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LA B10\A NOVELLA
GIORNALE RELIGIOSO
Torino, per un anno . . I;. 0 »
II per sei mesi ... » i «
Per ie provincie e l’estero franco sino
ai confini, un anno . . I,. 7 20
per sei mesi , ■■ 20
La (lireziniie della BUON.\ NOVELLA è
in Torino, casa Bellora, via del Vdlenlino, n 12, piano 3'.
Le associiizinni si ricevono da Cahlotii
Bazzarim e Comp. Editori Librai ¡n
Torino, via Nuova, casa .Melano.
Gli Associali delle ì’romncie potranno provvedersi di un vaglia postale,
inviandolo franco alla ditta sopradetia.
Lettera dall’Inghilterra alla Buona Novella intorno l’origine della Chiesa Valdese
— I Conressori di G. C. in Italia nel secolo XVI. Pietro Martire Vermigli. — Della
proibizione de’ libri — Rivista critica della stampa clericale. — Al Cattolico
Notizie religiose. Valli Valdesi — Isole loJM« — Isole Sandwich— Cronachetta
politica.
IFTTEUA D\li; IXGHILTERIIA AllA lìlOXA mWlU
I.NTOUNO L’OKIGINE DELL.V CHIESA VA(.DESE,
Kiceviamo (lairingliilten'a una lettera che riguardo, alla pei’.sona taato
benemerita delle nostre valli, e più
per riguardo alle molte edificantissime cose valevoli a meglio chiarire la
(luistione delle origini e dottrine della
Chiesa Valdese, ci affrettiamo di puliblicare, lieti oltremodo e contenti di
avere in favore delle nostre evangeliche credenze una testimonianza cosi
ragguardevole, e così saviamente ragionata. l nostri lettori ci sapranno
grada d’averla qui fedelmente tradotta per disteso.
il liedatore del Giorna/e
LA BUONA NOVIÌLLA
CariKsiìm Fratello in G. C.
Ben faceste a prendere a dimostrare
che la Chiesa Valdese non è una
Chiesa nè novella, nè eretica, ma per
la sua origine e fede ha dritto che il
pnhhlico la riguardi come insignita
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del sacro carattere di chiesa antica
ed apostolica.
A tale infendimento . avete consacrato una serie di articoli ammirabilmente scritti, nei quali rintracciaste
la stretta afOnità die passa fra le dottrine da voi professate, e quelle dei
vostri antecessori quali riconosceste
essere i primitivi fedeli delle chiese
antiche d’Italia. La genealogia teologica ed ecclesiastica da voi esposta,
prova all’evidenza che voi siete veramente un rampollo germoglialo dalla
vigna infin dai primordii del Cristianesimo piantata nelle subalpine regioni del bel paese. A me pare che
siavi venuto fatto di dimostrare che
la fede primitiva degli antichi Galli
Cisalpini, che sono oggi i popoli italiani di Lombardia, del Piemonte, e
delle Alpi Cozie, fu ne più nè meno la
stessa che professate voi oggi, e che
professavano tutti gli abitanti del
Word a Ponente e a Levante d’Italia,
prima che coteste chiese cadessero
sotto il giogo di Roma. Piacemi che
in appoggio del vostro argomento
abbiate addotto le citazioni e i lesti
dei primi scrittori ecclesiastici delle
chiese italiane fino al secolo xir. Avete così stabilito che la vostra attuale confessione di fede consuona
perfettamente a quella dei tempi primitivi, alla quale aderirono sempre in
ogni età uomini per dottrina e santità
rispettabili, che nelle opere loro, fossero sermoni, omelie, trattati, o storie,
0 lettere, si dichiararono sempre avversi alle superstizioni delle popolari
leggende, e alle innovazioni niente
scritturali di Roma.
Come però alcuni de’ vostri lettori
potrebbero da voi richiedere che tenendovi in più ristretto circolo indicaste non mai interrotte le anella di
quella catena, che lega la vostra chie»
sa delle ’Valli in Piemonte alla chiesa
primitiva d’Italia, intraprendo io stesso, sc \i aggrada, a prevenir questo
desiderio col mostrare l’antichità
delle vostre origini con considerazioni e ragioni puramente appoggiate
a testimonianze tratte dai vostri stessi
documenti nazionali e piemontesi.
Niuno mi potrà negare che i vostri
antenati delle valli divennero al mondo famosi nel secolo xu per. la resistenza opposta alle usurpazioni, agli
errori e alle tirannidi curialesche di
Roma. Mi verrà altresì concesso, che
d’allora in qua 1 Valdesi hanno sempre a viso aperto combattuto la supremazia di Roma. Or domando io,
quali armi usarono a sostenere una
lotta cotanto inuguale? Quai principii
e quali articoli opponevan’essi alle opinioni e credenze della Chiesa dominante, di cui era capo supremo il vescovo di Roma, al quale era già dato
esclusivamente dalla cristianità del-
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1’ impero occidentale il nome di
papa?
Tutti sanno che il montanaro delle
valli uel secolo xu fu sempre restio
a sottoporsi agli oracoli del papa;
guardò geloso il diritto della sua personale indipendenzaj non volle mai
rinunziare, in fatto di cose spirituiili,
al giudizio della sua privata ragione;
sotto la propria responsabilità guidossi negli alfari di coscienza coll’ intimo suo convincimento, e i lumi necessari alla sua eterna salvazione li
rinvenì sempre e solo nelle sante
scritture; fuori di esse altra autorità
non conobbe; e negò sempre a qualunque uomo, fosse vescovo o papa,
fosse solo 0 in concilio, la facoltà di
imporre ad altro uomo alcun articolo
di fede che non fosse nelle santescrittnre, o non potesse provarsi coll’autorità delle medesime. Scort'ato da
quesli saldi princiyii il fedele delle
valli sostenne unico oggetto di culto
essere la divinità del Padre, del Figliuolo c dello Spirilo Santo; non
doversi fuori di Dio invocare altra
persona nella preghiera, non adorare
veruna immagine materiale nè sculta,
nè intagliata, o dipinta; non aver per
buona ed utile a salute la confessione
auricolare fatla'ad un prete, nè essere
(li .ilcun valore l’assoluzione sacerdotale; non giovar pellegrinaggi alle
tombe de’martiri e de’ santi, non gio
var messe e preghiere pei morti ; ostare alle indulgenze e alle dispense
gli insegnamenti scritturali ; saper di
bestemmia il dire che la tradizione va
rispetlata al paro delle S. Scritture;
non rinvenirsi in tutta la sacra Bibbia
una sillaba che autentichi le dottrine
che professa la Chiesa Latina sul purgatorio, e sull’uso delle reliquie; avere la cristianità di Roma, al pari
d'ogni altra, e forse più, bisogno di
grandi e sollecite riforme.
Ecco in breve I principii e le opinioni che nel secolo xii opponeva
alla Chiesa dominante il montanaro
delle Valli.
Ma come accadeva egli mai che in
quella lanta oscurità del Medio Evo,
in cosi fitta ignoranza e in tanto generale pervertimento e corruzione di
costumi vi avesse nelle valli del Piemonte una comunità di cristiani, tutti
di condizione pastori, contadini e
gente d’umile nascimento, i quali per
istruzione e condotta evangelica avanzasser di tanto i loro coetanei P-^
Quando in altri luoghi il saper leggere, appena era privilegio di pochi,
costi vecchi e fanciulli solevan leggere ed imparare le sacre scritture al
punto di ripeterne lunghi brani a memoria, secondo che attestano gli stessi loro avversari, che si ammiravano
di udirsi citare così spesso da loro il
libro di Giobbe ed i santi Evangeli.
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m —
. Come va, die uscirono coslind uòmini d’una fermezza evangelica a tutte
prove per modo, die fra la Cristianità
di allora apparivano quali riformatori
ed apostoli di virtù? È mai credibile
che ujmini di così piccola levatura,
e dediti ad occupazioni pastorali -e
campi stri si proponessero per la prima volta allora nel secolo XII di
uStire in campo a spiegare argomenti, che 530 anni dopo furono
con tanto apparato di scienxa e sapienza discussi dagli evangelizzatori
e dai capi della grande riforma del
secolo XVI? La cosa è affatto inverosimile : DO, non si può senza manifesta assurdità supporre che i poveri
abitanti delle valli subalpine avessero
ingegno e tempo di scoprir collo studio e da se soli, queste non facili dottrine al tempo di papa Alessandro III,
di Pietro Lombardo, e di Tommaso
Becket, al tempo cioè, che in Italia,
in Francia, e in Inghilterra le più
alte menti erano già allacciate da curialeschi sistemi, e si andavano, per
astrazioni scolastiche, più die mai dilungando dalla semplicità del Vangelo.
Dove adunque potevano essi mai
i nostri montanari attingere istruzione così pura e prettamente evangelica ? È più che palpabile la necessità che la dovessero ereditare da
padri a figli, di generazione in generazione, e considerassero la fede come
un sacro tesoro affidato in deposito,
e conservato ab immemorabili, nelle
loro umili e fedeli famiglie. E siccome
non la trasmettevano a voce, ma,
consegnata qual è nelle Divine Scritture, è chiaro che invariabilmente si
dovesse fra lor conservare, come invariabilmente conservasi la parola
scritta di Dio.
Siete voi pertanto gli eredi e i rappresentanti di quella fede purissima,
che annunziarono in codeste parti gli
apostoli, quale è stata annunziata da
loro, perchè è quale sta scritta, nè
più,.nè meno, nel santo Evangelo, e
quale a voi la trasmisero i padri vostri del secolo XII, che la dovettero
tal quale ricevere dai padri loro, che
posti nella stessa incapacità di mai
procacciarsela da sè, dovettero da più
antichi padri accettarla, e cosi risalire
fino a 'coloro, che primi la ebbero
dai santi apostoli, o dagli inviati da
loro.
Stando anche dunque solo al fatto
della vostra Chiesa, che senza alcun
dubbio esisteva in Piemonte nel secolo XII, voi vedete benissimo che la
forza del raziocinio ci spinge a riportarne l’origine ai tempi apostolici.
Procediamo oltre per la medesima
via, e coll’evidenza di documenti, che
nissuno d potrTi mai disputare, proveremo che la fede delia Chiesa Valdese dei I8.*»2 è anror quella, che in
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ogui secolo professarono i preti e i
vescovi lutti del Piemonte dalla evangelizzazione primitiva in fmo a quando
Roma armata di decretali, e di potenza riuscì a porre sul collo dei popoli italiani un giogo, cui, nè i padri
vostri nè voi avete mai potuto portare.
E iu primo luogo ci rimangono
tuttavia copie autentiche di trattali in
prosa e in verso scritti iu lingua Romanza, che era il dialetto di tulle
quasi le regioni meridionali dell’antico impero Romano nel secolo Xll,
qiiando per la corruzione del nobile
idioma del Lazio tramischiato .alle
cento lavell'i de’barbari che l’aveaiio
invaso, si veiuvan formando le moderne lingue d’Italia, di Francia, e di
Spagna. Quei trattali, che non Jasciano luogo a dubbio sulla età in cui
furono composti (come per esempio
la Nobla Leisson), contengono la esposizione della fede evangelica dei
Valdesi in quel secolo. Ora uno Scrittore contemporaneo, vale a dire, Pietro il V'enerabile abate di Clugny che
scrisse conlro i crisliani del Piemonte,
e per conseguenza vostri antenati, in
difesa delle pretensioni di Roma, li
accusa di, professare massime e dottriné originate dalle fredde Alpi. Eran
dunque per confessione di Pielro di
Clugny comuni in Piemonte nel secolo Xll le dottrine dei Valdesi contrarie a Uoma, Questo abate scrisse
circa l’anno lli27. .Andate ora in
sù circa cento anni [irima, e nel
1050 v’imbatterete in Pier Damiani,
che indirizza uua lettera alla contessa
Adelaide di Savoia Duchessa del Piemonte, dichiarandole che il clero di
codesti suoi dominii non aveva rispetto di sorta alle ingiunzioni di
Roma. Lo stesso autore in una epistola a Cumberlo arcivescovo di Torino
si rallegrò con esso lui che avesse in
Diocesi molli ecclesiastici assai eruditi, e di esemplare condotta, ma gli
mosse a un lempo lagnanze, che, perseverando nello stato coniugale, si
allontanassero dalla disciplina di Roma, e seguissero l’esempio degli ecclesiastici Milanesi del tempo di Ambrogio nel secolo IV che non vollero
mai abbandonare le mogli.
Un secolo più sopra, Attone V'^escovo di Vercelli dello nell'anno 945
un lugubre lamento sulla ostinazione
dei Crisliani del Piemonte, che ricusavano di uniformarsi alle leggi di
Roma.
Che se risaliamo un altro cent’anni più sopra, noi arriviamo all’episcopato del celebre Claudio, arcivescovo di Torino, ed ivi nella prima
melà del secolo ix, dair817 all’840,
troviamo che le dottrine ora chiamate
valdesi erano comunemente abbraciate così in Torino e nelle valli delle
Alpi, come nelle rimote Chiese di Mi-
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lano, di Brescia, di Verona e d'Aquileia. Le stesse opiaioni che tenete
voi ora intorno al culto delle immagini, all’adorazione della Croce, alla
venerazione delle reliquie, ai pellegrinaggi, e ad altre simili materie di
leggenda, furono sostenute con zelo
e dottrina dall’arcive.scovo Claudio,
che oltre l’antichità ne seppe anche rivendicare la verità scritturale. « Non
insegno ma nuova setta, disse Claudio, ma mi attengo alla pura verità ».
Percorsa cosi di secolo in secolo
la serie de’ tempi, eccovi, per non
interrotta catena di scrittori, condotti all’arcivescovo Claudio del secolo IX, a cui se mancava il nome di
valdese, non mancava certo nè la
dottrina nè la fede, e questa fede
istessa cosi viva in Piemonte nel secolo IX, noi per mezzo di Claudio
giungeremo a trovarvela egualmente
viva nel secolo iv. Dungal infatti e
Giona d’Orleans contemporanei ed
avversarii di Claudio attestano che le
dottrine di Claudio erano quelle stesse
che aveva professate Vigilanzio. Ora
io trovo in s. Girolamo, che appunto
sul finire del iv secolo Vigilanzio le
predicava nell’Alpi Cozie dove voi
abitate. Abbiamo dunqne una conti
nuazione non interrotta di testimonianze storiche appoggiate a scrittori
degni di fede, le quali additano, in
Piemonte una chiesa di fedeli costantemente opposta alla introduzione
delle superstizioni e imiovazioni di
Roma inftn da quando si cominciò
nel IV secolo a volere atterrare la purità del Vangelo. Fin d’allora il vostro glorioso Piemonte non permise
che si adulterasse la verità primitiva,
e costi nel vostro natio paese il Vangelo si conservò qual venne predicato
nei primi lempi Apostolici, e se nòn
tutti, certamente alcuni ebbero animo
di,resistere alla invasione e al dispotismo papale. Premessa in tal modo
la esposizion cronologica delle proteste da voi fatte contro le pretensioni di Roma, onde siete voi veramente i primi protestanti della terra,
mi resta a dimostrare che il cristianesimo fu nelle vostre valli piantato
assai prima che venisse da Roma,
e che di conseguenza la vostra fede
è una eredità preziosisima de’ primitivi antenati, e non già l’eredità di
un’ periodo ereticale o moderno,
come inutilmente si brigano, o almeno hanno brigato di far credere i
vostri nemici, massime quando a voi
era vietato di parlare e difendervi.
{Cmtinm)
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1 CO.\F£SSOR! DI G. CRISTO
in 3tiUirt.
NEL SECOLO XVL
PIETRO MARTIRE VERMIGLI,
li.
Un’antica itiimicizia Ira Lucchesi e
Fiorentini per rivalità fu cagione che
egli vi avesse fredde accoglienze ; ma
le amabili sue doti, la dolcezza del
suo conversare, e d merito di sua
scienza, vinsero tosto l’animo di quei
cittadini. Le prime sollecitudini di
esso si volsero non alle vescovili prerogative del priorato, ma al vantaggio spirituale degli studenti. Amando
invece di fumanti lucignoli, lumi che
rischiarassero le tenebre della superstizione, gli parve degna opera d’educarli in quelle sacre lettere che costituivano la delizie del giovane Timoteo lodatone da S. Paolo. Gli studii
ricevettero un nuovo indirizzo. Paolo
Lancisio fu dato professore di lingua
latina, Celso Martinengo della greca,
ed Emanuele Tremellio dell’Fbraica,
in quella che Girolamo Zanchi, Aonio
Paleario, e Celio Secondo Curione,
facevano di conservare 1’ onore di
altre cattedre e della più alta istruzione. .Marlire stesso si aggiunse a
quel senno, e tolse a spiegare il nuovo
Testamento ed i salmi. Le sue lezioni
furono accolte sì, che trasformavano
m continua accademia il suo chios
tro, e vi traevano il flore de’savi e
dei patrizi.
La sua domenicale predicazione
nel tempio del Convento valse parimenti a guadagnare gli spinti. Ve’
come si accalca d’intorno al pulpito
dell’uom venerando una silenziosa
udienza ! Come la divozion tra.spira
dai volti di tutti, mentre odonsi parole di celeste sapienza ! Ben può dirsi
che l’aura dello Spirito di Dio ventili
leggiera in quel luogo, dove la fede
Apostolica ebbe un solenne testimone.
I lunghi travagli della guerra civile,
i mal compressi odii, le affezioni rotte
dalla morte e dall’esilio, o spente dal
disonore, trovano in lui un linguaggio capace di esprimerle e di calmarvi
le amarezze del lungo sconforto. La
facondia di chi spiegava l’amplitudine delle compassioni del Cristo ricerca a tutti il cuore, e procaccia che
a piè della Croce essi depongano
ogni contraria idea. Anime divorate
dal bisogno di verità e desiose di
perdono, restano forte commosse,
poiché il sacro oratore annunzia
quella pace che il mondo non può
darci, ma deve ripetersi dal solo Dio.
Par che un’ardore più che terrestre
ne animi le immagini dirette a dipingere quel dono, cui il Cristianesimo
annunzia alla travagliata umanità.
Quindi la sua eloquenza simile a notturna rugiada sul calamo dei fiori.
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rinfresca gli ànimi per la bontà, rafferma i legami delle famiglie, e cangia iu allegrezza la dominante mes ■
lizia. Nel tempo stesso la chiesa Evangelica da lui formatasi, sembra
qual pianta nudrita in benigna stagione, e lo accerta di copiosissimi
frutti. Ella accoglie nel suo grembo
le più illustri famiglie, che, costrette
poscia ad un volontario bando, furono nelle estranie contrade segno di
universale ossequio.
Fra queste fatiche godè della visita
del Cardinal Contarini, reduce dalla
Dieta di Ratisbona, dopo gl’inutili
sforzi tentati per la concordia delle
chiese. Le giornaliere conferenze valsero a confermare l’un l’altro in
quella fede, che ne alimentò il vivere.
In uno di quei trasporti che fan divino lo spirito, il Dignitario mostrava
la sua ferma fiducia ne’ beni invisibili
e celesti, insieme col desiderio di essere congiunto a Cristo. Martire, coll’eloquenza del cuore, gli diceva
che la porpora è vile straccio
per chi segue Gesù, la cui veste venne
al dado assegnata, parlavagli della
potenza della grazia sopra le umane
grandezze, e richiamavalo a quelle
.superne consolazioni che rallegrano
gli eletti. Le gioie dell’Evangelo, che
il porporato ne attinse, lo accompagnarono nell’estreino sulle rive di
eternità, e fecero eh’ egli spirasse
nella pace de’giusti.
Quinci a breve le due potenze del
mondo, il Papa Paolo HI e V Imperatore Carlo V, s’incontrarono in Lucca
poiché nel congresso di Uaveta avevano sacramentato di accoppiar contro i propri avversarii il pastorale e
la spada. La città intenta alle solite
feste ; un alTacendarsi di volgo, un
rumore di plausi, ed un’alterna voce
di spettacoli che ricreassero gli augusti principi. Mentre la gioia dipingevasi negli altrui volti, un’inquietudine tormentava gli amici ed i discepoli di Martire, temendosi che .la calunnia lo perdesse appo il sospettoso
Pontefice. Ma Iddio distornò laprocella
che parve rumoreggiar sul capo di
lui, e mantenne agli evangelici un
tale operaio approvato nella coscienza
di tutti.
La rabbia nemica tuttavoita non
riposò. Il colpo, maturatosi contro un
Agostiniano per supposta apostasia,
fu il segno d’allarme, e col suo successo spronò gli avversari a volgersi
contro Martire e ad affrettarne lo
scempio. Questa trama ebbeper effetto
l’improvviso appello di lui dinanzi ad
un fazioso capitolo raccolto in Genova. Martire, cui giunge d fischio
del nembo, non ha oramai più scelta,
che tra l’esilio, o tra indefinibili patimenti. F-gli )ia perduta la speranza
di veder la Riforma partire da Roma,
non può concorrere più all' opera
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della superstizione, nè vuole altronde
esporsi a supplizi, se la verità non
debba giovarsene. Questi riflessi si
affollano alla sua niente, in quella che
un improvviso slancio di spirito gli
detta una preghiera. È questa la prece
dell’uomo che affida soltanto in Dio
la propria fiducia, e riserba a lui la
briga di regolarlo. Un momento di
silenzio succede; un rio di lacrime gli
sgorga dal ciglio, e gli esce dal labbro un nome che è quello d’Italia;
egli supplica in prò di essa l’antico
de’ giorni.
Martire si apparecchiò alla partenza
e, disposte il meglio che poteva .sue
cose, andossene segretamente da Lucca con Paolo Lancisio, Teodoro Trebellio e Giulio Terenziano sottratti dal
carcere, olle portarsi che uu piccolo
peculio raccollodalpropriopatrimonio.
In Pisa la riformata congrega lo chiamò a celebrare, secondo il prescritto
evangelico, la santa Cena, e venne
edificata djj quel fervore che animavaio nell’adempiere la cerimonia che
ci ricorda la passione e la morte di
Chi redense il mondo. Sorse poscia
neH’auimo suo il pensiero di scrivere
a’ proprii frati ed al Cardinal Poli su
ciò che maculava la chiesa di Roma,
non senza rimettere ad acconcio
tempo l’invio di quelle lettere.—Martire si recò indi a Firenze, e vi rinvenne Ochino. che novello Elia avea
annunziato in varii paesi il Vangelo
di Grazia, ed aveva contro sè promosso un grido di morte. L’incontro
fu commoventissimo. Chi ha intelletto e cuore può supporre il loro colloquio, quando lutto ne congiurava
ai danni: » Italia non è più soggiorno
a noi propizio: la verità calpestatavi
c’ingiunge l’esilio. Il Signore, che ha
in propria balìa la sorte delle nazioni,
soccorra alla misera patria, e la riposi dai disastri mercè quella fede
che sul Calvario ottenne battesimo di
sangue. Quanto ue fu dato noi lo
compimmo coll'opera del ministerio :
i tempi non ci consentono più il levarci a rimproverio del falso, a rampogna del male e a condanna degli
abusi. Oltre le Alpi si hanno cuori che
battono per le stesse credenze; là,
lungi dall’insidie de’ novelli Farisei,
che corrompono questa suolo di meraviglie, noi ci aggireremo cou la
pace degli eletti. Mille destre si stenderanno amiche verso di noi, ed allevieran que’ disastri, che il bando
porta. Coraggio! Gesù c’inculca di
non ismarrirci, poiché Egh ha vinlo
il mondo, Roma cerca entrambi a
morie; se più si tarda, le nostre ceneri, sopravanzate al rogo, iìan ludibrio ai venti. Porliam dinnanzi a uoi
il vessillo del Cristo, ed esso ci salverà ». Tal dovette essere la concorde
espressione di due grandi, che si ri-
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U’ovarono tra quelle angustie, e s’incoraggirono con mutui modi per una
partenza cui non arrideva la lusinga
del ritorno. L’addio alla Patria strappò le lacrime d’entrambi: fu questo
uno di quei momenti, ne’ quali mille
affetti combattonsi, e straordinaria
forza vuoisi a resistere. Eccoli oramai
decisi sull’emigrare; la fede ha viqto;
Roma ha perduta la preda. Alla partenza dì Martire precesse quella d’Ochino affrettatasi per tema d’ arme
sicaria; indi venne l’altra del nostro
confessore che lungo la via trovava
simpatiche accoglienze, sicché per le
Alpi della Rezia giunse a scampo a
Zurigo co’tre sumentovati compagni.
Kelia terra dell’esilio altre scene
incominciano, e ci rivelano la sua
grandezza d’animo, non che la stima
la quale scortava dovunque l’uomo
di Dio. Lungi dall’Ualia non gli mancano fatiche da sostenersi per la gloria del Cristo , solenni circostanze
nelle quali si pare di nuovo la sua
religione , e pubblici officii che lo
ascrivano fra i dotti. — Lo accompagnavano pur anche i voti delle chiese
evangeliche di sua Patria, e soprammodo quelli della chiesa di Lucca da
lui corrisposti con affettuosissime lettere che ne rivelarono l’alta pietà.
Quel che adunque ne resta da svilupparsi non va meno fecondo di fatti
celebi-i e d’insegnamento ricolmi.
DEllA PR01BIZI0^E:DE’LlBRr
{Conlinuasione. — V. il num, 34).
Ma duuque la Buona Novella vorrà cristianamente sostenere che sia lecita qualunque lellura di libri buoni o malvagi?
Non vorrà la Buona Novella come giornal religioso convenire in massima, che
bisogni schivarsi dal leggere scritti cattivi?
La Buona Novella conviene benissimo
che un cristiano dabbene, siccome fugge
le occasioni di mal fare, deve anche fuggire quelle letture, che potrebbero offendere l’onestà dell’animo, e del costume.
La Buona Novella non condanna nemmeno lo zelo di coloro che esortano i fedeli a tenersi lontani dal leggere libri e
scritture non buoue.
Solo essa non sa comprendere, come
fra i libri perniciosi allo spirito d’un cristiano si possano annoverare opere puramente evangeliche. 0 cattolici romani
0 valdesi, non abbiamo entrambi per regola di fede la parola di Cristo? Non dobbiamo salvarci per mezzo della parola di
Cri.sto abbracciata con quella unica vera
fede in lui, la quale ci salva?
Il cattolico romano non la riceve immediatamente da Crislo, ma^la riceve dal
Papa : il cattolico valdese non la riceve
affatto dal Papa, nè da nessun uomo al
mondo, ma unicamente e immediatamente da Cristo leggendola nel Vangelo.
Il Papa deve, secondo il cattolico romano,
comunicarla ai fedeli credenti in lui qpa!e
sta nel Vangelo: il valdese la prende egli
stesso alla fonte, nè può scambiarla in
altra perchè egli non prende che dal Vangelo. Per impedire adunque, che il cattolico romano comunichi colla Buona Noveììa, .<ieritta secondo le dottriue evange-
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liche, bisognerebbe essere cerio, [o poter
provare che le dottrine della Buma Novella sieno opposte al Vangelo.
Ora è qui, dove appunto la Bmna Novella sfida tutti i teologi più addottrinati
di Roma a trovarla in fallo, uon che essa
si creda iofallihile; Dio guardi. Cotanto
orgoglio l’afTonderebbe nella perdizione.
E chi fuori del sapientissimo Signore Iddio
e fuori di quelle beate intelligenze che vivono in cielo con lui e in lui, può arrogarsi mai la iorallibilità? Ma sfida a tro
varia in fallo, perchè ove le*si faccia conoscere Terrore non tarderà un istante a
coreggerlo. Ciò sarebbe agli occhi suoi un
benefìzio dei più grandi che potesse mai
desiderare. Solo vogliamo far avvertiti i
teologi, che volendoci convertir dall’errore è necessario che mettano in disparte
le arti e le controversie di scuola’, e si
restringano aliar pura purissima verità
scritta nel santo Evangelo.
L’autorità p. e. di proibir libri noi non
la veggiam nel vangelo. Solo vi si racconta dei fedeli d’Efeso che , vinti alla
predicazion degli Apostoli e abbracciata
la vera fede di Cristo , si sentirono
rigenerati a vita più costumata e più
santa , e glttarono da sè non solo i pravi
afTelti dell'animo e le inclinazioni malvage del cuore, ma tutti anche quegli
oggetti di cui solevano compiacersi,
quando mondanamente viveano. Eran fra
questi anche libri (per quanto pare) di
argomento magico , e li offerirono in olocausto di lor conversione a Dio, bruciandoli nel cospetto degli Apostoli. Ciò nulla
ha che fare, come chiaramente apparisce , coH’autorità proibitiva dei libri.
Nella storia ecclesiastica non è quisfione di letture di libri prima del 240
Allora leggiamo che Dionisio vescovo
Alessandrino è ripreso dagli anziani o
preti, perchè leggesse libri di gentili, ed
egli se ne scusa allegando di farlo per
sapere all’uopo'combatler l’errore.
Verso il V secolo S Girolamo dormendo è battuto in sogno perchè troppo studiava ad imitar Cicerone , ma oltrecchè
questo non è che un sogno, ed oltrecchè
non pare che il S. Padre riuscisse grau
fatto nell’imitare lo stile del suo prediletto Tullio, che ha. mai che fare un avvenimento lutlo personale d’un uomo con
una podestà spirituale della Chiesa?Poco
prima un Concilio di Cartagine proibì ai
vescovi di applicarsi allo studio dei libri dei Gentili esortandoli a leggere più
presto quelli degli eretici per combatterli. Ecco la prima proibizione in forma
di canone a noi conservata dal decreto
di Graziano. Ma chi non vede che allora si
trattava di svegliare lo zelo de’ vescovi
a custodire scevro d’errori il deposito
della fede , e si fece una legge disciplinare in acconcio dei lempi , senza nemen sognare di stabilire con ciò una autorità proibitiva dei libri. Ed è ciò tanto
vero che i rigori del canone caddero sui
vescovi, e niente affatto sui'laici.
Chi ha proibito i libri è sempre stato
il potere regnante. Così Costantino proibì
i libri di Ario, Arcadio quelli de’ Manichei , Teodosio quelli di Nestorio , Marciano quelli degli Eutichiani, Recaredo ,
principe Goto di Spagna, quelli degli
Ariani.
i concili ed i vescovi si contentavano
di condannar le dottrine eretiche , o dichiarare apocrifi i libri , che alcuni voleano spacciar per apostolici e sacri, ma
non fecero mai nei primi secoli un solo
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decreto di proibizione su lai proposito.
Sul finir del V secolo (494) abbiamo un
decreto (se pur è vero) di Gelasio p.ipa,
dove SODO indicali alcuui libri perversi,
lasciandosi però alla coscienza d'ognuno
il risolvere se lor conveniva di leggerli
0 no.
Dopo l'800 i papi, già divenuti forti in
politica , cominciarono già ad abbrucciar
libri e mandar fuori decreti di proibizione , e condannare autori. Fin qui però
dìuii vestigio di scomunica ai lettori.
Wartino V dopo il concilio di Costanza
fece una bolla dove sono scomunicate le
sette di qualunque specie di eretici, mas
sime Vicleflìsti ed Ussiti, ma non fa
menzione alcuna'di chi legge le opere
loro.
Leone X condannando Luterò proibì a
un tempo anche tutti i libri composti da
lui.
I Pontefici successori uella Bolla chiamata della cena (impasto di tutte le maledizioni papali che si leggevano ogni
anno in chiesa nel bel mezzo delle fun
zioni del giovedì santo, quando si celebrava la memoria deirultinia cena mangiata da Cristo in compagnia de’ suoi
apostoli, e la istituzione del sacramento
eucaristico) presero a scomunicar cogli
eretici anche tutli coloro che ne leggevano i libri.
Cosi praticarono in altre Bolle fiuchè
l’inquisizione immaginò, come abbiam
detto, sotto re Filippo di Spagna uel
d3S8 il ripiego di mandar fuori il catalogo de’cosi detti libri proibiti, ripiego
posto subito in uso da’ papi, e continuato anch’oggi dalle congregazioni del
S. Uffizio e dell’indice, che tutte due
proibiscono libri, e sempre sotto pena di
scomunica.
Ora i signori vescovi del noslro Piemonte hanno preso il sislema di fulminare le medesime censure ecclesiastiche
contro i giornali che lor non vanno a fagiuolo. li secolo però cammina , e la ragione riconquista ogni dì qualche dritto,
e l’aiitorilà sia sacra o civile, se ama
ottenere obbedienza e rispetto, convien
si rassegni ad essere ragionevole. In fatto
di religione per noi cristiani non vi ha
alcuna autorilà ragionevole che quellar
del santo evangelo; e in esso non leggiamo pur una sillaba , la quale autorizzi
a metter fuori proibizioni di libri.
RIVISTA CRITICA
nella |stampn elencale
L’Armosia — Riporta l’indirizzo dei
Vescovi al Senato contro la legge del matrimonio civile approvata dalla Camera
dei Deputati. La dicono offensiva delia
Religion dello Stato, almeno come viene
intesa e compresa da loro. Dopo lunga e
matura ponderazione alTermano d’essere
stali spinti (non dicono da chi ; forse da
quella Corte straniera con cui nello stesso
indirizzo confessano di sospirare un ravvicinamento) a far questo solenne ricorso
rammentando ai Senatori l’antichissima
pratica invalsa in Piemonte che i Parrochi sieno esclusivamente i custodi de’registri matrimoniali. Ciò secondo noi accennerebbe a un fatto e non a un dritto,
e a UD fatto tale che oggi assolutamente
è incompatibile colla sovranità del potere
civile, che solo ed esclusivamente governa.
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La religion cattolica, proseguono, riconosce nella Chiesa il dritto di stabilire
impedimenti, e accordare dispense. Ebbene anche questo è un fatto, che nella
cerchia dei doveri religiosi può aver
luogo anche dopo la uuova legge per coloro lutti, che si terranno obbligati in
coscienza a compiere quei doveri. Porgli
altri che non fossero di queslo avviso,
vorrebbero forse i signori vescovi che le
leggi del governo ve II obbligassero ? Ciò
sarebbe un rimettere in vigore la legislazione anarchica del medio evo, quando il
poter civile non era più che un basso ministro del potere ecclesiastico, e se talvolta facea prova di voler ricu|»erare la sua
indipendenza, 0 venivaall'islanteconquiso
da una scomunica, ,o dovea correre il
pericolo di una lotta micidiale e ostinata.
Abbia la Chiesa i suoi registri, abbia i suoi
impedimenti, abbia se vuole anche le sue
dispense, ma non presuma cheanche il governo civile non possa avere le sue norme
indipendenti da Lei, come essa le ha indipendenti da Lui. Oggi è bisogno universalmente sentito che non sieno più
confuse le faccende spirituali colle tem“porali: la dura esperienza del medioevo
i lumi ognor crescenti della civiltà moderna non lasciano più luogo a sperare
che si torni all’antica confusione.
« Prescindiamo, come ben dice I’Opin NioNE, dali’affliiione di Pio IX perchè i
'( Pupi hanno semj)re lagrime per tutti i
« mali, e io tulli i loro brevi parlano di
« dolori e di amarezze, e tuttavia sono
« sani e prosperosi ». — Secondo le dottrine cattoliche papali, cbe mettono ii
matrimonio nel numero de’sacramenti, la
nuova legge del Piemonte dovrebbe anzi
essere motivo di consolazione al Ponte
fice ; perché (siccome osservò saviamente
la Gazzetta del Populo) impedisce i sacrilegi che commettevano necessariamenle
gli sposi, quand'erano obbligali di accostarsi al sacramento, benché non avessero
le disposizioni di spirito richieste a riceverlo senza peccato.
La legge proposta, aggiungono, impone
per forza ai ciltadini una convivenza od
una separazione che la Religione da essi
professata imperiosamente divieta Ciò è
manifestamente falso, e i signori vescovi
inierpretano per legge di violenza una
vera legge di libertà, la quale lascia alla
scelta de’contraenii l’assumersi o no i doveri della religion dello Stato. A che
giova r avere nel grembo d’una Chiesa
membri, che per timore del codice penale
fingano di credere quello che veramente
non credono? I Piemontesi che saranno
in clior loro convinti di dovere adempiere
nella celebrazion del matrimonio le preserizioni del cullo a cui appartengono, lo
possono fare egualmente dopo ta niuiva
legge, come lo faceano per l’iDiianzi. È
dunque assolutamente falso che la nuova
legge astringa per forza le coscienze de’ cittadini a cose riprovate dalla
lor religione.
Che dire poidi quelle declamazioni, ove
il matrimonio celebrato secondo le leggi
attualmente in vigore in Francia è chiamalo un turpe concubinato? Che dire di
.quelli epiteti d'irreligiosa immorale, rovinosa dati alla nuova legge, la quale se è
certamente iniperfi tla agli occhi d’ogni
buon giureconsulto, la è appunto per aver
voluto troppo rispetiare cerle inveterate
abitudini del sislema ecclesiastico predominante da secoli in questo paese?
Che dire di quel luogo comune di tutti
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i moralisti bisbetici de’ tempi nostri^ che
sempre l’hanno colla società che vacilla?
col conllillo Ira le dwe autorilà, colia
totale rovina del buon costume? coll’mvito legale a trascurare, a scordare e violare i pncelli? ecc. ecc.
Noi speriamo che il buon senso del
Senato farà a questa vescovii petizione
quella giustizia medesima che già fu
fatta all’altra contro la erezione del nuovo
tempio valdese dal buon senso del governo del Re.
Il Cattolico. Egli riempie diverse sue
colonne con una pastorale del Vescovo di
Novara, che sull’esempio deila Curia di
Torino, di Mondovi, di Vercelli, di Saluzzo, di Riella, e di Roma pubblica una
lista di proibizione di libri e di giornali,
e fra questi ultimi è ben inteso che ha
luogo anche la nostra Buona Novella. Si
vede sempre meglio ogni dì che le dottrine evangeliche non sono fortunale nelle
aule degli odierni vescovi d’Italia. Piacevano però esse a quei sanli vescovi antichi, i quali in queste medesime regioni
le predicarono con tanto zelo e sapere
nei secoli trascorsi, come abbiamo ragionalo a lungo trattando delle Origini e
Dottrine della chiesa Valdese. Piacevano
il s. Ambrogio, a s. Filastrio, a s. Gaudenzio, a s. Cromazio, a s. Nicea, a san
Lorenzo, a s. Eunodio, a s. Epifanio, a
s. Mauro, a s. Mansueto, a s. Paolino,
a s. Aliene, ecc. ecc. (v. B. N. dal N" 17.
al N“ 3S.)
Se oggi più non piaciono ai lor successori, la colpa non è certamente della
Buona Nocella che le ripete tali quali
erano insegnate allora; anche scilo uua
grandine di proibizioni vescovili essa è
deliberata ili procedere sicura io suo cam
mino, perchè vede benissimo che i vescovi,
come uomini, sono necessariamente mutabili, e non è affatto sorpresa, che il loro
attuale linguaggio sia così difforme da
quello dei santi loro antecessori, e apoggiata al Vangelo, sa che passeranno cieli
e terra, ma la parola di Dio non passerà
giammai.
Del resto qual sia il vero valore di
simili proibizioni è stalo abbondantemente
dimostrato dalla Buona Novella nel suo
N° 9 e poi nel 3-i e in questo stesso 36.
— Lo stesso Cattolico gongolante di
gioia appresta a’ suoi lettori a proposito
della causa d’Achilli (v.B.N.n.SH), un brano del Tablet, giornale cattolico-papista,
dove sono vomitate le più brutali e villane
ingiurie contro la Religione Evangelica,
ossia Protestante. Se mai egli crede di
edificare con simili brutture il sentimento
religioso de’ suoi lettori, ci dispiace il
dirlo, ma versa in assai grande errore,
perchè il linguaggio dell’ insulto non
sarà mai da cristiano,
.4 li CATTOliIC'O
La Buona Novella adduce le testimonianze de’Padri per ciò cbe valgono e
per quanto valgono, vale a dire per mere
testimonianze umane, sopra le quali non
è fondata affatto la fede evangelica unicamente Sostenuta e diretta dalla parola
di Dio.
Se pertaulo le nostre citazioni di Giustino e di Tertulliano paiono al Cattolico
suscettive d’una interpretazione diversa
dalla nostra, noi non intendiamo di perder tempo con lui e farlo perdere ai nostri lettori io quisquilie grammaticali, »
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cui nel suo N“. 860, consacra* ben tre
lunghissime colonne; solo osserveremo non
essere stalo da noi notahilmente alterato
il lesto di s. Giustino, come egli si fa lecito di asserire con franchezza degna di
lui, senza provarlo. —
Anche la sua risposta del N". 8(53 sulle
messe celebrate in morte del Gran-Duca
di Baden protestante non ci quadra, perchè dato e non concesso il fatto qual è
narrato da lui (doveudo egli sapere che
dopo le inutili resistenze dell’Arcivescovo
di Friburgo le messe furono delle) resta
sempre vero che in morte dei Grauduchi
i callolici sono sempre stati solili di celebrare secondo il lor culto le messe di requie. Dato dunque e non concesso ('he
non l’avessero fatto oggi, è certo che in
passalo lo facevano, e rimane per conseguenza intatta la nostra osservazione, che
cioè non è vero , che nella chiesa papale
esista quella uniformità che si vanta.
Il Catiolico poi certamente non ignora
che in morte del celeberrimo Pubblicista
Grozio protestante, il famoso P, Petavio
gesuita gli celebrò la messa. Se dunque
per un protestante si potè dir messa di
requie non da un ignorante (noli bene),
noo da un eretico o eteredosso o scismatico, ma da un Petavio che è forse l’uomo
più dolio che abbiano mai avuto i gesuili,
perchè tante difficoltà a Torino e tanti
scandali pel ministro Sanlarosa, che pur
era morto non protestante, ma cattolico?
Il noslro argomento rimane inconcusso,
e il Cattolico con tutti i suoi settari non
lo potranno abbattere giammai a colpi di
ragione
!VOTIKIE
ValmVm.besi. Leggesi nella Piemontese: Domemcn ì \ scorso in Torre si è
inaugurata la socielà di mutuo soccorao,
e si è benedetta la rispettiva bandiera.
La comitiva si è portata prima ad udir
la messa al tempio cattolico, colla quale
occasione il sig. Priore ha detto parole
eloquenti ed appropriate, poscia recatasi
al Tempio Valdete il sig. .Melile Paslore
disse egli pure in corretto idioma italiano
parole di circostanza e piene d’affetto.
Isole Io.me. Saputosi che un giovine
Ionio, morto ultimamente a Roma, non ha
potuto avere gli onori di una sepoltura
cristiana, ma dopo essere rimasto per sette
giorni insepolto, è stato giltato sotlerra
alla guisa d’un cane, si è raccolto il Senato, e per mezzo del suo presidenle ha
pregato il Lord alto Commissario di S. .M.
la Regina d’Inghilterra, che tiene il protettorato deirisole, a far presentare al
Capo della Chiesa Latina in Roma l’atto
di sua ufficiale protesta.
<1 Io debbo pregare V. E. (disse il Pre« sidenle del Senato al lord A. C.), di fare
« sapere al Capo della Chiesa Latina, che
« se la nostra rimostranza non ottiene
« un pieno e immediato successo, il Senato
Il si troverà nella dolorosa-necessità di
« adottare nella sfera de’ suoi diritti cos« lituzionali delle misure che vorrebbe
« poter evitare, a motivo dei principi del
Il governo Ionio e di quelli dell’alta proli lezione, solto la quale quesli Stali sono
Il collocali ».
K noto chela chiesa Ialina non va nelle
isole soggetta a restrizioni Dell’esercizio
del proprio culto: i suoi .sacerdoti sono
stipendiali dallo Stalo, e ninna solennità
16
nè privata nè pubblica le viene interdella
al contrario nei paesi posti solto l’influenza
del papa la chiesa ortodossa greca non
gode alcuna libertà.
Isole Sandwich. Il capitano Cook discoprì queste isole nel 1778, e le trovò
sotto la più dura tirannide dei preti idolatri, che vi esercitavano ferocemente il
drillo di sangue. Quarant’anni dopo la
morte del celebre navigatore, che fu miieraniente trucidato su queste medesime
spiaggie, una rivoluzione politica rovesciò
per sempre l’impero de’ preti. Per una
felice coincidenza, In quello stesso anno il
Consiglio Americano delle Missioni Proteslanti, senza nulla sapere di quanto era
colà accaduto, deliberò di mandarvi alcuni
de’suoi missionari perchè vi annunziassero la buona novella. Vi giunsero essi
appena, che quegli isolani di fresco usciti
dalla tirannide dei loro preti, li accolsero
con vivo trasporto di gioia, e lieti di udirli
predicare una legge assai più ragionevole
e santa, che non avevano mai fatto i loro
preti impostori e tiranni.
Ora in quelle contrade già si barbare
fiorisce la religione del Vangelo ; vi è diffusa la lettura eia meditazione della Bibbia;
io spirilo di carità vi domina, e Io stesso
governo, che uon s’ingerisce afTatto negli
affari di coscienza, è così umano e benevolo, che potrebbe figurare beni.>.simo fra
i più civili d’Europa.
Multi giovani fra quelli che hanno di
fresco abbracciato il cristianesimo sono
andati a far oro nella Cdlifornia, e per la
maggior parte conservano il primitivo fervore. Nei giorni del Signore non è pericolo che li seduca l’avidità dell’oro, stanno
lontani dalle opere servili, attendono a
leggeri' la Bibbia, s’adunano a pregare in
comune, e mantengono sempre esattamente il voto della temperanza.
I giornali della fazion clericale di Roma
hanno un bel gridare che le Missioni dei
Protestanti si riducono a un commercio
librario di Bibbie. Questi fatti rispondono
meglio di qualunque volume alle perfide
accuse di codesti declamatori, che non
riconoscono altro bene che quello è operato da loro, e al modo loro. AiTudirli
essi soli possono far civili e virtuosi gli
uomini, quasi che il Vangelo di Cristo
avesse bisogno di loro per essere veramente efficace. Sia sempre benedetta la
divina bonlà, che rende in modo così visibile fruttuose le missioni delle chiese
Proteslanti, e le risarcisce così degli oltraggi che sofTrono dalla maldicenza dei
loro nemici !
CROXACKETTA POLITICA
Francia. I giornali di Parigi contengono ii dispacci telegrafici diretti alla
capitale dai varii punii in cui si fermò il
convoglio presidenziale. Tutti sono concordi nel rappresentare l’accoglienza fatta
al Presidente come quasi trionfale nella
sua corsa a Strasburgo,
ERR\TA-C0RR1GE
\ul N" 54 alla col. 4. lin, 25 ia liio|;o di
digiunarono si legga idigiunavano.
Nel N'> 3'j alta col. 26. lin, 17 in luogo >li
invisibiìt «i possegga fedeli^ si legga invifibile.
non vi possegga fedeli.
- ......— ■ ■ I..
Direttore G. P. MEILLE.
Rinaldo Bacchiìtia gerente.
Torino, — Tip. Sot di A, Ponn > C.