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ECO
DELLE miXI VALDESI
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 1968 - N. 50-51
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TORRE PELLICE - 20 Dicembre 1968
Ammin. CHaudiana Torre Pellice • C.CJ*. 2-17557
senso del Natale la pace di dio
I II Natalp non P. lÉTtn ip.fit.n. ilpstinn. T.n nnrp min np.rsìnn lìPn.ir urnlntn
Che cosa vuol dire essere cristiani? Secondo il Nuovo Testamento, vuol dire credere in Gesù Cristo: così vengono designati — dagli altri, prima che da loro stessi,
come risulta da Atti 11,26 — uomini e donne che a un certo punto hanno trovato in quest’uomo il
senso della vita, o, meglio, che anzitutto si sono sentiti trovati da
lui, coinvolti nella sua storia, nella sua vita, impegnati con lui, al
suo seguito, sì da non poter più
capire sè stessi, da non poter più
neppure immaginare la propria
esistenza indipendentemente da
lui: « Per me vivere è Cristo » (Filippesi 1,21). La testimonianza che
scaturisce dal Nuovo Testamento
e ci raggiunge è dunque concentrata con una forza, una tensione,
una esclusività impressionanti su
quest’unica persona: Gesù Cristo.
Fin dal principio, i cristiani lo
confessano come Salvatore e Signore: noi gli apparteniamo ■—
anima e corpo, passato, presente
e avvenire — come ogni uomo, come l’intera creazione; è il nostro
guardiano, il nostro pastore, è per
noi quel che Caino non ha saputo
— e non sa — essere per suo fratello, lo è in tutte le forme inesauribili e nelle dimensioni sconfinate del suo amore sovrano. « Il
buon pastore dà la sua vita — e
quale vita! — per le sue pecore »
(Oiwvclimi 10,J 1 )
Nella prospettiva dell’Evangelo,
dunque, il destino dell’uomo si decide di fronte a Gesù Cristo. Non
di fronte ai problemi dell’uomo o
de)l5i storia, ma unicamenfirbqt^^l mistero — rivelato,
nte ■— di questa persortn, ingnagua individualità storica ben precisa. E neppure di
fronte ai problemi dell’uomo e
della storia e di fronte a Cristo,
ma esclusivamente di fronte a Gesù Cristo. « Io sono la via, la verità, la vita; nessuno viene al Padre
se non per mezzo mio » (Giovanni 14,6). Sarà in seguito che quest’incontro con Gesù Cristo potrà
e dovrà riverberarsi nel modo di
considerare l’uomo e la storia e
di viverne il dramma.
Se la chiave della fede cristiana è
data dalla centralità di questa persona unica, dove, come possiamo
incontrarla e conoscerla? Vi è chi
pensa di incontrare Cristo nella
sfera eletta dei maestri dell umanità; e vi è chi ritiene di incontrarlo nell’ostia su di un altare,
racchiuso e comunicato nella vita sacramentale di un’istituzione
ecclesiastica; e vi è chi vede in lui
la bandiera dei poveri e degli oppressi, il tipo di colui che si fa povero e diseredato per elezione,
per guidare il riscatto. Ma queste
figure sono immaginazioni o forzature umane, non il Cristo annunciato dai testimoni del Nuovo Testamento nella loro coralità. Soltanto nell’Evangelo, in questa carrellata di vivide immagini di Gesù
Cristo, ci è dato d’incontrarlo e di
conoscerlo.
E’ per questo che nella doppia
pagina centrale di questo numero
cerchiamo di presentare alcune di
(• leste immagini, alcuni degli aspcili di questa persona che, come
ci ricordava V. Subilia la scorsa
settimana, aveva la caratteristica
di suscitare lo stupore, di fronte
a una realtà veramente inedita,
che va decisamente oltre tutte le
attese e le non attese di noi uomini, oltre le nostre speranze e le nostre disperazioni e i nostri disillusi scetticismi.
A un secolo che non si stupisce
più di nulla, o quasi, sia nel campo della tecnica come in quello del
costume, non c’è che da riproporre Gesù Cristo, il quale non è confondibile con nulla e con nessuno,
costantemente « altro », diverso
da tutte le nostre idee precostituite e assestate.
Il Natale ha questo significato:
indicare aH’Oriente e all’Occidente, ai magi e ai pastori, agli intellettuali e ai proletari la vocazione
universale a convergere verso Cristo, verso questa persona unica,
irripetibile e insostituibile.
Compito della chiesa è dunque,
come dice l’apostolo Paolo, di
« non sapere altro che Gesù Cristo » (1 Corinzi 2,2). Cristo è tutto,
per la chiesa: essa non ha altro
che lui. Si potrebbe dire che Cristo è la sua ricchezza e la sua povertà: ricca è la chiesa che ha soltanto Cristo, povera la chiesa che
ha altro oltre o accanto a Cristo
(cfr. Apoc. 3, 17; 2 Cor. 8, 9).
Si tratta per noi di vivere in Cristo e di mettere l’uomo, nostro
prossimo, di fronte a Cristo come
a una realtà: allora abbiamo fatto
ciò che dobbiamo, ciò che conta,
abbiamo ripreso, nella nostra condizione umile e subordinata, la
fiaccola del testimone, affinchè
l’Evangelo sia portato oltre, nello
spazio e nel tempo, fino al giorno
dell’incontro faccia a faccia.
Non per questo c’illudiamo però
che TEvangelo di Cristo convinca:
essa non è un discorso perauasivo
(1 Corinzi 2,4) e ogni sforza
getico, di =ua/upo Wco o moderna (dalle famose « prove » dell esistenza di Dio al catechismo delrisolotto o a quello olandese, o
ancora all’Honest to God) racchiude in se, in misura maggiore o minore, un intimo motivo di debolezza e d’incertezza che è dato
dalla presenza di un elemento estraneo alla « follia » e « debolezza » dell’Evangelo.
L’Evangelo non convince col
ragionamento, ma chiama alla
fede. Una via stretta e difficile,
tanto che Gesù, dopo aver fatto il
più apologetico dei suoi discorsi,
rispondendo alla domanda del Battista incarcerato — « Sei tu colui
che ha da venire, o ne attenderemo un altro? » — con il rinvio alla profezia messianica del capitolo 35 di Isaia la quale sta avverandosi nel modo più impressionan
“Ma le tenebre non
dureranno sempre...,,
(Isaia 8: 23)
Il Natale è tempo di speranza. Si spera
di vedere tempi migliori, ci facciamo degli
auguri in questo senso... purtroppo ogui an
no, puntualmente, ci troviamo di fronte a si
tuazioni angosciose, alla minacc a di avve
nìmenti irreparabili, all’angoscia di popoli
travagliati dalle guerre, alla fame che uccide milioni di creature ed a tutti i problemi
che agitano e scuotono profondamente tutta
la società.
Taluni si scagliano contro il « cristianesimo », che dopo duemila anni ha concluso
ben poco, ne decretano il fallimento ed auspicano Tavvento di nuove ideologie più efficaci e moderne per l’uomo del nostro tempo.
Certo « il cristianesimo » ha fallito e non
poteva capitare altro perchè in fin dei conti
è anch'esso una umana ideologia.
Chi non ha lalUto è Cristo Gesù.
Il guaio è che pochi guardano a Cristo,
tutti guardano invece all uomo facendogli
fiducia, contando sulle sue capacità e perfino sulla cosi detta sua fondamentale bontà;
in una parola non si accetta il duro quanto
vero messaggio biblico sulla fondamentale
malvagità della creatura umana.
Cosi muteranno le ideologie, ma il corso
della storia umana continuerà ad essere cosparso di speranze deluse.
Se noi credenti possiamo ripetere con viva fiducia la parola antica del Profeta Isaia
{( Le tenebre non dureranno sempre ». lo
(continua a pag. 8)
Franco Sommani
te, aggiunge però subito e non a
caso: « Beato chi fton si sarà scandalizzato di me^ (Matteo 11,6;.
L'incontro con Cristo non è un
idillio. Ancora BoMoeffer ha scritto: « O l’uomo iKtoide Cristo, o è
lui a morire », nella sua sapienza
e nella sua forza, nella sua carne
stessa. Questo Evangelo è forse
particolarmente « duro » da comprendere (cfr. Gio|/anni 6,60) nella
nostra epoca in pui il mondo e
l’uomo sono (o pletendono di essere) diventati adulti; l’universale
anelito a una sen»re più ampia e
profonda autoacmiia rischia di
coinvolgere — e idi fatto spesso
coinvolge — nel rifiuto di falsi signori anche il rifiuto del solo, vero Signore, Gesù di Nazareth, il
Cristo. ,
Ma questo è ’Evangelo e su di
esso abbiamo voliffo riflettere e di
esso cercare di ^stimoniare, in
questo tempo d \iyento.
Il Natale non è una festa destinata a salvaguardare la pace, ma a
fare la pace.
Il Natale annuncia a tutti gli uomini che Dio s’è fatto povero per
portare la pace sulla terra e riconciliare l’uomo con Dio e col suo
prossimo. La pace di Dio non è una
pace in ribasso. Essa è anche giudizio su tutto ciò che è indifferenza,
egoismo e sentimentalismo; essa mostra con evidenza che la paóe autentica si ottiene per mezzo dell’amore che costa e col sacrificio di se
stessi.
Quest’anno — come parecchie altre volte — il Natale verrà celebrato fra le guerre come la festa della
speranza.
Ma non sono solo le guerre a vio
lare la pace: l’ingiustizia ne è al
trettanto colpevole. La violenza del
le armi non è forzatamente più in
sopportabile del disprezzo dei di
ritti dell’uomo, dell’insicurezza, della segregazione, della fame o della
paura.
mNiiiiiiiiMiiiiimiiiihMimiiiimimiiuiiiiiiixiiiiiiiiiiuiiiiiiiiimniiimiiii
La pace può persino venir violata
da coloro che vogliono mantenerla
a tutti i costi, da coloro che hanno
tutto l’interesse a mantenere il mondo così com’è, da coloro che si oppongono alle riforme agrarie, alla
libera scelta del luogo dove abitare,
alla revisione delle imposte, alla libertà di parola e di riunione, ad
una trasformazione di strutture arcaiche ed inutili oppure intralciano
la loro applicazione.
I ’’gendarmi della pace” resistono con la violenza ad ogni necessario cambiamento. I cristiani possano celebrare il Natale facendo la
pace.
Celebrare il Natale è un atto di
gioia profonda; è un appello a par
tecipare attivamente all’opera divi
na che ha per scopo il ristabilimen
to della pace; per coloro che osser
veranno questo appello, v’è la prò
messa di venir chiamati figli di Dio
E. C. Blake
segretario gen. Consiglio
Ecumenico delle Chiese
iiiiiiiimiiimiiiuiiiiiimiiiiiiiniiiiiiui
miiiiiHiiiiiiiiimiiiiimiiiiii
tMimiiiiiiiiimiuiiiiiimiiiiiiii
Meditazioni di Avvento!- 4
Gesù Cristo; Il PADRE
itimonia diurne,,
a-.;. i'^.:iSv^..afrr-eFr‘c
sto il suo giornp e se n'è rallegri
di lui ; Isaia, che ha p'ai u.- „
sono ancora altri : le 'Scritture nel loro^
son quelle che rendono testimonianza di me»; Giovanni
5,39); Giovanni Battista (egli «ha reso testimonianza
alla verità », cioè a Gesù : Giov. 5,33); gli apostoli
(« anche voi mi renderete iestimonianza »: Giov. 15,27).
Da Abramo agli apostoli ej oltre, fino ai discepoli di oggi
e di domani, è una solai lunga catena di testimoni di
Cristo, uomini e donne che in tempi, luoghi, modi e situazioni diverse, han reso, rendono e renderanno la stessa testimonianza a Gesù, Salvatore e Signore di ogni uomo e di tutti gli uomini. Ogni cristiano è un anello di questa catena, perchè esser cristiano non è altro che esser
testimone di Cristo: « voi mi sarete testimoni... fino alle
estremità della terra » (Atti 1,8). Attraverso i secoli, da
Abramo in poi, Gesù ha avuto un numero incalcolabile di
testimoni. E così dev'essere fino alla fine. Nessuno sulla
terra ha finora mai avuto tanti testimoni come Gesù.
Eppure egli dice ; « lo però la testimonianza non la
prendo dall’uomo» (Giov. 5,34). Non è dai suoi innumerevoli testimoni che Gesù prende la sua testimonianza. E da chi la prende allora? « V'è un altro che testimonia di me » (Giov. 5,32)... « il Padre che mi ha mandato
testimonia di me» (Giov. 8,18). Gesù non si appella
alla nostra testimonianza ma a quella del Padre. Il Padre
è il vero testimone di Gesù. La sua testimonianza è « maggiore di quella di Giovanni Battista» (Giov. 5,36); eppure quella di Giovanni Battista è la più grande testimonianza umana che mai sia stata resa a Gesù. Ma appunto è ancora una testimonianza d'uomo. Per questo,
anche se è grande, è piccola rispetto alla testimonianza
di Dio.
Il Padre ha reso testimonianza a Gesù nel battesimo,
quando i cieli si aprirono e una voce disse dall alto:
« Tu sei il mio diletto Figliuolo; in te mi sono compiaciuto » (Marco 1,11); e ancora sul monte della trasfigurazione, quando si udì una voce dalla nuvola : « Questo è
i! mio diletto Figliuolo: ascoltatelo» (Marco 9,7); e ancora a Gerusalemme, subito dopo il colloquio di Gesù
con i Greci, quando venne una voce dal Cielo; «L'ho
glorificato, e lo glorificherò di nuovo» (Giov. 12,28).
Era sempre la voce del Padre, che rendeva testimonianza a Gesù. Ma soprattutto il Padre ha reso testimonianza
a Gesù risuscitandolo dai morti. E' questa la testimonianza
maggiore che gli ha reso.
Perchè Gesù si richiama alla testimonianza del Padre?
Perchè i Giudei gli stanno chiedendo, per così dire, le
sue credenziali. « Chi pretendi di essere? » domandano
(Giov. 8,52). Gesù pretende di essere la luce del mondo,
la risurrezione e la vita, il pane vivente, il buon pastore,
il salvatore del mondo, il figlio di Dio, l'unica rivelazione
del Padre. Gesù pretende che si creda in lui. Questa è
la massima pretesa, per uno che esteriormente è un uomo. Perciò i Giudei gli chiedono: «Come giustifichi queste tue pretese? Quali testimonianze adduci in tuo favore? » Gesù ha già fornito molte testimonianze: ci sono
ad esempio tutte le sue opere, che sono una vivente il
nfesawn• altro ■Tia*
Ma i Giudei'ht?rr^\i7f>tne Gesù.
opere di Gesù: le hanno vedute, ma non
to. Neppure l'evidenza dei fatti li ha convinti'. Non sono
ancora soddisfatti non lo saranno mai. L'Incredulità umana è insaziabile. Non è Gesù che, di fronte alTuomo, manca di credenziali ; è l'uomo che, di fronte a Gesù, manca
di fede. L'atteggiamento dei Giudei è tipico : esso dimostra che l'uomo, in presenza di Dio, trascura le testimonianze e chiede le prove : trascura, ignora, rifiuta le testimonianze che ci sono e chiede, pretende, reclama le
prove che non ci sono. L'uomo chiede eternamente delle
prove, ma Dio da ogni tempo ci dà solo le testimonianze
di se stesso. L'uomo chiede delle prove per potersi poi
giustificare: se non crede è «per mancanza di prove»,
non per mancanza di fede — così egli pensa in cuor
suo.
Coloro che, dopo tutte le testimonianze fornite da
Gesù, chiedono ancora delle prove, egli li rimanda direttamente a Dio: «il Padre testimonia di me». Anche
quella del Padre non è una prova, non è una dimostrazione, è una testimonianza. Gesù non può essere dimostrato ma solo testimoniato. Se neppure il Padre lo dimostra, come potremo dimostrarlo noi? Non è folle la pretesa dei Giudei di avere le prove riguardo a Gesù? E'
l'incredulità che chiede le prove; la fede si ferma alle
testimonianze. « Il Padre testimonia di me » significa dunque che solo per fede si può avere accesso a Gesù: il
mistero della sua persona può essere chiarito solo a partire da Dio, non a partire dalla ragione o dalle ragioni
dell'uomo. Le argomentazioni urbane, i pro e i contro,
le prove e le contro-prove non raggiungono Gesù, non
valgono. Solo vale, per lui e per gli uomini, la testimonianza del Padre.
Dio è il vero testimone di Gesù, la sua è la testimonianza maggiore. « Se accettiamo la testimonianza degli
uomini, maggiore è la testimonianza di Dio; e la testimonianza di Dio è quella ch'Egli ha resa circa il suo
Figliuolo... E la testimonianza è questa : Iddio ci ha dato
la vita eterna, e questa vita è nel suo Figliuolo » (1 Giovanni 5: 9 e 11 ). Se quella di Dio è la testimonianza maggiore, la nostra è la testimonianza minore. E' minore nel
senso che Gesù non si appella ad essa perchè l'identità
di Gesù non dipende dalla nostra testimonianza ma solo
da quella del Padre. Potrebbe anche succedere, un giorno, che Gesù non abbia nessun uomo come suo testimone : non ne sarebbe diminuito, perchè avrebbe sempre
la testimonianza maggiore, l'unica che conta, quella del
Padre.
La nostra è la testimonianza minore, eppure essa
è necessaria : non certo per Gesù, che ha la testimonianza maggiore e non ha alcun bisogno della nostra, ma per
gli uomini, verso i quali siamo debitori dell'Evangelo.
Come Gesù stesso ha detto : « Questo Evangelo del Regno sarà predicato per tutto il mondo, onde ne sia resa
testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine»
(Matteo 24; 14). Paolo Ricca
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pag. 2
N. 50 - 51 — 20 dicembre 1968
SULLE
DELLO
NATALE QUA E LA' PtR IL
MONDO
RIVE
ZAMBESI
Kl LI MASI
Un evoluzione inversa rispetto a quella dell’Occidente: una
Festa originariamente cristiana, divenuta largamente pagana
Ricordo di Rari Rarlb
Comincia a pervenire l'eco del senso d'impoverimento che la sua
scomparsa ha lasciato nella chiesa; ma dobbiamo procedere nella
direzione che ci ha indicato, come Eliseo dopo la scomparsa d'Elia
Nell’alta valle dello Zambesi, anche nei villaggi più lontani dai centri urbani, in questi giorni si parla
di « Kilisimasi ».
« Cosa mi comprerai per Kilisimasi? » dicono i bambini ai genitori.
(( Voglio una nuova veste per Kilisimasi », dice la moglie al marito.
« Andrai a casa per Kilisimasi? »
chiede l’impiegato al collega.
« Per Kilisimasi preparami un bel
fusto pieno di birra, che ce ne sia almeno per tre gioni! » scrive il figlio
assente alla mamma.
« Kilisimasi », derivato dall’inglese Christmas, la messa di Cristo, significa per le popolazioni di quelle
regioni (ex colonia inglese) Natale,
un Natale diventato festa di massa,
festa in cui primeggia l’elemento
materiale, e che in molti casi è l’occasione di molte sbornie, di risse e
anche di morte.
La storia di Natale in quelle regioni presenta una evoluzione al rovescio €Ü quanto è accaduto in Europa, dove delle feste pagane ben radicate sono state trasformate in una
festa cristiana. Là, invece, si tratta
di una festa cristiana diventata pagana. Fu introdotta dai primi missionari con l’accento messo molto chiaramente sulla celebrazione della nascita del Salvatore, con culti particolarmente solenni, con inni specialmente preparati, con distribuzione
di doni (spesso cartocci di sale, articolo particolarmente raro e pregiato
in quei tempi); c’è stata pure una
certa tendenza a introdurre elementi
propri al Natale europeo (alberi di
Natale, culti della vigilia alla luce
delle candele, ornamenti brillanti,
ecc.), i quali però sono rimasti generalmente confinati nelle stazioni missionarie, non avendo alcuna rispondi
roSTlo
oaibstfa, che si riproduce quasi anipialmente, i raccolti
essendo raramente sufficienti per le
necessità della gente. È il tempo in
cui, dopo un lungo silenzio, si sente di nuovo nei villaggi l’allegro rumore dei pestelli, quando si può
di nuòvo mangiare a sazietà, e preparare la « bucwala » o birra indigena, una pappa di granturco più
NEL MESSICO
Abb.amo intervistato per voi Serena, una
giovane del villaggio, ed ecco quel che ci ha
detto sulle celehrazionj natalizie messicane.
Esse in'ziano già il 16 dicembre e durano
nove giorni. Caratteristica è soprattutto la
usanza delle posadas. Nei villaggi più remoti come nelle città, uomini, donne e ragazzi
prendono parte a questi cortei di pellegrini:
in testa va Giuseppe, con Maria sull’asinelio,
e il gruppo va di casa in casa, respinti di
porla in porta : « Qui non c’è posto! ». finche
qualcuno offra loro ospitalità. Ciascuno porta
in mano una candela accesa. La stanchezza e
l'ansietà crescono finche, una porta si apre
ospitale e una voce cordiale invita a entrare: anche l’asinelio! Nella grande casa vi
sono molte stanze che possono ospitare i
pellegrini, che si rifoc'llano con i doni raccolti: frutta, noci, dolci; appare una ampia
conca piena di jamaica, bevanda non alcoolica di succo di vari frutti profumata alla jamaica, una fogha che dà una vivace colorazione rossiccia. Si cantano i vi lánc eos caroles. canti natalizi e l’atmosfera è ricca di
letizia.
Nella città si tengono posadas organizzate,
alle quali si può partecipare pagando il pasto che sarà offerto.
Le pastorellas r.uniscono la popolazione
nelle chiese per la vigilia natalizia, la sera
del 24, in uno spirito di adorazione. Risuonano preghiere, viene ripetuto il rosario, culminando nella messa di mezzanotte. E’ poi il
momento di offrire i doni, come i pastori di
Giudea la notte di Bethlehem : agnelli, colombi, hiele, burro, legna, ecc. I bimbi inginocchiati ripetono le poesie che hanno imparato, accompagnando le loro offerte: una
bimba dagli occhi neri come i suoi capelli, offrendo una brocca di latte dice « Io ti porto
solo questo dono / un po’ di latte della mia
mucca / Che bel nasino, e la tua boccuccia /
sembra corallo / Io ti prego, fanciullino /
vorrai tu prendermi un giorno / nella tua di.
mora celeste? ». All’uscita ci si invita a vicenda, per terminare in fraternità la notte
della Natività.
o meno fermentata, consumata come cibo vero e proprio e non come
bevanda. Oggi, se voi domandate a
una persona che non ha avuto contatti con una comunità cristiana,
che cosa è questo « Kilisimasi », vi
risponderà certamente: « Lo festa
del nuovo raccolto! ».
Le comunità cristiane si sforzano
con i mezzi a loro disposizione di
far capire alla gente il vero significato del Natale, e di parlare loro di
Gesù. Molto spesso colgono quell’occasione per visitare, nei giorni che
precedono il Natale, i poveri e i
vecchi nei villaggi, portando loro
un regalo, annunziando con inni e la
lettura del Vangelo la buona notizia
della Salvezza in Cristo Gesù.
A questo proposito, un ricordo
personale.
Con un gruppo di scolari bussiamo alla porta di una vecchia povera
NEL GABON
lebbrosa. Entriamo, i giovani depongono in un angolo del cortile i
fasci di legna da àrdere portati in
regalo, cantano almni inni natalizi,
celebriamo insieme un breve culto
alla gloria di Dio^ E la vecchietta,
profondamente cc^mossa, alza le
mani che non sonojpiù che dei monconi senza dita veiBO la sua casetta,
una capanna costrvata con cura qualche tempo prima da un gruppo di
cristiani, e dice: (¿Vedete come sono privilegiata! Óuando mi sono
convertita a Crist(l i miei si beffavano di me. Se no^ fosse per Vamore del Salvatore, una povera lebbrosa come me non ^rebbe così bene
alloggiata, e così privilegiata! ».
<c Kilisimasi », lesta del nuovo
raccolto! Sì. Ma ^zittutto, la festa
della Nuova Vita ! Idei Regno di Cristo che viene ! ■
fÌBBERTO CoiSSON
ÜDa palma sarà l’albero Natale
Ci avviciniamo al 25 dicembre e nulla, nella natura o nei negozi della strada commerciale di Oyem, ci ricorda il
Natale quale ce lo presenta oggi la civilizzazione europea. Eppure si sente
nell’aria lo stesso fervore di preparativi per la festa, la stessa attesa gioiosa
dei cristiani che, rinunciando alle credenze pagane ancestrali, hanno accettato Gesù Cristo come loro personale
Salvatore.
Le donne, messe in margine alla società, davanti alla povertà del bambino
Gesù sono state colpite in modo particolare ed hanno visto una liberazione dalla loro condizione d’inferiorità
rispetto agli uomini. Esse, che n^
erano ammesse alle riunioni prop'
torie delle antief
tate dai bambini, i membri di Chiesa
interpreteranno l’a nunciazione e la
nascita, e gli studnti termineranno
con l’adorazione ^ magi e dei pastori.
Gli immensi albe! della foresta serviranno da sfondo un palmizio sarà
scelto come albero ti Natale, illuminato anch’esso da nfoteplici candele. E,
alla luce delle laiapi de a petrolio, l’an
nuncio della nastìtà
ancora proclamati
vero e solo
alle teneb;
ze pai
Messia sarà
jto come il
i,in mezzo
creden
ira Nisbet
Fra le prime reazioni^ di fronte alta scomparsa di Karl Barth, ecco quanto ha dichiarato il past. W. A. Visser’t Hooft, ex segretario generale del CEC;
Barth ha dominato tutta un’era della storia della teologia. E’ lui che ha ridato alla
teologia un posto centrale nella storia del
pensiero. Ha anche influenzato profondamente la vita della chiesa del nostro tempo.
E stato lui ad iniziare la lotta contro l’influenza nazionalsocialista nella vita della
chiesa in Germania, di cui è rimasto il leader spirituale, come poi più tardi lo è stato
in altri paes:. Durante la guerra fu la sua
voce a richiamare con stupefacente libertà le
chiese a valutare il problema del totalitarismo. Fu lui ad elevare il dialogo tra protestantesjmo e cattolicesimo ad un livello più
alto. Per molti fu un amico paterno che invecchiando era divenuto sempre più generoso nei suoi giudizi. Egli ci ricordava sempre
che l’essenza vera deU’evangelo di Cristo era
l’invito a rallegrarsi.
Ed ecco la dichiarazione che ha invece rilasciato Valtuale segretario generale del CEC,
il past. E .C. Blake:
La morte di Barth tocca tutto '1 popolo di
Dio {...). Barth credeva che l'unione autentica nella chiesa sarebbe avvenuta solo se la
chiesa avesse osato essere se stessa e non
una manifestazione di autosicurezza e potere.
Dagli anni 30 in poi, (...) Barth fu veramente l’amico « critico ». Durante il Concilio
Vaticano II, mostrò una sorprendente apertura per il movimento di aggiornamento della chiesa cattolica, esortando noi. figli della
Riforma, a non restare indietro nei nostri
sforzi di rinnovamento. Così, a 82 anni, mostrava tanto a cattolici che a protestanti, come anche un vecchio potesse apprezzare le
cose nuove. Può darsi che i suoi insegnamenti siano troppo voluminosi per la nostra
generazione che vive a passo accelerato, ma
il suo nome resterà vivo per il modo in cui
egli richiamò ripetutamente la chiesa alla
persona di Cristo, sia nella lotta per l’autenticità, al tempo del nazismo, che in quella per l’apertura, ai giorni della guerra fredda. Siamo grati a Dio di avere vissuto quando egli è vissuto.
Infine, sull’ultimo numero dii ’’Nuovi
Tempi” abbiamo letto un articolo di Gior
gio Tourn, in morte del teologo di Basilea;
ne riportiaTTio uno. jKirte, che ci è parso particolarmente bella:
L'unico modo di parlare di sè o degli altri, nella chiesa, è parlare di Cristo e del
nostro vivere per lui. Cristo è infatti il solo
punto di riferimento nostro, in vita ed in
morte, come dice Tantìco catechismo riformato che Barth conosceva. Per questo, ad incalzarmi oggi non è tanto Ìl ricordo del mae.
stro dotto e fraterno, umile e semplice che
formò le nostre cose enze negli anni dello
studio, bensì un racconto biblico arcaico ed
umano del libro dei Re. Un racconto che
parla di uomini, dj morte e della presenza di
di Cristo; la marcia di Elia nel deserto con
il discepolo Eliseo. Il vecchio credente che
lentamente, a tappe, si inoltra verso la morte, con la serenità e la lucidità della fede,
non è forse l’immagine che Karl Barth ci
ha dato nel corso di questi ultimi anni della
sua esistenza? 0 quante volte i discorsi di
molti di noi credenti delle generazioni più
giovani non sono stati simili a quelli di Eliseo e dei discepoli? Sapevamo, il maestro, o,
per usare l’espressione di Eliseo, « il padre »,
doveva lasciarci. Ed a colpirci era, più di’
ogni altro pensiero, la sensazione della solitudine, come per Eliseo : il dopo, il silenzio
di una voca lucida e chiara. Elia ripercorre
il cammino del deserto, verso la montagna
di Dio; quante volte nei suoi scritti e nei
suoi interventi Karl Barth non cl è sembrato cosi? Ostinatamente fisso nel suo cammino verso una meta che a molti, anche fra
noi, sembrava condurre nel deserto, e che lui
vedeva invece condurre a Cr'sto. In quella
vìa è morto ma a uoi è chiesto dì tornare
indietro senza dì lui. Spetta a noi iniziare la
lunga marcia, come Eliseo, verso Israele e ì
Siri, Achab e Jehu, verso i rischi delle scelte e delle parole, della pred'cazione e della
testimonianza.
Il Karl Barth che ritroveremo nel nostro
cammino verso il mondo è il fratello che ci
ha insegnato a cercare lo Spirito, a vivere di
Cristo, che ci ha insegnato ad adorare con
assoluta intransigenza il Dio di Gesù Cristo.
L’unico vincolo che unì il profeta scomparso
con il suo discepolo nel deserto è lo Spirito;
quello solo, nel segreto della chiesa, unisce
Karl Barth con il più semplice ed isolato discepolo di Cristo. Quel vincolo non si esprime nelle parole, nei ricordi, ma nell’obbedienza a Cristo, l’obbedienza di Eliseo.
Hntiiiiimiiiitiiiiiiii
LA STORIA DI DNA DOTTORESSA IIVDIAIVA
Fra tede, tradizione
ts tenuta di Gesù c^lPòanti é rappresentazioni varie a cui tutti paiftecipano
festosamente, piccoli e grandi con la
stessa naturalezza. .
Affinchè la Chiesa tutta partecipi al
miracolo della nascita di Ge^ù, il pastore della comunità di Mfulihg, chiesto la collaborazione degli allievi della
scuola elementare, degli studiti della
scuola media e magistrale, e dei membri di Chiesa adulti, uomini e' donne.
Le profezie dell’Antico Testamento
sulla venuta del Messia saranno reci
relifiiiosa e folclore
RENDI LE MIE MA
¡Rimasta gravemente menomata in seguito a un incidente, è riuscita a diventare c,
rurgo e a svolgere un servizio impressionante a favore dei menomati dalla lebb
Un aspetto folkloristico della fiesta natalizia, espressione di allegria, sono le piñatas,
un gioco che è specialmente dedicato ai barn,
bini. Il gioco è noto anche da noi, sia pure
non in un quadro natalizio ; un grosso recipiente di terracotta viene riempito di dolci
frutta secca, ecc., coperto e decorato di carta
a colori e disegni vivaci e appeso davanti ai
bambini che, ad occhi bendati, menano colpi
finché la p irata si .-^pacca rovesciando le sue
delizie...
Manifestazioni di gioia e di festa che .restano ambigue ; possono esprimere la gioia
dell’Evangelo, ma anche un’allegria del tutto secolarizzata, cosi come le celebrazioni liturgiche 0 quasi, di cui abbiamo parlato pri.
ma, possono essere ricche di una fede genuina, ma spesso esprimono invece una religiosità pagana colorata di cristianesimo.
* * *
Ricca e apnassionante è la storia degli antichi popoli del Mess'co. La loro cultura era
dom'nata da religioni politeistiche e ovunque si trovavano le « abitaz'oni degli dei »,
che si molt'p’icavano come le chiese dei cristiani oggigiorno; le piramidi tendevano ad
esprimere e facilitare l'adorazione e la comunione più stretta con gli dei : senza la
loro benefica azione gl! uomini non potevano
sopravvivere. Ma questi dei esigevano sempre sangue, che sgorgasse da cuori umani; nel
1479 la consacrazione di un tempio atzeco fu
celebrata con ¡1 sacrificio cruento di ventimila vitt’me!
La conquista spagnola, fanatica e violenta,
impresa profana e guerra santa, portò i primi segni di cristianesimo; ma quanto ambiguo e oscuro questo annuncio del vero Dio!
Eppure oggi si annuncia il solo Eterno, che
ha dato al mondo Gesù Cristo, il Figlio diletto, affinchè chiunque crede in lui non perisca ma abbia vita eterna.
Nella comunione di questa fede gioiosa vi
salutano da Tlalmanalco
Graziella .falla
Letizia e George Neale
Vive in India una dottoressa indiana, Mari Verghese, che, pur essendo comp atamente paralizzata dalla
vita in g ù a causa di un incidente
automobi stico, compie delicati inter
venti chirurgici sulle mani e sui piedi
dei lebbrosi, per ridare funzionalità
terribile male.
La dottoressa Verghese è ancora
giovane, ha 43 anni e continua ad operare neirospedale della « Scuola cristiana di medicina » di Veliere, nell’India del sud, dove ha compiuto i suoi
studi. L’incidente di cui rimase vittima
ebbe luogo durante un’allegra gita di
studenti: il furgoncino dell’ospedale
scontrò eoo un autocarro, e rotolò più
volte lungo unà scarpata; Mary aveva
allora 29 ami, i fu quella che riportò le
più gravi conse^enze del tragico volo.
Essa soffrì du^mente per quattro anni, subi; tre operazioni, si sottopose ad
una sfibrante terapia in America, in
un grande ceaitro di riadattamento
per paralitici, lottò in tutti i modi,
con una forza d’animo incredibile per
poter riprendere, almeno in parte, la
sua attività di medico, per la quale
aveva una vera vocazione. Infine, dopo lunghi e costanti sforzi, riuscì, a ritrovare il suo posto tra i colleghi, se
pure tanto menomata e obbligata a
vivere su di una sedia a rotelle; in
questa posizione esegue oggi tutte
quelle operazioni sui lebbrosi, nelle
quali ha conseguito un’abilità ed una
tecnica che l’hanno resa famosa.
Nella sua lotta veramente titanica
per superare le sofferenze fisiche e le
difficoltà materiali dovute alla paralisi, questa giovane coraggiosissima
donna fu molto aiutata dai dottori
e dalle dottoresse della Scuola di medicina; venne validamente sostenuta
dalla famiglia, e soprattutto dal padre
Appan, un vecchio saggio, sempre pieno di comprensione per questa figlia
tanto provata; ma soprattutto fu soccorsa da un’ardente fede in Cristo, cosi come le si era rivelata nella persona
della fondatrice della « Scuola cristiana di medicina », la dottoressa americana Ida Scudder. Mary Verghese proveniva dall’antica chiesa cristiana siriaca, esistente sulla costa del Malabar
fin dal IV secolo; ma il formalismo
della sua comunità non le aveva dato
una ricca esperienza spirituale. La vita nel collegio di Vellore, il contatto
con medici inglesi e americani veramente convertiti, le fecero ben presto
intravedere l’esistenza di una forza spirituale capace di manifestazioni insoli
te, a volte persino incredibili: che cos’era che spingeva la dottoressa Ida,
dopo una settimana sfibrante passata
nel servizio di radiologia, a percorrere
le strade polverose dell’India derelitta
con un ambulanza per curare tutti coloro che si presentavano a lei, immensa folla di malati delle più ripugnanti
malattie? chi obbligava l’oculista dott.
Rambo a trascorrere i suoi week-ends
in qualche misero villaggio sperduto
per operare gratuitamente una cataratta dopo l’altra? che cosa faceva balzare dal letto a mezzanotte la maestra
delle interne per consolare una studentessa in preda a nostalgia della
casa? o ancora che cosa aveva spinto
una giovane indiana, appena diplomata dalla scuola di Vellore, a spendere
tutta la sua dote per costruire una
casetta-ospedale in un villaggio privo
di assistenza medica?
Mary aveva osservato tutto ciò per
molto tempo; e pian piano aveva capito' che quella forza proveniva da una
fede cristiana vivente: soltanto Gesù
Cristo poteva dare la capacità di agire
per amore del prossimo. Mary, maturata attraverso la sua grande prova,
riuscì, finalmente un giorno a pregare
con sincerità secondo le parole di un
cantico che si cantava nella scuola:
«prendi la mia vita, Signore,
che ti sia consacrata;
prendi i miei giorni,
che scorrano a tua lode eterna;
prendi le mie mani,
che agiscano per amor tuo ».
Il Signore ha veramente preso le mani di questa dottoressa indiana ; il corpo, un giorno cos’ii agile e svelto nel
lungo sari rosso e verde che tanto l’abbelliva, è per sempre immobile, inchiodato ad una poltrona a rotelle, ma le
mani sono impareggiabili, si muovono
con destrezza e precisione, operano miracoli; sono le mani di un grande chirurgo.
Nel libro che narra la storia di Mary
Verghese sentiamo realmente il soffio
dello Spirito che passa e fa sorgere dall’estrema debolezza umana, forza efficienza e grandi opere, alla gloria di
Dio. Vediamo fragili esseri, una donna
sola — la dottoressa Ida —, alcune infermiere, pochi studenti ancora impreparati, muoversi agire lottare contro
difficoltà di ogni genere, malattie dilaganti, ignoranza, mancanza di mezzi, sullo sfondo di un Immenso paese
dolorante e ferito in mille modi. Leggiamo di tutta la lunga laboriosa strada percorsa da una giovinetta india
na, desiderosa d’istruirsi, per arrivare
a frequentare le scuole fino all’università, e diventare medico; abbiamo di
fronte a noi l’India del tempo di Ghandi, grande e misteriosa nazione dai
tanti mali, dove però non manca la
volontà di operare e non è spenta la
fiamma della speranza.
Ho letto un giorno, non ricordo dove, che i tre quarti di tutta l’opera che
si compie nel mondo è svolta da persone che non stanno bene. Mi è tornata in mente quest’affermazione dopo
aver conosciuto la vita e l’opera di
Mary Verghese ; essa è una delle tante
persone seriamente malate che svolgono un costruttivo indispensabile prezioso lavoro. Queste persone sono una
dimostrazione, a parer mio, delle parole dell’apostolo ; « è Dio che opera ogni
cosa in tutti » ; noi stessi non siamo
nulla; se pur non malati, sempre, in
ogni caso, incapaci deboli mal preparati. A Lui solo dunque la gloria. La
dottoressa Verghese dichiara apertamente in una sua biografia : « la mia
storia è quella della grazia abbondante di Dio, che opera in un essere umano molto comune, malgrado le sue
numerose debolezze e le sue molteplici sconfitte ; anzi, grazie ad esse ».
L’autrice di questo bel libro, Dorothy
Clarke Wilson, ha saputo presentarci
in uno stile vivace ed appassionante,
non solo la storia di una donna veramente eccezionale, ma anche la vita ed
i problemi di un popolo sterminato, e
sotto molti aspetti a noi sconosciuto:
attraverso a queste pagine penetriamo nella casa, nella famiglia, nella
scuola indiana e udiamo l’eco dell’emancipazione politica, dalla quale
nasce la nuova India.
Edina Rìbet
Dorothy Clarke Wilson Prends mes
mais - Ed. Labor et Fides, Ginevra 1968,
PRO ECO-LUCE
Da Pinerolo: Edmondo Bosio L. 500; Hilda Bosio 500; Iginio Monti 500; Evelina
Gay 1.500; Renato Breuza 500.
Da Torino: Mario Marchiano 500; Evangelina Tomassone 1.000; R'ccardo Ricca
1.500; Elsa Oviglia 200; Guido Botturi
7.500; Salvatore Gatto 1.000; Edmondo Ranieri 500; Angelo Actis 1.000; A’bertine e
Jean Bertin 500; Giuseppina e Dante Quara 500.
Grazie! (continua)
3
20 dicembre 1968 — N. 50-51
pag. 3
La contestazione raggiungerà (e su tjuall basi?) anche la festa natalizia?
Il culmine (?) dell’anno ecclesiastico
Per la prassi cristiana occidentale, il Natale rappresenta il momento culminante dell’anno liturgico - Ma quanti riflettono sul fatto che i primi cristiani non
l’hanno celebrato e che soltanto nel li e 111 secolo fra non poche opposizioni, appare questa celebrazione liturgica? - E se si giustifica l’aSermarsi graduale
di questa festa cristiana (divenuta generale, si noti, solo nel IV secolo, ai tempi di Costantino) quale confessione di fede in Cristo salvatore e luce del
mondo, polemica nei confronti di culti solari pagani, è possibile, oggi, salvare la celebrazione cristiana dalla minaccia di essere integrata, inghiottita nei
moderni saturnali consumistici? - Come celebrare oggi in modo autentico, capace di differenziazione dall’ambiente, la nascita di Gesù Cristo fra noi?
Fra le molte cose oggi in contestazione, nella Chiesa,
vi è la celebrazione del Natale. Invero, questa contestazione non è una novità assoluta. Forse non tutti sanno
che, guidate anche in questo dal loro rigoroso letteralismo biblico, le assemblee dei Fratelli non celebrano il
culto a Natale, non trovandosene tracce nella Scrittura
(però, spesso, in quel giorno celebrano la festa dell’albero natalizio per i ragazzi, e allora si rischia di cadere dalla
padella nella brace...). D'altra parte Calvino contestava
che avessero senso culti "speciali” in occasioni particolari: il culto è reso a Dio nel “giorno del Signore", e ogni
domenica è Natale, Venerdì santo, Pasqua e Ascensione.
Oggi la contestazione si muove su due linee, fra noi
(contestazione molto modesta di gruppi sparuti e per ora
senza molta udienza nel corpo della chiesa): da un lato
si contesta la validità, nella sua formula attuale, della
« festa dell’albero », questa specie di befana protestante
(si dice); dall’altro la contestazione va più a fondo e si
domanda: 1) la celebrazione stessa del Natale ha un chiaro fondamento scritturale? e 2) nell’attuale fiera natalizia, veri saturnali della seconda metà del XX secolo, vi è
ancora, anche per i cristiani, spazio sufficiente, aria sufficientemente pura, per una celebrazione della nascita di
Cristo che non sia, nei fatti, un rinnegamento appunto
del valore, del significato di quella nascita?
Nelle nostre comunità vi sono credenti che si propongono di affrontare seriamente, a fondo questi interrogativi. Poiché è ovvio che ormai siamo troppo sotto
"le feste”, e d’altra parte questa riflessione non dev’essere
di piccoli gruppi, ma dell’intera comunità, quest’impegno
non potrà portare a prese di posizione maturate e operanti se non l’anno prossimo. Proprio a questo scopo,
però, tentiamo già ora di offrire a questa riflessione qualche punto di riferimento.
Il primo problema, essenziale è dunque questo: c’è un fondamento scritturale per la celebrazione di un gior
no particolare, anniversario della nascita del Salvatore? Per quale ragione,
quando e in qual modo si è giunti non
solo a tale celebrazione, nella Chiesa
cristiana, ma a darle una tale importanza e centralità?
Cercheremo di dare risposta a questi interrogativi, assai dibattuti fra i
teologi, seguendo le tracce di un’operetta di Oscar Cullmann, una delle
molte piccole gemme, tappe chiarificatrici che egli ha offerto alla nostra generazione cristiana: Il Natale nella
Chiesa antica ^
Durante i primi tre secoli
il 25 dicembre fu, per i cristiani,
un giorno qualunque
« La nostra lesta di Natale del 25 dicembre - inizia il Cullmann - fu sconosciuta ai cristiani dei primi tre secoli. Questo giorno che più tardi rappresenterà una data centrale nella
Chiesa cristiana, fino al principio del
IV secolo trascorse senza importanza
alcuna, senza che 1 cristiani si riunissero per il culto, senza che la nascita
di Cristo venisse neppure menzionata.
Al contrario in quel tempo il giorno
del 25 dicembre era dedicato nell’Impero Romano pagano a una particolare festa del sole. Prima che la nascita di Cristo fosse celebrata in quel
giorno, in Oriente e più tardi anche in
Occidente la si commemorava in un
altro giorno: il 6 gennaio. La fissazione di un determinato giorno non
poteva avere un’ importanza fondamentale per la natura della festa, per
il semplice motivo che, tranne individuali tentativi di computo, la Chiesa
dei primi tre secoli ammise, come Chiesa, che noi non conosciamo punto la
data della nascita di Gesù ».
I pochi tentativi di calcolo, di cui
ci rimane documento, sono semplicemente avventurosi, ed assai varii; questo sbizzarrirsi è una riprova non solo
dell’impossibilità storica di fissare con
sicurezza la data, ma dall’assoluta insignificanza che tale problema rappresentava per la Chiesa dei primi tre secoli. Tuttavia, nota il Cullmann, se
ciò malgrado si è destato il desiderio
di celebrare la apparizione di Cristo
sulla terra — desiderio che i primi cristiani non provarono — vi devono essere motivazioni teologiche. Quali?
Se ancora al principio del III secolo
Origene protestava apertamente contro l’usanza pagana di celebrare un
giorno natalizio (nella Bibbia soltanto
pagani ed empi festeggiano il loro genetliaco: Faraone e Erode!), nella riflessione cristiana l’entrata nel mondo
del Redentore dell’umanità andò via
via acquistando le dimensioni di «un
avvenimento di primo piano riguardante la salvezza, anche se l’opera decisiva per la salvezza era compiuta
nella sua morte. Cost i racconti di
Matteo e di Luca avevano già illuminato in modo speciale l’avvenimento
della nascita di Gesù e l’Evangelo di
Giovanni da parte sua aveva dato
espressione a questo mistero. Appena
dalla fede nel Signore crocifisso e risuscitato si risali, con la riflessione teologica alla persona e all’opera di Cristo,
la sua incarnazione dovette occupare
un posto sempre più eminente nella
meditazione religiosa. Specialmente i
cristiani orientali meditarono sul mistero della venuta di Dio nel mondo,
in una persona umana. Ma ci furono
diversi modi di rappresentarsi questo
fatto. Alcuni supposero che il Cristo
divino fosse apparso per la prima volta sulla terra nell’uomo Gesù al momento del battesimo. È il concetto eretico secondo il quale Cristo come essere divino non avrebbe potuto entrare pienamente nella esistenza carna
' 0. Cullmann, Il Natale nella Chiesa
antica, Roma 1948. Quest’operetta è un
condensato, in forma piana e leggibile da
tutti, di un lavoro scientifico la cui ultima
edizione tedesca, aggiornata alle ultime ricerche, è uscita nel 1960. I risultati cui
giunge il Cullmann concordano con la posizione sostenuta nell’articolo Natale (Weihnacht, 1962) nell’enciclopedia « Die Religion
in Geschichte und (Gegenwart ».
le, ma si sarebbe unito solo temporaneamente all’uomo Gesù, e precisamente soltanto al momento del battesimo, quando la voce di Dio annunziò :
« Tu sei il mio diletto Figliuolo ». Invece, secondo la concezione ecclesiastica ortodossa posteriore, Dio è veramente apparso nell’uomo storico Gesù come tale e in questo caso la Parola divina entra nel mondo già al momento della nascita. Muovendo da
queste concezioni cristologiche, noi
comprendiamo gli inizi della festa cristiana di Natale ».
Le prime tracce di celebrazione
appaiono in ambienti eretici,
poi in chiese cristiane
in polemica con loro
Rimandiamo, per i particolari e la
documentazione, al saggio del Cullmann. Le prime tracce di celebrazione
risalgono ad ambienti eretici di Alessandria d’Egitto, nel II secolo: il 6 (o
il 10) gennaio veniva celebrata l’apparizione (epifania) del Cristo divino
unitosi temporaneamente al Gesù
umano al battesimo, ricordato in quel
giorno. Per evidenti ragioni polemiche, si cominciò a celebrare, il 6 gennaio, non solo il battesimo ma anche
il natale di Gesù Cristo e il Cullmann
dà alcuni suggestivi documenti dell’intensità e dello splendore gioioso con
cui tale celebrazione andava diffondendosi in Egitto, in Siria, in Palestina : in questi documenti, per lo più
liturgici, « ha grande importanza l’idea
della luce, che viene espressa anche
simbolicamente. Già nel Nuovo Testamento l’apparizione di Cristo nel mondo viene rappresentata come un entrare della luce nelle tenebre», una
immagine « antica quanto il Cristianesimo stesso e la si può seguire attraverso tutto il Nuovo Testamento ».
Anche in questo sviluppo, tuttavia, si
serbava coscienza dell’impossibilità di
fissare una data storica, « l’essenziale
era il pensiero stesso della festa dell’apparizione, non la data ».
Gli storici si accordano nel riconoscere che lo spostamento della data,
dal 6 gennaio al 25 dicembre, avvenne
a Roma — dove frattanto l’usanza liturgica era giunta — fra il 325 e il 350
d. C. Si ricordi che è da un lato l’epoca delle grande controversie cristologiche, nelle quali culminarono le discussioni cui abbiamo accennato prima e che portarono alle successive affermazioni conciliari, sempre più ribadite, della divinità e dell’umanità indissolubili di Gesù Cristo: Nicea (325),
Costantinopoli I (381), Calcedonia
(451), per non citare che le più importanti; dall’altro è l’inizio dell’epoca
costantiniana.
Per la prima volta, a metà del IV secolo, a Roma : il 25 dicembre è Natale. Siamo nel quadro delle grandi
controversie cristologiche, da un lato,
e dell'affermarsi della situazione costantiniana, dall'altro
Quelle stesse motivazioni teologiche
polemiche che, in un primo tempo,
avevano portato a sovrapporre la celebrazione della realistica e piena "apparizione” di Cristo (la nascita) all’eretica celebrazione "battesimale” dej
del 6 gennaio, spingono ora a disgiungere la festa della nascita (Natale) da
quella del battesimo (Epifania; solo
in un secondo tempo la "manifestazione” della gloria di Gesù Cristo fu
messa in relazione con l’adorazione dei
magi d’Oriente, primizia dei pagani).
Tuttavia si deve riconoscere che il motivo costantiniano, nello spostamento
della celebrazione al 25 dicembre, fu
determinante. Nel mondo romano di
allora aveva avuto larga diffusione la
religione orientale di Mitra, un culto
al sole la cui festa principale veniva
celebrata il 25 dicembre, giorno del
solstizio d’inverno ; e prima ancora del
diffondersi di questa religione, gli imperatori romani avevano eretto templi al "Sol invictus”, all’invitto dio Sole, celebrato con giochi e manifestazioni solenni al suo annuo "risorgere”.
«Si comprende che proprio la Chiesa
di Roma tenesse ad oppOTre al culto
pagano della luce, la nascita di Cristo,
che nel cantico di Simeone viene salutato come "la luce che illumina le
genti”... La festa della nascita di Cristo il 25 dicembre fu fissata dalla
Chiesa non senza una conoscenza del
significato pagano di quel giorno ».
D’altra parte, nel quadro delia situazione costantiniana che andava stabilizzandosi, la tensione polemica nella professione della fede contro l’errore andava smorzandosi. Costantino fu,
più che cristiano, un cosciente sincretista : mirò cioè « a una sintesi fra il
cristianesimo e gli elementi più pregevoli del paganesimo. Il cristianesimo
era certo la religione più favorita perchè, grazie alla sua organizzazione, era
la religione che meglio poteva unire
l’impero. Però Costantino deve aver
pensato che entro quest’unica cornice
cristiana si poteva ben favorire un miscuglio di religioni. Nulla sappiamo di
una lotta deliberata contro il paganesimo e personalmente egli non rinunciò al suo paganesimo fino al battesimo ricevuto sul letto di morte... Era
certo nel pensiero di Costantino unire il culto del Sole col culto di Cristo,
grazie al rappcyte simbolico già esistente fra il SolSte^Cristo » (simile il
motivo che condusse- l’imperatore a
proclamare il Giorno del Signore come giorno del riposo settimansde dello
Stato, in coincidenza con un, giorno
consacrato al dip Sole: ne resta-traccia nei termini, ad es., anglosassora e<
scandinavi per designare la domenica:
Sun-day, Sonn-tag, ecc., il giorno del
sole). E il Cullmann conclude: «Cosi
il Natale si separò da un’altra festa
cristiana, la festa del battesimo, ma
fu fortemente influenzata da una festa pagana ».
Relativamente rapida e generale
— anche se per qualche tempo con
forti opposizioni, qua e là — la diffusione della festa nella nuova data. Salvo la Chiesa Armena, che fino ad oggi
celebra il Natale il 6 gennaio, a partire
dalla metà del VI secolo — cioè da
quando anche la resistenza palestinese alla innovazione liturgica venne a
cessare — tutte le chiese in Oriente
come in Occidente hanno celebrato il
Natale di Cristo ii 25 dicembre. L’imperatore Giustino II (565-578) io proclamò giorno festivo obbligatorio. Diffondendosi in vari paesi e sovrapponendosi a celebrazioni pagane, si è caricato di simboli, la maggior parte dei
quali si ricollega al simbolismo della
luce: la stella di Natale, l’albero illuminato (in origine, unicamente l’albero e i lumi, oggi deturpato dal so
vraccarico barocco e di cattivo gusto
degli addobbi), la "corona d’Avvento”,
ecc., sui quali non possiamo qui soffermarci, ma che sono stati oggetto di
studio.
La festa, che è stata sentita e celebrata al principio come il simbolo della vittoria della fede in Cristo sul paganesimo, è oggi diventata, almeno in
Occidente (l’Oriente celebra con particolare rilievo la Pasqua), la grande festa cristiana. La cosa si giustifica?
Si giustifica, in base al Nuovo
Testamento, la centralità della
celebrazione liturgica natalizia?
Cerchiamo di riepilogare:
1) In base al Nuovo Testamento è
impossibile qualsiasi fissazione di data, per il natale di Gesù Cristo ; ha invece rilevanza il fatto della nascita
— vera nascita — del Cristo.
2) Questo fatto, inizialmente niente affatto centrale per la predicazione
apostolica e la riflessione cristiana
— centrali erano la morte e la risurrezione di Cristo —, è andato acquistando importanza via via che procedeva
la riflessione sulla realtà delta persona
di Cristo, anche e soprattutto in relazione al sorgere di eresie e al confronto con il paganesimo. La subordinazione del Natale al Venerdì, Santo e alla Pasqua rimane tuttavia un’esigenza teologica, è Pasqua a dar significato
a Natale, non viceversa: quindi la
centralità che la festa di Natale ha
nelle nostre chiese è senz’altro sospetta e discutibile.
3) Pare sostanzialmente valido, tenendo conto della riflessione precedente, celebrare in un dato momento
dell’anno Gesù Cristo quale che irrompe nelle tenebre del mondo: si tratta
di un aomuncio certamente costitutivo del Nuovo Testamento, a condizio
«ne che non sì■'Ssaurisca in simboli, ma
ififeprima appunto- l’incàmazione (questo è il riferimeiito al Venerdì Santo e
a Pasqua). Ciò vale nel contesto del
discorso sulla validità dell’"anno ecclesiastico”: riconoscendone il carattere
del tutto secondario e strumentale,
esso può dare un ordine alla predicazione e alla riflessione cristiana, di
fronte all’impossibilità di dire ogni domenica « tutto » della pienezza di Cristo, e al rischio che certi aspetti dell’Evangelo divengano pletorici, mentre altri si atrofizzano. Che tuttavia
l’"anno ecclesiastico” non sia di per
sè un toccasana che agisce automaticamente, lo dimostra appunto il carattere pletorico che la celebrazione del
Natale ha assunto fra noi.
4) Sìa la data più antica (6 gennaio) che quella più recente (25 dicembre) sono state scelte per rispondere
polemicamente a festività pagane (il
contenuto della celebrazione natalizia
è, invece, sorto in modo autonomo nella chiesa, come si è visto). Ora, ciò si
può comprendere e anche giustificare
finché il cristianesimo restò fede contestata e magari perseguitata: la confessione della fede era chiara e alternativa. Invece le cose si fanno assai
più ambigue da quando Costantino
tenta la sua fusione sincretistica e il
cristianesimo si avvia e diventare religione di Stato: è evidente che da que
sto momento l’elemento polemico, costitutivo di ogni confessione di fede,
perde gradatamente mordente ; la confessione della fede non spezza s ricrea
più autonomamente il simbolo corrente (qui, il sole, la luce), ma rischia di
caricarsi di tale simbolo, cosi com’è.
iiiiKiriimiMiMimiiMii
iiimiimitiiiliimiiiiMiiiiiiii
.................limimi
LA TUA PAROLA
Non mancano in questa fine d’anno, come non sono mancati durante i mesi trascorsi, gli oratori eloquenti, gli scrittori abili, gli studiosi dalle molte pubblicazioni e neanche i pellegrini religiosi, dispensatori di discorsi a catena, in questi anni sessanta, così neri, crudeli,
insensibili! Ma la parola onesta, forte, liberatrice, quella che possa ridare ali alla speranza umana, non la si sente più.
Non si sa più dire la verità smascheratrice ai potenti, che affamano i poveri sempre più poveri; non si afferrano più le regole del gioco,
che sfugge di mano anche ai più avveduti: non si vive più autenticamente, perchè si è persa la parola chiave della convivenza umana:
l’amore, o charitas, o agàpe che dir si voglia; si è perso il verbo che
schiude i cuori e li fa vibrare.
I credenti forse lo conoscono ancora, ma non riescono quasi più
a viverlo, soffocati dalla marea montante dell’odio, dell’interesse, dell’egoismo spudorato. Faticano enormemente a farsi ancora ascoltare
da alcuni pochi, tentano di emergere dal generale frastuono di chi si
diverte e di chi geme, presto sopraffatti dall’interesse per qualche nuova impresa spaziale clamorosa, ma vuota di portata umana.
O Cristo, agàpe vivente di Dio, a chi ce ne andremo noi? « Tu solo
hai le parole di vita eterna ». In questo Natale di angoscia, vogliamo
far silenzio intorno a noi e ascoltare Te solo,
(da «Ali») K. C. M.
persistente "valore” naturale, fra mescolanze e compromessi.
Una confessione di fede
che ha ormai smussata la sua punta
polemica e perso ogni mordente,
nella forma tradizionale
5) Veniamo cosi alla nostra situazione odierna. È possibile che, dove la
chiesa è diaspora di testimoni in terra
pagana, famiglia di Dio dinanzi alle
genti e alle nazioni, si ripeta la situazione primitiva, pre-costantiniana. È
anche possibile che, di fronte aila celebrazione di "nonno Gelo” nel
quadro di uno Stato ateo (ma una
situazione post-cristiana può essere
identificata del tutto con una situazione pre- o extra-cristiana?), si giustifichi da parte dei nostri fratelli in
terra russa l’affermazione cristiana,
proprio in questi giorni, che Gesù Cristo è la luce del mondo. Ma in Occidente? Che cosa diventa l’annunoio di
Cristo nel quadro dei nuovi saturnali
consumistici, con qualche tocco di epidermica ed efiSmera buona volontà
(beneficenza, tregue belliche, ecc.)?
Che rispondiamo a quelli ,che ci iimproverano una perfetta integrazione?
Da anni, da sempre si predica, che il
"vero” Natale è un altro, ma con quali risultati? Il nostro Natale è diverso da quello degli altri? Che esosa
manca alla nostra testimonianza cristiana? H fare, e non più soltanto il
dire — come molti affermano? Certo,
c’è anche questo, la questione della
coerenza. Ma se ci si ferma a questo,
non rischia dì divenire il nostro Natale anziché quello di Criàto, annuncio
di noi stessi oi di certi valori umani,
anziché di Cristo e della sua meravigliosa opera di redenzione? Non è
proprio il contenuto stesso della
predicazione e della testimonianza
cristiana, ad essere carente? In che
cosa? Se siamo sicuri che il volto di
Gesù non è il bambolotto del presepe
o un’ostia in un tabernacolo, nè ci
sentiamo di riconoscerlo nel povero in
lotta dell’Isolotto, come confessarlo,
dinanzi agli idoli di oggi, dinanzi ai
miti meschini del consumatore, magari pio, e a quelli esaltanti del contestatore spregiudicato?
Che dobbiamo fare?
Rilevare la sfida
Di fronte a questa manifestazione
macroscopica di confusione e di compromesso qual’è diventato il Natale
corrente, sicuramente la chiesa della
nostra generazione è chiamata — in
particolare qui, nel nostro Occidente
"cristiano” — a tendere l’orecchio nella meditazione biblica e nella preghiera come quelli che « attendevano la
consolazione d’Israele », affinchè ci sia
dato di ricevere e di serbare in cuore
e di dare in modo nuovo, fresco, « il
buon annuncio della grande ellegrezza
per tutto il popolo » ; è chiamata a riflettere seriamente, con volontà di decisioni operative, sulla realtà, sul significato, sulle implicazioni dell’incar
nazione del Cristo. E in questa luce e
su questa base, siamo sfidati ad
avere la lucidità e la forza (le chiediamo?) per confessare Cristo come « segno di contraddizione» per la nostra
generazione. Se non ci riuscissimo,
non dovremmo avere almeno il coraggio di dissociarci da un Natale non più
cristiano? Come questa celebrazione si
è affermata in un dato momento storico, in funzione confessante e polemica, non potrebbe darsi, in im diverso
contesto storico, che la si dovesse respingere o accantonare o per lo meno
spostare, ancora per ragioni di confessione critica della fede in Cristo
Salvatore e Signore : per affermare,
ma non solo con uno spostamento di
data liturgica, che il natale di Cristo è
radicalmente altro da ciò che è diventato? Bisogna che l’anno prossimo si
arrivi a questo periodo avendo più
chiara questa alternativa, meditata in
fraterna ricerca.
La pace e la gioia dell’Emmanuele,
del Dio con noi quando e come lui
vuole (ma lo vuole!), illumini questo
nostro Natale: non stendendoci sopra
un velo incantato, ma lavorando in
noi come un fermento ricco di tutta la
forza rinnovatrice di Dio.
Gino Conte
4
pag. 4
N. 50-51 — 20 dicembre I960
La Parola è stata fatta carne
GESÙ' CRISTO,
un laico
sua laicità sul dono della vita e
del corpo da parte del Creatore,
mentre il laicismo vede la sua liberazione nella distruzione dell’impalcatura della fede (che per lui è
una impalcatura). Per Gesù la
fede dà radici all’uomo nella sua
esistenza quotidiana: se Dio ha
dato il corpo darà anche il vestito, se ha dato la vita darà anche
il cibo. Per il laicismo: l’uomo sta
e vive davanti a un Dio tutt’al più
silenzioso o astratto.
Ma il termine “laico" ha acquistato altri toni fortemente polemici. Fino a quale punto ed in quale
senso si può parlare di laicismo di
Gesù? Ne possiamo individuare
tre.
Il primo punto polemico sta
nella contrapposizione fra laicismo e clericalismo. Nella polemica con i Farisei e con i Sadducei
la nota appare in forma molto evidente: il « guai a voi. Farisei ipocriti » ha la sua ragione nel « perchè voi serrate il regno dei cieli
davanti alla gente ». I loro commentari, la loro casistica, la loro
autorità hanno imbrigliato i figli
di Dio in una schiavitù delle forme
sacre e dei riti a ripetizione: la
preghiera si è fatto sbiascichìo,
l’elemosina parvenza, il digiuno
motivo di orgoglio farisaico, il cavillo sostituisce l’obbedienza autentica alla legge di Dio. Cristo
contesterà il diritto dei Farisei al
dominio delle coscienze.
Ma anche qui sussiste continuamente la possibilità di un contrasto: vi può essere l’illusione che,
decaduto il clericalismo, la sua caduta implichi un’automatica rinascita della vera libertà. Spesso il
laicismo esprime il mito che avvenga lo scatto della libertà appena caduto il clericalismo. Per Gesù la realtà umana è molto più
complessa: la partenza di un demone non esclude che altri sette
entrino nella casa. La lotta interiore dell’uomo va aldilà del mito
della libertà umana senza Dio, si
batte sulla frontiera fra lo stato
permanente della incredulità e la
freschezza del dono atteso o improvviso della fede. Se per laico
s’intende un uomo che rifiuta non
solo una struttura ma una dipen
UN UOMO
La Chiesa cristiana ha nel corso dei
secoli considerato una verità fondamentale della fede il fatto che Gesù
sia stato uomo, pienamente uomo e
tutta la storia della teologia antica è
una appassionata ricerca per stabilire
come si possa dire, e capire, che Gesù
è stato un uomo pur essendo Dio. Una
creatura, insomma, che era qualcosa
di diverso da tutte le creature.
Nella Chiesa e fuori della Chiesa si
è anche visto in Gesù l'uomo nella
perfezione della vita, l'essere eccezionale, il vertice dell'umanità; dire
Gesù significa dire quello di più alto
è stato visto sulla terra in campo di
perfezione morale e di spiritualità ;
più in là di Gesù non si può andare
sulla via del meglio. Un essere insomma al di sopra di tutti gli esseri umani e nello stesso tempo vicino a loro
perchè uno di loro.
Questo Gesù delle ricerche dogmatiche e delle riflessioni religiose non
suscita più passione fra noi ; rimane
nel sottofondo della mentalità odierna anche questa concezione della
grandezza di Gesù e della sua perfezione, ma non provoca emozioni.
Oggi si pensa a Gesù come ad un
uomo simile a noi.
E lo si vede soprattutto come un
individuo carico di tutta la sua realtà personale o un membro della famiglia umana, uno come noi o uno
dei nostri. Gesù è stato uomo con
tutti i problemi, le speranze, i travagli dell'uomo che vediamo attorno a
noi e in noi, ha avuto i suoi momenti
belli e i suoi momenti brutti, le sue
ore lieti e tristi, pochi amici, e molti
nemici, è nato come tutti ed è morto
come noi.
Ancor più ci piace pensare che Gesù sia stato uno dei nostri, un essere
umano accanto ad altri, accanto a Maria, Pietro, il Battista, Pilato, che ebbe
con loro i rapporti che hanno gli uomini tra di loro, che parlò con loro
e costruì insieme a loro la sua esistenza, un uomo che ha vissuto in
un mondo ben circoscritto e preciso,
nella Palestina del dominio romano.
Gesù è stato uomo forse anche in
tutti questi modi ; Gesù dei teologi
e degli storici, dei romanzieri e degli
psicologi, dei mistici ; è però singolare che la testimonianza evangelica
non sembri preoccuparsi affatto di dare di lui una descrizione sotto il profilo umano.
Parlare di Gesù non significa per
gli evangelisti parlare né dell'uomo
né di un uomo, non dell'uomo in generale ma neppure di quell'uomo particolare che si chiama il figlio di Giuseppe. Per gli evangeli Gesù è il segreto della salvezza e della redenzione, è la mia umanità nuova. Quando
leggo il racconto evangelico non leggo la vita di un mio simile, romanzata o calata nello schema dell'introspezione psicologica o della religione,
leggo la parola che sta oltre la mia
vita e mi ordina di obbedire, mi chiama a credere.
Per questo Gesù non ha infanzia
né in Marco né in Giovanni; quando
parla ha già la piena autorità del messaggero di Dio, per distogliere la nostra attenzione da una limitata o falsa umanità che non è'ìa sua. Dire
Gesù è uomo signifiCia solo dire come
ha detto Toma toccando la sua umanità, nel suo corpo ; « Mio Signore e
mio Dio », significa cioè ascoltare chi
parla in lui e con lui : Dio il Signore
della storia e della vita.
Giorgio Tourn
un provinciale
Stupiscono queste dichiarazioni
avverse a Gesù, perchè attaccano la
sua provenienza ed educazione, criticano la sua origine che non affonda le radici a Gerusalemme. Cosa
non è Gerusalemme per i giudei :
la capitale del paese, regina della
Terrasanta, dove pulsa il cuore del
popolo della promessa, il centro della salvezza e della rivelazione, dove
si celebra il vero culto. La Roma dei
cattolici dell’assenso. Invece Nazaret è un piccolo villaggio della Galilea, una regione con gente mista,
che vive di agricoltura, di pesca, del
commercio che transita sul suo territorio, dalla costa alle zone oltre il
Giordano. Per i contatti con gli stranieri di passaggio, forse la sua filosofia della vita è meno intellettuale che in Giudea, più semplice e
aperta, magari più faccendiera, rozza e pagana, affaristica e trafficona,
consumistica e secolarizzata. Abbastanza lontana da Gerusalemme, anche il sentimento religioso è meno
orgoglioso ed esclusivista. Sono c,aratteristiche che non la rendono
molto gradita agli ambienti « bene »
della capitale. Non può venire nulla
di serio da una popolazione cosi
impura. Il Cristo non può venire
dalla Galilea, dove non c’è mai stata
una voce attendibile. L’estrazione
sociale di Gesù è una trappola per i
giudei, che non daranno valore decisivo alla sua morte e alla sua resurrezione. Hanno guardato da dove veniva, ma non hanno capito dove andava. Non lo accetteranno come il Salvatore.
Anche per noi la nascita di Gesù
può essere una trappola. L’errore
più grosso è di fermarsi al bambino
del Natale, senza piegarsi alla sua
predicazione di ravvedimento, senza credere che è morto per i nostri
peccati ed è risorto per la nostra
salvezza. Oppure possiamo vedere
la sua estrazione sociale come una
storiella semplicemente patetica,
senza ricavarne una lezione determinante per una fede e una testimonianza coerenti. Infine è una trappola sottile per la gente di chiesa,
quando non vuole accogliere le voci esterne alle gerusalemmi. Asserragliati nei fortilizi ecclesiastici, difendiamo la purezza della fede dalle contaminazioni della galilee impure. Nulla di buono può venire da
oltre le porte di splendore delle terresante, nessuna voce attendibile
può sorgere da terreni che sporcano
l’evangelo con ideologie straniere in
transito. Può forse venire qualcosa
di buono da Nazaret, che sta fuori
del gran flusso della storia, dei cen
tri di potere e di cultura? Fuori
delle culle storiche della fede dei
padri, fuori degli apparati dove si
elabora la giusta dottrina, fuori del
le chiese, dei metodi consacrati, del
le convinzioni, dell’esperienza ecce
tera? Talvolta senza rendercene
conto, talaltra con deliberato propo
sito, questi mezzi non sono rimasti
per noi una città come le altre, ma
li abbiamo promossi a capitale del
paese, a centri di rivelazione e salvezza, dove si celebra il vero culto,
si custodisce la genuinità della fede,
pulsa il cuore sano <lel popolo della
promessa.
Gesù viene dalla provincia, fuori
da tutto questo, da un posto dove
non lo si aspettava.
Renzo Turinetto
Il continuo mutamento del linguaggio mette in questione delle
definizioni un tempo valide, ma
che non trovano un esatto corrispondente in altri tempi. Fra queste la parola ’’laico”, che non si
trova nel Nuovo Testamento, e il
cui significato è certamente polivalente. Tanto più questo vale se
si riferisce l’aggettivo “laico” a
Gesù di Nazareth. Per evitare di
fare di un testo un pretesto, possiamo cercare le grandi linee, nelle quali la persona di Gesù si avvicina o si allontana da chi oggi
chiamiamo "laico”.
Vi sono alcuni lati positivi, che
vanno messi in evidenza. Si può
anzitutto pensare alla parola "laico” come termine che indica l’appartenenza ad un popolo, ad una
gente. Si tratta di una solidarietà,
che si può manifestare fra gente
di uno stesso ceppo o con persone
della stessa generazione. In essa
la realtà del popolo modella i singoli ed i singoli a loro volta propongono in teoria o nella prassi
dei tipi di uomini, da modellare.
Gli Evangeli di Matteo e di Luca,
nel riportare le genealogie di Gesù,
indicano fra gli ascendenti del Signore uomini e donne di natura,
orientamenti e iporali profondamente diversi gli! uni dagli altri.
Essere laico per Gesù si manifesta nel non rigettare la propria
gente, ma nel sentire una viva solidarietà, composta di doveri e di
diritti, verso di essa. L’espressione estrema di questa solidarietà
non si estende tuttavia solo alla
propria gente, ma a tutti gli uomini ed è il battesimo di Gesù. Egli
si fa battezzare da Giovanni Battista, « affinché sia adempiuta ogni
'giustizia ». Così Gesù s’inserisce
fra gli uomini per portarne il peccato^ e la colpa.^Vi è, anche neli-l’aÉfesione ad Israele, una nota universale, che non può essere sottaciuta.
La qualifica di laico oggi implica
generalmente l’esercizio di un mestiere, di una professione, della
quale si vive quotidianamente. In
tutto Israele era fortemente sottolineata l’importanza del mestiere,
che doveva essere imparato da
tutti, compresi i rabbini. Lo stupore di molti Israeliti dinanzi a
Gesù di Nazareth, qualificato « figlio del falegname » è grande: donde avrebbe egli tratta la sua sapienza, visto che egli era noto come un ragazzo di popolo col suo
bravo mestiere imparato fin dall’infanzia? Ora Gesù non ha mai
staccato la fedeltà ai comandamenti di Dio dall’esercizio di una
vita nel lavoro quotidiano. La legge del Sermone sul monte getta
la sua luce sull’attività ordinaria,
non fabbrica una morale staccata,
aperta alla fuga da questo mondo
in un’ascesi staccata dalla consueta vita fatta di lavoro e di rapporti con gli altri uomini. In questo
Gesù valutò l’attività umana e non
la confinò nel secondario o nell’illecito, senza per questo nascondere le grandi priorità di scelta,
che dobbiamo sapere fare o dare
o ricevere: la scelta fra Dio e
Mammona, fra i tesori che la ruggine può distruggere e quelli che
non marciscono. In questo senso
si può parlare di una laicità di
Gesù di Nazareth: nella positività
riconosciuta aH’azione dell’uomo
nel quadro della creazione di Dio.
Possiamo andare più in là? Quale è il punto dal quale il laicismo
corrente, particolarmente vivo
nella nostra civiltà, dall’illuminismo, in poi, si stacca dal laicismo
di Gesù?
Possiamo dire che per l’uno e
per l’altro vi era un problema di
liberazione dell’uomo da strutture
ritenute sacre ed inviolabili, anche quando queste erano sulla via
del tramonto o addirittura già tramontate, nel senso di essere impalcature morte di un mondo, che
cercava soltanto di continuare ad
essere, fosse pure come pianta
morta.
La differenza sta in questo: Gesù fonda l’esistenza dell’uomo, la
denza da Dio, Gesù non fu certamente un laico.
Un secondo scontro avviene sulla linea di contrasto fra laicismo
e legalismo, che diminuisce l’esigenza della legge per ridurre la vita ad un costante sistema di norme e di leggi esteriori. Quando Gesù accusa i Farisei di impedire ad
un uomo di aiutare il proprio padre, perchè la sua offerta è considerata « corban » cioè riservata a
Dio solo, apre la polemica contro
un giuridismo, che penetra anche
negli ambienti religiosi. Non di
rado il laicismo diventa arida legge dentro e fuori delle chiese. Di
nuovo si propone una salvezza,
che venga dalla legge. Ma la legge
è e resta impotente, incapace di
cambiare il fondo delle cose. Il
laicismo di Gesù presuppone costantemente l’azione dello Spirito,
come Colui che porta via all’uomo
nella sua pretesa indipendenza da
Dio. Il laicismo si ferma troppe
volte allo spirito dell’uomo, per
Gesù il vero uomo nasce dalla morte del vecchio uomo, per l'opera
misteriosa del vento dello Spirito.
Un terzo punto polemico può
essere ravvisato fra laicismo e sacerdotalismo. E’ un contrasto, che
si può presentare fra il sacerdote
ed il levita, che passano oltre il
ferito, e il Buon Samaritano, che
lo soccorre.
Il buon laico giuoca la bella
parte del Buon Samaritano, mentre il sacerdote fa la figura del cattivo avaro.
In questo contrasto si nota spesso l’acredine di chi per lungo tempo ha subito il giogo dell’oppressione. Laico è chi fa da sè e fa bene per sè, libero da regole non rispettate e da investiture sacre non
vissute.
Ma il laico per Gesù ha bisogno,
per essere credente, di un mediatore; la sua vita deve essere ridata
da Dio per grazia. Zaccheo non è
salvo perchè è un laico pubblicano, ma perchè Cristo ha salvato
un laico, che era perduto. In Gesù
vi è più che un laico, vi è il Sommo Sacerdote, che dà la sua vita
per la salvezza dei laici.
Carlo Gay
un nonconformista
Ciò che caratterizza l’uomo Gesù,
è il fatto che egli non esiste per se
stesso (più di quanto Dio non esista per se stesso), ma per gli altri.
Non ha nulla da portare a perfezione, nulla che gli manchi e che debba desiderare, nessun ideale da perseguire, nulla che gli appartenga,
soprattutto non se stesso. Perciò è
al di là della morale. L’uomo Gesù
è forse il solo che possa far suo,
senza tradirlo, il motto in cui sant’Agostino riassumeva tutta la morale: ’’Ama, e fa ciò che vuoi”.
Ama, in questa espressione, non significa: dà qualcosa di te stesso, ma
donati completamente. Solo colui
che è completamente dato può fare
ciò che vuole, perchè non vuol nulla per se stesso, ma tutto per gli
altri.
Non stupisce quindi più veder
Gesù violare il sabato, pronunciare
sul Tempio le parole che conosciamo, sfidare i dottori della legge,
perdonare alla donna adultera, pranzare con i peccatori, accettare il regalo di una prostituta. Questi atti
sono stati compresi dai suoi contemporanei come delle provocazioni.
Provocanti lo erano, certo, ma non
nel senso inteso da loro. Lo scopo
di questi atti non era di legittimare
qualsiasi insurrezione contro la mo'■ale e la legge, ma di far vedere che
c’è qualcosa di più grande della
Legge e della Morale: gli uomini
stessi, quali l’amore di Dio li fa essere. Perchè il fondo del problema
è che noi inventiamo sempre nuovi
sistemi di oppressione, rivestiti delle
più pie intenzioni; è che noi utiliz
ziamo Dio in persona e lo pieghiamo al nostro progetto di ridurre gli
uomini. (...)
Cos’è, in sostanza, una civiltà? E’
l’insieme degli strumenti, delle idee,
delle costruzioni architettoniche e
intellettuali con cui una società cerca di .sfuggire all’insignificanza, di
affermarsi, affermando l’uomo che
essa produce. La civiltà ebraica in
cui Gesù è nato, aveva edificato un
Tempio, una legge, dei comandamenti e delle regole, un codice civile e penale, una letteratura, ecc.
Attraverso tutto questo essa affermava un certo tipo d’uomo, giudeo,
e giustificava l’esistenza e le abitudini di quest’uomo con la volontà di
Dio. Sotto questo aspetto, la civiltà giudaica era un successo, e del resto gli uomini non possono vivere
senza civiltà. Gesù non ha contestata la civiltà giudaica. E’ stato un
buon Giudeo, che conosceva bene
le Scritture e i costumi. Ma ha rivelato a questa civiltà i limiti di ogni
civiltà, dimostrandole con i suoi atti
che quando vuole affermare l’uomo
essa lo manca, quando lo vuole liberare lo asservisce, quando lo vuole salvare lo perde. E che l’uomo
non è affermato, liberato e salvato
se non quando Dio stesso facendosi
uomo mette in luce l’inanità dei
tentativi di civiltà. Gesù ha fatto vedere questo in un contesto molto
preciso, quello della Palestina del
primo secolo della nostra era.
Georges Crespy
(da L'Eglise servante des hommes)
5
■20 dicembre 1968 — N. 50 - 51
pag. 5
e ha abitato per un tempo tra noi
un e
breo
DIO
Non è stato un “cittadino del
mondo”, Gesù, ma un ebreo legato
alla sua piccola terra. Non ne è
uscito se non quand’era in fasce,
piccolo profugo rifugiato in Egitto; e gli evangeli hanno serbato il
ricordo di un netto rifiuto di oltrepassarne le frontiere, durante il
suo ministero (salvo un paio di
sconfinamenti estremamente limitati, nella Decapoli transgiordana
e « dalle parti di Tiro e di Sidone »;anzi in questa seconda occasione egli dice alla donna sirofenicia quella terribile parola: « Non
è bene prendere il pane dei figli e
buttarlo ai cagnolini », pur lasciandosi poi piegare dalla fede di quella madre). Si direbbe che, secondo
la testimonianza degli evangeli, almeno dei Sinottici, l’orizzonte di
Gesù sia molto giudaico, più di
quello di Paolo, abituato al vasto
respiro della diaspora. C’è una indubbia e voluta concentrazione,
nel ministero di Gesù, sul popolo
d’Israele: « È venuto in casa sua,
fra i suoi » (Giovanni 1: 11); « Non
sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele »
(Matteo 15: 24). Fino alla fine, Gesù rifiuterà di lasciare il suo popolo, la sua patria — in questo caso
come non mai la terra dei padri:
la terra della promessa. E volutamente salirà a Gerusalemme per
morirvi; lascierà che lo chiamino
« Figlio di Davide » e dirà di sì a
Pilato che gli chiede se è ü re dei
Giudei; e Pilato lo scriverà sul titulus affisso alla croce come motivazione della pena capitale: « Que:sto è il re dei Giudei ».
Sotto ogni aspetto, la sua vita è
quella di un pio ebreo, e l’apostolo Paolo condensa questa sua realtà umana in quattro parole: « nato sotto la legge » (Calati 4: 4),
quella legge, quel mondo dell’Antico Testamento — il patto, il comandamento, la promessa — che
egli non è venuto assolutamente
ad abolire, ma a compiere (Matteo 5: 17); e infatti sul monte
della trasfigurazione sono al suo
fianco Mosè ed Elia, a rappresentare la legge e i profeti.
Gesù di Nazareth è ebreo, membro dell’Israele dei patriarchi, dei
re e dei profeti; per parte di madre o di padre legale, o di tutti e
due, è della schiatta davidica. L’incarnazione è avvenuta davvero in
profondità, il figlio di Dio non è
divenuto membro dell’umanità in
generale, non è l’Uomo, ma quell’ebreo registrato a Bethlehem e
naturalizzato a Nazareth. No, veramente Gesù non è stato un cittadino del mondo, è stato l’opposto di una personalità universale,
membro dell’internazionale degli
spiriti eletti dell’umanità. Nè il
farneticare dei cristiano-tedeschi
su di un Cristo ariano ha potuto
modificare i suoi documenti di
identità: « Gesù è nato ebreo »,
come già Lutero scriveva in un
suo opuscolo così intitolato, nel
quale il Riformatore, del resto tutt’altro che tenero verso gli ebrei,
scrive dure parole contro le manifestazioni antisémite che anche allora erano moneta corrente.
Erano tanti i popoli ricchi di
civiltà, proprio in Israele doveva
nascere il figlio di Dio! Certo, la
coscienza di essere il popolo della
un r
abbi
E' stato osservato, con felice
'espressione, che il vangelo di Marco
oresenta « il Risorto che va verso la
croce»; cioè sia per chi ha scritto
■che per chi legge, è impossibile prescindere dalla fede nella Risurrezione. Ma chi incontrava Gesù nei villaggi e per le strade della Galilea,
non lo vedeva attraverso l'ottica di
questa fede : l'idea che si faceva di
Gesù, qual'era? Dedurlo dai vangeli
non è facile, per il motivo ora menzionato. Possiamo solo lavorare d'immaginazione.
Probabilmente la prima impressione che l'uomo della strada aveva di
di Gesù, era quella di un rabbi, un
maestro, uno scriba dedito all'insegnamento della Legge e della sua interpretazione. Ci sono due elementi
del testo evangelico che ci permettono di pensarlo con una certa sicurezza : il primo, è il fatto che Gesù era
sempre seguito da un certo numero
di discepoli. Il secondo era il suo insegnamento impartito in forma di
massime cosi simili, a volte, a quelle
dei rabbini dell'epoca o di poco posteriori, il suo richiamo all'Antico Testamento, il suo ossequio a tante norme della Legge (per es. Luca 17:14).
Queste affermazioni possono sorprendere il lettore di oggi, ma è perchè egli non può prescindere, leggendo quelle parti dell'insegnamento
di Gesù che più somigliano a quelle
dei rabbi del suo tempo, dalla conoscenza globale del messaggio del Signore e della testimonianza che gli
rendono i Vangeli, le Epistole, l'Apocalisse. Ma cerchiamo di metterci al
posto di chi occasionalmente l'avesse
incontrato... Solo dopo una prolungata dimestichezza con lui, sarebbero
balzate agli occhi le prime differenze
— e ancora, possiamo domandarci
se sarebbero state avvertite, senza un
intervento dello Spirito di Dio, o se
non sarebbero state interpretate addirittura come una inferiorità di Gesù
rispetto ai rabbi che tutti conoscevano! La sua apparente incapacità di
ragionare per mezzo delle sottili distinzioni di cui alcuni erano maestri,
il suo scarso amore per la casistica,
la noncuranza per le esteriorità della
condotta (ad esempio, per gli innumerevoli divieti in cui si concretava,
almeno per una parte dei Giudei, il
rispetto del giorno del Signore) non
erano forse tali da rendere dubbia
la validità della sua apparenza di
rabbi, e discutibile l'opportunità di
farsi istruire da lui?
Ma altri fatti dovevano colpire chi
10 seguiva o l'osservava: un rabbi
non avrebbe ammesso le donne fra i
suoi uditori o i suoi discepoli ; un
rabbi non si sarebbe interessato come lui ai piccoli fanciulli. E se il contatto con lui era più che occasionale,
emergevano altri contrasti, più profondi : un rabbi non avrebbe liberato
l'uomo dall'autorità formale della
Legge per metterlo di fronte alla necessità di una decisione personale, di
un radicalismo sconvolgente (Sermone sul monte o altre parole sul discepolato, p. es. Luca 9: 57-62).
C'era in lui qualcosa di estremamente diverso, pur nella somiglianza
di certi usi e di certi insegnamenti,
qualcosa che conferiva anche alla
sua figura di rabbi, un rabbi forse
meno « letterato » di altri, un'autorità senza pari (Me. 1 ; 22): mentre
l'insegnamento dei rabbini doveva
riportare gli uomini a Dio attraverso
11 pentimento e l'osservanza della
Legge, nell'insegnamento di Gesù
Dio si avvicinava agli uomini, e il
ravvedimento e la ricerca della sua
volontà diventavano la conseguenza
di questa presenza, di quest'iniziativa, della realtà del regno di Dio che
raggruppava gli uomini sotto il suo
governo, del mondo nuovo che dava
i primi segni di sè nelle parole e nelle opere potenti del rabbi di Nazaret.
Un rabbi diverso — tanto diverso,
che la sua via non era quella consueta della fama, del .prestigio, dell'autoritarismo, ma quella del servizio,
deH'abbassamento e della croce. E
per capire veramente chi era, non
c'era (e non c'è) altra via che percorrere quella medesima strada (Me.
8: 34)). Così, nonostante qualche accenno di apparenza contraria (ma ambigua ! Me. 1 : 37 ; 1 : 45 ; 6: 33 ecc. )
cresceva l'incomprensione e la diffidenza (Giov. 6: 66). E anche chi non
se ne andava, davanti a un rabbi
dalle caratteristiche così diverse dal
normale finiva per domandarsi : Chi
è dunque costui? (Me. 4; 42).
Bruno Corsani
Toràh — così facile a scadere in
orgoglioso e vano possesso — e
un nazionalismo acceso potevano
far velo a Israele; ma su tutta la
sua storia continua ad echeggiare
questa ammonitrice parola di Mosè: « Jahveh ha riposto in voi la
sua affezione e vi ha scelti,
non perchè foste più numerosi di
ogni altro popolo, chè anzi siete
meno numerosi di ogni altro popolo, ma perchè Jahveh vi ama... »
(Deuteronomio 7: 7). Un piccolo
popolo che ha di grande, come
Maria di Nazareth, soltanto lo
sguardo d’amore che Dio gli rivolge, la sua divina e onnipotente
elezione. Ed ecco, questo sguardo si concretizza in un modo indescrivibile: nasce l’Atteso, il
Preannunciato, il .Messia.
Gesù non nasce in una grande
potenza politica e militare, (e sì
che di Herrenvolk, di “popoli di
signori” ce n’erano anche allora!);
non in uno dei grandi popoli che
elaborano una cultura universale
e ne trasmettono l’impronta per
secoli e millenni; e neppure in
quella fonte inesauribile di spiritualità che è l'Oriente. Nasce in
un piccolo popolo asservito, del
tutto ai margini della vita e della
cultura, chiuso in una situazione
provinciale, forse al pimto più basso della sua parabola storica. Come per Israele prima e per l’apostolo e per il nuovo Israele poi,
anche per il Messia (l’Unto, il Cristo) la potenza di Dio si dimostra
perfetta nella nostra debolezza.
Gesù di Nazareth: ecco l’uomo, e
quest’uomo è il Kyrios, il Signore.
Gesù Cristo, un ebreo. Non poteva essere altrimenti, perchè « la
salvezza viene dai Giudei », come
egli stesso disse alla Samaritana,
al pozzo di Giacobbe (Giovanni 4: 22). Il patto di Dio, frutto
del suo IjeneplaKÌtp, è fedele. Come non attendere, con l’apostolo
Paolo (Romani 9-11), il giorno in
cui anche Israele riconosca il Salvatore che Dio ha fatto nascere
nel suo seno per il mondo intero?
Ricordando intanto che, com’ è
stato detto, tutti noi cristiani « siamo spiritualmente dei semiti », o
più precisamente degli ebrei: il disgusto o l’indifferenza di troppi
cristiani verso l’Antico Testamento sono di fatto un fraintendimento o un rifiuto della realtà del Cristo. Gino Conte
L’incontro con la povertà di Cristo è uno di quegli incontri che
l’uomo ha sempre cercato di evitare, che il cristiano ha cercato di
mettere tra parentesi, come una
verità sottintesa, risaputa, presupposta ma pericolosa e scomoda. Il
Cristo povero è, per il mondo cristiano, un’immagine che oscilla
tra la vecchia raffigurazione del
neonato ignudo di Betlemme, coricato sulla paglia, e la nuova figura del Cristo in tuta, lavoratore di
fabbrica.
In realtà queste immagini antiche e moderne non fanno che mortificare e deformare la statura di
Cristo collocandola su un piano
perfettamente naturale, cui è facile accostarsi. E infatti, davanti
al bambinello povero di Betlemme anche i nostri bambini imparano ben presto a sentirsi ricchi:
di quella ricchezza fatta di compassione, di buoni sentimenti, di
elemosine e di atti meritori, che
Gesù tanto chiaramente ha denominato ipocrisia. Cosicché la predicazione del presepe diventa una
predicazione che ci fa sentire creditori, anche di fronte a Gesù. Ed
è un tipo di predicazione che lascia gli uomini molto soddisfatti.
Specialmente a Natale.
C’è però un altro tipo di predicazione, ed è quella che Paolo
esprime con le parole: « ...Perchè
voi conoscete la carità del Signor
nostro Gesù Cristo, il quale, essèn
Per uno strano, ma significativo paradosso, tocca proprio a Toma
l’incredulo, il dubbioso, lo scettico fra i discepoli, colui che vuole vedere per credere, tocca proprio a lui pronunciare la più alta, la più
piena, la più inequivocabile confessione di fede in Gesù come Dio.
Dopo aver messo il suo dito nel segno dei chiodi e la mano nel costato
di Gesù, Toma esclama: « Signore mio e Dio mio! » (Giovanni 20: 28).
Nessun altro discepolo, neppure Pietro, ha mai osato confessare così
apertamente la divinità di Gesù, finché egli rimane su questa terra.
Figlio di Dio, Agnello di Dio, Santo di Dio, Figliuol dell'uomo, Messia,
Signore e altri appellativi ancora gli son stati dati dai discepoli e tutti alludono alla divinità di Gesù. Ma è solo Toma che l’ha chiamato
Dio. Qui non c’è più solo allusione, ma aperta attestazione. Dove l’incredulità è abbondata, la fede ora sovrabbonda. Toma, il primo degli
increduli, è diventato il primo dei credenti: « Signor mio e Dio mio! ».
L’uomo di oggi, che ha orecchiato il cristianesimo, non trova nulla di strano a dire o a lasciarsi dire che Gesù è Dio. Da duemila anni la
Chiesa lo ripete e tutti lo sanno. È una delle tante verità, più o meno
importanti, che circolano nel mondo e, forse lasciano il tempo che
trovano. Il fatto che un uomo, Gesù di Nazareth, sia chiamato Dio
non stupisce e non scandalizza l'uomo moderno, che è abituato a confondere l’uomo con Dio e Dio con l’uomo. Lo si vede anche nelle piccole cose: un’attrice di grido è considerata « una diva », cioè una dea;
una bella musica sarà subito chiamata « divina »; allo stadio, al calciatore che segna un bel goal, i tifosi gridano: « Sei un dio! ». L'uomo
non ha alcuna difficoltà a chiamare dio un uomo, perchè non sa più
che differenza c’è tra Dio e l’uomo.
Ma gli Ebrei lo sapevano. Gli Ebrei sono il popolo che meglio di
ogni altro sa che differenza c’è tra Dio e l’uomo, anzi sono forse l'unico popolo della terra che conosce questa differenza. È ima differenza
più grande di quella che c’è tra il cielo e la terra, tra l’anima e il corpo, tra lo spirito e la materia. Tra il cielo e la terra, tra l’anima e il corpo, tra lo spirito e la materia, c’è una differenza immensa. Ma tra Dio
e l’uomo la differenza è ancora infinitamente maggiore. Anzi, tra Dio
e l’uomo c’è più che una differenza, qualunque essa sia: c’e alterità.
Questo significa: Dio è una cosa, l’uomo un’altra. Il Dio degli Israeliti,
che parla nella Bibbia, dice: « Sono Dio, e non im uomo » (Osea 11: 9);
il credente israelita, che parla anch’egli nella Bibbia, dice: « Dio non
è un uomo come me » (Giobbe 9: 32). La testimonianza di Dio e la
testimonianza dell’uomo coincidono nell’affermare che Dio non è un
uomo e che l’uomo non è Dio, perchè Dio è una cosa e l’uomo un’altra.
Siccome gli Ebrei sanno questo, e lo sanno da ogni tempo, quando
si trovano in presenza dell’uomo Gesù di Nazareth che dice: « Io e il
Padre siamo uno » (Giovanni 10: 30), non esitano un istante a rispondergli: « Noi ti lapidiamo per bestemmia: perchè tu, che sei uomo, ti
fai Dio » (Giovanni 10: 33). Ma Gesù non si fa Dio: egli è Dio. Gesù
non è l’uomo che si fa Dio, è Dio che si fa uomo. Ma solo chi sa che
differenza c’è tra Dio e l’uomo può penetrare in questo insondabile
mistero di amore. Paolo Ricca
un povero
do ricco, s’è fatto povero per amor
vostro, onde, mediante la sua povertà voi poteste diventar ricchi »
(2 Cor. 8: 9).
Questa è una predicazione che
non piace agli uomini: perchè qui
la povertà di Gesù non è più una
lacuna che noi volonterosamente
possiamo colmare; qui essa significa r impoverimento, 1’ abbassamento totale destinato a farci scoprire quanto noi stessi siamo poveri. Non abbiamo nulla da dare.
L’infinita ricchezza di Dio è divenuta in Cristo infinita povertà; noi
non possiamo colmare questo abisso con la nostra compassione o
con la nostra filantropia; possiamo solo scoprirci infinitamente
debitori di fronte all’amore di Dio,
pronto a colmare incessantemente
il nostro debito insolvibile, attraverso Gesù. Scopriamo allora che
dobbiamo rinunciare alla nostra
inguaribile mentalità di ricchi, e
che questo implica una totale rivoluzione interiore, senza la quale
non potremo accedere al grande
dono di Dio: la sua infinita e autentica ricchezza. Di fronte al Crito dell’impoverimento, viva predicazione di giudizio e di grazia, noi
dobbiamo essere disposti a sentirci rimproverare continuamente la
nostra ricchezza anche se ci riteniamo dei generosi, a dare incessantemente sentendoci sempre debitori, a riconoscere che anche se
ci spogliassimo di tutto non arri
veremmo mai a saldare il nostro
debito nè a raggiungere la povertà di Gesù, perchè essa è il messaggio di Dio incarnato nella condizione umana una volta per tutte.
Se vogliamo scendere sul terreno delle immagini, possiamo dire
che l’unico oggetto attorno al quale le mani di Gesù si sono strette è
la croce: l’unico gesto di possesso
è stato per Lui quello di abbracciare il segno concreto dell’impoverimento totale. Ed è stato un
gesto insieme di accettazione e di
sfida, di sottomissione a Dio ma
di provocazione al mondo circostante.
Se non partiamo di lì, è impossibile che noi arriviamo a comprendere veramente il senso della
povertà: e anche i nostri tentativi
di passare dalle vecchie forme caritative della filantropia alle nuove forme del servizio diaconale
sono destinati a fallire se questo
passaggio non è il segno e il frutto
di un rivolgimento profondo, che
ci porti ad accogliere nel cuore
della nostra stessa povertà « la carità del Signor nostro Gesù Cristo », il grande annuncio di Dio.
Annuncio di grazia, di liberazione e di resurrezione, senza il
quale la predicazione di Natale diventa priva di senso, e il bambinello Gesù disteso sulla paglia una
nostra misera fantasticheria.
Rita Gay
6
l«g
N. 50-51 — 20 dicembre 1968
la Federazioiie Giovanile Evangelica Italiana
rhiRgncnio fella Fini a rlscaperta dal sao varo senso?
Gli SCODÌ dfiild FfidGrflZiOnfi docente alia chic- abbiamo cercato di esporre fin qui, si possa pare innegabile, dobbiamo ammettere che il
Gli scopi (teila Federazione
L’art. 2 del progetto di Statuto della FGEI
recita: «La Federazione Giovanile Evangeli« ca è un servizio reciproco tra le unioni e
« gruppi giovanili evangelici. Essa perciò in« tende :
« a) sostenere l’opsra di formazione, têtu stimonianza e serviv o delle unioni o grup.
« pi giovanili;
« b) coordinare e promuovere tutte le
« iniziative ed attività di interesse comune
« per le unioni o gruppi giovanili;
« c) manifestare nel settore giovanile la
« fondamentale unità del Protestantesimo ita« liano;
« d) curare i rapporti con similari orga« nizzazioni in Italia ed aU’estero ».
Le sottolineature sono nostre. Esse intendono mettere in rilievo alcune idee che potrebbero sfuggire : « unioni e gruppi », quindi non solo unioni di tipo tradizionale, ma
qualsiasi gruppo giovanile abbia gli stessi
scopi che sono precisati in seguito; quindi
anche il gruppo che si riunisce quindicinalmente iu Val Germanasca e che comprende
monitori, « giornalisti » in formazione, giovani impegnati in uno studio sociale, predicatori laici, insegnanti e quanti altri vorranno aggiungersi (v. G. Touhiv: Un convegno
fallito, in « DIAKONIA » anno VII, n, 4,
pagg. 24-25). « Formazione, coordinare, unità », sono i modi in cui il Protestantesimo
italiano ed ogni comunità locale hanno modo
di vivere la loro comunione fraterna in Cristo, nella prospettiva della trasmissione della
fede alle nuove generazioni. « Testimonianza v e a servizio » sono i modi in cui la chie.
sa dimostra di non vivere per se stessa, ma
per coloro per i quali Cristo ha dato la sua
vita, ai quali essa ha il debito di annunziare
questa realtà (testimonianza) e di dare, a sua
volta, le proprie energie (servizio). In questo
modo il progetto della Federazione Giovanile Evangelica prevede di portare avanti su
di un piano interdenominazionale ciò che la
FUV cerca faticosamente di porre come
obiettivo delle sue prospettive di « riforma
delle un.oni », sia pure, per ora, con scarsi
risultati.
Che per vivere questa prospettiva sia necessaria una riforma può apparire dubbio ad
alcuni, per i quali le unioni valdesi non posso*» non perseguire lo scopo della testimonianza, del servizio e della comunione fraterna nello stadio della Parola di Dio, In
realtà la famigerata espressione « riunire la
gioventù delle chiese in un ambiente sano e
religioso » che definisce lo scopo delle unioni nel vecchio statuto FUV ancora in vigore, non indica affatto una realtà ormai relegata neU’àrcheologia degli anni ’30, ma un
tipo di unioni dopolavoristiche che non riescono nemmeno a vivere la dimensione della
comunione che pur traspare nel verbo « riunire », le quali sono assai tenaci a scomparire e che vengoiio talvolta presentate come
il baluardo della fede genuina di fronte alla
disgregazione federativa interdenominazionale.
Il problema confessionale
Probabilmente, anche se questo discorso
non ha potuto essere presentato con la dovuta ampiezza, il Sinodo ha afferrato il senso
di queste riflessioni quando ha approvato, in
linea di massima, Tadesione delle Unioni
Giovanili Valdesi alla Federazione GEI. Non
pensiamo che sia stato un contentino dato
ai giovani e nemmeno Tapprovazione quasi
forzata di qualcosa che si vedeva come, ormai,
inevitabile : la FGEI, la riforma dello Statuto FUV., la riforma delle Unioni, sono tutti
progetti che vanno avanti contemporaneamente, che sono in fase di esecuzione parziale e di strutturazione giuridica contemporaneamente. Basterebbe che un punto del lavoro facesse cilecca, perchè tutto fosse rimesso in discussione a partire da zero. Il Sinodo
lo sapeva, perciò riteniamo che l’approvaz’one dell’O.d.G. della FUV sia stata mossa da
motivi teologici ed ecclesiastici, come era stato detto neU’iUustraz one dello stesso.
L’obiezione fondamentale a questo modo
di vedere le cose ci sembra essere la seguente: accettando in questo modo un organismo
interdenominazionale ed incoraggiando i glo.
vani e riferirvisi senza un preventivo consenso teologico riformato^ si rischia di compromettere irrimediabilmente Pintegrità della
fede e, con la stessa facilità con cui si fa oggi
una federazione coi Metodisti e Battisti, la
sj potrà fare domani con dei cattolici seguaci di Hans Kiing, prolungando, sìa pure di
molto, il discorso che, oggi, si fa aU’interno
delle varie confessioni protestanti.
Questa obiezione è grave e merita un’attenta analisi. Cominciamo dalla fine : le varie « confessioni ». La confessione di fede si
concentra, se ved'amo bene, ne’la storia del
protestantesimo, in una serie di documenti,
spesso divisi in vari articoli, i quali presentano una specie di condensato delle principali affermazioni di fede ad uso di coloro
che sono alVesterno del protestantesimo : le
« Confess oni di fede », appunto, che, in
questo senso, sono un atto di testimonianza
verso chi des'dera conoscere la fede evangelica. Solo in un secondo tempo, ed in un
momento di chiusura, le Ojnfessioni di fede
diventano un elemento di reciproco riconoscimento aTinterno, cioè l’elemento che sta
alla base del giud'zio sulle possibilità di stabilire una comunione o meno. L’importanza
fondamentale, però, è quella della testimonianza, non quella del riconoscimento interno dei credenti. Non a caso il riconoscimento si attua mediante il « discernimento degli spiriti » e non sulla base del « discernimento delle Confessioni di fede ». Il discernimento degli spiriti va ben al di là delle
confessioni di fede. In questo la Confessione di fede si differenzia dal dogma cattolico
che è essenzialmente una definizione di uso
interno, data dalla chiesa docente alla chiesa discente.
Ciò premesso resta pure il problema : « di
che cosa testimoniare? » Il contenuto della
testimonianza non è affatto di importanza
secondaria rispetto all’esigenza della testimonianza. A questo punto si colloca l’esigenza di una comune confess'one di fede
senza possibilità di sfuggirvi. Ma che eos’è
la confessione di fede? E’ solo e'-ò che si
presenta cod-ficato in un certo numero di
articoli o non è piuttosto la predicazione
della chiesa, come viene data in tutte le forme possibili? In altre parole: la confessione
della fede in campo giovanile evangelico ital’ano, è nella Confessione valdese, che poch'ssimi conoscono, nelle Confessioni metodista e battista che, probabilmente, conoscono solo i giovani che le hanno studiate alcuni aqni fa ad Agape o non, piuttosto, nel
giornale « Gioventù Evangelica », nei quaderni GEI, negli studi e nelle discussioni
che si fanno nelle unioni, nella predicazione
domenicale, nella meditaz'one comune nei
campi e nei convegni? Al pari delle classiche confessioni di fede, questa predicazione
è legata ad un momento storico e a determinate esigenze e, perchè no?, come sarebbe
possibile altrijnenti?, a certi condizionamenti contingenti. Ma pure, lì si vive la « fondamentale unità del protestantesimo italiano » sul piano della confessione della fede.
Rifiutare questo discorso, significa dare alle
Confessioni classiche della Riforma un peso
che non hanno inteso avere, cioè significa in
qualche modo sollevarle al di sopra del peccato, dar loro un valore normativo che soltanto può competere alla Scrittura; significa, in ultima analisi, ritenere che la teologia riformata è nata senza peccato, essa sola
nel vario intrecciarsi delle realtà umane, e
trasferire il trionfalismo ecclesiastico cattolico sul piano di un trionfalismo teologico
protestante.
Allora, non è la gioventù che rischia di
prolungare un discorso interno fino al cattolicesimo, ma è questa impostazione che ha
già prolungato un discorso estremamente
valido sul cattoheesimo, fino aR’interno del
protestantesimo. Il metodismo ed il battismo, con le loro esigenze etiche, sono così
accusati, come il cattolicesimo, di mettere la
creatura (l’uomo con le sue opere) accanto
al Creatore, senza tener conto del fatto che
i punti fondamentali della Riforma sono coniuni e che, invece, nel cattolicesimo se ne
trova qualcuno in un contesto di sintesi che
comprende non solo questi punti ma tutto
quello che le sorprese di oggi e di domani
ci potranno presentare, anche se ispirato al
più puro umanesimo, anziché al riferimento
alla Parola di Dio. La diversità di teologie,
quindi, che ha piena cittad-nanza negli scrit.
ti del Nuovo Testamento, viene definita come « diversità confessiomde ». La Federazione, luogo di incontro di diverse teologie,
viene messa sotto sospetto di essere il luogo
di incontro deU’Evangelo con l’eresia.
Non pensiamo che daU’analisi dei vari
luoghi (predicazione, « Gioventù Evangelica », quaderni GEI, ecc.) in cui si può rintracciare la « confessione di fede » della
Gioventù Evangelica Italiana, o, almeno, di
quel’a che conduce avanti il discorso che
abbiamo cercato di esporre fin qui, si possa
dedurre la benché minima intenzione di prolungare un discorso interno fino al cattolicesimo. La frase, abbastanza discussa, ma
riassuntiva che si può usare per riassumere
questa confessione di fede è queUa : « ci confessiamo cristiani e ci diciamo marxisti ».
Ci confessiamo, cioè poniamo in gioco la nostra vita, crediamo, in tutta la profondità
che Karl Barth dà a questo verbo nella sua
analisi del « Credo ». Ma non è poss bile illudersi di credere neUe nuvole; crediamo
come uomini; e la situazione condizionante
nel tempo provvisorio della vita prima del
Regno, preferiamo riconoscerla, per esserne
il più liberi possibile; quindi ci diciamo
marxisti, in sensi assai diversi gli uni dagli
altri; o addirittura neppure tutti, senza che
questo sia posto come questione senza la quale sta o cade la testimonianza. Forse, piuttosto che « ci diciamo marxisti », si può dire
meglio, « ci diciamo rivoluzionari », benché
pure questo termine sia equivoco quanto il
precedente per la moltitudine di significati
che può assumere.
Il luogo In cui II Valdismo
ritrova se stesso
Ma dall’incontro delle diverse teologie
che, riteniamo, avviene nel contesto della
federazione, quale risultato emerge? Una
sintesi di tipo cattolico in cui l’Evangelo è
messo accanto a qualcos’altro? oppure una
sintesi di tipo evangelico in cui i vari elementi dell’Evangelo assumono le loro reali
dimensioni e le giuste proporzioni?
Se accettiamo di iiistinguere nella storia
del valdismo il periodo della prima Riforma, in cui l’etica del Sermone sul monte
assume un rilievo primario ed ispira di sè
tutta l’impostazione della protesta, anche, a
volte, in un senso legalistico, quasi che questo passo fosse il codice del comportamento
del cristiano anziché l’annunz o della vita
nel Regno; e il periodo della seconda Ri
forma, in cui per timore che la giustifica
zione per sola grazia sia compromessa, si fi
nisce per lasciare in second’ordine le esigen
ze pure poste chiaramente nel Nuovo Testa
mento delle opere verso il prossimo, se accet.
tiamo, dicevo, questa ■ distinzione storica, che
Santa Severa: 6-16 Agosto 1969.
Campo della Gnveotfl
EvangtìiEa Italiana
Tema: LA COMUNITÀ’ CRISTIANA.
Direzione : Paolo Spanu, Giorgio Cardici,
Luca Zarotti. - Quota: L. 18.000 più 3.000
iscrizione. . Tempo libero per i bagni di mare ed escursioni. . Possibilità di ripetizioni
per ragazzi rimandati ad ottobre.
Iscrizioni : presso i Segretari generali dei
vari movimenti.
pare innegabile, dobbiamo ammettere che il
valdismo della seconda Riforma è stato una
negaz one del valdismo della prima Riforma, come la Riforma protestante è stata una
negazione deU’Anabattismo.
L’etica del Sermone sul monte senza Pannunzio della Grazia è un’etica monca; l’annunzio della Grazia senza le opere del Regno è privo di vita. L’annunzio della Grazia
priva di fondamento il fraintendimento legalistico del Sermone sul monte; il Sermone
sul monte priva di fondamento il fraintendimento quietistico (cioè del quieto stare, della mancanza di opere) dell’annunzio della
Grazia. Il Valdismo non può ritrovare pienamente se stesso o, meglio, non può ritrovare l’Evangelo se non in questa visione totale. Ma dove troverà questa visione? Sarà
forse nella cultura dei suoi intellettuali avvertiti a tutte le possibili deviazioni del pen.
siero teologico, a tutte le estreme-implicazioni anche delle posizioni che a prima vista sembrano le più innocenti, per mettere
in guardia chi rischierebbe di lasciarsene ingenuamente affascinare? 0 non sarà piuttosto nella comunione con coloro che, all’interno del Protestantesimo italiano, sono in
qualche modo gli eredi del non conformismo
degli anabattisti, o della successiva protesta
al rinnovato trionfalismo ecclesiastico unito
al costantinianesìmo della nascente società
industriale inglese, cioè coi fratelli Battisti
e Metodisti? 0^ qualora un giorno tale op*
portunità si presentasse, coi rigorosi rappresentanti delTetica individuale che sono i
protestanti che ancora non fanno parte della Federazione?
Vero è che, in una certa misura, il valdìsmo sta trovando in se stesso la sintesi fra
la prima e la seconda riforma, come dice
giustamente il Prof. Valdo Vinay, a cui sono
debitore delle osservazioni dell’inizio di questo paragrafo (v. V. Vinay : La prima e la
seconda Riforma nel passato e nel presente
della Chiesa Valdese, in cc Protestantesimo »,
3-4/1967, pagg. 129-147) e che probabilmente non condivide l’uso che sto facendo
delle sue idee. Questa sintesi la sta trovando nel movimento di Agape e Ricsi. Ma
non è per caso sintomatico il fatto che proprio il movimento di Agape ha sentito assai
forte la necessità di vivere in modo più intenso l’unità del Protestantesimo italiano e
di riprendere un progetto mai totalmente
accantonato che vive fin dal secolo scorso?
E inoltre, è il movimento di Agape un movimento « valdese » o non, piuttosto, un
movimento « federativo », se possiamo chiamarlo così, ante litteram? Agape ha voluto
la federazione perchè l’ha vissuta innanzitutto in se stessa. Lì è stata trovata, per un
tempo, la via del giusto equilìbrio fra teologia e prassi, fra confessione di fede ed opere annunziatrici del Regno.
Se questa è la via per la quale la Gioventù Valdese si avvia verso la Federazione,
non pensiamo che quella dei compagni di
viaggio sia diversa. Anch’essi vivono l’esigenza di essere dei testimoni della Grazia e
dei servitori nel nome di Cristo. Per questo
credo che possiamo dire che sono vicini alla
Riforma, anche se non sono, nè devono essere, dei calvinisti.
Claudio Tron
Al Sinndo riiormato di Grasse sulla Costa Azzurra
0
Strategia ecclesiastica e contestazione giovanile
Uno sforzo di evangelizzazione in Corsica: qualche italiano i/i si impegneià?
Dal 22 al 24 Novembre ha avuto luogo a Grasse il Sinodo della 11® Regione della Chiesa Riformata di Francia.
Grasse è una bella cittadina nelTentroterra fra Nizza e Cannes, situata in
una splendida posizione ad anfiteatro.
Anticamente era un centro vescovile
ma oggi è soprattutto nota per le sue
distillerie di profumi, oltre che come
località climatica. Nei dintorni è stato recentemente costruito un villaggio
per vacanze, costituito da edifici con
camere individuali, mentre le famiglie
possono essere ospitate in piccole casette. Questo villaggio, come alcuni altri, è sorto per iniziativa del Governo.
Se la nostra Chiesa avesse le possibilità di costruire qualche cosa di simile,
anche in scala ridotta, non sarebbe denaro buttato via.
La Chiesa Riformata, pur essendo
fortemente minoritaria, fa sentire in
Francia una presenza bene al di là
della sua consistenza numerica. L’assistere a un suo Sinodo è sempre una
esperienza benefica.
L’incarico di Moderatore, come qui
è chiamato il Presidente del Sinodo, è
stato assolto dal Pastore di Tolone,
D. Lestringant, che aveva come vice
presidente il simpatico Pastore di Avignone, G. Merminod. Questi ci saluta
in buon italiano, avendo frequentato
alcuni anni fa la nostra facoltà di teologia.
Il problema di fondo che ha occupato molto tempo è stato quello di un
diverso raggruppamento delle regioni
ecclesiastiche. Il territorio nazionale
è ora diviso in 11 Regioni, secondo
una ripartizione che risale al 1938. A
causa anche di notevoli spostamenti
delle popolazioni, questa suddivisione
non sembra più rispondere alle necessità, per cui si parla di avere soltanto
più 4 o 6 Regioni. Il progetto prevede
che i presidenti di queste Regioni facciano parte del Consiglio Nazionale.
Si farebbe così in senso inverso il
cammino del Sinodo Valdese, quando
decise che i Capidistretto non avrebbero più fatto parte della Tavola.
La Chiesa Riformata sembra avere
risentito degli avvenimenti che hanno
turbato la Francia lo scorso Maggio.
Il presidente della Regione, il Pastore G. De Dadelsen, caro amico della
nostra Chiesa, ha anche presentato
uno studio sull’argomento e il Sinodo
10 ha poi discusso per gruppi. A questi erano state presentate le seguenti
domande: Come si può essere, praticamente, nella società dei consumi,
dei testimoni dinamici del senso che
l’Evangelo dà alla vita? Ritenere che
la partecipazione responsabile dei dipendenti di una impresa sia realizzabile? A quali condizioni? A quali conseguenze deve condurre nella Chiesa
11 principio del sacerdozio universale?
È compito della Chiesa di partecipare
allo sviluppo dell’umanità? In che
modo?
Un rapporto particolarmente interessante è stato anche quello presentato dal Pastore Roland De Pury, a
noi ben noto anche per qualche suo
lavoro pubblicato dalla Claudiana.
L’attività del De Pury si svolge a favore degli studenti universitari e la
sua collaborazione è sovente sollecitata anche da ambienti estranei alla
Chiesa Riformata.
Un quadro meno incompleto dovrebbe presentare altri problemi che ci darebbero un’idea della multiforme attività di questa Chiesa sorella. Per
esempio, accenniamo al lavoro di
evangelizzazione in Corsica, dove una
iniziativa denominata «la via dei giovani» richiama ogni armo dei gruppi
da varie parti d’Europa. I giovani Pa
stori di Bastia e di Aiaccio hanno manifestato la viva speranza che dei giovani Valdesi partecipino a qualcuno di
questi campi di lavoro e di evangelizzazione.
Non possiamo terminare senza ricordare il culto celebrato nella bella
cappella inglese di Grasse. Il Pastore
Philippe Marthy, di Marsiglia, ci ha
fatto correre un Ijrivido per la schiena
quando, iniziando il culto, ha avvertito l’assemblea che non ci garantiva di
poter finire il culto, in quanto l’edificio era gravemente pericolante, e non
era dlflacile rendersene conto osservando le numerose fenditure nelle pareti. Ma tosto la predicazione ci ha
afferrati, facendoci dimenticare ogni
altro pensiero. La colletta all’uscita, a
favore dei restauri del tempio, deve
essere stata particolarmente fruttuosa.
In assenza del nostro Moderatore,
impossibilitato a intervenire, nel corso dei lavori di Sinodo ci è stata data
la parola, e abbiamo portato i saluti
della Chiesa Valdese.
Roberto Nisbet
FRALI
Il 24 dicembre alle 19,30 verrà celebrato
il culto con Santa Cena per i partecipanti a
questo « culto del giovedì ».
I] 29 dicembre alle ore 20, nel tempio, il
M.o Ferruccio Corsani offrirà un concerto
con il nuovo organo, offerto da amici tedeschi; parteciperà anche la corale di Frali.
POMARETTO
SCUOLA LATINA
Offerte ricevute fino al 15-12-1968 dalla
Direzione che, sentitamente, ringrazia.
Ferrerò Valdo (Chiotti) 10.000; Tron Enrico (Pomaretto) 10.000; Alberto e Rita Bou.
chard (S. Germano Chisone) 5.000; Giulietta Raima (Parma) 5.000; Rochon Amelita
(Villar P‘) 10.000; Vinçon Danila (Pina*
sca) 15.000; Tron Ginetta (Pomaretto) 5.000;
Rivale Anna (Pomaretto) 5,000; Pons Marcella (Pomaretto) 5.000; Marchetti Silvana
(Pomaretto) 5.000; Tron Wanda (Perosa A.)
10,000; Pons Guglielmo (Pomaretto) 10.000;
llda, Adele, Bianca in mem. cug'no Aldo
Vinçon (S. Germano Chisone) 10.000; Ro*
stan Clara (Pomaretto) 10.000; Baret Erica
(Pomaretto) 30.000; Mimi Mathieu (Pomaretto) in mem. papà 5.000.
Pro Campana Scuoia Latina : Guido Gay
(Milano) in mem. Aldo Vinçon 10.000; Giraud Edoardo, Miranda, Alma (Pìnerolo) in
mem. Aldo Vinçon 15.000; Geymet Amalia
(Villar P.) 10.000; N. N. 250.000.
liiiiiiiiiiiimmiiiiiiiiiiii
I lettori
ci scrivono
Auguri
dal Gabon
La missionaria Laura Nisbet, inviandoci lo scritto che le avevano chiesto
sulle celebrazioni natalizie gabonesi, ci
dà alcune notizie sul suo lavoro.
La mia attività d’« infermiera » tra
i piccoli Bìafrani si è limitata al breve
soggiorno nella capitale, ma so che questi bambini, da allora, han fatto rapidi progressi tant’è che per loro il problema attuale non è più tanto quello
della salute quanto queUo dell’istruzione. Fortunatamente con loro son pure arrivati degli Ibo adulti, infermieri
e maestri che si fanno in quattro per
riorganizzare la loro vita in terra straniera.
A Mful ho ripreso l’insegnamento
al Collegio e alla Scuola Domenicale
con ben 120 bambini. Il lavoro, come
sempre, è appassionante.
A lei e ai lettori i migliori saluti e
auguri, anche da parte della signorina Anita Gay. Laura Nisbet
Ricambiamo di cuore!
L’ecumenismo
del card. Bea
Un collaboratore, da Torino :
Caro direttore, . #
ho letto sul n. 49 di « Eco-Luce » l’articolo di Paolo Ricca intitolato « Uno
strano telegramma » e siccome egli lo
ha scritto a titolo « strettamente personale », desidero, a nome di un gxuppo di altri fratelli in fede, e certo di
interpretare il pensiero di altri ancora,
ringraziarlo vivamente per la sua pronta ed opportuna messa a punto.
Come i lettori certo ricorderanno,
sto alludendo al telegramma inviato
dalla Federaz'one delle chiese evangeli,
che in Italia al segretariato (cattolico)
per l’unione dei cristiani, in occasione della morte del card. Bea.
Anche noi non possiamo proprio ricordare il card. Bea — pur colla dovuta considerazione e rispetto per la
sua attività — come « apostolo delTiinità dei cristiani ».
Non possiamo dimenticare che la
chiesa cattolica è sempre la chiesa della Controriforma e che il suo ecumenismo è sempre a senso unico (naturalmente sto parlando del campo strettamente religioso teologico, mentre certamente maggiori progressi si sono avuti in comuni azioni a carattere sociale
od assistenziale, ma questo è un altro
discorso).
A suffragio di quanto sopra, desidero riportare qui appresso alcune parole dello stesso card. Bea, che ho riletto su quell’aureo libretto del pastore
Nisbet, dal titolo « Ma il Vangelo non
dice così » a pagina 75 :
(c Nessun cattolico bene istruito crederà che il Concilio (evidentemente si
allude al Conc. Vat.) possa o voglia
cambiare neanche un solo dogma. E
un compito imprescindibile delVautorità ecclesiastica., del Sommo Pontefice
e del Concilio, di conservare piena ed
integra la dottrina trasmessa dalla tradizione e nessun amore ai fratelli separati ci può indurre a toccare minimamente il deposito scaro della fede.
Ogni tentativo irenistico di attenuare
e di livellare la dottrina sarebbe una
infedeltà all’ordine ricevuto dal Signore ».
Mi pare che ogni ulteriore commento si renda perfettamente inutile.
Un fraterno saluto.
Roberto Peyrot
Abbiamo ricevuto
In memoria del fratello Umberto
Stuart Revel, Emilia Babboni Revel,
per il Collegio Valdese L. 25.000, per
Villa Olanda L. 25.000.
In memoria del pastore Seiffredo
Colucci, per Villa Olanda, Selma Longo L. 3.000.
In memoria di persone care, Irma
Schellenbaum, per l’Ospedale di Pomaretlo L. 5.000, per la Casa di riposo
di S. Germano L. 5.000.
Ringraziamo e trasmettiamo.
7
20 dicembre 1968 — N. 50-51
pag. r
LA NOSTRA INCHIESTA SULLE TENSIONI NELLA CHIESA
Fra gli operai valdesi di Torre Pedice
Echi della settimana
Proseguendo nella pubblicazione dei risultati del nostro sondaggio, lancialo nello scorso settembre, pubblichiamo oggi un primo
contributo da Torre Pellice: qui un gruppo
di giovani ha svolto tutto un lavoro di contatti personali, di conversazioni e di interviste. raccogliendo una messe di dati e di
opinioni. Siamo molto riconoscenti a questi
amici per il loro lavoro, che ora ci presen
lana in forma sintetica, per settori. Comin
damo, questa volta, con i dati raccolti con
versando con operai valdesi di Torre Pellice
red.
Il nostro sondaggio tra gli operai
ha posto in evidenza una situazione
allarmante: ci siamo trovati di fronte
all’indifferenza generale.
I giovani lavoratori, costretti a percorrere quotidianamente parecchi chilometri per recarsi sul luogo di lavoro,
hanno a disposizione pochissimo tempo libero che generalmente dedicano al
cinema, alla televisione, al ballo, alla
ragazza.
La « contestazione » giovanile, ma
non solo giovanile, che scuote fortemente la chiesa in tutto il mondo, rimane per loro un fatto lontano, e quasi privo di interesse: sono i loro coetanei studenti che, non avendo nulla
da fare, si divertono a « contestare »
iì sistema. «Ma se provassero a lavorare un po’!...».
I giovani operai hanno palesato un
ISotiziario
ecumenico
a cura di Roberto Peyrot
UNA CHIESA AMERICANA
RICONOSCE L'OBIEZIONE
DI COSCIENZA ( PARZIALE ! )
Augusta. Georgia^ USA. (bip) - L^assemblea
generale della chiesa episcopale degli Stati
Uniti, tenutasi ad Augusta, ha adottato una
risoluzione che riconosce a qualunque perso*
na il diritto di essere obiettore di coscienza per
una guerra determinata. (Questa risoluzione,
personalmente non ci piace, in quanto una
chiesa, a nostro avviso, non può assolutamente distinguere fra guerra “giusta” e guerra “ingiusta”: deve condannare tutte le guerre. anche se talune guerre, come ad esempio
quella del Vietnam, pOS.sono particolarmente
destare sentimenti di indignazione e di obbrobrio).
La parie finale della risoluzione dice:
« Moi, vescovi, riconosciamo il diritto di
per motivi di cosciensforzato di conoscere le
in causa, di partecipare
guerra (notare che una
vHMi^^hla guerra del Vietnam è
e se non dovesse mostrare lo stesso pacifismo nei riguardi di tutte le
guerre, e chiediamo caldamente che il nostro
governo iscriva questo diritto nella legge sul
servizio militare »,
LA PRIMA PARROCCHIA
ECUMENICA NEGLI U.S.A.
Kansas City, U.S.A. (soepi). - Il 10 novembre scorso è stata inaugurata a Kansas City la
prima parrocchia ecumenica americana; un
prete cattolico ha detto la messa alle 9 ed
un pastore presbiteriano ha presieduto ad un
culto alle 11. La chiesa di S. Marco ed il
centro ecclesiastico sono situati in una cosini,
zione moderna, in un quartiere povero della
città, dove verranno costruite case d’abitazione con bassi affitti. Questo quartiere conia
10 mila abitanti, in maggioranza negri. Tranne che per i servizi domenicali, tutte le altre
attività saranno svolte in comune.
I LUTERANI U.S.A.
E LA CRISI RAZZIALE
Omaha, IJ.S.A. (soepi). - La chiesa luterana americana, durante la .sua quarta convenzione generale ha assunto una serie di decisioni relative alla crisi razziale; essa però ha
rifiutato di riconoscere la fondatezza dell’obiezione di coscienza ad una guerra particolare
e di condannare la guerra del Vietnam. (Proprio in questi giorni, in occasione 'ella cessazione dei bombardamenti americani de]
Nord Vietnam, ci viene ancora confermato da
fonte non sospetta c cioè dal Dipartimento
americano della Difesa che è stata sganciata
dagli U.S.A. sul Vietnam una quantità assai
superiore di bombe, di quanto non siano stat.; lanciate sull'Europa intera durante l’ultimo
conflitto mondiale!).
Circa il problema razziale, essa dichiara che
non vi c alcun fondamento biblico per condannare un matrimonio fra razze diverse; .approva stanziamenti vari e progetti 'n favore
dell eguaglianza razziale.
Dopo un lungo dibattito sul problema delI .iliiczione di coscienza a certe guerre, la conven.'ioiic ha deciso di restituire, per una più
ampia informazione, un testo presentato della commissione per l’Azione Sociale della
Chiesa.
In una dichiarazione intitolata « Vietnam
1968 » viene espressa la « crescente angoscia
davanti alla perdita di prestigio del nostro
paese e della sua leadership morale a causa
della guerra»; essa precisa poi che « l’uso
dello forza militare deve essere guidato
dalla considerazione dei valori e dei diritti
dell’uomo ».
Da parte sua il presidente luterano pastore
Schiotz, ha pregato i delegati di sostenere un
programma di aiuto ai paesi in via li sviluppo, quale protesta contro le riduzioni degli
aiuti all’estero, votate dal Congresso degli Stati Uniti.
certo malanimo nei riguardi dei loro
coetanei studenti « contestatori », una
certa invidia per la loro condizione
privilegiata, una incomprensione assoluta per i loro problemi.
Abbiamo cercato di far loro presente che ci troviamo di fronte ad una
questione seria, decisiva forse per la
nostra generazione e per la Chiesa:
hanno confermato ancora una volta il
loro disinteresse totale per i problemi
della Chiesa che rappresenta infatti
per loro un mondo lontano e chiuso,
quasi un cenacolo di intellettuali occupati a discutere in termini incomprensibili, problemi vani ed astratti.
Ezio Odin, anni 19, dice : « La Chiesa
mi interessa poco, del resto non fa
nulla per me, non fa nulla per gli
gli operai ».
Esiste una minoranza di giovani lavoratori che ha preso coscienza del
problema, che si interessa della vita
della Chiesa, alcuni condividono, almeno parzialmente, le idee « contestatarie », altri ancora aderiscono addirittura al M.C.S. (Movimento Cristiano Studenti). Viene sovente criticato
1’«operato» dei pastori; anzi i pastori
non « operano » affatto : agiscono nel
loro mondo lontano, in collaborazione
con una ristretta cerchia di eletti.
Mario Sibille afferma che il pastore
« dovrebbe occuparsi più da vicino di
tutte le persone della comunità», dialogare con tutti i giovani, non solamente con il gruppo contestatore che
ha — secondo il Sibille — il torto di
avere le idee ben poco chiare. « Gli
studenti contestano, non dico che abbiano tutti i torti : ci sono diversi
punti positivi nel loro movimento; però non sanno esattamente ciò che vogliono e contribuiscono solo ad aumentare la confusione ».
La grande maggioranza degli operai
non ha comunque la coscienza deha
« crisi », della « confusione ». I giovani
sono lontani, non sentono di doversi
occupare della Chiesa dalla quale si
sentono tagliati fuori. I più anziani
sono generalmente completamente assorbiti dai loro problemi familiari ed
economici: i loro figli andranno a lavorare presto, non avranno il tempo
di giocare alla ’’contestazione globale”,
e se potranno studiare dovranno lavorare sodo senza « perdere tempo » per
arrivare alla « posizione ». La Chiesa è
lontana, non ha per loro nessun significato: è in crisi? Sì, certo se ne rendono conto, ma... «se facesse un po’
meno politica!....»
Non si interessano della Chiesa: si
limitano ad andare al culto di tanto
In tanto, a mandare ì loro figli alla
Scuola Domenicale ed al Catechismo;
non leggono 1’« Eco » affermano che
è un giornale di sinistra, che si serve
di un linguaggio troppo diffìcile, che i
contenuti sono troppo tistratti e lontani dal loro mondo.
E’ sconcertante il fatto che in tutti
i nostri contatti abbiamo sentito parlare molto raramente di Dio, di Evangelo, di fede; si è parlato di Chiesa
non come comunità di tutti i credenti,
ma come istituzione, o serie di istituzioni umane, in cui agiscono poch.
eletti.
Ecco alcune affermazioni significative :
« Non partecipo alla vita della Chiesa
perchè nessuno me l’ha mai chiesto;
non so neanche cosa dovrei fare...»
« La Chiesa non si interessa di noi operai: prendono delle decisioni e noi
non ne sappiamo niente. I giornali della Chiesa? Ne leggo due righe... poi è
troppo diffìcile per me ». « La Chiesa
è in crisi? I miei amici ed io siamo
fuori di casa dodici ore al giorno, cosa
vuole che ne sappiamo?» «Per me la
Chiesa non esiste più, esiste per quelli
che ci sono dentro ».
Il quadro è dunque allarmante: certo, ci sono numerosi operai impegnati,
attivi, preparati: ma non lasciamoci
trarre in inganno, la stragrande mag
gioranza vive ai margini della Chiesa
e, quel che è più grave, non è più sensibile ai problemi religiosi, non si pone il problema di un’esistenza cristiana.
Di chi la colpa? Un operaio ci ha
detto che la Chiesa è rimasta addormentata, che non è più di questo mondo : « Sovente ho sentito dire che i
Cattolici sono rimasti al Medio Evo...
non so, ma ho l’impressione che anche la nostra Chiesa non sia più adeguata ai tempi».
Valdo Armand Hugon e
Attilio Sibille
tiiiimiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiimiiiiiiiiiimiiiimiimiiiiiiiiiii)iiii
:iiiiitmniMimitiMimiiiiiinii'M
iiiiiiiilintiiniiiiiiiNiiimiiiiiimiiiiimiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
■ ti;-- Il.. iff'iiniiMiaii
Pro Collegio Valdese
Ofjerte ricevute : Pastore Silvio Long, in
memoria del doti. Quattrini L. 20.000; Elisa Benecb 20.000; Osvaldo Gbirardi 15.000.
RETTIFICA
Per una svista, neWarticolo del prof. Donini, pubblicato nel numero scorso, è stata
saltata parte di una frase, falsandone il significato. La frase rettificata suona così:
« Tutte le riserve sul ’’catechismo dell’Isolotto” contenute nell’art. di G. Conte sono
applicabili anche alla contestazione nella nostra chiesa, anzi n ragione^ perchè
da noi non si pone là questione di una gerarchia ecclesiastica autoritaria, che potrebbe parzialmente giustificare certe reazioni
in campo cattolico ».
iiiimiimiimiimiimiimii
iiiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiimimiiiMiniimii
Le opere sociali della Chiesa Metodista
L’opera in Rapolla (Lucania)
Da alcuni anni (dal 1961) in Rapolla funziona una Scuola Materna, legalmente riconosciuta, per l’assistenza e l’educazione dei
fanciulli.
E’ frequentata normalmente da una ventina di bambini dai 2 ai 5 anni appartenenti a famiglie molto povere del paese.
E’ un’opera sostenuta daUa Chiesa Metodista d’Italia e da sostanziali contributi della Comunità Melodista di lingua inglese di
Roma. Non riceve un regolare sussidio dallo stato il quale, molto saltuariamente, invia
un contributo per disposizione ministeriale.
Rare sono le offerte volontarie delle altre
Comunità evangeliche in Italia.
Con la nuova strutturazione del lavoro
cvangelistico in Lucania da parte della Chiesa Metodista, si è ritenuto necessario fare il
punto della situazione dell’Asilo infantile di
Rapolla e delineare con chiarezza il suo sviluppo nel futuro. In un incontro avutosi a
Napoli il 16 novembre tra il Sovrintendente
del Circuito pastore Paolo Sbaffi, il Vice Presidente Doti. Emidio Sfredda, il pastore
Keighley (membro del Comitato di Azione
Sociale), ed il Direttore dell’Asilo Evang.
Ciovanni Anziani, sì è esaminato in modo
molto critico l’opera sociale di Rapolla.
1) Un giudizio negativo: Si c rilevato
che la Comunità locale non sente l’Asilo come un segno della propria testimonianza all’Evangelo del Regno, come uno strumento
per concretizzare — sia pure in modo provvisorio — nella realtà della vita del paese
la liberazione e la salvezza del Signore. Forse è mancata un’opera alla base della Comunità che preparasse i membri di Chiesa a
vivere in un impegno di servizio. Tutto è
stato fatto in una maniera quasi « paternalistica », cioè dall’alto, ed avendo come scopo solo la semplice assistenza ai fanciulli
anziché il profondo mutamento della mentalità dell’individuo. Per cui, attualmente,
l’opera dell’Asilo non incide sulla mentalità
chiusa e fatalista del paese.
2) Un tentativo di nuovo lavoro: Con
aiuti dall’estero (Olanda, ecc.) si è dato
inizio, lo scorso anno, aU’acquisto di un terreno in una zona alta del paese, ricca di
aria pura e spaziosa, ed alla costruzione di
una nuova costruzione. Tale costruzione, la
quale verrà a costare circa 10 milioni (attualmente si è fatto un lavoro di 2 milioni),
servirà per un nuovo Centro sociale avendo
come scopo i seguenti punti :
a) fondamentalmente l’azione della Comunità locale deve essere quella dell’agape
di Dio, cioè dell’amore nel dono di sé stessi.
cercando di incidere sulla mentalità locale
promuovendo il rinnovamento sia di mentalità, sia di situazioni economiche.
b) Disporre di spazio, locali, finanze sufficienti ad assicurare una assistenza ad un
numero minimo di 40 fanciulli. Tale assistenza infantile deve poi ripercuotersi sulle
famiglie in modo da educare gli stessi genitori ad allevare in maniera più umana i
loro figli. A questo scopo vi è nella Comunità una Insegnante puericultrice.
c) Organizzare un dopo-scuola, una biblioteca, e promuovere incontri giovanili. Questo
non per uno scopo puramente di aiuto scolastico, ma per preparare i giovani a vivere
con la nuova mentalità dell’Evangelo, cioè
a non correre verso il raggiungimento di
posti di lavoro quali « imboscati » (posti statali) o a fare scelte economiche e lavorative
solo seguendo la tradizione o l’interesse meramente venale. Im conclusione operare per
una educazione giovanile che nrepari le
nuove leve ad essere aperte verso il servizio
e ad avere le capacità morali per compiere
le proprie scelte d’impiego di lavoro nel modo più giusto. Per questo difiìcile compito
si è alla ricerca di un uomo adatto.
Attualmente cosa fare e cosa si fa.
a) Si continua il lavoro pei fanciulli raggiungendo le famiglie con visite tendenti alla
rieducazione deUa famiglia.
b) Si opera coi mezzi comunitari tradizionali (studi biblici, visite pastorali) per
preparare una nuova Comunità aperta al
servizio.
c) Si dà inizio ad incontri coi giovani
del paese per intraprendere contatti ed allacciare rapporti in vista di uri lavoro più
proforido.
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LA SITUAZIONE
IN CECOSLOVACCHIA
Tale situazione sembra soprattutto caratterizzata da un aggravarsi progressivo
delle condizioni economiche. La sera di giovai 12 c., il presidente del Consiglio Cernik ha tenuto un discorso sull’argomento,
che è un vero grido d’allarme.
« In tutti, o quasi tutti i campi — egli
ha detto — una pericolosa situazione s’è
creala negli ultimi due anni e va peggiorando. La produzione economica, che aveva
conosc.uto un momento di rilancio, ora ristagiui. V’è la minaccia dell’inflazione, già
sensibile in certi settori; è prevedibile il
deprezzamento della moneta.
D’altra parte il sig. Sik (massimo esperto
in materia, attualmente in Svizzera), non
ha voluto nascondere che i rimedi per combattere la crisi, non sono ancora disponibili.
I tecnici e gli operai non hanno ancora nessuna linea direttiva, chiara, sulla quale appoggiarsi; al contrario, anzi, v’è il dubbio
più grande. Si e ben lontani da una decisiorie sul problema della pianificazione: se
cioè sia preferibile una pianificazione rigida
come quella che esiste attualmente, oppure
una elastica e duttile.
Quanto alla riforma monetaria, Cernik
l'ha respinta risolutamente. Egli vede nel
commercio estero i ’’rischi più grandi” per
l economia del paese, e ciò a causa dell’insufficienza della produzione, della Qualità dei
prodotti e del livello tecnico. La produzione
generale, nel 1968. è aumentata del 7,2%,
mentre gli scambi esteri hanno progredito
soltanto del 4,2%. Cernik ha energicamente
smentito ogni possibilità di ritorno a metodi
capitalisti. Ha raccomandato lo studio dei
seguenti tre punti; diminuzione delle sovvenzioni statali, politica antinflazionistica resa efficace con un appropriato regime di tassazioni, preparazione e promulgazione di leggi sull’impresa e la partecipazione degli operai alle gestioni. Cernik ha concluso: ’’Noi
non permettiamo che le generazioni future
ereditino un’economia devastata; non possiamo sfuggire al dilemma: o facilitare il compito dei produttori a detrimento dei consumatori, oppure mettere tutti i produttori su
piede di parità e liquidare tutte le diverse
forme, dirette o indirette, di sovvenzione” ».
Cravi anche sono le minacce di sciopero
generale, da parte degli operai e degli studenti, pubblicamente manifestate venerdì
13 c. Ed è la prima volta, dopo l’invasione
sovietica! « Il giornale *'Prace*\ organo dei
sindacati, pubblica una lettera degli operai
di Praga, i quali chiedono che il signor
Smrkovsky, che passa per essere il capo deU
la linea liberale^ resti al suo posto: ^^Noi ci
opporremo, con tutti i mezzi di cui disponga la classe operaia, ivi compreso lo sciopero generale, alla sua sostituzione*^ ». Anche numerosi gruppi di studenti universitari
minacciano scioperi e manifestazioni di pro*
testa, nell’eventualità che dei dirìgenti liberali vengano deposti. Lo stes^ giornale
’’Prace” segnala ugualmente « gli **affronti**
di cui il sig. Smrkovsky è stato recentemente oggetto da parte dei Sovietici, affronti
’ unici nei contatti diplomatici fra paesi amici**. Il sig. Smrkovsky avrebbe firmato, in
maggio, un telegramma indirizzato dai dirigenti di Praga al Cremlino, ed il suo nome
sarebbe stato omesso nella risposta. Egli è
stato scartato dalla nota riunione al vertice
di Kiev, ma egli ha annunziato alla televisione che non presenterà certamente le dimissioni, nè per ragioni di salute, nè per
alcun*altra ragione ».
(Dalla « Gazette de Lausanne »
del 14-15.12.1968)
I RAPPORTI CINO-SOVIETICI
Tali rapporti pegg’orano continuamente. (c Gli ambienti diplomatici stranieri
di Pechino sono, in generale, giunti alla conclusione che la Cina considera ora l’URSS
come il suo nemico principale. Non è dunque impossibile (si va dicendo in quegli ambienti) che la Cina abbia deciso di basare la
sua politica nei confronti delVOccidente, e in
particolare degli USA, su delle considerasdoni **realiste**. Benché questa icona sia costruita soltanto su un insieme di congetture,
non di meno essa è sempre più diffusamente
accettata nei suddetti ambienti di^omatici ».
E' molto interessante osservare che, nel comunicato pubblicato il 26.11 dal portavoce dell’ufficio d’informazione del ministero de¿li
esteri cinese, a proposito della 135« riunione degli ambasciatori americano e cinese a
Varsavia, comunicato ampiamente diffuso
dalla stampa cinese stessa (v. <c Eco*Luce »
del 6 c.), visne usato, per la prima volta nei
rapporti cìno-americani, il termine di « coesistenza pacifica ».
<T E* pur vero che, sulla via della coesistenza, resta un ostacolo ben rilevante: Formosa! Ma nel documento c iato (nè in uno
precedente, dell’S.ll, pubbLcato da « Nuova
Cina », a commento della vittoria di Nixon),
non si fa parola del problema del Vietnam.
Per quanto questi t^sti abbiano suscitato
in USA deboli reazioni, Vinqu'eludine degli
ambienti sovietici è certamente rilevante. In
tali ambienti si comincia infatti a capir meglio su quali basi teoriche siano ora fondati
i rapporti di Pechino con Washington e con
Mosca. A cominciare dalla questione cecoslovacca, il governo sovietico viene ufficialmente definito come **contro-rivoluzionario**. Si
parla del **nuovo Zar** che opprime i popoli
d’Europa e lo stesso popolo sovietico. L’URSS
viene chiamata ** social-imperialista, socialfascista^ colonialista ed aggressiva**. Viene
qualificata **un paese capitalista nel quale è
stata ristabilita la dittatura della borghesia**.
QuesVanalisi teorica, che pone su piede
d’uguaglianza gli USA e VURSS, apre la via
a nuove possibilità tattiche. Infatti lu Cina
ha notato resistenza di certe contraddizioni
fra i suoi due nemici. Secondo la formula
adottata per la .prima volta il 30.9 nel discorso del primo ministro Chou En-lai ( in
occasione della festa nazionale cinese), **t*imperialismo americano ed il revisionismo sovietico lottano e collaborano nel vano tentativo di delimitare le loro rispettive zone di
influenza, e di spartirsi il mondo intero** (...)
In ogni caso, i ponti con Mosca sembrano
a cura di Tullio Viola
definitivamente tagliati. Non resta più alcuna possibilità di far fronte comune contro
il nemico americano, più alcuna traccia dì
quello stile familiare con cui, fino alVepoca
della rivoluzione culturale, la Cina rimproverava all’URSS la sua **coesistenza pacifica**
con gli USA. Tutto sembra indicare che la
lotta contro VURSS è diventata la preoccupazione dominante della politica estera cinese.
La minaccia militare sovietica è stata denunciata ufficialmente da Chou En-lai il
29.9, durante il banchetto offerto in onore
della delegazione albanese alla festa nazionale cinese. Vista da Pechino, è comprensibile che, nelle circostanze attuali, questa minaccia dal nord appaia più preoccupante di
ogni minaccia dal sud. Si constata d’altra
parte che la Corea del Nord continua sempre a denunciare la minaccia americana sul
38® parallelo, ma che la stampa cinese non
ne parla assolutamente più ».
(Da «Le Monde» del 15-16.12.1968)
Contro la fame
degli altri
Diamo qui sotto un nuovo elenco
dei sottoscrittori e ringraziamo tutti di cuore. Il nostro appello contro
la fame degli altri sta raccogliendo
sempre più vasti consensi e siamo
certi che numerosi altri fratelli si
vorranno aggiungere a coloro che
già attùalmente contrihuiscono. Attendiamo che l’Eper ci comunichi
l’opera a carattere sociale da poter
sostenere, dopo di che provvederemo a fare un primo versamento.
Ci sia concesso anche da questo
« angolo » del nostro giornale rivolgere a tutti i lettori un fraterno augurio in vista delle prossime «feste»
e per un benedetto 1969.
Cerchiamo di ricordarci tutti
quanti che la maggior parte della
umanità soffre e muore di fame e
che è nostro (dovere di credenti di
contribuire, à seconda delie nostre
possibilità, a diminuire le sofferenze di questi fratelli, nella speranza
che in un domani non troppo lontano i potenti della terra, a quahm-que blocco appartengano,, si decidano finalmente, per cristiana convinzione o per spirito di fratellanza,
così sovente sbandierati, a rivolgere
i loro sforzi migliori a questo tragico problema.
Ed ecco le ultime offerte pervenuteci :
da Torino; Battista e Maria Finino L.
1.000; Lisette Rostan 1.000; fam. Caruso
500; N. N., in ricordo di P. morto a Buchen.
wald 5.000.
da Torre Pellice: Selma Longo L. 1.000;
Luigia Frache 3.000; suor Lidia Perrou
5.000; suor Margherita Jourdan 5.000; suor
Valentina Vollero 2.500; Alice Jouve 1.000.
da Angrogna: R. e M. F. Coisson L. 1.000.
da Cannano (Mi): Ragni Basso L. 1.000.
da Roma: Ines Pasulo L. 3.000.
da Pinerolo: Italo e Ciuliana Eynard L.
60.000; Anna Eynard 1.000; Carlo Eynard
1.000.
da S. Germano Chisone : Linda Scaccioni
L. 2.000.
da Francoforte (Germania): Valdo Abate
L. 1.995.
Totale L. 99.995; tot. prec. 386.796; in
cassa L. 486.791.
« L’anima mia s’acqueta in Dio
solo » Salmo 62/1
Emilia Revel ved. Babboni annuncia a quanti lo conobbero e lo amaro
no la improvvisa dipartenza del suo
diletto fratello
Umberto Stuart Revel
avvenuta a Mount Dora, Florida, il
7 dicembre corr.
La Casa Olearia OLEIFICIO FIDOLIO
ONECLIESE • di Paolo Scevola nel porgere
agli affezionati Qienti ed ai lettori del giornale i migliori AUGURI per un NATALE
benedetto dal SIGNORE, coglie Toccasionc
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[»rettore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
n. 175, 8-7-1950
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre Pellice (To)
8
-pag. 8
N. 50-51 — 20 dicembre 1968
Una lettera pperta del pastori valdesi di Firenze alTarcivescovo Ermenegildo Florit
Lei
noi
si richiama alla Gerarchia
confidiamo nello Spirito Santo
CEìesa reale e Chiesa uOiciale si confrontano davanti allo specchio della Parola di Dio
Le indirizziamo questa lettera, Egregio Signor Arcivescovo, con l’intento
di manifestare — a Lei come a molti
altri — le ragioni di una protesta
evangelica adesso motivata dalla situazione religiosa fiorentina.
La comunità valdese in Firenze vive
naturalmente commista con quella
cattolico-romana, ed accusa le infiuenze e i contraccolpi di un ambiente religioso certo non determinato da noi.
Abbiamo atteso a lungo, spettatori e
corresponsabili di un ecumenismo di
maniera, quando forse era già tempo
di essere malcomodi a noi stessi e ad
altri. Oggi — per solidarietà con la nostra gente, per l’autenticità di un ecumenismo che ci unisce ai credenti di
altre Confessioni, per una corresponsabilità nella testimonianza resa a
Cristo — dobbiamo parlare.
Ai giorni del Vaticano II si accesero molti fuochi, e non ci parevano
davvero di stoppie, anche se oggi
l’agro fiorentino è cosparso di ceneri.
Si sperava.
Era troppo, attendere un rinnovamento del cattolicesimo italiano? Non
dovevamo ritenere che un cattolicesimo più evangelico avrebbe dato vigore, un’anima!, aU’improrogabile rigenerazione del paese?
Abbiamo atteso con speranza. Sapevamo per esperienza che « riforma
cattolica » e « Controriforma » sono
due anime in una Curia; e ci ricordavamo che la Gerarchia romana opera
su scala mondiale, è cauta, ha problemi giganteschi, con masse popolari
politicizzate o arroccate in una religiosità ai limiti della superstizione...
Ma alla fine abbiamo dovuto prendere
atto di una situazione evidente, e ricrederci.
In questa epoca piagata da profonde contraddizioni, paradossalmente s’è
data anche questa : noi — i più vecchi
fra gli "eretici" italiani — abbiamo
guardato con fiducia a fratelli di altra Confessione, accantonando ogni
pregiudiziale teologica... ma Lei, intanto, Lei sfogliava già il Codice di Diritto Canonico e, quanto alla fiducia,
di fatto la rifiutava senza remissione.
Larga parte del nostro popolo non è
più credente, Signor Arcivescovo. È
indifferente. Si è sbarazzato di quel
tipo di cristianesimo da Lei difeso allo
Stesso modo che le prime generazioni
cristiane si sbarazzarono di altri tipi
di religiosità esausti e pietrificati.
Alla proliferazione di dogmi, culti e
devozioni ha corrisposto il crescente
disinteresse del popolo, un distacco
indolore addirittura dalla fede in Cristo, da una comprensione biblica deiresistenza. Per questo la coscienza del
credente è inquieta, ed anche fra le
file cattolico-romane passa una santa
inquietudine! Pensa che oggi, col Vangelo tra le mani, un cristiano possa rimettere la propria coscienza in quella
di un superiore gerarchico? Ritiene
davvero. Signor Arcivescovo, che degli interventi d’autorità, delle imposizioni, siano rimedio all’indifferenza?
Oggi — e non solo a Firenze! — le
comunità di ogni confessione si rinnovano nella misura in cui tentano di
esprimere Cristo alla loro generazione,
di testimoniare un messaggio evangelico udibile e credibile: per riintrodurre il discorso di Cristo, affidandosi alla
guida dello Spirito Santo, nessun uo
mo può soppiantare la comunità autentica, raccolta attorno alla Parola.
A ben riflettere, è dall’epoca apostolica che chiese diverse per doni, impegni e strutture, cercano i modi per una
testimonianza « loro », irripetibile nella misura in cui è inclusa e suggerita da situazioni e ambienti del
tempo.
Quando tutto fosse « in ordine » e le
dipendenze gerarchiche fossero salde,
crede Signor Arcivescovo che il triónfo del Diritto Canonico sarebbe un
trionfo del Vangelo? È Cristo o la
Gerarchia il Signore della Chiesa? lo
Spirito Santo governa o è governato?
Non molto tempo fa, in una parrocchia urbana si organizzarono dei « festeggiamenti » : fu trasportato solennemente il sangue di S. Lorenzo, e si
ripropose un tipo di devozione popolare che affonda le sue radici e nel medioevo e nella Controriforma. Ma oggi
non si conquistano più le masse con
questi modi!
Contestati dai protestanti e osservati con motivato disagio dai cattolici
più avvertiti... culti di- reliquie, devozioni particolari e pellegrinaggi a san
tuari non solo spesso sono deviazionismi, perchè non conducono a Cristo,
ma non servono neppure più per amalgamare le masserie fanno scettiche e
staccate. Non portateci più a Firenze
il sangue di S. Lorenzo!
La gente guarda perplessa agli uomini di Piazza San Giovanni, a quella
Curia Vescovile che, probabilmente,
cerca di attenersi alle direttive dell’altra Curia, quella romana: è dal tempo
della crisi modernista, signor Cardinale, che la provincia cattolica italiana non sentiva cosi, pesante la prossimità del Vaticano.
Non ricordiamo per caso il Modernismo: la tattica, i metodi usati ai tempi di Pio X e Benedetto XV restano
una tentazione forte. Non sembra però che oggi sia sopportabile un’altra
battuta d’arresto, quarant’anni di se
gregazione, di mortificazione teologica.
Su un piano autenticamente ecumenico, alle vecchie teologie d’opposizione
confessionale si sostituiscono U dialogo e la collaborazione: sono aperture feconde, ch’è semplicistico tacciare di “moderniste”.
AUora furono perseguitati uomini
terribilmente soli: il popolo dei credenti si disinteressava e i loro drammi
furono consumati in una solitudine
agghiacciante; silenzio e sprezzo accompagnarono delle « riduzioni » allo
stato laicale.. Ma oggi l’inquietudine
del vero, dell’autentico, è calata fino
alle basi comunitarie; oggi il laicato
riscopre la concretezza del sacerdozio
universale annunziato dall’Evangelo,
ricomprende a quale dignità l’ha elevato il Signore, chiamandolo alla libertà dei figli di Dio! Essere un laico,
oggi, non è considerato una « riduzione », uno stato di minorità, ma autentica promozione a coerede della grazia, compartecipe della testimonianza;
un eguale, nella diversità dei doni, dei
ministeri.
Delle armi che vengono dal Diritto
Canonico piuttosto che dal Vangelo si
stanno spuntando ; e la solitudine non
fa più paura, perchè è condivisa: è
Chiesa che nel deserto- si riconosce
popolo di Dio. Certo, anche oggi non
mancano preti e laici additati al sospetto dei timorati, uomini privati di
amicizie e simpatie, talvolta trasferiti
0 relegati, banditi dalla diocesi. È così
che si ottiene un clero umiliato e diviso, fatto cauto e diffidente, e un laicato inasprito, aggressivo. Si tratta di
umiliazioni, di prove inevitabili ma
saltuarie, quando Chiesa reale e Chiesa ufficiale si confrontano davanti allo
specchio della Parola di Dio.
L’attivismo socio-caritativo, come
certe scivolate nella sociologia (e nella politica) che 'tanto allarme destano in Curia, sono anche evasione e
compensazione. Dovrebbe rallegrarsene, Signor Arcivescovo: così si salvano dalla teologia dei credenti che,
quasi per atavismo, sanno quanto scotti il terreno della interpretazione biblica e della dogmatica. Non è forse
per questo che l’italiano medio, da
secoli, sfugge ai problemi di fondo e
si rifugia cauto in una assai problematica coscienza della Chiesa che si
esprime per mezzo del suo uflB.cio legale, la Curia?
Chiediamo se — nella linea della
tradizione apostolica — non sarebbe
giusto stimolare, assecondare anche
nel laicato il gusto per la teologia.
Un’altra constatazione: il luogo in
cui sì comunica la fede, oggi, è sempre
più spesso non-consacrato ; e quando
si tratta di edifici ecclesiastici, sono
periferici — non solo topograficamente — rispetto alla Curia. Non è anche
questo un segno dei tempi? Perchè
ciò è seguito con sospetto? Non sono
più vicine al modello apostolico queste
libere comunità emergenti che il monopolistico sistema clericale superorganizzato?
In una lettera a un sacerdote fiorentino Lei aveva detto delle « verità »
che altri ha gridato sui tetti. Aveva
onestamente ragione, ma certe verità
non piace leggerle, nero su bianco,
nemmeno a chi le difende. È vero che
sono lo Stato e le Banche a garantire
il decoro di un trionfalismo cosi lontano dallo squallore del Golgota, ed è
esatta anche la logica conseguenza : la
Chiesa ufficiale deve difendere delle
strutture socio-economiche nelle quali
è integrata, sta a suo agio, partecipa
agli utili... Eppure Cristo era senza fisso domicilio, nomade come la Verità:
non viene da chiedersi se la Verità non
sia « altrove »? se non sia illusione,
quella di legalizzare una sorta di monopolio su Cristo-Verità? se lo Stato
e la Banca non ci diano che leggeri
vantaggi in cambio di un dubbio coi
laborazionismo?
Questo, Signor Arcivescovo, è il marchio dell’epoca « costantiniana » : Lei
ha illustrato esattamente la situazione di una Chiesa e della sua Gerarchia,
ancora oggi in Italia. Nella Parola di
Dio non troviamo nulla che ci indichi
questa (vantaggiosa?) compromissio
ne della Chiesa; e molti segni fanno
intendere che l’umanità vuol scrollarsi di dosso un giogo che non è quello
di Cristo. Questo accade quando la cristologìa non ha il primato sulla ecclesiologia, quando si sottomette lo studio
della Bibbia a preconcetti dogmatici,
quando la teolog a diventa una filosofia. Il Concordato del 1929, su un piano
strettamente teologico, che significa?
Comprendiamo bene che quanto avviene anche a Firenze La allarma: c’è
l’ombra dell’eresia, della Riforma ! Con
tutta la simpatìa che proviamo verso
quanto oggi si muove nel cattolicesimo, ci sembra che non da Lutero e
Calvino vengano certe contestazioni
ma da una prima lettura dell’Evangelo. Può darsi che avvengano delle assomiglianze di pensiero, atteggiamenti
tali da ricordare la rivoluzione protestante, ma si tratta solo di analog'e
dovute al fatto che allora come oggi
il cristiano lotta per la sua libertà in
Cristo e per la edificazione della Sua
comunità, oppresso e combattuto dalla stessa Istituzione divinizzata.
Perchè tanta paura della Riforma?
Fa paura perchè ha sbarazzato i cre
denti dalle manette del Diritto Canonico ed ha messo la Parola di Dio nelle mani di ognuno!
Fa paura perchè ha tolto lo Spirito
Santo dalla prigione dei manuali, per
proclamarLo autorità, presenza reale
di Cristo nella sua Chiesa.
Fa paura perchè ha indicato in Gèsù Cristo il solo Signore e Maestro
della comunità.
Fa paura perchè con l’annunzio del
sacerdozio universale dei credenti ha
distrutto ogni Chiesa clericale, ogni
classe intermedia fra Dio e il Suo popolo.
Fa paura perchè ha annunziato i
due Sacramenti evangelici annunzianti Cristo, li ha affidati alla comunità,
li ha liberati da ogni magismo.
Fa paura perchè ha fatto tabula rasa di culti, devozioni, superstizioni, affinchè soltanto Cristo campeggi. Signore e unico nutrimento del popolo
radunato per grazia Sua.
Fa paura perchè ha ridimensionato
ogni « autorità » umana, ha inficiato
ogni verità accettata per delega, ha ricordato a ogni credente che la fede è
un rischio che bisogna vìvere qui e
ora, noi creature amate e perdonate
da Dio in Cristo.
Fa paura perchè continua : la Riforma continua! Valdo, Lutero, Calvino
non sono santi da calendario, il loro
insegnamento non è Vangelo: essi
hanno indicato, vissuto l’annunzio profetico_ dell’Evangelo nel loro tempo;
noi siamo impegnati oggi, nel nostro
tempo. La Riforma continua. Signor
Arcivescovo, e non cesserà mai di contestare ogni trionfalismo gerarchico,
di mettere'in crisi l’Istituzione ecclesiastica che vive per conservare se
stessa.
Nella sua diocesi. Signor Arcivescovo, succedono fatti inconsueti, sembra :
Lei affida la loro sorte all’intervento
della Gerarchia, noi confidiamo nell’opera dello Spirito Santo. Diverse posizioni teologiche conducono ad atteggiamenti diversi, anche a un modo forse diverso di concepire l’ecumenismo.
Oggi, qui a Firenze, l’atteggiamento
ecumenico della comunità valdese non
si può esprimere che in un dissenso
dichiarato di fronte a quanto opera il
cattolicesimo-romano ufficiale, e in una
solidarietà fraterna — pur nel dissenso teologico! — con quanti soffrono e
lottano per vivere uno « loro » verità
in Cristo.
Personalmente — da credenti a credente — teniamo ad esprimerLe la nostra rispettosa stima, e Le auguriamo
ogni bene in Cristo, il Signore.
I pastori valdesi di Firenze
Franco Sommani - Luigi Santini
"Ma le tenebre
nee dnreranne sempre"
(segue da pag. 1)
possiamo perchè la nostra fiducia si fonda
unicamente sull’opera di Cristo Gesù: ogni
Natale ricordandoci la sua venuta ci rende
eerti del suo ritorno. Se guardiamo al giorgio in cui « le nazioni cammineranno nella
luce del Signore » (Ap. 21: 24), abbiamo
tuttavia un cammino nell’oggi che giorno
per giorno rinnova in noi la speranza, perchè le parole di Gesù « lo sono con voi tutti
i giorni fino alla fine dell’età presente » (Mt.
28: 20) sono vere per ogni credente, ed i
segni luminosi di questa presenza ci accompagnano nel cammino, pur spesso tenebroso
della nostra vita presente. Sono segni se volete ambigui (come del resto quelli che Gesù compiva fra la sua gente) comprensibili
nella luce della fede, ma per ogni credente
segni sicuri, rinnovanti la promessa : « Le
tenebre non dureranno sempre ».
Franco Sommani
Sessione internazionale
di ebraico
Al seminario di Rivoli (Torino), dal 26
dicembre al 3 gennaio, si terrà una sessione
internazionale di ebraico, con il concorso di
professori francesi, belga, svizzeri e italiani.
In programma corsi di ebraico, conferenze
su temi biblici, giudaici e linguistici, canti
e danze d’Israele, escursione sulle Alpi.
Informazioni e iscrizioni : Vittoria Nardini, S. Lorenzo 5121 . 30122 Venezia.
III aiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii II
Il iiiiiiiiiiiiiiimmiiiiiiHiiiiiiii
iiiiiiiiiiiiiiimiiiiiii
A proposito del Catechismo deit'lsolotto
Apologia della eresia
55
I lettori dell’Eco-Luce, che probabilmente avranno seguito sui quotidiani
le varie tappe dell’offensiva della curia
fiorentina contro la comunità dell’Isolotto, dopo l’articolo di Gino Conte
« Gesù socialista » avranno messo il
cuore in pace. Va bene, sono fatti spiacevoli, siamo come sempre dì fronte
aH’autoritarismo della gerarchia cattolica; ma in fondò l’arcivescovo Florit
non ha tutti i torti, dato che si tratta
di eretici. D’accordo, neppure noi siamo perfetti, anche da noi ci sono eresie — il Cristo spiritualista — ma appunto per questo, badiamo a rafforzare la nostra predicazione (che non è
più spiritualista ma non ha avuto sinora la forza, la cjiiarezza per annunciare il carattere concreto e totale della sovranità di Cristo). In questo il
catechismo deU’Isolotto non ci serve,
lo liquidiamo e andiamo avanti.
Avanti dove? Sarà nella freddezza e
nella limpidità (l’articolo di Conte mi
fa pensare al ghiaccio che sporge dai
tetti in questa stagione) dei giudizi
dogmatici che troveremo forza e chiarezza per la nostra predicazione? No,
certo. Nella Parola di Dio. Ma letta
come? Secondo quale filtro? Se non
con il filtro sociologico, con il filtro individualista o borghese o dogmatico? O con l’illusione che davvero si
possa vedere la realtà umana « filtra
ta » dall’Evangelo, senza che nello stesso tempo avvenga e debba avvenire
anche il contrario e cioè che l’Evangelo sia letto con una particolare ottica,
con le luci e le ombre, le ansie, lo sconforto, le domande e le lotte del nostro
tempo?
Quello che colpisce anzitutto nell’articolo di Conte è il metodo del giudizio Che il catechismo olandese possa
fcbSPi'e semplicemente giudicato in base ad una lettura è cosa innegabile.
E’ stato scritto a tavolino, può essere
giudicato a tavolino. Ma ciò che riesce difficile da comprendere è che lo
stesso metodo venga usato per un catechismo che è frutto di un lavoro di
10 anni, di tentativi di uomini che si
sono accostati all’Evangelo e ai ragazzi di un quartiere popolare e in questo
doppio incontro hanno rivisto, corretto, ascoltato, dato e ricevuto, senza
per altro dare alcun carattere definitivo al frutto di questa loro esperienza. Non vorrei dare a Conte una lezione di giornalismo di cui non so assolutamente nulla; ma non pensa che
in questo caso, per esprimere un giudisame, sarebbe stato necessario andare
airisolotto, parlare con la gente, con
1 catechisti, con i ragazzi e i genitori,
controllare se nella vita di quella comunità Cristo è « ridotto a un tonico
corroborante », preoccuparsi di capire
qualcosa di ciò che sta alle spalle di
questo testo, di un’esperienza nuova
che non ha mosso più o meno intellettualmente una piccola élite, non ha
creato qualche « esperimento » al di
fuori della vita parrocchiale, ma proprio sul piano parrocchiale su cui tutte le Chiese si trovano oggi bloccate
ha risvegliato una comunità di 10.000
persone, capire qualcosa di questo, prima di riportare il grossolano giudizio
di Falconi che parla di «una parrocchia perfettamente secolarizzata... una
parrocchia della morte di Dio... il cui
credo è una religione laica »?
Ma anche a parte questo metodo di
liquidazione a tavolino di ciò che non
è nato a tavolino, il giudizio di Conte
mi sembra profondamente limitato.
Chi non conoscesse la sua scrupolosità potrebbe pensare che non abbia
letto il catechismo dell’Isolotto con
1’« attenta partecipazione » che egli
suggerisce, ma si sia affidato esclusi
v.amente alia presentazione di Falconi
sull’Espresso, riportandone allegramente le poco serie battute ad effetto,
dal Gesù socialista alla parrocchia
della morte di Dio. Basterebbe a questo proposito notare che Conte afferma
che « delle beatitudini ne viene ricordata una sola: "Beati voi che siete
poveri" (nella versione di Luca, senza
tenere conto alcuno della versione di
Matteo che parla dei "poveri in spirito” in feconda tensione di interpretazioni e di significati) ». Il catechissmo nella riunione ottava, intesa a illustrare « il contenuto essenziale della
missione di Gesù espresso nel discorso
delle beatitudini » centra l’incóntro sul
testo dì Matteo 5: 1-12 (le beatitudini
secondo Matteo), dicendo «Il brano
evangelico indicato (che potrebbe essere integrato con Luca 6: 17-26) deve
servire a comprendere...» (pag. 40-41).
Così delle beatitudini se ne citerebbe
una sola e senza tener conto alcuno
della versione di Matteo.
Il fatto è che, dato che nell’insegnamento delle beatitudini e nel quadro
generale del catechismo dell’Isolotto
prevale la sottolineatura dei poveri su
quella dei poveri in spirito, questo non
piace perchè sa di unilateralità. Certo
che dire « beati voi che siete poveri » e
leggere in via subordinata « beati i po
[' possibile essere fedeli
seoze essere
veri in spirito » è cosa unilaterale. Così come è stata unilaterale la lunga
scelta che abbiamo fatto sottolineando i poveri in spirito e dimenticando
che Luca riferisce le parole di Gesù in
modo più crudo, appellandoci a quel
« in spirito » per evitare lo scoglio pro-,
prio di una predicazione forte e concreta, svirilizzando e spiritualizzando
l’Evangelo. Questo, Conte lo sa meglio
di me e giustamente avverte che tra
dì noi l’eresia spiritualista ha purtroppo avuto un enorme peso. Ma che cosa
propone? Una « feconda tensione di
interpretazioni e di significati » tra il
« beati voi poveri » e « beati i poveri
in spirito » (naturalmente questo è solo un esempio). Ma è possibile oggi
questa feconda tensione? Non si tratta di una posizione percepibile solo da
parte di pochissimi sul piano intellettuale? Non produrrà (e Conte è il primo a riconoscerlo) una predicazione
che non è più spiritualista, ma che
non ha forza, non incide, malgrado
tutti i nostri distinguo, le precisazioni,
le feconde tensioni, chi ascolta questa
predicazione continua a ricevere la
prima beatitudine nel senso di «beati
i poveri in spirito » nel senso dell’alibi
profondamente radicato che permette
di escludere l’Evangelo dai beni, dalla
situazione sociale, dalla totalità della
vita dell’uomo, perchè il condizionamento spiritualista è troppo forte per
essere scalfito dalle feconde tensioni
di interpretazioni e di significati? Non
è questo il momento di pesare decisamente sull’altro aspetto che è stato dimenticato, « beati voi che siete poveri », ponendo noi stessi decisamente
di fronte alla durezza integrale delle
parole e degli atti di Gesù?
Ecco, questo significa essere eretici,
dice Conte. Appunto. Io mi domando
se sia possibile essere fedeli all’Evangelo non in astratto e fuori dal teinpo, ma di fronte alla realtà del proprio
presente senza essere eretici, senza riscoprire un aspetto centrale, dimen
ticato, mistificato, e rigirarlo in faccia a se stessi e a tutti, e su questo
insistere, battere, a costo di essere unilaterali, parziali, finché quest’aspetto
centrale non sia vìssuto, sofferto, ricevuto come liberazione oltre che come giudizio, come ogni annuncio vero dell’Evangelo.
Forse che i Valdesi non sono stati
eretici nel Medioevo, con il loro pallino della predicazione al di fuori della
gerarchia ecclesiastica che minava l’intero edificio cattolico?
Forse che Lutero non era eretico?
Forse che la sua riscoperta della giustificazione per fede non ha invaso
tutto il suo pensiero, il suo sforzo, la
sua Bibbia? Dove è l’escatologia in Lutero? Come ha osato lasciarla da parte
per sottolineare solo un aspetto? Ma
non per questo critichiamo Lutero.
Critichiamo piuttosto chi dopo 400 anni sì limitasse a rign!t|g(iti^ ,,£||it#ch«^
della giustificazione
una conquista immei®ftiisAW'Ìiàtrim«^^'
nìo irrinunciabile, al, di
là, senza ricercare ptrwpno 'tempo
ciò che nell’Evangelo è stato distorto,
messo da parte, perchè disturba e mette in questione sicurezze acquisite.
Ridimensioniamo le cose. Don Mazzi
non è Lutero e il suo catechismo non
sarà della stessa portata di quello del
Riformatore. Nè il catechismo dell’Isolotto appare privo di forzature. Non
vorrei si pensasse che ho sposato acriticamente il catechismo dell’Isolotto.
Alcune delle critiche di Conce (per
esempio la mancanza di una attesa
del Regno che non sia identificato con
ii progresso naturale della storia umana) sono certo fondate. Altre si potrebbero perfino aggiungere. Per esempio
il fatto che il catechismo non sembra
spiegare ai ragazzi che spesso i ricchi
e i potenti di oggi sono i poveri di ieri
giunti al potere e non si chiede come
mai la tendenza naturale dei poveri è
di diventare ricchi e oppressori (così
come quella dei ricchi è di restarlo) e
quale è il compito dei poveri in quanto
credenti in Cristo nel ruolo che essi
giocano nella società e nella storia.
Un catechismo quindi non privo di
difetti e di forzature ; ma nello stesso
tethiìo una impostazione eretica che
mt'tiempie di gioia e che non mi sento
davvero di liquidare proprio in quanto
tale. Il catechismo dell’Isolotto presento una via eretica che è riassunta nei
dire « beati voi che siete poveri » piul
tosto che « beati i poveri in spirito »,
ci presenta l’Evangelo in una luce cruda, paradossale forse, insistendo in
ogni pagina sullo schierarsi di Gesù
con i poveri, i deboli, gli oppressi, il
suo rimandare a vuoto i ricchi e i sazi,
cercando in ogni pagina di sradicare
la mentalità di un Cristianesimo conformista che si è adattato a preservare l’attuale ordinamento sociale dimenticandosi di alcuni piccoli particolari dell’Evangelo.
Questa impostazione eretica non è
sistematizzata, è in corso, è nella ricerca. La liquideremo appunto come
eretica preferendo le feconde tensioni
di interpretazioni e di significati o ci
lasceremo interrogare da ques’-a impostazione eretica, chiedendoci se si tratta di una eresia vera, dell’eresia necessaria per il nostro tempo e non un’eresia di comodo (come il Cristo spiritualista) o inutile perchè fuori tempo,
chiedendoci se è proprio questo che
oggi va sottolineato, con maggior precisione, con una più chiara visuale del
giudizio della croce sulla storia, ma
non con meno forza e passione? Conte sceglie la prima strada. Io sono per
la seconda.
Franco Giampiccoli