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SETTIMANALE DELLE CHIESE ÉVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI
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Anno IX - numero 33-31 agosto 2001
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DISCERNERE IL
ÍORPO DI CRISTO
«fl calice della benedizione, che noi
mgdiciamo, non è forse la comuniotie con il sangue di Cristo? Il pane che
noi rompiamo, non è forse la comunione con il corpo di Cristo?»
I Corinzi 10, 16
Queste parole di Paolo sono
domande retoriche che si aspettano una risposta netta da chi
ascolta: «Ma certo che è così!». Eppure i cristiani hanno saputo fare del
segno più significativo della comunione verticale e orizzontale, del
momento del riconoscimento dell’unità donata dal sacrificio di Cristo
un’occasione di divisione e di giudiso reciproco. Agli ortodossi e ai cattolici non è lecito partecipare alla
santa cena evangelica perché in fondo non è che una parodia delrpùcaristia: chi l’amministra non è
sacerdote, essendo stato ordinato o
Kinsacrato in una chiesa che ha interrotto la catena della successione
^ostolica, e negli elementi offerti
non ci sono il corpo e il sangue di
.Cristo. D’altra parte i protestanti,
pur riconoscendo in genere che la
mensa appartiene al Signore, sono
divisi tra coloro che la offrono a tutti
i cristiani e quelli che lo limitano agli
irangeiici, o addirittura a quelli della
propria denominazione. Cattolici e
ortodossi non si accolgono reciprocamente perché fra loro non c’è piena comunione dottrinale, né consentono agli evangelici di partecipare al momento centrale della messa
0 della divina liturgia. Del resto la
maggior parte dei protestanti non vi
àaccosterébbe neanche se invitata.
La cena del Signore è diventata
proprietà delle chiese che discriminano coloro che Gesù ha invitato
dia sua tavola. Quelli che dovrebbero essere i pastori della chiesa spezzano arbitrariamente l’unità del corpo del Signore; su di loro ricadono le
parole di Paolo (1 Cor. 11, 29): «Chi
mangia e beve, beve un giudizio conho se stesso, se non discerne il corpo
del Signore». Sotto la spinta dello
%irito crescono nel popolo di Dio il
Ì?£onoscimento di una fraternità che
za oltre le barriere confessionali e il
rifiuto di sottostare alle imposizioni
fifi guardiani dell’ortodossia.
La Comunione aperta è stato il
leit-motiv della recente settimarra di formazione ecumenica organizzata dal Sae a Chianciano. Di;'*rossa in uno dei gruppi di studio,
‘divenuta tema di una lettera aperta
fii molti dei corsisti, è riemersa con
iofza nella tavola rotonda conclusiMolti si sono espressi per una
Wsobbedienza responsabile» nei
^fronti delle proprie autorità ec;^iali e ne hanno tratto le conse^nze. Circa 220 pensone (30 pro‘«tstanti) erano presenti al culto
^**migelico con santa cena, oltre 100
'nanno partecipato alla cena del Signore. Mi auguro che, a partire da8*1 incontri ecumenici in cui ci si
^nte fortemente chiesa nell’ascolto
Parola, nel canto, nella pregierà, nella condivisione fraterna
.fi quotidiano, il numero di quanti
Obbediscono responsabilmente
*^*ghi fino a costringere «colóro
si reputano grandi» a prendere
serio le parole di Gesù: «Fate
in memoria di me».
Etnmanuele Paschetto
IHIESEI
Agape Reggia / suoi SO anni
cb DANIELA DI CARLO e SIMONE LANZA
ECO DELCI Máy
alRifk
di DAVIDE ROSSO
Dopo la travagliata Conferenza Gnu di Bonn sui cambiamenti climatici
Inquinare è un diritto?
eli interessi economici e politici in gioco stanno trasformando la biosfera in una
discarica di C02 imponendo il diritto alle emissioni. La responsabilità delle chiese
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ANTONELUVISINTIN
SULLO sfondo del teatrino sulla
ricerca dei responsabili dell’offensiva poliziesca sui manifestanti
contro il G8 lo scorso luglio a Genova, si preparano dei mesi faticosi. Da
un lato rispetto alla gestione delle
dinamiche interne alla rete per la
globcdizzazlone dei diritti e sulle forme del manifestare pubblicamente,
e dall’altro sui contenuti, locali e globali. Ne danno prova questi mesi
estivi nei quali il confronto interno
non ha avuto tregua e nei quali è stata inaugurata una stagione di relazioni politiche aggressive e arroganti
senza più neanche la finzione dell’ascolto delle ragioni dell’altra parte, di fronte alla crescente erosione
del consenso e della legittimazione
„_J Irlanda del Nord
Presbiteriani
per la pace
Nel momento più difficile del processo di pace avviatosi in Irlanda del
Nord nel 1998, il Comitato «Chiesa e
governo» della Chiesa presbiteriana
d’Irlanda (che con i suoi 450.000
membri è la maggiore denominazione protestante dell’isola) ha emanato un documento nel quale ribadisce la necessità di «creare una società nella quale gente che appartiene a diverse comunità possa essere
pienamente partecipe della vita politica e sentirsi a casa». Il documento, dopo avere condannato con severità gli attentati compiuti negli ultimi giorni dai paramilitari lealisti,
molti dei quali abusano di simboli
della tradizione protestante, conclude che la questione del «disarmo di
tutti i gruppi paramilitari è una necessità politica e morale». (nev)
del nuovo corso del capitalismo noto
come globalizzazione del pensiero
unico, l’era di Mammona.
Addomesticati largamente i partititi di massa e i sindacati, il potere
si sta dunque equipaggiando per disperdere il movimento con le sofisticate armi in suo possesso; la violenza e l’intimidazione, i media, la
politica, il denaro. Sicuramente il lavoro diplomatico intorno alle misure di riduzione del riscaldamento
del pianeta non beneficia di questo
clima: ogni vertenza è buona per dimostrare la muscolare fermezza di
coloro che sostengono il diritto alla
libertà di inquinare.
Ricordiamo che esso era cominciato quale impegno preso a Rio nel
1992 alla conferenza Onu su ambiente e sviluppo dove per la prima volta
veniva assunto su scala internazionale che l’attività economica non poteva non vincolarsi alle leggi naturali:
dal secondo principio della termodinamica, alla finitezza delle risorse,
all’importanza della biodiversità, alla
delicatezza degli equilibri fisico-chimici su cui si regge la nostra sopravvivenza come specie.
Il passaggio dall’analisi alla proposta, però, si doveva misurare con
questo modello di sviluppo che stava
imboccando una strada di maggiore
e non minore aggressività ambientale, e non solo. Un modello che piaceva anche alla sinistra liberale che,
nelle sue componenti più illuminate,
ne chiedeva una maggiore efficienza
energetica. Da qui la cronaca di un
Segue a pag. 7
I Legge immigrazione
Lettera Fcei
a Berlusconi
In una lettera al presidente del
Consiglio e a tutti i ministri, inviata il
13 agosto, il Servizio rifugiati e migranti della Fcei esprime forte preoccupazione per l’ipotizzata revisione
della legge sull’immigrazione. Il documento ribadisce alcuni principi
base che dovrebbero orientare l’iniziativa in merito: «La difesa dei diritti
fondamentali di tutte le persone presenti sul territorio nazionale; la solidarietà con popolazioni svantaggiate; il dovere di accoglienza e di protezione del debole o disagiato; il diritto alla coesione familiare; la difesa
dei diritti dei minori». Il documento
valuta comunque positivamente il
fatto che il governo si sia impegnato
a coinvolgere nel processo decisionale anche le forze sociali che da anni si occupa della questione. (nev)
Valli valdesi
Si è aperto il
Sinodo valdese
Con il culto presieduto dal pastore
Salvatore Ricciardi sul testo di Matteo
9 («La messe è grande, ma pochi sono
gli operai»), si è aperto domenica 26
agosto il Sinodo delle chiese valdesi e
metodiste. Nel corso del culto inaugurale sono stati consacrati tre pastore (Assunta De Angelis, Caterina Dupré e Elisabetta Ribet) e un pastore,
Jean-Félix Kamba Nzolo, primo africano che viene investito del ministero pastorale nel tempio di Torre Pellice. Il Sinodo si occuperà di diaconia,
dell’otto per mille, dei problemi della
globalizzazione. Oltre ai 180 membri
effettivi, sono ospiti del Sinodo il pastore Keith Clements (Kek), il vescovo
di Pinerolo De Bernardi, esponenti
ortodossi e dell’ecumene protestante.
A pag. Il
AL RIENTRO
DALLE FERIE
Siamo abituati, al rientro in sede dopo le ferie o all’apertura di un nuovo
anno scolastico, a guardare all’album
dei ricordi dell’estate: gite, viaggi, bagni 0 anche solo una rinnovata intimità
familiare scorrono davanti agli occhi
nostri e degli amici e parenti ai quali
sottoponiamo le immancabili diapositive 0 la videocassetta amatoriale. E i
primi giorni di lavoro si nutrono di
questa nostalgia, fra gli affanni delle attività a cui ci eravamo disabituati.
Sarebbe bello e utile, per una volta,
riuscire a invertire i termini della questione: anziché fare delle vacanze un
oggetto di ricordo, poterle vivere come
un’occasione per ricordare. Un momento privilegiato per interrompere
l’attività consuetudinaria, per tirare il
fiato e ripensare, con una calma e una
ponderazione sconosciute alla quotidianità lavorativa, a fatti, persone, letture incontrati nel corso dell’anno. Chi
legge per professione, per esempio, lamenta di essere travolto dalla mole di
materiali da sfogliare, leggiucchiare,
approfondire e interpretare: manca
così la possibUità di ritornare sui medesimi testi, di metterli a confronto
con altri, e anche con esperienze vissute in seguito, con persone incontrate e
che hanno qualcosa da dire in proposito. Manca insomma la possibilità di
.rivedere le proprie valutazioni (di un
mese o addirittura di anni prima) con
il filtro dell’esperienza e con tutto il
peso del proprio vissuto.
La vacanza può servire: a riandare
con il pensiero a quello che si è visto,
letto, considerato in un anno di lavoro, di impegno sociale, di vita della
propria chiesa; un anno in cui la fede
si è messa a confronto con la vita nostra e dei nostri simili. In cui ci siamo
dati da fare, speriamo, animati dalla
volontà di rispondere alle più diverse
vocazioni. Con la convinzione, che dovrebbe appartenere ai credenti, di essere nel giusto: una forza che ci cattura e spinge all’azione; un invito che
viene dalla Bibbia e che tuttavia corre
ogni giorno il rischio di essere condizionata dalla nostra arroganza e dai
nostri pregiudizi. Così capita, a volte,
che la fede venga viziata dalle nostre
personali convinzioni. Fatti tragici come gli scontri di Genova, la tragedia di
Novi Ligure, la povertà e il rischio ambientale, ma anche fatti positivi (ne
abbiamo ben segnalati, anche su queste pagine, come l’ottenimento di farmaci anti Aids a più basso prezzo in
Sud Àfrica), segnali inquietanti e spiragli di speranza attendono di essere
corroborati da una maturazione non
frettolosa da parte dei singoli e delle
comunità. Per essere tutti più solidi alla ripresa di ogni attività.
Ora che le vacanze sono (quasi per
tutti) un ricordo, guardiamo dentro di
noi e proviamo a chiederci: al mare, ai
monti, in qualche città d’arte o in mezzo alla natura, in famiglia o fra amici,
abbiamo dato spazio solo allo svago e
al riposo, certo legittimi, o abbiamo
potuto anche esaminare il passato più
0 meno prossimo? Si tratta di rimettere ordine nei propri pensieri, di accettare magari di cambiare idea, e il bello
è che questo processo avviene spesso,
in vacanza, senza che ce ne rendiamo
conto. Basta l’intimità o il raccoglimento 0 la non fretta. Se saremo stati
in grado di fare tutto dò, torneremo
dalle vacanze non solo riposati ma anche più strutturati di fronte agii eventi
di un nuovo anno.
Alberto Corsani
2
PAG. 2 RIFORMA
A.LLJA.S
UN BIGLIETTO DI ACCOMPAGNAMENTO
Laltrìmenti dell Evangelo, che Paolo iinplora Filemone di accogliere, nasce dalla nostra capacità, dalla nostra fede dni
nostro coraggio di vivere delle relazioni nuove che superino e svuotino tutte le divisioni «sacralizzate» del nostro mondi llr^'
GIANNI GENRE
Non è un’epistola il testo
che oggi il Signore mette
davanti a noi in questa giornata, non è quasi neppure
una lettera, per le dimensione
che ha, ma un biglietto. Un
biglietto che accompagna la
restituzione di uno schiavo. 11
mittente del biglietto è l’apostolo Paolo. È in prigione,
probabilmente a Efeso, e la
prigione sappiamo che cos’è,
che cosa comporta: l’impossibilità di agire, di muoversi
e di parlare, di predicare.
Paolo rispedisce Onesimo,
uno schiavo fuggiasco che è
diventato cristiano dopo essere entrato in contatto con
lui, al suo legittimo padrone,
Filemone. Filemone è un ricco notabile di Colesse, piccola chiesa fondata da Paolo, diventato cristiano anche lui.
Filemone ospita nella sua
casa questo piccolo originario nucleo di credenti che
appartiene a una nuova setta, nata sì e no da un ventennio, costituita da donne e
uomini che pregano e spezzano insieme il pane. Facendo così, dicono di far memoria di un rabbino giustiziato
sulla croce qualche anno prima, ma che qualcuno sostiene sia stato risuscitato ed abbia poi incontrato alcune
dorme e i suoi antichi discepoli che lo avevano tradito.
Solo una precauzione, sorella e fratello, nel leggere
questo biglietto. Guardiamoci deH’esprimere giudizi affrettati sulla schiavitù e sul
perché Paolo non scrive una
lettera aperta in cui si denuncia il carattere demoniaco, inaccettabile deUa schiavitù. 2000 anni fa, la schiavitù era l’asse portante della
struttura sociale ed economica di quel mondo. Era un
dato acquisito, che aveva fatto grande Roma e Atene. (...)
Onesimo era fuggito e lo
schiavo fuggitivo veniva, una volta ripreso, marchiato
a fuoco o crocifisso. Chi lo
avesse aiutato o ospitato incorreva in sanzioni poco meno severe. In questo quadro,
lo schiavo fuggiasco si ripresenta al suo padrone senza
sapere se la sua sorte sarà di
vivere o di morire. Ma ha con
sé il biglietto di quel predicatore che perseguitava i cristiani prima di uno strano incontro sulla strada assolata di
Damasco che aveva cambiato
la sua vita. Il testo del biglietto che Paolo ha mandato a Filemone 1950 anni fa non ha
nulla di sconvolgente, a una
prima lettura; è persino un
po’ «Soft» per noi che avremmo voluto leggere un maggiore coraggio nel denunziare
non solo la situazione di Onesimo, ma l’intera questione
della schiavitù. Prova, però,
fratello e sorella mia, a ritenere un paio di pensieri.
Come un fratello libero
Anzitutto, la necessità
che Filemone non soltanto riaccolga lo schiavo Onesimo trattenendosi da ogni tipo
di ritorsione nel suoi confronti, ma quella di accoglierlo come un fratello pienamente e
definitivamente libero. (...)
Paolo non denuncia, ma
svuota dall’interno la realtà
della schiavitù. Sembra anzi
sottomettersi pienamente alle regole delle strutture sociali e politiche del suo tempo e
del suo mondo: non tiene
con sé Onesimo ma lo rimanda al suo padrone. Ma, appunto, dice a Filemone che il
rapporto d’ora innanzi non
dovrà più essere quello del
padrone con lo schiavo, ma
quello del fratello con il fratello. Fratelli liberi e uguali.
Perché questo è il mondo
nuovo che Cristo è venuto a
inaugurare: un mondo dove,
qui e adesso, non vi è più né
giudeo né greco, né uomo né
donna, né schiavo né libero.
«Caro Filemone, il Signore
al quale tu hai confessato di
volere appartenere, è morto
per desacralizzare le divisioni
di classe, di razza, di genere.
Onesimo non lo chiamerai
"fratello” nel breve momento
del cultino domestico che si
tiene in casa tua di nascosto,
non gli concederai solo in
quel momento di condividere con te il pane e il vino, per
poi tornare a utilizzarlo come
oggetto per le tue faccende o
per il tuo piacere. Lo accoglierai adesso come accoglieresti me, a cui devi tutto perché io ti ho portato quella Parola che ti ha restituito il senso della vita e ti ha tolto la
paura della morte; lo accoglierai come un fratello, libero e uguale in dignità».
Io propongo a te, amica e
amico, di provare con me a
tenerti stretta questa antica
indicazione dell’apostolo: la
liberazione da ogni forma di
alienazione, che è il messaggio insistente di ogni pagina
della Bibbia, va proposto, ma
anzitutto va vissuto. L’Evangelo esige un modo diverso di
vivere e la diversità del vivere
inizia dalla diversità dei rapporti umani. L’altrimenti dell’Evangelo, che Paolo implora Filemone di accogliere,
nasce dalla nostra capacità, dalla nostra fede, dal nostro coraggio di vivere delle relazioni nuove che superino e svuotino tutte le divisioni «sacralizzate» del nostro
mondo. Perché Paolo sapeva
che non è sufficiente abolire
la schiavitù per eliminare i
rapporti di sfhittamento e di
oppressione.
La schiavitù oggi
Idati li possiamo leggere
quasi ogni giorno. Sono
dati agghiaccianti, che ci parlano di un aumento spaventoso della schiavitù. Di forme
di schiavitù infinitamente più
sottili e più crudeli di quelle
del tempo dell’apostolo. Di
schiavitù di adulti e di bambini. Dai paesi africani all’India,
dal Brasile alla Romania, gli
schiavi (e fra loro tanti bambini) aumentano ogni giorno:
per sfuggire, illusoriamente,
al genocidio per fame, a quel
martirio quotidiano che per
noi è diventato qualcosa di
normale, di accettabile. Secondo i dati della Fao, più di
30 milioni di esseri umani sono vittime dirette della fame,
ogni anno. 850 milioni di vite
umane sono devastate dalle
conseguenze di una sottoalimentazione cronica, 2 miliardi di persone vivono in condizioni classificate come di «assoluta miseria». Non sono
numeri, sono esistenze umane. 146 milioni di persone rese cieche dalla mancanza di
una dose minima di vitamina
A nei primi anni di vita. Per
sfuggire al più grande killer
della storia, la fame, donne,
uomini e bambini vendono la
propria dignità e la propria
vita ogni giorno. (...)
Ecco perché c’era tanta
gente, pacifica, a Genova, anche dal nostro piccolo mondo evangelico. Perché a tratti,
la nostra coscienza, se c’è ancora, si ribella. Perché nel
1960, negli anni del boom
economico anche in queste
valli del Piemonte, il 20% degli abitanti più ricchi del pianeta disponeva di una ricchezza che era 31 volte superiore a quella del 20% degli
abitanti più poveri. Nel 1998,
la ricchezza di quel 20% dei
più ricchi è 83 volte superiore
a quella del 20% dei più poveri. Davanti a questi dati, affermare la piena autonomia
dell’economia è un crimine.
Senza leggi mondiali che regolino il mercato e la distribuzione della ricchezza la fa
me continuerà ad uccidere e
la schiavitù ad aumentare.
Anche se si farà di tutto per
mantenere questo scandalo,
questa immensa bestemmia
nell’ombra, lasciando che il
palcoscenico del mondo sia
sempre occupato dai burattinai del nuovo schiavismo.
Bertold Brecht, ricordate,
scriveva: «Gli uni sono nel
buio,/ gli altri nella luce./ E
noi vediamo coloro che sono
nella luce/ E non quelli che
sono nel buio». Ecco, si tratta
per noi di vedere anche quelli
che sono nel buio, nell’ombra
della storia. Si tratta di iniziare da me, da te, da noi, e poi
si tratta di andare a dire al Filemone di turno che si dice
cristiano che Onesimo non è
più uno schiavo. Non lo è davanti a Dio, perché Dio ama
la gente libera, anche nel rapporto con lui. /frna i credenti
e gli increduli liberi: di stupirsi di Dio, di resistergli e anche
di dirgli di sì. E non è più
schiavo, non può più essere
schiavo di fronte ad alcun padrone. Se le chiese cristiane, a
cominciare dalle nostre, vivessero questa indicazione di
Paolo, a iniziare dai loro rapporti interni, sarebbero più
credibili e potrebbero poi andare a ricordare ai Filemoni
più potenti che cosa comporta confessarsi cristiani.
fPaolo, prigioniero di Cristo Gesù,
e U frateno Tinwteo, al caro FUemone,
nostro collaboratore, ^alla sorella Apfia,
adArcMppo, nostro compagno d'armi,
e alla chiesa che si riunisce in casa tua,
^grazia a voi e pace da Dio nostro Padre
e dal Signore Gesù Cristo. *Io ringrazio
continuamente il mio Dio, ricordandomi
di te nelie mie premiere, ^perché sento
parlare dell’amore e della fede che hai
verso il Signore Gesù e verso tutti i santi.
^Chiedo a lui che lafade che ci è comune
diventi efficace nel farti riconoscere tutto
il bene che noi possiamo compiere, aUa
gloria di Cristo. Unfatti ho provato una
grande g^ia e consolazione per il tuo
amore, perché per opera tua, fratello, U
cuore dei santi è stato confortate. ’^Perciò,
pur avendo molta libertà in Cristo di
comandarti quello che conviene fare,
^preferisco fare appello al tuo amore,
semplicemente come Paolo, v&xhio,
e ora anche prigioniero di Cristo Gesù;
prego per mtefìgUo che ho generate
mentre ero in catene, per Onesimo, **un
tempoinutiteate, macheomèutìleate
eame. *’‘Te lo rimando, lui, che amo come
il mìo cuore, voluto tenerlo con me,
perché In vece tua mi servisse nelle catene
che ^rtto a motivo del varalo; "ma non
ho voluto far nulla senza il tuo consenso,
perché la tua buona azione non fosse
forzata, ma volonteria. "Forse proprio
per queste egli è stato lontano da te per
un po ’di tempo, perché tu lo riavessi per
sempre "non più come schiavo, ma molte
più che schiavo, come un fratello caro
specialmente a me, ma ora molte più
a te, sia sul piatto umano sia nel Signóre!
"Se dunque tu mi consideri in comunione
con te, accoglilo come me stesso.
"Se ti ha fatte qualche torto o ti deve
qualcosa, addebitalo a me. "Io, Paolo,
10 scrivo di mia propria mano: pagherò
io; per non dirti che tu mi sei debitore
perfino di te stesso. ^Sì, fratello, io vorrei
che tu mi fossi utile nel Signore; rasserena
11 mio cuore in Cristo. Ti scrivo fiducioso
nella tua ubbidienza, sapendo che farai
anche più di quel che ti chiedo.
^Al tempo stesso preparami un allodio
perché spero, grazie alle vostre preghiere,
di esservi restituito. ^Epafra, mio
comparto di prigionia in Criste Gesù,
ti salute. "Così pure Marco, Arismrco,
Demo, Luca, miei coUabomterL
^Lafforia del Signore Gesù Cristo
sia coni! vostro spùite».
(Lettera a Fiemone)
Essere «utili»
Tuttavia quei biglietto di
accompagnamento dice
qualcosa di ancor più profondo, c’è una seconda indicazione che ti chiedo di tenere
nel cuore, come cercherò di
fare anch’io. Un’indicazione
che nasce da un gioco di parole dell’apostolo certamente
non casuale. Paolo scrive a Filemone: «Ti prego per Onesimo, un tempo inutile a te, ma
che ora è utile a te e a me».
Che cosa significa questa frase, tenendo conto che Onesimo, in greco, significa «utile»,
significa «strumento»? Gli interlocutori di Paolo, come
molte persone ancora oggi,
devono aver sempre pensato
che nulla fosse più utile di
uno schiavo: un essere umano ridotto a merce, che non
può rivendicare alcun diritto
e che, senza costo alcuno,
deve fare tutto ciò che verrà
chiesto. Gli schiavi erano (e
sono) alla base del benessere,
dell’agio e del potere di chi
detiene la stragrande maggioranza delle ricchezze.
Eppure Paolo ricorda,
comprendere al neoconveL.
to Filemone che prima On^
mo gli era inutile (quando®; ign
credeva utile) e adessn „u Élu®®?
utile) e adesso, eh,
suo fratello ed è libero J*
sarà utile. Potsemmo ®
che Paolo alluda
' Pensai I
all’utilità che Onesimo un«
offrire nel campo de7a?2 #300 P
monianza cristiana. Rs,,!
uno in più nel cercate
diffondere il messaggio ?
versivo e di liberazione
l’Evangelo era senz’altro po^
tivo. E forse è proprio dell'o,
nesimo che, pochi anni don,
diventerà vescovo di Efeso
Ma c’è di più dietro al ragio!
namento di Paolo. Se il non*
Onesimo, cioè se l’identitàl
Onesimo significa «utilei
Onesimo non poteva che es.
sere inutile quanto era schia.
vo. Perché uno schiavo noi
ha identità, non è nessuno^
non esiste. Lo schiavo Onesimo non era utile perché noi
poteva essere se stesso.
«Caro Filemone, dovrai capire, diventando cristiano,
che non ti è di nessuna utili
una persona alla quale hai
cancellato l’identità, un uomo
o una donna a cui è sottratta
la possibilità di esistere e dirispondere alla propria vocazione. Sì, Onesimo si chiama
“utile”, ma è utile a te e ama
soltanto adesso che è tornato
ad essere libero, che è tornato
ad essere Onesimo. Perché ti,
Filemone, come me (e come
Dio) vivi di relazioni e non vii
relazione con chi è stato alienato da questo sistema, violentato e impedito nella sua
possibilità di avere identità e
relazioni a sua volta. Eccoci
l’Evangelo, Filemone, la cui
straordinaria ricchezza è cosi
difficile da vivere. L’altro uomo, l’altra donna, vicinao
lontana da te, può essere onesimo, può essere “utile” soltanto se libera. Ti sarà “utile’
soltanto chi non utilizzati
sarà “strumento” di vita soltanto chi non strumentalizzi
Onesimo, l’altro uomo, l’altra
donna che hai sfruttato e violentato nella sua identità, ti
sarà utile quando "gli” o “le’
consentirai di essere se stessa;
non oggetto, ma partner. Altrimenti, se sarai circondato
da schiavi, da persone alienate e dipendenti, vedrai la tua
vita venire meno. Forse, al;
l’inizio, nel vederti circondai
di schiavi, proverai anche ub
elemento di autocompiacimento, poi subentrerà la noiai
la cessazione delle relazioni e
quindi la morte.
Dio ti offre la possibilità u*
accogliere Onesimo conio
persona libera e dunque utile: a confrontarsi con te, nella sua alterità di persona libera, a stimolarti, a condividere il sorriso e la paura,
l’impegno e la fede. Sì, anche
la fede in quel Dio di Gesù
Cristo che ci ha voluto linuh
da ogni schiavitù perché pU'
tessimo essergli utili; perch
ognuno di noi potesse esser
“onesimo" nel suo piano
trasformazione del mondo
del cuore umano. La
di questo rovesciamento g
nerale, di sistema e
vinzioni, dove lo schiavo c
pensavi utile ti era itt^®
inutile e diventa utile
to quando gli riconosci u
piena dignità e l’espressio
della sua identità, lo lo®
comprendere a te,
Basta che tu guardi alla
cenda di Gesù di
capirai. E vivrai,
anche tu la possibilità cu
sere “utile” agli altri o pir
dato da persone “utili »
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Si è svolta a Chianciano la XXXVIII sessione di formazione ecumenica del Sae
«Da questo vi riconosceranno...»
lino dei nodi emersi nella sessione è stato quello della divisione fra i cristiani al momenW
0 comunione eucaristica. Grande partecipazione di cattolici alla santa cena evangelica
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Villa
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'itóehe (Sae)
oro,g la trentottesima volta
Deri(,j 9® di formazione eculerta a soci e non
300 persone circa sono
^ise a Chianciano per diil tónta: «Da questo vi
• "“‘-ideeranno...» tratto da
jnni 13,35, con il sottotiT-«Verità dell’amore e te^nianza ecumenica».
^Il'introdurre la sessione
, SBtóente, Elena Milazzo
Mini, ha ricordato come
ranno 2000 sia stato difficile
«ilelelazioni ecumeniche a
ausadel Giubileo cattolico e
jelpumento «Dominus Jejiis» ma ha anche rilevato la
-jaiide importanza dell’apizione a Strasburgo nelImavera di quest’anno
Iharta oecumenica» da
chiese cristiane
continente. Come
quattro sono i
toni privilegiati su cui i
pepanti alla sessione di
.jdio si incontrano: le contenze e tavole rotonde all'iiizio e alla fine dei lavori, le
liturgie ecumeniche e delle
ìterse'confessioni, le mediconi bibliche giornaliere, il
irò di gruppo.
ibuti offerti all’intera
iblea dai diversi oratori
iono stati pregevoli: certi fla' enti in interventi ampi
»lati, colgono talvolta
l’uditorio, aprenli vie inesplorate. Così il
teologo cattolico Armido Riziche legge l’autopresenta^diDio a Mosè come: «Io
sono colui che c’è» e afferma
die la Carità è la verità ontoi Dio. Così il teologo
Fulvio Ferrario
cheiècupera la sensibilità
orientale verso la Trinità e afferma che il criterio di verità
perl’ecumenismo è l’amore
Wtario. 0 Amos Luzzatto,
fidente dell’Unione delle
^unità ebraiche, che indiridua nella Bibbia ebraica il
fcento della sofferenza
d'amore come il più prezioso,
l®iendo come esempio la fi§®a di,Giobbe, o il camaldol*se Iiinocenzo Gargano che
Un momento della santa cena evangelica
legge l’inno all’amore di I Corinzi 13 sostituendo ogni volta che compare la parola carità con il nome Gesù.
Uno dei nodi emersi nelia
sessione è stato quello della
divisione fra i cristiani al momento della comunione eucaristica. Questo problema
era argomento di uno dei
gruppi di studio, ma anche la
tavola rotonda a cui hanno
partecipato due noti teologi
fra i più apprezzati da anni
nel Sae, Giovanni Cereti e
Paolo Ricca, era centrata sulla sofferenza causata dall’assurdità dei veti incrociati che
le dirigenze delle chiese impongono ai propri fedeli. Cereti ha invitato a consolidare
tutti i momenti in cui l’unità
e la comunione sono già esperienza acquisita per irrobustire questa sensibilità di
chiesa trasversale alle diverse
confessioni e denominazioni
in vista del superamento della barriera che ostacola l’accostarsi insieme alla cena del
Signore. Ricca ha parlato di
una «schizofrenia sacramentale» che impedisce soprattutto alla Chiesa cattolica e a
quella ortodossa di rendersi
conto della grave responsabilità che si assumono nel confessionalizzare la mensa del
Signore. Quanto il popolo
ecumenico sia insofferente di
questa situazione lo hanno
dimostrato la grande parteci
pazione di cattolici alla santa
cena evangelica e la lettera
aperta scritta da alcuni credenti cattolici contro la divisione nell’eucaristia.
Fra i momenti più belli della settimana ci piace ricordare la liturgia ecumenica nel
tempio rinascimentale di San
Biagio a Montepulciano, con
la firma della Charta cecumenica da parte di tutti i presenti e la serata del lunedì, con la
lettura di brani delle lettere
di Etty Hillesum eseguita dall’attrice Gabriella Cecilia Calila, accompagnata con’ grande sensibilità al pianoforte e
al flauto. Un fuori programma molto importante e sentito da tutti i convenuti è stato
la serata improvvisata organizzata dai genovesi presenti
che hanno voluto testimoniare come sono stati vissuti i
giorni del G8 nella loro città.
Con una mozione approvata
in seduta plenaria è stato riconfermato l’impegno a respingere una forma di globalizzazione volta solo a consolidare i privilegi e gli interessi
dell’Occidente e, ribadendo
la condanna di ogni violenza,
è stata espressa solidarietà ai
manifestanti pacifisti aggrediti dalle forze dell’ordine.
Ma l’esperienza più bella è
sempre quella di rendersi
cohto di come sia vera e attuale l’affermazione di Paolo:
«Qui non c’è né giudeo né
greco, né schiavo né libero,
né maschio né femmina, perché voi tutti siete uno in Cristo» (Calati 3,28).
La partecipazione al culto di Chianciano
La mozione sul G8 di Genova
Noi, persone di diverse espressioni
'%ose, riuniti dal Sae (Segretariato
^tà ecumeniche) per una settimana
■riiflflessione comune e di dialogo sul
dell’amore, ritenianio di proporre
riflessioni sui fatti di Genova in
ù^ione dei G8, anche alla luce di al^0 testimoniane offerteci da amici
vi hanno partecipato,
h le forme in cui si sta realizzando
j^obalizzazione presentano aspetti
Wi, ma anche aspetti inaccettabili,
perle vite degli abitanti dei paesi del
per l’ambiente ma anche per la
?tessa democrazia. Non stupisce che,
^.occasione di un evento come il retente G8 di Genova, gruppi e movi®®oti diversi abbiano sentito l’esigen® rii manifestare, chiedendo impegni
^tdtemative concrete. Numerosi cri"riini delle diverse chiese e uomini di
fedi hanno partecipato, indivi^Bente o in forme organizzate, alla
^sione sui temi della manifestaziot, ’ sua preparazione e alla sua rearione. La giustizia, la pace e la salhdia del creato sono istanze che
issano in profondità la coscienza
e che devono trovare espres
jgj-JMche nello spazio e nelle forme
politico: a Genova ed oltre.
Hu ^'"'portanza degli obiettivi, che
ovono passioni profonde, stimola
®odalità diverse di partecipazio® forme diverse di manifestazione,
[g ,**®on modo però ciò può giustificaSviolenza- iii-ilizzpta ed esibita da
una piccola parte dei manifestanti nel
corso delle giornate genovesi. La gratuità di tale violenza e l’assoluta mancanza di legami con gli obiettivi della
protesta, poi, rendono ancor più dura
la nostra condanna. Siamo vicini e solidali con la popolazione genovese, che
ha subito l’umiliazione di una devastazione della città, e che con dedizione si
era preparata ad accogliere un così importante avvenimento con incontri di
riflessione, con l’elaborazione di importanti documenti, con mon enti di
preghiera. Siamo vicini e solio ili con
tutti coloro che hanno sofferto per la
violenza ed esprimiamo tutto il nostro
dolore per la giovane vita spezzata. Lo
spazio del politico deve essere interpellato tramite la partecipazione democratica, l’azione civile, il lavoro culturale, la
pressione nonviolenta e l’argomentazione efficace. La nostra esperienza ci
ha insegnato che, anche di fronte all’interlocutore più ostinato, lo stile di dialogo è qualificante ed efficace.
3) Per lo stesso motivo dobbiamo dare un duro giudizio sul comportamento
dei responsabili dell’ordine pubblico e
di una parte delle forze dell’ordine, rivelatisi incapaci di garantire la sicurezza della città di Genova, così come l’effettivo diritto di manifestazione pacifica per centinaia di migliaia di persone.
Non è accettabile che per reagire alla
violenza di gruppi minoritari si siano
messi in pericolo l’incolumità e i diritti
di quella stragrande maggioranza di
manifestanti che operava in forme del
tutto pacifiche. La violenza usata dalle
forze di polizia contro persone deboli,
pacifiche e inermi ha gravemente offeso la nostra immagine di paese civile e
democratico. Tantomeno è accettabile
che la presenza di gruppi violenti estranei alla manifestazione organizzata,
venga ora usata come argomento per
delegittimare un movimento tanto più
ampio e per sfuggire al confronto con 1
contenuti forti da esso proposti. In uno
stato di diritto, le garanzie civili e costituzionali sono essenziali, ma non sempre esse a Genova sono state rispettate;
è un fatto che ci fa guardare con preoccupazione al futuro prossimo. In uno
stato di diritto, il diritto di manifestazione civile è componente essenziale
della democrazia: ogni tentativo di limitarlo sarebbe inaccettabile.
Chiediamo chiarezza sulle diverse responsabilità di chi ha progettato e gestito la non sicurezza nei giorni di Genova. Chiediamo garanzie per i comportamenti futuri. Chiediamo il diritto
di riflettere ancora, di lavorare e di manifestare, in forme pacifiche ma non
meno incisive, per una globalizzazione
rispettosa delle persone, delle società,
dell’ambiente. Come componenti della
società civile e dell’associazionismo
democratico, ci impegniamo a un atteggiamento di vigilanza e di denuncia,
néi confronti di comportamenti che
andassero in senso diverso.
Segretariato attività ecumeniche
Lettera aperta ai partecipanti
Insieme
alla mensa del Signore
Caro amico e cara amica
partecipante a questa sessione dei Sae, noi che ti
scriviamo siamo un gruppo
«sparso» di uomini e donne
cattolici/che qui presenti a
Chianciano.
Non sappiamo ancora cosa ci riserverà rincontro di
venerdì pomeriggio dedicato anche alla questione della cosiddetta fntercomunione. Purtroppo questo dibattito si svolgerà appunto poco prima della fine, cioè
quando le liturgie eucaristiche si saranno già svolte.
Sappiamo che ciò non è accaduto per mala accortezza
o malizia, ma da problemi
organizzativi reali. Lungi da
noi aicuna recriminazione.
Sappiamo inoltre, com’è
noto, che un gruppo, esattamente il quarto, ha incentrato i suoi lavori su questo
argomento: non vi abbiamo
partecipato, ma solo perché
altri aspetti prenìevano (e
non per ragioni recondite),
e siamo molto curiosi di conoscere il loro operato. Abbiamo per correttezza fatto
sapere ai suoi membri che
con questa lettera, che loro
hanno visionato ancora in
forma non definitiva, non
volevamo assolutamente
contrapporci a loro, ma volevamo solo dare voce a
qualcosa che ci anima, e
che per essere esposto in testo non poteva aspettare
l’esito delle relazioni di sabato, perché poi non ci sarebbe stato tempo per questo gesto rispettoso dei lavoro degli altri. Il pluralismo non è forse un nostro
principio? Forse in questa
nostra iniziativa c’è un po’
di confusione ma non dolo.
Il tema della comunione
eucaristica ci sta a cuore.
Alcuni di noi conoscono,
anche approfonditamente,
le questioni teologiche che
avviluppano questa materia
e che fanno da ostacolo al
dispiegarsi della koinonia.
Molti di noi, cattolici con
fiera Umiltà, già da tempo
compiono il gesto di rispondere accogliendo il pane e il vino offertici durante
il rito della santa cena imbandita dai fratelli prote
stanti, a cui qui peraltro riconosciamo con gratitudine
questo dono offertoci senza
riceverne reciprocità. Nei
clima di solidarietà ecumenica che si respira al Sae
sessione estiva, riteniamo
che appaia ancora più evidente ia forza trainante dello Spirito che ci chiama, ci
invoca, ci invita ad esultare
insieme, godendo di questa
sovrabbondanza di doni.
Questa koinonia così cercata, a volte sembra pur rivelarsi, e qui in questa occasione dell’eucarestia, crediamo sia giusto accogliere
l’invito alla Mensa oltre che
alla Parola.
La Parola ci fa manifesto
con mille esempi che la dissuasione alla comunione
nella santa cena si configura come fraintendimento di
essa, o addirittura come suo
tradimento. Nel Vangeli
leggiamo che Gesù accoglie
alla sua mensa senza distinzioni e mangia con peccatori; pubblicani, prostitute
ecc.: «Chiunque ha fame,
chiunque ha sete, venga e
sarà saziato». Gesù non giudica chi chiede del suo pane. Appare invece come
icona di amore che non
mette condizioni, di amore
gratuito e incondizionato.
Si dice: non è opportuna
l’intercomunione perché
tra le chiese la comunione
non è ancora pienamente
realizzata. E ciò è fonte di
grande sofferenza. Ma non
è simile alla vicenda del sábalo, questa obiezione? Già
molti di noi, dicevamo, credono, in coscienza, di non
dover rinunziare a questa
offerta, nella speranza che il
pane spezzato e condiviso
tra chi si riconosce peccatore contribuisca a condurci
alla gioia dell’unità, ma
pensiamo anche che occorra pronunciarlo apertamente e testimoniarlo, con rispetto ma con la potenza
che Dio trasmette. Rendere
pubblica la propria fede,
cioè confessarla, per i primi
cristiani era atto irrinunciabile. Ti chiediamo, se vuoi,
di unirti a noi in tale testimonianza.
Grazie dell’ascolto
DAL MONDO CRISTIANO
M L'accorcJo è stato firmato il 6 luglio scorso
Canada: piena intercomunione
tra anglicani e luterani
OTTAWA — Piena intercomunione tra anglicani e luterani in Canada. L’accordo, firmato il 6 luglio, ricalca quello già
in atto tra la chiesa episcopale e quella luterana degli Stati
Uniti, che prevede lo scambio dei pulpiti tra le due denominazioni: ma non si tratta di una fusione, hanno tenuto a
precisare i leader delle due chiese. (nev/apd)
H Dopo l'incontro con il presidente Shevardnadze
Georgia: schiarita nei rapporti
tra governo e chiese di minoranza
TBILISI — Piccola schiarita in Georgia nei rapporti tra governo e chiese di minoranza. Il presidente Shevardnadze ha
incontrato i leader protestanti, cattolici, musulmani ed
ebrei assicurandoli che in futuro le autorità saranno più attente nel tutelare i loro diritti. «Non è la fine dei nostri problemi ma è comunque un segno positivo», ha detto il pastore battista Malkhaz Songulashvili. (nev/bt)
M Primato di un pastore anglicano nel Lancashire
In Inghilterra un sermone record
dura 28 ore e 45 minuti
WHALLEY — 28 ore e 45 minuti: è la durata di un sermone
con cui il pastore anglicano Chris Sterry, 46 anni, è entrato
nel libro dei primati. Sterry ha predicato nel tempio anglicano di Whalley nel Lancashire, Inghilterra, prendendo come
riferimento i primi cinque libri della Bibbia, usufruendo solo
di una piccola pausa di 15 minuti ogni otto ore. (nev/apd)
4
PAG. 4 RIFORMA
VENERDÌ 31 5
Un libro di memorialistica sulla condizione operaia e la relativa cultura
La fabbrica come storia collettiva
Il «patto» fra sindacatismo e imprenditoria è stato per anni un sostegno della democrazia
Come è possibile solvaguardore, aggiornandolo, guesto Importante insegnamento civile?
PIERA ECIDI
La classe operaia va in paradiso? Chissà, qualche
decennio fa si sarebbe detto
entusiasticamente di sì, adesso i nostri cronisti e opinionisti, facenti capo ad aziende
quasi tutte di un unico padrone, ne relegano identità e
problemi a qualche estemporaneo fatto contrattuale. Come se «di solo pane vivesse
l’uomo» (e anche la donna).
Paese labile ed emotivo, il
nostro, anche perché la storia
non si insegna e tramanda,
non la si ama come si dovrebbe, come sappiamo invece noi minoranze religiose,
che ben ricordiamo persecuzioni ed emarginazioni: noi la
storia la coltiviamo e la insegniamo ai nostri giovani, nei
nostri Centri culturali, nelle
nostre pubblicazioni.
Ben venga allora questo
memoriale dal titolo polemico, La memoria corta*, di Giovanni Destefanis, intellettuale
e dirigente sindacale, che reca come sottotitolo Torino
'900 - Storie di famiglie e fabbrica. Una «storia collettiva»,
come nota nella prefazione
Pietro Marcenaro, per la cui
pubblicazione la Cgil piemontese ha corrisposto le
spese editoriali: «In altre parole - nota Marcenaro - questo libro non ha un mercato
e, stando a valutazioni di
mercato, probabilmente non
avrebbe trovato un editore.
Raccontava qualche tempo fa
una mia amica di un bambino down che è quasi miracolosamente riuscito a parlare
per il lavoro straordinario di
una logopedista che ha dedicato a questo fine più di un
anno della sua vita: sono tantissime le cose importanti che
non hanno mercato». Anche
di questo come credenti siamo pienamente consapevoli.
Qui percorriamo le radici
di quella strategia di un «pat
Torino: un quartiere operaio nel dopoguerra
to dei produttori», che ha visto l’alleanza delle forze produttive italiane, imprenditori
e maestranze che, pur nei legittimi momenti di contrapposizione, ha però tenuto
salda la spina dorsale della
democrazia, del rinnovamento sociale, dell’abbattimento del sottosviluppo fonte di ricatti malavitosi e di
corruzione, e che ha fatto
deiritalia una delle maggiori
potenze industriali del mondo. Dove, come nel nostro
Mezzogiorno, la cultura del
lavoro produttivo non si è
potuta espandere, nelle realtà dove la malavita alligna,
nel 30% di disoccupazione, la
cultura dei diritti e dei doveri,
la coscienza della cittadinanza non esistono, e un sì e un
no si vendono e si comprano
per un pezzo di pane, per
una scarpa o per una scatola
di spaghetti.
«Un libro così poteva essere
scritto solo a Torino» - nota
ancora Marcenaro - e dice
non solo di quello che Torino
è stata, ma anche di quello
Centro culturale valdese
via Beckwith 3, Torre Pellice (TO)
TERZO FORUM DELLA CULTURA
Ecumene 22-23 settembre 2001
Quale Forum per quale cultura?
Il Forum di quest'anno cerco di valorizzare il dibattito avviato nelle
due precedenti edizioni e proseguito su «Gioventù Evangelica» (in
particolare nn. 173 e 175), I principali nodi della discussione saranno introdotti da brevi relazioni a cura della neonata Commissione
cultura del Centro culturale valdese. Si tratterà da un lato di mettere
a confronto le istanze delle agenzie culturali e dall'altro di definire il
ruolo che esse assumeranno nel quadro in trasformazione della presenza evangelica in Italia. Uno spazio sarà dedicato all'approfondimento del tema della globalizzazione, per coglierne le ricadute sul
nostro lavoro culturale.
SABATO 22 SETTEMBRE
ore 10
Il futuro della presenza culturale protestante in Italia e la funzione del
forum, dibattito sulla natura e le prospettiva del Forum a cura della
Commissione cultura del Ccv
ore 15,30-17,30
le ricadute della globalizzazione sulla società, la politica, la democrazia, la cultura, la vita quotidiana, Giorgio Guelaaani
le chiese e la globalizzaziene, Franco Giampiccoli
ore 18-19,30
Dibattito
ore 20,45
Prosecuzione della discussione introdotta da due brevi comunicazioni; modera Francesca Spano
Che cosa dicono di noi; i protestanti sulla stampa italiana, Marco Rostan
Che cosa abbiamo voluto dire: la proposta culturale dei nostri Centri,
Giorgio Tourn '
DOMENICA 23 SETTEMBRE
ore 9-12
Discussione conclusiva sulla natura e le prospettive del Forum, a cura
della Commissione cultura del Ccv; modera Daniele Garrone
Iscrizioni e informazioni sul soggiorno entro il 7 settembre, presso la
segreteria del Centro culturale valdese di Torre Pellice - via Beckwith
3; tei. 0121-932179 - fax 0121-932566
E-mail: centroculturalevaldese@tin.it
che Torino è, delle risorse
straordinarie delle quali dispone». Una città della grande industria ma non solo, una
città, ricordiamo, in cui il 42%
della popolazione non è nata
qui, ma proviene da tutte le
regioni povere italiane, facendone la terza città meridionale d’Italia: gli operai-massa
che dai primi degli Anni 60
hanno lavorato e combattuto
per i loro diritti, dando il via a
quello straordinario boom
economico di cui tutto il paese ha beneficiato. Una straordinaria città-laboratorio con
l’incontro, che continua con
altre immigrazioni e culture,
di grandi potenzialità. A riprova della miopia, anche
economica, di chi se la prendeva con i «terroni» e ora con
gli extracomunitari.
Questo volume di Destefanis, suddiviso in trenta agili
capitoletti è, come nota Vittorio Rieser nella postfazione, un vero e proprio «racconto di formazione», che
inizia dalle radici montanare
e degli avi appartenenti al
dolente «mondo dei vinti»
delle nostre valli piemontesi
(c’è pure un parente valdese,
lo «zio Cichin», che invita a
pranzo nelle festività l’orfano
Giovanni e suo padre «maresciallo dei pompieri in pensione, fiero antifascista, repubblicano e gran cacciatore,
membro dell’associazione
del Crematorio»). Lungo il
percorso degli anni, attraverso tante figure, prima della
famiglia e poi via via degli
amici e dei compagni di lavoro, si delinea l’esperienza e la
presa di coscienza di un ragazzo, figlio di operai e operaio poi lui stesso attraverso
gli anni della dittatura, della
Resistenza vissuta all’interno
della fabbrica, della Liberazione. E poi, la durezza e
l’isolamento degli Anni 50,
quegli «anni duri alla Fiat»
(per usare il titolo di un libro
ormai storico di altri due dirigenti sindacali. Pugno e Garavini), con i «reparti-confino» e i licenziamenti dei delegati, le lettere a casa con le
intimidazioni alle famiglie in
occasione di ogni rinnovo di
cariche sindacai, quel clima
di «muro contro muro» degli
anni bui della guerra fredda a
cui qualcuno amerebbe tornare, ma che si sciolgono come neve a primavera nel mutato contesto internazionale
degli Anni 60, che vede anche
Taprirsi della fruttuosa strada
ecumenica del Concilio.
Alle soglie di questi anni si
ferma il libro, e inizia la storia
di dirigente dell’autore, con
l’assunzione piena di responsabilità testimoniatagli dal
padre, vecchio operaio socialista che riuscì, a prezzo di
miseria e malattie, a non
prendere mai la tessera fascista, insegnando al figlio, insieme alla capacità di ironia e
autoironia, così tipica delVunderstatement piemontese, alcune cose essenziali,
nella loro semplicità, che poi
si riducono al concetto di dignità, e di assunzione di responsabilità: «Nella vita bisogna marciare diritti e stringere i denti», e anche: «La paura
è fatta di nulla». Giustamente
l’autore ringrazia per la collaborazione Renata Yedid Levi
dell’Istituto Gramsci di Torino e Luciano Boccalatte dell’Istituto storico della Resistenza in Piemonte: questo
percorso individuale, infatti,
si svolge nella cornice di una
densa rivisitazione documentaria. E noi lettori attendiamo il seguito della storia,
dagli Anni 60 in poi.
(•) Giovanni Destefanis: La memoria corta. Torino ’900. Storie
di famiglia e di fabbrica. Roma,
Ediesse, 1999, pp. 223, £ 18.000.
Nel Biellese, 7-9 settembre
«Chiesa e povertà»
alle Feste dolciniane
La tradizionale Festa di fra
Dolcino si svolgerà nei giorni
7-9 settembre. Venerdì 7, alle
21, nella Biblioteca civica di
Trivero (Biella), Tavo Burat,
Corrado Mornese e Piero Delrfiastro presentano i loro nuovi libri su Fra Dolcino usciti
nel periodo 2000-2001.
Sabato 8, alle 21, nella sala
valdese di Biella (v. Feda 9),
il past. Giuseppe Platone introduce il dibattito sul tema
«La Chiesa e la povertà evangelica oggi».
Domenica 9, infine, alle 10
si tiene il culto all’aperto, pre
sieduto da G. Platone alla
Bocchetta di Margosio (panoramica Zegna, Trivero, Biella).
Alle 11 si svolge l’Assemblea
del centro studi dolciniani al
cippo di fra Dolcino in vetta al
monte Massaro (1/4 d’ora a
piedi dalla Bocchetta di Margosio, 1.000 m di altitudine).
Alle 13 segue l’agape fraterna
con appoggio all’alpeggio di
Margosio (10’ a piedi, sempre
dalla Bocchetta: per prenotare tei. a Piero Delmastro, 01594271). Nel pomeriggio canti
e balli della tradizione monta
nara e operaia.
I ricordi di prigionia di Sergio Sarri
La lotta per sopravvivere
neH'interno dei lager
Ricordiamo tutti, almeno
chi ha vissuto le ristrettezze
della guerra e del dopoguerra, qualche parente che maniacalmente teneva da parte
ogni cosa: così l’anziana zia
ricordata nel titolo di questo
libro*, che divideva gli spaghi
in scatole etichettate «spaghi
Idhghi», spaghi medi», «corti»
e «troppo corti», che ovviamente rischiavano di non
servire, ma che, non si sa
mai, era meglio comunque
non buttare. Un mondo
completamente diverso dallo
spensierato usa e getta della
nostra attuale colpevole sovrabbondanza. Con questo
titolo umile, Sergio Sarri ha
voluto lasciare traccia dei
suoi brevi e asciutti brandelli
di ricordo: la sua infanzia e
giovinezza a Torino sotto il
fascismo, la guerra, la scelta
partigiana, l’arresto e la tortura, la deportazione nei
campi di concentramento
nazisti: Flossenbürg, Dachau.
Cento pagine in tutto, un Se
questo è un uomo ridotto all’essenziale, ma non privo di
verità e tragedia: «Raccontare, raccontare, raccontare,
per un po’ non ho fatto altro»,
dice di se stesso al ritorno dai
campi, quando scende a Torino dal treno e la madre gli
passa davanti senza riconoscerlo. Commozione e raccapriccio, pietà e schifo: «La
gente mi guarda con un’espressione che non vedrò mai
più». Sono gli occhi bagnati di
lacrime dell’ufficiale americano che entra per primo quel
29 aprile del 1945 a Dachau
nella baracca «accolto dalle
deboli grida di gioia delle larve nude ammucchiate sui
giacigli». Sono il pianto della
telefonista a Milano, quando,
rientrato in Italia, riesce finalmente a comunicare alla famiglia che è vivo.
«Non si raccontano e non si
ascoltano volentieri gli aspetti
della vita quotidiana nei campi. Sono soprattutto storie di
sporcizia, di abbrutimento, di
umiliazioni...». È VArbeit macht frei scritto sul portale
d’ingresso, e praticato con feroce metodicità nazista, per
la distruzione di ogni dignità
umana [Drei Monate, alle kaputt, fra tre mesi tutti morti, è
la lugubre litania ripetuta dagli aguzzini). Ogni cosa era
proibita, persino la più semplice: «Ce lo disse il capoblocco il giorno seguente all’arrivo, in un discorso che era un
tragico e ridicolo elenco di
cose punite con Timpiccagione... Imparammo così che anche cantare era proibito, e
punito con la pena di morte;
io so che se non fosse stato
così molti lo avrebbero fatto
malgrado le condizioni in cui
si viveva, e avrebbe avuto un
valore incalcolabile poter
unire più voci in un coro».
Certo, cantare unisce, cantare
aiuta, cantare «innalza i cuori»: lo sappiamo noi evangelici, che abbiamo fatto del canto corale la nostra preghiera
liturgica. Nell’inferno dei
campi, invece, «ognuno era
un tormento per l’altro, agitandosi, gridando, contendendo il cibo, lo spazio, l’aria.
Si spiavano i moribondi per
approfittare del loro primo
momento di incoscienza e
derubarli del pezzo di pane
che potessero tenere sotto la
testa o fra le mani».
È quella che l’autore giustamente definisce come riduzione in schiavitù, programmatico annientamento
dell’individuo («Una volta
che non vi era nessun lavoro
da fare ci fecero scavare buchi nel terreno che il giorno
dopo dovemmo riempire, e
così via, un giorno dopo l’altro»), è, appunto, l’interrogativo di dolore senza fondo: è
questo un uomo? «Mangiare,
OoU
S
tempio
foto di P.
ttflndOt SI
{itivi
all’aperi'
Il campo di Dachau (foto Roi
sfuggire ai lavori più duri,ii!
pararsi dal freddo, evitare!
percosse, non ammalarsi
questi erano gli unici deslds!
ri, regolarmente frustrati, du
riempivano la mente efe
giornata... La regola era noi
vedere, non soffrire di cibi
accadeva agli altri. Non c’eu
mai respiro in questa discesi
neU’abbrutimento. Più cheli
stragi, questa pianificazioni
della disumanizzazione è|
delitto imperdonabile».
Non vedeva e non sentivi
neanche la gente comune, li
brava gente dei villaggi fi intomo; ecco lo sbarco dei convogli al campo di Flossenbürg: «Coi nostri sacchieli
nostre valige salimmo perla
strada che attraversava!
paese. Si vedevano al di làdd
vetri delle finestre delle tendine e dei fiori. Poca genti
per strada e nessuno che si
voltasse a guardarci, incrociammo poche occhiate fredde e sfuggenti». Resistere, opporsi, denunciare, costa. El
regime annienta o intimiS
sce e ricatta chiunque nolll
adegua. Oppure semplici!
mente gli fa il lavaggio d|
cervello, tecnica in cui i nai
fascisti sono stati bravissii^
Eppure c’è ancora una dif-i
ferenza, tra lo sterminio
ebrei e quello degli altri pà
gionieri, ed è l’assurdità toßfe ;
del primo, che ne fa un unf
cum nella storia d’ogni te^
po, una incommensurabii
dell’orrore non parificabilé||
nient’altro, al di là di ognite;|
visionismo tanto di moda
gi. Lo dice con molta serapf
cità, Sergio Sarri: «Il resistenll
arriva al campo di concentra’
mento da esperienze in cui
aveva già messo in conto ili
poter essere ucciso. Nel canipo l’offende il modo di morire. L’ebreo è offeso prinu
dall’idea di dover morire (p0'
ché proprio lui?) e poi dal dover morire in quel modo». Eli
vittima innocente, è il capra
espiatorio: «Dall’opaca servitù senza speranza in cui sii;
mo stato tenuti siamo usciti
diversi da tutti gli altri, eiansalita verso la luce è un pW'
cesso lento e incerto».
Sergio Sarri è stato poi f
affermato dirigente industnale in Italia e all’estero, ha avuto famiglia e amici, ha cononuato la sua battaglia di uo;
mo e di cittadino, e adesso ci
lascia queste pagine, che pr®'
sentate il 6 giugno a Pala^z
Lascaris a Torino dal Consiglio regionale del
dall’Istituto per la storia deU
Resistenza, dal Comune
Torino, dall’Università e d
Centro studi partigiano aut
nomi (nelle persone rispoo
vomente di Lido Riba, Albe
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Cavaglion, Ugo Perone,
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stone Cottine, Giovanni Gu
stavigna e Silvia Rosa
giornalista) consigliamo a
lettura, soprattutto, delle g
vani generazioni, ip-e-)
(*) Sergio Sarri: La
gli spaghi troppo corti-^
L’Arciere, 1999, pp. 103, £a0
notizie evangeli^
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Vita Delle Chiese
Il 12-13 agosto giornata di gioia per il Centro ecumenico della vai Germanasca
Agape festeggia i suoi 50 anni
Do! 195^ prosegue l'opera, nota a livello internazionale, di confronto e dialogo fra culture
^/[partire dalle montagne di Frali rieccheggia lo slogan «Un altro mondo è possibilie»
PAG. 7 RIFORMA
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M di gruppo- Poi, cammiido, siamo saliti in gruppi, Agape per gli apestorica chiesa
¡erto, trasformata per
[ione in una mostra fo»a sulla storia del Centr^^ande pranzo erano
„,¿86011 circa 250 amici e
iniche di Agape di tutte le
«tà e di molte parti d Italia e
del mondo (Irlanda, Salvador, Svizzera, Germania...):
jj residenti, direttori, cam„olavoristi, staffisti e campila Nel pomeriggio i saluti e il
domo seguente l’assemblea
dedi amici e delle amiche su
come venivano e vengono
jvoMi campi ad Agape. Diapositive, canti collettivi e giochihanno animato le serate.
Sono stati due lunghi e bellissimi giorni, durante i quali
è avvenuto rincontro di nuovi e vecchi amici e amiche
per festeggiare i 50 anni dell’inagurazione del Centro
ecumenico. Agape, nata come scommessa di molti giovani donne e uomini guidati
dal pastore Tullio Vinay per
essere luogo di incontro e diriconciliazione nel nome di
Cristo, si è rivelata ancora
una volta viva, pulsante, capace, di far emozionare evocando l’incontro di un passa
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1.000
Daniela DI Carlo
to e di un presente, che pur
differenziandosi si intrecciano con armonia.
Il 12 agosto è iniziato con
la predicazione della pastora
Daniela Di Carlo, neodirettrice, e della liturgia curata
dal pastore di Frali, Winfrid
Pfannkuche. «L’agape non
verrà mai meno» (I Corinzi
13), la scritta nella chiesa
all’aperto è stata anche parte
dei versetti letti prima del
sermone. E poi «Nell’amore
non c’è paura anzi l’amore
perfetto caccia via la paura...»
(Giovanni 4, 18-19) è stato il
testo commentato nella meditazione. L’amore di Dio ci
toglie dalle paure. Tante paure perché siamo donne e uomini in un mondo pieno di
paure. Paura perché esiste un
posto come Cavite, nelle Filippine, dove le donne sono
costrette a lavorare in zone
franche per 12-14 ore al giorno andando in bagno solo
due volte, subendo controlli
mensili per evitare gravidanze sgradite ai padroni. Donne
che non vedranno mai ciò
che producono, e che noi in
Occidente indossiamo come
marchio famoso. Paura di un
mondo che sta globalizzando
la povertà, perché Cavite non
è purtroppo un caso isolato.
E poi paura di non poter
manifestare pacificamente le
proprie idee, la voglia di un
altro mondo possibile senza
essere picchiati come è successo a chi, non pochi tra i
presenti, era a Genova. Paure
a cui si aggiungono quelle
quotidiane di non sentirsi
amati, della morte, della malattia, e altre ancora. Ma
l’amore, l’agape, può cacciare
le paure: è l’amore di Dio,,
l’amore tra gli uomini e donne, energia che circola con
sguardi, incontri, gesti e parole, quando ci si sente ascoltati, quando si ama per amore.
Al suono delle campane si
è entrati per iniziare a mangiare: a 1.600 metri di altitudine un pranzo a base di pesce di mare: una delle tante
contraddizioni di Agape realizzata con grande sforzo e
passione del campo lavoro.
Agape fu inaugurata cinquant’anni fa: da allora molte
1951: ultimi lavori prima deli’inaugurazione
cose sono cambiate, i temi
dei campi, la gente. Da luogo
di confronto con una altissima componente valdese si è
passati a un luogo con una
composizione molto più mista. Agape è stato luogo di
formazione e discussione di
tanti pastori e pastore e laici
che hanno poi avuto grande
importanza nella Chiesa valdese. Si è molto discusso della tesi di Giorgio Tourn secondo cui «la Chiesa valdese
odierna, nei suoi diversi aspetti, sia positivi sia problematici, può leggersi come il
risultato delle iniziative, dei
dibattiti, del discorso teologico elaborati via via in quel
Centro...». Agape è stata descritta con tante parole da
Toti Rochat, che nel pomeriggio ha parlato al presente e
al passato: «carrefour», confine, piazza. Soprattutto si è
parlato di Agape come confine, come luogo di incrocio,
confronto, incontro. Agape è
stata saluta da persone provenienti da molte parti del
mondo: dal centro irlandese
di Corrymeela, al Consiglio
ecumenico delle chiese, alle
organizzazioni giovanili nazionali e internazionali con le
quali collabora, dal moderatore, dal vescovo di Pinerolo
mons. Debernardi e da molti
altri ancora.
Il giorno seguente l’assemblea degli amici e delle amiche di Agape ha discusso di
Agape come luogo di memoria, ha fatto il punto delle attività svolte dalla sua rivista,
Imagìnaria, e ha affrontato
infine alcune questioni legate
ai campi. Sul campanile lo
striscione «un altro mondo è
possibile», slogan nato a Por
to Aiegre e che unisce la resistenza alla globalizzazione,
ha accompagnato le parole,
gli abbracci che le persone si
sono scambiati per l’occasio
ne. Un altro mondo è possi
bile e Agape ne è, almeno in
parte, la dimostrazione perché in fondo qui si può essere
mondo in modo diverso dal
comune. A volte solo per poco, la durata di un campo, a
volte per qualche anno, per
chi decide di vivere qui... «un
altro mondo è possibile».
H Silvia Rapisarda, nella chiesa valdese di Reggio Calabria
Una consacrazione nel segno bmv
WANttSCO FIUMARA
Domenica 29 luglio nella chiesa valdese di Reg8io Calabria, gremito per
'occasione, ha avuto luogo la
di consacrazione
rii Silvia Rapisarda che per tre
*oni ha svolto il ministero
Pastorale nelle chiese battista
® Valdese nonché nella cosanità filippina della città,
na funzione ricca di emooni per la novità delTevensconosciuto alla maggior
parte dei presenti, poiché la
Diesa valdese usa consacra® 1 pastori durante il Sinodo
»birre Penice,
rolla la presenza dei pastoii,5°bvenuti da varie parti
rii) ■ ^bffaele Volpe, della
n,. . battista di Firenze e
f. »'bente del Collegio pa. tale battista. Bruno GaPai ’ Chiesa valdese di
«ermo e membro della Ta« a valdese, Jens Slelmann,
ji^ ®^biesa valdese di Mesate Rapisarda, pa
j- y»®’ Chiesa batSiracusa. Inoltre hanmessaggi di parteaugurale la sorella
del sovrintendente
*0® circuito delle chiese
valdesi e metodiste, e la sorella Nunziatina Formica,
membro del Comitato esecutivo dell’Ucebi.
Il sermone è stato tenuto
per l’occasione dal pastore
Volpe che ha intrattenuto
l’uditorio sull’importanza e il
significato della consacrazione tramite l’imposizione delle mani da parte della comunità dei credenti. Ampio spazio è stato inoltre dedicato alle testimonianze dei membri
delle comunità presenti che
hanno espresso sentimenti di
affetto, di stima e gratitudine
per Silvia, non prive di nodi
alla gola di commozione poiché la stessa occasione segnava l’addio alle comunità
locali della pastora, già destinata alla comunità battista di
Centocelle a Roma.
La serata si è conclusa gioiosamente con i partecipanti
tutti raccolti in un’agape fraterna. Nei tre anni di servizio
pastorale trascorsi a Reggio
Calabria Silvia Rapisarda ha
conquistato la stima e l’affetto di tutti, perciò la festa per
la consacrazione è stata velata da un’ombra di malinconia per la separazione: la malinconia di una parentesi che
si chiude così come accade
tutte le volte che si subisce il
distacco dalle persone care.
Un’amarezza, questa, lenita
soltanto dalla fiducia nella
continuità di un iter pastorale fruttuoso in altra sede, dove, seppure il campo è diverso, non cambia il seme e la
buona mano che lo spargerà.
Questo è l’augurio che vogliamo rinnovare alla nostra
pastora, da noi tutti amata e
ricordata per la sua connaturata vocazione spirituale, per
la sua bontà e intelligenza e
per la sua predicazione edificante e comunicativa, ricca di
ottimistiche spirituali certezze e perciò oltremodo gratifi
DALLA PRIMA PAGINA
Sfî’.'î-ïi.VNS-'-JîW'
Inquinare è un diritto?
falliniento annunciato, una
Conferenza delle parti dopo
l’altra, dove gli impegni e gli
accorgimenti dovevano servire per dare prova di buona
volontà senza turbare le potenti lobbies dei poteri economici costituiti. Credo che
nei prossimi tempi rimpiangeremo questo minuetto che
almeno alimentava gli sforzi
di dialogo degli amici e delle
amiche dell’ambiente, sia laici che religiosi.
L’ultimo di questi appuntamenti è stato a Bonn contemporaneamente al G8 (16-27 luglio) e da questo compietamente oscurato. Era la Cop 6,
la sesta conferenza delle parti
che interessava i 180 paesi che
hanno firmato la Convenzione
sul clima delle Nazioni Unite.
I termini della discussione ormai da tempo non sono più
tanto la definizione degli
obiettivi-paese per le emissioni di gas di serra, quanto i
«trucchi» con i quali giustificare la sostanziale assenza di
impegni concreti: i cosiddetti
pozzi di anidride carbonica. I
paesi sarebbero ora autorizzati, oltre al commercio di quote
di emissione, a detrarre dalle
loro emissioni il carbonio assorbito dall’agricoltura e dalle
foreste (tra cui le piantagioni
di alberi e quindi il finanziamento di piantagioni commerciali), di cui la prima senza alcun limite. E non necessariamente nel proprio paese
(la chiamano flessibilità geografica), ma per esempio all’Est o nel Sud del mondo. Più
verde invece di meno C02.
La proposta fissa un limite
a quanto un paese può ricorrere a queste attività: i paesi
industrializzati potranno
ascriversi a credito circa 116
milioni di tonnellate di carbonio, un po’ più di quanto
si stava negoziando. Per intendersi, con un alleggerimento per gh Usa delle riduzioni di C02 dal 7% al 2,8% al
2012. Mentre l’uso del commercio delle quote di emissioni non ha limiti. In questo
modo i «pozzi» potrebbero
assommare circa il 70% delle
emissioni che i paesi industrializzati si erano impegnati a ridurre a Kyoto nel 1997
(ridurre le emissioni di gas di
serra del 5,5% rispetto al
1990 entro gli anni 20082012). Questo, mentre già
milioni di persone subiscono
gli effetti dell’aumento della
siccità, la crescita dei deserti,
le alluvioni e l’innalzamento
dei mari. La tragedia ambientale si intreccia con la
giustizia fra i popoli.
La pastora Silvia Rapisarda
cante. 11 futuro impegno di sicuro l’arricchirà di nuove
esperienze e di nuove possibilità di incidere nelle realtà sociali in cui andrà ad operare.
Il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), già presente a
Rio, ha seguito con una sua
Commissione tutto il processo, facendo soprattutto pressione e appello alla responsabilità morale oltre che materiale dell’Occidente, Ue e
Usa, questi ultimi da sempre
resistenti a ogni sottoscrizione di impegno che in qualche
modo limiti la libera iniziativa economica o possa minac-'
ciare gli interessi nazionali. È
evidente la sproporzione fra
gli interessi economici e politici in gioco, legati alla civiltà
delle energie fossili che sa di
avere il tempo contato ma
che intende giocare fino
all’ultimo con le proprie regole, trasformando la biosfera in una discàrica di C02,
imponendo il diritto alle
emissioni (che con la globalizzazione si stanno fra l’altro
trasferendo nel Sud del mondo), difendendo con le armi
oleodotti e gasdotti (la militarizzazione del corridoio 8 nei
Balcani è cronaca). La difesa
e i giganti petroliferi contro la
parola di alcuni pochi, perché ambiguamente l’Occidente è sedotto dalTwAmerican way of fife».
Contemporaneamente alle
trattative per l’approvazione
del protocollo di Kyoto, il G8
del 2000 di Okinawa ha chiesto a un gruppo di lavoro sulle energie rinnovabili di elaborare previsioni e proposte:
al 2010 almeno un miliardo
di persone dovrà usare energie prodotte dal fonti rinnovàbili, esclusa l’idroelettrica
prodotta dalle grandi dighe;
si dovrà attuare una progressiva riduzione dei sussidi ai
combustibili fossili (oggi 15
miliardi di euro nell’Ue contro 1,5 miliardi di investimenti nelle energie rinnovabili), e una selezione degli investimenti a favore di energie
pulite da parte delle agenzie
di credito all’estero.
Per tutte queste ragioni, e
altre ancora, l’impegno delle
chiese locali non può essere
parolaio. Se l’albero si giudica dai frutti, non possono bastare dichiarazioni formali.
La mobilità è responsabile di
circa la metà delle emissioni
di anidride carbonica, e questo è il tema del prossimo
«Tempo del creato» promosso dall’Assemblea ecumenica
di Graz e coordinato a livello
europeo dall’Ecen, la rete
ecumenica europea per l’ambiente di cui anche la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) fa parte.
Antonella Visintin
TELEVISIONE
Protestantesimo
Rubrica televisiva di Raidue, a cura della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, trasmesse
a domeniche alterne e, in replica, il. lunedì seguente alle ore 24,30 circa e alle ore 10 del lunedì successivo.
Domenica 2 settembre, ore 23,50 circa, andrà in onda: «Un
approfondimento di alcune tematiche del Sinodo valdesemetodista»; «Dal Conflitto alla Riconciliazione: il ruolo dei
mass-media »; «Dietrich Bonhoeffer: un teologo nella tempesta degli eventi». La replica sarà trasmessa lunedì 3 settembre
alle ore 24,30 e lunedì 9 settembre alle 10 circa.
La scuola
domenicale
Abbonamento per l’interno ......................l- 35.000
Abbonamento sostenitore per l’interno ..........L. 50.000
Abbonamento per l’estero .......................L- 40.000
6 0 più abbonamenti
allo stesso indirizzo (l’uno)...................L. 30.000
da versare sul c.c.p. n. 18345223 intestato a «Comitato Scuote Domenteati»,
via Porro Lambertenghi 28 - 20159 Mitano
6
PAG. 8 RIFORMA
VITA Delle Chiese
VENERDÌ 31
lAutoesame alla chiesa battista di Casorate Primo
Alla ricerca della nostra identità
Dagli anni della fondazione della comunità, i diversi opporti di fede
hanno costituito un insieme che oro sente il bisogno di stabilizzarsi
BRUNO COIOIIIIBU
Dalla lettura delia breve
storia della comunità
battista di Casorate Primo (U
prossimo anno celebrerà il
20“ anniversario della sua accettazione nell’Ucebi), si evidenzia un impegno incondizionato e un amore appassionato del pastore Carmelo
Inguanti per l’annuncio dell’Evangelo di Gesù Cristo, qui
come in molta parte della
Lombardia: sicuramente tre
comunità battiate sono sorte
anche per merito del lavoro
intenso e della gran quantità
di tempo dedicato da questo
servitore del Signore e da fratelli e sorelle che lo hanno affiancato, entusiasmati dal
suo zelo.
Dai culti tenuti in casa deìla
famiglia Spezzacatena al passaggio al tempio, è stato un
susseguirsi sempre incalzante
di sollecitazioni per realizzare
quanto Inguanti riteneva fosse il progetto iniziale del Signore per questa comunità.
Questo impegno ha comportato anche una crescita numerica, da un piccolo gruppo
agli inizi, circa 40 anni fa, a
una media comunità in crescita, i cui membri sono sparsi in un vasto territorio (due
regioni, Piemonte e Lombardia, e tre province, Alessandria, Pavia e Milano-Brianza).
La comunità è composta di
membri provenienti da almeno quattro realtà ecclesiastiche (Chiesa dei Fratelli, pentecostali, carismatici e battisti), come altre comunità
evangeliche, ma il nucleo
«battista» è minoritario. Questa cpmposizione è uno degli
elementi che ha comportato
la mancanza di un’identità,
poiché non vi è mai stato un
serio e costruttivo confronto
fra queste componenti, scontri molti e anche pesanti. Oltre al confronto è anche
mancata una crescita nello
humus tipicamente battista,
sono mancati gli elementi caratteristici di una chiesa battista italiana. Vi è stata un’addizione di credenti senza uno
specifico punto di aggregazione oltre agli elementi costitutivi della fede; circa la
propria identità ecclesiastica
vi era un vuoto assoluto, e
perciò anche una confusione
teologica che spesso portava
grosse tensioni interne; era
indispensabile trovare una
soluzione definitiva a questi
problemi. Spesso si è sentito
dire questa frase dai membri
di chiesa: «Siamo battisti per
II pastore Carmelo Inguanti
che è scritto all’ingresso del
tempio».
Un anno e mezzo fa il Consiglio di chiesa ha nominato
una commissione per la pianificazione dell’evangelizzazione nel territorio e la ricerca dell’identità della comunità e dell’alveo del protestantesimo italiano nel quale
collocarsi. In questa ricerca
un aiuto è venuto dal pastore
Carmine Bianchi durante i
seminari di evangelizzazione;
da questa carenza (per noi
tale è la mancanza di identità) nasce una serie non secondaria di grossi problemi
interni con conseguenze anche verso l’esterno, come si
può facilmente immaginare.
Trovare o scoprire chi si è, è
come passare da una camera
buia a una illuminata in cui
scopri chi sei, ma vedi anche
tutto ciò che ti sta attorno,
persone e oggetti, e puoi iniziare un processo di rapporti
di nuovo tipo che arricchiscono te e gli altri.
Costruire la propria identità è un processo lungo e
complicato, è anche pieno di
insidie, ma allo stesso tempo
è la scoperta della propria vocazione e missione. Questa
ricerca, con le sue conseguenze, non è un processo
negativo o discriminante,
non è l’esclusione degli altri e
dei diversi. Scoprire chi si è
può significare, anche, scoprire che cosa fare insieme
con altri che possono essere,
anche, diversi da ciò che si è
scoperto di essere.
L'ultimo campo cadetti al Centro comunitario di Adelfia
Riflettere sul superamento della violenii
sul rapporto genitori-figli
ROBERTO AVARELLO
MARCO FORNERONE
D I recente ha avuto luogo
ad Adelfia un campo cadetti molto interessante e per
certi versi un po’ particolare.
I temi erano due; la violenza
e il rapporto genitori-figli;
l’esperienza e la televisione ci
hanno insegnato che i due temi si possono a volte intersecare, come è stato il caso di
Novi Ligure. Mentre ci confrontavamo su questi temi
giungevano le notizie degli
atti di violenza compiuti a
Genova durante l’incontro
dei G8. Un interessante gioco
dei cubi ci ha aiutato a capire
come la ricchezza dei paesi
nord occidentali è per molti
aspetti legata ai bassi costi e
alle briciole che noi versiamo
per acquistare le materie prime da certi paesi del Terzo
Mondo. Le conclusioni di
quel gioco ci hanno fatto e ci
fanno molto riflettere soprattutto in questo momento storico dove si parla molto di
globalizzazione spesso con
una certa confusione. Abbiamo anche discusso sulla legittimità della violenza e sui
suoi fattori scatenanti.
Il «Progetto luglio» per ragazzi al Servizio cristiano di Riesi
La difficile ricomposizione dei conflitti
EllANABRIANTE
A
NCHE quest’anno il Ser
.vizio cristiano ha proposto a bambini e bambine, ragazzi e ragazze di Riesi Formai
tradizionale Progetto luglio.
Accanto alla pluridecennale
presenza del progetto estivo
«Grest», organizzato dai padri
salesiani per varie centinaia di
ragazzi, l’iniziativa del Monte
degli Ulivi ha coinvolto circa
60 persone tra i 4 e i 17 anni. A
essi si sono aggiunti gruppi
giovanili ospitati dal Servizio
cristiano che hanno partecipato al progetto. Gli incontri
si sono svolti nelle mattinate
dei giorni feriali, e sono stati
caratterizzati da attività ludiche, riflessioni tematiche, attività pratiche e gite, e tutto
ciò del tutto gratuito (e senza
la piena certezza che il Comune possa dare un rimborso).
Tema del Progetto nel 2001
è stato «Superiamo il conflitto-Dépassons le conflit!» sulla scia del decennio del Consiglio ecumenico delle chiese
e dell’Onu sulla violenza. La
particolarità di quest’anno è
stato il tocco internazionale e
il coinvolgimento di una fascia di età insolita per il Servizio cristiano. La tematica
comune è stata concretata
nel considerare la violenza
contro la natura, contro l’essere umano, la violenza nei
media, per poi concludere
con il superamento del conflitto e dunque l’abbellimento di alcuni angoli del Servizio cristiano e la costruzione
di giochi e percorsi attrezzati.
A metà Progetto sono state
presentate alla cittadinanza
alcuni risultati tangibili dell’incontro in una serata trascorsa al Parco urbano. L’intero Progetto si è concluso
con una serata conviviale a
cui hanno partecipato genitori dei partecipanti, amici e
amiche della nostra opera,
amministratori locali, membri
della comunità valdese come
pure rappresentanti delle comunità pentecostali e cattoliche. Abbiamo colto l’occasione per invitare tutti i presenti
a firmare la petizione contro
la pena di morte, tema di cui
si erano occupati i partecipanti più grandi del Progetto.
Commissione sinodale per la diaconia
Viaggio di studio in Provenza
I partecipanti potranno visitare alcuni centri della diaconia della
Chiesa riformata di Francia (Erf) della regione della Costa Azzurra, non
solo di diaconia istituzionalizzata ma anche «leggera», promossi anche
con l'Entraide protestante. Al momento sono disponibili 45 posti.
Programma prowìsorìo:
12 ottobre: arrivo a Marsiglia, visita di un servizio diaconale per
bambini e adulti, eventuale visita alla Regione Provence-Alpes, incontro con il presidente del Consiglio economico-sociale (Paca); pernottamento nella regione di Marsiglia.
13 ottobre: visita di 2-3 strutture aperte (non tradizionali) a Marsiglia
e di un Centro per i senzatetto a Vence; pernottamento a Villa-St.-Camille a Théoule-sur-mer.
14 ottobre: programma turistico nella regione di Cannes-St.Raphael; pernottamento a Théoule.
15 ottobre: a scelta visita di una struttura a Nizza oppure programma culturale; partenza.
Per maggiori informazioni, rivolgersi a:
Csd, via Angrogna, 18 -10066 Torre Pellice
tei. 0121-953122 fax 0121-953125
e-mail: csd.diaconia@tpellice.it
La comunità evangelica riformata
di Locarno-Muralto (CH)
è alla ricerca, per la primavera 2002 di
un/a pastore/a titolare
Profilo del candidato
Titolo di studio richiesto: laurea in teologia conseguita in una Facoltà di Teologia in
Svizzera o all'estero riconosciuta dalla Cert (Chiesa evangelica riformata nel Ticino).
Tipo di lavoro richiesto
Nell'ambito della missione pastorale (culti, atti liturgici, studi biblici e istruzione religiosa), una delle priorità dovrebbe certamente essere il lavoro con i giovani della
comunità nell'intento, tra l'altro, di invogliarli a partecipare più attivamente alla vita
della comunità stessa e quindi a ricostituire un gruppo giovanile. Essendo la comunità di Locarno-Muralto costituita in gran parte da persone anziane, sono anche
motto importanti la cura d'anime e le visite a domicilio.
L'incarico comprende inoltre alcune ore di insegnamento nelle scuole statali.
Requisiti richiesti
Madrelingua italiana, o comunque ottima padronanza, la conoscenza del tedesco è
auspicabile e costituisce titolo preferenziale, abitudine, piacere e capacità a lavorare con i giovani; spirito di adattamento, causa l'eterogeneità della nostra comunità;
buona collaborazione con i colleghi e le colleghe delle comunità dei cantoni Ticino,
in particolare dei Sopraceneri (Ascona, Locarno-Monti, Bellinzona).
Un trattamento economico e assicurativo è conforme alle norme della Cert. Un'ampia e bella casa pastorale è a disposizione.
Le candidature, corredate dei documenti necessari, vanno inviate entro il 15 ottobre
2001 a: G. Bogo, via Casteirotto 3,6600 Locamo
Com’è nella dinamica naturale di ogni campo ci sono
stati anche alcuni momenti
di conflittualità. Abbiamo
per così dire avuto la possibilità concreta di mettere in
atto la nostra capacità di risolvere i problemi in modo
nonviolento. È stata una
esperienza molto positiva e
di un valore più proficuo del
semplice scambio di idee.
Grazie alla serenità degli animatori e alla maturità di
molti campisti abbiamo vissuto quei momenti di tensione come una vera e propria
palestra di gestione dei conflitti. Ripensando a quei momenti riteniamo di essere
stati, per certi versi, fortunati. Infatti una cosa è discutere, un’altra è prendere delle
decisioni concrete orientate
evangelicamente sulla base
di eventi vissuti in prima
persona. Adelfia è stata un’
occasione molto bella che ha
fatto crescere solidarietà e
amicizia all’interno del nostro gruppo composto da
piemontesi e siciliani.
La fine del campo ha lasciato un bel gruppo unito
con tanta voglia di rivedersi
e con la speranza di iniziare
un cammino insieme. Gm
Stefano, Davide, AnnaS
Patrik e Michela. Grazie a
che alla nostra cuoca Maij
e a Leo, il nostro campola»)
rista argentino che peròjj,
azzoppato per una distolsi
ne subito dopo l’inizio J
campo. Mentre scrivian
questo articolo leggiamo i
Un giorno una parola
setto del giorno: «Chi amai
suo fratello rimane nellal®
e non c’è nulla in lui che!
faccia inciampare».
Alla Chiesa metoidista di Roma
La comunità piange
l'ispanista Stefano Arata
VALDO BENECCHI
DANDO tornerò
'Vi
«V guardare il mare che,
in un giorno d’estate, sotto ii
battito d’aii dei gabbiani, ha
-voluto per sé la ricchezza dei
tuoi doni, tutta la dolcezza
che è in te salirà per abbracciare il mio cuore». «Quando
andremo a teatro penseremo
a te, visitando la Spagna penseremo a te, leggendo García
Lorca penseremo a te. Perché
tu sei il teatro, la poesia, la
Spagna. Tu cavalchi il tramonto verso la notte stellata,
ma la tua mente geniale resta
con noi, l’opera della tua
mente sublime vivrà con
noi». Questi sono alcuni versi
tratti dalle poesie che i cugini
hanno dedicato a Stefano
Arata in occasione del suo funerale che si è svolto nella
chiesa metodista di Roma.
Questi versi colgono, in parte
almeno, il valore di quella
giovane vita che si è tragicamente conclusa nel mare di
Orbetello.
La tragedia, che ha colpito
in primo luogo i genitori Giovanna e Franco e la sorella
Laura, ha profondamente
coinvolto i parenti, la chiesa,
di cui la famiglia è parte attiva, i colleghi e gli allievi dell’Università La Sapienza nella
quale Stefano insegnava Storia e letteratura spagnola.
Erano presenti anche colleglli e allievi giunti dalla Spagna, avendo egli insegnato
nelle università di Salamanca
e Vittoria. Stefano era un brillante professore molto amato
che, nonostante la giovane
età, quarantadue anni, era
autore di numerose pubblicazioni di valore internazionale, soprattutto per l’originalità della sua ricerca. Un
ampio necrologio intitolato
Stefano Arata, Hispanista italiano è apparso su El Pais a
cura dell’Università di Alcalá.
Il Manifesto, ricordando alcune delle sue opere più significative, ha definito Stefano «un ispanista di razza».
Di fronte alla tragedia di
una giovane vita stroncata
improvvisamente, così ricca
di talento e così amata, ci siamo tutti sentiti preda di un
co
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Ci5iàip‘
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profondo smarrimento. Eii
così evidente nei visi e nejì
sguardi delle centinaia di p»
sone presenti al funerale, li
chiesa, seppure ampia, imi
ha potuto ospitare tutti colo
ro che erano venuti per rivol
gere l’ultimo saluto a Stefaa
Raramente ho fatto l’espe
rienza di un’atmosfera coi
carica di dolore e nello stesi
tempo di riconoscenza p8
aver incontrato nella propii
vita una persona geniale, ep
pure così generosa e umile.
Come consegnare allaft
miglia e a tutti i convenutili
na parola di speranza eli
non fosse superflua, scontati
inutile? Tutti conosciamo ji
interrogativi che in simili à
costanze bussano alla por#
della nostra fede. Il Salmo 121
ci ha suggerito quella p^li
di speranza: «Il Signore ti c«'
stoclirà, quando esci e quait
do entri, ora e sempre». Noi
per un tempo, ma per sempre. Dalla nascita alla rao®
la vita è un cammino ricco!
momenti felici, di occasiof
nelle quali possiamo mette®
a frutto i nostri talenti, laitt
stra intelligenza, possiai»*
amare i nostri cari, possia®*
godere l’amicizia. La vita
anche un cammino che w
essere pieno di inciampi t®
volta irto di difficoltà. Ci som
momenti di luce, ma ancl»
momenti oscuri nei quali
dolore sembra sopraffarci.
La parola di Dio ci ani"®^
eia che questo cammina
avvolto dall’amore di DiO;
amore che non ci trama
mai, che non si concede _
strazioni, che non sfioris^
Un amore che non ci vue,
perdere e che ci custodi .
non solo nel più o meno ,
go frammento della monu
già umana, ma che ci u'a'”’
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lontano
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eia per l’eternità,
che custodisce Stefano
sempre. Noi ci sentiamo
ramente consolati qu® .
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questo annuncio scc»“- j
nostro cuore, nella no _
anima e diventa la nosh
esperienza vivificante.
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via Principe Tommaso,
011-6689804-faxm]
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I¡,|,| 31 ACOSTO 2001
Vita Delle Chiese
PAG. 9 RIFORMA
Id
nz
II campo donne al Centro Menegon di Tramonti di Sopra
Scoprire l'ascolto e il silenzio
lo riflessione su cinque caposaldi a partire dai testi biblici, proposta
dalla Fdei, si è concretizzata nella pratica dell'animazione
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VAL 23 al 28 luglio ha al^to luogo al Centro
J^menico «Menegon» a
^nnti di Sopra un campo
dSe. aperto anche agli uo^ il cui titolo era «Ascolto
¡^nzio». Organizzato dalla
^nsabUe Fdei del TriveSo Anita Braschi, e dal Contato del Centro, il campo è
Tato condotto dalle pastore
Line Vosteen e Anne Zeli.
Ci damo ritrovati in una decina di persone, ma il numelotoceva quasi tutti i giorni per la presenza saltuaria
(li persone che si univano
per una giornata o di evan^lici presenti sul posto per
^vacanze.
D taglio è stato biblico e la
metodologia ha utilizzato
l’esegesi di teologi e teologie, a partire da esperienze
i vita. 11 tema si è articolato
in cinque punti: rumore, silenzio, ascolto, ubbidienza,
pnghiera. Il rumore, attorno
edentro di noi, caratteristica
del tempo in cui viviamo, ci
distrae dall’ascolto di noi
stessi, dell’altro, di Dio. L’episodio biblico di riferimento è stato quello di I Re (19,
1-15), in cui il profeta Elia riceve l’annuncio del piano di
Dio, mediante il tocco dell'angelo e un suono dolce,
sommesso dopo l’uragano, il
terremoto e il fuoco; è come
se Dio facesse capire a Elia
che egli si rivela nel silenzio,
lontano dai luoghi delle contese: soltanto allora Elia ritrova la pace.
Il silenzio ha preso lo spunto dalla vicenda di Giobbe.
Alla sua conclusione Giobbe
cessa di contendere, di ribellarsi, tace e si sottomette.
Giobbe confessa di non avere
capito i disegni di Dio: «...sono cose per me troppo meravigliose». L’ascolto ha avuto
come riferimento il brano di
Atti 16, 11-15; 40. Protagonista è la figlia di Lidia, mercante di porpora. Attiva in
prima persona e con altre
donne nelle «associazioni
professionali», presiede insieme ad altre, secondo un’
esegesi femminista, il culto
nella sinagoga, lungo il fiume. Ha l’orecchio sensibile e
attento; ascolta la predicazione di Paolo; Dio le apre il
cuore; si coiiverte al Cristo e
chiede il battesimo. Da quel
momento la sua casa diventa
un punto di riferimento, una
delle chiese domestiche.
L’ubbidienza è stata studiata attraverso i testi di Genesi
16,1-10 e 21,8-21, in cui Agar,
pur nella difficoltà e nella
contrapposizione delle relazioni con Sara e Abramo, si
inserisce nel piano della promessa divina, rivolta al primo
patriarca; la parola ubbidienza, nelle lingue antiche, è la
stessa dell’ascolto. La misura
dell’obbedienza a Dio è modellata sull’esempio di Gesù,
che ubbidisce fino alla morte;
per questo l’ubbidienza può
essere conflittuale.
Il sabato il campo si è concluso con la preghiera; è stato
preparato un culto con santa
cena, condotto dalle due pastore, a cui quasi ogni partecipante ha collaborato in modo vario e personale. La predicazione è avvenuta sul testo
della preghiera di Anna (I Samuele, cap. 1). In definitiva, i
È mancata a Gorle il 2 agosto
Annamaria Carsaniga
una vita di fede e affetti
È deceduta il 2 agosto scorso Annamaria Visco Gilardi
ved. Carsaniga; era nata a Vedila nel 1905 da Costanza
rascarella e Giuseppe Visco
Guardi. Passò i primi cinque
anni di vita a Londra, apprendendo un inglese infango che non dimenticò mai
Webbe modo di usare e perIpdonare in seguito. Ancora
Ragazza conobbe Arnaldo
Garsaniga, che stava marnando una vocazione religio5pio sposò nel 1928. Ne fu
•ndispensabile collaboratrissiaia* acquando Aldo (come era
irci.
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oto aparenti e amici) svolse
^ intensa e meritoria atti« culturale, sociale e relifp-if Pdma come segretario
j. ^usociazione cristiana
"giovani (Acdg) di Milano
“’^partire dal 1937, come
j sotto prova dell'alloi Missione wesleyana a RaLucania.
VUando Aldo fu pratica
mente confinato in casa da
una condanna sospesa, inflittagli su istigazione del vescovo di Venosa per aver presieduto un culto in quella città,
fu Annamaria a mantenere i
contatti con gli sparsi membri di chiesa. Il successo della
loro missione è misurato dal
numero di discendenti di
quei membri, che ancora ricordano i Carsaniga con affetto. I difficili anni della
guerra furono trascorsi a Napoli, dove l’occupazione angloamericana dette ad Annamaria l’opportunità di usare
l’inglese appreso da bambina, di sviluppare un’intensa
attività di assistenza e di
stringere numerose amicizie.
Le riallacciò quando, dopo
un lungo ministerio a Carrara,
La Spezia, Intra e Padova, si
ritirò con Aldo, pensionato
dal 1968, dal figlio Giovanni in
Inghilterra. Alla morte di Aldo
nel 1985 andò a vivere dalla
nipote vicino a Como, riprendendo contatto con amici in
ogni parte d’Italia. Gli ultimi
quattro anni di vita convisse
con il figlio Giovanni a Sydney, prendendo parte con interesse a conferenze e convegni culturali all’università dove quest’ultimo era professore, facendo gite nei dintorni,
andando a ricevimenti, teatro,
cinema, concerti e manifestazioni diverse, ricevendo visite
di nipoti dall’Italia. Purtroppo
un recente e rapido indebolimento delle facoltà ne rendeva necessario il ricovero alla
casa di riposo Caprotti-Zavaritt a Gorle, dove è subitamente mancata all’affetto della famiglia, (g.c.)
concetti emersi dal campo
non sono altro che la parabola dell’uomo che si pone in
ascolto di Dio e giunge attraverso la confessione della sua
signoria, alla testimonianzaazione nell’ubbidienza.
Campi studio come questo
sono educativi per le donne e
per quanti vogliano servire
nella chiesa. Vi è un’educazione biblica e teologica con
linguaggio piano; vi è un
ascolto degli altri, che è una
elaborazione comune sul
senso della lettura biblica per
la nostra vita, nel nostro tempo; vi è un’educazione Spirituale di cui sentiamo un’esigenza intima, pur avendo
presenti i bisogni concreti di
tanti uomini, vi sono le attività di animazione, piacevoli
e rilassanti. Per quel che riguarda il nostro campo, ne cito una per tutte; la danza meditativa all’interno dell’argomento dell’ascolto. Ci muovevamo in cerchio, spesso
dandoci la mano, facendoci
guidare da una musica lenta e
pacata, i nostri passi dovevano essere commisurati l’uno
all’altro, i nostri gesti dovevano armonizzarsi. Nella sincronia raggiunta ho avuto la
sensazione che una preghiera
collettiva impronunciata si
alzasse al cielo.
Ringraziamo il Signore per
questo campo, per la comunione con lui e tra noi. Ringraziamo le pastore Vosteen
e Zeli, che hanno impiegato
competenza, cura e amore
nella preparazione di questo
incontro e auspico, per l’avvenire, altre occasioni simili
con una partecipazione possibilmente più larga e ricca.
Un «percorso» della Chiesa metodista di Ottaviano
Il sacerdozio universale alla prova
GIOVANNI SARUBBI
E Stata un’occasione per
riflettere sul proprio passato e per pensare al proprio
futuro di comunità cristiana,
quella vissuta domenica 29
luglio dalla Chiesa metodista
di Ottaviano. Il pastore Antonio Squitieri, che da vent’anni guidava la comunità, ha
tenuto il suo ultimo sermone
come pastore della comunità
prima del suo passaggio, già
dal 1° settembre prossimo,
alla guida della Chiesa metodista di Salerno-Albanella.
Molta la commozione che si
è percepita distintamente
nelle parole di Michele Saviano, presidente del Consiglio
di chiesa, e nel sermone del
pastore Squitieri, che ha voluto ricordare le varie tappe
vissute dalla comunità nei
vent’anni del suo ministero
pastorale. A testimonianza
dell’impegno ecumenico a
tutto campo vissuto dalla
Chiesa metodista di Ottaviano, sono giunti alla comunità
e al pastore Squitieri i saluti
dell’arcivescovo di Nola,
mons. Beniamino Depalma,
che così ha scritto; «Grato per
il cammino compiuto insieme a servizio dell’Evangelo
per la gioia di ogni uomo, augurando ogni bene per il suo
foturo, le rinnovo la mia amicizia e cordialità».
L’impegno ecumenico, ha
sottolineato il past. Squitieri
nel suo intervento, ha riguardato innanzitutto il mondo
evangelico, ancora oggi diviso
da questioni fondamentali
come il battesimo. L’ecumenismo in campo evangelico
della comunità di Ottaviano è
stato testimoniato dall’intervento durante il culto del pastore Paolo Poggioli, della
Chiesa luterana di Torre Annunziata che, oltre al saluto
fraterno e agli auguri, ha sot
tolineato come in ambito luterano lo spostamento di un
pastore ad altri incarichi viene vissuto dalla comunità come un momento per mettere
alla prova la propria fedeltà al
Vangelo, per riscoprire le
energie presenti nella comunità, magari messe a riposo
dalla certezza che qualcun altro avrebbe provveduto ai bisogni della chiesa. Un momento cioè per mettere alla
prova la propria adesione al
«sacerdozio universale dei
credenti», che deve vivere in
ognuno che si dica cristiano.
Il nuovo pastore della comunità viene così nominato dopo un anno durante il quale
la comunità cerca di mettersi
alla prova. È quello che il pastore Luca Baratto, nella sua
lettera di saluto e augurio, ha
di fatto prospettato alla chiesa di Ottaviano, quando ha
parlato, per il prossimo anno,
di «chiesa affidata alla cura
del circuito», che si è impegnato a garantire alla comunità culti e studi biblici. Un
saluto alla comunità anche
dal past. Antonio Casarella
della chiesa libera di Avellino.
«Prima che la concordia di
Leuenberg fosse firmata
all’inizio degli Anni 70 - ha
affermato il pastore Squitieri
- qui a Napoli già la praticavamo e abbiamo continuato a
praticarla». Superare, dunque, la frammentazione esasperata che caratterizza ancora oggi il mondo evangelico; riconoscersi cristiani al di
là della propria chiesa di appartenenza, della propria organizzazione terrena nella
quale si mette in pratica il
proprio essere cristiani; riconoscersi per i frutti della propria azione e non per le parole che si proclamano; costruire la chiesa di Cristo e non il
proprio piccolo orticello:
questa è l’eredità che il pastore Squitieri ha voluto lasciare
alla comunità di Ottaviano.
«Ovunque noi siamo - ha
scritto il pastore Baratto nella
sua lettera - qualunque situazione viviamo, quali siano
i nostri problemi Dio è sempre il nostro compagno di
viaggio». Questa è la consapevolezza che la Chiesa metodista di Ottaviano è chiamata ora a sperimentare.
Scuole domenicali di Firenze
Festa insieme
Domenica 16 settembre, a
partire dalle ore 15 e fino alle
18, nel «Giardino del Borgo»,
di proprietà del Comune ma
affidato alla gestione della
cooperativa sociale «G. Barbieri» (Borgo Pinti 76), si terrà
un’iniziativa che si rivolge ai
bambini e ragazzi delle scuole domenicali fiorentine. L’incontro ha le caratteristiche di
una festa, ma risponde alla
necessità di trovare una strategia comune e una collabo
razione fra tutte le chiese
evangeliche fiorentine in un
settore esposto al rischio dello «spopolamento» e della dispersione. Un po’ per la diminuzione oggettiva dei nuovi
nati, un po’ per la concorrenza dell’offerta culturale e
sportiva in città, i corsi coinvolgono sempre meno ragazzi. Per questo, alla ripresa, le
varie chiese (battista, metodista, valdese, luterana) gestiranno i corsi in comune.
Un'iniziativa culturale che ha coinvolto alcune chiese di Roma e del Lazio
Gli «vangelici discutono a Castel Sanf Angelo
SIMONPIEmO MARCHESE
il secondo anno che gli
evangelici romani partecipano all’iniziativa «Invito
alla lettura» giunta a Castel
Sant’Angelo, dia sua XII edizione. L’iniziativa di inizio luglio ha coinvolto alcune chiese (oltre quelle valdesi, anche
quella metodista di via XX
Settembre, quella battista di
via Teatro Valle e Tll° circuito). La grossa novità è stata
rappresentata dalla richiesta
da parte dell’organizzazione
di gestire una settimana di
cultura protestante.
Il primo dibattito ha avuto
come titolo «La Bibbia in Italia, questa sconosciuta»; i
due relatori, il giornalista Filippo Gentiioni e il prof. Daniele Garrone, hanno spiegato quanto sia stato difficile
per questo testo entrare nel
nostro paese e che cosa questo hà comportato a livello di
povertà culturale. Si è illustrata fra l’altro l’attività
dell’associazione «Bibbia cultura scuola» che da anni sta
lavorando per portare la Bibbia come testo di cultura laica nelle scuole italiane. La
stessa serata si è tenuto rincontro dal titolo «Dalla Genesi alla Mongolia», tenuto da
Massimo Zamboni, ex chitarrista dei gruppi Cccp e Csi.
Tra letture e ascolto di brani
musicali abbiamo di nuovo
sperimentato quanto sia fecondo e felice rincontro tra
Bibbia e letteratura. Usando
la metafora del viaggio, con
citazioni da Melville a Fenoglio, lo scrittore ha cercato di
rileggere se stesso e la sua
opera a partire dai racconti
della creazione biblica. Se la
Genesi è frutto di un ritirarsi
di Dio, come afferma un antico midrash, anche l’andare a
ritroso nella memoria può
essere un modo per riscrivere
la propria storia, dandole
nuovi significati.
Nella giornata seguente,
con l’economista Alberto Castagnola e con Giorgio Gardiol abbiamo affrontato l’argomento della globalizzazione dei mercati e dell’impegno per una giustizia economica. Ci si è soffermati su
quale possa essere il ruolo e
la responsabilità delle chiese,
anche partendo da una semplice ma altamente simbolica
revisione dei nostri consumi
o gestione dei bilanci in forma equosolidale.
Mercoledì 4 luglio è stato il
turno di Annemarie Dupré
coordinatrice del Servizio rifugiati e migranti Fcei, che
insieme al direttore di Confronti, Paolo Naso, ha parlato
di pluralità deH’immigrazione in Italia, motivo di conflitti ma soprattutto di ricchezza
culturale e religiosa. Nel corso degli ultimi anni il lavoro
delle chiese su questi temi ha
fornito un’interessante e non
trascurabile contributo alla
elaborazione di questi cambiamenti nella società civile
seguendo l’invito biblico
delTallargare la tenda accogliendo lo straniero e nello
stesso tempo nel rinforzare i
paletti. Il contributo della testimonianza della scrittrice
Giosi Lippolis come emigrata
evangelica, presente tra il
pubblico, ha sottolineato
l’importanza del soffermarci
su questi argomenti perché
appartenenti a una storia
molto recente di molte persone delle nostre comunità.
In una serata dedicata al te
ma del «decennio contro la
violenza» indetto dal Cec, abbiamo pensato di soffermarci
sulle violenze più presenti e
meno denunciate cioè quelle
domestiche; il soggetto donna è stato al centro del dibattito coordinato da Doriana
Giudici e tenuto da Gabriella
Paparazzo (una delle responsabili dell’«Associazione differenza donna» di Roma, centro di aiuto di donne per donne) e dalla pastora Silvia Rapisarda che ci ha ricordato
con estrema chiarezza i termini su cui si fonda l’elaborazione teologica delle donne.
Di interesse specifico e dal
titolo accattivante la serata
successiva «Il male ha una
fantasia illimitata», riflessioni
sul dolore e sull’assenza a
partire dal libro di Luigi Pintor Il nespolo. Il rammarico
per l’assenza dell’autore è
stato colmato da una cospicua e attenta partecipazione
del pubblico e dagli stimolanti interventi di Maria Bonafede. Paolo Ricca e Daniele
Garrone; quest’ultimo ha ribadito quanto sia fondamentale ribaltare la visione «consolatoria» delle Scritture. Citando il profeta Geremia o
l’amato libro di Giobbe (testo
privilegiato da Giaime Pintor,
uno dei figli dell’autore prematuramente scomparso, che
studiò teologia alla Facoltà
valdese), ha evidenziato l’urlo
di protesta, la richiesta rabbiosa di giustizia che dà senso al dialogo tra Dio e l’uomo.
A coronamento della settimana «Vivere la fede tra incontri e conflitti» è stata la
conferenza su «Protestanti e
Risorgimento a Roma: dalla
Repubblica romana a Porta
Pia». A pochi metri dai confi
ni dello Stato Vaticano in un
luogo altamente simbolico,
Giorgio Spini e Giorgio Bouchard hanno parlato di come
dalle visioni collettive di cambiamento della chiesa nel XVI
secolo si sia passati due secoli
dopo alla riforma degli individui e al risveglio personale
delle coscienze dal sonno
delTincredulità. Le tesi antimoderne della curia durante
il XIX secolo portavano ad affermare in tutta Europa che
fosse inevitabile anche per gli
italiani diventare protestanti.
Ma di fronte alla stessa riforma nel cattolicesimo, pochi si
opposero alla reazione pontificia con un ben conosciuto
atteggiamento di scarsa attenzione ai principi per i vantaggi di breve periodo.
Un dato che pub sicuramente farci riflettere sul successo dell’iniziativa è stato la
rilevanza data dai media
all’evento, giornali di grande
tiratura nazionale che solitamente trascurano i nostri comunicati stampa hanno quotidianamente dato informazione delle conferenze e pensiamo che solo questo fatto
insieme alle quasi 500 presenze ai dibattiti ci possa incoraggiare a ripetere e a investire maggiori energie in quest’esperienza anche nelle
prossime edizioni.
8
PAG. 10 RIFORMA
ORATORI CATTOLICI
E SOLDI PUBBLICI
MARCO ROSTAN
Il finanziamento
riguarderà anche
le altre confessioni.
Che cosa faranno
gli evangelici?
Dopo il bonus scolastico, che
comunque privilegerà le famiglie che hanno figli nelle scuole
private, ecco ora profilarsi una
nuova combutta fra lo stato e la
Chiesa cattolica. Con una legge
del 13 giugno 2001 (Riconoscimento della funzione educativa
degli oratori) la Regione Lazio
ha dato atto agli oratori parrocchiali di svolgere una funzione
positiva, di accompagnamento,
di educazione, di prevenzione
del disagio minorile nei confronti di quanti vi accedono.
Qualche «avveduto» ha fatto inserire, accanto alla parrocchia,
anche gli analoghi «istituti degli
altri enti di culto riconosciuti dallo stato».________
La le^e prevede
poi che tra la Regione e le diocesi di Roma (e
altre strutture
corrispondenti
per le altre chiese) si concordino gli indirizzi e
le azioni di tipo
aggregativoeducativo-sociale nei confronti di minori, giovani e adolescenti e che si presentino entro il 30 giugno di
ogni anno i relativi progetti, che
una commissione regionale li
valuti e provveda ai relativi finanziamenti di quelli accettati.
Da parte della Regione Piemonte è stato presentato un
analogo disegno di legge, che
tuttavia non conteneva alcun riferimento alle altre chiese. Per
questo motivo la Comunità
montana vai Pollice (cfr. L’eco
delle valli n. 28 del 13 luglio), in
quanto «espressione di una terra multiconfessionale», ha presentato le sue osservazioni in
Regione: siamo certi che tutti gli
oratori, per loro natura, svolgano una fimzione positiva? la legge è compatibile con la laicità
dello stato? occorre in ogni caso
dare lo stesso riconoscimento
alle altre confessioni riconosciute dallo stato. La Comunità
montana ha fatto il suo dovere.
Ma che cosa fanno e faranno i
valdesi e i metodisti? Si daranno
da fare perché le Regioni, oltre
agli oratori finanzino anche
progetti e campi giovanili dei
nostri centri? Protesteranno
contro il consueto connubio Stato-Chiesa cattolica e contro la
mentalità dominante nei governi di destra e di sinistra, secondo cui estendendo alle chiese
non cattoliche ciò che era privilegio della chiesa maggioritaria
si diventa laici e pluralisti?
11 problema è molto compli
in mezzo sempre di più, perché
la tendenza che avanza è di far
gestire lo stato sociale ai privati,
in primis alle chiese perché lo
sanno fare e costano di meno. 11
che è indubitabilmente vero in
molti casi; è meglio uno staff di
un campo cadetti dei nostri
Centri die degli operatori messi
insieme casualmente da un ente
pubblico per organizzare Estate
ragazzi o cose simili. Resta il
fatto che lo stato laico non deve
né imporre una sua particolare
concezione della vita, di ciò che
è bene, di ciò che educa o diseduca, né indirizzare verso nessun ente, religioso o meno; lo
stato deve invece garantire la li_______ bera espressione
e attività di tutte
le concezioni del
«bene», siano esse rivolte ai giovani, alle scuole,
agli anziani, ai
malati presenti
sul territorio, lina consulta regionale che discute, si confronta, progetta iniziative per i giovani, a cui partecipano rappresentanti di vari
enti, religiosi e non, che svolgono attività verso i giovani, può
essere utile. Va bene anche poter presentare progetti e disporre ¿ contributi finanziari
Non va bene essere costretti
in un dilemma di questo genere:
se faccio una battila laica perché l’ente pubblico si comporti
come è suo dovere, mi precludo
la possibilità di partecipare e di
avere finanziamenti; diversamente non ho diritti per conto
mio ma solo in quanto, per l’ente pubblico, sono assimilabile al
cattolico. Ma la mia chiesa non è
una parrocchia e i centri di Agape e di Ecumene, o il Villaggio
della gioventù di Santa Severa
non sono oratori. Forse che le
Intese sono diventate unicamente il pass per accedere ai finanziamenti previsti per la
Chiesa cattolica? Se a questi finanziamenti abbiamo diritto,
insieme ad altri, per le attività
che svolgiamo, vogliamo accettare i soldi che ci spettano, ma
non vogliamo che si svenda lo
stato sociale né la scuola pubblica (e non tolleriamo che da parte cattolica le scuole private
vengano chiamate «libere», perché crediamo ancora che la capacità di decidere e di assumere
responsabilità si formi nel pluralismo e nel confronto delle
idee, che soltanto la scuola pubblica assicura), né che la salute
della gente sia gestita da privati
cato, e noi ci siamo e ci saremo con il solito bonus alle famiglie.
Riforma
L Eœ Delle Wjxi '
REDAZIONE CENTRALE TORINO:
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Il numero 32 del 24 agosto 2001 è stato spedito dall'Ufficio CMP
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2001
Auocieto albi
Unione stampa
periodica itaiiana
Commenti
VENERDÌ 31
M Due interventi sulla viceniJa del culto battesimale nella chiesa di Gioia del Colle
La voce della comunità interessata
Cara Elisa Baglieri,
rispondiamo alla tua lettera
pubblicata su Riforma del 13
luglio dal titolo «Dove vanno
le chiese battiste di Puglia e
Basilicata?» facendo una premessa.
Gli ottimi rapporti che intercorrono tra rUcebi e la
missione battista inglese
(Bms), hanno fatto sì che anche in Puglia ci fosse un progetto di evangelizzazione curato dalle chiese battiste locali e da questa antica missione inglese, che ha dato
tanto negli anni passati e sta
dando tanto anche oggi. La
Chiesa battista di Gioia del
Colle, prendendo atto di questo progetto, è stata una delle
prime comunità battiste della
Puglia che si è avvalsa dei doni di questi missionari: qui in
Puglia opera in particolare il
missionario scozzese David
Mac Parlane, pastore della
chiesa di Barletta, con sua
moglie Ann.
Il 2 giugno la comunità di
Gioia del Colle ancora una
volta ha beneficiato della collaborazione di questo missionario, ma questa volta per
una cerimonia battesimale.
Infatti è stata una giornata
particolare, unica, e spiritualmente ricca e intensa. Come
chiesa siamo felici di sperimentare nuovi modelli di liturgia e nuove forme di spiritualità. Siamo orgogliosamente battisti, e come battisti
riteniamo fermamente che
predicare l’Evangelo all’esterno è sempre priorità della vita
della chiesa. Certamente i
tempi sono cambiati e grazie
a Dio è cambiata anche la nostra comunità. Noi andiamo
avanti, non vogliamo rimanere fermi nel tempo a 20 anni
fa; oggi non ci sono più i
compagni del Pd, (che hanno
cancellato la loro identità) e
non ci sono più i cattolici di
base, a cui tu fai riferimento
nella tua lettera, ma noi battisti sì, siamo ancora qui.
Grazie alla presenza, per
un periodo di tempo, di alcune famiglie battiste inglesi
nella nostra comunità, ci siamo un po’ trasformati nello
spirito: non ci vergogniamo
di dirlo e di testimoniarlo,
per noi questa esperienza è
stata arricchente. Abbiamo
però anche noi trasmesso loro il nostro modo di essere
battisti. Hanno convissuto
(volutamente) due tradizioni
di fede diverse, accettando le
spiritualità e i doni dell’una e
dell’altra. Crediamo che questa sarà la nuova realtà delle
nostre comunità, non possiamo sfuggire; e là dove ci saranno nuclei familiari con
tradizioni di fede diversa dalla nostra o ^ppi di stranieri,
o missionari, non ci sarà altro
La lettera di questa domenica ci è stata inviata da
un ascoltatore della provincia di Udine che, prendendo
spunto da una nostra trasmissione, scrive: «Questa
mattina avete giustamente
parlato del fatto che non può
esserci distinzione tra ministri di culto e fedeli, ma che
esistono soltanto degli individui in cerca di Dio, siano essi
sacerdoti o pastori o semplici
laici. Ma allora perché deve
esistere una chiesa e non ci
viene invece spiegato che siamo tutti figli di Dio, ognuno
in rapporto come di unigenito con il Padre e che non può
esserci un posto prestabilito
ove incontrarsi con Dio?».
Perché deve esistere una
chiesa? È una domanda impegnativa e non credo di poter dare in una breve nota come questa una risposta soddisfacente. Mi sento semplicemente di indicare tre punti
di riflessione. Il primo riprende la definizione classica che
che un arricchimento nelle
nostre chiese. L’importante è
saper conciliare tutti gli
aspetti positivi di nuove forme di liturgia e nuove spiritualità: dalla lettura della
Bibbia, alla preghiera, ai canti. Cara Elisa, la testimonianza evangelica non deve essere necessariamente e unicameiite vissuta con i compagni del Pei, o con i cattolici di
base, o con i compagni di lotta, ma deve anche essere accompagnata dall’annuncio
dell’Evangelo a ogni creatura,
che faccia appello alle coscienze per la conversione a
nuova vita. L’articolo che hai
scritto sui battesimi del 2 giugno a Gioia del Colle, fa intendere chiaramente che non
conosci la realtà della Chiesa
battista di Gioia del Colle, e
abbiamo l’impressione che
l’articolo abbondi di pregiudizi e di contraddizioni. Ci ha
meravigliato molto quando
sostieni che le testimonianze
di fede di quelle ragazze sono
«un crearsi un oasi, un mondo a parte...» e vorremmo
meglio afferrare perché la
frase «Dio mi ama e mi ha
salvato», sia da te considerata
un messaggio che'non libera.
Cara Elisa, tu conosci bene
la tua cuginetta, Alessandra
Arcidiacono, (così dici nell’
articolo), hai vissuto direttamente il dolore di questa giovane prima di giungere al
battesimo, per la perdita recentissima della sua cara
mamma, e la sua testimonianza di fede è sufficiente
per comprendere il percorso
di fede di questa ragazza, del
suo travaglio e della sua forza
interiore. Questo avrebbe dovuto farti comprendere che il
messaggio evangelico non è
rimasto chiuso nel nostro
cuore e che Dio non è l’ombrello che ci protegge da ogni
male. Ci dispiace molto che
tu questo non l’abbia percepito e ci meraviglia. Probabil
mente la nuova forma d'
turgia, dagli strumenti a,,
cali alla lode, ai canti, aìT
ti ha impedito una pien,^
tecipazione. Tutto qu,, U
crediamo abbia influito
negativamente e abbia (,
delimitare il tuo cuore e ¡L
lare le tue orecchie. Ci di»
ce che tu non ti sia - •
sentii
tuo agio e che l’aria che,All
spiravi nella nostra cona»
ti abbia piuttosto preoS
ta e tu non abbia cosipoj |f.edls<
gioire di queste testimoni ®! Lani
ze di tede. Ci dlspl,»'!
non risia lasciata coinvol. Senzial
dalle emozioni e dal pere; Jeimer
di fede che queste raga,Siiede
hanno condiviso con tua Sa infa
presenti (150 circa) ec| ¿àfinda
quel glorilo non hai pem,, |trutturat
so allo Spirito di ingrandii peption
tuo cuore per gioire insiej hapermes
a tutti noi. ¿„ne al p
Con affetto stanz® pte
Chiesa evangelica bati^ j^Jaheinie
di Gioia deiGl „¡„nte po
atilizzate
Occorre saper rinunciare a se stessi
L’articolo di Elisa Baglieri
comparso su Riforma del 13
luglio mi ha sollecitato a scrivere alcune considerazioni.
L’interrogativo con il quale
Baglieri conclude la sua riflessione («Non basta dire
credo in Dio, che cosa faccio
perché non ci sia divisione,
mancanza di amore, fame,
ingiustizia, povertà?») mi ha
sempre assillato e credo che
non se ne esca facilmente
perché a guardar bene non si
fa mai abbastanza.. Mi ricordo di una volta in cui ho fatto
di tutto per far togliere una
famiglia «problematica» da
un tugurio alla periferia della
città. Pochi mesi dopo aver
ottenuto dal Comune (non
senza traversie e lungaggini
burocratiche) un alloggio
confortevole e dignitoso, è
successo di tutto. 1 due conviventi, che nel frattempo si
erano sposati, si sono separati e i bambini sono ¿tati dati
in affidamento perché erano
successi fatti gravi.
Non rimpiango quello che
ho fatto per loro e lo rifarei,
però so di avere lottato, sperato e parlato della mia fede
spinta quasi solo da un senso
del dovere e soprattutto nella
solitudine. Mancava una comunità accogliente dove poter vivere quella vita nuova e
rinnovata che tanto predichiamo noi credenti. La domanda di Elisa Baglieri mi
spingerebbe quasi involontariamente a fare un elenco
delle «buone opere» o azioni
di giustizia che so di aver
compiuto e anche quelle che
dovrei fare e non faccio.
L’esperienza in Gran Bretagna (di cui ho già raccontato
dalle pagine di questo giornale) con il movimento denominato Jesus Fellowship,
di origini battiste, mi ha dato
l’opportunità di tornare a vedere le cose in maniera fresca, viva e anche di superare i
pregiudizi verso chi esprime
la propria fede in maniera
più emozionale.
Dove ci sono tantissimi
giovani, le batterie, le chitarre, la musica a tutto volume,
dove si alzano le mani quando si prega, dove c’è una spiritualità'profonda, personale '
di tipo carismatico, dove
però c’è anche molto di più:
la condivisione dei beni (Atti
2 messo in pratica), l’impegno concreto per i senzatetto, dove si condivide la fede
in Gesù, ma anche la vita
quotidiana in una comunità
che ti ama, ti accoglie, ti offre
un lavoro, dove la vita interiore è risanata, dove c’è il recupero della integrità e della
dignità fisica, sociale e spirituale. Senza false idealizzazioni, ho visto gente mettere
in gioco la propria vita, perderla per ritrovarla insieme
agli altri, vivere e non predicare solamente i segni anticipatori del regno di Dio. Se solo potessi e,volessi vivere la
fede in questo modo... ma
per arrivare a quel punto è
necessario, come dice l’Evangelo, rinunciare a se stessi; ed
è proprio questa la cosa più
difficile, incomprensibile e
inaccettabile per noi donne e
uomini del 21“ secolo.
Chi può dare la sua vita? O
mi
poi il Rifui
, . . torto ha u
almeno incominciare? So (,)ie,Secoi
chi ha ricomposto il prop sub
sé autentico. Si parte comi „
que e sempre da se stei
Non è questione di intiii'jBBbientai
smo: osserviamoci, guani sttattura.
mo la nostra interiorità die tore arriv
malata, è pervasa di egoism rienza di (
di sensi di colpa, di autoeoi lare aìl’ist
miserazione, di orgoglio, giyarittdi
autosufficienza, di ferite pii bardia di
cologiche. chiamato
Per dare o fare qualcosa! stmttura ]
altri o per altri è necessaii iitempo,
averla trovata prima peni compito s
stessi, essere stati risanati,I care di c
berati. Come faccio a intetei nuovo tipc
sarmi del prossimo, dellagii tema. «Soi
stizia se non ho capitolai» rigere il !
rità su me stessa, se non sol Giordani stata e non sono continui mento me
mente liberata dall’egoisij causa di p
che mi abita? Per anniioi dstrattura
sono data da fare o ho crei) delle pros]
to di darmi da fare peri reilnuot
donne oppresse, per poi*
corgermi che ero anch’iol
donna piegata e curvata c I
Gesù ha ridato dignità e sii
vezza! Se io non sono, ni
divento, ciò che predico,! jclf ij
che credo, io non sono niei
e non servo a niente (1 Golii
zi 13). Non è facile: infat »noni
non è qualcosa che possol
re IO, ma e 1 opera eiu Gì
me se gli permetto dicci
pierla. Allora posso esse iflkgiom
davvero suo strumento quai mi carici
do, come e dove lui vorrà se hn, al M
virsi di me; allora le operes hcca Bia
gulranno. Rimarrò cònsap
vole dei miei limiti, della 0
fragilità, bisognosa cornes
no anch’io della grazia di t
e anche questo sarà molto»
rapeutlco. rtgusfo:
Lidia Giorgi-Ro4
fiavamo
tiUiO
Pere! la chiesa?
LUCA BARAHO
se cristiane, ognuna coni
propria precisa
alcune verticistiche e gc® , • f
chizzate, altre che si affid^ snfjp^
a strutture più democratici . m
a organismi elettivi e asse ¿nies
bleari. Questa strutture p gf del
sono essere vissute da n
come oppressive o tarrag» .
se e in alcuni casi si può
vare al punto che l’istit^J H
la Riforma protestante ha dato della chiesa, e cioè che la
chiesa è là dove l’Evangelo
viene predicato. È l’Evangelo
stesso che porta all’esistenza
la chiesa: ovunque esso è
predicato e ovunque (all’angolo di una via, in una casa,
in uno scompartimento ferroviario, in presenza o in assenza di sacerdoti e pastori)
ovunque uomini e donne si
sentano interpellati da questa Parola, lì c’è la chiesa.
In secondo luogo, parafrasando un famoso letterato inglese, noi siamo chiesa per
non essere soli. Il cristianesi
mo non è una religione della
solitudine, ma della condivisione vissuta tra fratelli e sorelle e testimoniata nel mondo. Se la chiesa nasce dall’annuncio e dall’ascolto, questo
implica un incontro tra persone che si mettono insieme
per sostenersi a vicenda, per
crescere nella fede e per condividere gioie e dolori e per
sostenere progetti comuni.
Certo, e questo è il terzo
punto, nell’esperienza di ogni
cristiano la chiesa non è solo
annuncio, ascolto e condivisione, ma anche istituzione,
struttura. Vi sono molte chie
rischia di coprire >> i?.!fj|Gianni'(
gio, cioè l’Evangelo. Tu^lhotto av
anche questa djmens ^ a
importante perché ci rie ^
che le chiese non sono P ta,ia,u
entità spirituali ma sono p„ '
realtà storiche, terrene. “
inserite nella
iiiociiic ijciici
conflittuale realtà deli
ragaj
vei
agosto
coniiiuuaie ican“ -- „j.
stenza umana. In qriesW^^ bgj
so, darsi una struttura opP ^ ^
un’altra significa ^are j
una precisa immagine ^ero si
e dell’Evangelo di cui . JiUolaa
credente non può che •%(,
-abil«'
consapevole e responsa
(Rubrica «Parliarnoni
me» della trasmissione^ L'OaRe
I.» r »--
evangelico» del 26 agostoj
Mi
Tron, 1
9
Delle "\^lli \àldesi :
PAG. 13 RIFORMA
Intervista al nuovo direttore, Secondo Giordani
fjovità al «Carlo Alberto»
f^fnjìportonzo della solidarietà Intorno all'istituto, alle prese
l'avvio del Centro residenziale per malati di Alzheimer
BWiptR0SS0_
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Jitoii’
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Uhr
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sì poi)
lei
" 'sf/, nNO praticampte fi-idia CS lavori alla vecsentatJ” jscina del Rifugio
mio Alberto di Luser^ Giovanni che con
jrobabilità entro il
^ di settembre permetteranno di rendere
‘®cet ^tivo il nuovo centro
Senziale per malati di
per«, Meimer. La ristrutturagat Jone della vecchia ca>ntutj dna infatti, che ospita
a)er1Sfinda ora i locali ri
. Era medico a Pomaretto
Giancarlo Baret
ci ha lasciati
FRANCA COISSON*
Perm Otturati della nuova
randii, Rception e degli uffici,
insieii ha permesso la realizzatone al primo piano di
stanze preparate appositamente per i malati di
¿heimer che ovviadelQfjiente possono essere
utilizzate anche da altre
re? Sol
Ipropl
i contili
e stesi
i intai
guardi}
Dall’inizio dell’anno
poi il Rifugio re Carlo Alterto ha un nuovo direttore. Secondo Giordani è
infetti subentrato a gennaio al dimissionario Elio
0 e si è subito
tuabientato nella nuova
strattura. Il nuovo diretitàclis tore arriva da un’espeegoismi rienza di direzione simiutocoi lare all’istituto CaprottiogliOii Zivaritt di Gode in Lomiritepi bardia dove era stato
chiamato a dirigere la
licosa! struttura per un periodo
cessali di tempo ^imitato con il
a pera compito specifico di cerianati,l care di delineare una
i intera nuovo tipo di gestione iniella ^ tema. «Sono arrivato a diito law rigere il Rifugio - dice
lonsoa ffiordani - forse nel mointinai mento meno favorevole a
egoisti causa di grandi opere di
iniioi listrutturazione in corso,
0 creè delle prospettiva di awiae peri re il nuovo Centro resi
denziale Alzheimer: una
nuova impegnativa attività, ma posso affermare
che sono molte le persone che amano il Rifogio e
sono disponibili ad aiutarlo e ad aiutare anche il
direttore. Queste dimostrazioni di affetto mi sono state di grande stimolo e di coinvolgimento;
così che ora mi sento parte integrale dell’organizzazione».
Quali sono gli obiettivi
che ora si pone? «Il mio
compito è cii coordinare il
lavoro dei vari operatori continua Giordani - ma
anche quello di consolidare in maniera definitiva
la struttura dal punto di
vista organizzativo. In
quest’ottica stiamo puntando in questi mesi sulla
formazione specifica dei
coordinatori per esempio, e questo lo stiamo facendo in collaborazione
anche con l’Asilo di San
Giovanni all’insegna di
una possibile collaborazione che potrebbe svilupparsi maggiormente
in futuro».
Una gestione all’insegna di una maggiore
strutturazione dell’effi
cienza quindi quella del
nuovo corso del Rifugio
ma quali sono i sogni nel
cassetto del nuovo direttore? «Mi piacerebbe avviare un progetto che incrementi la specializzazione delia nostra struttura magari attivando nel
padiglione Arnaud un reparto di accoglienza per
lungodegenti in collaborazione con gli ospedali
valdesi. Ma per ora sono
solo progetti; quello che
c’è di certo è la prossima
operatività del nuovo
centro residenziale per
Alzheimer che finiti gli
ultimi ritocchi dovrebbe
a breve avere il via libera
della commissione di vigilanza dell’AsI 10, che
peraltro che ha già annunciato di non voler
convenzionare i posti disponibili per cui questi
saranno o a disposizione
in maniera privata o come degenza normale. La
scelta è quella per ora di
utilizzare la struttura anche come centro formativo e a disposizione delle persone che attualmente già frequentano il
nostro centro diurno per
malati di Alzheimer».
Giancarlo Baret d
ha lasciati e tutti nè
siamo profondamente
addolorati; ci stringiamo
intorno alla sua famiglia
così duramente provata
e desideriamo dirle tutta
la nostra simpatia e la
nostra partecipazione al
suo dolore. Molti colleghi e amici sono stati accanto a lui in questi mesi
di malattia e gii hanno
testimoniato la loro stima e il loro affetto e molti saranno vicini alla famiglia per sorreggerla
nel riprendere la sua vita,
le sue abitudini, le sue
attività, senza di lui.
Il vuoto che Giancarlo
lascia è grande per tutti e
in particolare per l’ospedale di Pomaretto, dove
ha trascorso tutta la sua
vita in attività lavorativa,
intessendo rapporti umani solidi e duraturi. L’apporto che egli ha dato ¿h’
ospedale è notevole per
la sua professionalità, per
la sua capacità di apprendere metodiche e tecniche nuove, per la sua
analisi equilibrata della
situazione, per la sua disponibilità al cambiamento e per la sua fiduciosa visione dei futuro.
Giancarlo Baret ha amato il nostro ospedale, i
suoi collaboratori, ì suoi
pazienti. Ha dimostrato
di avere vivo il senso di
appartenenza a questo
territorio, che non ha mai
lasciato, perché era il
suo, quello in cui aveva
scelto di vivere e lavorare. Il suo carattere, la sua
serenità, il suo equilibrio
erano apprezzati e riconosciuti dai suoi colleghi
e dal personale tutto, per
i quali costituiva un punto dì riferimento.
Tutto questo consentiva un’atmosfera di solidarietà, uno spirito di
gruppo, pur nella diversità di opinioni e di valutazione delle cose. Lavorare insieme, uscire insieme, anche al di là delle mura dell’ospedale, ha
facilitato per quanti raggiungevano Pomaretto
da luoghi spesso molto
lontani, la permanenza
presso il nostro ospedale
e questo grazie a persone come Giancarlo Baret, che sapevano aggregare il gruppo.
Medico con molte qualità e grosse potenzialità,
era stato individuato dai
suoi colleghi come persona idonea a ricoprire funzioni direttive, anche per
la sua capacità di cercare
soluzioni concrete ai problemi emergenti; ma
pensare a far carriera non
era nei suoi obiettivi, tessere rapporti umani solidali e costruttivi, sì.
Giancarlo Baret ci ha
lasciati all’età di 42 anni,
dopo 4 mesi e mezzo di
lotta per sopravvivere
all’improvvisa malattia
che l’aveva colpito. Pensiamo alla sua mamma,
alla sua compagna, ai
suoi bambini di 6 e 3 anni, ai suoi fratelli e a tutti
i suoi familiari. Nella certezza di interpretare il
pensiero riconoscente di
quanti hanno conosciuto
e apprezzato Giancarlo,
ringraziamo il Signore
che ci ha concesso di fare
un tratto dei nostro viaggio terreno con lui, troppo breve, è vero, ma intenso e significativo, che
non dimenticheremo.
* presidente Ciov
NELLE CHIESE VALDESI
ANGROGNA — Domenica 2 settembre, a Buonanotte, dalle 15, presso la Scuola Beckwith e dintorni, pomeriggio comunitario, conversazione
del past. Giuseppe Platone sui lavori del Sinodo.
MANIGLIA— Domenica 2 settembre, culto alle 10.
TORRE PELLICE — Domenica 2 settembre, culto di
commiato del pastore Bruno Rostagno; nell’ambito del «tempio aperto», alle 17, il dott. Gianni
Fornari, primario all’ospedale valdese di Torino
parlerà su; «Eutanasia, un problema aperto per
credenti e non solo...».
VILLAR PELLICE — Domenica 2 settembre, alle
14,30, riunione quartierale all’Inverso.
VILLASECCA — Incontro all’Eiciassle, domenica 2
settembre, alle 15, insieme alia chiesa di Poma, retto. Domenica 2 settembre, alle 9, culto a
Combagarino.
Collegio valdese, 7 settembre
Inaugurazione
con i musicisti
L’inaugurazione del
nuovo anno scolastico
2001-2002 al Collegio
valdese di Torre Pellice
avverrà il 7 settembre,
alle 15,30, come di consueto nell’aula sinodale,
dove si ritroveranno studenti, ospiti, il comitato,
genitori e amici. La vera
novità, nella quale il comitato del Collegio ha
voluto credere nonostante la sua originalità
rispetto alla tradizione
sin qui vissuta che ha visto tra gli oratori della
prolusione inaugurale
politici, fisici e scienziati,
scrittori, è che a presenziare alla prolusione
questa volta ci saranno
due rappresentanti di
una delie band musicali
attualmente più popolari
tra i giovani; gli «Africa
Unite». I musicisti Vitale
Bunino «Bunna» e Francesco Caudullo «Madaski», fondatori del gruppo, racconteranno ai
giovani della loro espe
rienza professionale e
umana. Il messaggio che
i musicisti, entrambi
provenienti dal mondo
della scuola, vuole essere
quello di chi racconta
come sia possibile diventare star musicali, partecipare a tournée e manifestazioni importanti, incidere brani di grande
successo, partendo dalla
provincia, da Pinerolo
nel caso degli «Africa
Unite», rimanendo comunque legati al proprio
territorio e alle proprie
origini. Ma l'intervento
dei musicisti ha anche
un valore importante
proprio perché va incontro ai gusti e agli interessi del pubblico che li
ascolterà parlare e non
cantare per una volta,
cioè i giovani del liceo di
Torre Pellice, quel centinaio di studenti e studentesse che inizieranno
le lezioni il prossimo 3
settembre, in anticipo rispetto alle altre scuole.
pBE'' Dai recenti libri di Ettore Serafino e Gino Rostan nascono nuovi stimoli per la memoria storica
Ricordi partigiani tra Ghinivert e Barifreddo
ich’io
vata
ità e
no, n
dico,
ionie»
:i Cori!
; infai tiumerosi i ricordi partigiani
lossof Vti alle nostre montagne, ai colli, ai
li Dio i ® * ^^f^Bnti libri di Ettore Serafidi COI) ^ Rostan fanno venire vo
,, ^Mpercorrere, in una di queste
1 es mie giornate estive, alcuni degli itinetoqmmi carichi di memoria: dal Col Giual Mayt, al Colle di Rodoretto, a
orrài
iperes ^a Bianca-Lausun-Pramollo. Coonsapj stimolo alla lettura di queste melella III e invito a mettersi gli scarponi e
ome S proponiamo alcuni brani dal
iadiD Gino Rostan* scritto nell'ago
iì agosto: Balziglia
_j?oa^^8*omo precedente avevamo an™radel formaggio, ma quel giorno
“ivamo privi di tutto. Quando vidi
. siciliani, nostri compa
a con* avventura, che stavano masti
inon"* mi chiesi cosa mai avessero
e gof®* Li seguii e scoprii che rac
affid^ j^^^ano cardi selvatici e, tolte le
aratici* Pae, mangiavano il ricettacolo
! asse® "gestibile e grosso come la
l’Ì atii-iv- pollice. A quella scoperta
la ^iodi da fare. (...) Salim
lo fi“,, l®ilo della Balziglia e quel- tlfugio per alcuni
< àli'ii'- Castello era composto da
a®®**? Gi»i,*''7®Lbricatl; con Enrico e
rutta'® te m Gay, Guido Baret e Aldo
lirln^° apvamo trovato riparo nel
rie®' ^ D- Come al solito non avevo
Si tala k ”®®ogiare, trovai una patau Po rii* k la mangiai cruda, done, etano-57”^"8iai
natie®:
iell’®*'’
:St0
se®
^veramente cattive (...).
I opP“** ® Massello e mi
nrii®®? Itova, ® CDttipolasalza; lì speravo di
e diP“* signora Laura Tron, da
:ui % Scuola pensione durante la
e esse® a Pinerolo, che nel periodo
sabii® auj.,^. i''® a Massello, oppure
^'®ol, originaria di Camplapartigiana. (...) Arrife'rf.^®y'}aud trovai il signor Vitat mi diede un pezzo di pane
nero durissimo, aveva delle venature verdi di muffa. Posato il pane sul
muretto davanti a casa cercai di
scheggiarlo con una pietra; le briciole non andarono perse. Ritornai
al Castello e appena giunto vidi Enrico salire e gesticolare esibendo
come in trofeo una sigaretta. Era arrivata Viola e, oltre alle sigarette,
aveva portato ad Enrico una somma
di denaro per la banda (...).
19 agosto
Alle bergerie del Ghinivert si fermarono in nove; i comandanti Enrico e
Gianni Gay, Dario Caffer, Guido Rostagno, e gli addetti alla cucina Bernardo Argenta, Oreste Bruno, Renzo
Santino, Bruno Perrot, Ernesto Sina
(Tino). Stavano cucinando la pecora
che poi avrebbero portato al colle. Io
ero l’ultimo della colonna che saliva
al colle (...) guardai a valle e vidi, in
mezzo a sbuffi di nebbia, degli uomini che correvano verso le bergerie. Erano giunti lì protetti dalla nebbia, Seguirono colpi di mortai e raffiche di armi automatiche. Luigi Gariglio, in possesso di un mitragliatore,
intendeva sparare a sua volta, ma
l’uomo con la cassetta delle munizioni era già avanti verso il colle.
Forse fu un bene perché se dalle
bergerie ci avessero scoperti nel canalone, molto ripido, che portava al
colle, non ci avrebbero concesso
scampo. (...) Poi vidi arrivare Bruno
Perrot, Guido Rostagno e Gianni
Gay; questi preoccupato mi chiese
se avessi visto Enrico. (...) Eravamo
avvolti nella nebbia, poi nel pomeriggio scendemmo verso la bergeria
per vedere cosa fosse successo. Ad
un tratto scorgemmo Oreste Bruno...
aveva sul capo un cappello della
banda musicale di Fenestrelle con
diversi buchi e la faccia insanguinata, era stato colpito da una bomba a
mano e da una pallottola a una gam
ba. Ci disse che tutti gli altri erano
morti e che lui, sanguinante, era stato creduto morto; poi dopo avergli
preso l’orologio e il portafoglio, gli
avevano gettato una manciata di terra in faccia e si erano allontanati...
Ernesto Sina (Tino) si salvò buttandosi a valle nel canalone che scende
dal Ghinivert nascondendosi in un
cunicolo sotto una valanga. Dal colle, a sera, scendemmo verso le bergerie di Salza (...).
20 agosto
Nella foschia, giù verso la pianura, vidi il grande disco dei sole alzarsi e rischiarare le cime del Ghinivert e del Barifreddo. Fui colpito da
una grande angoscia, pensavo ai
compagni caduti il giorno precedente, loro non avrebbero mai più
potuto vedere il sorgere del sole o
comunque fino a quando ciò mi sarebbe stato concesso. Poco lontano,
in una località detta Fontanun dove
si trova una delle più grandi sorgenti della zona, raccolsi delle bellissime stelle alpine che conservai nel
portafoglio. A ciascuno di noi fu distribuito un cucchiaio di marmellata. Gianni incaricò me e Dino Vedovato di salire fino al Colle della Vailetta per controllare che non arrivassero truppe nemiche provenienti dalla vai Troncea. Salivamo con lo
sguardo fisso sulla cresta per osservare eventuali movimenti. Quando
scorgemmo sulle rocce il volo radente di alcuni uccelli capimmo
che non c’era pericolo. (...) Tornati
con gli altri al Fontanun ci furono
distribuite due zollette di zucchero
e un cucchiaio di rabarbaro, quindi
riprendemmo la marcia. Attraversammo la ripidissima e pericolosa
parete est del Lungin e, superato il
nevaio, ci portammo nel pianoro ai
piedi della parete est del Barifreddo. (...) Non avevamo più nulla da
Commemorazione partigiana alle bergerie del Ghinivert (1945)
trovammo Maggiorino Marcellin e
lo informammo delle ultime tristi
notizie. In quell’occasione conobbi
Ettore Serafino che veniva alla ricer
mangiare. Durante il tragitto verso
il pianoro, come pure nei giorni
precedenti, per evitare i crampi allo
stomaco raccoglievamo dei funghi
che mangiavamo crudi. Dopo alcuni bocconi lo stomaco riprendeva il
suo lavoro e diminuivano i crampi.
Quattro di noi scesero alle bergerie
della Balma di Rodoretto; Dino Vedovato, Nino Pozzo, Tino Amaina e
io. Acquistammo dal margaro tre
forme di formaggio, quindi salimmo al pianoro del Barifreddo dove i
compagni ci attendevano (...).
22 agosto
Il mattinata salii al Colle di Rodoretto con Gianni Gay e Angelo Poét,
poi scendemmo alle Piane e arrivammo alle baracche del Mayt; lì
ca di genepì (gli steli secchi dell’anno precedente per usarli come
tabacco da pipa) (...).
24 agosto
AH’alba salimmo verso Roc,ca
Bianca, arrivammo al colle e scendemmo alle bergerie della Balma (...)
proseguimmo verso la Cialancia, il
Lausun, Lazzarà e poi scendemmo
in direzione di Cotaruta e pernottammo nei boschi di faggio (...).
(*) Gino Rostan; Tempi dì guerra. Diario partigiano in vai Chisone e Germanasca. Lar editore, marzo 2001.
10
PAG. 14 RIFORMA
E Eco Delle Vai.i.i "^.ldesi
Un'attenta presentazione del sito a cura del relativo comitato
Nelle molte stanze dì un castello virtuale
visita ai luoghi storici valdesi su Internet
PIERVALDO ROSTAN
UN castello dalle molte stanze;
aprendo una porta ci si trova
davanti altri ambienti, camere
nuove, da esplorare e da conoscere. Con questa immagine, non
nuova ma efficace, Daniele Cardiol, venerdì 24 agosto ha introdotto il viaggio «virtuale» nel sito Internet che il «Comitato dei luoghi
storici» ha dedicato a quei luoghi
della storia valdese, appunto definiti «storici» poiché legati a specifici momenti o personaggi: sono innumerevoli e da tempo il comitato
nominato dalla Tavola valdese, un
tempo col semplice incarico di
mantenere accessibili questi posti,
ripulendoli dalle erbacce e vegliando sulTintegrità degli stabili, si sta
preoccupando di migliorarne lo
stato e di conseguenza la visitabilità. Non solo, su alcuni di essi sono stati avviati importanti progetti
di valorizzazione, il più importante
dei quali è forse quello legato alla
Gianavella destinata a diventare
una piccola foresteria situata in un
comprensorio interessante sul piano storico ma anche ambientale.
Tornando alla serata di venerdì,
i presenti si sono trovati di fronte a
una «scelta di immagini, testi, animazioni, files sonori» curata dal
Comitato per i luoghi storici valdesi che alla creazione di questo sito
ha dedicato tempo e risorse umane non indifferenti. Le «stanze» di
cui si parlava all’inizio contengono un vero e proprio «Bignami» di
storia valdese, con l’aggiunta di
canti e animazioni; «cliccando»
sulle parole chiave evidenziate nei
testi è possibile passare da un luogo all’altro, visitare questo o quel
museo, scoprire l’utilizzo di un attrezzo 0 la storia di un vessillo.
Non è né il primo né l’ultimo sito Internet che parli di valdesi; ve
ne sono di direttamente predisposti dalla Tavola o da singole chiese
o da opere. Ve ne sono altri promossi da altri paesi del mondo, da
enti o associazioni di qualunque
tipo. Il mondo valdese riveste un
certo fascino per chi si occupa di
storia religiosa, di cultura, ma anche semplicemente di turismo.
Anche in questo senso «un sito
realizzato direttamente da noi
contribuisce ad una migliore conoscenza dei valdesi evitando pericolose distorsioni», ha ribadito in
chiusura il presidente del Comitato luoghi storici. Paolo Cardiol.
Nato in Argentina, Davide Jahier amava queste sue montagne
Il caro amico «fBocia», cittadino del mondo
APPUNTAMENTI
Ho perso un grande
amico. «Bocia» ci ha lasciati. Si chiamava Davide Alejandro Jahier, era
nato a Buenos Aires il 1“
ottobre 1939. Non so chi
sia stato di noi amici il
primo a chiamarlo così,
quando per la prima volta venne in Europa dopo
l’ultima guerra, ancora
ragazzo. Il termine piemontese «bocia» significa proprio ragazzo, ma
forse qualcosa di più, ragazzo vivace, allegro, un
po’ monello nel senso
buono, e così «Bocia» per
tutti gli amici è rimasto
fino alla fine.
Bocia non era un ragazzo comune, era cittadino
del mondo, anche se nel
cuore aveva due patrie:
quella di nascita e quella
di origine, le valli valdesi.
Nelle competizioni spor
tive internazionali, il suo
tifo era per l’Argentina.
Nelle lunghe serate trascorse insieme mi raccontava del suo peregrinare nella pampa sterminata con i «gauchos», delle sue vacanze sulle Ande,
a San Carlos de Bariloche.
Ma era alle sue montagne di origine che era
profondamente legato,
tant’è che volle fare il
servizio militare negli alpini. Fu sottotenente di
complemento nel Friuli a
Sella Nevea, in quel periodo, nei brevi permessi, veniva alle Valli e, il
più delle volte, sostava
da noi a raccontarmi la
sua vita militare, intorno
a un «bicer di quel bon».
La vita e il lavoro e la
sua famiglia, a cui era
molto affezionato, lo portarono a girare tutto il
mondo, Inghilterra, Messico, Stati Uniti, Argentina e via di seguito. Nei
brevi periodi di vacanza il
suo pensiero era sempre
alle sue montagne: arrivava inatteso e mi diceva:
dai vecio, ho alcuni giorni, dove andiamo? E allora si partiva, in tenda o in
rifugio..Ma il tempo era
tiranno, raramente ci diceva quando sarebbe ripartito, il suo saluto era
in ogni circostanza: «ciao,
ci vediamo» e poi per mesi non lo vedevamo più. È
la prima volta che mi accingo a scrivere qualcosa
per un amico scomparso
e mi trovo veramente in
difficoltà per le tante cose
da dire e i ricordi che ho
di lui. Un ragazzo sempre
disponibile per qualsiasi
necessità, non Tho mai
sentito esprimere critiche
e opinioni men che buone su alcuno, non l’ho
mai sentito lamentarsi
anche in situazioni molto
serie, si limitava ad affrontarle dicendo «no
problem». Ultimamente,
quando la malattia aveva
ormai cancellato in lui la
memoria, facevamo ancora delle escursioni in
auto nelle Valli e mi ricordo che quando intonavo il motivo delle sua
canzone di montagna
preferita «tante putele
bele non se ghe po; parlar, doverle abandonar l’è
na ferita al cor...» gli si illuminavano gli occhi.
Grazie Bocia per tutto
quello che ci hai dato e
per il bel ricordo che lasci di te ai tuoi amici...
Ciao ci vediamo
Valdo
31 agosto, venerdì
PRAGELATO: Nella sede del parco naturale della vai
Troncea, mostra su «Vite nere, morte bianca: storia
delle miniere del Beth».
PINEROLO: Alle 20,30 presentazione della spedizione
alpinistica al Kedar Dome (mt. 6.831) nella Regione
hlmlayana del Garwhal indiano, orgnanizzata dal
Cai. Ingresso libero.
PINEROLO: Alle 21,15, alla Fiera deU’artigianato, teatro cantato di Raffaella De Vita. Al pianoforte Daniela Chiastellaro. Ingresso libero.
1“ settembre, sabato
PINEROLO: Alle 21,15, alla Fiera delTartigianato,
«Quintettango, Le mirroir des temps» con Fiume
Fontane e Dorella G^igliotti. Ingresso libero.
l°-2 settembre
INVERSO PINASCA: Festa del paese.
’ 2 settembre, domenica
PRALI: Dalle 10, con la corsa podistica internazionale, giornata per ricordare il nono anno del gemellaggio con Abries e il Queyras; alle 12, premiazione
e aperitivo: alle 12,30, pranzo; alle 15, visita al museo di Frali.
POMARETTO: Festa delle borgate.
ROURE: Fiera autunnale a Villaretto.
ANGROGNA: Festa degli alpeggi al Chiot.
PRAROSTINO: Trentennale della fondazione Avis.
PRAMOLLO: Fiera del bestiame.
BOBBIO PELLICE: Festa al rifugio Granerò.
PINEROLO: Alle 21,15, concerto jazz «Cvm Big Band»,
diretto dal m.o Alberto Mandarini. Ingresso libero.
Antichi mestieri aiia Rassegna deil’artigianato di Pineroio
Regione Piemonte - Comunità montana vai Pellice
SERVIZIO SOCIO-ASSISTENZIALE
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A seguito di autorizzazione della Regione Piemonte si avvia un
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superiori; superamento di una prova di ammissione:
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OBIETTIVI del CORSO ,
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140 di attività di rielaborazione e sintesi
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nel superamento di una prova scritta e di un colloquio.
PROVE FINALI; Il corso si cóncludetà con una prova finale di fronte
ad apposita Commissione, ai sensi della legge 845/78 e della L.R. 62/95,
n corno si svolgeit a Torre Pellice e sarà gestito con la collaborazione
dell’Associazione “La Bottega del Possibile” di Torre Pellice
Il popolo
e le élite
POSTA
La radio
e le chiese
Passione
ecumenica
Può darsi che mangiare
in pubblico sia sconveniente, come scrive Andrea Salusso sul n. 32.
Tuttavia, per rimanere al
bon ton della tavola, è
brutto anche sputare nel
piatto in cui si mangia. Il
piatto, per esempio, del
contributo che la «Cena
per un amico» diede nel
1996 all’iniziativa di accoglienza in famiglie dei
«bambini di Cernobil», riducendo sensibilmente
l’impegno finanziario
delle famiglie stesse (tra
cui quella dell’autore della lettera).
Quanto ai «maggiorenti», chi in un’ottantina di
persone a tavola scorga
solo questi e non veda
tante persone semplici
(presenti solo in virtù
dell’amicizia che avevano
per Ercole) e npn certo legate al «potere», dimostra
di appartenere a un’altra
élite, speculare a quella
dei maggiorenti stessi:
non politica, forse intellettuale, comunque poco
legata alla cittadinanza.
Alberto Corsani
Torre Pellice
ACCOGLIENZA
PROBLEMI
DIALCOLISMO
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Ospedale Pomaretto
Tel: 82352-249
Non vorrei che l’articolo di Gian Mario Giglio
apparso sullo scorso numero venisse recepito
soltanto come un’informazione su Radio Beckwith evangelica. In realtà è un preallarme che
va assolutamente raccolto. Il nostro «Gimmi»
spiega ampiamente i
passi avanti fatti dalla radio, sia in senso professionale sia come rete di
rapporti intessuti, come
strumento di testimonianza, oltre che di puntuale informazione.
La Conferenza del I distretto si è resa conto
della necessità di sostenere Radio Beckwith evangelica e da alcuni anni garantisce un finanziamento di circa 30 milioni annui, modesto per
la radio ma pari a metà
del bilancio del distretto.
Sarebbe grave se l’unione delle nostre chiese nel
suo insieme rimanesse
distratta sull’appello lanciato da Giglio: possibile
che non si riesca a garantire un centinaio di milioni annui per dare certezza di continuità alla
radio e a chi vi lavora?
Qui non si parla di miliardi, ma di cifre ragionevoli e programmabili
fra distretto. Tavola, apposito Servizio della Fcei,
altre chiese evangeliche.
Ci si pensi insieme prima
che sia tardi.
Caro direttore,
nella recensione di Pineroio, a memoria, Piera
Egidi riferisce di come
Vittorio Morero disegni
con puntualità l’immagine della città degli Acaia,
che da San Maurizio spazia sui monti valdesi. Ma i
valdesi, non ce lo dimentichiamo, sono solo parte
di un insieme. Don Morero, il sacerdote-giornalista-scrittore, e pure politico (che ai valdesi ha dedicato in passato il suo
primo libro) ci ha ricordati più volte con simpatia. Come nel sullodato
volumetto ha ricordato
Piercarlo Longo e persino
l’umile sottoscritto.
Possano la sua apertura politica e la sua passione ecumenica smentire le tentazioni autoritarie di qualunque genere
e contribuire alla riconciliazione tra gli uomini. '
Augusto Comba
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tembre, ore 21,30, U boccate
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PINEROLO-Laa,
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gramma, alla sala «Sa
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19.50 e 22,30, domeij
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viso, se fa brutto me
tornare a casa, se è L .......
avanti per CrissoloeP* ^mus).
del Re, da dove valelaf ®Hamp
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renza e Chiaretto peù ,
giungere lo storico n& a pregi
Quintino Sella, alla^ , W«
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molti mesi di lavor»; talpri,
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edilizia,^nonchéa^;
ria dei vari
Monviso, è dedica “
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diSaluzzo (n.56,2/24i'“le
fascicolo speciale de
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Serietà e cortesia
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di BRUNO PONSJ^
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guini e gli altri cristiani
„n ampio servizio di Gia^ “Scazzi sul n. diel 21
ìn^coin_ G j supplemento alla
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Stampa
è dedicato al card.
suini; presidente della Gei.
rriauadro in conclusione
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i:b; ÌHSualesueascenden■' -^Sturali: «Da un mae
del cattolicesimo hbe
Jecoroe Tocqueville, il
^morato emiliano ha apfeo(...) che la modernità
L erode necessariamente
Sjone Nel pensieStico del cardinale
mttolicesimo liberale e
Saneslmo sociale sono
Li in un’originale sintesi.
UcitareU teologo Olivier
Clément: il protestantesimo
irnnJtende a dissolversi nella
5 f Modernità, mentre l’ortoet dossia orientale rifiuta il
wn. eonfronto con essa. Secon
2 do Ruini la Chiesa cattolica
Ultimi decenni ha im) I, boccate una “terza via ,
dM quella dell’inserimento dia
3 lettico nella contemporali J ueità, salvaguardando la di
tersità del credente rispetto
a«
Bpi
(5tj
3;b|
sabq
50 e!
Fondazione Liberal
l'Occidente del papa
In un numero monografìitotJ co (n. 7, agosto-settembre)
dij dedicato a Giovanni Paolo
e2| n, la tivista della Fondazio22J Deliberai ospita anche uno
50,i scritto del filosofo e politologo Biagio De Giovanni,
[che individua nel pensiero e
nel pontificato di Wojtyla
W linea precisa di intermd vento nella politica e nella
sodetà. L’azione del papa,
secondo De Giovanni, è così
riassumibile; «Globalismo
1 .’risibile nella azione della
S, Chiesa, che ha rotto ogni
confine, non più solo o tenlienzialmente Occidente,
non più solo Terzo Mondo,
milmondo nella sua unità
senza confini, nelle sue diseguaglianze sempre più
dranmatiche, nei suoi orizzontisconfinati...».
ral Peli
manti
del Re
ImenK
/edetei
PAG. 15 RIFORMA
POSTA
Il ruolo
del credente
nella società
Vorrei fornire un contributo
al dibattito innescato dai fatti
di Genova e dalla partecipazione voluta e concordata alle
manifestazioni del GsF del variegato mondo evangelico.
Sono convinto che non fu un
errore, ci sono momenti nei
quali, per motivi che ignoro,
si determina un concentrato
di fattori, speranze, attese e timori, dai quali si esce cambiati. E non c’è niente da fare,
si può decidere di stare a casa
davanti alla tv chiudendo la
porta, blindata, di casa ma
prima o poi quegli stessi avvenimenti entrano, ti condizionano e ti usano.
Chi sta a casa davanti alla
tv è carne da macello per i
manovratori dell’opinione
pubblica: io non voglio finire
così e credo che nessun credente debba abdicare la sua
facoltà di giudizio ai Vittorio
Feltri di turno. Questo non
mi impedisce e non certo da
ora di prendere le distanze
dai violenti: sono obiettore di
coscienza e conosco il valore
e il costo della disobbedienza
civile. Ragioni di opportunità
avrebbero' potuto consigliare
di interrompere le manifestazioni ai primi scontri, ma non
credo che l’aver impedito a
tutti i costi l’effrazione della
zona rossa si possa considerare un successo dei G8.
Il ruolo del credente non è
quello di tenersi a distanza
dai guai né tantomeno quello
di esserne causa; interpreto,
con tutti gli errori di cui sono
portatore, il mio ruolo come
testimonianza attiva che si
esplica nei modi della nonviolenza e in tutti i luoghi nei
quali questa testimonianza
può avere degli interlocutori.
C’è chi auspica che le manifestazioni si svolgano nel deserto e chi promuove la deleglttimazione del dissenso
dl’ordine mondiale e c’è chi,
con un pizzico di malafede,
sostiene che il Terzo Mondo
è già pieno di violenza e che
della violenza dell’Occidente
non se ne fa niente. Ipocriti o
Tj A alcune settimane Rifar'
ha preso a pubblicare
di meditazioni sul
Ha Coi [’Orazione do
ià siv€j«*ale (o meglio, «dominicadel ^ obe non significa «la preio della domenica, bensì la
¡e è W ^^ietadel Signore (in latino
HoePi ooiinus). E impossibile elenserie dei musicisti
un P* 5®tUttraverso i secoli, dal
aghi Fi e Nostro; meglio limitarsi
operi »alare alcune pres nze
rififl . Peghiera in innari di va
CO
alla N ^ trague e in vari cori eseguiti
V van cc
5t. D»! evangeliche
o non solo
Valer
hiáiw ' IJUÖLU, C IlUIl SUlU
^fonologico, il famoso
gran<ii|, ...........
r «nser in Himmelreich
D- (I “«ser
nostro nel regno
I alla*! , di») elaborato da Lutero
fugii
di un can
licatpl® Pei Fratelli boemi del 1531
e dell» ¡In volta risalente a un an,sezioj>nodel XIV secolo). Su
' „^1 tal. , secolo). i>u
.2/20'” 'celebre melodia Bach
“cali per or
5* ®dli diversi, e Men
mnLj ,®i:hsse le brillanti VaSodo Sonata per or
deat * *'*etodia di Lutero è
'loittó^L®^’ innari italiani,
dtcL on po’ ostica alle
‘ InHi ?^®echie, avvezze alla
per la diffi
ijj ^^^®Pplicarvi le parole del
^o si trova inve
j'^,®rio dei Riformati di
.‘’».n.217).
^ia(N.
los coeurs te chantent,
2(w° Innario cristiano
presenta al n. 217 il
Padre Nostro con la melodia
(tratta dall’Innario di Freylinghausen, sec. XVIII) già usata
negli Innari cristiani del 1922 e
1969 («Padre nostro che in cielo dimori») che esiste già nel
vecchissimo Cantici sacri ad uso
dei cristiani d’Italia stampato a
Ginevra nel 1853 (n. 26). Inspiegabilmente, nell’innario Inni sacri del 1907 tale melodia
era stata sostituita con un’altra,
oggi dimenticata.
E ora una curiosità... «archeologica»: in uno Psautier
(salterio) francese del 1768 «ad
uso dei protestanti di Francia»
(stampato con la sola melodia e
con le antiche note romboidali
bianche), dopo i 150 salmi e alcuni cantici desunti da passi
del Nuovo Testamento, si trova il testo del Notre Pére in sette strofe, unito alla melodia del
Salmo 113 (Vous qui server le
Seigneur Dieu) che potrete trovare in versione italiana («Alleluia al Signor del del») nella
raccolta completa dei Salmi
cutata da E. Fiume e pubblicata
dalla Claudiana nel 1999. Più
antico ancora è il Salterio
(Cento Salmi di David tradotti in
rime volgari italiane), stampato
sempre a Ginevra, nel 1683,
che contiene un Padre Nostro
che sei ne’ cieli eterni.con una
melodia diversa, di cui non si
precisa la natura (la fonte, l’autote), e che termina «fior così
sia, Padre benigno».
( I - continua)
ciechi al punto di sacrificare
un intera generazione passata in un giorno dalla glorificazione dei papa boys, alla criminalizzazione e alla repressione violenta. Un passaggio
brutale dall’adolescenza alla
età adulta per mezzo dei lacrimogeni (vere armi chimiche) e dei manganelli della
polizia: spero solo che la maturità così dolorosamente
conseguita sia la punta che
rompe l’armatura del conformismo.
Savino Curci - Milano
La ragazza
quacchera al G8
Quando abbiamo appreso
la notizia dell’arresto della
giovane studentessa quacchera americana, insieme ai
teatranti di strada austriaci,
alla fine del Convegno genovese dei G8, operata dalle forze dell’ordine italiane, al primo attimo di incredulità è
subentrata l’amarezza per la
tendenza della nostra polizia
a fare spesso di ogni erba un
fascio. Cosa dimostrata del
resto ampiamente durante
molti dei suoi interventi nei
confronti dei dimostranti anti «globalizzazione liberista».
La totale assenza di cultura
religiosa extra cattolica, e la
non conoscenza dei principi,
della prassi e della storia della comunità quacchera, dal
nome ufficiale di Società religiosa degli Amici, ha reso
possibile purtroppo il grave
errore di valutazione verso la
giovane quacchera.
Il fatto di essere nata, vissuta, educata nella atmosfera
religiosa dei Priends, ne ha
fatto una portatrice del loro
messaggio di amicizia verso
l’umanità, e di rispetto dell’altro, perché in esso vive,
come in ciascuno di noi, una
scintilla divina, e quindi le
creature devono vivere in armonia, in pace, in collaborazione fra di loro. Per questo
non v’è quacchero, che sia
impegnato seriamente nella
sua particolare scelta cristiana, che non operi alla pacificazione fra gruppi in dissidio,
che non contribuisca in qual
che modo alla mediazione fra
popoli in conflitto, che non
intervenga direttamente o indirettamente, per il recupero,
morale e materiale, di gruppi
umani che hanno sofferto
guerre e violenze. Nei limiti
delle loro possibilità che sono, non per i mezzi ma per la
volontà, superiori al loro numero. E Susan Thomas condivide tutto questo. Tutti sanno
ormai che il grave errore delle
forze dell’ordine era già fatto
in partenza, prendendo gli
strumenti di lavoro dei teatranti per oggetti di offesa.
Qualcosa di simile era già accaduto nel 1976 a La Maddalena, dove fu arrestata tutta
la Compagnia di teatro stradale di un famoso gruppo
americano del tempo, che
aveva voluto accompagnare
con le sue sceneggiate all’aperto la marcia antimilitarista nonviolenta nel suo ultimo atto in Sardegna.
Nel caso presente, la reazione generalmente intelligente e rispettosa della
stampa italiana, e i numerosi
interventi di quaccheri italiani e stranieri, e di molte
personalità della cultura e
della politica, hanno certamente influito sull’atto finalmente saggio della magistratura italiana nell’operare la
scarcerazione dei teatranti e
dell’Amica quacchera. Ma
l’espulsione dal nostro paese
di ciascuno di loro getta una
macchia scura su tale decisione, e mi auguro che, a parte le proteste e le reazioni degli avvocati e dei non quaccheri, sia Susan sia i suoi sostenitori non si lascino trascinare dallo spirito di condanna morale e di rivalsa.
Nei brevi contatti avuti con
la madre di Susan e con i suoi
correligionari americani,
mentre lei era in carcere, è
emerso soltanto il perdono e
la preghiera, perché Dio illuminasse chi la deteneva ingiustamente. Questo, del perdono e del tenere in considerazione le ragioni dell’altro, è
uno degli elementi che dà alla
pace la speranza di «essere».
La vendetta non può darla.
La speranza
vive sempre
Davide Melodia, quacchero
Ghiffa (Verbania)
Sul felice e riuscitissimo
«Forum sociale mondiale» tenutosi in Brasile a Porto Aiegre nel gennaio-febbraio di
quest’anno campeggiava una
scritta, nel suo facilmente
traducibile portoghese : «Um
outro mando è passive» (un
altro mondo è possibile). È
stata chiaramente questa affermazione a motivare i 2300.000 che sono confluiti a
Genova per manifestare nei
giorni del «G8», sfidando i disagi, la fatica e, soprattutto, i
concretissimi rischi (forse
non del tutto messi in preventivo) di finire pestati a
sangue.
Qualcuno ha scritto: non
toglieteci la speranza di fare
un mondo migliore, o tutti gli
sforzi di tutti si ridurrebbero
a fare qualcosa come un
«pronto soccorso» sociale. Io
condivido fortemente il bisogno di una visione orientata
al futuro. Di essa è permeata
la rivelazione biblica, sia essa
vista nell’ottica ebraica o sia,
invece, nell’ottica cristiana.
Fondamentale è l’attesa del
«Regno di Dio». Sia in chiave
individuale («entrare nel Regno»), che collettiva (il «Regno»irrompe nella storia).
Purtroppo la cronaca e la
statistica di come stanno
evolvendo le cose di questo
mondo... non sono proprio
tali da inclinare all’ottimismo
circa il trend della storia globale. I ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri, e il pianeta
come ambiente sta degradando. Il potere sta con i ricchi, e gestisce malamente gli
interessi planetari: questo
«G8» insegna. Tuttavia la speranza continua a vivere, anzi
forse è più viva che mai. Non
da oggi né solo da ieri, la
chiesa cristiana è maestra di
speranza. Anche se molte
volte il cristianesimo ha dovuto difendersi dall’accusa di
trasferire la speranza tutta
nell’aldilà.
A questa accusa hanno reagito le chiese più impegnate
nel «sociale»: tra esse certamente il cattolicesimo e il
Il voto dei
protestanti
Abituato come sono a osservare la politica in visione
europea, rilevo che l’elettorato protestante europeo dà il
proprio voto di preferenza ai
partiti socialisti, socialdemocratici 0 laburisti, ma che vi è
anche una fetta minoritaria
(circa il 20-25%) che preferisce i partiti liberaldemocratici, mentre in Germania vi è
anche una frangia di elettorato evangelico che vota Cdu
(Partito cristianodemocratico), di cui oggi è segretaria la
protestante Angela Merkel.
Nei paesi nordici vale pressappoco lo stesso discorso,
mentre nei paesi di lingua inglese è assai più elevata la
percentuale di elettorato protestante che vota il Partito
conservatore (Gb) o, negli
Usa, quello repubblicano.
In Italia, stando a un sondaggio effettuato da Riforma
alcuni anni fa fra i propri lettori, la percentuale di elettorato protestante di destra (liberale, suppongo) si aggirava
sul 15%, se ben ricordo, e
quindi non lontana dalla media europea, restando saldamente confermato l’orientamento prevalente di sinistra
anche da noi. Senonché,
mentre l’elettorato evangelico
europeo è perlopiù socialdemocratico o laburista, in Italia
(o perlomeno fra gli autori di
articoli e i lettori di Riforma)
la sinistra evangelica sembra
raggiungere le estremità di
Rifondazione comunista, dei
Verdi e dei cosiddetti centri
sociali, «eroi» delle «quattro
giornate di Genova». Leggo
infatti su Riforma discorsi talmente anticapitalistici e antioccidentali che mi tornano
in mente i tromboni della più
becera propaganda fascista,
che al tempo della mia infanzia sputava sul capitalismo
demo-plutocratico, giudaico
e massonico, esaltando l’Italia
proletaria, come i nostri vecchi certo ricorderanno.
A questo punto alzo la voce
anch’io e ricordo a questi «insultatori» che vomitare veleno contro il capitalismo,
l’Occidente, gli Usa equivale
a vomitare sul protestantesi
mo stesso che è, se non il padre, il nonno di questo modello di civiltà, tanto vituperato da questi degeneri nipoti
o pronipoti.
Venendo poi in Italia all’attuale coalizione di centro-destra uscita vincitrice (anche
con il mio voto) dalle elezioni
politiche, dirò che all’interno
di essa vi è una gran fetta di
«destra nobile» di derivazione liberale, nella quale il protestantesimo nostrano può
trovare un’interlocutore amichevole (come fu nel XIX secolo), specie se saprà presentarsi come propaggine del
più vasto protestantesimo
europeo. Infatti che cos’altro
è Forza Italia se non un partito liberale che per la prima
volta in Italia è diventato «di
massa»? Ci pensino i vostri
autori e lettori.
protestantesimo riformato.
Due luoghi-simbolo: Roma, e
Ginevra. Il nascere del Consiglio ecumenico delle chiese,
verso la metà del secolo appena concluso, ha marcato
fortemente l’impegno dei cristiani nella dùnensione terrena e storica. Ecco in esso un
segno importante, di non trascurabili dimensioni, del fatto
che «l’opera di Dio è presente
nel mondo». Ma il mondo
stesso, coi suoi 6 miliardi di
abitanti, non è migliorato.
Questo purtroppo è vero; e
non servirebbe mistificare
questa verità, che è cronaca
quotidiana. Vorrà dire che
l’opera del Signore è nel
mondo, ma non si identifica
con la «globalità» del mondo
stesso. La logica deduzione è
questa: riallacciandoci al tema iniziale del discorso (la
scritta simbolo del World Social Forum, nato all’inizio di
quest’anno a Porto Aiegre),
appare chiaro che l’«altro
mondo possibile» è realizzabile sì in questo mondo, ma
come «in un contenitore»,
con il quale non potrà mai
identificarsi. In quanto siamo
«nel» mondo siamo chiamati
a essere global ; mentre in
quanto «diversi» da questo
mondo non possiamo che essere «no global». Ritorna il testo di Romani 12, 2, che ci
ammonisce: «Non conformatevi al presente secolo»...
Stefano Costa - Genova
La Fcei per
il vertice Fao
Sergio Bilato - Verona
Vorrei sottoporre all’attenzione e valutazione alcune riflessioni e proposte relative al
prossimo vertice Fao che dovrebbe tenersi a Roma nel
prossimo mese di novembre.
A mio avviso sarebbe cosa assai significativa che la Fcei (o
chi per essa...) si facesse promotrice per l’occasione di
un’iniziativa che potrebbe
consistere nella proposta a
tutte le persone di cosiddetta
«buona volontà» di un giorno
di totale digiuno in concomitanza con il vertice: l’equivalente economico di tale digiunò, che ogni persona autonomamente potrà determinare,
dovrebbe essere destinato a
uno specifico e concreto progetto contro la fame e/o la sete in un paese della «fame».
Non solo ma nell’occasione la Fcei, contestualmente,
potreb*be proporre un modello, uno stile di vita sobrio e
solidale (rispettoso del prossimo e dell’ambiente) che
potrebbe costituire la chiave
e l’inizio di una più equa ed
equilibrata distribuzione delle risorse del pianeta nonché
l’occasione per lo sviluppo
ecocompatibile per i paesi
più poveri. Tali iniziative potrebbero svolgersi oltre che a
Roma (se sarà la sede del vertice) anche in tutte le città
d’Italia e d’Europa nell’ambito di incontri pubblici che
prevedano magari musica,
preghiere, riflessioni e testimonianze sul tema.
Gilberto Bugni - Torino
Nuovi indirizzi
past. Laura Leone: via Ciccarone 51, 66054 Vasto (Ch); tei.
0873-378869,333-6044825; e-mail: leone.laura@libero.it.
past. Martin Ibarra y Pérez e Elizabeth Green: via Finamente
da Vimercate 10,20121 Milano; tei. 02-6599603.
■ Susanne Labsch e Albert De Lange: Schumannstrasse 9,
76185 Karlsruhe (Germania).
• past. Gregorio Plescan: c/o Chiesa evangelica valdese. Castello 5170, 31022 Venezia: celi. 338-2983403; e-mail: gplescan@chiesavaldese.org
• past. Vito Gardiol: viale I Maggio 2, 10060 Villar Pellice (To);
tel. 0121-930713, e-mail: vitogardiol@tiscalinet.it.
- past. Silvia Rapisarda: viale della Bella Villa 31,00172 Roma.
PARTECIPAZIONI
RINGRAZIAMENTO
«lo alzo gli occhi ai monti,
donde mi verrà l'aiuto?
Il mio aiuto viene dall'Eterno
che ha fatto I cieli e la terra»
Salmo 121,1-2
La mamma, i fratelli, le sorelle
e I familiari tutti del caro
Livio Monnet
commossi per la dimostrazione
di stima e di affetto tributata al
loro caro, ringraziano tutti coloro
che con presenza, scritti e parole di conforto hanno preso parte
al loro dolore. Si ringraziano in
particolare i medici e il personale
dell'Ospedale valdese di Torre
Pellice, i pastori Taglierò e Berutti e tutti coloro che gli sono
stati vicino durante la malattia.
Luserna San Giovanni
29 agosto 2001
RINGRAZIAMENTO
«Il Signore è il mio pastore
nulla mi mancherà»
Salmo 23, 1
Le figlie e i familiari tutti della
cara
Giulia Simond
ved. Miegge
di anni 80
riconoscenti, ringraziano di cuore tutti coloro che con scritti, presenza, parole di conforto e fiori
hanno preso parte al loro grande
dolore.
Un ringraziamento particolare
ai medici e al personale dell'Ospedale valdese di Torre Pellice,
al dott. Bevacqua, ai vicini di casa, ai pastori Taglierò, Berutti e
Costabei e al Servizio 118.
Angrogna, 29 agosto 2001
12
PAG. 16 RIFORMA
VENERDÌ 31
Impressioni di un viaggio di due settimane nella grande isola caraibica
Cuba, quaranfanni dopo la rivoluzione
Da una parte c'è Fide! e la rivoluzione che segnano ancora profondamente moltissimi cubani
che sanno di aver conquistato a caro prezzo la libertà e dall'altra il forte desidèrio di ricchezza
FEDERICA TOURN
Raccontare cuba in un
articolo non è facile; ma
d’altronde anche pensare di
aver qualcosa da dire su Cuba dopo solo due settimane è
una pretesa. Due settimane
bastano appena per riempirti
gli occhi di paesaggi, città e
persone, e le narici di odore
di benzina: bastano naturalmente per farti catalogare come turista portatore di dollari
a cui tentare di vendere tutto
(sigari, rum, aragoste) o a cui
chiedere frettolosamente
qualcosa di introvabile e prezioso (saponette, medicinali,
biancheria, biro); nel primo
caso in genere sono uomini
che cercano di guadagnare
alle spalle del governo, nel
secondo donne che cercano
di far vivere meglio se stesse
e i loro figli.
non basta c’è il mercato nero
a cui, a quanto pare, ricorrono tutti, anche i più benestanti, come gli affittuari di
stanze che vengono pagati in
dollari e quindi fanno già parte di una «classe» privilegiata.
Priorità ai turisti
Due settimane servono anche a farti sentire in colpa
perché in quanto occidentale
hai comunque molto più di
loro e puoi, per esempio, entrare a Varadero, poco distante L’Avana, 20 chilometri
di spiagge bianche a completo beneficio dei turisti, un
serbatoio di soldi che prevede persino un pedaggio di
due dollari per l’entrata; un
lembo di terra vietato ai cubani non residenti (i pochi
residenti sono peraltro completamente assorbiti nei servizi alberghieri), che evidentemente turberebbero la vista
ai vacanzieri. Oppure perché
alla gelateria Coppelia, a
L’Avana, mentre un turista
ottiene immediatamente il
suo cono, il cubano è costretto a stare in coda per ore; una
piccolezza, se vogliamo, ma
significativa. E infatti i pochi
negozi hanno merce prezzata
in dollari e, inutile dirlo, i cubani non si possono permettere di comprare niente e visto che certi generi alimentari
si trovano soltanto lì (o al
mercato nero), ne fanno a
meno. Ogni cittadino ha una
sorta di tessera annonaria in
cui è segnato che cosa e
quanto gli spetta per quel
mese: quanta carne, quanto
riso, quanto yoghurt (se c’è
un bambino in casa), quanti
fagioli; è tùtto razionato, e se
Le religioni
Le religioni, mai veramente
perseguitate dal governo rivoluzionario, prosperano discretamente: nonostante
l’impatto mediático della visita del papa, la vera protagonista spirituale dell’isola è la
santería, un culto sincretistico che mescola un’incredibile varietà di riti afi’icani, pratiche animiste e cattolicesimo: nelle case ombrose delle
cittadine del centro, come
Trinidad, si vedono stanze
ingombre di immaginette votive di Fidel Castro, del papa,
del Che insieme a bambole
nere «yemayà» vestite di pizzo bianco e sedute solitarie
sulla poltrona migliore. Ci sono diverse chiese battiste, e
chiese evangeliche di altre
denominazioni. Tutti sono
tollerati a Cuba, tranne i Testimoni di Geova: perché?
Sono scarsi in «obbedienza»,
spiega una guida, rifiutano di
far indossare l’uniforme scolastica ai bambini.
Il sistema scolastico
Due settimane bastano anche per accorgersi che Cuba è
bellissima e piena di risorse,
ancorché travagliata, stritolata dall’embargo, in attesa di
un futuro incerto fra benesse
re vagheggiato e nuove povertà e divisioni. I bambini e i
giovani sono quelli che più
colpiscono, rivestiti da capo a
piedi a seconda dell’età, forniti di libri scolastici, con
l’istruzione gratuita dalle elementari all’università; e gli
edifici più grandi, più belli,
spesso gli unici ristrutturati
del quartiere sono scuole.
Non è poco per un sistema
così in difficoltà, così come
non è poco essersi posti come obiettivo la salute assicurata per tutti (la qualità della
vita ha fatto un balzo: l’età
media è salita a 75 anni). E se
da un lato un giornale unico
(e l’esilio dei dissidenti) non
garantisce certo la pluralità di
pensiero, dall’altro si è arrivati a un ottimo livello di studi
universitari: da tutto il mondo vengono a studiare pedagogia nelle università cubane,
ed è della fine di maggio raccordo quinquennale per la
cooperazione scientifica firmato fra Italia e Cuba.
Certo, c’è da chiedersi come verrà sfmttato questo potenziale, ora che si sono interrotti anche i finanziamenti
e gli scambi universitari con
l’ex Unione Sovietica. O, più
banalmente: quanti laureati
si accontenteranno di fare la
guida turistica (mestiere peraltro richiestissimo) o di ricevere uno stipendio che tutto intero basta appena per
comprare una bottiglia di olio
d’oliva? È facile immaginare
che saranno sempre di più i
ragazzi convinti che la «Revo
lución es toda una mentirà»,
tutta una menzogna, e che vai
la pena rischiare la galera per
partecipare il più possibile al
giro di dollari portato dai turisti: ecco allora i taxi abusivi, i
ristoranti abusivi, e ogni sorta
di commercio che porti ai
dollari e a quell’America vista
alla televisione grazie alla parabolica sul tetto; abusiva,
naturalmente.
Cuba è spaccata in due: da
una parte Fidel Castro e la rivoluzione vittoriosa, che dopo
40 anni segnano ancora profondamente non solo i muri
ma anche moltissimi cubani,
che sanno di aver conquistato
a caro prezzo la libertà dalla
dittatura, e dall’altra il desiderio di ricchezza, talmente forte da spingere moltissimi ragazzi a buttarsi in mare su
una camera d’aria nella speranza di raggiungere Miami.
Alcuni ce la fanno, come testimonia la colonia di cubani diventata famosa per il caso di
Eliàn, il bambino conteso fra
Cuba e Stati Uniti: hanno fatto fortuna, mandano denaro
ai parenti rimasti a casa,
all’estero esercitano in qualche modo un piccolo potere,
e sono corteggiati al momento delle elezioni; qualcuno si
chiede anche che faranno il
giorno in cui potranno tornare indietro e sarà così evidente la differenza fra chi è andato e chi è rimasto.
Varadero: manifesto del Che Guevara
Il dopo Fidel
Quel giorno potrebbe non
essere troppo lontano. Fidel,
il líder maximo, ha compiuto
75 anni il 13 agosto e poco
tempo fa, dopo essersi sentito male durante uno dei suoi
interminabili discorsi alla folla nell’immensa plaza de la
Revolución, ha annunciato
che il suo successore sarà il
fratello Raul, che è stato con
lui sulla Sierra e che quindi,
con i suoi 67 anni, non è certo molto più giovane. 11 problema del dopo Fidel è semmai soltanto rimandato e resta cruciale la questione della
transizione a un sistema democratico, che non precipiti
improvvisamente il paese nei
peggiori scompensi del mercato libero per consegnarlo
collassato nelle mani non
precisamente benevole del
presidente Usa, George Bush.
In un libro pubblicato dalla Chiesa d'Inghilterra («Questioni di sviluppo»)
Appello per promuovere un altro modello di sviluppo
Le chiese sono invitate a
promuovere un altro modello
di sviluppo, fondato sull’evoluzione dei rapporti personali
e non solo sulla crescita economica. Un tale modello mirerebbe non solo a trattare i
problemi del debito e del
commercio, ma anche a sopprimere, tra l’altro, i rapporti
basati sullo sfruttamento economico e sulla differenza dei
sessi. Questo appello viene
lanciato da Mark Oxbrow,
membro del consiglio di un
gruppo evangelico del Regno
Unito (Global Connections) e
uno dei coautori di un nuoVo
libro, Development Matters
(Questioni di sviluppo), pubblicato dalla Chiesa d’Inghilterra. Oxbrow è responsabile
della missione internazionale
presso la Società missionaria:
afferma che le cause della povertà sono di natura relazionale e che sprechiamo i nostri
sforzi se cerchiamo di trattare
il sintomo e non la causa.
Uno dei modi per le chiese
di promuovere il modello di
sviluppo basato sulle relazioni sarebbe di lanciare delle
iniziative analoghe alla Campagna «Jubilee 2000» che
chiedeva la remissione dei
debiti dei paesi più poveri, o
al movimento a favore del
commercio equo e solidale,
incoraggiando i consumatori
occidentali a comprare prodotti acquistati a un prezzo
giusto presso i produttori.
Il movimento «Jubilee
2000», precisa Oxbrow, è l’esempio di una campagna
condotta «in un mondo in cui
la velocità della comunicazione e la mondializzazione
ci costringono a reinterpretare il significato del termine
"vicino”». Parlando del commercio equo e solidale, Oxbrow spiega che «grazie all’azione di Christian Aid, ragazzini indiani, che non avrebbero mai avuto l’occasione di esprimersi nelle case
europee adorne di tappeti
che essi hanno tessuti, possono far sentire la loro voce».
Interrogato dai giornalisti,
Oxbrow dichiara di non volere «negare l’importanza dello
sviluppo economico», ma ritiene che «la trasformazione
della società e l’evoluzione
spirituale personale vengono
spesso trattate a torto in modo separato».
Claire Melamed, di Christian Aid, coautrice del libro,
ritiene che l’Organizzazione
mondiale del commercio abbia contribuito al degrado di
una situazione in cui il libero
scambio continua a diffondersi a danno delle popolazioni del terzo mondo che invece esso dovrebbe aiutare.
«Nel corso della storia nessun
governo ha mai potuto, per
mezzo della sola liberalizzazione, diminuire la povertà in
modo significativo», scrive
Claire Melamed. La diminuzione più forte della povertà
nel XX secolo, in Asia orientale e in Cina, «è il risultato di
una gestione attenta del
commercio e degli investimenti, che mirava a creare
industrie locali competitive».
A Claire Melamed dispiace
che il dibattito sullo sviluppo
venga spesso assimilato al
conflitto tra liberalizzazione
e protezionismo. «Non è una
o l’altro. Non c’è un’unica so
luzione. Il libero scambio, ad
esempio, avvantaggia i consumatori anche se può nuocere ai produttori. L’esperienza di economie chiuse
non è la strada da seguire».
Melamed auspica un approccio misto legato alla situazione di ogni paese ma facendo
un giro d’orizzonte della situazione attuale degli aiuti,
non vede nessun esempio di
un simile approccio, anche
se la Banca mondiale ha annunciato un ammorbidimento della sua politica in materia di aiuti. Occorre, sottolinea, darsi da fare per raddrizzare le disuguaglianze: «Anche quando vi è riduzione
della povertà, come ad esempio in America Latina, ciò
non si verifica così rapidamente». Altri tredici esperti
hanno partecipato alla redazione del libro e scritto su vari temi quali il ruolo degli affari nello sviluppo, la buona
gestione, l’esclusione in un
mondo in via di urbanizzazione, la risposta delle diverse religioni al problema della
povertà e dello sviluppo, (eni)
L’Avana, nei pressi del Museo della Rivoluzione
Il processo di remissione del debito
I criteri di selezione dei
paesi fortemente indebitati
Criteri di selezione
inadeguati
L’assenza di meccanismo
soddisfacente per la soluzione dei problemi di indebitamento porta a un aggravamento della situazione dei
paesi molto indebitati. Di
fronte a questo dato di fatto, i
ripetuti rifiuti dei creditori di
adottare una soluzione ampia, giusta e duratura per risolvere il problema, sono
condannabili rispetto ai milioni di persone che patiscono la fame e la povertà estrema nei paesi in questione. Il
quadro degli alleggerimenti
del debito attualmente in atto (iniziativa Ppte, Paesi poveri fortemente indebitati) è
inadeguato:
- troppo pochi paesi: i criteri di selezione sono inadeguati. Mentre il problema del
debito coinvolge la maggior
parte dei paesi in via di sviluppo, i paesi potenzialmente beneficiari sono appena
una trentina, e il loro debito
complessivo rappresenta solo un decimo del debito dei
paesi in via di sviluppo;
- troppo pochi alleggerimenti del debito: la logica
della «sostenibilità» portata
avanti dalle istituzioni finanziarie internazionali nell’ambito dell’iniziativa Ppte, non
è accettabile tenuto conto dei
bisogni di finanziamento di
questi paesi per lottare contro la povertà;
- troppo lento: la maggior
parte dei paesi cominceranno a usufruire di alleggerimenti del debito solo fra alcuni anni. Nel frattempo i
rimborsi continuano;
- troppe «condizionalità»
richieste dai paesi creditori: il
fardello del debito è stato e
uniti in questo «club» in cui
le decisioni vengono prese
nella massima opacità, sono
al tempo stesso giudice e paite e troppo spesso impongo,
no i loro interessi ai debitori
isolati, qualunque ne sianole
conseguenze economiche,
sociali 0 ambientali.
resta oggi uno strumento privilegiato per imporre i programmi di aggiustamento
strutturale definiti dal Fmi e
dalla Bm. Nonostante riforme della politica di queste
istituzioni (i Quadri strategici
di riduzione della povertà),
parzialmente messe in atto a
seguito delle critiche, la logica dell’aggiustamento strutturale rimane in vigore e condiziona tuttora gli alleggerimenti di debito.
Il caso francese
Benché la Francia sia im.
pegnata oggi in un processo
di alleggerimento dei suoi
crediti nei confronti dei paesi
più poveri, le rimane comunque ancora molto da fare,
Anche se va oltre allo stretto ;
ambito dell’iniziativa Ppte
proponendo misure di alleggerimenti supplementari, la
Francia si rifiuta tuttoradi
annullare l’integralità dei
suoi crediti nei confronti dd
Ppte. D’altra parte essa si rifiuta, contrariamente ad altri
paesi creditori, di prendere in
considerazione il caso dei
paesi poverissimi attualmente esclusi dall’iniziativa.
D’altra parte siamo contrari al metodo del rifinanziamento tramite doni scelto
dalla Francia per il trattamento dei crediti di Aiuto
pubblico allo sviluppo (versamento di un dono equivalente al posto di un annullamento delle scadenze). Questo meccanismo non è un annullamento dato che il paese
continua a rimborsare il suo
debito e rimane debitore nei
confronti della Francia. Questo rivela, a parer nostro, una
volontà della Francia di conservare un ascendente politico su questi paesi. Questo
meccanismo è un’ulteriore
’ «condizionalità». Ora, g^anzie sull’utilizzo dei fondi non
giungeranno da un’accurnfr
lazione di «condizionalità
bensì dal rafforzamento della
democrazia. ,
Del resto la Francia non o
fre, nonostante alcuni ptH'
gressi registrati, tutte lega
ranzie di trasparenza, in P"
ticolare circa la storia dei P
stiti e circa i flussi di rimW
attuali. La questione de
Gli altri paesi del Sud
Il processo attuale non offre soluzione per il debito
dell’insieme dei paesi del
Sud. Selezionando un elenco
ristretto di paesi, ritenuti i
più poveri e i più indebitati,
secondo criteri definiti in
modo unilaterale, i creditori
si rifiutano di affrontare la
questione di una soluzione
per l’insieme dei paesi del
Sud e in particolare dei paesi
a reddito intermedio. Questi
paesi rimangono oggi interamente confrontati con il problema del debito e con il sistema del «Club di Parigi»
(che riunisce i principali paesi creditori) davanti al quale
difficilmente essi possono far
valere i loro diritti. 1 creditori.
delle società civili ji
dei fondi disimpegnati o.j
annullamenti del
ne in sospeso. La ,q.
assume pienamente le P
prie responsabilità allm
, delle istituzioni fmanzi^^“,
ternazionali, in P^dicol" .
spetto alla questione del
to multilaterale. In eoe J
con la sua logica bilater®'
con quella dell’insiem ^
paesi del G7, essa ,5
promuovere l’annulla
del debito multilaterale,
non è il caso oggi. ,
(4-contin^^
906-20^'
Firn Information, ^ ¡.,premarzo-maggio
parato da un <^ollettnto f'
che raggruppa „„p»..laiche e confessionali, P
da «Mission», mensile
di missione e rapporti
nuli Defap.
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(Traduzione di J'i-^
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