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Fast. TACCIA Alberto
10060 ANGROGNA
DELLE VAUJ VALDESI
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 99 - Nnin. 6
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TORRE PELLICE — 7 Febbraio 1969
Ammin. Claudiana Torre Pellice • C.CJ’. 2-17557
IL RITORNO ODIATO-AMATO DELLA CELEBRAZIONE DEL XVII FEBBRAIO
Alle origini della stòria valdese
___________________________________àt-___________
In un’opera recente dello studioso tedesco Kurt-Viktor Selge il tentativo |élice di nna nuova sintesi sulle origini del
valdismo - Nel movimento, che agli inizi si sentì parte della Chiesa romafta, confluiscono i due elementi della santificazione personale attraverso la povertà apostolica e della vocazione alla predicazione, con netta subordinazione della
prima alla seconda: e qui sta la validità costante e anche la palpitante''attualità deH’istanza valdese, appunto oggi
Il ritorno odiato-amato della celebrazione (o ricorrenza che dir si
voglia) del XVII febbraio offre ancora una volta l’ocoasione ad una
presentazione di problemi ed aspetti della storia e della vita valdese,
che sono suscettibili di destare l’interesse di qualche nostalgico o curioso. Senza ]>er nulla proporci di contribuire alla creazione fo rafforzamento) di un clima nostalgico, pensiamo che non sia del tutto inutile
la presentazione dei due volumi che
Kurt-Victor Sclge ha consacrato al
valdismo jtrimitivo (Die ersten Waldenser)-, jjarticolarmente interessante il I" (Untersuchung und Darstellung) che in tre ponderosi e ponderati capitoli (in tutto oltre 300 pagine) analizza i principi fondamentali del movimento valdese, alle sue
origini. Ne presentiamo qui le conclusioni su alcuni punti fondamentali, senza entrare in merito, poiché
si tratta di problemi complessi da
affrontarsi in sede critica.
L’uomo (o il nome!)
Del nome il Selge non si occupa;
il testo latino di Durando da Osca
da lui studialo e pubblicato in edizione critica parla di Valdesius, da
lui tradotto in tedesco con Valdes,
grafia adottata oggi da non pochi
scrittori, ma ora rinnegata anche da
alcuni studiosi in favore di Valdesio, clic sembra più adeguata. Noi,
in questa sede conserveremo il nome tradizionale Valdo in attesa di
un consenso piii generale sul nome.
Che dire deH’uomo?
Premesso che la storia valdese comincia di fatto col 1177, anno nel
quale Valdo comincia ad avere un
seguito di compagni nel suo proposito, cosa si può dire di sicuro, oggi, sulla pre-istoria, sulla preparazione jisicologica di Valdo? Su questo punto, nulla di nuovo, anzi nulla del lutto. Un esame approfondito delle fonti ha permesso però al
nostro autore di giungere ad alcune
conclusioni sul modo nel quale Valdo sarebbe giunto alla sua decisione. Occorre lasciare da parte tutte
le leggende care alla nostra infanzia (questo non dovrebbe costituire
un grande sacrificio per la generazione attuale che tutto ignora in
fatto di storia valdese): la conversione improvvisa, il banchetto, la
morte deiramico, la canzone del
menestrello, la patetica reazione
della moglie che ottiene dall’arcivescovo la grazia ; « In questa città
da nessuno otterrai l’elemosina del
cibo se non da me ». Tutta una fioritura di fioretti valdesiani che costituiscono, come osserva acutamente il Nostro: (f / primi tre capitoli
della esistenza di un santo, che non
si è concretata in ima vita compiuta perchè il suo eroe non è diventato un santo ».
Fioretti rimasti isolati, ricordati
dai discepoli ai fini della comune
edificazione, ricorrenti spesso nel
ricco patrimonio delle vite dei santi del Medio Evo.
Che dire dell’uomo?
Poco; ma quel poro è sufficiente
ed interessante.
Valdo era ricco; dominus, signore, lo chiama Durando da Osca che
fu suo fedelissimo per un tempo.
(Avrebbe fatto accogliere le figlie
nell’abbazia di Fontévrault, dove
presero il velo nobili damigelle e
principesse); « lo stesso titolo che
egli adopera quando parla di vescovi, cardinali, persone d’alto rango
sociale ». Apparteneva ai cives maiores di Lione : un ricco e potente borghese del XII secolo.
In fondo, è tutto quello che sappiamo di sicuro della sua vita, prima di quella che siam soliti chiamare la sua conversione. E, tutto
sommato, che cosa potremmo desiderare di più preciso nella sua indeterminatezza delle parole con le
quali Durando da Osca presenta il
maestro nel prologo del suo libro
contro l’eresia càtara?
Dopo aver fatto un arido elenco
di molteplici eresie che attraverso i
secoli hanno travagliato la vita della Chiesa, Durando prorompe: « Ma
il Figlio dell’Altissimo Padre, non
abbandonando del tutto il suo popolo, vedendo le opere dei prelati,
l avidità, la simonia... mandò te.
Signore Valdesio (domine valdesi)
come all’inizio dMa sua predicaziome (aveva magato) pescatori illet
•ièrati, scègtier^^’^ *—----------—
apostolica ».
itS^nelt
L’uomo e la vocazione
Dobbiamo soffermarci su questo
punto così strettamente connesso al
precedente, anche a costo di ripeterci, perchè un suo chiarimento potrebbe gettare una luce notevole sul
contenuto della predicazione di Valdo e sui suoi controversi rapporti
col pauperismo di Valdo stesso e
dei suoi discepoli.
Non sembra potersi dubitare che
la conversione di Valdo sia nata nella Chiesa; egli, ascoltando l’Evangelo « siccome non era molto esperto di lettere, curioso di comprendere quello che dicevano, fece un patto con i detti sacerdoti... ». Poiché
era ricco e non aveva ancora rinunziato ai suoi beni, Valdo fece tradurre le S. Scritture e una raccolta
di sentenze di Padri della Chiesa.
(Nel 1179 egli presenta questi documenti a Roma a dimostrazione
della sua preparazione aH’impegno
ortodosso missionario rivendicato
per lui ed i suoi). Sembrerebbe che
noi ci troviamo di fronte ad una
conversione progressiva, maturata
nella meditazione e nell’approfondimento della conoscenza della Bibbia e della dottrina della Chiesa,
poiché non si potrebbe altrimenti
spiegare come Valdo potesse bruciare le tappe: 1176 (« contratto pala traduzione delle Scritture e decisione di scegliere la povertà della vita apostolica »); 1177 (già vi è un
gruppo di fratelli conseguentemente alia predicazione di Valdo); 1179
(Valdo a Roma con la richiesta di
predicare).
E’ lecito ammettere la validità
deH’affermazione riferita da Durando e approfondita da Selge che
« preti e vescovi hanno ammaestrato Valdo nella conoscenza dell’Evangelo con le loro prediche » (e
non soltanto con le prediche). Naturalmente « la Grazia e le opere
buone le abbiamo ricevute da Dio ».
Il problema che sorge è quindi
rosi formulato dal Selge: Che cosa
sta all’inizio del movimento? Una
decisione che ha quale meta ultima
a vocazione
la personale santificazione con la
connotazione impiescindibile della
vita apostolica v Isslita in povertà, da
cui nasce presto l’tíSigenza della predicazione, conformemente al comandamento del Signore, oppure noi
dobbiamo porre come meta iniziale
di Valdo un universale risveglio mediante la predicazione, per il quale
scopo venne sccilo-idi vivere una vita conforme all'esèmpio della vita
apostolica ?
A risolvere questo problema il
Selge ha praticamente consacrato
tutto il suo studio.
Non possiamo addentrarci in questo esame ma segnalare alcune conclusioni interessanti.^
L’uomo e ìa Chiesa
Valdo non pi di uscire dalla
Chiesa Romana. Mentre tutti gli
eretici cercano iffannosamente una
paternità nella tradizione fuori dalla interpretazione* della Chiesa, se
non addirittura fuori della Chiesa
come quei Catari che egli combatte
e condanna recÀ a’menie. Durando
(fedele •della prailGi oTra; ■ che poi**itornerà all’ovile) proclama orgogliosamente : Noi stiamo nella tradizione della Chiesa.
Valdo non mette in discussione i
sacramenti della Chiesa e riconosce
i diritti della gerarchia. Naturalmente sorge il problema dei rapporti con questa gerarchia, quando essa è corrotta; è questo il ben noto
punto di attrito; ma è anche ben
noto che Roma (1179-80) riconobbe
ai Valdesi « una particolare forma
di devozione », che soddisfaceva ai
desideri di Valdo, ma che fu tenacemente contrastata dalla Gerarchia
ecclesiastica e dopo una lunga serie
di attriti si concludeva con l’anatema di papa Lucio III.
Per quanto possiamo ricostruire
di questi primissimi anni, il movimento valdese è, alle origini, un
movimento di predicazione laica che
vuole operare in seno alla Chiesa:
combatte l’eresia dilagante dei Catari e annunzia l’Evangelo.
Ma come annunzia
l’Evangelo?
Quale è il contenuto di questa
predicazione valdese primitiva?
Cioè, quale è il rapporto tra questa
predicazione e la rinunzia ai beni,
la povertà della vita? Mancano le
fonti scritte; si lavora quindi sui
fatti, scarsi e non sempre chiari, sul
le tradizioni, sulle interpretazion
interessate dei nemici e degli amici
Un biblicisino nel senso moderno
della parola non sembra potersi ri
ferire alla predicazione di Valdo
Siamo quindi sempre ricondotti a
motivo della povertà in rapporto al
la predicazione, tema discusso e mai
risolto per la sua complessità e per
la tendenza comune a certi studiosi
di cedere alla tentazione di inter
pretazioni ideologiche che non tro
vano giustificazione nei fatti. È fuo
ri discussione ormai che i compa
gni di Valdo non appartenevano agl
strati più miseri della popolazione.
* Abbiamo chiesto al prof. Costabel di approfondire, in altri articoli, alcuni dei problemi appena accennati qui; fra gli altri, quello
del rapporto con l’autorità ecclesiastica e quello della relazione fra predicazione e povertà.
N. d. r.
anche se si « tratta di un movimento di laici, fra i quali troviamo anche persone di bassa estrazione ».
Indubbiamente però è significativo,
« ed ha un significato sociologico,
il fatto che improvvisamente uno
strato laicale, finora più o meno muto, prende la parola nella storia ».
L’esigenza della predicazione libera nasce dall’ideale della povertà
apostolica, o viceversa?
Sembra bene che la predicazione
costituisca l’esigenza prima di Valdo: c( Andate », ma quell’insistere
su libera significa: « Liberi da preoccupazioni terrene », rinunzia ai
beni di questo mondo: ogni operaio
merita il suo salario; anche ,il predicatore laico, il fratello predicatore ha diritto al suo salario: l’elemosina; egli non lavorerà manualmente, ma troverà nella carità dei
fratelli il sostentamento materiale
che lo liberi dalle preoccupazioni,
che lo faccia libero.
Sembra che questo sia uno dei
punti fondamentali del Valdismo
primitivo, in contrasto presto con
altri gruppi e correnti che rivaluteràhifd il mvofo manuale.--- ;
Conclusione
Come è noto tutte le illusioni di
una riforma interna della Chiesa, di
una libera predicazione laica di Valdo, furono stroncate; la scomunica
colpì il movimento primitivo che
perde -le sue caratteristiche perchè
costretto ad affrontare la persecuzione; la Chiesa di Roma perse l’occasione « di sfruttare un serio movimento laico che non aveva, all’inizio, nessuna particolare pregiudiziale antiecclesiastica... ».
L. A. Vaimal
JAN PALACH
li giorno dopo la morte di Jan Palach,
gli studenti e i professori della Facoltà
Teologica « Comenius » di Praga hanno
diffuso il seguente documento che mostra
la profonda partecipazione degli evangelici cecoslovacchi al dramma del loro paese.
Il gesto di protesta dello studente
Jan Palach ci ha toccati nella nostra
coscienza. In quanto cristiani non possiamo non considerare questo gesto
alla luce delle parole ; « Nessuno ha
amore più grande di quello di dare la
sua vita per i suoi amici» (Giovanni 15: 13). Nel più profondo della sua
decisione, Jan Palach pensava a tutto
il suo popolo, un popolo che, come ci ha
ricordato nella lettera d’addio, «ha superato il limite della disperazione».
In questo modo Palach si è rivolto al
suo paese e a tutto il mondo per risvegliare da un letargo mortale ciò
che è ancora capace di vivere. Il suo
gesto tragico è un segno di speranza
fondato sulla convinzione che la vita
cambi e si rinnovi in direzione dei diritti inalienabili dell’uomo. Perciò noi
non consideriamo assolutamente quel
gesto come un suicidio. Il suicida si toglie la vita come soluzione estrema a
una situazione personale, per lui soggettivamente insopportabile. Il suicidio è espressione di rassegnazione e lo
si compie come ultima risorsa. Per
molti cristiani che nel corso della storia scelsero volontariamente la morte
era diventato impossibile sopravvivere
fisicamente a prezzo del rinnegamento
dei valori spirituali e morali. Sconfessiamo la condanna gratuita e superficiale del gesto di Jan Palach, fatta in
nome di motivazioni religiose. Il comandamento che dice « Non uccidere » vale anche per l’atteggiamento
che abbiamo verso la nostra propria
vita.. Quest’ordine, tuttavia, è stato
dato in vista della conservazione della
vita. Pertanto risponde meglio ail’in.
tenzione del comandamento colui che
si sacrifica a favore della vita che non
colui che è attaccato alla propria vita.
Non possiamo non dare ascolto alle
parole di Gesù « Chi vorrà salvare la
sua vita la perderà... e che giova al'l’vtómo'se guadagna tutto il ipondo e
perde l’anima sua7» (Marco 8:'35X
Con queste parole non intendiamo
dire che si debba raccomandare la distruzione di se stessi come strumento
di lotta politica. Non accettiamo che il
modo unico in cui Jan Palach ha effettuato la sua protesta venga inteso come un invito a imitarlo. Però la causa
per la quale Jan Palach ha offerto la
sua vita è anche la nostra causa. Vogliamo mandarla avanti nella situazione in cui ci troviamo, con altri mezzi.
Rimane il fatto che il valore reale della vita umana consiste nel servire e sacrificarsi per gli altri. L’atto con cui
Jan Palach ha dato il suo corpo per
essere arso (I Cor. 13: 3) è stato motivato dall’amore. Per questa ragione
noi gli rendiamo onore.
La Bibbia di Olivetano
Nella primavera del 1535, dopo
diciotto mesi di lavoro incessante,
il teologo svizzero Olivetano portò
a termine la traduzione della Bibbia in francese, commissionatagli
dal Sinodo Valdese di Chanforan
(Angrogna) a spese delle comunità
valdesi, che in tempi di persecuzione avevano raccolto e anticipato
per quello scopo la considerevole
somma di 500 scudi d’oro. L’opera
uscì a Neuchâtel il 4 giugno 1535;
ogni volume pesava ben cinque
chili.
Dopo la prefazione in latino di
Giovanni Calvino, Olivetano appose la propria « prefazione francese
di P. Robert Olivetano, umile e
modesto traduttore, alla Chiesa di
Gesù Cristo », in cui scriveva:
« Povera piccola Chiesa, ancora in
condizione servile sotto gli sguardi severi e le gravi minacce di così
numerosi maestri accigliati e adirati! Scuoti la polvere e il fango
dai tuoi stracci che hai lordati nel
tempo in cui, correndo e trafficando, ti aggiravi per i mercati melmosi delle tradizioni vane. Va’ a
lavarti le mani che hai insozzate
per aver compiuto opera servile
d’iniquità. Purificati gli occhi che
hai cisposi per la superstizione e
l’ipocrisia. Vieni arditamente con
i più coraggiosi e gentili della tua
corte, tutti esecrati a causa di Cristo — e non certo per loro misfat
ti! — i cui titoli d’onore sono i
seguenti: ingiuriati, offesi, espulsi,
screditati, imprigiouaii, dannati
nella Gehenna, banditi... coperti
di sputi, incappucciati, tanagliati,
marchiati a fuoco, stirati, trascinati, arrostiti, lapidati, bruciati, annegati, decapitati, smembrati ed
altri simili titoli gloriosi e magnifici del Regno dei cieli... ».
Quella Bibbia fu trasportata dalla Svizzera alle Valli valdesi con
enormi difficoltà attraverso le terre controllate dalla Inquisizione
romana. I volumi furono consegnati nelle mani degli anziani vaidesi riuniti sotto i castagni di
Chanforan; l’assemblea, al colmo
della gioia, piegò le ginocchia e
rese grazie a Dio.
« Povera piccola chiesa », scrive
va Olivetano nella sua prefazione
dedicata alla Chiesa valdese, « veramente questa Parola ti è dovuta,
in quanto essa contiene tutto il tuo
patrimonio. Cioè la Parola mediante la quale, grazie alla tua fede ed
alla tua certezza, nella povertà ti
reputi ricca; nelle tue prove, felice; nella solitudine, bene accompagnata; nel dubbio, rassicurata; nel
pericolo, resa ferma; nei tormenti, alleviata; nei rimproveri, onorata; nella morte, vivificata. Accetta, dunque, piccola chiesa, questo
dono ».
E. R.
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pag. 2
N. 6 — 7 febbraio 1969
Guardando al domani, ricordati!
La predicazione del Deuteronomio mette in guardia dalla tentazione
dell’autarchia il popolo di Dio finalmente libero, alle soglie del benessere
Uno dei libri decisivi della Bibbia
è il Deuteronomio. Esso ripropone
la rivelazione di Dio, pervenuta
per mezzo di Mosè, in un momento
in cui Israele pencola tra una fede
viva e una religione morta: se si
mantiene fedele alla legge del suo
Dio, prospererà; se invece sarà infedele, avrà rovina e sofferenza.
Israele è giunto a un certo punto
del suo cammino ed è il momento
di compiere un passo ulteriore, nella terra promessa : in questo momento il Deuteronomio ricorda al popolo dipende dal modo con cui accetterà il suo destino dalle mani di Dio,
da come camminerà con lui.
La lezione
del passato
Nei capitoli 8-10 vengono presentati avvenimenti accaduti durante la
peregrinazione nel deserto e la conquista della terra promessa; essi
vengono ricordati perchè costituiscono insegnamenti che il popolo deve
ricordare e seguire. E questi insegnamenti nel cap. 8 sono essenzialmente due: 1) Dio ha cura costante per Israele nella marcia verso la
• terra promessa; 2) una volta raggiunta questa terra, i figli d’Israele
non dovranno ritenersi al sicuro e
in pace in mezzo alla ricchezza e
all’ahbondanza dei prodotti del paese: sarebbe un peccato d’orgoglio,
una deificazione della loro forza, il
loro Dio non sarebbe un peccato
d’orgoglio, una deificazione della laro forza, il loro Dio non sarebbe
più Jahvé, ma sarebbero dio a se
stessi.
« Ricordati » : la chiamata a rinfrescare la memoria del passato, non
per piangere sulle sventure o per
compiacersi dei trionfi della loro
storia, ma per riflettere sul senso
della marcia nel deserto. Questo è
servito a Dio per <( umiliare » Israele e metterlo alla prova, ossia per
insegnargli che cosa vuol dire non
contare su sè stessi, ma dipendere
radicalmente dal Signore: il deserto è stato insomma lo strumento adoperato da Dio per individuare i motivi reali che legavano il popolo a
lui.
E più precisamente, il mezzo usato da Dio per « umiliare » il popolo
è fargli provare la fame, calmata
soltanto quando Dio provvede la
manjia, un cibo strano e conosciuto,
mai apparso prima e che non apparirà più quando entrano nel paese.
Perchè Dio fa soffrire la fame al
popolo? per legarlo a sè con un ricatto? (la fame conduce a forme
di schiavitù). « Per insegnarti che
l’uomo non vive di solo pane, ma
di ogni cosa che procede dalla bocca di Jahvé ». Ciò non significa che
l’uomo vive di cose spirituali e non
di cose materiali: l’uomo non vive
soltanto di pane, ma di ogni cosa
che proviene dalla bocca, dal comando creatore di Jahvé: anche il
pane gli viene da Dio. L autosufficienza, l’autarchia di Israele viene
in questo modo umiliata: prima perchè si trova nel bisogno, e poi perchè viene saziato con un cibo totalmente nuovo, espressione diretta
dell’intervento di Dio. Ma il pane
non è il solo nutrimento dell’uomo,
non esaurisce gli altri impulsi della
natura umana né tutte le situazioni
della vita: il vuoto, la disperazione,
la solitudine, il dolore, la gioia, le
frustrazioni, le ingiustizie, le sopraffazioni. Ciò che noi chiamiamo
l’alienazione dell’uomo, cioè la sua
disumanizzazione, non può certo venire saziata dal pane. L’esistenza di])ende interamente e in ogni momento dalla volontà attiva di Dio.
una vita piena e completa è in diretta proporzione alla nostra risposta aperta, libera e consapevole alle parole, alle indicazioni e agli atti
di Dio. Tutto ciò che procede dalla
bocca di Dio è altrettanto essenziale alla vita dell’uomo quanto il cibo
e il vestiario; e sono queste « parole
di Dio » a conferire valore e significato all’esistenza umana. Noi non
ce ne accorgiamo, perchè la fame è
uno stimolo istintivo e violento,
mentre i bisogni extrafisici si mani
festano in modo meno drammatico.
Ma ciascuno sa che sono altrettanto
se non più urgenti degli altri.
La lezione
del futuro
L’esperienza del deserto è stata
' utile, se non piacevole. Soprattutto
è stata una preparazione per l’entrata nella terra promessa. La Palestina non era ricca come certi paesi europei o americani di oggi, nè
come l’Egitto o la Siria di allora,
ma per l’israelita era certo enormemente più ricca dei 40 anni della
sua vita nomade nel deserto: per
lui era una buona terra, ed egli
l’avrebbe amata. E’ una terra che
supplirà a ogni loro bisogno (« paese dove mangerai del pane a sazietà,
dove non ti mancherà nulla »); una
terra per la quale di nuovo Dio richiede che la si prenda come un dono suo, un segno del suo amore per
il popolo (« benedirai Jahvé a motivo del buon paese che t’avrà dato »).
Ma il grosso pericolo che incombe è appunto l’orgoglio che viene
dalla prosperità e che riposa sul fatto che si dimentica che essa non è
l’opera delle nostre mani, ma è l’opera di Dio. Quando avranno mangiato a sazietà, costruito e abitato
delle belle case, accresciuto i loro
averi e non mancheranno più di
nulla (v. 12-13), proprio allora dovranno stare attenti. Perchè quello
è il momento in cui si comincia a
contare su noi stessi e a dimenticare
il datore di ogni cosa, quel Dio che
ci ha soccorsi quando eravamo nel
bisogno (v. 15-16). L’orgoglio è tanto più insidioso perchè non vede più
il dono di Dio, ma divinizza la fatica dell’uomo: « Guardati dunque
dal dire in cuor tuo: la mia forza e
la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze »
(v. 17). Ciò che Israele ha ed è non
lo deve a sè stesso, ma alla fedeltà
e alle promesse di Dio.
Ecco uno dei punti su cui la Bibbia si esprime con maggiore forza
e chiarezza : il benessere non è visto come un diritto naturale, ma come un dono di Dio. Perciò l’uomo
deve vigilare : una « società opulenta » comporta pericoli per la fede.
Più un uomo è benedetto da Dio,
più tlovrebbe essergli riconoscente;
invece, per una stortura dell’animo
umano, più è benedetto e più si volge verso sè stesso. Non è il benessere a uccidere la fede, ma il tc non
ricordarsi di Jahvé, dimenticare
che noi siamo soltanto gli amministratori dei suoi doni. Chi considera opera sua le ricchezze, si attacca
ad esse con idolatria e disperazione
e la sorgente della generosità si secca : sopravviene quella che gli scrittori biblici chiamano la durezza di
cuore. L’uomo che a si fa da sè »
giudica inetti o inferiori gli uomini che non sono « riusciti ». Si verifica quindi la frattura fra gli uomini, l’amore del prossimo cede il
posto alle divisioni, alle ingiustizie,
ai conflitti di classe, alla visione
materialistica della vita. ìNon piii
Dio, ma il denaro appare il mezzo
per assicurare la vita, la potenza, la
pace. Ora che Israele è al sicuro, rischia di capovolgere i valori assegnati da Dio aU’universo; svanisce
il ricordo del tempo in cui la necessità spingeva a guardare a Dio
come all’unica certezza dell’esistenza. La dura esperienza del deserto
portava a un rapporto con Dio più
sincero che non la sicurezza della
terra promessa.
Il capitolo si chiude con un avvertimento chiarissimo: se Israele
dii7ienfica Jahvé e va dietro ad altri dèi, perirà come quei popoli che
Jahvé fa perire davanti a Israele.
Non si può infatti dimenticare Dio
e restare in una posizione neutra:
dimenticare Dio significa che seguiamo altri dèi. Se Israele agisce
in questo modo, il senso della sua
elezione e della sua esistenza viene
completamente distorto e rigettato,
e non ha maggiori ragioni di sussi
stere di quanto ne abbiano le altre
nazioni che Jahvé distrugge davanti a lui. Se questo accadrà, il senso
è chiaro : non hanno saputo ascoltare.
Quando ci fermiamo
a ricordareJ
Anche a noi succede talvolta di
fermarci a ricordare un momento
particolare della nostra storia. Ricorderemo il nostro deserto — i periodi difficili — e l’arrivo nella terra promessa — i periodi di sicurezza. Noi pure corriamo dunque il
pericolo di considerare la raggiunta tranquillità come opera nostra e
di celebrare noi stessi anziché ricordare Colui che ha donato tutto
questo. Oggi possiamo dire che non
ci manca nulla: siamo sazi e abitiamo belle case, i nostri beni (mobili e immobili) si sono accresciuti,
abbiamo sicurezza e pace (v. 13).
Ma se tutto questo viene prima di
Dio, o prende il suo posto, certo
periremo, come perirono le nazioni pagane davanti a Israele, perchè
....
non avevano Jahvé come Dio, ma
altri dèi.
Nella terra promessa è invece più
urgente che mai richiamarci al Signore; perchè ricordare non è vivere di ricordi, non è commemorare
(si commemorano solo le cose morte), non è « conservare » la verità
di Dio celebrando noi stessi e confinando Lui in un ruolo senza storia. Ricordare è invece « ritrovare »
la verità di Dio oggi, nel pensiero
di ciò che ha fatto ed è stato per
noi in passato; riconoscere che non
possiamo essere autosufficienti, ma
che abbiamo bisogno del suo cibo;
sapere che non possiamo vivere di
solo pane, ma di ogni parola di Dio;
riconoscere che se siamo nella terra promessa, questo non è opera
delle nostre mani, ma opera sua.
Non si tratta di ricordare la marcia nel deserto seguita dall’ingresso
in Canaan, ma di riflettere sul senso
delle due cose. Quindi non autoesaltazione, ma sottomissione a Dio;
confessione del peccato d’orgoglio e
d’egoismo; umiliazione perchè non
siamo capaci di rispondere con energia e coerenza alla chiamata rivoltaci; richiesta di perdonarci la nostra infedeltà; e la preghiera perchè risvegli il suo popolo al ricordo
di Lui e non lo faccia perire, lo risvegli a una fede operante e viva e
non lo abbandoni a una tradizione
morta e inutile. Chi è ricco (Luca
6: 20) o si crede tale, non possiede
il regno di Dio.
Renzo Turinetto
L’OPUSCOLO
DEL XVII FEBBRAIO
AUGUSTO ARMANO HUGON
La Riforma in Piemonte
Vicende e personaggi
16 pp., L. 100
— Presso la Società di Studi Valdesi,
la Claudiana, le Comunità.
AL CENTRO “P. ANDREETTl
DI S. FEDELE INTELVI
Mogia e ^
élla rivoinzione ieri e oftì
Al Centro evangelico cc Pietro Andreetti »
di San Fedele Intelvi, in provincia di Como, si terrà dal 23 al 25 febbraio un con-,
vegno teologico dal tema: «Teologia e predicazione della rivoluzione, ieri e oggi ». Al
convegno interverranno il prof. Alberto Soggin, della Facoltà valdese di teologia, il pastore Paolo Ricca della chiesa valdese di
Torino e il prof. Ugo Gastaldi di Milano,
Il programma prevede alcune lezioni sul
profetismo rivoluzionario dell’Antico Testamento e sull’utilizzazione per la predicazione di questi testi oggi (A. Soggin); un esame storico del fenomeno rivoluzionario dalla
Chiesa dei primi secoli all’anabattismo (U.
Gastaldi); uno studio storico-teologico della
predicazione rivoluzionaria dell’epoca della
riforma, deH’anabattismo e di oggi (P. Ricca). Le adesioni a questo convegno vanno
indirizzate al past. T. Soggin, via T. Grossi,
17, Como, entro il 13 febbraio.
........IIIIII1......Ili.......Il
IL RISVEGLIO NELLE VALLI VALDESI
Fratti della contestazione di un secnin fa
Alle Valli pochi decenni prima della
Emancipazione c’è un gran vuoto spirituale, celato da una crosta di formalismo ecclesiastico; il montanaro valdese va al culto ma pensa molto più
all’osteria, al « taulas » o tiro al bersaglio, prediletto sport di un popolo per
cui la guerra è da secoli una condizione naturale ; cos’: scrive lo Spini nel
suo volume «Risorgimento e Protestanti » richiamandosi probabilmente
allo scritto dì W /T^eille sul « Risveglio » al quale athiUgiamo queste notizie.
In quel tempo si ricorda di più il
prestigio delle armi di Arnaud che la
fede che lo spinse a conquistare le
Valli. Ci si preoccupa della rispettabilità, dell’ordine, dei regolamenti, ripartizione di sussidi mentre l’attività
pastorale tende maggiormente ad un
discorso morale che a convertire le
anime. Si giunge al punto di ridurre il
culto domenicale e di eliminare talvolta « la priera » per il tiro al bersaglio che attira molta gente anche dalla pianura. La pietà è morta mentre
il disordine morale e l’usura trionfano.
Il pastore predica, il popolo ascolta, il
concistoro si raduna e nient’altro.
FÉLIX NEFF ALLE VALLI
Intanto a Ginevra nasce un piccolo
nucleo di « risvegliati » influenzati dal
pietismo, dai fratelli Moravi e si ritrova alla cappella di Bourg du Four ; anche a Ginevra la chiesa ufficiale reagisce a questo moto di rinnovamento ma
10 Spirito è all’opera e le gerarchie non
possono, per fortuna, fermare la potenza della Spirito. César Malan, Vinet. Ami Bost e Félix Neff danno
un’impronta decisiva al « risveglio ».
11 Neff è per noi il più noto : egli compie un ministero audace nelle antiche
valli valdesi di Fressìnière e del Queyras, dove, in pochi anni trasforma le
bettole e le baite in luoghi di canto e
di preghiera lanciando le pattuglie dei
catecumeni nell’opera di risveglio.
« L’apostolo delle Alpi » in un ritaglio
di tempo visita le Alpi e mentre scende dal Colle della croce esclama : « Oh
Gesù, o sole divino, non rischiarerai
tu questo popolo infelice? L’ha tu lasciato in balìa di Satana per sempre?
E tu umile vallata, irrorata dal sangue
di tanti martiri, sei tu diventata terra
arida? Signore ricordati delle tue compassioni e restituiscile il tuo candeliere ! ».
Il Neff predica a San Giovanni, Torre e San Germano su testi come la visione degli ossami, accendendo nelle
comunità visitate piccoli fuochi, seppure nel clima d’una reazione penosa
dei Concistori e deila Tavola, nonché
degli adepti delle bisbocce domenicali
all’osteria, che distribuiscono legnate
ai « risvegliati » e ne lasciano uno mezzo morto per la strada. Più tardi i Vaidesi useranno le stesse armi verso i
salutisti nei primi approcci con le nostre comunità. Anche le autorità appoggiate dal clero valdese sono prodighe di misure restrittive verso gli
adepti perché ritenuti rivoluzionari
pericolosi. Il Neff si esprime duramente verso il nostro popolo in quel tempo ed esclama: « Agli dei martiri, fieri
della loro santa origine, la memoria
dei loro antenati di cui si vantano si
erge contro di loro ».
NASCONO LE RIUNIONI
QUARTIERALI
Ma forse Dio non ha ancora respinto il suo popolo per sempre...
Frattanto il gruppo dei « risvegliati »
si consolida soprattutto a San Giovanni e grazie alla collaborazione di M.
Blanc, amico del Neff, hanno inizio le
prime riunioni alla « Garola » di San
Giovanni, nella stalla di J. Blanc, nella casa del maestro Caffarel e alla « camera alta » di Torre Pellice. Le_ riunioni dei « risvegliati » danno origine
a queUe che saranno le riunioni quartierali tuttora ben frequentate, specialmente, nelle zone di montagna. È
commovente assistere alle riunioni dei
« dissidenti » dove si ha sete di udire,
di essere istruiti, piccoli e grandi, dove
si canta con gioia e dove gli incontri
durano sino alle due di notte...
Anche un gruppo di giovani entra
nel gruppo, in un ambiente che irride
e sbeffeggia se non si balla e non si va
all’osteria; da Ginevra un valdese di
86 anni, originario delle valli, supplica
il suo popolo di restare collegati al Cristo come il tralcio alla vite nella fiducia di poter vedere, prima della morte,
il risveglio del suo popolo amato... Tra
gli altri ricordiamo il maestro Daniele
Melile e il contadino « Barba » David
Lantaret. L’influenza che essi esercitavano nella scuola e nella comunità di
S. Giovanni non sfugge al Concistoro
che ordina al maestro di frequentare
i luoghi dei divertimenti « onesti » anziché insegnare i cantici ai « risvegliati », se voleva conservare il suo posto.
NASCE
LA SCUOLA DOMENICALE
L’anziano Lantaret dovette rendere
ragione della sua condotta a favore
dei dissidenti, ma continuò ugualmente la sua missione e creò per primo la
Scuola domenicale per piccoli e grandi ai Bellonatti ; ma poco dopo il Concistoro proibì, all’anziano di servirsi
della sala per la sua Scuola domenicale mentre il Pastore Mondon arringava dal pulpito il « barba » Lantaret
con queste parole : « Gridate pure contro la danza quando è contraria al pudore ma non disapprovate un tal divertimento quando è decente... quanto
ai giochi militari che si fanno la domenica sapete che sono un modo_ innocente per onorare l’Iddio altissimo
che benedisse le armi dei nostri antenati (sic)... perché è per mezzo delle
armi benedette che possiamo fruire
d’una patria... ».
NASCE LA FESTA DEL XV AGOSTO
E L’INTERESSE MISSIONARIO
Ormai la rottura era inevitabile : nel
1831 il 15 maggio sorgeva una comunità di dissidenti a S. Giovanni e da
questo momento le bastonate, il lancio
di pietre, l’intervento della poliz’a sono all’ordine del giorno anche se il
comandante di Pinerolo si rende con
to, meglio dei Valdesi, che i dissidenti
sono gente per bene animata da un
santo zelo per il Signore. Digiuni e preghiere sono praticati dai risvegliati,
quale segno di umiliazione e nella linea della più pura tradizione valdese
e biblica. Le loro riunioni danno poi
origine alla grande adunata di risvegliò del XV agosto tuttora tenuta dal
nostro popolo. Il movimento si avvia
verso un’attività concreta sotto il profilo sociale e missionario : i poveri.
i disoccupati sono oggetto dell’ interesse delle comunità; l’interesse
per le missioni è molto vivo e si lancia a San Giovanni una colletta per le
missioni alla quale il Concistoro si oppone e la vieta. Eppure grazie ai dissidenti l’interesse per le missioni cresce e grazie a loro i Valdesi si aprono alla vita delle missioni. Il movimento si estende nelle valli e ci è caro
ricordare nomi dì quelli che ospitarono gli eretici del risveglio: a Rorà,
Giovanni Mourglia e J. Jacques Canton; al Villar, P. Daniele Salomon; a
Bobbio, un certo Lausarot; a San Germano, Vinçon e all’Inverso Pinasca le
famiglie Griset e Giacomo Long; all’Albarea, un Bounous; Pons al Petit
Passet; Menusan al nido dell’orso e
Bergier a Prali, Indiritti ; a Pomaretto
nella casa di Giovanni Balma ed a
San Germano un certo Combe oltre ai
Vinçon. Purtroppo la Tavola vigila e
ordina che se un maestro di quartiere
ospita i « dissidenti », perderà il posto.
Accanto alle luce dell’opera dei risvegliati ci sono anche alcune ombre : il
rigorismo morale fanatico comporta
uno spirito di giudizio eccessivo per
cui incontrando una donna con un fascio di legna essi l’esortano a non dimenticare il fascio dei suoi peccati oppure ad uno che taglia un albero si ricorda che « la scure è già messa alla
radice deH’albero » e cosi via.
Il movimento può essere criticabile
per la sua asprezza nella critica, per
una certa violenza verso una chiesa di
inconvertiti, ma è stato comunque un
messaggio salutare per il popolo valdese, per cui, come afferma W. Meille
nel suo opuscolo sul risveglio, se Beckwith ha trovato rispondenza tra il popolo nell’ ammonirlo col suo famoso
detto « o sarete missionari o nulla » lo
si deve al Risveglio che ha trasformato molti cuori dei nostri contadini e
li ha preparati alla missione nella nostra terra.
Una fede tiepida si contenta di politica valligiana e dei propri interessi
ecclesiastici e privati mentre una fede
ardente diventa profetica e si espande
dovunque.
Questa è la preghiera che rivolgiamo
al Signore: Manda Signore il tuo Spirito Santo nella nostra chiesa, nel cuore nostro perché la nostra Chiesa sia
sorgente di iniziative, di interesse vivo
per l’opera sua di predicazione delTevangelo, e di rinnovamento di tutta la
chiesa in vista del Regno che viene.
Se questo non avviene la festa del
XVII diventerà sempre più una stonatura in una comunità che non accetta
il rinnovamento dello Spirito Santo.
Gustavo Bouchard
DONI ECO-LUCE
Da Roma: Rosa G.uliani .700; Gino Ginvannini 1.000; Aldo I.ong .700; Anna Tilli
.700; Ernesto .Soinmani .700; Sacci Girardet
.700: Ines Easnlo .700; Claiidino Paolucci
.700; Raffaele di Ballista .700; Umhcrlo Savoia .700,
Da Genova: Federico Schenone .700; Bruno l,oml)ardi Roccia 500; Arluro Peyrot
.700; Bruno Ispodamia 1.000; Renato Pam
puro ,700; Felice Cananeo 500: Ettore Bounous 500; Armando Peroni .700; Annunciato Doria .700; Alberto Durand 500; Carlo
Ispodamia ,700; .Jenny Cionini 500.
Grazie! (continua)
12221870
3
7 febbraio 1969 — N. 6
pag
QUALE ECUMENISMO?Coi cattolici
« Cristo ci ha affrancati perché
fossimo liberi; state dunque saldi e non vi lasciate di nuovo porre sotto il giogo deUa schiavitù »
(Gal. 5: 1)
Intorno a questa affermazione dell’apostolo Paolo doveva svilupparsi la
riflessione comune ed ecumenica, fra
cattolici e protestanti, durante la
« Settimana universale di preghiera
per l’unità dei cristiani », organizzata
a Roma dal 18 al 25 gennaio scorso.
Le due funzioni liturgiche si sarebbero dovute tenere il 18 gennaio nella
Chiesa cattolica di S. Maria in Cosmedin, con la predicazione di un pastore
evangelico (Mario SbafH), e il 25 gennaio nella Chiesa valdese di piazza
Cavour, con la predicazione di un sacerdote cattoiico (Carlo Martini),
La liturgia di questi incontri prevedeva anche delle preghiere in cui officiante e assemblea avrebbero partecipato in forma di responsorio. Il tema
centrale delle preghiere consisteva
fra l’altro nel confessare i « peccati
contro l’Unità », nel riconoscimento
delle attuali divisioni confessionali e
nella loro condanna, in quanto « ostacolo alla testimonianza dell amore e
dell’espansione del Vangelo nel mondo ». Si è pertanto chiesto al Signore
di radunare il suo « gregge disperso »,
« affinchè la Chiesa di Dio, tormentata
dalle divisioni, ritrovi la sua unità nella libertà di Cristo ».
* * *
A questa iniziativa ecumenica però,
concordata fra il CEO e la gerarchia
cattolica, dunque a livello di vertici,
non tutti gli evangelici romani hanno
risposto unanimemente. Una parte di
loro ha infatti criticato fortemente sia
la forma con cui sono stati presi i contatti fra cattolici e protestanti, sia il
modo in cui si è stabilito il contenuto
delle preghiere stesse. Così un gruppo
di evangelici e di cattolici del dissenso
romani ha deciso di non parteciparealla funzione ecumenica in programma
per il 18 gennaio nella Chiesa cattolica
di S. Maria in Cosmedin.
Ed ha invece distribuito un voiantino, all’ingresso della Chiesa, nel quale si esprimeva il rifiuto del « trionfalismo ecumenico » per la convinzione
che «la preghiera comune deve essere
espressione di una fede in Cristo maturata attraverso incontri già portati avanti a livello di comunità » e in cui
si affermava inoltre che « il clima di
apertura ecumenica non può consentire il soffocamento dei nuovi tentativi
di esperienza cristiana che nascono
nella realtà attuale ». Infine veniva
denunciato l’odierno ecumenismo come distrazione « dei cristiani dai luoghi di divisione e di lotta » e come
«copertura alla situazione di complicità oggettiva in cui le Chiese si trovano implicate con le strutture oppressive della società ».
Nello stesso tempo si cercava di
spiegare a tutti coloro che entravano
in Chiesa il significato del dissenso
e il valore della funzione. Intanto iniziava la liturgia, con la recitazione di
alcune preghiere e del Credo apostolico, dove si affermava peraltro: «credo... la santa Chiesa cattolica» (cioè;
universale?), per giungere al momento
della predicazione, sul testo di Gal.
5/1, del pastore Sbafiì. Al termine del
suo sermone. Paolo Spanu, pastore
della comunità battista romana della
Garbatella, chiedeva la parola « in nome dell’amore e della libertà » che erano stati predicati. A questo punto, invece di concedergliela o di rifiutargliela, consultando l’assemblea, roflìciante
cattolico ha cominciato a recitare la
preghiera litanica, incoraggiato da
qualche presente che invitava tutti
senz’altro a pregare. Nel frattempo un
commissario in borghese si avvicinava
a Paolo Spanu e lo invitava ad uscire
dalla Chiesa per seguirlo in commissariato.
I presenti, da questo momento, si
sono completamente disinteressati di
quanto accadeva, fino al termine della
funzione, mentre il gruppo di evangelici e di cattolici del dissenso, che avevano distribuito il volantino ed avevano sostato fuori dalla Chiesa, seguiva il pastore Spanu fino alla macchina
della polizia, impedendo che fosse portato in commissariato.
Informato dell’accaduto, il pastore
Sbaffì garantiva poi personalmente
alla polizia per il pastore Spanu, permettendone l’immediato rilascio.
« * «
In seguito a questi fatti veniva convocata per giovedì, 23 gennaio, nella
aula magna della Facoltà di Teologia,
una assemblea a cui tutte le coinunità evangeliche romane erano invitate,
per discutere sul senso della seconda
funzione ecumenica, se cioè accettare
la celebrazione cos i com’era prevista
0 tentare di modificarla, dandole una
forma e un significato diversi. L’assemblea riunitasi non si riconosceva
però autorizzata a prendere delle decisioni sul mutamento del programma
anche a nome degli assenti, per cui fu
semplicemente avanzata una proposta di modificazione del programma.
Tale proposta consisteva nel trasformare la predicazione di don Carlo Martini in un suo intervento limitato, a
cui affiancare altri interventi che restassero nel tema della libertà ricevuta da Cristo, per iniziare una conversazione comune vincolata però alla lettura del Nuovo Testamento.
A questa proposta, appoggiata dalla
maggioranza dell’assemblea, alcuni pastori presenti, anche a nome del Consiglio dei pastori di Roma, hanno ribadito che la riunione ecumenica non
Mai come in quest’anno di contestazione la “settimana dell’unità,, è stata vissuta con intensità dagli evangelici romani - Fratelli separati in Cristo, cattolici e
protestanti reagiscono aH’ecumenismo facile e cer
cano la via più difficile dell’incontro vero, aperto,
leale, fra loro e con il mondo contemporaneo
poteva subire mutamenti e che il programma andava seguito fino in fondo.
Inoltre il pastore Ribet, della Chiesa
di piazza Cavour, ha precisato che essendo la sua comunità direttamente
responsabile dell’andamento della fun
II portone della chiesa valdese di piazza Cavour: chiuso airecumenismo liturgico e a
quello contestatario,
zione, che appunto in quel tempio si
doveva celebrare, egli non poteva concedere la Chiesa, per un programma
diverso, senza aver almeno convocato
il consiglio di Chiesa.
Anche se cosi non si giunse ad alcuna decisione, al termine dell’assemblea si sono potute comunque constare diverse, e a volte alternative, posizioni sul problema dell’ecumenismo oggi, in seno alle comunità evangeliche
romane.
In ogni modo per il sabato 25 la funzione venne sospesa, in seguito a una
decisione presa in sede di Consiglio di
Chiesa di piazza Cavour e in sede di
Consiglio dei pastori di Roma. Di
fronte a questa situazione lo stesso
gruppo di evangelici che aveva disertato la funzione ecumenica della settimana precedente, decise di riunire le
persone, giunte per la funzione, nell’aula magna della Facoltà di Teologia.
Poiché mancava un programma la
riunione fu caratterizzata da interventi liberi, in cui si cercava di chiarire il senso deirecumerdsmo e i suoi
possibili sbocchi operativi, anche se
solo in linea generale e senza alcun
riferimento diretto alla situazione romana.
In questo senso sono emerse di nuovo diverse posizioni e il dibattito ha
messo in luce quali difficoltà fondamentali impediscono un incontro effettivo e valido. Da parte cattolica,
alcuni sacerdoti e in particolare il
professor Witte, si è sostenuta la tesi
per cui, nell’ambito ecumenico, si possono fare dei passi avanti verso una
unità ecclesiale anche senza abdicare
alle proprie confessioni di fede, ma
semplicemente evitando di porre l’accento sui motivi di divisione per insistere invece sui motivi di unione.
Da parte protestante, e in particolare il professor Subilla, si è sostenuto
che oggi per procedere insieme veramente verso Cristo è necessario un
criterio, un orientamento, una bussola
con cui controllare l’andamento della
marcia e con cui correggere semmai le
eventuali deviazioni, gli allontanamenti dal giusto senso indicato.
Si è anche sostenuto, diversamente
da queste valutazioni, che il problema
della divisione non può essere affrontato solo a livello teologico-confessionale, ma anche a livello politico-sociale.
Per cui le divisioni più tragiche oggi
di fatto non sono solo quelle che separano i cattolici dai protestanti, ma
quelle che antepongono nella nostra
società chi ha il potere a chi non ha il
potere, e in cui anche i cattolici e i
protestanti sono corresponsabili e partecipi in entrambe le forme.
La riunione è terminata senza precise indicazioni, ma col proposito di
ritrovarsi il sabato successivo per iniziare una serie di contatti più approfonditi e dettagliati, sul problema dei
rapporti ecumenici fra le varie confessioni cristiane.
Trarre da queste brevi note di cronaca un senso sull’andamento dell’ecumenismo e sul suo futuro, una valutazione del presente in vista deH’avvenire, non è forse compito da affrontarsi
in questa sede. Tanto più se già altri,
e più qualificati, percorrono questa
strada. Tuttavia vorrei porre degli interrogativi, delle questioni riguardanti appunto la nostra situazione, le nostre responsabilità, coscienti o meno.
accettate o no, circa il carattere e la
piega che gli ultimi avvenimenti ecumenici dimostrano di aver preso.
Vent’anni or sono, nell’immediato
dopoguerra, ci si poteva augurare che
l’ecumenismo riuscisse effettivamente
ad « indicare le nuove vie della confessione di Cristo » e a portare la cristianità ad un ripensamento totale delle
proprie posizioni. Si auspicava perciò
un ecumenismo come momento di
maggiore riaccostamento ed obbedienza a Cristo. Ma si avvertiva giustamente che « TEcumenismo non è prima di
tutto e sopra tutto ricerca dell’unità:
l’unità per l’unità non è un criterio religioso e non costituisce il fatto differenziativo della Chiesa ».
Il frutto di questo ventennio, viceversa, non è proprio un ecumenismo
sempre più orientato verso l’unificazione delle Chiese, verso la pianificazione
della cristianità nella prospettiva di
un fronte unito e organizzato e nel
tentativo di rendere visibile agli occhi
del mondo una cristianità che di fatto
non è più rilevante nel contesto delle
formazioni sociali contemporanee?
Si diceva ancora ; « il movimento ecumenico non può f.'àsere ridotto ad un
opportunismo, a uno strumento politico »^ Ma oggi non si deve forse affermare definitivamente che una delle
non poche espressioni deH’ecumenismo è proprio la risposta funzionale
alle odierne tendenze di unificazione
economica, social.i, culturale, ecc. presenti nel nostro occidente borghese?
Non va detto che tanto il C.E.C quanto il Vaticano generano, con i loro
rapporti, una serie di strutture, certo
efficienti, ma straordinariamente simili alle strutture di tutti gli enti di
collaborazione internazionale e con le
caratteristiche a loro generalmente
proprie: centralismo burocratico, povertà di pensiero, uniformità socio-politica alla classe dirigente, ecc.?
Ricordiamoci del comportamento
del C.E.C. a Heraclion e delle sue fa
vorevoli affermazioni verso la Populorum Progressio, al tempo del viaggio
di Paolo VI a Bogotá!
W: * *
Se dunque si pensava al movimento
ecumenico come alla possibilità di ritrovare insieme un nuovo cammino
orientato verso l’Evangelo in una nuova sottomissione ad esso, da tutte le
parti, oggi si deve realisticamente riconoscere che il comune cammino è semmai orientato verso la Chiesa, per edificarne una più « funzionale », più
« cristiana », più « unita » — ma non
più obbediente.
Così pure la teologia dell’ecumenismo è anch’essa « unidimensionale »,
com’è « unidimensionale » la strategia
dell’ecumenismo. E anch’essa rappresenta un tentativo sincretistico, uno
sforzo addizionistico — anziché essere
l’espressione di un atteggiamento critico, atto a denunciare ogni copertura,
tanto religiosa che politica o economica, infiltratasi nel movimento ecumenico.
Ma questo ecumenismo, e la sua teologia, si scontra ulteriormente con un
altro ecumenismo, per ora genericamente detto del « dissenso ». Un ecumenismo che non aspetta, per muoversi, i comunicati ufficiali di entrambe le
parti, ma aspira a un lavoro e a un
incontro del tutto spontaneo, non di
maniera. E di fatto esso si pone come
alternativa alla versione ufficiale, però
scialba, dell’ecumenismo verticistico.
Comunque sia, anche se le previsioni
più caute cedono al sospetto, è forse
possibile sostenere che l’unità è cosa
del futuro o addirittura, come credeva
Barth, « non si realizzerà che qualche
giorno prima del ritorno di Cristo ».
Nel frattempo sono possibili dei frammenti di unità, ma realizzati con ogni
attenzione e soprattutto senza mancare mai, da una parte e dall’altra, di
sincerità e di lealtà. Perché tanto cattolici quanto protestanti siamo entrambi « fratres seiuncti in Christo »,
fratelli separati in Cristo.
Questo però significa rifiutare ogni
occasione di ecumenismo facile, per
tentare di affrontare la difficoltà dell’incontro. E significa anche rivolgere
l’attenzione non all’edificazione di una
Chiesa, bensì alla funzione che la
Chiesa ha oggi di fatto nella società,
per scoprire cosa chiede la società alla
Chiesa e cosa invece la Chiesa dovrebbe, e non sa, dare alla società.
Carlo Gazzola
a Cerignola
Per il sesto anno consecutivo l’incontro
è avvenuto venerdì 24 gennaio a livello di
Comunità. Da parte Valdese non c’è stato
il pari consentimento, i nostri contestatari
avevano le loro ragioni da vendere, i tenaci,
ed io ero fra questi, non lo nascosi, nel mio
preambolo al messaggio, davanti all’uditorio
predisposto ed attentissimo.
Ho l’impressione che quest'anno vi è stata una più chiara coscienza comune verso ciò
che ci unisce : Cristo quale fondamento unico della fede e della speranza. La prima
parte la svolsi io mentre Don Vito Ungaro
concentrò sul secondo tema i pensieri dei
credenti.
11 canto di inni precedentemente preparati, e che comparivano su fogli poligrafati
insieme a quello dell’ordine liturgico, le
letture fatte da laici delle proprie Comunità e le preghiere lette e concluse col Padre
Nostro conferirono allincontro un carattere
comunitario assai simpatico. Ci fece piacere la richiesta, da parte di giovani cattolici,
a non limitare ad una volta all’anno questo
tipo d’incontri o di studi in comune della
Parola.
I nostri contestatari penseranno che questo loro vecchio Conduttore, che a Cerignola ebbe a subire non poche mortificazioni
quando trionfava l’era costantiniana e d cattolici marciavano al passo dell’oca benedicendo l'uomo della provvidenza, soffra ora
di senili complessi. Lo pensino pure. Io
traggo ispirazione da un uomo che ci ha
lasciato il più ricco epistolario della sua
missione negli anni 60 dell’era cristiana il
quale per l’eccellenza ddUa conoscenza di
Cristo doveva sentire fortemente il distacco
dai riti e dalle cianfrusaglie ma finche potè, senza abbassare mai la bandiera del messaggio cristocentrico, si servì della Sinagoga. Traggo ispirazione da quella pagina,
I Corinzi 13, in cui la gloriosa scoperta della carità di Cristo diventava per lui forza
onde guardare più in alto e più avanti con
speranza, senza alcun pericolo di un embrassons-nous che lo faceva essere un contestatario irreducibile e al tempo stesso un
evangelizzatore ineguagliahile.
Quando si è sul campo si ragiona col metro dei fatti, le ideologie le mettiamo da
parte e andiamo avanti approfittando di tutte le occasioni per insistere e predicare la
Parola a tempo e fuor di tempo.
■■ G. E. Castiglione
iviniimiiiiimimimimiiiiiiiiiiiiimiiKiiimiiimitiiiiinuimiimiimiiiuiimimniiiiiimii. immmmimimuii'
LETTERA APERTA DELLA COMUNITÀ VALDESE DI PALERMO ALL’ARCJl/ESCOVO CARD. CARPINO
Il consueto trionfalismo
‘ Chiamati a libertà”, un tema che evidentemente non garbava alla curia palermitana - A sinistra di Atenagora non si va
A S. E. il Cardinale Carpino
Curia Arcivescovile
Palermo
Eminenza,
permetta, ora che la « Settimana di
Preghiera Universale per l’Unità di
tutti i Cristiani » si è già conclusa, che
noi cristiani evangelici della Comunità Valdese di Palermo, convocata in
assemblea. Le diciamo, con rispetto,
ma anche con franchezza, che il modo
in cui detta manifestazione si è svolta,
ci ha piuttosto delusi.
Riteniamo infatti che questo avvenimento avrebbe dovuto essere, come
è avvenuto in alcune città in Italia e
all’estero, una occasione di incontro,
di preghiera in comune, ma soprattutto di dialogo fra cattolici romani e cristiani evangelici. Ma questo incontro
non è avvenuto nella nostra città né,
riteniamo, avrebbe potuto avvenire.
Abbiamo letto infatti, attentamente,
il programma della « Settimana di Preghiera per l’Unità », riprodotto in
grandi manifesti murali che hanno insolitamente assunto un rilievo che
non ha mancato di attirare l’attenzione dei nostri concittadini. Se non andiamo errati è infatti la prima volta
che i cattolici palermitani sono informati ed interessati, con tanto impegno
da parte della Curia, su un avvenimento ecumenico cosi importante. Siamo lieti d’altra parte, di portare a Sua
conoscenza che le chiese evangeliche
della città, da diversi anni pregano insieme per l’unità, secondo il programma preparato prima dal Consiglio Ecumenico delle Chiese e poi dalla Commissione Mista.
La nostra delusione, come dicevamo,
è stata determinata soprattutto dal
fatto che il programma organizzato
dalla curia palermitana non aveva alcun riferimento al programma preparato dalla Commissione Mista che
porta all'attenzione dei fedeli un tema
cos ; importante, ricco di problematica, sempre attuale, caro al cuore di
tutti i cristiani : « Chiamati a libertà »
(Galati 5: 13). A noi protestanti e vaidesi questa libertà di cui Paolo e Lutero furono al loro tempo strenui difensori è sommamente cara e perciò
non siamo riusciti a comprendere il
motivo per cui questo tema sia stato
del tutto ignorato. Nel programma
adattato alla situazione ambientale abbiamo ritrovato invece il consueto
trionfalismo, la ricerca dello spettacolare nei riti e nei paramenti, la strumentalizzazione politica della preghie
ra e soprattutto dell’unità di tutti i
cristiani.
Ci permetta inoltre di osservare che
il medaglione in cui sono raffigurati il
pontefice Paolo VI e il patriarca Atenagora, dà l’impressione che la Cristianità tutta sia rappresentata soltanto dai cattolici romani e dai greci ortodossi e che i cristiani evangelici non
esistano o siano una minoranza assolutamente trascurabile. Evidentemente nel medaglione manca qualcuno. È
fuori discussione che la nostra mentalità protestante, contraria ad ogni forma di culto della personalità, sarebbe
stata urtata nel vedere in un manifesto di questo genere, Teffige di Pietro
Valdo, p. e., da cui la nostra Chiesa
Valdese ebbe origine, o di Lutero o di
Calvino, 0 di Zwingli di cui quest’anno
ricorre il 450" anniversario della « Riforma della Chiesa sulla base della
Bibbia», come si può leggere su uno
dei più recenti numeri del nostro settimanale evangelico : « Nuovi Tempi ».
Ci pregiamo inviargliene separatamente copia. Non avremmo neppure gradito vedere sul manifesto cui ci riferiamo, il ritratto di qualcuno dei presidenti del Consiglio Ecumenico delle
Chiese, o del Segretario Generale, Dr.
E. C. Blake.
I nostri amici del Dialogo ci avevano ventilato l’idea di un invito da parte cattolica per la settimana di preghiera per l’unità. Purtroppo noi avremmo dovuto esprimere molte riserve e la nostra difficoltà ad accettare
tale invito. A parte i motivi di dissenso che permangono dal tempo della
Riforma, abbiamo difficoltà a dialogare con una Chiesa che dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, che aveva
fatto aprire tanti cuori alla speranza,
dà tanti segni di involuzione e di ripiegamento, si dimostra così poco sensibile all’anelito di rinnovamento di
molti suoi figli (fra cui vogliamo ricordare Don Mazzi e la Comunità delTlsolotto di Firenze) e che tollera che
ancora abbia vigore Tart. 5 del Concordato che priva gli ex preti dei diritti
civili di cui gode ogni cittadino in base
alla Costituzione dello Stato Italiano.
Noi cristiani evangelici di Palermo,
abbiamo pregato nelle nostre Chiese
per l’unità di tutti i cristiani e abbiamo sentito tutta la sofferenza delle
nostre divisioni e separazioni, che è
anche la sofferenza di Gesù Cristo che
è in agonia fino alla venuta del suo
Regno. Anche se la via delTEcumenismo è lunga ed irta di difficoltà, noi
crediamo all’unità in Cristo, altrimen
ti la nostra preghiera non avrebbe senso. Ma la Chiesa si edifica sul fondamento della Verità oltre che della Carità.
Poiché siamo convinti che il dialogo
può avvenire anche attraverso la stampa, ci permettiamo di inviarLe anche
una copia del settimanale della nostra
Chiesa Valdese « La Luce » in cui è
pubblicato un articolo del pastore
P. Ricca sul tema dell’Ecumenismo.
Gradisca, Eminenza, i più fraterni
saluti in Cristo da parte della
Comunità Evangelica Valdese
di Palermo
>ll■l•l■lllllmlllllll1llllmlllllllll1llll>ll<lMlll•>llll1llllmlMl1llll1llllllllllllll■Mlllll>lllllllllJlllmll iHiniiimDininuiiiiminili
XI imi III iniimiiiiii III IMI mi .mi mi iiiiiiiniii Ih mniMiiiiiiiiiimiimiiimiiimiMiimiiiiiimmiii 11111111111111111111111111111111111
OGNI DOMENICA, ALLE 7,35
In forma nuova
Il "Culto evangelico
alla RAI
Il 2 Febbraio è stata ricordata la “domenica battista,.
Come annuncialo, la mattina <li domenica
2 febbraio il « culto evangelico « alla radio si
è presentato in una forma un poco rinnovata.
Al culto-radio vero e proprio — che questa
volta, in occasione della « domenica battista »,
è stalo presieduto dal ]>ast. Carmelo Inguanti,
])resideiìle dcirUiiione battista d’Italia, il quale ha presentato nel suo messaggio le caratteristiche peculiari del battismo, nel quadro
della famiglia evangelica — ha fatto seguito
un notiziario evangelico che, ben curato, ci ha
fatto apprezzare quante notizie si possono dare
nel breve volgere di alcuni minuti : si è trattato di notizie dal mondo evangelico italiano,
in prevalenza, ma anche dalle Chiese protestanti nel mondo.
Ci auguriamo, come auspicava il past. Inguanti, che questo strumento valga a far meglio conoscere il protestantesimo nel nostro
paese c, attraverso le nostre chiese e la nostra
predicazione, un modo diverso di leggere e
ascoltare la Bibbia, di vivere la vocazione cristiana, di concepire la chiesa e la sua missione. Riceviamo con gratitudine questo strumento dal Signore e gli chiediamo di sapercene
servire per il suo Evangelo.
Ricordiamo che, d’ora innanzi, la trasmissione evangelica domenicale, sul programma
nazionale RAI, ha inizio alle ore 7,35.
4
pag
N. 6 — 7 febbraio 1969
Dibattitotsulla celebrazione del 17 Febbraio
Avete dette
cese vere
Riesi, 3 febbraio 1969
Cari amici,
forse qualcuno avrà apprezzato la
vostra lettera aperta sulle celebrazioni
del XVII febbraio per la sua moderazione. Io non certo per questo. Né moderazione, né il suo contrario mi interessano. Quel che invece mi importa è la verità, la quale proprio perché
verità non può esser disgiunta dall’agape. Cristo è la verità ed è per questo l’agape di Dio incarnata. Mi son
rallegrato molto per la vostra lettera
perché è vera, dice cose vere. E le dice
in modo comprensibile alla nostra gente, cioè partendo dalla sua situazione
la richiama alla vocazione cristiana. E
chi dovesse contraddire dovrà farlo
con motivEizioni tratte dall’Evangelo e
non con argomenti di opportunità o
di tradizione.
Quel che mi preme sottolineare nel
vostro appello è l’invito alle àgapi periodiche. Quand’ero alle Valli andavo
volentieri ai «pranzi» del XVII febbraio non per amore di tradizioni, verso le quali ho avuto sempre una certa
allergia, né per amor di festa, ma per
quel tanto di comunità che vi trovavo,
anche se poco. Le àgapi possono esprimere la comunità, e possono costruirla, ma per questo occorre che esse siano in comunione col Risorto. Mi pare
che questo era il senso delle àgapi della prima chiesa cristiana, coà, frequenti. In esse si rammentava le volte nelle quali Gesù aveva mangiato coi
suoi, la volta che aveva spezzato i pani e li aveva distribuiti alla moltitudine affamata, quando si era ritrovato
coi suoi apostoli prima d’esser consegnato ai capi per esser ucciso. Si rammentavano, certamente, le volte in cui
Cristo risuscitato aveva voluto di nuo
vo mangiare col suoi discepoli riempiendoli di gioia e si annvmziava il
gran convito che raccoglierà nel Regno tutti 1 redenti. Àgapi di gioia nelle
quali insieme «si rompeva il pane»
come Gesù aveva fatto, nell’attesa che
Egli ritorni. In una parola, ecco le
àgapi che bisogna rifare e ripetere sovente, quelle in cui nella comunione
reciproca e nell’allegrezza della Resurrezione di Cristo si può senza ritualismo, ma con semplicità di cuore, e familiarmente senza particolare sacralità, rompere il pane e benedire il calice
nella fiducia che il Cristo viene fra
noi. Allora, se ciò avviene anche nella
ricorrenza del XVII febbraio, questa
« festa » ci parlerà della libertà, ma
della libertà di cui i credenti hanno
goduto anche prima di quella data,
perché è la libertà che ci viene da
Cristo.
Quello delle àgapi non è che un
aspetto di una ricerca oggi estremamente necessaria perché la chiesa sia
veramente chiesa, cioè assemblea, dove
nella partecipazione di tutti e secondo
i doni di ciascuno la comunità si edifica in vista del suo servizio nel mondo. Per questo i nostri culti vanno riveduti nella forma e nella sostanza,
per questo anche il battesimo deve
riacquistare il suo vero significato, per
questo il clericalismo tanto dei pasto
ri come dei membri di chiesa va superato e vinto. E tutto ciò proprio per
esser fatto in linguag^o comprensibile anche ai più deboli. Può succedere che una contestazione rude della
« routine » ecclesiastica sia, a volte,
necessaria. In questo senso, personal
mente ho apprezzato il volantino distribuito dai giovani evangelici di Torino «non andate in chiesa», al Natale di due anni or sono. Le motivazioni eran molto buone. Non altrettanto mi sembrano apprezzabili le
scopiazzature di tale gesto che si son
verificate in seguito, e che non hanno,
come tutte le ' copiature, il senso del
tempo ed il movente della verità.
Molti membri delle nostre chiese
son praticamente membri di associazione cultuale e attratti dalla « religione ». Da questa situazione dì fatto occorre partire, con amore, cioè con
comprensione profonda, per riannunziare l’evangelo e renderli coscienti che
la chiesa di Cristo è ben altra cosa.
Tullio Vinay
Non conformatevi
a qnesto secolo
Una lettrice, da Torre Peli’ce:
Signor direttore,
penso che se i nostri Valdesi non sono in
letargo, la sua scrivania di Redazione, questa settimana, dovrebbe essere coperta di
lettere di protesta, e me lo auguro.
Mi riferisco al n. 4 dell’ECO, del 24 u. s
m. e più precisamente all’articolo; «Per una
riscoperta del senso della fede in CRISTO »
ed osservo che se i firmatari di detto articolo cercano la « riscoperta », vuol (fire che
hanno perso il senso della fede in CRISTO.
E ciò è molto grave!
Credo che il volere sopprimere le tradizioni del 17 febbraio, cioè ; cortei, bandiere,
pranzi ecc. ecc. non serve a nulla visto che
sono cose « inutiR », cose che potrebbero essere considerate soltanto dai farisei.
Sono sgomenta di trovare tra le firme di
detto articolo, quelle di alcuni nostri Pastori
i quali dovrebbero preoccuparsi molto di più
deUo spopolamento delle nostre Chiese anziché di simili quisquilie. Non capisco, poi,
se quei Pastori vogliono essere « r.formatori » o « contestatari ». Ad ogni modo, desidero far loro sapere che noi « Cristiani Evangelici Valdesi » (quelli veri e non tradizionali) chiediamo ai nostri Pastori di non conformarsi al presente secolo e di non perdere
il tempo in discussioni inutili e in parole
vane.
Noi domandiamo ai nostri Pastori di visitare i loro parrocchiani, per parecchie ragioni e non ultima che se non li conoscono
predicheranno a degli sconosciuti; e poi che
annunzino, con umiltà e fedeltà, U Vangelo
del nostro Signor Gesù Cristo, senza aggiungervi o togliervi una sola vìrgola.
Si ricordino i sig. Pastori firmatari, eh;
sono responsabili del progresso o regresso
delle anime che sono loro affidate ed auguro lor;, di potere umilmente cadere in ginocchio, ai piedi del CRISTO che devono annunziare. per Tavanzamento del Suo Regno
e non per la distruzione della Sua Chiesa.
La ringrazio, s'gnor d'rettore, per losp talità e gradisca i miei cristiani saluti.
Adele Rossi Maranda
iti con tutti
Un lettore, da Pinerolo;
In linea di massima e con alcune riserve
posso anche approvare le proposte per una
nuova impostazione della celebrazione del
XVII Febbraio formulate nella « lettera
aperta » riportata suU’Eco-Luce del 24 Gennaio u. s., lim'tatamente però alle celebrazioni organizzate dalle Chiese.
Pur comprendendo in quale misura le
tradizioni del passato, delle quali talune ancora valide, sono cosi profondamente radicate in noi, specialmente nelle vecchie generazioni a cui appartengo anch’io, tuttavia
credo che le Comunità potranno prendere in
considerazione, con spirito cristiano e senza
preconcetti di sorta, i suggerimenti in questione, tanto più che nel momento storico
in cui viviamo, onestamente non possiamo
fare a meno di riconoscere l’illogicità del sopravvivere di certe antiche consuetudini le
quali, se erano giustificabili per il passato,
non lo sono più nelle mutate realtà di oggi.
Ciò che però a cui questa ricorrenza deve renderci attenti, quali Valdesi credenti in
Cristo, è l’angosciosa incertezza di questo
clima pervaso di fermenti a volte incontrollabili, situazione questa che dovrebbe farci
riflettere e spingerci a rivivere con la memoria i travagliati tempi che, se per i nostri padri furono i tempi della distretta, della prova, del martirio, furono anche quelli
della lede semplice e viva, fiduciosa dell’annunzio dell’Évangelo e delle sue promesse.
Per concludere vorrei esporre una mia osservazione su questa lettera aperta. Intendo
riferirmi al secondo periodo della stessa che
dice, fra l’a'tro: « E per questo abb'amo concluso che la cosa migliore era di rinunciare
per ora ad azioni contestatrici clamorose... ».
E’ ben vero che questa affermazione è mitigata da alcune successive precisazioni ma,
a mio modesto avviso, questo velato avvertimento si poteva tralasciare, perchè non credo che i gesti clamorosi possano influire sulle decisioni altrui, anzi al contrario può verificarsi l’effetto opposto.
Per queste ragioni mi permetto di ricordare quanto dice l’apostolo Paolo nella II
Timoteo 2: 24-25 : « Or il senatore del Signore non deve contendere, ma dev’essere
mite verso tutti, atto ad insegnare, paziente, correggendo con dolcezza quelli che contrad'cono... », ammaestramento questo rivolto a noi tutti affinchè, pur nel contrasto delle umane divergenze, ei sentiamo spinti o
celebrare II XVII Febbraio in una fraterna
comunione di spirito, uniti nella testimonianza della nostra fede, la quale implica la
responsabilità del servizio che Dio aspetta
e esige da noi anche nelle vicende minime
della vita di ogni giorno.
B. Grill
Due iertá
Un lettore, da Roma:
Caro direttore,
leggendo la lettera aperta « Per la riscoperta del senso della fede in Cristo » pensavo con
intima gioia : « Finalmente! ». Finalmente un
nuovo modo di celebrare il 17 febbraio, Un
nuovo modo di celebrare il Natale del Signore, un nuovo modo di contestare tutto ciò che
nella chiesa e nella società civile è contrario
alla lettera e allo spirito del Vangelo. Final
mente un linguaggio che può e deve essere
compreso dalle comunità cristiane. Vorrei che
questo linguaggio e questo spìrito si portasse
anche nella nostra azione nella vita civile e
politica. Non si dica che è debole; la forza
del pensiero non consiste nel fracasso.
Quanto al 17 febbraio vorrei soltanto che
la « lettera aperta » non fosse fraintesa nel
senso che la libertà di coscienza, e ogni libertà civile, sia cosa alquanto indifferente. In
realtà essa è tanto importante che la libertà
dei figliuoli di Dio, che noi abbiamo in Cristo, deve costituirne l’anima, la forza, la difesa. Non vorrei neppure che l’impegno della
tede, di cui si parla nella lettera, fosse inteso
in senso puritano sì da comprimere ogni autentica espressione di gioia popolare. Ma le
agapi frequenti dovrebbero essere un efficace
.antidoto contro la musoneria.
Cordialmente
Valdo Vinay
Contestazione
"morbida"
Un lettore, da Torino:
Caro direttore,
la lettera aperta di contestazione « morbida » del XVII febbraio, lascia perplessi per
il divario quantitativo e qualitativo fra il
titolo « per una riscoperta del senso della
fede in Cristo » (che cosa poi significhi veramente?) e i fatti posti in discussione, cortei, bandiere, pranzi ecc., quali elementi di
contaminazione della comunità dei credenti
con il mondo. Mi pare che ancora una volta
si giochi con le parole per dare sic et simpllciter un pesante giudizio su coloro che
ritengono di poter man festare con questi
mezzi la loro riconoscenza a D’io per le liberazioni ricevute dalla loro Chiesa e, perchè
no, dal loro popolo e nel contempo riaffermare il valore della libertà di coscienza, senza la quale ogni altra libertà è nulla.
La lettera per altro verso è patetica, perchè sembra dare l'impressione di una confessione di fallimento di un tipo di predicazione. Per coloro che prendono parte alle
zuanlfestazioni del XVII febbraio spinti dalla sola tradizione o da altri motivi, la lettera non è certo efficace come richiamo alla
riconoscenza verso Dio che solo ci fa liberi.
Il XVII febbraio alle Valli è indubbiamente celebrato come giorno della riconoscenza e come affermazione di principio, sia
che questi due aspetti siano chiaramente
sentiti, oppure inconsci. Ora la predicazione
dovrebbe in questo secondo caso chiarire le
cose.
La contestazione, anche se fatta in forma
blanda, deUe semplici, modeste, ma pulite
manifestazioni della popolazione valdese per
il XVII febbraio ha prodotto, in assenza di
carità, solo irritazione, allontanando certamente parecchi dalla comunità e rendendo
in tal modo vana la predicazione.
E mi sia permesso di « contestare » alcuni paragrafi della lettera, che peraltro rivelano una certa ingenuità:
— i cortei : alcuni dei firmatari della lettera hanno preso parte a numerose marce
di protesta e a cortei « del mondo », persuasi
di manifestare così la loro fede in Cristo
oggi. Consentano pertanto ai Valdesi di fare
i loro cortei del XVII e credano alla buona
fede di coloro che vi partecipano;
— le bandiere : alcuni dei firmatari della
lettera hanno inalberato bandiere che con
l’Evangelo non hanno nulla a che fare, ritenendo forse di manifestare cosi la loro fede nel mondo d'oggi. Sia pertanto consen
^ome era prevedibile e come i lettori possono constatare, è
giunta in redazione un’ampia corrispondenza; ci è anzi impossibile
pubblicare tutte le lettere pervenuteci, contiamo continuare la pubblicazione — un po’ a doccia scozzese
— la prossima settimana; tenteremo poi di tirare le fila di tutto
questo dibattito che sicuramente
sta avvenedo anche a livello locale
in ogni comunità. Intanto cominciano pure a pervenire le firme di
adesione alla « lettera aperta » indirizzata da un gruppo di fratelli e
sorelle delle Valli; in 5^ pag. diamo
un primo elenco di firme, cui altre
seguiranno. E ringraziamo tutti coloro che, con sentimenti diversi ma
con fraternità, ci hanno scritto il
loro parere. red.
tifo di inalberare il tricolore, non solo come
segno di CI un sent'imento di lealismo verso
una società terrena », ma soprattutto come
bandiera libera — a differenza di altre —
ancora ringraziando Dio per questo fatto.
— S mili considerazioni possono farsi per
i falò e per j pranzi, mezzi per molti di fraterno congioire e non certo occasioni per
atti carnevalescbi o per gozzoviglie.
Nulla da eccepire circa talune proposte di
iniz'ative come quelle messe in evidenza dalla lettera, anche se non si tratta d; cose nuove: a tutti i XVII che ho avuto la gioia di
passare alle Valli, proposte del genere sono
state avanzate e molto spesso realizzate. Mi
sembra tuttavia che un pensiero particolare
dovrebbe essere rivolto a quei fratelli che
oggi ancora non godono della I bertà religiosa, in Ispagna ad es. o nei paesi del prossimo e del lontano Est.
Sperando che vorrai pubblicare « volentieri » questa mia, ti saluto affettuosamente.
Guido Ribet
lusso del padrone
Una lettrice, da Bergamo:
Caro direttore,
ho cominciato a contestare il 17 febbraio
circa venti anni fa, quando sono stata ricevuta nella eh esa valdese, e devo dire che
a distanza di quattro lustri rimango dello
stesso identico parere. Non ho mai capile
parche ci si debba comportare come dei cègnolini festanti che si agitano perchè il padrone ha concesso loro un osso degno di
considerazione particolare.
Perciò, benché il contenuto della « lette
ra aperta» sul 17 febbraio sia in se validissimo, trovo che non centra il problema e vi
passa solo accanto. Certo non si è voluto urtare la suscettibilità dì tanta parte del popolo valdese, ma una protesta i)iù diretta e
coraggiosa sarebbe secondo me anche più fedele allo spirito deH’Evangelo.
Piuttosto, se c’è una data nella storia valdese che meriti veramente di essere meditata a fondo, è quella del 12 .settembre 1532:
una scelta dairintcrno, non una concessione
daU’esterno!
Fraterni saluti.
Rita Gay
I LEYTORI CI (E Sl> SCRIVONO
La riprova
della buona volontà
Un lettore, vice-sindaco del Comune
di Lusema S. Giovanni:
Caro direttore.
Nel nostro Comune si è venuta a
creare nella settimana scorsa una situazione di disagio e di notevole tensione di cui vorrei rendere edotti i tuoi
lettori.
Una trentina di operai della fonderia O.M.E.F. sono scesi in sciopero,
(mentre una quindicina si mettevano
« in mutua » diplomaticamente ma poco consci di ciò che significhi la solidarietà), per la indisponibilità della
Ditta ad accettare le loro richieste. In
sintesi queste si articolano su due
punti : mancata corresponsione di un
premio, condizioni igienico-sanitarie
deU’ambiente di lavoro.
Sul primo punto, che fu l’origine
vera e propria dello sciopero, il Sig.
Tibald, amministratore della Ditta, afferma di non aver voluto dare un valore antisciopero al premio da lui concesso a chi non facesse assenze ingiustificate nel corso del mese; in realtà
però negando egli il premio a chi
sciopera considera lo sciopero assenza
ingiustificata e viene a ledere la libertà
di scelta del lavoratore, posto di fronte
aU’alternativa sciopero = perdita del
premio, crumiraggio = premi. Tra
l’altro per dividere maggiormenfe gli
operai, il Sig. Tibald ha elargito una
« regalia » pari all’importo del premio,
lire 5.000, a tutti i crumiri. Sia sotto il
profilo della tutela della libertà di sciopero sancito dalla Costituzione, e da
relative disposizioni di legge, sia semplicemente sotto il profilo umano, mi
pare che la posizione del datore di lavoro sia da rivedere.
Sulla situazione deU’ambiente di lavoro, pur dando per scontato che neUa
migliore delle ipotesi le fonderie sono
malsane, occorre dire che alla O.M.E.F.
essa sia particolarmente pesante, gli
operai vi resistono raramente per più
di un paio di anni, e con un po’ di
buona volontà potrebbe essere sensibilmente migliorata. Per il datore di lavoro tutto funziona bene così, per gli
operai tutto è da rivedere, fra questi
due estremi bisogna si inserisca l’Ispettorato Regionale del Lavoro e dica
quali sono le cose da fare e quali non
si « possono » fare, si vedrà allora se ci
sono cose che non si « vogliono » fare.
Dato che vi sono in giro volantini
che dettagliatamente informano sulle
richieste degli operai mi limiterò ad
accennare a che cosa possa essere inteso per buona volontà, pur senza voler anticipare il parere di persone più
competenti né volendo avventare soluzioni tecniche per le quali non ho competenza. Se una pavimentazione è impossibile per motivi di sicurezza là dove
ai maneggia ghisa fusa, si potrebbe pavimentare dove questo pericolo non
esiste; se la polvere è inevitabile cd il
fumo ineliminabilc, se ne può convogliare una maggior quantità all’esterno
(pare che lavori del genere dovrebbero essere intrapresi); se il riscaldamento è rudimentale, si può adottare
qualche sistema più moderno ed efficace; se occhiali e calzature protettive sono inadatti o inesistenti, si cambino gli uni (pare verrà fatto), si procurino le altre; se i servizi vari di
mensa ed igienico-sanitari .sono inadeguati, vengano rinnovati cd attrezzati,
vengano fatte le docce... e smetto per
non diventare troppo lungo.
Questi i motivi che hanno spinto oltre a me, autorità civili c religiose, studenti di ogni ordine e grado e parte
della popolazione, ad appoggiare le rivendicazioni delle maestranze c dei
sindacati. Se nel clima di tensione si
siano dette cose spiacevoli o commessi
atti deplorevoli, se vi sono state incomprensioni reciproche, questo è increscioso, ma era inevitahile; invece di
inserirsi nella spirale ascendente dei
contrasti sarebbe auspicabile che tutti
collaborassero a premere, ciascuno nella propria sfera di competenza, affinché si giunga ad una rapida e giusta
soluzione della vertenza.
Ti ringrazio dell’ospitalità.
Riccardo Gay
Scienza e fame
Un tollaboratore, da Torino:
Caro direttore,
vorrei poter brevissimamente replicare alla lettera di Valdo Abate d
quale, a proposito dei nostri commenti sul viaggio circumlunare degli astronauti americani, ci « rimprovera » di non aver accennato alle cifre immense che vengono spese P®’"
la guerra e gli armamenti; e vorrei
anzitutto rettificare la cifra che, secondo lui. gli U.S.A. spendono per
la spaventosa guerra in Vietnam: essa non ammonta a tre ma a cinquanta miliardi giornalieri; infatti, secondo dati attendibilissimi, provenienti
dagli USA, vengono spesi a tale scopo .10 miliardi di dollari annui, pari
a 18 mila miliardi di lire e vale a
dire appunto, in cifra tonda, 50 miliardi giornalieri. La cosa risultava
proprio nello stesso numero 1 del 1969
di « Eco-Luce » in una nota intitolata « La povertà negli USA ».
Vorrei infine far comunque notare
che in quel ca.so l'argomento « guerre » (e mi pare che il nostro giornale
in ogni suo numero colga l’occasione
per condannarle recisamente) era fuori tema. Infatti la questione, almeno
quella posta dal mio articolo, era
semplicemente ; è possibile e lecito
spendere migliaia di miliardi per ricerche — scientifiche si, ma anche
di prestigio — quando decine e decine di migliaia di persone (di cui 30
mila bambini, secondo gli ultimi dati deirUnicef) muoiono di fame giornalmente?
Fraternamente
Roberto Peyrot
Bastían contrari
Una lettrice, da Pinerolo:
Qualche volta mi domando se in
noi valdesi non ci sia una vena di
bastiancontrarismo. Quando i cattolici usavano mangiar di magro il venerdì. osservare digiuni in quaresima, mi pare che da parte protestante si considerassero tali pratiche quali residui di tradizioni ebraiche o pagane. basate su empiriche norme igienico-sanitarìe, addirittura nocive dal
punto di vista della fede in quanto
la loro o.sservanza tende a produrre
nell uomo un senso di fiducia che dovrebbe invece derivar® esclusivamente dal conoscere l’amore di Dio quale
si è manifestato in Cristo.
Ora che. a quanto pare, la Chiesa
Cattolica ha affermato che conta di
più aiutare il prossimo che raang'ar
di magro, sono divenuti di moda fra
noi i digiuni natalizi g settimanali;
si criticano le donne che si allontanano in fretta dalla chiesa la domenica mattina per preparare da man. giare per la famiglia, senza considerare forse che molti, durante tutta la
settimana, han trangugiato due hocI coni in fretta, magari dal famoso
Il barachin ». Verrebbe spontaneo chiedersi come e cosa mangino gli altri
giorni dell’anno gli austeri censori
delle nostre dissolutezze domenicali c
natalizie, ma non siamo chiamati a
giudicarci gli uni gli altri: ognuno
serve Dio e il prossimo come reputa
giusto.
Personalmente non son convìnta
che i digiuni organizzati siano preferibili al mangiar ogni giorno sobriamente e con rendimento di grazie,
secondo le necessità del nostro corpo,
specialmente in questa nostra epoca
e in questo mondo occidentale in cui
sembra esservi un'inflazione di digiuni volontari « di lusso », per scopi
estetici (non perdere la linea) o igienici (riparare ai malanni prodotti nell'organismo da precedenti eccessi o
squilibri alimentari), in tragico contrasto con la denutrizione involontaria di tanti altri uomini.
Giuliana Gay Eynard
L’ecumenismo va
per la sua strada
(quella buona?)
Una lettrice, da Sanremo:
L'ecumenismo va per la sua strada, verso il suo traguardo, che è la
riun one dell.e Chiese cristiane. Tale
riunione è necevssaria affinchè la Chiesa, della quale oggi ci si domanda se
esista c dove sia, non solo viva ma
si adegui ai compiti che favvenire le
riserba. « Ogni regno divìso in parti
contrarie è ridotto in deserto e una
casa divisa contro se stessa rovina »,
dice il Vangelo (S. Luca 11: 17). La
Chiesa, in quanto è uno strumento
voluto da Dio per Teducazìonc del
genere umano, deve invece vivere ed
clevars'. aH'altezza dei suoi compiti.
Se è vero che la coscienza individuale
è la chiave di volta di tutto il Cristianesimo, è pur vero che l individuo non c un essere avulso dalla società c nemmeno è fine a se stesso, ma
ha come termine ultimo Colui che
ha detto: « ...sopra questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte delTinferno non la potranno vincere »
(S. Matteo 16: 18). Il problema del
l’unità, che si identifica con quello
delFeslstenza stessa della Comunità
cristiana, è dunque un problema di
capitale importanza.
L’ecumenismo, abbiamo detto, va
verso la riunione delle « membra disiecta » del Corpo di Cristo, cioè tende a ricomporre la loro unità esteriormente incrinata, non perduta, durante i secoli della divisione. Questo significa che Tecuraenismo segue un
processo vitale mplicante un profondo rinnovamento delle singole Chiese cristiane, la, loro purificazione, la
loro elevazione, il loro arricchimento
reciproco in vista di quella che sarà,
rispetto al nostro evo, la sintesi finale. Sintesi di valori complementari,
non addizione di elementi contrastanti. armonia nella sostanza e varietà
nella forma, libertà neirautorità, progresso nella tradizione.
LVcumeiiismo non sorge dal nulla
e non Va verso il nulla. Nasce dalla
vita e Va verso la vita. Orbene, la vita si trasmette (traditur). Si trasforma, sì rinnova, ascende, decade, ma
finché è vita si trasmette. Per questo
la Chiesa ha una tradizione. Il movimento ecuinen'co. che è una cosa seria, rispetta la tradizione, perchè sente in essa la sicurezza di ciò che è
eterno e permane, insieme con la dinamica virtù di ciò che « muore per
divenire ».
L'ecumenismo va così verso il Vangelo. « lo non prego soltanto per questi leggiamo in S. Giovanni 17: 21
ma anche per quelli che credono
in me per mezzo della loro parola;
che tutti siano uno: che come tu, o
Padre, sei in me ed io sono m te,
anch'essi sano in noi. affinchè il
mondo creda che tu mi hai mandato ».
Potremmo ora a nostra volta domandare: Dove va ranliecumenìsmo?
Elsie Janni
5
7 febbraio 1969 — N. Q
pag.
A BRESCIA
Due speranze ecumeniche
presentate da Renzo Bertalot e Antonio Bellini
Abbiamo parlccipalo a due conferenze organizzate dai Laureati Cattolici di Brescia
nel quadro delle iniziative della « Settimana
•di preghiera per Tunità dei cristiani ».
La prima di esse — alla quale ha parte-cipato un pubblico relativamente poco numeroso e ciLe ha avuto luogo domenica 19
gennaio - è stata tenuta dal past. Renzo Bertalol. il quale ha parlato su: «L'Assemblea
di Uppsala e la cattolicità della chiesa ».
Nella sua esposizione, il past. Bertalot ha
sottolineato in modo particolare la cattolicità della chiesa emersa da due delle dichiarazioni delLAssemblea di Uppsala. La prima
^ la dichiarazione circa la necessità di riconoscere come tale ugni chiesa. Nessuna
chiesa particolare può arrogarsi il diritto d.i
•essere la sola vera chiesa : al di là delle
mura di ogni chiesa particolare vi sono altre chiese altrettanto vere quanto qualsiasi
chiesa particolare. La seconda è quella riguardante la necessità dì togliere via le discriminazioni sociali, razziali, ecc., che fin‘ora hanno diviso i credenti e quindi nascosto la cattolicità della chiesa; di modo
•che questa possa essere manifesta. Poiché,
.sarà possibile parlare della cattolicità della
chiesa in modo concreto soltanto quando
« la creazione (che) gem^ ed è in travaglio »
-avrà ricevuto la risposta che attende (« con
sospiri ineiFabili ») dallo « apparire dei figlioli di Dio ».
Molto meglio frequentata (ma ci ha lasciati parecchio insoddisfatti e forse un po’
anche risentiti) è stata la conferenza del 22
gennaio tenuta da don Antonio Bellini, insegnante al seminario di Bergamo, su: «La
■preghiera nel protestantesimo ». Per fare co.noscere al suo pubblico la preghiera nel protestantesimo, don Bellini ha letto per una
lunghissima ora dei pezzi e pezzetti — da
lui scelti - - di preghiere dì protestanti (riformatori. teologi, ecc.) facendo notare che
per lo più, in realtà, si tratta di opere poetiche. Tulio è stato considerato in chiave
-della «teologia della croce » e della « teologia della gloria », secondo Tinterpretazìone
— naturalmente — che la chiesa romana dà
a tali teologie. E così, la formazione mentale deformala nei riguardi della teologia protestarne ha permesso al prof. Bellini di dire
una quantità di inesattezze riguardo alla
preghiera nel protestantesimo. Ci è stato detto che la preghiera protestante è una preghiera biblica (nel senso che, in realtà, si
tratta di un semplice parafrasare . dei passi
biblici ). Poi — sempre mediante la lettura
di pezzetti vari di preghiere tolti qua e là
— ci è stato fatto notare il luogo in cui si
trova Tuomo protestante : è il luogo delle
tenebre, dei demoni (i protestanti, è stato
sottolineato, hanno sempre a che fare coi
demoni); la loro situazione: una situazione
di sofferenza e di disperazione; il loro essere: si tratta di genie vuola, povera di tutto, che non ha assolutamente nulla. Ci è stato detto che per ì protestanti Dio è un Dio
lontano. Che essi non pregano col cuore (come i caltojici — romani), ma con le parole
di Dio con le quali in realtà loro non hanno
nulla a che fare. Ci è stato detto che i protestan li non conoscono la grazia e la gioia
di ina solo il giuilizio ed il timore dì
esso, (ihe (vssi, insomma, sono tutt‘altra cosa die i callolici (romani), i quali al contrario posseggono, sono ricchi, pregano col
cuore e hanno la gioia della grazia. Ci è
stato aiidii' dello che non è vero — come è
stalo airerinalo talvolta — che i protestanti
non pregano la madonna e i santi; li pregano alla loro maniera: nella loro preghiera
essi li prendono iu loro compagnia, per acquistare maggior grazia nel loro pregare
Mentre, invece. la preghiera spontanea è sta
ta definita come «inventata»: i protestant
« invernano » la preghiera, ci è stato detto;
ed è sialo aggiunto che in tali preghiere essi
non jiregano per se stessi, ma per tutti gl
altri; e die in tali preghiere si chiede spe
cialmente di poter vincere le guerre (e cose
del genere). E’ stato anche sottolineato che
i protestanti alla fine della preghiera, dicono
sempre « amen »; hanno cioè sempre bisogno di essere certi che sarà così, che deve
essere come hanno detto. Infine, ci è stato
spiegato perchè i protestanti non dicono (come i cattolici - romani): «per Gesù Cristo... »; ma dicono: « da... », Ciò dipende dal
fatto che essi (i protestanti) non partono
dalTuomo, ma partono da Dio.
Cosi è stata pronunziata la conferenza e
così ne d:amo notizia. Si è insomma trattato
di una lunga lettura di testi spezzettati, in
in cui — con monotonia — si tornava e
ritornava agli stessi concetti; che era resa
ancora più pesante e penosa dal continuo risuonare dei termini : tenebre, inferno, demoni, debolezza, povertà, angoscia, ecc. Per
cui, al termine di essa, ciascuno dei presenti non poteva formulare ohe un solo desiderio e un solo augurio: e cioè che possano
tutti questi poveri protestanti — al più
presto — ritrovare la via della chiesa (romana) e con essa un po’ di pace e di gioia
al cuore.
Alessandro Vetta
Rifugio Re fario Alberto
A rettifica di quanto stampato nell’elenco
dei « doni in memoria » nel numero del 3
gennaio 1969 deU’Eco-Luce, la Direzione
del Rifugio Re Carlo Alberto prega voler
prender nota che la somma di L. 50.000 in
memoria del Generale di Heinzelhman pervenne tramite TAmministrazione Zavaritt
per espresso incarico dei nipoti della sig.ra
Ida Meyer ved. di Heinzelhman, per preciso
desiderio espresso dalla Signora nel suo testamento.
PERRERO - MANIGUA
Ad iniziativa dei nostri giovani è stato organizzato, in un’atmosfera familiare, un tè
benefico per raccogliere un’offerta in favore
della lotta contro la fame.
Le sorelle dell’Unione Femminile hanno
avuto l’8 dicembre una seduta in comune con
la consorella Unione di Villasecca, ove sono
state accolte con calda ospitalità. Un sincero
ringraziamento alla sigja R. Tourn ed alle
sue collaboratrici.
In occasione della ricorrenza del Natale una
delegazione delTUnione femminile ha visitato
le sorelle anziane della Comunità ed un gruppo dell’Unione giovanile s’è recato a San Germano a visitare i ricoverati della Casa di riposo.
Buone e benefiche le celebrazioni del Natale. Molto apprezzata la valida partecipazione
al culto del gruppo corale. Ben riuscite le celebrazioni dei bambini della Scuola domenicale a Perrero, preparati daRa loro direttrice e
dalle monitricì, e dì quelli della Scuola di Maniglia diretti dell’insegnante sig. R. Genre,
che ringraziamo di cuore unitamente a quanti hanno offerto, in queste circostanze la loro
sempre preziosa collaborazione.
Alla seduta delTUnione giovanile dell’ll
gennaio, presenti anche i giovani di Villasecca e di Frali, abbiamo avuto il piacere di udire una interessante relazione del prof. C. Tron
che ringraziamo vivajnente.
Il 29 dicembre lia avuto luogo il funerale
della nostra sorella l/contina Peyran ved. Ribet, spentasi sereiiaìnente al Lorenzo, all’età di
91 anni.
Il 1° gennaio abbùimo accompagnato al campo del riposo di S Martino la spoglia mortale
della nostra sorella Maria Mical Tron ved.
Genre deceduta all ; và di 80 anni all’Ospedale
di Pinerolo. Origiijaria del Salengo, aveva trascorso i suoi ultii’«i anni presso il figlio stabilito a Pinerolo.
Il 9 gennaio, dt.uo lunga malattia è deceduta alTOspedale fJv Pomaretto la nostra sorella Ida Micol Pons, del Forengo, al
l’età di anni 52. i a sua salma riposa nel cimitero di Chiabrar.o.
Il Signore sosU aga e consoli tutte le famiglie provate da qi;. -ti lutti, alle quali rinnoviamo Tespressioni’ della nostra profonda simpatia.
La fame degli altri
A seguito dei nostri contatti con
l’Eper, l’ente assistenziale internazionale delle chiese protestanti svizzere, contatti di cui abbiamo in precedenza tenuto avvisati i nostri lettori e sottoscrittori, il pastore Francis Gschwend ci segnala in modo
particolare la scuola di Linea Cuchilla, provincia di Misiones, Argentina (questa nazione è infatti divisa
in « provincie »).
Si tratta di un Istituto a carattere proiessionale-agricolo di cui l’Eper si è assunto la responsabilità coi
fondi della campagna « pain pour
le prochain » (pane per il prossimo). Gli insegnanti sono dodici, in
prevalenza svizzeri, distribuiti in
cinque corsi di studi, di cui tre classi secondarie e due corsi di agricoltura che sfociano a loro volta in corsi di perfezionamento.
Uno degli scopi della scuola è appunto di portare questi giovani al
« Curso de Perfeccionamiento », che
rappresenta qualcosa di nuovo in
Argentina. Questi corsi consentono
loro di studiare e di realizzare sul
terreno, con degli specialisti, i problemi affrontati teoricamente sui
banchi: i settori maggiormente studiati e approfonditi sono quelli della coltura del thè, del matè, delle
arance, quelli dell’apicoltura, delle
ricerche idriche, ecc.
Pur avendo la scuola un carattere
svizzero, sia a motivo degli insegnanti che per la presenza nella zona di contadini svizzeri, essa è inserita nei sistemi e negli ordinamenti
iciiiiMiiiiimiiimiimiiiMinii
Taiple rolonde a Perosa e Pomarello
Radiografia (preoccupante) della comunità - Jl problema dell’educazione sessuale
A Pomaretto, domenica 26 gennaio, si è tenuto un dibattito sulla chiesa, presieduto da
Ilarìo Coucourde : Come vedo il pastore^ Vanziano, il membro di chiesa, oggi.
Tre brevi relazioni di Renato Long, Pietro
Rizzi e Vitale Jahier hanno espresso pareri
vari sugli argomenti assegnati: la figura del
pastore è rimasta per alcuni -quella tradizionale, oppure in senso più moderno, si è visto
con compiacimento la figura del pastore operaio; non si è chiarito purtroppo se la chiesa
che accetta dì mandare il suo pastore come
operaio, o contadino o insegnante, a seconda
dei doni ricevuti, è in grado ad esempio di
fare i servizi funebri, i matrimoni ecc.; sarebbe stato utile udire il parere di tutti sulla
reale funzione del pastore e così pure delTanzìano o del membro di chiesa. In realtà, qualcuno ha detto, ricordiamoci che nella prima
chiesa cristiana i doni di Dio erano dati a
tutta la chiesa (vedi I Cor. 12 o Ef. 4); tutti
i membri d’una comunità, avendo ricevuto dei
doni, sono chiamati a metterli a profitto, per
Tedificazione della chiesa. Infatti Ef. 4/12 dice che ì vari doni dei pastori, profeti, evangelisti sono dati per « il perfezionamento dei
credenti » in vista del ministerio di tutta la
chiesa, cioè in vista del servizio di tutti i credenti per Tedificazione, la costruzione del corpo di Cristo, che è la chiesa. In altri termini
i doni particolari dei pastori, ecc., .servono a
suscitare nella chiesa un servizio della comu
miiMiiiiiiiiiiMiii
flllAn PEROSà
Raduno irombeltieri 8/12. Malgrado il
cattivo tempo, una ventina di trombettieri,
provenienti da varie località, sono presenti
al no.stro cullo. Diretti dal Maestro Ferruccio Rivoir, essi accompagnano gli inni e ci
fanno udire alcuni bei pezzi suonati con
molto impegno. Ottimo pure il sermone del
Pastore Enrico Tron.
Segue un ora di studio e poi i nostri musicisti fanno onore alla pasta asciutta preparala da due giovani unionlste.
Eccellente lo spirilo fraterno c la chiusa
dell agape con Tiniio dei trombettieri.
Messaggi (dia RIV-SKF. Sono stati dati
il 19 die. ai tre turni dai Pastori Giovanni
Tron, Gustavo Berlin, Arnaldo Genre e ci
auguriamo abbiano jiortato nei cuori un po’
della benefica luce dì Natale. Sono pure stati distrihiiili i calendariolti che quest’anno
sono siati offerti ^la un amico di Rolwhach
(tondola dagli esuli di Pragelato).
Vigilia di Natale ¡n una stalla. Il 24 sera
abbiamo avuto una buona riunione a Vivian
nella stalla moderna del nostro diacono, organizzata dai giovani, presenti anche fratelli di altri quartieri. Dopo la riunione.
f.;razÌ3 alla gentilezza delle .sorelle di Vivian
è potuto fraternizzare insieme e tutti
hanno trovato hello e simbolico il fatto di
ritrovarsi in una stalla proprio alla vigilia
di Natale!
25 Dicembre. Ottimo culto con partecipazione della Corale che ha cantato una melotlia de] XV secolo molto apprezzata.
26 - Festa del bambini. I più pìccoli sono
stati ì più bravi e disinvolti. Uditi con interesse i vari quartieri e i catecumeni che
hanno rappresentalo un lavoro moderno
sulla contestazione del Natale.
Mollo apprezzali i canti dei nostri bimbi, in italiano, in francese e persino in spagnolo!
.SI - Culto serale con commemorazione
dei dipartiti e S. Cena. Poi si scende nelle
catacombe per l’agape fraterna. Sono presenti 50 commensali e nostri ospiti d’onore
sono il Pastore Tron delTUruguay con la
sua signora.
Durante la cena, preparata con amore da
tre sorelle, i giovani si c'mentano nella
Caccia al tesoro. Alla mezzanotte si canta
un inno e ì due Pastori ci conducono in
preghiera. Dopo ì rituali abbracci e il brindisi alTanno nuovo, gli anziani cominciano
a ritirarsi e i giovani, veramente meritevoli
di lode, sotto la guida di due responsabili,
si sobbarcano il lavoro volontario della rigovernatura « poelizzata » dalie musiche di
vari dischi. Fra tutte le contestazioni di cui
le nostre cronache quotidiane sono piene
(con relativi scompigli e distruzioni) questa
ci pare la nTglìore. perchè ha permesso alle
tre sorelle che avevano faticato per noi di
godersi il giusto riposo, ripartendo così la
fatica della serata tra giovani e vecchi.
Visite. I Pastori Enrico Tron, Gustavo
Berlin e Arnaldo Genre ci hanno visitati
presiedendo dei culti durante il mese di gennaio e U ringraziamo per i loro benefici
messaggi.
Unione Femminile. Durante il periodo
delie feste, le nostre sorelle hanno visitato a
gruppi parecchi anziani e isolati dei vari
quartieri. Il 15 gennaio si sono recate a Pomaretto alla Scuola Latina c all’Ospedale per
conoscere più da vidino le nostre istituzioni.
Esse serbano un gradilo ricordo di questo pomeriggio e sono grate per la fraterna
accoglienza che hanno ricevuto.
Battesimi. Luca di Antonio e Ada Malatcsta; Marco di Aldo e Angela Comba. La
chiesa si è riunita in preghtiera, con i genitori attorno ai cari bimbelti.
nità, inteso nel sen-o più ampio della parola.
Perciò una comunità animata dallo Spirito
Santo riceve da Dio doni in esuberanza a tal
punto da essere comunità evangelizzatrice, capace di visitare i malati, di pregare, di offrire
uomini per la missione e per l’evangelizzazione
anziché aspettare seiji^re tutto dal pastore. Difatti è stato detto iik/sede di discussione che
ormai la figura pastoi^le è una figura « bon à
tout faire », dalla raocomandazione per entrare in fabbrica all’interesse per i più disparati
problemi sociali nei quali si trova comunque
coinvolto. Perciò, è stato detto, egli dovrà far
bene il funerale, meiitre una volta lo faceva
l'anziano; dovrà far bene le visite, dovrà sapere magicamente dove sono distribuiti tutti i
suoi malati nella fascia della provincia torinese; dovrà svolgere tutte quelle mansioni che
un tempo o non c’erano o erano appannaggio
del « magistre » o anziano.
Quanto alla figura dell’anziano si è rilevato
che la comunità li obbliga a domandare la carità ai parrocchiani con buste, bollettini, tesi
unicamente a un problema finanziario che la
fede morente non ha risolto, anziché essere come un tempo collaboratori del pastore sul piano spirituale e non solo amministrativo, in vista delTedificazione della chiesa.
La figura del membro è stata vista purtroppo in quello che è, più che in quello che dovrebbe essere : non lo si è visto come un credente impegnato che si dà per l’opera del Signore, ma come un puro contribuente cui incombe il dovere di frequentare il culto, le riunioni ecc. La mancanza d'una fede profonda,
alimentata dalla Parola di Dio sotto la potenza dello Spirito Santo mette sotto accusa tutta
la comunità, pastore compreso : Il pastore si
lamenta della comunità che non va e non s’interessa, l'anziano si lamenterà che il suo servizio di collettore è ingrato perché sente soltanto
delle critiche, perché la chiesa domanda cempre, e il membro di chiesa, per salvare la sua
posizione di indifferenza, innoverà le critiche
al pastore c alTanziano, andando alla ricerca
dei difetti piccoli ò grandi che questi uomini
possono avere, anche per coprire i propri.
Tutto questo, ripeto, dipende dalla nostra
insufficiente conoscenza della Parola di Dio,
insufìiciente spirito di preghiera e perciò insuificienle umiltà e disponibilità per l’opera
del Signore. Se tutti insieme ci mettiamo su di
un piano di totale dipendenza dal Signore saremo sempre più lieti di lavorare, di essere
credenti al servizio d’un gran Signore.
♦ * *
La tavola rotonda alla cappella di Perosa,
sotto gli auspici del circolo « Il torrente » ha
trattato il problema dell'educazione sessimle;
relatori: pastore F. Giampiccoli, don Morcro
eti il dr. Orecchia. Uno dei relatori ha rilevato: si continua nella linea classica della superiorità delTuoino sulla donna per cui la donna è oggetto; ci si può servire di lei, per le
nostre esperienze prematrimoniali, mentre poi
Tiionio vuole una ragazza pura per il suo matrimonio. Questa linea poco evangelica risale
alla concezione greca, secondo la quale il corpo poteva soddisfare i suoi più strani desideri, mentre lo spirito era prigioniero del corpo.
Orbene nella concezione ebraica il corpo è la
dimora dello Spirilo e tutto Tuomo è il tempio dello Spirito di Dio; per cui, come dice
Paolo, le memìira sono j)cr il Signore e non
per la passione. Purtroppo il mondo cristiano
di oggi sfrutta l'elemento sessuale, specialmente della donna, per cui nel clima dei consumi
l'erotismo entra in gioco e si .sfrutta un’immagine d’una donna ad esempio per vendere
un determinato prodotto. Perciò, è stato rilevato in una relazione, secondo TEvangelo non
si può sfruttare il mìo prossimo, vedi la donna,
in omaggio alla teoria strana della moderna
rivoluzione sessuale, per cui i rapporti prematrimoniali valgono da valvola di sfogo per i
vari complessi psichici. L’uomo, secondo
TEvangelo, non è una specie ma una persona
creata a stabilire un rapporto con Dio e con
il suo prossimo; il peccato ha distrutto questo
rapporto; perciò Cristo ha ristabilito questa relazione mediante la sua morte e risurrezione;
ne consegue che anche il corpo dev’essere offerto « in sacrifìcio santo, accettevole a Dio ».
Il dibattito che ne è seguito ha toccato vari
aspetti del problema, non sempre molto validi; comunque l’incontro è stato prezioso e la
partecipazione massiccia, sia di cattolici che
protestanti.
♦ * Hi
Abbiamo celebrato il servizio funebre di
Oreste Grill deceduto dopo lunghi anni di malattia contratta nella miniera. Alla famiglia la
nostra simpatia.
Prossime attività: Mercoledì 12 febbraio,
alla cappella di Perosa, alle 20,45 : conferenza sui trapianti dì organi.
Domenica 16: culto con Santa Cena presieduto dal pastore Roberto Jahier; la sera, dopo
i falò tradizionali, Tavola rotonda in chiesa
sulla storia valdese ed il tempo d’oggi.
Lunedì 17 : ore 8,30 corteo, ore 10 culto,
ore 12,30 agape fraterna; ore 20,30 recita.
In occasione del XVII i giovani passeranno
nelle famiglie per la raccolta di offerte per la
Scuola Latina. Si spera di raccogliere la cifra
richiesta di mezzo milione, con una media dì
L. 1.000 per membro di chiesa.
Il Cassiere comunica che non ha più un
soldo in cassa. Come farà per riscaldare la
chiesa?
In occasione della dipartenza di Viola Pastre in Baret il marito Baret Emilio e figli
ringraziano di cuore evangelici e cattolici per
la solidarietà dimostrata in tale circostanza.
Comunicato: Il dr. Giorgio Bouchard di Cinisello Balsamo terrà a Pomaretto, al teatro
valdese il giorno 8 marzo, alle ore 20,30 una
conferenza di attualità. Daremo successivamente il titolo esatto del tema.
Le prime adesioni alla ^‘lettera
aperta,, per il 1? Febbraio
È pervenuto un primo gruppo di adesioni
alla « lettera aperta » indirizzata ai frateUi
delie Valli da un griij>po di membri di chiesa
delle medesime.
Da Torino: il comitato della Lega femminile valdese, Roberto Peyrot e famiglia, famiglia Valerio.
Da varie località dello Valli: Claudio Rivale, Riccardo Leger Aldo Ferrerò, Elia Bosco,
Andrea Coucourde, Eraldo Bosco, Mario Gros.so, Marcella Bonjour, Letizia Fornerone, Mario Sibille, Doris Bonjour, Doris Valente,
Renata Proebet.
La Corale Valdese di Pinerolo ha discusso
la questione in una sua .seduta e si c impegnata non solo a sottoscrivere, ma a offrire
la giornata di lavoro del 17 febbraio alle famiglie sinistrate del Serre d’Angrogna: Giancarlo Griot, Franco Godino, Fiorella Simond,
Franco Rivoira, Valdo Fornerone, Pietrina
Giai, Franco Fornerone, Paola Geymonat, Aline Bounoiis, Luigi Campcse, Giorgina Bcrt,
Graziella Fornerone Bestione, Anna Maria
Tron, Ada Bcs.sone, Giuliana Decostanzi, Carlo
Giai, Clara Pons, Valdo Poet.
locali, nel preciso intento di costituire un « servizio » (e non una
« colonizzazione » !) da parte di persone qualificate.
Parecchie sono ancora le difficoltà esistenti al completamento di
quest’opera; occorre terminare la
costruzione di stabili ed è necessario un certo numero di capi di bestiame.
Ci pare veramente che questo
rappresenti lo scopo per cui a suo
tempo abbiamo aperto la sottoscrizione, e dopo che abbiamo versato
una somma iniziale di un milione
di lire per il Biafra.
È troppo chiaro infatti — e comunque non ci stanchiamo di ripeterlo — che non vogbamo fare della beneficenza, ma che desideriamo
contribuire, col nostro impegno costante e rinnovato, alla realizzazione di qualche opera (non deve necessariamente essere sempre la stessa) che consenta a giovani di paesi
o zone sottosviluppate di prendere
attiva coscienza delle risorse che la
loro terra può offrire, e porli così
in grado di contribuire, con la loro
mente e con le loro mani alla lotta
contro la fame e a quelPinnalzamento sociale di cui ogni uomo è
responsabile di fronte a sè e di fronte a Dio.
È con questo spirito che inviamo
un primo contributo di 7 mila franchi svizzeri, pari a ca. L. 1.000.000,
col proposito di riferire successivamente ulteriori notizie e particolari sulla scuola agricola di Linea Cuchilla, mentre rinnoviamo frattanto
un caldo appello a tutti i nostri lettori e sottoscrittori affinchè proseguano ed intensifichino le loro offerte.
« Se uno ha dei beni di questo
mondo e vede il suo fratello nel bisogno, e gli chiude le proprie viscere, come dimora l’amore di Dio in
lui?... Non amiamo a parole e con
la lingua, ma a fatti e in verità »
(I Giov. 3: 17-18).
Doni Pro Eco-Luce
Madelein« Gysel Peyronel, Svizzera 500;
Bianca Stamiz, Germania 500; Emìle Sappé,
Francia 625; Caterina Ercone, Pomaro
Monf. 500; Elvidìo Mattone, Coazze 500;
Alma Ostorero, id. 500; Lorenza Vannuccini, Siena 500; Alberto Priore, Terranova
Brace. 1.500; Letizia Maffei, Graglia 500;
Rocco Giuliani, Forano S. 500; Anita Bounous Giaccone, S. Antonino dì Susa 500;
Carmelo Ventrici, Catania 500; Antonio
Cannobbio, Lerici 500; Tina Boiocchi Ba*
rolla, S. Fedele Ini. 500; Rachele Rostaing,
Svizzera 500; Enzo Signore, Trieste 500;
Grazie! {continua)
RINGRAZIAMENTO
Le famiglie Severini e Rivoira neh
Timpossibilità di farlo singolarmente
ringraziano quanti in qualsiasi modo
hanno preso parte al loro grande
dolore nella scomparsa della cara
Mamma
Evelina Sappè
ved. Rivoira
Un ringraziamento particolare ai
Sigg. Dottori, Direzione e Personale
tutto dell’Ospedale Evangelico di Torino, ai Sigg. Pastori Gay e Taccia,
alle nipoti Nelly Bonjour e Clara Sappé e Paola Ricca.
« Non temere perché io sono teco; non ti smarrire perché io
sono il tuo Dio; io ti fortifico,
io ti soccorro, io ti sostengo con
la destra della mia giustizia»
(Isaia 41: 10)
Angrogna, 28 gennaio 1969
RINGRAZIAMENTO
Nella triste circostanza della dipartita del caro congiunto
Gustavo Tron
(geometra)
le famiglie Tron e Morero e parenti
tutti ringraziano sentitamente tutte le
persone che presero parte al loro dolore sia con la presenza, con fiori o
scritti.
In particolare modo ringraziano i
Pastori A. Deodato e F. Bertinat, il
Dott. A. Bruno, le Amministrazioni Comunali di San Germano Chisone e
Pramollo, tutto il personale deirOsjiedale Cottolengo di Pinerolo, l’Associazione Partigiani di San Germano Chisone.
6
pag. 6
N. 6 — 7 febbraio 1969>
Notiziario
ecumen ico
a cura di Roberto Peyrot
LA SVIZZERA E I PAESI
SOTTOSVILUPPATI
Berna (soepi) — 1056 svizzeri si sono impegnati a versare il 3% dei loro redditi, durante tre anni, a favore dello sviluppo, sottoscrivendo una dichiarazione su « La Svizzera ed i paesi in via di sviluppo ».
E’ ovvio che il problema dello sviluppo
solleva enormi questioni e che un appello
aU’individuo non pretende di risolverle...
Tuttavia, non è possibile prendere delle
grandi decisioni economiche e politiche se
esse non vengono appoggiate dal consenso e
dall’impegno di un gran numero di persone.
La Dichiarazione, detta di Berna, dice fra
l’altro :
« Se i popoli ricchi sono oggi, in maggioranza, dei popoli che si basano su una civiltà giudeo-cristiana, e in parte a questa
liberazione spirituale che debbono il loro
sviluppo e la laro evoluzione sociale ed in
parte anche alle condizioni sovente misere
in cui altri popoli hanno lavorato per essi.
I cristiani, oggi, non possono approfittare
solo delle loro ricchezze senza tradire VEvangelo; sanno che devono porre un limite alla loro prosperità onde permettere a tutti gli
uomini (e a se stessiJ di realizzare la propria vocazione umana. Parecchi non credenti
che hanno lottato per la giustizia sociale, a
volte più dei cristiani, cercano pure in questa battaglia un significato da dare alla loro
esistenza ».
I sottoscrittori sono liberi di devolvere il
loro 3% a qualunque opera, confessionale o
meno, che lavori per il terzo mondo. Il Comitato infatti precisa: « Abbiamo tenuto a
che questa iniziativa conservi un carattere
strettamente privato, affinchè vi n possa associare il più gran numero possibile di pastori e di laici nella massima libertà e senza
alcuna pressione ».
IL PASTORE BLAKE
E L'ECUMENISMO
Memphis, U.S.A. (soepi) - Il pastore C.
Blake, segretario generale del Cec, in occasione di un discorso pronunciato a Memphis,
davanti a 250 rappresentanti del Consiglio nazionale delle chiese, ha affermato che le chiese degenereranno in a clubs religiosi locali »
se non si decideranno ad un’azione cojnime e
non resteranno che « un rifugio precario contro la tempesta generale che si abbatte sul
mondo e lo trasforma in un inferno ».
Egli ha proposto che l’azione comune avvenga in seno alle missioni, ai servizi sociali,
agli studi teologici, agli affari intema^cinali ed
ai programmi di lotta contro la povertà.
« Se qualcuno di voi vuol essere preso sul serUt
dal mondo o dai giovani, dai poveri o ^gli
uomini d’affari, faccia saltare le camicie di
forza confessionali che costituiscono ancora
l’ostacolo più paralizzante nella chiesa di Gesù
Cristo ».
I consigli delle chiese sono gli strumenti
naturali per un’azione comune — ha aggiunto Blake — ma è necessario rafforzare il loro
carattere ecumenico integrando in essi dei
cattolici, degli evangelici conservatori, dei
laici, uomini e donne, dei giovani.
Egli ha poi proseguito : « I primi 60 anni
di questo secolo hanno visto l’ecumenismo fare
tali progressi che, quando verrà scritta la storia della Chiesa, si parlerà di tutto il secolo
come di quello del progresso quasi miracoloso verso l’unità ed il rinnovamento della
Chiesa ». (Non ci sentiamo, invero, di condividere quest’ottimismo; al contrario, senza voler tener conto dei progressi puramente formali o delle collaborazioni locali in campo economico e sociale, ci pare che questo nostro
tempo sia caratterizzato da movimenti progressisti e di dissenso in seno aBe singole chiese,
movimenti che — come il nostro settimanale
ha fatto rilevare in più occasioni —- sorgono
da varie matrici e che esigono quindi dei processi di ricerca e di chiarificazione).
UNA CONFERENZA PER LA PACE
IN U.R.S.S.?
Mosca (soepi) - 11 patriarca Alessio, capo
della chiesa ortodossa russa, ha annunciato
che il 4 luglio prossimo avrà luogo a Zagorsk,
presso Mosca, una Conferenza per « io cooperazione e la pace fra le nazioni«.
Le varie chiese e comunità religiose delrUnione Sovietica si sono accordate, per questa conferenza, durante una recente assemblea, a Zagorsk. Ma è ben inteso che la conferenza di luglio accoglierà dei rappresentanti
e dirigenti religiosi del monto intero, dato che
essa spera di « unire le forze pacifiche « delle
parti del mondo ove la situazione è più tesa.
L'aumentare della tensione politica in Europa, in Medio Oriente ed in Vietnam hanno
contribuito a persuadere i dirigenti della chiesa
della necessità di questa conferenza.
L’arcivescovo Nikodim, del Dipartimento
delle relazioni esterne della chiesa ortodossa
russa, presiederà il comitato incaricato di organizzare la conferenza. Questo gruppo si incontrerà nel mese di febbraio per preparare
l’elenco degli invitati ed elaborare un primo
programma di base.
novità
A. M. Hunter
L’Evan|elo secondo Paolo
Introduzione
alla teologia paolinica
pp. 140 - L. 700
— Una limpida esposizione del pensiero paolinico scritta per il « non
teologo », ma aggiornata agli ultimi sviluppi della scienza biblica.
— Un libro per chiunque voglia ripensare la propria fede.
CLAUDIANA - 10125 TORINO
Il processo alla “festa valdese” non è una novità
IL NOSTRO XVII
Come si impose subito ia tradizione - Nel 1859 gli studenti del Collegio di Torre
Pellice «occupavano» per far vacanza il 17 febbraio, così si ritenne opportuno prevenire il delitto... E già allora non si dimenticava l’impegno della solidariefà fraterna
L’art. 30 del Sinodo 1848, tenuto in
agosto, recitava : « L’Assemblée décide
à l’unanimité que, désormais, le 17 février sera pour tous les Vaudois un
jour de fête dans lequel sera célébré le
service divin, afin de rendre à Dieu les
actions de grâce pour le grand bienfait qui, dans ce jour anniversaire fut
accordé aux Vaudois, et perpétuer le
souvenir béni de Charles Albert Roi
Emancipateur ». La proposta di elevare
«A Carlo Alberto emancipatore dei
Valdesi, 17 febbraio 1848 » un busto in
una delle nicchie dell’atrio del Collegio (Echo des Valiées, 3 mai 1849) non
ebbe successo, e il Sinodo 1854, preoccupato di avere nel calendario valdese una festa semireligiosa (le solennità religiose cattoliche erano allora
contestate ed erano state nel periodo
precedente fonte di gravi guai) stabiliva nel suo art. 57 ; « La fête de
l’Emancipation, fixée par l’art. 30 des
Actes du Synode 1848, sera célébrée le
même jour que la fête du Statut»,
che si ricordava la prima domenica di
giugno, e che era solennità civile particolare, cui potevano quanto e più di
altri piemontesi partecipare a buon diritto i valdesi delle Valli, accomunando la ricorrenza della loro emancipazione e quella della libertà dello statuto albertino. Senonché la « tradizione » del XVII si impose subito, nonostante gli austeri pareri sinodali, e le
cronache del 17 febbraio 1859 ci apprendono questo gustoso particolare:
« La nostra gioventù del Collegio non
si scandalizza di un giorno festivo di
più nell’anno, e vuole rallegrarsi delle franchigie religiose non meno che
delle civili. Già da due o tre anni incorsero il castigo per aver dato vacanza ai professori [oggi si parlerebbe di
occupazione dell’Istituto!], e quest’anno ancora si sapeva che erano disposti
a subire la stessa pena. Si è creduto
più opportuno prevenire il delitto: e
non furono date che parte delle lezioni ».
Cosi il XVII rimaœ consacrato per
quel giorno, senza possibilità di equivoci.
* * *
Le cronache di un centinaio di anni
fa sono più o meno le stesse di quelle
che oggi potrebbero essere latte da
qualsiasi giornalista: lesta di popolo,
concorso nei Templi, richiami dei pastori alla responsabilità missionaria,
ecc. Ad esempio, sempre nel 1859, a
S. Giovanni « si parlò generalmente
dei frutti morali e religiosi che l’Emancipazione avrebbe dovuto produrre; e
un rapporto, preparato da uno studente su quest’argomento, confermava la
dolorosa impressione già latta, sulla
mancanza di tali frutti ».
Nulla di nuovo sotto il sole, dice il
proverbio ; e anche riguardo alle collette, corollario indispensabile di ogni
riimione Valdese, troviamo che nel
1851 la Chiesa di Torino sottoscrisse
L. 1(K), parte « all’emigrazione italiana
e parte agli asili infantili della capitale » ; nel 1850 « une collecte abondante était destinée à nos coréligionnaires
de la Hongrie, dont les établissements
naissants eurent tant à souffrir des
desastres de la dernière guerre. Il
était juste que des frères libres et heureux se souvinssent de frères dans
l’épreuve ; il était bon de proclamer, au
nom de l’Evangile et au milieu de
l’arène sanglante des intérêts et des
passions humaines les principes impérissables de la fraternité chrétienne ».
Più tardi furono oggetti della colletta
le missioni, l’evangelizzazione, la storia valdese, i ricorrenti deficit, ecc.
♦ * *
Per lunghi anni la solennità del
XVII accomunò alla dignità del cittadino l’imperativo della evangelizzazione: la libertà doveva essere lo strumento per proclamare « agli italiani
la buona novella » : « Combattiamo
adunque con rinnovato vigore il nuovo paganesimo che rivive nella religione, nell’arte, nella letteratura, nelle manifestazioni varie della vita italiana.... Evangelo e Libertà: ecco la
nostra bandiera ! ».
Clima celebrativo con richiamo costante alla responsabilità personale e
della Chiesa: tale il carattere di ogni
XVII febbraio, almeno fino alla seconda guerra mondiale, e naturalmente
con maggior entusiasmo nelle Valli,
con minore sensibilità nella diaspora
italiana.
Poi è venuta la crisi, o meglio la
critica.
Nel nuovo clima, con l’orizzonte allargato oltre i confini patrii, con le
istanze ecumeniche, con le problematiche nuove, si esprimono da un ventennio a questa parte vari tentativi di
disinnestare sempre più il XVII dal
suo tono celebrativo trionfaUstico,
dalla sua dimensione di festa civile e
popolare, di condannarlo rnagari come manifestazione folkloristica di una
piccola gente, di ignorarlo come nianjfestazione più o meno patriottarda e
religiosamente ambigua.
Non che questo processo al XVII
sia nuovo : iwtrei documentarlo anche
per il passato, ma oggi esso è più evidente, e tanto più in chiave di conte
stazione è chiaro che anche il XVII
subisce il destino di tanti altri aspetti
della nostra vita di chiesa-popolo.
Chiesa-popolo è infatti la realtà, lo
si voglia o meno : nelle Valli vive ima
chiesa multitudinista, con le sue peculiari caratteristiche buone e cattive,
e non possiamo ignorarla. Del resto
Carlo Alberto, nel suo famoso editto
del 1848, diceva : « I Valdesi sono ammessi a godere i diritti civili e politici... » : è chiaro che egli si rivolgeva a
dei sudditi e non ai fedeli di una chiesa, per la quale anzi veniva precisato :
« Nulla è innovato per quanto riguarda il loro culto».
Festa civile, dunque, ma di una gente che ha un senso in quanto comunità
di credenti: in questo dilemma sta il
nostro dramma, poiché il popolo può
anche ignorare la sua vocazione religiosa pur senza rinunciare al suo nome, mentre la comunità dei credenti
vorrebbe poter comprendere tutto il
popolo...
Così, anche oggi, davanti al XVII
febbraio noi abbiamo il solito schiera^
mento, acuito dalle tensioni interne della chiesa, che tutti conoscono.
Da una parte, i radicali, insofferenti
di qualsiasi compromesso, impazienti
per l’attuazione immediata del Regno,
che si presentano con il volto severo
dei giudici con cui non si discute: se
i tempi lo consentissero, unirebbero la
rigidità di Calvino con l’intransigenza
di Ignazio di Loyola, ma di questi
manca loro la forza profetica; se mai,
ne condividono la scarsa e difficile
umanità, la difficoltà del linguaggio,
il misticismo. Inoltre gli « slogane »
della politica sostituiscono per loro
quella « rabies theologica » che caratterizzava il cristianesimo di qualche
secolo fa e che ora è più che mai incerta per i nuvoloni creati dall’ecumenismo.
È evidente che questi « arrabbiati »
offendono con il loro atteggiamento il
grosso della comunità, che ne costituisce l’altra parte; vi troviamo tutti
quelli che si prestano meno agli entusiasmi, vivono più tepidamente la loro
lede, pur accusandoci e riconoscendosi
colpevoli ,di scarsa vitalità ed impegno: sono quelli che frequentano più
o meno il culto della domenica, che
costituiscono l’ossatura delle varie tradizionali attività ecclesiastiche, che si
caricano i deficit d’esercizio della chiesa, ecc. : il carrozzone insomma, con cui
la chiesa, bene o male, tira avanti...
Essi condannano ugualmente i
« payens » che non frequentano le
« saintes assemblées » come quelli che
le disturbano o le contestano; amano,
sperano e credono con buona coscienza, e in genere rifiutano esperienze o
avventure che non siano state ben ponderate.
Oltre a queste due componenti, è pure presente la terza, forse più numerosa ancora, quella dei Valdesi di nome,
quelli dei petardi al 17, che hanno conservato come unica caratteristica un
certo spirito anticlericale, valido tanto per la loro chiesa come per quella
cattolica. Questi sanno poco del Regno, e fanno parte di quelle masse
scristianizzate che le grosse chiese lasciano dietro di sé, con buone possibilità di ricupero ogni tanto... E anche
a costoro, poco disposti a macerarsi
nei digiuni o a santificarsi nella preghiera, il XVII dà un’occasione di incontrarsi con la chiesa...
« « ite
Infatti, la festa del XVII, proprio
perché è ad un tempo ricorrenza civile e popolare, e fa parte delle attività
ecclesiastiche, riunisce quei tre gruppi
che abbiam detto, magari per motivi
diversi; e in quell’occasione toccherà
come sempre di udire il richiamo all’impegno, alla responsabilità e alla testimonianza; in quelToccasione, come
nei culti, nelle riunioni del XV agosto,
nei funerali eoe., i pastori si troveranno dinnanzi un pubblico più sensibile
di altre volte ad un determinato richiamo; sarà ancora una volta possibile chiarire dei punti di vista e delle
posizioni diverse, ma unite da un fatale denominatore comune ; e sarà
impossibile, come sempre, stabilire
quanti di quelli che si saranno presentati siano degli eletti o dei reprobi
agli occhi di Dio...
Augusto Armand Hugon
Echi della settimana
CHI SEMINA INIQUITÀ'
MIETE SCIAGURA
Il primo ministro israeliano Levi
Eshkol ha commemoralo lunedi 27 gennaio
al Knesset (il parlamento israeliano) gli
ebrei assassinati (è la parola) a Bagdad. Il
suo discorso fa, in d'versi punti che rivelano grande ostinazione e mancanza d’obbiettività e d’equilibrio, una penosa impressione. Ecco alcuni di quest: punti.
« I reg mi arabi sono incapaci di risolvere i problemi delle loro naz oni. e si sforzano di gettare su altri la responsabilità dei
loro fallimenti.
Il crimine di Bagdad e le pretese di coloro che dichiarano d{ voler ’'liberare la Palestina”, fanno parte d'ano stesso piano. Fra
la pianificazione del genocidio e la sua esecuzione^ non v’è che lo Stato d’Israele e la
sua forza. I gruppi responsabdi e più coscienti del mondo devono comprendere questa realtà. Esattamente come nel maggio
1967, non si tratta d: proposte e di contro-proposte, fra le quali si debba cercare un compromesso^ Il conflitto e fra un
furore di distruzione da un lato, e d’altro
lato una nazione che si difende contro quelli che vogliono assas.sinoria.
Per duem.lacinquecentó anni gli ebrei
hanno dato il loro aiuto, con tutto U cuore
e con tutta Vanima^ alla costruzione di Babilonia diventata poi Irak. Ed ora questa
terra è, per i nostri fratelli, una prigione
sulla quale si proiatia l oiubru delle potenze.
Noi sappiamo che cl resta da fare una
cosa sola: rendere più forte Israele e salvare tutte le comunità ebraiche in distretta ».
Hubert Beuve-Méry, direttore de « Le
Monde» (n. 7479 del 29.1.’69), commenta
a lungo il discorso c termina con le seguenti
osservazioni :
a II sig. Eshkol non ha dunque avuto torto di dire che le forche di Bagdad rispondevano allo stesso obiettivo del movimento di
liberazione della Palestina. Detto questo, e
pur comprendendo il sentimento di collera
che gVispira questo deìitio, come pure la
sua rabbia davanti all’iuipossibilità dhmpedirlo in cui si trova il mondo, bisogna ammettere che il capo del governo israeliano
non ha fatto altro che approfondire ancora
un poco il baratro che separa israeliani ed
arabi: perchè egli non ha fatto delle distinzioni, pur necessarie, fra i dirigenti di Bagdad e quelli degli altri paesi arabi.
A parte il fatto che è sempre un po abusivo paragonare al nazismo, perversione sadica della civiltà industriale, gli accessi di
furore di popolazioni miserab.li, ogni giorno ferite nel loro amor proprio, la ’’pianificazione del genocidio ’ (per riprendere la
sua espressione) non è tuttavia, fino ad og
a cura di Tullio Viola
Questa
settimana...
a PINEROLO, lunedì 10, dalle ore 9, colloquio pastorale Valli-Torino; temi di studio e
discussione: la predicazione, la vita del Distretto, il testo « Incontro a Cristo » (Catechismo delTIsolotto).
a POMARETTO, mercoledì 12 febbraio, aUe
20,45 nella cappella di Perosa una conferenza
sui trapianti di organi, seguita da dibattito.
a IVREA, nella sala comunale di via San
Martino, la sera di martedì 11 alle 21, i pastori Paolo Ricca, Carlo Gay e Giorgio Bouchard rievocheranno la figura di Karl Barili
sotto il profilo teologico, ecumenico e politico.
a TORINO, la sera del 10 alle ore 21, si
terrà presso la Camera del Lavoro (via Princ.
Amedeo 16) un dibattito organizzato dal gruppo radicale locale e « moderato » dal giudice
Mario Berutti, su : « Stato confessionale, negazione della libertà di coscienza »; il dibattito
sarà introdotto da alcune brevi relazioni.
a ROMA, martedì 11 alle ore 16, nei locali
della Chiesa metodista di via Firenze, si avrà
un convegno interdenominazionale delle donne
evangeliche della città e dintorni, che esamineranno e discuteranno il problema dell autorità : nella scuola (prof. Rocca), nella famiglia
(prof. Lenuccia Costabel), nella chiesa (past.
Giovanni Lento).
gi, che l’opera di alcuni individui. Il rischio è questo: che, se la scalata della violenza e dell’odio continuerà, le masse arabe
ascolteranno sempre più le argomentazioni
e le seduzioni degli estremisti.
Il miglior modo di venire in aiuto ai superstiti delle comunità ebraiche dell’Oriente
arabo, che oggi tremano per la loro stessa
esistenza, non sarebbe forse per Gerusalemme, in queste condizioni, quello di abbandonare l’opposizione ad oltranza ad ogni idea
di azione concordata da parte dei Quattro
Grandi, al fine di stabilire in quella regione almeno una parvenza di pace? ».
A noi le forche di Bagdad fanno orrore,
nè ci sognarne neppur lontanamente di prender le parti dell’Irak. Ma dobbiamo pur dichiarare che quelle forche non sono state
una sorpresa, perchè daU’episodio dell’aerodromo di Beyrut non potevamo attenderci
nulla di buono. L’odiosità di quell’episodio
aveva diverse motivaz'oni : il fatto d’aver
considerato un intero popolo e ¡1 suo governo corresponsabili con un'azione di brigantaggio compiuta da individui isolati, quello
d’esser passati direttamente alla «. punizione » di quel popolo e di quel governo senza
premettere alcuna azione diplomatica, e tutto questo infine senza tenere alcun conto
della condotta, sostanzialmente pacifica, di
quel popolo stesso durante la guerra dei
sei giorni.
GLI AFFARI SONO GLI AFFARI
E’ in atto una collusione fra il SudAfrica e rURSS per monopolizzare 11 mercato mondiale delToro e deU’uranio?
« Per essersi astenuto dal condannare la
politica razzista del Sud-Africa, durante i lavori della recente sessione dell’Assemblea generale delVONU, il governo di Mosca otterrà forse sostanziali vantaggi econom'ei dalle autorità di Johannesburg?
Non è un segreto che VURSS si sta sempre più interessando al sottosuolo sud-africano, e particolarmente ai minerali d’uranio. Non è neppure un segreto che certi
’’agenti commerciali”, dislocati nei centri finanziari dell’Europa occidentale, più d’una
volta hanno trattato l’acquisto di questo uranio sud-africano, per destinarlo ai reattori
sovietici, e pertanto alle ogive nucleari.
Non è azzardato attribuire agli stessi agencommerciali, le spinte al rialzo del prezzo
dell’oro, constatate sui mercati europei. I due
più grandi produttori d’oro del mondo hanno in comune l’interesse ad aumentarne il
valore commerciale ».
SMENTITA
Sono costretto a smentire, nel modo p ù
deciso, quanto pubblicato sotto il titolo
« RITARDO » nel n. 5 dell’« Eco-Luce » e
cioè che il recente sciopero alla Tip. Subalpina di Torre Pellice sia la conseguenza
di presunti ritardi nei pagamenti imputabili,
alla Amministrazione della Claudiana.
La Claudiana è impegnata ad effettuare
un versamento mensile alla Tip. Subalpina,
di circa mezzo milione. Negli ultimi mesi
tale cifra è stata puntualmente versata: peil’esattezza, il 19 dicembre 1968, L. 600.000
e il 10 gennaio 1969 L, 545.100.
Quando mercoledì 29 gennaio è giunta
la richiesta di un ulteriore versamento, questo è stato disposto immediatamente mediante istruzioni telefoniche alla nostra filiale di
Torre Pellice, per l’ammontare di L. 777.000.
La data di questi versamenti è controllabile liberamente presso i nostri Uffici di Torino. Non sarei intervenuto per smentir?
queste false voci se queste non circolassero
ormai da troppo tempo a danno del nostro
buon nome.
Carlo Papini
Direttore della Claudiana
Mi dispUice, ma non pos&o considerare
quanto sopra una ’’smentita” di ciò che ho
scritto e pubblicato nel n. scorso, per queste due ragioni:
1 ) non ho affermato che il ritardo nei
pagamenti alla Subalpina da parte dell’Amministrazione del settimanale fosse la sola
causa dello sciopero che ci aveva causato ritardo di pubblicazione. Tuttavia è stata unii
con-causa non indifferente; infatti
2) per dare un quadro esatto della situazione, non basta citare i pagamenti effettuati negli ultimi 2 mesi; e la situazione s.
presenta in modo notevolmente diverso s<
si considera un arco di tempo di più mesi.
Detto questo, chiarisco che la mia nota in
calce allo scorso n. del settimanale tendeva
a richiamare, oltre che l’Amministrazione
dell’« Eco-Luce » e prima ancora che questa,
rAmministrazione della Subalpina e la Tavola Valdese la quale de facto ha la responsabilità della tipografia,^ a prendere di petto
una situazione che si trascina da troppo tempo con disagio di tutti; se l’ho fatto sul giornale, è stato perchè precedenti interventi a
voce 0 per iscritto non hanno sostanzialmente inciso sulla situazione, che mi pare particolarmente seria proprio perchè si tratta di
un’opera di cui è responsabile la chiesa.
Gino Conte
Federaz. Femminile Valdese
Un convegno a Torino
Le unioni femminili evangeliche del Piemonte e della Liguria sono invitate a partecipare all’incontro regionale interdenomìnazio*
naie organizzato dal « Consiglio dì collegamento dei gruppi femminili evangelici in Italia
che avrà luogo a Torino domenica 23 febbraio
1969 in via Pio V 15. Il tema dell’incontro
è: I cristiani di fronte ai valori attuali della
vita; si articola in tre studi a cura di M. Beltrami, E. Girolaraì e B. Rostagno.
Il programma della giornata è il seguente i
ore 10,30 - culto in corso Vittorio
ore 12,45 - pranzo al sacco
ore 14,30 - presentazione del tema, discus.sione a gruppi
ore 17 • saluti
ore 17,30 - thè
Per motivi di organizzazione le unioni sono
pregate di comunicare il numero delle parti'cipanti entro il 15 febbraio a : Oriana Beri via Marco Polo 36 - 10128 Torino.
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
n. 175, 8-7-1960
(Dalla « Gazelte de Lausanne» del 3.2.’69) Tip. Subalpina s.p.a - Torre Pellice (To)