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BIIXCHN15
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI.
Anno IX. - Fasc. V-VI ROMA - MAGGIO-GIUGNO 1920 Volume XV. 5-6
SOMMARIO
E. TROUBETZKOY: L’utopia bolscevica e
il movimento religioso in Russia . pag. 321
G. TUCCI: A proposito dei rapporti fra
Cristianesimo e Buddhismo............332
U. BRAUZZI: Il benessere economico (sua relazione con il progresso morale) . . 342
G. PIOLI: L'* Etica della simpatia» nella « Teoria dei sentimenti morali »di A. Smith 348
G. E. MEILLE: Psicologia di combattenti cristiani.................................358
Intermezzo : « Senza casa, ma con Dio » pensiero di M. B1LL1A (con una tavola dì P. Paschetto)..........................389
A. V. MUELLER: G. Perez di Valenza
O. S. A. vescovo di Chrysopoli e la teologia di Lutero ....... 391
Per la cultura dell'anima :
C. VAGNER: L'eroismo - L’idealo ....... 404
Note e commenti:
M. PUGLIS1 : C. Puinioi suoi nuovi studi sul buddhismo 410
P. E. PaVOLINI: Il nome di Dio in ebraico . . . 413
*•* Per lo studio delle religioni ........ 413 C. BERARDI : La Federazione Studenti per la cultura
religiosa e 1$ Chiosa cattolica......... 414 Note e documenti:
E. RUTILI : Forme di degenerazione religiosa in tempo
di guerra ................. 416 Cronache:
Q. TOSATO: Politica vaticana e azione cattolica . 438
La vita dello spirito nella letteratura:
A. TlLGHER: Giorgio Duhamel (profilo) . . . . 448 Rassegne :
m.: Filosofia politica (IV) ........... 452 r. e p.r Studi biblici (XI) .......... 457 Fra chiese e cenacoli ........... 461 Letture ed appunti - Cose nostre...465
Tra libri e riviste: ......... 474 Q. TOSATO, P. E. PAVOLINI - Nuove riviste.
Recensioni: ............ 478
P. E. PAVOLINI, A. TlLGHER, G. COSTA, ecc.
Nuove pubblicazioni ........... 482
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RII YCHNIS rivista mensile di studi religiosi
DILICniìIJ . . . . FONDATA NEL 1912 ► . . .
CRITICA BIBLICA STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA PEDAGOGIA
FILOSOFIA RELIGIOSA MORALE - QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELI-GIOSO LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL' ESTERO
REDAZIONE: Prof. LODOVICO PASCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WHITTINGHILL, Th. D.» Redattore per l’Estero ; Via del Babuino, 107, Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. 10; Per l’Estero, L. 15; Un fascicolo, L. 1,50
(Per gli Stati Uniti e per il Canadà è autorizzato ad esigere gli abbonamenti il Rcv. A. Di Domenica, B. D. Paitor, 1414 Culle Ave, Phlladelphla, Pa. ^U. S. A.)].
Abbonamento annuo cumulativo col Testimonio, rivista mensile delle chiese batiste italiane, L. 13,50. . ... , '■ ..
Id. con Fede e Vita, rivista della federazione studenti per la cultura religiosa, L. 12,50.
Corrispondenti e collaboratori sono pregati d’indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista " BJLYCHN’S ” - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gli articoli firmati vincolano unicamente l'opinione dei loro autori.
I manoscritti non si restituiscono.
I collaboratori sono pregati nel rest’tuire le prime bozze di far conoscere il numero degli estr tti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della ca-ta e della mano d'opera la R vista non dà gratuitamente alcun estratto.
Nei prossimi numeri pubblicheremo:
P. E. PaVOLINI, La religione degli antichi Finni.
F. De Sarlo, L'opera filosofica e scientìfica di E. Haeckel (con ritratto).
E. TROILO, La filosofia di Giorgio Politeo (con ritratto).
G. Lfsca, Filosofia e religione nella poesia di G. Pascoli.
M. Rossi. Lutero.
A. De Stefano, La riforma religiosa di Arnaldo da Brescia.
Fr. Giulio, La filosofia di Benedetto Croce.
A. Renda, Incompetenza della psicologia nello
studio dei va’ori.
A. Renda. Le riduzioni dei valori.
A. Chiappflli, La critica del Nuovo Testamento nel XX secolo.
C. FoRMlCHI, PaulDeussen nella vita e nelle opere.
L. Salvatorelli, Lo Stato nel pensiero cristiano del II e HI secolo.
G. Pioli, Uomini e cose d'Inghilterra (note).
— L'unità nelle scienze, in filosofia morale e religione.
P. Orano, / cottol a in Parlamento.
— Il problema della scuola.
G. Costa, Il valore storico della « passio S. Fe-licioni ».
G. Rensi, Il Lavoro.
— La Storia.
M. PugliSÌ, Franz Brentano (con ritratto).
— / misteri pagani e il mistero cristiano.
U. Della Seta, Un riformatore: Senofane di Colofone.
A. Vasconi, Una lettera inedita di Tancredi Canonico.
R. Pettazzoni, Il problema del zoroastrismoG. Levi della Vida Recenti studi su Maometto e sulle origini dell' Islam.
F. Bridel, Vinet, profeta della libertà.
CI ànno pur assicurato il loro contributo i proff. A. Calderini, Adriano Tilgher, Dino Provenzal, A. Tagliatatela. Per la cultura dell'anima ci anno promesso il loro concorso Fra Masseo da Pratoverde, G. buzzi, A. Tagliatatela ed altri.
L’Amministrazione ricerca copie del fascicolo del febbraio 1919 che contraccambierà con pubblicazioni di sua edizione del valore di L. 2.
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Libreria Editrice BÏLYCHNIS - Via Crescenzio 2 - ROMA, 33
PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
Delle nuove pubblicazioni, appartenenti al ciclo degli studi di cui si occupa la rivista, faremo un brevissimo cenno nel darne l' annuncio, qualora gli editori alle copie da tenere in deposito aggiungano una in omaggio. So|o pubblicando questo cenno bibliografico assumiamo la responsa-,. bilità dell’indicazione dell’opera.
I prezzi segnati non subiscono aumenti e le spedizioni sono franche di porto. Per gl'invii sotto fascia, raccomandati, aggiungere cent. 30.
La libreria si incarica di qualsiasi ordinazione di libri in Italia ed all’estero. / Essa è runica rappresentante in Italia della University oj Chicago Press.
CULTURA DELL’ANIMA
Borsari R. : Guardando il sole 2 —
Burt W.: Sermoni e allocuzioni . - . . . . . ... 2 —
GRATRY A.: Le sorgenti, con prefazione di G. Semeria 4,50
Monod W.: L’Evangile du Royaume ....... 6,50 — Délivrances;. . . . 6,50 — ir régnera...........6 —
Vienot J. : Paroles françaises.
Crononcées a 1’ oratoire du ouvre . . . . . ' . 2,50 Wagner C.: L'ami . . . 7 — — A travers le prisme du temps ....... 4,50 — Justice . . . . . . 6—
FILOSOFIA
Della Seta U.: G. Mazzini pensatore . . . . . . io —
Della Seta U.: Filosofia morale (Vol. I c II). . 15 —
Ferretti G.: lì numero e i fanciulli, capitolo d’una didattica dell’in venti vità. 2 —'
È uno dei vari aspetti sotto cui il nostro egregio collaboratore vede il problema dell’educazione filosofica, dell’autocoscienza, dell'autonomìa morale: far convergere anche l’insegnamento del
numero a questo fine, non renderlo, come tanti insegnamenti, vano od inutile. Eie belle pagine in cui egli dimostra comesi debba fare si leggono non solo con interesse,. jna con diletto.
Von Hügel F.: Religione ed illusione . . . . i-—|
Losacco M.: Razionalismo e Intuizionismo . . . 1 — i
Papini G.: Il tragico quoti-| ■ diano . . . . . . .- 5,50 !
—’ Crepuscolo dei filosofi 3,50 '
Rensi G.: Sic et non (metafisica e poesia) . . . 3,50 i
Tagliatatela E.: Giovanni Lo-( cke educatore. Studio criti- !
co seguito da 2 opuscoli pe-. dagogici del Locke (per la prima volta tradotto in ita-, liano) ........ .4 —।
GUERRA E ATTUALITÀ
Andreief L.: Sotto il giogo della guerra . . . . 3,50
Bois H.: La guerre et la bonne conscience . . . . . 0,70
Ciarlantini: Problemi dell’Alto Adige ....... 3,5o
Ghelli S.: La maschera dell’Austria . . . . . 6 —
Kolpinska A.: I precursori della rivoluzione russa 6 —
L’A\ stessa à dichiarato il mètodo .del suo lavoro, metodo di antologia o di mosaico e à con ciò tributato a sè stessa la maggior lode. Piuttosto che un’opera di storico assimilatore» essa à fatto opera di espositore coscienzioso di quanti ne' .due. ultimi secoli segnarono le tappe essenziali dello sviluppo della Russia. Gl’Italiani leggano e meditino le pagine delia K.; ciò li esimerà forse dai vaniloqui retorici degli estremisti di tutti i partiti.
Maranelli e Salvemini: La questione dell’Adriatico. 6 —
Murri R. : L'anticlericalismo (origini, natura, metodo e scopi pràtici) . . . . 1,25
MURRI R. : Guerra e religione, Voi. I. Il sangue e l’altare 2—
MURRI R. : Guerra e religione. Voi. II. L’imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa ........ 2—
Puccini M.: Come ho visto i
Friuli ....... 5 — Scarfoglio: L’Italia,'’ la Iugoslavia e la questione dalmata
0,25 Senizza G.: Storia e diritti di Fiume italiana . . . x —
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Aea. Tip. Lib. Ita!. 15-IV-20).
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Libreria Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio» 2 - ROMA 33
Sui prezzi« del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dcll’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-JV-20)
Soffici A.: Kobilek (giornale di battaglia) . . . 3»5°
Stapfer: Les leçons de la guerre 4"7
Wilson: La nuova libertà. 4 — Wilson : Un soldat sans peur et sans reproche (en mémoire de André Cornet-Auquier).
1,30 ZANOTTI-BIANCO è CAFFI i . A. : La pace <11 Versailles, | note e documenti (con 20 car* ’ te etnografiche e politiche)
10 La Chiesa e i nuovi tempi 3,50
Raccolta di scritti originali di Giovanni Pioli - Romolo Muftì -, Giovanni E. Melile - Ugo Ianni - Mario Falchi - Mario Rossi -“ Qui Quondam „ - Antonino De Stefano - Alfredo Tagliatatela. |
LETTERATURA
Arcari P. : Amici . . . . 2 Chini.M.: F. Mistral . . 2-Della Seta U.: Morale, Diritto e Politica internazionale nella mente di G. Mazzini.
1,50
Dell’Isola M.: Etudessur Montaigne ....... 2,50
Jahier P.: Ragazzo . • . 3,50
Brevi, ma vive pagine di vita vissuta, scritte in uno stile che à i tratti duri, ma incisivi di alcune xilografie e che par più che dipingere trarre dal marmo dell’esposizione fredda la vitalità della statua. È tutto perfuso di una spiritualità fremente e d’una poesia dolorosa che in una prosa tutta speciale è più espressiva talvolta della stessa poesia.
Lanzillo A.: Giorgio Sorci. 1 — Rapini G.: Parole e sangue. !
3.50
Sheldon C.: Crocifisso! romanzo religioso sociale tradotto da E. Tagliala tela. 2 —
Soffici A.: Scoperte e massacri (Scritti sull’arte) 5 —
Vitanza C.: Spiriti e forme del divino nella poesia di M. Ra-, pisardi (conferenze). 1,50
RELIGIONE E STORIA
Agresti A.: A. Lincoln '. 2— •
Buqnaiuti E.: S. Agostino 2 —
■ » S. Girolamo 2 —
CHIMINELLI P. : Gesù di Nazareth . . . . (in ristampa)
—Il Padrenostro e il mondo moderno ....... 3 —
Cuniont F.: Le religioni orientali nel ¿paganesimo romano . . ...... 6,50
Di Soragna A.: Profezie di Isaia, figlio di Amos. 7,50
Gautier L. : La Loi dans l’ancienne alliance . . . 2,25
Janni U.: Il dogma dell’Eucari-stia eia ragione cristiana 1,25
Lea H. Ch.: Storia della confessione auricolare e delle indulgenze nella chiesa latina (versione di Pia Cre-monini), 2 volumi . 36-—
— Le origini del potere temporale dei papi ... 5 —
LOIS Y A.: Jesus et la tradition évangélique. . .... 4—
Loisy À. : La Religion. 5 — — Mors et vita . .. . . 2,25 — Epitre aux Galates. 3,60
— La paix des natìons . 1,50 Ottolenghi Rj I farisèi antichi e moderni. . . . 4 —
PETTAZZONI R. : La religione primitiva in Sardegna 6 —
Salvatorelli L.: Introduzione bibliografica alla scienza delle, Religioni. . ., . .... 5 — — ■ La Bibbia» Introduzione al-l'Antico e Nuovo Testamento . . . . - ...... 12,50 — Il significato di « Nazareno » . . . . . J . 1,50
TYRREL G. : Autobiografìa e Biografìa .. (per cura di M.
D. Pétre) . ? . . 15 —
A i nostri abbonati non morosi L. 10,50 franco di porto. Tyrrel G. : Lettera confidenziale. ad un professore d’antropologia ...... 0,50
Vitanza C.: La leggenda del « Descensus Christi ad in-feros » ....... 1,50
Wenck F.: Spirito e spiriti nel Nuovo Testamento. 0,75
X. La Bibbia e la Critica. 2 — X. Lettere di un prete modernista ...... 3,50 Nuovo Testamento, tradotto e corredato di note e di prefazioni dai prof. G. Luzzi 1,80 Nuove» Testamento e Salmi (e-.. dizione Fides et Amor) 3 — I Vangeli e gli Atti degli Apostoli (edizione Fides et A
mór) . . . .’ . . i,8O I Salmi (¿Edizione Fides et
Amor) . ..... 1,80
■Giòbbe, tradotto da G. Luzzi 1,80
Ianni U.: U culto cristiano rivendicato contro la degenerazione. romana ... . .,. 1
Tagliatatela E.: L’educazione nella Chiaea dei primi secoli 3,50
Taylor G. B. : Il Battesimo 0,50
VARIA
Cadetti A. : Con quali sentimenti sono tornato dàlia 'guerra . . . . . *. ■ 1,50
Del Vecchio G.: Effetti morali del terremòto in Calabria secondo F. M. Pagano . 2 — Martinelli: Per la vittoria morale ...... . . 3,50 Majer Rizzoli E: Fratelli e sorelle (Libro di guerra. 19x5-1918) . . . . . . . . . . 4,50
Merlano F. : Croci di legno 3,50 Niccolinl E.: I contadini e la terra ......... 2,50
Rapini G.: Esperienza futurista 3.50
Rapini G.: Le memorie d’iddio 3 —
—- Chiudiamo le scuole 1 — Pioli G.: Educhiamo i nostri padroni . . . . . . . 2.50 Provenzal D. : Carta bollata da due lire ......'. . x — Scarpa A.: La scuola delle mùmmie . . . . . 1 —
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iWi lull—■ I 1 - “i
III —
ESTRATTI DELLA RIVISTA “ BILYCHNIS „
===== I Serie ===.i. Amendola Èva: Il pen-1 sièro religioso e filosofico di F. Dostbievsky (con tavola fuori testo: ritratto del D. disegnato da P. Paschetto).
1917, p. 40 . . . . . 2 — I
2. Bernardo (ira) da Quin-tavalle: L'avvenire secondo l’insegnamento di Gesù. 1917, p. 43..............0,80 ;
3. Bion doli Ilo Francesco: La ' religiosità di Teofilo Folengo (con 1 disegno). 1912,
p. 12 . . .• . . • . . 0,40.!
4. Biondolillo Francesco: Per i là religiosità di F. Petrarca ! (con una tavola). X913, pagine 9 ...... . 0,40
5. Cappelletti Licurgo: Il ; Conclave dèi 1774 e là Satira j a Roma. 1918, p. io. ó,$o
6. Cento Vincenzo: Colloquio con Renato Serra. 1918, p. il . . . ... . . 0,60
7. Chiappelli Alessandro: Con tro l’identificazione della filosofia è delia storia e pei diritti della critica. 1918, p. 12 . . . . . . . 0,60
8; Corso Raffaele: Ultime vestigia della lapidazione (con 2 disegni originali di P. Paschetto). 1917, pagine 11..........(esaurito) |
9. Corso Raffaele: Lo studio dei riti nuziali. 1917, pagine 9 . . . . ; 0,40
io. Corso Raffaele: Deus Plu-vius (saggio di mitologia popolare). 1918, p. 13. 0.7.5
11. costa Giovanni': La bat-i taglia di Costantino a Ponte Milvio (con due tavole.e due disegni). 1913, p. 14: 1,50
12. Costa . Giovanni: Critica e tradizióne. Osservazioni sulla politica e sulla religione di Costantino. 1914, pagine 23 ...... 1,50
13. Costa Giovanni:. Impero romano e cristianesimo (con due tav.). 1915, p. 49.. 2 — ;
14. Costa Giovanni: Il « Chri-stus > della « Cines ». 1917, p._ 11 . . . .. . .;. 0,30
15. Crespi Angelo: il problema dell'educazione (introduzione). 19x2, p. 11. (esaurito)
16. Crespi Angelo: L’èvolu-1 zione della religiosità nell'individuo. 1913, p. 14. 0,50
17. De Stefano Antonino: Le origini dei Frati Gaudenti.
1915. P- 26 . .. . I . 1,50
18. De Stefano Antonino: I Tedeschi e l’eresia medievale in Italia. 1916, pa- | gine 17 . .< . . 1 —-i
19. De Stefano Antonino: Del-1 le origini dei « poveri lombardi » e di alcuni gruppi' valdesi. 1917,. p. 23. 1 —
20. Fallot T.: Sulla' soglia) (considerazioni su'ÌÌ’itZ di là) (con una tàvola f. f., disegno di P. Paschetto). 1916, p. 14 . . . .. . 0.50
21. Fasulo Aristarco: Pel IV centenario della Riforma.
1917. P- iS . ; . 0.50
22. Fasulo Aristarco: Brevi motivi d’una grande sinfonia (Della .Provvidenza). 1918, p. 16 . 0,50
23. Formichi Carlo:. Cenni sulle più antiche religioni dell’india. (con suggerimenti bibliografici).' 1'917, pagine 15 ................. i
24. Fornari F.: Inumazione e cremazione (con quattro ta-I vole). 1912,.p. 6 . . . 1 — |
25. Gabellini M. A.: Olindo Guerrini: l’uomo e l’artista. 1918, p. 17 .... . 0,50
26. Gambaro Angelo: Crisi ! Contemporanea. 1912. pagine 7 . . . . . . .. 0,30 *
27. Ghignoni P. A.: Lettera a j R. Murri (A proposito di Cn-sliatiesimo c guerra}. 1916, p. 9.............. (esaurito) ।
28. Giretti Edoardo: : Perchè । sono per la guerra. 1915, p. 11 . ,. ; ... -.v 0,50 '
29, Giulio-Benso Luisa: .« La J vita è un sogno » di Arturo I Farinelli. 1917, p. 16. 0,50 I
30. Giulio,-Benso. Luisa: La-mennais e Mazzini (Con. ima tavola f. t. : ritratto del La-mennais). 1918, p. 40. 1,50
31. Giulio-Benso Luisa:.Il sentimento religioso nell’opera ; di Alfredo Óriani. 1918, P- 43 ....... 1.50 I
32. Lanzillo Agostino: Il soldato e l’eroe (Frammenti di psicologia di guèrra). 1918, p. 25 . . . (esaurito)
33. Lattes Dante: Il .filosofò del rinascimento spirituale ebraico. 1918, p. ¿¡t. 1,2'5
34.. Lonzi Furio: L■autocefalia dèlia Chiesa di Salona (con undici illustrazioni). 1912, p. 16 . .' . . . ' 1 —
35. Lenzi Furio: Di: alcune medaglie religiose del iv secolo. (con • una tavola c quattro disegni). 1913, pa;gine .21 . 1,50
3Ó., Leopoid H.;_ L'é memorie ' apostòliche a Roma e i re- j centi scavi di S. Sebastiano (con una tàvola). ■ 1'916, pagine1 14 . '. . . '. .' 0,40 ■
37/Lazzi Giovanni: L’opera • Spenceriana. 1912, pagine 7 .. . / . . “i . 0,30
38. Masini Enrico: Là liberazione di Gerusalemme, i Salmo. 1917, p. 2 . 0,25
39. Melile Giovanni E.: Il cristiano nella vita pubblica.
1913. P- 3i in-329. . 0,25 .
40. Meille Giovanni e Ada: Gianayello. 'Scene valdesi in quattro atti. (Disegni e xilografie di P. A. Paschetto),, 1918, p. 67. 2,50
41. Minocchi Salvatore: I miti babilonesi e le origini della gnosi. 1914, p. 43 . . 1,50
42. Momigliano Felice: Il giu- । daismo di ieri è di domani. : 1916, p. 16 . . . ." 0,60
43. Müller Al phons Victor: A-gostino Favaroni (f 1443) (generale dell'ordine Agostiniano) è la teologia di Lutero., 19x4, .p. 17 . 0,50
44. Murri Romolo: L'individuo e la storia (A proposito di Cristianesimo, e guerra).
1915. P- 12 ... . . 0,50
45. Murri Romolo: La religione nell’insegnamento pub blico in Italia. 191-5, pagine. 22 . . , . . . 6,75
46. Murri Romolo: La « Religione • di Alfredo Loisy. 1918, p. 16 . . . . . 1,25
Sui (prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione delPÀss. Tip. Lib. Itai.Ì5-IV-20).
6
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell'Ass. Tip. Lib., Ita!. 15-IV-20).
47. Murri Romolo: Gl’Italiani e la libertà religiosa nel secolo xvn. 1918. pi io. . 0,50
48. Muttinclli Ferruccio: 11 profilo intellettuale di Sin Agostino. 1917. p. 8. 0.40
49. Nazzari R.: Le concezioni idealistiche del male. 1918, p. 16 • 1 —
50. Neal T.: Maine de Biran.
1914. P- 9 ■ • • • ■ °’5°
51. Orano Paolo: La rinascita dell'ànima. 1912. p. 9. 0,50
52. Orano Paolo: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita ed un ritratto). 1915, p. 19 • - x —
53. Orano Paolo: Gesù e la Guerra., 19x5, p. 11. 0,50
54. Orano Paolo: Il Papa a Congrèsso; 1916, p. 12 0,75
<5. Orario Paolo: La nuova coscienza religiosa in Italia. X9I7« P-. x9 • • °’5°
56. Orr James: La Scienza e la Fede Cristiana (secondo il punto di vista conciliato-rista). 1912, p. 25.. . 6,25
57. Pascal Arturo: Antonio Caracciolo: Vescovo di Troyes. X9I5. p. 39 ■ • ■ ■ • 1—
58. Pioli Giovanni: Marcel Hé-bert (con ritratto ed un autografo). 1916, p. 23. 1 —
59. Pioli Giovanni: Inghilterra di ieri, di oggi, di domani. Esperienze e previsioni (con sei tavole). 1917. p. 57 1,50
60. Pioli Giovanni: La fede e l’immortalità nel « Mors et vita » di Alfredo Loisy (con ritratto del Loisy). 1917, p. 22 . . ... 0,60
61. Pioli Giovanni:. Morale e religione nelle opere di Shakespeare (con cinque tavole) 1918, p. 46 .... . 2 —
62. Pioli Giovanni: li cattolicismo tedesco e il « centro cattolico ». 1918, p. 21 1,25
63. Piòli Giovanni: LO spirito della Riforma e quello della . Germania contemporanea.
1918, p. xi..........0,50
64. Pons Silvio: La nuova
• crociata dei bambini. 1914) p. 6 ... ; . (esaurito.
65. Pons Silvio: Saggi Pa-scaliani. I. Il pensièro politico e sociale del Pascal. II. Voltaire giudice de
« Pensieri del Pascal »III. Tre i 81. Rossi Mario: La chimica fedi (Montaigne, Pascal, Al- del Cristianesimo (confe-fr.ed de -Vigny) (con due ta-,.' vole fuori Cesto). 1914. pagine 30 . .
66. Provenzal fatto. 1917,
1.50
Dino: Giuoco p. 12 . . 0,40
67. Provenzal Dino: L’anima religiosa di un eroe. 1918, p. X2 ... . . . . 0,75
68. Puglisi Mario: Il problèma morale nelle religioni primitive- 1915, P- 36 . .* . 1 —
69. Puglisi Mario: Le font’ religiose,,-del problema del male. 1917. P- 97 • • 2 —
70. Puglisi Mario: Realtà e idealità religiósa (a proposito di un nuovo libro di A. Loisy). 1918, p. 13 1 —
71 Quadròtta Guglielmo: Religione Chièsa e Stato nel pensièro di Antonio Sa-landra .(con ritratto e una lèttera dì Antonio Salan-dra). 1916, p. 31 . .1 —
72. Qui Quondam: Visione di Natale. Frammento (con otto disegni di P. Paschetto) 1916, p. 7- - • • - • 0.50
| 73. Qui Quòndam: Carducci e il Cristianesimo ih un libro di G. Papini. 1918, pagine il ....... 0,50 74.. Qui Quondam: La Carriola (La bluette) Dalle Mu-sardises di Rostand (con due , disegni di Paolo Paschetto). 1918, p. 5 . 0,40
75. Re-Bartlett: Il Cristianesimo e le chiese. 1918. pagine io ... . (esaurito)
76. Rendei Harris: I tre «Misteri ■ cristiani di Wood-brooke (Introduzione e rióte di Mario Rossi) (con un disegno di P. Paschetto). 1914 p. 27, in-320 ..... 0,50
77. Rensi Giuseppe: La ragione e la guerra. 1917. pagine 27 ... . . . . o,75
78. Rosazza Mario: Del metodo hello studio della storia delle religioni. 1912, pagine 7. ’. . . . (esaurito)
79. Rosazza Mario: La reli-Sione del nulla (Il Budismo) (con sei disegni).
1913 ..... (esaurito)
80. Rossi Mario; Verso il Conclave. 1913, p. 4 . . 0,25
ronza religiosa); 1916, pagine 9 .: 0,50
82. Rossi Mario: Esperienze religiose con temporanee. 1918, p. 13 . . . . . 0,50
83. Rossi Mario: La « Cacciata della morte;» a mezza quarésima in un sinodo boemo del ’300 (Note fólkloriche).
1918., p. 8 . . . ... . . 0'50
84. Rossi' Mario: T- Sofismi sulla guerra e la difesa della nostra latinità '(Guèrra di religione oglìèrra economica?). 1918, p. 17 . . . 0,50
85. Rostan C.: Lo stato delle anime . dopo la morte secondo il libro XI dcll’Odis, sea, 1912, p. 8 ..(esaurito)
86; Rostan C.: Le ‘ ideò religióse di Pindaro. 19^4, pa- . girié 9. •' . . . "(Esaurito)
87. Rostan: C.: L'oltretomba nel libro VI dell’« Eneide ».
1916, p. 15 . . . .. . 0,50
88. Rubbiani Ferruccio: Mazzini e Gioberti.'' 1915.' pa gine, 15 •. i .(esaurito)
89«. Rubbiani Ferruccio: Un •modernista del Risorgimento (Il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga). 1917, pagine 23 ....... . 0,60
90. Rutili Ernesto:- Vitalità e Vita nel Cattolicismo (I c II). Cronache Cattoliche per gli anni 1912-1913 (esaurito)
91. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita nel Cattolicismo (IH, IV, V). Cronache cattoliche por gli anni 1913 e 1914 (tre fascicoli di pagine complessive 52) . xjy)
92. Rutili Ernesto: La sop-pressione dèi gesuiti n«1 1773 nei versi inèditi di uno di essi. 1914.. pagine. 6' .. . . y'"1.' ':?* 0,40
93. facchini : Giovanni : Il Vitalismo. 19x4, p._ 12 0,50
94. Salatiello ' Giosuè : Il misticismo di 'Caterina da Siena (còri una tavola). 1912, p. io . . . . .■ 0,50
95. Salatieiio Giosuè : L’uma-ncsimò di Caterina dà Siena.
1914, p. ro. . . . 0,50
7
$6. Salvatorelli Luigi: La storia del • Cristianesimo ed. i suoi rapporti cori là storia civile. 1913, p. io . . 0,50
97. Scaduto Francesco: In-* dipendenza dello Stato e libertà della Chiesa. 19-13, p. 25^-32°. . .. 0.25
98. Tagliatatela Alfredo: Fu il' Pascoli poetacristiano? (con ritratto del Pascoli e 4 disegni di P. Paschetto).
1912,.p. xx . . . . . 0,75
99. Tagliatatela Alfredo:» Il sogno di Venerdì Santo e. il sogno di Pasqua (con 4 disegni originali di Paolo Pascne tto). Ì9xai}'p. 8 . ‘ ’Ó;25'
100. Tagliatatela Eduardo: Morale e religióne. 1916, p. 40 11. Fattori Agostino : Pensieri I dell’ora (Leggendo il « Colloquio con Renato Serra » di Vincenzo Cento). 19.19,. pagine 13. . t, ., . 0.50
2. Di Rubba Domenico: La fede religiosa di Woodrow Wilson. 1919. p. 29 . . . 0,50
3. Fra Massco da Pratbverdé : Intermezzo sacramentale (A proposito .di. Unione delle Chiese Cristiane). 1919.,pagine 17 . . . . .- .• ., 0,75
4. Dell'Isola M-. e Provenza!.Dino: C’è una spiegazione lògica della vita? 1919, p. 12 0,60
5. Billia Michelangelo: II vero uomo. 1919, p. 7 . . 0,50
6. Rossi Mario: Religione e religioni in Italia secondo l’ultimo censimento. 1919, pàgine 13 . . ? . . . • 0.50
7. Cadorna Carta: I ritrovi spirituali di Viterbó nel '1541.
1919. P- 7 ■ • • ,°;5°
8. Masini Enrico: Epistola ai fratelli di buona volontà. 1919.
p. xx-- . . . v • • °t5°
9. Marchi Giovanni: Il.« Confiteor » dei giovani. .1919, p. 8 . . , 0,50
io. Qui Quondam: Dopo-guqrrà nel clero. 1919. p. 14. . 0,60
iox. Tagliatatela Eduardo: Lo I insegnamento; reiigiosp' se--| condo odierni 1 pedagogisti • italiani. 1916, p. 9 . • 0,50 !
XO2. Tanfani Livio: Il fine i dell’educazione nella scuota dei gesuiti.. 1918, p. 27. 0,75
103. Tosatti Quinto: Giordano Bruno.(con ritratto del Br,u-, . no: d¡segno di P. Pasciletto)| I9I7- P- ¿9 • • > - >■! ì
104. Tri vero Camillo: La ragione e la guerra. 1917, p.150,40 •
105. Tucci Paolo:- La guerra 1 nelle.grandi parole di Gesù.
1916, p. 27 . . . . . x —-4
106. Tàcci Paolo: Il Cristia- i riésimo e la storia (A prò-1 posito di Cristianesimo e i guerra)., 1917, p. 9 . .0,50 •
... il Serie ——
xx. Tucci-Paolo: La-guerra e la ' di- Arturo Graf'(con due tapace nel pensiero di I«u- ! tero. X919. p. 31 . . 1.50
12. Pa velini Paolo Emilio: Poe- j sia religiosa polacca, 1919, !
pagine 8
0,50
13. Pioli Giovanni: In memoria
del P. Pietro tozzola.
. za del Modernismo' 3 —v
14. Provenzal Dino: Ascensione MinOcchi Salvatore: Un di-. n •« . A O- . ...... ... eroica. 1919, p.
0,80
15. Rensi Giuseppe: Metafisica e lirica. 19x9, p. 15 . . i — |
. . 0,40 j
p. 8 . ..
17. Costa Giovanni: Giove ed Ercole (contributi allo studio
Codice di diritto canonico e'saggio su le fonti. 1920 P- 52 ................ 3 —
19. Della Seta Ugo: La visione
morale delta vita in Leonardo da Vinci. X919, pa.
gine 31 .
.2
20. LescaGiuseppe: Sensi e pensieri religiosi nella poesia
107. Vitanza .Calogero: Studi Cbmyiodianeì. L Gii Anticristi c L’Anticristo nel « Carmen apologeticum » di Comici mediano. II. Commodiano
Doceta? 1915, p. 15 . . 0.75
108. .Vitanza .Calogero: L’eresia. di Dante. 1915, pa. gine 13 , . , . .. ,. . , 0.60
109. Vitanza Calogero:; Sàtana nella dottrina delta redenzione. 1916, p. 19 1 -4^xq. VVigley Raffaele: I mé-' todf della speranza (Psicologia religiosa).. ( 1913, pàgine 14 . 7A (esaurito)
xxr. Wigley Raffaele: L’autorità del Cristo (Psicologia
. religiosa). 19x5. p. 39 - 1
| vole). 1914-19J9. pàgine 40
' 21. Nazzari Rinaldo: Intelletto-.
e ragione. 19x9. P- *5« 1 4¡ 22. Ferretti Gino: I.e fedi. le idee e là condotta. 1919, pa-.
singanno della scienza biblica? (I papiri aramaici di
■ Elefantina),-. .. .... . . 1 L-c
26. Colónna eli-Cesarò G. A. : La guerra europea dal punto:
possibile d’essere ¿ristiano?
29 .'Momigliano F.Y1 momenti del pensiero italiano (dalla scolastica. alla «rihascénria)
•5°
30 .' -Thompson- Fri: Hh veltro del cielo (Versione di M. Praz) • . . - ' '-5<>
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell'Am. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20).
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VI —
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali.
(Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Itat. 15-IV-20).
The University of Chicago Press - Chicago (Illinois)
ESTRATTO DEL CATALOGO
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The Imagination in Spinoza and Hume.' By Willard Clark Gore. 78 pages, royal 8°, paper, net doll.
The Relation of John Locke to English Deism. By Samuel G. Hefel« bower, viii-188 pages. 12® cloth .
The Necessary and the Contingent in the Aristotelian System. By William Arthur Heidel. 46 pages, royal 8°, paper, net ......
A Study in the Psychology of Ritualism. By Frederick Goodrich Henke, vni-96 pages, royal 8®, paper ...'..................... ,.
William James and Henri Bergson. By Horace M. Kallen- xii-248 pages, 12®. cloth..............
The Psychology of Child Development. By Irving King, xxii-266 pages. 12®, cloth ...........
The Significance of the Mathematical Element in the Philosophy of Plato. By Irving Elgar Miller. 96 pages, royal 8®, paper.............
Existence, Meaning, and Reality in Locke's Essay and in Present Epistemology. By Addison W. Moore 26 pages. 4®, paper .......
The Functional versus the Representational Theories of^Knowledege in Locke’s Essay. By. Addison W. Moore. 68zpages, royal 8® paper .
The Theory of Education in the « Republic • of Plato. By R. L. Nettleship. vi-144 pages, small 8®, paper ......
The Conception of a Kingdom of Ends in Augustine, Aquinas, and- Leibniz. By Ella Harrison Stokes. iv-130 pages, 8®, paper . . . .
The Individual and His Relation to Society, as Reflected in British Ethics. Part. I. The Individual in Relation to Law and Institutions. Part. I J. The Individual in Social and Economic Relations. By James Hayden Tufts. 54 pag. and iv-58 pages, royal 8®, paper . . .
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1 Some Types of Modern Educational -Theory. By Ella- Flagg Young.
70 pages, 12®, paper . . . . . . 0,25
FI LOLO GIA CLASSICA
The Deification of Abstract Ideas in Roman Literature and Inscriptions. By. H. L. Axtell. 102 pages, royal 8®, paper ......... 0,75 j' Syntax of the Moods and Tenses in
New Testament Greek. By Ernest
D. Burton, xxn-216 pages, 12®, cloth ....... ...... 1,50
j A Study of the Sepulchral Inscriptions in Buecheler's ''Carmind Epigra-phica Latina ”. By Judson Allen’ Tolman, Jr. x-120 pages, royal 8® paper . . . ■ . . . ; . 0.75
SEMITIGA
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The Code of Hammurabi, King of Babylon. Edited by Robert Francis Harper. Second edition, xvi-192 pages arid 103 plates, large 8®, cloth . .... ... . . ‘1 . . 4,00
1 Old Testament and Semitic Studies in Memory of William Rainey Har-6er. Edited by Robert Francis iarper, Francis Brown, and
George Foot Moore. 2: vols., xi-838 pages, royal .8®. cloth . ., . .; io.oo ' The Structure of the Text of the Book
of Amos. By William Rainey
Harper. 38 pages, 4®, paper . . .. 1.00
The Structure of the Text of the Book of Hosea. By William Rainey Harper. 52 pages, 4®. paper . . . 1.00
The Utterances of Amos Arranged Strophically. By William Rainey Harper. 20 pages, royal, 8® paper 0.15
The Book of Esther. Critical Edition of the Hebrew Text. By Paul Haupt. 90 pages, royal 8®, paper . 1,00
The Book of Micah. A New Metrical Translation with Restoration of the Hebrew Text. By Paul Haupt.
254 pages, royal 8®, paper .... 1,00
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Artaxerxes III Ochus and His Reign, with Special Consideration of the Old Testament Sources Bearing upon the Period. By Noah Calvin Hirschy. vi-86 pages, royal 8°, paper ... . . >. . . . . . . 0,75
Ezra Studies. By Charles C. Torrey. xvi-346 pages, royal 8®, cloth 1,50
STORIA
The Progress of Hellenism in Alexander's Empire. By John P. Mahaffy vx-154 pages. 12°, cloth ... . . r.oo
The Silver Age of the Greek World. By John P. Mahaffy. vm-482 pages, small 8®. cloth . . ....... 1.50
Studies Concerning Adrian IV. By Oliver J. Thatcher. 88 pages. 4®, paper ....... .... 1.00
The Wars of Religion in Prance (1559 •1576). The Huguenots, Catherine de Medici, and Philip II. By James Westfall Thompson, xvi-636 pages, 8®, cloth . . . . . . 5,00
RELIGIONS
The New Orthodoxy. By Edward Scribner Ames, x-128 pages, 16®, cloth ............. 1,00
The Elements of Chrysostom’s Power as a Preacher. By Galusha Anderson. 16 pages, 4®, paper . . . 0.25
A Handbook of the Life of the Apostle Paul. By Ernest D. Burton, roo. pages, 12®, paper. . . ..... . 0,50
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By Ernest D. Burton, vm-144 pages, x 2®, cloth . ..... ..... 1,00
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A Harmony of the Synoptic Gospels in Greek. By Ernest D. Burton and Edgar Goodspeed. (In preparation) .................. 3,00
Principles and Ideals for the Sunday School. An Essay in Religious Pedagogy. By Ernest D. Burton and Shailer Mathews. . vm-208 pages, crown 8®. cloth .......1,00
Biblical Ideas of Atonement: Their History and Significance. By Ernest D. Burton, John M. P. Smith, and Gerald B. Smith, viii-336.pages, 12®, cloth . . . . 1,00
The Evolution of Early Christianity.
By Shirley Jackson Case, x-386 pages, 12®, cloth . . . à . . . . 2,25
The Historicity of Jesus. By Shirley Jackson Case, vni-352 pages 12®, cloth . . . ’ : ...... . 1,50
The Millennial Hope: A Phase of War-Time Thinking. By Shirley Jackson Case, x-254 pages, 12®, cloth . ........... . 1.25 ‘
Matthew's Sayings ,of Jesus., .By George D. Castor., X725P pages,.
12®, cloth . .. . . . .... . . 1,25 What Is Christianity?. By George
Cross, x-214 pages, 12®, cloth . . 1,00
The Gospel in the Light of the Great War. By Ozora S. Davis, vm-220' pages, 12®, cloth.................1,25
The Child and His Religion. By George E. Dawson, x-124 pages, 12®, cloth . . . . . . . . . . ■ . 0,75
The Finality of the Christian Religion. By George Burman Foster.
xvi-518 pages,-8®, cloth . . . . . 2,50
The Function of Death in Human Experience. By George Burman Foster. 18 pages, 8®, paper... . .0,25
The Function of Religion , in Man’s Struggle for Existence. By George Burman Foster, xn-294'' pages.
16®, cloth............. 1.00
Martin Luther and the Morning Hour in Europe. By Franck W. Gun-saulus. 50 pages, 8®, paper . . . 0.25
Religion and the Higher Life. By William R. Harper, x-184 pages 12®, cloth 4 ............ 'i .00
The English Reformation and Puritanism: with Other Lectures and Addresses. By Eri B. Hulbert.
vni-484 pages, 8®, cloth. . . . . 2,50
The Source of " Jerusalem the Golden”. Together with Other Pieces Attributed to Bernard of Cluny. By Samuel Macauley Jackson, vm-208 pages, 8®, cloth 1.25
Have We the Likeness of Christ? With
16 half-tone ’illustrations. By Franklin Johnson. 24 pages, 4®, paper . . . . . . . . ; . , . 0,50
An Introduction io Protestant Dogmatics. By Dr. P. Lobstein. Translated from the. French by. Arthur Maxson Smith, xxn-276 pages, 12®, cloth . . . '........ 1.50
The Religious' Attitude and Life in Islam. By Duncan Black Macdonald. xvm-318 pages.'i 2®, cloth 1.75
Studies in Galilee. By Ernest W. Gurney Masterman. xvi -154 pages, 8®, cloth 1,00
The Messianic Hope in the New Testament. By Shailer Mathews. xx-338 pages, 8®. cloth , . . . ,. 2,50
Scientific Management in the Churches. By Shailer Mathews, vi-66 pages, i2®, cloth . . ■. . . 0.50
Jerusalem in Bible Times: An Ar-chaelogical Handbook for Travelers and Students. By Lewis Bayles Paton. Illustrated, xii-170 pages, 12®, flexible covers . . 1,00
An Outline of a Bible-School Curriculum. By George W. Pease, xu-418 pages', 12®, cloth ...... 1,50
Sui prezzi del presente Catàlogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20).
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vni
Sui prezzi dei presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione deil’Ass. Tip. Llb.' Itàl. 15- IV-20
The Idea of God in Relation to Theology.- By Eli pha let Allison Read. 68 pages, royal 8°, paper * o.75
The New Appreciation of the Bible: A Study of the Spiritual Outcome of Biblical Criticism. By Willard C. Selleck. 424 pages, 12®, cloth . 1,50
The Teaching of'Jesus about the Future. According to the Synoptic Gospels. By Henry Burton Sharman. xiv-382 pages, 8°, cloth . . . 3.00
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the Pentateuch. By John Rothwell Slater. 56 pages, 8°, paper . 0.50 .4 Guide to the Study of the Christian
Religion. Edited by Gerald Birney Smith, x-760 pages. 8°, cloth 3.00
Books for Old Testament Study. By
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The Contest for Liberty of Conscience
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John. 154 pages, royal 8°, paper... 0.50 The Christology in the Apostolic Fathers. By Alonzo Rosecrans
Stark. xii-6o pages, 8°, paper . . 0.50
Fragments from Graeco-.Jewish Writers. By Wallace Nelson Stearns x-126. pages.;. 12®, cloth ... ....... ,0,75 Books for New Testament Study. Prepared by Clyde Weber Votaw.
64 pages, royal 8°, paper ...... 0.50 Egoism: A Study in the Social Premises of Religion. By Louis Wallis. xiv- 122 pages, x6®, cloth ., .... (i.oo Sociological Study of the Bible. By . Louis Wallis., xxxv-308 pages, 8«. cloth . . . , 1.50
The World-View of the Fourth Go-' spel. By Thomas Wearing, vi-74 • . pages, royal. 8°. paper,. . . . . b’75
Historical and linguistic studies in literature related to the new testament.
First Series; Texts
Vol. Ethiopia Texts. Part 1. The Bock of Thekld.. By Edgar J. Goodspeed. 36 pages, royal 8®, paper
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Part 2. The Martyrdom of Cyprian and Justa. By Edgar J. Godspeed. 22 pages, royal 8®. paper . 0.25 Vol. IT. Greek Gospel Texts in America. By Edgar J . Goodspeed. 196 pages, royal 8®. cloth ..... / r.50
Second Series: Linguistic and Exegetical Studies. Vol. I, Part 1. The Virgin Birth. By
Allan Hobbn. (Out of print.)..,;
Part 2. The Kingdom of God in. the Writings of the Fathers. By ; Henry Martyn Herrick, i 18 pages, royal 8®, paper ... . . . . 0,50
Part 3. The Dialesseron of Ta-tian and the Synoptic Problem. By
A. Augustus Hobson., 82 pages, royal 8°. paper . . ....... . 0,50
Part 4. The Infinitive in Poly- ' bius Compared with the Infinitive in Biblical Greek. By Hamilton Ford Allen. 60 pages, royal 8®, ' paper ’ 6-50
Part 5. METAKOEQ and . META-MEAEI in Greek Literature until 100 A. D.. Including Discussion of Their Cognates and of Their Hebrew Equivalents: ‘ By Effie Freeman rHO.yp^ONja'30 pages,; royal 8®, paper . . . . •. . 0,25
Part 6. A Lexicographical and Historical Study of AIA6HKH from the Earliest Times to the End of the Classical Period. By Frederick Owen Norton. 72 pages, royal 8°. paper -. ... . . .. . . ; . . . .. 0.75
Part 7. The Irenaeus. Testimony to the Fourth Gospel. By Frank Grant Lewis. 64 pages, royal 8®, paper . . . . . . .; . . . . b.50
Part 8. The Idea of the Resurrection in the Ante-Nicene-Period. By Calvin Klopp Staudt. 90 pages, royal 8®, paper-.■ -. .. -. .. . 0.50
Vol. II, Part 1. Outline of New Testament Christology. By John Cowper Granbery. 128 pages, royal 8®, paper-............. ... ... . 0,50
Part 2. The Sources of Luke's • Perean Section. By Dean Rocke-well Wickes. 88 pages, royal 8°, .... paper . . . . . . . • . .... .A <0,50
Part 3. 'The Legal Terms Com- ' mon to the Macedonian Greek Inscriptions and the New 'Testament, with a Complete Index of .the Macedonian Inscriptions. By William D. Ferguson, no pages, royal 8®. paper ;. . •}.;•. ... .; . . . . o;75
Part ’4. The Christology of the Epistle to the Hebrews. By Harris L. MacNeill. 148 pages, royal 8®. paper . .. ■ • . . . . ■ 0.75
Part 5. Syntax of the Participle in the Apostolic Fathers. By Henry B. Robison . 46 pages, royal 8®, paper . . . . . . . . . •. . . . 0.50
Part 6. A Historical Examination of Some Non-Markan Elements f in Luke. By Ernest W. ’ Parsons. 80 pages, royal 8®, paper 0.50
Vol. Ill, Spirit. Soul, and Flesh. By Ernest D. Burto'n.',2I4 pages, ” royal 8®, paper . .’ . .. . . . ,. 2.00
Vol. IV’ Part 1, Qualitative Nouns in the Pauline Efiislles ayd Tfjeiy Translation in the Revised Version.'.
By A. Wakefield Slaten, vui-70 pages; royal 8®, paper . . . .. . . 0.50
fContinua}.
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BLYCriNB
rivista di sTvdi religiosi
EDITA- DALLA- FACOLTÀ- DELLA-SCVOL A -Jsfò asSfckTEOLOGICA - BATTISTA-DI-ROMA
Anno IX - Fasc. V-VI. ROMA - MAGGIO-GIUGNO 1920 Vol. XV. 5-6
L’UTOPIA BOLSCEVICA ED IL MOVIMENTO RELIGIOSO IN RUSSIA
Visto l’interesse generale per la condizione ambigua della Russia, ò creduto opportuno di tradurre pei nostri lettori quasi interamente un articolo del principe Eugenio Trou-betzkoy, professore di diritto nell'università di Mosca, pubblicato dàll'Htôberl Journal nel gennaio scorso. Nell’inviarlo egli diceva:
« Je vous envoie un article auquel je tiens beaucoup, car c’est la philosophie de notre drame, notre catastrophe, et notre résurrection nationale... Il y a presque un an que j’ai dû m’enfuir de Moscou pour ne pas être arrêté par les bolcheviks ».
Disgraziatamente il plico era stato aperto ed il manoscritto immerso in un fluido che aveva reso illegibile gran parte dello scritto. Da principio sembrava del tutto impossibile il decifrarlo; in seguito, adoperando vari metodi ingegnosi, si è riuscito a ricuperare la maggior parte di esso. Nel riprodurlo abbiamo adottato il sistema tenuto dalla rivista inglese, di porre cioè le ricostruzioni o le lacune tra parentesi quadre. I passi omessi da noi, per brevità, li abbiamo segnalati espressamente.
Dott. D. G. Whittinghill.
a guerra civile che ancora si svolge in Russia è accompagnata da un conflitto spirituale, non meno preciso e straordinario. Per i bolscevici», come è ben noto, non si tratta che di realizzare un determinato programma politico e sociale dell? relazioni umane. Il loro programma cioè, è una semplice applicazione speciale del concetto materialistico della vita, eretto a dogma e proclamato come il principio fondamentale di tutta la società umana. Non fa meraviglia dunque, che il bolscevismo abbia per
suo avversario un movimento, religioso che diventa ora uno sforzo potente di tutta la nazione per riscattare l'anima propria.
Il concetto materialista del quale parlo non è affatto originale. La dottrina del bolscevismo^? semplicemente una trasformazione del marxismo adattato al [pro[211
12
322
BILYCHNIS
gramma] della rivoluzione e per conseguenza [stroppiato) e falsificato. La dottrina di Marx, non vi è neppure bisogno di dirlo, è una spiegazione in forma materialistica dell’evoluzione storica della società. Il socialismo vi è rappresentato come il risultato finale di un lungo processo storico, un risultato cui si deve giungere in un futuro più o meno distante ed incerto. Per trasformare questo socialismo scientifico in un programma di azione rivoluzionario è stato necessario torcerlo violentemente. Il bolscevismo ha fatto ciò sostituendo la rivoluzione immediata all’evoluzione predicata da Marx. Per costui il materialismo è principalmente uno dei mezzi per spiegare la storia : per Lenin ed i suoi addetti esso è sopratutto una legge di azione, il principio non solo di quello che è, ma di quello che dovrebbe essere.
Una delle caratteristiche più spiccate del bolscevismo è il suo odio dichiarato alla religione, e al Cristianesimo in particolar modo. Per il bolscevico, il Cristianesimo non è solo (la teoria] di un modo di vivere diverso dal suo, è un nemico da perseguitare e da togliere di mezzo completamente.
Ciò non è difficile a comprendersi. La tendenza della religione cristiana di proporre al credente un ideale di una vita al di là della morte è diametralmente opposta all’ideale del bolscevismo che seduce le masse col prometter loro la realizzazione immediata del paradiso terrestre. Dal qual punto di vista, il Cristianesimo è non solo un falso concetto della vita, ma un ostacolo alla realizzazione dell’ideale comunista. Esso distoglie le anime dagli oggetti dei sensi e le allontana dalla lotta per ottenere i beni di questa vita. Secondo la formola bolscevica, « la religione è l’oppio per il popolo » e serve come strumento della dominazione capitalista.
In contrasto colla religione, il bolscevismo è principalmente e sopratutto la negazione dello spirito. I bolscevichi rifiutano assolutamente di ammettere l’esistenza di qualunque legame spirituale tra uomo e uomo; per essi gli interessi economici e materiali costituiscono l’unico nesso sociale, non ne riconoscono altri.
Tale è la fonte di tutta la loro concezione della società umana. [L'amor di patria], per esempio, è una finzione bugiarda ed ipocrita adoperata per « mascherare » gli interessi delle classi dominanti, La «nazione» è un mero spettro che deve sparire, un pregiudizio vuoto; poiché il legame nazionale è un legame spirituale, esso è completamente fittizio. Dal loro punto di vista l’unico reale legame tra gli uomini ‘è quello materiale — cioè a dire l’economico.
Gli interessi materiali dividono gli uomini in classi ed esse sono le sole divisioni delle quali si deve tener conto. Quindi i bolscevichi non riconoscono altre « nazioni », salvo i « ricchi » ed i « poveri ». Giacché non vi è altro legame che possa unire queste due « nazioni » in un insieme sociale, le loro relazioni debbono essere [regolate] esclusivamente dal principio zoologico rivelato nella lotta per l’esistenza.
In vista di tutto questo, le considerazioni di giustizia non hanno niente che fare colla pretesa del proletariato di essere l’unico possessore di tutti i beni materiali. Questa pretesa si basa solamente ed esclusivamente sul diritto del più forte. Secondo i bolscevichi, dunque, non è la giustizia [sociale] di [una specie o di un’altra] che emerge dalla lotta delle classi; è semplicemente il diritto dei pesci grandi di
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L'UTOPIA bolscevica ed il movimento RELIGIOSO IN RUSSIA
ingoiare i piccoli. Prima i capitalisti godevano di questo diritto, ora tocca al proletariato. Nè questo diritto della belva alla sua preda deve essere limitato da alcuna considerazione umanitaria. La lotta delle classi, come essi la concepiscono, deve essere in ogni riguardo altrettanto crudele ed implacabile quanto la lotta per resistenza fra gli animali; vale a dire, che non può essere terminata se non dall’esterminio completo dell’uno o dell’altro dei combattenti.
Tutte le caratteristiche particolàri della società bolscevica sono derivata come conseguenze logiche del principio fondamentale or ora espresso. Perchè, per esempio, il lavoro manuale à una posizione privilegiata? Perchè esso è rimunerato in misura più alta del lavoro intellettuale? Perchè gli intellettuali sono mal trattati e perseguitati? La risposta è semplice. La conseguenza naturale della negazione del legame spirituale è che le forze intellettuali sono disprezzate. Fra i bolscevichi il valore di un uomo è determinato solo dalla forza materiale che rappresenta. Questa valutazione è in completa armonia con la nozione comune che l’unico « lavoro vero, sia il lavoro corporale ». Il culto delle « mazze » e il disprezzo per la personalità individuale che caratterizzano il bolscevismo [procedono] dalla stessa fonte.
Un’altra conseguenza della concezione materialistica della società è la maniera bolscevica di trattare la famiglia. Giacché non vi è legame spirituale tra i due sessi, non vi può essere alcuna relazione costante. La loro regola è dunque che gli uomini e le donne possono cambiare compagno tanto quanto vogliono. Le [autorità] in alcune provincie hanno perfino proclamato «la nazionalizzazione» delle donne, cioè l’abolizione di qualunque diritto privato od esclusivo di possedere una moglie anche per un periodo limitato, per motivo che le donne sono la « proprietà di tutti ». [Lo stesso è dei] bambini. Una forte corrente di opinione tra i bolscevichi insiste perchè i bambini siano tolti dai loro genitori, acciocché lo Stato dia ad essi un’educazione in un senso veramente materialistico. Si sono fatti degli sforzi per realizzare queste idee : in certi comuni alcune centinaia di bambini furono « nazionalizzati », cioè tolti ai lóro genitori e posti in istituzioni pubbliche.
In somma, il lato più caratteristico del bolscevismo sta nel metodo pratico da esso adottato per la realizzazione della sua utopia. Questo metodo è il conflitto armato delle classi — guerra a morte contro tutti coloro che posseggono. E ciò dal punto di vista di un pretto materialismo, costituisce fuor d’ogni dubbio, l’unico mezzo sicuro per far prevalere il più forte.
Noi conosciamo ora qualche cosa delle conseguenze spaventose di tali princìpi. Il sogno del paradiso terrestre che doveva nascere dalla guerra civile diventa d’un tratto la realtà dell’inferno scatenato. La guerra di classe si è mostrata incapace di fondare un nuovo ordine sociale. D’altra parte essa ha frantumato le fondamenta stesse della società umana di qualsiasi forma ; perchè la società è prima di tutto uno stato di pace tra gli individui e le classi che la compongono.
Quel che l’avventura bolscevica ha dimostrato una volta per sempre è questo — la incapacità totale della [dottrina] materialistica di dare agli uomini una pace di qualsivoglia specie. La condizione presente della Russia può esprimersi in due for-
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mole di Hobbes sorte pure in tempo di guerra civile : Bellum omnium conira omnes, e homo homini lupus est.
Questa è la sobria verità. La guerra civile in Russia è diventata letteralmente a una guerra di tutti contro tutti » perchè è penetrata fin neH’intemo di ogni paese e di ogni .villaggio. « La guerra del povero contro il ricco » è infatti una formola che sembra abbastanza semplice a prima vista. Ma la vita è infinitamente più complicata di ogni formola. Cosa è « un povero» e che cosa è « un ricco? ». Questi sono concetti vaghi ed indeterminati, perchè le ricchezze e la povertà sono evidentemente cose relative. Un uomo che ha due vestiti per il suo corpo e due cavalli pel suo aratro è ricco in paragone di colui che ne à soltanto uno. A qual punto, dunque si potrà arrestare la guerra del povero contro il ricco? In Russia abbiamo la triste esperienza che non si può mettere limite nè barriera a questo conflitto. Al principio della rivoluzione vi era guerra tra i contadini ed i proprietari dei latifondi; poi venne la guerra tra i contadini più poveri ed i contadini che stavano meglio; poi guerra tra le borgate e le popolazioni rurali per. impossessarsi del grano, poi lite a morte tra i lavoratori nelle città. Qui pure si fà distinzione tra i « lavoratori poveri » che sono i membri privilegiati dello stato bolscevico ed i lavoratori senza la qualifica di « povero », quest'ultima essendo oggetto di odio e d’invidia per gli altri. Il « lavoratore povero » che oggi migliora la sua condizione per mezzo del proprio lavoro incorre nel rischio di essere classificato, domani, coi « ricchi » o con il « borghese » e per conseguenza esposto agli attacchi dei suoi «concittadini».
È un fatto conosciutissimo che in Russia ogni persona alla quale si può applicare il termine di « ricco » o di « borghese » è completamete al di fuori della protezione della legge. Egli è segnato come « un nemico del popolo »; e resta senza difesa contro il saccheggio e l'omicidio. Lo stato bolscevico è una società nella quale il minimo incremento di prosperità individuale attrae a sè gli sguardi gelosi di occhi innumerevoli. Appena un uomo s’innalza al disopra, sia pure del livello della mendicità, viene subito sospettato, denunziato e perseguitato ; da questo momento in poi non ha nè diritto nè sicurezza.
Un tale regime è fatale alla produzione di qualsiasi specie e fecondo di [odio], [Omettiamo qualche riga].
La Russia bolscevica è un paese dove gli uomini hanno virtualmente cessato di lavorare. Per conseguenza manca quasi tutto il necessario — grano, combustibile per fabbriche e ferrovie, vestiario, scarpe. Le fabbriche si chiudono; i treni vanno a passo di lumaca. Vi sono strade ferrate non più percorse da treni. La guerra civile, e l’incertezza del domani, hanno soffocato l’attività produttiva. (Invece delle] vecchie barriere tra le classi, l’odio e l’invidia hanno innalzato delle nuove. Nuovi antagonismi sociali sono sorti, in ispecial modo quello tra la città ed il villaggio, che ora sono degli accampamenti nemici. Il contadino si rifiuta di vendere il prodotto del suo raccolto alla città, perchè il denaro di carta, col quale verrebbe pagato, non vale quasi più niente ed è inóltre inutile perchè non vi è niente da comperare con esso. La conseguenza è che per procurarsi del pane la città invade la campagna con distaccamenti di soldati
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che fanno la requisizione del pane per forza e saccheggiano la gente di campagna; Naturalmente l’operaio di città, che non lavora, è oggetto di odio al contadino che egli priva di tutti i mezzi di sussistenza. D’altra parte, l’operaio detesta « il contadino ingordo » che lo lascia morire di fame.
Questo stato di cose diventa insopportabile per le masse; In campagna vi sono sommosse ogni giorno. Il contadino, comprendendo di esser stato ingannato da vane promesse, diventa feroce ed ammazza i funzionari bolscevichi. Questi funzionari sono qualche volta bruciati vivi o sepolti vivi.Tali rivolte sono represse spietatamente. Migliaia di persone sono impiccate o fucilate: si versa il sangue come se fosse acqua. Si bruciano villaggi a decine 0 dozzine per volta. Intanto l’odio popolare contro i bolscevichi cresce tutti i giorni. Non appena, si spegne il fuoco in un punto si sviluppa in un altro. Tali sono gli effetti pratici del sogno materialistico del bolscevismo. I fatti che ho descritto non sono accidentali, sono le conseguenze necessarie del suo principio fondam ntale : elevare l’interesse materiale ad unico legame sociale è voler distruggere la società, per la semplice ragione che esso rende l’interesse materiale di ogni individuo di maggior valore della società stessa.
Il sacrifizio della propria vita o di qualunque altro interesse individuale diventa assurdo se non vi sia nulla di superiore all'interesse stesso. Un branco di lupi raccoltisi per predare in comune e poi dilaniatisi tra loro quando non si trovi altra preda, fornisce una imagine esatta di una società dove il vantaggio o l’appetito di ciascun membro è diventato l’unica legge di condotta. Una comunità di esseri umani non può esistere in questa forma. Lo scatenamento dell’appetito non può essere che il principio di uno sconvolgimento generale.
Questo è precisamente cioè che l’utopia materialistica ha fatto della Russia; come principio di decomposizione sociale essa ha dimostrato una potenza meravigliosa. In pochi mesi ha disperso un esercito di dieci milioni di uomini e ridotto in polvere il massimo impero del mondo; nello stesso tempo ha dimostrato una impotenza completa di ricostruire la società su qualunque nuova base.
Il suo tentativo di separare il corpo dallo spirito della vita sociale ha provato soltanto una volta di più che la vita della società è il suo spirito. Quando se ne va questo, la incarnazione materiale si scompone e cade in polvere, e non esiste destrezza umana che possa risuscitarla. Null’altro che non sia il soffio dello spirito può ristorare la vita che essa ha perduta. E questo miracolo di risurrezione si sta realmente compiendo in Russia in questo momento.
Il reale avversario del bolscevismo in cose morali ed intellettuali è il movimentò religioso che principiò in Russia dopo la. rivoluzione, verso la fine del 1917.
Il periodo che precedette la rivoluzione fu un periodo di decadenza religiosa. Dopo quello che ho detto nelle pagine precedenti, si comprenderà facilmente che il vero trionfo del bolscevismo sarebbe stato impossibile se non vi fosse stato il completo indebolimento della vita religiosa della nazione. L'aumento di incredulità fra le masse, che è una caratteristica universale della società moderna, ha avuto in Russia
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(una lunga storia]:, ed è questo che ha reso il nostro popolo così facilmente accessibile alle tentazioni dello spirito rivoluzionario.
Ma ora, grazie alle persecuzioni che la rivoluzione ha iniziato, è sorto un genuino (risveglio] religioso. Vediamo qui un fenomeno che si è ripetuto spesso nella storia dell’umanità. L’esperienza della prosperità è quasi sempre [pericolosa] alla vita spirituale. D'altra parte la sofferenza, [la perdita] e [...] di molte specie serve a ravvivare Io spirito religioso e (a dare ali al] suo volo.
Gli avvenimenti contemporanei in Rùssia forniscono una nuova conferma di questa regola [ben nota]. Durante il periodo dell’impero la protezione della chiesa per opera del potere secolare era una sórgente di larghi benefici materiali [alla prima]. Ma nel dominio dello spirito questi benefici le costarono molto. Un gran numero di vescovi e di preti diventarono funzionari dello Stato, strumenti docili del Governo. Inutile dire che questo abbassamento del sacerdozio era per sè stesso uno degl'indizi della decadenza religiosa generale. Fin quando un sacerdote conserva un vivo senso del suo carattere sacro, il suo subordinamento al. potere secolare diventa psicologicamente impossibile. Inoltre, la trasformazione del sacerdote in un impiegato dello Stato è sempre accompagnata dalla perdita della sua ascendenza sopra le masse. Naturalmente i propagandisti rivoluzionari hanno approfittato largamente di questo per [screditare] il clero russo rappresentandolo come strumento delle tendenze reazionarie del vecchio regime.
La rivoluzione dette principio ad un completo [capo volgi mento] di queste relazioni. La Chiesa saccheggiata e perseguitata, perse tutti i vantaggi materiali che aveva finallora goduti: in compenso la perdita di tutti questi relativi valori fu pagata dall’assoluto valore dell’indipendenza spirituale. Non si fa qui questione di un Cambiamento esterno della sua posizione nello Stato. Il mio punto di vista è che l’indipendenza del potere ecclesiastico introdusse nella vita della Chiesa indipendenza di spirito e di pensiero. Fu un rinnovamento psicologico, un ritorno alla fede ardente della vecchia Russia. Questo spiega l’influenza crescente della Chiesa sulle masse del popolo; il sangue dei nuovi martiri guadagnò i loro cuori.
Dicendo ciò non esagero. Conosco delle provincie in cui il numero di preti assassinati ascende al dieci per cento del loro numero totale. I bolscevichi non [si sono contentati] di ammazzarli; essi hanno strappato gli occhi ad alcuni, hanno tagliato la lingxia ad altri, e [ne] hanno perfino crocifissi. In Siberia, a Tobolsk, un vecchio arciprete fu costretto a [...] e dopo questo essi [...]. A Perm, prima di uccidere un vescovo, gli strapparono gli occhi e gli tagliarono le gote; poi lo esibirono per le strade.
In molti casi queste atrocità furono provocate dalla condotta eroica del clero. I preti sono stati passati parte a parte con baionette per avere avuto l’audacia di protestare contro la crudeltà dei soldati. Altri sono stati messi a morte per aver chiuso le porte delle loro chiese a chiave di fronte a [malandrini] intenti a saccheggiare. Dei vescovi, notabilmente il vescovo di Perm, hanno sofferto per aver predicato contro i bolscevichi; ed il Metroplita di Kieff, Vladimir, fu fucilato per aver rifiutato d’introdurre « il regime .di uguaglianza comunista » in un convento.
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Noi sappiamo che nella antica Roma, furono precisamente tali fatti che guadagnarono alla Chiesa Cristiana il massimo numero di proseliti. Così è (in questo momento]. Queste sofferenze atroci diventano una sorgente di nuova potenza per la religione della Russia.
Gli sforzi dei bolscevichi per «annientare» la religione e soffocare la chiesa hanno prodotto precisamente l’effetto opposto. Le menti del popolo russo sono state profondamente impressionate dalla coincidenza del disastro nazionale col trionfo della irreligione. [Essi vedono che] questa coincidenza non è casuale. Lo sforzo che si sta compiendo per cacciare la religione dalla vita sociale non serve che a svelare, anche agli increduli, l’importanza dei loro santuari perduti e del sacro legame così brutalmente spezzato. Èssi vedono che finora l’esistenza della vita sociale ha dipeso interamente da questo legame. Essi vedono che la religione ha innalzato l’uomo al disopra dello stato selvaggio e l'ha reso uomo nel vero senso della parola. I bolscevichi hanno dato loro una dimostrazione ad oculos che l’irreligione [eretta a principio] finisce nella bestialità. [Seguono tre frasi indecifrabili}.
In questo momento il sènso di un nesso tra i peccati del popolo russo e la [rovina della società russa] sta penetrando sempre più profondamente nella coscienza delle [masse]. Al Concilio di Mosca nel 1917-18 ed in [molti] altri convegni religiosi, ho sentito i discorsi di semplici contadini e sòno stato profondamente colpito dalla lucidità dei loro pensieri in proposito. Essi vedono chiaramente che tutte le loro sofferenze, anche la carestia che sta distruggendo i loro compagni a migliaia, ha la sua origine in una sorgente morale; non è la sterilità del suolo che li priva del loro pane giornaliero, ma « l’iniquità che cammina sulla terra »; è la lite tra fratello e fratello che ha rovinato il paese ed ha distrutto il lavoro onesto. « Abbiamo dimenticato Iddio e siamo divenuti bestie feroci. Questa è l’unica cagione della nostra [miseria] ». Ciò in breve è tutto quello che ha da dire la gente semplice circa la condizione attuale del [proprio paese].
Per comprendere la psicologia di [questo nuovo movimento] il lettore deve ricordarsi un tratto che colpisce nel carattere nazionale dei russi. Prima della Rivoluzione la religione era il legame nazionale per eccellenza. Nella mente del popolo la Causa nazionale era così stréttamente identificata con la causa della Chiesa che « Russo » ed « ortodosso » s'impiegavano spesso come sinonimi. Quando un contadino parlava del « popolo ortodosso » egli intendeva il popolo russo. Il sentimento religioso, servendo di puntello ad [imprese] nazionali diveniva inseparabile dal patriottismo. Si comprenderà quindi facilmente come questa caratteristica sia fortemente accentuata ora, che si chiama il patriottismo ad opporsi ad [un movimento] che è nello stesso tempo internazionalista ed antireligioso. Dal momento che il bolscevismo strappò la nazione dal suo santuario, la reazione del sentimento nazionale [era assicurata]...
[Seguono nel testo originale alcune pagine molto danneggiate che rendono la traduzione continuata diffìcile. La rivista inglese ne ricostruisce alcune parti che noi omettiamo perchè ci sembrano meno interessanti. Le pagine perdute terminano, dopo un tratto Che omettiamo, col seguente periodo}.
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Lo sviluppo di una unità nazionale che comprenda tutte le classi è temuto in modo speciale dai bolscevichi. E ben possono temerlo! Perchè senza dubbio si rinovellano i legami spirituali della Russia; la nazione torna in se nuovamente, e si sente di nuovo l’alito dello spirito che fascia un gran popolo in un essere organico e gli dà la vittoria sopra la morte. La Russia ritorna alla vita grazie al sangue dei suoi martiri! '
Quando tutte le istituzioni civili e tutto l’ordine secolare della Russia andarono in frantumi, la Chiesa sola ritenne la sua integrità, come se fosse immune dal decadimento generale. Rovesciata in principio, nel cataclisma comune, fu là prima a riaversi e perfino a cominciare un potente sforzo di ricostruzione.
[In un altro passo molto danneggiato, l'autore descrive la completa riorganizzazione della Chiesa che venne compiuta in Mosca nel 1917-18. Ogni despotismo esterno Ju abolito e adottalo un nuovo ordinamento che diede alla Chiesa, il controllo autonomo dei suoi propri affari}.
Non era se non una rivoluzione. Non parlerò delle varie riforme ecclesiastiche compiute dall’Assemblea, ma richiamerò soltanto l’attenzione alla grande opera nazionale che essa si assunse. Il suo primo compito fu di combattere l’anarchia. Di anarchia l’atmosfera circostante era satura, onde divenne naturalmente il tema principale di discussione. Intorno a noi la nazione cadeva a pezzi. In tutto il paese nessun’altea assemblea nazionale sedeva. Composta di clero e di secolari eletti in ugual numero, era un assemblea veramente rappresentativa del « popolo ortodosso ». Non poteva far diversamente da quel che faceva: dare la prima importanza alla sicurezza della patria, sapendo bene che la sicurezza temporale della Russia non poteva assicurarsi se non per mezzo della sua rigenerazione spirituale.
Essa [osò] indirizzare degli appelli all’esercito, allora in via di disfacimento sotto la propaganda bolscevica; gli ricordò il dovere del soldato di fronte al giuramento. Appoggiò i preti al fronte nei loro sforzi eroici per arrestare la vergognosa fuga delle truppe, e difese la memoria di più di un predicatore coraggioso messo a morte dalla soldatesca nell’atto stesso che la esortava a restai* salda. Adottò delle misure per impedire la « guerra di classi » nell’esercito stesso, ossia l’uccisione degli ufficiali per opera dei loro soldati, e fece delle proclamazioni vibrate che diedero qualche difesa a queste vittime in un momento in cui esse venivano assassinate en masse. Un’altra mira ebbero gli sforzi del Consiglio, quella di mitigare la ferocia della guerra di classe nelle città e nei [villaggi]. Ogni mezzo del quale potè valersi il clero fu messo in opera per arrestare l’omicidio, il saccheggio e [l’opera degl’incendiari] e p 'r prevenire lo scoppio della guerra civile, allora imminente. È s'ebbe [una risposta] dalle masse che provò che tutto ciò non era in vano. In un momento in cu* gli appetiti feroci e le passioni bestiali proseguivano dapertutto l'opera di destru-zione, la Chiesa si elevava sola per ricordare ai suoi figli di essere uomini e non bestie selvaggio. Essa li adunò intorno alle chiese; [li esortò] a difendere i luoghi sacri;
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innalzò la (Croce] davanti agli occhi loro. Con tali sforzi la Chiesa [in quei giorni terribili] cercò di garantire le fondamenta [della sicurezza] della patria.
Ma l'opera più grande del Consiglio fu senza dubbio la restaurazione del potere patriarcale...
[Omettiamo alcune righe}.
[Ciò che seguì] merita di essere annoverato fra i più meravigliosi eventi contemporanei... Subito dopo il coup d'état, mentre durava ancora il bombardamento di Mosca, la Chiesa stava preparando la sua risposta al conflitto fratricida. Non appena calmato il combattimento procedemmo all’insediamento del neo eletto patriarca nell’antica Cattedrale dell'Assunta, la cui cupola era stata trapassata da una bomba bolscevica. Mai vidi una funzione così commovente. Quando il patriarca comparve in mezzo alla cattedrale, vestito degli antichi paramenti del suo predecessore del secolo diciottesimo, gran numero di persone scoppiarono in pianto dirotto. Vedevano la loro patria, « la Santa Russia » personificata davanti ad essi e sentivano .che essa si ridestava come era nel passato. « I persecutori che l’avrebbero voluta sepolta per sempre l'hanno fatta risorgere », fu ciò che dissero.
Eppure potevamo appena credere che ciò che vedevamo non fosse un sogno. L'arcivescovo Tykone, ora patriarca, era amato da tutti per la sua schietta onestà e per la dolcezza del suo carattere. Tutti coloro che venivano in contatto con lui sentivano la magìa della sua bontà : nessun dubbio ch’egli fosse uno dei più profondamente religiosi vescovi russi. Eppure i suoi ammiratori più ardenti non potevano fare a meno di domandarsi se quest’anima dolce potesse essere l'eroe che attendevamo, se davvero egli possedesse le qualità necessarie per guidare la barca della Chiesa attraverso l'uragano. Nessuno dubitava della sua forza e risoluzione morale, benché fossero nascoste sotto un’umile forma esteriore...
Il periodo precedente della nostra storia aveva fornito poche occasioni ai nostri vescovi di dimostrare la loro forza di volontà. Era una qualità rara a vedersi, per lo più segnalata per la sua assenza. Tykone era una eccezione alla regola. Aveva dèlie qualità fin'allora rimaste nascoste.
[Omettiamo qualche riga}
In un’epoca in cui il sangue dei sacerdoti si stava spargendo a fiotti, egli pronunziò un anatema contro il Governo, ed ordinò che fosse letto in ogni chiesa. Ad onta del loro disprezzo per la religione sotto ogni forma, i bolscevichi non potevano restare indifferenti ad un così insigne atto di coraggio e all’immensa impressione che produceva fra i credenti. Arrestarono quindi un numero considerevole di sacerdoti per aver letto l’anatema e ne fucilarono alcuni. Ma non osarono attaccare la persona del patriarca stesso.
Quando i bolscevichi giustiziarono il disgraziato Nicola II, il patriarca sollevò subito la sua voce contro il fatto. In una delle cattedrali di Mosca, affollatissima, egli insorse e disse al popolo che quello era un delitto senza nome, e per il quale non si poteva offrire nessuna scusa.
« Possono accusarmi come contro rivoluzionario», — egli disse — «possono fuci-
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larmi, ma nessuna minaccia m’impedirà di dire la nuda verità ». In ottobre, quando i bolscevichi Stavano combinando una jéte per commemorare il primo anniversario del loro coup d'itat, egli mandò a Lenin in persona ed a tutto il Concilio dei Commissari, una lettera che non era se non un chiaro atto di accusa esteso a tutta l’attività del Governo durante l’anno. Tykone disse lóro in poche parole che le loro opere erano una lunga serie di delitti, di tradimenti, di brigantaggi, di omicidi, di soppressioni di leggi. Li esortò a restaurare il corso della giustizia civile e metter fine alla guerra civile. Terminò la lettera col solenne avvertimento che coloro che usa^ vano là spada sarebbero periti per la spada.
Ogni parola in questa lettera poteva costare la vita all'autore; molti sacerdoti erano stati fucilati per « delitti » infinitamente minori. Ad alcuni dei suoi amici che lo pregavano di curare la sua vita per amor della Russia e della Chiesa, egli rispondeva: «Sono pronto a morire in qualunque momento »... I bolscevichi.temono l'indignazione delle masse. Tykone fu disfatti arrestato una volta, ma... dopo, liberato. Un complotto contro la sua vita fu combinato, ma per fortuna fallì... Tutto il suo seguito teme giornalmente per la sua vita ; egli solo non teme niente.
[Omettiamo una mezza pagina di aneddoti].
La descrizione di questo movimento come io l'ho presentata potrà’ produrre sorpresa in coloro che hanno letto i molti resoconti che sono stati pubblicati sulla demoralizzazione e sulla depravazione delle masse in Russia. Io non nego che la nostra rivoluzione è stata l'esempio classico dello scatenamento della passione e la comparsa in terra della bestia umana. Ma essa è stata pure un periodo dei più meravigliosi contrasti. Per spezzare la potenza sovrumana del male l’angelo protettore del mio paese ha concentrato tutte le sue forze. La posterità sarà stupita e commossa profondamente dalla grandezza delle forze morali che sono sorte in mezzo a questo spaventoso scatenamento della depravazione umana.
Finisco chiedendo scusa al lettore per un saggio che può dare alla meglio un concettò scialbo all’attuale movimento di vita spirituale, dal quale dipende l'avvenire della Russia.
Mentre sto scrivendo (i) il conflitto armato non è terminato, la battaglia decisiva non è guadagnata. La guerra civile potrà prolungarsi per settimane, per mesi e anche più.
Ma la fine è decisa anticipatamente. È nel regno dello spirito che Si determina il destino delle nazioni. Ciò che avviene nell’arèna politica e sul campo di battaglia non è che il riflesso e l'effetto di profondi ed intimi cambiamenti che si operano nell'anima di un popolo.
Nel regno dello spirito il segreto della vittoria si compendia nelle quattro parole del nostro... inno cantato dalle folle, in Mosca:
« Il Cristo è risorto » :
(i) L'articolo fu spedito dall\ Russia ij 12 settembre.
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Quando il Cristo sorge nelle anime degli uomini, essi non si curano più delle utopie materialistiche... Come ha ben detto il patriarca, coloro che principiarono la guerra delle classi «periranno per quella spada» che essi hanno afferrato. Dovranno subire le conseguenze dei propri principi. Per convincersene non dobbiamo fare altro che contemplare ciò che succède sul campo di battaglia. Pòco più di un anno fa l'esercito di volontari non era se non un pugno di eroi, al più tremila uomini. D’allora in poi è diventato un esercito ragguardevole. Non di meno la superiorità numerica dalla parte bolscevica è immensa. Non è guari — agosto 1919 — uno dei più famosi generali dell’esercito volontario dichiarò in una intervista che il numero di prigionieri fatto dalle sue truppe nel corso di pochi mesi superava di dieci volte il numero delle truppe stesse. Questo non è esagerazione e la guerra civile fornisce gran copia di simili fatti. Quale è il loro signi fìcato?
[ZZ paragrafo'di conclusione è di nuovo indecifrabile. Fin dove si può giudicare dalle parole rimaste, è una predizione che le forze bolsceviche, che non hanno nessun legame interiore, si sfascieranno per cause psicologiche quando siano abbandonate a sè stesse. Le ultime parole sembrano essere: « L’Utopia materialista è condannata. La vittoria dello spirito è assicurata »].
Eugenio Troubetzkoy.
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sempre crescente interesse degli studi comparativi sulle religioni e ad una migliore conoscenza delle cose dell’india, alla simpatia che ha riscosso nelle menti colte il buddhismo si debbono i numerosi tentativi di ravvicinare la fede del Buddha a quella del Cristo (i). Non mi sembra tuttavia Che nello stabilire i rapporti fra le due religioni si sia stati sempre imparziali, ma che piuttosto una simpatia più o
meno apertamente confessata per luna o per l'altra abbia contribuito a svisare i fatti, o per lo meno a non porli sótto la meritata luce. Causa non ultima è stato, a mio vedere, che la discussione si è spesso condotta senza avere una cognizione diretta dei testi, ma su conoscenze di seconda mano. Non sembrerà pertanto inopportuno che si ritorni sul dibattuto argomento e si cerchino di chiarire alcuni punti essenziali che non sono stati sempre, e con la voluta precisione, notati. Non è mio intendimento trattare per esteso la vexata quaestio che richiederebbe un volume di grossa mole; soltanto, laddove si è soliti insistere sulle somiglianze tra cristianesimo e buddhismo, credo opportuno portare l’at-tenzjone su alcune differenze e divergenze, sia fra la leggenda del Buddha e
(i) V. Seydel, Das Evangelium Jesu in seinen Verhältnissen zur Buddha Sage und Buddha Lehre, Leipzig, 1S82, e Die Buddha Legende und das Leben. Jesu nach den Evangelien, 1884, C. A.; Van den Bbrgh van Eysinga, Indische Einflüsse auf evangelische Erzählungen, Göttingen, 1909, II ed. ; S. Edmundus, / Vangeli di Buddha e di Cristo, trad. it. ; Metzger A., Materiaux pour servir à l’islhoire des origines orientales du Chrislianisme, Fans, 1906.
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A PROPOSITO DEI RAPPORTI FRA CRISTIANESIMO E BUDDHISMO
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quella del Cristo, che fra la concezione della vita delle due dottrine alle quali, a mio vedere, non si è sempre dato il voluto peso. I confronti sono sempre utili purché mirino a far meglio conoscere quanto ciascun sistema filosofico o religioso ha di proprio e quanto comune con altre dottrine ma non è un sano criterio dalle singole analogie che si possono cogliere, indurre un rapporto di dipendenza fra i sistemi studiati. Vi sono degli assiomi morali, filosofici, politici che costituiscono come il patrimonio del nostro spirito, delle veritates (¡eternai come le chiamerebbe Descartes, che giacciono inconscie di sé finché non le ritrova la ricerca di quei fortunati indagatori dell'anima umana che sono i fondatori dei grandi sistemi filosofici e religiosi. Le indiscutibili analogie ed i numerosi punti di contatto che si possono notare tra il cristianesimo e il buddhismo non ci debbono pertanto far dimenticare che quéste dottrine non furono creazioni di qualche solitario veggente, sorte improvvisamente ed in seguito divenute patrimonio popolare, quanto invece determinate da un precedente movimento di pensiero cui sono intimamente connesse, e senza la cui esistenza nè cristianesimo nè buddhismo potrebbero spiegarsi. Perchè ogni fede ha la principale ragione della sua fortuna nella sua maggiore o minore consonanza con il patrimonio spirituale e le esigenze morali ed intellettuali di un’epoca. Quasi tutti i grandi sistemi religiosi rappresentano infatti il punto di convergenza delle correnti di pensiero di un determinato tempo. Una fede non può essere imposta ma è sempre spontaneamente accolta dalle coscienze, quando vi siano preparate da tutto un precedente sviluppo intellettuale e morale, che costituisce la storia della loro razza. Il buddhismo ed il cristianesimo vogliono essere perciò considerati sopratutto come atteggiamenti del pensiero e della coscienza dell'india al vi'sec. a. C. e della Giudea al I sec. a. C.
Per le • suesposte ragioni io non saprei trarre le stesse conclusioni del Metzger e dell'Edmunds dai raffronti che essi hanno istituito fra i vangeli e i libri buddhistici ed i vari episodi della vita di Gesù e quelli del Buddha. Per dimostrare quanto possano essere fallaci questi ravvicinamenti puramente formali di sentenze morali e di detti e fatti attribuiti ai due Maestri, mi piace citare degli esempi che mi sembrano caratteristici. L'itivuttaka « così disse » formula che ha dato il nome ad un libro palico, è stato ravvicinato air’IwBc Xéys4 dei frammenti dei Xóyca scoperti nel 1897 in Egitto e pubblicati dal Gren-fell. Ora nella. Cina, nei discorsi di Confucio (Lun-yu), ad es., ricorrono a capo di ogni sentenza le parole: tze ine «il maestro dice». Matteo 5, 44 (cfr. Luca, 6, 27, 28): «Amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi perseguitano» più che Dammapada I, 3-5 : < perchè non colla malignità in questo mondo si placa la malignità ma con la benignità: questa è una legge eterna»; ricorda un
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versetto di Lao-tze: « Ricambia il male con il bene » (i). E più del Dhamma-pada, 129-130: «Tutti tremano del bastone e tutti temono la morte: mettiti al loro posto e non uccidere nè fare uccidere. Tutti tremano del bastone e tutti amano la vita: mettiti al loro posto e non uccidere nè fare uccidere», la sentenza di Cristo (Matteo, 7-12, cfr. Luca, 6-31): «Tutte le cose adunque che voi volete che gli uomini vi facciano fatele anche voi a loro; perchè in questi si riassumono la legge ed i profeti » è molto più vicina ad un passo del Lun-yu, XV, 23 : « Tze Kung chiese a Confucio se esistesse un precetto che potesse servire di norma costante per tutta la vita»; il maestro rispose: «ama gli altri come te stesso : non fare agli altri quello che non vorresti ti fosse fatto ». Queste analogie sono ancora più palesi che non quelle con gli scritti buddhistici: ma potrebbe ragionevolmente supporsi Che gli evangelisti abbiano imitato i filosofi cinesi? (2)
Nell’inno ad Apollo Delio ritroviamo un particolare che ha una strana rassomiglianza con uno degli episodi della nascita miracolosa del Buddha. È risaputo come Mayádevi recatasi nel parco di Lumbinì si appoggiasse ad un albero di cala e quindi desse alia luce Gautama. Canta A^vaghosa, I, 24: «Fendendo ad un tratto l’alvo della regina appoggiata ad un ramo curvo sotto il peso dei fiori, il Bodhisattva venne alla luce ». Ed ugualmente Latona nell’isola di Deio partorisce Apollo presso un albero di alloro (3).
Quando si pensi che l’inno ad Apollo è probabilmente fra i più antichi della raccolta e può benissimo risalire al vi o vii secolo avanti Cristo, non resta che ammettere una fortuita somiglianza. E per quanto riguarda la nascita miracolosa e le vicende del Cristo e del Buddha, si deve tener presente che la vita di tutti i grandi, quale ci è tramandata dalle fonti letterarie e dalle tradizioni, offre per necessità elementi comuni. Alcuni fatti si presentano alla mente umana come naturalmente connessi con la vita di uomini sommi ; che un inviato da Dio o un Dio liberatore o un ispirato veggente non debbano nascere come tutti i mortali e miracolose circostanze ne accompagnino la concezione, che il giubilo di tutta la natura ne accolga l’apparire alla luce è più che naturale. Ricordo ad esempio la Ecloga IV(1) Tao te King, cap. 63. Cfr. nell’Zmfóz stessa Manu, IV, 42 e seg. : «che sopporti pazientemente le ingiurie, ma a sua volta eviti di offendere chicchessia, nè verso altri per causa di questo corpo commetta alcun atto di ostilità, non si adiri contro chi con lui si è adirato, benedica chi lo maledice nè pronunci mai parola contraria alla verità*.
Del resto l’origine della sentenza di Cristo va trovata senza dubbio nella legge; cfr. Numeri 4, 5 : « se tu incontri il bue del tuo nemico o l’asino suo smarrito, subito riconduciglielo, se tu vedi l’asino di colui che ti odia giacere sotto il carico, mentre tu esiti ad aiutarlo per farlo procedere, fa con lui in modo che possa andar oltre».
(2) V. il mio articolo : « Dei rapporti fra la filosofia greca e l’orientale > in Giornale critico della filosofia italiana, 1920, fase. io.
(3) ufi Apollinem, v. 17-18.
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di Virgilio, nella quale il poeta null’altro fa che cantare liete profezie tristamente smentite dall’immatura morte di Claudio Marcello, il quale proprio come il Buddha sarebbe stato portato dalla madre per dieci mesi.
Mairi longa decem tulerunt fastidia menses.
L’indipendenza della tradizione cristiana dalla buddhistica per quanto riguarda la nascita dal banco della madre — coincidenza cui altri dà gran valore per dimostrare i pretesi influssi del buddhismo sul cristianesimo — mi sembra risulti dal fatto che presso entrambi i popoli, l’indiano e il semitico, la puerpera, non meno della donna mestruata, era considerata impura. Manu, III, 45, prescrive che la donna deve essere avvicinata finito il flusso perchè, come notano i commentatori, il trasgressore di questo divieto si macchierebbe di colpa gravissima come se avesse ucciso una mucca od un bambino. Ed in Manu si ritorna spesso su questa proibizione e sull’impurità della donna partoriente o mestruata : ad esempio V. 58, 61, 63, 66, 71, 85, cfr. Vasista, II, 58, V, 5, 6(1). La stessa credenza ritroviamo nel popolo ebraico; Si legge infatti nel Levitico XII, 2, « quando una donna avrà un figliuolo e avrà partorito un maschio sia immonda sette giorni, sia immonda come al tempo che è separata per la sua immondizia » (2). L’origine di questo divieto che ritroviamo quasi in tutti i popoli va ricercato nel fatto che il sangue è considerato come tabù. Ed è appunto per questa convinzione radicata nel popolo e consacrata dalle tradizioni e dagli usi che, sia agli anonimi autori di racconti leggendari, sia ai più tardi scrittori che a questi dettero forma letteraria, doveva sembrare naturale che persone tanto sublimi non avessero sortito nascita impura come quella di tutti gli uomini. Non veggo pertanto neppure in questo caso particolare la necessità di ricorrere alla teoria degli « imprestiti » trattandosi di sviluppi paralleli ed indipendenti da un fondo di credenze comune a entrambi i popoli, semitico ed ariano. Ed è per questo che non mi sembra di dover seguire il Kennedy {The Gospel of In-fancy, in Journal of R. Asiatic Society, 1917) il quale confutando le teorie del Gàrbe (3) propende ad ammettere un influsso occidentale sulle leggende buddistiche della nascita del Buddha, quale si narra nel Lalita-Vistara.
Cade in acconcio notare che dovendo istituire paralleli fra due dottrine bisogna possibilmente sceverare quello che è leggenda da quanto con molta probabilità rappresenta gli insegnamenti genuini dei maestri. Perchè le leggende rappresentano qualche cosa di accidentale come una corteccia di cui si riveste la dottrina originaria o la persona del suo divulgatore, che nel corso dei tempi
il) Le traduzioni di entrambe le opere puoi vedere nei Sacred Books of thè East.
(2) Cfr. Deuteron. XII, 23-25,
(3) Indie» und Christentum, I-eipzig, 1914.
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perde il suo carattere umano per apparire all’immaginazione dei credenti in una luce divina. Il meraviglioso ed il miracolo subentra poco a poco; e mentre la figura del maestro si idealizza sempre più, la sua dottrina per una necessità fatale, comune a tutte le istituzioni umane, si cambia e si plasma secondo le mutate esigenze ed i nuovi bisogni delle coscienze. Quindi corre molto fra il dire che la dottrina del Buddha ha esercitato la sua influenza su quella del Cristo 'e dire che alcuni elementi della tradizione buddhistica possono essere penetrati nelle tradizioni o nelle leggende cristiane. Che questo benché in età relativamente tarda sia avvenuto, è molto probabile quando si pensi che i centri delle più intense lotte cristiane furono appunto nell’Asia minore ed in Alessandria, regioni che durante l’impero Romàno furono notevolmente aperte ad influenze orientali. Ma questi scambi e questi imprestiti interessano la storia del Dogma e della chiesa, non quegli insegnamenti che con ogni probabilità possiamo attribuire a Gesù.
Il buddhismo presuppone il Brahamanesimo e può essere messo alla pari degli altri sistemi filosofici indiani che si proponevano tutti, benché per vie diverse, la liberazione dèlie creature. Il mondo è impermanenza e dolore, essi dicevano. Vi si è attaccati per una fatale ignoranza - avidya, - che è causa di un perenne giro di nascite e di morti - Samsara con la retta conoscenza - jfiàna - il saggio ne è liberato - mukta -. La differenza fra i vari sistemi consiste solo nelle varie specie di jfiàna che professano e nella sorte che attende il mukta. Che cos’altro dice Buddha nelle sue quattro verità - àryasatyàni i° la esistenza del dolore (duhkha); 2° la causa del dolore (samudaya); 30 la soppressione del dolore (nirodha); 40 la liberazione dal dolore (Màrga)? La base quindi del suo sistema è la preoccupazione Che ha agitato tutte le menti dell’india, l'impermanenza di ogni esistenza, il dolore che fatalmente l’accompagna ed il Samsara, l’eterno giro delle nascite e delle morti ; il quale però non è per il Buddha trasmigrazione delle anime, in quanto, secondo i suoi insegnamenti, l'anima non esiste. Dell’uomo dopo la morte null’altro rimane che gli effètti delle sue azioni - Karman - che aderiscono come predisposizioni - Samskàra -agli elementi - Skanda - che costituiscono un nuovo individuo - Pudgaia - la cui sorte è appunto determinata dal Karman. Conosciute le origini di ogni esistenza per lo svolgimento della catena dei 12 Nidàna, sradicata come conseguenza la sete - trsnà - che ci rende attaccati alla vita, si distrugge il Karman e si interrompe pertanto il Samsara. Come si vede sono messi in opera tutti gli elementi che ricorrono negli altri sistemi filosofici dell’india: avidyà, Sam-sàra, Karman, Samskàra, ed in ¡special modo del sistema Sàmkhya, sistema ateistico, da cui il buddhismo tolse gran parte della sua dommatica ed insieme con il quale non ammette l’essere reale ed immutabile dei sistemi ortodossi
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(atmavada). Questa base filosòfica che è parte essenziale del buddhismo manca al cristianesimo; * ■
Il cristianesimo è infatti determinato dall’ambiente religioso giudaico in cui sorse. Il Dio di Israele era stato relegato dall’esclusivismo sacerdotale troppo lontano dall’uomo: le coscienze ne sentivano sgomente le tristi minacele per bocca dei profeti, ma ne avevano perduto il contatto diretto. I sacerdoti poco a poco, attenendosi supinamente alla lettera della legge ed intransigenti sostenitori del formalismo dei inariditi nella Thorà, avevano definitivamente
separato lahve dal suo popolo ZijXov Hsou aXà'où xaT’àTCÌyvoGiv come dice
S. Paolo (ad Rom., V, 2). Si veniva avverando la profezia di Amos (Vili, n, 12):
Verranno giorni
Dice il Signore lahvè
In cui io getterò la fame sul paese, Non faine di pane Nè sete d’acqua Ma fame di sentire le parole di lahvè.
Quindi tutta un’ampia letteratura apocalittica, che risponde alle esigenze dei tempi, — Esdra, Baruch, Enoch, — la quale non è che un vano correre alla ricerca di Dio, l’ansia dell’uomo che si sente solo nell’incerto mare della vita; e nella sete per questa di Dio, sul quale pesavano ancora i dubbi di Giobbe, si affaccia la speranza in una redenzione per opera del figlio dell’uomo (Enoch, LXX, 19 e seg.). Questo ambiente vide sorgere Giovanni Battista prima e quindi Gesù il quale risolvendo finalmente il tormentoso problema predica alle genti che il regno di Dio è dentro di noi, che non la forma esteriore, l’adempimento supino dei precetti religiosa, ci danno il possesso di Dio ma l’intimo convincimento del nostro spirito, la purezza della intenzione, quell’attività sincera ed efficace per cui l’uomo assurge a Dio e Dio discende nell’uomo. Ma ad ogni modo Gesù sarebbe incomprensibile senza la Legge: « Non crediate ch’io sia venuto ad abolir la legge o i profeti; io non sono venuto per abolire, ma per completare > (Matteo, V, 17); la legge però purificata da ogni formalismo e considerata solo come valido aiuto alle coscienze nella riconquista di Dio.
Ecco quello che manca al buddhismo il quale è appunto un sistema ateistico. Il Buddha non è mandato da nessun Dio, egli non ne promette l'avvento, e molto meno una comunione con lui. Gesù, impersonando le credenze messianiche della sua gente, è il redentore di un peccato originale, che gravita fin dalla nascita sulle coscienze: egli è un mediatore fra l’uomo e Dio, il Xóyo; e l’idea messianica è appunto l’idea centro del cristianesimo. Il Buddha invece non conosce nessun peccato originale, ma solo constatata l’illusione di ogni esi-
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stenza e il dolore che fatalmente ne nasce, ne sradica le prime radici con la soppressione di ogni desiderio e offrendo alle creature un veicolo - yàna - una via -■ màrga - alla salvazione. E questa via, chi si fosse convinto della verità dei suoi insegnamenti e fosse desideroso sottrarsi al Samsàra, doveva percorrere siccome l’aveva già percorsa il Santo nella ¿lotte della illuminazione, sotto l’albero della Bodhi, svolgendo la serie dei 12 Nidàna. Ed egli offre alle creature un mèzzo — che è la dottrina, un esempio — che è la sua vita e nulla più.
Alle singole coscienze il resto ; ciascuno per proprio conto deve essere artefice della sua stessa liberazione (1). Questa autonomia delle coscienze non riusciamo a trovare nel cristianesimo, nel quale invece l’onnipotenza e l’onnipresenza di Dio, la necessità dell’aiuto e dell’assistenza divina e la mediazione del Cristo condussero presto alla formulazione della teoria della grazia contro cui si portano i colpi della filosofìa rinascente. Altra divergenza possiamo notare a proposito della sorte che, secondo le due dottrine, è riserbata al credente. Secondo il Buddha infatti, il nirvana attende il liberato. Che cosa è il nirvana? Comunemente, ma con espressione inesatta, si dice : il nulla'. Il nirvana ricorre anche nei sistemi ortodòssi per indicare lo stato del mukta; lo ritroviamo, ad esempio, più volte nella Bhagavatgità, in cui il nirvana appunto indica quello stato ineffabile che è rappresentato dall’unione con il paramàtman, conseguita da chi con la retta conoscenza ha posto termine al Samsàra. Nè il Nirvana manca ai Jaina, setta contemporanea e rivale del Buddha. Anche il nirvana buddhistico rappresenta ad ogni modo un concetto puramente negativo, significando la negazione di ogni passione, di ogni sete - trsn -. E come tale era ineffabile, e nessuna definizione poteva darsene, così come era indefinibile il paramàtman upanisadico la cui migliore determinazione poteva, solo consistere nella negazione di ogni attributo - neti, neti - non così, non così. Ed infatti leggiamo nel Milinda-panho : « Venerabile Nagasena, di questo Nirvana di cui sempre parli, puoi tu spiegare o con metafore o con dilucidazioni o ragionamenti o argomenti la forma, la figura, la durata, la misura?». «Il Nirvana, o Re, non è nulla di tutto questo: nè con metafore nè con dilucidazioni nè con ragionamenti può essere spiegata la forma, la figura, la durata, la misura... Come è impossibile dire la quantità delle acque del mare om! numero degli esseri che vivono in esse benché tuttavia il mare esista, altrettanto impossibile è in uno qualunque dei modi da te indicati informare sulla forma, figura, durata, misura del nirvàna quantunque
(1) Su questo lato molto importante della dottrina del Buddha vedi De La Vallèe Poussin, Faith and Reason in Buddhism, in Irons of the III Congress for the history of Religions, vol. II, pag. 32.
(2) -h sUtk # tv Góyia ivijjt 6w^«v àU’tv 3vva«e< 3tov, PAULUS, I* ad. Cor. 2-5.
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esso inevitabilmente esista» (M. P., par. 316. Si può leggere la traduzione dell’ultimo passo in Sacred Books of ike East, XXXI, pag. 202 e seg.).
Gesù è invece esplicito nel dichiarare quanto spetta al credente mundo corde: i buoni attende il regno dei cieli. È prossima la irapovcia il giorno fatale in cui i morti risusciteranno e saranno giudicati secondo i loro meriti. Gli eletti divenuti sudditi del regno dei cieli, continueranno alla Corte di Dio la loro beata esistenza: e i reprobi saranno precipitati nel fuoco della geenna. Per il Buddha invece — ed è logico — perchè egli non parlava in nome di nessun dio, l’illuminato si libera per sempre dal Samsàra, mentre chi è sordo alla dottrina liberatrice, perennemente travolto nel giro delle nascite e delle morti sconterà nelle vite future il male perpetrato nelle esistenze anteriori. Il Naraka, l'inferno buddistico, è estraneo agli insegnamenti del maestro ed effetto di quegli inevitabili compromessi Che nel corso dei tempi sogliono farsi fra le dottrine religiose e le superstizioni popolari. Ove più Gesù e il Buddha si ravvicinano è nella riforma morale da essi propugnata. Il Cristo combatte il freddo formalismo dei sadducei e dei farisei inariditi nell’osservanza supina della legge e fa della sincerità morale il più efficace mezzo della conquista del regno dei cieli. Il dominio su se stessi, la carità ed il sacrificio disinteressato, il perdono delle offese e delle ingiurie, la severità vigile verso sè, la condiscendenza con gli altri, sono le virtù che egli raccomanda. Quanto al Buddha, si è certo esagerato nel voler vedere in lui un riformatore sociale: egli non bandì l’abolizione delle caste nè come il Cristo fu più largo nell’accogliere gli umili anziché i grandi ed i nobili : egli negò solo che le classi precludessero fatalmente ad alcuni la via alla liberazione come ammettevano i brahamani ortodossi, benché, anche prescindendo dal Sàmkhya, per il quale tutti gli uomini possono raggiungere il supremo fine, nella letteratura brahmanica non manchino esempi di persone di caste abbiette cui furono comunicate alcune dottrine, alle quali potevano essere iniziati solo gli appartenènti alle tre caste superiori.
Cosi, ad es., nella Chandoyya-Upanisad, IV, 1-3, Raika insegna a Jana§ruti, uno Sudra, la Samvargavidyà : e ibid.y IV, 4. Hàridumata accoglie come Bra-hmacàrin Sàtyakama il figlio di Jabàlà, una donna pubblica. Ñon credo però convenga ricordare, come da alcuni si è fatto, a questo proposita lo $loka, IX, 32 della Bhagavadgìtà in cui si livellano le varie caste, perchè data la composizione relativamente tarda dell’opera è presumibile che nel verso succitato si debba vedere piuttosto una influenza della dottrina buddistica, che un preannuncio. Ad ogni modo gli esempi surriferiti sono unici, e i posteriori commentatori ortodossi, ad es., (Jankara, hanno tentato di sconfessarli : il Buddha invece a tutti indistintamente rivela la sua dottrina, a qualunque classe appartengano e qualunque mestiere esercitino.
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I vari sistemi filosofici dell’india si venivano tutti a trovare al di là del bene e del male: scopo della ricerca era l'intuizione del sommo vero che interrompe il ciclo fatale delle nascite e delle morti: mezzo, la meditazione, l’ascesi, la retta conoscenza. Il problema etico non esiste per chi, riconosciuta l’illusione e la irrealtà di questo mondo, cerca conseguire quella scienza che solo può liberarcene indipendentemente dalle opere che si possono compiere; la Kausitakà-Upanisad, III, i, ad es., dichiara apertamente che la conoscenza ■purifica da qualunque delitto anche dall'uccisione del proprio padre o di un bambino. Per il Buddha invece non la conoscenza da sola o i sacrifìci, o le ■pratiche ascetiche, delle quali egli stesso aveva sperimentato l'inutilità, conducono alla liberazione quanto la rinuncia ad ogni sentimento di egoismo, quel riconoscere se stesso in tutte le creature e tutte le creature in se stesso : a ciò valgono due sentimenti essenziali: rattristarsi con chi è afflitto - Karuna - e il rallegrarsi con chi è .lieto mudità - che culminano nella maitri che è vero amore fraterno. Tutta la pratica della vita deve essere improntata a quella purezza morale che egli codificò nel suo ottopartito sentiero: retta fede, retto giudizio, retta parola, retto proposito, retta azione, retta obbedienza, retta memoria, retta meditazione.
Poco importa se quella base filosofica che il* Buddha ha posto alla sua dottrina, sia stata sua creazione originale, o piuttosto in molta parte derivata dalla speculazione che lo precedette, in ispecie dal Sàmkhyà, perchè è indubitato che essa è divenuta il lato essenziale e caratteristico del buddhismo. Il Buddha infatti sottopone ad una indagine scrupolosa la vita, ne ricerca le origini, ne mostra l’impermanenza ed il dolore che fatalmente l’accompagna, e una volta accertato che la vita è male, cerca di insegnare il mezzo per distruggere dalle radici queH'eterno giro di nascite e di morti che trascina gli individui di esistenza in esistenza. Noi non dobbiamo fare la eritrea della sua concezione della vita e sostenerne l’inferiorità o la superiorità rispetto al cristianesimo. Questa valutazione esula dal campo puramente’ storico in cui ci siamo confinati, e del resto, a mio vedere, può soltanto avere un valore soggettivo. Dobbiamo puttosto notare come il Buddha tenti una indagine filosofica sul mondo e sull’uomo a Gesù ignota. Religiosi sono i motivi che ispirarono e determinarono la riforma del Cristo: mentre il buddhismo anche se in seguito finì con il divenatre una religione, in principio non lo fu : fu invece uno dei tanti sistemi filosofici che l'india vide nascere e che partendo tutti dal presupposto che il mondo è impermanenza e quindi illusione e dolore, cercavano conseguire la scienza liberatrice.
Qui auget scentiam auget et dolorem esclamavano invece i cristiani (i) e
(x) cfr. Paolo, I, cor. Ili, 19, 2, 5, I, 19.
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questo concetto diventerà tanto essenziale e caratteristico, un habitus intellettuale della civiltà cristiana da essere ripetuto persino dà pensatori che verso la fede cristiana non furono troppo benevoli, ad esempio, da Byron:
The tree of knowledge is noi Thal of lift.
Ora questo concetto sarebbe assolutamente inconcepibile per il Buddha per il quale la conoscenza - Jnàna - è il primo e più efficace mezzo per estirpare il dolore e raggiungere lo scopo supremo. Il buddhismo ha una base filosofica profonda che al cristianesimo primitivo manca affatto e cui solo in seguito si piegò ed accolse per necessità di cose, quando venne a contatto della civiltà greco-romana grandemente agitata da preoccupazioni filosofiche e religiose; e non senza fieri oppositori, come Tertulliano, Taziano, Ireneo i quali si accorsero dei pericoli che una influenza troppo ampia del pensiero ellenico sulla fede cristiana avrebbe portato con sé. Ma l’opera del Buddha e del Cristo fu altamente ed egualmente efficace perchè entrambi in tempi di turbamento e di odio pronunciarono una parola di pace; alle genti travolte in un mare di illusioni fatali e dannose ricordarono che non la contesa per beni irreali ed irraggiungibili deve essere mèta del nostro vivere, quanto il dominio sul nostro spirito; che non la’ vittoria sugli altri largisce la felicità ma la vittoria su noi stessi : ed apostoli di un amore universale sognarono un rinnoveliamento dei tempi.
Ed è per questo lato essenzialmente umano della loro dottrina che le loro parole sono ancora un porto di pace per quegli spiriti i quali in mezzo alle dubbiose incertezze dei tempi che volgono, si ricordino che l’uomo è fatto non per odiare ma per amare.
GlUSPPEE Tucci.
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«SUA RELAZIONE CON IL PROGRESSO MORALE)
l benessere economico è condizione essenziale al progresso mo rate, politico, intellettuale. Questo l'indiscusso aforisma di cui tutti i partiti oggi fan leva per il conseguimento dei loro ideali, il presupposto necessario per qualsiasi movimento, anche il più spirituale.
Dimodoché spirito ed idea non sarebbero se non funzioni economiche, seppur non debbano considerarsi come dilettantismo possibile soltanto in qualche salotto allorché siano ampiamente
soddisfatte le ragioni ben più tangibili dello stomaco, dell'ambizione, della sete umana di dominio. z
Cosicché morale, politica, istruzione sarebbero vuote di senso per sé sole; unicamente capaci di un contenuto in quanto colorite e innervate dalla spinta di miglioramenti economici; dipendenti dunque da questi, e perciò implicitamente assurde in una società povera di beni materiali se non per la sete di maggiori, schiave della passione umana, che si servirebbe della ragione, o meglio, del sofisma, a conciliare, addormentandole, le coscienze pavide di ribellarsi a' vecchi pregiudizi morali, corrispondenti nelle svariate società alla loro diversa floridezza economica.
E morale, politica, educazione, effetti perciò di condizioni materiali, mutabili a norma di queste, ispirate esclusivamente dal materialismo,, esperimenterebbero soltanto il diverso grado di floridezza di determinate società umane, le quali, essendosi ormai assicurate taluni beni economici, hanno creato una morale. Una politica, una educazione utilitaria, atte cioè a conservare e a perfezionare il godimento di quei beni. Nella cerchia di una medesima società poi, è ovvio si vengano in tal guisa formando concetti morali in contrasto, se in’contrasto sono gl’interessi delle classi che quella determinata società compongono. Esisteranno dunque morale, politica, istruzione ed educazioni diverse, anzi antitetiche, a servizio non soltanto delle varie razze, nazioni, classi, professioni, ma perfino a servizio di ciascun individuo, in ispecie se questo vuole conseguire taluni fini in opposizione alla razza, alla nazione, alla classe, alla professione cui appartiene.
Ma allora, se conserverà ancora qualche significato l'appellarsi degli uomini alle ragioni politico-economiche che li sospingono, sarà sempre una profonda ipo-
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crisia il volérsi altresì appellare a ragioni morali-educative; se queste sono partorite esclusivamente dall'egoismo umano.
V’è allora da meravigliarsi unicamente che l’uomo non sia ritornato allo stato di belva, esclusivamente sapiente nell'eliminare l’avversario, senza eccessivi richiami alla moralità e alla legge che sarebbero solo l’esercizio della volontà del vincitore.
Nell’attuale assenza infatti di ogni freno morale e religioso che riposi su convinzioni non dipendenti dal bene economico, la tendenza sociale è appunto quella di assoggettarsi come schiava questa benedetta morale che diventerebbe semplice-mente il costume del più forte.
Allora neghiamo senz’altro alla cosidetta morale una. funzione qualsiasi, releghiamola nel regno delle chimere, e combattiamo la nostra battaglia della vita non più con le armi della ragione ma con quelle che il nostro cervello e il nostro pugno amorali ci appresteranno a far più cruenta la guerra degli umani fatali.
Ma io nego assolutamente che la morale sia in dipendenza dei fenomeni economici.
Taluno forse potrebbe chiedersi se fosse.stato prima l'uovo o la gallina, io asserisco invece che quando l’uomo, diventando tale, cominciò a ragionare, a usare del cervello cioè non soltanto per procurarsi il vitto e la tana, ma altresì per stabilire le sue relazioni con il cosmo, una divina scintilla, un raggio cioè della coscienza direttiva del mondo, e per cui l’universo si equilibra, progredendo, era penetrato nell’organo suo più sensibile e, pur faticosamente, lo aveva vivificato e animato ponendolo sul primo gradino della scala degli esseri direttivi ; scala che avrebbe asceso tanto più rapidamente quanto più l’uomo medesimo avrebbe resistito agl'impulsi bestiali tuttavia in sè prevalenti per millenaria abitudine, per inveterato torpore.
Da quel momento l’uomo fu provvisto di un senso di disciplina interiore per cui un gesto parvegli buono e bello ed un altro brutto e malvagio. Il senso del buono e del bello non fu dettato dall’interesse economico, tanto da sembrargli bèllo e buono il sacrificio, che è rinuncia e negazione del bene materiale. La bellezza ideale delle azioni umane, che appunto é morale, apparve istintivamente senza Che vi si mescolasse, nell'ammirazione e nello sprone ad imitarle, alcuna idea di miglioramento delle proprie condizioni economiche.
Certo il raggio divino o superumano che intuitivamente rivelava all'uomo la bellezza di talune verità immateriali non potè parimenti splendere e, in ispecial modo, dominare su tutti i cuori. La dimostrazione di una verità fisica, che tuttavia cada sotto gli occhi degli astanti, viene accettata sì da essi, ma in diverso grado ne son presi: c’è chi si ferma esclusivamente al fatto, lo riconosce, e si dimentica poi perfino dell’esperienza, c'è chi lo vuole studiare nella sua successione fenomenica, e a sua volta ne coglie taluni aspetti e non talaltri, v’è infine chi, nella sua interezza, riproduce nella propria coscienza il fenomeno analizzato. Così il moto verso la bontà. Innato nello spirito umano, ma fasciato da tanta carne, ossia da tanta resistenza, sorda bene e spesso a ogni più vivo invito; in taluni esseri, appena avvertito, quel moto si spegne, naufragando nella materia, in altri riesce a vincere qualche più grossolana
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resistenza, ma si affievolisce, estinguendosi o mantenendosi forza latente non appena le resistenze incontrate, troppo radicate nell' abitudine e nel cuore, troppo affondate nella carne, avrebbero bisogno di un argano potente per venir rimosse, mentre la spinta al bene, esauritasi nelle prime sue prove e non alimentata a dovere, per ignavia o per incoscienza, ha perduto la sua energia vivificatrice; in taluni altri esseri poi, o dotati di maggior luce irradiatrice o involti in una carne meno dura agl’inviti e agl’intuiti della coscienza direttiva del cosmo, riesce a trionfare: se non la morale pura, ossia la legge mondiale di progresso, almeno il desiderio insaziato e insaziabile di una norma che li avvicini praticamente alla coscienza illuminatrice del mondo, a quella coscienza per cui il mondo, ordinatamente ne gli spazi siderali, vive, e il perchè della medesima sua vita non è piò un segreto.
La scintilla tuttavia che mosse, sia purè un istante, disinteressatamente l'uomo non muore mai, il gesto che provocò fu successione ininterrotta di atti consimili in altri uomini, e, se anche le delusioni e gli eccitamenti egoistici abbiano in lui prevalso oscurandogli la visione del bene, pure gli rimase la nostalgia di un mondo migliore, mondo che, mentre con l'opera nega, afferma di fatto chiamandolo ideale. Chimera, poesia, sogno. Sogno, sì, ma Sogno di un mondo da lui sentito moralmente superiore a quello vissuto.
Perchè mai gli è nata la fede o la illusione di una società retta da principi di amore e di giustizia? Come mai, non potendo attuare il mondo ideale in terra, lo ha trasferito di là dell’esistenza terrena?
Egli è stato dunque vinto da un bene economico apparsogli più immediato e conseguibile abbandonando la visióne di un bene troppo elevato per lui; è, con la veduta più corta di una spanna, ha asserito che soltanto allorché tutti i beni economici gli fossero stati largiti avrebbe cominciato a provvedere alla propria educazione e perfezione.
In realtà, siccome il pruno di una coscienza morale v’era, più o meno sentito, più o meno fastidioso, più o meno eccitante, così s’è venuta formando in ogni individuo una specie di transazione tra la morale pura da lui traveduta ed il desio dei beni materiali. Dalla transazione ne è provenuta la morale pratica di ogni individuo, la morale corrente di ogni società.
L’individuo intravede ciò che gli è possibile della morale pura ossia della legge eterna della vita, si nomini essa Dio o Coscienza del mondo, ne assorbe, in proporzione della sua capacità, quel tanto che gli occorre per la pratica, poi a sua volta transige tra la morale assimilata e l’assillo del bisogno e del desiderio e ne esce una morale relativa, perfino una negazione della morale.
Difatti una morale così deturpata, così tratta a servire le voglie e i capricci degli uomini, così macchiata e inquinata di egoismo, perde quasi interamente la sua forza, diventa ipocrita e, in individui passionali ma logici, porta alle negazione medesima della morale.
Allora, ad assolvere tutte le colpe, a negare agli uomini ogni responsabilità, viene emesso l’aforisma praticamente indiscusso da ogni partito, aforisma in cui
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ogni coscienza si addormenta, che cioè il benessere economico è condizione indispensàbile di ogni progresso morale, politico ed intellettuale.
Vivaddio, nò!
Se è in parte scusabile, per le sofferenze patite, conseguènza ineluttabile dell'immane guerra combattuta, l'annebbiamento della coscienza politica, se è naturale che l’uomo, composto per tanta parte di carne, non riesca neppure a ragionare secondo morale sotto l'assillo mordente della fame, se è giusto ritenere che, affinchè la fiamma della candela umana si mantenga, occorrono i grassi che l’alimentino — e in ciò soltanto la morale è in dipendenza del bene economico, o meglio in dipendenza della vita, in quanto che non può esistere senza questa — è però evidènte che l'uomo può obbedire alla gran legge scrittagli nel cuore non appena il suo cervello regolarmente funziona.
In altri termini : la morale non ha più presa su di lui allorché egli trovasi in istato di sfinimento tale da non poter più ragionare — ed oggi bisogna asserire che, almeno tra noi, la grandissima maggioranza degli uomini sono in condizione da poter ragionare —- ; ma se il detto uomo si manifesta in istato di non ragionevolezza egli è ormai insensibile, come intelligenza, e al bene economico e ài bene morale. Ed è inutile trattare con lui non solo d'istruzione e di politica, ma anche di approvvigionamento. Bisogna, se si può, aprirgli la bocca dolcemente è fargli ingurgitare qualche ristoro.
Quando i Serbi, scheletri viventi ancora, con i pochi muscoli resistenti perfino allo sfinimento, rilasciati così da lasciar le braccia allungate e le mani dinoccolate pioventi come cosa morta, giungevano, a Durazzo, inseguiti dagli Austriaci attraverso le montagne d’Albania, i volti sparuti già teschi, in cui però, tra le occhiaie incavate, le pupille brillavano, trovarono la morte dinanzi al cibo che il loro stomaco indebolito non poteva più assimilare. Il loro stesso bene economico voleva che non si gettassero avidi sul pane o sulla galletta ma ristorassero prima di un tenue brodo lo stomaco affine di ripristinare gradualmente la funzionalità perduta.
Questo stato peraltro è fuori di discussione: non si può pretendere nulla da chi è in istato di dissoluzione. Ed ogni popolo, per quanto povero — a meno di casi eccezionali — trovasi in grado di poter ragionare e di esser perciò dotato come di una coscienza politica, così anche, e sopratutto, di una coscienza morale. Allora noi scorgeremo, storicamente e psicologicamente, che la morale non è relativa alle ricchezze ma indipendentissima da esse e che male provvede al progresso umano colui che crede, arricchendo gli uomini, di provvedere altresì al lóro progresso morale.
Non dico già questo per chi rinunciò agli umani tumulti cittadini pei silènzi delle montagne, per chi affogò le amare sollecitudini della vita, i crucci per le desiate ricchezze, i risentimenti gelosi e i fochi violenti dell’amore, per vivere in ispirilo, sottratti quasi ai pesi dei corpi in puro aere e sereno, là dove il mio e il tuo non hanno più senso ; per quanto anche questi esempi di uomini che allontanansi dal cosidetto bene economico per attendere alla perfezione morale abbiano pure il loro valore a contrastare la teoria prevalente.
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A tacere infatti degli Egizi e dei Babilonesi, non è chi non riconosca che nel periodo più florido di Roma l'immoralità pervenne al suo culmine; si sprezzarono e si conculcarono apertamente le massime di naturale onestà, che pur fra i pagani sempre furono in onore, si depredarono con malvagità è ferocia inusitata, come mai prima, i popoli vinti... e mai tanti schiavi del piacere e del lusso, della lussuria e dell’ambizione popolarono la terra... E se una luce mite e profonda s’irradiò a illuminare le coscienze perdute, essa fu la penetrante luce irradiata da un povero, da un povero cittadino di un popolo vinto, da un cittadino che non proclamò, no, là ribellione, la rivolta contro l'impero, contro il dominio politico, ma esclusivamente la pace e l’amore, ma semplicemente la fraternità degli spiriti, la libertà delle anime pur fra i ceppi della schiavitù... Quella luce mite e profonda, irradiata dalla lontana Galilea sui popoli soggiogati da Roma, scosse l'impero di questa, d’orgoglio impastato e di forza materiale, assai più che non rivoluzioni, assai più che non odi e ferocie e vendette di popoli soggiogati e martirizzati. La morale dal Galileo diffusa vinse i secoli e se poi irrozzì, se s’imbastardì dopo la dissoluzione imperiale, mai pervenne a tanto pervertimento quanto nella corte romana del xv secolo e xvi, quando cioè le condizioni economiche tali apparvero da poter lautamente apprestar perenne corte bandita senza pensare a domani.
Ed oggi la depravazione più evidente dei costumi non riscontrasi forse nei nuovi arricchiti?
Difatti chi tutto lo sforzo della vita condusse per conseguire un unico fine, la ricchezza e, alfine, vi è pervenuto, è naturale che ad altro non pensi fuorché ad accrescerla e a godersela. Incoraggiato dal successo e dalla facilità, talvolta, del successo medesimo, reso esperto della corruzione umana in mezzo alla quale deve aver manovrato per. la riuscita, scambiando la moralità dell'uman genere con quella degli uomini coi quali è venuto in lizza e che, anch'essi, altra cupidigia non alimentavano fuorché il lecito e l’illecito lucro, questo solo diviene norma assoluta del suo operato: e se egli si chiamerà nazionalista o democratico, liberale o clericale, socialista o conservatore, in realta non servirà che un Dio: Mammone.
Gl’invidiosi della sua fortuna, cercano poi di emularne le pedate nella speranza di conseguire pari successo, e la loro irrequietezza e la loro impazienza dimostrano fino a che punto son riusciti nell’intento;
Ma siccome madre natura ha dotato gli uomini non solo della cupidigia dei beni economici, ma altresì di quella del potere, da Cui la ricchezza anche più agevolmente può conseguirsi, ecco allora non i soli capaci di dominio esercitarlo, ma la folla infinita degli avidi, con ogni mezzo, legale ed eslege, tentare di acciuffarlo sovvertendo norme, tradizioni, servendosi dell’ingiustizia e dell’avidità altrui pel trionfo dell'avidità e dell'ingiustizia propria.
Per tanta immoralità ciascun popolo è sempre maturo, qual si siano le sue condizioni economiche. Ma se vi si aggiungano, dopo un periodo di relativa tranquillità forti scosse squilibrative, quali una guerra immane con i flagelli da essa conseguenti — diminuzione dei prodotti, carestia, ardua ripartizione di approvvigionamenti
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IL BENESSERE ECONOMICO
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malanni — è evidente che i sobillatori cresceranno a dismisura facendo leva del male altrui pel proprio guadagno. Allora la morale, una volta, intravista e poi perduta, apparrà uno dei mezzi più potenti per la conquista dei poteri, ma sarà una morale, una giustizia irata, sorta da cuori esulcerati, provocati, guasti dall’ambizione, dalla sete di ricchezza, dalle offese ricevute, pervertita cioè a causa di una serie d'ingiustizie che di fatto ci allontaneranno dalla morale pura.
Questa tuttavia non si perderà mai nella coscienza dell’uomo, e quando apparrà sovvertita nella pratica, quando cioè la società, seguendo i beni vani, parrà essersi allontanata tanto dalla norma di giustizia, da brancolare cieca, allora il ritorno semplice alla morale eterna apparrà improvviso fulgido raggio di luce, ancora di salvezza, guida preziosa nel porto della pace sociale e del perenne spirituale progresso.
Umberto Brauzzi.
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L’“ETICA DELLA SIMPATIA,, nella " TEORIA DEI SENTIMENTI MORALI ” di Adamo Smith (Continuazione • fine. Vedi Bilyihnii, fa». di Aprile 1920, pag. 281).
PUNTI FONDAMENTALI DELLA TEORIA
'analisi che ha preceduto, arida e scheletrica appunto perchè spoglia di tutta la smagliante veste delle illustrazioni e delle ricche applicazioni, dell’originale e non pertanto prolissa a causa della complessità della teoria e dell'ampiezza con cui è svolta da Smith, deve aver lasciato nel lettore alcune impressioni e come biffò mentali, che occorre ora sviluppare e ricollegare sì da porlo in grado di abbracciare con uno sguardo sintetico un sistema eminentemente organico e coerente.
Qualunque sia l’opinione che emergerà dall’esame e dalla discussione della « teoria », la conclusione di un attento lettore sarà probabilmente che, se anche essa non sia « l’analyse la plus complète qu'on ait fait encore des affections humaines » secondo il giudizio della marchesa de Condorcet, essa sia, certo, acuta, geniale, verosimile, e porti nella sua stessa semplicità mista a profondità di analisi, la più alta impronta della verità: ed è facile convenire col giudizio del Farrer, che se l'importanza che una teoria morale occupa nella storia della filosofia può essere misurata dalla quantità delle critiche ad essa rivolte, la teoria di Smith occupa il primo posto dopo 1’ « Inquiry concerning thè Principies of Moráis » di Hume. Dalle più brevi osservazioni volte ad essa da lord Kames e da sir James Mackintosh, giù alle critiche più elaborate del Cousin, del Jouffroy, del Brown, del Dugald Stewart — del Farrer stesso — tutte testimoniano il grande interesse da essa suscitato, nonché la difficoltà che la mentalità filosofica oppone, quando la si invita a mutare radicalmente posizione riguardo ad alcuni dei problemi fondamentali. Quest’ultima constatazione dovremo riscontrare più volte nell’esame delle difficoltà opposte alla « teoria », le quali sono il più spesso fondate su una falsa o incompleta comprensione della teoria stessa e della sua portata. Prima di affrontarle, converrà raccogliere, per così dire, a fattore comune i punti fondamentali della Teoria e porli in più chiara evidenza.
ETICA DELLA SIMPATIA
La teoria dei sentimenti morali « di Smith è passata a ragione alla storia sotto il nome di < etica della simpatia >: ed infatti, è la « simpatia » in quanto consenso o dissenso con qualunque sentimento, la differenza, a così dire « specifica » della teoria.
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In essa Smith Stabilisce un gran principio, cioè che noi arriviamo alls regole thè prescriviamo a noi stessi e che moderano la nostra condotta, soltanto osservando la condotta degli altri. Noi giudichiamo noi stessi perchè avevamo prima giudicato gli altri. Noi attingiamo le nostre nozioni di moralità dal di fuori, non dal di dentro. Se quindi noi vivessimo interamente soli non potremmo avere alcuna idea di merito o demerito, e ci sarebbe impossibile di formarci un'opinione sulla rettitudine o meno dei nostri sentimenti. Per acquistare questa conoscenza, noi dobbiamo guardarci d’intorno, e nei casi in cui non abbiamo esperienza diretta della reale , estimativa degli altri, non possiamo procurarci la detta conoscenza che immaginandoci ciò che proveremmo se fossimo al loro posto. Così tutti gli uomini continuamente si scambiano con l'immaginazione le loro situazioni e punti di vista; e benché questo scambio avvenga solo idealmente e per pochi istanti, esso è il fondamento di quel grande e universale impulso che si chiama simpatia, la molla potente della condotta umana.
SIMPATIA, EMOZIONE E SENTIMENTO
Non solo il termine « simpatia », come si è visto, occupa nella teoria un significato ben più ampio della sola simpatia emozionale, ma inoltre il sentimento della simpatia, ben lungi dall'esaurire tutta la psicologia dell'atto morale, non è che il principio determinante te\V approvazione morale: — giacché bisogna sempre tener presente, che Smith non si propone il problema del perchè si deve agire così, ma del perchè noi di fatto approviamo o disapproviamo certe azioni in noi stessi od in altri.
Anzitutto, se per Smith la « simpatia » è quel che è pel Bain, « una specie di imitazione involontaria delle manifestazioni dei sentimenti fatte in nostra presenza, seguita dal sorgere dei sentimenti Stessi», l'investimento automatico dei sentimenti altrui come se fossero nostri, essa è anche ulteriormente un sentimento ben più complesso, e complicalo da elementi razionali, ed importa adesione e partecipazione a sentimenti o siali d'animo, a gusti e a preferenze morali (morali in senso generico, non « reduplicative »).
Se a Smith si può a ragione rimproverare di non avere indicato espressamente il trapasso dall’uno all’altro significato affine, che avviene con inavvertita disinvoltura di già nei cap. I-V nella prima parte, non deve meno rimproverarsi ai critici di essersi impadroniti di questo equivoco, effetto .di una indelicatezza di analisi, per negare alla a simpatia » (presa nel primo senso, ed assunta come se. fosse il rappresentante completo della «simpatia» di Smith) la capacità di spiegare il principio dell’approvazione morale.
Nè solo dalla simpatia o antipatia coi sentimenti altrui in quanto corrisponde coi nostri noi siamo sospinti ad approvare o disapprovare l’altrui condotta come propria o impropria, o anche come benefica e meritoria o dannosa e demeritoria; ma dalla simpatia o antipatia col- sentimento altrui di approvazione o disapprovazione della nostra propria condotta, siamo ancor noi determinati ad approvare o disapprovar© la nostra.
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APPROVAZIONE E DISAPPROVAZIONE
Ma bisogna bene comprendere che cosa s’intende per questa approvazione altrui. Smith fa osservare che questa approvazione (altrui) che nel bambino coincide passivamente con quella della madre e degli immediati educatori, nell’adulto è in ultimo, un - criterio soggettivo formato per astrazione dalla generalità degli atteggiamenti degli spettatori reali, o anche solo per mezzo dello sdoppiamento fra il soggetto carico di prodotti sociali che giudica la sua propria azione, e il soggetto stesso in quanto l’ha fatta; benché nel processo, spesso, venga obliterato questo elemento essenziale della «simpatia» con l'approvazione di uno «spettatore imparziale ».
Ricordiamo: « Il principio con cui noi approviamo o disapproviamo la nostra propria condotta è lo stesso che quello per cui noi diamo simili giudizi della condotta altrui; cioè, noi ponendoci nella situazione di un’altra persona (spettatore informato e imparziale), riusciamo, o no, a simpatizzare coi sentimenti e motivi che influirono su di essa ».
Per Smith « è assurdo che chi giudica sia lo stesso soggetto che è giudicato », benché lo « spettatore imparziale » non abbia praticamente altro grado d'imparzialità che quello che il soggetto riesce ad avere, nello sforzo di frenare la sua individualità morale fenomenica (io empirico), vestirsi' della personalità sociale, ed assumere la posizione non sempre cosciente di rappresentante dei sentimenti medi dell’umanità (Si tratta in fondo del criterio Kantiano, ma in forma più precisa e più psicologica).
Abbiamo visto come Smith rigetti a tal proposito la parola «Coscienza», perchè anziché denotare immediatamente la facoltà morale di approvazione o disapprovazione, suppone essa stessa l’esistenza, e indica solo la consapevolezza (con-sciousuess) di avere agito in conformità o in opposizione alle sue direttive;
LÀ MORALE FUNZIONE SOCIALE
Il valore principale e originale della «teoria» e il merito immortale dello Smith è, a nostro parere, nell’avere dimostrato in modo definitivo che la morale è una funzione essenzialmente sociale; che se l'individuo è dotato di tendenze naturali, bisogni morali, eccetera, la loro soddisfazione resterebbe solo naturale se egli non fosse posto in rapporto, con altri individui, .e non sentisse contrapporsi un’altra volontà di vivere, che gli riveli e come analizzi la sua stessa personalità, e gli doni la coscienza attuale di quelle che sono le sue preferenze virtuali : che è Valtro da me che limita ed insieme espande la sua personalità, e che il fattore unico della condotta, in quanto morale, è la capacità maggiore o minore dell’individuo di investirsi di queste altre persone, di simpatizzare con esse, e provare sentimenti di simpatia o di avversione.
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NORME GENERALI DI CONDOTTA, E SENSO DEL DOVERE
Dall’esperienza della nostra simpatia, di fatto, in un gran numero di casi, con l’approvazione o disapprovazione di alcuni sentimenti e azioni espressa dagli altri uomini — esperienza che, oltreché individuale, è anteriormente e più tenacemente esperienza sociale — Si formano delle norme generali di condotta morale — uniche norme, di fatto, per la maggior parte dell’umanità, nella maggior parte almeno delle loro azioni. Naturalmente queste norme essendo non intuizione morale, ma fondate sull’esperienza individuale e sociale, possono essere oggetto di revisione da parte dell’individuo. Fino a che non si opponga loro un’altra esperienza più intensa contraria, esse formano una norma sì generale e.imponente, che è « il rispetto alle regole generali di condotta, ciò che propriamente si chiama senso del dovere ». Ma « l’uomo interiore » può avere trovato in sé stesso — cioè nel suo ideale di perfezione formato generalmente nell’animo di ogni individuo lentamente, gradualmente dal gran semidio ospite del suo petto, ideale più o meno giusto e accurato, più o meno prossimo « all’archetipo di perfezione foggiato dall'artista divino », in proporzione dell’acutezza e delicatezza della, sua sensibilità morale — un criterio per correggere i giudizi del-1’ « uomo di fuori » cioè le norme morali. In alcuni casi, colui che agisce dietro le proprie norme individuali, si trova di dover fronteggiare il clamore di protesta e la condanna dello spettatore reale, e l’uomo interiore'ne resta turbato: «e quasi non osa di assolversi quando tutti i fratelli lo condannano ad alta voce »: in tal caso, almeno che lo spettatore reale, l'uomo di fuori, non prevalga su quello interiore, e ne soffochi la voce, questo « fa appello al tribunale supremo, all’onniveggente giudice dell’U-niverso ».
Poiché non si tratta per Smith di appello ad alcuna rivelazione soprannaturale, esso deve intendersi di ricorso supremo alla propria costituzione morale, « del principio divino che agisce in noi » di Tolstoi, « dell’usbergo del sentirsi puro » di Dante : di una richiesta del « beneficio di una nuova udienza », più che di un appello ad altro tribunale.
L’INDIVIDUO MORALE È PRESUPPOSTO DALLA « SIMPATIA »
Come si vede da questo e come abbiamo spesso fatto osservare nel corso dell'analisi, se la « simpatia » di Smith è il principio prossimo costituitivo della nostra approvazione morale, essa presuppone ed implica costantemente l’individuo morale, cioè l’individuo dotato di temperamento, tendenze, gusti, preferenze morali; lo implica nel pórre a base dell’approvazione o disapprovazione delle azioni altrui la loro coincidenza coi sentimenti anteriori nostri; lo implica nella esperienza è cernita soggettiva che conduce attraverso ad un’esperienza di simpatie alla formazione di norme morali — che non sono meno effetto di selezione soggettiva perchè, di falli, coincidono, all'ingrosso, a causa della comunanza di natura umana, con quelle di altri individui e della società ed epoca a lui contemporanea: lo implica nella sua
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reazione e condanna dello spettatore reale in base al proprio ideale di perfezione: (Socrate, Farinata, Bruno); — lo implica nell'appello ultimo supremo a quell’io profondo, che benché proiettato psicologicamente al di là di ogni discussione, dubbio e timore, e chiamato nella pienezza della dignità e dell’abbandono, « Dio », resta sempre, psicologicamente e moralmente, un io.
L’egoismo e l’altruismo sono i due poli d'attrazione, ma la loro efficacia non è mai soppressa, e decomponendo il movimento dell’azione concreta si ritrovano i due Fattori (i). Inoltre, abbiam detto, se la «simpatia » è per Smith il principio prossimo dell’approvazione o disapprovazione morale, ciò non significa che essa esaurisca il contenuto, psicologico dell’atto morale stesso. Anzitutto la « simpatia e antipatia » di Smith è un sentimento ben più vasto dell' « umanità » e della benevolenza di Hutcheson; la quale non è che uno dei tre elementi dell’azione virtuosa, insieme alla « prudenza utilitaria » e alla « proprietà ». Ma inoltre, come principio soggettivo di approvazione morale, la «simpatia» suppone Vamor proprio, il senso più o meno vivo di dignità personale ecc., appunto perchè suppone l’io concreto dotato di propri interessi e preferenze... Se con la « simpatia » s’introduce nel mondo morale (in senso generico) dell'individuo il principio Che rende possibile l’approvazione o disapprovazione morale (morale in senso reduplicativo), ciò non esclude che la « simpatia » presupponga i due poli morali fra cui scorre, quello dell'individuo e quello degli altri. Come, per usare la similitudine dell'Autore, la estetica (oggettiva) del volto di un individuo è il primo presupposto, benché non divenga suo senso della bellezza propria fino a che esso non abbia visto altri volti, e attraverso la propria approvazione o biasimo estetico di essi si sia posto in grado di comprendere il valore estetico specifico della altrui approvazione o disapprovazione del suo. proprio volto, così riguardo all’approvazione o disapprovazione morale, essa presuppone nell’oggetto e nel. soggetto di essa qualità, sentimenti, preferenze originali e indipendenti, benché questi, da per sé soli, restino solo virtualmente morali.
L’EGOISMO È SUPPOSTO
Nella stessa definizione che Smith dà dell'uomo virtuoso, appaiono, come abbiam visto, « i sentimenti propri originali ed egoistici » anteriori ad ogni simpatia, di cui l'uomo virtuoso ha acquistato « perfetta padronanza » per mezzo della « prudenza », di cui fattore principale è nell’uomo sociale la « simpatia » con lo spettatore imparziale stesso, ed inoltre « la più squisita sensibilità » (grado intenso di simpatia) « con i sentimenti non solo originali ma anche simpatici degli altri »: si nòti, coi sentimenti « originali » prima, e poi coi « simpatici ».
Anzi, nel confutare la teoria della benevolenza di Hutcheson, egli espressamente è ripetutamente sostiene che anche le azioni compiute per solo motivo egoistico sono degne di approvazione.
(i) Vedere la descrizione (Sez. Ili P. IV) dei due iaeali di perfezione, l’assoluto e il relativo, che mostrano come Smith non escluda anzi supponga il criterio morale soggettivo, benché formato empiricamente.
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La « simpatia » di Smith dunque, suppone espressamente « sentimenti originali ed egoistici » nello spettatore e nell'agente, indipendentemente e anteriormente alla « simpatia >: solo, essi sono soltanto virtualmente morali e, a così dire, in equilibrio instabile finché non vengano posti in comunicazione e specificati dalla simpatia, e non si sia stabilito sotto forma attrattiva o ripulsiva l’equilibrio.
Del resto, questo dell’ « egoismo » naturale dell’uomo è il presupposto costante di Smith. Si ricordi ad es. l’inizio del C. Il Sez. II P. II. « Ogni uomo è da natura anzitutto e principalmente affidato alle sue proprie cure... ed ogni uomo è perciò interessato più intensamente in tutto ciò che lo riguarda immediatamente che in quello che riguarda qualunque altro uomo ».
CARATTERE ORGANICO E COMPLETO DELLA TEORIA
La teoria della « simpatia » è dunque assai più organica e complessa di quel che non sembri a molti critici superficiali: essa non pretende di fare a meno dei presupposti primi (irriducibili) del fatto morale, anzi neppure di spiegarli; ma solo si propone di additare nella simpatia il principio approvazione morale. Nè può ragionevolmente opporlesi, ad es., « di non avere sufficientemente tenuto conto della complessità dei sentimenti morali, nè riconosciuto che, quale che sia la loro origine, essi si rivelano ora all’esame introspettivo differenti dalla pura simpatia coi sentiménti ed impulsi altrui » (Sidgwick: «History of Ethics); giacché questo è disconoscere che da una parte la dissertazione di Smith non pretende di essere una « completa psicologia dell’etica », e dall’altra che è appunto la genesi « simpatica » dei sentimenti specificamente morali che egli ha voluto mostrare, e che d’altronde, quella di Smith è una ricerca della genesi psicologica, non di quella storica.
LA «SIMPATIA,, IRRIDUCIBILE ALL’EGOISMO
Vana è poi la difficoltà, che il sentimento della «simpatia», almeno nel suo ¿rimo senso di partecipazione delle emozioni altrui, è esso stesso un prodotto dell’evoluzione umana ed una trasformazione dell’egoismo, vana, perchè Smith non indaga i principi morali dell'antenato antropozoico dell’uomo, ma l’uomo della storia, l'uomo sociale il quale ci appare già di essa dotato; « e se anche», dice Hume, « un’alchimia filosofica riuscisse a risolvere tutte le passioni in una modificazione del-l'amor proprio, tuttavia, la distinzione fra l’amor proprio nel suo stato primitivo e quanto riguarda il nostro interesse e il suo stato modificato in quanto riguarda l’interesse altrui, sarebbe ancora di un’importanza vitale ».
Questa difficoltà è inoltre gratuita, come lo è la pretesa di ridurre il sentimento della «simpatia» a quello «egoistico», tanto nell'uomo come negli animali. Come Smith fa notare, la nostra simpatia per un padre .che ha perduto un figlio non è prodotta dal nostro considerare noi stessi nelle sue condizioni — come un Achille che si commuove al pianto di Anchise al pensiero del suo proprio padre — ma nel sentirci divenuti lui stessi e nel soffrire non per ciò che noi sentiremmo al suo posto, ma per cip che egli sente.
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Notevole che Smith stesso aveva già, trenta anni prima, risposto all’obbiezione che il Cassina formulò nel 1788 nel suo « Saggio analitico sulla compassione », cioè che « la compassione sorge da un’allucinazione che ci fa porre al posto del sofferente e quindi immaginare che noi soffriamo la sua pena nella nostra persona, «osservando, come abbiam visto, che « lo scambio imaginario di situazione col sofferente non avviene a me nella mia propria persona e carattere, ma in quello della persona con cui simpatizzo... Io considero ciò che io soffrirei se Jossi voi: non ciò che io soffrirei se la vostra disgrazia accadesse a me ».
Il carattere primitivo della simpatia — scrive il prof. Masci — l’istantaneità con la quale questo sentimento si produce anche verso i nemici e gli animali, esclude il calcolo: nessun calcolo potrebbe spiegare la condotta del buon Samaritano, nè rendere ragione del sacrifizio quando è assoluto, cioè senza compenso possibile, per es. il sacrifizio della vita per la patria».
Ed il Rashdall «The theory of good and evi!» voi. Il, pag. 358 « Se la mia esperienza psicologica mi assicura che io ora desidero la felicità altrui, io sono altruista: e nessuna teoria del processo per cui il supposto egoismo primitivo si trasformò in altruismo, potrà mutare questo fatto, od esigere che io modifichi il mio giudizio etico che può esser basato sul valore di sua condotta altruistica. Ogni teoria che presumesse questo, dovrebbe implicare che quello che io desidero non è in realtà il bene altrui, bensì il mio stesso bene a cui subordino quello come mezzo: teoria questa che per esser confutata non abbisogna di altro che dell’introspezione... ».
FINALITÀ BIOLOGICA DELLA «SIMPATIA,,
E poiché l'uomo è essenzialmente e necessariamente socievole, cioè bisognoso della cooperazione con altri uomini, è logico ammettere che il sentimento della simpatia, per cui tale convivenza è attuata, sia altrettanto naturale quanto quel bisogno Stesso.
« È cosi » dice Smith « che l’uomo che può solo sussistere in società, fu (dal sentimento della simpatia) reso da natura atto alla situazione per cui fu fatto ».
Si tratterebbe di una necessità biologica sociale.
E 1’1 ron (The Psychology of Ethics) dopo analizzate le diverse emozioni primarie e la loro efficacia come regolatrici della condotta, soggiunge: « Tutte queste tendenze emozionali all’azione, si distinguono dall’impulso edonistico. Quali si siano le condizioni nelle quali un’emozione sorge, essa sospinge all'attività, a parte da ogni considerazione delle conseguenze edonistiche;..» (Capo III).
Ma lasciando per ora da lato questa discussione, e checché sia della questione se sia possibile concepire l’uomo sociale dotato di soli sentimenti egoistici, sta il fatto che, secondo la « Teoria », l’uomo morale in atto non si ha che attraverso la simpatia, e l'approvazione o disapprovazione morale delle altrui e proprie azioni che ne consegue.
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L’UTILITARISMO ANCHE ALTRUISTICO, NON PUÒ’ ESSERE PRINCIPIO PROSSIMO DELL’APPROVAZIONE MORALE
Non bisogna comunque confondere con questa questione di genesi psicologica l’altra se V utilitarismo nel senso generico, in quanto è il sentimento dell’utilità dell’azione (sia propria che altrui) a vantaggio sì proprio che altrui, possa essere il principio prossimo dell’approvazione morale.
Per Smith, l’efficacia àc-W utilità di un'azione sta nei suo Jacilitarc la simpatia dello spettatore non nel causarla. « Noi facilmente ci troviamo d’accordo coi sentimenti che tendono ad atti di evidente utile all’umanità ». Facciamo al proposito osservare, che oltreché Smith ha esaurientemente dimostrato nella Parte della Teoria la insufficienza del sentimento utilitario a spiegare l’approvazione della « proprietà » delle azioni, altro è ammettere che la utilità, o viceversa; delle azioni sia fattore principale del merito o demerito delle azioni stesse, altro che essa sia il principio prossimo della approvazione morale di un’azione in concreto. L’utilitarismo anche altruistico non è attivo, per sé stesso; e senza la simpatia per cui funziona, un’azione, pur essendo utilissima ad un individuo o ad una società, può non apparire affatto tale allo spettatore; o se anche ciò sia, l’utilità sarà il principio remoto della sua approvabilità morale, ma il principio prossimo sarà solo la simpatia che lo spettatore reale dell’azione — o la società spettatrice — o lo spettatore imparziale interno, ha, o non ha, con i sentimenti che hanno mosso l’attore all'azione utile.
I sentimenti di Sir Casement tendevano ad un’azione utilissima (per gl'irlandesi); sarà questa utilità sufficiente principio prossimo perchè un inglese approvi moralmente la sua azione? ño: il principio prossimo non può essere che la simpatia o antipatia coi suoi sentimenti o motivi: talché la stessa oggettiva utilità può rendere l'azione sia altamente meritevole sia altamente riprovevole.
SIMPATIA IRRAZIONALE
È anche opportuno osservare, che assai spesso l’approvazione morale è prodotta dalla simpatia con l'azione, senza che intervenga, nè sia possibile, per lo spettatore l’analisi dei motivi, utilitari od altri. Io approvo, ad es., la condotta sobria e casta di un giovane perchè simpatizzo coi suoi sentimenti: ma per far ciò non è stato necessario che io premettessi l’analisi del suo stato d'animo o della mia preferenza che mi fa simpatizzare con il suo.
I motivi e le ragioni remote del giovane casto potranno essere: il suo rispetto per la donna, l’attesa di una soddisfazione più integrale che potrà riserbargli l’avvenire, l'interesse igienico, i motivi religiosi, di dignità personale ecc., ma questi suoi principi oggettivi non divengono il principio della mia approvazione morale fino a che io non lì divida; tanto vero che altri potranno disprezzare il giovane casto e ridere dei suoi motivi.
Anteriormente a quésta approvazione mia e altrui* l’atteggiamento del « gio-
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vane casto » non è per me e per altri nè morale nè immorale; e per lui stesso, lo sarà solo se e in quanto esso implica il rispetto a delle norme morali sociali, ed egli è capace di sentire entro sè stesso la voce dello spettatore imparziale, che in questo caso sarà sì prossimo alla sua coscienza da identificarsi, o quasi, con essa.
L’OSPITE DEL NOSTRO PETTO
Nè sembri che questa, della «simpatia» con lo spettatore imparziale, con « l’ospite del nostro petto », sia una « trovata » di Smith, un ripiego per integrare la teoria incompleta della « simpatia ».
In realtà^ chi accuratamente consideri il proprio funzionamento morale, troverà che tra l’approvazione morale degli spettatori reali fatta presente alla nostra coscienza, specie sotto forma di norme generali di condotta, e l’auto-approvazione morale dell’« uomo interiore », non vi è che una differenza di profondità: la seconda, cioè, è una fase ulteriore derivata anch’essa in gran parte da esperienze di simpatia morale con aspetti piò intimi o vasti dell'umanità, — anche se in opposizione all'attuale società, — o di un individuo dell'umanità altamente rappresentativo: ed anche, per la parte che deriva dalla nostra costituzione morale (pudore, dignità, nobiltà, benevolenza), il gioco psicologico per cui si opera l'auto-approvazione è tanto simile a quello della etero-approvazione, che si può senza sottigliezza di analogia parlare di « simpatia » o di antipatia fra essa e il mio fenomenico e superficiale stato d’animo. Piuttosto, anzi, nell’uomo sociale le due voci sono fuse sì intimamente, che, anziché di analogia forzata, si può su questo punto tacciare lo Smith di analisi troppo sottile.
SOLO LA SIMPATIA DÀ LA MISURA CONCRETA DELLA MORALITÀ
È necessario fare anche rilevare un altro carattere del sentimento della simpatia, espressamente indicato da Smith: cioè, che «solo i sentimenti simpatici dello spettatore imparziale e bene informato possono dare la misura precisa e distinta per accertare o giudicare della « proprietà » e convenienza di un affetto od azione ».
Definire infatti come condotta lodevole quella in cui tutti gli affetti e le passioni sono armonici fra loro e subordinati alla ragione, oltreché incompleto, è, come Smith ha dimostrato, affatto astratto: la sola misura pratica, non solo per giudicare dell’approvabilità ma per costituire l’approvazione morale, è quella fornita dalla « simpatia ». È la sola formola che definisca perfettamente tutte le azioni e ci dia la loro composizione chimica, e che possa ridurre alla stessa categoria morale azioni diverse e contrarie; appunto come, per prendere in prestito da Hume un superbo paragone, benché il Reno scorra a Nord e il Rodano a Sud, pure ambedue sorgono dallo stesso monte e sono sospinti in direzioni opposte dallo stesso prin-cipio^di gravità: è il principio che permette ad Aristotile e a Platone di considerare come morali azioni che noi consideriamo con ugual ragione come immorali: e che permetterà ai nostri posteri di chiamarci barbari per azioni che noi ora consideriamo come lecite e « proprie » o anche « meritorie ». Essa è una formola, ma non crea il suo contenuto; è un principio prossimo, un « denominatore comune » ma non crea gli elementi e il «numeratore».
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¿’etica della simpatia
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Se noi non simpatizziamo più con gli espositori dei bambini deformi sul Tai-geto, con gli uccisori dei vecchi, con gli spogliatoti dei naufraghi ecc... le ragioni ultime ne possono essere diverse, e venire discusse e assegnate come probabili o certe, o negate da altri, ma la ragione prossima, innegabile, adeguata, e che costituisce il principio della nostra disapprovazione morale, è che noi ora simpatizziamo coi bambini esposti anziché coi sentimenti o motivi degli espositori, coi naufraghi più che con le popolazioni costiere, con l’alito di vita dei vecchi più che con la « pietà » dei loro congiunti. E se non paghi di questa spiegazione prossima vorremo analizzare i motivi e le ragioni di questo sentimento, ci troveremo tuttavia in presenza di altri sentimenti e di altre simpatie benché più ramificate.,^ elementari.
In quasi tutti i conflitti, odi ed amori per la stessa persona, causa, oggetto, noi dobbiamo starcene al quia della preferenza o simpatia con sentimenti e stati d’animo. È un mutamento di « simpatie » che trasforma un socialista o un democratico in liberale o conservatore; un essere frivolo e volgare in un individuo che sente il valore della vita, la sua e l’altrui dignità.
LA "SIMPATIA,, MISURA QUANTITATIVA DELL’APPROVAZIONE MORALE
E non solo la « simpatia » è misura qualitativa ma anche quantitativa. La misura della deformità o bellezza della vostra o mia azione è data sì esattamente dalla mia simpatia o antipatia con l’azione vostra o col giudizio dello « spettatore reale » o « interno », che il mio giudizio di approvazione morale è esagerato o inadeguato, o erralo (cioè per rapporto a una susseguente e diversa « simpatia »), nella giusta proporzione non dei vostri o miei motivi in sè stessi, ma della valutazione che io faccio della vostra condotta, dei suoi motivi, o del giudizio che di essi dà lo spettatore imparziale.
PLURALITÀ DEL SETIMENTO DI APPROVAZIONE MORALE, SPIEGATA SOLO DALLA SIMPATIA
Un’osservazione di Smith merita di esser rilevata: quella che egli fa nella Sezione III della Parte VII: cioè che « l’approvazione morale » è un astratto: e che in concreto esistono tante diverse approvazioni o disapprovazioni, appunto perchè sono i nostri sentimenti simpatici che dànno la misura della nostra simpatia e approvazione. «Ciò non potrebbe accadere», nota opportunamente Smith, — e la sua è una critica fondamentale che colpisce tutti gli altri sistemi — «se l’approvazione consistesse in una emozione speciale che nulla avesse in comune coi sentimenti che noi approviamo, ma solo sorgesse in loro presenza, come avviene delle passioni alla vista del loro oggetto adeguato. Il nostro orrore per la crudeltà nulla ha di comune col nostro disprezzo per la viltà d’animo, ecc. »
La « doverosità » di Kant non dà certo soddisfazione a questa pluralità del sentimento di approvazione morale.
Giovanni Pioli.
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NOTE E DOCUMENTI
(Continuazione c fino, vedi Bilychnit di Marzo 1920. pag. X96)
Da quanto prcv<.^'4 questo ci sembra di poter’concludere :
Senza rinunciare ad alcun valore religioso del passato, i nostri giovani rappresentano tuttavia — in tutta la sua superiorità e in tutta la sua bellezza — il cristiano «di tipo moderno»: quel cristiano, credente e operante, il quale — come dicevamo incominciando il nostro lavoro — cerca un sano equilibrio tra la fedeltà alle tradizioni dottrinali del passato, le esigenze dèlia ragione, della scienza e della coscienza proprie dei presente, e le speranze sociali dell'avvenire.
L’ANSIA SOCIALE
Non è il caso di dilungarci qui ad esporre le cause e le vicende di un movimento detto «cristianesimo sociale» (1) sorto in vari paesi verso la fine del secolo scorso: moto ad un tempo di rinnovamento intellettuale e di risveglio religioso, moto di pensiero e d’azione.
Di questo movimento, i nostri giovani subirono tutti, sebbene in grado diverso, la benèfica influenza. In essi è viva l’aspirazione, la preoccupazione sociale : tutti quanti hanno ben compreso che una religiosità la quale rimane individualista, aristocratica e non mira e non si risolve in giustizia sociale e internazionale è una religiosità egoistica nel suo principio e pagana nella sua essenza: essa costituisce solo un vacuo sentimentalismo mìstico, ma non è una profonda autentica «esperienza religiosa».
L’intima fusione di un’alta spiritualità e di un’intensa ansia sociale è caratteristica in Ruggero Allier.
(1) Il « cristianesimo sociale » di cui stiamo parlando non ha niente a che fare coll'ex-partito clericale reazionario austriaco il quale por:a il medesimo n >me.
Già Si vede quest’ansia nella scelta della sua carriera. Studia legge, non in vista della professione giuridica in se stessa, ma nella speranza di entrare, per concorso, al « Consiglio di Stato». E perché rinteressa.il «Consiglio di Stato»? Per questo: egli aveva notato con stupore, misto ad una certa indignatone, come troppo spesso il Parlamento legifera con imperdonabile leggerezza in materia di questioni sociali. Di solito le leggi sono redatte in fretta e sono corrette dal regolamento che governa la loro applicazione; ora appunto questo regolamento viene elaborato in Francia dal « Consiglio di Stato », il quale anche ha l’incarico di- preparare i progetti di legge che non siano d’iniziativa parlamentare. Il giovane Ruggero presentiva dunque l’importanza di funzioni che, senza esser note al grande pubblico, fa dei membri del « Consiglio di Stato» dei servitori utilissimi della democrazia.
Di tale ansia sociale è caratteristico il desiderio, direi quasi l'avidità di fare delle esperienze personali, di vedere coi propri occhi, di entrare coi problemi economici in contatto diretto, nel turbine dèlia vita vissuta. Verso la fine del 1909 si presenta un'occasione che egli coglie con gioia, accettando l’invito fatto agli studenti dal pastore Pfender di trascorrere le loro vacanze natalizie nella regione mineraria del nord della Francia. Ed egli non solo discorre a lungo coi minatori, non solo studia la loro vita « alla superficie », ma può fare una lunga escursione sotterranea che gli rivela molte cose e che rimarrà impressa nella sua mente e nel suo cuore per tutta la vita.
La lettera ch’egli in data 27 dicembre 1909 indirizza a suo padre è un vero grido dell’anima in cui si sente l’eco degli strazi che egli ha constatato:
... A partire da un certo punto non si tratta più di passeggiare nelle gallerie, ma di andare a quattro zampe, o
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il più spesso sul ventre, strascinandosi coll'aiuto delle mani che si scorticano tra i detriti di carbone.,. Si arriva finalmente in un punto in cui il calore e la polvere,di carbone (quella che si infiamma per un nulla come a Cour-rières) rendono l’aria mal respirabile. Scorgonsi allora sdraiati per terra, tre o quattro esseri umani (?) mezzi nudi, sudati, i quali lavorano di piccone per abbattere il minerale. Ne abbattono il più che possono nella giornata perchè sono pagati a cottimo (sempre quel lavoro a cottimo)!
Più tardi, nell’estate 1910, soggiornando in ¡scozia, egli non perde un’occasione per vedere, per farsi uiv concetto esatto della realtà sociale, e perciò visita numerosi laboratori e stabilimenti industriali. Intanto continua nelle sue riflessioni. Dopo aver raccontato il funzionamento del complesso macchinario di un lanificio, egli si domanda:
In tutto ciò, qual’è la parte dell'operaio? Sorvegliare la macchina per vedere che faccia bene il suo compito? Neppure: la macchina non sbaglia quasi mai e sé sbaglia, se due fili s’intrecciano male, se n’accorge da sè sola e il mostro si ferma ed aspetta l’intervento dell’uomo.
La parte dell’operaio è questa: egli ha davanti a sè una ventina di fusi, di cui gli uni portano più filo di altri. Quando uno di essi è pieno, egli lo sostituisce, ed ecco tutto il suo lavoro. Egli fa ciò tutto il giorno; l’indomani ricomincia, farà così per tutta la sua vita. Ciò non par nulla: il risultato è che, al termine della giornata egli è abbrutito. Quando visitiamo la fabbrica nessuno volge la testa: sono diventati degli automi. Ciascuno ha l’occhio fisso sopra un organo di una macchina che fa sempre, sempre la stessa cosa. Il cervello, che ha inventato la macchina, è diventato lo schiavo della' macchina. Il pensiero ha asservito Ja materia; ma
la matèria si vendica uccidendo il pensiero e trasformando l’uomo a imagine sua. Mi ricordo il capitolo in cui il Sig. Gide critica l’estrema divisione del lavoro. Come quel capitolo è diventato vivente e tragico per me!
Più tardi ancora, nel novembre 1911, durante il suo servizio militare a Albertville, AJ-lier fa un’altra preziosa esperienza sociale:
Essendo di guardia al penitenziario nella notte da giovedì a venerdì, ho fatto una visita che m'ha interessato, ma che m’ha sopratutto lasciato una profonda impressione di tristezza. Accompagnato da un ufficiale armato di rivoltella e da un altro soldato munito come me di baionetta, ho fatto durante un’ora una ronda nell'interno del carcere;
Abbiamo percorso un vero dedalo di scale, di piccoli anditi, aprendo enormi porte in ferro e pesanti grate, verificando a destra e a sinistra le serrature delle centinaia di porticine delle celle.
Finalmente siamo scesi per una scala tetra fino alle celle sotterranee dove sono rinchiusi i < puniti », i più pericolosi dei detenuti. Lì non ci siamo limitati ad esaminare le serrature. Siamo penetrati successivamente, colla rivoltella in pugno, in tutte le celle per constatare la presenza di ogni carcerato. E* impossibile immaginare uno spettacolo più desolante. In quegli antri, il rinnovamento dell’aria è quasi impossibile. La luce vi penetra, a mala pena. L'odore è nauseabondo. I miserabili che vi vegetano, veri e propri rifiuti di umanità, sono d'un pallore cadaverico. Fa male ai cuore di vedere gli sguardi d’odio che vi lanciano quando voi entrate. S’indovina, ih quegli sguardi, un accumulamento spaventevole di sofferenze fisiche e morali. Bisogna aver visto ciò per comprenderlo e per sentirlo.
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Quale triste modo di redimere dei colpevoli è questo: di seppellirli vivi! V’è di che impedirvi di dormire.
La vibrazione sociale nel cuore di Allier non è dunque basata su teorie, ma su fatti; egli ha sentito in tutto il suo orrore l’incubo dall’ingiustizia umana ed è dal fondo del suo cuore che scaturisce quel grido rivolto ad un compagno che con lui si occupava d’una famiglia moralmente decaduta:
Quando questa famiglia sarà rialzata, ne rialzeremo un’altra, e poi un’altra ancora; perché graverà l’interdetto sulla nostra vita di cristiani finché simili cose esisteranno.
Pur essendo avido di studiare e d’applicare tutte le riforme sociali possibili, Ruggero Allier sentiva nello stesso tempo che le riforme non raggiungono il loro scopo quando esse toccano l’elemento esterno soltanto delle collettività umane; egli era convinto che una società nuova sarà nulla se non riesce a formare degli uomini nuovi e che, per una specie di paradosso che ha l’apparenza d’un circolo vizioso — ma che ne ha l’apparenza soltanto — questa medesima società nuova non potrà essere fondata che da uomini la cui vita profonda sarà già stata rinnovata.
Gl’intimi rapporti tra uomini e istituzioni sociali è stato da Ruggero chiaramente esposto — sebbene egli non avesse allora che 19 anni — in un breve memoriale, intitolato « Legislazione e moralità » da lui preparato dietro richiesta d’una sezione parigina della «Stella Bianca », lega per la moralità pubblica e privata. Ne stralciamo il brano più notevole:
La moralità dipende, in gran parte, dalie condizioni nelle quali viviamo. Ben è vero che la virtù non è il privilegio d'alcun ambiente e che in nessun luogo si trova bell’e fatta. Ma, in molti casi, il vizio è reso quasi obbligatorio dallo stato sociale. Vi sono intorno a noi centinaia e migliaia di uomini votati al vizio, clienti nati del carcere, il quale del resto non farà altro che depravarli maggiormente. Chi dunque è responsabile delle loro brutture e dei loro delitti, se non il loro ambiente che li corrompe, se non i galantuomini che non
lavorano alla riforma di quell’ambiente?
Per esempio, è facile osservare quanto numerose siano, le bettole nei quartieri operai, e non occorre essere molto perspicaci per ¡scoprire che una maggiore sobrietà migliorerebbe Singolarmente la sorte dei lavoratori. Ma chi dunque ignora le vere cause dell’alcoolismo, cioè i tuguri infetti — dove, nelle grandi città, troppo spesso alloggia l’operaio — la nutrizione insufficiente, il basso salario e l’eccesso di lavoro? L’alcoolismo è causa di povertà, è vero; ma la povertà è anche causa d’alcoolismo. Quanto ho detto basta perchè io accenni a tre questioni legali di fondamentale importanza che ne scaturiscono: Io La regolamentazione delle bettole; 2° la limitazione legale delle ore di lavoro, per gli adulti; 30 la regolamentazione del lavoro delle donne e dei fanciulli nell’industria.
Ciò detto sull’utilità delle leggi come mezzo per combattere l’inimoralità, desidero fare una riserva. Perchè la legge influisca sulla moralità, occorrono due condizioni. Anzitutto — e non è necessario provarlo — occorre venga preparata da uomini morali ; in altre parole, noi, giovani, abbiamo una funzione importaste da compiere, dobbiamo raggrupparci. Poi ci vogliono uomini morali per applicare le leggi.
Mi si rimprovera forse di dare troppa importanza all'azione legale e di vedere in essa, un po’ ingenuamente, un mezzo meraviglioso di fare scomparire l’immoralità. So che tale illusione esiste presso alcuni, ma non la condivido. La legge ha un valore relativo soltanto, essa vale quel che valgono gl’individui che l’applicano. Le riforme sociali maggiormente utili possono produrre, se male applicate, risultati morali deplorevoli. L'importanza della moralità individua di fronte alle questioni legali è
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evidente ; è un fatto d’esperienza. Non occorre che sviluppi tale concetto.
Terminerò dunque dicendo che, per ottenere buone leggi (ciò che è relativamente facile) e per farle applicare (ciò che è assai più malagevole) è indispensabile che vi siano uomini decisi a mettere in pratica il loro ideale morale, e che questi domini si uniscano nello sforzo per il bene. Ed è precisa-mente la ragione d’essere della « Stella Bianca » di raggruppare delle individualità morali per questa lotta contro la immoralità che è più urgente che mai nel nostro paese.
* ♦ *
Analoga all’evoluzione cristiano-sociale di Allier, è quella di Cornet Auquier la cui natura generosa lo attirava verso gli umili e la cui anima vibrante, appassionata per la giustizia e per il bene, non poteva restare indifferente di fronte ai grandi problemi agitati nella società dei nostri tempi.
Studente di liceo a Lione, dopo aver lasciato per la prima volta l’ambiente austero della famiglia, Andrea Cornet Auquier è presto sedotto dalle idee nuove; egli sogna l’internazionalismo, il pacifismo, il socialismo. Senza troppo preoccuparsi, nel suo entusiasmo, di fare le distinzioni che s’impongono tra le impossibilità e le utopie da una parte e le sante esigenze della giustizia e delia fraternità dall’altra, egli, con ardore leale, si fa il campione di tutte le idee generose. Credendo al bene con tutta la purezza dell’anima sua, egli ne saluta da lungi il trionfo quaggiù... Poi viene il suo turno di passare per la caserma. Ha la fortuna di avere per capitano un uomo di nobile tempra, il quale lo persuade che l’amore per la patria, rettamente inteso — cioè il rispetto del principio di nazionalità, l’amore per l’aninuz nazionale — non esclude, anzi è condizione, di ogni sano schema di riorganizzazione sociale.
• • •
In data 23 aprile 1914 Giovanni Klinge-biel riassume, nei suoi «Quaderni», alcune lettere di Enrico Franck pubblicate nella Nouvelle Revue Française. Poi cosi le commenta:
Enrico Franck spiega in due sue lettere i motivi della sua adesione al par
tito socialista; la rivoluzione sociale creerà dei valori nuovi; in lei è là salvezza per la vita, per la sensibilità e per l’arte: «l'anima di quella gente canterà nel fuoco delle officine ».
Perchè possa avvenire la creazione di questi valori nuovi, occorre che il popolo sia guidato da qualcos’altro che dall'appetito, dall’invidia e dall’odio ed Enrico Franck non si fa illusioni; 'ei sa che, di solito, questi sono i sentimenti che guidano oggi il popolo. Occorre che le classi operaie portino nelle loro rivendicazioni un idealismo nuovo, un entusiasmo altrettanto ardente quanto quello dei primi cristiani.
La funzione di noi borghesi sarà di seguire con simpatia lo sforzo dei tribuni popolari e i progressi del sindacalismo, di garantire la qualità dell’idealismo operaio... Questo compito è forse ingrato, ma esso costituisce il più bello e il più urgente dei compiti attuali.
• • •
Giovanni Fontaine Vive riceve il dono della visione sociale, che si traduce pratica-mente nel desiderio intenso di consacrarsi al popolo, durante la crisi spirituale provocata in lui dal Congrèsso della « Federazione studenti» tenutosi a Lione nel febbraio 1914. Egli allora va ripetendo che ogni causa è grande se l’operaio umile deve cercare più in alto di sé la forza della sua azione. E all’indomani del Congresso egli scrive:
Ho deciso di consacrarmi al popolo. Che m’importano le opinioni altrui se la mia coscienza mi dice che ho agito bene al servizio di Dio? Il nostro compito è troppo divino perchè gli uomini possano sviarcene. Noi attingeremo in un crescente fervore per l’Evangelo, nella cultura sempre più profonda della nostra vita interiore, le forze per lottare e per non lasciarci abbattere.
La visione, la passione per la società pii» giusta e più umana è ciò che rende attraenti, per Fontaine Vive, le più aride questioni legali :
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Riesco ad afferrare la bellezza, anche in una pagina di diritto, in un articolo di codice che concretizza tutto un passato d’umanità pensante e dolorante, tutto un avvenire di possibilità mai saziate. Condizione della donna, del fanciullo, del lavoratore: non c’è un articolo dalle formule barbariche che non stia lì a provare le lotte sostenute attraverso i secoli, i progressi compiuti, o, purtroppo, i regressi della marcia ascendente o discendente dello Spirito divino tra gli uomini.
S’egli dunque, dopo essersi iscritto nella facoltà di lettere, passa a quella di legge, è perchè è irresistibilmente attratto dall’elemento sociale e politico di tali studi.
Studiando da vicino la società presente, mi compenetro delle necessità ineluttabili di ogni vita sociale e, scrutandole con cura, imparo a trasformare in bene quanto non può essere soppresso. Ciò mi preserva da quella pericolosa tendenza dello spirito, propria del socialismo, che consiste nel sopprimere con un tratto di penna ciò che è preferibile, sebbene più lungo, di emendare. Posso anche afferrare sul vivo tutta la complessità delle più piccole questioni e ricavarne una lezióne di umiltà intellettuale che mi preserva dagl'inebriamenti scolàstici, dalle orgogliose specializzazioni. Ma specialmente posso, nella misura dell’intelligenza datami da Dio, separare nelle attuali istituzioni il buon grano dal loglio e, alla luce delle esperienze più alte che precedettero la mia, discernere ciò che è roccia da ciò che è sabbia, o fango, curvarmi sul fango e sulla sabbia per raccogliervi qualche pagliuzza ed, avendo ripartite le buone e le cattive cose, co-Strurre colle prime le fondamenta umane della Casa di Dio sulla terra e coronarla di giustizia evangelica.
E’ dunque profondamente « sociale » la religione di Fontaine Vive; ma, d’altra parte, i suoi ideali sociali sono saturi di religiosità.
Alla fidanzata.egli scrive:
Ognuno deve sforzarsi di fare quanto ha fatto l’uomo migliore prima di lui; è questa la condizione assoluta d'una riforma sociale per mezzo delia riforma morale; è questo il punto di partenza del vero progresso in Dio quale noi lo vogliamo.
Già prima della guerra, Fontaine Vive era posseduto da una vera «vocazione sociale», era cioè sotto l’influenza di una chiamata sentita, discussa, poi accettata dopo molte lotte. Aveva capito la necessità d’un rinnovamento religioso e nazionale ; rimanendo un « laico*», ei voleva mettersi interamente ài servizio di « Cristo e Francia ». — In che modo? — Non lo sappiamo. Era però notevole il suo desiderio di lanciarsi nel giornalismo per concorrere all’educazione moraleecivica delle masse.
La dura vita della trincea, le dolorose esperienze di guerra, rendono sempre più viva nel nostro giovane l’ansia sociale, riaffermano sempre più saldamente la sua vocazione;
Alla fine del dicembre 19x6, dopo una licenza-premio per atti valorosi compiuti, e> raggiunge il suo reggimento in Alsazia. Il 31 dicembre ei partecipa ad una funzione religiósa in commemorazione dei soldati caduti per la patria. Per quali emozioni vibranti egli sia passato si sente leggendo queste righe che egli scriveva la sera stessa:
Dopo il mio ritorno al fronte, ho pregato con cuore prima esitante ed ora sereno; ho riflettuto a lungo, e non Con entusiasmo, ma nella solitudine e nel raccogliménto ; ho ricevuto di nuovo l’appello del Cristo salvatore ed ho udito i canti di gioia dei nostri defunti, di cui accetto la mia parte di eredità, impegnandomi dinanzi a Dio a consacrarmi al servizio sociale di Gesù, qualunque siano le conseguenze che tale consacrazione si trae dietro, le rinunzie eh’ essa esige, le delusioni eh ’ essa mi prepara. Oh! mi ricorderò delia notte del 31 dicembre! Al mattino mi
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sono messo in ginocchio, poi mi sono rialzato, felice del sacrifìcio eterno al quale avevo acconsentito.
*****
CONSIDERAZIONI SULLA CHIESA
FRATERNITÀ’ INTERCONFESSIONALE
Negli ambienti religiosi evangelici, parallelamente al cristianesimo sociale, si è andata sviluppando, in questi ultimi anni, una corrente di pensiero caratterizzata da una notevole larghezza di vedute e da un intenso desiderio di riavvicinamento, di riconciliazione, i.on solo tra protestanti, ma anche coi fratelli separati cattolici.
Anche questa corrente di pensiero—irenica ed ecumenica — è stata fortemente sentita dai nostri giovani, la cui nobiltà di spirito è , tale che nella loro religiosità non v’è ombra 'di settarismo. Come già abbiamo scritto all’inizio del nostro lavoro, essi veramente sono di quelli i quali proseguono il travaglio dei secoli verso la costituzione dell’alta e luminosa chiesa unica di Cristo ; e questa chiesa, la chiesa dell’avvenire, non conosce l’anatema.
Tale è davvero lo spirito che anima Giovanni Massip, quando egli scrive in data 26 marzo 1915 :
Ciò che divide, è l’esistenza delle varie confessioni. Ma, in fondo, l’Evan-gelo esiste in tutte le confessioni e non esiste una confessione più cristiana di un’altra: sono le individualità che sono più o meno cristiane. Credersi, per-de-fìnizione, una confessione più cristiana è un’idea falsa che rischia di degenerare in orgoglio spirituale... L’Evangelo non è forse la parola dell’Amore divino? E dovunque soffia questo Amore, dovunque trovansi i profeti e i martiri di questo Amore, l’Evangelo puro esiste. Le confessioni, le credenze non sono altro che mezzi; e del pari che un aratro, guidato da mani inesperte, traccerà cattivi solchi, così la religione
produrrà cattivi frutti se colui che la pratica non risponde all’amore divino... L’Evangelo, lo spirito evangelico sono fiori che sbocciano soltanto sull'albero del sacrificio.
Ed egli completa il suo pensiero scrivendo alcuni mesi più tardi:
3 Agosto 1915.
Condotto dagli studi religiosi che ho iniziato, a studiare il fenomeno religioso dovunque si manifesti, sono stato condotto ad apprezzare il vantaggio che c’è a non confinarsi in un unico modo di vedere, a studiare sempre i modi di pensare, così da scegliere, se possibile, il modo migliore. Così facendo opero da libero credente, o da libero pensatore, come preferisci... Ho dunque studiato il cattolicismo, non solo per curiosità intellettuale, ma in modo da fortificare la mia fede; perchè mi dicevo, se esiste un cristianesimo puro, esso dev'essere non esclusivamente in tale o tale altra setta, ma al contrario dev’essere il fondo comune a tutte le sette. Ho insomma adoperato un metodo sperimentale, eliminando tutte le divergenze e conservando tutti i punti comuni, e spero, considerando tale residuo, contemplare qualcosa d’eterno.
***
Simile alla mentalità di Giovanni Massip è quella dì Giovanni Klingebiel.
Di guarnigione in un piccolo villaggio, lontano da ogni corrente e da ogni manifestazione spirituale, egli è ben lieto di trovare, presso il parroco, una vecchia edizione dei sermoni di Bossuet e da essi trae il nutrimento di cui ha bisogno l’anima sua:
Senard, domenica 25 Giugno 1916.
Il sermone che ho letto stamane tratta del culto che dobbiamo a Dio: « La più nobile qualità dell’uomo — incomincia Bossuet — è d’essere rumile
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suddito e il religioso adoratore della natura divina».
Sin dalle prime frasi ci si trova in pieno in quella bella eloquenza che vale altrettanto per la ricchezza dell’idea che per la potenza della forma.
• • •
Il pensiero della Chiesa universale tormenta Giovanni Fontaine Vive. Ricorderemo più avanti, considerandolo come «credente moderno», alcune nobili sue parole su questo argomento. Egli cerca ansiosamente tutti i sintomi suscitatori di speranza. Trova alcuni di questi sintomi’ nella comunanza delle emozioni estetiche,-ascoltando l’esecuzione di musica sacra.
Quando, prima di essere chiamato alle armi, forma con alcuni amici di Lione un nucleo d’infermieri volontari, il' cappellano cattolico diventa un loro amico e gode dell’allegrezza di Fontaine Vive ch’egli chiama « docteur La Joie ». Questi, alla sua volta, gli dimostra la sua stima affettuosa aiutandolo a sistemare il suo altarino di fortuna in una corsia dell'ospedale.
Nel campo di Draguignan, Giovanni Fontaine Vive trova un consocio della Federazione studenti cristiani e, unitisi ad una diecina di allievi ufficiali, di cui tre cattolici, essi costituiscono una piccola comunità cristiana. Alternativamente Lagier, Cuche e lui stesso presiedono il culto e quelle adunanze intime hanno un intenso fervore. Dei tre giovani predicatori militari, nessuno resta per proseguire, nel sole di pace, il suo sogno di fraternità evangelica...
Più tardi, in piena battaglia, Fontaine Vive ha continuato ad armonizzare una convinzione profonda collo spirito della maggiore larghezza-fraterna. Sulle prime linee del fronte dei Vosgi egli aveva restaurato un fienile, facendone una cappella mista : al mattino numerosi santi multicolori, al disopra dell’altare in legno e cartone, presiedevano alla messa; nel pomeriggio, al loro posto, magnifici passi biblici, in « rotondo » da sergente maggiore, ispiravano il culto protestante. Ed il più bello si è che i medesimi soldati formavano i due uditori, cioè partecipavano indistintamente alle due funzioni!
Giovanni Fontaine Vive così racconta la fine d'un suo sergente:
I suoi ultimi istanti, quando si è visto morire, sono stati d’una bellezza
meravigliosa di rassegnazione e di fede. Ha avuto ancora la forza di prendere il suo libro da messa, di aprirlo alla pagina consueta e di dire a quello che era nella buca al suo fianco: « Leggimi questa preghiera, il buon Dio m’avrà in grazia». Era un credente convinto, un cattolico praticante e un soldato di prim’ordine...
... Ho diretto il corteo funebre, l’abate Cottin ha fatto la funzione sotto un bel sole, la squadra a cui apparteneva il morto gli ha reso gli ultimi onori ed io gli ho detto l’arrivederci fiducioso del cristiano e del soldato.
♦ * •
Anche Ruggero Allfer sa apprezzare ed ammirare le numerose doti d’un suo compagno non evangelico:
20 Luglio 1912.
Giguet è un ragazzo dalle doti straordinarie. E' impiegato nelle ferrovie e disegna mirabilmente pur non avendo mai imparato il disegno; sa benissimo il latino e il greco, ha letto tutta la letteratura francese, è buon matematico e mezzo poeta. E’ un vero artista che si farà strada. Sebbene egli abbia ricevuto un’educazione cattolicissima, ha lo spirito molto libero e discute francamente tutti i problèmi.
• • •
Simile a quelli di Allier sono i sentimenti del giovane A. A. :
16 Aprile 1915.
Sono ormai quattro mesi che ho indossato l’uniforme. Ho potuto legarmi di amicizia con due giovani cattolici, animati ambedue da fede ardente e sincera. Quanto diversifichiamo per i concetti filosofici, altrettanto ci sentiamo vicini per l’ideale e il volere...
E ancora:
9 Maggio 1915.
Ho fatto piacevoli conoscenze nel mondo civile e nel mondo militare; mi
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sono in particolar modo legato con un giovane vicario che è davvero il prete più intelligente, più colto, più consacrato ch’io abbia mai incontrato. Nel campo teologico, vi sono naturalmente tra noi forti divergenze. Ma impedisce ciò forse d’ammirare un’anima assolutamente pura e dalle doti così eminenti?...
Andrea Cornet Auquier fa un’analoga esperienza :
io Settembre 1914.
... Ho per buon compagno un prete sottotenente come me.
Contribuisce di certo ad intensificare tali disposizioni di spirito il sentimento dell’importanza affatto secondaria di certe distinzioni di fronte alle dure e dolorose realtà della guerra. Cornet Auquier pensa ad alleviare le sofferenze dèi suoi soldati e, paragonate a tali sofferenze, le diversità del domma e del rito fanno spuntare sulle labbra un sorriso di amara ironia :
4 Settembre 1915.
Ho pensato che vi sarebbe forse il modo di trovare a Chalon, tra i nostri amici e conoscenti, alcune signore che costituirebbero un comitato di « madrine » della 1* compagnia del 1330 e che vorrebbero mandare indumenti caldi pei miei soldati. Desidero che faccian parte di questo comitato persone di ogni partito e di ogni religione; protestanti, cattolici, israeliti, maomettani, poco importa; purché i miei uomini abbiano caldo.
Auquier sembra voler dire: Mentre noi combattiamo la grande guerra, voi vi perdete in disquisizioni che per la loro piccineria diventano perfettamente ridicole. Ma lasciate dunque un po’ stare ! !...
Gustavo Escande non dà certo più alcuna importanza al culto particolare al quale è destinato un qualsiasi edificio religioso. Di lui il pastore Siegrist raccontava più tardi : « Quando veniva a riposo, il suo miglior modietro un lunghi e dolci
mento era di rifugiarsi, solo, nella chiesetta cattolica di Courtemont e d’entrare, nel silenzio e nel raccoglimento, in comunione perfetta col suo Padre. Là, nasco pilastro, egli aveva con Lui dei istanti di téle à Ulc*.
E come Escande, la pensa Casalis. L’appassionato di musica che fischia negli androni della caserma il minuetto della Sonata VII di Beethoven, isolato «in quel buco di Castel » cerca la musica dove la può trovare, cioè nella chiesetta parrocchiale.
17 Gennaio 1915.
Domenica ho fatto poco fino alle io. Dopo il primo rancio ho vagabondato lungo la strada di Moissac. Alle quattro mi sono recato in chiesa ed ho assistito alla funzione cattolica. L’organo è buono e l’organista è capace.
Ma, a quanto pare, qualche mese dopo l’organista non doveva più essere lo stesso poiché Casalis scrive in data i° aprile 1915:
... Questa sera sono stato in chiesa per sentir cantare lo «Stabat». Una cosa passabile, ma quasi punto religiosa, e come esecuzione, e come uditorio.
La religiosità di Casalis si espande ugualmente nel tempio della natura e nei templi fatti dalla mano dell’uomo. E poco gl’importa che tale tempio non appartenga alla sua confessione. Egli, 'Casalis, appartiene forse ad una confessione qualsiasi? La sua religione non è altra che la pura vita dello spirito, la quale non adora « sopra un monte o sopra un altro monte», ma nell’intimo del cuore integro e della pura coscienza:
Courcelles-sur-Aire, 13 Aprile 1915.
Cerco di approfittare di questi giorni di riposo per prepararmi ancora. Ho il tempo per leggere e meditare. Al mattino cercò di rifugiarmi sulle colline per pregare, e, la sera, vado a raccogliermi un momento nella chiesa dove trovo qualche raro soldato.
Appare dunque come la cosa più naturale che il nostro giovane amico venga rimpiànto
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con accorata tenerezza da un compagno d’armi che appartiene ad un’altra chiesa.
Alfredo Casalis, vostro figlio e mio amico, è morto. I proiettili che non discernono i buoni dai cattivi lo hanno fatalmente falciato.
Sono andato ieri a recitare una preghiera sulla sua tómba. Il suo ricordo rimarrà per sempre scolpito nella mia memoria come quello d’un compagno sincero e d’un amico pieno d’affetto. Sono cattolico, egli era protestante, ma questa divergenza di opinioni non ha intralciato in alcun modo dei vincoli d’amicizia Che ogni giorno diventavan più forti... Vorrei che la mia sofferenza diminuisse il vostro dolore.
Aspettando l’ora della vittòria alla quale egli assisterà dall’alto d’un mondo migliore, ricevete di nuovo T assicurazione della viva parte ch’io prendo alla vostra terribile pena.
* « #
RELIGIOSITÀ’ MODERNA, MA PUR SEMPRE CRISTO-CENTRICA
li cristianesimo « sociale » e la mentalità «ecumenica» dei nostri gióvani amici sarebbero, da sole, caratteristiche sufficienti della loro religiosità così spirituale e così modei na.
• • •
La religiosità di Cornet Auquier era semplice e di poche parole. Ei seppe a varie riprese, confessare arditamente la propria fede, ma egli, di solito, la manifestava soltanto colla suà vita. Allo stesso modo ch’egli considerava la preghiera come uno stato d’animo permanente piuttosto che un atto determinato e momentaneo, così egli giudicava che la religiosità piuttosto che in un frasario pio consista nel fare il proprio dovere in ogni circostanza, nell’essere giusto e buono e nel « preservarsi dalle sozzure del mondo».
• • •
Una distinzione efficace tra quello che in religione è essenziale e quello che è secondario, tra quello che nella fede importa e quello che non importa, viene stabilita dal Casalis nella sua lettera in data 3 marzo 1915 :
Vi sono nella mia. fede molte credenze piti o meno vitali, molte speranze che s’accordano tra di loro soltanto perchè io sono fondamentalmente idealista, nel senso filosofico del termine. Senza quell’idealismo, sento che si scaverebbero dei vuoti nella mia fede. Ma io so, di certa scienza e con fiducia invincibile, che la base della mia fede — cioè Dio Padre, Cristo risuscitato e .vivente, l’uomo sottoposto alla legge del Dovere d’Amore — è incrollabile, eh'essa e piantata sulla roccia:
Pel rimanente, allora, che importa? Tutto, a poco a poco, saprà diventar chiaro, luminoso. Se devo rinunziare a tale o a tal’altro assioma, rinuncierò, taglierò via finché avrò raggiunto ciò die è la vita e die soltanto ricerco, anzitutto per vivere, poi per potere aiutare gli altri a vivere.
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Ruggero Allier si rende conto della necessità di rinnovare le convinzioni religiose personali alla luce dei risultati più recenti delle ricerche critiche e storiche.
Parlando del programma di lavoro dell’Associazione studenti cristiani di Parigi, egli dichiara molto francamente:
Cominciamo ad accorgerci che v’è un punto debole nella nòstra corazza. Le nostre convinzioni non poggiano sopra una conoscenza scientifica sufficientemente solida. Le ricerche e le conclusioni della critica biblica sono rimaste troppo estranee alla maggio» parte di noi. Occorrono sedute tra studenti per esanimare la Bibbia con spirito ad un tempo religioso e scientifico, persuasi che un tale studio, lungi dallo scuotere la nostre convinzioni, darà loro maggior forza. Mi permetto di fare appello a tutti gli studenti. In quelle sedute essi devon sentirsi assolutamente liberi. Non ci rivolgiamo soltanto agli studenti cristiani, ma a tutti
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coloro che dubitano, ai cercatori, agli agnostici. Non vogliamo forzare lo stato d'animo di nessuno, ma desideriamo invece lasciare ad ognuno il sentimento della sua particolare individualità. Il nostro ideale è un nucleo di Studenti, i qu,ali si associano nella seria ricerca della verità.
• • •
Anche il giovane A. A., scrivendo ai consoci della «Federazione Studenti Cristiani», si rende un conto esatto delle necessità religiose dei nuovi tempi. La sua lettera-programma merita il cónto d’essere riferita per intéro :
10 Febbràio 1915.
Il pensiero cristiano è, nell’ora presente, completamente sconvolto. Sono giunto alla conclusione che, dovunque, le imprecise aspirazioni religiose che si accennano a destra e a sinistra sono votate a un insuccesso completo se non ci si decide ad abbandonare le vecchie forinole incomprése ed incomprensibili, i credo e le nubi ; se non si ravvicinano i dommi cardinali del cristianesimo ai dati fondamentali della vita morale; se non si spiega insomma un pensiero religioso potente e concreto « largo come il mondo, profondo come l'anima umana». Compito più bello non fu dato ad alcuna generazione.
Nel giugno scorso avevo pensato ad alcune conseguenze pratiche di questi principi generali. Avremmo tentato di veder nella Bibbia, meno una miniera di testi e di pericopi scucite, che la storia delle sue gigantesche personalità e l'evoluzione delle sue idee morali. Avremmo provato d’entrare a fondo nelle grandi correnti del pensiero moderno e di prender atto delle scoperte che hanno ‘ così straordinariamente allargato in ogni senso il nostro Universo. Avremmo dimostrato la più
grande simpatia per tutto ciò che — al difuori della nostra cerchia, al difuori persino delle nostre abitudini mentali e dei nostri metodi — ci fosse apparso vero e grande. Che cosa non avremmo noi fatto? La guerra è venuta, a sconvolgere ogni cosa.
Quale sia il concetto personale di A. A. ih merito alla religione, si rileva da questa lettera, inviata alla sorella:
27 Marzo 1915.
... La religione non è una sfera qualunque dell’azione umana, ma è la grande cosa della vita, o meglio ancora : è la vita stessa. Secondo te, difatti, che cos’è religione? E’ ammettere che v’è un Dio, che un certo Gesù di Nazaret è morto in croce per i peccati degli uomini ? Oppure è vivere nell’estasi e avvicinarsi a Dio, allontanandosi dalla umanità? La lettura del Vangelo e la mia personale esperienza mi persuadono ogni giorno maggiormente che non è così.
Essere religioso vuol dire, secondo me, disciplinare tutti i propri pensieri, tutte le gioie, tutti gli atti, tutte le energie verso uno scopo unico ; e questo scopo unico, nella religione di Gesù, è il progresso della razza umana, la vita più grande, più completa, più pura, del prossimo come di noi stessi, la Conquista, per gli altri e per sé, d'un cuore più largo, più umano. Insisto su quest'ultima parola, tanto la religione cristiana mi appare l'opposto e dell’eccentricità mistica e dell’egoismo.
Dunque, apprezza quanto è grande e giusto, anche se proviene da un non cristiano registrato, e considera cosa profana quanto, anche nelle chiese e tra i ben pensanti, non s'ispira all'amore del corpo e dell’anima del prossimo.
Quale sia poi il concettò personale di A. A. riguardo al Cristo, Io si deduce da que-
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st’altra elevatissima lettera da lui scritta alia medesima sorella:
i° Aprile 1915.
... Gesù non è stato essenzialmente un professore di domani ; egli ha creato •delle personalità e la sua religione è destinata a plasmare i servitori normali e forti di cui l'umanità ha bisogno. Egli ha insegnato che, perchè un uomo abbia un'azióne umile ma efficace nella marcia del mondo, occorre che la sua volontà sia rigenerata, purificata, che nessuna mira personale attraversi la sua carriera altruistica: occorre, in una par rola, ch’egli sia morto a se stesso.
La festa del Venerdì Santo non è un mistero inintelligibile e inumano: è il simbolo nel quale viene espressa una grande e imperiosa necessità psicologica ; meglio ancora : è la commemorazione dell’atto del primo uomo che comprese tale necessità e vi si rassegnò per se stesso.
Dopo il Venerdì Santo, Pasqua. Dopo la morte, la vita. Dopo la sofferenza, la gioia. Si distrugge soltanto ciò che si sostituisce. E la vita nuova, così larga e meravigliosa, che Gesù indica al suo discepolo, non ha confrónti coll’esistenza antica, egoista e piena di delusioni. Le contrarietà, le stesse disgrazie perdono, in tale vita, la loro amarezza, e ciò tanto meglio quanto più ci s’attacca con maggior passione agl’interessi nuovi: giustizia, bontà, fraternità, amore del prossimo, del suo corpo e dell’anima sua. La personalità è costrutta su nuove assise ; e più si sviluppa in tal senso, più è potente e più è lieta... L'Evangelo rimane dunque la suprema, l’unica filosofia che l’umanità debba seguire.
• • •
La considerazione di A. A. sul Venerdì Santo e sulla Pasqua ce ne ricordano altre
di Giovanni Klingebiel. In esse è degna di nota l’interessante soluzione spirituale da lui data ad un’apparente contraddizione intellettuale :
Venerdì Santo, io Aprile 1914. La gratuità della salvezza: Gesù Cristo morto per tutti gli uomini. E’ giusto che il peccato d’un uomo venga espiato da altri che da lui stesso ? — Certo, se Gesù Cristo non fosse il figliolo di Dio, ciò non sarebbe giusto.
— L’idea di gratuità esprime l'incapacità dell’uomo a raggiungere da se stesso la santità ; poiché tale incapacità è manifesta, occorre necessariamente che qualcosa di esterno all’uomo, di gratuito, venga a supplirvi.
— La salvezza, dono gratuito, è promessa a coloro che hanno creduto, e quelli che hanno la fede compiono necessariamente uno sforzo di santità. In tal modo la salvezza, pur rimanendo ugualmente gratuita, viene incontro ad uno sforzo: e in tal modo è ristabilita l'idea di giustizia.
Così pure, nei pensieri di Pasqua delio stesso Klingebiel, è notevole il suo concetto delia vita eterna:
Lunedì di Pasqua, 13 Aprile 1914,
La gioia di Pasqua, pur essendoci meno accessibile che il dolore del Venerdì Santo, è però del medesimo ordine: è una questione di vita o di morte. L’intero nostro essere vi è interessato: « Si tratta di noi stessi e del nostro tutto», ha detto Pascal.
La vita si presenta a noi cón un'infinita diversità di godimenti. Nella natura nostra, non c'è, per guidarci, che la molteplicità dei nostri desideri. Quali ragioni avremmo di non buttare al vento i nostri sforzi, se non avessimo la certezza di Pasqua? Nella misura in cui l’attività nostra si attacca alle cose
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di Dio e lavora all’avanzamento del suo regno, noi partecipiamo alla vita eterna ; se le opere nostre sono le opere di Gesù Cristo, esse non periranno e per esse noi vivremo eternamente.
-Se non avessimo tale certezza, se non sapessimo che il nostro sforzo non si perde mai, saremmo presto scoraggiati dalla piccolezza dèi risultati.
E' in base alla certezza di Pasqua, che possiamo ripetere con fiducia: <11 tuo regno venga à liberarci dai male » .
Questa mentalità religiosa moderna, nonostante la sua assoluta indipendenza e la sua grande larghezza, non teme le formole positive, purché tali formole non fossilizzino il pensiero e non soffochino lo spirito:
21 Giugno 19.14.
La nostra fede non è esitante; essa non teme la precisione d'una formola; essa è soltanto troppo vivente per immobilizzarsi per sempre. Essa non rappresenta un compromesso tra la disciplina romana e l’anarchia spirituale: è invece una disciplina di libertà.
Due giorni dopo, Klingebiel chiarisce meglio a se stésso la filosofìa della sua religione:
23 Giugno 1914.
Può dirsi che vi sieno due mòdi di considerare la religione:
Si può concepirla come un insieme di rappresentazioni d’idee, di dogmi, di riti, come «un Culto».
Oppure come un «dinamismo», un contatto con una forza superiore che ci oltrepassa e sulla quale noi possiamo appoggiarci.
Dato il concetto dinamico delia religione, nè deriva per naturale conseguenza che il suo campo d’azione è il campo morale: da ciò l’importanza religiosa della volontà:
Io Gennàio 1915.
L’essenziale della religione non è dell’ordine dell'intelligenza, nè dell’ordine del sentimento, ma dell’ordine della volontà.
Mettere la nostra volontà in armonia e al servizio di quella di Dio, inserire lo sforzo nostro nello sforzo divino, attaccarci alle realtà spirituali.
Chi fa la volontà di Dio, dimora eternamente.
Quindi lo sviluppo religioso deve avere necessariamente per base l’educazione della-volontà. E difatti Klingebiel, alcuni mesi prima, ¡1 15 dicembre 1913, già aveva scritto:
Mi rendo perfettamente conto che il mio compito più urgente sarà l’educazione della mia volontà. Non lasciare che la mia attività si esaurisca nel troppo suddividersi ; intraprendere solo ciò che ne merita il conto e applicar-mivi collo scrupolo di condur là cosà a termine. Amare lo sforzo sostenuto, paziente, che ci permette dì sviluppare le nostre forze e di acquistare fiducia in esse. Avere il culto di Eracle, alla maniera degli .stoici : la stima dello sforzo, della tensione, della dritta ragione; e il disprezzo del rilassamento e della voluttà. —- Tenere davanti agli occhi questa frase tremenda di Tplstoi : « Egli aveva tutto, ricchezza, nome, spirito, aspirazioni elevate : non aveva commesso alcun delitto, ma aveva fatto peggio: aveva ucciso il suo cuore, la sua gioventù; s’era perso senza avere nemmeno per scusa una passione; per mancanza di volontà ».
E la cultura della volontà ha per ¡scopo quella formazione dell’ unità morale, senza la quale ogni azione è vana.
E’ ancora Klingebiel che scrive:
L’importante è di mantenere, con uno sforzo di volontà, il contatto con noi stessi, colla nostra fede, con Dio, in modo che siamo veramente noi stessi, colla nostra lucidità e colla nostra libertà, che operiamo in ciascuno dei nostri atti.
Pur essendo la volontà condizione necessaria di una intelligente e cosciente religio-
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sità, sarebbe tuttavia assurdo fare di essa l’esponente unico e maggiore dell’esperienza cristiana. Lasciamo che ce lo spieghi — più di due anni dopo — lo stesso Klingebiel :
Il giorno di Pasqua, 23 aprile 1916 trovandosi alle trincee del.... artiglieria, egli ricorda, nei suoi quaderni, le parole di Pascal:
« Quanto corre dal conoscere affamare Dio ! Non crediate che la fede sia un dono del ragionamento essa è un dono .di Dio ».
E così le commenta:
— Il vero dono di Dio è Gesù Cristo, è la lieta certezza commentata da W. Monod: ei vive, ei vive in me; ei vive in noi tutti che crediamo in lui; ei vive in noi nella misura in cui lo vogliamo, in cui lo desideriamo, in cui lavoriamo a essere suoi discepoli e a seguire la sua legge, nella misura in cui accettiamo la giuliva certezza di Pasqua.
E’ dunque il Cristo, la persona vivente del Cristo, che costituisce, oggi come ieri, come sempre, il centro e l’energia — il dinamismo, la cóvap-tc — della fede:
Domenica, 26 Aprile 1914.
Ritenuto di un sermone questo pensiero che riassume la mia propria esperienza di questi ultimi tempi : « La nostra fede, non è un credo, nè l’insieme dei domini della nostra chiesa, non è la tradizione lasciata dai nostri padri, riformata da Lutero o da Calvino, non è ciò che pensa o decreta l’uno o l’altro personaggio sacro: la nostra fede è Gesù Cristo ».
Ed egli così commenta e spiega :
Il nostro credo, la nostra tradizione, le' formule che riceviamo dai nostri pensatori o dai nostri amici, tutto ciò è prezioso e legittimo ; ma tutto ciò esprime soltanto una parte o un aspetto della verità. La sola realtà, che è la
ragione e che dà senso a tutto il resto, è Gesù Cristo.
• • •
Ed è appunto il Cristo, la persona vivente del Cristo, che costituisce il centro delia fede, il motore dell’attività religiosa dei nostri eroi.
Queste parole sono di un giovane credente di cui non c’è stato serbato il nome:
Non invano i più grandi di noi muoiono a vent’anni. Le vite che il Padre ha maggiormente lavorate e plasmate per la sua grande Opera cadono sulla via del Dovere... — ciò non è forse successo al solo Giusto e al solo Santo : Gesù ?
• • «
Questo grido di entusiastica, virile fede è di Giovanni Fontaine Vive:
Infecondo sarebbe il Puro, l’Energico che attingesse in se stesso soltanto le fonti della sua azione e volesse dare al mondo ciò che non avesse ricevuto. Le nostre armi ce l’ha date un Maestro supremo e buono. Se ci si dice: « I vostri vi abbandoneranno, siete due contro mille, rinunciate alla lotta», come i miei antenati di Savvia risponderemo: Eca-pee! E poi dopo?» In Cristo ho trovato la mia pace e la mia gioia. — Fallire all’opera? Giammai!
* **
Tutti quanti hanno dunque ben compreso l’ideale riassunto nel motto della « Federazione Studenti » di cui sono membri : « Far Cristo Re ». Lasciamo ad uno di essi, ad Escande, di commentar quell’ideale:
« Far Cristo re ! » Come è bello il nostro motto! Più ci penso, più mi sembra il solo motto che riassume i nostri più grandi e più alti ideali. Sì, Gesù deve regnare sulla terra, ma sopratutto nei nostri cuori. « Il tuo Regno venga ». S’ei regna nei nostri cuori, regnerà necessariamente nel mondo.
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Quale responsabilità è la nostra! Da noi dipende la più o meno rapida venuta del Cristo nel mondo; e siamo fieri d’avere una simile responsabilità. All’opera dunque ! »
*****
VALORE DELLA
VITA PRESENTE
Tale essendo la fede dei nostri amici, qual’è il loro concetto della vita?
Già prospettando gli aspett' molteplici della loro profonda, autentica «umanità», noi abbiamo avuto occasione di mostrare il loro amore, il loro attaccamento alla vita. I nostri giovani non sono degli asceti nel senso medievale del termine, non sono cioè seguaci d’un ascetismo che limita e mutila le possibilità della vita umana qual’è stata creata da Dio.
Ma, d’altra parte, essi non sono dei gaudenti, non intendono servirsi della vita pel loro particolare piacere, ma vogliono invece servire la vita per il bene generale.
Nonostante le sue fatiche — scrive l’un d’essi — la vita del fronte mi appare sèmpre più ricca. Ci si sente in piena espansione personale, di fronte ad un dovere accettato, si ha davvero l’impressione di servire. Servire è fare atto di libertà, è fare liberamente il dono di se stessi.
E un’altro esprime il medesimo pensiero:
Parto, felice di vivere istanti solenni come questi. In simili condizioni, il senso della vita appare decuplicato. Si tocca col dito il mondo delle realtà spirituali.
I nostri combattenti hanno dunque dell'esistenza il concetto più alto, più serio, più nobile, più austero, più completo e più moderno che immaginar si possa è che viver si debba.
E tale concetto dell’esistenza è conseguenza diretta del realismo della loro religiosità, tutta pratica e a contatto diretto e continuo colla vita, coi suoi bisogni, coi suoi dolori, colle aspirazioni migliori dell’umanità in continuo lavorio verso il meglio, verso la giustizia, verso la perfezione.
Questi sentimenti, comuni a loro tutti, sono
talvolta espressi in mirabili forinole. Questa per esempio :
Dio è, e ciò basta. Non mi stanco di ripetere a me stesso tali parole. Fede e letizia sempre... Dobbiamo accettare d’essere soltanto umili collaboratori nell’opera universale che si estende sulla moltitudine dei seco-i. Ma questo appunto, lungi dal deprimerci, dilata il nostro pensiero e il nostro cuore. Per questa visione noi partecipiamo dell’infinito. Io cammino per la via nella quale mi son messo con una certezza assoluta e una fiducia raggiante.
• • •
Il 3 gennaio 1915, Giovanni Massip scrive una bella pagina:
La risurrezione del Cristo è davvero il miracolo che, in questi calamitosi e luttuosi tempi, ci si sente attratti ad ammirare ed a meditare. Esso c’insegna che la vita è nulla se si prende qual’è, se si spera in essa soltanto. Essa non s’illumina, non si riscalda, non si amplifica che a patto di considerarla come una cosa passeggera la quale soltanto risplende nell’ atto in cui scompare, come la fiaccola getta lucè solo nel’ l’atto che si consuma. Straordinaria cosa. Allorquando si disprezza in tal modo la vita e non si cerca più in essa la propria gioia, essa si rianima e si riscalda al fuoco della vita superiore ch’è nata in noi. In tal modo noi, pur avendo accresciuto il nostro patrimonio di quel tesoro imperituro ch’è la vita dell’anima, veniamo a dare un valore a ciò che prima non ne aveva: la vita del corpo.
• * •
Giovanni Klingebiel, semplice e profondo come sempre, ci dà una bella definizione della vita:
Arcachon, 8 Maggio 1914.
Non bastano alcuni istanti di lucidità e di fervore scaglionati lungo la
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nostra vita; ci occorre avere l'amore costante di questa vita per ciò ch’essa può valere al servizio di Dio. Là nostra vita dev'essere « una ricerca paziente e illuminata >.
• • •
In una lettera di Casalis ad un gruppo di giovani esploratori, in data 22 aprile 1915, troviamo un’altra bella definizione della vita.
Dopo aver osservato che i soldati caduti non hanno temuto la morte, egli cosi prosegue:
Il dovere vostro è di vivere, non come piante o come animali, che si lasciano vivere, ma come uomini che hanno uno scopo nella loro vita e lottano per raggiungerlo. I nostri maggiori non hanno temuto la morte, voi non temete la vita. Vivere, per voi, significa essere sani e robusti quanto più è possibile; essere retti, leali, fedeli, devoti agli altri, puri quanto più è possibile. Ciò significa compiere ogni giorno, un immenso sforzo per fare non una buona azione (1) ma unicamente buone azioni. Ciò vuol dire insomma essere veri Esploratori, giovani che scoprono la strada agli. altri per mostrar loro come bisogna vivere e dove si trova la forza per viver bene.
Se accettate questo ideale, i vostri maggiori non avranno sofferto in vano. Il nostro motto sia dunque: < Fedeli sino alla morte ». Fino alla morte, cioè durante tutta la nostra vita, rimarremo fedeli a Colui che ci ha mostrato ciò che può e deve essere una vita d’uomo ; rimarremo fedeli al Cristo, il grande Esploratóre.
A tutti auguro di poter viver cosi.
• • •
I nostri giovani, attraverso la guerra, sono diventati rapidamente adulti; nel crògiolo
(x) Il giovane esploratore s'impegna, tra le altre cose, a compiere una buona azione ogni giorno.
della prova, si sono precocemente maturati ; ma questa maturazione conserva tutto il fervore, tutto il lirismo, tutto l’entusiasmo contagioso dell’età giovanile. Sono uomini veramente « seri > che ci stanno davanti ; ma uomini che gli anni non hanno deluso e stancato; uomini invece pronti a gettare nella lotta delle idee le lóro convinzioni ardenti; uomini capaci di viverle, queste convinzioni, sino alle estreme lóro conseguenze.
Ascoltiamo reverenti A. A. mentre egli ci parla. Noi ben volentieri ci mettiamo alla sua scuola; lo sentiamo tanto superiore a noi, tanto migliore di noi. Egli ha molte cose da insegnarci :
31 Marzo 1915.
Alla luce degli eventi contemporanei, la vita s’è rivelata a noi come un dramma, come la possibilità di arricchire o d’impoverire, di vivificare o di indebolire la razza alla quale apparteniamo. Abbiamo meglio preso coscienza della nostra missione d’uomini.
Ma, per agire, bisogna essere. L'uomo del bene non è l’uomo delle buone volontà effimere e fortuite; è l'uomo di buon volere, d’anima rigenerata. Egli ha messo in chiaro la sua situazione. E’ morto a se stesso. Vive per la grande causa del bene e dell'umanità, d’una esistenza più larga e più ricca. Vive, come dice S. Paolo, della vita nuova.
A mio debole parere, la più grande profondità dell'Evangelo consiste nell’avere insistito su queste condizioni psicologiche della vita morale.
Ed ancora:
29 Aprile 1915.
In presenza delle realtà svelate dalla guerra, come tutti gli altri concetti dell’esistenza all’infuori del concetto cristiano appaiono superficiali, falsi, meschini ! Sì, la vita è un dramma straordinariamente’* oscuro e tragico, un dramma che termina nella luce e nella gioia solo dopo una decisione, una conversióne, una ricostruzione di tutto
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l’essere. La felicità superficiale, le gioie grette dell’egoismo non reggono all’urto dell'esistenza. Nonostante tutto, bisogna passare per la Croce. La Croce è il grande fatto della psicologia. Quando l'anima ha rinunziato a servire se stessa, quando ha fatto del dovere la suà passione, essa può ancora soffrire, ma le sue sofferenze sono senza amarézza. Ciò ch’è essenziale le resta ; essa trova sempre del sapore alla vita...
Nelle seguenti pagine, che A. A. scrive a sua sorella, è contenuta maggior sapienza pratica che in molti manuali di filosofia, è contenuta maggior linfa evangelica che in molti trattati antichi e moderni di didattica e di morale cristiana.
5 Maggio 1915.
Quel che voglio dirti oggi è di aver fiducia, di prender coraggio per la vita... Lo so bene : l'orribile incubo nel quale viviamo è poco adatto per farti apparire piacevole l’esistenza... Eppure io ti dico d’aver, fede nell’avvenire, di afferrare la vita come un bene immenso, -Abbi il grande e raro coraggio di veder le còse come sono, di far il conto delle grandi gioie e dei grandi dolori della esistenza; pensa alla felicità immensa che vi è nel fortificare non solo il corpo, ma l’anima dei vicini, e concluderai, ne sono certo : « Sì, la vita è una cosa appassionante, essa vale d’essere vissuta 1 »
Non lasciarti arrestare dagli « ostacoli alla vita»... Indico con tale parola un insieme di difetti psicologici e morali, come, per esèmpio, preoccupazioni relative ad ogni cosa, eccessiva sfiducia in se stessi, ecc. E tutti questi ostacoli li riassumerei in uno solo, dal quale tutti procedono: mancanza di unità, di semplicità di anima. Ci si ostina a correr dietro a trenta cose alla volta e ci si stupisce di giungere alla confusione soltanto.
Abbandonati con ogni semplicità nelle braccia del Padre che perdona, e che
perdona perchè ama. Digli: «Vengo a te per darti ciò che posso >. Diglielo con tutto il cuore e con tutta l'anima. E scommetto che, da quel momento, la vita t’apparirà molto più semplice e facile.
La vita è una cosa così semplice quando si ha per ¡scopo e per motto di far progredire il Regno di Dio, così complicata, inintelligibile quando si vede ogni cosa sotto l’angolo dell’egoismo o dell’amor proprio!...
S’ha un bel discutere per trovare un’ altra soluzione al problema della vita individuale, s’ha un bel sofisticare per evitare l’unica soluzione cristiana di tale problema : l’essenza del cristianesimo, in quanto è religiosità individuale, è il rinunziamento a se stesso, è l’accettazione del sacrificio. Ma quando il sacrificio è liberamente accettato, quando il rinunziamento è compiuto nella serenità e nella gioia, si constata che la metodologia cristiana e la prassi cristiana sono davvero quelle che spalancano le porte della vita.
A sua sorella A. A. scrive ancora:
<5 Maggio 1915.
... Abbi un’anima sempre più chiara, luminosa e profonda; compi, con una semplicità sempre più grande, il sacrificio essenziale, inevitabile, ma generatore di vita, nel quale si riassume e si raccoglie tutto quanto l’insegnamento di Gesù ; vivi sempre meno per te stessa, e sempre -più per la gioia e il coraggio degli altri... Allora ogni tuo atto prenderà. un significato àgli occhi tuoi e di coloro che ti sono vicini. La tua presenza significherà speranza, coraggio dì vivere, volontà di vincere. In un’epoca in cui le vite sono complicate, incerte, nevropatiche, la tua sarà semplice, sicura e sana...
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CONCETTO DELLA FELICITÀ
Parallelo al concetto che uno si fa della vita è il concetto ch’egli professa riguardo alla felicità. Anzi il secondo è incluso nel primo o meglio ancora i due concetti sono del tutto interdipendenti.
Dimmi che idea ti fai dell’esistenza e ti dirò a che cosa mirano i tuoi pensieri e le tue azioni ; dimmi a che cosa mirano i tuoi affetti e il tuo lavoro e ti dirò che interpretazione tu hai dato alla vita.
Qual’è il concetto della felicità che scaturisce dalla corrispondenza dei nostri amici?
» • •
Ascoltiamo prima il medico-filosofo. È questa una delie pàgine più profonde e più caustiche di Giovanni Klingebicl:
Ilbarritz, 21 Dicembre 1915.
La morale della felicità può prestarsi ad un equivoco e non merita sempre il nome di morale.
La ricerca della felicità può, come ogni altra ricerca, dare alla vita nostra una certa unità logica. Quale mirabile semplicità nella vita di certi avari e di certi ambiziosi. Ma una simile disciplina è dessa necessariamente morale? L’ambizioso e l’avaro hanno ben altri pensieri !
La loro passione domina nella loro coscienza e. per la sua stessa violenza, vi stabilisce l’ordine. Quest’ ordine è cieco come la passione che l’ha voluto.
Altri ve ne sono che, nella ricerca della felicità, riflettono, calcolano e si risparmiano la fatica. Sono forse morali per questo? Sanno limitare i loro gusti ed accontentarsi dei giórni modesti concessi loro dal destino. Sono dei savi; ma il loro atteggiamento è desso morale? L’ideale classico dell’orticello da coltivare, colla chiara fonte presso la quale, all’ombra d'un bel fico, si posson Leggere i poeti, non ha più oggigiorno alcun valore morale.
Per essere un uomo onesto non basta più oggi essere un savio: occorre al
tresì essere disinteressato. Non bisogna più essere impacciato dalla preoccupazione d’una più o meno chimerica felicità personale. Occorre anzitutto essere risolutamente uomo del proprio tempo, prender parte agli affari che Si trattano, recare il proprio contributo ai problemi morali che s’impongono.
Bisogna cercare la felicità nel sentimento di vivere in atteggiamento morale, cioè attivo, ragionevole e disinteressato. All'uomo onesto giungono, senza ch’egli le cerchi, le gioie profonde de! pensiero e dell’azione.
Renan scrive mXV Avvenire della Sciai-za : « Esser felici non è cosa volgare. Solo le anime belle sanno esserlo... mentre lo star bene, cioè a proprio agio, è il desiderio del comune borghese ».
Dal più nobile al più basso, vi sono tanti modi di concepire la felicità.
Uno è felice quando si sente satollo, l’altro è felice.soltanto nel sacrificio.
« Al di sopra delia gioia umana e ai di là di ogni dolore », dice Andrea Gide ne « La porta stretta ».
• • •
E a questa parola di un letteiato moderno risponde con foga irruente un cristiano moderno. A. A. ci dice quale sia questa gioia ch’è «ai di sopra della gioia umana».
23 Dicembre 1914.
... Più profonda della gioia che le circostanze della vita possono procurare, v'è un'altra gioia, la quale non passa: quella di sentirsi intimamente uniti a Dio, d'avere la propria volontà fusa colla Sua, di attaccarsi con sempre maggiore semplicità a quanto è nobile e grande...
Ed a sua sorella:
25 Dicembre 1914.
... Certo, dolori e angoscio immense assediano le anime nostre; ma l’uomo
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è superiore alle circostanze in cui può trovarsi, egli è in grado di possedere una gioia più completa di quella che gli eventi procurano© tolgono; la gioia di vivere per il bene, di lottare pel proprio ideale, di sentirsi al suo posto nell'ordine del mondo...
E qual’è questo posto «nell’ordine del mondo?» Ancora ce lo dice A. A.:
25 Febbraio 1915.
... mi sento moralmente pronto e sono sin d’ora rassegnato ai più grandi sacrifìci. Provo un po’ dell'immensa gioia che v’è nel « servire », nel « dare la propria vita per gli amici ».
23 Marzo 1915.
In ultima analisi, esser felice dipende meno da ciò che v’accade che da ciò che siete, e più avrò amore ed entusiasmo pel mio compito, meno m'indisporrò per le contrarietà che potranno sopraggiungermi.
• • •
PROBLEMI DEL DOPOGUERRA
Prima di terminare il nostro studio, e non volendo lasciare in esso una troppo grave lacuna, dobbiamo accennare^almeno per sommi capi, all’atteggiamento preso dai nostri giovani riguardo ai molteplici e complessi problemi del dopoguerra.
Naturalmente, i combattenti di cui ci occupiamo essendo francesi, si potrebbe supporre eh’essi considerino quei problemi del dopoguerra che particolarmente alla Francia possono interessare. Invece, onde rendere interessanti anche per noi italiani le loro considerazioni, non c’è bisogno questa volta di ripetere le solit“ frasi fatte circa le affinità di razza e la fratellanza latina. Ciò che dicono i nostri eroi è per noi prezioso appunto perchè essi si elevano al disopra di tutte le analogie fatte esclusivamente di carne e di sangue e salgono molto in alto, nell’atmosfera veramente umana, e quindi universale, dello spirito.
Per questo, ogni qual volta essi scrivono «Francia», noi possiamo leggere «Italia».
E incominciamo col citare una nobile pagina di Maurizio Barrès (1).
«Già li abbiamo visti quei giovani,quei fanciulli luminosi, pieni di vita, che amano la natura, i parenti, la patria ed accettano così serenamente la morte. Ma vorrei far vedere il loro sguardo volto verso l’avvenire.
«Questo sguardo, d’un’ineffabile purezza, che interroga all’orizzonte non il loro destino personale ma quello della patria, come renderlo sensibile? Invano con tutta la mia pietà cercherei di raccogliere i loro accenti, il suono della loro anima; all’improvviso, con dispiacere, si udrebbe la mia voce: Meglio è fare uscire dalle file alcuni di loro e eh’essi parlino, che ci lascino afferrare sul loro volto stesso, senza intermediari, la loro buona volontà prodigiosa e il loro accordo profondo col sacrificio richiesto dalla patria. Ascoltiamo quei soldatini, amati dai loro compagni, ignoti ai capi, confusi nelle file...
« ... Tutte sublimi, quelle voci si accordano. Non vi sono due foglie identiche nella vasta foresta, ma tutte, nella tempesta, cadono al suolo col desiderio di accrescerne la fecondità, Quei fanciulli si consacrano al più bell’avvenire... Ed ecco, mentr’essi plasmano la Francia di domani, essa si crea in loro. Di già questa meraviglia appare alla superficie del loro èssere, nei loro pensieri, nei loro atti. Oh santa prefigurazione! »
Pochi di essi si preoccupano dei grandi problemi politici internazionali.
In una lettera di A. A. c’è un accenno relativo alla necessità di ravvicinamento tra i popoli*.
31 Gennaio 1915.
Non ho affatto rinunziato alle mie idee sul dovere di combattere che si impone ai giovani francesi. Ma se i nostri doveri sono grandi durante la guerra, saranno, dopo la guerra, ancora più splendidi e meno strazianti. Bisognerà impedire il ripetersi della guerra, imparare a perdonare i delitti di certe nazioni, elaborare il riavvicinamento dei popoli. Se si è un cristiano, non si può ammettere che una nazione sia perduta
(1) Lcs familles spiriluelles de la !• rance, pagina 217.
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completamente, per sempre, che non si possa avere un’influenza su di essa per mezzo della virtù invincibile dell'Amore. Oh! che ci sia concesso d’esser di quelli che procurano la pace!
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Tutti i nostri amici, invece, concentrano la loro attenzione, le loro speranze sui problemi interni della nazione.
Una delle loro ansie maggiori è che i tremendi moniti della guerra vengano troppo presto dimenticati.
Ah! — esclama l’un d’essi —- ah! se soltanto questa prova tremenda potesse volgere al bene del povero nostro popolo di Francia! Se solamente le generazioni che assistono e partecipano ai gravi avvenimenti di quest’ora potessero conservare un’incancellabile impronta, potessero non dimenticare, non appenà~scomparso il pericolo, il soffio di carità e d'eroismo ch’è passato sulla nazione nostra e sulle nazioni amiche!... Purché la nostra Francia — che, nell’ora del pericolo, ha saputo trovare tutti i coraggi — sappia, dopo il trionfo, avere ancora il coraggio dell’eroismo individuale e nascosto, il quale solo potrà rialzare il nostro popolo da tante e tante rovine.
• • •
Vi sono ore in cui la visione di questa Francia di domani fa sorgere nell'anima di taluno fra essi un completo programma di ricostruzione e gli fa raccogliere tutte le sue energie in un atto di vera e propria consacrazióne.
Sentite, ad esempio, questo:
I giovani che torneranno dalla lotta con intatte le forze avranno un compito immenso dà assumere. Ognun sa che un vincitore il quale s’addormenta sui propri allori diventa ben presto il più tristo dei vinti. Ciò, dopo la presente lotta, sarà più vero ancora che dopo tutte le lotte precedenti. Lo sforzo sarà stato così lungo e tremendo che, pur
essendo vincitori, saremo assai indeboliti. Quante rovine da rialzare! Quante miserie da alleviare! Occorrerà organizzare l'Alsazia-Lorena, restaurare le provincie invase, far subito un grande sforzo economico e commerciale; bisognerà finalmente e sopratutto compiere il grande repulisti politico iniziato colla tempesta del 1914. Già si vedono ricomparire abusi, ingiustizie, atti disonesti. I politicanti tendono a riaccendere i loro vecchi rancori. Subito dopo la pace essi vorranno ricominciare a dilaniarsi, ad accusarsi reciprocamente di quanto ha potuto succedere di errori o di colpe durante la guerra. Bisognerà essere padroni di sé, chiuder loro la bocca e mantenere l’unione sacra che sarà indispensabile per rifare la Francia. Ecco il compito che aspetta la gioventù ; bisogna ch'essa sia forte e virile per compierlo ; e le condizioni saranno purtroppo difficili. Si produrrà immancabilmente un bisogno sfrenato di godimento, conseguenza delle lunghe privazioni. Le alte paghe favoriranno la sregolatezza. Se si lasciassero sviluppare tutte le conseguenze di questa sola causa, sarebbe la catastrofe. Ecco perchè importa di costituire una falange d'uomini giovani e valorosi, una élite che sia capace di compiere i diffìcili doveri che incomberanno.
• • •
I problemi del dopoguerra vengono dunque considerati dai nostri amici sotto un angolo essenzialmente religioso.
Nel luglio 1916,’ Klingebìel scrive a suo fratello, che è anch’egli soldato :
Spero come te che la guerra finirà presto. Sono anni fra i migliori della nostra vita che abbiamo dovuto consacrarle; ma non sono perduti e i tempi che seguiranno promettono d’essere doppiamente interessanti ! L’importante, innanzi agli eventi, è di serbare la no-
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stra lucidità e di rimaner fedeli alle nostre idee.
Siamo più strettamente uniti, e lavoriamo maggiormente per continuar l’opera dei nostri compagni caduti. Non è questo forse il culto migliore che possiamo render loro?
Dopo la lettura del librò su R. Allier, Klin-gebiel scrive:
Povero giovane caduto come tanti altri! E quanti altri cadranno ancora! Se, in certi momenti, dubitassimo dell’avvenire, dell'utilità del nostro sforzo, del nostro paese e del suo valere morale, non avremmo che da evocare qualche compagno, come Allier, Monod, altri ancora, uccisi come loro, o altri che fortunatamente vivono ! La loro fede non è morta. L’essenziale è che i sopravissuti possano ritrovarsi, più tardi, coll’esperienza di questa guerra, colla medesima volontà, con serenità e con coraggio.
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Nelle lettere di qualcuno di essi, ad esempio di Cornet Auquier, v’è alle volte qualche accenno pessimistico:
31 Dicembre 1915.
...- Qual vita intensa, completa noi viviamo! L’avremo sperimentata tutta la scala delle commozioni dolci o tragiche, liete o meste. Qual prova per dei nervi d’uomo ! E come saranno temprati quelli che resisteranno! Poveri nervi umani, povere piccole fràgili cose ! Perchè è specialmente coi nervi che viviamo questa vita fittizia e anormale. Perciò, quale consumo di energie, quando ci si pensa! Che risultati daranno le giovani generazioni, passate per tutte queste prove? Come saranno spossate e come invecchieranno presto!
Ma tosto egli si riprende; la guerra stessa, che l’ha reso pessimista, gli addita l’opera urgente del dopoguerra : opera di educazione
civile che si riassume nella formola «fare degli uomini ».
Febbraio 1916.
... Dopo la guerra mi sforzerò di fare dei miei soldati degli uomini come quelli di cui ha bisogno là Francia: uomini di caràttere, disciplinati, che sanno dominarsi e condursi bene. Bisogna che coloro i quali sopravviveranno sappiano trar profitto delle colpe commesse e delle esperienze fatte.
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Altri giovani sono angosciati da un altro problema, d’importanza uguale, se non maggiore, come quello la cui soluzione è condizione e preparazione alla soluzione del problema precedente : voglio dire l’unione di tutti i cristiani.
Scrive Paolo Laffay il 22 febbraio 19x7 :
La pace verrà, non è vero ? Che bel giorno, se noi tutti risponderemo alla chiamata! L’avvenire si presenterà oscuro, di certo; ma, con del coraggio, riusciremo, riunendo le forze di tutti i cristiani, a fare qualcosa per la Francia. Nonostante tutto, ho paura; ho paura ch’essi non sappiano unirsi. Ad ogni modo vi sarà del lavoro...
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La medesima aspirazione intensa verso la unione dei credenti è sentita dà Giovanni Fontaine Vive. Le sue esperienze, però, sono tali da renderlo pieno di fervore entusiastico quando pensa all’avvenire.
Al fronte egli si lega di amicizia con un giovane cattolico, allievo dei Domenicani, che non aveva mai parlato in vita sua con un protestante. Discorrendo con lui egli è condotto a tratteggiare le linee maestre del grande ideale umano e religioso ch’egli ha fatto suo: quello cioè della Federazione studenti cristiani :
Il nostro ideale! La sua affermazione — per me più che mai energica quanto più sento vicina l’ora della sua realizzazióne — è come un ponte lanciato sulla distanza e sull’incertezza tra le anime nostre. Ho fede nella nostra mis-
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sione in seno alla Francia, nella missione di noi cristiani in marcia per guidar la sua marcia. Ho fede nel valore necessario ed unico del cristianesimo come rigeneratore sociale per mezzo della riforma di ciascuno, qualunque sieno le sue oscurità apparenti. Ho fede nella possibilità dell'organizzazione d’una Chiesa unica, d’una Chiesa riconciliata, perchè protestantesimo e cattolicismo son fatti non per combattersi, ma per interpretarsi e per completarsi.
• • •
Altri ancora dei nostri amici sono particolarmente preoccupati, riguardo al dopoguerra, dell'impellente dovere della testimonianza cristiana. È questo, per esempio, il caso di Escande:
Febbraio 1915.
Bisogna avere sperimentato la forza che Dio può dare e dà ai Suoi figlioli, per vivere calmi e fiduciosi. Se Dio mi concede la fortuna di tornare da questa guerra, oh! quanto mi sforzerò di comunicare a quelli che mi circonderanno quella forza e quella fiducia di cui ho avuto la fortuna di far l’esperienza.
• • •
Sulla necessità urgente di riprendere cd intensificare, nel dopoguerra, l’azione religiosa scrive una bella pagina Giovanni Massip:
22 Febbraio 1915.
Quando la guerra permetterà di nuovo di seminare?... Sarà il compito di quelli fra noi che scamperanno — anzi sarà per molti un dovere imperioso — di sostituire coloro che si proponevano di lottare pel trionfo del-l’Evangelo e che son morti nella lòtta. Occorrerà che tutte le forze evangeliche si mettano all'opera e che i portatori delia Parola non esitino a sacrificare ogni cosa a Gesù e ad- attaccare con energia il mondo in se stessi. Non bi
sogna che i cristiani possano ancora essere considerati come parlanti più che operanti, per lasciar perdere in tal modo il frutto di tante lotte e di tanti sacrifici. Si direbbe che il tesoro morale del mondo sia in balìa degli eventi; perchè, se la nazione si è rizzata, ardita e coraggiosa, davanti all’invasore, temo assai che dopo la guerra ricompaiano ¡¿tinti più bassi. La Francia sarà travagliata ancora dalle lotte dei partiti, e occorrerà allora ai messaggeri dell’Evangeio molto coraggio per lottare in un mondo che senza dubbio avrà perso molta fede. Possa questa guerra farci sentire le nostre responsabilità e darci nello stesso tempo la forza per accettarle nella loro pienezza e per far trionfare la verità! Sorga una falange di giovani, unicamente consacrati a Dio e desiderosi soltanto d’una comunione totale con lui ! Sorga ed inizi il buon combattimento ! E possiamo noi, se Dio lo permette, essere fra loro!
• • •
Il combattente A. A. traccia le grandi linee di una campagna di evangelizzazione aconfessionale, veramente cristiana nel suo messaggio e nei suoi- fini :
14 Febbraio 1915. •
... la domenica, giorno benedetto, vo errando con delizia sotto un cielo generalmente molto azzurro, fra boschi di pini e campi di ulivi.
Sogno molto ; sogno gli anni di pace e di lavoro che, lo spero, seguiranno i mesi rudi della battaglia. Sogno una grande missione che bisognerebbe compiere nel campo del pensiero e della fede. Sogno l’aspetto semplice, concreto, profondamente umano, che bisognerebbe ridare, nello spirito del volgo, all’insegnamento e alla persona di Gesù.
Notevole è una lettera dal medesimo A. A. indirizzata ai suoi colleghi della Federazione
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Mudenti cristiani. In questa lettera egli insiste sulla necessità d’intensificare la religiosità personale e di dare colla propria vita la prova che, nel cristianesimo, si possono ancora oggi attingere le migliori energie del-l’esistenza.
16 Aprile 1915.
Salvo eccezioni, m’è parso ritrovare, fra tutti i miei compagni, il medesimo vuoto, la medesima mancanza d’unità psicologica : in una parola, la stessa noia. La personalità non è formata; l'anima non s'è attaccata alla grande passione idealista che può rendere la vita così bella e entusiasmante. L’esistenza, agli occhi dei nostri contemporanei, può presentare momenti piacevoli o interessanti ; essa non appare loro come il dramma semplice e palpitante che noi vediamo in essa.
Questa constatazione mi ha condotto a cambiare completamente parere sopra un punto. Fino ad oggi sognavo specialmente di un risveglio morale tra la gioventù francese; volentieri mi sarei accontentato d’un filosofismo morale che rimettesse in onore le idee di dovere, di solidarietà, di dignità personale, ecc... 1 rapporti che ho avuto coi compagni di reggimento mi ànno guarito da questo errore. No, per rigenerare la Francia, occorre meglio che delle idee, occorrono dei caratteri; occorte meglio che dei precetti, occorre una religione; — perchè le idee sono idee-forze per alcuni eletti soltanto; esse trascinano gli spiriti incolti raramente, parzialmente e momentaneamente; — perchè i precetti soggiogano penosamente le volontà; da soli essi rappresentano una legge ingrata piuttostochè una vita intensa e feconda.
La religione invece unifica l’anima umana; grande costruttrice di personalità, essa è altresì conduttrice di società. Essa dà un significato alla vita di ognuno; anzi essa lega l’uomo più oscuro al pro
prio compito e lo santifica ai propri occhi. Il grande Tolstoi ha definito questo supremo fatto umano con parole scultorie : « La religione è la forza della vita »...
Ah ! quale magnifica missione è la nostra, di noi che sappiamo non tutte le verità della religione, ma un po’«della bellezza e della potenza ch’essa può dare a una vita d’uomo! Col pensiero e coiresempio, render testimonianza a quella vita nuova, nella quale l'intelligenza si allarga, il sentimento si affina, la volontà si concentra; — in cui povertà diventa ricchezza, sofferenza, gioia, egoismo, fraternità ! La generazione che viene mostrerà che la religione è semplicemente lo sbocciare di tutti i fiori che la nostra qualità d’uomo conteneva in germogli...
• • •
Per Casalis tutte le necessità del dopoguerra si riassumono in una sola, la quale davvero le comprende tutte : realizzare il Regno di Dio.
25 Marzo 1915.
L’appello del Maestro si fa ogni giorno più insistente al mio orecchio, o piuttosto al mio cuore; e che cosa faccio per rispondervi?
Odo Gesù dichiarare a Filato: «Tu il dici, sono Re». Ed ecco, il Principe della Pace, il Cristo-Re è negletto: la sua parola, i suoi ordini, il suo insegnamento sono contraddetti dalla vita di ciascuno di noi. O Francia mia, che hai fatto del tuo Re?
Ma così non può durare. Egli sarà Re. Francesco Monod, Roberto Pru-nier, altri, tanti altri sono morti pensando a quel regno glorioso che deve venire, che viene. La loro morte, come la loro vita, è una pietra miliare sulla via che conduce al Regno.
E poi la Francia nuova deve levarsi per questo, per < fare Cristo Re ». E di
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coloro che rimangono è il compito di preparare operai nuovi per la messe che biondeggia.
Noi lo giuriamo, Signore, lavoreremo perchè il tuo regno venga, daremo la nostra vita per realizzare questo ideale.
E, per realizzare il Regno di Dio, occorre intensificare, nella coscienza dei cittadini, il sentimento del dovere.
Dal fronte. Il Aprile 1915.
... Assai spesso, io penso a questa Francia in formazione, a questa Francia che sarò nata dalla «guerra liberatrice». Occorre ch’ella intenda il suo dovere d’essere umana; occorre che ognuno sappia ciò ch’egli è e ciò ch’egli fa; occorre che tutti vivano nella coscienza del Dovere. Non già avere un dovere perchè si vive, ma vivere perchè si ha un dovere; vivere in quanto si ha un dovere e in quanto lo si conosce; vivere per lui.
I medesimi pensieri Casalis esprime alcuni giorni dopo. Si vede ch’egli ha pensato e ripensato alla questione ed egli non solo fa in proposito affermazioni più che mai categoriche, ma espone chiaramente la parte che in tale missione, ad un. tempo civile e religiosa (civile perchè religiosa, religiosa perchè umana), debba prendere la corrente d’idee a cui egli appartiene e lo scopo supremo a cui la missione medesima debba mirare.
26 Aprile 1915.
Penso del continuo alla Francia di domani, a quella Giovine-Francia che aspetta l’ora sua. Occorre assolutamente ch’essa sia una Francia consacrata, in cui ci sarò una soia ragion d'essere : il Dovere.; in cui non si vivrò che in quanto si conoscerò il proprio dovere e si lotterà per compierlo. E tocca a noi, protestanti, o meglio a noi «credenti», di rivelare questa vita nuova al mondo.
Il dovere nostro è d’essere degli apostoli Il nostro dovere è chiaro; Gesù l’ha definito : « Siate perfetti, come è
perfetto il Padre vostro Celeste». Perfetti, in noi', ciò significa sviluppare la nostra personalità sino in fondo, farle rendere tutto ciò ch’essa può rendere; spingerla sino alla statura perfetta di Cristo. E poi perfetti negli altri (perchè, nevvero?, noi crediamo con tutte le forze nostre alla comunione dei santi): ciò che significa pregare per loro, perchè sappiano piegare le loro coscienze e le loro volontà alla volontà regale di Dio.
Due giorni dopo, Casalis chiarisce e completa il suo pensiero trattando in modo speciale degii aspetti che dovrà assumere tale missione civile e religiosa in quanto si rivolgerà all’elemento giovanile"della nazione:
Courcelles sur Aire, 28 Aprile 1915.
È cosa dolcissima, in momenti come questi, sentire che vi sono, intorno a noi e dietro di noi, altre anime che hanno la medesima nostra volontà di ideale e che proseguono la medesima «. Marche à iEtoile ». Se noi noi possiamo, altri lavoreranno alla grande opera della conquista del mondo al suo Re, al nostro Re. Altri sapranno portare in alto la fiaccola che noi sognavamo di portare innanzi.
Altri... Ma io ho troppa fede nella vita e nel suo valore per fermarmi a questa ipotesi. Non voglio prepararmi alla morte, ma alla vita. Alla vita eterna, senza dubbio ; ma, più immediatamente, alla vita terrena. Certo, quando tornerò, sarò necessario che, come tutti gli altri, io sia cambiato; non avrò più il diritto d’essere quello che ero prima; se no, a che cosa m’avrebbe servito questa guerra? Non abbiamo noi questa fede: ch’essa deve rinnovare l’umanità? E il nostro dovere non è forse d’essere rinnovati noi per i primi?
Più che pastori e missionari dobbiamo essere uomini; più ancora, dobbiamo essere apostoli. Dobbiamo* irra-
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diare molto al di là del nostro ambiente, dobbiamo raccogliere intorno a noi tutte le volontà buone; anzi: dobbiamo lottare perche ogni volontà colla quale entriamo in contatto diventi una volontà buona.
Tutte le formole vuote — per quanto belle, per quanto potentemente abbiano contribuito a far vivere delle anime — tutte le formole oggi vuote perchè oltrepassate e superate dal nostro pensiero filosofico o religioso, o dalla nostra esperienza, o dalla nostra concezione della vita: tutto ciò- deve scomparire. E ciò che metteremo al loro posto non sarà nè meno grande, nè meno bello, nè meno vero, se noi andiamo a cercarlo nel più prof ondo del' l'anima nostra unita a Dìo. E neanche sarà meno cristiano, perchè lo spirito di Cristo è uno spirito che vive, che si sviluppa e non può solidificarsi in una forma sempre identica a se stessa.
Dobbiamo preoccuparci specialmente dei giovani. Certo dobbiamo parlare sempre e senza stancarci di consolazione e di speranza. Ma la Chiesa nostra non deve diventare l’asilo degli scoraggiati e dei vinti; bisogna, sopra ogni altra cosa, parlare della vita, che si riassume in questa sola parola: il dovere. Consacrazione totale al dovere integrale: ecco ciò che dev'essere la vita dell'umanità nuova.
Tale essendo la missione civile e religiosa che s’impone pel dopoguerra è logico e naturale eh’essa conduca ad affermare con nuova enfasi la necessità del sacrificio e della rinunzia personale.
Scrive un giovane di cui non conosciamo il nome:
« Doux est le péril pour Christ et Franco. Cristo e Francia vanno insieme per noi, e poi anche la Francia pel Cristo; ciò implica grandi sacrifici,
e il primo, ora, è quello delle nostre vite, necessarie per la vittoria. Non che occorra inevitabilmente morire in questa guerra, perchè bisogna che ve ne siano di quelli che ritornino da questa guerra e parlino senza timore, e ve ne saranno.
Splendida sarà l’opera loro e ciò che darà maggior forza a quei privilegiati sarà ancóra e sempre la volontà assoluta da cui saranno animati di fare il sacrificio totale della loro vita. Sempre la stessa cosa: sacrificio; ma dal sacrificio deriva la purissima gioia.
• • •
LE VETTE
Considerando gl’intimi rapporti di amicizia die ormai ci legano agli eroi coi quali abbiamo passato tante belle, dolci ore d’intimità fraterna e gettando uno sguardo sulle molte carte che. in loro onore, siamo andati scrivendo, abbiamo l’impressione di avere, insieme a loro, asceso un monte, salendo dalla base dei sentimenti e degli affetti umani verso le sommità sempre più alte della vita morale e spirituale.
Ora tocchiamo le vette supreme della vita divina innestata nel cuore, nella coscienza e nell’anima di uomini che credono in Cristo, cioè che hanno riposto in lui la speranza suprema e che per lui ardono del supremo amore.
Su queste vette, i nostri amici prendono commiato da noi; essi non ci dicono «addio», ci dicono «arrivederci».
Arrivederci, « presso al Padre », in quella nuova condizione di vita, più pura, più alta, più giusta ih cui essi ci hanno preceduti, ih cui noi li raggiungeremo un giorno.
Intanto, sulle vette dov’essi ci lasciano, noi vogliamo rimanere: in un intimo raccoglimento fatto di ammirazione entusiastica, di commossa gratitudine e di virile risoluzione.
Una conversazione intima, un sublime soliloquio. — A. A. discorre con se stesso, colla propria anima.
Gratitudine. Gioia della vita. Ore belle trascorse a casa. Tenerezza filiale. Fratellanza. Amicizia nello stesso ideale.
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Gioie degli studi e del pensiero.
Ma, forse più ancora, e più profondamente, gioia di sentire una missione, di trovare una via, una via utile per l’umanità.
Lavorare all’arricchimento della razza umana; più precisamente, alla formazione di personalità; più precisamente ancora, alla formazione religiosa delle personalità.
Rendere più prossima e più viva la figura di Gesù per mezzo del pensièro e per. mezzo della vita. Far vedere che i pensieri cristiani sono le leggi della vita umana. Le parole di Gesù così profonde; la Croce; la Risurrezione. Dare in se stesso un esempio di quella vita. La vita unificata e l'azione intensificata. Gioia.
Amore di ciò che, nei pensieri, negli atti, è notevole fra gli alleati e fra gli avversari. Cavaliere del bene, servitore dell’umanità senza settarismo.
La guerra, dovere doloroso. Sentimenti coi .quali vi partecipo. Rimpianto dì non aver avuto abbastanza potenza per esercitare un’influenza nelle retrovie. Speranza di avere, sulla linea del fuoco, un’azione più profonda: spandere luce intorno a me. Speranza altresì d’imparare a conoscer meglio la vita, di capire in modo più realistico le leggi del dovere e del servizio. « O Dio ! insegnami, non a subire la mia sorte, ma a volerla1.-». La grande lezione della guerra attuale; non si vive per se stesso, ma per qualcosa di più grande che se stesso.
Il dovere perfettamente chiaro nonostante l’immenso mio amore per la vita; se muoio, morrò senza amarezza e senza rancore. Devo avere abbastanza umiltà per pensare che, senza di me, più’ profondamente che pel mio mezzo, si manifesterà il grande movimento di pensiero religioso, di cui da ogni parte appariscono i prodromi...
» * *
Un’ora di dubbio e di fede è quella trascorsa da Giovanni Klingcbiel la domenica 7 settembre 1916:
Giovanni mandò dei messaggeri a Gesù per chiedergli : « Sei tu colui che deve venire?».
Oggi, la guerra è sull’Europa. Quale sarà l’avvenire? Tra i popoli e le forze morali che trovansi di fronte, come si stabilirà l’equilibrio?
L’avvenire appartiene al diritto, alla giustizia e alla pace?
Signore, sei tu colui che deve venire? Nelle tenebre, nella violenzae nell’odio, Nonostante la nostra debolezza, Noi speriamo in te,
Noi crediamo in te, Dio onnipotente. Liberaci dal male
E il tuo regno venga.
Ma può ancora chiamarsi «dubbio» quel-rincertezza che si risolve in preghiera?
Quale elevazione spirituale e quale fiamma àrdente in queste « Preghiere » di Giovanni KHngebiel.
Domenica, 11 Giugno 1916, mattina di Pentecoste.
Signore,
In ¡spirito e verità bisogna servirti.
« Siamo ferventi di spirito », ha detto S. Paolo
Signore,
Dacci il tuo spirito che farà di noi il sale della terra e la luce del inondo.
Dal misero seme, affidato da noi al suolo ingrato, il tuo spirito farà germogliare l’albero gigante.
Il tuo spirito, Gesù Cristo, in noi. Tu hai detto ai tuoi discepoli: «Fra
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poco non mi vedrete più,'ma il Padre mio vi manderà il Consolatore, e mi rivedrete perchè io vivo e voi vivrete meco ».
Il tuo spirito, Signore, in ciascuno di noi, che siamo oggi dispersi, ma unanimi nell’amarti e nel servirti;
E’ lo spirito tuo che fa il bene delle nostre amicizie, ed è lui che ne fa il valóre.
In ciascuno di noi s’elabora la volontà d'essere, nella Francia di domani, gli operai dèi tuo Regno.
Dacci, Signore, il tuo spirito che fecondi quella volontà e faccia di noi dei servitori utili.
Domenica, 23 Luglio 1916 (1).
1° Raccoglimento.
Signore,
Il tuo nome è santo,
Tu sei onnipotente,
Noi t’adoriamo con tutta la forza del nostro cuore e del nostro pensiero.
20 Umiltà.
Abbiamo coscienza della nostra debolezza, della nostra pigrizia e della nostra impotenza.
Perdonaci le nostre offese.
Il tuo spirito può fare di noi, se lo vogliamo, il sale della terra.
3® Il dovere presente.
Dacci d’essere degni di quelli che sono morti e che muoiono davanti al nemico, per la salvezza della patria,
— dei nostri soldati,
— di coloro che per questa guerra soffrono, sul fronte e dietro il fronte.
(x) La preghiera è preceduta da questa nota: < Pronunci, in uno dei suoi studi morali e religiosi propone di decomporre la preghiera in 4 momenti successivi : Raccoglimento, Umiltà e consacrazióne, Richiesta, Attesa di Dio».
Fa rivivere in noi la fede e le speranze dei nostri compagni scomparsi.
Dacci di saper discernere i nostri doveri presenti e avvenire.
4° Richiesta.
I miei
Gli amici
La Federazione (2)
La Patria e la giustizia nella patria La Pace.
5° Attésa.
Signore,
Tu sei nostro Padre e nostro Dio, Ascoltaci,
Rispondi all’attesa nostra e alla nostra ricerca^
Sii con noi nel nostro sforzo. Dacci d'essere gli operai dèi tuo Regno.
• • •
Preghiera ritmica ritrovata nella sua cassetta di ufficiale :
Signore, in ci hai detto: Io sarò vostro Padre Di ciò. Signore, ho /atta la beata esperienza: Sentito ho la tremenda e turbante grandezza Ed ho sentito ancora la placante dolcezza
D'esser. Signor Iddio, uno dei figli tuoi.
Signore perche bisogna, s'io sono tuo figliuolo Ch'io non viva davvero come viver dovrei?
Lungi da Te trascorre la vita mia, la vita Da troppi ardui doveri veloce rimorchiata. Ogni giorno che passa il mio compito adempio Ma il mio compito è lungo ed il giorno è finito Ed ecco: esso è bastatto appena a terminare Quel mio compito.
È dunque sufficiale, Signore, È dunque sufficiente ad un uomo d'avere Adempiuto ogni giorno di quel giorno il suo compito Per avere compiuto tutto il suo mestier d'uomo?
Signore, oh mi concedi che ognuno de' miei atti Sappia mirar più lungi dello scopo immediato!
• • •
Della vita spirituale intima di Giovanni Fontaine Vive ricordiamo qui tre momenti.
Nel giugno 1914, dopo il naufragio del vapore « Empress of Ireland » nel quale perirono centinaia di persone, mentr’era ancora nel ricordo un altro naufragio atroce, quello
(2) degli Studenti cristiani.
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BILYCHNIS
del «Titanio, Fontaine Vive, vibrando e tremando,. lancia verso il cielo un grido d’angoscia che assomiglia ai più tragici fra gli antichi Salini :
0 mio Dio, la tua destra è terribile. Quante anime richiamate più presso a te, mio Dio, più presso a te; quante anime che avevano ancora un’opera da compiere su questa terra e che riposano adesso vicino a te nell'attesa delle opere eterne.
Il mio pensiero si ribella, o mio Dio, contro i tuoi disegni e non li può intendere. Ohi sì «forse avete un’azione ignota in cui entra come elemento il dolore dell’uomo». Forse avete bisogno di quelle anime per l’elaborazione delle vostre opere? Altrimenti bisognerebbe davvero dubitare della tua giustizia.
Dal fondo dell’abisso, ho gridato verso di Te, Signore, e le grandi acque hanno soffocato la voce della mia bocca.
Ma l'anima mia ha vinto la materia ed è volata a te.
Dal fondo dell’abisso, ho gridato a Te, Signore, e tu non hai udito le mie supplicazioni. Ma oggi m’hai accolto nelle tue dimore. « Vi sono diverse dimore nella casa di mio padre ».
O Padre nostro, abbi pietà di coloro che ancora non hanno parte al tuo regno ed abitano ancora nelle basse dimore di questa terra.
Sulle ali dell'angelo della morte, riconducili più presso a te, mio Dio, più presso a te. Abbi pietà di coloro che restano, consola gli afflitti colle promesse dell'Eterna Vita. Oh, Dio mio, i tuoi diségni sono insondabili.
I sentimenti più profondi dell’anima di Fontaine Vive si manifestano in una lettera ch’egli scrive nel dicembre 1915 alla sua fidanzata, al momento di partire per una pericolosa pattuglia:
Se muoio, sarà come ho sempre desiderato morire, nell’adempimento volontario del mio sacrificio per una causa
degna di quell'offerta. Spero che quel Dio che ho tanto cercato con un cuore così ardentemente desideroso di conoscerlo, mi riceverà nella sua pace. L’ho ricercato in ogni istante della mia vita, supplicandolo di farsi sempre più presente, vivente, in me. Io credo in Dio e in Colui ch’egli ha mandato per salvare il móndo. Oggi, più che mai, credo nel valore del cristianesimo per stabilire il mondo nuovo e supplico i miei fratelli in Cristo di affrettare la venuta del suo regno. Credo alla speciale designazione della Francia per essere la fiaccola del mondo, dei cristiani per essere la luce che guida la Francia. Chiedo a tutti coloro che ho offesi di perdonarmi come io loro perdono. Morrò per la Francia e per la salvezza del mondo per mezzo della Francia. Voi tutti che mi amate, non mi piangete; continuatemi; prendete il mio posto.
V’è ancora una pagina di Fontaine Vive che desideriamo rileggere prima di separarci da lui. Quella pagina si potrebbe con ragióne chiamare l’inno dell’amore.
Beato chi ha misurato il nulla della propria vita terrena colla misura della bellezza della Vita interiore. Ei s'assicura una calma e delle gioie imperiture. Accanto a quelle fonti inesauribili di pura felicità Che si chiamano amore e compassione, che sono mai quelle meschinità che si velano coi nomi di passione, ambizione, vita intensa? Più io vivo, e più io credo che un solo sentimento è padrone del móndo: l’amore ; non l'Eros antico, terrestre e cieco, imprigionato in forme carnali; ma l’amore cristiano che congloba in un termine solo il nostro, quello dei nostri amici, della nostra patria, il desiderio d'operare pel bene altrui, tutto ciò che sulla terra v’ha di bello, di buono, di giusto, tutte le tenerezze, tutti gl'intenerimenti, tutte le compassioni, le vere: quelle
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provenienti non da una ripulsione quasi fisiologica, ma da una attrazione morale; tutte le ambizioni, tutte le speranze.
Oh ! quant’è vera la parola del Cristo : < Dio è amore » che si può capovolgere: < l’Amore è Dio»!...
Che cosa rimane dei volumi di Marx? Appena alcune formole, ripudiate dalla metà dei socialisti. Di Aristotile? un nome. Di Kant? una scuola. Mentre la legge di Gesù, il sublime ignorante, trionfa e la minima sua parola — pur tracciata sulle pergamene da una mano di cent’anni più giovane — fa vivere ancora un mondo. Che m’hanno dato gl’innumerevoli volpini che ho letti? un senso profondo della debolezza umana, di fronte al risveglio del mio cuore rinfrancato dall’amore del grande amico, di fronte allo sbocciare di tutto il mio essere...
Sì, l’unica consolazione come l’unico sprone soltanto nell’amore universale si può trovare.
Anche Paolo Laffay ci ha lasciato una bella e preziosa pagina, un atto di fede eroica che accende chi la legge d’una indistruttibile speranza.
18 Settembre 1916.
Ecco l’ultimo mio saluto, che vi sarà consegnato dopo la mia morte, se sono colpito.
La morte non è spaventosa. La separazione è crudele per quelli che restano, ma non dimenticate che coloro i quali vivono in Dio non muoiono; La morte non è altro che una crisi nella nostra vita, un mezzo per passare ad una condizione migliore.
Nonostante la brutalità delle apparenze, restiamo viventi. Quando leggerete questa lettera sarò vivente, vivente
d’una vita più bella e più completa di quella che conosciamo quaggiù. Io non so quel che sarà tale vita; so una cosa: che sarà migliore e che noi saremo più prossimi a Dio.
... Sì, ve lo ripeto, nell'ora in cui leggerete queste righe, sarò vivente: Non crediate a coloro i quali diranno che sono morto.
Colui che vive e crede in me, ha detto Gesù, non morrà giammai. La morte non esiste. In che modo un pezzo di metallo potrebbe, annientarci, noi che Siamo figlioli di Dio? No, ciò non è possibile. La morte non può esistere. Se la morte fosse altra cosa che un momento della nostra vita, Gesù avreb-b’egli potuto morire? La morte non esiste. Se la morte esistesse, Gesù non sarebbe morto.
Non piangete, ma guardate a Colui che ci consola di tutte le nostre afflizioni. Per ine, la morte non ha nulla di triste, perchè so in chi ho creduto. Arrivederci Lassù.
Questa pagina sublime portava una firma molto semplice, ma molto eloquente:
Paolo Laffay, missionario e soldato.
Un altro aspetto dell’anima eroica ci è rivelato in una lettera di Andrea Cornei Au-quier. Per compiere il dovere, tutto il dovere, egli riesce a vincere i più intimi, i più profondi affetti familiari.
II Giugno 1915.
Siamo a quaranta o cinquanta metri dalla linea nemica. L'ora s'avvicina in cui balzeremo fuori dalle nostre trincee. Vi chiedo d’essere calmi e fiduciosi come lo sono io stesso. Rimettete con perfetta serenità la nostra causa a Dio. Il maggiore aiuto, la maggiore forza nel momento in cui mi slancierò alla testa dei miei uomini sarà il sentimento, la convinzione assoluta, che ho ottenuto
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da voi quello stato di spirito ch’è il solo degno di cristiani e di francesi.
Il sapervi pronti a tutti i sacrifici, lietamente acconsentiti, sarà per me il più sicuro mezzo di fare sino all’ultimo tutto il mio dovere di capo.
Se la volontà di Dio — senza la quale nulla mi succederà — fosse che io cada sul campo di battaglia, non cessate di benedirlo: Egli lavora pel nostro bene. E poi, non siamo gente senza speranza; se non è per quaggiù, è per lassù, e per sempre.
Non vorrei che l’affetto così forte che ci unisce gli uni agli altri nella famiglia fosse per me, nel momento in cui bisognerà respingere il nemico, una fonte di debolezza e d'infiacchimento; voglio che sia invece una corazza che-mi renda più forte contro il pericolo. Ho sempre voluto essere coraggioso; bisogna che mi aiutiate ad esserlo. Vi siete rallegrati con me della mia promozione (a capitano) ; me ne sono specialmente rallegrato per voi. L’onore che m’è Stato fatto implica dei doveri che voglio compiere senza venir mene. Prego Dio di aiutarmi: fate lo stesso. Vi stringo sul mio cuore con tutto il mio affetto filiale e fraterno, e vi bacio teneramente raccomandandovi al Padre celeste.
• • •
Ecco un altro testamento spirituale. È quello di Giovanni Monod.
Il 30 giugno 1916, convinto che la sua ambulanza partirà pel fronte l’indomani mattina, egli scrive una lunga lettera indirizzata a tutti i suoi cari.
Possano queste righe essere inutili e venirmi restituite, dopo la pace, al mio ritornò! Se non lo saranno, se le leggerete — voi ch’io amo e ai quali penso —- nel silenzio della notte, colle lacrime agli oc òhi, se una disgrazia è successa nell’: nbulanza, se n’è rimasto vittima l'infermière o il soldato Giovanni Monod, sappiate che non ho nè il desiderio nè
la pretesa di fare degli < addii », di scrivere un < testamento *, con una lunga lista di raccomandazioni : non ne ho il tempo e troverei inutili simili precauzioni.
Vi raccomando solo questo: Non dite: « Perchè è partito ? Perchè ha lasciato l'Asilo dei ciechi dove si rendeva utile ? » No, ho fatto bene, faccio bene di partire. E’ mio dovere, anche essendo di terza categoria; è mio dovere, data la mia età e la mia condizione di pastore. Se non la vedo, la Vittoria, avrò avuto il privilegio o l'illusione di fare uno sforzo per affrettarla. Non permettete che si faccia una lunga « orazione funebre ». Ancora una volta ho creduto far bene...
... Potessi io dire a tutti coloro ai quali penso in quest’ora tutto quanto loro devo, tutto ciò di cui li ringrazio! Non posso scriver loro, neppure nominarli tutti; coloro che sembro dimenticare non mi considerino come un ingrate.
Qui Monod fa una enumerazione che non è il caso di riprodurre. Notiamo solo che vi nomina « la cara e preziosa Federazione ». Di ciò che scrive per colei che già si rappresenta come vedova, citeremo solo poche righe :
Coraggio! i piccini hanno bisogno di te. Te li affido. Desidero ch'essi abbiano un’educazione religiosa solida, ma larga, dovunque essi siano. Coraggio! Mi sentirai sempre con te, vicino a te... Non voglio che la fanciullezza dei miei figliuoli sia oscurata per causa mia...
* * <
• Quando si poterono ricuperare i corpi dei caduti nelle ondate d’assalto, si trovò, nella tasca del cappotto di Casalis, il suo testamento, scritto con mano ferma, quattro giorni prima dell’assalto. Eccone l’ùltima pagina:
Sappiate che, al momento di andarmene, guardando in me stesso, ho creduto poter dire senza orgoglio ed anche senza falsa modestia : « Ho combattuto
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il buon combattimento, ho compiuto la corsa, ho serbata la fede ». E vorrei che tutti i miei amici, tutti coloro, che vh odo con me in ogni istante, ed il cui cuore batte col mio, potessero ridire la parola della nostra speranza : « Perchè io vivo, anche voi vivrete >.
• * •
Meditando queste pagine di Roberto Jalaguier ci si chiede spontaneamente se l’eroismo di simili risoluzioni spirituali, per-cui «ci si converte» a Dio, non vale quanto lo stesso eroismo della morte in guerra di colui che tali risoluzioni ha prese..
Il giorno prima di cadere, 12 aprile 1918, mentre difende con una sezione di mitragliatrici il villaggio di Hangard, Jalaguier scrive :
Bisogna abdicare: la Fede non può coabitare nell’anima mia assieme alle tendenze malvagie della mia personalità. Cercar Dio non significa voler trovare nella Bibbia una cognizione nuova da aggiungere al jpio bagaglio intellettuale, e neppure significa voler trovare il segreto d’una forza nuova: cercar Dio significa anzitutto rinunciare, rinunciare totalmente.
Constatato che ciò .è duro : perchè, rinunciando alle mie soddisfazioni, ai miei gusti, al piacere della mia vita (da non confondersi colla felicità), precipitò nel vuoto, poiché non conosco Iddio. « Occorre il vuoto per produrre la realtà della fede > (Frommel).
Ed ecco ora, tali e quali, le risoluzioni prese da Jalaguier il 13 gennaio 1918 e che fanno pensare ad una nuova notte di Pascal :
i° Pregare. La mia Bibbia.
2° Rinunciare ad ogni sogno d’avvenire per ME, all'egoismo.
3° Disciplina: esercitare la volontà mediante una vita metodica e lo studio.
Ed egli sviluppa questi tre capisaldi: — La mia Bibbia. Dio è eterno: il tempo, in sè, non esiste. Le parole ispirate sono le parole di Dio oggi, rivolte a me. Dio è grande, Dio è santo. Comprenderò questo, solo allorquando
il mio sforzo di volontà perseverante mi avrà condotto al punto voluto per ricevere la Sua grazia e lasciarla agire in me.
— Rinunciare. Io non sono nulla, perchè io sono peccatore e Dio è santo. Nulla voglio essere all’infuori di ciò che Dio vorrà fare di me. Tremenda risoluzione. Nè onori, nè gloria, nè ricchezze, nè affettò, nè stima, se Dio vuole diversamente. Non decidere alcuna cosa che non sia sottoposta a un esame sotto lo sguardo di Dio. Esser pronto al dolore, al ridicolo pubblico, se lo spirito cosciente della volontà divina' indica nettamente l’azione che farà soffrire, che farà canzonare la mia personalità umana.
— Disciplina. Programma di vita quotidiana, sforzo di volontà per seguirlo. Non il dolore mi condurrà a Dio, bensì il sentimento del mio peccato. Il dolore è temporaneo: per me, in questo momento, esso Chiamasi solitudine. Ma io voglio volere quanto mi sono prefisso, non perchè mi mancano le gioie di famiglia, ma perchè il mio peccato mi schiaccia. Oggi, 13 gennaio, più che mai sono peccatore. Voglia Iddio ch’io senta che sono perduto e che lo cerco non per essere felice, ma per essere salvato, accettando tutto quanto ora mi sembra esser la rovina delle mie speranze e della mia felicità sulla terra.
Io cerco ciò che in me parla in nome del Cristo (1): tutti i miei avi, la mia famiglia, i miei amici, Elie Gonnelle, i Salutisti viventi e umani, le testimonianze scritte, Frommel, Sautter, ecc.,
(1) In questo documento cosi umano e cosi tragico, l’anima giovane e sincera di Jalaguier non va cercando argomenti « d’autorità »ma cerca e trova le influenze vive e le radici profonde della sua esperienza religiosa.
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e mia madre che, nella sua indomabile speranza in me, mi sorride è m’incoraggia.
Essi dicono: « Gesù è; niuno viene al Padre se non per lui». Gesù salva; quando ero perso, quando ho voluto trionfare da solo, sono caduto, sebbene io conoscessi il Cristo e l’onorassi come mi avevano insegnato ad onorarlo. « Vivere significa andare al Padre per il tramite di Cristo, e servirlo ». Nulla v’ha nel mondo all’infuori di questo.
Ecco i>i che modo un giovane intellettuale s’è voltato verso Gesù il 13 gennaio 1918. Questa pagina di giornale è il più religioso e il più commovente appello dal fronte ch’io mi conosca. L’ho riprodotto qui. al termine del mio lavoro, come un programma di vita.
CONCLUSIONE
Poche parole soltanto.
Il problema «Cristianesimo e Guerra» è sempre stato — e rimane — problema di coscienza personale.
Certo si è che — generalizzandosi la mentalità cristiana dei combattenti di cui ci siamo occupati — si è sulla buona via, sull’unica via che conduce alla fine dei conflitti, all’abolizione della guerra.
Diremo noi dunque : « Benedétta la guerra, poiché essa è stata che ha maturato e rivelato anime sublimi e luminose come quelle dei nostri giovani eroi?»
Ciò non sia mai !
Ciò sarebbe bestemmia.
Una cosa in se stessa cattiva come la guerra — scatenamento della forza bruta — mai può essere dal cristianesimo benedetta, anche se indirettamente produce eccelse virtù.
Se in guerra i nostri giovani sono diventati quello che sono diventati, chissà di quali frutti benedetti sarebbe stata coronata la loro attività cristiana se la guerra non li avesse uccisi !
Diciamo dunque piuttosto : Benedetti loro che, soffrendoe morendo, hanno dato un meraviglioso risalto a virtù neglette o dimenticate ed hanno rimesso in piena luce la virtù centrale — e supremamente virile — del Cristianesimo : la virtù dell’abnegazione, della rinunzia e del sacrificio.
E, terminando, rievochiamo ancora una
volta le loro figure benedette, ripetendo ancora una volta le loro più assillanti parole:
Ho fede nella nostra missione in seno alla patria, nella missione di noi cristiani in marcia per guidar là sua marcia — afferma Fontaine Vive.
La vita è una cosa appassionante, essa vale d’esser vissuta. La vita è una cosa così semplice quando si ha per ¡scopo di far progredire il Regno di Dio — ci dice A. A.
E Casalis soggiunge :
Se accettate questo ideale, i vostri maggiori non avranno sofferto in vano. Rimaniamo fedeli a Colui che ci ha mostrato ciò che può e dev’essere una vita d’uomo. Rimaniamo fedeli al Cristo.
Nói non vogliamo che i nostri purissimi eroi siano morti invano. Noi accettiamo il loro ideale. Anche noi rimaniamo fedeli a Colui che ci ha mostrato ciò che può e dev’essere una vita d’uomo.
Ancora Casalis esclama:
Se noi noi possiamo, altri lavoreranno alla grande opera della conquista del mondo al suo Re, al nostro Re. Altri sapranno portare in alto la fiaccola che noi sognavamo di portare innanzi.
Questi altri siamo noi.
Noi abbiamo innanzi un compito assai più grave ed assai più vasto di quello che potrebbe consistere nei seguire il loro esempio ; abbiamo un compito tale eh'esso ci opprime* rebbe se invece non ci esaltasse: dobbiamo lavorare con maggiore intensità, con maggiore consacrazione di quanto ci sarebbe forse stato lecito lavorare s’essi fossero vissuti ; dobbiamo adempiere il loro e il nostro compito, realizzare la loro e la nostra missione...
Sorga una falange di giovani unicamente consacrati a Dio! Sorga ed inizi il buon combattimento ! — ci grida Massip.
E Giovanni Fontaine Vive dall’Al di là misterioso e glorioso ancora ci esorta :
Voi tutti che mi amate, non mi piangete; continuatemi; prendete il mio posto !
Giovanni E. Meille.
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SENZA CASA, MA CON DIO
(PENSIERO)
01 abbiamo più degli antichi bisogno di religione pura, intensa, uni versale. Presso gli antichi (se e in quanto è vero quel che argomenta e mostra Fustel de Coulange nella Cité antique, liv. I, chap. I-IV) il culto dei morti e del focolare domestico costante teneva fino a un certo punto il luogo della vera religione. Ma se fin d’allora gli schiavi e i poveri che non avevano casa (inquilinus era termine gravemente
spregiativo) non avevano antenati nè dei, ora che siamo quasi tutti inquilini anche i
mediocremente agiati, che dei pochi padroni della casa che abitano, i più se là sono fatta da poco tempo, ora che una sola generazione cambia casa dieci, venti., trenta volte e anche più, ora che i rarissimi che hanno palazzi aviti ne stanno fuori, la più parte dell’anno, il Lare, il dio domestico, non basta più e non s’intende nemmeno. Irreligione? Scostumatezza? Eh sì. è anche questo parte della irreligione e della scostumatezza, degli irreligiosi e degli scostumati, ma cóme effetto, non come causa, come vorrebbero i psicologi da strapazzo, dell'<nn6renle. Pei religiosi e costumati si converte in mezzo di più largo sentile, di più sublime intendere, di ascensione dello spirito, di religione -più alta e più vera. E non solo è stimolo a chi giunge, è bisogno di chi deve arrivare. Dio non è più nell’angusta cappella della casa, nella chiesetta del villàggio, talora più cara al viandante che la trova per la prima volta che a tale che v’ha giocato bambino come i suoi vecchi facevano, ma in mezzo all’Oceano, nella notte stellata, ma nell'anima dell’uomo; non è il Dio d’Àbramo e di Giacobbe, è quel Dio del quale tutti d membra sumus, e nel quale viviamo e che portiamo con noi dovunque, o dal quale piuttosto siamo dovunque portati. E nella dispersione, nel rallentarsi dei vincoli umani tanto più abbiamo bisogno di Lui, ossia di sentirne la presenza, perchè quando tutte ci abbandona. Egli solo È.
Michelanciolo Billia.
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<... ma in mezzo ali oceano, netta natte atettala »
(V-VM920)
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GIACOMO PEREZ DI VALENZA 0. S. A. VESCOVO DI CHRYSOPOLI E LA TEOLOGIA DI LUTERO
n Bilychnis del giugno 1914 ho confrontato la teologia di Agostino Favaroni, Generale degli Agostiniani, colle idee dominai iche di Lutero dimostrando che molte dottrine che finora erano state ritenute una « invenzione » o « innovazione » di Lutero si trovavano molto tempo prima di lui nella tradizione agostiniana.
Oggi nello stesso intento voglio trarre dall'oblio nel quale è caduto, un altro teologo agostiniano, spagnolo questa volta.
comunemente conosciuto col nome di Jacobus Valentinus 0 Jacobus Perez che fu vescovo titolare di Chrysopoli e vicario generale per la diocesi di Valenza di Rodrigo Borgia, il futuro Alessandro VI.
Di questo Perez che morì nel 1490 — quando Lutero era ancora bambino di sette anni — abbiamo un* diffusissimo Commentario sui Sa/mi,sui Cantici, sul Canticum Canticorum ed un Trattato contro gli Ebrei, che dal 1484 al 1512 furono stampati e ristampati molte volte in Spagna ed in Francia. Lutero principiò il suo Commentario sui Salmi soltanto nell’autunno del 1513. Della persona di Perez spero occuparmi un'altra volta piò estesamente; mi preme oggi soltanto di fare conoscere ai lettori alcune sue idee dommatiche che in Lutero furono più tardi attaccate, vituperate, ed in parte condannate, dopo che a lui ne fu attribuita la Paternità.
LA FEDE
Abbastanza conosciuta è la posizione centrale e cardinale che Lutero attribuisce alla fede, facendo dipendere e i progressi e i regressi nella vita cristiana dall’aumento o dalla diminuzione della fede. Così scrive nel suo famoso trattato sulla libertà cristiana: Dum bonus aut malus quisquam efficitur non hoc ab operibus sed a fide nel incredulitate oritur. (EW., VII, 62) Ed altrove insegna: Quocirca clarum est his qui cupiditatibus pravis cedunt et obsequuntur solam fidem deesse ver am loricam et armaturam Dei. (EW., 1,16). Secondo Lutero dunque la ragione primaria
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BILYCHNIS
e centrale dei nostri .divèrsissimi peccati è da attribuire ad una mancanza di fede. H. Grisar (Luther 1017), non è riuscito a comprendere questa teologia.
Orbene, questo modo di stabilire la causa primaria dei più diversi peccati in una mancanza di fede esisteva prima di Lutero come vediamo in Perez nella sua Questione finale.
« A Hi autem dicunt quod causa quare multi viri periti et mali Praelati ducunt vitam pravam est dejectus fidei et per consequens caritatis, nam licet praedicent legem evangelicam et subtilissimis rationibus reddant rationem de rebus divinis et noverint Canonica Jura, tamen non firmiter credunt articulis fidei ideo factis negant quod verbis eonfitentur. Et sic committunt multa enormia et illicita lontra Legem Dei et sacros Canones Ecclesiae. Ex quo patet quod non habent firmam fidem sed solam opinionem de his quae dicunt sicut dicit Aristoteles de incontinente ».
Da questo testo di Perez risulta dunque che certi « altri » vedevano prima di Lutero nel « defectus fidei » la causa dei peccati, ma risulta anche che questi altri erano inoltre d’avviso che i cattivi cristiani non hanno una firma fides anzi nemmeno una fides, ma soltanto una opinio. E questo dirà più tardi testualmente anche Lutero: « Nam fides mortua > — cioè la fides informis dei cattivi cristiani — «nonest fidessed opini©». (Diss. Lips. EW., II, 425). Risulta finalmente da questo testo che: se la mancanza di jede ha come conseguenza {per consequens) una mancanza di carità, deve esistere un nesso interno necessario fra fede e carità,, e la fede deve poter produrre o generare la carità. Ed infatti Perez insegna ciò nel commetario al Salmo 120 scrivendo: « Sperato, id est per fidem veram et spem ex quibus sequilur charitas ». Di quest’avviso era anche Lutero. (Ved. Muller: Luthers Werdegang, p. 106 ss.).
LA SPERANZA E LA CERTEZZA DELLE SALUTE
La definizione della speranza come la dà Pietro Lombardo: «spes est exspectatio futurae beatitudinis ex grafia et meritis praecedentibus » (proveniens) urtava fortemente Lutero perchè favoriva i naturalisti in teologia, che facevano delle nostre opere, dei nostri meriti il jondamento dèlia nostra beatitudine eterna. Diverse volte perciò Lutero si scaglia contro questa definizione del Lombardo (EW., I, 70, 84, 428 V., V. 175) ed insiste nel concetto che la nostra speranza non proviene dai nostri meriti, ma che anzi i nostri meriti sono causali dalla nostra speranza:
« Quocirca diffinitio spei apud Magistrali) Sententiarum vel est falsa vel est obscura et non intelligibiliter posita, quia spes non proventi ex meritis sed conira merita proveniunl ex spe, quia sicut fides, ita spes, ita charitas necesse est ut sint ante ornne opus meriti priores. Provenit enim spes nonnisi ex miserante et infondente Deo, nec habet objectum vel materiam seu fundamentum aliud quam ipsam nudam Dei misericordiam nequaquam opera nostra quae sunt potius obiectum et ex quibus provenit desperatio » (Decem Praecepta EW., I, 428).
Anche Perez trova la definizione del Lombardo « insufficiente » e non rispondente alla sua propria teoria sulla speranza. Completamente d'accordo con Lu-
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G. PEREZ E LA TEOLOGIA DI LUTERO
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tero, Perez, stabilisce che non soltanto i meriti provengono dalla speranza ma anzi che la speranza deve precedere i meriti perchè ne è la causa. Da questa dottrina mi pare lecito trarre una illazione scolastica. Se la speranza è la causa dei nostri meriti e li precede necessariamente, questa speranza come la fede e la carità alle quali è nel caso nostro legata, devono, nella mente di Perez, essere immeritate ed infuse gratuitamente da dio come insegna anche Lutero nel testo surriferito.
Perez in Ps. 118, scrive:
« Unde spes est habitus quo animus sive voluntas sublevatur a terrenis ad con-stituendum finem suum in summo bono amato. Et sic spes haec habet quatuor effectus. Nam primo sublevat voluntatem a terrenis mundana contemnendo. Se-cundo facit eam finem constituere in summo bono amato. Tertio facit ipsam opérari propter illum finem et non propter alium, nec propter aliud. Quarto exhibet ei patien-tiam in mora et tarditate...
« Item sequitur quod definitio spei data a Magistro non est sufficiens nec evacuai nostrum propositum spei cum dicit: Quod spes est exspectatio futurae beatitudinis ex gratta et meritis praecedentibus. Nam habitus infusus spei non sequitur meritum sed immo praecedit immo est causa merendi quia in tantum meretur quis in quantum operatur per spem ratione summi boni quia si spes non sublevaret ad operandum propter solum Deum, operator non mereretur. Nam sicut actus mo-ralis non est dignus laude nisi proveniat ex habitu morali ita operatio non est meritoria beatitudinis nisi proveniat ab habitu theologico scilicet fide.spe et charitate. Qui quidem habitus semper est junctus et inseparabilis a gratia gratificante. Ideo actus spei non est proprie expectare sed sperare quod idem est quod ultimatum finem in Deo constituere. Et ex hoc sequitur meritum dignificans ad beatitudinem aeternam cónsequendam ». .
Più importante per la ripercussione teologica che dovrà poi avere, è l'accordo completo fra Lutero e Perez sulla certezza della salute. Non intendo trattare qui della cosidetta certitudo gramar o della questione se l’uomo può avere la certezza di essere in stato di grazia ed in base a quali mezzi egli può ottenére questa certezza. Qui intendo soltanto parlare della certitudo salutis, cioè se l’uomo può, o magari ¿ew essere certo di ottenere nel Juturo la beatitudine eterna e su quale base poggia questa certezza. A questo proposito Lutero inculca i principi seguenti: Non è soltanto necessario di credere che Cristo sia morto e resuscitato per i peccati degli uomini — ciò che sarebbe la fides — ma è anche necessario di credere fermamente che Cristo sia morto e resuscitato per redimere me, per salvare me, per beatificare me, e questo sarebbe la fides-fiducia o la fides-confidenlia, che è assolutamente necessaria per ottenere da Dio sia la remissione dei. peccati, sia qualunque altra grazia. Chi non ha questa fiducia o confidentia non otterrà niente da Dio e chi l’ha, otterrà tutto ciò che domanda. (Ved. per esempio Trattato in Matth., cap. IX, XVII). Tanto più il cristiano dispererà di sè per arrivare a questo beato fine e riporrà tutta la sua speranza e fiducia in Cristo totalmente ed esclusivamente, e tanto più invincibile e più sicuro e certo sarà della sua salute. Questa certezza, questa sicurezza deve essere
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1 wu 'i i* i -^. ■■■
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ottenuta e sentita da ogni fedele. (Ved. Seeberg: die Lehre Luthers, Leipzig, 1917, pag. 228 ss ).
Prima di Lutero Perez aveva già insegnato con parole esplicite questa dottrina in tutti i suoi particolari.
In Ps. 90: « Unde est advertendum quod fideles ponunt spem suam in Christum primo: in praesenti ponendo spem et fiduciam suam in passione Christi et sacramentis ecclesiae per quae credunt liberari ab omni peccato, secundo: ponendo iotam spem in coelestibus praemiis contennendo terrena, et hoc est se committere divino adiutori©, et totem impossibile est perire nec a diabolo superaré, et frane conclusionem proponit propheta dicens: Omnis ille qui habitat in adiutorio Christi filii Dei altissimi, id est illius adiutorio et auxilio se totaliter committit omni alia mundana fiducia et spe relicta, ille commorabitur in protectione Dei coeli id est coelesti protectione defendetur et protegetur et per consequens numquam peribit nec superabitur a diabolo nec ab homine nec aliqua tentatione vincetur. Et sequitur quomodo ponit aliquis suam habitationem in adiutorio Altissimi dicens:- quod ille qui vult se divino adiutorio committere dicet Domino nostro Jesu Christo sic: Tu es susceptor meus quia liberasti me per passionem, tu es refugium meum quia ad te coniugio ut sanes per sacramentorum medicationem et tu es Deus meus per specialem cultum et adorationem quasi diceret quod confiteatur Christum verum esse Messiam et verum Redemptorem et sic dicet et proponet in corde suo: Sperábo id est totani spem et fiduciam meam pono in co operando et dirigendo mea opera in eum. Quasi dicat quod ille vere se recommitlit adiutorio Christi qui su-scepit ipsum in Redemptorem et Salvatorem et credit ipsum esse verum Deum et operai™ secundum legem evangelica*! propter praemium vitae aeternae et per consequens credit ipsum esse verum Messiam et etiam credit et praedicat firma fide quod ipse Christus liberava me de laqueo venantium et a verbo aspero.
« Ad cuius intellectum est notandum quod laqueus venantium dicitur peccatum primi parentis... Egressum est verbum àsperum a Deo cum data est sententia eis ut ejicerentur et felicitate in praesenti et in futuro privarentur...
« Dicat ergo omnis Fidelis ipsi Christo: Ego fiducialiter sperabo in eum scilicet Christum Messiam et Salvatore*! in Lege promissum quoniam per mortem et passionem suam liberavit me de laqueo peccati et culpae ipsorum daemoniorum venantium et per suam resurreclionem liberavit me a verbo aspero, id est sententia mortis aeternae et miserabili 'servitole diaboli et miseria poenalitatum et dura maledictione. Quasi dicat propheta quod ista debet esse firmissima fides et fiducia cuiuscumque fidelis. Et hoc est se committere divino adiutorio quasi dicat: Si commiseris te divino adiutorio et confugeris ad refugium Christi, non eris deceptus immo liberatus et dices id est poteris dicere Domino agendo gratias: Nunc cognosco quia tu es susceptor meus et verum refugium meum quoniam ipse liberavit me de laqueo venantium et a Vèrbo aspero eo modo quo dictum est... ».
Per me non c’è differenza fra Perez e Lutero!
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LA CONTRIZIONE (POENITENTIA)
Nel mio ultimo opuscolo: Luthers Werdegang, pag. ioi ss. ho descritto il metodo dei naturalisti in teologia per eccitare la contrizione o attrizione, metodo basato completamente sulle forze naturali dell’uomo e sul a timor serviliter servilis inferni». Lutero odiava un tal metodo per ragioni psicologiche e dommatiche. A lui che soffriva tanto di scrupoli non poteva piacere un metodo basato esclusivamente sulla paura e sulla considerazione diretta della laidezza del peccato in specie, perchè fonte di nuove paure e nuove tentazioni scrupolose. Dommaticamente questo metodo non poteva piacergli perchè se l’uomo è capace per le sole sue virtù naturali di obbligare Dio a concedere sia «ex condigno», sia «ex congruo» la grazia, l’attrizione o la contrizione, allora l’uomo rimarrebbe se non «in toto» almeno «in tanto» Salvatore e Redentore di se stesso. Perciò, secondo Lutero, è richiesto in primo luogo per eccitare la contrizione l’azione della grazia di Dio. Sotto l’azione di questa grazia, che porta già con sè la contrizione, il peccatore deve considerare nella Passione di Cristo il peccato come offesa di Dio Buono per eccitarsi all'amore di Dio e soltanto alla fine (e non in principio) deve considerare nella luce sotto la spinta dell’amore divino il peccato in sè stesso e nelle sue conseguenze dannose per lo stesso peccatore. (EW., VII, 361).
Anche in questo punto Perez va completamente d’accordo con Lutero.
In Ps. 6: «Nam primo peccator ex gratia praeveniente cognoscit se peccasse contra Deun summum bonum. Et sic detestatur et abominatur peccatum et convertitur ad Deum et Tune (sic) considérât poenam sibi debitam ex rea tu. Et sic incutitur ipsi timor futuri judicii, tune ex tali timore et amore Dei prorumpit in dolorem... ».
In Ps. 31: « In hac parte David ostendit quod poenitentia habet virtutem a sola Passione Christi et quod non est valida nisi fiat cum fide et spe misericordiae Christi. Nam fides Christi et spes veniae deducit peccatorem ad poenitentiam. Et ideo unusquisque peccator debet. recurrere ad Passionem Christi per quam sol-vitur omne debitum et illam Passionem debemus applicare cum nostra poenitentia. aliter poenitentia esset invalida. Hoc ergo praevidens in spiritu David quod nemo poterai saivari nec a peccato absolví nisi per fidem et passionem Christi Mediatoris dicit... ».
Non conviene lasciare questo testo di Perez senza attirare l'attenzione del lettore su di un’altra identità dottrinale fra lui e Lutero. Perez dice nell'ultima riga del secondo testo che nessuno può essere assolto dal peccato nisi per fidem et pas sionem Christi e più avanti insegna che la poenitentia non est valida nisi fiat cum fide et spe misericordiae Christi. E questa era anche la dottrina di Lutero. (Vedi EW., I, 596).
PECCATO ORIGINALE, CONCUPISCENZA, BATTESIMO
Per Lutero il peccato originale non è soltanto come volevano i naturalisti in eologia una «privati© qualitatis in volúntate», ma addirittura una «privati©
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universae rectiludinis ed una « debilitatio omium sensuum et virium animae et corporis » eon « pronitas ad malum » e « nausea ad bonum ». Questa privazione e debilitazione vengono odiate da Dio nell'uomo ed imputate a noi perché l’uomo prima del battesimo è tenuto sotto pena dell'ira e indignazione di Dio a riavere la giustizia originale perduta. Lutero insieme con tutta la prescolastica agostiniana identifica questo peccato d’origine colla concupiscenza, perchè la concupiscenza non solo costituisce, ma trasmette anche il peccato originale. Questa concupiscenza non è soltanto il retaggio dei nostri primi parenti, ma è anche, per mezzo del consenso,, l’origine e la causa dei nostri peccati attuali, e personali, e perciò non deve essere limitata alla « libidine », ma deve comprendere tutti i nostri desideri contrari allá legge ih modo che ne provengano i peccati di superbia e avarizia come quelli di ira ed odio, ecc. Nel battesimo questa concupiscenza non viene minimamente riabilitata, nè viene tolto colla grazia battesimale questo disordine fra le forze inferiori e superiori nostre, ma per causa del battesimo Dio non imputa più a noi come peccato grave la Concupiscenza finché non accediamo colla nostra volontà ai suoi suggerimenti. Però anche dopo il battesimo Dio ci imputa i movimenti indeliberati della concupiscenza come peccato veniale. (Ved. Müller, Luthers Quellen, p. 84 ss.; Seeberg, Die Lehre Luthers, p. 84, 85).
Perez ha su questi capi di dottrina le medesime idee che Lutero. Se il lettore considererà attentamente i testi seguenti di Perez vedrà che il peccato originale è un indebolimento di tutte le forze umane e una privazione di tutta la giustizia originale « cum debito habendi eam », se non si vuole incorrere l’ira e l’indignazione di Dio. Siamo tutti «proni ad scolerà» ed incapaci del bene, (in ps. 13). Anche Perez trova che la concupiscenza costituisce il peccato originale, ne è là causa formale, e sotto il nome di « concupiscenza » non intende soltanto la libidine, ma come Lutero il peccato in generale dal quale vengono col nostro consenso tutti i nostri peccati attuali: superbia, avarizia, ira, odio, ecc. (in ps. 18). Per mezzo della concupiscenza in quanto libido, il peccato originale viene trasmesso alla posterità (in ps.45). Quanto alla dottrina sugli effetti del battesimo di fronte al peccato originale non c’è differenza fra Perez e Lutero, sostenendo ambedue che dopo il battesimo la concupiscenza non viene più imputata « ad culpam et poenam damni » se non accede il consenso deliberato, mentre il consenso indeliberato viene imputato a peccato veniale.
In ps. 118: «Nam primo illa concupiscèntia sive fomes per suam unionem et contubernium causai peccatum et culpam originalem Jormaliter in anima secundum modum loquendi doctorum et per instigationem et consensum causat culpam actualem et mortalem in anima... ».
In ps. 45: « Sed bene inflicta est illa corruptio et concupiscèntia in carne, quae sicul per consortium et solam unionem causai culpam originalem in anima, per quam homo obligatur ad poenam damni, ita illa corruptio in adultis causat per consensum peccatum actúale... ».
« Quaestio finalis: Primi patentes licet per peccatum non perdiderint bona
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speciei quae sunt vires naturales ipsius animae et corporis tamen perdiderunt modum et ordinem et finem quia fuerunt expoliati omnibus bonis et habitibus omnium potenti arum quibus expedite et recte et ordinate operabantur et per con-sequens fuerunt expoliati illa originali justitia cum suo praemio.
« Homo per peccatum non solum fuit expoliatus omnibus bonis modi et ordinis et finis naturalis sed etiam juit percussus et saucialus in omnibus potentiis et in tota persona et hoc quintuplici vulnere propter quod non potest libere nec faciliter operari.
«Sed utrum vulnus concupiscentiae dicat aliquam formam positivamsuperadditam sensualitati, an dicat solam privationem modi et ordinis longum esset hic disputare... Sed sufficit ad praesens scire quod sicut sensualitas sive appetitus sensitivus fuit sauciatus vulnere pravae concupiscentiae et inclinations ad voluptuosa et delectabilia et utilia quae sunt falsa bona, ita voluntas rationalis fuit vulnerata quodam vulnere ■coed et inordinati amor is et complacentiae ut caeteris omissis velit sensualitati compiacere. Et ideo dicit Augustinus libro de perfectione justitiae hominis quod ex tali vulnere manet nostrum liberum arbitrium claudicatum et sic oportet ut sanetur per gratiam ad hoc quod recte velit et operetur.
Quaestio fìnalis:
«Quaequidem gratia baptismalis tollit omnedebitum et orane peccatum examina ut non insit nec imputetur homini ad poenam aeternam et tollit ex carne concu-piscentiam, non ut non insit, quia ibi manet in habilu sed ut non imputetur animae ad peccatum per dus consortium: unde ille fomes et concupiscentia, quae manet in carne post Baptismum non imputatur homini nec animae ad peccatum (cioè: mortale) per solum habitum, sed reputatur ad peccatum per actum cum consensu scilicet quando voluntas consentit actibus concupiscentiae.
« Dubium primum... Ex quibus patet quod quatuor facit baptismus. Nam primo tollit omne peccatum ab anima. Secundo tollit concupiscentiam non ut non insit in carne, sed ut non imputetur ut, inquit Augustinus in libro de Nuptiis. Tertio facit ipsum baptizatum meritorium vitae aeternae ilico post mortem. Quarto facit ipsum meritorium ut resurgat in corpus gloriosum in novissimo die.
« Dubium tertium... Anima nostra per consortium corporis corrupti in suo principio non solum contrahit privationem et carentiam omnium bonorum modi et ordinis et gratiae sieut dictum est in quinta Conclusione, sed eliam contrahit odium et iram Dei et debitum bonorum perditorum in Adam cum suis operationibus, QUIA OBLIGATUR AD RECUPERANDUM ILLUM STATUM CUM OMNIBUS BONIS NATURAE inditis: scilicet cum illa originali justitia in voluntate et cum omnibus habitibus tarn intellectualibus quam moralibus et cum ilio debito ordine et conformitate sensualitatis ad rationem et voluntatis ad deum et cum illa gratia gratifica qua fuisset post longam vitam translatus homo in meliorem: et sic Deus non solum re-quirit ab homine omnes illos habitus lune inditos et concreatos sed eliam requirit opera-tiones eorum. Et sic manet ille infans ilico obligatus ad debitum omnium illorum ideo peccatum originale non est solum privati© et carentia omnium illorum sed etiam cum debito eorum immo ratio jormalis peccati originalis est debitum illorum
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cum indignatione Dei et ira. Et ideo non est dicendum quod per Baptismum tol-laiur privatio supradictorum bonorum et quod justitia originalis cum caeteris ha-bitibus et bonis recuperetur et corruptio et fomes auferatur, sed solum absolvitur baptizatus ab omni debito ne privatio iUorum bonorum et concupiscentia-carnis ad cuipam et poenam imputetur. Ideo dicit Augustinus in libro de nuptiis quod ba-ptismus non tollit concupiscentiam, ut non insù, sed ut non imputetur et non obsit.
In Magnificat... < Sed quia ille Baptismus licet abluat animam et tollat cuipam originalem ab ea et absolvat earn a debito et reducat in gratiam, tamen non tollit fomitem concupiscentiae ut non insit in carne, licet tollat ut non imputetur animae ad peccatum sicut ante Baptismum; sed adhuc manet illa morbida concupiscentia in carne in qua seminaliter sunt et latent omnia peccata mortalia: ex qua concupiscono Ha omnia mala oriuntur eo quod semper pugnat et luctatur adversus Spiritum et rationem. Ideo sicut illa concupiscentia carnis ante Baptismum per scium consortium causabat originale in anima, ita post Baptismum per consensum deliberatum causai peccatum et cuipam actualem et mortalem in volúntate et anima per quam obligatur ad poenam aeternani; et per solum consensum indeliberalum causai veniale».
Denifle e Grisar, che hanno voluto ignorare questo sistema teologico, hanno creduto e sentenziato che la frequente menzione della concupiscenza negli scritti di Lutero fosse dovuta alla sua esuberante ed insofferente personale concupiscenza, mentre sappiamo adesso, anche per mezzo di Perez, che nel sistema teologico agostiniano la concupiscenza, o peccato originale, ha una tale importanza, che di essa si deve necessariamente parlare con grande frequenza.
IL MATRIMONIO
Se là concupiscenza ed il peccato originale vengono talmente avvicinati se non addirittura identificati, e Se la concupiscenza non è mai nello stato attuale una cosa buona, necessariamente l'atto matrimoniale, che non può essere esercitato senza voluntaria concupiscenza, doveva mettere alquanto in imbarazzo, i sostenitori dj questo sistema. Infatti, la teoria di Lutero sull’atto matrimoniale è stata giudicata severamente da Denifle. Questa teoria, però, non è stata inventata da lui, che anche in questa dottrina non ha fatto che seguire la sua scuola agostiniana. Lutero crede che l’atto matrimoniale non può essere esercitato senza peccato, ma che Dio non imputa questo peccato perchè inevitabile...
Perez è dello stesso parere:
« In Magnificat: Sed quia post supradicta sacramenta semper in hoc mundo manet inordinata concupiscentia in carne, quae semper inordinate concitai actum venereum praeter intentum generationis et ideo propter talem maledictionem non potest Ule actus exerceri absque peccato mortali. Ideo Deus instituit Sacramentum Matrimonii inter conjuges ad remedium libidinis, ne tale officium quod non fit sine libidine imputetur eis ad peccatum mortale. I taque sicut Baptismus non tollit habi-tualem concupiscentiam ut non sit in carne, sed ut non imputetur ad peccatum originale ipsi animae per consortium, ita Sacramentum Matrimonii non tollit libi-
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dinem actualem, ut non insit inter conjuges in officio venereo, sedtollitur utnonim-putetur eis ad peccaium mortale, si debite et absque abusu. exerceant ilium actum et officium. Et sic patet quomodo ad remedium libidinis et ad èxcusandum peccaium necessarium fuit matrimonium, quia solum sacramentum matrimonii tollit el ex-cusat peccatum mortale in omni actu venereo ut inquit Augustinus in libro de nuptiis... Ergo solum conjugium excusat peccatum ».
In Ps. 118: «Nullum aliud sacramentum excusat peccatum carnis ante jactum el in Jacto praeter sacramentum matrimonii ut dictum est. Hoe idem probatur. Nam concupiscentia carnis ideo dieitur poena peccati eo quod non potest venire in actum nisi inordinate, ut ait Augustinus, et per consequens non sine peccato...».
. LIBERO ARBITRIO
Conosciutissima è la dottrina di Lutero sulle forze proprie e naturali dell’arbitrio umano, dopo il peccato originale, senza aiuto della grazia, nelle cose morali c sovrannaturali. Sappiamo che, secondo Lutero, quest'arbitrio è incapace di fare il bene, anche il bene morale, di evitare il male e di prepararsi alla grazia. Quest’arbitrio, invece, non è capace che di fare il male, e poiché colui che pecca si rende servo o schiavo del peccato, così Lutero ha chiamato quest’arbitrio sempre servo del peccato, servo arbitrio, non parendogli giusto, che un arbitrio che non è libero, cioè non ha là forza propria di fare il bene, ma soltanto il male, debba chiamarsi libero, finche non sia liberato dalla grazia.
Da buon agostiniano Perez descrive ih molti luoghi l’incapacità dell’arbitrio umano, senza la grazia. Già nel Prologo troviamo il passo seguente: « Et ultra hoc fuit taliter vulneratus et sauciatus in appetito sensitivo quod non potest resistere carni, nec mundo, nec diabolo, nec potest implere praecepta Dei, nisi Juerit adiutus et vivificalus per grati am •». Nello stesso Prologo Perez ripete poi, che senza la .grazia l’uomo non può evitare il peccalo, non può pare il bene, non può osservare i comanda-menti di Dio. La stessa dottrina viene ripetuta nei commentari sui Salmi 13, 18 e 45. Nel Salmo 118, Perez si duole del « liberum afbitrium vulneratom », della libertas bene agendi impedita, della declinano in malum inflicta... Finalmente, nella «questione Finale», insiste ancora : non potest homo, nec libere, nec Jaciliter ope-rari e di nuovo: oportet ut sanetur per gratiam ad hoc quod recto velit et operelur. S. Agostino non ha esagerato dicendo: quod nullus potest de se vitare malum nec implere divina praecepta. (ibidem)
In dipendenza da questa incapacità del nostro arbitrio non ancora reso libero dalla grazia e in dipendenza da questa necessità assoluta della grazia per fare il bene ed evitare il male, Perez ha una opinione tutta agostiniana sulla nostra giustizia di fronte a Dio. Se si eccettuano Cristo e Maria Vergine, tutti gli altri mortali, anche tutti gli altri santi, sono peccatori ed hanno bisogno di poenitentia, (in ps. 31). Anche tutti questi santi debbono pregare cosi: « Libera me in tua justitia et non in mea, quia in me nulla est justitia sed so/mm peccatum » (in ps. 30). Nessun
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giusto può volere che Dio entri in giudizio con lui. Se è stato liberato, almeno dai peccato originale e preservato da tanti peccati attuali, non deve ciò ai suoi meriti ed alle sue proprie forze, ma alla grazia di.Dio (in ps. 118).
LA DOPPIA GIUSTIZIA O GIUSTIZIA DI CRISTO E NOSTRA. SODDISFAZIÓNE E BEATITUDINE ETERNA
Lutero stabilisce una doppia giustizia nostra, cioè una giustizia nostra originata dalla grazia di Cristo e dalle opere buone che la grazia ci fa fare, ed una giustizia di Cristo, che diventa nostra perchè deve venirci applicata ed aggiunta alla nostra, se vogliamo ottenere la soddisfazione per i nostri peccali & l’ingrèsso al cielo, essendo la nostra giustizia senza quest'applicazione della giustizia di Cristo insufficiente per farci ottenere i due predetti scopi. In vista delle gravi conseguenze che doveva avere sulle dottrine concernenti le indulgenze, il purgatorio e la cosidetta pena temporale dovuta al peccato — come vedremo più appresso — una simile teoria, essa venne attaccata nel Concilio di Trento e si cercò anche di attribuirne la paternità a Lutero, malgrado che il Generale degli Agostiniani ed i suoi teologi la difendessero con calore grandissimo. Ora, Seripando ed i suoi non avrebbero mai sostenuto una tale dottrina incontrando critiche e guai, se essa non avesse fatto parte del patrimonio dottrinale del loro ordine. Infatti, ih Bilychnis 1914, p. 15 Si, ho già dimostrato che molto prima di Lutero, anche Favaroni era un esplicito sostenitore della doppia giustizia.
Proseguendo la nostra indagine nelle opere di Perez, vedremo ora che questa dottrina era conosciutissima nell'Ordine agostiniano, perchè Perez non ne parla già in modo dubitativo, nè occasionalmente, ma ripetutamente ed in modo assertorio, come di dottrina ammessa e accettata senza difficoltà.
In Cant. sextum: «Decima conclusi© quod passio Christi fuit necessaria ad roborandos et adacquando* omnes actus humanos erga Deum ut essent fructiferi et digni grafia in paesenti et gloria in futuro... Ad cuius intellectum est notandum secundum Apostolum ad Romanos 8. quod' passiònes, id est operaiiones huius saeculi non suni condignae nec suffìcientes nec comparabiles ad futuram gloriam quae revelabitur in nobis, quod dupliciter accidit. Uno modo ratione imperjeclionis: quia nulla operatio humana potest de se esse ita perfecta quin patiatur aliquem defectum in aliqua circumstantia per quem defectum illa operatio non est digna comparar! praemio cadesti. Unde jejunium nostrum non potest ita perfecte fieri quin in aìiquo defìciamus. Nam jejunium debet fieri cum patientia et puntate mentis et oratione et eleemosyna, sed impossibile est ex parte nostra quin defi-ciamus in aliqua circumstantia.
«Et ita est dicendum de oratione, quia non fit cum sufficienti fervore sed cum aliqua vaga et devia cogitàtione admixta et non cum tota attentione. Et ita etiam eleemosynae nostrae non fiunt semper cum intentione et largitate et devo-tione. Et sic de omnibus operationibus quae semper patiuntur aliquem defectum. Ideo dicitur Isai. 64. quod omnes nos et nostrae justitiae quasi pannus menstruatae;
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propter quod non sunt de se dignae praemio aeterno nec sujficienter salisjaduni pro peccatis commissis, el sic propter tales dejectus non sunt condignae. Item non sunt condignae rations valoris quia quantumcumque sit perfetta bona operati© nostra, semper est finita el brevis. Ergo de se non est tanti valor is ut posset salisjacere pro debito infinito ih ipso poenitente ad delendam poenam peccati infinitam.
« Et sic nulla poenitenlia injuncta posset salisjacere pro debito peccali nec minus non posset sufiicerc bona operalio ad praemium aelernum consequendum, quia ipsi non potest comparati in valore de quo dicitur per Esa. 64. et Apost. ad Corinth. 2. quod nec oculus vidit nec auris audivit nec in cor hominis ascendit quae prae-paravit Deus diligentibus se. Ergo nulla operalio humana de se est sufficiens ad satis-jaciendum pro debito peccati nec ad consequendam juluram gloriam condigne. Et ideo ad perficiendas operationes nostras et ad supplendum defectum earum et ad faciendas ipsas condignas praemio aeterno et futura gloria Juit necessaria passio Christi quae adacquai et condignificat omnes operaliones nostras. Unde applicata passio Christi jejunio nostro supplel omnes dejectus eius et perfidi ipsum et reddit ipsum validum et condignum praemio aeterno quando sumus in static gratiae. Et sic est dicendum de eleemosyna quae de se.parvi valoris est sed addita Christi passio jacit Ulani validam et dignam praemio aeterno. Et datur exemplum de annulo aureo unius unciae qui de se valet vix sex ducatos, sed si addatur et caelelur in eo carbunculus reddit ipsum magni pnlii et valoris ad cmendam unam dvitalem.
« Sic ergo oratio vel eleemosyna nostra, de se est parvi valoris, sed si applicentur ipsi merita passionis Christi Jaduni ipsam condignam et validam ad emendum regnum coelorum. Unde est iterum advertendum quod jejunium et oratio et peregrinati© et labores et omnia opera quae Christus jecit, computantur in passione eius quia tota vita Christi fuit unus actus passionis et poenitentiae pro. nobis continuus et non interpolatus ut dictum fuit super Ps. 26. et dicetur in sequenti quaestione. Quae quidem opera Christi non solum juerunt jacla ad delenda nostra peccata, sed etiam ad perficiendas operationes nostras et ad supplendum dejectum earum. Nani Christus jejunavit ut perficeret et consecraret jejunium nostrum et peregrinatus est ut perficeret peregrinai ¡ones nostras et fecit eleemosynaè et opera misericordiae ut perficeret opera misericordiae nostrae, el suppler et dejectus eorum et Jaceret ea valida et condigna praemio adorno. Ex qui bus palei quali ter passio Christi condignifi-cat et adacquai omnes nostras operationes erga Deum.
« Et si quaeratur quomodo passi© Christi applicetur operationibus nostris et reddat eas validas? Respondetur quod quandocumqùe homo fidelis efficitur mem-brum Christi per fidem jormalam charitate, lune in omnibus operationibus suis parli-cipat passionem Christi, quia diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum ad Rom. 9. et sic propter participationem passionis, omnia, opera justorum reddantur valida et condigna. Et ideo quilibet poenitens aut justus in omnibus operationibus suis semper debel invocare passionem Christi. Unde quando dicimus: Pater de coelis miserere nobis, nil aliud intendimus dicere nisi: O Pater rogamus ut accipias pas sionem filii tui in pretium pro peccatis et delictis et defectibus nostris. Et quando oramus filium dicentes: Christe Fili Dei, miserere nobis, nil aliud intendimus dicerc
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nisi: 0 Christe Fili Dei, Redemptor mundi, rogamus ut velis off erre passionem tuant Patri prò peccalis nostris et velis applicare passionem tuam in omnibus operalionibus nostris ut sint dignae poenitentia in hoc saeculo et vita aeterna in Juluro. Et sic patet qualiter sola passio Christi potest adacquare operationes nostras erga Deum ». >
In Ps. 102: « Et ideo poenitentia particularis nostra non satisfacit in virtute propria, sed in virtute passionis Christi, quam participai in quantum Filius offert Patri suam passionem prò ilio baptizato sive poenitente... (Quam passionem parti-cipamus per Baptismum et Poenitentiam et caetera sacramenta)... particularis poenitentia roborata et adjuta virtute passionis Christi redditur sufficiens ad sol-vendum et salisjaciendum prò debito infinito...
In Ps. 84: « Itaque quandocumque aliquis efficitur particeps passionis Christi per baptismum aut poenitentiam, tune peccata sua sunt perfecte et integre punita in Christo, quia ut sic Christus offert... patri suam passionem in pretium et vindictam peccati et debiti cuiuscumque pecca toris...
«...tamen si addatur passio Christi per sacramentum poenitentiae non solum est sufficiens illa poenitentia ad solvendum prò uno peccato, sed prò infinitis, ra-tione infiniti pretii passionis Christi, quam participât poenitentia sacramentalis in effectu vel in voto ».
In Ps. 50: “ •••linde tota poenitentia hominis quantumeumque vehemens non esset sufficiens de se satisfacere nisi ipsi admisceatur et adhibeatur passio et sanguis Christi... ».
UGOLINO MALABRANCA E LA DOPPIA GIUSTIZIA
Che questa dottrina sia stata insegnata nell’Ordine agostiniano da antica data, lo vediamo anche in Ugolino Malabranca di Orvieto, Generale dell'ordine, Patriarca di Costantinopoli e celebre teologo ai suoi tempi. Morì nel 1374 e lasciò un lavoro ancóra inedito sulle Sentenze. In questo commentario (Bibl. Angelica, Ms. lat. 4, fol. 159), difende la tesi seguente.
«Cum igitur quaeritur de sufficientia salisjaclionis non quaeritur excludendo gratiam praedestinationis. Nam illa subducta nec Christus redimerei nec alicui ap-plicaretur illa redemptio sed quaeritur de valore operis in se... ».
« Nulla persona creata sufficit satisjacere pio poena sui mortalis actualis a quo est iustificata. Probatur: quia quantumlibet sit justificata, adhuc restât alius effectus praedestinationis scilicet beatificano, qui effectus gratiose sibi conferretur et sub merito Christi, grafia Dei vita aeterna in Christo a sicut dicit Apostolus ad Romanos sexto. Igitur subducta applications meriti Christi quoad hunc secundum gratiosum praedestinationis effectum, perpetuo privaretur gloria et hoc ratione mortalis. Igitur prò hac poena non sufficit satisfacere. Ita potest dici quod (satisfacere?) nullum opus potest subducto merito Christi ».
Ugolino ammette dunque primo che senza l'applicazione del merito di Cristo nessuno, anche se già giustificaio, può entrare in cielo; secondo che, se si astrae dàlia applicazione del mèrito di Cristo, nessun giustificato può rendere soddisfazione per ia pena temporale dovuta ad un suo peccato mortale già perdonato, quanto alla colpa e pena eterna. Un giustificato, adunque, non può nè satisjacere per suoi pec-
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cati, nè entrare in cielo senza l’applicazione dei meriti di Cristo. Così si spiega il perchè tanti santi dell'antica Chiesa, come vediamo nella formola dei moribondi attribuita a S. Anseimo, hanno riposto tutta la loro fiducia esclusivamente nei meriti di Cristo e non nei propri, sia per riguardo alla distruzione completa del peccato, sia in riguardo all’ingresso nel cielo. (Ved. Müller, Luthers Werdegang, pag. 95 s.).
COROLLARI
Lutero non è dunque V inventore della doppia giustizia, ma il Riformatore, basandosi su questa dottrina ne ha tratto gravissime conseguenze contro il cosidetto « tesoro della Chiesa » contro le « indulgenze » contra la « pena temporale » dovuta al peccato e finalmente, contro il « purgatorio ».
Se nessun Santo può satisjacere per i suoi peccati, nè entrare in cielo senza la applicazione dei meriti di Cristo, ne segue, secondo Luterò, che nessun santo ha meriti sovrabbondanti e superflui, non avendone nemmeno bastanti per se stesso. Il famoso «tesoro» della Chiesa non può dunque contare sui meriti « sovrabbondanti » e « superflui » dei santi, perchè non esistono.
Ma, dirà forse qualcuno, i meriti di Cristo non si trovano forse. in quel tesoro, e non sono forse bastevoli neppure quelli? Risponderà Lutero, che i meriti di Cristo bastano certamente, ma che ci vengono applicati {come del resto dice espressamente anche Perez) solamente per la fede viva ed i sacramenti ricevuti con jede viva. Non esiste dunque un tesoro di meriti a disposizione del papa, e non esistono • indulgenze » nel senso odierno della parola. L’indulgenza non può essere che la remissione di pene canoniche stabilite dalla Chiesa stessa e non da Dio... Per conto inioj trovo bene strano che Perez in un’opera così ampia non abbia trovato il minimo posto per accennare alle indulgenze.
Se l’applicazione della passione di Cristo basta per la satisfattone di infiniti peccati e se questi peccati anche secondo Perez sono stati puniti in Cristo «perjecte » ed « integre », perchè allora, diceva Lutero, Dio, quando ci rimette la colpa e la pena eterna, cioè il principale nel delitto, non rimetterebbe anche la pena temporale, cioè l’accessorio? O queste pene sono medicinali e preservative del futuro peccato ed allora nessun papa potrebbe e dovrebbe risparmiarcele, ma se fossero soltanto punitive, non avrebbero, dopo il perdono della colpa e della pena eterna, nessuno scopo ragionevole. Dunque, concludeva Lutero, quando Dio rimette la colpa e la pena eterna ci rimette anche la cosidetta pena temporale, tanto più che la non remissione, addirittura resistenza di una tale pena esclusivamente punitiva, non ha alcun fondamento nè nella scrittura sacra, nè nella tradizione. Con ciò Lutero eliminava più tardi anche il purgatorio, dopo che i suoi avversari ne avevano fatto teologicamente non più un purgatorium, ma bensì esclusivamente un punitorium.
Bastino questi accenni per far capire l’importanza della dottrina della doppia giustizia.
Spero che questo raffronto tra la teologia di Perez e quella di Lutero farà, dopo il mio studio sul Favaroni, tacere quegli avversari che, senza prove, ma unicamente a priori, hanno voluto negare l’esistenza di una tradizione agostiniana nell’Ordine eremitano, che fu anche quello di Lutero.
»Alfonso Vittorio Mueller.
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PER!AG/L1VRÀ|
DELL'ÀNIMA I
L’EROISMO
'•¿•Molti dànno all'eroismo un atteggiamento quasi teatrale; certo lo scambiano per una altra cosa: l’eroismo è un ignoto assai discreto; non gli piace d’essere osservato e non può sopportare che ci si occupidi lui; quando lo si vuole interrogare, egli risulta sempre fuor di casa. Nulla è più estraneo alr l'eroismo che il rumore che gli vien fatto intorno quando il pubblico se ne impadronisce. Però esso è un elemento di cui l’umanità non potrà mai fare a meno; facciamo dunque uno sforzo per avvicinarlo ed afferrarne l’anima: egli acquista assai ad essere conosciuto.
V’è opposizione radicale tra l’utilitarismo e l’eroismo. L’interesse, anche quell’interesse bene inteso e rispettabile che guida la brava gente, fa contrasto coll’eroismo. Voi potete giustificare gli atti che servono interessi determinati, li caratterizza una certa ponderazione; si compiono nella calma regolare di cui è imagine il pendolo: sono suscettibili d’essere misurati c pesati. L’eroismo, invece, sfugge al peso e alla misura, anzi non ha sempre dei motivi per giustificarsi, si mette in urto talvolta, non solo coll’interesse, ma anche colla logica. L’eroismo può abbondare in atti che colui che li compie non ha nè pesati nè previsti, e di cui non può fornire le ragioni. — Perchè hai fatto ciò? — gli chiedete. Egli risponde: — Non so.
Vuoi forse ciò dire che l’eroismo esclude la preveggenza e la ragione? Sarebbe egli fratello dell’ignoranza o del fanatismo? Niente affatto. S’ei non appartiene al
campo del l’interesse, spesso appartiene alla regione degl'interessi superiori. Nulla più dell'eroismo è chiaro veggente nel suo slancio oscuro, fecondo nel suo disinteresse. Gl’interessi ch'ei sacrifica non sono nè traditi nè compromessi; sono subordinati a valori più alti. Ammetto che le anime eroiche non ragionano su questo punto; vanno d’istinto verso la mèta, trascinate da quelle forze secrete la cui nobiltà ignora se stessa; volano, al disopra degl’interessi, diretti e tangibili, verso quegl’interessi lontani che sono le assise medesime di tutto l’edificio umano, senza le quali nulla di ciò che ha un prezzo ne avrebbe ancora. E perciò anche l’eroismo, che sembra così spesso fare a pugni colla logica, ha pure la sua logica; ma esso scavalca i limiti ordinari del ragionamento per giungere d’un solo tratto alla conclusione.
L’eroismo è lo spirito di sacrificio. Ma il sacrificio non è distruzione pura; è un bene dato in cambio di ciò che ne merita il conto. Un eroe non è uno sciupone di stoffa se per stoffa s’intendono i beni correnti di cui è fatta resistenza e che chiamansi salute, agiatezza, affetti famigliali. Solo, di queste cose, che sono una stoffa, l’eroismo dispone per farle servire a ciò ch’è più grande che la felicità d’un uomo, della sua famiglia o del gruppo di cui fa parte. L'eroe paga di persona in condizioni che potrebbero chiamarsi fuori quadro.
Ciò che non può nè pesarsi, nè contarsi, e neppure ridursi ih forinole intellettuali, ma che si ritrova alla base di ogni energia
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consacrata interamente al bene, di ogni vitalità intatta, fisica o morale; quel qualcosa in più che l’operaio aggiunge al suo lavoro, l'artista alla sua arte, e che non si saprebbe nè valutare nè pagare, ma senza il quale il lavoro è mal fatto c l’arte è senza slancio: ecco l’essenza sottile dell'eroismo.
Se non ci fosse altro eroismo all’infuori di quello segnalato, riconosciuto e ricompensato non vi sarebbe, da un pezzo, più nessuno. L’umanità vive della somma di eroismo latente mescolata agli atti stessi di coloro che nulla hanno dell’eroe. Ciò che non può nè comprarsi nè vendersi costituisce il nostro vero tesoro; siamo tutti quanti ricchi, non di ciò che guadagnarne, o di ciò che in qualsiasi modo volge al nostro profitto, ma di ciò che diamo. Secretamente, senza che appaia all’esterno, una certa dose d’eroismo si mescola alla vita degli uomini, vita grigia all’aspetto e terra a terra. Nel lavoro, bene o mal pagato, se l’uomo mette qualcosa del suo cuore, una cura che forse non è notata e di cui nessuno, ahimè! sarà certamente grato, v’è dell’eroismo. I.e madri, nell’intimità delle case dove nessuno è testimone dèlie loro veglie, spendono una somma enorme di eroismo: esse ne portano il secreto nella tomba; Dio solo ne è testimone, ma non ne va a male la più piccola particella; esso fa parte della trama della stessa sostanza di cui siamo fatti. Nel gran bilancio delle cose, tutto si ritrova; v'è in qualche luogo una bilancia dove nulla è dimenticato; l’eroismo sconosciuto è la forza del mondo. Se avessimo soltanto i nostri calcoli ordinari, le nostre misure correnti, i nostri atti classificati, i nostri valori convenzionali, i nostri beni superficiali ai quali si mescolano tanti non-valori, tante puerilità, tante piccinerie, tanto stupido orgoglio, tanta ipocrisia, tutto quanto costruiamo con tali elementi mediocri crollerebbe sul nostro capo. Troppo spesso noi rappresentiamo un qualche valore per ciò appunto che disprezziamo c siamo spregevoli per ciò che esibiamo c facciamo risuonare a gran voce. Sue! poco che, in fatto di disinteresse vero, i sincerità, d’amore, di coraggio sussiste, nonostante tutto, nel fondo delle società: ecco il sole che impedisce loro di marcire.
Io stimo che l’eroismo ignorato è il vero, il grande, il solò e quasi divino.
♦ * *
Tuttavia parlerò dell'altro; perchè, insomma. non basta che l’eroismo sia cono
sciuto e additato all’attenzione di ognuno, perchè si debba considerarlo come squalificato. Quand'anche perdesse qualcosa della sua originale bellezza subendo gli sguardi, gli elogi, le ricompense, esso avrebbe pur nondimeno alla sua radice, nella pura sua origine, elementi di prim’ordine che bisogna riconoscere e di cui non possiamo fare a meno. E, siccome la virtù educativa dell’eroismo è altrettanto considerevole quanto è rara la sua essenza, conviene augurarsi che l’essenza sua non vada perduta. S'ei deve agire altrimenti ancora che per la sola sua esistenza, se l’esempio ed il contagio devono scaturirne, occorre che, almeno di tempo in tempo, sia tratto fuori dall’oscurità e venga onorato, additato alla nostra attenzione. Con quale altro elemento faremo noi contrappeso al cinismo del vizio, ai fermenti di decadenza, allo ignobile arrivismo, alle lezioni di furberia moltiplicate ogni giorno, a tutta la scuola dei gaudenti e degli effeminati, se non colla maschia figura di coloro i quali sanno correre i grandi rischi, compiere le bisogne ingloriose, bere gli amari calici, ascendere i calvari, sfidare i pericoli, conquistare lo ignoto a forza di faticare nelle solitudini? Occorre esaltare l'eroismo, occorre onorarlo nella città e nella famiglia, mescolarlo al cibo dei giovani.
Incontro più di frequente dei branchi di giovani che gridano a squarciagola: abbasso, abbasso, che non gruppi entusiasti che onorano un cittadino di vaglia o una grande memoria. Gridare: « Abbasso » può essere talvolta un utile esercizio: tutto dipende dalle cose sulle quali sputate! Sba-Sliarsi, in questo caso, non è lecito; l'atto
i disprezzo ricadrebbe sul vostro capo.
Ma se gridare: « Abbasso » può essere necessario; onorare, ammirare è indispensabile. Si può vivere senza condannare nessuno; ma non si può vivere senza tuffare tutto il proprio essere in quella calda luce che chiamasi entusiasmo per le figure veramente elette. Se i vivi a voi paiono troppo piccoli, andate a cercare i morti. Irradi l’anima loro grande sulla vostra e vi riscaldi i germi d’eroismo di cui ognuno di nói è il ricettacolo.
Non accusatemi d'ideologia o di utopia; sono in pieno in quanto v’ha di più umano e di piti palpabile. Per chi si familiarizza con quell’essere strano e contradittorio che chiamasi uomo, appare nettamente che in lui sonnecchiano due ordini di possibilità. Tutte le virtualità raccolte in un essere pos-
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sono, in ultima analisi, riassumersi in due grandi serie, pronte l’ima e l’altra ad emergere nella piena luce delle realizzazioni: la serie nera e la serie luminosa. Ciascuno di certo, può far molto per incoraggiare in se stesso il meglio o il peggio, a seconda che si attacca maggiormente all’uno o allo altro. In questo è responsabile di ciò ch'egli fa di se stesso. Ma occorrerebbe negare la esistenza del mondo esterno e delle influenze degli altri uomini su di noi, per pretendere che le forze altrui, buone o cattive, non sicno un fattore importantissimo del nostro sviluppo. Allorquando siamo esposti alle influenzò deleterie, le anime nostre contraggono malattie come le piante coltivate in cantina; ma se godiamo delle tiepide carezze della luce, la nostra salute morale si fortifica. Ora non v’è alcun irradiamento che meglio dell’eroismo favorisca nell’uomo lo sviluppo del migliore io. Nei caratteri molto temprati e nelle vite generose v’è un’intensità d’incubazione che ci compenetra e fa trasalire in noi dei germi sino allora inerti.
Allo stesso modo, le passioni basse c bru
tali sono evocatrici dei medesimi elementi presso coloro che sono impressionati dal loro esempio. Gli atti delittuosi, audacemente compiti, destano spesse volte nei deboli i pensieri colpevoli che, nelle ripiegature dell’incosciente, aspettano l’ora loro.
Ma ogni vita nobile, prodiga di se stessa, mette sotto agli occhi nostri lezioni feconde di dirittura, di fede vittoriosa degli ostacoli, di disprezzo della morte, d’amore e di speranza invincibili! Una volontà di uomo che martella il ferro degli avvenimenti ostili ci comunica il contagio dell’energia. Dagli atti eroici scaturiscono scintille come sotto il martello sprizzano scintille sull’incudine.
Moltiplichiamo, adunque, le occasioni de! Contatto col fuoco sacro dell’eroismo: esso è una fonte di vita; coltiviamo la fibra eroica incoraggiando l’ammirazione. Là è l'avvenire, il cammino che sale, la speranza ed i luminosi orizzonti. Poiché vi saranno sempre coloro che destano i bruti, a noi gli svegliatori d’uomini!
Carlo Wagner.
L’IDEALE
Nel suo significato più esteso, l’ideale è l'insieme di ciò che ci affascina maggiormente. Esso prende tutto l’uomo e lo attira a lui. Dalla qualità del nostro ideale dipende la qualità delle nostre esistenze. Ciò basta per indicare il primato della sua funzione è per fare intendere la necessità di vegliare ad esso. Quando s’abbassa lo ideale, tutti gli affari umani seguono la sua caduta: tutte le epoche e tutti gli uomini hanno risentito l’effetto di questa legge. Fra le lezioni offerteci dal corso mutevole dei secoli, non ve n’è alcuna in cui si osservi meglio il carattere morale della natura umana. Se l'uomo altro non fosse che un agglomerato di fenomeni a noi noti e riducibili a reazioni fisico-chimiche, questo fatto prodigioso del posto occupato dall’ideale nella sua vita sarebbe inesistente. Ora questo fatto è il punto capitale intorno al quale gravita la nostra storia.
Per l’uomo, tutto dipende da quanto succede in lui. Egli gravita intorno al suo ideale come gli astri intorno al centro del loro sistema. Non crediate che l’ideale ispiri le anime elette soltanto, egli le ispira tutte. Guardate vivere i vostri simili, rendetevi conto non di ciò ch’ossi mettono in vista come se fosse il loro ideale, perchè ciò non è forse che un ciondolo fittizio, senza influenza effettiva sul loro essere profondo; ma rendetevi conto di ciò che davvero è la mèta dei loro desideri.
Non appena l’avrete visto, il loro modo di agire — che sino allora vi appariva contraddittorio, inesplicabile, falso. — si spiegherà come per incanto. Avete afferrato il nodo al quale si riconducono e dal quale partono i fili direttivi; e sarete stupiti di constatare a qual punto gli uomini che appaiono così incoerenti, sono in fondo logici non appena si scorge il loro nocciolo.
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Essi differiscono gli uni dagli altri come il giorno e la notte; ciò che amano e odiano, ciò che apprezzano e disprezzano è separato da un abisso; w® dov'è il loro tesoro, quivi è il loro cuore. Per lo spirito sublime e per lo spirito • terra a terra », per i sinceri e per i furbi, per coloro che si prosternano nel santuario e per coloro che io vendono, per i puri e per gl'impuri, questa parola è ugualmente vera. Il Cristo ci fa vedere un uomo che ha incontrato una perla di gran prezzo, una perla che oltrepassa in valore tutto quanto si conosce. L’uomo vende la totalità dei suoi beni e compra la perla. Certo, nell’ora in cui pronunciò quella similitudine, il Maestro pensava al puro splendore dei valori umani più preziosi, a quei beni i quali soli costituiscono la nostra nobiltà e la nostra bellezza. Dare ogni cosa per acquistarli è cosa giusta, perchè valgono infinitamente più del prezzo col quale si comperano, quand’anche tal prezzo fosse il lavoro più faticoso, la lotta* più difficile, il più duro sacrificio. Ma il paragone di Cristo è valido non soltanto per i grandi cuori; esso vale tanto per gli ultimi quanto per i primi. Ogni essere umano ha la sua perla e vende tutto quanto ha per procurarsela. Il vizioso sacrifica tutto al suo vizio, l’avaro alla sua avarizia, l’iroso alla sua ira, l’ubriacone al suo alcool, come il martire sa sacrificarsi per la sua causa, il patriota pel suo paese, lo scienziato per la sua scienza, il credente pel suo Dio.
Ciascuno dà ogni cosa c dà se stesso per ciò che, agli occhi suoi, ne vale la pena. Non crediate che soltanto i forti, buoni o cattivi, siano capaci di compiere quella mossa suprema riassunta nel motto: The ulmost for thè besl! In quelli» il gesto è più largo e più impressionante. L’orrore o l’ammirazione che un tal gèsto suscita in nói è più profondo o più alta.
Ma i deboli, gli spenti, i tiepidi, gli scoloriti fanno altrettanto. Sono altrettanto interessanti nel loro crepuscolo quanto i loro fratelli più brillanti nella loro gloriosa luce. Insomma, ciascuno pel proprio ideale dà ciò che ha: tutti vanno verso di esso, gli uni colla loro ricchezza, gli altri colla loro povertà. Ali d’aquila, ali di colomba, ali di rondine e di libellula, corsa rapida degli uomini validi, membra deboli degl’infermi, andatura vacillante sostenuta da stampelle, tutti i movimenti degli esseri vanno verso il loro ideale: verso di esso volano, si precipitano, strisciano, si trascinano insanguinati, vi rotolano o vi S’innalzano. E questo
appunto costituisce per tutti la loro bellezza e li rende meritevoli della nostra attenzione e degni del nostro rispetto. In fondo tutti dimostrano la stessa cosa: vi sono dei beni che valgono lutti gli sforzi e lutti i sacrifici.
Il riassunto di questi beni costituisce il nostro ideale, cioè la nostra visione, ciò che colpisce* la nostra vista. Miraggio, illusione, chiarore vano o lucè di serena evidenza, l’ideale è la stella sulla quale s’orienta la nostra marcia.
E pensare che v’è della gente che mai se n’è accorta! pensare che la maggioranza non lo suppone nemmeno! Certo, fra le migliori qualità sonvi quelle che ignorano sè stesse, come fra le tabi più ostinate sonvi quelle di cui non si ha coscienza. L'uomo può volgersi verso la luce come la pianta, senza comprendere l’azione dei suoi raggi. Diremo noi per questo che il miglior modo di giungere alla mèta è quello di non conoscere il cammino? No! Orientarsi, controllare i pròpri'' moviménti è cosa savia. E l’esser chiamati a curare il nostro ideale non è certo essere invitati ad un lavoro inutile, poiché trattasi della cosa più pratica nel mondo, di ciò che si mescola, come elemento principale, a tutto ciò che siamo, creiamo, organizziamo.
Ciò che ami vai la pena d’essere amato? Ciò che desideri è desiderabile ? Ciò che paghi colla tua fatica, vale questa fatica? Il bene che ricevi in cambio è desso altrettanto sicuro quanto è Sicuro il sacrificio che compi? Fai tu dei contratti da sciocco o dei calcoli vantaggiosi? Sottoporre il proprio ideale a un esame critico è un dovere imperioso. Un uomo non può abbandonarsi nè a un lavoro, nè a un piacere, nè a una qualsiasi manifestazione, senza introdurre del lievito d'ideale nella pasta dei propri giorni. Se il lievito è cattivo, esso guasta la pasta.
Di una gioventù senza entusiasmo o di una folla di gente neutra e apatica si va ripetendo: essi non hanno ideale. Ciò insomma vuol dir questo soltanto: che l'ideale umano, confortante e fortificante, è loro sconosciuto e non esercita l'azione sua sulla loro vita. Ma ciò non vuol dire eh’essi non abbiano ideale; essi lo hanno: deviato, deformato, ma non inattivo; ne subiscono l’influenza nefasta; esso li rode, li smarrisce, H asservisce; è il loro tiranno, il loro usuraio; li decima, li intiSichisce, li uccide. È per causa sua che muoiono e a motivo suo che vivono; hanno sete e bevono veleno;
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hanno fame e mangiano cibi avariati; la loro fame e la loro sete sono degenerate; ma gli sforzi ch'essi fanno per soddisfarle sono reali; spendono in essi la loro forza, la loro intelligenza e il loro cuore. Ahimè! cercano la vita e trovano la morte, e colla loro morte trasmettono 11 contagio e la cangrena nella vita degli altri. È sempre cosa molto seria d’introdursi nell’intimità d’un uomo per toccare i moventi secreti dei suoi atti. Solo un interesse superiore—l’interesse di quello stesso uomo e l’interesse dei suoi simili legato alla sua condotta personale — ci autorizza a ciò fare. Occorre compiere tale operazione con grande rispetto. Quand'anche egli fosse mille volte insensato agli occhi nostri, non lo trattiamo da pazzo; quand’anche fosse un delinquente, non abbordiamolo come s’egli avesse perso il discernimento morale. Avviciniamoci a lui come conviene avvicinarsi ad un essere ragionevole, sicuri che le ragioni che lo fanno agire sono, per lui, sufficienti e giustificate. Rispettato da noi, ci si desterà forse al rispetto di se stesso, se questo rispetto è in lui intorpidito. Ad ogni modo, allorquando trattasi d’esseri umani, tutte le situazioni ci guadagnano ad essere giudicate dal di dentro; perchè la chiave della nostra condotta è in noi.
Suppongo che un uomo, a parer nostro, faccia delle sue forze, della sua salute, della sua intelligenza, dei suoi beni, un cattivo impiego. Egli ha posto tutto ciò al servizio del suo godimento individuale. Noi, che abbiamo un ideale diverso, siamo tentati di gettargli la pietra, e forse anche egli se lo merita, perchè, insomma, disporre di se stesso e di tutto quanto si è ricevuto a favore soltanto del proprio io, significa deviare tutta l'immensa e laboriosa ascesa di cui siamo la risultante, e farla terminare in un circolo vizioso. Ma quell’uomo non vede come noi, supposto ch’egli veda.
La cosa nel mondo per lui quasi certa e più positiva è il suo benessere. Per lui, vivere significa vibrare e divertirsi. Non vede nulla al di là. La sua perla è il godimento. Ammettiamo il punto di vista. Ma se ciò può chiamarsi perla, vale forse tutto il prezzo ch’egli paga per essa? Il godimento di cui è capace un uomo non è molto esteso. Il gaudente è simile ad una belva, avida di spazio c di preda, ma chiusa in una gabbia. I limiti del piacere umano sono le sbarre della sua prigione. Esse sono così robuste che il piacere è finito assai prima che il desiderio non sia
soddisfatto.- E il desiderio stesso languc e muore prima che la felicità sia raggiunta. Allora si fanno i conti: vigore, salute, danaro, dignità, amicizia, affetti di famiglia, amor di patria, scrupoli di coscienza: abbiamo dato tutto. E dov’è la perla per la quale abbiamo abbandonato ogni cosa? Evaporata!
Nel procacciarsi il godimento si comincia coll’ebbrezza e si finisce nella più amara filosofia. La sofferenza è sorella del piacere, ad esso unita da vincoli di famiglia che mai si dissolvono. Talvolta si bussa all'uscio pensando incontrare il fratello, ed è invece la sorella che vi apre. Dice un vecchio proverbio: In vino veritas: forse tale proverbio vuol dire semplicemente che il vino fachiacchierarccosìchescappano i secreti. Ma che la verità sia in fondo ai bicchieri, non vuol forse dire altresì che ciò che incomincia coll’essere una coppa deliziosa finisce spesso coll’essere un calice di amaritudine? Neppur fa bisogno che tali cose vadano a dirsi a tanti disgraziati i quali tutto han venduto per comprare la perla di godimento ed hanno invece trovato il dolore. Nessuno meglio di loro conósce il pessimo affare da essi fatto. In fondo è l’aspirazione loro alla felicità che li ha smarriti; compatiamoli.
Com’essi, sbagliano tutti coloro che non hanno avuto il coraggio di collocare, in alto il loro ideale: si consacrano a ciò che non ne merita il conto. Sono cigni che hanno scelto, per abitarvi, la terra ferma e S’ingegnano a nuotare in basse pozzanghere o sopra stagni paludosi: il quadro in cui si muovono non ha le proporzioni volute per la loro mole.
È questo il caso della maggioranza degli uomini nelle ore in cui le società mancano d’ideale. Mai si parla tanto di piacere, di Sioia, mai s’inventano maggiori distrazioni i quanto si parli e s’inventi allorquando l’umanità non è più suscettibile di essere divertita; tutto questo rumore di dissipazione altro non è se non la pompa d’una bella sepoltura: il principale interessato è defunto.
Io non sono pessimista; tutt’altro; pel tramite delle radici più profonde dell'essere, mi nutro d’una sostanza la quale non permette la mestizia senza via d'uscita ed i negri pensieri riassumentisi nel dire: « tutto è vanità »; ho bevuto ad una coppa, in cui le stesse pene della vita si trasformano in forza ed in capacità nuova d’esser felici; ma mi sento in cuore un lutto im-
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menso allorquando sono costretto a constatare sino a qual punto è calato il livello della gioia. Eppure non abbiamo patito pubbliche disgrazie che schiacciano le anime; nessun flagèllo sovrumano è passato sul nostro capo; le nostre difficoltà non oltrepassano le nostre forze (i) e le nostre risorse dovrebbero bastare per organizzare una vita umana forte e luminosa. Ma siamo malati d’un languore che ha la suasède alla radice dell'albero: il nostro ideale è troppo volgare, le nostre ambizioni troppo terra a terra.
La situazione generale è caratterizzata dalla mediocrità delle aspirazioni; la nostra sapienza è quella di vecchi disillusi, ridacchianti e intriganti, i calcoli piccini occupano il primo rango; con fede cieca, crediamo alle piccole combinazioni, alle piccole malizie, ai piccoli trucchi, ai piccoli interessi, alle piccole porcherie, al lato
(i) Parole scritte prima della guerra; e più che mai vere dopo la guerra
Siccolo di ogni cosa, ai surrogati e ai prootti industriali. In certe ore, si ha l'impressione che l'ideale di troppe persone, in tutte le condizioni sociali ed in tutte le situazioni imaginabili, è assai prossimo a ciò che potrebb’essere l'ideale di cattivi animaletti, astuti e cinici.
Ma pei diritti dell’ideale non c’è prescrizione: essi trovano il modo di affermarsi anche in mezzo alle nostre mediocrità. Più andiamo avanti e più documenti forniamo — documenti vivi, d’una potenza irrefutabile — per stabilire, coll’assurdo, la prova che all’umanità occorre un ideale, un bello e nobile ideale, degno di lei e dei suoi destini.
Nelle ore tenebrose, l’alta e serena figura di questo ideale s’erge ad un tratto luminosa sul fondo cupo dell’orizzonte e le anime nostre si protendono verso di lui con tutta la sete loro insaziata che sogna la felicità, con tutta l’infermità loro che sogna la salute.
Carlo Wagner.
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CARLO PUINI E 1 SUOI NUOVI STUDI SUL BUDDISMO
È da poco più di cento anni che nelle università europee è stato possibile insegnare quelle lingue c letterature che dovevano schiuderci i tesori della cultura orientale e portarci documenti preziosi per la storia delle antiche religioni. Non si prevedeva allora tutta l’importanza di tali studi, c quando, più tardi, essi si diffondevano nei principali centri di cultura europea, l’Italia sola non poteva ancora rendersene conto, perchè i suoi migliori ingegni erano tutti dedicati alla grande opera dell'unità nazionale; raggiunta la quale, tali studi ebbero anche da noi un impulso vi-Soroso. Sin d’allora Carlo Puini, il decano egli orientalisti europei, insegnava ai suoi numerosi discepoli quale importanza avesse lo studio della storia delle religioni; ed accoppiando in giusta misura la severità scientifica con la genialità delle conclusioni, la profondità del pensiero con la chiarezza e semplicità dell'espressione? aveva saputo dare grande impulso alla storia comparata delle religioni, rendendo dilettevoli le numeróse sue pubblicazioni anche se trattavano delle più astruse questioni di teologia ed ermeneutica. La precisione della ricerca — scriveva recentemente G. Vacca, uno dei suoi più valenti discepoli (r) — proveniente sempre da un accurato studio delle fonti, non turba ii lettore, ma lo conduce e lo guida in campi di pensiero spesso molto più vasti di quanto i titoli degli scritti potrebbero far supporre. Uno spirito gene(i) Giovanni Vacca, Bibliografia degli scrini e delle opere di Carlo Puini (nel Nuovo palio. Rassegna italiana di libero pensiero e di azione, Roma, aprile-maggio, 1919).
ralizzatore, chiaro e limpido, un senso storico e filosofico non comune, porgono op-Sortuni raffronti tra il sorgere e lo svolgersi ella civiltà, delle istituzioni, delle religioni della Cina, del Giappone, del Tibet e quello dell’antichità classica e delle società primitive.
Ripetiamo anche noi l’augurio che faceva recentemente G. Vacca al suo Maestro in occasione del suo ottantesimo compleanno: Possa Carlo Puini. che tanta parte ebbe fin’ora negli studi orientali e nella storia delle religioni, condurre a termine gli altri importanti lavori che da lunghi anni sta meditando nel sereno silenzio del suo studio fiorentino; possano i discepoli che numerosi lo ànno seguito nei lunghi anni del suo insegnamento efficace ed animatore. proseguir l’opera da lui intrapresa.
L'ultimo dei lavori pubblicato da Carlo Puini (2) è uno studio di psicologia religiosa nel quale egli si propone di spiegare come Vantichissimo Dfiyaus /filar degli Ari primitivi, più vicino d’ogni altro al Padre-nostro che sta nei cieli, sia stato poi sostituito in Oriente dal Budda e come in seguito si sia ritornati dal Budda a Dio. Tutti coloro che vogliono avere un concetto preciso della religione, dice Carlo Puini, si appoggiano sui due seguenti postulati: la credenza in un Essere supremo, esistente di per se stesso, eterno, indipendente, creatóre, conservatore e reggitore dell’universo; e la credenza in un'essenza immortale che è
(2) Carlo Puini, Da Dio al Buddha e dal Buddha a Dio. Studio di psicologia religiosa nel Nuovo palio, Rassegna italiana di libero pensiero e di azione, Roma, aprile-maggio, 1919)-
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NOTE E COMMENTI
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in noi e costituisce il nostro io, il quale sopravvive dopo il disfacimento del corpo. La prima credenza è fondamento indispensabile di ogni grande religione dell’umanità; la seconda è fondamento necessario di ogni morale religiosa. Vi possono essere dunque dottrine filosofiche che negano l’uno o l’altro o entrambi questi postulati, ma non religioni nel vero senso della parola. Come chiamare dunque il primitivo buddismo la religione di molti milioni di uomini, se nega entrambi questi postulati?
Posta così la questione, si dovrebbe venire conseguentemente ad accettare una sola delle due alternative: o il buddismo primitivo non è propriamente religione, o quel concetto della religione non è esatto ; ma tutte e due queste proposizioni non si possono accettare, perchè l’una esclude l’altra.
Il buddismo nacque e si compose, nella sua forma iniziale, in mezzo a credenze in cui dominava l’idea di un Essere superiore, esistente di per se stesso, creatore e reggitore dell'universo. Gli antichi Ariani dell’Asia diedero a quest’Essere lo stesso nome che al cielo: Dhyaus; poi impersonandolo nelle energie che operano tra cielo e terra e che si fanno manifeste nella turbinosa vita meteorica, ne uscì Indra, e successivamente il possente Cakra, il signore delle creature Praiapati. Seguendo questo processo evolutivo dell’idea di Dio, si vede come col tempo la deità viene idealizzata e concepita come unità cosmica che anima il tutto, Brahman, come il creatore del mondo e padre di tutti i viventi, Brahma.
Non riesce facile spiegare in quest’ambiente il successo dell’opera di Gotamo, il futuro Budda, che opponendosi alla multi-seeolare meditazione fatta per raggiungere una migliore concezione dell'Essere su premo lo nega, e richiama le folle a seguirlo.
Carlo Paini, dopo aver notato che la opera del buddismo primitivo non fu che un poderoso tentativo per sostituire l’uomo a Dio, e per fare deh’uomo il centro dell’universo e il creatore di ogni forma di vita su la terra, nei cieli e nell’inferno, espone brevemente i concetti fondamentali del buddismo antico che limita l’ufficio della religione, lo si noti bene, a dirigere e guidare il corso della evoluzione progressiva del vivente, solo per togliere gli ostacoli che si oppongono all’ottenimento di ciò che è reputato il fine supremo del mortale; l’estinzione del dolore.
Ma in realtà, come giustamente avverte lo stesso Paini, il buddismo antico è perve
nuto a negare Dio e a divinizzare l’uomo. Ed è appunto in questa divinizzazióne dell'uomo che lo stesso antico buddismo rivela il bisogno di una divinità, rivela l’esigenza che la coscienza religiosa à del divino.
Nessun dubbio (e C. Puini lo dimostra con nuovi documenti orientali — il Trai-yidya Sùtra, il Mahà Karunà Pundarika, il Brahmadà, la Sutra e il trattato di Va-sumitra) nessun dubbio ripeto, che l'antico buddismo fa a meno di un Dio esistente per sè, creatore e reggitore del mondo; ma la coscienza religiosa si è ben presto vendicata di questa mancanza, sostituendo la credenza in un dio del passato, con la credenza in una futura divinizzazione dell’uomo; a un elemento concettuale inerte per la vita- religiosa, un elemento vivente e fattivo di progresso.
Non si può intendere la ragione del successo ottenuto dall’antico buddismo, senza tener conto di questa circostanza fondamentale che rivela la specifica natura della coscienza religiosa, l’essenza della religione. E non si può intendere senza tener conto anche di due altre circostanze. Una è quella che il primitivo buddismo, anche per coloro che non pervennero alla concezione di una futura divinizzazione dell’uomo, non rimase una sètta atea, ma un corpo di credenze e culti che accolse largamente tutte quelle altre credenze religiose e tutti quegli altri culti che trovava nei paesi dove si propagava, integrandosi cosi con gli elementi di cui mancava per appagare le diverse coscienze religiose. Così in Mongolia, in Cina e nella stessa India che fu culla del buddismo. Notevole, a questo proposito, è il fatto che Brahma, anche dai primitivi buddisti non fu negato come inesistente ; ma inutili furono ritenute tutte le speculazioni circa la sua esistenza per il raggiungimento dello scopo che i buddisti si proponevano. E se Brahma non fu più il supremo signore dell’universo, rimase tuttavia nelle credenze popolari un santo che godeva la beatitudine della vita celeste; un santo operoso che, come Indra, validamente protegge il buddismo. L’altra circostanza che ci fa comprendere la diffusione dell’antico buddismo come religione, deve riconoscersi nell’abolizione che si voleva del vecchio ritualismo e concettualismo brah-manico, ritenuto ormai inefficace a liberare l’uomo dalle sue sofferenze.
Il fatto saliente che si presenta a ogni studioso spregiudicato del buddismo è dunque una nuova testimonianza della neces-
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sità della concezione del divino nella religione, dell’oggetto divino come termine della religiosità. E ciò tanto per le piccole classi intellettuali più elevate quanto per le grandi masse del popolo. Dal primitivo buddismo si separarono infatti ben presto le scuole esoteriche che ritornarono fervidamente a speculare intorno alla esistenza di Dio, alla immortalità dell’anima, alla vita futura, all’origine delle cose, al destino ultimo dell’uomo (si rammenti qui soltanto la sètta Isvarika, che crede in un dio — Isvara — principio e cominciamento del mondo) e si separarono anche le grandi masse del popolo che fecero del Budda il celeste Signore, resistente per sè, l’assoluto, l’eterno, appagando in tal modo le loro esigenze specificamente religiose.
Questo nuovo buddismo non si formò dunque, propriamente, sulle credenze del suo fondatore, ma sulla medesima persona del Budda. Il carattere dell'uomo Budda (Manshi Budda). cambia del tutto nel buddismo recente, del quale s’intrattiene brevemente Carlo Puini nel lavoro sopra rammentato. L’odierno buddismo considera la figura del suo fondatore sotto due aspetti: astrattamente nell'efficacia dell’opera sua c nei frutti ideali che ne colse; sostanzialmente nel complesso delle sue azioni indirizzate a vantaggio degli uomini e nell’esercizio della sua predicazione su la terra. Si tratta di due figure del Budda in una delle quali, nella figura divina, egli è il salvatore su la terra; e nell'altra, nella figura umana, egli è colui che visse e insegnò agli uomini del suo tempo la dottrina della salvezza. Dall’unione di queste due figure ne sorge un’altra, il Sambhogakàya, che esprime e rappresenta la somma compiuta dei benefici e gloriosi frutti del suo insegnamento.
Questo triplice modo trascendentale di considerare la persona del Budda, non è soltanto una delle più notevoli differenze che separano il Hinayàna, la primitiva dottrina, dal Mahàyana — una delle forme meglio sviluppate del buddismo moderno —-ma costituisce un ritorno della coscienza a Dio come termine necessario del rapporto religioso. La necessità di questo rapporto riconosce infatti Puini, quando dice che alla mancanza di Brahma, di Indra e degli altri vecchi dèi, che non porgevano più compassionevole orecchio alle preghiere e alle .invocazioni umane, al bisogno di soccorso e conforto, à provveduto l’ulteriore sviluppo del buddismo avvenuto nel primo secolo dopo Cristo per opera del IV Concilio, tenutosi a Yalandara. Solo sotto le
forme del Mahàyana, il buddismo poteva apirare a divenire religione universale (i) perchè solo sotto questa forma poteva aspirare a divenire il massimo aiuto per ottenere salute eterna. Esso, dopo aver desunto dal concetto umano d’un salvatore una sua idealità permanente (Amitabha, luce perfetta), assegna alla persona del Bódhisattva la funzione pietosa che gli dèi, gli angioli e i santi ànno in altre religioni, donde una efficace "attività religiosa spesa a continuo beneficio degli uomini. Tale persona non sparisce più dal mondo, come nella concezione del buddismo antico, per godersi il frutto della sua sublime santità; ma spinta da un’ardente compassione delle miserie umane, mantiene intatta la sua divina personalità su nelle sfere celesti, e si tiene pronta al soccorso, ascoltando le preci, i lamenti, le invocazioni che partono dagli infelici mortali su la terra. Di imagini di Bódhisattva sono ricchi perciò gli altari del moderno buddismo. In questo, viene insegnato che bisogna aver continuamente il pensiero fisso ai meriti del Budda; indirizzare tutti i desideri a un’altra terra a lui sacra in cui rinascere, dove le vie del peccato sono eternamente chiuse, e dove si gode la costante visione di lui. Viene così preparato al moderno buddista un glorioso paradiso, in cui Amitabha è come Iddio che salva con là grazia, e per un atto di sincera fede, senza tanto badare alle opere. Questo distingue anche il moderno buddismo dall’antico, dove erano le opere che creavano il mondo e la vita.
Carlo Puini fa notare che se col culto di Amitabha il buddismo sembra ritórni a Dio (e a Dio somiglia anche più modestamente l'Adibudda — colui che precede nell'ordine delle personalità ideali — pure, osservando bene l’origine e la genesi di questi due concetti del divino, ci accorgiamo che mancano della vera essenza di Dio, non implicando essi l'esistenza per sè, indipendente da qualunque principio mondano, e la potenza creativa. Ma della perfezione dell’ idea di Dio e della immortalità dell’anima, della perfezione della concezione etica della vita possiamo servirci per classificare il progresso religioso, non per riconoscere le religioni ; perchè anche là dove oscura è l’idea di Dio e dell'immortalità dell’anima, dove ottenebrata è la visione etica della vita, possiamo intravedere il destarsi di una coscienza religiosa.
Mario Puglxsi.
(x) (E. Lehmann, Der Buddhismus in Indien).
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NOTE E COMMENTI
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IL NOME DI DIO IN EBRAICO
Nell’articolo dell’on. Colonna di Cesarò, 0 La guerra europea dal punto di vista spirituale » (Bilychnis, marzo 1920, p. 167) è detto che presso gli ebrei « I, il nome divino, era simbolo dell'uomo retto, era la lettera che ancora oggi ricorre in quasi tutte le lingue ariane per dinotare l’uomo che parli di sé, io, I, ich, ia, io [sic; forse yo?J; il -Dio degli ebrei era il dio del principio dell’io umano, il dio della individualità umana ». Ambedue le asserzioni sono del tutto infondate. Anche il più modesto ebraista sa che la vecchia interpretazione del tetragramma per « Io son colui che sono » (data per la prima volta nell'Esodo III, 14) non è ammissibile. Sia che si preferisca, fra le interpretazioni proposte, quella di « Colui che è », o « l’Eterno » o « Colui che fa essere ( -il Creatore) », certo è che il termine non si riferisce alla prima, ma alla terza persona. Che dire poi del simbolo I « in quasi tutte [?!] le lingue ariane » che con le semitiche non hanno, per quanto alcuni abbiano tentato di dimostrare il contrario, n ssuna parentela? Lo scrittore dell'articolo non ha nemmeno pensato che l’italiano io è trasformazione di una forma più antica eo, dal latino ego; e che nel russo ja (i[ non ia!) l’i consonante non rappresenta che uno speciale raddolci-mento della vocale a, che è il suono essenziale (cfr. jesl di fronte al lat. est) nel gruppo lituslavo, come mostrano chiaro il paleoslavo az e il lituano asz, riattaccandosi al sanscrito a-ham. L‘£ non appare dunque, come iniziale del pronome di prima persona, se non in alcune delle lingue indo-europee e come modificazione di- un suono ¿liverso preesistente.
In altri argomenti, simili sviste non sarebbero possibili, per uomini di alto ingegno e larga dottrina come lo scrittore dell’articolo citato. Ma sembra che un po’ di glottologia elementare non sia ancora ritenuto complemento indispensabile di sana cultura...
P. E. Favolisi.
PER LO STUDIO DELLE RELIGIONI
Nel Circolo Univeritario di Cultura religiosa, che è la Sezione di Napoli della Federazione Studenti per la Cultura religiosa, il prof. A. Renda di quell’università, ha
iniziato un corso di lezioni sul criterio di validità della religione.
Il concetto fondamentale — che i valori spirituali sono irriducibili — è svolto nel suo aspetto generale negli articoli che Bilychnis à annunziati e che si pubblicheranno presto. Nel corso che fa a Napoli il prof. Renda lo applica allo studio della religione. Ecco un sunto delle prime lezioni:
Spiegare che cosa è religione significa determinare quale funzione o qual valore essa abbia. La realtà, come natura, è spiegabile quale oggetto; la realtà, quale spirito, è spiegabile, quale valore.
È possibile studiare la religione — come ogni altra attività spirituale — astraendo dalla sua funzione: tale è appunto lo studio psico-sociologico. Ma così è più tosto studiato lo schema indifferente anziché l'attività concreta; si chiariscono i fatti generici, che sono nella religione come in altre forme, non la religione. Anche se, per questa indagine, si arriva al concetto di necessità della religione, questa necessità è di carattere naturalìstico, cioè ipotetica, temporale, estrinseca.
Contro la legittimità d’un’indagine sulla specifica funzione della religióne potrebbero opporsi parecchie istanze.
1. Concezioni scettiche e relativistiche negano ogni valore. alla religione. Negazioni radicali non esistono nella storia del pensiero con serietà di fondamento. Il relativismo, che insidia la validità anche del vero, del bene, ecc., si basa su una concezione empirica del soggetto.
2. La religione è un disvalore in rapporto alla moralità e alla sapienza. Si illustra la famosa antitesi dal punto di vista che interessa il corso. La sua gravità è acuita dal presupporre un’analogia di funzioni e dal concepire l'attività spirituale con i concetti della logica astratta, anzi che dialetticamente. Esistono opposizioni e contraddizioni tra alcuni elementi dell'esperienza religiosa c la scienza. Ma l'importanza di tali elementi sarà determinata dal concetto di religione. L’esame generale delle antitesi quindi non esclude, anzi dimostra urgente la ricerca d'un’eventuale specifica funzione della religióne.
3. La religione à avute ¡unzioni, ora perdute per il progresso di più appropriate attività.
Il tramonto degli interessi religiosi sarebbe argomento importante, perchè i valori essenziali sono sempiterni. Ma in base all’esperienza storica non si può riè affer-
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marlo, nè negarlo; è sempre lecito appellarsi a una crisi transitoria.
Si debbono riconoscere validi gli argomenti sulla decadenza della funzione conoscitiva ed etica della religione. Ma ancora qui, non si elimina, anzi si richiede la ricerca se non vi sia una funzione specifica.
Parecchi fatti provano una definitiva decadenza della religione in rapporto alla ricchezza del suo contenuto e delle sue funzioni, in rapporto alla sua estensione, ecc.
Ma la riduzione così provata non è criterio valido per apprezzare io sviluppo d'un'attività spirituale. Questa progredisce nel senso appunto d'una specificazione epuratrice. E quel che è avvenuto per la religione.
Vi sono inoltre sicure prove d’un progresso: la spiritualizzazione del contenuto, l’universalità raggiunta dall’idea del divino, la progressiva autonomia della coscienza religiosa, ecc.
L'importanza attribuita alla diffusione e popolarità della religione è eccessiva ed implica conseguenze teoriche erronee. La validità degli ideali non dipende dal numero dei casi della loro verificazione. Anzi, il loro sviluppo importa la creazione di •• organi ■ specifici. La religione non è nelle folle.
La barbarie della coscienza religiosa popolare indica un difetto di sviluppo in rapporto alle altre attività. Ciò è dovuto a molteplici fattori, che trascurano o ritardano l'educazione degli interessi religiosi.
4. La religione non A una specifica funzione; essa soddisfa esigenze morali e conoscitive.
Qui il valore della religione è ridotto a un altro valore. Si discute la legittimità di questo metodo, comparandolo a quello delle sciènze naturalistiche. Si chiarisce la differenza tra la riduzione psicologica e quella speculativa, che riferisce tutte le distinte forme spirituali allo sviluppo d’un’unica attività. Io spirito. Si dimostra che è legittima la concezione dei gradi, nell'attività assoluta dello spirito, ma non la riduzione a teorcticità.
Nella seconda parte del corso, che sarà tenuto nel prossimo mese, il prof. Renda analizzerà la riduzione della religione a conoscenza e illustrerà quale specifica funzione si possa attribuirle.
LA « FEDERAZIONE STUDENTI PFR LA CULTURA RELIGIOSA > E LA CHIESA CATTOLICA
Molte proposte e suggerimenti e modificazioni da apportarsi al programma della Federazione nei paesi cattòlici sono state pubblicate su varie riviste e giornali in questi ultimi tempi.
Ho seguito un poco le discussioni che se ne fecero e mi pare che tra la Federazione e la Chiesa romana, come regolatrice unica della vita cristiana, ci debba.essere antitesi. Ho però sentito obiettare che si possono e si bevono distinguere i cattolici dalla Chiesa romana, o almeno che in molti casi pratici questa distinzione è possibile, e che se è vero che con il cattoli-eismo quale è rappresentato dalla Chiesa romana, non si può trovarsi in armonia, si può però andar d’accordo cori molti e molti cattolici che non si sentono e non vogliono essere totalmente soggetti alla Chiesa. Orbene, questa distinzione mi ripugna: questo indagar se vizio vi è o nò nel foro interno della coscienza del cattolico per poi decidere se tra lui e noi vi è o no affinità, o se possiamo o no invitarlo a noi, è una cosa volgare e illecita. Dirò anche che questo contare sui cattolici eterodossi, sui modernisti, su tutti quei cattolici che in un modo o nell’altro possono andar d’accordo con noi perchè, non andando del tutto d’accordo con la Chiesa, non sentono antitesi tra .loro e noi, è una tattica antipatica e pericolosa, che potrebbe venir giudicata come un proselitismo settario, peggiore di ogni pro-ganda anticattolica.
Non distinguiamo, dunque, e parliamo di cattolicismo e non di cattolici. Che cosa s’ha da fare?
Noi ci troviamo in Italia, davanti a difficoltà assai maggiori che non negli altri paesi cattolici perchè la presenza delia Chiesa romana con tutte le sue diramazioni ecclesiastiche non solo, ma anche speciali, ci mette di fronte non una confessione soltanto, ma un vero mondo complesso, una imponente organizzazione, assai diversa da quelle chiese protestanti, che fossero o non fossero amiche, la Federazione aveva di fronte nei paesi anglo-sassoni. Se la Federazione in passato poteva disinteressarsi di ogni confessione evangelica e guardar con una certa noncuranza talune antipatie protestanti, oggi, di fronte al cattolicismo, nel rinnovato vigore sociale e praticò da
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NOTE E COMMENTI
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esso preso, questo disinteressamento sarebbe assurdo, perchè se' con le confessioni protestanti noi ci urtiamo, se mai, solo in talune questioni prettamente religiose, col cattolicismo nói verremmo ad urtarci in mille questióni non solo religiose, ma altresì sociali e civili e didattiche. E, dunque, una grossa ingenuità credere che tutto è a posto quando abbiamo dichiarato di essere aconfessionali.
E allora, se disinteressarsi non si può e se armonizzare non è possibile, che resta se non chiarire apertamente e nettamente la nostra posizione, dire lealmente quel che siamo, non solo, ma quel che possiamo offrire agli uni e agli altri, ai protestanti e ai cattolici, lasciando poi che ognuno faccia come erède, e che chi ci vuole ci cerchi? Verranno a noi dei cattolici- eterodossi? Benissimo. Verranno dei cattolici
ortodossi? Meglio ancora. Ma siano lóro personalmente e spontaneamente a venire: non siamo noi ad offrir ciò che non abbiamo. Dico ciò che non abbiamo, perchè è indiscutibile che la Federazione sta fuori del cattolicesimo e, se più ci piace, che il cattolicismo non è nella Federazione. Questo è il mio pensiero. La Federazione così com’è in paese cattolico, e specialmente in Italia, deve essere agnostica, evitando tutte le apparenze che potrebbero far pensare che noi siamo di proposito anticattolici. Così potremo non già essere in accordo con la Chiesa romana, ina evitare da un lato le accuse di anti-cattolicismo positivo, dall’altro avere il piacere di ospitare qualche bravo cattolico Che verrà a noi per trovare una vera libertà. Ma verrà spontaneamente c perciò sarà anche più gradito.
Celeste Berardi.
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FORME DI DEGENERAZIONE RELIGIOSA IN TEMPO DI GUERRA
(Continuazione e fine; vedi Bilyc/iiii, fase, di novembre >9x9, pag. 321)
lire ai Santarelli locali, vi sono, per dir così, i santi ecumenici, quelli cioè che hanno saputo farsi largo tra la folla degli altri innumerevoli, e, superando la cerchia angusta di una borgata, di una città o di una contrada, hanno trovato chi li ha accreditati per ogni dove.
Fra questi campeggia sant’Antonio di Padova, il cosiddetto «santo dei miracoli ». Dire convenientemente e ricordare tutte le cose indegne tentate in suo nome sarebbe impresa troppo
vasta. Ci limitiamo pertanto a ricordare quanto in merito alla attività bellica del santo ci viene riferito da due o tre fra i più accreditati e diffusi giornaletti che se ne occupano. Cominciamo dal Dio e il Prossimo, Bollettino mensile di vani Pii Istituti di Messina. Non si fratta di un giornaluccolo clandestino (tiratura dichiarata copie centoventimila) che possa sfuggire facilmente alla vigilanza dell’autorità civile e di quella ecclesiastica.
Sotto il titolo « S. Antonio è con noi », vi troviamo scritto nel numero di marzo del 1918:
In quanto ai nostri soldati clic combattono al fronte contro lo straniero, non minori grazie concede tutto il giorno il Santo. Taluni si sono trovati nel più fitto della battaglia, hanno inteso fischiarsi le palle a destra e a manca, hanno veduto cadérsi ai fianchi 1 loro compagni, e invocando S. Antonio dei nostri Orfanotrofi Antoniani, sono rimasti prodigiosamente incolumi. Altri, al cui favore militavano giuste ragioni di licenza, Anno ottenuto dal gran Santo che le loro ragioni fossero considerate e fosse loro concessa la grazia di visitare i propri figli e la propria sposa.
Non la finiremmo se volessimo accennare le innumerevoli grazie del Santo, nostro gran Protettore, e non solamente in Italia, ma dovunque in tutto il mondo dove è giunta la notizia, che esistono questi nostri Orfanotrofi Antoniani che il gran Santo a dimostrato che sono suoi, assolutamente suoi, prediletti e beneficati.
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NOTE E DOCUMENTI
E più giù:
Taluno dimanda:
Quanto bisogna offrire o promettere al Santo perchè, a seconda della Divina Misericordia, conceda la grazia?
Ripetiamo ciò che abbiamo detto altra volta: bisogna promettere o dare secondo le proprie forze e l'importanza della grazia che si aspetta. Povere genti che non hanno potuto disporre che di una lira, hanno ottenuto grandi grazie dal Santo. Ma i ricchi pensino che il Santo vuole aiutati gli orfani e i poveri!
Il tutto deve intendersi nel senso cattolico e non nel senso superstizioso o simoniaco. Cioè, le grazie del Santo non si comprano col denaro, ma si ottengono con la Fede e con la Carità: la Fede pura e retta in Dio e nei suoi Santi, e la Carità del soccorso agli orfanelli ed ai poverelli per amor di Gesù e del suo Sant’.Antonio.
Inoltre, chi ha promesso l’obolo c non ottiene la grazia non è obbligato a darlo: ma ottenuta la grazia, non si manchi alla promessa, se no il Santo si offende!
È notevole poi che fra i mezzi di impetrar grazie dal predetto santo sia in onore, negli orfanotrofi del canonico Di Francia, direttore ánche del Dio e il Prossimo, quello di far digiunare gli orfanelli quando lo domandano i devoti. Forse tal metodo riesce singolarmente gradito al ricordato canonico in quanto viene a percepir con esso due utili: quello dell’offerta dei devoti e quello del risparmio realizzato pel digiuno forzato di poveri disgraziati ragazzi. Eppure crediamo non sia ancora abolita una certa legge che parla di vigilanza sugli istituti privati, fossero anche di sant’Antonio! (i).
Ma le grazie che il santo concede per intercessione dei piccoli digiunatori possono bene far chiudere un occhio ai tutori, non vigili, della legge. Sentite questa (Dio e il Popolo, aprile 1918) raccontata dallo stesso canonico Di Francia:
Fra gli altri devoti, una madre, signora Di Franca, albergatrice in Altamura. avendo il figlio tenente dèi Bersaglieri in perfetta e continua zona di guerra, ogni giorno con lagrime c viva Fede pregava il gran Santo pel figlio suo. Questi, in marzo del presente anno, dopo aver conseguita una medaglia di argento al valore militare, ebbe licenza di visitare la famiglia.
Insieme alla madre sua e a suo padre venne alla nostra Chiesa in Altamura, per visitare S. Antonio di Padova e ringraziarlo. Trovandomi in Altamura. il giovane volle parlarmi per narrarmi cose mirabili...
Un giorno, in febbraio scorso bisognava salire un monte, c fu adibito lui con un drappello sotto il suo comando. Cominciarono la eroica salita: le raffiche di fuoco nemico passavano furiose: i bravi bersaglieri si mettevano qualche volta al coperto in qualche trincea sulla costa del monte. Allora le palle nemiche di ogni calibro radevano la trincea, sibilavano sulle loro teste, il fragore degli scoppi scuoteva il monte. Ci voleva tutto l’indomito coraggio del bersagliere italiano per tener fermo e ritentare la salita in mezzo alla pioggia di fuoco. L’ardito tenente leva il capo, gira lo sguardo in su, e si accinge a spingersi avanti coi suoi soldati: quando poco discosto tra l’orlo della trincea e la salita, vede un bersagliere ritto della persona, ma senza che tenesse in mano nè fucile, nè sciabola, nè baionetta, nè arma alcuna: invece à in una mano la corona del S. Rosario penzolante, lo sguardo rivolto al Cielo, e le braccia distese in
(1) Un comunicato ufficiale governativo del 15 agosto 1918, accennava alla imminente pubblicazione di una circolare del Ministro della Pubblica Istruzione che avrebbe ordinato ima indagine radicale sugli istituti di istruzione e di educazione scolastica dipendenti da associazioni religiose e affidati a membri delle’congregazioni. Non crediamo si sia fatto nulla. Ad ogni modo è da raccomandare' agli indagatori il regolamento interno degli istituti del canonico£Di Francia.
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atto di preghiera. II sito dov’cgli appariva era il più pcricoloso:_le palle infuriavano, le bombarde scoppiavano, ma la figura di bersagliere non si muovò, anzi leva la voce ed esclama: « Signore, fate terminare questo tremendo flagello delia guerra ». Ad un tratto si rivolge ai giovani bersaglieri e dice loro: Figliuoli, salite, abbiate fiducia in Dio. non temete, non perirete. Il giovane ufficiale gli dice: Prego che osserviate quanti nemici ci siano sulla cima del monte. Il misterioso bersagliere si muove, sa-lisce rapidamente il monte: in quel momento, qv.asi per incanto, i cannoni nemici tacciono, indi ridiscende e dice: • Salite, figliuoli, non vi sono che pochi nemici ». Il tenente e i suoi soldati saltano dalla trincea, e avanti. Sembra loro di trovarsi già a contatto col misterioso bersagliere... ma che cosa c avvenuto? Quell’uomo non si vede più! I giovani, compresi, rianimati, ebbri dello scontro nemico sono' già in cima, si scagliano sui nemici: il loro impeto non ammette resistenza: i nemici alzano le mani e si rendono!
Riflettendo su se stessi gli arditi giovani si domandone chi mai fosse quel bersagliere senz’armi, con la corona del S. Rosario in mano, con gli occhi al Ciclo in atto'di implorare pace, invulnerabile ai proiettili, al cui apparire i cannoni nemici tacquero, c i nostri soldati trionfarono, mentre egli dispariva ai loro sguardi.
Venuto il giovane tenente in Altaniura in licenza, i suoi genitori lo condussero al nostro Istituto offerendo l’obolo per le orfanello.
Entrato in Chiesa, e posto dinnanzi alla nostra bella Statua di S. Antonio di Padova che qui si venera, dinanzi a quella Statua alla quale levava sospiri e suppliche per lui la madre sua, il giovane restò sorpreso che gli parve di trovare un riscontro tra quella figura misteriosa di bersagliere e il Santo. • Aveva proprio lo stesso profilo del volto, ci somiglia molto questa statua > diceva il giovane tenente!
Se questa storiella, che il canonico Di Francia così elegantemente racconta ha, una qualsiasi base di verità, si riduce facilmente ai suoi veri termini. Il supposto sant'Antonio non sarà stato certo che un soldato, eroico davvero, aggregatosi volontario al drappello e che nell’assalto definitivo avrà pagato colla vita il proprio ardimento. La corona del rosario, gli sguardi al cielo e tutti gli. altri amminicoli, così dettagliatamente raccontati sopra, sono del tenente, che la sovreccitazione del momento teneva agitato, o che cerca scusarsi di essersi lasciato vincere in ardimento da un umile gregario.
Ma, grazie alla idiozia di quel tale censore governativo ed alla furba compiacenza di quell’altro ecclesiastico, il canonico Di Francia ha ottenuto così l’intento di tirare acqua ai mulino del suo sant’Antonio di Altamura.
Passiamo ad un altro caso: tipica forma di autoesibizionismo da parte di un altro ipilitàre (Dio ed il Prossimo, agosto 1918):
Pure bisogna continuare ad avanzare: bisogna attraversare un tratto scoperto, per giungere al nuovo riparo naturale.
Il momento è difficile: forse potrò anche essere colpito in quell'attimo in quella breve corsa sotto il fuoco intenso del nemico.
Ed allora il mio pensiero vola fiducioso e sereno al Grande Sant’Antonio di Padova, di cui portavomìncdaglietta d’argento al collo, gentile regalo della mia fidanzata, prima che partissi per le linee del fuoco, ed invoco il Santo Miracoloso con fede sicura.
Le mitragliatrici crepitano sempre: la zona mortale da attraversare mi è di fronte terribile e minacciosa. Ma ormai non temo più nulla: mi alzo da terra, dal fango fra cui giacevo, grido, al capitano di raggiungermi c parto di corsa fra il crepitio violento delle mitragliatrici.
Giungo al nuovo riparo sano e salvo: la ferma fede del miracoloso S. Antonio mi aveva salvato-
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Nel secondo periodo del combattimento, generatosi un momentaneo panico fra i pochi soldati che ero riuscito a radunare ed a riportare al combattimento, resto solo sperduto in un bosco su di una montagna.
Per quante ricerche faccia, non riesco., a trovar nessuno all’intorno: non conosco quelle regioni, ed il nemico è vicino.
Sfuggito alla morte corro il rischio di esser preso prigioniero.
Ma, questo non sarà mai: piuttosto morire che cadere nelle mani dell’invasore d’Italia.
E mi rivolgo ancora al grande Santo, l'invoco con fede e... mi guardo aH’intorno: a pochi passi scorgo una pattuglia d’alpini con un capitano che sale su per la montagna.
Comprendo: il secondo miracolo è fatto.
E parlando poi con diversi miei soldati, tutti mi dissero di dover la loro salvezza al gran Santo di Padova, che nei momenti più difficili del combattimento avevano invocato con fede sincera.
Patria e fede! Gl’ideali più belli e più santi!... Rag. Palmieri Vincenzo
Sottoten. dei fucilieri di Como.
Non è interessante il caso di questo ragioniere che... della ragione e degli occhi aveva perduto il lume, tanto da non vedere, se non dopo invocato sant’Antonio una pattuglia « a pochi passi di distanza », mentre un secondo prima, per quante ricerche avesse fatto, non era riuscito a trovar nessuno all’intorno? Il vecchio capitano, e la medaglietta della fidanzata, e là fuga dei soldati, e il bosco sulla montagna, nel quale... l’eroico condottiero non sa da che parte voltarsi, tutto il quadro, insomma, immaginato malamente, testimonia Che esso è stato congegnato senza bussola e senza senso comune, al solo scopo di arrivare all'ultimo capoverso, e, quel che più importa, alla firma.
Ma, proseguiamo nell’esposizione. Ecco altri favori di sant’Antonio, registrati dal Dio e il Prossimo:
Da Macchia al Vomano (Teramo), 25 febbraio 1918.
... Mi trovavo in guerra a prestare il mio braccio alla Patria. E in un combattimento avendo passato un grande pericolo sotto le raffiche delle mitragliatrici c delle granate, mi trovai smarrito tra rocce e boscaglie.
Allora mi rammentai che avevo una medaglia di S. Antonio attaccata al braccialetto; subito mi rivolsi al Gran Santo e Gli feci il voto. Così fui libero da ogni pericolo ...
(Segue l’obolo). Suo dev.mo
De Fuliis Ernesto.
(Numero di maggio 1918) (1).
Forenza, i° settembre 1917.
... Incaricata dal sig. Messanelli Italo già militare le comunico quanto segue. Il 20 agosto scorso dopo aver preso parte ad un accanito combattimento di 50 ore continue, gli scoppia il suo cannone quando meno se l'aspettava. In quell’istante di forte trepidazione si rivolse eon fede a S. Antonio promettendo l’obolo per coteste orfa-nelle. Difatti il Santo dei portenti lo rese miracolosamente salvo, mentre quell’improvviso scoppio di cannone lo avrebbe potuto incenerire insieme a quanti gli stavan
(Ség,« r0Mo). SaHTOI^ÌMAR.A.
(1) In questo stesso numero c’è un'altra cosa che avrebbe dovuto attirare l’attenzione dei tutori delle leggi, la relazione cioè della monacazione di parecchie < Suore Antoniane dette le Figlie de! Divino Zelo del Cuore di Gesù ». Fra quelle che hanno emesso i pretesi « voti perpetui • ve ne sono parecchie diciottenni e ventenni. Chiediamo se vi sia ancora una legge sulla protezione delle-minorenni da far rispettare.
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Zona di guerra, 27 agosto 19x7.
... Ieri sotto una pioggia di proiettili di ogni specie dovetti compiere il mio dovere insieme alla mia squadra per trasportare i feriti.
In quei pericolosi momenti di forte trepidazione, raccomandavo al Santo me e ia mia squadra. Ne siano rese grazie al Taumaturgo Padovano! Durante il nostro tragitto il nemico si mostrò un po’ calmo, difatti siamo ritornati incolumi al posto a nói assegnato. n«v mn
Prego pubblicare la detta grazia. ' 0
Mersaglia Vincenzo.
(Precedi l'obolo). Zona di guerra, 7 settembre 1917.
... Da 27 mesi mi trovavo sul campo di battaglia e sempre in gran pericolo. Un giorno più degli altri le palle nemiche cadevano a guisa di pioggia, fischiavano sul mio capo in modo straordinario. In quei momenti in cui mi credevo perduto, invocai il Santo perchè mi difendesse lui. Difatti ne fui liberato completamente ...
Cap. Maggiore N. Ciranna.
Bergamo, io maggio 1916.
... Il 14 gennaio il mio consorte trovavasi sotto una pioggia di proiettili austriaci; vedendosi prossimo a perdere la vita, fece l'atto di pentimento, raccomandò la sua anima a Dio e invocò il SS. Nome di Gesù, di Maria e di S. Antonio. Dopo un’ora
di terribile spavento, restò sano e salvo ...
Begnis Margherita.
(Precede l’obolo). Milano, 26 marzo 1919.
... Cadde una bomba austriaca di fronte alla mia porta. Tutt’i vetri della finestra si frantumarono, trovai quattro schegge sul mio letto, il mio bambino in quel momento era addormentato, e per grazia di Dio e di S. Antonio non venne colpito ...
Nizzola Gina.
La signorina Elvira Licastro da Sinopoli era priva di notizie del suo fratello capitano medico, che prese parte alla grande avanzata del 24 ottobre... Abboccatasi col nostro Rev.mo Padre Fondatore gli manifestò la sua angoscia. Questi la esortò ad aver fiducia in S. Antonio e intanto ritenesse essere il suo fratello prigioniero anziché morto.
Passato poco tempo, il 13 dicembre la signora Licastro veniva consolata dal Santo, poiché le perveniva lettera dal fratello che le comunica trovarsi prigioniero in Germania.
È da notare che detta lettera oltre esserle pervenuta il giorno 13 dicembre portava pure la data del 13 novembre scorso.
La signorina riconoscente al Santo soddisfa la promessa fatta di L. 100.
(Numero di agosto 1918).
Ciò che sant’Antonio non permetteva è che lo si infastidisse troppo a favore della pace. Egli punisce la petulanza di chi lo disturba a tale scopo. Lo troviamo cosi documentato nel numero di giugno del Dio e il Popolo, dal quale abbiamo tratte le tre « grazie » precedenti:
La signorina Francesca Calasia venne personalmente all’istituto, e narrò che quasi fin dall’inizio della guerra europea aveva intrapresa la pia pratica della tredicina di preghiere a S. Antonio di Padova per ottenere la sospirata pace. Però in un giorno dello scorso mese di dicembre, seccatasi di pregare senza un esito di pace, così disse rivolgendosi a S. Antonio: « Voi non fate cessare la guerra, ed io non recito più la tre-
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dicina ». Qui è da premettere che la detta signorina teneva al collo dì e notte una medaglia del Santo, che riguardava come suo Protettore. Però dal giorno in cui smise la tredicina perdette la medaglia, rimanendovi al collo il solo laccetto; cerca e ricerca addosso e dapertutto per più giorni, e non trova la medaglia. Suppose però che lo smarrimento di detta medaglia fosse avvenuto in pena della sua incostanza nella recita della tredicina, e ravvedutasi domanda perdono al Santo promettendo di continuarla: oh prodigio! immediatamente si trova addosso la medaglia che con lunghe osservazioni non aveva potuto trovare (i).
L’attività del Santo dei Miracoli è però, a volte, non perfettamente legale! Leggere per credere questi esempi tratti dal II Santo dei Miracoli « bollettino mensile dell’Associazione Universale di sant’Antonio (numero del giugno 1917) :
Un giorno il comandante chiama a sè mio marito e gli dice: « Mezzaroba, tu entrerai in servizio di cuciniere e non andrai più in trincea ».
O fratelli, se avete il cuore torturato, ricorrete con viva fede a S. Antonio che non mancherà mai di stendere sopra di voi la sua benigna protezione! 12 lire.
Orlandi Amalia, appena finita la tredicina, ricevette la notizia che il marito era stato dichiarato inabile, ai servizi di guerra. Lire 2,50.
Botlaro Amalia ottenne la promozione del marito a sottotenente. Lire 6.
Mancavano ancora pochi giorni per partire in zona di guerra. Moltiplicai le orazioni a S. Antonio del quale sono stato sempre devoto, ma in modo particolare prima di passare l'ultima visita, promettendo in pari tempo lire dieci di offerta. S. Antonio esaudì le mie preghiere ed ora mi trovo in famiglia riformato.
Angelo Bicchieri di Città di Castello, nelle ore tribolate della trincea ebbe una idea piuttosto originale, se volete, ma a cui Sant’Antonio non negò il suo appoggio. Chiese di esser còlto dalla febbre, per poter passare all’ospedale e di qui a casa. Ed ottenne così di rimanere lontano dalla trincea un mese. Lire una.
Ma, a quanto pare, S. Antonio di Padova risuscita anche i soldati morti. Il Bollettino dell'^Istituto Fanciulli poveri di Gatteó, nel n. 1 del 1918 (primo trimestre) reca:
Cirimido, 26 luglio 1917.
•/ : Oiortii sono ricevetti notizia che mio figlio era morto in guerra: lascio immaginare a Lei il dispiacere che provai quasi da darmi alla disperazione! Mi corse alla mente di rivolgermi al grande Taumaturgo S. Antonio promettendo un’offerta se mi fosse dato di ricevere una buona notizia del mio caro figlio. S. Antonio, Nostra Signora del S. C. di Gesù e Don Luigi Ghinelli non tardarono a consolarmi: due giorno dopo ricevetti lettera, egli si trovava sano e salvò; . A. Z.
Naturalmente, dopo la narrazione della precedente « grazia », è da ritenere un semplice giuoco per s. Antonio il curare le più gravi ferite. Tuttavia, eccone la prova specifica, tratta dal Bollettino predetto:
(1) Non possiamo esimerci dal ricordare qui in nota che la chiesa, in legno, di S. Antonio in Messina fu preda del fuoco nella notte dal 26 al 27 aprile 1919. Il canonico Di Francia commentando il fatto {Dio e H Prossimo, maggio 1919) sembrava voler .dire che il fuoco per cui anche « il Sacramento Santissimo è andato in ruina » fosse stato appiccato dallo stesso S. Antonio, perchè la chiesa « Egli non la voleva più in legnò; ne vuole una degna di Lui ». I.a sottoscrizione per la chiesa « più degna • come rilevasi dai recentissimi numeri del Dio e il Prossimo, sta per raggiungere le centomila lire.
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Tomba di Pesaro, 9 giugno 1917.
S. Antonio mi ha ottenuta la grazia per intercessione di Don Luigi Ghinelli. Mentre ero trepidante per la notizia avuta che un mio figlio era rimasto ferito al fronte ad un occhio, feci scrivere al suo Istituto che si pregasse per lui, che molto si temeva per la perdita della vista. Invece egli è rimesso completamente che neppure si conosce il segno della ferita. Io sciolgo il voto fatto mandando L. 3 per far celebrare una messa all’anima santa di D. Luigi Ghinelli che ringrazierà S. Antonio per me.
A. B.
La signora A. B. ha ringraziato S. Antonio e l’anima santa di D. Luigi Ghinelli, ma, v’è da scommettere, non ha ringraziato affatto il chirurgo al quale la guarigione del soldato è effettivamente dovuta e che chi sa quali cure ha prodigato al povero ferito. Sic vos non vobis\
E se il santo dei miracoli può opporsi validamente alla morte ed alle malattie, non v'ha dubbio che possa dominare gli elementi. Ecco, infatti, quanto racconta il precitato Bollettino:
{Obolo). z Palermo, 2 settembre 1917.
Erano le ore 20 quando un incendio si sviluppava in un magazzino accanto alla nostra abitazione, le fiamme in pochi minuti salirono ad una altezza considerevole e minacciava prendere fuoco la nostra casa. Ecco che mi rivolgo a chi non si ricorre invano: a S. Antonio e prendendo un quadro di Lui io metto ad- una finestra prospiciente le fiamme. Intanto erano arrivati i pompieri, i quali da principio si erano molto impressionati della vastità dell’incendio ed avevano dato ordine di far sloggiare tutti; quando l’incendio cominciò a domarsi e nemmeno il minimo danno fu arrecato alla nostra abitazione benché essa fosse in contatto diretto col magazzino in fiamme. Era stato uno dei continui miracoli del Santo di Padova...
N. N.
Il miracolo massimo è però quello di fare affluire denaro alla cassa del manageur. Nel Bollettino da cui abbiado estratto le grazie predette, sono registrate tante offerte, « pel pane di s. Antonio di Padova », per l’importo complessivo di L. 3043,71. Ma è da notare, come avverte il direttore del Bollettino, sac. Martino Gugnasca.che« nella rubrica offerte per il pane si pubblicano unicamente le offerte pervenutegli con la dicitura per il pane, non le altre inviate per domanda di preghiere o per ringraziamento senza tale indicazione ». Di nomi di persone, che ringraziano il santo per protezione ai soldati e per altre ragioni, e che, naturalmente, hanno inviato chi più chi meno denaro, come espressione tangibile di grato animo sono piene zeppe ben nove pagine del Bollettino.
Grazie e prodigi come quelli sin qui riportati le troviamo in ognuno delle parecchie diecine di giornaletti che celebrano le glorie di s. Antonio. Tralasciando ogni altro, non possiamo fare a meno di accennare al M¿¿saggierò di s. Antonio di Padova, « bollettino ufficiale della Basilica di s. Antonio di Padova, dell’Arciconfra-ternita e dell’Opcra provvidenziale del Pane dei Poveri erette nella stessa Basilica» e « redatto dai Padri Minori Conv. Officiatori del Santo ». Il M ¿¿saggierò, nel solo numero dell’aprile 1918, registra offerte per circa 4500 lire, e i reverendi padri « officiatori del Santo » annunziano, nelle avvertenze dell’ultima pagina, quanto segue:
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Nel mese venturo metteremo la continuazione delle offerte per il Santuario di Arcclla. %
Intanto constatiamo con piacere che incominciano a giungere le offerte dai nostri fratelli di America, accompagnate tutte da nobili c patriottiche parole, espressione del loro affetto e attaccamento alla patria diletta.
Così pure assicuriamo tutti i nostri cari abbonati che, come qui all’Arca del Santo, così all’ArceHa. continuano incessanti le nostre preghiere per ottenere dal Santo l’esaudimento di tutti i loro voti e desideri.
Inutile dire che anche nel Massaggierò spesseggiano le grazie concesse a soldati. Ne riportiamo due a titolo di saggio:
... Mi rivolsi allora con gran fiducia al glorioso Santo, promettendo una piccola offerta e la pubblicazione nel Messaggiero. Spuntò il giorno 27 settembre e fu un giorno di gioia perchè mio marito tornò a casa con una licenza di 80 giorni. Avevo fatto una tredicina, mi ero raccomandata con viva fede ed avevo ottenuto.
L’Abbonata C..C»
... Mio fratello Enzo Tecchio. ufficiale degli Alpini, dopo accanito combattimento, nel quale le palle e la mitraglia nemica ruggiva da ogni parte, rimase miracolosamente incolume ma pur troppo prigioniero... ~ _
r 1 0 Giovanna Taccino.
E basta con s. Antonio, il «santo dei miracoli».
♦ ♦ ♦
Eccoci a santa Rita da Cascia, la « santa degli impossibili ». Ne facciamo solo un breve accenno per non tediare troppo con la ripetizione di storie, che non hanno di diverso che il nome del santo. Santa Rita, come ogni santo che si rispetti, si è occupata molto dei nostri soldati. La voce dell*Immacolata, periodico religioso mensile di Vigevano, accenna per ordinario sommariamente a grazie della santa, un simulacro della quale si venera in quella città. Si veda per es. il numero del giugno 1918.
Ma, parlando di santa Rita, non possiamo trattenerci dal riferire il fatto mirabile, narrato dalla madre badessa del monastero che dalla detta santa prende il nome e nella cui chiesa è esposto il cadavere dalla monacella umbra.
La Madre Abbadessa del monastero di S. Rita il 20 febbraio 1918 dava questa notizia ad un Vescovo, accludendo la dichiarazione del Vicario foraneo:
«Molte persone e sacerdoti sentendo, ed anche vedendo il fatto dell’avvicinamento del corpo di S. Rita al vetro dell’urna, mi suggeriscono di farne consapevole V. E. così potrà segnare questa data come solenne per un nuovo prodigio... ».
M. Consiglia Deangelis
Abbadessa del Monastero di S. Rita.
CERTIFICATO
« La salma di S. Rita si è mossa. Questa è la voce di tutti i devoti della Santa « e delle stesse monache.
« Difatti, come si osserva, i piedi hanno mutato posizione, così pure le mani; « e il corpo si è alquanto rivolto verso il popolo.
« Questi moti prodigiosi si sono verificati altre volte per il passato e sempre in « epoche in cui erano per terminare i castighi di Dio. Il fatto è certamente prodigioso «nel momento attuale... ». ~ ir..,—. • ».
D. Umberto Paglini, prò Vicario Foraneo.
(Dal Tau di Affile Subiaco).
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Malgrado le assicurazioni del reverendo Paolini, prò Vicario Foraneo, che cioè i « moti » di santa Rita si sono verificati sempre in epoche in cui erano per terminare i castighi di Dio, trascorsero parecchi mesi da quando la santa cercò una posizione più comoda nella sua urna, prima che « il castigo di Dio » fosse per cessare!
San Gennaro, che da buon meridionale aveva da vivo il sangue caldo, tale lo ha conservato, dicono, per quasi due diecine di secoli da che è morto, e tuttora, varie volte l’anno, a scadenze fisse,'lo fa «grillare», con grande compiacimento dei buoni — tre volte buòni — napoletani, i quali ogni volta, immancabilmente, ne trassero i più lieti presagi, durante la guerra, sulla prossima fine della guerra stessa.
Sant'Espedito, la cui prerogativa è di essere sbrigativo nel compiacere i suoi devoti, in tempo di guerra si è specializzato anche lui in materia militare. C’è chi crede che egli abbia uno speciale ascendente sul ministro della guerra, a giudicare dalle righe seguenti pubblicate dal Bollettino mensile del santo (dicembre 1916), che ha la sua redazione nella chiesa di san Rocco in Torino:.
Offro L. 2 pel mese di novembre al glorioso S. Espcdito, e lo prego di continuare la sua san ta protezione e di concedermi la grazia che mio marito non venga più richiamato.
F. O.
E, più sotto, un’altra devota, modicae fidei, offre anch’essa qualche cosa, come caparra, con promessa di dar di più se il santo le concede una grazia che non si ha il coraggio di specificare, ma che si indovina dalle reticenti espressioni:
• Eccomi caro S. Espcdito, di nuovo prostrata davanti a voi per supplicare e ottenere la grazia di cui m'intendo e che voi pure conoscete la mia necessità, offro lire 2 e appena avrò ricevuto tale grazia offrirò lire 5 e vi prometto d'essere sempre vostra devota, e sino alla fine della guerra, tutti i mesi offrirò lire 1 per il pane dei poveri. Prego e spero di ottenere tale grazia. Sempre vostra devota ». O. M.
La « Madonna di Pompei » non ha bisogno di presentazione. Troppo è nota la solenne mistificazione organizzata in nome di tale Madonna da un trentennio a questa parte. Ci limitiamo quindi a spigolare da tre quaderni (i soli che in questo momento abbiamo sott’occhio) del Rosario e la nuova Pompei, e cioè da quelli marzo-aprile e luglio-agosto 1917 e gennaio-febbraio 1918, qualche campione delle speciali grazie distribuite e da distribuirsi ai soldati dalla detta Madonna. Eccoli:
Mònteleone Cal. — Il capitano Giuseppe Santulli, in adempimento di voto fatto alla SS. Vergine, pòrta al Santuàrio di Valle di Pompei le sue spalline di argento per la seguente grazia ricevuta:
• In difficilissime c critiche condizioni, al comando della propria Compagnia, mentre avanzava contro il nemico sotto l’intenso fuoco avversario, veniva in malo modo ferito da proiettile di fucile alla coscia sinistra con frattura del femore. Fatto segno ad altri colpi del nemico, non fu più colpito, e potè essere trasportato, gravissimo, all'ospedale.
« Per intercessione della Beata Vergine, dopo solo 53 giorni guarì completamente, sebbene, appena ricoverato all’ospedale, fosse stato dichiarato in pericolo di vita.o nella ipotesi più favorevole, occorresse amputargli l’arto ferito. I.a completa guarigione destò meraviglia e stupore negli stessi sanitari curanti ».
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Marcianise. — Il tenente medico dott. Gaetano Fucsia è venuto con la propria famiglia a ringraziare la SS. Vergine di Pompei, per grazie ricevute, e per impetrarne altre che desidera; offriva L. 100 per il Santuario e per le annesse Opere di Beneficenza.
Benevento.— Alcuni automobilisti della 5* Compagnia, essendo arrivati sani e salvi a Vallona, in Albania, inviano, per mezzo mio, l’offerta di L. 26, raccolte in mezzo a loro, da erogarsi a favore delle Orfanello della Madonna di Pompei le quali pregheranno la SS. Vergine, perchè li salvi da ogni pericolo.
Parr. Antonio Bancale.
Bellosguardo (Salerno). — II soldato Macchiatoli Giuseppe scrive: — Fui ferito in guerra, e la gravità della ferita fece perdere ogni speranza di guarigione a coloro che mi assistevano. Mi disposi a morire da buon cristiano e ricevei i Santi Sacramenti; e ciò bastò per rendermi calmo e fiducioso in Dio. Chiesi, per mezzo dei mici, l’aiuto della SS. Vergine di Pompei; ed è mia convinzione che solo l’aiuto della celeste Madre ha potuto ridonarmi la salute. Mi recai a visitare cotesto Santuario il giorno in cui, uscito dall’ospedale, ritornai in famiglia, e lasciai la mia misera offerta per le Orfanelle. Ma mi riserbo venire a ringraziare la SS. Vergine e ricevere i Santi Sacramenti ai piedi del suo Altare.
Napoli. — Il sig. ragioniere Ch. Lejeune manifesta la sua commossa e fervida riconoscènza alla prodigiosa Vergine del Rosario di Pompei per il celeste patrocinio e pel materno continuo ausilio spiegato a favore del valoroso figliuolo sig. Leonardo combattente al fronte e gran divoto della Madonna. Riferisce questo bel tratto di lettera scrittogli dal caro figliuolo: « È la bella Madonna di Pompei che mi ha salvata la vita, perchè la scheggia di granata che avrebbe dovuto freddarmi, è cozzata sul temperino che avevo in tasca, ed al quale erano attaccate tre medagline; il temperino è spezzato, due delle medaglie contorte, e solo quella della Beata Vergine di Pompei è intatta, e pare mi dica: Spera ed abbi fede in me! •
Quest’ultimo fatterello dimostra tutta la subbiettività nella attribuzione di un presunto fatto miracoloso. Il militare di cui vi si parla e che fu salvo, perchè la palla nemica andò a colpire il temperino che egli aveva in tasca, non ringrazia affatto nè benedice il coltellinaio che aveva foggiato l'utile oggettino, nè ha un moto di gratitudine per i poveri due santi effigiati nelle due medaglie che furono contorte dall'urto della scheggia di granata, ma testimonia tutto il suo grato animo alla Madonna di Pompei, la cui medaglia rimase intatta, vale a dire non contribuì per nulla alla di lui salvezza. Com’è irragionevole quel figlio di ragioniere!
Chi ragiona assai bene, dal suo punto di vista, è invece Bartolo Bongo, il noto impresario della Madonna predetta. In uno solo degli accennati quaderni trovansi registrate offerte in denaro per oltre undicimila lire ed in gioielli e oggetti preziosi per un valore straordinario.
Un temibile concorrente della Madonna di Pompei, è la « Madonna di don Bosco », Questa è propagandata dai salesiani ed ha’per organo il Bollettino Salesiano, da alcuni numeri del quale desumiamo, come abbiamo fatto per l’altra, qualche relazione 0 invocazione di grazia.
Trinità di Montaldo Torinese, 29 maggio 1917. — Erano sette mesi che non avevamo più notizie d’un nostro caro che si trovava al fronte. Le speranze nostre erano ormai deluse, finché ricorremmo con fiducia alla Madre Celeste, promettendo di far pubblica la grazia, se avessimo saputo qualche cosa. Ofi! bontà di Maria Ausiliatrice, non avevamo ancor terminato la novena e dal Comando del Reggimento ci veniva comunicato che il nostro caro era prigioniero. R. M. C.
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Il soldato Cossetta Carlo, della classe del '98, pochi giorni fa scriveva alla sua mamma che se è ancora in vita, lo deve a Maria Ausiliatrice. Ecco il perchè: il giorno io del corrente- mese alle 3 del mattino, doveva per una strada mulattiera portai- il caffè ai soldati della sua compagnia che si trovavano in trincea, quando per l’infuriare di vento e neve, in quel buio pesto smarrì la strada. Nel colmo dello sconforto e scoraggiamento, temendo la morte sicura, piangendo si mise a chiamare: Mamma! Mamma! ma nessuno gli rispose! Allora si ricordò che era inscritto ai devòti di Maria Ausiliatrice, e le disse tutto quanto il suo cuore gli dettava. Mentre andava ripetendo « Oh!, cara Madonna di Don Bosco, salvatemi! abbiate di, me pietà!», «ecco, così scrive, che tutto in un momento, dal buio pesto in cui mi trovavo, mi vidi tutto illuminato, e a pochi passi da me scorsi un soldato che mi disse : — Fa’ coraggio; va’ di là, passa di là e ti troverai sulla buona via! — Non so di che reggimento e di qual compagnia fosse quel soldato; solo dico, se son salvo è un miracolo di Maria Ausiliatrice ». La mamma di questo soldato che è Cossetta Pierina n. Ferraris per mezzo della propria mamma che abita a Torino c che mandò a celebrare una messa ed accendere una candela a Maria SS. Ausiliatrice, desidera che detta grazia venga pubblicata sul Boi-lettino, promettendo un’offerta per gli orfani di Don Bosco.
Vignale Monferrato, 21 gennaio 1918. Vittoria Ruschena.
Dalla zona di guerra. — Soldati! Ricorrete tutti alla gran Vergine Ausiliatrice e sarete sempre da lei protetti!
Dal 22 luglio 1916 al 23 maggio 1917 sono sempre stato in Zona di guerra ed immediato contatto col nemico, c se ancor mi trovo qua, sano e salvo, lo devo alla Vergine Ausiliatrice. alla quale non ricorsi mai .invano.
Era il 26 luglio 1916 e da due giorni appena avevo avuto il così detto battesimo del fuoco, ed io mi trovavo coi mici commilitoni di rincalzo ad una compagnia di fanteria che doveva dar l’assalto a una posizione nemica, quando vidi avvicinarsi al tenente del mio plotone un tenente dei bombardieri, il quale gli chiedeva 607 uomini per costruire due piazzole per bombarde; e siccome dette piazzolc dovevano essere fatte in luogo scoperto, distante appena un duecento metri dal nemico, il mio tenente stava esistando un po'. Considerando il male che poteva succedere non facendo quel lavoro (come disse lo stesso tenente dei bombardieri) dopo aver recitato qualche Ave alla Vergine SS. e la giaculatoria Maria. Auxilium Cristianorum, ora prò nobis, mi feci innanzi invitando cinque o sei dei miei compagni, i quali non tardarono di aderire al mio invito e in breve ora il lavoro fu fatto con nessuna perdita e con ammirazione di tutti, tante- che fummo proposti, io per la medaglia al valore, e i miei commilitoni per l'encomio solenne. <
Nel mese di agosto e settembre dello stesso anno andai pure quattro volte, colla squadra, a portare tubi di gelatina esplosiva per rompere reticolati, e fui ognora protetto della gran Madre, alla quale mi rivolgo sempre prima di espormi a tali pericoli. Anche il 9 ottobre di quell'anno coll’aiuto della mia protettrice, trovandomi alla seconda cima del..., per lavori, venne un contrattacco nemico; e già i poveri bersaglieri che difendevano la posizione, temevano di doverla perdere per mancanza di bombe a mano, unico mezzo di difesa in quel punto, e perciò chiedevano bombe a tutta forza; ina siccome si doveva passare in un difficile tratto scoperto, nessuno dei soldati di servizio osava passarvi per il primo. Decisi di dar io l’esempio, e dopo aver fatto uno, duq e tre viaggi da solo, incominciarono a seguirmi anche degli altri, e così si potè far fronte; e anche in questo caso xui proposto per una medaglia dal Comandante dei bersaglieri.
Fu pure una vera grazia concessami da Colei cui sempre ricorro, se tutto mi andò bene per il lavoro della mina del dentino del..., ove potei passarmela con una ferita al braccio destro, e se potei portare a termine il còmpito affidatomi, a un sol metro di roccia tra la nostra galleria di mina c quella del nemico.
Dal giorno 23 maggio 1917 fino al 6 ottobre u. s. non ebbi più continuo contatto col nemico, ma giornalmente fui esposto a molti pericoli, dovendo passare e percorrere punti pieni d’insidia: eppure fui sempre incolume!
Nei mesi di ottobre e di novembre u. s. trascorsi dei giorni tristi, ma sempre colla fiducia in Colei che mi ha sempre aiutato, superai felicemente l’arduo còmpito
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di interrompere strade e di far saltar ponti durante l’improvvisa ritirata. E sempre incolume!
Non devo esser riconoscente a Maria Ausiliatrice? Son ancora in zona di guerra, ma tranquillo, perchè conto sempre sull'aiuto della Madonna.
24 gennaio 1918. E. Uslenghi.
Le due relazioni riportate rientrano nel novero e nella categoria di quelle già sopra commentate e che hanno per movente o la paura o l’esibizionismo. Povere c misere cose ambedue, ma, come tutte le cose povere e misere, soggette assai bene allo sfruttamento. Ci dispensiamo da altre citazioni relative alla Madonna di don Bosco, limitandoci solo ad accennare, senza commenti, i quali riuscirebbero superflui che essa si è visto presentare da un giovane principe di casa Savoia, in occasione del giubileo del tempio erettole in Torino, alla presenza di una gran serqua di vescovi, di due cardinali, delle autorità civili e militari, un grande cuore d’oro in nome dei soldati d’Italia... Come ne saranno gelosi le altre madonne e gli altri santi! (1).
* ♦ *
Il Cuore di Gesù merita un capitoletto speciale. Esso, evidentemente, non può confondersi tra la folla dei santi di qualsiasi calibro, nè tra le congerie di tante madonne dalle diverse denominazioni. Vi si opporrebbero non soltanto le precedenze gerarchiche ma benanco il fatto che, essendo la devozione al detto cuore proclamata la devozione di quest’ultimi tempi, è naturale che ad essa specialmente si sia fatto ricorso a scopo di propaganda.
Sin dal principio della guerra una viva campagna fu condotta in Francia sia tra i soldati al fronte che nel paese a favore dell’apposizione dell'immagine del Cuor di Gesù sulla bandiera nazionale. Tutti i giornali clericali francesi, particolarmente La Croix, sostennero energicamente tale campagna, che la prima vittoria della Marna fu lì lì per far trionfare. Una seria reazione si produsse però, e, malgrado tutti gli sforzi della stampa e dei cappellani militari che propagavano ardentemente l’idea stramba tra i soldati, il progetto fece fallimento.
Più tardi, nel 1916, si sparse la voce che una certa Clara Ferchaud, una povera visionaria di Loublande nella Vandea, aveva avuto alcune misteriose apparizioni.
(1) Per non dilungarci ulteriormente, ricordiamo qui in nota che gli angeli sono stati non meno adoperati dei santi. E non solo i cosidetti angeli custodi che avrebbero dovuto custodire, i soldati loro affidati, ma primo fra tutti è stato chiamato in ballo S. Michele. Ad esempio il « Gomitato prò Orfane Garganiche dei Soldati » di Monte* santàngelo (Foggia) volle ripubblicare la preghiera dettata da Wilson e trovò modo di intrufolarvi dentro S. Michele invece di Gesù Cristo. Però il detto arcangelo doveva avere un incarico più specifico; ne avemmo notizia dalla Rivista mensile del Tou-ring Club Italiano (gennaio-febbraio 1919) giacché secondo essa dopo una polemica originale svoltesi in Inghilterra sulla necessità di mettere l’aeronautica-sotto la protezione d’un santo, indicando ehi come preferibile San Michele Arcangelo, e chi il profeta Elia fu scelto dal reverendo P. Morgan del Presbiterio di San Michele in Ashford Middlesex, S. Michele e fu fondata una < Congregazione di San Michele per gli aeronauti », alla quale il cardinale arcivescovo di Westminster invitò tutti gli aviatori cattolici inglesi, americani e canadesi ad iscriversi: gli aviatori inscritti sommano già ad una cifra considerevole!
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Il Sacro Cuore le sarebbe apparso e le avrebbe dato l’incarico di significare al Presidente della Repubblica ed ai generali comandanti delle armate, che se volevano rigettare i tedeschi dalla Francia, e riportare la vittoria, una sola condizione si imponeva: l’applicazione sulla bandiera tricolore dell’immagine del Sacro Cuore. La cosa fece assai chiasso. L’autorità ecclesiastica, invece di tenersi riservata, com’è costume nella Chiesa in casi consimili, prese sul serio le rivelazioni della visionaria, la quale fu mandata a Parigi perchè avesse la possibilità di adempiere presso Poincaré la missione affidatale dal Cielo. Col pretesto di un pellegrinaggio a Montmartre, essa potè recarsi nella capitale, e sotto l'egida del noto deputato clericale Baudry ò’Ausson, il quale la accompagnò, fu ricevuta all’Eliseo. Sembra però che il presidente Poincaré non si sia convinto affatto di quanto la Ferchaud ebbe a raccontargli, come già Luigi XIV non credette affatto—seppure ne ebbe mai notizia — allo identico messaggio inviatogli a mezzo di quella grande isterica di Margherita Maria Alacoque. Clara Ferchaud avrebbe voluto stabilirsi per qualche tempo a Parigi per seguirvi più da vicino la realizzazione dei desideri celesti, ma il cardinale Amette, che sembra condividere il parere di Poincaré, le fece capire che sarebbe stato meglio che se ne fosse tornata, nel villaggio natale. Monsignor Gibiér le dette lo stesso consiglio quando la Ferchaud gli espresse il desiderio di fermarsi nella diocesi di Versailles. Cosicché la pazzerella dovette riprendere il cammino di Loublande dove ha trovato il conforto di mons. Humbrecht, vescovo di Poitiers, uomo non so se troppo furbo o troppo idiota, il q lale prese le parti della sua diocesana, come leggeremo più sotto. I pellegrinaggi, non occorrerebbe neppure dirlo, si successero ¿’allora nel modesto villaggio, le elemosine e i doni affluirono al presbiterio ed il parroco di Loublande ha /andato l’idea di erigere una basilica sul luogo dell’apparizione. La Ferchaud continuò a lungo a rompere le scatole al Presidente ed ai generali con le sue suppliche infiammate.
A gettare un secchio di acqua ghiacciata sui fervidi devoti del Sacro Cuore che attendevano di giorno in giorno, sospirosi, il momento in cui il Governo francese, obbedendo alla volontà del Cielo, avrebbe apposto sulla bandiera nazionale la sacra immagine, giunse la pubblicazione di una lettera del Cardinal Billot, troppo noto come feroce intransigente in materia teologica e dottrinale. Consultato nell’anno 1916 da un avvocato di Clermont Ferrand intorno alla campagna, allora nel massimo vigore, il cardinale, che non pensava certo che la sua lettera sarebbe divenuta più tardi di pubblico dominio, si pronunciò risolutamente contro l’apposizione dell’ immagine del Sacro Cuore sulla bandiera nazionale. Secondo lui, il famoso messaggio di Margherita Maria Alacoque non potrebbe affatto essere frutto di divina rivelazione, come pure « date le attuali condizioni della società e l’economia della divina Provvidenza », gli sembra irrealizzabile il miracolo richiesto ad una bandiera che rechi l'immagine del Sacro Cuore, o, in altre parole, il miracolo d’una tale alleanza tra la politica e la religione in ciò che questa ha di più intimo. D’altra parte il Sacro Cuore è simbolo di amore e non di guerra. Quanto alle promesse di grandezza materiale della Francia e del trionfo della Chièsa contro i suoi nemici per tale mezzo, il cardinale dice non essere altro che « chimere ».
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I partigiani delle bandiere eolia nuova insegna non si dettero però per vinti, malgrado la disapprovazione di molti vescovi e a dispetto delle istruzioni inviate dal Vaticano ai cardinali francesi. Non potendo e non sapendo contestare la dottrina del Billot e gli argomenti di buon senso, da lui svolti nella lettera suaccennata, ricorsero a sofisticare sul fatto che il Billot scriveva nel 1916, e che perciò il « fatto di Loublande» non viene per nulla considerato nè menomato da ciò che il cardinale dice. Del resto che cosa valgono la dottrina di un cardinale e la disapprovazione del Vaticano, di fronte al fanatismo di pretuccoli, intenti ai loro interessi, e di donnicciole, prese da erotismo mistico?
Le stesse autorità ecclesiastiche in Francia si divisero in due campi': i vescovi più noti per la loro dottrina ed il loro equilibrio si dichiararono apertamente contro la ridicola novità; i più « zelanti » ed i poveri di spirito se ne fecero, per contrario, apostoli. Il cardinale Andrieu, arcivescovo di Bordeaux, raccomandando ai fedeli di sottoscrivere la petizione al Governo a favore dell’apposizione della immagine sulle bandiere, spiegava così i rapporti fra il Sacro Cuore e le operazioni militari.
Sono più di due anni e mezzo che i soldati combattono valorosamente, sotto il comando di abili capi. A tanti magnanimi sforzi si sono aggiunti quelli delle valorose truppe alleate. Di recante è entrata in lizza la grande repubblica americana. Si battaglia da un capo all’altro del mondo e Dio non ci ha dato ancora la vittoria. Quale la causa di questo ritardo? Si fa presto a indovinarlo. Dio aspetta che la Francia, sviata dal miraggio di falsi principi, ritorni a lui e dia, davanti all'universo, segni no» equivoci del suo pentimento e del suo amore. Ora, un segno di pentimento è che la Francia ponga l’imagine del Sacro Cuore sulle sue bandiere.
Tale apposizione opererà il miracolo, poiché, quando saranno fregiate dell'immagine dèi Sacro Cuore,
le bandiere acquisteranno la virtù divina e si realizzerà la parola dei Santi Libri: <• (| signore è come un potente guerriero e i suoi nemici cadranno ai suoi piedi senza forza ».
Figurarsi se i preti nostrani e le beghine d’Italia si lasciassero sfuggire l'occasione di scimmiottare i loro colleghi d'oltralpi! Noi non sappiamo se quella povera scema della Ferchaud abbia sognato che l’immagine del Sacro Cuore dovesse essere apposta sugli stendardi francesi soltanto o anche su quelli delle potenze alleate. Certo si è che i nostri preti interpretarono in tal senso estensivo le dichiarazioni della messaggera celeste. Ed ecco i giornaluccoli di propaganda religiosa ripetere fra noi, con amplificazioni e commenti, le relazioni della Ferchaud. Ecco come he parla L’eco mensile del Santuario della Madonna degl* infermi in Vercelli (anno VI, n. 7, giugno 1918):
Il mese di giugno è giunto! Esso deve segnare quest’anno il trionfo del S. Cuore! Ne ha diritto; Egli è Redentor nostro! Dimostriamogli il nostro attaccamento e la nostra divozione lavorando a dare buon esito alle sue richieste in riguardo all’immagine del suo Cuore.
Iddio lo vuole e il nostro interesse lo reclama. Iddio vuole che il suo divin Figliuolo, Redentor del mondo, trionfi; Iddio vuole che il suo Cuore regni, Iddio vuole che il suo Cuore venga inciso sulle armi del Re. e posto sulle bandiere nazionali.
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Parola di Dio: questo desiderio espresse Gesù nella sua apparizione alla Beata Margherita Alacoque e la Chiesa ha approvato tutte le rivelazioni a Lei attribuite. Lo stesso desiderio à espresso Gesù dopo due secoli dalla prima rivelazione a Giara Fcrchaud in Francia, ed il suo Vescovo riconosce la veridicità della rivelazione.
Tutti i giornali, francesi hanno parlato di questa profezia. Per le persone dotte ha tutti i segni della autenticità. Anche questa volta Iddio si serve delle anime semplici per il compimento dei suoi segreti disegni.
È la nuova Giovanna d’Arco che, in nome di Dio, darà il mezzo per terrorizzare i tedeschi.
Si chiama Clara Fcrchaud. Ella benché giovanetta, forte della grazia di Dio, si presentò l’inverno del passato anno al Presidente della Repubblica Francese. Nella udienza che le concesse M. Poincaré gli parlò con fermezza e con dire preciso. In nome di Dio, di cui diceva essere l’indegna messaggera assicurava nel modo più reciso il Capo del Governo Francese che se avesse permesso che la bandiera del S. Cuore sventolasse sui campi di battaglia, i tedeschi subito si sbanderebbero come una truppa di montóni impauriti. La petizione che la giovanetta Clara presentò umilmente al Presidente della Repubblica non fu esaudita.
Ma ella non si scoraggiò. Nella primavera del 1917 scrisse ai principali Generali dell’esercito facendo la medesima richiesta. Qualcuno avrebbe voluto ascoltare la domanda, ma le sfere ufficiali massoni non lo permisero. Che fare? Scoraggiarsi? No, tempo verrà forse non lontano in cui la bandiera del S. Cuore sventolerà gloriosa... gli oppositori saranno disarmati e la massoneria, nemica di Dio e della Patria, mungerà la polvere assieme a) tedesco...
Non diversamente tali notizie commenta La Fiamma del Sacro Cuore, bollettino del Santuario del Sacro Cuore di Scanzano, Castellammare di Stabia (numero del i° maggio 1918):
Intanto, in attesa che i governanti si decidessero a dare al vento gli stendardi col Cuor di Gesù, i cappellani di esercito, coadiuvati dalle solite pie dame, si dettero alla diffusione delle bandierine, di distintivi e di coccarde tricolori con sopra il Cuore predetto. La valorizzazione della « Bandierina del Sacro Cuore » è avvenuta coi soliti- sistemi. Il p. Agostino Gemelli, fondò persino un nuovo Bollettino del S. Cuore, dedicato ai soldati d’Italia. A titolo di saggio ne riferiamo le seguenti righe» che tutti i periodici dello stesso stampo di sono affrettati a riprodurre. Esse si riferiscono e grazie spirituali o materiali, fatte dal Cuor di Gesù ad alcuni soldati, che portavano indosso la « Bandierina del S. Cuore »:
1. Consegnate alla mia Mamma la mia Bandierina; è rossa del* mio sangue: ditele che grazie ad essa muoio contento.
È la grazia della rassegnazione.
2. Davanti al mio letto ho messo la mia Bandierina tutta stracciata; quando soffro troppo, la guardo c la vista del S. Cuore m’incoraggia ad essere rassegnato.
È la grazia della forza nel dolore.
3. In un bombardamento, mentre un obice scoppia, un Ufficiale grida « Cuor di Gesù, speranza e salvezza nostra, ho fiducia in Te! » Egli ode due soldati ripetere la sua preghiera... Tornata la calma, solo i tre che avevano pregato il S. Cuore furono illesi...!
4. Offrii prima di un assalto, delle bandierine a cinque miei compagni. Uno rise: «che vuoi che ne faccia di questa sciocchezza?». Mentre chiaccheravamo, un obice scoppia vicino a noi. Siamo salvi tutti, tranne il motteggiatore ucciso sul colpo.
5. Un Ufficiale aviatore mi ha detto: • ho attraversato più di 500 volte le linee nemiche, e non sono stato mai neppure sfiorato, porto su di me e nel mio velivolo ¡’Immagine del S. Cuore.
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Messi per questa via, i propagandisti del Saero Cuore lo hanno cacciato per ogni dove, maritandolo sempre alla bandiera italiana, figurandolo in atto di benedire le nostre corazzate e i nostri cannoni, o di assistere ai nostri soldati. Pòca cosa in contraccambio si richiedeva: l’acquisto di quelle tali immagini o di presunte azioni per il paradiso. Ecco, ad esempio, una inserzione pubblicata sui grandi quotidiani clericali d’Italia:
Acquistate la cartolina dell’artistico altare che gli ufficiali ed i soldati d’Italia scampati ai pericoli della guerra offriranno al Cuore SS.mo di Gesù.
I nomi di coloro i quali offriranno non meno di L. 5 saranno segnati in apposito libro che a sua volta sarà deposto ài piedi della bellissima Immagine del Sacro Cuore di Gesù.
Rivolgersi al Rettore Sacerdote Marchiane, Portici.
Un altro periodico mensile. L’eco del Santuario del Sacro Cuore di Gesù in Bussana, richiede, invece, offerte per le lampade. Nel numero che abbiamo sott’oc-chio (giugno 1918) troviamo registrate «offerte per la lampada trentunesima, ossia del Popolo Italiano ». Ciò indica che altre trenta ne ardono, malgrado i prezzi dell’olio, alimentate dal feticismo di poveretti spiritualmente ciechi.
La sottoscrizione per la lampada trentunesima non toglie che nel detto numero del citato periodico si trovi la rubrica « Offerte per la terza lampada Eucaristica (viva) posta sotto-la protezione della prima riparatrice del Santo Volto, Santa Veronica », con un ammontare di sottoscrizioni per L. 1257, le quali, cumulate con le precedenti, dònno un totale di L. 6716,75; nè è di ostacolo alle « offerte per i lavori della Chiesa » (L. 1043 in questo solo fascicolo); nè alle offerte per i « Ringraziamenti al Cuore di Gesù (L. 544,60); nè, infine, a quelle per « Domande al Sacro Cuore di Gesù » (L. 406,05).
Oltre allo sfruttamento materiale è da tener presente lo sfruttamento religioso — non è il caso di usare l’aggettivo spirituale — perpetrato con le arti sovraccennate. A volte, anzi, non si lascia trasparire affatto la truffa sotto la specie di oboli, di elemosine, di contributi, di offerte, ma vengono bellamente tese le reti per l’avvenire, incretinendo ancor più il volgo destinato ad incapparvi. Pubblichiamo qui, come esemplare tipico di questa seconda maniera un appello ai cattolici, pubblicato e distribuito in Genova, con l’approvazione di quell'autorità ecclesiastica vèrso la fine del 1917. È infatti un estratto dalla Settimana Religiosa di Genova dell’11 novembre 1917. Eccolo:
Cattolici di tutto il mondo!
Da tre anni una terribile guerra flagella l’Europa ed ora anche l’America si appresta a scendere in campo, cosicché avremo una guerra mondiale, se Iddio benedetto non si muove a compassione della povera umanità e non la trae dall’abisso in cui sta per piombare, pacificando i popoli.
E la càusa di tutto ciò? Il peccato, il pervertiménto delle Nazioni che data da più di tre secoli, cioè dalla Riforma di I.utero e Calvino. Bisogna riconoscere che dal di fuori della politica, le guerre sono quasi sempre castighi di Dio, con cui Égli si serve pei- far rinsavire gli uomini.
Il Sommo Pontefice non si stanca di esortare i popoli al ravvedimento, alla penitenza, alla preghiera, ma finora purtroppo si vedono pochi segni di resipiscenza.
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Il i° agosto poi indirizzava una Nota ài Capi dei popoli belligeranti in cui esponeva le linee generali per una pace duratura, ma nemmeno questo appello finora fu ascoltato.
Che faranno pertanto i Cattolici allo spettacolo di tanta carneficina, di tante rovine?
L'Associazione Eucaristica di S. Giovanni Evangelista di Genova al principio del presente anno divulgava, col permesso dell’Autorità Ecclesiastica, il seguente modulo di preghiera:
• O mio Dio, io ti adoro profondamente e ti riconosco per mio Signore, io sono tua « creatura e tutto ciò che è in me è tua proprietà; una cosa sola non è tua, e questa, «è il peccato. Questo, detesto di tutto cuore perchè fu causa della Passione e Morte del « tuo Divin Figliuolo e nostro Signor Gesù Cristo. È il peccato che ha sempre provocato « la giusta tua ira e di qui i castighi che nel procedere dei secoli mandasti sulla terra.
« Presentemente una terribile guerra flagella la misera Europa, perchè è immersa « nell’ateismo, nell’incredulità, nella turpitudine, nel disordine... Atroci bestemmie si • vomitano; si trascinano nel fango i nomi più augusti. Nostro Signore Gesù Cristo, la « Vergine SS-, i Santi tuoi, il tuo Vicario, i tuoi ministri, le persone a Te consacrate.
" Che farò io in mezzo a questo torrente limaccioso che tenta seppellire la pre-« sente civiltà cristiana? Che farò io al considerare i torrenti di sangue che allagano • l’Europa? O mio Dio, che orrori! Che carneficina! Tu ci percuoti per farci rientrare - sul buon sentiero, sii sempre benedetto! Anch’io ho ìa mia parte di causa nell’immane •: flagello che ci affligge; le mie infedeltà nel tuo servizio, i miei tentennamenti, la mia « incostanza... perdono, mio Dio, ti prometto maggiore amore, maggiore zelo per il bene « dei miei fratelli, e desiderando per quanto sta in me disarmare la tua giusta collera <i Ti offro lutto me stesso, ìa stessa mia vita in olocausto di espiazione, persuaso che tu es-<• scndoci Padre amoroso, disporrai dei miei eventi secondo il mio meglio.
« Rappacifica, o Signore, le nazioni in guerra, fa che riconoscano che solamente «• nella. Chiesa Cattolica troveranno prosperità e salute; dacci per tua misericordia la t pace per i meriti del Tuo unigenito N. S. G. Cristo, acciocché possiamo con maggior ■ slancio cantare cogli Angeli Sulla Culla di Betlem: Gloria a Dio nel più alto dei Cieli « e pace in terra agli uomini di buona volontà ».
E neH’ultima edizione vi aggiunse delle giaculatorie in onore del S. Cuore di Gesù e di Maria SS.
Si permette ora di fare un nuovo caloroso appello ai Cattolici di tutto il. mondo perchè vogliano recitare la detta preghiera c far l’offerta spirituale a Dio, che nella stessa si prescrive.
Noi nutriamo fiducia che se questa preghiera si diffondesse ovunque, si rinvigorirebbe lo spirito di sacrificio nei Cattolici e al fine Iddio placato ci darebbe la tanto sospirata pace, e si potrebbe avverare il vaticinio che si fa nella detta preghiera, cioè di cantare con maggior slancio nelle prossime feste del S. Natale: Gloria a Dio nel più alto dei Cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà.
Si invitano i giornali cattolici a pubblicare il presente e si avverte che le Immagini del S. Cuore, in cui è trascritta onesta preghiera si trovano presso la Libreria Arcivescovile, Piazza Umberto I, Genova.
Dopo avere appreso, dall'appello riportato, che il pervertimento delle nazioni c data da più di tre secoli e cioè dalla Riforma di Lutero e di Calvino », che « le guerre sono quasi sempre castighi di Dio, con Cui Egli si serve per far rinsavire gli uomini », che recitando la preghiera genovese « alfine Iddio placato ci avrebbe dato la tanto sospirata pace», diamo tregua ai lettori anche per quanto si riferisce allo sfruttamento del Cuore di Gesù (r).
(ì) Un’altra preghiera del genere di quella qui riportata, ed edita a Torino col titolo: Preghiera e convenzione col Cuore Sacratissimo di Gesù, ha la seguente curiosissima annotazione:
« È questo un mezzo, molto semplice e facile, per le persone che non hanno agio
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Non può essere lasciata senza illustrazione l'industria speciale dei tempi votivi. Già vi abbiamo accennato occasionalmente in precedenza. Onde dedicheremo un breve spazio a questa forma di sfruttamento del timore della guerra e del desiderio naturale della pace. Ne faceva a suo tempo largo accennò e giusta condanna un articolo del Popolo d’Italia di Milano (numerò del 5 luglio 1917), col titolo « Nel groviglio .delle truffe sacre: le chiese votive».
In questo articolo si accenna soltanto alle chiese votive che vogliono erigersi speculando sulla paura della morte a causa della guerra. Non mancano però esempi di sfruttamento della pietà verso i morti che caddero per la patria. Ricorderà il lettore il gustoso appello del parroco di Pantigliate che abbiamo già riprodotto : un atto simile proviene da Casale Monferrato, capoluogo di circondario e sede di corte d'appello: basterebbe leggere il Bollettino Salesiano (dell’ottobre 1918); non lo riportiamo per mancanza di spazio e per non tediare i lettori con simile prosa mostruosa.
Basti sapere che con ventuno messe all'anno si costruirà in Casale la grandiosa cripta con marmi, ecc. Non si poteva avere più a buon mercato. Costruita la cripta si penserà a trovare il modo di erigere anche il tempio. Qualche messa di più e si avrà anche il santuario. V'è chi osserverà: ma perchè erigere tale cripta e relativa chiesa, colla scusa di morti in guerra, proprio a Casale Monferrato che è a divèrse centinaia di chilometri dal punto più prossimo ove si è combattuto ? E perchè, ad ogni modo, a Casale Monferrato, invece che in un altro qualsiasi degli ottomila comuni d'Italia? I signori del comitato potranno rispondere a tali importune domande. Riteniamo però che la loro risposta sarebbe il saggio vecchio avviso: Si in-veneris hominem cuccabilem, cucca eum ! E non è detto che parecchie altre città e paesi non seguiranno l’utile, se non savio, ammonimento!
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È necessario però, di tanto in tanto, inventare qualche cosa di nuovo, di diverso, di mirabolante, che ecciti la curiosità, incretinisca maggiormente i balordi, scuota i meno avveduti. È questo il còmpito delle cosiddette apparizioni miracolose e di pretesi fenomeni straordinari, che frutto spesso di isterismo di visionari, o di grottesche montature, servono a produrre suggestioni collettive. Se la cosa ha successo tra il volgo interviene il clero e l’Autorità ecclesiastica a confortare il fatto colla loro approvazione e si mette su bottega: se, per caso, la cosa cade nel ridicolo, la predetta autorità, tenutasi prudentemente in riserbo, non si pregiudica e tace. Esempi tipici nel secolo scorso furono quelli di Lourdes e della Salette.
Negli anni turbinosi e spaventosi che abbiamo traversato, simili storielle non potevano non esser messe in circolazione: si può anzi affermare che se n’è avuta di'pregare lungamente, di accumulare meriti per l’eternità, ed attirare sopra di sè, e su tutto il mondo torrenti di grazie e di benedizioni. Basta mettere questa preghiera sul proprio cuore, situandola nello scapolare, poggiando ivi la mano tutto è detto. Nostro Signore si contenta della nostra intenzione. Piacesse a Dio che potesse darsi a tutti i Cristiani la conoscenza di questa preziosa pratica».
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C un’abbondantissima fioritura. Abbiamo già' narrato il fatto di Loublande: accenneremo qui ad alcuni altri fenomeni del genere.
A Comiglio, in quel di Parma, la Madonna, arrampicatasi su di un albero, si sarebbe rivelata ad alcuni fanciulli nel maggio 1916.
A due anni di distanza la Madonna, che si prende simili gusti, pare abbia rinnovato le sue gesta a Montorsoli in Toscana. Stavolta però non si è arrampicata sull'albero ma, viceversa, si è cacciata — chi sa perchè — in un pantano. Il Tempo di Roma (23 agosto 1918), giornale bene accetto negli ambienti chiesastici, ne dette diffusamente la relazione.
Dicono che presso il pantano i fanatici si proponessero di costruire una chiesa. Per cominciare vi si voleva erigere un altare, ma l’autorità, che non ha visto nessuna madonna sorgere dalle acque melmose, lo proibì ed ingiunse ai carabinieri, ai quali la predetta madonna non si lasciò scorgere, di vigilare il bosco per impedire che avvengano incidenti.
Le immagini che muovono gli occhi o che piangono sono cose d’ogni giorno perchè ci fermiamo qui a parlarne. Lo stesso si dica di singolari e strani ritrovamenti di croci o di figure di santi. Non mancano nemmeno trasudamenti miracolosi, già nòti fin dall’antichità per le statue delle divinità pagane.
Uno venne riferito dai giornali per Gissi un paesotto sperduto del Molise: il che non fa meraviglia dato l’ambiente in cui si è prodotto. Ma che dovrebbe dirsi di un fatto consimile che si producesse, per esempio, a Roma?
Lo riferì la Tribuna del 15 maggio 1917.
Erano simili racconti che rendevano poi possibili i commerci di ovatta benedetta (a circa 1000 lire il chilo), della scopatura di santuari venduta in cartine, di incantesimi speciali, di scongiuri, di oggetti i più disparati, strofinati a qualche statua o immagine di santo o di madonna; erano simili canagliate che rendeva poi possi- -bile l’imperversare di preghiere per i soldati o per la pace, circolanti manoscritte, anonime, del tipo della seguente che riportiamo con tutti gli errori di ortografia della stupida donnicciola che l’ha trascritta:
Preghiera per i nostri soldati.
Ge«ù abbiate pietà di tutto l'universo è specialmente di questa guerra europea facendo tornare tutti in Santa Pace, e fate che impariamo a vivere santamente. Sia lodato Iddio! Un credo al Signore e fate questa preghiera come è scritta sopra.
Mi fu spedita la presente con questa spiegazione: per 9 giorni continui speditene una al giorno anche a persone d’altro paese, e avrete le grazie che desiderate. Se non fate ciò vi potrebbe accadere una disgrazia: si dice che l'arciduca ereditario d'Austria, ne rimase una e non se ne curò e gli andò a male sulla sua persona. Una Signorina di Parigi non se ne curò e le morì il fidanzato in guerra. A una famiglia che se ne rise morì un figlio. La presente non deve esser burlata. Vi prego di spedirne una al giorno e fate attenzione dalla data a ciò che vi accadrà.
E, poiché siamo a parlare di magie, d’incantesimi, di scongiuri ecc., vogliamo riferire a chiusa di questo capitolo, come un parroco del comune di Visso, in diocesi di Norcia, certo don Girolamo Andreucci, grande mago e potente scongiuratore di topi, di bruchi, e di sinxli bestie, all'inizio della guerra cominciò a rilasciare alle donne che
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si rivolgevano a lui un quadrettino di carta, con su una specie di invocazione, che, a suo dire, aveva la virtù di preservare dalla morte i soldati che là portassero indosso come un amuleto. Tali invocazioni quel pàrroco le vendeva per la modesta somma di lire cinque ciascuna. Fu tale l'affollamento di gente che accorreva a procurarsi il prezioso talismano, che il reverendo rimediò in breve parecchie migliaia di lire, ed aveva già espresso la decisione di prendere un segretario per la scritturazione dei fogliettini, data l’enorme richiesta, quando, sul più bello, l’àu-torità giudiziaria — una volta tanto! — intervenne per far cessa?» il lucroso commercio e per tradurre dinanzi alla giustizia l’avveduto pastor di mime.
* « «
Nella Croix di Parigi (numero del venerdì Santo 1917) troviamo:
I peccatori, a mezzo dei sacramenti della Chiesa, ottengono il perdono. Ma non vi sono sacramenti per le nazioni e Pio provvede direttamente a regolare i conti che esse hanno con lui. Egli solo potrebbe dire, negli umani flagelli, ove termina l’espiazione c ove comincia la prova. Ma senza dubbio alcuno, tale valutazione suprema dei debiti dei popoli versò Dio, è la ragione ultima dei cataclismi, che, di tanto in tanto, piombano su questa terra... Ripetiamo: Dio solo potrebbe distinguere con precisione ciò che è prova e ciò che è espiazione, ma è certo che vi sono espiazioni. Lo dice la Scrittura:
Il peccato rende infelici i popoli... ». E che l’umanità di oggi sia colpevole, che essa abbia in gran parte respinto il giogo del Signore... ahimè! è purtroppo un fatto la cui evidenza salta agli occhi.
Nel Corriere d‘Italia di Roma (11 aprile 1918) il noto giornale clericale, sotto il titolo «Le forze spirituali della, guerra» si parla di un libro di un certo prof. Duthoit, facendone proprie le conclusioni. Vi si legge:
La guerra, col suo prolungarsi ha suggerito al fervente credente, ch’è il Duthoit. una forma superiore di collaborazione, proposta specialmente ai suoi connazionali, ma che, crediamo, non dispiacerà ai suoi amici d’Italia.
Il Duthoit si richiama dunque all'utilizzazione delle forze spirituali: « Vers l’utili-sation des forces spirituelles »: tale è il titolo dell'ultimo capitolo. E, di proposito, noi sorvoliamo agli altri capitoli, dato che in questo si svela, nel suo splendore l’anima del credente, il cuore del patriota, la mente del sociologo cristiano.
« Di tutte le attività nazionali — così il Duthoit — la guerra tende a fare un fascio. Lavoro intellettuale dello scienziato e del pensatore, lavoro dell’officine e dei campi, dov’è l’opera che non sta, in un certo senso, subordinata allo sforzo dei combattenti c non vada allo stesso scopo, la salvezza del paese?
«Occorre che, in questo unanime concerto, le forze spirituali, preghiere e sacrifizi, abbiano la loro parte. È bastevole, questa parte? ».
A tale quesito, il Duthoit risponde che si è molto pregato, che innumerevoli sono stati i sacrifici perchè innumerevoli i figli di madri caduti sul campo dell’onore. Riconosce però che, nella preghiera, anche da parte dei più ferventi, vi è stata qualche.intermittenza. Ed insistendo sopra una considerazione che vale per l’Italia come per la Francia.
« Accanto a codeste debolezze individuali, vi è stata una omissione gravissima: la Francia- non fece, in seno alle sue inaudite prove, un atto officiale e nazionale di religione. A Iddio, il suo alleato necessario, essa è ricorsa. E pertanto, le società debbono, secondo la loro costituzione naturale, rendere a Dio il loro omaggio. Esse sono obbligate a rendergli azioni di grazie. Molteplici ragioni le spingono ad implorare il suo soccorso nei pericoli. Esse debbono consacrargli le loro forze vive. Tale obbligo esisteva prima della guerra. Tale obbligo sussisterà dopo la prova. Ma la guerra gli ha dato un rilievo più impressionante... ».
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Allora il Duthoit analizzando le cause di tale mancanza, riconosce come sia alquanto inopportuno il tentativo, in una società priva, purtroppo, dell'antica unanimità nelle credenze, di esigere insistenti proteste e petizioni, l’atto ufficiale di preghiera da parte dei poteri pubblici.
« Se non vi è un’offerta nazionale, perchè 1’« elite ■ religiosa non farebbe subito una offerta per la nazione? Essa è competente per presentare a Dio, in nome della Francia intiera, un compenso immediato c per pagargli un « acconto sul debito nazionale ».
Così denso è il pensiero, che si deve rinunziare ad analizzarlo. Occorre leggerlo nel testo stesso. Basti aggiungere che il Duthoit non si ferma à delle considerazioni speculative, ma che egli conclude con proposte precise, autorevolmente raccomandate poi dall’« arciconfratornita di preghiera e di penitenza n eretta a Montmartre. Esse riguardano ogni fedele di Francia, nella propria vita personale; riguardano anche tutte le famiglie cristiane, le quali, consacrandosi al Sacro Cuore s'impegneranno ad osservare le leggi cristiane del matrimonio riguardo alla trasmissione della vita, e d’altra parte, parte, a non ostacolare in venia modo il dono dei propri figli al Signore nel sacerdozio o nello stato religioso.
Cosicché là guerra è un flagello di Dio e costituisce una espiazione delle colpe dei popoli, dicono i propagandisti cattolici dietro l’insegnamento dei loro vescovi e dei loro pastori.
Per finire la guerra — scriveva un giornaluccolo romano (La Voce di Lourdes, 20 aprile 1918) volgarizzando il pensiero degli organi maggiori — bisogna concludere la pace fra l’uomo e Dio.
I! terribile diluvio di sangue che inonda questa povera terra, sembra l’eco della spaventevole divina parola poenitet nie, mi son pentito di aver creato l’uomo! Ebbene, tutti i popoli devono prostrarsi dinanzi a Dio, chiedendogli perdono e perdonare alla lor volta ai fratelli, riconoscendo che il castigo è giusto.
Come poteva il Signore lasciar passare impuniti i delitti commessi in Europa? Il protestantesimo imperante in Germania e nell’Inghilterra,l’apostasia degli Stati Balcanici, lo scisma nell’immensa popolazione di Russia, la persecuzione religiosa nella Francia, la diabolica massoneria tiranna della nostra bella patria ? L’Europa tutta aveva scritto sulla propria fronte:' non vogliam Dio.'
Pertanto, se l’Italia era in guerra è stato pel fatto che aveva peccato e doveva espiare.
.Ma questa è una versione che si è adoperata e si adopererà a scopi apologetici.
A scopi politici vi erano e vi sono le altre motivazioni della immane carneficina: la tutela del diritto, la liberazione dei popoli oppressi, le rivendicazioni nazionali. Dio diveniva così non un vindice punitore dei nostri peccati (e quel che diciamo per l'Italia vale per ogni altra nazione in guerra), ma un nostro alleato, E ciò veniva ripetuto ad ogni occasione di disfatte o di vittorie, di morti o di guarigioni, di suppliche o di ringraziamenti, di messe funebri o di Te Deum. È stata un organizzazione continua-di esibizionismo di un patriottismo peloso, che all'indomani della guerra ha cominciato già a presentare il suo conto alla patria, come tutti coloro che sulla patria in guerra specularono.
Anche a questo proposito ci serviamo di una esemplificazione che è costituita da una lettera pervenutaci da Livorno in risposta all'appello da noi rivolto ai lettori di Bilychnis. Ci piace pubblicarla qui perchè ciò che lo scrittore, un ecclesiastico, dice di Livorno, è quanto è avvenuto in ogni città, in ogni paese, in ogni villaggio della nostra Italia,
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Egregio Signore.
Leggo sempre con molto interesse nelle varie puntate di Bilychnis i suoi scritti. Ritengo di massima importanza il documentare, come Ella fa, la politica religiosa, o la religione politica del Vaticano.
Al suo appello le offro qualche bricciola da Livorno.
Noi abbiamo qui un vescovo d’un opportunismo sfacciato. È lo stesso che al Congresso eucaristico di Taranto, anni fa, gridò: « Viva il papa-re ». Ora, ha spartita in due la formula e grida: Viva il Papa e Viva i’ Re! È diventato un patriotta del più bello stampo, di conio reale! La volpe ha capito che il vento tirava da quella parte e che se non voleva arenarsi con poche vecchie pinzocchere, conveniva lanciarsi in pieno patriottismo e mettersi a capo d’ogni pùbblica dimostrazione.
Riuscì a mettere dalla sua Prefettura, Municipio e Comando militare. Le funzioni sacro-militari si sono susseguite, con un crescendo significativo. Gli è perfino riescito di trasformare la maggiore nostra p.azza in gran tempio all’aperto, in cui ha pontificato davanti alle truppe del presidio • tutte le autorità.
Non si contano più le funzioni per suffragio dei caduti: per protezione dei combattenti, per invocare la vittoria! Ogni evento, un po’ marcato; ha dato luogo alla solita Messa solenne. Le mando un ritaglio, a proposito della presa di Gerusalemme in cui vedrà che la funzione in Duomo finì coll'inno eretico protestante inglese, con quello rivoluzionario francese e con 1?. marcia di colui che detiene il sacrilego furto di Roma!
Che importa ai preti di simili zibaldoni, essi si sentono rinascere, hanno delle beneficiate cantando le loro messe «pro patria» e «pro soldati» che neppure Caruso le sogna.
Qui in Toscana ed a Livorno si valgono poi di quella loro alleata che è la « Misericordia », la quale pel suo carattere d’istituzione caritatevole e benefica gode molte simpatie. Orbene l’ultimo soldatino che spira in uno dei nostri ospedali ha la sua funzione nella chiesa della Misericordia, presente il vescovo, le autorità civili e militari, compreso il comandante francese di tappa.
Il vicino santuario della Madonna di Montenero offre altra continua opportunità a gite pei mutilati, pei feriti, per le famiglie dei caduti, dispersi, prigioni. L’articolo « guerra » s’è trovato d’una produttività straordinaria pel clero, che non manca di commerciarlo su larga scala.
Hanno messo in piedi, da ultimo, una sottoscrizione per una «lampada votiva») alla Madom^i di Montenero per il ricupero delle provincie perdute (e qui i poveri profughi sono sollecitati e squattrinati) e’ la vittoria della nostra controffensiva!
Non le parlo del commercio degli amuleti, medagliette ed altra chincaglieria sacra che è comune a tutta l’Italia: è una specialità nostra.
I salesiani, col pretesto di raccogliere orfani della guerra,ecc. mettono piede in Livorno ed hanno cominciato vaste costruzioni a Porta Colline, quartiere popolare. I nostri liberali, al solito, vanno a rimorchio dei Pio Nono quarantottisti e libérali!... Non s’avvedono i minchioni che tutto quello sventolio di tricolori è inteso ad abbagliare i loro occhi imbambolati, chè non scorgano la gialla bandiera pontificia che piano piano vien issata all’albero maestro della nave!
Scusi la mia chiacchierata, che è anche uno sfogo!
Una fraterna stretta di mano.
Con la riportata lettera, chè nella sua ingenuità è un véro ..e proprio ammonimento, e illustra la grande offensiva tentata dal clericalismo nostrano, terminiamo queste note sullo sfruttamento religioso della guerra, con l'augurio che l’Italia vinti i nemici esterni, non si lasci sopraffare all'interno da chi sino a ieri la maledisse.
Ernesto Rutili.
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POLITICA VATICANA E AZIONE CATTOLICA
L’ENCICLICA DEL 23 MAGGIO E LE RELAZIONI ITALO-PONTIFICIE
L’enciclica pontifìcia pubblicata dall’Osservatore romano il i0 giugno, con la data del 23 maggio, solennità delle Pentecoste, ha una importanza assai grande nella storia della diplomazia pontifìcia, non tanto per l’invito del Papa alla concordia e all’amore tra le genti, che se pure è redatta con termini insolitamente calorosi, non esce in sostanza dalle consuete forme di altri anàloghi appelli pontifici, quanto perchè segna un passo notévolissimo verso lo stabilirsi di relazioni giuridicamente regolari »ra la Santa Sede e il Governo italiano. Diciamo giuridicamente regolari, perchè è notorio che le relazioni di fatto tra ìe due autorità non potrebbero essere più cordiali. Durante il tempo in cui Sonnino fu alla Consulta le relazioni tra il Governo italiano e la Santa Sede non furono mai cordiali, e se pure in qualche momento ci fu uno scambio di reciproche cortesie, ciò si dovette soltanto a circostanze occasionali, e al timore della Santa Sede di compromettere troppo la propria neutralità; in alcuni momenti anzi i rapporti furono addirittura tesi, specialmente alla vigilia di Caporetto dopo il discorso in cui Sonnino alla Camera tentò di smentire che il patto di Londra contenesse clausole contrarie alla Santa Sede. La smentita di Sonnino non fu creduta, essendo già noto, almeno approssimativamente, il testo del patto di Londra per la pubblicazione avvenuta in Russia, e il tòrio polemico ed aspro con cui Sonnino parlò, della condotta diplomatica della Santa Sede durante la guerra produsse in Vaticano una. profonda amarezza. Le relazioni, ridivenute piano piano pacifiche, specialmente dopo il crollo degli Imperi cen
trali, assunsero un carattere di cordialità, anzi quasi diremmo di collaborazione, con l’ascesa al governo dell’on. Nitti.
Nel numero di ottobre 1919 ho riferito ampiamente ai lettori di Bilychnis intorno al saggio su La questione ilalo-ponlificia edito nella collezione i « Quaderni nazionali » di Pisa, sotto lo pseudonimo Constantinos. Le idee dell’opùscolo, evidèntemente ispirato, sono quelle che attualmente prevalgono negli ambienti vaticani, e poiché l’enciclica pontificia del 23 maggio insiste nel dichiarare che i rapporti tra il Vaticano e il Governo italiano sono anormali, e sembra un invito a cercare una formula che permetta di’ togliere questa anormalità, sarò opportuno non perdere di vista i capisaldi fondamentali della tesi pontificia, come furono esposti da Constantinus.
L’ri settembre 1870, secondo l’autore, ebbero inizio le ostilità tra la Santa Sede e il Governo italiano, e da quel giorno ha .origine la questione italo-pontificia (si noti il nome mutato : non più questione romana, ma italo-pontificia). Dal giorno 20 settembre il Papa è divenuto di fatto suddito italiano, nè questo carattere è tolto dalla legge delle Guarentigie, atto puramente unilaterale del Governò italiano., non mai accettato dal Papa.
Ora trattasi di trovare un modo* per il quale il Papa sia rimesso in pristino iure, e cessino i motivi per cui ha dovuto protestare di essere sub /¡ostili po testate consti tutus. Constantinus scarta l’idea che per questo fine sia necessario internazionalizzare la legge delie Guarentigie, rappresentando ciò una diminuzione di sovranità dello Stato italiano. « La questione è essenzialmente italiana, e al popolo italiano spetta liberarsi delia ben grave cappa
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di piombo causa per l’Italia di insuccessi diplomatici •.
La Santa Sede è una personalità politica, ha una personalità internazionale ed ha tutti gli elementi costitutivi di uno Stato, con in più una missione da svolgere in seno e al di sopra della umanità. La legge delle Guarentigie non può essere considerata che come i preliminari di un trattato di pace presentato alla Santa Sede e da essa respinto. Ora si tratterebbe invece di fare un definitivo trattato di pace. Se dunque lo Stato italiano è disposto a riconoscere la Santa Sede come grande potenza, e belligerante, e vorrà nominare un plenipotenziario per le trattative di pace, sarebbe possibilissimo concludere il trattato sulla base dellWZ possidelis.
Nello schema di trattato unito al libretto di Constanlinus. la legge delle Guarentigie viene dichiarata, dal Governo italiano solenne e irrevocabile dichiarazione al mondo cattolico per assicurare l’indipendenza religiosa, civile e politica del Papa, di pari grado e importanza dello Statuto allertino ; si ristabiliscono inoltre le relazioni diplomatiche, e per gli afìari di politica ecclesiastica si stipula un apposito concordato.
Teoricamente ha ragione Constanlinus ; la questione è ancora aperta ; ma se è vero che per i giuristi ha grande importanza sistemare e definire una questione, è altrettanto vero che politicamente una questione non ha altra importanza se non quella che le è data dalla sua attualità. Inoltre le questioni politiche non hanno mai una soluzione definitiva ; non c’e di definiti' o se non ciò su cui è passato il tempo e l’indifferenza con cui è stato accolto l’opuscolo di Constanlinus dimostra che quelli che esso chiama i belligeranti hanno da molto tempo sistemato di fatto assai vantaggiosamente i loro afìari, anche senza il trattato definitivo. Non era certamente cosi ai tempo del famoso opuscolo del P. Tosti!
A noi sembra che ciò che dice Constantinus, cioè che «dichiarando la legge delle Guarentigie legge fondamentale ed organica si viene a costituire un patto solenne del popolo italiano con tutti gli altri popoli», dimostra appunto come sotto un’altra forma, si voglia ritornare però sempre alla internazionalizzazione della legge stessa, ciò che l’Italia evidentemente non può accettare. Ma, ripetiamo, non si vede quale urgenza vi sia di regolare rapporti che hanno perduto ogni asprezza, mentre la semplice ricerca di una formula dà luogo a contrasti e attriti di ogni specie.
Oggi la Santa Sede avendo l’aria di grande longanimità e generosità verso l’Italia, tende
la mano ben sapendo che nell’odierna situazione della politica interna italiana, e della politica internazionale, mentre l’Italia non ha più nulla da temere all'estero dalla ostilità delia Santa Sede, quest’ultima invece tutto avrebbe da guadagnare in Italia che cercasi di infeudare sempre più alle direttive della politica vaticana. Appunto per questo l’Italia deve guardarsi dal cedere alle lusinghe vaticane. Che se il Papa teme di apparire suddito dell’Italia, a più forte ragione l’Italia deve temere di divenire un feudo pontificio.
L’ultima enciclica pontificia ha tolto la proibizione ai sovrani cattolici di venire ufficialmente a Roma a visitare il Re d’Italia. Ma se ciò libera il Governo italiano da qualche fastidio, libera anche la Santa Sede da gravi imbarazzi. L’isolamento in cui si tentava di tenere l’Italia, si risolveva in un più grave isolamento per la Santa Sede stessa, la quale invece-cerca affannosamente nell’odierno formarsi di nuovi raggruppamenti statali di far valere in ogni modo la propria influenza reale e apparente. Insomma se, conforme alle abitudini della Curia, si è voluto far cadere dall’alto la concessione ai sovrani cattolici di venire a Róma, e presentarla come la mano generosamente tesa dalla Santa Sède all’Italia, la quale dovrebbe evidentemente rispondere con raddoppiata generosità alle avances pontificie, nemmeno questa volta il Papa sacrifica veramente qualcosa di importante sull’altare della conciliazione. Tuttaltro.
Tuttavia a chi ricordi come nel passato la ostilità pontificia impedì sempre a Francesco Giuseppe di restituire in Roma al Re Umberto la visita fattagli a Vienna, e come nel 1904 la visita di Loubet al Re d’Italia segnò il principio della rottura tra la Francia e il Vaticano, l’enciclica del 23 maggio apparirà come un segno notevolissimo dei mutati atteggiamenti della diplomazia pontificia, che attraverso il mutare dei tempi persegue con diversissimi mezzi gli identici fini. Anzi ciò appunto dimostra ancora una volta come vi siano molte questioni — e tra queste quella pontificia — che non hanno alcuna urgenza di essere risolte giuridicamente, nè lo potrebbero se non attraverso finzioni giuridiche in cui ciascuna delle parti cerca soverchiare e subordinarsi l’altra. Tra Stato e Chiesa, ia genere, l’antitesi è ideale, immanente, e una conciliazione non avviene che per opera della storia. Potenzialmente non vi è nulla di mezzo tra la teocrazia da un lato e lo Stato laico dall’altro. Ciò non toglie che un modus vivandi non sia possibile; anzi quando lo si è voluto trovare, lo si è quasi sempre trovato :
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la questione romana per la, quale sono stati versati torrenti d'inchiostro — per fortuna di solo inchiòstro ! — ne è un tipico esemplò, e la buon’anima del P. Tosti sarà soddisfatta di questa ultima enciclica che trent’anni fa avrebbe fatto delirare di entusiasmo tante anime pie.
Prima di chiudere questa breve nota, ricorderò che l’enciclica che toglie il veto ai sovrani cattolici di rendere visita ufficiale a Roma al Re d Italia va messa in vrelazione con la ripresa delle relazioni franco-vaticane. Aristide Briand, discutendosi alla Camera francese lo stanziamento dei fondi per la rtprise, chiese a Millerand « si toutes précauiions étaienl bien prévues conire tout cnipieteinent ».
— Tutte le precauzioni possibili —- rispose Millerand. — Anche in caso di malintesi? Non incontrereste difficoltà se, per esempio, il presidente della Repubblica andasse a Roma, e, come Loubet, si astenesse, per riguardo al Quirinale, di andare in Vaticano? — Queste insistenze di Briand ottennero una reiterata assicurazione di Millerand che finì testualmente: — Anche in questo caso non incontreremmo alcuna difficoltà.
L’enciclica del Papa è sopraggiunta a spiegare la portata delle affermazioni di Millerand, le quali stanno a dimostrare che, in fondo, la gratuita generosità pontificia verso l’Italia è più apparente che reale. Ma appunto per ciò esiste la diplomazia...
Cosi avremo in tempo non lontano le visite del Re di Spagna e del Re dei Belgio a Roma, che finora non avevano avuto luogo per il timore delle proteste vaticane. L’onorevole Nini può essere lieto di questo risultato delle buone relazioni da lui mantenute costantemente con la Segreteria di Stato. Purché però non sia pagato a troppo caro prezzo dagli abili negoziatori vaticani... Il che sarebbe un pessimo affare.
IL DELEGATO APOSTOLICO A FIUME
La stampa jugoslava si scaglia violentemente cóntro il Vaticano, che è accusato di aver voluto risolvere per conto suo la questione di Fiume nominandovi un delegato apostolico, e staccando cosi la città dalla diocesi di Segna, che è croata. I giornali ricordano la campagna fatta parecchi anni fa dalla stampa croata contro il governo ungherese che voleva staccare la città di Fiume dalia diocesi di,Segna, e dicono che la medesima verrà continuata anche oggi e con più forza perchè il Vaticano deve sapere che nella Ju
goslavia i padroni sono gli jugoslavi che non permetteranno mai che altri vengano a dettar legge.
Il RìjeCy che sembra il più violento perchè fautore della riforma ecclesiastica della Jugoslavia, vuole mettere in relazione il fatto di Fiume con la nomina dei vescovo di Djakovar imposta dalla Santa Sede e con la pastorale dell’arcivescovo di Zagabria che impose ai propri sacerdoti di non agitarsi per la riforma, e conclude domandando che il governo di Belgrado faccia sentire la propria voce ed imponga ai Vaticano di revocare l’arbitraria misura presa.
In questa rassegna, in Bilychnis, ebbi già occasione di notare (ottobre 1919 e novembre-dicembre 1919) come nel tempo in cui alla Consulta c’era Sennino, l’Italia sembrò volersi sostituire alla diplomazia austro-ungarica nel-l’ostacolare i buoni rapporti tra Jugoslavia e Santa Sede, e la Consulta, che non aveva mai voluto riconoscere il Regno S. H. S.. per vie e pressioni indirette tentò coinvolgere anche la Santa Sede nella sua politica che tendeva ad accentuare e fomentare le correnti non solo federaliste, ma separatiste, nella Jugoslavia.
Però nel dicembre passato è venuto il riconoscimento da parte del Papa del regno jugoslavo; la Consulta sembra avere rinunciato definitivamente ai suoi piani di ingenuo e anacronistico machiavellismo, ma, almeno da quel che può giudicarsi dai lamenti della stampa jugoslava, non sembra che altrettanto abbia fatto il Vaticano.
Il giornale Doniovina di Zagabria in un articolo contro il Vaticano scrive': « il Papa non ha annullato il suo decreto di nomina del Vescovo di Djakovar e non ha ancora voluto pronunciarsi sulla importante questione della lingua slava nei riti della chiesa cattòlica. Di più abbiamo assistito ad alcune cose le quali ci hanno dimostrato che il Pontefice intende iniziare nella Jugoslavia quella politica aggressiva che il Vaticano era riuscito a introdurre nella monarchia austriaca. Fra queste còse dobbiamo annoverare l’organizzazione del partito clericale che fu costituito non per bisogno -nazionale, ma per interesse del Papa. Noi abbiamo una speciale questione nazionale che non va a genio al Vaticano. Si tratta degli sloveni e dei croati cattolici i quali vogliono unirsi ai serbi ortodossi. Il Papa sente il pericolo che le due stirpi finiscano per considerare la fede e la Chiesa diversamente di come l’hanno considerate finora. I croati hanno da regolare col Vaticano un vecchio conto .che non fu ancora liquidato».
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Anzi un giornale di Zagabria, il Novosti, giunge fino a scrivere : «Il Papa Benedetto XV e il Segretario di Stato hanno gli stessi fini della Consulta dei tempi di Sonnino. Lo storico della terza Italia noterà i nomi di Benedetto e di Gasparri accanto a quelli di D’Annunzio e di Millo. Il popolo jugoslavo, visto il contegno del Vaticano, è costretto ad annoverare anche il Papa fra i suoi nemici ».
Come già notai per la nomina del Bartolo-masi ex vescovo castrense a vescovo di Trieste, anche la nomina del delegato apostolico a Fiume acquista rilievo per la scelta delia persona, trattandosi di mbns. Celso Costantini che fu già persona accettissima al Comando Supre.mo al tempo di Cadorna e in modo speciale al Comando della III Armata, che lo nominarono rettore della basilica di Àquileia dove si diede un gran da fare nell’in-scenare in ogni occasione cerimonie patriottiche e dannunziane.
L’APOTEOSI DI GIOVANNA D’ARCO
Alla Camera francese Maurice Barrés e i deputati d'Alsazia e Lorena hanno presentato una proposta di legge accompagnata dalla seguente relazione:
« Da lungo tempo avremmo dovuto drappeggiarci maggiormente di Giovanna d’Arco di fronte all’universo, e glorificarla ogni anno in una giornata nazionale, come la Santa della Patria e il fiore del nostro sangue. Noi lo desideriamo tutti. La repubblica degli Stati Uniti oltre là festa dell’indipendenza, ha la festa di Washington. La repubblica francese, oltre la festa del 14 luglio, dovrebbe avere là festa di Giovanna d’Arco... La vergine gloriosa, la cui immagine simboleggia là patria armata contro l’invasore, mostra nel medesimo tempo all’universo il viso eroico e benevolo de la vaillance à la française. È giusto che i tedeschi cerchino dei modelli nelle tenebre delle epoche barbare e raccolgano nel fondo della loro Coscienza nazionale tutte le eredità delle razze pagane, tutti gli dèi consiglieri di incendio, di massacro, di saccheggiò... I fatti recenti dimostrano all’universo ciò che sa fare un popolo formato dalle più •terribili scene dell’umanità primitiva e che fa di una mitologia feroce i suoi grandi testi sacri. Quella intorno a cui i francesi di ogni partito debbono raccogliersi forma il più netto contrasto con la monstrueuse Germania, che si leva sulle rive del Renò come una apoteosi della guerra organizzata in industria nazionale...».
La relazione termina con questa proposta di legge : « La repubblica francese celebra annualmente la festa di Giovanna d’Arco, festa dei patriottismo ».
Questo curioso documento, redatto in termini di violento fanatismo, è riportato e accettato senz’altro da Les nouvelles religieuses edite dal Bureau catholique de Presse nel numero del x<* maggio. E veramente questo è il senso che i cattolici francesi hanno dato alla canonizzazione di Giovanna d’Arco. A noi non interessa qui entrare in merito alla santità intrinseca della nuova Santa, cosa del resto che ha meno che mediocremente interessato gli stessi cattolici francesi, e, se mai, non ha avuto altra importanza che di formare oggetto dei dubbi che avrà certamente sollevato in proposito l’avvocato del diavolo di fronte al Tribunale della Sacra Congregazione dei Riti. Per conto nostro siamo anzi disposti ad ammettere che l’eroina di Orléans, oltre alle straordinarie doti sui campi di battaglia, fu anche insignita di quelle virtù più intime ed eroiche e di quella carità evangelica che distingue veramente le anime elette, special-mente per la dolcezza e la forza d’animo dimostrate nelle ultime tormentate vicende della vita, e nelle angoscie del carcere, del processo, del rogo.
Ma noi qui esaminiamo il fatto della apoteosi che le è stata tributata, e non possiamo far a meno di rilevare che esso ha assunto un carattere puramente politico, non solo, ma per volere dei francesi e con la connivenza del Papa — il quale del resto ha pronunziato in questa occasione l’infelice frase: le pape qui regrette de n’Èlre français que par le coeur—è stata •la celebrazione dello chauvinisme più esaltato. Chi ha avuto occasione di udire i discorsi pronunciati nella Chiesa del Gesù dai cardinali e vescovi francesi nei giorni delle feste di Giovanna d’Arco, e ha udito i canti dei pellegrini francesi, si è domandato per quale deformazione psicologica una cerimonia cattolica potesse dar luogo à manifestazioni così chauvinisle da essere talora perfino disgustose per il senso estetico, e della decenza.
A questo proposito noi non sapremmo dire nulla di meglio di ciò che ha scritto Adriano Tilgher, il quale, in un articolo sul Tempo che ha dato luogo a vivace polemica con qualche giornalista cattolico, cosi spiega il formarsi della religione di Giovanna d’Arco :
«Ancor oggi, dopo cinque secoli da che le fiamme ne distrussero il corpo forte e gentile, la sorte di Giovanna d’Arco è legata alle fluttuazioni della politica europea. Caduta nelle mani degl’inglesi, un numeroso tribunale di
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dottori e prelati francesi, partigiani dell’Inghilterra, la condanna al rogo come strega, eretica e relapsa. Quando le sorti degl’inglesi volgono al peggio e Carlo VII estende sulla Francia liberata la sua legittima autorità, la Chiesa si affretta a ordinare la revisione del processo ed a riconoscere, l’innocenza senza màcchia di Giovanna d’Arco. Oggi che le sì apre l’accesso al più alto ordine della gerarchia dei beati della Chiesa cattolica, vien fatto di domandare se la botine Lorraihe qu'Anglais bruslèrent à Rotteti non avrebbe dovuto aspettare qualche tempo la promozióne a Santa, se la pace, invece che a Versaglia dai francoinglesi, fosse stata dettata a Berlino dagl’imperi centrali. Ma nella canonizzazione di Giovanna d’Arco vi è qualcosa che interessa anche noialtri, che apparteniamo ancora a questo mondo oggi più turbolento che mai, e che ci tocca assai da presso, anche se lontani non solo dal Cattolicesimo, ma dal Cristianesimo in genere, ed è lo stato di spirito di cui la canonizzazione di Giovanna d’Arco è un segno rivelatore».
In Giovanna il sentimento patriottico non solo si appoggia, ma assorbe addirittura il sentimento religioso, e, quel che è più, ne assume le apparenze. La religione qui si scioglie tutta nel patriottismo. La liberazione della Francia dagli inglesi è essa stessa atto religioso, servizio divino.
«Non si capisce Giovanna d’Arco se non la si collochi nel tempo stesso che fu suo; la prima metà del secolo xv, quando le nazioni europee, appena differenziate dall’unità indistinta del mondo cristiano medioevale, cominciano ad acquistare coscienza di sè, in Francia; sotto la violenza inglese, con maggiore rapidità e violenza che presso gli altri popoli europei: la Francia è la prima ad acquistare netta e chiara coscienza di sè come nazione. Ora il sentimento nazionale si spinge necessariamente all’assoluto e ad adorare la nazione come vero e solo Dio ; ma, portando all’odio verso le altre nazioni, distrugge i vincoli che stringono gli uomini in una comunione universale. Nella mente ingenua della eroica visionaria è Dio che vuole la gloria della Francia, punto di partenza donde lo chauvin francese arriverà necessariamente a fare a meno di Dio ed a porre la Francia al suo posto.
In Giovanna d’Arco la Francia oggi riconosce, glorifica, adora il simbolo di se stessa e ha trovato cosi il suo culto ufficiale, al quale il cattolicesimo presta la pompa dei suoi riti secolari ».
Dio sa perchè qualche pubblicista cattolico italiano (non francese!) si è sentito offeso da
queste osservazioni del Tilgher, che anzi avrebbero dovuto essere apprezzate benevolmente da un cattolico', ed è scattato violentemente, senza però che la risposta abbia saputo affatto elevarsi sopra le miserie e le ire di una polemica settaria.
In realtà il giovandarchismo è oggi la religione ufficiale della Francia imperialista ; è la religione di Foch, l’apostoh) della guerra assoluta, di Mangin, di Clémenceau, di Daudet, di Maurras, il paganesimo che trionfa sulle rovine e sotto la maschera del cristianesimo. In-tal senso non vi è nulla di più anticattolico, di più particolaristico del giovandarchismo.
Perciò in quest’ora gravissima e ancora densa di sangue e di odii inestinguibili, è stata quanto mai inopportuna la celebrazione di Giovanna d’Arco..
Il Papa ripete da un pezzo parole di pace. Ma le parole pacifiche del Papa hanno ben scarso valore per calmare gli animi in preda alle più esasperate passioni ; al contrario ben altra è la forza di un nuovo mito, di un nuovo culto guerriero per accendere ancor più gli animi già invasati dai patriottismi esasperati. Perciò al giovandarchismo gli spiriti eletti di Europa opporranno oggi la parola di Cristo che ignorò affatto Stato, politica e nazione, e passò pel mondo predicando a tutti gli uomini carità .e amore.
IL Pi P. I. E IL TERZO MINISTERO NITTI
Nel numero di aprile di Bilychnis, esaminando i risultati del Congresso di Nàpoli del P. P. rilevammo il significato di una intervista che Don Sturzo si era affrettato a concedere al Giornale d'Italia. In quella intervista Don Sturzo espresse degli apprezzamenti assai poco benevoli verso l’on. Giolitti, dichiarando-che il P. P. non intendeva allatto aiutare un ritorno alla vita pubblica dell’uomo che, secondo lui. era stato l’esponente del liberalismo e della democrazia massonica. Dato che il Congresso di Napoli aveva escluso il collaborazionismo con Nini, nelle condizioni attuali, non restava che pensare a un piano già esistente nella mente di Don Sturzo, che poteva consistere o nel proposito di dar battaglia al ministero Nini così come era allora costituito, per addivenire poi a una nuova reincarnazione Nini su nuove basi che rendessero possibile la collaborazione diretta dei cattolici ; oppure alla formazione di un nuovo ministero presieduto da qualche rappresentante della politica di guerra. Però a causa
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degli speciali rapporti di simpatia correnti tra Nini e la Segreteria di Stato, ci parve sempre assai probabile la prima di queste due ipòtesi. Cosi nella seduta della Camera del io maggio abbiamo avuto l’attacco dei cattolici al ministero Nitti, espresso sopratutto nel discorso dell’on. Meda, il quale rimproverò alla politica interna dell’on. Nitti di essere debole, incoerente e di non salvaguardare sufficientemente il prestigio dello Stato nei conflitti sociali.
Dopo una simile premessa nessuno si sarebbe atteso che nella medesima seduta i cattolici avrebbero invece determinato la caduta del ministero proprio aggregandosi alla mozione socialista per l’immediata discussione sull’agitazione dei postelegrafonici.
Ai deputati cattolici non sembrò vero, dopo che il discorso Meda li aveva già posti in una situazione imbarazzante, uscire per il rotto della cuffia ed evitare di dar battaglia sopra una discussione generale di politica interna che li avrebbe costretti ad assumere un atteggiamento chiaro e responsabilità precise. Perciò essi si afferrarono alla mozione socialista per i postelegrafonici, contro la quale il governo aveva posto la questione di fiducia, e il secondo ministero Nitti cadde. Ma prima di cadere Nitti ricordò ai cattolici che essi erano un partito di governo, e che incombevano loro responsabilità precise che non era lecito eludere, combattendo il governo dietro questioni procedurali.
Le fasi attraverso cui passò la laboriosa formazione del nuovo gabinetto sono tuttora nella memoria di tutti, nè qui è il caso di ricordarle, molto più che gran parte delle difficoltà sono da ascriversi a pettegolezzi e intrighi personali che non è il caso di raccogliere e di porre in rilievo.
Il punto più saliente dell’atteggiamento del P. P. si è avuto con l’improvviso ammonimento da parte-del Vaticano che in forma sia pure assai cauta, nondimeno usci dal suo abituale riserbo, e prese nettamente posizione per Nitti.
La sera di mercoledì 12 maggio V Osservatore Romano sotto la forma di un commento alla seduta parlamentare del giorno prima, pubblicava la seguente nota editoriale:
« Estranei completamente come siamo e come intendiamo rimanere, agli atteggiamenti dei vari partiti parlamentari, non possiamo tuttavia esimerci, per debito di pubblicisti, dall’esprimere intorno ad esso un nostro giudizio obbiettivo ed imparziale.
« Considerato pertanto da questo punto di vista ci è sembrato assai poco felice l’atto ieri
compiuto dal gruppo del P. P. che ha determinato l’attuale crisi ministeriale. Poco felice, perchè dopo essersi pochi giorni addietro giustamente rifiutato di dar battaglia al Ministero, sopra una questione procedurale, la coerenza politica consigliava e imponeva di non lasciarvisi trascinare alla’ distanza di pochi giorni. Poco felice, perchè dopo di essere partito in guerra contro il Governo, accusandolo di soverchia arrendevolezza e partigianeria verso i sovvertitori dell’ordine pubblico, si è creduto invece di colpirlo proprio all’indomani di un atto di energia e di vigore da esso compiuto, facendo supporre di accomunarsi cosi e confondersi nell’improvvisata battaglia con i socialisti, come corollario forse di altri più o meno tangibili confessioni antecedenti. Poco felice-infine, dal punto di vista della politica internazionale, perchè dopo aver ripetutamente approvato ed encomiato l’indirizzo ed i criteri politici che in questo campo l’on. Nitti aveva seguito, e cercato di far trionfare, doveva sembrare poco conveniente rabbatterlo alla vigilia proprio del convégno di Spa, ove avrebbe avuto campo di propugnare, non sappiamo con quale successo, gli stessi principi!. Senza parlare dell’attuale fase del problema adriatico, che prossimo ormai ad una qualsiasi soluzione a Pallanza viene dall’attuale crisi rimandato ancora una volta.
« E tutto ciò a prescindere dalle presenti condizioni nazionali, e da quelle speciali della nostra città che dovevano apparir tali da rendere meno che mai propizio l’attuale momento per una crisi ministeriale.
« Da qualunque punto di vista pertanto lo si consideri, l’atto ieri compiuto dal gruppo del P. P. ci sembra indubbiamente un passo poco felice, da.cui potrebbero forse derivare per esso spiacevoli conseguenze».
Il P. P. si è sempre vantato aconfessionale, e perciò intorno alla nota dell’organo pontificio è stato subito fatto il silenzio da parte della stampa del partito; tuttavia il colpo vaticano ha egualmente colpito nel segno, e l’effetto è stato decisivo.
Avendo il P. P. determinata la crisi, a qualcuno dei suoi uomini sarebbe dovuto toccare l’incarico di,tentare la formazione di un nuovo gabinetto. Ma sono note le ragioni per cui i cattolici non vogliono assumersi responsabilità troppo gravi ed evidenti nel governo ; perciò hanno subito rifiutato qualsiasi eventuale incarico di presiedere il gabinetto.
La formazione del ministero Bonomi trovò in massima consenziente il gruppo parlamentare del P. P., il quale promise esplicitamente il suo appoggio, incaricando anzi l’on. Micheli
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di aprire trattative con l’on. Bonomi per la eventuale partecipazione. Anche Don Sturzo favorì caldamente questa soluzione, perchè comprese subito che fallendo la combinazione Bonomi, il partito si sarebbe trovato di fronte all’avvento di Giolitti, tanto deprecato da Don Sturzo, oppure a un ritorno di Nitti, il che sarebbe stato assai umiliante per il P. P. che proprio giorni prima l’aveva rovesciato con tanta precipitazione.
Ma l’opposizione degli estremisti del partito è stata più forte della volontà della Direzione e del Gruppo parlamentare. Infatti Miglioli e tutti gli organizzatori del partito che sono a più diretto contatto con le masse, hanno fatto un vero pronunciamento, e la lotta .contro la formazione ministeriale Bonomi, che avrebbe avuto secondo essi un carattere fascista e reazionario, è stata condotta con ogni mezzo, fino a minacciare l’esodo in massa dal partito.
Il Gruppo parlamentare spaventato da questa levata di scudi, si è »frettato a coprire la propria ritirata dichiarando a Bonomi che avrebbe bensì appoggiato il suo ministero, ma senza parteciparvi direttamente. E così la combinazione Bonomi fallì per gli sforzi combinati in seno al P. P. degli estremisti e dei partigiani di Nitti. Alle fasi seguenti della crisi Don Sturzo non ha quasi partecipato, favorito da una opportuna febbre reumatica, che gli concesse per qualche giorno un meritato riposo. Essendo ormai evidente che sarebbe ritornato Nitti, il partito ha in tutta fretta formulato dieci punti programmatici che Nitti con altrettanta fretta ha subito accolti, e così si è addivenuti al terzo ministero Nitti con la partecipazione, questa volta, di qualche popolare.
L’opposizione estremista, che era stata sufficientemente forte contro l’opportunismo del gruppo parlamentare per, far cadere il reazionario ministero dell’interventista Bonomi, avrebbe voluto il ritorno dell’on. Giolitti. Ma per questp. scopo gli ostacoli parlamentari e anche dinastici da superare erano ancora troppo forti, e nel partito stesso una gran parte dei deputati erano ostili a Giolitti. E poi c’era quella tale nota del Vaticano... Così col pretesto decente dell’avvenuta accettazione dei dieci punti di Don Sturzo da parte di Nitti, il P. P. ha disfatto e rifatto il ministero Nitti. Il prestigio del partito non ha molto guadagnato in questa vicenda, nè, nel seno del partito, si è accresciuta l’autorità di Don Sturzo, la cui azione è rimasta in gran parte inesplicabile. Tutt’altro. Ragione per cui è prevedibile che prima di determinare altre crisi ministe
riali il partito ci penserà con molta ponderazione, e terrà conto dei saggi consigli della nota Osservatore Romano.
Oggi che qualche membro del P. P. è al governo, il gruppo parlamentare si accorgerà di aver perduto quasi interamente quella libertà che godeva prima, quando si trovava nella comoda situazione di essere arbitro dell’esistenza del ministero senza averne i pesi. Ma il giuoco era troppo comodo, e, sopratutto, troppo visibile per potei durare. Nitti, in fondo, non deve essere troppo scontento di avere trangugiato tutti i dieci punti in una volta, anziché sorbirsene uno per uno nella imminenza di ogni nuovo voto. Ora non è più lui il prigioniero del P. P., ma anche il P. P. è prigioniero di Nitti, senza contare che il partito ha ormai perduto — e così presto! — quella verginità ministeriale che gli dava tanto prestigio.
La parte estremista del partito ora si agita contro Nitti, e alcuni suoi più battaglieri esponènti tirano a palle infuocate contro il ministero, adoperandosi in ogni modo perchè salga al governo Giolitti. È evidente la ragione che muove questi estremisti del P. P. a volere al governo l’uomo delia neutralità; ma quali siano le intenzioni di Giolitti riguardo al P. P. e al suo programma è un mistero profondo. Perciò lo zelo così rumoroso dei suoi partigiani cattolici ci sembra per lo meno eccessivo, e anche indecoroso.
Nota. Era già stampata questa nostra rassegna, quando è sopraggiunta la crisi del terzo ministero Nitti e la foimazione del ministero Giolitti. 1 cattolici si sono accorti ora della sbagliata politica parlamentare che li ha inutilmente compromessi durante le ultime crisi. Rimasti soli con Nitti, dopo il pronunciamento e l’avvenuta riunione dei gruppi delle sinistre democratiche, che hanno provocatola caduta di Nitti, e rimasti soli proprio per il decreto dell'aumento del prezzo del pane, che non mancherà di essere sfruttato dai socialisti per renderli impopolari, ad essi, che si attegiavano ad arbitri della Camera, non è rimasto altro da fare che accodarsi agli altri gruppi costituzionali nell’ap-poggiare incondizionatamente il nuovo ministero Giolitti. Questa volta non si è discusso dell’accettazione di un numero maggiore o minore di punti da parte di Giolitti, ma soltanto di un portafoglio di più o di meno da assegnare al gruppo popolare, che infine ha dovuto contentarsi di averne due soli. Intanto la accettazione dell’ esame di stato, che era del resto già pregiudicata da Nitti, e faceva parte anche del programma elettorale di Giolitti, dà ai popolari un pretesto decente. In ogni caso le posizione di Don Sturzo in seno al partito esce assai
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scossa dopo gli ultimi insuccessi politici e l'avvento del deprecato Giolitti, nè l’abile prete siciliano potrà più salire e scendere con aria da padrone le scale di Palazzo Braschi.
La verginità ministeriale del partito è finita, e Giolitti è sèmpre il vecchio padrone con cui si devono almeno salvare le forme; non a caso le trattative per l'entrata dei cattolici nel ministero sono state condotte dall’on. Tovini segretario del gruppo parlamentare...
IL VATICANO E L’ALLEANZA POLACCO-UCRAINA
Le corrispondenze che i giornali ricevono da Varsavia ci hanno dato notizia che in questi ultimi giorni nella capitale polacca hanno avuto luogo grandi , cerimonie in onore di Pil-sudsky, il quale ha fatto il àuo ingresso trionfale, mentre nelle chiese si cantavano numerosi Te Deum alla presenza dei vescovi e del nunzio pontificio.
Le notizie degli ultimi giorni fanno ritenere che il giubilo dei polacchi per le vittorie conseguite contro la Russia sia stato prematuro; comunque, mentre attendiamo l’esito di questa lotta russo-polacca dalla quale oltreché l’avvenire come grandi potenze della Russia e della Polonia, dipende l’esistenza stessa nazionale dell’ucraina e Lituania che sono la ragione principale della contesa, a noi. importa qui esaminare la parte avuta dal Vaticano in questa faccenda.
Come è noto, la Polonia trovasi per la carestia, le epidemie, la disorganizzazione finanziaria, in una situazione interna gravissima. Nonostante ciò. essa si è impegnata in operazioni militari di grande stile sopra un fronte vastissimo. Quando è giunto, improvviso per i più, l’annunzio dell’offensiva intrapresa dai polacchi contro la Russia, molti attendevansi invece una prossima conclusione della pace tra la Russia e là Polonia.
La ragione addotta dai polacchi per spiegare la brusca rottura dei negoziati è quanto mai puerile. Poiché Borisòw, città del governatorato di Minsk, in cui i polacchi avrebbero voluto che fossero condótti i negoziati, appariva ai bolscevici» come un angolo di territorio russo indebitamente occupato dalle truppe polacche, i bolscevichi rifiutarono di accettare una simile designazione, e su questa questione topogràfica, secondo i polacchi, sarebbero falliti i negoziati di pace. Ma in realtà la lotta russo-polacca va attribuita alle richieste fatte dal ministro degli esteri polacco Patek a Cicerin, assolutamente inaccettabili; tra l’altro la Polonia chiedeva nientemeno che i confini del 1772; appena un terzo
di popolazione polacca avrebbe così dominato sopra un immenso territorio abitato da lituani, ruteni, russi bianchi e ucraini.
Ma nell’offensiva intrapresa dai polacchi contro i russi è particolarmente interessante l’annuncio dell’avvenuta alleanza polacco-ucraina ! Questa sanguinosa farsa apparirà semplicemente mostruosa a chi sia anche meno che mediocremente informato dei rapporti storici tra polacchi e ruteni, e all’opera che da un anno la Polonia compie nella Galizia o-rientale, tentando di polonizzarla violentemente in vista del futuro plebiscito che dovrà decidere della sorte definitiva della regione. Nei patti intervenuti ora tra il govèrno polacco e il sedicente dittatore ucraino Petliura, questi ha ceduto alla Polonia le terre esclusivamente russe reclamate dai polacchi, non solo, ma ha accettato nel suo ministero due ministri polacchi e ha commesso alla Polonia l’alta sovranità sulla pretesa libera Ucraina.
È più che notorio come dietro la Polonia ci sia la Francia, la quale per le ben note ragioni antibolsceviche, e preoccupata di porre la Germania in una definitiva condizione di immobilità, lavora alacremente a creare una grande Polonia.
La Francia ha apertamente e con ogni mezzo aiutata l’offensiva polacca; non altrettanto chiara è stata l’azione dell’Inghilterra, la quale non ha ragioni di speciale simpatia per la Polonia; tutt’altro. Ma il governo inglese non ha però perduto di vista il vantaggio che alla sua politica, che tende a frantumare la Russia, può arrecare uno stato ucraino separato dalla grande Russia; perciò si spiega la larvata complicità dell’Inghilterra nell’offensiva polacca, complicità che in questi ultimi giorni il governo inglese ha tentato di sconfessare.
Ma veniamo ora alla parte avuta dal Vaticano in questa faccenda, che per essere la meno nota, non è la meno interessante.
Un anno fa la Polonia e l’Ucraina di Petliura erano in guerra tra loro per la questione della Galizia orientale, e proprio di questi giorni gli ucraini assediavano Leopoli.
Anche la Francia, che allora seguiva la politica panrussa di Denikin, era ostilissima agli ucraini, tanto che le autorità militari francesi che allora occupavano Odessa, giunsero fino ad imprigionare una missione inviata loro dal governo ucraino di Kiew, e a chiedere un vero e proprio passaggio dell’ucraina sotto il Ìirotettorato economico, militare e diplomatico rancese, finché non fosse cessata la lotta contro il bolscevismo e non fosse giunta l’ora di stabilire la sorte definitiva di tutti i paesi della Russia meridionale.
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La situazione non cambiò se non dopo che il governo di Petliura pèrdette quasi tutta là Ucràina che venne occupata da Denikin e dai bolscevichi, e dopo che la Galizia orientale fu occupata dalle truppe polacche. Allora il Direttorio ucraino inviò una missione diplomatica a Varsavia, dove poi si recò lo stesso Petliura, e a Parigi fu sostituito il rappresentante diplomatico, ucraino Sydorenko, il quale fino allora aveva fatto una infruttuosa politica antipolacca, col conte Tyskiewicz. Chi è questo conte Tyskiewicz? È un grosso proprietario fondiario dell’ucraina, di nazionalità polacca, discendente da quei magnati untali che alla fine del secolo decimosesto tentarono realizzare l’unione degli ortodossi e dei cattolici sotto la Chiesa di Roma, per meglio affermare il dominio polacco sui Piccoli-Russi. '
Questo conte Tyskiewicz, fedele alla politica tradizionale dei magnati polacchi, ottenne dal papa il riconoscimento dell’ucràina, in cambio della promessa di facilitarvi m ogni modo la propaganda cattolica; di più lavorò attivamente alla riconciliazione di Petliura con la cattolica Polonia.
Assai prima del recente trattato di alleanza fra Petliura e Pilsudsky, il Direttorio ucraino fin dal passato novembre dichiarò di disinteressarsi della Galizia orientale in favore della Polonia. Allora il Vaticano, che moltiplica le dimostrazioni di simpatia alla Polonia, dove svolge attraverso i suoi rappresentanti un lavorio attivissimo, ha inviato un rappresentante straordinario anche in Ucraina, e questo suo rappresentante lavora in stretta unione col Nunzio di Varsavia.
Infatti il P. Genocchi, visitatore apostolico dell’ucraina, è stato nominato soltanto dopo che era già avvenuto l’accòrdo polacco-ucraino, e non vi era più pericolo che la no-' mina' assumesse un carattere antipolacco; novi solo, ma egli si è recato a Varsavia da Petliura, presso il quale è accreditato, e prima di partire da Roma ebbe molti colloqui e fu a gara onorato di molti ricevimenti dalla legazione polacca e da quella ucraina di Petliura. Eppure in quei giorni l’autorità di Petliura non si esercitava in nessun lembo di territorio ucraino, occupato interamente dai bolscevichi di Mosca o da quelli di Kiew.
Anzi il 2 dicembre, sotto gli auspicii del Vaticano, il quale è attualmente il principale sostegno interno della repubblica polacca, fu concluso a Roma tra la Polonia e l’Ucraina un primo accordo, che tra l’altro riconosce ai magnati polacchi la proprietà dei loro immensi latifondi in territorio ucraino ; punto quest’ultimo che preme tanto ai Tyskiewicz
e compagni, che era già stato compreso nelle condizioni intimate nell’inverno del 1919 dalle autorità francesi di Odessa ai rappresentanti ucraini che chiedevano il riconoscimento dello stato ucraino dà pàrte della Frància.
Una situazione analoga a quella della Galizia orientale, si ha ìn Lituania, gran parte della quale è occupata dai polacchi che ne tengono la capitale, Vilna, e dove le minoranze polacche hanno sempre cercato di servirsi della Chiesa per i loro fini di predominio sui lituani, anch’essi cattolici, e per di più di rito latino.
L’andata del Nunzio Pontificio a Vilna insieme con Pilsudsky, e i discorsi ivi pronunciati, hanno dato luogo a grandi rimostranze da parte del governo lituano che siedea Kovno; ma la S. Sede si è dimostrata ben poco premurosa per quelle popolazioni pur cattolicissime, la cui cura è affidata al Nunzio di Varsavia, notoriamente legato alla politica del governo polacco.
Senza contare l’influenza francese, che è oggi fortissima in Vaticano, è evidente che dietro tutta questa attività della S. Sede, oltre che il desiderio d’ingrandire la cattolica Polonia, che in certo modo deve sostituire tra gli slavi la perdita delia cattolica Austria degli Ab-sburgo, c’è la illusióne di riunire alla Chiesa cattolica gii ucraini ortodossi. In questo ci sembra che la S. Sede sia vittima d’ima illusione e persegua un miraggio ingannevole. A parte il fatto che, secondo noi, ¡’Ucraina finirà. per riunirsi, in una fórma o nell’altra, con la Grande Russia, da cui la separano oggi ragioni più di carattere sociale che etnico e nazionale, occorre ricordare che i Piccoli-Russi si divisero per molto tempo in due chiese: cattolici-greci ‘ (uniati) e ortodossi (greco-orientali).
L’unione con la Chiesa di Roma di una parte notevole della Chiesa rutena avvenne però soltanto alla fine del secolo xvi, più che altro imposta per ragioni politiche dai dominatori polacchi i quali si servirono di questo mezzo per neutralizzare l’influenza di Mosca; e questa unione della Chiesa ucraina con Roma, che fu sempre soltanto parziale, ebbe un carattere formale e superficialissimo.
Il mantenimento del rito ruteno costituì la principale difesa degli ucraini per resistere all’assorbimento polacco, e anche oggi nella Galizia già austriaca il rito costituisce la principale distinzione tra la popolazione polacca e quella rutena, egualmente cattoliche.
Col diminuire dell’influenza polacca, andò sempre più diminuendo anche quella del cat tolicismo ; soltanto nella Galizia orientale, che
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andò a far parte dell’impero austriaco, il grosso della popolazione restò cattolico. Già alla fine del secolo xvn là Chiesa ortodossa rutena autonoma si sottomise al Patriarcato di Mosca, e piano piano riassorbì i cattolici uniati. Lo czar Nicola I nel 1839 intraprese una violenta persecuzione che ne distrusse gli ultimi resti, e i non molti cattolici ucraini che vollero restar tali dovettero adottare anche essi il rito latino già praticato dalla minoranza polacca sparsa qua e là per l’Ucraina, essendo il rito latino tollerato, dallo czarismo, mentre tutti i seguaci dei riti orientali dovevano far parte della Chiesa ortodossa soggetta al Santo Sinodo.
La partecipazione del Vaticano alla odierna cosiddetta alleanza polacco-ucraina si deve forse al fatto che la Chiesa ortodossa ucraina, capeggiata dal metropolita di tóew, ha dichiarato la propria autonomia nazionale dal Patriarcato di Mosca in un concilio tenuto nella cattedrale di Santa Sofia, facendo così rinascere le speranze del Vaticano nella possibilità di rinnovare in massa l’unione dei ruteni con Roma? O semplicemente si tratta di uno sviluppo della politica filofrancese e filopolacca che la Segreteria di Stato svolge con tenacia da alcuni mesi a questa parte ? O teme il Vaticano un ritorno offensivo deli’ortodossia moscovita?
Forse trattasi di tutte queste ragioni insieme. Comunque è certo che oggi anche su questo terreno si sono incontrate le direttive francesi, polacche e vaticane.
Mentre l’anno scorso il movimento ucraino’ era assai mal visto in Francia, oggi è caldeggiató con grande simpatia dàlia stampa clerico nazionalista. Da parte sua il conte Tyskiewicz pubblica un BulMin ukranien nel quale si lèggono brani come questo : < Non sono soltanto i Lenin e i Trotzky, gli Stur-mer e i Pròtopopoff che sono germanofili in Russia; è tutta la massa della quale Tolstoj ha rappresentato ieri, e Gorki rappresenta oggi la mentalità». Anzi il conte Tyskiewicz dimostra ai francesi che gli ucraini sono/ow-damentalmente antisocialisti e scopre un abisso tra la mentalità russa collettivista, e quella ucraina individualista. La quale mentalità, secondo il Tyskiewicz, anela al cattolicismo, che vi sarà portato dalla sorella Polonia baluardo della cultura latina e cattolica contro le deformazioni eretiche e socialiste moscovite.
E così, oggi che le speranze panrusse riposte in Denikin e Koltchak sono svanite, l’indipendenza ucraina, sotto il protettorato polacco naturalmente, è patrocinata dagli organi clericali francesi, tra i quali in prima linea è La Croix, e da quegli ambienti clericali-militaristi dei quali è esponente Foch, che celebrano l’alleanza tra Francia e Polonia. Il Vaticano aiuta còme può questa combinazione, consigliato e guidato sopratutto dal generale dei gesuiti Ledokowsky, che appartiene a principesca famiglia polacca, e mette in moto tutte le innumerevoli influenze palesi ed occulte di cui la famosa Compagnia dispone in Vaticano e fuori dèi Vaticano.
Quinto Tosatti.
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PROFILI «
GIORGIO DUHAMEL
< La vera serenità non è già nell'indifferenza ai grandi fenomeni contemporanei, ma in un modo di giudicare gl: uomini ed i fatti. La vera serenità non regna in disparte dalla vita. È nel paese degli uragani che è cosa grande sapere rimaner calmi. Forse che il saggio si applica a evitare lo evento? O non piuttosto a superarlo? Forse vai meglio perdere piede nella burrasca che prosperare in una solitudine senza eco. Sola è preziosa la solitudine che è una conquista sul tumulto ».
Alte parole che si leggono nell'ultimo volume di Georges Duhamel, Entretiene dans le tumulle, di recente pubblicazione. La prodigiosa esplosione della guerra nello agosto 1914 trovò Duhamel tutto intento ai suoi lavóri di poesia e di critica, che l’avevano posto in prima linea fra i letterati francesi, e subito lo risucchiò nel suo vortice. Egli non chiuse le orecchie al richiamo possente, nè si abbandonò per intero al turbine che gli girava d’attorno; ci si tuffò, sì, tutto quanto, ben deciso, ad esaurire sino in fondo l'immensa esperienza umana che gli veniva offerta, ad accoglierla in sè, a riviverla, ma per trascenderla col giudizio che discrimina e con la rappresentazione che obbiettiva. È da questa dispo-' sizione di animo (e più avanti l’analizzeremo nei suoi tratti caratteristici) che sono nati Vie des Marlyrs, Civilisation, La
(x) Ini ramo con questo numero una nuova rubrìca che non è se non la sostituzione dell’altra « La religione e la letteratura ». Facendoci l’onore di assumerla il prof. Adr’ano Tilgher à preferito di darle una forma che ai nostri lettori riuscirà indubbiamente più simpatica e più proficua di quella già ideata da noi. (N. d. D.).
possessi™ du monde, Entretiens dans le tumulle (Mercure de France, Paris) quattro fra i più belli e ricchi libri di guerra della letteratura francese, che al nome dell'autore hanno dato risonanza europea.
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Mobilitato come medico, Duhamel visse l’esperienza della guerra tra grands c pelile blessés. Il rumoroso anonimo meccanismo della guerra prendeva tra le mascelle di acciaio uomini sani, nel fiore della gioventù, nel vigore della virilità, e glieli buttava ai piedi laceri e frantumati, poveri pezzi di carne umana dolorante e' gemente. Egli visse, così, i primi giorni della rude tedesca su Verdun, in un’ambulanza improvvisata ove, di minuto in minuto, nuovi tormentati si incalzavano a urlare i loro tormenti, mentre al di sopra del fragile tetto i proiettili degli assediati e degli assediatoti si incrociavano in un'immensa cupola vibrante c sonora, e nelle camere, ove le piaghe aprivano le bocche rosse, il rombo delle artiglierie si udiva a volta a volta ap-Srossimarsi ed allontanarsi, come il passo 'un immane gigante che venisse ad assicurarsi che non gli si portava via la preda. Andò poi nell’Artois, in un vecchio castello trasformato in ospedale, che nelle notti invernali, tutto scintillante di lumi, silenzioso nell’immenso silenzio della campagna bianca, appariva da lontano come una nave che fendesse a tutta forza un mare di ghiaccio per recare in salvo, verso un porto caldo ed ospitale, il prezioso carico di vite strappate dalla bocca del mostro brontolante lontano.
Suoi compagni furono povere creature, che avevano abbandonato tutto l'ingom-
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brantc fardello di passioni e di affetti per meglio raccogliere le forze in una bisogna sola: vivere. Mentre al di fuori i professionali dell'odio trasformavano la cultura in enciclopedia di argomenti per odiare sempre più profondamente e scientificamente — dalle labbra dei martiri non una parola di odio o di rancore usciva contro il nemico. Tranne che nei momenti del corpo a corpo, il nemico era stato sempre per essi qualcosa di impersonale, di vago, di diffuso, come una forza terribile della natura, dalla quale ci si difende, contro la quale si resiste, ma che non si odia, perchè non ha viso nè anima. Duhamel si aggirò tra i poveri esseri affidati alle sue cure, apportando alla loro anima l’inestimabile conforto di un po’ d’amore, imparando da loro la rassegnazione triste e dolce, che nella guerra faceva vedere un cataclisma di cui tutti e nes suno insieme hanno la responsabilità, di cui tutti sono egualmente vittime, vinti e vincitori, amici e nemici.
Dai suoi libri di guerra la guerra è lontana,¿piasi assente, il lettore non ne ha sotto gli occhi che i terribili effetti. L’autore non piànge, non grida, non declama sulle piaghe che il ferro nemico e il coltello del chirurgo hanno aperto nella povera carne tormentata, non ne ha le luci inebriate sì che la visione ne resti confusa; egli ama molto i suoi feriti, ama molto in essi il loro dolore, io serra al cuore come tesoro prezioso, sente come sua propria la stretta angosciosa del destino che li volle vittime, ma sa trascendere il tumulto passionale che gli si agita dentro e svilupparlo in rappresentazione lirica. Niente in lui dell'imprecisione commossa, dell’eloquenza vaga ed approssimativa in cui si esprimono di solito stati d’animo come i suoi. L’emotività calda ed agitàta si rovescia tutta, senza residui, nel bagno freddo della fantasia, vi si purifica ed alleggerisce e, finalmente, si adagia in una visione di cristallina nettezza, di squisita precisione, di mirabile armonia. Ridotta la guerra a cataclisma naturale, a risultato d’ignoranza e di errori così universali ed impersonali da non essere imputabili ad alcuno ma, peraltro, evitabili con ùn po' d’intelligenza e di amore, negata come dramma storico, come suprema necessaria ed in fondo benefica antitesi umana, tutto l’interesse e l’amore dell’artista si concentrano sugli individui che essa ha travolto nel suo cieco andare. Dalle pagine di Duhamel i feriti ci balzano contro in tutta la freschezza umida della
vita, còlti con amore nei piccoli tratti ineffabilmente peculiari in cui luce la piccola scintilla della loro individualità.
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Pure, sebbene sia disceso fin nella più profonda bolgia dell’inferno guerresco, Duhamel non ne è uscito nè pessimista, nè disperato. Già durante la guerra, senza peraltro mai far sua la puerile mentalità demomassonica inneggiante alla guerra dell’Intesa come alla crociata del diritto, e della libertà, Duhamel credette che, a forza di parlare di diritto e di libertà, la Intesa sarebbe stata bene, in qualche modo, obbligata a tener fede alle promesse fatte. Egli salutò con gioia l’intervento di Wilson, che alle orecchie dei padroni del mondo osava far risonare le parole di giustizia e di felicità dei popoli. Quando il Presidente scese in Europa, levando la coppa di camomilla alla pace perpetua ed alla Lega delle Nazioni, il suo cuore palpitò per lui. Lo vide con trepidazione entrare nella bisca diplomatica di Versaglia; con angoscia lo vide a poco a poco, ingenuo trastullo di bari rotti a tutte le astuzie, perdersi e precipitare. Ne salutò la partenza con commosse parole, in cui vibra la rassegnazione accorata dell’uomo deluso, ma non abbattuto: « Addio, dunque, voi, la cui buona volontà fu travolta, ma che, nondimeno avevate della buona volontà!... Le vostre parole sono restate senza effetto, ma io sono, nondimeno, ben felice di averle intese! ».
Sul’’avvenire preparato all’Europa dalla guerra e dai trattati che provvisoriamente la chiudono, Duhamel non si fa illusione di sorta: nulla in questi trattati, che per le anime naufraghe costituisca una lezione di alta morale e di giustizia attiva. L'Europa del 1920 è ancora l’Europa dei Cimbri e dei Teutoni, della San Bartolomeo e degli auto-da-fè. La Francia muore avvelenata dalla vittoria. Trascinati a forza fuori dall’orbita ih cui gravitavano durante la pace, gli uomini sonò impotenti a rientrarvi. Tutto è disordine, confusione, pervertimento intellettuale e morale. Fuggita dalla terra, la pace, la vera pace, non trova più la via di ridiscendervi.' Come richiamar vela? La politica è impotente; impotenti le vecchie religioni, troppo impregnate di politica anch’csse. Il vecchio mondo è condannato, e vani sono i tentativi di riedificarne uno nuovo con le macerie dell’antico. Non si costruisce con vecchie
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pietre spaccate dall’incendio. È necessaria una rivoluzione. « Rivoluzione? Sì! Ma intendete bene; non vi è vera rivoluzione che morale. Tutto il resto è miseria, sangue sperperato e lagrime vane ».
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Quale sia l’ideale morale che egli propone al mondo infermo perchè torni alla vita ed alla gioia, Duhamcl ha detto nella Posscssion au monde, il più personale, se non il più belio, dei suoi libri, indice notevole del profondo rivolgimento psicologico operato dalla guerra nell’anima contemporanea. Fino allo scoppio del conflitto mondiale gli uomini cercavano la felicità nel movimento, nell’attività sempre più irrequieta divorante febbrile, freneticamente protesa verso l’avvenire, per la quale il mondo della natura e degli uomini non era che materia passiva da modellare secondo fini e piani eternamente in sviluppo, ostacolo da ributtare sempre più lontano, perchè semprepiù si affermasse e dilatasse il dominio dell’uomo. È la civiltà della Potenza, che pone la felicità nel lavoro, nell’attività, nel movimento, e gioia, riposo, calma rifiuta come cose spregevoli e indegne. Diventata troppo angusta la terra per due padroni, gli uomini si scagliano gli uni sugli altri in una lotta di vita e di morte. La guerra mondiale è il frutto avvelenato, ma fatale, di quella civiltà. Essa, riposa su un concetto contraddittorio e falso: l’attività fine a sè stessa. Ma l’attività, ogni attività, non può essere che mezzo pel raggiungimento di un fine che, raggiunto e posseduto, dà gioia e felicità. Non si agisce per agire. Si agisce per essere felici. Non l’attività, la felicità è lo scopo, meglio ancora, la molla, l’espressione, l’essenza stessa della vita. Duhamel ha ragione nel ricordarlo con insistenza. Ma che cosa intende egli per felicità?
La f elicità — secondo Duhamel — non è nel piacere o nel benessere o nella voluttà: consiste nel possesso. Ed il possesso? Nella conoscenza profonda e perfetta di qualche cosa. E questa? Nello sguardo lungo, insistente, amoroso con cui l’occhio dello spirito discende nell’ anima degli oggetti che si offrono a lui, e ne coglie e fa sua l'essenza intima e individuale. Il mondo intero si offre in possesso a chi sa guardare: gli altri uomini, e le bestie, e le piànte, e l'universo materiale delle pietre e delle acque, e il cielo, e il popolo degli astri, e il popolo ancor più numeroso dei sogni, ed
in prima linea quelli sognati da uomini più grandi di lui, gli artisti ed i filosofi, e ad ognuno poi l’inesauribile mondo interiore della sua anima: l’irrequieto, infinitamente cangiante presente, e l’infinito silenzioso mondo dei ricordi, trascinato an-ch'esso nella incessante evoluzione della vita, e il mondo delle speranze e dei timori, e poi ancora il mondo delle sofferenze,’dei dolori, delle disperazioni, orribile e suprema, ma preziosa e impareggiabile, ricchezza. Per l’occhio che sa guardare la vita intera è un perpetuo, gaudioso viaggio di esplorazione e di scoperta. Ben riempita si considererà la giornata in cui si sarà gustata una mai prima osservata colorazióne di nuvole naviganti nel cielo, o uh mai prima odorato profumo di una pianticella perduta sul ciglio dì un fosso. « E un gioco perpetuo e simile all’amore questo possesso di un mondo, che ora si dà e ora s’invola; è un gioco grave e divino ». E di tante ricchezze si dovrà render partecipi tutti gli altri uomini. Poiché, a differenza delle ricchezze materiali che la divisione diminuisce, le ricchezze spirituali più si dividono fra tanti, più restano intatte presso chi le diede. È nell’intima amorosa comunione col mondo delle cose, dei pensieri, degli uomini, che consiste la vita interiore, nella quale soltanto è la felicità e verità della vita.
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Concezione del mondo e della destinazione dell’uomo che nasce da un momento di profonda stanchezza spirituale, quando, impotente ornai, a padroneggiare le terribili forze sociali da lui scatenate, l’uomo rinuncia àd imprimere sulla fuggente evasiva realtà il duro segno della sua volontà di dominio, ed esaurito e deluso si siede sul margine della via ad assaporare la multiforme bellezza del mondo che lo circonda. Concezione etica estetizzante ed intuizionistica che all’uomo assegna per compito non già di trasformare la realtà secondo un ideale che gli splende allo spirito, ma, piuttosto, di assorbirne e gustarne gl'infinitamente varii aspetti, tu tti egualmente belli ed appassionanti. È così bello il mondo! È così dolce vivere! Se soltanto gli uomini si amassero un po' di più! A che scopo precipitarsi gli uni sugli altri per una miniera di carbone o per un lontano braccio di mare, quando la bellezza dei fiori, delle nuvole, delle acque ci Si offre in gratuito possesso e ci esorta ad intonare il Cantico delle creature?
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Concezione, in fondo, naturalistica, edonistica, ottimistica- della vita, di un edonismo un po' stanco e malinconico, come quello che succede a un immenso sforzo perduto nel vuoto. Per lo spirito naufrago nella contemplazione estetica, gli uomini sono sullo stesso piano degli altri esseri della natura. La storia col suo duro travaglio, pel quale le antitesi si sciolgono in sintesi, donde di nuovo rampollano antitesi, e così via all’infinito, è assente e lontana. Non v’è antitesi, non v’è dramma, non v’è pathos morale. Come il Jahvé della Genesi, l'uomo si volta a guardare il mondo e lo trova bello e buono. Per ciò stesso, lo slancio che lo porta a trasformarlo si arresta e si spezza. Egli riassorbe in sè la natura infinitamente varia, ma perciò stesso adegua sè alla natura. Dal mondo di Duhamel è assente l'uomo nel senso altamente spirituale della parola. Per ciò stesso ne è assente Dio. È un’etica, la sua, sentimentalistica e vagamente umanitaria, estrema diramazione del gran fiume rous-seauiano. Lo stesso dolore umano, il proprio come l’altrui, è per lui materia di spettacolo estetico. È ciò appunto che alla sua emotività dà quel non so che di aereo, per cui essa — come sopra notammo — trapassa tutta, senza residui, in fantasia.
Donde uno stile morbido, pastoso, musicale, che accarezza con infinito amore i varii aspetti delle cose, e su tutti si posa leg-Siero, vaporoso, scintillante còme rugiada, tiìe tutto ondulazioni e sfumature, senza preferenze, e però senza rilievo nè scosse.
È molto se un soffio lieve di ironia o una vena di malinconia sottile ne increspa l’onda inalterabilmente pura. Le debolezze, gli errori, i delitti stessi della storia c degli uomini non strappano mai a Duhamel un grido di furore o d’indignazione. Egli li guarda dall’alto, li rappresenta di scorcio, di sfuggita, con dolcezza un po’ triste, con ironia bonaria, segnandoli ;on qualche parola gettata senza parere, come distrattamente. Alla complessa varietà umana che gli si agita dattorno guarda con curiosità tenera e un po’ divertita, non riuscendo a comprender bene perchè gli uomini si azzuffino fra loro, incline a vedere in ciascuno il lato buono. La vita sensibile, con la magia dei colori, dei suoni, dei profumi, lo attira irresistibilmente, così che egli non sa distaccarsene. Dall'immagine si eleva, sì, al concetto, ma questo rade la terra con ala stanca, e tosto si affretta a prender piede, quasi affaticato dal volo.
In bilico tra mondo esterno e mondo interno, troppo povero di vita intima per profondarsi nell’to ed alimentarsi della sua sostanza interiore, troppo fiacco di volere per gettarsi sul mondo e piegarlo ai suoi fini, lo spirito, qui, oscilla indeciso ed ambiguo. Esso guarda a lungo, intensamente, con occhi spalancati, il mondo esteriore, come per impregnarsi le pupille della sua bellezza e portarne la visione magica dentro di sè, nella notte che ben sente prossima ad abbattersi sulla nostra civiltà moritura.
Adriano Tilghbr.
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FILOSOFIA POLITICA
IV.
NAZIONE E NAZIONALISMO
Nel corso di queste brevi note, ci è avvenuto talora di segnalare qualche scritto della rivista Politica; ma non abbiamo mai esaminato, nell’insieme del suo spirito ed indirizzò, questo periodico, espressione meditata e ragionata del programma nazionalista, che è — mentre si attendono le pubblicazioni del-V Esame nazionale — il più serio sforzo di politica unitaria e fattiva, che in Italia si sia tentato in questi anni di guerra.
Politica, rivista diretta da Francesco Coppola ed Alfredo Rocco, ha un anno e mezzo di vita. Il primo numero fu pubblicato il 15 dicembre 1918, poco più che un mese dopo l’armistizio. Su questo numero, che vuol segnare la concezione generale e le direttive, dobbiamo fermarci alquanto più largamente. Esso ha tre articoli programmatici: il Manifesto degli editori, uno scritto di Silvio Pe-rozzi su «Roma antica e il diritto nostro», e uno di Giovanni Gentile su « Politica e filosofia». Cosa strana e significativa, i tre articoli rispecchiano indirizzi filosofici molto diversi e ci presentano tre diverse concezioni della politica e dello Stato: una naturalistica, una storico-giuridica e la terza, infine, idealistica. Prima di vedere che cosa le unisce, cerchiamo di renderci conto di ciascuna di esse, separatamente.
Nel pensiero degli editori di Politica, una contraddizione ha dominato, dal principio alla fine, tutta la guerra; «la contraddizione, cioè, tra il carattere sostanziale del grande conflitto e il modo con cui esso fu concepito e pensato dalla immensa maggioranza di coloro che ci ebbero parte: tra la realtà della guerra e l’ideologia della guerra». La realtà era un
conflitto di più volontà di potenza, per l’egemonia; l’ideologia, quella democratica, divenuta in qualche modo la dottrina ufficiale dell’Intesa. Questa era stata preparata dalla « lunga corruzione ideologica che, da oltre un secolp, andava guastando la mentalità politica dei più grandi popoli». Contribuì a diffonderla « l’istintivo imperialismo spirituale dell’America, che non possedendo altra tradizione intellettuale e politica da quella democratica, era naturalmente portata ad imporla, come veicolo del suo universale prestigio, al mondo intiero». Infine, concorse un càlcolo opportunistico. « Si pensò... che per ottenere dalle masse i sacrifici individuali necessari alla vittoria il miglior mezzo fosse di fare appello ai sentimenti individualistici della folla, quelli appunto da cui deriva tutta la sua forza e tutto il suo valore l’ideologia democratica» della guerra antiimperialistica, della guerra pacifista. Questa ideologia « è, per definizione, l’ideologia della sconfitta».
Quali le origini di tale idéologia ? « Derivata immediatamente da quel movimento intellettuale che si suol chiamare filosofia della Rivoluzione francese, l’ideologia democratica ha, in realtà, origini assai più remote e deve ricollegarsi, come concezione sociale e politica, alle correnti di pensiero che determinarono ed accompagnarono il moto della Riforma protestante in Germania e di là si diffusero in Inghilterra nel secolo xvii, in America nel secolo xviii, donde vennero alla Francia, che le impose all’Europa col prestigio delle sue armi vittoriose. Questa ideologia, eminentemente individualista ed antistatale, è dunque il frutto del millenario individualismo delle genti germaniche. Il quale, dopo avere invano, per molti secoli, cozzato contro la mirabile organizzazione politica statale romana, finì
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col sommergerla, non con la forza delle armi, ma con la lunga persistente azione disgregatrice esercitata entro la stessa compagine dell’impero, già minata dalla formidabile forza dissolvente del Cristianesimo primitivo. Crollato l’impero romàno sotto l’azione concorrente di queste due forze, nell’universale disgregazione sociale e politica che segui per lunghi secoli e che noi chiamiamo Medioevo, trionfò appunto quello spirito individualista, antisociale ed antistatale, che la troppo recente ricostituzione politica avvenuta per opera dei grandi Stati nazionali non è riuscita ad eliminare, ed a cui dobbiamo, in grandissima parte, il risorgere e il rifiorire della vecchia mentalità, individualistica e perciò universalistica, disgregatrice e perciò antistatale, che si nasconde sotto le nuove formule dell’ideologia liberale e democràtica».
Questa sintesi storica, fatta in uso del nazionalismo, è sconcertante parecchio. Ma andiamo innanzi. C’è, dice il Coppola, contro una tale dottrina, disgregatrice degli Stati, una sorda reazione; La guerra «ha infatti creato, nel seno stesso delle società occidentali, nuovi poteri di resistenza contro la degenerazione del sentimento individualistico, risvegliando il sentimento della socialità, l’istinto della conservazione della specie. Trasformare il sentimento oscuro ed indistinto in dottrina e volontà consapevole è il compito che si propone la nostra rivista».
Della quale, ecco il punto di partenza: * Nell’opera di ricostruzione spirituale, che ci proponiamo, occorre, anzitutto, restaurare l’idea del rapporto fra società ed individuo. La società non è, come insegna la filosofia politica demo-liberale, una semplice somma di individui, la quale si risolve nei suoi elementi costitutivi ; ma è veramente un organismo che ha esistenza e fini compieta-mente distinti da quelli dei singoli. Nella successione indefinita delle generazioni di individui la società ha una vita continuativa nei secoli. E il suo fine è quello di contribuire allo sviluppo della civiltà mondiale. Perchè, contro l’idea medioevale, teorizzata e divulgata dalla filosofia delle Rivoluzioni, di una società umana universale, il genere umano non costituisce un’unica immensa società, la Umanità,... ma vive distinto in numerose società, ciascuna delle quali è un organismo distinto con propria vita e propri fini, come prova, non solo la storia, ma anche là legge biologica e morale della vita sociale».
La teoria dell’imperialismo di Politica è tutta qui. Invano si cercherebbe, nel seguito del Manifesto, una dilucidazione concettuale,
una deduzione dialettica di queste formule. Posto il principio, il domma, si procede a vele spiegate verso le conseguenze di esso. Le, quali si può facilmente immaginare quali sieno : « La lotta è la legge fondamentale della vita degli organismi sociali, coinè di quelli biologici ». «Alla formula della ideologia democratica... noi opponiamo la formula : disciplina delle disuguaglianze, e quindi gerarchia e organizzazione all’interno; libera concorrenza e lotta fra i popoli all’esterno... ». « Il miglior mezzo di garantire la pace è quello di rendere sempre più ampio il campo dove impera un’unica organizzazione sociale, una unica disciplina, un’unica autorità ». I grandi mangiano i piccoli, e il più grande cercherà poi di mangiare i minori, e cosi eternamente, perchè l’unica società umana non esiste, per definizione; non c’è umanità.
La teoria delle « nazioni » non è stata che un momento di questo processo, nella storia moderna. < Questa guerra, che si è combattuta nel nome delle nazionalità contro l’imperialismo, è precisamente la crisi violenta per cui alla civiltà ed all’equilibrio a tipo nazionale stanno per succedere nel mondo la civiltà e l’equilibrio a tipo imperiale. L’evoluzione che si andava determinando da un secolo si compie sotto i nostri occhi: evoluzione democratica sì — nel solo senso che i popoli essi stessi diventano i protagonisti del dramma mondiale — ma evoluzione imperiale».
Questa dottrina, che l’esperienza della guerra doveva consolidare, è miseramente naufragata, in Italia, nelle elezioni del 16 novembre 19x9. E mentre altre nazioni, attraverso le trattative di pace, stanno consolidando ed estendendo i loro imperi, proprio come Politica insegna, a noi non resta che il pregio di aver ricostruito, per esse, la teoria dell'imperialismo.
Teoria che ho chiamato, e il lettore vede ora se a ragione, naturalistica. Essa infatti si basa sulla idea della società-organismo, che ha esistenza (fisica) propria, all’infuori e al disopra degli individui, è costituita organica-mente, esclude gli altri, come un oggetto esclude un altro oggetto, lotta con gli altri, per l’accrescimento suo, secondo una legge biologica.
♦ ♦ ♦
Ma già molto diversa e in parte opposta è la concezione che apparisce nell’articolo seguente. In esso si parla di Roma: dell’intima struttura dell’impero che essa si costituì. « Roma è un complesso di massimi; Nel campo
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dell’idea anzitutto. È il massimo dell’idea: patria. È il massimo dell’idea : Stato. È il massimo dell’idea: politica. È il massimo dell’idea: milizia... Questa è la mente di Roma. Il volere.vale in essa la mente. Anche esso è un massimo. È un volére gigante di distruzione e di creazione, pari a quello che il filosofo chiede all’uomo per superare in sè l’uomo... Mente e volere fanno che Roma non sa concepire una meta a se stessa. È una gran vita che si espande e vuole espandersi per quanto ha in sè attitudine di espansione. E non ammette che ah re vite le sbarrino il cammino; onde non si adagia volontariamente mai in nessuno state e forma di potenza».
Parlare, a proposito di Roma, di organismo naturale, è irrisorio. Qui tutti gli elementi naturalistici sono dominati da una forza spirituale. « Roma è la città-Stato che diviene il mondo-Stato», è l’incarnazione storica dello Stato come pura idea del diritto.
Tanto è vero che lo Stato è questa spiritualità che si fa mondo, questa potenza dell’idea, che, dopo la decadenza di Roma, per molti secoli gran parte d’Italia non ebbe più uno Stato. « Lo Stato non era un organismo vivo a cui fosse subordinata la vita delle sue cellule, gli individui. Era un mero aggregato di individui. Ufficio dell’aggregato era di soddisfare gli interessi degli individui che lo costituivano... Cóme non esisteva quel pensiero e quel senso che ho chiamato • politica non esisteva neppure quel pensiero e quel senso che ho chiamato * milizia ’. Lo Stato è dunque qualche cosa che può esserci e non esserci; e c’è quando esistono nelle coscienze certe forme spirituali di esso dalle quali segue l’attività consociata. È una costruzione, un organismo di natura essenzialmente giuridica, cioè spirituale. Non già, intendiamoci, che Roma miri a stabilire nel mondo un diritto naturale, oggettivo, io jusgentium; essa «non conosce altro limite, nello stabilire la sorte del popolo vinto, che la sua volontà». Questa volontà è la fonte attuale del diritto ; arbitrio che vuol farsi e si fa diritto, per un processo interiore di universalizzazione. « Roma fu madre, non del diritto, ma di un diritto: il suo».
S. Perozzi distingue il diritto dalla giustizia. Il primo, nel senso di norma stabilita dallo Stato, ha esistenza obbiettiva. Esso è fuori di me. Per conoscerlo, non ho che da aprire un codice, da constatare un costume. (Ma questo diritto, che è fuori di me, non è che una impronta materiale, una cosa morta. Quello che solo è vivo è la mia coscienza di diritto). La coscienza di diritto, « il diritto nel
senso di giustizia, cioè, dirò semplicemente, la giustizia ha esistenza meramente subiettiva». Ciò fa «che la giustizia non esista; che esistano invece soltanto le giustizie. Le giustizie professate da tutti i cittadini di uno Stato sono un aspetto dell’unità morale dello* Stato ; esse costituiscono la sua coscienza giuridica. Le giustizie che gli uni ammettono e gli altri negano, le giustizie cioè, dirò brevemente, antitetiche, formano la base dei partiti».
Quel che il P. aggiunge dopo: «gli Stati sono anche essi individui » è quindi una semplice analogia e non ha alcun significato preciso. Poiché egli ha detto che lo Stato è coincidenza, unità morale, di giustizie subbieltive.
Dopo varie considerazióni sii falsi giudizi correnti intorno ai diritto internazionale, il P. continua :
« La ricetta giurisdizionalista generalmente adottata in Italia è il principio di nazionalità. Ad ogni nazione deve corrispondere uno Stato. La nazione è l’entità naturate. Questa deve esprimere da sè l’entità artificiale: lo Stato... Io credo però che sia venuto il tempo che l’Italia riveda criticamente le idee che le hanno servito a risorgere... tra queste l’idea di nazionalità. Alla quale si può opporre che essa inverte il procedimento storico di formazione delle nazioni e degli Stati. Tutt’altro infatti che le nazioni esprimano dasè gli Stati, sono gli Stati che esprimono.da sè le nazioni».
Questa concezione dello Stato come volontà, e precisamente come volontà di diritto e di potenza, come costruzione giuridica superiore ed esterna agli aggregati di razza e nazione, sembra molto più adatta a fondare il nazionalismo che ñon lo Stato organismo fisico e biologico, dominato dalla legge della lotta naturale. Ma se i nazionalisti amano insistere su questa concezione positivistica antiquata non è senza motivo.
Quella volontà di potenza, e con essa lo Stato imperialista, c’è o non c'è; si può suggerirla, suscitarla in altri animi, ma non la si impone. Convertire un popolo di dissociati o di servi in un popolo imperialista per mezzo di una minoranza al potere è assurdo e puerile, sinché non si muti prima la volontà di quel popolo. Il nazionalismo non ha questa paziente fiducia. Esso ha bisogno di stabilire un diritto naturale della minoranza imperialista, in cui risiede l’idea dello Stato, al potere; e quindi un vincolo naturale di solidarietà, una teoria organicistica della società. Ma è una menzogna dialettica sulla quale non si costruisce nulla. I nazionalisti restano più che mai una piccola minoranza e.la volontà
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delle masse se.ne infischia, purtroppo, dello Stato italiano e dèlia sua volontà di potenza.
Altra e nuova e capace di divenire un programma politico — che sarebbe poi il definitivo superamento di ogni nazionalismo — è la dottrina che ci presenta, nell’articolo seguente, Giovanni Gentile. (Questo scritto è ripubblicato nella raccolta : Dopo la Vittoria, edita da La Voce, Roma, 1920).
Egli incomincia col dichiarare non essere oramai più possibile «una filosofia degna di questo nome, la quale non si abbracci alle questioni politiche e non ne rifletta in sè gli interessi e non senta la necessità di risolverle nel suo proprio processo»; ed esiste di fatto una filosofia immanente alla politica, in quanto «non è già una astratta filosofia che, sovrapponendosi alla vita per intenderla, se ne a-lieni per chiudersi nel mondo puramente ideale della speculazione, ma quella filosofia concreta, che, come oggi si può e si deve intendere, fa un tutto inscindibile con la vita, e si può dire la vita stessa, nei pieno vigore della sua consapevolezza».
Questa nuova filosofia, infatti, si distingue dall’antica in quanto immedesima la realtà col pensiero, mentre per l’antica il pensiero è pensiero delia realtà, ma non è realtà. Ponete, in luogo della parola: realtà, la parola: Stato, ed avretè la filosofia politica, e la politica nuova. Per il G. Stato non è realtà fuori del pensiero, dato, fatto, organismo, cosa che il pensiero trovi bello e costituito prima di sè; se fosse così, il pensiero arriverebbe post factum ; ma lo Stato stesso, come la realtà, è il farsi dello spirito, l’atto libero di questo che si costituisce come realtà concreta, sociale e storica. « Raggiunto questo concetto antiintellettualistico, per cui lo spirito raccoglie e stringe in sè tutto il reale, come il suo stesso svolgimento e la sua vita, è chiaro cho non solo non è possibile più presupporre al pensiero la realtà che esso ha da conoscere (poiché nulla più è fuori di esso, e tutto quello che per esso è pensabile non può esser altro che il suo stesso, prodotto); ma non è possibile più neppure postulare quella vecchia dualità spirituale della conoscenza e della volontà, o della teoria e della pratica, che traeva origine dal concetto pratico del pensiero». Come è dunque vano fissare, come fa la direzione di Politica, uno Stato esistente in sè, posto e dato naturalmente, cui l’individuo debba adattarsi e sog-E*acere, accettandolo, a quel modo che il-fi-sofo di ieri accettava la natura e là legge
naturale, così è vano stabilire una dottrina politica che pretenda di dettar norme alla prassi e di piegarla a sè ed imporsi per una sua oggettiva e naturalistica necessità. I nazionalisti parlano esattamente come i teologi medioevali.
Nè vale, anche, il ricorso alla storia, che tenta il Vitelti.
« La storia comincia a distinguersi dalla natura quando si acquista la nozione, elementare per noi moderni, della differenza fra ciò che è condizione dell’attività umana e ciò che ne è il prodotto... Affermare la storia significa affermare il valore dell’attività umana, e cioè l’autonomia dell’uomo di fronte alia natura, e cioè il progresso : è.insomma la libertà di una attività teleologica, che supera e vince il meccanismo naturale e instaura un mondo luminoso di valori spirituali in perpetuo svolgimento. Quindi la natura è il regno dello identico e dell’immutabile; la storia è il regno del divenire, della perpetua innovazione ed originalità ». C’è quindi una storia che non si distingue dalla natura, ed è quella che considera il passato come tutto passato, come fatto e dato ; ed una che è sempre storia del presente: ossia storia che è tutta presente e immanente nell’atto di costruirla. Questo concetto importa due cose:
i° Che lo storico, anche studiando la storia che par più remota da noi, non risolve mai problemi concernenti le generazioni passate, bensì problemi attuali e vivi nel suo spirito e cioè interessanti l’attuale e presente umanità ;
20 Che gli uomini e gli avvenimenti del passato... «sono a noi intelligibili nella loro umanità e nel loro valore spirituale soltanto se noi colmiamo l’abisso che separa nel tempo la loro realtà empirica dalla realtà empirica di noi stessi, ugualmente collocati da noi stessi in un certo.momento del tempo: colmiamo questo abisso per abbracciarci ed immedesimarci con quelli che furono e, storicamente, sono, lo spirito, che ha i suoi fini e la sua razionalità, in eterno».
Sicché non solo lo Stato organismo naturale dai quale Politica aveva preso le mosse è «uno di quegli dèi oziosi e piuttosto ridicoli relegati da Epicuro nei suoi intermundia » ; ma anche Roma antica non illumina e non fonda il diritto nostro se non in quanto noi la ripensiamo e riviviamo in una nostra presente coscienza di umanità e di realtà; la quale non è più, non può più essere, 1’ umanità che appariva al pensiero dei romani è che essi facevano; ed è invece una umanità-universalità, unità del mondo e degli uomini
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nello spirito, alla quale ogni forma di imperialismo geloso ed esclusivo apparisce solo come un sogno sognato nell’infanzia.
Ma perchè e come questo scritto dei Gentile può apparire, nella compagnia che abbiamo visto, nelle pagine di Politica'. Solo perchè l'idéal istà e l’esaltatore del diritto e il nazionalista hanno in realtà un comune nemico: l’incultura, l’incoscienza, la bruta animalità di chi nega la nazione e lo Stato ed ogni disciplina interiore ed ideale solo perchè è incapace di comprenderle nel breve cerchio del suo mondo subumano; la insurrezione plebea che di fronte al vecchio Stato e contro di esso accampa, non un superiore dominio della propria anima e storia e mondo, e l’attitudine a far meglio, ma l’irosa protesta contro la disciplina lungamente subita e contro l’eredità della guerra e l’avida gelosia verso quelli i quali possono sottrarsi ad essi sacrifìci e; con pari o peggior cecità, ostentano il loro lusso in un paese che fra qualche settimana può trovarsi senza carbone e senza grano.
Non è nazionalismo, ma è una magnifica forma di imperialismo, questo dominio dell’uomo su di se stesso e quindi sul suo mondo sociale e sulla sua storia, quésta consapevole creazione dello Stato come cosa propria, espressione e strumento dei valori immortali che lo spirito umano vivendo celebra, la quale è predicata dalla filosofìa nuova.
Nel n 2 leggiamo un interessante articolo di Francesco Coppola su : il mito democratico e l’imperialismo. Sono i due primi capitoli di un più vasto lavoro; e dedicati intieramente ad una acre e focosa invettiva contro la democrazia ; contro — si intende — la democrazia quale il Coppola la definisce e presenta. Sicché la questione non è tanto di sapere se la critica di lui sia giusta ed efficace — e giusta essa è in gran parte — quanto se la concezione che egli ci presenta della democrazia è arbitraria o storicamente vera.
Vediamo. «L’ideologia democràtica è l’antistoria per eccellenza .. ignora e sopprime la storia. Questa ignoranza è a priori. Si fonda sulla natura della mentalità democratica, che è insieme positivistica e mistica, cioè doppiamente e simmetricamente semplicista ed assoluta. Il positivismo, che è la metafisica del non pensiero, ignora tutto ciò che eccede la sua immediata misura meccanica...
« Bisogna intendersi sul valore della parola “ democrazia. „ (Essa) ha parecchi significati, ma specialmente due. Uno è quello etimològico, scientifico e storico; la partecipazione, teoricamente di tutto il popolo, praticamente
di una sempre maggiore parte de) popolo ai: governo e alla direzione politica dello Stato-L’altro è quello intellettuale e, morale : una ideologia, una mentalità, uno stato d’animo, un sistema di formule e di valori, una metafisica ed un’etica politica. Questa ideologia... fatta tabula rasa del mondo della .realtà storica... deduce dalla sua verità rivelata... il suo-dio bifronte : l’Individuo-Umanità. L’individuo è I’/zomo dsmocralicusy la monade umana sempre e dovunque identica a se stessa... l’uomo senza concretezza, che è diversità, senza vita e divenire, cioè ancora in verità, senza storia, senza umanità. E d’altra parte (’Umanità è la mera somma biuta ed astratta insieme, delle monadi umane... anche essa senza concretezza, che è diversità, senza vita, che è lotta ed organicità, cioè gerarchia, diversità nello spazio, e divenire, diversità nel tempo...
«Su tutto e su tutti pesa egualmente statico il mito mostruoso della uguaglianza universale... Lo Stato... è concepito come unità e come limite puramente contingenti, ovvero come mera associazione contrattualistica, e non già come organismo naturale e necessario... È il liberalismo, individualista, razionalista e agnostico, che, sgretolando le gerarchie naturali e tradizionali in una polvere di individui aprioristicamente eguali nelle capacità e nei diritti, disconosce e rinnega la verità dinamica della storia e della politica, che è la verità Organizzata nella forza... È la religione della “ sovranità popolare, „ col culto elettorale e parlamentare della maggioranza che, annullando, nella universale incompetenza enciclopedica e “fungibile,, la speciale educazione dei vari organi dello Stato alle loro varie funzioni, tende an annullare la potenza organica dello Stato... È il radicalismo, anticlericale ed antimilitarista, che screditando i grandi valori tradizionali, sacrifica l’unità spirituale della nazione... È, finalmente, il socialismo, che — massima coerenza ideologica nella massima irresponsabilità storica — tende a sovvertire l’ultima gerarchia, quella economica... ad attuare l’eguaglianza universale, cioè la paralisi integrale, nella integrale inorganicità».
E ci pare che possa bastare, benché il C. continui per un’altra diecina di pagine.
Questa critica della democrazia non è certo nuova. La conosciamo da un decennio, esposta ed illustrata, con veemenza pari alla facondia, dal nazionalismo francese e special-mente da Charles Maurras, Ma In Maurras essa è più conseguente; e diviene critica di tutto il pensiero moderno, dal Rinascimento
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a Hegel e ai suoi continuatori. La democrazia, cóme il Coppola la intende; è una sezione, arbitrariamente, isolata, di un processo di pensiero assai più vasto e profondo: la sezione dominata ed espressa dall’illuminismo rivoluzionario francese; ed è, posteriormente, una volgarizzazione e contaminazione, per l’uso delle masse, di quella dottrina, sotto la influenza di un volgare materialismo.
Dentro tali limiti, la critica del Coppola e del Maurras è giusta. Ma se, con assai più verità, noi definiamo la democrazia come dominio dello spirito umano sulla sua storia e come processo per giungere all’autonomia ed all’autogoverno, tutta quella critica cade.
La verità fondamentale ed eterna è che lo individuo non si svolge e la società non si svolge senza una disciplina, e quindi un ordine e una gerarchia di valori. Il dissenso fondamentale è sul punto se questa disciplina debba, o solo possa, essere esteriore, rivelata, autoritaria, eteronoma, o se debba essere interiore, liberamente posta e accettata. La libertà come programma —- falsa democrazia — è un non senso; la libertà come metodo è, nella sua più intima essenza, tutto lo spirito moderno.
In tal senso, Coppola e Gentile, nazionalismo e idealismo, sono agli antipodi. Maurras, se conoscesse la dottrina di G. Gentile, non avrebbe per essa folgori sufficientemente acute.
E infatti, in questo stesso n. di Politica., c’è uno studio di Gentile — del quale ho già scritto in questa rassegna — su Mazzini. Mazzini è sì o no uno dei maggiori assertori del-l‘ideologia democratica ?
Eppure, sarebbe assurdo applicare a lui le critiche del Coppola; mentre il sottile studio di G. Gentile lo esalta, come grande assertore dei valori eterni. Una critica della democrazia la quale non è applicabile a Mazzini, che cosa è essa mai?
In questo stesso numero leggiamo delle Postille di B. Croce, delle quali, anche, ho già dato notizia. Sarebbe interessante fare un parallelo fra la teoria crociana dello Stato-potenza e la filosofia dell’atto puro; ma eccederebbe il compito di queste rassegne. La nozione di potenza è ambigua. Se essa significa possanza, pienezza di affermazione, volontà in atto, atto, la teoria del Croce è coerente con il suo. pensiero filosofico, ma non serve ai nazionalisti. Se essa significa potere, accumulazione di mezzi di dominio e di offesa, persistente ricerca degli strumenti materiali e pratici della potenza politica, autorità forte e popolo docile, come volgarmente la si intende, allóra la nozione dello Stato-potenza potrebbe esser fatta propria dai nazionalisti; ma essa è fuori della logica del pensiero crociano, è, di nuovo, naturalismo.
m.
STUDI BIBLICI
XI.
Lingue bibliche. — Un dótto ebraicista tedesco, G. Bergstràsser, si è dato a comporre una grammatica della lingua ebraica, con l'intento di soddisfare pienamente alle nuovissime esigenze della critica {Hebràische Grammatik, I Teil. Lipsia. Vogcl, 1918; pp. vi-166 in-8°). La filologia ebraica in questi ultimi anni ha fatto progressi notevoli; segnatamente per le scoperte e le indagini nel campo dell'epigrafia semitica. Un cultore insigne di tali ricerche, M. Lidzbarski. porta egli pure un pregevole contributo all’opera del Bcrgstiàsscr. Il quale avverte, nel titolo, di essersi giovato continuamente della notissima grammatica del Gesenius rifatta dal Kautzsch
(zS^edizione) ; effettivamente egli fa un ’opera nuova, e, a giudicare dalla parte prima, la sola finora pubblicata, degna di gran lode sotto il rispetto scientifico.
La grammatica del greco neotestamentario composta da A. T. Robertson (A Grammar of the Greek New Testament in the light of the historical research. Londra, Hodder, 1919) è giunta alla terza edizióne; ricca di miglioramenti e di 150 pàgine in più. I lettori di questo periodico già poterono prendere notizia dei pregi scientifici di questa monumentale grammatica dell’eminente professore della Scuola teologica Battista di Louisville (Kentucky). Il fatto che un'opera di tal natura e sì voluminosa (circa 1500 pagine) abbia avuto due tirature di 1500 copie ognuna, dal
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14 luglio 1914 al 1919. — mentre ferveva la guerra! — rende luminosa testimonianza ai suo merito scientifico, nonché dell’incremento che vieppiù ottengono gli studi, sussidiati dalla papirologia, nel campo della filologia neotestamentaria.
L’A. Testamento e la critica. — A chi amas.se di leggere l’Esateuco, cioè il Pentateuco e il libro di Giosuè, distinto nei principali documenti originali a norma della teorica critica oggi comunemente accettata, si può additare la pregevole pubblicazione di un egregio studioso nordamericano, E. Brightman (TAtf Sources of thè Hexaleuch, Nuova York, Abingdon Press, 1918; pp. 395, in-8®). Nelle brevi pagine introduttive il B. avverte che con questa pubblicazione, riproducentc il testo della edizione americana più pregiata, si propose di rendere facile la lettura continuata e separata del documento jahvista, di quello elohista e di quello sacerdotale, che nel testo biblico a noi tramandato sono stati amalgamati in guisa da formare un tutto, più o meno coerente. La critica distingue nell'esateuco un quarto documento, che è quello chiamato deuteronomistico. Ma poiché sostanzialmente si può leggerlo appunto nel Deuteronomio, il B. ha tralasciato di riprodurlo.
Sotto il titolo « Mosè e Giosuè » si legge un’erudita monografia deil'ab. Touzard in -Dictionnaire Apologétique de la Foi Catho-lique (fase. XV, coll. 695-860. Parigi, Beauchesne, 1919). Il T. insegna l’ebraico nelle scuole dell’« Istituto Cattolico» di Parigi, ed è un egregio cultore della letteratura dell’A. Testamento. Divide la sua monografia in due parti: nella prima esamina ampiamente la questione circa l’ori-5ine mosaica del Pentateuco; nella seconda «scrive l’opera, ossia, la carriera di Mosè e di Giosuè in seno del pòpolo ebreo, a norma della tradizione biblica. Egli stesso rammenta più volte al lettore che l’esame e la discussione dei problemi procedonosul « terreno apologetico »; con la quale frase vuole indicare altresì tutti i responsi della pontificia Commissione Biblica asseveranti la mosaicità del Pentateuco; c li cita esplicitamente. Naturalmente ciò gli fu imposto dalle circostanze; ma ognuno intende che un’apologià « per decreto » in questioni di critica storica e letteraria rischia di essere poco persuasiva. La conclusione apparente è che, in sostanza, il Pentateuco è di Mosè; e che, in sostanza, egli e Giosuè hanno
personalmente operato ciò che viene loro attribuito dalla tradizione biblica. Però chi abbia pratica delle varie e delicate questióni toccate dal T., si avvede della sua «abilità». A ogni modo, questa prolissa monografia è tra le più pregevoli, sia per l’erudizione critica, sia per la chiarezza espositiva, pubblicate finora nelle colonne di quel rinnovato Dizionario apologetico cattolico.
Contro la scuola critica che nega sostanzialmente il Pentateuco a Mosè, inveisce, assai più che non il cauto ab. Touzard, il pastore luterano tedesco Giovanni Dakse nel suo opuscoletto — che conosciamo con ritardo — intitolato « La presente crisi nella critica dell’A. Testamento » (Die gegenwärtige Krisis in der altestamentlichen Kritik. Giessen, Töpelman, 1914). L’argomento discusso prende appena un angolo del vasto campo designato con il titolo dei frontespizio. La sorpresa maggiore, però, non è questa; ma bensì l'apprendere che il D. stesso, dopo tutto, non ammette la tradizionale autenticità mosaica del Pentateuco. Che le conclusioni della critica moderna circa le fonti dell’Esateuco debbano subire modificazioni in alcuni punti, è cosa riconosciuta anche dai seguaci del Wellhau-sen. Ma che la sua scuola sia travagliata dalla crisi foscamcnte delineata dal D.. non è affatto vero.
Anche un collaboratore del dotto periodico nordamericano The Princeton Theo-logical Review (voi. XVII [an. 1919], pagine 190-240) oppugna « la critica biblica scientifica ». Anzi tutto invoca, per Mosè e gli altri autori tradizionali dell’A. Testamento, la legge di... procedura giudiziaria vigente nel mondo anglo-americano, che presume la innocenza dell'imputato fino che non risulti colpevole. Ciò detto, l’articolista esamina alcuni «esempi del metodo critico » nella questione mosaica; per concludere che i migliori caratteri dell’autenticità rimangono intatti sotto il martello della critica. Indi parla della trasmissione del testo dell’A. Testamento, nonché dei testi babilonesi, egiziani, ecc.; per giungere a dire che le copie degli autografi biblici ci pervennero, attraversando lo spazio di 20 secoli, in buonissime condizioni; e che quindi la critica testuale ha ben poco da correggere. Quanto alla invocata legge di procedura giudiziaria —.la quale presso le rive del Tevere vige da assai più tempo che non sulle rive del Tamigi c del Mississipì —diremo che ha da vedere con
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la mosaicità del Pentateuco, tanto quanto il puritanesimo di Wilson — illustre allievo dei maestri di Princeton — ha da fare con l’italianità di Fiumel Dato e non concesso, che le particolarità esaminate dall'articolista rimangano assodate critica-mente, non per questo si deve dire annientata la scuola che prende nome dal Well-hauscn. Questa fonda le sue conclusioni generali su l’esame di tutto il Vecchio Testamento; c precipuamente sul fatto che certi scritti di esso, cronologicamente posteriori di molto ài Mosè, ignorano ancora la sua legislazione. Per esempio, il libro dei Giudici e quelli di Samuele, in moltà parte. Quanto al giovamento che la critica può trarre dall’archeologia orientale, non è buon apologeta chi lo esagera: appunto su questa stessa via procede anche la recente scuola storico-religiosa, per giungere a sommergere la Bibbia nel pelago del paganesimo semitico. Senza dubbio per ciò che riguarda le origini della religione israelitica — lo sappiamo da molto tempo — la scuola de Wellhausen deve accogliere delle correzioni; come pure in vari punti della storia religiosa ebraica. Ma i resultati precipui del suo metodo permangono sempre saldi e luminosi agli occhi di chi sa vederli.
L’epistola ai Gelati. — È uno scritto d'importanza senza pari per la storia del cristianesimo nascente; poiché san Paolo vi dà notizie della sua conversione, della sua opera apostolica, nonché del suo contrasto con i giudaizzanti. guidati dall’apostolo Giacomo. Costoro si credevano tenuti per dovere di coscienza a continuare nella pratica del legalismo mosaico; e anche a farne obbligo ai neoconvertiti alla fede cristiana. Paolo, in vece, pensava e insegnava che alla salvezza basta la fede nel Cristo Redentore, accompagnata dalle opere di valore morale: egli voleva tolto il giogo della Legge, cioè l’insieme delie gravose osservanze giudaiche, tra cui la circoncisione e l’astinenza da vari cibi. Avvenne che le chiese da lui fondate presso i Galati furono turbate nella loro ingenua fede cristiana dalla subdola propaganda di predicatori giudaizzanti. appositamente mandati e venuti da Gerusalemme. Sdegnato contro tali uomini e disgustato dèlia buona accoglienza fatta loro dai Galati; Pàolo scrisse a costoro per ammonirli severamente, e in pari tempo per far valere la sua piena autorità di apostolo, che i giudaizzanti gli negavano. Tali circostanze
diedero alla lettera paolina il carattere di un’àpologìà personale, e il colorito di una requisitoria vivace contro gli avversari. Ciò rende assai delicato il compitò dell’ese-geta che voglia mantenere il debito rispetto all’eccelsa figura morale di san Paolo. Un tal compito, inoltre, diventa più difficile per l'apparente disarmonia tra varie cose dell’epistola e certe altre che, circa san Paolo e il suo apostolato, si leggono negli Atti, degli Apostoli.
Chi voglia prendere questo libro come storicamente autentico; e in pari tempo si proponga di tutelare il prestigio, tradizionale della personalità di Paolo, commenterà l’epistola ai Galati per via di compromessi prudenti e per mezzo di attenuazioni dolci: così fa con notevole abilità il dotto p. Lagrange, domenicano francese, nel suo Commento (L'Epilre aux Galales, Parigi, Gabalda, 1919; pp. LXXiv-395; in-8® gr.). Per Io contrario il Loisy nel suo breve lavoro sulla stessa epistola (L’Epitre aux Galales, Parigi, E. Nourry, 1916; pp. 204, in-16®) sembra compiacersi di rilevare crudamente le cose aspre; e di accentuare la dissonanza del testo paolino da quello degli Alti, per certe cose. Il Loisy stima questo libro come leggendario in gran parte nonché tendenzioso; quantunque vari critici recentemente abbiano cercato di assodarne il valore storico quasi integralmente. Egli quindi, senz’altro, rigetta tutto ciò che negli Alti trova dissonante o non confermato dal testo paolino. Noi non sappiamo se per soddisfare in giusta' misura alle esigenze della critica sia necessario di spregiare la storicità di quel libro fino a negare che Paolo, perchè lui stesso non Io racconta, abbia seduto ai piedi di Gama-lielc come scolaro di teologia rabbinica. Neppure sappiamo se, per rendere omaggio ai diritti della critica, siavi proprio bisogno di dipingere l’Apostolo come incline a vantare sè e l’opera Sua oltre il merito. Sappiamo però che moderni esegeti tedeschi, ben noti al Loisy, maestri di critica libera, non vennero meno di rispetto a san Paolo, così apertamente. Notiamo che il Lagrange e il Loisy vanno d’accordo nel mantenere la vecchia sentenza secondo la quale i destinatàri dell’epistola erano fedeli reclutati tra i Galli invasori della Frigia; anziché tra gli abitanti della Licaonia e della Pisidia.
G. Bousset. — Morì nel marzo di quest’anno cinquentacinquenue a Gottinga,
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dove professava teologia presso l'Univer-sità. Delle sue opere principali già si fece menzione in questa rubrica, parlandosi (n. del marzo 1916) del suo libro sulla genesi storica della credenza alla divinità di Cristo. Dai giornali di Germania apprendemmo ch’egli aveva quasi preparata del tutto una nuova edizione del detto libro; «he è tanto discusso ancora presso gli studiosi liberi nel campo della critica ncotc-stamentaria. Ad esempio, anche A. Loisy nella sua Revue d’histoire et de litlérature rcligieuscs (Tom. V, n. 5; pp. 385-401) ha dedicato un articolo alPcsame di quel lavoro intitolato, grecamente, Kyrios Chri-stos (Gottinga, 1913). Il L. conchiude dicendo che al B. spetta il inerito di avere collocato nel quadro storico universale delle religioni il dogma fondamentale del cristianesimo. In ciò consiste, a suo dire.
il maggior pregio di quest’opera; la quale necessariamente suscita più questioni di quante ne risolve e ne tocca. Però il problema 'fondamentale del cristianesimo è portato nel suo terreno vero; e quali che possano essere le correzioni da fare a questo lavoro grazie alla future indagini, si deve dire che il B. con esso ha additato la via e ha fatto conoscere la fecondità del metodo comparativo bene praticato in materia così delicata. Noi, senza sottoscrivere a questa sentenza, riconosciamo il talento critico e la dottrina copiosissima di Guglielmo Bousset, e he deploriamo la scomparsa. Il suo nome era e rimane sconosciuto tra noi; perchè nel campo della cultura religiosa sotto il bel cielo italiano, quasi non germogliano e rigermogliano che le meste cose inutili: fiori sepolcrali.
t. e p.
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I.
1. Il 17 dicembre u. s., è stato fondato a Berlino, da alcuni teologi, una società per lo studio scientifico del protestantesimo tedesco (Gesellschaft zur Förderung deutscher evangelischer Wissenschaft). Dopo sei anni di arresto, interrotto dagli studi pubblicati in occasione dei festeggiamenti per il quarto centenario della Riforma, la vita scientifica in Germania, in questo ramo di studi, accenna a ridestarsi. Per ulteriori informazioni circa la società su accennata, rivolgersi al prof. Gressmann. Berlin, Schlachtensee, Fridrich-Wilhelm Str. 55.
2. Gli evangelici tedeschi della Transil-vania, passati sotto il governo rumeno, ànno ottenuto qualche vantaggio. Lo Stato rumeno, che à preso l’eredità del governo ungherese, à aggiunto oltre sette millioni di corone all’antica dotazione, e ciò per risarcimento di danni di guerra. La Chiesa della Transilvania è tuttavia minacciata dalla riforma agraria che le toglierà una parte dei beni terrieri senz'alcun risarcimento. Le scuole sono state liberate dalla costrizione di insegnare una lingua straniera, e l’insegnamento religioso viene in 'esse conservato.
3. I 480 mila evangelici della Jugoslavia, si vogliono unire in un’unica Chiesa, e sin dal maggio 1919 pubblicano un loro periodico (Flugblätter der deutschen evangelischen Gemeinden Südslavien). Gli evangelici in Slovenia sono stati oggetto di persecuzioni ed è stato ivi proibito l’insegnamento religioso. .Tuttavia, è notevole l’accresciuto concorso di pubblico nelle chiese e l'aumentato numero degli evangelici.
4. Si accentua in Germania un movimento antiecclesiastico, specialmente nelle grandi
città dell’impero. In Berlino, nello scorso gennaio, oltre 100 persone al giorno dichiaravano di non voler più appartenere alla Chiesa. La maggior parte di esse era reclutata nella classe operaia, ove più è viva l’ostilità contro la Chiesa. Nella stampa tedesca è questo un argomento, com’è facile intendere, di viva discussione, e in quella confessionale di viva preoccupazione.
5. Le difficoltà del nuovo ordinamento ecclesiàstico determinano molti importanti periodici in Germania a ritener necessaria una nuova lotta contro il clericalismo (Kul-turkampf). Si aspira, da parte degli evangelici, alla parità di diritti coi cattolici, essendo questi ultimi rimasti liberi dagli obblighi che verso lo Stato incombono ai primi. Il noto teologo Th. Kaftan protesta in un suo articolo, dal titolo « È questa una parità? » che pubblica nella Tdglische Rundschau. Si ascrivono alla potenza del Centro (tanto più formidabile ora che il Governo à altre preoccupazioni) le insorgenti difficoltà della Chiesa evangelica e le preferenze accordate a quella cattolica. Da ciò una campagna nella stampa democratica per la separazione completa tra Chiesa e Stato, campagna che à questo di caratteristico: non voler tanto sapere della parità con la Chiesa cattolica, quanto deH’autonomia di quella evangelica e del suo libero sviluppo. Tutto ciò, dice questa stampa, non si può ottenere da un comitato di alti impiegati dello Stato, quali i componenti del supremo consiglio ecclesiastico, o da un Sinodo generale concesso dallo Stato. Si ritiene perciò che nulla di buono si otterrà fintanto che il supremo consiglio ecclesiastico rimarrà un collegio di impiegati dello Stato. E si lamenta, da parte
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i ■■ i i.jPBawiT
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autorevole, l'incompetenza dell’attuale Governo negli affari ecclesiastici.
6. Una recente circolare delle donne evangeliche prussiane dice: l'ora è venuta della nostra collaborazione alla trasformazione della nostra Chiesa. Il compito è urgente; la postra Chiesa dalla quale molti si allontanano, con ànimo indifferente ed ostile, dev’esser trasformata in una vera Chiesa democratica. Ad essa potranno allora tornare fiduciosi coloro che se ne sono allontanati... noi, donne evangeliche prussiane, che costituiamo la maggioranza evangelica c’incòntriamo con ogni partito politico e con ogni orientamento ecclesiastico nel comune desiderio che la nostra Chiesa, nell’ora grave che attraversa, venga trasformata nel vero spirito evangelico, in una vitale e libera Chiesa democratica. La circolare attacca specialmente il progetto di legge elettorale, domandando che tutti gli evangelici, senz’alcuna considerazione di partito al quale individualmente ciascuno può appartenere, collaborino con uguale responsabilità alla ricostruzione della Chiesa.
7. Il movimento per la indipendenza politica in Corea, alla quale si sono associati i cristiani, à determinato il Governo giapponese a una persecuzione contro Suesti ultimi. Molti di questi sono stati ecapitati, fra cui parroci, missionari e medici. Parecchie chiese sono state distrutte e molte donne maltrattate e violate. Alcune di queste ànno rivolto una petizione alle missioni evangeliche e alla Conferenza per la pace;
8. Il Concilio nazionale luterano in America, dopo aver inteso il rapporto della Commissione inviata in Europa, composta dal dott. Morehead, prof. Youngert. prof. Rygh, pastore Fandrey e pastore Schuh. à deciso di convocare un Congresso mondiale dei. luterani in America nel corrente anno 1920. Questo Congresso dovrebbe aver per scopo di « consigliare la Chiesa luterana in Europa e guidarla in modo da poter rinnovare il suo protestantesimo ». Viene destinata la somma di un milione di dollari per l’erezione di nuove chiese luterane in Europa, fondazione di seminari per lo studio della teologia, riedificazione di chiese distrutte, aiuti al personale.
9. Nel dicembre scorso ebbe luogo a Praga una festa serale nella quale s’incontrarono alcuni fra i personaggi czèchi e slovacchi più in vista nel mondo evangelico ed ivi furono presi degli accordi assai importanti per gli evangelici dell’una e del
l’altra parte: visite scambievoli di delegati ai Sinodi; riunione di comitati sinodali per deliberare intorno ad affari di interesse comune; studio dei teologi czechi in Pre-sburgo e degli slovacchi in Praga; appoggio da darsi insième alle riviste ecclesiastiche; organizzazione delle informazioni; pubblicazione di articoli in entrambe le lingue; scambievole esame delle pubblicazioni periodiche e dei libri. Per il mantenimento di questi gruppi e per l’esecuzione di questo progetto è stata nominata una Commissione mista con rappresentanti delle due Chiese,
10. La Lega Repubblicana per il risorgimento morale del popolo, fondatasi nella Czecoslovacchia, à pubblicato un foglio che s'intitola: La bancarotta morale della Repubblica Czecoslovacca, che à fatto gran rumore. E stata inoltre fondata ora a Praga una Lega per la libertà che fra l’altro si propone di lottare contro il materialismo, la depravazione e contro ogni elemento immorale e antipatriottico.
11. Il dott. Estlin Carpenter à finito di fare ufi corso di letture (Hibbert Lectures) su Le fasi del teismo nell’india medievale, cioè nel periodo che decorre dal 629-54 (data del lungo e pericolóso viaggio fatto in India da Yuan Chwang per studiare il buddismo nelle sue fonti) al tempo del gran re Ahkar (1556-1605). Il dott. Carpenter si è occupato successivamente delle origini del buddismo teistico, dello sviluppo di esso e delle reazioni che destava nell’epopea religiosa; si è occupato degli insegnamenti di Sankara, del sivaismo, della religione di Visnù, della religione di Krishna, dell'islamismo e dell’induismo. Molta impressione ànno lasciato nel numeroso e scelto uditorio londinese queste otto letture fatte dal Carpenter che può a buon diritto annoverarsi fra i più'dotti cultori della stòria comparata delle religioni.
12. Il Comitato tedesco della Chiesa evangelica nella seduta di chiusura che ebbe luogo verso la metà dello scorso febbraio, emetteva il seguente voto circa la questione dell’indipendenza della Chiesa di fronte allo Stato: « Il Comitato raccomanda alle Chiese evangeliche nelle loro trattative circa questioni statutarie della Chiesa di opporre irremissiva resistenza contro ogni tentativo dello Stato di esercitare qualche influenza su le questioni interne della Chiesa ». Esamina inoltre le richieste che allo Stato potrebbero esser fatte per prendere in considerazione la
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FRA CHIESE E CENACOLI
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popolazione cittadina nella composizione dei sinodi, per la difesa della minoranza ecclesiastica, per la cura della vita religiosa nella molteplicità delle sue forme, fi Comitato si preoccupa di ogni apparenza che possa avere la Chiesa di seguire le costrizioni dello Stato. Ogni violenza esercitata da questo su la coscienza religiosa, conclude quel voto, dev'essér con ogni energia respinta dalla Chiesa quale erede dei grandi beni della Riforma.
13. I rappresentanti delle Comunità vecchie cattoliche dell’Austria tedesca ànno deciso di separarsi dall’attuale vescovado czecoslovacco e di fondarne uno nuovo per loro.
14. Per facilitare lo sviluppo dei principi protestanti, per raggiungere l’assoluta uguaglianza e reciprocità fra le Chiese cristiane e per valorizzare il protestantesimo nel suo contenuto religioso, morale e culturale, i protestanti ungheresi (rappresentanti delle Chiese riformate, evangeliche e unitarie) ànno nominata una commissione e decisa la costituzione di una Società indipendente da ogni organismo ecclesiastico, e fondato un Circolo politico calvinista. Questo circolo non si propone di costituire un nuovo partito, ma di rafforzare gli attuali rapporti fra i cristiani ungheresi e di stimolare tutti coloro che sono animati dà questo spirito ad un’azione politica cristiana.
15. Il movimento del clero czecoslovacco staccatosi da Roma vien lumeggiato da alcuni fatti non ancor noti fra nói e che formano attualmente oggetto di discussione per la stampa czecoslovacca. Nel Natale scorso il dott. Kordac, nuovo arcivescovo di Praga, in vista di un movimento minaccioso, pubblicò una pastorale in cui dichiarò voler farsi promotore di una riforma hell'istruzione del clero ed invitava gli « amici della vera riforma » a un indefesso lavoro storico e filosofico, poiché, diceva quella pastorale, sin dal secolo xvi tutta la storia politica ed ecclesiastica nella Czecoslovacchia non è stata altro che l'effetto di .una grande congiura contro la verità, e il grido « Stacchiamoci da Roma » è un riflesso di quella congiura. Il Vescovo si scagliava quindi particolarmente contro il tentativo di sostituire il latino con lo czeco nella liturgia. Ma l’otto gennaio ebbe luogo in Praga, nell'/issocùz-zione per la riforma del clero, alla presenza di 300. delegati, una riunione per decidere su le riforme, se dovevano ottenersi rima
nendo nell’ambito della Chiesa oppure ad ogni costo, staccandosi da Roma. Dei 211 votanti, 140 furono per la separazione. L’ 11 gennaio venne pubblicata una circolare in cui si annunciava la fondazione della nuova Chiesa nazionale, invitando i cittadini ad entrarvi staccandosi da quella di Roma. La nuova Chiesa nazionale à preso per ora gli stessi ordinamenti di quella romana, allontanandosene in tre punti: libertà di coscienza, lingua liturgica, celibato del clero. Il papa, in una lettera al vescovo di Praga aveva ricusato le riforme democratiche della Chiesa e particolarmente si dava divieto di sospendere, o sia pure attenuare, la legge sul celibato, che forma, diceva quella lettera, una delle glorie delia Chiesa. La nuova Chiesa è stata conseguentemente scomunicata. Un simile movimento. annunciano i giornali nel clero tedesco boemo che vuole anch'esso fondare una Chiesa nazionale.
16. Il governo polacco à proibito J'introduzione nello Stato di alcuni libri e fra questi figurano, accanto ai pornografici, i libri di preghiera. Sembra strano, a prima vista, come questi libri possano considerarsi alla stessa stregua, ma non lo è se si considera il movimento antiprotestante che si accentua in quello Stato, movimento che sotto la voce « Libri di preghiera » vuol colpire precisamente quelli che vengono importati dai protestanti tedeschi, non avendo questi in Polonia alcuna tipografia propria.
17. La Church Peace Union d’America lamenta la sfiducia e l'ostilità verso alcuni popoli che Si rende visibile nella Conferenza per la pace, mentre tutti dovrebbero unirsi in una comune aspirazione per diminuire il pericolo delle guerre organizzando le forze morali dell’umanità. Quella Chiesa domanda che si abbiano per il popolo particolari riguardi e vuole che l’America sopporti la sua parte dei pesi che gravano su l’umanità.
18. In Braunschweig il prof. Witte e il Dr. Heineke ànno suscitato un vivo fermento con la pubblicazione di alcune Obiezioni contro la vecchia fede. In seguito a questa pubblicazione il prof. Witte fu invitato dagli «Amici della libertà evangelica » a fare un discorso. In questo discorso il prof. Witte à rimproverato alla Chiesa di render più difficile il cammino che conduce a Dio e à detto che una nuova riforma soltanto potrà salvare il cristianesimo. Ne seguì una vivace discussione
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in cui i contrasti tra liberali e ortodossi si dimostrarono inconciliabili, e da parte ortodòssa venne dichiarato che non era possibile lavorare coi liberali a parità di condizioni.
19. Le varie vicende della Società tedesca per la pace che hanno avuto luogo in questi ultimi anni conducono ad alcune considerazioni politiche e psicologiche. Quando scoppiò la guerra contava 250 membri ecclasia-stici. Dopo qualche tempo questo numero diminuì, pòi salì rapidamente ed oggi i suoi membri sono in numero assai maggiore di quello dell’antiguerra. Notevole anche il fatto che i membri cattolici affluiscono ora in maggior numero di quelli protestanti. Quali motivi religiosi e quali interessi politici siano qui in azione, non sarebbe inutile indagare.
20. Il Sinodo della Chiesa riformata olandese, la più importante nell'Africa del Sud e che à ivi una grande influenza su la vita politica del paese, nella recente sua convocazione nella Città del Capo, à deciso ad unanimità di considerare le .missioni come soprannazionali e di conse
guenza libero il lavoro missionario a qualsiasi nazione i missionari appartengano.
21. L'amministrazione provvisoria della Chiesa nazionale czecoslovacca, di cui sopra abbiamo parlato (n. 15). fondata 1’8 gennaio scorso, è stata affidata a un Comitato composto di 12 membri, sei dei quali ecclesiastici e sei laici. Gli ecclesiastici sonò il prof. Frasky, autore del messale che viene adoperato in questa nuova Chiesa; Zahradnik, fratello del precedente ministro dei trasporti, il Dottore Smertschck, Pokorny, Hofer e Tichy. Lo Stato czecoslovacco guarda con simpatia la nuova Chiesa, e nel progetto di legge nazionale essa viene equiparata perfettamente a quella romana cattolica. Se i membri di quest’ultima, nelle rispettive diocesi, saranno in minoranza i possedimenti di essa dovranno passare alla nuova Chiesa nazionale czecoslovacca. Notevole in questo nuovo distacco da Roma è il fatto che il clero cattolico tedésco, nella Czecoslovacchia, le è rimasto fedele.
P.
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In momenti in cui si parla tanto di libertà d'insegnamento ci piace segnalare alla riprovazione, certamente unanime, dei nostri lettori l’operato della nostra facoltà di filosofia e lettere, già da un pezzo notoriamente celebre per deliberazioni e Erovvedimcnti veramente risibili, la quale
17 maggio scorso deliberava « di riservarsi di concedere la necessaria autorizzazione per la iscrizione [al corso di etnografia] a coloro che, avendone interesse (!) per i loro studi speciali, presentino domanda motivata (!) alla Facoltà ».
Ora, questo vero e proprio « veto », inteso a colpire l’insegnamento del nostro amico prof. R. Corso, non solamente come disse 11 Tempo nell’articolo intitolato « Deficienze Universitarie » (19 maggio) fa torto ad uno studioso del valore altissimo del Corso, ma toma a vergogna degli stessi professori della Commissione e di Snelli che l’hanno accettato e subito. Esso ¡mostra, come ben disse 11 Messaggero del 26 maggio, a chiare note il dominante spirito di consorterie storico-filosofiche nella nostra Università.
Evidentemente tutto ciò è dovuto al fatto che il prof. Raffaele Corso libero docente di etnografia dal 19x5 nell’Univer-sità di Roma, si era permesso di trattare nel decorso anno scolastico alcune < qui-stioni di nomenclatura etnografica come l’uomo primitivo e i suoi mezzi mnemonici e grafici, la formazione del linguaggio e quello dei miti e della leggenda », con • uno spirito, di libertà che se faceva accorrere a centinaia i giovani che dalla parola del forte studioso si sentivano attratti in campi luminosi, dove l’interpretazione mitologica e quella archeologica di molti documenti si presentano su nuove basi e danno nuove rivelazioni — non piacevano al
trettanto ad alcuni parrucconi della scienza o ad alcuni invidiosi del successo del nostro amico.
La studentesca si agitò, naturalmente, per tale assurdo deliberato ed il Rettore Sromise di sottoporre al Consiglio acca-emico i loro desiderala. .Staremo a vedere. Intanto mandiamo al prof. Corso il nostro plauso, augurandoci che la libertà d’insegnamento non venga una volta di più bestialmente conculcata nel nostro divino paese di retori!
• • *
Per invito della Federazione tra gli studenti per la cultura religiosa, Giovanni Costa à tenuto il 29 aprile u. s. una conferenza su Miguel de Unamuno intitolandola: La religione di un ateo.
Il conferenziere ha esposto il pensiero del pensatore spagnuolo prendendo le . mosse dal conflitto, sempre vivo, tra la ragione ed il sentimento, essendo insufficente la prima a spiegare ciò che il secondo propone incessantemente all’uomo che sente il bisogno vivo di qualche cosa di superiore. Affermato con l’Unanumo questo bisogno nel sentimento di perpetuazione e di immortalità, ha mostrato con lui come tutto ciò contribuisca a dar quel disperato senso della vita che il pensatore spagnuolo chiama il sentimento tragico della vita.
Ora, di questo disperato bisogno lo Unanumo Si avvale per costruire il suo sistema filosofico religioso che si impernia sul sentimento dell’amore, sul conseguente senso di compassione per sè e per tutti, che l’amore rivela e che si concreta nel dolore universale e nell’elevazione a coscienza, sia degli individui che del Tutto cui il dolore, la compassione e l’amore si rivolgono. Questa Coscienza è quel che si chiama Dio.
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Da questo sistema lo scrittore spagnuolo. che indubbiamente protesterebbe di esser chiamato ateo, perchè se teologicamente lo è. non lo è sentimentalmente, trae tutta lina religione, una morale, un indirizzo di vita veramente eccitatore di grandi cose; trae una fede, una speranza, una carità e perfino un al di là, che è un assorbimento delia' cosciènza individuale nella coscienza universale, cioè in Dio, con un carattere non di beatitudine quietistica, ma di eterno divenire.
Il conferenziere, augurando che l’opera principale dell’U., scritta già nel 1912, sul sentimento tragico della vita, sia compieta-mente tradotta in italiano, terminò col dimostrare come il pensatore spagnuolo .sia di spirito cattolico, sebbene combatta il cattolicismo per aver a torto razionalizzato la fede, e come egli identifichi il suo sistema religioso e filosofico col donchisciottismo, che egli costituisce a simbolo del- sentimento tragico della vita della Spagna, ricca di spiritualità, contro l’Europa, soffocata dal razionalismo.
Segui una breve discussióne, cui prèse parte specialmente l’on. Murri, dàlia quale emerse ancor più in luce la figura interessante, di Miguel de Unanumo e la necessità che i giovani la conoscano diretta-mente.
• * •
A proposito di quel che dicemmo sulla intolleranza religiosa jugoslava e sull’esempio di inciviltà che offrirà lo Stato S. H. S. non appena potrà funzionare, è interessante riportare. qui le principali linee del comunicato inviato dal Comitato delle delegazioni ebraiche alla Conferenza della pace.
a Le espulsioni degli ebrei dalla J ugoslavia riprendono su larga scala e sono effettuate in modo ancor più brutale che pel passato. Nel novèmbre 1919 venne emanato un nuovo decreto di diffida contro tutti i così detti stranieri non aventi occupazione fissa o esercitanti la speculazióne, l’usura od un commercio illecito. Un nuovo ordine fu emanato col pretesto della crisi degli alloggi.
« Tali espulsioni sono una flagrante violazione del trattato di pace. Secondo l’articolo 3 dei primo capitolo del trattato, ogni suddito già austriaco/ungherese, ecc. che al tempo della ratifica del trattato di pace abitava il territorio serbo-croato-sloveno, deve essere riconosciuto cittadino di quello
Stato, sènza perdere il diritto di adottare quella qualsiasi altra nazionalità che possa •essergli aperta e che egli scelga. Secondo il primo articolo dello stesso capitolo lo Stato serbo-croato-sloveno si assume l’obbligo che quanto è stipulato negli articoli- 2-8 del medesimo capitolo, sia riconosciuto come legge fondamentale e che nessuna légge; regolamento od azione ufficiali, in contraddizione a quanto sopra, possano essere adottati.
« Le espulsioni diventano uno scandalo ógni giorno più deplorevole — dice a questo proposito il Glos Sloborde di Serajevo del 22 gennaio u. s. — Persone che guadagnano il loro pane nel modo più legittimo, fabbricanti ed industriali che procurano i mezzi di sostentamento a un gran numero di nostri lavoratori; gente abile, di cui il nostro paese tanto abbisogna ed anche medici in Bosnia ed Erzegovina che sono così pochi, si trovano fra coloro che devono essere espulsi;. In una parola, la maggior parte degli individui che devono essere sottoposti ad un simile trattamento per mezzo delle autorità, hanno partecipato attivamente alla vita industriale del paese, hanno contribuito in modo legittimo e permanente ai suo benessere economico e, lungi dall’essere indesiderabili, sono, per la verità, molto- utili.
< Le autorità non si sono peritate di espellere distinti lavoratori, vissuti nel nostro paese per molti anni e che pure sono nati fra di noi ».
L'articolo termina protestandocontro tanta barbarie indegna della civiltà e dell’umanità e affermando che evidentemente si tratta di un movimento antisemitico ben dichiarato.
• Che ne dicono i nostri jugoslavofili?
• * •
Togliamo dal Nuovo Patto del marzo u. s. Suest’interessante appello lanciato dalla ocietà degli Amici che noi conosciamo col nome di Quaccheri, animato dal più puro e dal più ardente sentimento cristiano. La lettera con la quale esso fu accompagnato alla redazione della rivista stessa, dice che « tale messaggio deve avere eco degna nel nostro paese che ha dato un nobile esempio trattando con generosità i fanciulli degli oppressori di ieri ».
Ecco l’appello:
Agli uomini tutti!
Noi chiediamo agli uomini tutti di aver presente il grande valore spirituale dell’Amore che è insito
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LETTURE ED APPUNTI
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in tutti e che dà carattere di insita fratellanza alla umanità.
Io ogni paese, malgrado sensi di sacrificio e devozione, sono diffusi inquctudine e malcontento.
Più o meno consciamente gli uomini stanno cercando nuove linee di vita. Essi aspirano a un legame che unisca il mondo in sensi di libertà, rettitudine e amore, che lo liberi da dolori, odii, discordie.
Essi aspirano a un senso religioso della vita, ad uno 'spiritò attivo di pace sulla terra, di buona volontà tra gli uomini.
L’eterna luce del Cristo fra gii uomini splende attraverso la oscura nube dell’egoismo e del materialismo; nè può venir offuscata.
La luce di Cristo nel cuore di ogni uomo è la sorgente della nostra speranza, il fondamento della nostra fede in una unione spirituale di razze e nazioni.
È a causa della nostra cecità nel fatto centrale della vita che i nostri rapporti sociali e internazionali sono rimasti‘sterili; ad essa si deve lo stato caotico presente. Ciò che più profondamente necessita oggi è il realizzarsi dell'eterna verità della comune fi*tliuolanza divina, dello spirito dell’Amore, della Unità della razza umana.
Noi abbiamo ripetuto le parole del Cristo ma non le abbiamo messe in opera. Noi'ci siamo serviti — della lettera — del suo nome, ma non del suo spirito.
Incessantemente lo spirito divino opera in ogni uomo.
È nella misura in cui gli uomini si rendono conto della sua presenza e ne accolgono la luce nei cuori, che si avviano al giusto sentiero di vita e partecipano alla forza che supera il male col bene.
Essi saranno i costruttori della città di Dio; noi porgiamo la mano di là di frontiere, terre e mari, per offrir cameratismo, simpatia e amore. Noi chiediamo a tutti gli uomini, ovunque, di unirsi allo scopo di risanare il mondo corrotto e di aiutarsi ciascuno a portare il fardello dell’altro affinchè la legge di Cristo si compia.
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Crediamo nostro dovere di dare un esteso rendiconto dell’articolo di A. Bellcs-sort che nella Revue des deux mondes del Io aprile sotto il titolo. Dante e Maometto riferisce su una recentissima opera di Miguel Asin Palacios su Dante, che anche a noi non era sfuggito, ma che non avevamo ancora potuto procurarci. Si tratta di un volume di 353 pagine in-8° grande sulla escatologia musulmana nella Divina Commedia, nella quale egli viene alla conclusione già intraveduta da altri, ma non ancora provata nel modo tenuto dal Palacios, che
la più importante fonte del poema sacro sia musulmana. Studioso di lingua e letteratura araba, del pensiero e delle dottrine islamitiche, egli ha messo in evidenza l’importanza del pensiero musulmano spa-gnuolo e le sue relazioni con le dottrine orientali e ha dimostrato quanto San Tommaso deve ad Averroe. Posto così in condizione-di esaminare le relazioni tra Abe-narabi e Dante, il primo dei quali racconta pure un’ascensione allegorica ài paradiso molto simile a quella del secondo, ascensione che non è se non un adattamento di quella di Maometto, che fu preceduta da un viaggiò notturno nelle regioni infernali, egli si convinse ben presto che la Divina Commedia era più che d’altri l’opera d’una architettura musulmana.
Scartata, in parte su ricerche altrui, in parte su ricerche proprie, l'ipotesi che vi fossero precedenti leggende che avessero servito agli arabi ed ai cristiani per imbastire quella più complessa che si è concretata poi nella D. C., poiché sino all’xi secolo non ve ne sono di degne di rappresentare la parte di fonti originali, egli si è rivolto alla letteratura islamica per vedere se per le leggende che dall’xi secolo appaiono più precise e circostanziate si possa ricavar qualche cosa. E vi è riuscito.
La leggenda dell’ascensione di Maometto al cielo, originata da un versetto del Corano, trovò la ultima e più perfetta sua espressione nell’opera del principe del misticismo ispano-musulmano, in Abenarabi che scrisse un quarto di secolo prima che nascesse Dante.
L’ascensione di Abenarabi è di carattere teologico-filosofico attraverso le sfere, con cambiamento di guida, sino al trono di Dio. Nell’xi secolo però Abulala le adatta un carattere più umano e satirico e invece del profeta e del mistico che sale, pone un peccatore che incontra nel suo cammino nomini e donne peccatori come lui.
Ora se si confrontano, come fa il Bel-lessort sulla guida dello spagnuolo, queste leggende islamiche che fin dal ix secolo in diverse forme raccontavano il viaggio di Maometto o di altri suoi seguaci, con la D. C. si deve convenire che in massima parte questa ne deriva direttamente. Del resto non è solo in questa comprensione, per dir così «li fatti, ma nelle stesse concezioni teologiche che il raffronto diviene concludente. E ciò è tanto vero che i soli spiriti superficiali possono obiettare che il para-
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diso maomettano è differente dal cristiano, perché gli stessi teologi cristiani del secolo xiii conoscono un paradiso musulmano che non diversamente da quello dantesco era in accordo con la dottrina cristiana.
Per mezzo di Toledo, Palermo e per coloro che come Brunetto Latini avevano sentito l'influsso della prima. Dante potè aver nozione di tali leggende. La sua simpatia per l'IsIam è grande e notevole chi ben consideri, onde si deve concludere che la D. C. è una fusione di tre civiltà: l’antica, la cristiana, la musulmana.
Il Bellessort conclude facendo delle riserve, com’è naturale, su alcuni risultati dell’A. Cionondimeno egli non può non riconoscergli il merito di reagire contro il pregiudizio secolare che attribuisce ai musulmani la responsabilità dei difetti degli spagnuoli. Onde è una cosa mirabile vedere un prete rivendicare per la sua patria un po’ della gloria di coloro ch'cssa bandì.
Naturalmente per ambedue la figura di Dante, in seguito a tutto ciò, non è diminuita. Egli non è mai così grande artista come nei momenti ih cui attinge diretta-mente dalle leggende àrabe, onde il Bellessort avrebbe voluto che egli documentasse di più questa potenza dell’arte dantesca che fa dell’opera sua qualchecosa d'eccezionale. Per mezzo della nuova fonte noi vediamo fondersi nella D. C. non solo il giudaismo ed il cristianesimo, ma tutto l’oriente, onde il monumento dantesco raccoglie nella sua costruzione personale, i progetti, gli abbozzi di tanti uomini e di tanti paesi, tanto che le sue voci sembrano partire dal profondo dell’umanità
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In seguito all'eclissi solare del 29 maggio 1919 è stata fatta una straordinaria scoperta che è stata chiamata « uno degli avvenimenti più grandi, forse il più grande, della storia dello spirito umano ». Si tratta della constatazione che la luce delle stelle perviene a nói non direttamente, come se i» sole non esistesse, ma deviata per effetto della sua presenza. Con ciò è stata data ragione alle teorie di Einstein, professore di fisica all’università tedesca di Praga, secondo il quale le dimensioni dello spazio non sono assolute, ma relative e variabili. Per ciò i principi newtoniani che ammettono l’invariabilità dello spazio sono completamente scalzati. Dubbi precedenti avevano richiamato l’attenzione sulle deformazioni che sembrava subir lo
spazio per effetto della gravitazione, p. es.. o della luce, ma non sempre potevano esser avvalorati per il fatto che gli strumenti stessi talvolta venivano deformati.
La nuova scoperta sconvolge tutta la scienza della fisica dell’universo e la filosofia che se ne era ricavata, onde si attende un completo rinnovamento di tutto ciò che era finora ammesso negli assiomi fisici- (Revue mondiale, 15 marzo)..
Nella Rassegna internazionale del dicembre 1919, C. Degli Occhi rimprovera a Henry Barbasse di aver trascurato nel suo Fuoco la parte che rappresenta nella guerra il fattore religioso, concludendo essere necessario che anche ■ colui il quale non crede alla religione, ma lavora per la pace, veda proprio nella religione una grande forza internazionale contro la gueria, contro le occasioni e le tentazioni che preparano le guerre ».
Riportiamo, perchè ci pare interessante, la risposta che a tale critica fa il Barbusse stesso di seguito alla lettera del Degli Occhi.
« Io non sono un credente, sebbene questo non importi. Come tutti gli uomini di buon senso e, mi permetto d’aggiungere, di spirito diritto, considero la morale cristiana come ammirevole o, meglio ancora, come quella che traduce precisamente le verità eterne della morale stessa. Non è possibile considerare i doveri reciproci degli uomini senza aver sulle labbra le parole indimenticabili con le quali Gesù Cristo li ha espressi. Ma non si può dir lo stesso di ciò che la chiesa ha concretato intorno a questa pura dottrina morale, onde io vedo un contrasto assoluto tra la parte dei preti e l'insegnamento originale del cristianesimo. La chiesa è divenuta un partito politico o meglio ancora uh partito sociale che si è assicurato, coll’andar del tempo, dei privilegi e dei vantaggi temporali che sono la negazione precisa delle sue dottrine di bontà, d’altruismo e di disinteresse. Abbiamo sempre veduto e vedremo sempre il partito religioso, opporsi a quello che vorrebbe l’affrancamento degli uomini, ed il fatto che cito illustra semplicemente questo rimpicciolimento interessato e odioso che fa sì che un dogma puramente ideale si abbracci al nazionalismo. Non vi è ai miei occhi scusa possibile a questo stato di cose, i cui esempi noi vediamo moltiplicarsi da secoli e non potrei misurar meglio, parmi, il divario che
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esiste tra la parte effettiva della chiesa e quella ch’essa dovrebbe avere se fosse veramente fedele alla sua magnifica origine, se non dicendo che se Gesù Cristo ritornasse sulla terra preferirebbe certamente il partito socialista alla coalizione dei ricchi, dei potenti, degli sfruttatori e dei preti ».
Tardi, sebbene sempre a tempo, anche il clero italiano cattolico si accorge che manca d’una traduzione della Bibbia: quella del Martini è vecchia e poi è una traduzione d’una traduzione delia Bibbia. Minocchi, oltre ehe parziale, non <1 sempre corrisponde allo spirito della Chiesa » secondo quel che dice Mariano Cordovani nella Rivista del Clero italiano del io aprile intimo scorso. L’A. propone quindi che un gruppo di studiosi si assuma l’impegno di tradurre dall’originale, sotto l'autorità della Chiesa, la Bibbia in due anni e di corredarla, di breve commento. Temo che questo resti un pio desiderio dell’articolista, sebbene m'auguri davvero di esser cattivo profeta!
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Rileviamo con piacere da un rendiconto pubblicato in Israel del 15 aprile u. s. che lo scrittore ebreo-tedesco Martino Buber ha pubblicato recentemente un’opera « Der Heilige Weg » (La via sacra) in cui tracciando le sue idee sull’ebraismo moderno e sui suoi compiti afferma con una vigoria notevole e lodevole quale compito di spiritualità spetti allo ebraismo nel rinnovamento umano.
« La vera via — secondo lui — è quella che conduce attraverso Sion al rinnovamento della collettività umana, nella quale dev’essere realizzato lo spirito che oggi vive negli uomini come martirio, ribellione, nostalgia, anelito, ma che non ha potuto ancora ricevere forme distinte; nella quale via, verità e realtà, idea e fatto, morale e politica, divisi oggi, ridiventino unità, la quale sarà una religione della vita comune, della manifestazione di Dio nella collettività, religione vissuta. Questa vera collettività presuppone una rivoluzione interna. Le relazioni fra gli uomini devono mutarsi perchè avvenga una vera trasformazione della società, una vera resurrezione. E la speranza di Buber consiste • nella fede che, nella generazione ebraica che ritorna nella patria, dopo tanto sconvolgimento e tanta indecisione, le condizioni prelimi
nari per la trasformazione dèi rapporti umani abbiano raggiunto una forza che mai esistè ancora ».
L’on. Egilberto Martire nella Rivista del clero italiano del io marzo u. s., è perfettamente tranquillo nel rispondere ai giusto quanto acerbo rimprovero di Giovanni Papini: Non esistono cristiani. Egli ammette sì che « se i cristiani fossero stati più numerosi, nel mondo, e più vigili e più puri c più forti [cioè se fossero stali sic et simpliciter cristiani^] la guerra non avrebbe divampato sì vasta e tremenda; che sei <> cristiani», non avessero rinnegato il Maestro con tanto implacata fredda perversità, il rigurgito della crassa natura corrotta non sarebbe stato sì osceno e sì sanguinoso. Ma pure... » beato lui! si consola, e risponde gioiosamente che i cristiani ci sono, ci sono! E sapete perchè? perchè « il mondo è cattivo, ma sarebbe più cattivo ancora, perdutamente, so non ci fossero questi cristiani senza nome. Il mondo è ruina, ma c’è ancora, il mondo, c’è ancora la terra ». Questi cristiani placano la vendetta divina, compensano la giustizia, sistemano l'equilibrio, ecc.
Come si vede, l’on. Martire è di facile accontcntatura!
Nel Nuovo Patto del marzo u. s.» lì. Gee-chetelli Ippoliti fa brevemente la storia della basilica vaticana, tomba de’ pontefici di Roma, e conclude con queste parole, tra le. altre, che è bene far rileggere ai lettori, sebbene non siano assolutamente nuove:
« Il tempio del vescovo Silvestro, singolarmente suggestivo, luogo di preghiera è di pace, che parlava al cuore ed al sentimento: il colossale duomo di Giulio II dalle vivaci decorazioni policrome, ove celebra vansi con pompa e sfarzo le sacre funzioni, che parla alla fantasia.
« Nell’antica cattedrale la religione ha un'espressione particolare, semplice e sincera, mentre nella nuova sembra un’iperbole, un’ostentazione, un anacronismo.
■ Le manifestazioni esterne del cristianesimo primitivo sono dense di contenuto, ingenue e commoventi, mentre dal Rinascimento in poi, sebbene l’arte sia assurta a maggior perfezione, appaiono superficiali, prive di naturalezza e d’intimo spiritualismo ».
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Nella Revue des Jeunes del io marzo u. s., dedicata interamente a S. Tomaso d’Aquino, notiamo un interessante articolo di P. Man-donnet su Parigi e le grandi lotte dottrinali (1269-1272) e uno di J. Maritain su S. Tomaso e la teoria dell’arte.
Nel fascicolo seguente della stessa rivista, a proposito di arte notiamo alcuni pensieri frammentari di un prete morto prematuramente, L. Martin; indubbiamente vi sono alcune idee molto vive e moderne quanto altrettanto rivoluzionarie, se esaminate dallo esclusivo punto di vista cattolico. Tale trovo ad esempio, quello riguardante le raffigurazioni artistiche religiose, nelle quali il Martin dice che i fedeli — i quali non ravvisano nelle figure divine, che si staccano dalle tradizionali, gli abituali tipi e se ne meravigliano e se ne adontano — debbono assuefattisi e ricercare in essi non «il vero ritratto di Cristo e della Vergine (nessuno à preteso d’altra parte, di realizzare queste chimere) » perchè « vi troveranno un aspetto reale, verace, della loro fisonomía morale ». La qual cosa è veramente importante perchè se accettata e portata alle sue estreme conclusioni produrrebbe la fine dell’attuale idolatria cattolica, popolare almeno o di fonte interessata e trafficante. E vero che segue quell’indovinello dell’« e’ pure della loro fisonomía corporale, poiché l’una esprime l'altra » — che non si capisce che cosa voglia dire : ma Ciò nondimeno il principio resta ed è interessante segnalarlo. La fisonomía morale del Cristo non abbisogna di imagini per riprodursi in noi, ma di amorosa volontà, di sentimenti evangelici.
Qual figura morale, mai, renderebbe il Sacro Cuore di Gesù così inesteticamente e, starei per dire, grottescamente esposto ai fedeli?
Su Andrea Spire e il movimento sionista troviamo un bell’articolo nel numero dell'aprile di Foi et Vie dovuto a P. Chavannes. L'A. mette in evidenza tutta la spiritualità del movimento e la fede dei. suoi iniziatori', ma eleva dei dubbi sull’avvenire del popolo ebrèo riunito se esso non dovesse davvero riuscire spiritualmente degno della nuova patria e rinnovellato da una nuova fede. L’antica forse non basterebbe più, l’inquietudine attuale non dovrebbe più esistere, qual sarebbe dunque la nuova energia spirituale che dovrebbe unire il rinnovato popolo? Cosi dubita lo Chavannes con molti ebrei stessi : egli
affaccia l’ipotesi d’una riunione in Cristo, benché i cristiani abbiano fatto per ciò tutto il contrario di quel che il Cristo avrebbe fatto !
Un antico e sempre nuovo problema pone P. Gonnelle nel fascicolo del 16 aprile di Foi et Vie-, esiste una cultura cristiana? non può non rispondervi negativamente anche prendendo in breve esame la cultura francese (che è pur molto meno pagana, ad es., della nostra! N. d. D.) e facendovi rilevare tutti i lati manchevoli dal punto di vista cristiano. Egli crede che ciò nondimeno si potrebbe far sorgere in Francia una cultura cristiana approfittando non solo del movimento spirituale prebellico, ma pur di quello postbellico nelle sue forme più serie e sincere. 11 cattolicesimo non fa nulla in questo senso, anzi è stato ed è umostacolo a tale indirizzo ; potrà farlo il moviménto protestante, grazie all’opera indefessa e tenace del cenacolo di Fot et Vie? L’A. spera di sì e noi lo auguriamo di cuòre.
Leone Luzzatto nel Vessillo israelitico del 15-31 marzo inizia una critica serrata e molto interessante delle... inesattezze — il lettore accolga benevolmente l’eufemismo — dell’on. Rosadi nelle sue tanto strombazzate opere: Il processo di Gesù e Dopo Gesù. Le critiche del Luzzatto sopratutto, nel campo storico e religioso israelitico dimostrano l'incompetenza dello scrittore improvvisatosi storico e confermano il giudizio che ne demmo un' altra volta.
• ♦ ♦
Noi che seguiamo con molto interesse — e speriamo di poterne dare presto le prove — non solo il movimento musicale, in genere, ma ’quello religioso in ispecic, ci compiacciamo di togliere dall'Zsrae/ del 26 marzo u. s. il seguente accenno ad un incremento che alcuni ebrei d’Inghilterra intendono dare alla musica nazionale ebràica.
a La « Società della musica nazionale ebraica» di Pietrogrado, insieme colla aspe-dizione etnografica ebraica fondata in memoria del Barone Gùnzburg», dopo lunghi anni di diligente lavoro, aveva raccolto alcune migliaia di inni popolari e di melodie sinagogali, da tutte le parti della Diaspora: aveva pubblicato numerose collezioni di canzoni popolari e più di 150 opere di compositori ebrei sopra soggetti na-
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zionali. Alcuni compositori ebrei stavan già lavorando intorno ad una serie di òpere sopra soggetti biblici ed ebraici. Ricordiamo Astnodeo di Moses Milner (su libretto di Am-sky) c Gezabele di Ernesto Bloch, un grande compositore americano (su libretto di Edmondo Fleg). Per impedire la scomparsa di tutta quest'attività, ormai arrestata, sta per costituirsi a Londra una società per lo studio e l’incremento della musica religiosa c popolare ebraica. Noi plaudiamo a tali intenti che tendono a far rinascere l’arte del Re David e siamo convinti che tutti coloro che saranno in grado di farlo aiuteranno la nobile impresa ».
Per iniziativa àeì\’Associazione nazionale ira gli evangelici italiani sarà tenuto in Roma il 31 ottobre prossimo e giorni seguenti un grande Congresso evangelico in cui saranno studiate, trattate e, fin dove possibile, risolte le questioni d’ordine religioso e sociale che più incombono nell’ora presente.
«In questo turbinoso affaccendarsi degl’intelletti e dei cuori — così dice il manifesto pubblicato — in cui le più disparate e, spesso, più strane e pericolose idee si contrastano il campo ed alimentano, piuttosto che distruggere, il fuoco delle passioni, una ben grave responsabilità pesa su tutti coloro i quali, illuminati dalla limpida luce dell' Evangelo di Cristo, hanno vivo il culto per l’Amore, la Verità e la Giustizia.
« E noi, evangelici italiani, dobbiamo sentirlo intero il peso di questa responsabilità, la quale c’impone di stringere sempre più le nostre falangi per rendere, mediante una azione concorde e costante, maggiormente facile ed efficace la propagazione e l’accettazione dei principi dai 3uali dipende l’avanzamento del regno
i Dio sulla Terra ».
Le Chiese e le Associazioni interessate dovranno provvedere alla nomina dei propri delegati e indicarne i nomi all’ufficio di Presidenza del Comitato. Le adesioni possono fin d’ora essere trasmesse a via della Consulta, 67.
Nei giorni 25-20 settembre si terrà in Roma i> IV Congresso della Società filosofi-ca-Italiana. A tal fine il presidente della Società stessa — prof. Bernardino Vari-sco — ha diramato un programma speciale
nel quale esprime la fiducia che nelle presenti condizioni, in cui occorre dare la massima opera per la restaurazione e rinnovazione della vita nostra materiale e spirituale, tutti vogliano contribuire alla discussione ed alla risoluzione, per quanto è possibile, dei problemi relativi che imperiosamente s’impongono.
Le questioni da trattarsi saranno ccn precisione formulate, e affidate per lo svolgimento e per le conclusioni a relatori, che il Comitato direttivo del Congresso si riserba di designare.
Intanto gli aderenti alla riunione possono fin da ora comunicare le proprie idee, di guisa che si possa rendere più larga la preparazione e più profìcuo a suo tempo il lavoro del Congresso.
Il carattere fondamentale di questo consisterà nelle accennate relazioni, di cui verranno preventivamente pubblicati dei riassunti e le quali saranno svolte e discusse in adunanze plenarie. Il Congresso accoglierà anche le Comunicazioni che gli aderenti, regolarmente inscritti, crederanno di fare su argomenti filosofici e di cultura generale, dedicandovi sedute speciali.
La tassa d’inscrizione al Congresso è fissata in L. 25, e darà diritto, oltre che alle consuete agevolazioni, agli Atti che verranno pubblicati in fascicoli o in volume a parte.
Le adesioni con le quote d'inscrizione — che è desiderabile pervengano subito — vanno indirizzate al prof. Erminio Trotto, presso la.redazione della Rivista Filosofica, via Cavour, n. 228-B, Roma.
La Federazione studenti per C. R. ha organizzato per l’estate prossima un campo estivo. Durata 15 giorni; apertura al 15 di agosto; vi sono altri io posti disponibili, lì campo si terrà in una località incantevole presso Sorrento; Per parteciparvi, occorre essere studente e socio della Federazione, e basta rivolgerne domanda per iscritto all’avv. Cesare Gay, via Roma 373, Napoli. Le iscrizioni restano aperte non oltre il 15 giugno p. v. La retta è fissata per tutti indistintamente in L. 8 al giorno, oltre una tassa d’iscrizione di L. 15. Le attività del campo saranno prevalentemente sportive: vita all’aperto, ginnastica, giuochi, gite e brevi ascensioni; esso dovrà rispondere in ogni modo anche ai bisogni spirituali dei giovani. Si organizzeranno tutte le sere dei trattenimenti con canto, musica e qualche
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improvvisata rappresentazione, un breve cielo di conversazioni o dì lezioni su argomenti religiosi.
CE QUE L’ON PENSE DE “ BILYCHNIS ” EN FRANCE
Voici un sujet qui. nous n'en doutons pas, tient à cœur non seulement aux membres du Comité de rédaction de Bilychnis mais encore à tous les amis et abonnés de la Revue. Soit dans des articles signés de nous, soit dans des chroniques de nouvelles non signées parus depuis un an dans le « Christianisme au xx* siècle » nous avons suffisamment parlé de laRevue pour que tous ceux qui lisent discrètement le français sachent notre appréciation et nos sympathies pour l’œuvre accomplie par Bilychnis.
Mais puisque la Revue nous accorde l’hospitalité de ses colonnes, nous ne voulons pas laisser ignorer a nos frères italiens que nous suivons avec intérêt, profit et sympathie le travail de publication poursuivi par leur géniale activité; nous nous rendons compte, de ce coté des Alpes, que la presse religieuse evangelique italienne acquiert de jour en jour un riche développement dont il serait injuste de ne pas reconnaître toute la valeur, et dont, parmi tant d’autres (telles II Testimonio, et les publications diverses qui sortent des presses de la maison d'Edition, l’Espérance) Bilychnis est une preuve convaincante.
A tous ceux qui la lisent en France, la Revue révèle les richesses, intellectuelles et spirituelles des penseurs italiens contemporains de là Réforme évangélique:
les études pénétrantes qu'on y lit sont d'une profondeur de vue psychologique remarquable, et il faut aller loin, croyons-nous, pour trouver une revue qui réunisse tant de qualités tant au point de vue de la forme qu'à celui du fond et qui, par ses abondantes tablettes bibliographiques, tienne le lecteur au courant de la pensée moderne religieuse, tout en le nourrissant par les études de critique, d’histoire, de philosophie et de psychologie religieuse qu’elle lui présente avec une si grande variété. Ce qu’ils remarquent aussi c’est l’abondance des collaborateurs distingués que la Revue parvient à grouper, avec un latitudinarisme doctrinal qui n’est peut être pas toujours bien compris chez nous, mais qui n’èn demeure pas moins un effort sincère de fraternisation chrétienne dans la recherche de la vérité. Et ils suivent précisément avec beaucoup de sympathie le progrès de la concentration des forces évangéliques de leur frères italiens. C’est même une heureuse indication que ceux-ci leur donnent et qui serait peut-être réalisable sans ce qui différencie les organisations extérieures respectives du Protestantisme français et du Protestantisme italien. Mais avec une belle richesse intellectuelle et spirituelle nous comprenons sans peine que cette publication soit si appréciée et gagne de plus en plus du terrain dans le monde intellectuel et universitaire.
Il nous arrive souvent de comparer Bilychnis à Foi et Vie la première étant pour le public cultivé italien ce que la seconde est pour le public intellectuel français. avec cette différence, que la revue italienne voit grand et large, tandis que la notre a réduit son format et est en peine de collaborateurs. Beaucoup voudraient en France que notre revue Foi cl vie ressemblât à Bilychnis. Sinon quant à la forme du moins quant au fond. Combien de fois ne nous l’a-t-on pas dit?... Et j’extrais, au hasard, dans une volumineuse correspondance ces deux appréciations: «Je suis très intéressé par vos articles sur la question religieuse en Italie et sur les communiqués relatif à Bilychnis. Vous faites un travail utile en nous docu-
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mentant ainsi ». Un autre: « Je lis avec intérêt vos correspondances et partage votre admiration pour Bilychnis. Je l’ai proposée en exemple à Foi et vie. Mais celle-ci paraît s’orienter autrement, timidement, et étroitement. Ce n’est pas .ainsi que nous pénétrerons les milieux intellectuels ».
Tout ceci pour dire à Bilychnis que son Comité de Rédaction fait une œuvre magnifique de culture religieuse et que la Revue est un remarquable instrument de travail indispensable qui nourrit l’esprit et édifié l’âme en même temps.
24 avril 1920.
J. SOAVI,
Pasteur de l’Eglise Réformée Evangélique à COURNONTERRAL (Hérault)
Da Eugenio Burnand abbiamo avuto il piacere di ricevere là seguente lettera :
Paris, 24 mai 1920.
Monsieur,
Veuillez recevoir l'expression de toute ma gratitude pour l’étude si copieuse, sérieusement documentée et sympatique que vous, m’avez fait l’honneur de publier sur mes travaux, ainsi que pour le gracieux envoi du fascicule la contenant.
Je saisis toute la signification de ce témoignage et y attache le plus grand prix.
Veuillez agréer, Monsieur, etc. ■
Eug. Burnand.
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LA POLITICA ECCLESIASTICA AUSTRIACA DURANTE LA GUERRA
Coloro che si meravigliano che con la scomparsa della Monarchia austro-ungarica si siano insieme rilassati i vincoli disciplinari della Chiesa negli Stati che sono sorti dal suo sfacelo, non hanno che da leggere il libro che il sacerdote prof. Za-nolini ha pubblicato recentemente sui rap-Sorti tra il Governo austriaco ed il Vescovo i Trento durante la guerra.
Nuoce al libro l’essere scritto in una forma che troppo risente della apologia e delle opere di edificazione per la pietà dei fedeli. Con questo non vogliamo già dire che il libro abbia una intonazione partigiana e adulatoria: tutt’altro; ma appunto perchè il libro è una sincera esposizione di fatti storici, si amerebbe che lo stile, spesso retorico e predicatorio, non diminuisse, nell’apparenza almeno, la serietà con cui il lavoro è stato indubbiamente condotto.
L'Autore nota nella prefazione come a poco a poco erano scomparsi nel secolo xix i decreti in materia ecclesiastica emanati da Giuseppe II, ma rimase vivo lo spirito da cui erano informati, ed esso attraversò tutto il secolo xix senza nulla perdere del suo accanimento accentratoro e del suo teologismo cortigianamente servile.
Questo spirito si manifestò sopratutto nel Trentino, dove la burocrazia austriaca fece di tutto per cancellare ad un tempo la vita nazionale italiana e l’autonomia della
(x) Virgilio Zanolini, II Vescovo di Trento e il governo austriaco durante la guerra europea. Sobietà editore Vita e Pensiero, Milano, 19x9.
Chiesa. I tentativi, sempre rinnovati da oltre un secolo, trovarono la più tenace resistenza in mons. Celestino Endrici, vescovo di Trento. La lotta tra l’Endrici ed il Governo austriaco cominciò fin dal suo primo ingresso nella diocesi. Nel 1904 fu fondata la Lega popolare del Tirolo (Tirolcr Volksbund) per la fusione violenta e la germanizzazione completa del Tirolo e del Trentino italiano, la cui attività gettò lo scompiglio e la discordia in tutta la regione. Tra l’Endrici ed il Volksbund la lotta sorda e accanita durò vari anni, finché, nel 1911 venne una esplicita sconfessione da parte del Vescovo. Prendendo occasione da un congresso di giovani studenti a Levico, l’Endrici inviò un telegramma ove si diceva tra l’altro: « valga il Congresso a educare giovani fieri delle loro tradizioni cristiane e dell'italianità insidiata dalle ingiuste straniere invadenze del Volksbund, turbanti la pace religiosa e nazionale... ». Il telegramma suscitò immenso scalpore e .proteste vivissime nella stampa austriaca ed in quella pangermanista di Germania, e valse a mons. Endrici una dimostrazione ostilissima durante la visita pastorale da lui fatta a Bolzano. Le cose giunsero al {unto che l’Arciduca ereditario Francesco ordinando in una visita fatta nel Trentino, durante la quale non volle vedere l’Endrici, incaricò il Luogotenente della provincia di manifestare al Principe vescovo di Trento la sua volontà: che suo dovere era quello di uniformarsi alle intenzioni del Governo e di non ribellatisi; ne seguisse la politica.
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e perciò mutasse il suo contegno rispetto alle questioni di vitale importanza per il Titolo, altrimenti sarebbe stato rimòsso dalla sede vescovile.
L’Endrici rispose come doveva rispondere un vescovo cattolico e italiano, e da quel giorno tra lui e il Governo austriaco cominciò una guerriglia serrata fatta di continue angherie e vessazioni poliziesche.
La guerra italo-austriaca ridusse il Trentino nella peggiore schiavitù e sotto una feroce dittatura militare.
Il Vescovo di Trento prese occasione da una visita del Principe ereditario per fargli presente l’iniquità di alcuni bandi coi quali erano in molti comuni presi dei cittadini come ostaggi per garanzia della fedeltà della rimanente popolazione. Così fece per molte altre misure non meno inique e barbare. Queste rimostranze, ma con scarso successo, l’Endrici seguitò a farle in ogni occasione propizia, attirandosi l’odio della casta militare austriaca.
Il ministro pei- il culto Hussarek nel luglio 1915 indirizzò una lettera a tutti i vescovi austriaci, nella quale dopo avere affermata la forza dell'idea austriaca in pace ed in guerra, diceva che il Governo confidava nell’opera dell’episcopato austriaco per cementare al disopra delle aspirazioni nazionali l’unione austriaca per il bene comune. Si pregavano infine i vescovi di imporre al clero'il dovere specialissimo di incitare i fedeli in questa via. II Vescovo di Trento non fece nulla per uniformarsi a questa lettera, cosicché nell’agosto dello stesso anno il Luogotenente di Innsbruck si recò a Trento per esporgli i voleri del governo. In un lungo “colloquio egli si lamentò che allo scoppio delia guerra con l'Italia il Vescovo non avesse pubblicato alcuna lettera pastorale condannante l'aggressione italiana, e che non aveva incitato a sottoscrivere ai prestiti di guerra. Infine gli espose quali erano i doveri del clero secondo le idee del Governo viennese. Un vescovo deve tutelare gli interessi austriaci c il non adattarvisi potrebbe portare conseguenze dolorose. Da quel colloquio cominciarono le persecuzioni aperte contro il Vescovo, con la proibizione di * pubblicare il Bollettino diocesano, con l'ordine di non muoversi da Trento, e simili restrizioni.
Infine essendosi alcuni preti austriacanti fatti promotori di un indirizzo di fedeltà da firmarsi dal clero trentino, l’Endrici si oppose allegando alcuni canoni che vie
tano queste iniziative da parte del clero, e indirizzò egli stesso nel febbraio del 1916 un atto di omaggio collettivo in una sua pubblica lettera all’imperatore.
L’indirizzo però fu trovato freddo e senza amor patrio, col semplice richiamo all'evangelico date a Cesare quel che è di Cesare... e nessun accenno al nemico italiano.
Il primo marzo 1916, mentre mons. Endrici trovavasi in una sua villetta presso Trento, la villetta fu circondata da guardie di Ìolizia, e gli fu recato l’ordine di non abandonare più la villa che gli era assegnata come prigionia, senza il permesso del Comando della fortezza di Trento. Il Vescovo fu sottoposto a rigorosissima sorveglianza e proibitogli di parlare o comunicare per lettera con chicchessia. La sorveglianza fu fatta con forme estremamente vessatorie e grottesche.
Nel maggio il Nunzio pontificio lo mandò a chiamare a Vienna; il viaggio fu compiuto sotto la più stretta vigilanza militare. A Vienna gli furono contestate molte accuse dal ministro dei culti; il vescovo però riuscì a dimostrare che non vi era nessun capo di accusa concreto che permettesse di procedere contro di lui. Tuttavia dopo alcuni giorni gli si presentò il ministro dei culti il quale gli lesse una nota del Governo approvata da S. M. Francesco Giuseppe, nella quale si concludeva che le sue difese erano insufficienti e inconcludenti, che il suo contegno nel governo della diocesi di Trento non godeva la. fiducia del governo, e perciò questo rompeva ogni relazione con lui, gli toglieva ogni comunicazione col suo clero, e si attendeva che come conseguenza egli ne dedurrebbe il dovere di presentare^ al Papa le sue dimissioni da vescovo di Trento. Mons. Endrici rispose di non riconoscere la competenza del Ministero nel giudicare la sua amministrazione della diocesi, e di appellarsi al Papa. Le pressioni perché egli chiedesse almeno la nomina di un amministratore apostolico furono moltissime, e infine fu relegato nel convento di Heiligenkreuz nell’Austria inferiore, di dove soltanto dopo l’armistizio Ìioté ritornare a Trento. Le pressioni per argli rinunciare alla diocesi proseguirono per tutto l’anno, e furono reiterate per mezzo di cardinali e vescovi che si prestarono docilmente ai voleri della Corte austriaca, mentre l’assenza del Vescovo da Trento diede modo alle autorità militari di intensificare l’opera di persecuzione e snazionalizzazione.
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Ma in tutto questo episodio non tanto ei interessano le vicende di mons. Endrici, quanto le direttive della politica ecclesiastica della ex-monarchia. Nella sua nota di risposta alle giustificazioni presentate a Vienna da mons. Endrici, il ministro dei culti scriveva quests testuali parole: « L’i.r. amministrazione del culto, in conformità alle proprie direttive fondamentali e a doverosa salvaguardia degli interessi statali ecclesiastici ad essa affidati, deve prima di tutto designare come dovere imprescindibile e assoluto di un funzionario così alto della vita pubblica come è il vescovo di Trento quello di influire di continuo sulla popolazione affidata alle sue cure anche in senso positivo, in ogni e qualsiasi maniera, a favore tanto del pensiero dello Stato austriaco quanto dell'inviolabile sentimento dinastico e del leale attaccamento allo Stato, come è detto nel giuramento che ogni vescovo deve prestare prima di assumere l’ufficio nelle mani-di S. M. i. e r. apostolica, giuramento che suona sZ publicum aliquol pericultim imminere resciverim me ad illud averlendum nihil omissurum. Per tale ragione va qualificato come dovere inerente al ministero di ogni vescovo e in modo particolare di un vescovo che amministri una diocesi di confine, quellodi combattere energicamente le tendenze che si appuntano contro l’integrità dello stato... Il limitarsi di un vescovo al suo ufficio ecclesiastico, e una oggettività di azione che lascia svilupparsi un indirizzo estremo nazionale, senza affermare contro di esso colla più insistente
risolutezza il punto di vista austriaco, non è conforme ai doveri di un principe della Chiesa... Manca da parte del vescovo di Trento una azione positiva che combatta in ogni occasione con la massima energia l’irredentismo italiano, opponendogli dap-Sor tutto il programma della monarchia
ei popoli austriaci... perciò un risanamento della diòcesi di Trento non può ottenersi che con un mutamento nella persona del suo pastore supremo ».
Nel caso del vescovo di Trento il Governo austriaco trovò in mons. Endrici, e anche nella S. Sede, la resistenza necessaria; ma non sempre avveniva così: tutt’ altro.
Fa meraviglia che con la scomparsa della Monarchia non sia scomparso il medesimo spirito che la guidava nella politica ecclesiastica? Le agitazioni religiose che travagliano gli Stati della ex Monarchia nascono dal desiderio delle nazionalità dominanti nei vari stati di avere la Chiesa alleata dei nuovi Governi nazionali, come già lo fu di quello di Vienna. Le preoccupazioni religiose hanno scarsa importanza. Così avviene in Cecoslovacchia, in Polonia, in Jugoslavia. In questo sopravvive l’eredità del vecchio spirito absburgico per il quale tante tenerezze avevano i clericali nostrani: e l'attuale politica del Vaticano che sembra, prestarsi docilmente al giuoco nella speranza di illusori vantàggi diplomatici, non contribuisce certo alla pacificazione di quegli stati e in definitiva, comprometterà inutilmente la Chiesa stessa.
Quinto Tosato.
IL SACRIFIZI©
Il racconto della Genesi (XXII) sul Sacrifizio di Abramo è così ricco di elementi drammatici, che ben si comprende come fosse ripetutamente sfruttato dagli autori di « misteri » e di sacre rappresentazioni, in Italia e in Francia, in Spagna e in Inghilterra, come si può vedere dai libri citati da A. D’Ancona (Sacre rappresentazioni, I. p. 44) a proposito della Rappreseti-fazioni di Àbramo e I saedi Feo Beicari. Per molti rispetti là più notevole di tali composizioni è senza dubbio 'fi Ouaia rou ’A£pa«a, in 1154 versi politici rimati, di un anonimo cretese del cinquecento, che scrisse in greco
DI ABRAMO
volgare fòrtemente colorito dal suo dialetto nativo. Edito per la prima volta dal Legrand (Bibliothèque grecque vulgaire, I, 226-268), questo mistero è stato, negli ultimi anni, oggetto di studio speciale e di ammirazione la parte di eminenti neoellenisti. quali J. Psichari Revue de Paris » 15 avril 1903, p. 850-64), H. Pernot (Etudes de liltèr; grecque ntod., 1916, p. 231-70) e. recentissimo, il dotto olandese D. C. Hesseling (Hel offer van Abraham, Harlem, 1919). che per il primo ne ha dato una traduzione complèta, nel metro dell'originale, ma senza rima. Il nome dell’autore è tut-
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TRA LIBRI E RIVISTE
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torà ignoto e la probabile derivazione italiana, che si è constatata in altre opere del cosidetto periodo cretese, è ancora da accertare; l’interessante raffronto, istituito dal Pernot, coll’<4ùraAam sacrifiant di Teodoro da Beza (1550), il profugo greco che ha dato al teatro francese « la première tragédie... où il y ait trace de vrai talent» (come pensa il Faguet, La trag. franç. au XVI siècle. 1912, p. 102 segg.), permette solo di credere « que les deux auteurs ont subi, par des voies probablement très différentes, l’influence d’une tradition dramatique commune ». L’ignoto poeta che scrisse questo piccolo capolavoro sta, ad ogni modo, innanzi a tutti i rifacitori dell’episodio biblico per la maniera semplice e pur efficacissima con cui ritrasse l'la lotta del padre c del credente, del sentimento e del dovere », per la tenerezza accorata di cui soffuse le figure della madre Sara e del figliuoletto Isacco, per la delicatezza nel trattare scene in cui altri troppo accentua l’orribile e l’angoscioso, per la profonda umanità che quasi sopprime l’eleménto del miracolo c riduce tutto il dramma ad una nobile e pura espressione di sentimenti.
P. E, Favolisi.
Nella Nuova Rivista Storica del maggio-aprile 1920, G. Maliandi rendendo conto di alcuni studi italiani di storia religiosa si occupa dello studio sulle « fonti religiose del problema del male » del nostro Puglisi, pubblicato nella nostra rivista, del «S. Girolamo » del Buonaiuti che anch’egli, come noi, giudica incompleto e falsato dal punto di vista delle fonti, perchè solo fondato sull'epistolario, e della « polemica agostiniana » sorta a proposito degli studi del Buonaiuti, tra lui e il Borgoncini-Duca e il Concetti.
Riceviamo il primo fascicolo de La Sintesi, rivista di diritto e politica, che inizia le sue pubblicazioni in Roma sotto la direzione del prof. Silvestro Graziano e che si propone di «essere un organo di Critica e di costruzione ». « In politica e in diritto -— dice il programma — la maggior forza è quella del pensiero. La preminenza dei fattori morali (che agiscono per vie invisibili) su quelli materiali contrassegna le epoche di civiltà degli Stati. Nei momenti critici della storia vale più accelerare le vibrazioni del cervello che fare il calcolo del carbone e del grano. Il materialismo economico e politico è l’assenza di ogni nozione di finalità, cioè la morte dello Stato ». E noi plaudiamo a queste affermazioni dando alla nuova rivista il benvenuto e beneagurando per il suo avvenire.
♦ • •
Ci perviene il primo fascicolo della nuova Rivista trimestrale di studi filosofici e religiosi, diretta da A. Bonucci, con articoli del direttore, di E. Buonaiuti, A. Levi e B. Varisco e diamo il benvenuto anche a questa nuova consorella che «mira soprattutto all’incontro degli studiosi di filosofìa cogli studiosi di religione ».
Siccome il fascicolo stesso contiene una rassegna critica di A. Bonucci sugli Studi religiosi in Germania ed Austria dal 1915, ci preme dichiarare, perchè non ci si incolpi di plagio... intellettuale, che anche noi già da tempo abbiamo ideato ed avviato le trattative per avere una completa bibliografia delle pubblicazioni tedesche di studi religiosi editi durante la guerra, non limitandola solamente all’ebraismo ed al cristianesimo, ma che ragioni indipendenti dalla nostra volontà ci ànno impedito finora di assolvere al compito prefissoci. Il che non dice che non si sia in gradò di farlo quanto prima.
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Nyanatiloka. La parola"del' Buddo. Versione del prof. G. B. Penne. Todi. Casa editrice Atanor, 1919, in-ió®, p. xvi-117. L. 4.
Uno studioso tedesco, da lunghi anni stabilito in Scilan, dove ha preso, insieme ai costumi e alla dottrina dei monaci buddisti (bhikkhu) il nome pàlico di Nyanatiloka (• trimundio di scienza », salva la modestia), compose un quindici anni fa un compendio della dottrina buddistica nella sua forma più antica e genuina, basato cioè sulle quattro nobili verità » e sull’« ottuplice sentiero » e ri producente le parole del Maestro, quali ce le conserva il secondo dei grandi testi canonici, il Suttapitaka o « cestello delle prediche ». Se non che, la chiara e assennata prefazione della edizione tedesca (Das Wort des Buddha, Lipsia, 1906) nella quale il Seidcnstucker condannava le allucinazioni » esoteriche » di certi teosofisti, non appare nella traduzione italiana; anzi, vi è sostituita da un’avvertenza ai lettori, dove (ahimè!) si asserisce che « uno stesso pensiero in fondo anima ed informa l’esoterismo occidentale e la filosofìa buddista », che va tenuta distinta «dal buddismo essoterico o popolare»; mentre è ormai risaputo che niente fu più alieno dal primitivo insegnamento buddistico del-1’« esoterismo »! I lettori, se non vogliono esser traviati, faranno bene a non tener conto di questa avvertenza e a meditare invece la nobile parola del Buddha, quasi sempre fedelmente resa nella traduzione italiana. Dico quasi, perchè purtroppo qua e là il traduttore, evidentemente digiuno della lingua del primo e del secondo originale pàlico. non ha inteso nemmeno la traduzione tedesca: und dawiderslellen kann sich kein Asket, ecc., non è e nessuno questa [verità] potrà cambiare (p. 3); dessen Augen kaum mit Staub bedeckt sind è tutto altro che i cui occhi un poco Solamente (!)
son velali da polvere (p. 4); Dachsparren è un travicello (ricurvo) e non la sommità d’un tetto (p. 15); nella stessa pag. il quarto ultimo-rigo è pure frainteso; alcune parole sono soppresse verso la fine della pag. 46; a pag. gc der Elephanlenbàndiger, « il domatore di elefanti », diven ta, con preoccupante inverosimiglianza per quel che segue, lo elefante da caccia (!), ecc. Non per pedanteria, ma per amor di esattezza si deside* rerebbe anche una trascrizione più conseguente di quella impiegata dal traduttore, che cerca di rendere il suono delle parole indiane in italiano; ma se si scrive pitaca per pitaka, bisogna pure scrivere gocciami (■ io vado ì) e non gaccami, micciaditti e non micchaditti, tegio (tejo sanscr. tejas) e non teio (che è un vero monstrum); nè si deve scrivere una volta abidamma e una altra abhidhamma; bisogna decidersi! Dal che si vede purè l'opportunità di un po’ di tintura d’indianismo in chi vuol tradurre scritti intorno a cose indiane.
P. E. Favoline
Adolfo Levi, Il concetto del tempo nei suoi rapporti con i problemi del divenire e dell essere nella filosofia greca sino a Platone. Lavoro premiato dalla jR. Accademia dei Lincei. Estratto dalla Rivista di Filosofia Neoscolastica. Milano, « Vita e Pensiero ». 1919, 8°, pp. 106.
In questo diligente e bene informato (ma pessimamente stampato) lavoro, l’A. traccia la storia del concetto del tempo nella filosofia greca dai primi albori della speculazione al chiudersi dell'età presocratica.
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RECENSIONI
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Ne riassumiamo brevemente le linee direttive.
Nella teogonia di Ferecide e nelle speculazioni semifantastiche del misticismo orfico-pitagorico il Tempo figura come primo principio delle cose, ed è o identificato o connesso indissolubilmente con la sfera celeste. Questa concezione si collega con quelle del grande anno del mondo, dell’eterno ritorno di tutte le cose e della tea-smigrazione delle anime; e tutte derivano da una credenza comune.
'L'alterna vicenda delle nascite e delle morti è un’applicazione particolare della ripetizione eterna degli avvenimenti, la quale, a sua volta, appare connessa con l’esistenza di grandi anni o periodi cosmici, determinati dalla successione immutabile dei movimenti dei corpi celesti. Tutte queste concezioni implicano la credenza in una fatalità ineluttabile, che governa le vicende del mondo e dipende dall’azione degli astri. Il Cielo, nel cui movimento si manifesta la successione del Tempo, è identificato con esso, ed il Tempo è così pensato come supremo principio dell’es-sere.
Questa concezione fatalistica del mondo, estranea alle tendenze dello spirito greco, è stranamente somigliante a certe credenze indiane, anch’esse antichissime, le quali anche loro ci appaiono, più che sviluppo naturale di intuizioni autoctone della mente indiana, innesti di germi stranieri. Di dove venuti? L’A. sospetta, e si sforza di provare, che la fonte comune delle intuizioni fatalistiche greche c indiane e della teoria della trasmigrazione delle anime, sia lo Zervanismo, risultato, a sua volta, della fusione delle dottrine religiose delia Persia con { astrologia di Babilonia. Queste dottrine, che facevano di Zervar Akerene, il Tempo infinito, il supremo principio di tutte le cose, si diffusero. dall’Asia Minore in India ed in Grecia, dando origine qui al misticismo orfico-pitagorico. là alla teoria del samsara e del barman. Si comprende allora come l’Orfismo abbia potuto agire sullo sviluppo del pensiero greco, non perchè, ma sebbene corrente mistica, in Stianto trasmise allo spirito greco un nucleo i concezioni scientifiche avvolto in una scorza di mito e di figurazioni escatologiche. La mente ellenica liberò dalla scorza dei miti il midollo delie teoiie scientifiche ed iniziò così l’èra della scienza razionale. In ciò il suo eterno titolo di glòria.
I presocratici si pongono il problema del
l’essere e del divenire indipendentemente da ogni preoccupazione mistica c mitica. In Anassimandro ed Empedocle appare la concezione deila natura ciclica del Tempo. In Eraclito, quella dell’assoluta reversibilità degli avvenimenti, fondamento di ogni intuizione meccanica del mondo. In tutti, l’intuizione mitica dell’eterno ritorno si sviluppa nell’affermazione scientifica dell’ordine necessario e razionale del divenire. Eraclito, facendo centro delle sue dottrine l’affermazione del flusso perenne delle cose, identificando la sostanza prima degli esseri, il fuoco, con la stessa legge razionale del divenire, doveva necessariamente considerare come essenza degli esseri il Tempo infinito, identificato con la legge della successione costante degli avvenimenti. Sesto Empirico lo afferma esplicitamente. E. infatti, l'esaltazione del divenire .non può mai scompagnarsi dalla glorificazione del Tempo: l’Eraclito dei nostri giorni, il Bergson, ne è una prova sufficiente.
All’Eraclitismo si contrappone l’Eleatismo. Parmenide nega la realtà del divenire, lo considera come un’illusione, e condanna come illusione dèi pari il Tempo. L'Essere non fu. non sarà, perchè si raccoglie tutto nell’ora. Passato e futuro non sono. In nome delle esigenze del pensiero razionale. Parmenide condanna l’esperienza sensibile e solleva il problema delia intelligibilità del divenire. Il divenire, il Tempo divengono così problemi, e i due problemi sono indissolubilmente connessi fra loro. L’A. -espone lungamente le varie interpretazioni che si sono date dei celebri argomenti di Zenone Eleate.
Zenone — osserva giustamente Hegel — non nega il movi mento come fenomeno,come dato dell'esperienza sensibile, bensì come intelligibile, come razionalmente pensabile. e perciò come veramente reale. Al continuo-apparentc, cioè al continuo formato di parti, egli oppone il continuo vero indiviso e indivisibile di Parmenide. Secondo l’A. i due primi argomenti (la dicotomia e V Achille) mostrano che nella stessa ipotesi di un-continuo apparente — cioè formato di parti — il movimento è impossibile, perchè non può nè cominciare nè" finire. Il terzo argomento (la Freccia), attacca di fronte il concetto di movimento, rilevando confesso implichi contraddizione, perchè (apparendo il* mobile in riposo in ogni istante del percorso) il movimento viene a risultare da una successione di immobilità. Il movimento è un’illusoria
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parvenza, e poiché esso implica il vuoto e cioè la pluralità, la condanna del movimento come irrazionale è indirettamente la conferma trionfale della tesi parmenidea.
Gli argomenti di Zenone conservano ancor oggi — secondo l’A. — la loro piena forza. Infatti, il Tempo, in senso oggettivo 0 in senso soggettivo, importa seco passato c futuro. Ma passato e futuro non sono vere realtà. Realtà è solo il presente. Ma ciò distrugge dalle fondamenta ogni intuizione storica e genetica del reale. Il divenire, infatti. implica l’esistenza del passato, cioè di ciò che non è più, che non può considerarsi come reale, esistente. L'A. è condotto così ad un radicale solipsismo, che riduce ogni aspetto dcH’esperienza a contenuto di coscienza individuale, ad atto di coscienza presente e reale di un soggetto singolo: il passato stesso diventa, in tale concezione, niente altro che l’interpretazione di aspetti della esperienza presente del soggetto. Non si può oltrepassare il contenuto attuale dell'esperienza del soggetto individuale.
G. de Bidois, L’honneur au mìroir de nos letlres, Essai de psychologie et de morale. Paris, Lib. Gamier fr., 1919. — Fr. 6.
In un grosso volume di circa 400 pagine, FA., insegnante di letteratura francese all’università cattolica di Parigi, esamina gli scrittori francesi dal punto di vista dell’onore. Il lavoro è senza alcun dubbio importante e degno di lode per il modo con cui è condotto. Si può ciò nondimeno fargli delle osservazioni che fino ad un certo punto potrebbero essere anche capitali.
Indubbiamente quel che colpisce subito il lettore accorto, è che non si sa bene, a tutto rigore, in che cosa l’A. ponga l’onore o come se lo prospetti se non per bisogno di concezione astratta, almeno per necessità metodologiche. Egli sembra attenersi ad una definizione de Vigny-Feuillet che farebbe consistere l’onore nel pudore della virilità, pur affermando che senza la morale l’onore è un bel nulla. La qual ultima asserzione è discutibile, mentre la prima è addirittura ridicola, onde non ci pare neppur meriti la pena di com
batterla. Quel che manca soprattutto, a mio parere, invece, è lo stabilire quale concetto dell’onore o che cosa sia l’onore per gli scrittori esaminati o per i tempi in cui essi vissero.
Inoltre 1’^.. sembra affetto da due ordini dì preoccupazioni: la religiosa e la politica: la prima non gli permette di giudicare serenamente degli spiriti che sembrano più allontanarsi dalla fede sua propria ; la seconda gli fa veder buono solo ciò che è francese, cattivo quello che è straniero, e sopratutto italiano e spagnuolo.
Mentre noteremo delle belle pàgine sulla Canzone di Rolando, sui poema di Tristano e Isotta e via dicendo, non troveremo ugualmente convincenti quelle sui poeti drammatici, ad es., sul Ruy Blas e simili.
Per concludere un libro dal quale i lettori non avranno che da apprendere, anche se non potranno in tutto condividere le opinioni dell’A.
Giovan Gigli.
G. 'Ferretti, Il numero e i fanciulli, capitolo d'una didattica dell’inventività. Roma, La Voce, 1919, p. 128 (n. 22 della Scuola e vita, bib. pop. di pedagogia dir. da G. Lombardo-Radice). L. 2.
Ottimo lavoro, se anche ne sia alquanto pesante la lettura sopratutto per chi non abbia dimestichezza con questioni filosofiche, come dovrebbe essere per i lettori 'della collezione. Il F., con una completa conoscenza della materia, fa la stòria della didattica dell’inventività, ricercando nelle varie scuole che la propugnarono come fu intesa sotto l'aspetto del numero, e come essa si svolse in rapporto al primitivo e naturale senso di apprendimento del numero. In tal modo egli à messo in evidenza il metodo necessario a sviluppare nel fanciullo il calcolo e con esso ad affermare tutte le doti naturali della spiritualità autonoma, dell’educazione cosciente: e tale metodo è quello seguito dalla società nel suo svolgimento, è il metodo di rifacimento, per dir così, dalle origini, è il metodo starei per dire storico.
X. Y.
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C. Caduto, Le trasmigrazioni dì un’anima. romanzo. Firenze, La Nave, 1920, p. 208. - L. 5.
Io non discuterò la prefazione : essa, più che il libro, come vorrebbe l’A., è un atto di fede e di amóre e con la fede non si deve discutere, con l’amore non si deve ragionare. Sono disposto a ritenere con l’A. che la teosofia riveli la verità assoluta e suprema, che essa dia tutte le paci e tutte le gioie. Quel che non sono, invece, disposto ad ammettere è che il libro sia un romanzo e precisamente un romanzo teosofico. Le trasmigrazioni dell’anima del protagonista attraverso Giulio Cesare per finire con Marcello Vargas potranno essere o essere state, ma non anno nessun valore reale, non fanno vivere lui ne chi per lui prova l’amore; sono qualche cosà di staccato dall'esistenza recente- del protagonista; nulla nè prò, nè contro la teosofia. Scialba vitalità artistica dunque, fiacca spiritualità e nessun colorito: ecco il romanzo, che non è se non un diario di una donna che segue trepidante il marito che va e muore al fronte nella guerra or ora combattuta contro l’Austria.
Nessuna novità di concetti e qualche trascuratezza di forma : ecco il « romanzo » che se può meritare rispetto per la fede che l’A. mostra nella prefazione, domanda altri elementi di energia spirituale ed altra vivacità artistica per poter, non dico far credere nella teosofia chi non la sente affatto, ma per farcene ammirare almeno una qualche bellezza.
Giovanni Costa.
A. Rossotti, Fra i Beduini, vita e riflessioni di prigionia araba. Roma, «Ausonia >, 1920.
Simpatico lavoro questo, che ci rileva uno studio profondo e appassionato della psiche araba.
Interessante è la descrizione della lunga prigionia sofferta dall’A. presso gli arabi di Tarhuna, il che gli à permesso di studiare, specificandone con genialità ed arguzia tutte le minuzie, i vari elementi del carattere arabo che viene da lui giudicato leggero, capace di qualunque finzione, esclusivamente interessato, però non malvagio. Unico freno per esso: la religione, e Maometto, che in essa racchiuse tutte le lèggi che governano il popolo arabo ben comprèse che le promesse di godimenti futuri ed eterni in un móndo al di là molto potevano su di un animo debole e a-mante del piacere quale è quello dell’arabo. Difatti quasi alla sola religione si deve se presso gli arabi le leggi sono osservate e rispettate più che dagli stessi popoli europei.
Alcuni interessanti brani del Corano dànno una chiara idea sulla maniera con la quale sono governati gli arabi, sul trattamento fatto alle donne loro e sulla facilità con là quale, secondo Maometto, Allah perdona ai suoi fedeli anche se le loro mancanze siano molto gravi : ragione per cui essi possono peccare senza scrupoli eccessivi!
Istruttive e pratiche sono le notizie sul genere di vita degli arabi e sulle loro donne e anno valore specialmente per chi deve aver rapporti con essi. Per concludere un buon lavoro che oltre ad essere attraente nella lettura recherà reali servigi, come l’A. del resto si è proposto.
G. A.
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BILYCHNIS
NUOVE PUBBLICAZIONI
O. Fragnito, La riforma universitaria e la facoltà di medicina. Bologna, Coop. Tip. Azzaguidi, 1920, p. 6. Estr.
Contro il famoso parere del C. S. di P. I. che preponeva la soppressione di molti posti di ordinario e straordinario, sostituendoli con incarichi.
A. Levi. Il concetto del tempo ne' suoi rapporti coi problemi del divenire e dell'essere nella filosofia greca sino a Platone. Milano, «Vita e Pensiero», Estr., p. 105. L. 5 [cfr. p. 478].
Ingemmavi, Astrazioni, odi metafisiche. Milano, P. Carrara, 1920, p. 72. L. 4.
Io non amo, neppur a scopo mnemonico le... regole di grammatica o di aritmetica ridotte in versi: figurarsi se mi possono piacere queste «odi » in cui la metafisica, o un quid simile ad essa, è impillolato in versetti, sicché < tutto il reale unito — col suo potere immenso — opra in ognun qual dito — che lo sposta in un senso ». E cito e sottolineo per dare al lettore un saggio; del resto lo risparmio lamentando certamente con lui che tanta energia si sprechi in si vuote esercitazioni!
G. Tucci, Dei rapporti tra la filosofia greca e l’orientale. Roma, 1920, Estr., p. 59.
U. Brauzzi, La questione sociale. Civitavecchia. Tip. Economica, 1919. L. 1.
E. P. Lamanna, L’eticità del diritto. P. I: l’esperienza giuridica. Firenze, La «Cultura filosofica », 1919, p. 78.
E. P. Lamanna, Il bene per il bene. Firenze, La « Cultura filosofica », 1919, p. 30.
E. P. I^amanna, Il diritto correlativo al dovere nell'idea di Bene morale, Firenze, La < Cultura filosofica », 1919, p. 39.
L. Billot, La Parousie. Paris, G. Beau-chesne, 1920, p. 352, frs. 9.
P. Alfaric, Les écritures manichéennes. Paris, E. Nourry, 1918, voi. I, p. 154; voi. II, p. 240.
P. Alfaric, L’évolution intellectuelle de Saint-Aùgustin. T. I: Du manichéisme au néoplatonisme. Paris, E. Nourry, 1918, P- 556R. Rolland, Les précurseurs. Paris, Ed. de « L’Humanité », 1920, p. 229, frs. 4.
D. Mobac, Discorso inutile - Divagazioni logiche e psicologiche di un piagnone. Perugia, V. Bertelli e C., 1920. p. 58, s. p.
A. Dedujan. L’intime parole, poëmes. Paris, G. Crês et C., 1919, p. 205, frs. 4,55.
F. Delattre, La pensée de J. H. Newman. Paris, Payot et C. s. a., p. 306, frs. 5.
G. Bontoux. Louis Veuillot et les mauvais maîtres des XVI, XVII e XVIII siècles. Paris, Pétrin et C., 1919. p. 277, frs. 4,55.
W. Lowrie, La Federazione italiana degli studenti per la cultura religiosa. Lettera di un prete anglicano. Roma, Lib. di Cultura, 1920, p. 18. L. 0,80.
L’editore ci annuncia la pubblicazione di questa lettera, in cui sono esposti la storia e il programma della Federazione, assicurandoci che per la franchezza e la vivacità con cui è scritta, è destinata a sollevare i più disparati commenti. Egli accorda speciali facilitazioni alle associazioni studentesche.
A. V. Müller, Luther’s Werdegang. Gotha, F. A., Perthes, 1920, P- 140E. W. Barnes, Spiritualism and the Chri-stran Faith. London, Student Christian Movement, 1920, p. 62. Se. 1.
C. Dentice di Àccadia. Il razionalismo religioso di E. Kant. Bari, G. Laterza c figli, 1920. p. 179. L. 6,50.
G. Gori, Su un'estetica dell'irrazionale. Alatri, P. A. Isola, 1920, p. 95. L. 3,50.
G. Rensi, La scepsi estetica. Bologna, N. Zanichelli, 1920, p. 255. L. 6,50.
G. Neyron, Le gouvernement de l'Eglise. Paris, G. Beauchesne. 1919, p. 347, frs. 6.
J. Tissot, La vie intérieure simplifiée et ramenée à son fondement. Paris, G. Beauchesne, 1920, p. 669, frs. 8.
Th. Mainage, Les témoins du renouveau catholique. Paris, G. Beauchesne, 1919, p. 237, frs. 6.
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NUOVE PUBBLICAZIONI
4«3
P. L. Péchenard, Le Martyre de Soissons. Paris, G. Beauchesne, 1918, p. 432, frs. 9.
L. Gennari, Fogazzaro, piti. de H. Cochin, Paris, G. Beauchesne, 1918. p. 214, frs. 5.
P. Q. Chappuis, L'agnosticisme religieux. Essai sur l'antagonisme entre la Science et la Religion dans la pensée moderne. Genève, A. Eggimann, 1918. .
J. Sageret. La vague mystique. Paris, E. Flammarion, 1920, p. 180, frs. 3.
H. L. Goudge, Three lectures on the Epistle to the Ephesians. London, S. P. C. K., 1920, p. 84. Sc. 3,6.
The Apocrilicus of Macarius Magnas transi, by T. W. Craffer (Transi, of Chr. Lit. Ser. I, Greek Tests); Londra, S. P. C. K., 1919. p. 169. Sc. 7,6.
Dionysius the Areop. on the Divine Names a the mystical Theology, transi, by C. E. Folt (Transi, of Chr. Lit. Ser. I Greek Texts). Londra, S. P. C. K.. 1920, p. 223. Sc. 7,6.
Documents illustrative of the history of the Church, vol. I, to A. D. 313, cd. by B. Y. Kidd (Transi, of Chr. dit. Sez. VI, Select penages). London, S. P. C. K., 1920, p. 282, Sc. 7,6.
Questa pubblicazione fa parte delle versioni in inglése della letteratura cristiana, la cui sesta serie si compone essenzialmente di antologie. Il volumetto edito da B. J. Kidd, contiene là prima parte dei «documenti illustrativi della Storia della Chiesa » e va quindi dàlie origini al 3x3. Naturalmente, vi
si comprendono anche quei testi classici che debbono illustrare la storia del cristianesimo nelle sue manifestazioni primitive sia politiche, sia dottrinali, quindi non solo i noti luoghi di Plinio, Tacito, Svetohio e via dicendo, ma pur quelli di Platone, Demostene, Apuleio, ecc., che soprattutto in relazione alla religione dei misteri possono chiarirci la posizione del culto cristiano. Nel volume sono compresi 225 brani, tratti da traduzioni di opere inglesi speciali, generalmente bene scelte, disposti in ordine cronologico e aventi per oggetto argomenti essenziali.
G. Rensi, Polemiche antidogmatiche. Bologna, N. Zanichelli, 1920, p. 93. L. 3,50.
La descrizione d’Italia di. Plinio il Vecchio. Trad. di L. Domenichi, con introduzione di C. Pascal, Pubbl. deli'dfene e Roma, Sez. di Milano, n. io, p. 56. L. 2,50.
C. Pascal, Maler Dolorosa. Pubbl. del-VAtene e Roma; Sez. di Milano, n. xi, p. 27 L. 1.50.
Con questi due fascicoli la sezione della Atene e Roma, di Milano, continua il ciclo delle sue interessanti pubblicazioni per la diffusione e l’incoraggiamento degli studi classici. Esse sono dovute all'opera dell’infaticabile nostro collaboratore, professore Carlo Pascal, che alla prima di esse à preposto un'introduzione interessantissima quanto dotta, sulle fonti della descrizione pliniana e sulla identificazione di alcuni dei luòghi citati dallo scrittore latino.
La seconda è un commento comparativo allo Stabat Maler, ma non con intenti eruditi, bensì con intendimenti sentimentali: un rapido sguardo alla espressione letteraria dell'amor materno nell’antichità.
Il Lettóre.
ROCCO POLESE, gerente responsabile.
Roma - Tipografia dell’ Unione Editrice - Via Federico Cesi, 45
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RACCOLTA STALL di opere destinate all’educazione sessuale
Versione dall'inglese con prefazione del prof. PIO FOÀ
PUREZZA c VERITÀ
Quello che il RAGAZZO DEVE SAPERE - Silvano Stali.
. . . Salvarei fanciulli dall’ignoranza, renderli capaci di sfuggire il vizio» liberarli dal pericolo di far del male a sè stessi ed agli altri.
Quello che il GIOVANOTTO DEVE SAPERE - Silvano Stali.
... È dedicato ai giovani che debbono vivere puri e forti.
Quello che il GIOVANE MARITO DEVE SAPERE - Silvano Stali.
... È dedicato alla santità della casa, alla purezza e alla felicità del marito e dèlia moglie e al benessere delle loro creature.
Quello che l’UOMO DI 45 ANNI DEVE SAPERE - Silvano Stali.
. . . Conoscenze necessarie per questo periodo di trasformazione.
Quello che la FANCIULLA DEVE SAPERE - Maria Wood Alien.
... È giusto ed è possibile impartire un’ istruzione pura, la quale non contamini l'anima infantile, ma anzi le sia preziosa salvaguardia per l’avvenire.
Quello che la GIOVANE DEVE SAPERE - Maria Wood Alien.
... Ogni linea è stata scritta dal cuore di una madre che prega in silenzio affinchè questa lettura sia di aiuto, di conforto, di incoraggiamento alle giovani...
Quello che la GIOVANE MOGLIE DEVE SAPERE - Emma F. A. Drake.
Questo libro è dedicato alle giovani mogli che vogliono guidare verso un alto destino sè stesse, i loro mariti e le loro creature.
Quello che la DONNA DI 45 ANNI DEVE SAPERE - Emma F. A. Drake.
Insegnarvi il miglior modo di aver cura di voi stesse e facilitarvi ogni cosa durante questo periodo transitorio, è lo scopo di questo libro.
Un’edizione speciale, fuori commercio, di 4000 serie dei suddetti otto volumi, quindi 32.000 volumi in totale, sono pronti presso il
Signor UMBERTO CAMILLO RASTELLINI - Torre Pellice (Pinerolo)
Indirizzare le richieste a! medesimo, inviando una corrispondente offerta volontaria proporzionata ai mezzi di ciascuno (ogni libro ha oggi un valore commerciale di diverse lire), tenendo presente che tutto quanto verrà ricavato servirà per ulteriori pubblicazioni buone che tendano all'elevazione morale e spirituale. Alle richieste unire sempre l'importo per l’invio postale dei libri (cioè, in base alle nuove tariffe postali: L. 0,25 per ciascun volume, ossia L. 2 per serie; desiderando l’invio raccomandato, aggiungere L. 0,30).
Il Signor Umberto Cam Ilo Rastellini sarà gratissimo a chi, apprezzando la bontà e l'utilità dei libri Stali, vorrà contribuire alla loro diffusione.
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ISTITUTO PER LA PROPAGANDA
----DELLA CULTURA ITALIANA--------Campidoglio, 5 - ROMA - Telefono 78-47
Presidente Onorario: IL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE Consiglio Direttivo
FERDINANDO MARTINI, Presidente — UBALDO COMANDIMI, Vice Presidente A. F. FORMIGGINI, Consigliere Delegalo.
Commissione di Consulenza Biagi - Cirincione - Corbino - Croce - Einaudi - Manzini
L* Istituto si propone di
intensificare in Italia e di far nota all'estero la vita intellettuale italiana;
favorire il sorgere e lo svilupparsi di librerie biblioteche, scuole librarie e d’arti grafiche;
promuovere traduzioni delle opere più rappresentative del pensiero italiano; istituire premi e borse di studio per scrittori, librai, artieri del libro;
diffondere largamente nel mondo le sue pubblicazioni, tradotte in più lingue, attuando con mezzi finora intentati un vastissimo piano, che, approvato da una commissione di eminenti personalità nominata dal Ministro dell’ Interno, avrebbe dovuto essere svolto sotto gli auspici del cessato Sottosegretariato per la propaganda all'Estero.
I soci ricevono GRATIS:
“L’ITALIA CHE SCRIVE,,
Rassegna per coloro che leggono. Supplemento mensile a tutti i periodici (Abbonamento annuo L. 5)
e le “GUIDE ICS:,,
ossia Profili Bibliografici delle singole materie, bilancio del contributo portato alla civiltà, negli ultimi decenni, dagli Italiani.
(Tre volumi all’anno - Prezzo di ognuno L. 3,50)
Gli studenti, gli insegnanti di qualunque grado, le persone colte in generale, hanno l’obbligo morale e la massima utilità pratica a contribuire allo sviluppo di questa iniziativa che metterà in valore nel mondo il pensiero e il lavoro degli Italiani.
Gli industriali potranno fare annunzi sulla rivista e sulle altre pubblicazioni dell’istituto. Se poi disporranno che queste siano mandate in dono in loro nome alla loro clientela fruiranno di una speciale e gratuita pubblicità sulla copertina delle pubbicazioni stesse.
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IL TESTIMONIO
Si pubblica in fascicoli di 32 pagine elegantemente fregiate ed illustrate - Pubblica articoli di propaganda e di infor-mazione sul cristianesimo in genere e sul movimento battista in ¡specie - Rubriche speciali: Rubrica dello spirito, Vita ecclesiastica, La pagina dei piccoli. Si propone di fornire ai pastori argomenti per meditazioni e sermoni essere largo di notizie sulle chiese battiste d’Italia.
:: :: DIREZIONE: ARISTARCO FaSULO - Via Cassiodoro, 1 - ROMA
AMMINISTRAZIONE: BENIAMINO FODERA - Via Crescenzio 2 - ROMA
Abbonamento per l’Italia, annuo L. 5 - Semestrale Per l’Estero, L. 10 - Un fascicolo separato L. 0,60
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Collaboratori politici ordinari:
ARNALDO AGNELLI - JEAN ALAZARD - GUIDO BARANELLO - ANTONIO BALDACCI - CORSO BOVIO - EPICARMO CORBINO - ANTONIO DE VITI DE MARCO - LUIGI EINAUDI - FRANCESCO SVOLI - N. MASSIMO FOVEL -ALFREDO GALLETTI - EDOARDO GIRETTI - ETTORE LOLINI - G. LOMBARDO RADICE - JULIEN LUCHAIRE - GINO LUZZATTO - GIOVANNI MARCHESINI -FELICE MOMIGLIANO - ROMOLO MURRI - ALFREDO NICEFORO - VILFREDO PARETO - GIUSEPPE PRATO - GIUSEPPE PREZZOLINI - VINCENZO PORRI -GIUSEPPE RENSI - GUIDO DE RUGGIERO - PIETRO SILVA - ALBERTO SPAINI - CESARE SPELLANZON - GIANI SPUTARICH - ADRIANO TILGHER, ecc.
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