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Anno 127 - n. 21
24 maggio 1991
L. 1.200
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a : casella postale - 10066 Torre Pellice
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
JUGOSLAVIA
Il federalismo
in questione
Il XX secolo sarà quello del
federalismo; così si esprimeva
Pierre Joseph Proudhom nel
1863 nel suo volume « Il principio federativo ». All’epoca in cui
Proudhom scriveva vi erano solo due stati federali: la Svizzera e gli Stati Uniti.
Da allora altri popoli di grandi territori hanno costruito uno
stato federale: URSS, India, Canada, Messico, Brasile, Australia
(cioè i più grandi stati del mondo), Germania, Belgio, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Nigeria, Africa del Sud, Argentina, Venezuela, Malaysia, gli Emirati arabi.
Oggi, alla fine del XX secolo,
il federalismo manifesta più di
un problema. La Jugoslavia vive una lenta agonia, l’URSS sta
affrontando i problemi della rinascita dei nazionalismi, l’India
e il Canada devono affrontare
periodicamente i problemi delle
rivendicazioni etniche. La grande federazione europea che dovrebbe nascere nel 1993 si sta
delineando più come grande
mercato che come uno stato sovranazionale.
La « profezia » di Proudhom
alla fine del secolo è messa in
questione dal comportamento
stesso dei popoli.
Le ragioni di questo sfaldamento sono diverse a seconda
dei sistemi politici che hanno
accompagnato il principio federalista.
La fine del comunismo o, se
si vuole, della « dittatura del
proletariato », ha messo in questione il principio federalista comunista nei paesi dell’Est europeo, quasi che il federalismo non
possa esistere senza un’autorità
centrale e legittimata dal partito, capace di esercitare l’arbitrato sui conflitti nazionali.
Gli stati dove il federalismo
non sembra in crisi, gli Stati
Uniti ad esempio, evidenziano il
permanere di una cultura comune. Nel caso degli Stati Uniti la
cultura comune è la predominanza della lingua inglese, l’attaccamento alle istituzioni, l’orgoglio di essere americani e —
perché no — anche una certa
qual cultura democratica che deriva anche dalla cultura cristiana protestante.
Sia pure con molte variabili
troviamo anche una cultura comune di questo tipo in Germania, Austria, Brasile, Argentina,
Australia e Svizzera (ovviamente con l’osservazione che in alcuni di questi paesi l’humus culturale è cattolico).
E’ evidente che il federalismo
tiene là dove c’è un minimo di
omogeneità culturale. In questi
paesi viene ricercato di più quel
che unisce che non la diversità.
Lo diversità diventano motivi
di contrasti profondi, di violenza e di tendenze separatiste là
dove l’omogeneità culturale è
più debole, dove sorgono contrasti di tipo religioso e dove
vi sono disparità anche di tipo
economico.
Il federalismo è stato ed è la
speranza di molti di diverse culture politiche, socialiste o democratiche, per risolvere la convivenza in modo paciflco. Oggi
noi europei siamo chiamati a riflettere sulla proposta di costruire una confederazione europea.
Basterà la buona volontà per
realizzarla? Basterà dire che la
cultura comune è quella cristiana?
Giorgio Gardiol
_____________LA TENDENZA COINVOLGE ANCHE AFRICA, ASIA ED EST EUROPEO
Il Sud America sarà protestante?
Sono ormai un fenomeno massiccio le conversioni alle chiese evangeliche - Autocritica al
Concistoro straordinario dei cardinali: ci sono bisogni spirituali che non hanno risposta
« L’America latina sta diventando protestante? » si chiede un
sociologo americano, David StoU,
in uno studio pubblicato di recente dalla "University of California Press”. Fatto sta che, negli
ultimi vent’anni, e in particolare
negli ultimi cinque, l’intero continente sudamericano è coinvolto
da un massiccio fenomeno di
conversioni alle chiese evangeliche, soprattutto pentecostali e
neopentecostali, sbrigativamente
definite "sette fondamentaliste”
dal clero cattolico e quindi da
molti organi di stampa nostrana.
Il fenomeno si sta allargando
a macchia d’olio, tanto che il
papa Giovanni Paolo II, fortemente preoccupato, ha indetto,
il mese scorso (dal 4 al 7 aprile).
Un Concistoro straordinario dei
cardinali di tutto il mondo per
affrontare il problema e vedere
come porvi rimedio. Per la verità, il Concistoro è stato dominato
dall’altro tema all’ordine del giorno, quello delle "minacce alla
vita” (aborto e controllo delle
nascite), per cui il problema della "sfida” rappresentata dal "sorgere e il diffondersi di sette o
nuovi movimenti religiosi" in
America latina. Africa e Asia
è stato un po’ eclissato.
Ma lo è stato anche perché
la relazione introduttiva del cardinale nigeriano Francis Arinze,
presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, è stata sostanzialmente autocritica. « Non ci si dovrebbe impegnare — ha detto — in una
condanna indiscriminata o in generalizzazioni, applicando a tutti i nuovi movimenti religiosi gli
aspetti piti negativi di alcuni ».
Infatti essi « indicano che vi sono
dei bisogni spirituali che non
sono stati identificati, oppure che
la Chiesa e altre istituzioni religiose non hanno percepito • o a
cui non hanno saputo rispondere ». Certo, il cardinale non ha
escluso che ci possano essere
« considerazioni finanziarie fra le
ragioni della nascita di alcune
sette » né "l’azione del diavolo"!
Ciò nonostante addebita molte
responsabilità alla stessa Chiesa
cattolica; « Dove le parrocchie
(cattoliche) sono troppo vaste
e impersonati, esse (le "sette”)
costituiscono piccole comunità
nelle quali l’individuo si sente
conosciuto, apprezzato, amato ed
insignito, di un ruolo significativo. Dove i laici, uomini e donne,
si sentono emarginati, loro gli
assegnano ruoli di comando (...)
Dove le omelie hanno un carattere intellettuale che passa sopra
il capo della gente, i nuovi movimenti religiosi spingono a un
impegno personale con Gesù Cristo e a una stretta e letterale
adesione alla Bibbia ».
Alla vigilia del
cinquecentenario
Da] punto di vista sociale, il
fenomeno sta assumendo dimensioni impressionanti in tutta
I America latina, e ciò alla vigilia
delle celebrazioni per il 500’ anniversario dell’evangelizzazione cattolica del continente, unico continente a stragrande maggioranza cattolica che, da solo, raggruppa metà dei cattolici di tutto il mondo. Durante il Concistoro in Vaticano l’arcivescovo
di Managua, cardinale Obando
Bravo, ha indicato che, in quel
continente, il numero di "adepti
delle sette" era passato da quat
tro milioni nel 1967 a trenta
milioni nel 1985. Ora viene stimato a 45 milioni. Nel solo Brasile, considerato come uno dei
più grandi paesi cattolici del
mondo, i convertiti rappresemtano ormai il 10% della popolazione e, secondo un documento della Conferenza episcopale, 600.000
cattolici si convertono ogni anno
a una delle sedici chiese protestanti. In Guatemala, circa il 30%
dei nove milioni di abitanti appartiene a una delle trecento
denominazioni protestanti. Di
questi, il 75% sono pentecostali
e neopentecostali. Tutti i pastori sono guatemaltechi mentre metà dei preti cattolici sono stranieri e non parlano le lingue
indigene. In Colombia ve ne sono
due milioni, in Perù un milione.
La Bolivia conta oltre seicento
chiese e gruppi religiosi non
cattolici. L’ex regime sandinista
del Nicaragua aveva rapporti
.più Sereni con i protestanti che
non con il cardinale Obando Bravo, e lo stesso presidente Daniel
Ortega si è convertito al battismo poco prima di lasciare il
potere.
Un tale movimento di massa
non poteva non avere ripercussioni sul piano politico. Difatti,
da alcuni mesi e in diversi paesi
latinoamericani, molti posti di
governo sono stati occupati da
evangelici. Nel giugno ’90, l'elezione inaspettata di Alberto Fujimori (egli stesso cattolico praticante) alla presidenza del Perù
è stata in buona parte frutto
dell’appoggio dei gruppi protestanti. Del resto è un pastore
battista, Carlos Garcia, che è
stato eletto vicepresidente, e vm
terzo dei deputati del movimento "Cambio '90’’ sono membri
LA GRATUITA’
La pienezza della vita
« Il ladro non viene se non per rubare, ammazzare e distruggere; io son venuto perché abbiano
la vita e l’abbiano sovrabbondante. Io sono il buon
pastore; il buon pastore dà la sua vita per le
pecore» (Giovanni 10; 10-11).
E’ stata definita la « morte dolce ». Il sedile
dell’auto reclinato e l’abitacolo collegato con il
tubo di scappamento. Così, nel silenzio del proprio
dolore, sovente senza uno scritto, negli ultimi, mesi
molti giovani hanno deciso di porre termine alla
loro esistenza. Altri hanno scelto di gettarsi nel
vuoto o sotto il treno. Le statistiche ci dicono che,
in Italia, i suicidi nella fascia giovanile sono aumentati del trenta per cento in soli vent’anni. Alla
morte volontaria dobbiamo aggiungere i tre morti
giornalieri dovuti alle tossicodipendenze. Sono dati
impressionanti, di fronte ai quali non possiamo rassegnarci.
L’Evangelo è per tutti un progetto di vita.
« Io sono il buon pastore; il buon pastore
mette la sua vita per le pecore^ ». L’unica vita deposta, l’unica rinuncia alla vita è racchiusa nella vita
di Gesù Cristo. Nella morte di Cristo, avvenuta una
volta sola, vi è la possibilità di vita autentica per
l’umanità di ogni tempo. Le altre morti sono sempre segno di sconfìtta, e quindi tragiche. La predicaz,ione evangelica indica, in un mondo apparente
mente dominato dal caos, l’unica rinuncia temporanea alla vita, per amor nostro, ridonata nella
pienezza della risurrezione pasquale.
La morte non può essere mai definita dolce;
essa è il segno del caos introdotto nel mondo dall’uomo con il suo peccato. Solamente Cristo, risorto nella potenza dello Spirito, ha sconfitto per
sempre la morte.
La pienezza di vita, in ogni fascia di età. Di
questa esuberanza ha parlato Gesù con i suoi discepoli ed essi hanno raccolto la sua testimonianza nell’Evangelo. Il nostro compito quotidiano, pur
consapevoli di essere circondati dalla realtà della
morte, è quello della umile e talora debole testimonianza evangelica.
« Ho vissuto pienamente! ». Così, nel suo letto di infermità, in una calda estate, mi ha detto
un caro fratello morente. E in quella frase, detta
con voce stanca e flebile, ho colto la testimonianza
evangelica di una vita, precedentemente narratami.
Chi ha creduto in Cristo e lo ha testimoniato
con convinzione, sino alla fine, ha compreso l’opera
di salvezza della croce. Nel nostro peregrinare le
donne e gli uomini, soli e disperati, possono dunque scorgere il progetto di salvezza divina anche a
loro riservato. Gratuitamente abbiamo ricevuto,
gratuitamente diamo (Matteo 10: 8).
Eugenio Strettì
attivi di comunità evangeliche.
Lo stesso Carlos Garcia, in visita a Roma nel dicembre scorso,
ha confermato, in un'intervista
al NEV, il ruolo degli evangelici
nella vita politica del Perù. Più
recentemente ancora, il 15 gennaio scorso, un protestante, Jorge
Serrano, è stato eletto alla presidenza del Guatemala con ben
il 68,4% dei voti, sconfiggendo
Testrema destra di Jorge Carpio.
Lo stesso Serrano, fino al 76,
era cattolico fervente, aderente
al movimento dei carismatici, poi
aderì alla piccola chiesa evangelica di Shaddai. Egli definisce il
Suo nuovo partito, "Movimento
d’azione solidale", di "centro destra" ma — aggiunge subito —
« non ha nulla a che fare con la
destra retrograda che tanto male
ha fatto al paese ».
Chiese storiche
e nuove chiese
Non è facile, anche per le chiese protestanti storiche, capire appieno la natura e la portata di
questo vasto movimento, anche
perché non è affatto omogeneo.
In questa miriade di "eWese",
"comunità”, "assemblee", ci sono
anche diversi gruppi di ispirazione orientale che non vanno
confusi con quelli di tipo evangelico. E fra questi ultimi vi è
una varietà infinita di posizioni.
Però, fatto nuovo, anche chiese
protestanti nazionali, con responsabili locali, si sono impiantate
accanto a questa moltitudine di
"sette".
Alcuni vescovi latinoamericani
non esitano a parlare di "complotto" ordito dagli Stati Uniti,
fin dalla fine degli anni '60, per
contrastare la teologia della liberazione cattolica. In una lettera
pastorale del gennaio '89 l’arcivescovo del Guatemala, Prospero
Penados, affermava che Washington appoggiava « i gruppi rion
cattolici (...) per consolidare il
proprio potere economico e politico in America latina » perché
« gli evangelici difendono una
concez,ione individualistica della
salvezza eterna che coincide pienamente con i postulati del liberalismo e quindi del capitalismo ». Ora, è vero che la magaior parte di queste chiese sono
fondamentaliste sul piano biblico-teologico e conservatrici sul
piano politico. Ma un’adesione
così massiccia all’Evangelo. fondata su una lettura — seppur
"fondamentalista" — della Bibbia, non può essere invece opera
dello Spirito nei confronti dei
più diseredati che da secoli aspirano alla liberazione? Tanto più
che lo stesso fenomeno sta avvenendo negli altri continenti del
Terzo Mondo (Africa e Asia) e
perfino nei paesi dell’ex "Secondo Mondo” (Europa dell’Est). In
questo caso potrebbe trattarsi
di una benefica e provvidenziale controtcndenza ad un,a strategia vaticana di tipo neocostantiniano che il mondo moderno non
sembra disposto a subire passivamente,
Jean-Jacques Peyronel
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ecumenismo
24 maggio 1991
ORTEZ: SINODO DELLA CHIESA RIFORMATA DI FRANCIA
TORINO
Edificare e testimoniare Ecumenismo
dopo Canberra
La situazione di diaspora e l’esigenza di ’’ridisegnare” la fisionomia delle chiese - Un rapporto complesso con il Consiglio ecumenico
La Chiesa riformata di Francia
ha tenuto quest'anno il suo Sinodo nazionale a Ortez, in Béam,
terra di Jeanne d’Albret e di
Enrico IV, terra di autonomia e
di indipendenza. I lavori, spediti
e ritmati su un calendario preciso come sempre, vertevano su
tre problemi che in qualche
modo si riconnettevano l’uno con
l'altro, di estrema attualità e che
si agitano anche da noi. Di qui
l’interesse del dibattito.
Il primo problema è quello di
ridisegnare la fisionomia delle
chiese riformate nella situazione
di dispersione geografica in cui
si trovano a dover vivere sempre
più spesso, e di mutata situazione sociologica e culturale del
paese; disoccupazione, immigrazione, caduta di ideali nella gioventù. Un progetto in questo senso, studiato e dibattuto nei sinodi regionali, è stato oggetto di
votazione, più che di discussione
approfondita, un progetto che
ha ricevuto molto significativamente il titolo ’’Edificare e testimoniare”. Le due linee di lavoro
su cui dovrebbe incamminarsi in
modo coerente ed organico il
lavoro delle chiese francesi è
appunto la ricostituzione della
loro identità ed il loro impegno
di testimonianza.
Interrogativi
ben conosciuti
Esattamente quello che stiamo
dicendo anche noi da alcuni anni
e con le stesse metodologie, gli
stessi interrogativi, le stesse incertezze. Eppure la situazione dei
fratelli della vicina Francia appare (dico "appare” perché occorrerebbe un contatto molto più
esteso che poche ore di assemblea sinodale) diversa dalla nostra per alcuni fattori. Uno oggettivo è degno di attenzione;
la riduzione della chiesa a "associazione cultuale”, sulla base della legge del 1905, e cioè l’amputazione di tutto ciò che non è
propriamente cultuale nella vita
della chiesa, diaconia, cultura,
turismo, ha come conseguenza
un’innegabile difficoltà a dare
corpo, fisionomia e ampiezza
alla riflessione della fede ed alla
stessa dialettica; edificare = testimoniare.
Nel caso nostro è l’inverso, a
fare problema; l’eccesso di elementi non propriamente cultuali, ma senza i nostri ospedali ed
asili (con tutti i grattacapi che
ci procurano), senza i nostri centri culturali, librerie e naturalmente casa editrice, senza le foresterie, la nostra chiesa non sarebbe ciò che è.
E questo conduce al secondo
elemento; l’impressione (ampiamente confermata dai fratelli
francesi stessi) di una maggiore
(relativamente) dinamica nella
nostra vita di chiesa. A guardarsi attorno si finisce col pensare
che in piena crisi come tutti la
nostra comunità sembra reagire,
forse per situazione e collocazione geografica e storica, in modo
discretamente dinamico.
Il secondo problema è quello
del processo unitario del protestantesimo francese in una pro
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spettiva del tutto analoga alla
nostra; quadro della Federazione
come luogo di dibattito, ricerca
di formule nuove del tipo la nostra integrazione fra chiese valdesi e metodiste e dialogo con le
comunità battiste. Anche in questo caso l’esempio italiano è citato come riferimento obbligato
a cui occorre guardare.
Toni critici
verso il CEC
Il terzo tema, il maggiore ed in
un certo senso il più interessante
per noi, è il rapporto fra chiesa
riformata e Consiglio ecumenico.
Al Sinodo il tema era presentato
in due documenti notevolmente
critici, sia pure dal tono fraterno,
prolungando le linee di quelle riserve che si erano fatte sentire
già da alcuni mesi specie negli
ambienti delle Facoltà di teologia.
Il dibattito è stato in realtà
più sfumato e temperato dall'impressione estremamente pwasitiva
della serata pubblica tenutasi
sul tema di Canberra nel corso
della quale i delegati all’Assemblea, ed i due membri del Consiglio, avevano dato testimonianze
significative del valore del lavoro
ecumenico.
Temperato sì, ma nel fondo
preoccupato. Una prima riserva
nasce dalla difficoltà di conciliare due elementi della realtà ecumenica: il movimento stesso, la
dinamica ecumenica e rincontro,
e il Consiglio, l’apparato che è nato e che non poteva non nascere
dallo slancio ecumenico stesso.
Colpevoli sono le chiese che né
sanno né si interessano di sapere, viv'ono ripiegate su se stesse,
non studiano i documenti né le
problematiche loro suggerite. A
questo riguardo non c’è dubbio
che le nostre chiese italiane
dovrebbero essere insignite dell’onorificenza ecumenica (se mai
ci sarà) per il lavoro fatto sul
BEM in tutta la sua storia, da
Accra a Lima, che non ha eguale
in tutto il consesso ecumenico.
I rischi
dei burocratismo
Ma è proprio solo colpa delle
chiese? Ginevra non è per caso
diventata anch’essa vittima del
processo inevitabile di ogni apparato burocratico con l’allontanarsi dal problemi della gente,
il passare da seduta di lavoro
alla redazione di documenti in
vista di nuove consultazioni i>er
produrre altri documenti finendo col creare un mondo a sé
che parla una sua lingua e scambia le sue vicende interne con
la realtà del mondo? E come
rimediare? Con una pausa autocritica di ripensamento che restituisca alla vita ecumenica la
sua libertà di iniziative e di respiro lasciando che la chiesa faccia la sua vita ecumenica senza
volergliene imporre una, rinunciare all’ideale mitico, e mai ben
definito, dell’unità favorendo in
vece il dialogo delle diversità, delle specificità confessionali, riducendo programmi e progetti.
Stranamente però si è udita
anche una voce che pare andaic
in direzione esattamente opposta,
si è invocata la presenza negli
ambienti ecumenici di personalità carismatiche, di uomini capaci di fare vibrare gli anirni e
comunicare passione, la passione
dell’Evangelo che apra prospettive nuove e orizzonti di impegno.
E si torna così al discorso di prima la chiesa riformata attraversa forse un periodo di crisi? E’
la sola? Le altre chiese stanno
meglio quanto a dinamica spirituale? Cosa sta dietro Tirrompe
re degli evangelicals o dietro la
grande regia romana neocostantiniana? Il dilemma è forse qui:
dovremmo essere diversi da come siamo ma non possiamo essere così; è la prospettiva, Tidea,
il progetto che manca.
Alla radice del dibattito sull’ecuménismo e la "politica” del
Consiglio ecumenico sta un problema teologico di cui i teologi
francesi si sono fatti portavoce
nel Sinodo: la sensazione di una
caduta di respiro teologico, di
una mancanza di chiarezza nell’impostare i problemi e perciò
anche i documenti della ricerca
ecumenica. C’è anzitutto un utilizzo insoddisfacente della Scrittura, non rispondente alla fede
evangelica, di tipo letteralistico,
acritico, utilizzando la Bibbia
non come il testo da cui scaturisce il pensiero ma come una raccolta di belle frasi da incollare
sui documenti già redatti, un uso
della Bibbia da enciclica papale.
In secondo luogo una scarsa
attenzione ai criteri teologici del
discorso di fede con conseguente accentrazione sugli elementi
pratici, la vita prima del pensiero, vivere la fede prima di formularla, con l’illusione di formularla vivendola. Tutta la riflessione sulla creazione, il rapporto al creato è di questo tipo;
non è stata nemmeno avviata
una ricerca ecumenica in quel
campo e basterebbe pensare alla
posizione romana sulla natura
ed il rapporto col soprannaturale per capire l’urgenza inderogabile di una riflessione sul tema.
La religione contro
il politico?
Il terzo elemento a cui prestare attenzione è, sempre a parere
dei relatori al Sinodo, il peso eccessivo dato alle problematiche
della cultura religiosa e del dialogo con esse. Anche qui potrebbe, a nostro avviso, giocare una
influenza del cattolicesimo romano e della sua volontà di costruire un fronte religioso universale
nella salvaguardia dei valori dell’uomo; la religione contro il politico. Il CEC si è preoccupato
molto di questo dialogo con le
religioni e pur riconoscendone
l’importanza e l’urgenza non è
ancora chiaro come debba avvenire e a che dovrebbe tendere
questo dialogare. Il fatto che
a Canberra il momento teologico più significativo sia stato la
conferenza della teologa coreana
Chung Hyun-Kyung non è senza
interesse. Affascinante certo e
piena di autenticità anche cristiana la sua coreografia e la
sua attuazione di un discorso
teologico in contesto di cultura
asiatico moderno, ma non può
costituire che l’elemento di una
dialettica teologica; qual è l’altro termine? Non sarà la formulazione occidentale del cristianesimo, ma il messaggio cristiano
in sé. Ma esiste all’infuori della
cultura in cui è stato formulalo,
quella giudaico-greca?
Il Sinodo ha ascoltato, dibattuto, riflettuto senza assumere
posizioni di radicalismo critico,
ha auspicato una più stretta collaborazione fra le chiese e Ginevra ed ha posto l’accento sulla
necessità di un lavoro teologico
da parte delle chiese riformate.
A ,50 anni dalla sua fondazione
il Consiglio ecumenico deve dunque fare un bilancio, come si fa
sulla cinquantina, reimpostare
nuove soluzioni c ripensare molte cose. Le chiese della Riforma
hanno in questo lavoro un contributo essenziale da dare, ed anche
le nostre. E’ in altra forma il
discorso dell’Europa, cosa saprà
essere e dare agli altri paesi.
Giorgio Tourn
La teologia contestuale e i rischi del sincretismo - Fiduciosi nell’azione dello Spirito
Quali sono le prospettive dell’ecumenismo dopo l’Assemblea
mondiale di Canberra? Franco
Giampiccoli e Tede Vetrali, ambedue presenti a questa Assemblea, uno come delegato ufficiale della Chiesa valdese, l’altro
come osservatore cattolico, hanno riferito le loro impressioni
e le loro valutazioni nel corso
di una conferenza nel salone
valdese di Torino, venerdì 3
maggio.
Dopo aver illustrato la natura
e la struttura organizzativa del
CEC e lo svolgimento del grande raduno di Canberra, Franco
Giampiccoli si è soffermato sui
quattro temi che hanno caratterizzato questa settima Assemblea. Il primo, che si è imposto
con forza con l’intervento della
giovane teologa sud-coreana
Chung Hyun-Kyung, è quello della contestualizzazione, del fatto
cioè che l’Evangelo deve essere
letto tenendo conto del contesto
in cui ci si trova.
Certo ogni teologia, in fondo,
è contestuale, a cominciare da
quella occidentale così fortemente influenzata dalla fllosofla greca e dairilluminismo. Ma — si
è chiesto Giampiccoli — a voler vedere Dio e lo Spirito confusi con la natura e con la cultura, non si rischia di cadere
nel sincretismo e di allontanarsi dal Dio « totalmente Altro »?
Non sono stati solo gli ortodossi a muovere questa accusa
di sincretismo, che sembra essere una delle « impasse » teologiche in cui si trova il CEC da
alcuni anni. Va quindi rilanciata con forza una riflessione teologica approfondita, fondata sulla sola Scrittura. Ed è dal dialogo — che dovrà essere anche
un controllo reciproco — tra
teologie contestuali diverse che
dovrà venir fuori un « consensus ecclesiae », l’ecclesiologia essendo l’altra grande questione
aperta nell’attuale cammino del
CEC.
Un secondo tema, strettamente legato al primo, è quello della sfida del dialogo con le religioni e le ideologie del mondo
intero. Le assemblee del CEC,
punto d’incontro privilegiato delT« ecumene » («terra abitata»),
sono un’occasione unica per il
dialogo e il confronto. Ma, anche qui, occorre stare attenti ai
giudizi di valore portati in modo acritico. Le altre religioni sono sempre e comunque « espressioni della verità »? Ed è possibile affermare che solo le ideologie — e non le religioni —
sono « cattive » perché totalizzanti?
Il terzo tema è quello dell’unità della Chiesa, ragione d’essere dello stesso CEC. Il documento preparato da « Fede e costituzione » insiste, giustamente,
sul concetto di koinonia (comunione) che precede la teologia.
D’altra parte occorrerà riprendere la riflessione sul BEM (battesimo, eucarestia, ministeri),
documento di « ingegneria ecumenica » che può aiutarci ad incamminarci insieme verso Cristo anziché cercare di andare
l’imo verso l’altro.
Infine il tema « Giustizia, pace e integrità del creato », sul
quale il CEC è fortemente impegnato. Basilea e Seoul sono
stati momenti forti ma, tutto
sommato, teorici di questo processo conciliare. La crisi del
Golfo, coincidente con l’Assemblea di Canberra, ha messo in
crisi anche le chiese. Secondo
Giampiccoli, i documenti prodotti dall’Assemblea mancano di
escatologia e rappresentano una
fuga in avanti che lascia perplessi, perché non tengono conto del fatto che le possibilità
dell’uomo hanno un limite.
Tede Vetrali si è dichiarato
meno pessimista di Giampiccoli.
Secondo lui, si può pensare che
Canberra chiuda un periodo dell’ecumenismo e ne apra un altro, quello della spiritualità.
L’ecumenismo, infatti, « deve essere una sintesi di esperienze,
di vissuti, prima che di formulazioni ». La vera « anima » di
Canberra è stata nei culti sotto la tenda.
Molti problemi di fondo sono
venuti a galla, quello dell’intercomunione, che non si risolve
con le semplificazioni; quello del
forte disagio degli ortodossi che
si chiedono se è ancora valido
il principio ispiratore e fondatore del CEC. Ma l’allarme lanciato deve essere un’occasione di
rilancio dell’ecumenismo, perché
una crisi del CEC coinvolgerebbe tutta la cristianità. Chiesa
cattolica compresa. La quale
Chiesa cattolica, peraltro, non
intende entrare a far parte a
pieno titolo del CEC, per motivi strutturali.
Per la prima volta nella storia del CEC, il tema dell’Assemblea era una preghiera, un’invocazione allo Spirito Santo. Occorre essere fiduciosi nell’azione
dello Spirito, ha concluso Vetrali, « il futuro di Canberra e dell’ecumenismo sta nella spiritualità ». Jean-Jacques Peyronel
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24 maggio 1991
commenti e dibattiti
DIBATTITO
Un grattacapo:
l’8 per mille
Potr6mmo sffrontsr© i molti impogni
collogati all ©vontualo accottaziono?
La Commissione sinodale
ad referendum ha fatto
pervenire alle chiese tempestivamente il documento di studio suirS per mille
in vista delle discussioni a
vario livello: documento
molto accurato e, per certi
aspetti, esauriente. Leggendo o ascoltando certe reazioni, ho l’impressione che
i contrapposti orientamenti non ne siano molto influenzati e che si arrivi al
Sinodo solo con lievi spostamenti di maggioranze.
Senza alcuna pretesa di
proporre delle soluzioni,
mi permetto di esprimere
alcune mie idee in proposito.
Anzitutto mi sembra che
il problema dell'S per mille
rappresenti per le nostre
chiese un grosso grattacapo, qualcosa che è del tutto estraneo alla nostra
mentalità e alle nostre prospettive di attività ecclesiastiche, sia di comunione,
sia di testimonianza, sia
di diaconia. Infatti dai nostri dibattiti è emersa chiara e unanime la decisione
che l’eventuale accettazione dell’S per mille non
avrebbe in alcun modo significato l’utilizzazione delle somme derivate per le
attività delle nostre chiese. Si è parlato di impegni
sociali in modo piuttosto
generico. Pertanto mi sembra che si possa dire che
la vita delle nostre chiese,
in tutti i suoi aspetti, va
da sé, senza essere interessata dall’S per mille.
11 problema si pone dal
punto di vista del cittadino
italiano in genere e non
soltanto di quello membro
delle nostre chiese. E’ questo cittadino che è direttamente toccato dalla legge
222 e dalla sua possibile
estensione ad altre confessioni religiose. Alcuni cittadini italiani che devono
fare la scelta per l’attribuzione dell’S per mille si
rivolgono alle nostre chiese e chiedono di assumere
la resiponsabilità diretta
della gestione delle somme
derivate dal loro 8 per mille, forse proprio perché le
nostre chiese hanno già
chiaramente dichiarato che
l’eventuale nostra accettazione sarebbe stata unicamente indirizzata ad attività sociali di interesse extraecclesiastico. Ne deriva che
l'eventuale nostra accettazione dell’S per mille comporta non privilegi, ma serie i-esponsabilità verso
l’intera società italiana, in
particolare verso coloro
che devolvessero alle nostre chiese il loro 8 per mille.
Pertanto il problema per
le nostre chiese non dovrebbe essere quello generico del sì o del no, ma
quello di esaminare se e
in quale modo le nostre
chiese sono in grado di affrontare gli impegni collegati con l’accettazione. Si
tratta di impegni anzitutto di gestione: chi dovrebbe assumerne l’onere? La
Tavola valdese, oltre agli
impegni che ha già? La
CIOV? Una commissione
sinodale ad hoc? Le amministrazioni dei nostri istituti o dei nostri ospedali?
L’8 per mille non ci darà
forse grandi cifre, ma la
loro gestione dovrà essere
precisa e distinta perché
si dovrà rendere chiara e
precisa ragione aH’estemo.
Inoltre non ci si potrà
limitare alla generica indicazione delle ’’attività sociali”, ma si dovrà predisporre un piano ben preciso, indicando' i settori nei
quali si opererà: i cittadini dovrebbero essere informati in precedenza delle
concrete finalità, con indicazioni il più possibile chiare.
E’ certamente un peso
non indifferente che le nostre chiese affronterebbero; forse ne vale la pena
per offrire a quella parte
della cittadinanza italiana
che ce lo chiede un servizio
che potrebbe avere il valore di un’autentica testimonianza evangelica: non privilegio, quindi, ma responsabilità.
Posto così il problema
mi sembra che le chiese
e il Sinodo non dovrebbero più discutere genericamente e in modo astratto
il sì e il no, ma dovrebbero
svolgere un preciso studio
.sulle concrete esigenze di
un’eventuale .gestione (esigenze di strutture, di personale, di programmazioni,
ecc.) e le concrete possibilità di soddisfarle: sarebbe
certamente un’importantissima forma di testimonianza.
Attenti, però, perché già
al momento attuale le nostre opere sociali avrebbero bisogno di un numero
maggiore di membri di
chiesa disponibili a pieno
tempo e con chiaro senso
vocazionale per i vari servizi e, d’altra parte, nuove
forme di emarginazione richiederebbero nuove strutture di servizio: le une e
le altre sono rivolte per
la maggior parte all’esterno delle nostre chiese. Non
sarebbe male che fossero
cointeressati altri cittadini, proprio mediante T8
per mille.
Un programma chiaro e
concreto potrebbe interessare più vivamente gli stessi membri delle nostre
chiese, finora piuttosto
sconcertati dinanzi al rigido e astratto dilemma: ”8
per mille” sì o no.
Alfredo Sonelli
Viaggio in Inghilterra
La « United Reformed Church ■> invita un gruppo di
una ventina di giovani a un soggiorno tra il 20 e il 30
giugno, per vacanza, incontri con le chiese e visite. Spostamenti in treno e pullman,' pernottamento in famiglie.
La partenza è prevista da Torino la sera del 19 giugno
(treno via Parigi); il ritorno fra il 30 giugno e ii r luglio,
sempre a Torino, Costo approssimativo L, 400,000. Per informazioni: Elena Vigliano, Chiesa valdese - Torino (tei.
011/6692838, meglio martedì pomeriggio o sabato mattina).
DIBATTITO
Africa: profughi in attesa di soccorsi. Il Servizio rifugiati
e m.igrauti della FCEI collabora alle iniziative di solidarietà e accoglienza.
RIFLESSIONI SULL’ENCICLICA
Centesimus
lagnus
Veramente viviamo nel miglior moncdo
possibile, come dice il testo papale?
Una volta un ladro prese
moglie, e i suoi vicini si
rallegrarono del suo matrimonio sperando che d’allora in poi sarebbe diventato persona per bene. Sopraggiunse un uomo saggio, e vedendo tutti così
allegri disse: « Attenti, non
siate troppo lieti. Anche
il sole un giorno volle
andare a nozze: allora tutto il mondo si spaventò,
e gli uomini si agitarono
tanto da gridare e da lanciare insulti verso il cielo.
Allora Giove, dal cielo, chic,
se il motivo di tali grida
e il mondo intero disse:
"Ora abbiamo un unico
sole, e con la sua calura ci
fa tanti guasti che andiamo quasi tutti in rovina.
Cosa accadrà quando il sole genererà altri soli?”.
Questa tavoletta di Esopo ripresa da Lutero mi
fa venire in mente un altro
matrimonio, quello del
papa con il capitalismo. II
mondo intero palpita, speTand'u che d’ora in poi
quest’ultimo diventerà più
saggio. Sopraggiunge, però,
un uomo saggio, anzi no,
una marea di stolti e accoratamente ha inizio il
Centesimus lagnus!
Il capitalismo fa bene,
se usato bene. Le istrazioni
per l’uso abbondavano già
da tempo, eppure un lagnus papale produce effetti sempre inaspettati. Il
bene del capitalismo è nel
« ruolo dell’impresa, del
mercato, della proprietà
privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività nel settore del.
l’economia » (dalla Centesimus annus). E’ come dire
che il bene di un cancro
ai polmoni è nell'opportunità che ti dà di imparare
termini medici, di incentivare le tue spese, di riprodurre le tue cellule, ecc.
Il bene di qualcosa è in
qualcosa che non c'è! E’
nell’iperuranio platonico.
E’ nel ”se” della fantastoria. Una logica perversa
che, applicata a qualsiasi
ideologia, dà sempre un risultato positivo. Ed è strano che Wojtyla non la applichi al marxismo.
Il capitalismo è dunque
buono. Va solo migliorato.
E’ questo il migliore dei
mondi possibili. L’occidente non è un accidente. C’è
solo da migliorare. All’antimodernismo di Pio IX
ben venga il postmodernismo di Giovanni Paolo IL
E’ forse il caso di dire:
ai posteri, anzi no, agli
antenati l’ardua sentenza.
Tocca a loro giudicare. Noi
del presente siamo tutti
ritornati allo stadio anale,
l’unica nostra gratificazione è lì. Al futuro non possiamo appellarci perché lo
abbiamo già invaso e spinto nel passato. Ci restano
gli antenati, quelli di una
volta. Quelli che hanno
sempre pagato il prezzo
più alto e hanno avuto il
riconoscimento più basso.
Quelli del massimo sforzo e del minimo rendimento. Quelli che hanno pagalo la libertà della proprietà vendendo la propria
proprietà della libertà. A
loro tocca giudicarci. Quelli che il capitalismo lo hanno conosciuto quando ancora succhiava il latte dell’etica protestante. Quelli
non credono che il capitalismo adulto sia pronto
ora a succhiare il latte
dell’etica cattolica.
A loro la parola, visto
che si dice che di questi
antenati se ne trovano ancora tanti in giro. A loro
la parola. Non al papa e
al suo coro di laici cattoliciz.zati di sinistra e di catto,
lici laicizzati di centro per
l’ennesimo Centesimus lagnus.
Raffaele Volpe
Quali norme
accetteremmo?
Occorre chieidersi se sia giusto ricevere finanziamenti con la legge n. 222
Con il documento sui finanziamenti pubblici della
Commissione sinodale recentemente pubblicato da
questo giornale, il dibattito avviatosi nel 1985 sulle possibilità di estendere
anche alla nostra chiesa la
legge 222/85 sembra arrivato a un punto conclusivo. Scrive infatti la Commissione: « Il nostro ordinamento (...) non contiene
principi che escludano la
possibilità di acquisire finanziamenti e contributi
pubblici (...) ove tali contributi e finanziamenti non
siano destinati alle attività di culto ed alla assistenza spirituale ». Lo stesso documento termina sostenendo di « avere sufficientemente documentato
come la questione dell’accettazione o del rifiuto dell’otto per mille non attenga, in senso stretto, alla
sfera delle nostre discipline, a quella della nostra
confessione di fede o a
quella della nostra ecclesiologia. La questione si
gioca sul terreno (...) della testimonianza quotidiana e contingente della
chiesa nel nostro paese,
nella scelta inevitabilmente ’’politica” dei modi che
vogliamo dare, qui ed ora,
alla nostra testimonianza,
alla proposta di fede e di
modello di chiesa che vogliamo comunicare al nostro paese ».
Vorrei partire proprio
da questa conclusione, che
condivido, per svolgere
qualche breve considerazione.
La prima è questa. Dopo anni di discussioni non
è ancora sufficientemente
conosciuta la legge 222/85
e gli articoli delle intese
avventiste e pentecostali
che a questa legge fanno
riferimento (articoli dal 21
al 25 dell’Intesa delle ADI
e articoli dal 30 al 34 dell’Intesa avventista). Ha
fatto dunque bene la Commissione a pubblicare questi articoli in appendice alla propria relazione. Mi
auguro che siano letti e
meditati perché essi rappresentano, per ora, l’unico caso concreto di estensione ad altri soggetti della legge 222/85 nata per finanziare il clero cattolico.
Il dibattito al nostro interno, in effetti, non ha affrontato alcuni problemi
contenuti in questi articoli che rappresentano per
noi un ostacolo all’accettazione sia della defiscalizzazione che dell’otto per
mille (per esempio gli articoli 25 delle ADI e 34 degli avventisti). La Commissione ha affrontato l’argomento a pag. 10 in modo
insufficiente e non mi sembra adeguatamente motivata l’affermazione ' « che
l’utilizzazione che le Chiese avventiste e pentecostali hanno fatto di questa
legge dimostra che si può
contraddirne l’ispirazione
muovendosi su una linea
diversa ». E non mi pare
convincente l’affermazione
che « lasciando ferma la
fonte del finanziamento,
ma modificandone la destinazione e il meccanismo
di quantificazione, sulla
base di una legge di esecuzione di una specifica
Intesa, si opererebbe all’interno di un sistema del
tutto autonomo ».
Io spero che questi a
spetti si possano discutere
ora su questo giornale prima del Sinodo, per maggiore chiarezza di coloro
che dovranno esprimere
con il loro voto una posizione di così grande impegno per la chiesa. A mio
modo di vedere non si può
prendere una decisione
eventualmente favorevole
senza prima accordarsi
sulle norme che saremo disposti ad accettare. In caso contrario non faremo
che ripetere un errore che
è stato commesso nel dibattito di questi anni che
si è attestato soprattutto
sulla domanda: è giusto
che le chiese ricevano soldi dallo stato? sia pure
per le opere sociali e non
per il culto?
Questa domanda è evidentemente mal posta. La
domanda corretta è infatti: è giusto che le chiese
ricevano soldi dallo stato
con il meccanismo della
legge 222/85? Per me la
risposta è no.
Seconda considerazione.
Il Sinodo ha approvato nel
1990 un odg, riportato a
pag. 6 della relazione della Commissione, in cui tra
le altre cose « dà mandato alla Tavola di promuovere le iniziative necessarie per pervenire ad una
normativa che consenta la
deducibilità delle erogazioni liberali in favore » della chiesa. La Commissione
sinodale commenta così
questo odg (pagg. 6 e 7 del
documento): « Non sono
privilegiar! i finanziamenti
pubblici non finalizzati al
mantenimento del culto;
sono privilegiar! i finanziamenti pubblici destinati al
mantenimento del culto
(ovviamente); è considerata accettabile l’estensione
della deducibilità dal reddito imponibile delle contribuzioni alla chiesa: non
appare contraria al nostro
ordinamento la destinazione di risorse di cittadini
che produca una correlativa riduzione delle entrate fiscali dello stato ».
Questo proprio non lo
capisco. La defiscalizzazione riduce le entrate dello
stato e si riferisce a contributi versati alla chiesa:
non è un’operazione un pochino privilegiaria? quindi non accettabile? Secondo me sì.
E non mi si dica che c’è
una tendenza dello stato a
muoversi in questa direzione anche per altri enti
senza scopo di lucro. Finché la supposta tendenza
non si manifesta in modo
concreto non vedo motivo
alcuno per anticiparla.
Terza e ultima considerazione. Ho letto con attenzione il mandato della
Commissione sinodale e
proprio non ho trovato il
motivo per cui sia stato
scritto quel paragrafetto
sulla diaconia (pagg. 10 e
11). Per noi cristiani l’esigenza della diaconia non
nasce « per andare incontro ai bisogni di un maggior numero di persone »
con i soldi dello stato.
L’esigenza della diaconia
nasce dalla predicazione e
deve essere commisurata
alle possibilità di chi la
svolge. Non conta « quanta » diaconia si fa, ma
« come » la si fa. Almeno
così io credo.
Samuele Bernardini
4
vita delle chiese
24 maggio 1991
CATANIA: ASSEMBLEA DEL XVI CIRCUITO
Vivere per il sociale
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Incontro sulI’SVoo
Un campo di azione
rapporti ecumenici
privilegiato per la testimonianza cristiana - I
Adelfia chiude per un anno per ristrutturazioni
Il 12 maggio, a Catania, ha
avuto luogo l’Assemblea del XVI
Circuito.
Circa ottanta sorelle e fratelli, sotto la presidenza del past.
J. Hobbins e con segretaria Carola Stobhaus, hanno discusso la
relazione del consiglio uscente,
trattando i seguenti punti: 1)
rapporti ecumenici; 2) nomina
commissione di studio sui problemi del Mezzogiorno; 3) ristrutturazione di Adelfia; 4) sistemazione campo di lavoro delle chiese di Scicli e Pachino; 5)
coordinamento per attività immigrazione extracomunitaria.
Nella tarda mattinata, prima
del dibattito, si è avuto il culto
tenuto dal fratello Arturo Panasela che, analizzando Matteo 5:
1-9 e Romani 12: 1-2, ha precisato l’imprescindibile bisogno
per il credente di avere un’etica
propria di stampo laico e comunque fondata sui cardini essenziali deH’Evangelo. Panasela
ha sostenuto anche la necessità,
per la comunità e per il singolo credente, di testimoniare concretamente la propria fede, essendo la nostra una società che
ha grande sete di « cultura protestante ».
Non è del resto possibile annullare anche la morale kantiana, pur di dar sfogo ad una politica dell’utile personale di
stampo guicciardiniano.
Da qui l’esigenza di vivere una
grande tensione nel e per il « sociale », quale campo di azione
nel quale la testimonianza cristiana diventa l’unica scommessa possibile ed indispensabile.
Molto tempo è stato dedicato
alla discussione sui rapporti ecumenici, specie nei confronti dell’attuale cattolicesimo.
Esperienze varie hanno, comunque, convinto i più a non
lasciarsi « adescare » da un certo « ecumenismo di facciata »
che proprio i fratelli cattolici,
con la loro « romanticizzazione
della fede », prediligono, solo
una volta l’anno, per mettersi
la coscienza a posto e soddisfare esigenze di vertice e non veri bisogni comunitari.
L’attuale cattolicesimo, tra l’altro, rimane sempre ancorato ai
propri privilegi concordatari che
poco hanno a che fare con il
pensiero protestante. Si rimane,
però, del parere che proprio sull’ecumenismo bisogna sapersi
« spendere » per manifestare capacità di approccio, segni di
apertura, impegno di fede, attraverso il dialogo fraterno e puntualizzante.
E’ stato emesso in merito un
ordine del giorno, come racco
mandazione alle chiese. Per i
problemi del Mezzogiorno l’assemblea, all’unanimità, ha nominato quale coordinatore dell’apposita commissione il past. M.
Pons. Purtroppo quest’anno
Adelfia non aprirà i suoi battenti, perché in condizioni edilizie
precarie. La Tavola, sensibile al
problema, ha approvato il tipo
di intervento di ristrutturazione
proposto dal Comitato e dal suo
coordinatore, affidando il progetto alle cure dell’architetto De
Bettini. Si auspica che col giugno 1992 il Centro riprenda a
funzionare, grazie anche al contributo che le stesse chiese vorranno dare come risposta a una
esigenza che nel Sud diventa
prioritaria ed essenziale, soprattutto nei confronti delle giovani
generazioni.
Sul problema Scicli-Pachino
l’assemblea non ha potuto esprimere un proprio parere, trattandosi di un rapporto diretto
tra Tavola e relativi pastori.
Circa il coordinamento per
l’attività di immigrazione extracomunitaria l’assemblea si è rallegrata del lavoro svolto nel Trapanese ed altrove, auspicando
che anche in tale settore ci sia
unità di intenti, attraverso un
servizio reso a chi, spesso, è costretto a vivere una « diversità »
emarginante. I lavori si sono
conclusi con reiezione del nuovo
consiglio nelle persene di John
Hobbins, presidente, Carola
Stobhaus, Nino Gullotta, Giovanni Gennuso, Arturo Panascia,
membri.
Francesco L’Abbate
TORRE PELLICE
Rinnovata la Biblioteca
torre PELLICE — Con una
cerimonia sobria e familiare è
stata inaugurata sabato pomeriggio la Biblioteca del Centro.
Si è voluto sottolineare così il
passaggio dalla fase di sistemazione, che durava ormai dal 1988,
a quella odierna.
Anche se già da mesi la biblioteca aveva funzionato con la
sala di lettura e l’utilizzo del
materiale da parte di lettori, ora
si è compiuto un passo importante con l’apertura al pubblico
dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 17. Riprende anche il prestito esterno con
norme molto precise ad evitare
perdite di libri. Il prestito verrà effettuato nei giorni di mercoledi e venerdì dalle 15 alle 17.
Il presidente della Comunità
montana. Cotta Morandini, ed il
sindaco di Torre Pellice, Armand
Hugon, hanno sottolineato il valore sociale e culturale della biblioteca nella valle, il preside
del Collegio prof. Canale ne ha
messo in luce l’importanza per
l’istituto ed il past. Ribet ha ribadito, a nome della Tavola,
l’impegno della chiesa nel valorizzare il suo patrimonio culturale come elemento essenziale
della sua testimonianza. Mariella
Taglierò, responsabile del lavoro
di riordino e della sistemazione,
ha illustrato le fasi del lavoro
ed i progetti e ringraziato i nu
merosi collaboratori che hanno
dato il loro apporto per la sistemazione di questo bel lavoro.
Non resta che augurarci
che il Centro possa con questo
servizio fornire alle chiese ed
alla valle uno strumento di aggiornamento e di ricerca utile
ed apprezzato.
Assemblee
di circuito
In questo periodo si svolgeranno le assemblee di circuito per
la valutazione delle attività svolte, che dovranno eleggere, per
la sola componente metodista, i
deputati al Sinodo.
— Il IV circuito terrà la sua
assemblea a Viering (Valle d’Aosta) sabato 25 maggio.
— Il XII circuito terrà la sua
assemblea a Pescolanciano (Is),
corso Garibaldi 111, domenica 26
maggio.
ANGROGNA — Domenica 26
maggio, nel tempio di Pradeltorno, durante, il culto è previsto
anche un momento di discussione sul tema di estrema attualità dell’accesso o meno della nostra chiesa al finanziamento pubblico d’8 per mille).
• Il culto di Pentecoste è stato allietato dal battesimo della
piccola Silvia Bonomessi. Su lei
e sui suoi genitori invochiamo
la benedizione del Signore.
• Domenica 26 maggio, dalle
ore 14.30 nella Sala unionista di
Angrogna, si svolgerà il bazar
a cura delle sorelle dell’Unione
femminile. E’ prevista l’estrazione dei biglietti della sottoscrizione, provvista di ricchi premi.
Catecumeni
SAN SECONDO — Il culto di
domenica 12 maggio è stato interamente presieduto dai catecumeni del 1° anno; è stato il risultato di due anni di studio
dell’Antico Testamento che essi
hanno fatto, guidati da Peggy
Bertolino.
• Ringraziamo il fratello Attilio Fornerone e il past. Giorgio
Tourn per aver, rispettivamente,
presieduto i culti delle domeniche 5 e 19 maggio.
• Il Signore ha chiamato a
sé Ettore Godino. Esprimiamo
ancora ai familiari la nostra
simpatia cristiana.
Concerto sul ’’Credo”
TORRE PELLICE — La Corale valdese, con la collaborazione
di Radio Beckwith, presenta un Delegati
concerto sul tema: « il Credo »
nei nostri inni, sabato 25 maggio ore 21, tempio valdese.
to mai significativo ed importante per la comunità di San Germano: siamo abituati, infatti, a
pensare che la scelta di fede sia
fatta una volta per tutte al tempo della confermazione, a sedici
anni, mentre essi ci hanno mostrato come la decisione della
testimonianza sia da noi richiesta in ogni momento.
• Giovedì 30 maggio, alle ore
20.45 presso le vecchie scuole,
il past. Giuseppe La Torre terrà una conversazione sul tema
« L’Islam e noi ».
Tutti sono invitati a partecipare.
Grazie!
PRALI — Dopo una ventina di
giorni di missione in Scozia, il
pastore è ritornato: grazie a
Sergio Ribet, Eugenio Stretti e
Luigi Marchetti che hanno predicato in assenza del pastore.
• Domenica 26 maggio ci sono due appuntamenti da non dimenticare: alle 10.30 culto di fine attività per la scuola domenicale e per il catechismo; al
pomeriggio il bazar.
• Ci congratuliamo con Vera
e Gino Pascal per la nascita di
Ivan e con Myriam e Claudio
Richard per la nascita di Stefano.
9 I nostri deputati al Sinodo
e alla Conferenza distrettuale sono: Riccardo Ghigo (supplente
Silvio Artus) per il Sinodo _e
Carla Pascal e Edoardo Grill
(supplenti Use Genre e Fiorella
Martinat) per la Conferenza.
Nuovi membri
SAN GERMANO CHISONE —
La domenica di Pentecoste abbiamo avuto la gioia di accogliere sette nuovi membri di
chiesa: Luigina Bargossi Rostan,
Marianna Carico Beux, Igino Gelato, Paola Ghessa Rostan, Renata Girard Comba, Giovanni Giraud e Pietro Renzo Giraud. Al
termine di una serie di incontri sul pensiero protestante, queste sorelle e questi fratelli hanno chiesto di entrare a far parte della Chiesa valdese. Nel corso del culto è stato fatto notare come il loro gesto sia quan
AGGIORNAMENTO PASTORALE
Scienza e fede
PRAROSTINO — L’assemblea
di chiesa del 28 aprile ha proceduto all’elezione dei seguenti delegati alla prossima Conferenza
distrettuale: Laura Malan, Laura
Griglio, Edoardo Godino; per il
Sinodo sono stati eletti Laura
Griglio e Valdo Plavan.
• Il 12 maggio, nel corso dei
culto, sono stati battezzati i piccoli Paolo di Gino Gardiol e
Anna Alliaudi, Isabella di Ugo
Long e Adriana Paolasso, Andrea di Umberto Vallenzasca e
Rossella Rol. La comunità esprime le sue felicitazioni a queste
famiglie e prega affinché il Signore le voglia accompagnare
giorno per giorno con il suo
consiglio.
Culto al tempio
MASSELLO — Domenica 26
maggio il culto sarà nel tempio,
alle ore 11; parteciperanno le
scuole domenicali di Perrero e
Villar Pellice.
Claudiana editrice
NOVITÀ’
ELENA RAVAZZINI CORSANI
L'aquilone sull'armadio
Il « diario di guerra » di una ragazzina
pp. 130, varie ili .ni, L. 16.000
Guerra, resistenza e dopog;uerra in Piemonte nel diario
di una ragazzina (1939-1948).
Il alarlo autentico di una ragazza di va“
risrra':r!'*aS? «i srrtz^rorfr«.».
nianza vera, particolarmente utile per jo
^ oggi Che coca cono stati 1^ sSiè:
resistenza e i valori su cui è stata ricostruita 1 Italia, spesso
immemore, di oggi.
FONDATA NEL 1855
Via P. Tommaso, 1-10125 Torino - Tel-68M04
C.C.I A. n. 274.482 - C.C.P. 20780102 - cod. fise. 006-.y00012
Il prossimo incontro di aggiornamento pastorale italo-francese avrà luogo lunedì 27 e martedì 28 maggio,
presso la « Communauté de Pomeyrol »
(13150 - St. Etienne du Grès, tei. 0033/
90.491888). La Tavola valdese ha deciso di considerarlo come una delle
possibilità di aggiornamento pastorale
per l’anno in corso, pertanto le spese potranno essere rimborsate.
Il corso, organizzato dalla Regione
Corsica-Provenza-Costa Azzurra della
Chiesa riformata di Francia, sarà con
dotto dal prof. J. L. Dubied, della Facoltà di teologia di Neuchâtel, sul tema « Scienza - fede - ragione », presentando un nuovo possibile quadro
di rapporti fra scienza, fede e teologia. Una quarta lezione avrà per argomento: « L'angoscia e la morte L'amore e la morte ».
Per iscrizioni, rivolgersi in tempo
al past. Michel Bertrand, 34 bd des
Platanes, 13100 Marseille (tel. 0033/
91.261.749). La quota di partecipazione
consiste in un'offerta libera.
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Venerdì 24 maggio
a ASSEMBLEA DEL
1» CIRCUITO
VILLAR PELLICE — Alle ore 20,45,
nella sala comunitaria della chiesa di
Villar Pellice, è convocata l'Assemblea
che dovrà esaminare l'attività del Consiglio ed eleggerne i nuovi membri.
□ ASSEMBLEA
MI CIRCUITO
PERRERO — L'assemblea è convocata alle ore 20.30 presso i locali
della chiesa valdese: all'ordine del
giorno: relazione annua, elezioni, varie.
1-2 giugno
□ GIORNATA GIOVANI
1 DISTRETTO
AGAPE — Con inizio alle ore 16
del sabato, si riuniscono i gruppi giovanili delle valli: tema dell'Incontro:
il lavoro. Prenotazione: Doriano Coisson, tei. 932839 (ore pasti).
5
r
24 maggio 1991
vita delle chiese 5
ASSEMBLEA ANNUALE DELL’UNIONE PREDICATORI LOCALI
CHIESE PROTESTANTI
Al servizio della chiesa Predicazione dei laici
Renato Salvaggìo celebra il culto di apertura nel tempio valdese
di Rio Marina.
unificazione della preparazione dei
vari ministeri (monitori, diaconi,
predicatori, pastori). L’assemblea
ha colto l’importanza del momento e, mentre il Comitato aveva
già predisposto che Laura Carrari
10 rappresentasse a S. Severa, ha
votato, in appoggio, la seguente
« raccomandazione » :
« Nell’ambito della collaborazione BMV, l’assemblea dell’ “Limone predicatori locali”, riunita
11 1° maggio a Rio Marina, ritiene
necessario esaminare la possibilità
di promuovere una unificazione
della preparazione ai vari ministeri nelle chiese battiste, metodiste
e valdesi e, in particolare, auspica
un unico iter di studio ed uno
stesso riconoscimento dei predicatori locali valido per tutto l’ambito BMV. Invita pertanto il Comitato UPL a promuovere opportune iniziative con gli organismi
adatti nell’ambito BMV ».
L’assemblea è stata presieduta
amabilmente da Gabriele Lala, di
Livorno, coadiuvato da una precisa segretaria, Elena Vigliano di
Torino. L’assemblea ha riconfermato il Comitato uscente nelle
persone di Leonardo Casorio, segretario, Laura Carrari e Mario
Cignoni, membri.
Sauro Gottardi
Gli atti amministrativi e l’importante aggiornamento teologico - Ci
sarà un’unificazione della preparazione ai ministeri in campo BMV?
Nella ricerca di date e località
che consentissero una sostenuta affluenza di partecipanti dalle varie
parti d’Italia, T« Unione predicatori locali » ha, quest’anno, convocato a Rio Marina (isola d’Elba), dal 30 aprile al 1° maggio,
nella Casa valdese, la sua annuale
assemblea.
La presenza di 51 persone (21
predicatori, 5 candidati, 4 pastori
e 21 familiari) ha funzionato da
collaudo alla struttura della Casa,
completamente rinnovata ed ampliata con importanti lavori di ristrutturazione. Sia la direttrice,
Ornella Rovelli Grein, con la sua
équipe, che i partecipanti, con spirito molto fraterno, si sono attivati felicemente a far funzionare
il tutto, senza grandi disagi e spesso con gran -divertimento. Il canto di « ringraziamento » prima dei
pasti ed i cori dopo cena, al suono del pianoforte, hanno fatto da
cornice alle riunioni. L’ambiente
del pianterreno, ora ben articolato
tra salone, terrazzo, cucina, ricezione, bar e saloncino, si è dimostrato molto adatto a ricevere anche gruppi numerosi e trasformabile in un batter d’occhio da sala
di conferenze in sala da pranzo,
da salotto musicale in aula di
gruppi di studio. La Casa ha quindici camere con una cinquantina
di letti. La colletta del culto di
apertura è stata devoluta alla Casa.
Come di consueto, l’assemblea
non si è limitata alla relazione del
Comitato uscente, alla votazione
per il nuovo Comitato, alle questioni amministrative e finanziarie
e di vita dell’Unione. Il programma, infatti, comprendeva un aggiornamento teologico, presentato
dal prof. Ermanno Genre sul tema « Lettere pastorali come testimonianza dell’evangelizzazione
alla terza generazione cristiana »
e una riflessione sulla « Figura e
ruolo del predicatore locale », a
cura della prof.ssa Laura Carrari
(membro del Comitato) e ancora
una relazione su « Temi di predicazione sulla creazione », svolta
dal pastore Michele Sinigaglia.
Argomenti importanti e relatori
di prestigio che mantengono alto il
livello di questa assemblea, specie
se si tiene conto che, in questa occasione, era presente anche il presidente relatore della « Commissione permanente studi », pastore
Bruno Costabel, che ha esposto i
criteri per condurre gli esami ai
candidati predicatori e per valutare la serietà della loro preparazione. Dallo stesso abbiamo appreso
che sono stati ritenuti idonei ad
essere inseriti nei ruoli di circuito
di predicatori locali, dopo aver sostenuto i previsti esami, Giuseppe
Sacco, delTll” circuito, e Giancarlo Sacchini, del T circuito.
L’assemblea ha ricevuto due
spinte a discutere le relazioni future tra battisti, metodisti e valdesi
circa la preparazione e il riconoscimento reciproco dei loro predicatori. Anzitutto il pastore Saverio Guarna, presidente dell’UCEBI. nell’organizzare la « consultazione » dei pastori locali battisti del 4-5 maggio a S. Severa,
ha invitato un rappresentante del
Comitato UPL a parteciparvi per
presentare le finalità e il lavoro
della nostra Unione onde poter iniziare un eventuale collegamento
con l’UPL.
Inoltre, durante l’assemblea, il
pastore battista Michele Sinigaglia
ha appassionatamente invitato i
presenti a promuovere, nello spirito BMV, tutti i contatti possibili,
anche a livello locale, per una
Una delle caratteristiche più
specifiche delle chiese protestanti e specialmente di quelle riformate è stata l’abolizione della
divisione tra clero e laici, e questo dovrebbe essere tanto più
vero tra i valdesi che hanno rivendicato una predicazione laica
già nel XII secolo. Da questo
punto di vista sarebbe quindi
erroneo cercare una differenza
tra predicazione laica e predicazione pastorale. Tuttavia chi scrive crede di potere indicare, come
dati di fatto, due punti che
dovrebbero distinguere la predicazione fatta da un laico (uso
questo termine inadatto per comodità) rispetto a quella fatta
da un pastore.
Il laico solitamente non esce
da una Facoltà di teologia, il
suo bagaglio culturale non si è
formato in quella sede, il suo linguaggio è meno tecnico, il suo
parlare meno vincolato ad una
scuola di pensiero, la sua predicazione insomma è meno costruita e più libera dai condizionamenti della teologia in voga.
Il laico non è il funzionario
impiegato di una chiesa ed egli
non è retribuito daH’amministrazione centrale. La sua predicazione, meno soggetta a diventare
routine, può quindi esprimere
una più ampia libertà di giudizio
nei. confronti dell’istituzione.
Sarebbero quindi queste due
libertà a caratterizzare la predicazione laica e sarebbe bello se
fosse così. E questo per rivendicare ai laici (per la maggioranza
da noi uniti nell’UPL) un quid
specifico ed una missione particolare. Non predicatori di seconda categoria dunque, ma fratelli
e sorelle che, con strumenti diversi da quelli dei pastori, annunciano l’Evangelo dentro e
fuori le chiese. E’ appunto l’annuncio dell’Evangelo il vero pro
SANTA SEVERA
Collaborazione BMV
L’Unione predicatori locali delle Chiese evangeliche metodiste
e valdesi ha ricevuto dal past. Saverio Guarna, presidente del Comitato esecutivo dell’UCEBI, l’invito oltremodo gradito a partecipare ai lavori della consultazione
dei pastori locali battisti, tenutasi a Santa Severa nei giorni 4 e
5 maggio 1991.
E’ stata un’esperienza molto
bella e nuova, da un certo punto
di vista, quella di lavorare con
persone appartenenti ad un organismo di un’altra chiesa, anche
se per i cristiani impegnati il tema da discutere, il problema da
sviscerare è sempre e solo uno;
testimoniare l’amore di Dio per
le creature umane e cercare nel
mondo attuale il modo migliore
per farlo.
I temi trattati erano : vocazione e percorso di fede ; difficoltà
e opportunità del pastore locale
(con la conduzione del pastore C.
Bianchi); l’Unione: come la vediamo e la sentiamo (conduttore
il pastore S. Guarna).
Per rUCEBI il pastore locale
è quel credente che, pur mantenendo il suo impegno di lavoro
nel mondo secolare, per cui è
economicamente autosufficiente
e indipendente, viene scelto come
conduttore e guida spirituale dalla comunità alla quale appartiene.
Una volta di più è emerso chiaramente che le esperienze variano a seconda delle persone, dei
luoghi e delle situazioni sociali e
così pure sono viste in modo diverso le opportunità o le difficoltà che si presentano al pastore
locale. Egli ha dei vantaggi perché ha maggiori occasioni di conoscere i problemi del prossimo
e non è di solito soggetto a trasferimenti ma, d’altra parte, ri
Da sinistra: Mario Cignoni, Leonardo Casorio, segretario del Comitato UPL, Gabriele Lala, Laura Carrari e Elena Vigliano.
sente della mancanza di tempo
da dedicare alla chiesa a causa
degli impegni di lavoro che gli
impediscono di dedicarsi all’opera del Signore a pieno tempo.
Ma io non ero lì solamente per
assistere ai lavori, spiegare la nostra identità e illustrare i nostri
metodi e le nostre riflessioni, ma
anche per esprimere quanto’ era
emerso con spontaneità dalTassemblea dei predicatori locali
riunitasi a Rio Marina alla fine
di aprile, il desiderio cioè di trovare un collegamento per un’approfondita conoscenza reciproca
e una linea di impegno comune
tra i due organismi, pur nella
diversità della costituzione ecclesiastica.
Il predicatore locale delle Chiese evangeliche metodiste e vaidesi ha un ruolo diverso da quello del pastore locale battista, che
è responsabile di una comunità.
Ma non per questo non ci sono
dei punti di contatto: ad esempio la strada e gli impegni di studio per accedere ai rispettivi ruoli sono quasi simili. Dei pastori
locali battisti si occupa il Dipartimento di teologia, dei predicatori locali delle Chiese valdesi e
metodiste la Commissione permanente studi.
Ma quello che è importante e
che bisogna mettere in luce è il
desiderio che si è sentito di cominciare a fare qualcosa insieme,
per gradi, con paziente sollecitudine ma con costanza, approfittando di ogni occasione e opportunità per incontri a ogni livello e per uno scambio di vedute. Questo l’augurio fraterno che
reciprocamente ci siamo fatti e
che custodiamo nel cuore.
Laura Carrari
blema della predicazione, che
vuole e deve essere la spina dorsale della nostra chiesa e il senso
della nostra presenza in Italia.
Se la predicazione è smidollata,
allora anche la chiesa sarà smidollata, ma se la predicazione
sarà autentico annuncio di Cristo, fatto con amore ma anche
con coraggio e determinazione,
allora — indipendentemente da
chi sia l’umile strumento di questo annuncio, pastore o laico —
vedremo rifiorire le nostre comunità e conosceremo nuove conversioni.
Ma per essere credibile il predicatore deve anche essere coinvolto in prima persona dal messaggio che annuncia, non solo
intellettualmente o emotivamente, ma anche in senso etico e di
stile di vita, come ricordano le
epistole ’’pastorali” ed avevano
capito i primi valdesi. Ed è forse
proprio qui che sorgono i problemi che rendono la nostra
predicazione meno credibile e incisiva. Forse allora il problema
non è predicare, ma vivere.
Mario Cignoni
I predicatori
iocali
Per comprendere bene la funzione attuale del predicatore è opportuno forse risalire al momento
storico in cui tale figura si delineo con contorni netti e precisi sulla scena del protestantegimo inglese della prima metà del secolo
XVIII quando, in seguito alla predicazione all’aperto di John Wesley e dei suoi amici, fu necessario organizzare la moltitudine straripante dei « risvegliati » in Società religiose e suddividerle in sottosezioni o « classi », secondo
quanto scrive il pastore Sergio
Carile nel suo libro 11 metodismo.
Per mantenerle in vita, seguirle,
istruirle, collegarle ci vollero dei
capi, dei leaders preparati, uomini
e donne, impegnati, responsabilmente coscienti di questo nuovo
tipo di strategia missionaria, che
consisteva nel cercare locali, aprire biblioteche e scuole, tenere viva la fede dei nuovi aderenti.
Sorsero quindi i predicatori locali, fermi nelle loro sedi, e I
predicatori itineranti o laici che si
spostavano a cavallo di paese in
paese. L’ammissione dei laici nell'organizzazione della chiesa non fu
compito facile. Si trattava, da una
parte, di desacralizzare il monopolio della predicazione e, dall’altra, di non lasciare alla spregiudicatezza o, peggio, all’entusiasmo
sprovveduto di chiunque l’annuncio
della Parola.
Wesley l'ebbe vinta e da allora
c’è stata sempre necessità nelle
chiese di avere dei fedeli che
fiancheggiassero come •• aiutanti »
l’opera del pastore. E sempre più
è parso evidente che bisognava essere preparati e avere una soiida
base di conoscenza biblica.
Proprio per questo motivò è sorta nell’immediato dopoguerra —
tanto per portare un esempio più
vicino a noi — la Commissione
permanente studi neiia Chiesa metodista con il compito di programmare un piano biennale di studi
per coloro a cui è riconoscilito il
dono della Parola che desiderano
impegnarsi profondamente e sottoporsi ad una graduale verifica con
esami e colloqui. Oggi tale organismo è parte integrante deH’Unione tra le Chiese valdesi e metodiste.
Completato il curriculum degli
studi, con preparazione o a livello personale o con corsi programmati dai circuiti, i candidati vengono riconosciuti predicatori locali,
secondo l’art. 18 del Regolamento
sui ministeri, ed entrano nel ruolo dei predicatori locali il cui organismo di collegamento è l’Unione predicatori locali (UPL).
6
6 prospettive bibliche
24 maggio 1991
ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA
L’EVANGELIZZAZIONE
Quello che salta subito agli occhi
leggendo il racconto della chiamata
dei primi discepoli, così come si trova nel Vangelo di Giovanni, è la grande differenza che questo presenta nei
confronti dell’altro raccolto contenuto nei sinottici, per esempio in
Marco, tanto che ci chiediamo se si
tratta dello stesso episodio oppure
di qualcos’altro. In effetti, quando
parliamo della chiamata dei primi discepoli, difficilmente pensiamo al
racconto di Giovanni; generalmente
siamo portati ad immaginare la scena cosi come la descrive Marco; un
gruppo di pescatori che abbandonano le loro reti per seguire Gesù, uomini intenti al loro lavoro di ogni
giorno che a un certo momento della
loro esistenza ricevono la vocazione
del Signore e non esitano a mollare
tutto e a cambiare radicalmente vita.
Si tratta indubbiainente di una scena
molto suggestiva, nella quale spicca
la grande personalità di Gesù, la sua
grande autorità sottolineata dalle famose parole: « Seguitemi, vi farò pescatori d’uomini ».
Rispetto al racconto di Marco quello di Giovanni si presenta con caratteristiche completamente diverse:
l’ambientazione è un’altra e diversi
sono in parte i personaggi, nessun accenno viene fatto riguardo al mestiere esercitato dai discepoli; inoltre il
brano è più articolato, più movimentato, con continui scambi di battute,
e sembra possedere, nei confronti
del racconto di Marco, un tono meno
pressante e meno categorico. Ma a
prescindere da tutto ciò il racconto
di Giovanni sembra dare delle indicazioni che meritano di essere prese
in considerazione.
Gli uomini che
incontrano Gesù
Giovanni ci parla di uomini che incontrano sulla loro strada Gesù, che
credono in lui, che hanno modo di
maturare la loro fede attraverso un
rapporto personale con lui, che poi
portano la buona notizia ad altri uomini e li conducono all'incontro decisivo con Gesù. Questa sequenza di
avvenimenti, così come ce la presenta Giovanni, dà la sensazione di trovarsi di fronte alla descrizione di una
prassi evangelistica. Sembra quasi
che Giovanni abbia voluto trasmettere alla comunità antica, insieme al
racconto della chiamata dei primi discepoli, anche un vero e proprio metodo di evangelizzazione, un metodo
realmente alla portata della comunità, che le permetta di svolgere più
proficuamente la sua attività missionaria.
Partendo da questa, che è una pura e semplice ipotesi da verificare sul
piano esegetico, possiamo notare che
una prima indicazione del metodo che
Giovanni sembra suggerire si trova
nel fatto fondamentale che alla base
di tutto l’episodio sta l’incontro diretto e personale, continuato per un
certo tempo. Il rapporto di Gesù con
i suoi discepoli, e in seguito di questi con i fratelli, è caratterizzato appunto dall’incontro diretto, dal dialogo, dalla conversazione, dal fare
domande e dal dare risposte. Come
dire: l’evangelizzazione, l’annunzio
dell’Evangelo, non si fa semplicemente a colpi di sermone, special
II motivo dell’evangelizzazione, intesa come annunzio dell’Evangelo attraverso il contatto diretto e personale con colui che ascolta, è al centro
di questa predicazione, che Renato Salvaggio ha tenuto in occasione
dell’Assemblea del'l’Unione predicatori locali, svoltasi a Rio Marina il
30 aprile-l° maggio. (I servizi sono pubblicati a pag. 5). (red.)
mente se dall’alto di un pulpito a
una certa distanza, anche spirituale
e culturale, da colui che ascolta.
L’evangelizzazione si fa certamente
con la predicazione, cercando il più
possibile di entrare in un rapporto
diretto e personale con colui che
ascolta, cercando di calarsi per quanto possibile nella sua particolare condizione, per poterlo capire, per poterlo aiutare.
La prima diffusione
del cristianesimo
Del resto, a voler esaminare bene
le cose, deve essere stata proprio
un’azione evangelistica di questo tipo quella che ha permesso al cristianesimo primitivo di diffondersi nel
mondo antico. E’ difficile pensare a
predicazioni fatte in pubblico a grandi masse di persone, anche se il Nuovo Testamento ce ne dà qualche
esempio. E’ più realistico invece pensare ad un annunzio dell’Evangelo
fatto da persona a persona, nell’ambito della famiglia o del vicinato, nell’ambito del luogo di lavoro; in un
rapporto di confidenza, con una certa
continuità, con una certa frequenza.
Generalmente solo chi detiene il potere, politico o religioso che sia, riesce a riunire le grandi masse. In
tempi recenti è riuscita a fare questo
la Chiesa cattolica, all’apice del suo
successo mondano, è riuscito a farlo
un movimento fondamentalista come
la Moral Majority in America; e sulla natura di queste grandi manifestazioni è possibile avanzare molte riserve ed è difficile poterle collocare
nell’ambito di un’evangelizzazione vera e propria, almeno come possiamo
intenderla noi.
Se consideriamo la realtà dell’uomo di oggi, sempre meno disposto
ad ascoltare oratori di qualsiasi genere, sempre meno disposto a cambiare le proprie idee in quella realtà
che vede l’uomo moderno tendere
sempre più a rinchiudersi nel proprio privato, nell’ambito della propria famiglia o di un piccolo gruppo,,
allora possiamo ritenere ancora valido ed attuale il metodo di evangelizzazione che Giovanni sembra proporre; possiamo ritenerlo runico che
permetta di raggiungere oggi l’uomo,
prigioniero com’è della sua indifferenza e del suo egoismo, come anche
delle sue insicurezze e delle sue angosce.
Ma il racconto di Giovanni ci fornisce una seconda indicazione di tale metodo di evangelizzazione: proprio nell’uso ripetuto del verbo «vedere » che sembra scandire l’andamento del racconto stesso. Gesù ai
primi due discepoli dice; « Venite e
vedrete »; Filippo dice a Natanaele:
« Vieni a vedere »; infine sempre Gesù dice a Natanaele: « Tu vedrai cose
maggióri di queste ». Ora, senza volere affermare una qualche dipendenza
della fede dalla visione e dalla constatazione dei fatti, anziché dall’ascolto della Parola, Giovanni sembra suggerirci l’idea che per una migliore testimonianza è necessario non
solo parlare ma anche dimostrare,
non solo dire ma anche far vedere.
Così per i credenti deve esserci sempre la possibilità di dire non soltanto
che Gesù è il Signore, il salvatore
del mondo, ma anche; Venite e vedrete.
Allora, mentre la prima indicazione di Giovanni, cioè l’incontro diretto e personale, ci chiama specificamente in causa come singoli credenti, questa seconda indicazione ci
chiama specificamente in causa come chiesa, perché è proprio come
chiesa che dobbiamo poter dire; Venite e vedrete. Venite e vedrete, non
certamente come sono belli i nostri
templi, come è efficiente la nostra organizzazione, come è interessante la
nostra storia passata, ma venite e
vedrete come uomini e donne veramente liberati dall’Evangelo sanno
vivere la loro vita sotto il segno della fede. Venite e vedrete come sia
possibile una nuova qualità della vita basata sull’amore anziché sull’odio, sul dono anziché sul possesso, sulla solidarietà anziché sull’indifferenza, sulla comprensione e sulla tolleranza' anziché sull’intransigenza e sull’egoismo.
Responsabilità e
testimonianza
Certo, la parola di Dio ci pone di
fronte alle nostre responsabilità, ma
credo che ci fornisca anche i mezzi
per assolvere il nostro compito di testimonianza. Credo che la particolare lettura che abbiamo fatto di questo racconto possa essere per noi un
incitamento ed un incoraggiamento
che ci consente di andare avanti nella nostra azione di testimonianza cristiana. Il metodo di evangelizzazione che, a mio parere, ci viene suggerito ha certamente una validità specialmente in riferimento al tempo e
alla situazione in cui ci troviamo, in
cui si trovano le nostre comunità:
queste nostre comunità, spesso piccole e deboli, soprattutto quelle del
Meridione d’Italia; spesso isolate sia
dalle altre comunità che dall’ambiente sociale circostante; in qualche
caso di fronte all’angosciosa prospettiva di una progressiva estinzione
per mancanza di ricambio generazionale, per mancanza di nuove conversioni.
Noi che apparteniamo a queste comunità molte volte sogniamo, e talvolta progettiamo, grandi campagne
di evangelizzazione come quelle di
una volta, come quelle che noi pensiamo si facessero una volta, ma nella realtà, poi, non abbiamo la possibilità di portarle avanti. Probabilmente non possediamo la forza necessaria, la necessaria convinzione;
probabilmente non sussistono più le
condizioni adatte per realizzare campagne di quel tipo. Indubbiamente,
però, abbiamo la possibilità di impegnarci in un tipo di evangelizzazione senz’altro più modesto ma anche
più efficace, che privilegi il rapporto
personale e diretto, la trasmissione
della fede da uomo a uomo, da donna a donna, da famiglia a famiglia.
Se non riusciamo ad essere la luce
del mondo, la lampada che si pone
in alto per rischiarare tutti quelli
che stanno intorno, cerchiamo di essere il lievito che lentamente, nascostamente fa fermentare tutta la pasta.
Siamo tutti convinti che di questo,
cioè di evangelizzazione, oggi ci sia
particolarmente bisogno in un mondo che si affanna nel tentativo di trovare un nuovo equilibrio, abbattendo vecchie strutture politiche, ricercando nuove regole di convivenza,
ma che non riesce a liberarsi dal
vecchio spirito di egoismo e di sopraffazione. Siamo tutti convinti che
soprattutto di evangelizzazione oggi
abbia bisogno la nostra società;
questa nostra società nella quale ognuno tira a campare occupandosi e preoccupandosi prevalentemente del proprio benessere
personale, ricorrendo anche al compromesso, alla corruzione, alla violenza. Siamo tutti convinti che proprio di evangelizzazione, di una parola di esortazione e di speranza, di
un gesto di solidarietà, di un atteggiamento di comprensione abbia bisogno l’uomo emarginato, l'uomo
alienato, l’uomo massificato della nostra società capitalistica. Ed è proprio a questo compito che il Signore
ci chiama come suoi discepoli, proprio in questo compito dobbiamo
impegnarci come chiesa e come singoli credenti; tutto questo naturalmente come protestanti che non rinnegano la loro tradizione culturale,
che non dimenticano il loro impegno
sociale e politico, che non arretrano di fronte all’esigenza di un annunzio diretto ed esplicito dell’EvangeIp di Gesù Cristo.
Evangelizzazione
e ravvedimento
Tuttavia, potremo far questo nella
misura in cui avremo saputo ravvederci, cioè cambiare la nostra mentalità e la nostra vita. Perché, come
da altri è stato detto, evangelizzare
significa portare agli altri l’annunzio
del grande progetto di Dio a favore
degli uomini manifestato in Gesù
Cristo, ma significa anche credere in
questo progetto e quindi assumerlo
nella propria esistenza. Qra, il progetto di Dio prevede la trasformazione di questo mondo e il rinnovamento della nostra mente e della nostra vita rappresenta un segno di
questa grande opera di trasformazione che Dio compirà, rappresenta
una dimostrazione concreta che la libertà in Cristo che noi annunziarno
non è confinata nel regno dell’utopia,
ma è una realtà presente nella nostra
vita.
« Abbiamo trovato il Messia, abbiamo trovato colui del quale parlano le Scritture; Gesù di Nazaret »,
affermano i primi discepoli. Anche
noi abbiamo trovato Gesù Cristo e
crediamo in lui: crediamo che soltanto per mezzo di lui il mondo può
essere salvato, può essere liberato
dall’odio, dalla violenza, dall’ingiustizia; crediamo che solo incamminandosi lungo la via da lui indicata,
quella della tolleranza, della solidarietà e dell’amore, il mondo potrà
trovare la sua vera pace. Questo noi
crediamo.
Renato Salvaggio
7
24 maggio 1991
obiettivo aperto
INTERVISTA AL FILOSOFO PAUL RICOEUR
Aspetti odierni del dibattito sull'etica
L’eredità aristotelica e quella kantiana; prospettiva « teleologica » e morale del dovere - Il conflitto come strumento di transizione - Il dibattito pubblico deve stabilire una gerarchia di priorità tra i beni non commerciali
— Per aiutare il lettore, potrebbe spiegare in che cosa consiste per lei la distinzione — che
è una decisione filosofica di chiarezza — tra l’etica, la morale, e
anche la saggezza pratica di cui
lei parla come di un terzo termine necessario?
— Questa distinzione risponde
ad una doppia contraddizione. La
prima è la concorrenza, che ritroviamo dappertutto, tra l’eredità aristotelica e l’eredità kantiana. Abbiamo, da un lato, un’etica della realizzazione personale
e delle virtù; una prospettiva che
chiamo « teleologica », in quanto vi è una finalità, un mirare al
bene attraverso dei beni. E, dall’altro lato, la morale kantiana
del dovere, la quale fa passare le
regole ( indipendentemente dal
loro contenuto) attraverso una
prova di universalizzazione: è
una prospettiva che chiamerei
« deontologica », la quale cioè si
preoccupa più delle procedure
della decisione che dei beni perseguiti.
Tra questa etica delle virtù e
questa morale del dovere la tran
«... Antigone,
non madre, né sposa,
né figlia,
riassume i conflitti
tra città e individuo,
dèi e uomini,
tra uomo e donna,
tra vecchi e giovani... »
sizione, a parer mio, non avviene
tramite il desiderio bensì tramite
la violenza. Cioè tramite il rapporto disuguale in una relazione
tra due volontà di cui una ha potere sull’altra. Se il desiderio incontra la morale, non è in quanto desiderio, ma in quanto violenza fatta ad un altro desiderio.
La seconda contraddizione, che
ricomprende la prima, sta nel
rapporto tra una morale di princìpi (sia essa teleologica secondo
il modo aristotelico, o nomologica, normativa, secondo il modo
kantiano) e una morale di situazione, come l’abbiamo incontrata
nell’esistenzialismo e, all’estremo, nel situazionismo. E’ ciò che
mi ha portato a costruire una
triade e non soltando un « vis-àvis » Aristotele-Kant. Il terzo polo, quello del passaggio alla morale concreta, era anche il problema di Hegel di fronte a Kant, la
cui morale egli riteneva troppo
astratta.
Tra i princìpi e le situazioni,
la transizione che mi fece da
guida è quella delle figure della
saggezza tragica, perché esse tengono conto delle situazioni conflittuali dell'esistenza umana. Antigone in particolare, come ha dimostrato G. Steiner, riassume
questi conflitti irriducibili: città/
individuo, dèi/uomini, uomo/donna, vecchi/giovani. E, come diceva Hegel, Antigone è una donna
che non è né madre, né sposa, né
figlia; è sorella, e la « sororità »
è forse un luogo nodale per svelare questi conflitti fondamentali.
Il conflitto, dunque, serve da
transizione, perché il conflitto è
strutturale nei rapporti interpersonali, come probabilmente nel
rapporto da sé a sé. Questo fa sì
che dobbiamo inventare il giudizio morale « in situazione ».
— In quali situazioni incontriamo questi conflitti etici concreti?
— In bioetica, ad esempio, dove si trovano, sia dal lato degli inizi sia dal lato della morte,
situazioni indecidibili, in cui Indecisione, sempre « tragica », non
può prescindere da un contesto
familiare e relazionale singolare.
Qppure, come ha dimostrato Amnesty International, a proposito
del ruolo dei medici (non c’è tortura senza medico, e cosa non
fa un medico in un sistema carcerario!). Prendiamo l'esempio
di uno sciopero della fame: il
medico è diviso tra il suo giuramento di Ippocrate e l’obbligo
di rispettare la volontà di chi ha
deciso di mettere in pericolo la
propria vita.
Ma questa situazione noti deve
essere considerata come eccezionale. Dà la forma dei veri problemi morali, che non si presentano in bianco e nero, ma in grigio su grigio. In questo senso sono più problemi di giustezza che
problemi di giustizia.
Non che il situazionismo abbia
ragione nel dire che non ci sono
norme. E’ invece in un universo
morale strutturato da norme che
possono apparire conflitti importanti. Bisogna passare dalla norma per percepire la gravità dei
conflitti.
C’è una cosa che mi disturba:
è l’affermazione kantiana che due
doveri non possono contraddirsi.
Nella filosofia politica ciò non si
verifica: Raymond Aron ha dimostrato che non esiste progetto politico che non possa soddisfare
allo stesso tempo l’uguaglianza,
la sicurezza, la prosperità, la libertà ecc.
— E’ ciò che dice anche Michael Walzer nella sua polemica
contro John Rawls, a proposito
di cosa è la giustizia sociale?
— Esattamente. Walzer ritrova
ciò partendo da Aristotele e dicendo che in un sistema di distribuzione non esistono regole di
procedura che possano bastare a
determinare ciò che è giusto. Si
è anche costretti a tener conto
della natura dei beni distribuiti.
o ridistribuiti. Ora, le merci non
sono della stessa natura dei beni non commerciali, quali la sicurezza, la salute, l’educazione, la
cittadinanza. E non vi è giustizia
che possa soddisfarli tutti insieme. Tocca al dibattito pubblico
stabilire, in un tempo e in un
luogo determinati, la gerarchia
che ordina la diversità di queste
esigenze.
Di conseguenza il problema rimane irrisolto: non è solo la situazione di conflitto così come
l’ha definita Hegel, in cui i protagonisti (Creonte e Antigone)
hanno una percezione limitata
del dovere, e in cui abbiamo la
congiunzione tra l’ostinazione di
un carattere che giocherà la sua
parte fino alla morte e la ristrettezza di un impegno su una convinzione parziale del dovere.
E se i doveri stessi fossero con
ne. Credo che il «vis-à-vis» dell’argomentazione non sia la convenzione, ma la convinzione; di
conseguenza le convinzioni, le
quali dipendono da tradizioni diverse.
Al limite, nell’argomentazione^
proposta di Habermas, se tutti
lasciassero nello spogliatoio le
proprie convinzioni, di che cosa
si parlerebbe? Cosa ci sarebbe
da negoziare? Quando dico convinzione, penso che ci sia testimonianza, attestazione. Questo
posto dato all’attestazione — che
è la fede sotto forma di linguaggio — nell’epistemologia e nell’etica della discussione è del tutto originale e non è stato ancora
veramente percepito.
— L'etica della discussione non
privilegia, in fin dei conti, una
antropologia implicita che è quel
« ... I veri problemi morali non si presentano
in bianco e nero, ma in grigio...
... I conflitti importanti appaiono evidenti
in un universo morale strutturato in norme:
e proprio attraverso queste norme
si deve passare
per percepire la gravità dei conflitti... »
traddittori, come scrive Charles
Taylor a proposito della « eterogeneità reale dei beni »? Questa
è la mia perplessità.
— Come si situa rispetto all’etica della discussione di cui Jürgen
Habermas vuol fare il prototipo
di ogni morale?
— Da un lato mi sento vicino
ad Habermas e, più in generale,
a Kant, vista l’importanza della
prova di universalizzazione, che
non fonda alcuna morale ma che
sottopone ogni morale ad un criterio di validità. Ma d’altro lato
mi allontano da Habermas o da
K.O. Appel, quando oppongono
l’argomentazione alla convenzio
la del linguaggio, in cui l'uomo è
sotto ogni aspetto, uomo di parole?
— Certamente. E’ un’antropologia limitata, che presuppone contraenti estremamente educati. Ed
è anche una sorta di eccesso di
apologia del linguaggio, come se
l’ùnica alternativa fosse tra la
violenza o il discorso!
— Come sarebbe un’antropologia più completa, che pensi in
maniera più complessa i rapporti
tra conflitto e consenso? E’ possibile dire che « l’obiettivo etico »
organizza una percezione pluralistica dei beni, delle eccellenze,
dei contesti {nella misura in cui
questo obiettivo si riferisce ogni
volta a figure personali del desiderio)? E si può dire che la « norma morale » organizza invece ^a
coerenza, una sorta di principio
di non-contraddizione nelle nostre forme di vita e di giustificazione (non fare ad altri ciò che
non vorremmo che essi ci facessero)?
— Lo si può dire, mi pare, a
condizione di non cercare di subordinare l’uno all’altro. Non esiste coerenza che possa imporsi
alla pluralità e, probabilmente,
esistono soltanto isole di coerenza. Ad esempio, in un determinato sistema giuridico, in cui una
legge non può contraddire un’altra legge. In realtà, ciò non si
verifica: ci sono, ad esempio, leggi del diritto sociale che contraddicono leggi del codice civile. Il
diritto non è unificato e, forse,
non è unificabile; ma ciò rimane
l’obiettivo assiomatico del diritto: un luogo in cui le regole non
si contraddicano.
— Generalizzando ancora, a
partire dal titolo della sua recente conferenza su « Amore e giustizia », è possibile dire che l’amore sarebbe il versante teleologico
e la giustizia il versante normativo?
— A dire il vero, in questa conferenza ho cercato di essere ancora più radicale, sostenendo
l’idea eccessiva che l’amore non
rientra affatto nel campo dell’etica. E’ l’idea, abbastanza kierkegaardiana, che l’amore rientra
piuttosto nel campo di una poetica che sospende l’etica.
SCHEDA
Tra etica ed ermeneutica
Paul Ricoeur è nato a Valence nel 1913. Ha insegnato
filosofia morale e storia della
filosofia nelle università di
Strasburgo, Nanterre e alla
Sorbona di Parigi.
Ha dedicato i suoi primi lavori all’esistenzialismc e alla
fenomenologia (Gabriel Marcel e Karl Jaspers, 1947; Karl
Jaspers e la fìlosofla dell’esistenza, 1947, scritto insieme a
Mikel Dufrenne), per poi passare alla filosofia ermeneutica, ovvero allo studio dei problemi dell’interpretazione.
In questo ambito la sua rifiessicne si è concretizzata innanzitutto in un concetto di
interpretazione come « svelamento di sensi nascosti », ed
ha fatto riferimento anche alla comprensione dei simboli
(si veda in proposito Dell’interpretazione. Saggio su
Freud, che risale al 1965).
La filosofia ermeneutica del
pensatore francese individua
nel linguaggio della religione.
del mito e della poesia il significato ultimo del pensiero
e della volontà. Ricoeur non
può tuttavia essere inserito
nel settore degli studiosi che
fanno riferimento al linguaggio (benché abbia dedicato a
questo problema, e in particolare alla semiologia —
scienza dei segni — La sfida
semiologica, 1974) inteso nel
suo semplice aspetto « comunicativo ». Esso va collegato
(secondo l’Enciclopedia Garzanti di filosofia) ad una
« pluralità di referenti religiosi, mitici e poetici, il cui significato viene a coincidere
con il senso ontologico e trascendente dell’esistenza umana ».
In questa linea, dopo il testo sul simbolo in Freud, si
colloca La metafora viva
(1975) che affronta la metafora nella poesia. In essa
« l’uso simbolico di immagini
e significati usuali illumina
quelle dimensioni mitiche e
trascendenti nelle quali l’uo
mo riconosce il senso della
sua vita ».
Paul Ricoeur è protestante: al suo pensiero abbiamo
già dedicato alcune pagine:
nel 1986 una riflessione su
« essere protestanti nel mondo d’oggi » (da una conferenza tenuta in occasione delle
manifestazioni per il tricentenario della revoca dell’Editto
di Nantes, nel 1985) e, due
anni fa, un intervento a un
convegno dedicato ai rapporti tra etica e politica.
In quella sede Ricoeur parlava dello scarto « tra ciò che
è auspicabile e ciò che è realizzabile »: la non-coincidenza
tra l’orientamento morale che
si rifà all’etica della responsabilità e quello che si rifà
all’etica della convinzione determina la frattura tra etica
e politica.
L’intervista che proponiamo in questa pagina affronta
l’etica sotto altri punti di vista, aggiungendo utili stimoli
alla riflessione.
«... L’amore
non rientra nel campo
dell’etica
ma piuttosto,
secondo il modello
di Kierkegaard,
nella sfera
del poetico... »
Nella piccola parte esegetica
riguardante il Sermone sul monte, ho voluto mostrare questo
conflitto a partire da un nuovo
comandamento iperbolico, esagerato: quello di amare i propri
nemici. Il che implica conseguenze del tutto assurde, quale la fine
di ogni difesa di sé. E questo comandamento si trova in conflitto
con la reciprocità, che è la regola
di giustizia, la regola d'oro (non
fare ad altri, ecc.). Ora, che lo
stesso testo metta in giustapposizione i due enunciati, con le loro conseguenze assurde per ognuno di loro (con il puro perdono
lo scambio viene distrutto, e con
la semplice reciprocità si va diritto all’utilitarismo), ecco ciò che
stupisce.
E ciò che mi chiedo è se non
occorra gettare un ponte tra il
sovraetico di questa poetica dell’amore, e quelValtro sovraetico
che è il senso singolare delle situazioni, la sollecitudine, la saggezza pratica di cui parlavamo
all’inizio.
(Tratto da « Libresens » n. 3, marzo '91, bollettino del Centro protestante di studi e di documentazione di Parigi).
Traduzione di
Jean-Jacques Peyronel
8
8 fede e cultura
24 maggio 1991
IN LIBRERIA
Le armi del principe
Ricordo che mio nonno canticchiava certe strofette, su parole
di Angelo Brofferio, in cui veniva preso in giro un nobile sabaudo, ”’l Barón d'Oneja”, con entrature a corte, di cui si diceva
fra l’altro: « Perdend una bataja,
l’a vincili na pensiùn »... A me
sembrava uno scherzo ad personam, tanto più che a scuola
ci imbottivano la testa con le virtù militari sabaude, radicate nella nobiltà e nel popolo, e culminanti nel principe. Studiando poi
da vicino il Risorgimento quest’immagine, allora assai largamente propagandata, scolorisce.
E il bel libro di Walter Barberis
(1) che analizza tradizione e realtà della struttura militare nello
stato sabaudo da Emanuele Filiberto a Carlo Alberto — il cui
esercito, messo alfine a dura prova nel ’48-’49, collezionò memorabili sconfitte soprattutto per le
preoccupazioni strettamente dinastiche di chi lo comandava,
mentre « risaltava allora con non
poco stridore come gli ufficiali
piemontesi si fossero coltivati
su molti terreni fuorché su quello della guerra guerreggiata » —
mette in evidenza luci e ombre
della complessa realtà, da cui
a quel punto scaturirono simili
sorprese.
Emanuele Filiberto, a metà
’500, fjoté riavere il suo stato
quasi scomparso, grazie alle proprie capacità militari; e « alcuni
dei suoi primi gesti politici parvero (...) inclinare all'uso del terreno militare come se quello fosse l’unico sul quale (...) manife
stare la propria autorità e dimostrare la propria forza ».
Un anno dopo la pace di Cateau Cambrésis (1559) che gli aveva restituito il ducato di Savoia
la sua prima impresa, destinata
a ricompattare il dominio piemontese con sperati riflessi politici di larga portata, fu la guerra
destinata ad annientare i valdesi (1560). Che finì come sappiamo. Da allora il principe, tornato vittorioso dal teatro europeo,
dovette adattarsi — e così dovettero fare i suoi successori — a
una realtà difficoltosa sul modesto teatro savoiardo-piemontese,
trovando il modo di conciliare
ambizioni e abilità politiche notevoli con modeste realtà economiche, sociali e demografiche.
Fra il XVI e il XIX secolo —
pur incassando batoste fra cui
la più dura e lunga fu inferta
dalla Rivoluzione francese e da
Napoleone — questa linea ha funzionato. « Esemplare come pochi
altri, lo Stato governato dai Savoia ha costruito la sua stessa
esistenza nel contesto europeo
praticando incessantemente i teatri di guerra (...). Con la guerra
sullo sfondo, ogni suddito sabaudo è stato coinvolto nella politica
dei suoi principi... facendo i conti con le necessità di uno Stato
sempre presente all’appuntamento con il campo di battaglia ».
Il materiale umano di base è
stato costituito volta a volta dalle ’’milizie paesane”, dai mercenari, sempre largamente utilizzati, dalle difficoltose leve di contadirti, utili comunque, in caso
^ Walter Barberis, Le armi del
Principe. La tradizione militare sabauda, Torino, Einaudi, 1988. pp. 342.
L. 45.000.
NAPOLI
Gli orizzonti al di là del muro
Utopia, democrazia, libertà, comunismo. Queste parole così
grandi sono state al centro del
dibattito scaturito dalla presentazione del libro di Biagio De
Giovanni Dopo il comunismo,
presso il Circolo culturale ’’Galeazzo Caracciolo” di Napoli. Insieme all’autore erano presenti
Vincenzo Vitiello, ordinario di
filosofia teoretica all’Università
di Salerno e Sergio Aquilante,
pastore e direttore del centro
diaconale ”La Noce” di Palermo.
Nicola Pagano, presidente del
Circolo, ha introdotto il tema
motivando l’organizzazione del
dibattito anche con i riferimenti
biblici e teologici deH’opera.
Il prof. Vitiello ha invece esposto i dubbi che gli sono sorti con
la lettura del libro « Nell’89 è
caduto il comunismo in sé o una
forma di esso? Il cristianesimo
non è caduto per le crociate; il
muro di Berlino ha segnato la
fine del comunismo? ».
Sergio Aquilante, invece, ha sostenuto che la lettura del libro
gli ha apierto gli occhi: il comunismo per lui è stato « carne e
sangue »; quest’opera è stata liberante perché ha dato forma a
riflessioni che aveva in sé da
tempo. Però: « I diritti non possono offuscare i bisogni della
popolazione... La democrazia è
un luogo di lotta in cui sviluppare l’emancipazione umana ».
L’autore, rispondendo, ha tenuto
a preci.sare che il libro è un atto di battaglia politica: « Si potrà continuare a pensare al comunismo ma il nodo teorico MarxLenin è crollato ».
11 dibattito si è acceso grazie
ad alcuni interventi del pubblico.
Franco Grassi ha riproposto, partendo dai testi di Atti (2: 4445 e
4: 32-35) l’idea che « l’utopia non
può fallire », ripreso in questo
poi da Silvia De Cristofano: « Al
di là della fine del comunismo
Durante il dibattito: in primo piano il pastore Sergio Aquilante.
reale, il modo di vivere occidentale dovrà rispondere ai problemi della fame e della miseria che
attanagliano gran parte della ter
ra ».
L’intervento di Marco Tullio
Fiorio si è segnalato per una critica .serrata e documentata alle
posizioni di De Giovanni, ponendo anche domande come; « In
URSS non è mutato proprio nulla dai tempi dello zar? »; e ancora: « La religione della libertà:
la libertà non deve distruggere
l'altro, quello che invece accade
col capitalismo ».
L’avvocato Guarino è tornato
sul piano teorico avanzando
l’idea di un Gramsci eversore
del leninismo.
Giorgio Bouchard ha voluto
invece riaffermare che « nell'89
è caduta una metafisica che voleva essere fisica, cioè una scienza ». Secondo lui una riforma del
socialismo è possibile solo se
si ammette la gravità della crisi,
proponendo al movimento socialista e comunista una riforma
basata sul ravvedimento.
Nella replica finale De Giovanni ha polemizzato con quelli che
ha definito "comunisti ad oltranza", affermando invece che la
causa del moderatismo della sinistra italiana è da ricercarsi in
una classe opieraia non riformista.
Un dibattito dai toni a volte
vivaci, che ha mostrato posizioni
molto distanti, espresse spesso
con un linguaggio specialistico.
A tal proposito illuminante mi
sembra l’uso fatto da alcuni del
termine "moderno”. Io ]’ho inteso come accettazione della società presente, magari un po’ abbellita... se è così spero di sbagliarmi.
Peppe Cancello
TERNI - ARRONE
La struttura militare sabauda e il coinvolgimento dei sudditi nella
politica regia - I valdesi e la paura dell intervento dei francesi
meridionale:
fermenti di Riforma
di renitenza, a rastrellare denaro dalle comunità in cambio di
soldati.
Ma la realtà meno esplorata
e più interessante, di cui l’ammirevole ricerca di Barberis disegna compiutamente i lineamenti,
è la strutturazione di una classe
dirigente articolata sul presupposto di una stretta corrispondenza fra inserzione nell’apparato militare, attività in quello
di governo, e posizione nella scala nobiliare. Il che, al passivo,
può aver prodotto casi come
quello del ’’Barón d’Oneja”, ma
all’attivo, specialmente pel 700,
ha stimolato la notevole attività
di teorici della guerra e della politica, di storici, di scienziati.
All’attivo, naturalmente, sta anche il mito della potenza militare sabauda.
E i valdesi? Capivano di dover
ménager il loro principe, ma non
avevano poi molta paura delle
sue milizie, purché non vi si sommassero — come nella seconda
metà del ’600 — quelle del re di
Francia. Nel ’700, poi, il sovrano
li apprezzò come soldati e arrivò
persino a formarne un reggimento intero. I dirigenti valdesi capivano evidentemente una realtà
di cui questo libro — che costituisce anche una lettura appassionante — ci ha spiegato infine
i segreti.
Augusto Comba
Il protestantesimo e la coscienza civile del
Meridione - Verso un nuovo gruppo evangelico
Nei giorni 12-14 aprile scorsi
si è realizzata a Terni e ad Arrone una serie di iniziative tese a
rilanciare la nostra evangelizzazione, per l’iniziativa congiunta
della Chiesa metodista di Temi,
del Centro culturale evangelico
e deirai Circuito.
Il 12 aprile, alla Biblioteca dei
ragazzi di Terni, si è tenuta una
conferenza-dibattito su L’influenza della Riforma protestante sulla formazione delle democrazie
europee, oratori il vicario luterano past. Wolfram Kötter, della
Chiesa luterana di Germania, e
il prof. Giovanni Gönnet, emerito di storia del cristianesimo e
di storia medievale.
Il 13 aprile si è avuta, presso
il Cinema Valnerina di Arrone
(una graziosa cittadina a pochi
chilometri da Temi, oltre la cascata delle Marmore), un’altra
conferenza - dibattito sul tema
Dalle democrazie liberali alla riforma religiosa: Enrico di Campello nel movimento vecchio cattolico, una vicenda storica che
ha coinvolto il popolo di Arrone,
oratori gli stessi del giorno precedente, ai quali si è aggiunto il
pastore Cesare Milaneschi di Cosenza-Dipignano, noto studioso
della materia.
Infine, la mattina del 14 aprile,
è stato celebrato il culto evangelico con santa cena nella stessa
sala di Arrone, nella quale era
stata allestita una mostra documentaria e fotografica centrata
sulla presenza evangelica in Italia ed in particolare a Terni e nel
Temano. La meditazione biblica
è stata condotta da G. Gönnet,
che ha coinvolto la trentina dei
presenti (tra cui 2 arronesi) nella rivisitazione dei 6 comandamenti minimi di Gesù Cristo secondo Matt. 5; 17-48.
Nelle conferenze - dibattito il
past. Kötter si è soffermato in
particolare sulla situazione attuale in Germania dopo la riunificazione delle due Repubbliche, Est
e Ovest, sostenendo da una parte
che le chiese (nella fattispecie
l’evangelico-luterana) hanno il
compito di vigilare sullo stato,
dall’altra che senza di esse non
ci sarebbe democrazia in Germania. Per conto suo il prof. Gönnet, dopo aver ricordato un giu
dizio del giornalista Giorgio Bocca espresso in una delle trasmissioni televisive « Samarcanda »
secondo cui « il malessere causato dal degrado da Terzo Mondo che travaglia una splendida
città come Catania e il Meridione in generale è dovuto al fatto
che il protestantesimo non ha
avuto presa sulla coscienza civile e religiosa del nostro popolo » (citato da Pietro Valdo Panasela in una sua « Lettera aperta » in « Le notizie da Riesi i>,
genn.-febbr. 1991, p. 9), ha sostenuto che la Riforma protestante (in parte preceduta dal
dissenso medievale sia degli « eretici » che di scrittori come Dante e Marsilio da Padova), avendo
abbattuto il « muro » che la chiesa medievale aveva innalzato tra
Dio e gli uomini, ha restituito a
questi ultimi il senso della responsabilità individuale, che ha
avuto libero gioco tanto nella formazione delle democrazie occidentali (in Europa come nell’America del Nord), quanto nella costituzione di comunità religiose a regime presbiteriano :
dalla base al vertice, sulla base
esclusiva della Parola di Dio.
Cesare Milaneschi ha rievocato
la storia del vecchio cattolicesimo in Europa e in Italia, ed in
particolare ad Arrone e nei comuni adiacenti della Valnerina.
Nei dibattiti seguiti alle due
conferenze è stato rilevato che
non sempre una ben radicata tradizione riformata è riuscita a
scongiurare il pericolo di avventure totalitarie (per esempio il
nazismo in Germania).
Per ciò che concerne Arrone,
ha fatto piacere constatare la
presenza di una decina di cittadini del posto (ivi compreso il
sindaco), ai quali è stato preannunziato l’intento di fondare un
gruppo evangelico nella stessa
Arrone, che vide raffermarsi del
vecchio cattolicesimo tra la fine
del secolo XIX e l’inizio del XX :
prova il vecchio tempio, ora ridotto a magazzino privato, e
l’ospedale inglese (noto con questo nome perché fondato dal
Campello con l’aiuto materiale
degli anglicani d’Inghilterra),
sede ora dell’USSL.
G. G.
Appuntamenti
□
Mercoledì 22 - domenica 26 maggio
— AGAPE: Si svolge un incontro tra
valdesi e rappresentanti delle chiese
storiche per la pace (quaccheri, Riforma cèca, ecc.). A partire dall’esposizione delle linee delle rispettive tradizioni, i partecipanti affronteranno poi
il compito di trovare possibili strategie di azione comune nel quadro dei
processo su « Giustizia, pace, salvaguardia del creato ■>. Inizio con gii arrivi tra il pomeriggio del mercoledì e
giovedì mattina. Domenica mattina, culto con la chiesa locale, poi pranzo e
partenze, informazioni Agape (tei. 0121807514).
Venerdì 31 maggio — TORINO: Alle
ore 20.45 precise, nei saione valdese
di c.so Vittorio Emanuele 23, Giuseppe La Torre, pastore a Palermo, e
Claudia Tresso, esperta di islamistica,
parleranno sul tema; « Il dialogo con
i musulmani in Europa ».
Sabato 25 ■ domenica 26 maggio —
TORINO: Organizzata da un ampio cartello di organizzazioni, associazioni e
organismi di volontariato, si tiene,
presso il Palazzo a vela, a partire dalie 9.30 di sabato, la Festa del « Popolo della pace ». L’iniziativa si articola in vari momenti di dibattito: la
pace dal punto di vista dei diritti, dell’economia alternativa, dell’aiuto al Sud
del mondo, dell’ambiente, e... la pace
dal punto di vista della pace.
Domenica, dalle 16 alle 19, incontro con un cristiano, un israelita e un
musulmano, 3 popoli, 3 culture, 3 religioni per la ricerca della pace. Cibi
tipici e musiche.
Venerdì 31 maggio — BIELLA: Alle
ore 21, nei locaii di via Fecia di Cessato, ii past. Gianni Genre parlerà sul
tema: ■ Dio e la sofferenza ».
Sabato T’ giugno — CASERTA: Presso la Comunità cristiana si tiene la
giornata di preghiera nazionale delle
donne, giunta alla sua seconda edizione, Inizio ore 9. Informazioni Franca
Traettino (tei. 0823/4430773,
per la stampa dì
libri, giornali, riviste,
locandine e manifesti,
lavori commerciali
in genere
Coop. TIPOGRAFICA
SUBALPINA
Via Arnaud, 23 - S 91334
10066 TORRE PELLICE (To)
9
valli valdesi
24 maggio 1991
torre PELLICE: RECUPERO DEGLI ALCOLISTI
CACCIA
USSL 43
addio?
Un mattone sopra l'altro
Esposti in un convegno i metodi per giungere ad una vera e propria
« ricostruzione dell’individuo » - Scarsa purtroppo la partecipazione
Da tempo se ne parla. L’USSL
43 è troppo piccola per continuare ad esistere; si fanno varie proposte di accorpamento. Il ministro della Sanità vuole tagliare i
fondi non destinati alla cura e
quindi pensa di tagliare gli organi amministrativi delle piccole
USSL, per fare « economie di
scala e ricercare sinergie », come
si dice.
La gente della valle, i comuni,
le forze politiche si mobilitano.
Si raccolgono le firme, si prendono posizioni, persino il nostro
Sinodo si occupa della questione.
Alla fine si arriva ad una decisione: toccherà alla Regione occuparsi della grandezza delle USSL,
, e potranno essere salvate le
USSL « il cui territorio coincide
con quello della Comunità montana ».
La gente tira un sospiro di sollievo, l’USSL 43 sembra salva. Si
continuerà ad avere i servizi per
i quali si è lottato in passato, gli
operatori potranno continuare a
lavorare per migliorare i servizi.
Tutto questo è positivo. Pochi
giorni fa invece la Giunta regionale del Piemonte ha approvato
un disegno di legge di riordino
delle Comunità montane. Senza
una riga di spiegazione, il disegno di legge prevede che Bricherasio non faccia più parte della
Comunità montana vai Pellice e
— invece — faccia parte della
Comunità pedemontana pinerolese
Questo avrà un primo risultato: non coincidendo l’USSL con
l'i Comunità montana, l’USSL è
tra quelle che obbligatoriamente
la Regione dovrà accorpare con
altre. USSL 43 addio.
E’ il risultato di una bega politica. La DC, che in Comunità
montana è capeggiala dall’assessore provinciale Claudio Bonansea di Bricherasio, non essendo
riuscita a partecipare alla giunta ha fatto sì che il Comune di
Bricherasio (dove è in maggioranza) chiedesse di uscire dalla
Comunità. Lo ha fatto per calcolo politico, non certo per la
geografia giacché sarebbe assai
difficile sostenere che Bricherasio non è in vai Pellice.
Il ragionamento è questo: o un
posto in giunta o me ne vado.
Una decisione che ha sorpreso
non poco gli stessi elettori democristiani di Bricherasio.
Stupisce che l’assessore regionale Nerviani, che è persona capace e conosce la geografia, abbia accolto questa richiesta, sapendo le conseguenze che ne derivano. Se si voleva semplicemente andare incontro ai desideri dei Comuni perché il disegno di legge non ha spostato Prarostino in vai Pellice, dato che
quel Comune l’aveva chiesto? La
ragione è altra: purtroppo non si
ragiona in base a servizi e bisogni della popolazione ma solo sui
calcoli politici di corto respiro.
Giorgio Gardiol
« Ogni giorno di astinenza è un
mattone nella ricostruzione personale », così ha esordito il presidente del Club alcolisti in trattamento (CAT) di Torre Pellice,
Domenico Nicola, ricordando ai
partecipanti al convegno svoltosi
alla Foresteria valdese sul problema alcolismo i suoi oltre 800
giorni di allontanamento dalla
sostanza.
E proprio di membri del CAT
era prevalentemente composto il
pubblico presente, un pubblico
che ha assunto ben presto un
ruolo di protagonista; le testimonianze offerte reciprocamente sono state un arricchimento per
tutti, una conferma che uscire
dalla situazione di alcolismo si
può, a condizione che la volontà
dei singoli, la solidarietà delle
famiglie, degli (ex?) amici siano
messe in campo e portate nel
gruppo di « autoaiuto » che è costituito appunto dal CAT.
« Se nella maggioranza dei casi il primo contatto con l’alcol
avviene in famiglia — ha detto
lo psicologo deirUSSL di Chieri
Paolo Barcucci — estremamente
varia è la casistica, delle ragioni
che possono indurre una persona
a smettere di assumere alcol: da
un incidente stradale, diretta conseguenza dell'alcol, alla malattia,
alla famiglia, al dialogo con una
persona amica ».
Certo i servizi pubblici hanno
un compito non indifferente. La
situazione a livello regionale è
stata presentata dalla dott. Mirone dell’assessorato alla Sanità:
« L’Italia è al terzo posto per il
consumo di alcol in Europa e il
Piemonte, pur essendo all'incirca
a metà in questa particolare graduatoria, è comunque superiore
alla media nazionale per assunzione giornaliera. Tuttavia solo la
metà delle USSL piemontesi ha
avviato i programmi sui problemi alcolcorrelati, coinvolgendo in
questi anni circa 600 nuclei familiari; in provincia di Torino solo
8 USSL, su 21, si stanno occupando direttamente del problema, fra
queste le tre del Pinerolese ».
Certo occorre arrivare ad una
legge nazionale su questo tema,
fare effettivamente della prevenzione, a partire dalTeliminazione
della pubblicità dei superalcolici,
far cessare le cause del disagio
e della solitudine, far capire che
non si diventa adulti bevendo un
bicchiere di vino.
Altrimenti le statistiche continueranno a registrare tassi di
mortalità legati all’alcolismo elevatissimi (oggi siamo a 30.000 decessi all’anno in Italia per cause imputabili all'alcol ; malattie,
ma anche incidenti stradali, infortuni sul lavoro...).
La nota stonata della giornata
(anche se gli ottimisti diranno
che per essere il primo incontro
le presenze erano numerose) è
stata la non partecipazione della
popolazione locale. Sappiamo che
nelle valli l’alcolismo assume le
dimensioni di piaga; giovani, lavoratori, donne vivono in questa
condizione, ci sono bambini orfani di entrambi i genitori a causa
dell’abuso di alcol: a nessuno
vien voglia di affrontare con altri questo problema? Intorno ad
ogni singolo « caso » si crea un
muro di silenzio per cui la sola
ammissione di una situazione,
talvolta evidente, costituisce di
per sé un nroblema?
Il CAT di Torre Pellice comunque si riunisce settimanalmente,
il lunedì alle 18, presso il Centro d’incontro di via Repubblica.
Piervaldo Rostan
Condannati
PINEROLO — Furono sorpresi a cacciare una femmina di camoscio in stato di allattamento,
dopo aver già cacciato un esemplare maschio, nello scorso novembre e sono stati condannati
dal pretore di Pinerclo, Pazé.
I fatti accaddero sui monti di
Bobbio e sono stati addebitati
ad una squadra di cui facevano
parte Livio e Pietro Paire che,
provenienti dalla Provincia di
Cuneo, da anni cacciano nel
comparto alpino n. 1. La femmina di camoscio venne uccisa,
sgozzata e successivamente nascosta nelTintento di recuperarla in seguito; la mossa è però
stata notata ed è partita la denuncia. La condanna (trenta
giorni sostituiti con 750.000 lire
più altre 600.000 di multa) è
giudicata esemplare per dei personaggi che già in passato avevano subito altre condanne.
COLLEGIO VALDESE
Lo studio della storia
Segnalazioni
Si è svolto con la seconda
classe liceale del Collegio valdese di Torre Pellice uno studio sulla metodologia storica,
condotto dal dott. Tibaldo, che
ha illustrato tre diversi paradigmi storiografici dell’Ottccento: positivista, romantico-nazionalista e marxista, paradigmi
entrati in crisi a causa del declino della visione totalizzante
della storia e dello sviluppo della sociologia e dell’antropologia,
che hanno contribuito alla caduta delTimmagine eurocentrica
della storia. Inoltre sono mutati anche gli oggetti della ricerca: mentre un tempo questa era
diretta soprattutto ai grandi
eventi politici, diplomatici e militari, oggi il campo di indagine si è dilatato considerevolmente estendendosi aU’economia, alla demografia, alla cultura (anche materiale), alla storia della mentalità; in altre parole, sono comprese tutte le dimensioni della vita umana.
Durante le due lezioni tenute, alTinterno del corso di storia locale, il dott. Tibaldo ha
parlato delTimportanza delle
fonti, che possono essere documenti o monumenti. I primi
non vanno necessariamente intesi in senso stretto, ma consistono in tutto ciò che può destare l’interesse dello storico
(esempio: cocci o monete o
qualsiasi altro reperto); i secondi sono fonti intenzionali lasciate dai posteri del periodo in
esame; tuttavia, se oggetto di ricerca, possono diventare documenti.
Anche gli studenti sono stati
coinvolti dall’esperto per analizzare e cercare di comprendere
a fondo, leggendo fra le righe,
un famoso documento risalente
al 1561: l’accordo di Cavour,
conclusosi fra una commissione
valdese e una delegazione sabauda del duca Emanuele Filiberto.
Cristina Bermond
ANGROGNA — Si svolgerà domenica 26 maggio la prima edizione del
mercatino dei prodotti biologici ed artigianali.
TORRE PELLICE — La passeggiata
storica organizzata in Queyras per i
giorni 22-23 giugno è in realizzazione.
Partenza prevista alle ore 7 del sabato 22, visita a Montdauphin e Embrun, arrivo in serata a Guillestre.
Domenica salita a Saint Verán, visita
a Abriés et Château Dauphin, rientro
in serata.
Prezzo della gita L. 110.000 comprendente il viaggio, la cena di sabato,
il pernottamento e la colazione della
domenica. I due pranzi al sacco sono
a carico dei partecipanti.
Iscriversi presso il Centro culturale (telef. 932566).
Amnesty International
TORRE PELLICE — Venerdì 24 maggio, ore 17, avrà luogo la riunione
quindicinale del Gruppo Val Pellice presso la sede, via Repubblica 3, 2^ piano.
Mostre
CENTRO CULTURALE VALDESE
La vai Pellice verso il Duemila
jcL
CAI Assistenza
^ I li" Infermi
Diurna • Notturna
Feriale - Festiva
Domiciliare - Ospedaliera
Personale qualificato
Torre Pellice
via Repubblica, 12
Telefono (0121) 933300 - 933422
Con questo titolo, un pochino
fantasioso e provocatorio, il Centro ha voluto lanciare una serie
di incontri dibattito sulle prospettive di sviluppo della nostra
valle in relazione al dibattito delle ultime settimane in merito
alla costituzione della nuova
provincia che nasce dalla legge
142 per lo scorporarsi della
città metropolitana di Torino
dall’attuale provincia di Tonno.
Il dibattito è stato negli uL
timi tempi acceso, con incontri
e conferenze, e si è orientato nel
senso di impegnarsi Per la costituzione di una provmma alpina, che comprenda cioè territori
omogenei come cultura e problemi; incerti e discussi sono però i confini di tale territorio indefinito, con Pinerolo come probabile (e richiesto) capoluogo.
Da Susa a Saluzzo? solo Pmerolese? solo delle vallate alpine.
Il dibattito è aperto.
Il primo dei quattro incontri
propo^sti dal Centro ha avuto
Lego a Luserna S. Giovanni venerdì, con buon concorso di
pubblico anche se ÌB;
to delle assemblee precedenti. E
stato un dibattito serrato e tecnico fra Eugenio Maccari e Gio
vanni Ayassot e fra loro ed il
pubblico.
La prima domanda a cui si è
cercato di rispondere riguarda la
legge 142; che valore e portata
ha per l’affermazione dell’autonomia politica e amministrativa
delle realtà locali? La legge, si
è concluso, non è la soluzione
dei nostri problemi, offre solo
elementi utili per una presa di
coscienza di autonomia, trae
spunto ed ispirazione dalla esperienza delle Comunità montane
e fornisce un quadro di riferimenti. IVIolti problemi restano
aperti, in particolare quelli del
finanziamento, le cui disposizioni restano da varare. Momento
di transizione dunque in una situazione nazionale difficile per
quel che riguarda i fondi pubblici.
Per quanto riguarda il futuro
assetto della zona (provincia
nuova o no) si sono venuti definendo i seguenti punti: la vai
Pellice non può essere isolata
(né deve isolarsi) ma deve tener conto delle realtà che la
condizionano e la affiancano. Anzitutto la città di Torino, da cui
dipenderà sempre, Pinerolo su
cui converge, le zone montane
(valli Chisone e Po) con cui confina, il Queyras francese. Quan
to avviene in quelle aree, o non
avviene, definisce lo spazio di
manovra e di iniziative; il rilancio è legato a quello delle
aree circostanti.
Per quel che riguarda invece
il tema della provincia, la questione non pare doversi porre
nei termini alpina sì alpina no,
ma progetto di sviluppo o non
progetto. Il futuro della vai Pellice non sembra dipendere dalla struttura amministrativa che
verrà data ma dalla capacità nostra di fare proposte ed elaborare un progetto valido. Il problema non è nella provincia ma
nella capacità di progettare. Se
non si hanno idee non sarà la
provincia alpina a darne, 1 autonomia è oggi la facoltà di
guardare avanti. Non basta parlare, bisogna fare ma neppure
basta fare; per fare bisogna sapere cosa e perché.
E’ questo che si cercherà di
definire nei prossimi incontri: il
31 maggio a Torre Pellice (biblioteca vàldese) con un bilancio della vita della Comunità
montana, il 14 giugno a Bibiana (Salone parrocchiale) con un
esame del problema della viabilità, ed il 28 giugno a Torre Pellice (Foresteria) affrontando il
tema della tutela ambientale.
PINEROLO — La biblioteca rionale
di Abbadia Alpina ha organizzato, in
collaborazione con le librerie Einaudi,
Elia Romano, Gianoglio, Giuliani e Tajo
di Pinerolo, la “1* mostra del libro
per ragazzi ».
La mostra è stata realizzata nei locali della biblioteca rionale di Abbadia Alpina (via Battitore - Scuola materna) ed è rivolta in particolare ai
ragazzi delle scuole elementari e medie.
L’orario di apertura è dalle 8.30 alle 12; dalle 14 alle 16.30, dal 23 maggio al 1“ giugno.
Spettacoli______________
POMARETTO — Domenica 26 maggio, alle ore 16, presso il cinema Edelweiss, le Marionette di Augusto Grilli
presenteranno lo spettacolo: « Le avventure di Pollicino ».
____________Cantavalli______________
RINASCA — NeH'ambito del Cantavallì, sabato 25 maggio, alla pista comunale coperta, si esibirà il gruppo
emiliano « Ebbene venga maggio ».
_____________Cinema_________________
TORRE PELLICE — Presso il cinema Trento è in programma, sabato 25
e domenica 26 maggio: « Risvegli ».
Concerti
PINEROLO — Domenica 26 maggio
alle ore 17, presso l’Auditorium di
corso Piave si terrà la II edizione di
« Itinerari musicali - Giovani pianisti
in concerto ».
Questa edizione propone un itinerario musicale che segue un percorso piuttosto inusuale: la musica russa
daH'800 ai giorni nostri.
Questa iniziativa si pone inoltre il
compito di diffondere l'azione della
Fondazione piemontese per la ricerca
sul cancro.
10
10 valli valdesi - inchiesta
24 maggio 1991
LA TENDENZA RISPECCHIA QUELLA NAZIONALE
La droga nelle valli Chisone e Germanasca
I o rlifiFiio■ ^_ ■
La diffusione della droga ha assunto anche
nelle valli una dimensione preoccupante; per
qualcuno il problema è evidenziato da una crescente microcriminalità, altri sottolineano il rischio di diffusione di malattie quali l’AIDS o
l’epatite: in ogni caso siamo di fronte ad un
dramma che coinvolge centinaia di famiglie.
Quali le cause? Quante le persone coinvol
./’iifiioo. J?' quanti si rivolgono ai servizi
dell USSL. Quale ruolo, infine, per le famiglie, I gruppi di volontariato, gli enti locali?
L’inchiesta di questa settimana ha per oggetto Il territorio dell’USSL 42.
_________L/ATTIVITA’ DELLA CONSULTA
Un problema di tutti
Sono oltre 400 i drogati
OSSERVAZIONE TOSSICODIPENDENZE USSL 42
Il problema della droga come
fenomeno sociale è quanto mai
attuale, sia in Italia che negli
altri paesi occidentali, dove il
numero dei tossicodipendenti è
in continuo aumento. A questa
tendenza non si sottraggono le
valli Chisone e Germanasca do,come risulta dalle statistiche
dell USSL 42, un numero sempre
maggiore di persone fa uso di
sostanze stupefacenti. I dati raccolti dall’USSL riguardano casi
di dipendenza da eroina, la droga
pedante" più diffusa, che induce
m breve tempo una forte assuefazione fisica e psicologica, ed
Illustrano la distribuzione e
1 espansione della tossicodipendenza, individuando altresì le
principali caratteristiche socioculturali dei soggetti che assumono tali sostanze. I valori statistici aggregati sono stati elaborati esclusivamente sulla base
delle informazioni assunte, in
forma anonima, dai tossicodipendenti rivoltisi all’apposito
Servizio dell’USSL per una terapia di recupero. La documentazione si riferisce ad un periodo
di otto anni, dal 1982 al 1990.
Un primo aspetto significativo
e preoccupante che emerge è
l’espansione quantitativa nell’uso
della droga: mentre negli anni
1982-1986 si presentavano annualmente al Servizio uno o due
casi, dal 1987 tale numero è
aumentato in modo consistente,
fino a raggiungere i venti casi
nel 1990, di cui 15 maschi e 5
femmine.
Per quanto riguarda l’età di
prima assunzione dell’eroina,
questa appare concentrata tra
i 17 e i 20 anni: informazione
che fa riflettere, visto che l’uso
continuativo si instaura generalmente dopo 6-8 mesi. Il periodo
della tarda adolescenza, del passaggio all’età matura appare j>erciò come il momento in cui
è più forte il rischio di un coinvolgimento nella tossicodipendenza.
Dall’esame del gruppo dei tossicodipendenti seguiti, sotto il
profilo dello stato civile, della
• situazione occupazionale e del
livello di scolarità emergono i
seguenti dati:
a) la grandissima maggioranza dei soggetti risulta celibe,
nubile o separato/a, meno del
10% è invece coniugato/a;
b) coloro che hanno dichiarato di avere un’occupazione stabile sono circa il 50%, i rimanenti sono classificabili come disoccupati o sottoccupati;
c.) il livello di studio della
quasi totalità (87%) di coloro
che si sono rivolti al Servizio
tossicodipendenze non va oltre la
licenza media inferiore, nessuno
presenta un’istruzione di livello
universitario.
La realtà che si intravede da
questa casistica, pur non evidenziando una situazione di totale emarginazione dei tossicodipendenti, di certo denuncia una
loro progressiva fuoriuscita dalla vita sociale organizz-ata; la
scuola è ormai per tutti alle
spalle ed il lavoro coinvolge soltanto la metà di loro (una percentuale bassa per dei giovani
intorno ai 20 anni).
Liberarsi dalla schiavitù della
droga, perciò, non è facile; e
non solo a causa della dipendenza fisica e della fragilità psicologica individuale. Infatti, una parte di quelli che iniziano a seguire
la terapia di disintossicazione
Varia è l’età di prima assunzione della droga, ma i picchi sono fra
li! e i 20 anni.
poi la abbandona (15 casi persi di
vista e 3 rifiuti della cura su
47 seguiti). Per coloro che riescono a superare le crisi di astinenza e cominciano a separarrr, P^^'^o'ogicamente dall’eroina,
1 USSL favorisce e appoggia l’ingresso in una comunità terapeutica, in vista di un successivo
rientro in famiglia.
Tutte le fasi del processo di
superamento della tossicodipendenza sono molto difficili, sia
per la persoiia in cura che per
la sua famiglia; quest’ultima comunque, nella maggior parte dei
casi, è determinante nel promuovere e sostenere la scelta terapeutica. Proprio per aiutare i
parenti dei tossicodipendenti ad
affrontare i possibili problemi
legati al rientro dalla comunità
terapeutica l’USSL prevede degli incontri di sostegno psicologico. Allo stesso scopo a Villar
Perosa è nato ed opera un gruppo di "auto-aiuto”.
Al di là del momento di recupero, tutti sono concordi nel ritenere che Un ruolo centrale nella lotta allo sviluppo delle tossicodipendenze debba essere assunto dalla prevenzione, sotto
forma di informazioni sui pericoli delle droghe e delle connesse malattie da contagio; ma anche, e soprattutto, come ricerca
di un miglioramento qualitativo
delle relazioni umane. In quest’ottica lo scorso anno, ad esempio, è stato realizzato con dei
grappi di insegnanti del Circolo
didattico di Villar Perosa un corso dal titolo "Il miglioramento
della relazione educativa come
strumento di prevenzione del disagio"
La Consulta ha mosso i suoi
primi passi a Villar Perosa, e
non casualmente, visto il progressivo e rapido diffondersi della tossicomania da eroina soprattutto in questo paese (oggi il
comune più colpito tra quelli
dell’USSL 42, insieme a Perosa
Argentina). Ma se la connotazione « geografica » della Consulta fa riferimento a Villar Porosa — dove, appunto, nei locali
della biblioteca comunale di via
Asiago 5 si trova la sede ufficiale — molto più eterogenea è
la provenienza culturale e sociale dei membri che, attualmente,
compongono il direttivo di questa associazione.
In questi anni la Consulta ha
cercato di « fare rumore » sul
tema delle tossicodipendenze attraverso incontri tra genitori e
familiari di tossicodipendenti
che, seppur con fatica e sofferenza, hanno avuto il coraggio
di non vergognarsi più, cominciando a condividere e a denunciare il loro dramma ed il loro
isolamento; serate pubbliche di
informazione in alcuni comuni
dell’USSL 42; concerti e recital,
mostre itineranti; da ultimo, ha
promosso una petizione popolare con raccolta di firme dove
si chiedeva ai cittadini di sostenere un progetto dell’USSL 42
per la costruzione, a Perosa Argentina, di una comunità terapeutica diurna per il recupero
dei tossicodipendenti.
Certo, molto rimane da fare,
soprattutto sul versante della
prevenzione del disagio giovanile
e non, sul territorio. Ed è proprio in questo ambito che la
Consulta intende spendere le sue
energie, tenendo ben presenti
almeno tre rischi:
— l’improvvisazione: è molto pericoloso sentirsi ed agire
come degli eroi pronti e capaci
a tutto pur di risolvere, drasticamente e subito, un problema
cosi complesso;
1 /-k _*__
sufficienti alcuni anni trascorsi
ad occuparsi di tossicodipendenze per potersi porre come operatori in questo settore. E’ chiaro quanto gigantesco sia il problema per i risvolti economici,
di organizzazione della società e
di volontà politica latitante che
esso investe. Soprattutto, chi
« buca » è un essere umano in
tutta la sua complessità di individuo;
— il senso di impotenza: di
fronte alle pressanti richieste (e
sono veramente molte) di famiglie disperate, di persone scettiche verso il lavoro della Consulta ci si trova spesso impotenti.
Molto impegno sta dunque davanti a chi lavora nella Consulta: occorre però che si dimostrino sempre crescenti il consenso
e soprattutto la fiducia della
gente comune, ben consapevoli
della drammatica verità di don
Ciotti, secondo il quale: « Non
si può risolvere il problema droga senza prima aver faticosarnente saputo creare le condizioni perché ci sia, sempre meno, rischio sociale: il territorio
deve diventare terapeuta di se
stesso! ».
TOSSICODIPENDENTI
1,8 ■/.
Il 10% dei giovani sotto i SO
anni ha problemi di tossicodipen
IN FABBRICA
PREVENZIONE
La metà ha un lavoro stabile
Fra scuola
e famiglia
Fra scuola e famiglia si gioca in delicato equilibrio la questione dell’educazione; possono
essere « a rischio » tanto coloro
che non hanno nulla da conquistare perché hanno sempre avuto tutto, quanto quelli che non
hanno mai ricevuto nulla, nemmeno l’affetto. Offrire un ventaglio di valori cui poter fare riferimento è dunque compito di
chi si trova ad educare, evitando la logica dei modelli « alla
moda », del benessere fine a se
stesso che alla fine fanno generare noia, insoddisfazione, monotonia.
Del resto, raffrontare i temi
che possono presto o tardi riguardare i giovani è nella logica
della scuola. Di fronte al dilagare del fenomeno droga a Perosa, Pomaretto e dintorni, sono proprio i ragazzi a chiedere
di affrontare il problema. La conoscenza delle conseguenze fisiologiche e psichiche, mediche o
psicologiche, avviene anche con
l’aiuto di esperti.
Dai dati dell’USSL 42 si evidenzia che all’incirca il 50% dei
tossicodipendenti della valle hanno un occupazione.
Il lavoro potrebbe divenire uno
, .^°ntatti con una realtà
al di fuori del "giro", un ambien
offrire la possibilità di un azione di prevenzione e recupero”. Iniziano ad interessarsene anche settori del
sindacato’ sia a livello di delegati
di tabbnea che ai vari livelli di
strutture territoriali.
Due anni fa alla Boge di Villar,
con 1 impegno del consiglio di
fabbrica e dei sindacati territoriah’ SI e concluso un accordo
tendente alla conservazione del
posto di lavoro per i tossicodipendenti, dando loro la possibilità di permessi per cure e riabilitazione. L’accordo ha anticipato quanto oggi viene garantito
con II DPR 309 del 9 ottobre
1990 c poi recepito nel contratto
dei metalmeccanici, nel quale si
‘figge: « ... il lavoratore del quale viene accertato lo stato di
tossicodipendenza e che intende
accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi sanitari delle USSL e di altre strutture terapeutico-riabilitative e socio-assistenziali, se assunto a tempo indeterminato ha
diritto alla consei-vazione del posto di lavoro per il tempo in cui
la sospensione della prestazione
lavorativa è dovuta all’esecuzione del trattamento riabilitativo
e, comunque, per un periodo
non superiore a tre anni... ».
« La droga è un problema sociale della zona che evidentemente si riflette come problema anche all’interno delle aziende —
dice Enrico Lanza, operatore sindacale FIM-CISL —, e pone oggi
il sindacato nell’esigenza di discuterne anche tra i lavoratori ».
Al di là di una valutazione
quantitativa o statistica del fenomeno ci pare interessante comprendere cosa succede all’interno delle aziende in una classe
operaia sempre più divisa e sempre meno solidale. Lanza individua tre aspetti che possono essere utili per una fotografia del
problema.
La prevenzione, nell’ambiente
di lavoro, è oggi difficile a causa
di un rifiuto verso il tossicodipendente; la scarsa informazione e ’’una distanza culturale enorme" dalla problematica in discussione sfociano in fenomeni di
rigetto e diffidenza anche nell’ambito operaio.
Un secondo aspetto è posto
dalla tendenza delle aziende che
"normalmente cercano di liberarsi del problema"; la strada
più breve è quella di "un allontanamento silenzioso e sotterraneo” del tossicodipendente. La
possibilità di prevenzione perciò dipende in larga misura anche dalla disponibilità dei datori di lavoro nell’affrontare la
questione. Come risposta ad una
situazione di disagio esiste poi
un certo numero di lavoratori
tossicodipendenti che lasciano la
grande azienda per realtà di lavoro formate da gruppi di poche
unità.
In terzo luogo c’è necessità
di un miglioramento sui posti di
lavoro degli strumenti di tutela,
con una ricerca di mezzi contrattuali che, partendo da una
conoscenza delle cause, pongano
conseguenti azioni preventive.
«Si tratta di affrontare sindacalmente il problema — dice
Lanza — colmando prima di tutto un grosso vuoto culturale».
Hanno collaborato
a questa pagina:
Doriano Coisson, Andrea Garrone, Danilo Massel, Mauro
Meytre, Marisa Peyronel, Liliana Viglielmo.
11
24 maggio 1991
lettere
11
VILLA OLANDA
Sono passati diversi mesi da quando il Sinodo 1990 ha deciso di prorogare di un anno l'eventuale vendita
di Villa Olanda.
In questi mesi di incertezza qualcuno se n’è già andato: alcune dipendenti e anche alcune ospiti della Comunità terapeutica. Gli altri ci sono ancora tutti e sperano che tutto finirà
bene, che si aggiusterà la Casa (perché ci vuole), il personale non perderà il posto di lavoro e gli anziani
potranno finire i loro giorni in questo istituto anziché essere spostati
chissà dove, contro la loro volontà.
Le persone stanno bene a Villa Olanda. Il cibo è buono; c'è un parco bellissimo; la sala da pranzo, luminosa
nel verde, è ravvivata da piante, da
fiori e da bonsai d'ogni genere. Due
volte al mese un pastore o un predicatore laico vengono a presiedere il
culto e questo è un importante momento di incontro per gli anziani con
la parola di Dio e tra loro. Nella comunità, una volta alla settimana, si
cantano, con armonium e chitarra, cantici e canzoni. A volte si riceve la
visita di qualche amica dell'Esercito
della Salvezza, sempre gradita dalle
signore, o di qualche gruppo di canto durante le feste di Natale o altro.
Si sta un po' insieme, si fraternizza,
ci si sente, meno soli, almeno per
qualche momento. La solitudine, che
è un grande male del nostro tempo,
forse lo è ancora di più se si è anziani o se si hanno del problemi, e
se non si hanno più familiari e amici.
Il Dio che si cura dei poveri, degli emarginati, dei minimi tra la gente è il Dio delle persone che vivono
ancora qui. Lo sappiamo perché la
Bibbia ce lo dice. Quando israele
uscì dall'Egitto Dio si schierò molto
presto con gli orfani, le vedove, gli
stranieri (Deuter. 24: 14 ss.) perché
non avevano nessuno che li proteggesse, e stabilì per loro delle leggi
severe. Gli ospiti di Villa Olanda sono
tra coloro che Dio, nel suo regno giusto, farà « primi »; come ha detto Gesù: tanti primi saranno ultimi e tanti
ultimi primi. Queste persone vengono
aiutate semplicemente tutti i giorni,
dagli operatori dell USL, quasi sempre con una notevole carica di umanità e grande rispetto, e dal personale nonché ovviamente dalla direzione, a vivere le loro giornate il più
serenamente possibile.
Molte preghiere vengono rivolte a
Dio da persone ohe hanno a cuore il
proseguimento di quest'opera e crediamo che saranno esaudite.
Muriella Calzi, Torre Pellice
SUPERARE GLI
ARROCCAMENTI
Leggo sul numero 19 del nostro
giornale il resoconto della Festa di
canto svoltasi recentemente a Frali e,
con vero piacere, apprendo che finalmente questa manifestazione ha intrapreso una via che, se seguita con serietà e Gostanza di impegno da tutti
gli interessati, assicurerà alle nostre
corali quel miglioramento qualitativo da
tempo confusamente auspicato e perseguito.
Sono infatti convinto che il trasformare una festa fine a se stessa in
un laboratorio corale, pur solo abbozzato dato i limiti del tempo disponibile, sia estremamente utile a coristi
e direttori per acquisire, attraverso lo
scambio di esperienze diverse ed il
rapporto diretto con diversi livelli di
preparazione e di metodi didattici, elementi utili a migliorare l'impostazione
del loro lavoro.
Con un leggero senso di amarezza
penso tuttavia che più di dieci anni
or sono, durante un'assemblea delle
corali, commentando la sterilità della
formula delle feste di canto allora in
vigore, proposi di adottare un metodo
di lavoro simile a quello oggi praticato, precisando che non inventavo
nulla di nuovo ma mi riferivo ad esperienze largamente realizzate con ottimi risultati in altri paesi d'Europa.
il tipico silenzio sepolcrale che seguì le mie parole fu rotto dall'intervento dell'immancabile custode delle
sane tradizioni culturali e di comportamento locali che, definendo senza
mezzi termini - stupidaggini » (sic!)
quanto avevo detto, invitò, con perentoria, autoritaria saggezza, l'assemblea
a non perdere tempo ed a passare
alla discussione dei « seri » problemi
all'ordine del giorno; stabilire giorno
e luogo dell'incontro, scegliere i cinque cantici che le corali avrebbero
dovuto eseguire insieme.
Se riferisco questo gustoso episodio non è per attribuirmi una paternità che non ho, ma che (perché no?)
CONSORZIO
PINEROLESE
ENERGIA
AMBIENTE
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energia ambiente
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siamo già visli un
sacco di volte!
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laccio ogni giofno
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krliQie felice,e
contento ,neli acqua
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energie, ni iiitni
LO mia il!
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aliegiG, ii fiscaida
e non inquina.
Tanii vanteggi:
pensaci,,
anche questo è
un .servizio del
iiumii CON^PZiO
CON^al-ì
dell'ACEA!
lU 6
avrei volentieri voluto avere. Il processo di rinnovamento che si è imposto « naturalmente » ha dimostrato sì
la validità della mia proposta di allora, ma soprattutto ha dimostrato che
le corali stesse, nella loro componente più attenta, hanno avuto la necessità di aprirsi a nuove e più interessanti esperienze.
Nessun sentimento di rivalsa dunque da parte mia, ma un Invito alla
riflessione su come certi arroccamenti
francamente ottusi, sommati ad una
prudente acquiescenza, possano bloccare ogni tipo di innovazione e, peggio, svuotino di realtà II nostro già
faticoso procedete.
Le conseguenze? In questo caso minime, le corali valdesi hanno perso
solo dieci anni di cultura musicale.
Dino Giesch, Torre Pellice
RINGRAZIAMENTO
« La tua benignità vai meglio
della vita »
(Salmo 63: 3)
E‘ mancata
Lìbera Lavatelli
A funerali avvenuti lo annunciano
raiTezionata cugina Angela Vannotti
ed i cugini Borsarelli e Debarberis.
Si ringraziano il pastore valdese Alberto Taccia, i vicini di casa Boffa, Rivorrà, Torchia e TafFezionata Elisabetta Giorgis. La cara salma riposa nel
cimitero di Canale d’Alba. La presente
è partecipazione e ringraziamento.
Torino, 11 maggio 1991.
STATUTO E
CITTADINI
Caro Direttore,
il Comune di Torre Pellice, uno dei
primi da queste parti, ha completato
la prima stesura del suo Statuto poche settimane prima della scadenza
del 13 giugno, ma nel testo che ho
sotto gli occhi è prevista la possibilità di modificazioni, e quindi integrazioni. Anche su iniziativa dei cittadini (art. 76), purché almeno un consigliere le porti avanti (art. 80). Ma si
veda prima quell'art. 61, se ho ben
capito. Viene il dubbio di una presa
Jn giro: cittadino proponi, che tanto
magari non ti ascoltiamo neppure, o
quasi. Ma non era già così prima?
Qra si chiama partecipazione. Sarà.
Vastità degli argomenti, poco tempo
che resta e lo spazio di una lettera
mi permettono ancora solo un paio di
non trascurabili osservazioni. E' bene
tener conto dell'associazionismo ma
non si deve scivolare nel corporativismo. Vedi per esempio l'art. 19. Anche un semplice cittadino può essere
considerato idoneo a far parte di una
commissione, senza necessariamente
provenire da un'associazione o come
rappresentante di una « forza », eco.
Una correzione non soltanto formale
all'art. 8. Dir « provenzale » è come
dir « toscano » per « italiano ». Si applica alle valli meridionali della Provincia di Cuneo. Qui e « occitano alpino », e va elencato subito dopo il
francese per antichità di impianto. Non
ha né maggiore ma neppure minore
« dignità » che gli idiomi locali, e come essi non è parlato dalla totalità
dell'attuale popolazione, ma può esprimerla tutta.
Con i miei migliori saluti.
Gustavo Malan, Torre Pellice
« Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del
Padre loro »
(Matteo 13: 43)
Serenamente si è spenta
Elmina Vairo Carile
Lo comunicano il marito Sergio, i figli Paolo e Milvia, il nipote Riccardo,
la nuora e il genero.
Bologna, 12 maggio 1991.
RINGRAZIAMENTO
« La tua bontà e il tuo amore
mi seguiranno per tutta la mia
vita; starò nella casa del Signore per tutti i miei giorni ».
(Salmo 23 : 6)
I familiari della compianta
llda Avondet in Gomba
ringraziano di cuore tutti coloro che
con presenza, scritti, fiori, opere di
Irene, parole di conforto, hanno preso
parte al loro dolore.
Un ringraziamento particolare al pastore Paolo Ribet, ai medici e al personale deU’ospedale civile Agnelli, reparto cliirurgia, al dott. Della Penna,
alla Croce Verde di Porte e ai vicini
di casa.
San Germano, 17 maggio 1991.
RINGRAZIAMENTO
« L’Eterno è il mio pastore
nulla mi mancherà »
(Salmo 23: 1)
Il 7 maggio è mancato all’affetto
dei suoi cari, all’età di novant’anni
Luigi Coucourde
I familiari commossi e riconoscenti
ringraziano quanti hanno voluto unirsi
al loro dolore.
Un grazie particolare alle signore
Iva e Ampelia Costabel, a tutti i vicini di casa, ai dottori Varalda e Sappé
c al pastore Tom NofLke.
Villar Perosa, 24 maggio 1991.
NUOVO INDIRIZZO
La pastora Laura Leone comunica il
suo nuovo indirizzo e numero telefonico. via Orlandini 14, 91100 Trapani,
tei. 0923/20951.
AVVISI ECONOMICI
RINGRAZIAMENTO
(C Non trattenermi, perché il Signore ha fatto riuscire il mio
viaggio. Lasciatemi partire, affinché io possa andare dal mio
Signore »
(Genesi 24: 56)
Guido e Samy Odin addolorati per
pimprovvisa scomparsa di
Carlo Paschetto
TRENTASETTENNE si occuperebbe:
fattorino, custode, autista privato,
commesso, trattorista. Tel. 933231.
A MILANO signore anziano autosufficiente cerca persona fissa referenziata per collaborazione e aiuto domestico. Telefonare ore serali a Rostan 02/2047991.
PRIVATO acquista mobUi vecchi e antichi, oggetti vari. Tel. Pinerolo
40181 (dopo le ore 18).
DONNA 54 ANNI statura media, capelli scuri, laboriosa, simpatica, leale, parla francese, italiano, tedesco,
di.sposta a trasferirsi incontrerebbe
per unione felice signore sui 60-65
anni solo se credente convinto. Scrivere con foto all’Eco delle Valli, casella postale, 10066 Torre Pellice
(rif. MLM).
AFFITTO per il mese di luglio in
Torre Pellice appartamento con giardino, 3 stanze letto, soggiorno, sala
pranzo e cucinino, 2 bagni. Telefonare ore serali 011/6503724.
nell’impossibilità di farlo singolarmente ringraziano di cuore tutti coloro
che in qualsiasi modo hanno preso parte al loro dolore.
Un ringraziamento particolare ai pastori Tourn e Rostagno. Al sig. Giovenale e gruppo AGLI che si sono prodigati nella triste circostanza. Ai vicini
di casa e agli amici tutti.
Torre Pellice, 24 maggio 1991.
L’associazione Soccorso argento e
lo SPI di Luserna San Giovanni porgono le più sentite condoglianze ai familiari ifi
Carlo Paschetto
e a te, Carlo, un aifettuoso addio.
Luserna S. Giovanni, 24 maggio 1991.
l’eco
deik valli valdesi
Dir. respons. Franco Giampiccoli.
Aut. Trib. Pinerolo n. 175.
Vìa Pio V n. 15 - 10125 Torino
tei. 011/655278.
Stampa: Coop. Subalpina Torre Pellice.
(C In questo si è manifestato per
noi l’amore di Dio: che Dio ha
mandato suo figlio nel mondo
affinché, per mezzo di lui, vivessimo »
(I Giovanni 4: 9)
Ci ha lasciati, il 27 maggio, nel suo
98" anno di età
Cìorgetta Comba
nata Laurence
I figli Mirella, Emilio e Mario con
le rispettive famiglie, nipoti e i parenti tutti la ricordano agli amici e alle
.sorelle e ai fratelli delle comunità di
Firenze, Prali, Pomaretto e Roma.
Torre Pellice, 24 maggio 1991._________
12
12 villaggio globale
24 maggio 1991
______________UNA DENUNCIA DI AMNESTY INTERNATIONAL
I diritti umani
LE CHIESE AD HAITI
La lunga strada
negati in Afghanistan democrazia
Gli oppositori sottoposti a torture e detenzioni senza processo Sono numerosi i trattati di cui non vengono rispettati i principi
Amnesty International è seriamente preoccupata per le denunce di tortura e di detenzione in
isolamento senza processo che
hanno luogo nei centri di interrogatorio e nelle prigioni del1 Afghanistan,, sotto la direzione
del ministero per la Sicurezza
dello stato. Centinaia di prigionieri sono detenuti da oltre nove
anni, senza essere stati mai pròcessati, in alcuni centri di detenzione tra cui i blocchi 1 e 2 della prigione di Pul-e-Charkhi, presso Kabul, ove non sono tra l’altro consentite visite dei familiari e degli avvocati. Secondo le
denunce pervenute ad Amnesty
International, questi prigionieri
verrebbero sottoposti a sistematiche torture e le condizioni detentive sarebbero ben al di sotto
delle disposizioni previste dalle
"Regole minime per il trattamento dei prigionieri” dell’ONU.
Ritiro sovietico
e guerra civile
Le truppe sovietiche hanno
completato il loro ritiro dall'Afghanistan il 15 febbraio 1989,
così come previsto dall’accordo
firmato il 14 aprile 1988 a Ginevra da Afghanistan, URSS, Pakistan ed USA. La guerra civile è
peraltro proseguita. Il governo
del presidente Najibullah, sostenuto dairURSS, è riuscito a mantenere il controllo effettivo della
capitale e di alcuni dei principali
centri, mentre l’opposizione armata dei mujaheddin, sostenuta
da USA e Pakistan, ha conquistato un capoluogo provinciale e
numerose zone periferiche.
Il 6 marzo 1990 il governo del
presidente Najibullah ha sventato un colpo di stato diretto dall’allora ministro della Difesa
Shahnawaz Tanai, che ha poi
lasciato il paese per rifugiarsi
in Pakistan e stringere un’alleanza col gruppo dei mujaheddin
”Hezb-e Islami” di Gulbuddin
Hekmatyar. Decine e decine di
persone sono state uccise sommariamente dopo il fallito colpo
di stato, altre centinaia sono
state arrestate.
nieri politici sono sottoposti a
tali condizioni detentive da parecchi anni. Amnesty International ritiene che le procedure per
l’interrogatorio e la detenzione
emanate dal ministero per la
Sicurezza dello stato costituiscano un sistema giudiziario indipendente da quello ufficiale.
I famigerati centri
di interrogatorio
Il KHAD (Khedamat-e Etela’ate Dawlati), il Servizio informazioni dello stato, venne istituito
nel 1980 alle dirette dipendenze
del futuro presidente Najibullah;
centri d’interrogatorio del KHAD
vennero costituiti rapidamente
in tutto l’Afghanistan. Dal
1986, quando il KHAD è
stato elevato a ministero per
la Sicurezza dello stato, questi
centri d’interrogatorio sono stati ufficialmente denominati ”Riasat” (direzione), anche se familiarmente rimangono conosciuti
come centri del KHAD. Vi sono
attualmente più di una decina
di direzioni a Kabul, ed un numero imprecisato nelle città secondarie. La tortura è praticata
in ogni direzione.
La legge prevede che l’arrestato possa rimanere in detenzione per un periodo massimo di
72 ore prima di essere portato
dal magistrato, che dovrà prendere una decisione sul caso o
rinnovare il periodo di detenzione, che in ogni caso non potrà
superare i trenta giorni. Questa
disposizione è regolarmente ignorata.
Le restrizioni imposte dalle
autorità afghane sulle comunicazioni tra i prigionieri e l’esterno,
nonché la guerra civile in corso,
hanno reso difficile ad Amnesty
International la raccolta e la
verifica delle informazioni. L’organizzazione ha tuttavia ricevuto
numerose testimonianze da parte di ex prigionieri politici ora
rifugiati in Pakistan e in Europa;
altre informazioni sono state fornite da ex funzionari del governo
afghano.
Repressione
delle opposizioni
Secondo le informazioni così
raccolte da Amnesty International, le persone sospettate di far
parte dell’opposizione armata o
anche di attività antigovemative
non violente sono tenute in celle d’isolamento per un periodo
iniziale di interrogatorio che può
durare anche parecchi mesi, nel
corso del quale la tortura è largamente praticata. Dopo il periodo di interrogatorio, i prigionieri
vengono trasferiti nei centri di
detenzione gestiti dal ministero
per la Sicurezjia dello stato, dove
possono rimanere a tempo indeterminato, senza accusa né processo e privati di ogni contatto
col mondo esterno. Alcuni prigio^
Inapplicate le
« Regole minime »
L’ambiente dei centri di interrogatorio è ben lontano dai criteri enunciati nelle Regole minime per il trattamento dei prigionieri deirONU: gli interrogatori
possono durare anche parecchi
mesi, i detenuti sono rigidamente separati tra loro, le celle sono
sporche, c’è scarsa ventilazione,
abbondano le infezioni dovute
alle precarie condizioni igieniche
e all’assenza di cure mediche. I
prigionieri possono recarsi in
bagno per due o tre volte al
giorno, ed ogni volta per un massimo di tre minuti.
Poiché non p>ossono effettuare
visite nei centri d’interrogatorio,
le famiglie degli arrestati impiegano spesso molte settimane a
scoprire dove siano reclusi i
loro parenti. Per sapere qualcosa,
un buon sistema è quello di mandare denaro e vestiti al prigioniero, attraverso il personale di
sorveglianza: ai familiari viene
consegnata una sorta di ricevuta, firmata dal prigioniero, a
meno che non sia stato o sia in
procinto di essere giustiziato.
Dopo il periodo iniziale di interrogatorio nelle sedi delle direzioni, alcuni prigionieri politici
vengono processati dal Tribunale speciale per la sicurezza nazionale, senza diritto alla difesa. La
maggior parte dei prigionieri politici, invece, non viene sottoposta a processo ma è trasferita in
centri di detenzione diretti dal
ministero per la Sicurezza dello
stato.
Nella zona di Kabul, i prigionieri non sottoposti a processo
vengono trasferiti nei blocchi 1
e 2 della prigione di Pul-e-Charkhi. Qui essi vengono isolati completamente dall’esterno e dagli
altri blocchi della prigione per
un periodo indeterminato che
può durare anche per molti anni,
ino prigioniero, rilasciato nel
1987 dopo aver trascorso oltre
cinque anni di detenzione nei
blocchi 1 e 2, ha riferito di una
dozzina di prigionieri ivi detenuti da oltre nove anni.
La tortura e i maltrattamenti
nei confronti dei prigionieri sono
vietati dal diritto intemazionale.
L’art. 7 del Patto intemazionale
sui diritti civili e politici (ICCP),
a cui l’Afghanistan è vincolato
dal 1983, afferma che « nessun
individuo dovrà essere sottoposto a tortura o ad altre punizioni o trattamenti crudeli, inumani
e degradanti »: a tale divieto non
è possibile derogare in alcima
circostanza.
L’art. 2 comma 1 della Convenzione delle Nazioni Unite contro
la tortura e le altre punizioni o
trattamenti cmdeli, inumani e
degradanti, ratificata dall’Afghanistan il 1" aprile 1987, chiede
ad ogni stato di «assumere efficaci misure legislative, giudiziarie o di altra natura per prevenire atti di tortura in tutti i territori sotto la loro giurisdizione »
e precisa che « nessuna circostanza eccezionale di qualsiasi tipo,
compreso lo stato di guerra, la
minaccia di guerra, Vinstabilità
politica interna o qualunque altra emergenza, potrà essere invocata per giustificare atti di
tortura ».
Le speranze e i problemi di un paese gravato
da lotte, disoccupazione e problemi sociali
Haiti è ancora alla ricerca della democrazia: dopo la fine del re
^ llslcefdoL
Aristide alla presidenza, si fa strada la speranza.
. j J^^^^Sazione delle Chiese protestanti di Haiti ha fatto visita al Consiglio ecumenico delle chiese a fine aprile. La delegazio
FederazionT^df/jp rh' Dautmche, presidente della
federazione delle chiese protestanti di Haiti (FEPH) dal pastore
Guy Jean Maiy, rappresentante del Consiglio nazionale Llle mis
battista Sem Marseille, segmatirieale della Società biblica di Haiti, e dal pastore metodista Moïse
Olienti ultimi hanno risposi
ad alcune domande a nome della delegazione.
Tortura e
maltrattamenti
Nell’esperienza di Amnesty International la tortura e gli altri
maltrattamenti si verificano più
frequentemente nelle prime ore
0 nei primi giorni di detenzione:
è quindi assolutamente indispensabile che sia riconosciuto a
rnedici, familiari ed avvocati il
diritto di visitare i detenuti subito dopo l’arresto.
Le Regole minime per il trattamento dei prigionieri prevedono, tra 1 altro, che le condizioni
detentive debbano garantire attrezzature mediche e sanitarie e
che tutti i prigionieri dovrebbero poter informare tempestivamente le loro famiglie sulla
loro detenzione e suireventuale
trasferimento da un carcere al
1 altro, essi inoltre dovrebbero
ricevere regolari visite da parte
delle loro famiglie. Amnesty International ritiene che queste ed
altre disposizioni delle Regole
minime non siano pienamente
applicate nei centri d’interrogatono e di detenzione diretti dal
ministero per la Sicurezza dello
stato.
— Qual è il vostro commento
sugli avvenimenti più recenti?
— Marseille: Il colpo di stato
del 6 gennaio non è stato fatto
per rovesciare il governo della
signora Trouillot ma per impedire a padre Aristide di insediarsi
come presidente della Repubblica, ed anche per scuotere la nascente democrazia.
— Isidore : L’accesso di « Titid » alla presidenza è un segnale
di speranza: speriamo che la democrazia possa, col tempo, entrare realmente nella mentalità
del popolo haitiano.
— Quali sono le ripercussioni
per le chiese?
— Isidore; Aristide non lo vediamo come un sacerdote cattolico, ma come un leader che ha
una grande popolarità. C’erano
due pastori candidati alla presidenza, ma la maggioranza dei
protestanti hanno votato per il
prete cattolico candidato. Non
vediamo questo fatto come una
divisione; da noi non ci sono divisioni fra cattolici e protestanti :
non possiamo avere relazioni ufficiali tra clero cattolico e pastori protestanti, ma ci intendiamo
molto bene fra protestanti e
cattolici.
— Marseille: Anche se c’è intesa a livello di popolo, non siamo ancora arrivati all’unità totale. L’umtà in seno alla nazione permetterà l’unità in seno alla
chiesa, oppure sarà il contrario.
Il paese è stato dilacerato per
più di 35 anni.
— Quali sono i più grossi problemi da risolvere per questo
paese dilacerato?
Marseille; La disoccupazione: creare del lavoro perché la
popolazione possa mangiare, e
intraprendere il risanamento della pubblica amministrazione.
— Isidore; Occorre che si facciano abbassare i prezzi dei prodotti di prima necessità, indurre
un sentimento di sicurezza.
— Qual è il compito delle chie
Isolati dal
mondo esterno
Il governo dell’Afgbanistan si
rende responsabile per la detenzione dei prigionieri in completo
isolamento dal mondo esterno
non consentendo alle organizzaponi umanitarie internazionali di
ispeponare i centri di detenzione
e di interrogatorio. Sebbene il
Comitato intemazionale della
Croce Rossa abbia ricevuto un
assenso in linea di principio
nel dicembre 1987, da parte dei
ministeri per gli Affari esteri,
degli Interni e per la Sicurezza
dello stato ad effettuare un’ispezione nei centri di detenzione,
questo permesso non è stato
este.so alla visita dei prigionieri
detenuti senza processo ed a
quelli detenuti nei centri d’interrogatorio.
se2
— Isidore: Aiutare il popolo a
sviluppare una coscienza critica.
Il 6-7 gennaio scorsi (data del
colpo di stato mancato di Lafontant), il popolo si è levato come
un sol uomo, dimostrando una
certa maturità.
— Marseille; Non è facile per
la chiesa protestante. Per tradizione i protestanti avevano imparato a disprezzare gli affari
politici. Si diceva che il cristiano
non fa politica. Ma, timidamente,
si fa strada una presa di coscienza e i protestanti possono adesso
assumere degli incarichi pubblici.
— La nuova situazione vi permetterà migliori contatti con altri paesi?
— Marseille: Il regime di Duvalier aveva « confiscato » i rapporti con l’estero. Il paese era
stato « zombizzato ». Dopo il 7
febbraio 1986 abbiamo provato
il desiderio di avere rapporti con
altri stati, e adesso Haiti fa partì del CARICOM (Mercato comune dei Caraibi).
II creolo è diventato lingua ufficiale del paese grazie alla Costituzione votata nel 1987. Haiti potrà diventare un centro d’attrazione per altri paesi in cui si
parli il creolo, come la Repubblica Dominicana, Santa Lucia,
Guadalupe, Martinica.
— Che cos’è che qualifica JeanBertrand Aristide come capo di
stato? E come ha formato la sua
équipe ministeriale?
— Isidore: L’esperienza non è
la principale priorità : ci sono
stati dei presidenti che avevano
esperienza e hanno governato
male. Prima di tutto conta la volontà di condurre cambiamenti
positivi e radicali nel paese E
questa volontà, Aristide ce l’ha!
Vuole che il popolo viva meglio,
vuole stabilire il diritto.
Ciò che gli manca è l’esperienza politica per realizzare questi
intenti, ma con l’appoggio del popolo potrà trovare le persone
qualificate. La maggior parte dei
ministri sono sconosciuti ma questo è il suo primo gabinetto, e
potrà cambiarlo.
L’opposizione non si arrende. Fa paura? Continueranno le
azioni di giustizia sommaria?
— Isidore: La giustizia som
maria non serve per ricostruire il paese. Bisogna ristrutturarlo, sanare la pubblica ammini
strazione, stabilire la giustizia :
non solo l’apparato giudiziario
propriamente inteso, ma anche
la distribuzione dei beni e delle
risorse di questo paese tramite il
potere d’acquisto e i servizi che
lo stato deve rendere al popolo.
E’ vero, chi ha danneggiato il paese deve affrontare la giustizia.
Ma ci sono anche dei « quadri »
qualificati che non si possono far
ritirare così semplicemente dal1 amministrazione. Io mi oppongo a quel tipo di politica: è distruzione, non giustizia.
Haiti cercherà di contare sui
propri mezzi o chiederà un aiuto
all’estero?
— Isidore: Haiti, un piccolo
paese che è stato depredato per
anni e anni, non può modificare
la situazione da solo ; deve fare
appello alla solidarietà internazionale, sia a livello politico che
giuridico o economico. Pertanto
fa appello al mondo intero.
Marseille : Ci sono persone
che hanno spogliato il paese, in
particolare la famiglia dei Duvalier. Abbiamo bisogno della
solidarietà intemazionale per la
restituzione di quei valori che ci
sono stati rubati. Abbiamo bisogno della Svizzera, che nelle sue
banche ha più di 120 milioni di
dollari depositati dai Duvalier.
Abbiamo bisogno d’aiuto anche
dalla Francia, dove la famiglia
Duvalier ha acquistato dei castelli, appartamenti lussuosi, e
anche dagli Stati Uniti, dal Canada. I^i ministri, « superministri », vi hanno « stornato » delle
somme enormi che Haiti deve ricuperare.
a cura di Théo Buss
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