuna soluzione, perchè in fondo i più ricchi continuano a voler mantenere i loro
privilegi e non vogliono cambiare le loro
strutture, non vogliono fare le rivoluzioni
necessarie per cambiare questo stato di ingiustizia sociale i he schiaccia i 2/3 della
umanità. In questo senso io credo che la
responsabilità del! occidente è enorme, per
chè tutto ciò che vediamo nel mondo, tutte
queste esplosioni sono nate in Europa.
JosuÉ DE Castro
LA COSCIENZA CRISTIANA,
GLI ARMAMENTI
E LA FAME NEL MONDO
Montreal (sóepi) — Un colloquio su « la
coscienza cristiana e la povertà », organizzato
dalla Conferenza canadese sulla chiesa ed il
mondo — che raggruppa dei membri del
Consiglio canadese delle chiese e della Conferenza cattolica del Canada -— ha avuto recentemente luogo presso l’Università di Mon.
treal.
Il prof. Josué de Castro, ex presidente
dell’organizzazione delle Nazioni Unite per
l’Alimentazione e TAgricoltura (FAO) e direttore dell’Istituto per TAlimentazione del
Brasile, ha dichiarato ai 500 delegati che i
paesi cosiddetti sviluppati hanno speso l’anno scorso 140 miliardi di dollari (90 mila miliardi di lire!!) per l’armamento e la difesa,
vale a dire urea somma alVincirca eguale al
prodotto nazionale lordo annuale di tutti i
paesi del terzo mondo.
Mons. Carnata, arcivescovo di Olinda e di
Recife (Brasile) e Teconomista britannica
Barbara Ward, membro della commissione
pontificia « Justitia et Pax » erano presenti
a questo colloquio.
Echi della settimana
PRECISAZIONE
Circa il rimprovero mosso alla Chiesa di
ViUar Perosa di avere stornato una parte
della sua colletta annua per destinarla al
Collegio Valdese, rimprovero a cui il pastore, febbricitante in quel momento, non sembrò riuscire a dare una chiara risposta, desideriamo precisare che la somma destinata al
Collegio era in gran parte dono di nobili
amici non valdesi, e data per quello scopo
preciso.
Tanto per la verità e con l’augurio che ¡1
Collegio Valdese, statalizzazione o meno, duri
ancora un secolo almeno, perchè la sua importanza, malgrado tutti i suoi difetti, è superiore a quella di non poche altre opere e
chiese della nostra comunità.
Enrico Geymet
QUALE AVVENIRE
HA L'AGITAZDNE STUDENTESCA?
Quest’inter ogativo ci tormenta, dopo
i fatti delle ultin. seltimane. Hubert BeuveMéry, il direttore de « Le Monde », ha pubblicato in prima sagina (il 12 c.) il seguente breve articolo di ‘fondo.
a Come conviiere gli studenti in rivolta,
che se esistono lielle solidarietà generose,
ne esistono and. di quelle ciecamente distruttive? Come ¡ condurre a maggior riflessione dei giovani i ht, trascinati da una collera di cui essi perhào di vista le giustificazioni profonde, tf>rrono il rischio d essere uccisi, oppure UH uccidere essi stessi?
È vero, o non è ver'), che la riforma di
tutto il nostro ìnsegr e mento non si realizzerà negli scontri di y. da? E vero, o non è
vero, che un governi qualunque esso sia,
non può permettere i ' un quartiere di Parigi si copra di barrii . ¡e? È vero, o non è
vero, che queste occupazioni, se dovessero
prolungarsi, e queste manifestazioni, se dovessero moltiplicarsi, condurrebbero infine
ad una specie di « i ungolizzazione » dalla
quale vi sarebbero tutte le ragioni per temere, come conseguenza, la più violenta
delle reazioni?
Certamente le elezioni non sono una panacea. Tuttavia esse hanno aperto uno sbocco ad una situazione diventata inestricabile.
Qualunque sia il risultato di tali elezioni,
la breccia che la rivolta studentesca ha
aperto nella vecchia fortezza universitaria
non potrà esser richiusa. E già, in vari
punti, sta prendendo forma, col concorso di
studenti e d'insegnanti qualcosa di molto
più che dei semplici "modelli” ».
Qui sorge spontanea la domanda se il
Beuve-Méry ignori (o faccia finta d’ignorare) quale sia il vero bersaglio dell’agitazione studentesca. Ma tale domanda riceve subito risposta negativa. Infatti il Beuve-Méry
così continua;
« / fautori d’una rivoluzione che, per ora,
appare senza sbocco, hanno tutt'altra preoccupazione. Si tratta per essi (e non se lo
nascondono neppure) di "fracassare la baracca". Qualunque tentativo di soluzione,
comprese le elezioni, non è altro, ai loro
occhi, che un "tradimento"’, ogni appello
all’ordine più elementare, non è altro che
un’insopportabile provocazione. La loro vittoria sarebbe quella del nichilismo puro, e
nessuno può prevedere fino a qual punto
giungerebbe la tragedia.
Un giorno sarà possibile rivedere e giudicare gli errori, alcuni molto gravi, commessi da una parte o dall’altra. Per l’insieme degli studenti, soprattutto per quella minoranza attiva che, fin dalle origini, s’è coraggiosamente impegnata, è ormai gran
tempo di dir chiaramente ai più irresponsabili che, senza abbandonare nessuna delle
loro giuste esigenze, non saranno disposti
a seguirli oltre ogni limite ».
Precisamente: «un giorno». Ma
quando verrà questo giorno? Nell’attesa,
noi persistiamo nel credere che una visione
più aperta del problema, permetta valutazioni più profonde, più vere, perciò anche
più indulgenti. È quanto ci piace riconoscere nelle seguenti righe di Ferruccio Parri;
« L’attenzione del mondo è concentrata
su Parigi, e tanto più l’attenzione ansiosa
dell’Europa occidentale. Alla testa d’un subitaneo movimento sussultorio, un’avanguardia giovanile, inizialmente studentesca,
puntando con l’impeto delle rivoluzioni su
ambizioni sempre più vaste, e rapidamente
trapassata dall’ideale di una scuola nuova,
alla lotta diretta contro lo sclerotizzato regime politico, all’urio eversivo contro tutto
il sistema ed il suo meccanismo centrale capitalistico.
Nessun peggiore errore per chi voglia
guardare con occhi aperti questo mondo
a cura cK Tullio Viola
che si trasforma, dell’incredulità superficiale, dello scandalo aprioristico per le violenze, e soprattutto della cecità su queste nuove sorgenti di energie sociali. Verrà forse
un poeta e dirà come lo spirito infiammato
della gioventù parigina parve allora capace
di generare un mondo nuovo.
Un mondo nuovo? Non commettiamo noi
l’altro errore, concesso ai giovani ma non
a noi, di non saper prendere le misure della
realtà. Le realtà sono le forze repressive del
regime, la capacità di resistere e di reagire
di una società di millenaria solidificazione,
sono i partiti e i sindacati, anche se impreparati e sorpresi dall’improvvisa tempesta,
è il partito comunista con la responsabilità
delle grandi masse che esso controlla ».
(Da « L’Astrolabio » del 16-6-1968).
IL TURISMO
COME FATTO POLITICO
Il turismo (certo turismo) può esser
così qualificato in circostanze eccezionali,
come quelle che oggi sta attraversando la
Cecoslovacchia.,
« A Vienna e a Monaco, quelli che lavorano nell’industria turistica sono d’accordo
nel dire che un milione (di turisti cecoslovacchi pronti a passare la cortina di ferro) è un numero verosimile. Già a Praga
e a Bratislava, le rappresentanze consolari
dell’Austria e della Repubblica Federale Tedesca conoscono le lunghe code alle loro
porte, tanto è grande il numero di coloro
che chiedono di uscire dalla Repubblica Cecoslovacca per visitare l’Occidente. Perchè,
a partire dalt’l-7-’68, essi non avranno più
bisogno d’un "permesso speciale" per viaggiare nel mondo libero.
La decisione presa dal governo diretto dal
sig. Oldrich Cernik, ha un’importanza politica considerevole. Essa segna il rifiuto, da
parte della corrente del sig. Alessandro
Dubeek, dello Stato poliziesco che, per la
durata di vent’anni, posò delle mine, allevò
dei cani, piantò dei reticolati, eresse delle
torri di vedetta e fece crepitare le mitragliatrici lungo le frontiere di Boemia, di Moravia e di Slovacchia.
L’atto del governo di Praga è intelligente.
Quale cittadino, che sia libero dei propri
movimenti, gli rifiuterà il suo appoggio. ».
(Dalla « Gazette de Lausanne » del 15-16
giugno 1968).________
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Vino nuovo
e otri vecchi
(segue da pag. 1)
noi, e non possiamo attribuirne la
colpa ai giovani o agli anziani, ai
progressisti o ai conservatori, come
se si trattasse di tensioni dovute a
fattori umani, storici. E’ il vino nuovo che rompe gli otri vecchi!
Facciamo qualche esempio: spiritualizzando la fede, astraendola
da ogni implicazione sociale e politica, tutto andava bene: non c’erano discussioni spiacevoli e incomprensioni. Ma quando si è compreso
che l’Evangelo ci obbliga' a prendere posizione di fronte ad ogni aspetto della vita e che deve determinare
le nostre scelte, allora l’accordo non
c è, più, ci si scomunica e ci si scandalizza l’uno dell’altro. Così, quando si attribuì un carattere sacerdotale ai ministeri « consacrati » del'
pastore e della diaconessa, non c’erano tante discussioni e si avevano
in abbondanza pastori e diaconesse.
Ma quando si scoprì che questi ministeri non erano che <c servizi » e
che questi servitori non erano su un
piedestallo, ma sul piano di tutti gli;
altri credenti, cominciarono le discussioni e le difficoltà.
Potremmo continuare gli esempi,,
e ci renderemmo conto sempre meglio che è così, ed è logico che sia
così: nella chiesa-istituzione borghese, come è ancora oggi la nostra
chiesa, non possono essere accolti
ed integrati questi elementi nuovi —
0 meglio vecchi —■ perchè sono quelli che Cristo ci ha dato.
Che fare?
Mi pare che ci siano tre possibilità :
— continuare in questa situazione di tensione e di lotta interna,
barcamenandoci come possiamo fra
il vecchio e il nuovo, senza buttare
l’otre vecchio e senza preparare
l’otre nuovo;
— oppure, rifiutare ogni rinnovamento, dare addosso a tutto ciò che
non rientra negli schemi delle sacre*
tradizioni, così sicure e sperimentate, quelle che cc hanno durato sette
secoli e dureranno ancora », operando al massimo qualche prudente<c aggiornamento »;
— oppure accettare decisamente
che l’Evangelo — non noi! — ci imponga le nuove forme, le nuove
strutture adatte a viverlo e a portarlo agli uomini; senza segnare noi
1 limiti « tollerabili » di questo, rinnovamento, disposti a lasciarci portare fin dove il Signore vorrà.
E’ chiaro che, poste in (juesti termini, non ci sono più tre possibilità
aperte davanti a noi, ma solo una,
l’ultima; le altre sono delle possibilità assurde, impossibili.
Ebbene, sì, non abbiamo possibilità di scelta, perchè siamo già stati
scelti dal Signore, e la sua scelta su
noi è di rinnovarci, di fare di noi e
delle nostre chiese delle strutture
adatte alla testimonianza del suo
Regno.
(Questa volontà del Signore si manifesta proprio in questa situazione
di crisi della chiesa in cui ci troviamo; dobbiamo renderci conto che
così non è più possibile continuare,
dobbiamo disperare di noi stessi per
sperare soltanto e totalmente in Dio.
Anche questa Conferenza distrettuale è un’occasione che ci è offerta di confessare insieme al Signore
la nostra incapacità di rinnovare veramente la Chiesa, e di metterci a
sua disposizione senza riserve perchè egli compia per noi questa
« sua » opera.
G. Rogo
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
n. 175, 8-7-1960
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre Pellice (To>
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Aperto dal 15 luglio al 31 agosto,
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Per informazioni rivolgersi a ; Casa Gay, Via Volta 2; 10066 Torre
Pellice, tei. (0121) 91386, oppure
(0121) 91213.