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Anno 122 - n. 15
11 aprile 1986
L. 600
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a: casella postale - 10066 Torre PeUìce
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
Quando il week-end di Pasqua
per data e tempo splendido coincide come quest’anno con il primo apparire della primavera, l’esodo su quattro ruote dalle città diventa imponente. Esso raggiunge il suo punto culnùnante
il giorno di Pasquetta, giorno di
tradizionale picnic sull’erba,
anche per chi non ha possibilità di pernottare fuori casa e
concentra perciò in quella giornata il giro di boa che si mette
l’inverno alle spalle.
Che il tutto non sia idilliaco,
proprio per la massa incredibile di gente che intasa le strade,
è cosa risaputa. Ce lo ha rappresentato in TV la sera di Pasquetta, con delizioso umorismo, Simona Marchini, riuscendo a mantenere vivo un lunghissimo monologo in cui pur guardando il suo simpatico viso « vedevi » il metro quadrato di erba sotto un pino conquistato
per il picnic, il ragazzino che
nel parossismo del rientro vomita in auto per il fumo e le
frenate, il marito che una volta
abbandonata l’auto definitivamente imbottigliata si avvia verso casa seguito dalla moglie carica di tutte le masserizie perché « il mio Roby » — dice la
Marchini con un sorriso pieno
di tranquilla ironia — lavora
tanto per non far mancar nulla
alla famiglia...
Ma nonostante gli aspetti negativi, la scampagnata di Pasquetta appare tutto sommato
come un segno di sana vitalità
e un indizio di benessere ormai
allargato alle masse.
Con l’altra faccia della medaglia ci si scontra magari una
settimana dopo, quando si legge
sul giornale un trafiletto che informa sui nuovo record stabilito nei giorni di Pasqua al Casinò di Saint Vincent, Val d’Aosta, dove sono stati incassati
più di due miliardi, con un incremento del 57,5% rispetto agli
stessi giorni dell’anno scorso.
E’ solo un indizio di un’altra
Italia, molto meno idsibile, di
persone che non si accalcano
con altre, che hanno luoghi sontuosi e costosissimi passatempi,
che possono per esempio permettersi il lusso di sperperare
in urta sera manciate di milioni
con la stessa rapidità con cui li
hanno ammassati, evidentemente senza andare per il sottile.
Onesti gli uni e disonesti gli
altri? Sani quelli e putridi questi? E’ chiaro che non si può
generalizzare e semplificare. Eppure in un certo senso questi
due aspetti del week-end di
Pasqua mi paiono simboli di due
Italie che continuano a convivere. Una massa di gente comune che vive, lavora, produce, costruisce; e una minoranza, di gente che si crede al di sopra del
diritto comune, che si arricchisce con tutta lina gamma di illegalità di cui una parte arriva
sulle prime pagine dei giornali:
sofisticazione al metanolo, corruzione petrolifera, mafia...
Si appartiene alla prima perché non si è avuta l’occasione
di far parte della seconda? C’è
chi lo sostiene. Ma sicuramente
si fa parte dell’Italia che ruba
perché non si è capaci di essere
uomini senza barare.
Franco Giampiccoli
L’ACCORDO FIRMATO DAL PRESIDENTE CRAXI E DAL MODERATORE BOUCHARD
La nuova Intesa toglie spazio
alla cattiva volontà altrui
Modificato i’articoio che prevedeva ia maggiore età per decidere suii’ora di reiigione, usato
come aiibi da chi non vuoi riconoscere questo diritto a tutti gii studenti deiie superiori
Ci sono voluti trent’anni per
giungere alla firma della prima
Intesa. Ne sono bastati due per
arrivare alla seconda. Ma non
si è trattato di una delle Intese
con altre confessioni religiose,
per cui sono da tempo in corso
trattative (ebrei, pentecostali,
avA^entisti), bensì di una modifica all'Intesa « valdese-metodista », quella sottoscritta due anni fa e divenuta legge n. 449 del
1984.
E’ una piccola modifica resa
necessaria dalla decisione da
parte dello Stato di affidare direttamente agli alunni delle
scuole superiori la dichiarazione di avvalersi o di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. Lo ha stabilito
la risoluzione approvata dalla
Camera dei deputati in gennaio;
e poiché per dare agli studenti
questo diritto è necessaria una
apposita legge, molte forze politiche hanno presentato in Parlamento apposite proposte, a cui
il Governo ha in questi giorni
aggiunto la prqpria. Ma un ostacolo all’approvazione di questi
progetti era costituito dal testo
dell’art. 9 della nostra Intesa,
dove si parlava di dichiarazione
degli studenti maggiorenni. Giustamente ha osservato Giorgio
Peyrot su queste colonne che
l’intenzione della parte valdesemetodista nell’approvare quel
testo era chiarissima: confermare solennemente il diritto di non
avvalersi delle lezioni di religione, rimettendosi, per i particolari applicativi (tra cui l’età), alla legislazione vigente dello Stato. Di qui il riferimento alla maggiore età che era, in quel momento, necessaria per operare
una simile scelta. Se lo Stato
avesse scelto di abbassare la
maggiore età, non vi sarebbe
stato bisogno di modificare l’Im
tesa. Tutti i progetti presentati
in Parlamento seguono però
un’altra via: ferma restando la
maggiore età (art. 2 del codice
civile: « La maggiore età è fissata al compimento del diciotte
simo anno. Con la maggiore età
si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non
sia stabilita un’età diversa »),
stabiliscono il diritto di dichiarare se avvalersi o non avvalersi delle lezioni di religione an;
che per gli studenti minorenni
purché iscritti alle scuole superiori. Con una soluzione del genere, il testo della nostra Intesa
era oggettivamente incompatibile.
Della cosa si accorsero subito
sia gli oppositori che i fautori
della scelta affidata a^i studenti. Da parte dei primi, già nel
dibattito parlamentare di geiinaio e poco dopo con un articolo di Civiltà Cattolica, si spiegò che l’attuazione di quanto deciso in materia dalla Camera
dei deputati era impossibile proprio perché vietato dall’Intesa
con la Tavola valdese. Mentre i
fautori fecero pressioni, nelle
Commissioni parlamentari, sul
Governo perché prendesse contatti con la Tavola stessa al fine
di rimuovere l’ostacolo. Il che fu
fatto dalla Presidenza del Consiglio.
Di fronte alla richiesta dello
Stato di modificare sul punto
l’Intesa, non vi potevano essere
grosse obiezioni: come si_ è visto, non vi erano _ rnotivi per
trincerarsi sulla richiesta della
maggiore età. E vi era anzi un
preciso interesse a non fungere
da alibi per la cattiva volontà
altrui.
L’Intesa sottoscritta il 3 aprile stabilisce pertanto che il diritto di non avvalersi delle pratiche e delTinsegnamento religioso cattolico « è esercitato, ai
sensi delle leggi dello Stato, dagli alunni o da coloro a cui compete la potestà su di essi ». Quindi nulla cambia, per il_ momento; ma l’Intesa non è più d’ostacolo al cambiamento, con legge dello Stato, dell’età richiesta
per l’esercizio del diritto in questione: al suo abbassamento,
cioè, come verrà probabilmente
deciso nelle prossime settimane
dal Parlamento (e teoricamente
anche al suo innalzamento).
TRA PASQUA E ASCENSIONE - 2 „
il Signore che decide
In seguito Gesù si fece vedere di nuovo ai discepoli in riva al
lago di Tiberiade. Ed ecco come avvenne: Simon Pietro, Tommaso
detto Gemello, Natanaèle (un Galileo della città di Cana), i figli
di Zebedèo e altri due discepoli di Gesù erano insieme. Simon
Pietro disse:
— Io vado a pescare.
Gli altri risposero:
— Veniamo anche noi.
Uscirono e salirono sulla barca. Ma quella notte non presero
nulla.
Era già mattina, quando Gesù si presentò sulla spiaggia, ma i
discepoli non sapevano che era lui. Allora Gesù disse:
— Ragazzi, avete qualcosa da mangiare?
Gli risposero:
— No.
Allora Gesù disse:
— Gettate la rete dal lato destro della barca, e troverete pesce.
I discepoli calarono la rete. Quando cercarono di tirarla su
non ci riuscivano per la gran quantità di pesci che conteneva. Allora
il discepolo prediletto di Gesù disse a Pietro; « E’ il Signore! ».
(Giovanni 21: 1-7)
Quando pensiamo alla Pasqua
e a tutto ciò che essa significa
per noi, la immaginiamo sempre come un giorno di grande
gioia. Il Signore è risorto. Il Signore è veramente risorto! Pensiamo ai discepoli, nei giorni seguenti, dopo che tutti hanno visto il Risorto, pieni di esultanza,. di entusiasmo, pronti a correre per il mondo per dire a
tutti che il Signore è risorto.
Ma non è stato così. Giovanni,
l’evangelista che più d’ogni altro si dilunga nel descriverci
questi strani quaranta giorni che
intercorrono ira la Resurrezione
e l’Ascensione, ricorda un episodio ricco di forti contrasti.
Pietro ed altri sei discepoli so
no ritornati in Galilea. Hanno
visto il Risorto, gli hanno parlato, eppure sono tristi, delusi.
E’ stata una bella avventura,
quella vissuta per tre anni con
Gesù. Piena di speranze. E’ stato un dramma pauroso quello
della passione e della croce. Un
dramma tenebroso. E’ stata una
gioia senza confini quella di aver
visto Gesù risorto. Una gioia
sconvolgente. Eppure tutto sembra affondare nella tristezza infinita di quella dichiarazione di
Pietro: « Io vado a pescare ».
Dov’è la baldanza di Pietro « il
confessore della fede »? Dov’è.
l’uomo che ha esclamato: « Anche se tutti gli altri ti abbandoneranno, io non ti abbandonerò
mai »? Nulla è cambiato. Il mondo va come sempre: i Romani
imperversano, la gente è indifferente, gli entusiasmi durano il
tempo di una farfalla. Quanta
amarezza, quanta delusione, ma
anche quanta umanità nelle parole di Pietro: « Io vado a pescare ». « Veniamo anche not ».
Sarà lo Spirito Santo, nel giorno della Pentecoste, che farà
comprendere a questi uomini
delusi tutto il valore rivoluzionario della Resurrezione. Ma per
il momento, nonostante tutta la
loro fede, sono nella tristezza.
Certo, Pietro e gli altri non dimenticano l’esperienza fatta con
Gesù. Ma i frutti non ci sono
stati. In fondo non è servito a
nulla.
« Io me ne vado a pescare! ».
Nella sua sobrietà di linguaggio,
Giovanni si limita a dirci: « Ma
quella notte non presero nulla ».
E non potevano prendere nulla,
non dovevano prendere nulla!
C’era stata nella loro vita una
parola chiara del Maestro che
aveva affidato loro un compito
ben diverso: « Vi farò pescatori
di uomini ». I discepoli (ma non
l’hanno ancora capito!) non appartengono più a loro stessi, non
possono più agire e decidere secondo le loro scelte, le loro idee
e — direi — neppure secondo le
loro necessità personali. Ingaggiati in un’impresa diversa da
qualunque altra, non redditizia,
irta di difficoltà e di problemi,
Piero Bensì
(continua a pag. 12)
Si poteva semmai discutere
sullo strumento da usare: una
formale modifica delTIntesa. con
un procedimento quindi identico a quello che portò nel 1984
alla sua firma ed alla sua approvazione da parte del Parlamento? Oppure una soluzione intermedia, analoga a quella degli
accordi Falcucci-Poletti sulle lezioni di religione? In altre parole: un accordo solenne, che andrà in Parlamento (forse sproporzionato alTeffettiva_ portata
della questione) o la via di una
trattativa « interpretativa », nei
corridoi, con molti lati oscuri?
La linea prescelta è stata la
prima: innanzitutto per una
doverosa forma di chiarezza verso l’opinione pubblica, interna
ed esterna alle nostre chiese. Di
pasticci procedurali e di zone
d’ombra, nella vicenda dell’insegnamento della religione, ce
ne sono già stati troppi: non era
il caso di mettercisi anche noi.
In secondo luogo l’art. 20 dell Intesa del 1984 (che prevede appunto la stipula di nuove Intese quando le parti ne ravvisino la necessità) veniva in questa occasione applicato per la prima
volta: ed è meglio per tutti che
se ne sia affermata una interpretazione che valorizza al massimo lo strumento dell’Intesa,
escludendo la possibilità di modifiche unilaterali o di sub-accordi poco chiari. Infine, si è dimostrato (e su iniziativa dello
Stato) che un’Intesa, se necessario, può essere conclusa con
la massima rapidità. Sono altrettanti chiarimenti che potranno essere utili in futuro.
Gianni Long
(Il testo completo dell’Intesa
è pubblicato a p. 2).
2
2 fede e cultura
Il aprile 1986
TRA I LIBRI
Emma e io
Emma, la Emma del titolo, è
una cagna labrador dal pelo color cioccolata, addestrata come
guida per ciechi. E « io » designa Sheila Hocken, l’autrice. Appaiono insieme nella foto di copertina, che però potrebbe essere tecnicamente migliore.
Nata in Inghilterra nel '46, in
una famiglia in cui tutti presentano gravi difetti di vista, Sheila
è affetta da cataratta congenita
ereditata dal padre, e fin da piccola le sue deficienze visive sono gravissime: « E^vevo avere
cinque o sei anni, penso, quando cominciai a domandarmi perché gli altri bambini non andavano a sbattere contro le pareti e non incespicavano sulle scale come accadeva a me ». Al termine della scuola — la scuola
normale che la famiglia ha voluto per lei, a ritardarne il più
possibile l’emarginazione — Sheila trova impiego come telefonista. Ma a diciannove anni è cieca: riesce solo a distinguere il
buio dalla luce, e raggiungere la
sede di lavoro le è difficilissimo,
tanto più che si vergogna di ammettere la sua menomazione e
di chiedere aiuto.
Consigliata dall’assistente dell’Ente per i Ciechi, Sheila fa la
domanda per ottenere un cane
guida; avviene così rincontro
con Emma, in un istituto creato
su misura per i ciechi, dove la ragazza si trova una volta tanto
perfettamente a suo agio. « Ecco finalmente un posto dove la
gente capiva realmente che cosa
significasse essere ciechi ».
Molto interessante è tutta la
parte che descrive il mese di apprendistato in cui ragazza e animale imparano ad adattarsi l’uno
all’altra: Sheila impara i segnali per comunicare col cane, Emma accetta la nuova padrona
trasferendo su di lei l’affetto e
l’obbedienza per l’istruttore.
La presenza del cane è determinante per la vita di Sheila:
dandole finalmente l’indipendenza, le permette di eliminare vergogne e tabù: « ...non m’importa un accidente se si vede che
sono cieca! Anch’io sono capace
di vedere: ho Emma e non mi
occorre altro ». Ora Sheila può
andare al lavoro e in autobus
senza problemi, frequentare le
scuole serali, andare nei negozi,
allacciando nuove amicizie con
persone attratte da Emma;
mette su casa per conto suo,
collabora a un programma radiofonico per i ciechi, tiene conferenze sull’utilità dei cani guida in scuole, associazioni, comunità; inizia una lunga relazione
amorosa che sfocia nel matrimonio.
Per una decina d’anni Sheila
si muove grazie ad Emma, finché un’operazione riuscita le
permette finalmente di vedere;
Emma rimane con lei, finalmente senza responsabilità.
Il libro esce in traduzione italiana alcuni anni dopo che in
Inghilterra; scritto per mettere
a parte della sua esperienza gli
altri, è la prima prova dell’autrice; e benché di una prima
prova abbia qualche ingenuità
di stile, qualche sfumatura un
po’ scolastica, rimane tuttavia
una prima prova più che buona.
Ha inoltre la qualità insostituibile di essere una narrazione di
prima mano, che ci mostra « dal
di dentro » problemi e difficoltà
di una persona cieca. E’ così dal
punto di vista di una cieca che
vediamo il comportamento dei
vedenti: le mancanze di buon
senso, di buona educazione, di
tatto commesse con buone intenzioni; la gentilezza che diventa offensiva, la sollecitudine
irriflessiva che spinge a trattare
un cieco come un bambino non
autosufficiente.
E tuttavia Sheila stessa mostra un sentimento di imbarazzo nei confronti degli handicap
altrui, confessando il suo disagio nel parlare in un’assemblea
di ciechi, o in una scuola per
bambini fisicamente invalidi,
dove scopre che lei e loro si
compiangono reciprocamente.
Come trama e come tono della narrazione, il libro si divide
in due parti di lunghezza diversa, prima e dopo il recupero della vista; ed essere riuscita, pur
inesperta, a rendere la vicenda
quasi con due linguaggi diversi,
va a tutto onore dell’autrice.
Pur scrivendo ormai con una
esperienza di vedente, è riuscita
a rievocare la sua vicenda da
cieca, senza cioè inserire (solo
un paio di volte ha commesso
l’errore di farlo) con la conoscenza acquisita in seguito, descrizioni visive di ciò che nel
momento narrato non poteva
vedere.
Leggendo la prima parte del
libro rimangono così nella mente situazioni, fatti, persone, resi
attraverso impressioni tattili e
uditive, ma non immagini; e non
per mancanza di vivacità narrativa, ma perché si descrive un
mondo che è senza immagini,
un mondo cieco.
Ben diversa la seconda parte,
uno scoppio di intense impressioni visive rese con vivezza; le
straordinarie, luminose macchie
di blu e di verde (i camici delle
infermiere) che la colpiscono
per prima cosa appena tolte le
bende; i fiori che le mandano in
clinica; l’erba lungo le strade; il
viso delle p>ersone care; il pelo
di Emma, marrone, ma con
« cento sfumature »; il proprio
viso; la _ bellezza di un negozio
di fruttivendolo dove « comperai dei pomodori perché avevano il colore più bello ».
E c’è anche il rovescio della
medaglia, difficile da immaginare per chi vede. « Quando Don
mi portò l’indomani mattina
una tazza di tè, la guardai senza
riuscire a stabilire di che cosa
si trattasse finché non l’ebbi toccata ». Sheila non può riconoscere quello che vede: l’immagine
sconosciuta non suggerisce niente alla sua mente, finché non
tocca l’oggetto, così da mettere
in relazione la nuova esperienza
visiva con la vecchia esperienza
tattile. Non riesce a coordinare
i movimenti basandosi sul senso
della vista; per la strada è terrorizzata vedendo muoversi case, ombre, alberi al ritmo del
suo passo, tanto da chiudere
gli occhi e riaffidarsi a Emma.
E trova orribili, repellenti altre
cose; il suo naso, le mani sue e
degli altri. Ora Sheila deve imparare a vedere, imparare a vivere da vedente come ha imparato a vivere da cieca.
Anche queste difficoltà transitorie, come le più drammatiche esperienze iniziali, sono viste con un umorismo sorridente
e tranquillo che deriva da un
semplice ottimismo rivelato nella maniera di affrontare il rischio. La madre di Sheila ha rischiato mettendola al mondo:
« ...chiesi a mia madre se prima
della mia nascita non le fosse
mai venuto il dubbio che potessi nascere con la vista menomata, e rimasi sbigottita quando mi rispose che non sapeva
come sarebbe andata a finire,
ma di essere stata comunque
disposta a correre il rischio...
Mi chiese allora se la vita da
me vissuta fino a quel momento mi fosse piaciuta e se, nonostante i problemi, non fosse valsa veramente la pena di viverla ». E Sheila ha rischiato mettendo al mondo la sua bambina;
« Aspettiamo soltanto che una
nostra preghiera venga esaudita; che Kerensa sia in grado
di vedere ».
E’ un ottimismo non problematico, ma d’altro canto può
suscitare problemi nel lettore
che vorrebbe vedere il tema
più approfondito; è preferibile
non mettere al mondo figli se si
teme che siano fisicamente menomati? O è preferibile rischiare con un atto di fiducia, nella
speranza di metterli comunque
in grado di vivere una vita piena? Ci sarebbe molto da dire
su entrambe le tesi, ma nel libro il problema è appena accennato.
D’altra parte rautrice non è
tenuta a renderci conto delle
scelte private sue e della sua
famiglia; né, in « Emma e io »,
ha voluto darci un trattato di
etica; ha voluto semplicemente
parlare delle sue esperienze di
cieca e raccontare lo speciale,
ricchissimo rapporto col suo cane guida; e in questo è pienamente riuscita.
Roberta Colonna-Romano
Sheila Hocken, Emma e io^ ed.
Longanesi, 1984, 190 pagine,
L. 14.000.
La nuova Intesa
INTESA TRA IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA E LA
TAVOLA VALDESE, IN A'TTUAZIONE DELL’ARTICOLO 8,
COMMA TERZO DELLA COSTITUZIONE.
Art. 1
La Repubblica italiana e la Tavola Valdese, richiamandosi ali'art. 8
deila Costituzione, ravvisata l’opportunità di modificare il comma
secondo dell’art. 9 dell'intesa stipuiata il 21 febbraio 1984 e approvata con legge 11 agosto 1984, n.
449, convengono, a termini del secondo comma deH’art. 20 dell’Intesa predetta, che la presente Intesa sostituisca ad ogni effetto il
suindicato comma secondo dell’art. 9.
Art. 2
Il comma secondo dell’art. 9 delrintesa stipulata II 21 febbraio
1984 e approvata con legge 11 agosto 1984, n. 449, è così ntodificato; « La Tavola valdese prende
atto che la Repubblica italiana nell'assicurare l'insegnamento della
religione cattolica nelle scuole
pubbliche non universitarie di ogni
ordine e grado, riconosce agli alunni di dette scuole, al fine di ga
rantire la libertà di coscienza di
tutti, il diritto di non avvalersi
delle pratiche e deH’insegnamento citttolico. Tale diritto è esercitato, ai sensi delle leggi dello
Stato, dagli alunni o da coloro cui
compete la potestà su di essi ».
Art. 3
Il Governo presenterà in Parlamento apposito disegno di legge
di approvazione della presente Intesa, ai sensi dell’art. 8 della Costituzione.
Art. 4
Le parti concordano nel precisare che, a partire dalla data di entrata in vigore della legge di approvazione della presente Intesa, il
comma secondo dell’art. 9 della
legge 11 agosto 1984, n. 449, è
sostituito, a tutti gli effetti, dalla
corrispondente disposizione della
predetta legge di approvazione.
Roma, 3 aprile 1986
G. Bouchard B. Craxi
SONO PER IL Sr
Caro Direttore,
sai mdito bene quanto amo I’« EcoLuce » e sai anche che, se talvolta
non sono pienamente d’accordo su taluni orientamenti, ritengo del tutto utile che II nostro giornale sia l'espressione di pensieri diversi che conducono M cristiano ad approfondimenti alla luce dell'Evangelo.
Permettimi però questa volta di esprimere il mio rammarico sul titolo
di un articolo, titolo ohe sono certo
non è uscito dalla penna di chi ha
scritto tale articolo, ma è nato in redazione.
E’ il titolo « 8 per mille: Un iiwito
alla saggezza » apparso sul n. 12 del
21 marzo che è, a mio avviso, nettamente strumentalizzante, tanto più —
poi — se condito in fondo pagina con
la cupola di ■■ S. Pietro ».
Mi ero ripromesso di non intervenire sulla questione « 8 per mille » con
articoli che esprimano il mio pensiero, riservandomi se del caso di farlo,
Dio volendo, in Sinodo, Ho peraltro
apprezzato, pur non condividendone
l’orientamento, quanto — in ordine alfabetico — scritto da te, da Giorgio
Peyrot e da Aldo Ribet.
Esposizioni chiare, che portano un
serio contributo al dibattito in corso,
ma « esposizioni » e non « strumentalizzazioni ».
E credo che ti avrei espressa questa mia critica, consentimi il termine,
anche se il mio orientamento fosse il
vostro.
Ma a questo punto mi sento moralmente costretto a dire che io sono
invece per il SI'. Perché?
Non mi addentro in un dibattito, ma,
mettendo i piedi per terra, evidenzio
da quali basi parte il mio orientamento, basi che possono essere certamente contestate, ma che sono, ritengo, una realtà a prescindere da tutti
gli orientamenti — taluni dei quali
non esaurientemente motivati — fin
qui espressi per il SI’:
1) Quei » soldi ” non sono dello
Stato. Se io rinunzio ad una cosa,
quella cosa non è più mia.
2) Quel « soldi • sono di cittadini
italiani soggetti a contribuzione fiscale e poiché lo Stato non li vuole, lascia che il contribuente ne indichi la
destinazione (e se la destinazione non
viene indicata, sappiamo quale « perfida » ripartizione avranno quei soldi).
Deve essere quindi il cittadino italiano — cioè noi — e non la Chiesa
che impone allo Stato la destinazione
di quella somma ripudiata dallo Stato
stesso.
3) La destinazione da me voluta,
cioè il SI’, non la ritengo in contrasto
con la mia spiritualità ed i miei principi che 60/SI/85 così fermamente
esprime, poiché il fisco verserà alla
Chiesa quanto •< io », e non la Chiesa,
ho voluto che così fosse perché è
mio diritto farlo.
4) La Chiesa pertanto, e ciò dovrà
risultare in modo esplicito, chiederà
prima dei noti 10 anni, una aggiunta
alle Intese in quanto l'insieme dei
singoli le dà mandato di chiedere per
nostro conto l’applicazione di una disposizione di legge non esistente allorché le Intese sono state firmate.
5) E la Chiesa, per noi evangelici,
non è un Ente che agisce di motu proprio, ma è un assieme di credenti che
l'Evangelo ha chiamati a libertà.
6) E ■> quei soldi » non possono
destare una preoccupazione per come
amministrarli, come molti paventano.
Siamo abbastanza cresciuti, ed abbiamo
abbastanza esperienze in campo amministrativo per saper condurre una
corretta amministrazione, non soggetta a pagamenti di tangenti nella destinazione dei fondi; e ciò potrà essere
motivo di testimonianza in un combattimento contro la corruzione oggi così
diffusa.
Ben vengano gli inevitabili controlli che per legge la Corte dei Conti
dovrà effettuare: sarà un campo ove,
in coerenza della esortazione di Paolo
a Timoteo, potremo essere di esempio
in questo Paese ove siamo chiamati ad
operare.
Ecco, a grandi linee, il perché del
mio sr per « l’8 per mille » e per la
« Defiscalizzazione », mentre netto è
il mio NO per l’INVIM, nello spirito di
60/SI/85.
Ugo Zeni, Roma
TURBAMENTO
Caro Direttore e cara Redazione de
La Luce »,
sono rimasta ancora una volta profondamente turbata daH'argomento relativo alla precisazione del pastore
Franco Giampiccoli dal titolo: « Il diavolo e i Valdesi » apparsa su « La Luce » del 21 marzo 1986, n. 12, pag. 3
in risposta ad un articolo di Renzo
Allegri sul settimanale « Gente » in
cui un anonimo esponente della « chiesa di Satana » sosteneva che essa
trae le sue origini nelle ” sette medioevali » tra cui i Valdesi.
Bene ha fatto il direttore del nostro
giornale a precisare l'origine sia storica che teologica della chiesa a cui
apparteniamo, ma il mio turbamento
non è stato alleviato. Ben si sa che
questo •' movimento » della « chiesa
di Satana » non è circoscritto solamente alla città di Torino di cui si parla
e si legge dai giornali. Si sa, ma non
se ne parla!
E' di poco tempo fa che un membro della nostra chiesa, in Parma, in
un suo intervento e preghiera domenicale, ha denunciato la presenza di que
sti adepti di Satana nella suddetta città; ed è sempre di poco tempo fa la
denuncia, sempre fatta in ambito della
nostra chiesa a Parma, di una scritta
murale inneggiante a Satana nei pressi del luogo di culto: nessuno si è
presa la briga di cancellarla! eppure
siamo così pronti, proprio noi, a prendere penna e carta per scrivere lunghi
articoli teologicamente densi sedotti!
Ma c'è di più: ieri mi è capitato
sott’occhio un semplice bollettino parrocchiale, di parte cattolica ovviamente, di una chiesa della mia città, in
cui vi era un articolo ohe metteva in
guardia i fedeli, i parrocchiani da
questo funesto fenomeno che si sta
espandendo tra ceti medio alti e la
cui presenza è provata anche a Reggio Emilia a causa dei numerosi furti
di ostie consacrate (4 furti in 4 chiese diverse in pieno centro nel giro di
20 giorni senza contare quelli avvenuti in sperdute chiese di campagna).
Come si sa il rubare l'ostia consacrata, l'Eucarestia, il corpo di Cristo,
è il primo atto, una terribile prova di
ammissione alla « chiesa di Satana •
e serve per misurare le intenzioni e
la disponibilità a fare del male, dell'adepto: si giura eterno odio verso
Colui che ha veramente sconfitto il
Male con la Risurrezione.
Turbamento e sconcerto, ma non
deve essere certo il timore o la paura a fermarci nel parlarne! e tanto meno a sottovalutarne gli aspetti! Non voglio trarre conclusioni né teologiche
né sociologiche, ma solo invitare tutti
i pastori e i credenti a pregare individualmente e collettivamente, per
tutti coloro che hanno talmente paura del Nemico da assoggettarsene, da
adorarlo.
.. Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la
via che mena alla perdizione, e molti
son quelli che entran per essa. Stretta
invece è la porta ed angusta la via
che mena alla vita, e pochi son quelli
che la trovano » (Matt. 7: 13). Che
il Signore ci aiuti!
Laura Gasparini, Reggio Emilia
ALDO LONG
Non sempre siamo stati d’accordo
con le sue idee, ma sempre abbiamo
avuto in lui un amico che ti vuol
bene, non ti lascia solo. Legato con
una vasta famiglia della comunità di
Roma Piazza Cavour, seppe reagire,
cercare,. conversare con le nuove generazioni, dissentendo spesso, non
spezzando mai un vincolo più forte e
più duraturo. Egli seppe cosa è una
comunità che ti accoglie, ti rende
partecipe di una testimonianza, che
resiste alle ore del dubbio, della tristezza e della solitudine.
Così affrontò i lunghi giorni della sofferenza. Ed ora, dove il tempo cede
all'eternità, siamo ancora una volta
riconoscenti al Signore che ci dona
dei compagni di fede e ci promette
la liberazione dalle nostre debolezze e
■malattie e dai nostri limiti, con la visione di una terra nuova e di nuovi
cieli. Carlo Gay. Firenze
3
11 aprile 1986
fede e cultura 3
CONFESSARE CRISTO SENZA RINUNCIARE ALL’EBRAISMO
Gli Ebrei messianici,
un segno dei tempi?
Da « Credere e Comprendere » riprendiamo un articolo di Anja
Kolehmainen, missionaria luterana finlandese che da diversi anni
vive in Italia. L'autrice ha compiuto alcuni viaggi in Israele e sente
una speciale vocazione a lavorare per il Signore tra gli ebrei.
Negli ultimi anni è diventato
quasi "di moda” cercare le proprie radici. Anche le chiese cristiane sono alla ricerca, e stanno
scoprendo le loro radici nelFebraismo e nel piccolo paese di
Israele.
Là, nella città di Gerusalemme, nacque la prima chiesa cristiana, quasi duemila anni fa.
Era una comunità giudeo-cristiana, e tutti i membri erano ebrei.
Questo fatto ci porta a chiederci se esistono ancora oggi degli
ebrei cristiani; se no, dove sono
andati a finire?
Fino alla fine del quarto secolo esistevano gruppi giudeo-cristiani, ma in seguito la chiesa
"pagana” li costrinse di fatto a
sparire, forzandoli a rinnegare la
loro origine ebraica. I gentili volevano cambiare le date delle feste bibliche, come la Pasqua, che
aveva un grande significato per
gli ebrei. Solo im paio di secoli fa si cominciò di nuovo a
sentir parlare di questo gruppo
di ebrei cristiani.
Oggi gli ebrei cristiani preferiscono chiamarsi « ebrei messianici ». Le ragioni sono almeno
due. Una è la storia della chiesa
cristiana, che alle loro menti ricorda le crociate, l’inquisizione
e le persecuzioni. L’altra è semplicemente il fatto che non si
sentono “cristiani” come lo siamo noi, gentili. Si sentono ebrei
come erano gli apostoli e Gesù
stesso, che era nato da una madre ebrea. « Non sono obbligata
a diventare prima gentile (pagana) per poter credere in Gesù
come Messia », ha detto una credente israeliana.
Questo movimento può essere
trovato, in forme diverse, almeno in tre parti del mondo: in
America, in Europa e in Israele.
In America, negli anni 1960-70, c’è
stato il « Jesus-movement » che
ha portato un risveglio anche
tra gli ebrei. Qggi questo movimento si chiama « Jews for Jesus » e ha delle sinagoghe me.ssianiche.
Anche in Europa, almeno a
Londra e a Parigi, esistono già
delle chiese o comunità messianiche.
Comunità cristiane
costituite da ebrei
Non si può sapere con esattezza il numero degli ebrei messianici in Israele, ma probabilmente
deve aggirarsi tra 1.000 e 2.000.
I credenti messianici appartengono a tante chiese o gruppi diversi (in Israele ci sono almeno 30
gruppi protestanti), e precisamente:
— a piccoli gruppi indipendenti di circa 5-25 membri;
—- alle chiese storiche e denominazionali;
— alle comunità messianiche.
Anche alla chiesa cattolica appartengono circa 200 ebrei;
Le chiese denominazionali che
hanno il maggior numero di ebrei
sono; la chiesa battista, la chiesa luterana, la chiesa anglicana
e la chiesa pentecostale.
Le comunità messianiche si distinguono dalle altre chiese in
quanto sono guidate da Israeliani. Qgni comunità ha gli anziani,
ohe non ricevono uno stipendio
per il loro lavoro. La struttura
delle comunità messianiche assomiglia molto a quella delle
chiese dei Fratelli.
Anche se in Israele c’è una
grande varietà di chiese e gruppi,
c’è lo stesso molta collaborazione e comunione tra loro. I credenti si conoscono l’un l’altro e
si incontrano in diversi convegni
durante l’anno. Questi convegni
sono organizzati dal Consiglio
delle Chiese Israeliane (UCCI),
un’organizzazione nata nel 1956
per curare gli interessi dei cristiani nei loro rapporti con lo
Stato. L’UCCI pubblica anche letteratura cristiana: nel 1976 ha
fatto uscire la nuova traduzione
del Nuovo Testamento in ebraico
moderno.
Il gruppo messiànico deve lot
tare molto per trovare la propria identità ebrea e cristiana
nello Stato ebraico di Israele. Secondo la legge, una persona è
ebrea solo se ha la madre ebrea
e non ha cambiato religione. Chi
è battezzato e lo dice pubblicamente rischia di perdere l’ebraicità davanti alla legge (non la cittadinanza). Da parte dei gruppi
fanatici religiosi, le comunità
hanno subito tanta opposizione,
fino al punto che alcune chiese
sono state bruciate. Tutto questo
ha causato il fenomeno dei « cristiani nicodemiti », cioè i credenti segreti, che in Israele esistono.
Vivere come vivevano
i primi cristiani
Le comunità messianiche vogliono vivere come i primi cristiani. Festeggiano le feste bibliche ebraiche, anche se con un
nuovo significato. Il sabato è per
loro il giorno del riposo, come è
naturale per tutti in Israele. Il
culto con Santa Cena si fa molto
snesso di domenica sera.
La concezione della Bibbia è
molto conservatrice o fondamentalista. Si legge molto il Vecchio
Testamento, perché tutto il libro
è visto adesso alla nuova luce
profetica.
L’atteggiamento dei credenti
messianici verso lo Stato d’Israele è di massima solidarietà. Vedono la nascifa di Israele come un
primo passo verso l’adempimento di tutte le promesse di Dio
per il popolo; e in modo particolare aspettano quel giorno in cui
il Signore Gesù, il Messia, poserà i piedi sul Monte degli Ulivi
e darà inizio al Millennio.
Durante un viaggio in Israele,
nel 1984, ho avuto occasione di
visitare la comunità messianica
di Gerusalemme e di partecipare
al culto del sabato mattina. E’
stato un po’ difficile trovare il
luogo di riunione perché non
c’era nessun cartello sulla casa.
Fanno così apposta, per non irritare inutilmente i loro vicini, gli
ebrei ortodossi della « Mea Shearim », una strada famosa, abitata proprio dagli ortodossi più
estremisti. All’interno la sala assomigliava molto ad una qualsiasi chiesa evangelica, fatta eccezione per un grande candelabro a sette braccia, che era l’unica decorazione della chiesa. La
lingua usata nel culto era l’ebraico. Dopo aver spiegato il significato della Santa Cena, il pane e
il vino furono distribuiti a tutti
quelli che volevano partecipare.
Mi sono sentita come a casa, a
lodare il Signore con questi fratelli ebrei, sapendo che per mezzo del loro Messia, Gesù, loro ed
io abbiamo « accesso al Padre in
un medesimo Spirito » (Ef. 2: 18).
Difficoltà e speranze
segno di vocazione
Seguire Gesù significa anche
incontrare persecuzioni, almeno
nella maggior parte dei paesi che
si trovano fuori dell’Europa « cristiana » (e qualche volta anche
qui). Israele non è un’eccezione.
A Tiberiade andai a visitare una
famiglia credente, che abitava in
un grande palazzo moderno. Arrivata davanti al loro appartamento_, vidi con orrore che la
porta era tutta spalmata di pittura nera. Erano stati i loro vicini, degli ebrei ortodossi.
I credenti messianici sopportano queste cose con l’aiuto del
Sisnore, perché, come dicono,
tutto questo non è che una minima parte di quello che hanno subito gli ebrei da parte dei « cristiani » durante i secoli.
Gli ebrei messianici sono presenti in quasi tutti i popoli della
terra (anche se in un primo tempo la maggior parte di loro proveniva dall’Europa). Ho fatto conoscenza con una coppia formata
da un’ebrea italo-americana e da
un ebreo indiano. Tutti e due
erano venuti in Israele come
nuovi immigrati, e lì hanno trovato la loro vera identità, come
ebrei al cento per cento: hanno
creduto nel Messia d’Israele, e
sono diventati cittadini del paese
promesso da Dio al loro popolo.
Secondo gli ebrei messianici, il
migliore metodo di evangelizzazione è la diffusione della Bibbia.
Un mio amico messianico, uno
psichiatra israeliano, mi ha raccontato la sua conversione, che è
avvenuta dopo che aveva studiato per sei anni l’Antico Testamento e, successivamente, tre anni il Nuovo Testamento. Il Signore si è rivelato a lui tramite
un versetto del profeta Daniele.
Nel suo entusiasmo ha perfino
abbandonato il suo lavoro per an- \
dare, all’età di cinquant’anni, a
studiare ancora più a fondo le
Sacre Scritture in una scuola biblica.
Gli ebrei messianici costituiscono una parte del corpo di_ Cristo,
e per loro siamo chiamati a pregare. Sono loro « i rami naturali,
innestati di nuovo nel loro proprio ulivo» (Rom. 11:24). Questa
è stata l’opera del nostro Dio,
« la cui vocazione è senza pentimento » (Rom. 11: 29). Forse il
loro numero, ancora piccolo ma
continuamente crescente, ci fa
capire che stiamo avvicinandoci
al giorno in cui « sarà entrata la
pienezza dei gentili, e così tutto
Israele sarà salvato » (Rom. Il:
25-26).
Anja Kolehmainen
DALLA STAMPA ITALIANA
Rapporti Stato-Chiese: in Itaiia e in Haiti
Ampia eco, sui giornali italiani, della visita del presidente
Cossiga alla comunità di P. Cavour e alla Facoltà di teologia.
Per buona parte concordi nell’affermare la portata storica
dell’evento, che ha riunito, fra
l’altro, rappresentanti delle altre confessioni religiose, preannunciando anche la prossima intesa tra la repubblica e le comunità israelitiche, i più importanti quotidiani hanno giustamente ed opportunamente messo in rilievo quei passaggi dei
discorsi « semiufficiali » dedicati alle idee di fondo di libertà e
uguaglianza. ,
Il senso che si ricava e che
più o meno a tutti sia parsa
chiara la necessità, nel celebrare una libertà a lungo cercata,
di ricordarsi di chi ancora lotta
per ottenere la propria emancipazione.
Unanimemente riportato il saluto del moderatore Bouchard,
« Con la sua visita, signor presidente, termina anche formalmente l’emarginazione della
componente protestante della
società italiana», La Stampa di
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Torino, Il Messaggero di Roma
e II Manifesto hanno riportato
anche l’osservazione rivolta alla questione degli immigrati:
« gli uomini dalla pelle nera,
quelli che sono nell’Italia di oggi ciò che i nostri padri e le nostre madri sono stati in America, in Francia, in Germania».
« Se le leggi in discussione non
dovessero essere giuste (...) siamo pronti a soffrire lealmente a
motivo di queste leggi in nome
di leggi più alte come ebbe a
dire Martin Luther King » (Marco Politi, sul Messaggero, 18.2).
Più in dettaglio F. Gentiioni sul
Manifesto: « Dopo aver ricordato
la storia dell’antica emancipazione e della odierna piena accettazione, [Bouchard] ha ribadito con fierezza il ruolo di
una minoranza non assorbita.
Poi — attenzione —è subito passato, secondo la migliore tradizione evangelica, alla rivendicazione della libertà degli altri (...).
E questo degli immigrati non
era che un esempio: tutti sanno che sarebbe lungo l’elenco
delle minoranze che in quella
aula magna della facoltà valdese, in questi anni, sono state di
casa». Anche Gentiioni riporta
la frase relativa alle leggi al vaglio del parlamento, per commentare: «Come a dire che Fobiezione di coscienza è essenziale alla democrazia».
Ricordate anche, puntualmente, le tappe che hanno segnato
la progressiva uscita dal ghetto
delle religioni «altre» e dei culti
«ammessi», secondo il dettato
della legislazione fascista del ’29:
17 febbraio 1848 e 21 febbraio
1984 (data della firma dell’intesa tra Tavola e governo
italiano) sono stati celebrati
nella medesima occasione. E ri
cordato anche, da tutte le fonti
d’informazione, e attraverso le
parole del presidente Cossiga
stesso, come quello del 17 febbraio ’86 sia stato il primo incontro ufficiale di un capo di
stato repubblicano in casa valdese. Titolava infatti Paese sera, il giorno dell’incontro. Dopo
Umberto I Cossiga dai valdesi.
Nell’incontro non è stato affrontato l’argomento ancora
scottante dell’istruzione religiosa nelle scuole. Sottolineava comunque Roberto Sciubba, sull’Avanti del 18.2, come i valdesimetodisti « hanno protestato formalmente (...) con un documento siglato assieme alla Comunità Israelitica. La materia è
adesso all’esame delle autorità
dello Stato e sarebbe stato evidentemente fuori luogo farne
menzione in un’occasione tanto
solenne e significativa ».
La questione « ora di religione» era tuttavia all’esame anche
della XXVI . assemblea straordinaria dei vescovi italiani. Ne
tratta ancora Filippo Gentiioni
(Il Manifesto, 4.3): altre questioni erano le nuove norme concordatarie per il sostentamento
del clero e i problemi interni
all’Azione cattolica.
« Il tono generale è distensivo (...). [I vescovi] insistono
’’perché l’insegnamento della religione cattolica sia un servizio
alla promozione dell’uomo e del
bene del paese” (...). Mancano
(...) quegli accenni di diretta
condanna morale per chi decidesse di ’’non avvalersi”, accenni pesantemente presenti in interventi precedenti, anche del
papa. (...) ». Età della scelta da
parte degli alunni: « Ecco le motivazioni per cui la scelta del
parlamento (...) sembra non appropriata: ”A 14 anni i ragazzi
sono in una condizione psicologica molto turbata, sono al massimo livello di emotività e non
sanno fare delle scelte equilibrate”. Non so — commenta acutamente Gentiioni — che cosa
penseranno gli psicologi e i ragazzi interessati; so però che la
chiesa conferisce la Confermazione a 12-13 anni, considerando
tale età appropriata per una
scelta di fede e di vita (...). Ma
allora? ».
Chiudiamo con una segnalazione relativa al rapporto StatoChiese in Haiti. Se ne occupa
Aniello Coppola, in due articoli
apparsi su l’Unità del 19 e 25
febbraio. « Da qualche anno la
gerarchia cattolica aveva cominciato a prendere le distanze dalla dittatura — si legge nel secondo, significativamente intitolato E dalla Chiesa venne il primo colpo al tiranno — (...). Aveva negoziato un nuovo Concordato che sottraeva al ’’presidente a vita” il diritto di concorrere, con diritto di veto, alla nomina dei vescovi. L’esistenza di
un Concordato non implica affatto un sistema di rapporti Stato-Chiesa di tipo ’’europeo”. Ad
Haiti esiste la Chiesa, ma lo Stato non c’è, o meglio, si limita
ad esercitare funzioni repressive.
(...) L’istruzione e un’assistenza
sanitaria primitiva, è lasciata
all’iniziativa delle congregazioni protestanti e delle organizzazioni cattoliche (...). Il mondo della Chiesa e delle confessioni protestanti non è entrato
in antagonismo con lo Stato in
queste attività, ma ha esercitato
una vera e propria supplenza ».
Alberto CorsanI
4
4 vita delle chiese
TI
11 aprile 1986
Quale chiesa?
« Siamo ancora una chiesa riformata?». L’interrogativo è stato al centro dell’incontro pastorale mensile svoltosi, limedi 7
aprile, a Villar Perosa. «Io mi
sarei piuttosto chiesto — ha aggiunto alla fine dei lavori il giovane e attivo pastore di Piossasco — se siamo già una chiesa
riformata, ovvero una chiesa
che sa riscoprire sempre di nuovo l’Evangelo e il dono della libertà che Gesù Cristo ci ha già
dato». Ma a tracciare le linee
generali del dibattito ci ha pensato, una volta di più, il caustico
Giorgio Toum che ha riattualizzato gli spunti del suo ormai famoso pamphlet del 1973: STJna
chiesa in analisi ». « Ci siamo ridotti — ha commentato im pastore un po’ scoraggiato dal
tran tran parrocchiale — ad essere una chiesa in dialisi ». In
realtà più che rassegnazione e
stanchezza ci sono stati non pochi battibecchi (anche sulla nuova traduzione della Bibbia :
TILC) e molti argomenti accennati che non hanno potuto, per
mancanza di tempo, essere sufficientemente approfonditi. Tutti sono stati d’accordo nell’individuare nella Bibbia, nelle
strutture e nelle discipline ecclesiastiche i termini di confronto
di una chiesa che vuole dirsi riformata.
Dopo le grandi battaglie del
Risveglio del secolo scorso, che
hanno sostanzialmente modificato non pochi connotati della
chiesa, oggi manca una strategia generale, diciamo una chiara linea di marcia. Si sta zigzagando, si fanno molte (forse
troppe) cose interessanti, ma
non si sa bene quali debbono essere, nella vita delle chiese, le
reali priorità. (3ome rispondere
oggi alle domande centrali della fede cristiana? Cosa dire di
biblicamente sensato di fronte
(anzi dentro) al processo di modernizzazione della società? Per
alcuni stiamo lentamente perdendo i caratteri specifici di
una chiesa riformata per trasformarci in assemblea religiosa dissenziente; per altri si trat
ta di rilanciare quello che già
c’è e che forma la chiesa : la
predicazione. Sotto accusa è
stato messo anche il Sinodo che
starebbe diventando — dicono
alcuni — troppo verboso nelle
sue prese di posizione e dal punto di vista del funzionamento
una via di mezzo tra una Ixmga
tavola rotonda, un congresso di
partito e una conferenza ecclesiastica. Ma dalla chiesa e dalle
sue preoccupazioni il dibattito
si è presto indirizzato (sfuggendo dalle mani del bravo presidente del convegno) sui temi
della società e dello Stato. Bi-.
sogna uscire di casa — per
usare xm’immagine rimbalzata
nel dibattito — e andare in piazza dove sta la gente. La chiesa
riformata si riforma uscendo
da se stessa nel corifronto con
l’Evangelo e con la realtà sociale e politica in cui viviamo.
« Non solo siete una piccola
grande chiesa riformata — ha
commentato il Präses dei Vaidesi in Germania, il pastore
Ebert presente al convegno —
ma il vostro modo di discutere
e gli argomenti presentati sono
il segno di una vitalità teologica incoraggiante ».
Giuseppe Platone
CONVEGNO
r DISTRETTO
Domenica 30 aprile 1986
Pinerolo, v. dei Mille 1, ore 15
DIACONIA E
TESTIMONIANZA
EVANGELICA
Relatori:
Vera Coìsson, Capo/servizi
sanitari dell’Ospedale Valdese di Torre Pellice;
Giovanni Mathieu, Primario
dell’Ospedale Valdese di
Torre Pellice;
Alberto Taccia, Presidente della CIOV;
Claudio Tron, Sovrintendente del 3“ Circuito.
Al Convegno sono invitati
tutti i membri di chiesa, in
particolare i membri dèi Concistori, i membri del Dipartimento Diaconale e gli Operatori degli Istituti.
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Il messaggio del Moderatore
mollo è stata ospite del Grup
S. GERMANO — Molti coloro che hanno ascoltato le promesse dei confermandi la Domenica delle Palme e molti ancora coloro che hanno seguito
con vivo interesse il culto preparato dai rappresentanti delle
varie attività : è sempre bello
ascoltare la voce di diversi membri della comunità: in occasione dei culti comunitari si sente
forse più che mai « quanto è
buono e piacevole che fratelli
dimorino insieme ». Meno frequentato è stato il culto del ve^
nerdì santo durante il quale
l’apporto della sorella Ethel Peyronel è stato apprezzato assai;
gradito inoltre il messaggio del
Moderatore Giorgio Bouchard
che ha trascorso fra noi il periodo pasquale; a lui come anche al professore Bruno Corsani, che ha presieduto il culto di
Pasqua, diciamo un vivissimo
grazie.
• Sabato 29 marzo ha avuto
luogo il funerale della sorella
Marta Griglio ved. Pagetto sofferente da lunghissimo tempo.
Ai familiari giunga l’espressione
della nostra fraterna e cristiana
solidarietà.
• Il 5 aprile si sono uniti in
matrimonio nel nostre tempio
Marina Richard e Oreste Costantino; agli auguri rivolti loro
dal pastore imiamo quelli di
tutta la Comunità : il Signore
benedica la loro unione e sia con
loro durante tutta la vita.
• Le riunioni quartierali saranno, Dio volendo, le seguenti:
giovedì 10: Gianassoni; sabato
12: Porte; martedì 15: Chiabrandi; giovedì 17: Costabella;
venerdì 18: Villa; martedì 22:
Gondini.
« Il Credo »
Casa Evangelica
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PROGRAMMI ANNO 1986
Per i giovani e per chi si sente giovane... 8 giorni di informatica pratica con a disposizione due Spectrum Plus e il favoloso QL collegati in rete locale, avendo la possibilità di
svelare un piccolo mistero e di imparare a programmare
con un linguaggio strutturato e una macchina della quarta
generazione.
E per chi volesse imparare un’arte antica abbiamo a disposizione una maestra artigiana e alcuni telai per imparare la
tessitura... un’arte che permette di esprimere la propria
fantasia.
Dal 28 giugno al 5 luglio a L. 15.000 giornaliere
VIVERE INSIEME è un’arte che sta diventando sempre più
difficile... possiamo metterla in pratica.
Dal 6 al 19 luglio e oltre a L. 15.000 giornaliere
VIVERE INSIEME è difficile anche al di fuori del proprio
gruppo... una giornata comunitaria in visita ad un’altra comunità può farci scoprire un mondo nuovo perché diverso dal nostro.
Dal 20 luglio al 2 agosto a L. 15.000 giornaliere
Altra giornata comunitaria in occasione della tradizionale
lesta del 15 agosto, insieme a tanti amici.
Dal 3 al 16 agosto a L. 15.000 giornaliere
Mettere al servizio gli uni degli altri i propri doni e sapere
che si può sempre imparare dagli altri è il segreto per vivere insieme... e con l’aiuto dello Spirito di Dio è possibile
praticare quest’arte giorno dopo giorno.
Dal 17 al 31 agosto a L. 15.000 giornaliere
A chi desidera una camera singola è richiesto il supplemento nella misura di L. 3.000 giornaliere.
Versare la caparra di L. 20.000 all’atto della prenotazione e
si prega di prenotare per l’intero periodo di 7 o 14 giorni.
Le tariffe sono comprensive di vitto, alloggio, pernottamento,
IVA compresa e bevande escluse.
SAN SECONDO — L’assemblea di chiesa del 16 marzo ha
riconfermato come anziano delle « Combe » Emilio Gardiol.
Gli auguriamo di proseguire fedelmente il servizio che gli è
stato chiesto di rendere.
Durante il culto della domenica delle palme, dopo una breve meditazione del ; pastore su
Luca 19 ; 40 : « ...se loro si tacciono le pietre grideranno », hanno confermato il loro battesimo: Gardiol Adriano, Martìnat
Giancarlo, Monnet Ivana, Monnet Daniela, Paschetto Marina,
Ribet Andrea, Ricca Ivana, Rivoiro Paolo, Rostan Marina, 'Turletto Danilo e Zeppegno Franca. Ogni catecumeno, prendendo come tema generale «Il C'redo », ha preso un’affermazione
di questa confessione di fede e
legandola a un passo biblico
l’ha sviluppata esprimendo così
la sua fede e rendendo una
chiara testimonianza.
Il tutto è stato ben accolto
dalla comunità raccolta per il
culto che è stato molto vivo
grazie anche al coro che ha eseguito con maestria due inni.
• Alla famiglia di Aldo Cardon che il Signore ha chiamato
a Sé esprimiamo ancora la nostra simpatia cristiana.
Solidarietà
Nessuna
confermazione
PRAMOLLO — Il culto di do
menica 16 marzo è stato prepa
rato e presieduto dai giovan
della EGEI: sono Massimo, Uniberto e Susan che sono venuti
a portarci il loro messaggio, attuale, profondo e ricco di spun
ti per farci meditare su noi stessi e sul nostro rapporto con
Dio. Li ringraziamo vivamente
Mobilificio
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Giovedì 10 aprile
□ COLLETTIVO BIBLICO
ECUMENICO
PINEROLO •— Alle ore 20.45 presso la
Chiesa valdese si tiene la riunione del
collettivo biblico ecumenico. Ail’ordine del giorno la « lettura del testo
sulla Santa Cena del REM ».
e speriamo di poterli ascoltare
ancora in altre occasioni.
La filodrammatica di Pra
Venerdì 11 aprile
n ASSEMBLEA
III CIRCUfTO
POMAREnO — Alle ore 20.30 nella
sala del Teatro valdese presso il
Convitto, si tiene l'assemblea del Ili
Circuito sul tema « L'ospedale di Pomaretto nel quadro del servizio della
chiesa ».
Introducono II dibattito il past. Alberto Taccia, presidente della CIOV e
il prof. Valerio Gay, direttore sanitario dell'ospedale di Pomaretto. Partecipa il personale dell'ospedale. L'incontro è aperto a tutti.
Sabato 12 aprile
po Giovanile di 'Villar Pellice,
venerdì 21 marzo. Abbiamo trascorso insieme una serata veramente allegra e piacevole ; abbiamo apprezzato molto la loro
carica di vitalità, di buon umore e la loro ottima ospitalità,
per questo li ringraziamo di
cuore e ci auguriamo anche che
questi incontri continuino nel
corso dell’anno.
• Sabato 22, a Ruata, ha avuto
luogo una cena dei giovani, organizzata dal pastore Noffke.
• Quest’anno, a causa del calo demografico e della emigrazione non ci sono state confer
mazioni.
• Esprimiamo la nostra profonda solidarietà cristiana ai
familiari del fratello Aldo Long
(Roma) che ci ha lasciati.
• Il culto di domenica 6 aprile, domenica della Facoltà, è
stato presieduto dal fratello Ugo
Zeni, che ringraziamo vivamente per il suo messaggio.
• Domenica 13 aprile avrà
luogo l’Assemblea di Chiesa per
eleggere i delegati alla conferenza distrettuale e al sinodo e
per discutere la nostra posizione come chiesa di fronte al problema dell’8 per mille e quindi
al possibile finanziamento da
parte dello Stato.
□ CONCERTO
POMARETTO — Presso il Tempio
valdese si tiene un concerto delle corali « S. Valfrè » di Torino, « la Gerla » di Torino e della corale valdese dì
Pomaretto, che presenteranno un programma di musica sacra e canti popolari. il ricavato andrà a favore della
ristrutturazione degli stabili della chiesa valdese di Pomaretto.
□ CONCERTO
PINEROLO — La corale valdese
tiene alle ore 20.45 un concerto ne!
Tempio prò Asilo dei vecchi di Sari
Germano.
□ MOSTRA
SUI LAVORATORI
MIGRANTI
PINEROLO — Tra le 9 e le 18 sotto
I portici di corso Torino verrà esposta
la mostra fotografica predisposta dal
servizio migranti della- Fcei sulla situazione dei lavoratori immigrati nel
nostro paese.
Domenica 13 aprile
n ASSEMBLEA TEV
TORRE PELLICE — Alle ore 15 presso la Sala Unionista si tiene l'assemblea mensile del movimento di Testimonianza Evangelica Valdese. Tutti
gli interessati possono partecipare.
Mercoledì 16 aprile
PRAROSTINO — Alla famiglia di Fornerone Alessandrina
ved. Costantino mancata recentemente esprimiamo la nostra
solidarietà cristiana.
Porgiamo anche il sostegno
della nostra preghiera ai frar
telli ricoverati in ospedale in
questo periodo e ai loro familiari.
□ BIBLIOTECHINCONTRI
TORRE PELLICE — Alle ore 17 presso la Biblioteca valdese verrà presentato Il libro di Ettore Serafino Oltre
la soglia », ed. A. Meynier. Presenti
l'autore e l'editore. Introduce Riccardo Lorenzino. Jean-Louis Sappè leggerà alcune poesie dell'autore.
Giovedì 17 aprile
□ LA REVOCA
DELL'EDITTO
DI NANTES
E VILLAR PEROSA
Assemblea di chiesa
MASSELLO — Domenica 13
aprile si terrà l’Assemblea di
chiesa alle ore 10.30.
VILLAR PEROSA — Alle ore 20.45
presso la Biblioteca Comunale (Via
Nazionale 33) il dr. Pier Carlo Pazè e
Il past. Giorgio Tourn parleranno sul
tema « La revoca dell’editto di Nantes
e le conseguenze a Villar Perosa ».
□ UNIONI FEMMINILI
PINEROLO — Alle ore 14.30 presso
la chiesa valdese si riuniranno le
Unioni femminili del II Circuito per
discutere il tema della « Immigrazione dal Terzo Mondo in Italia ».
Venerdì 18 aprile
n DEFISCALIZZAZIONE
E 8 PER MILLE
SAN GERMANO — Presso le vecchie
scuole (via Scuole), con inizio alle
ore 20.30 si terrà un dibattito sul tema « Defiscalizzazione e 8 per mille ».
Introdurranno Aldo Ribet e Andrea
Ribet.
5
F
Il aprile 1986
vita delle chiese 5
DUE LUTTI, A ROMA E A GENOVA
Fratelli che ci lasciano
Aldo Long
Anche Aldo Long se ne è andato. Da alcuni anni era uscito
dalla scena pubblica ma non ancora dalla vita. Ora ci ha lasciato. Ha levato l'àncora per il lungo viaggio. Lungo o corto? Dio
è infinitamente lontano o infinitamente vicino? Che cosa ci separa da Lui; un’eternità o un
attimo? L’immenso creato o un
impalpabile velo? Dove comincia l’aldilà?
I lettori meno giovani ricorderanno Aldo Long. Negli anni
caldi intorno al ’68 scriveva sck
vente sul nostro giornale, soprattutto ’lettere al Direttore’,
proponendo con convinta tenacia una visione ’da destra’ delle
cose. Oggi tutto ciò sembra lontano, quelle polemiche si sono
assopite, gli stessi fronti di ’destra’ e di ’sinistra’ si sono un
po’ appiattiti, nella realtà e nelle coscienze. Siamo diventati più
maturi? No, piuttosto alcuni miti sono caduti, la situazione generale s’è fatta più intricata,
l’approccio alla realtà è diventato meno ideologico ed è cresciuta in molti la capacità autocritica. Le passioni di ieri hanno ceduto il campo al realismo
di oggi. Il rischio è che il realismo degeneri in cinismo e che
la disintossicazione ideologica
sfoci in un piatto qualunquismo.
Di Aldo Long vorrei ricordare
due cose, pur consapevole della relatività e fallibilità di ogni
giudizio umano. La prima è che
egli è stato un valdese nel senso pieno del termine. Egli cioè
era altrettanto legato (anagraficamente, culturalmente, emotivamente) alla realtà del popolo
valdese quanto lo era alla realtà della chiesa valdese. ’Valdese’ infatti significa, almeno alle
Valli, da cui Aldo Long proveniva, due cose: un popolo, creato da un comune destino storico, e una chiesa, creata da una
comune confessione di fede. I
confini del popolo sono più ampi di quelli della comunità di
fede, che peraltro costituisce il
suo nucleo originario e la sua
ragion d’essere: il valdismo infatti è sorto come comunità credente ed oggi ancora è questo il
suo connotato principale; è una
comunità di fede creata dalla
parola di Dio, che nel Medioevo
fu soprattutto quella del Sermone sul Monte e del capitolo 10
deH’evangelo di Matteo, e nell’evo moderno fu soprattutto
quella della grazia di Dio senza
merito e della giustificazione
per fede. Ma intorno a questa
comunità di fede si è creata una
comunità più ampia, anch’essa
’valdese’ anche se non identica
con la comunità di fede ma da
essa non separabile — un popolo, appunto. Popolo e chiesa:
Aldo Long era con altrettanta
decisione e convinzione figlio del
popolo e membro di chiesa. Ci
sono, anche alle Valli, non pochi ’valdesi a metà’, se così li si
può chiamare; valdesi cioè che
sentono soltanto la loro appartenenza al popolo e si tengono
a distanza dalla chiesa, o inversamente che si sentono soltanto
chiesa e disdegnano il riferimento al popolo. Aldo Long sentiva con uguale intensità il duplice legame; non era un valdese a metà.
La seconda considerazione è
questa. Aldo Long era di Pramolk), una delle comunità più
remote delle Valli; ma a motivo
della sua professione ha vissuto in molte città d’Italia (Firenze, Palermo, Roma, tra le altre).
Qui si è subito integrato nelle
comunità valdesi locali, partecipando pienamente alla loro vita, rendendo svariati servizi, finché ha potuto. Seguiva e curava
gli ’interessi’ della chiesa come
i propri, se non più, appunto
perché la chiesa non era ester
na al suo mondo ma ne era parte integrante. Le sue ’Valli’, in
fondo, erano sia lassù, in quell’angolo remoto del Piemonte,
sia altrove, in ogni comunità
disseminata per la Penisola. E
questo è il punto: profondamente radicato nelle Valli egli non
è stato, fuori delle Valli, un valdese sradicato. E’ bello avere
delle radici, a patto che non immobilizzino. E’ possibile avere
radici che procurano linfa senza togliere libertà.
Con questi pensieri, che speriamo non gli sarebbero dispiaciuti, ci congediamo da Addo
Long, affidando lui e noi al Dio
di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, annunciato dal pastore
Sommani nel servizio funebre
svoltosi nel tempio di Piazza
Cavour, a Roma; il Dio che, appunto, non è di fu Abramo, di
fu Isacco e di fu Giacobbe, perché « per lui vivono tutti » (Luca 20: 38).
Paolo Ricca
Piero Zotta
Un caro fratello e un prezioso
collaboratore ci ha lasciati. Improvvisamente, nel giro di pochi giorni; ma continueremo a
sentire a lungo la sua mancanza nei vari aspetti della vita comunitaria alla quale, in un suo
modo schivo e anche scherzoso,
era intensamente attaccato. Potrà parere strano: ma senza essere per niente un bigotto né
avere alcuno spirito di sagrestia, la nostra vita comunitaria
gli piaceva, ci trovava gusto (e
ne portava): non nel senso che
tutto fosse idillico, non ignorava i suoi momenti di mugugno,
ma sostanzialmente lo interes
sava, e ci si sentiva coinvolto,
corresponsabile.
Per la sua attività professionale dì farmacista — apprezzata, tanto che anche una volta
pensionato continuavano a chiamarlo qua e là per sostituzioni
— aveva risieduto in varie località, e frequentato chiese evangeliche di varia denominazione.
Questo, senza sminuire il suo
attaccamento alla Chiesa valdese, lo aveva del tutto liberato
dallo spirito di campanile, e qui
a Genova, senza tante parole,
ma con fatti, aveva dimostrato
in tanti modi che apparteneva
alla comunità evangelica genovese. Non solo si rallegrava in
modo particolare per le occasioni — troppo rare — in cui
gli evangelici genovesi (in buona
parte) si raccolgono per un culto o per un’attività comune, ma
gli piaceva, di tanto in tanto,
partecipare ai culti in altre comunità, quasi a rinsaldare i legami che tèsseva essendo fra le
’’colonne” del Coro evangelico,
del gruppo impegnato in culti
all’Ospedale. Evangelico Internazionale (e non solo quando era
il turno di Via Assarotti), e da
alcuni anni, con gran generosità
di tempo e di energie, del gruppo che curava il banco della
stampa evangelica alla Fiera del
Libro, in Galleria Mazzini: oltre
3 settimane, a dicembre e a primavera.
una sorella, e così abbiamo potuto fare intorno alla sua, nella
cappella di Staglieno che non
conteneva, di molto, i membri di
varie comunità convenuti per
questo ultimo saluto, pieno di
gratitudine e di affettuosa commozione, espresse anche dal Coro.
E’ stato il fratello capace di
essere vicino nelle grandi prove,
e capace anche di pensare alle
piccole cose, come fornire fedelmente le candeline per l’abete natalizio e preparare un suo
regalino ai ragazzini. Sì, senza
la minima ombra di linzione,
amava la vita comunitaria, ne
fruiva, vi dava il suo apporto;
10 vedevamo ai vari studi biblici, non mancava ai dibattiti assemblear!, era di casa persino
nel preparare i bazar! Certo,
aveva tempo, almeno ora. Ma ne
era comunque generoso e viveva
11 fatto che la chiesa è costruita così, tante pietre vive, spalla
a spalla, sul fondamento comune. Ci ha voluto bene e gli ab
biamo voluto bene. Senza retorica, abbiamo vissuto nella comunione dei santi, e questa comunione dello Spirito santo, per
grazia e nella promessa di Dio,
non si spezza. Il regno in cui
sarà manifestata, viene.
Con gratitudine a Dio ripensiamo — e continueremo sempre meglio a realizzare — tutto
ciò che in modo fresco e spontaneo abbiamo ricevuto per mezzo suo, in molti anni. E con affetto pensiamo al fratello Severino, che ha potuto condividere con lui gli ultimi giorni, alla
sorella Mila e a tutti i loro familiari. Chi ci separerà dall’amore di Dio racchiuso e manifestato in Gesù Cristo? Sarà
forse la morte? Anzi, siamo più
che vincitori in forza di colui
che ci ha amati; morto, risorto,
è alla- destra di Dio e intercede
per noi (Romani 8). E’ lui il
nostro pastore, non ci manca né
ci mancherà nulla.
Gino Conte
Noi lo ricordiamo soprattutto
all’organo, con la sua forte voce che rivaleggiava; era un impegno, secondo i suoi turni, per
il quale non esitava a tornare
apposta, anche quand’era lontano per un periodo, così come
sapeva l’importanza del canto,
raccolti un’ultima volta intorno
alla spoglia di un fratello, di
Un servizio di informazione
sull’insegnamento confessionale
cattolico nella scuola pubblica
Per favorire una scelta libera, cosciente e responsabile in
merito al diritto di avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento confessionale cattolico nelle scuole pubbliche, le Comunità cristiane di base, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia e il quindicinale com-nuovi tempi organizzano
un servizio di:
1) informazione sui problemi relativi all’esercizio di tale diritto da parte di genitori, studenti, insegnanti;
2) documentazione sulle norme vigenti o in fase di cambiamento, sui progetti e le proposte relative, sui termini del
dibattito in corso;
3) sostegno ad iniziative, tendenti a favorire la responsabilizzazione di insegnanti, genitori e studenti, con la segnalazione di nominativi di relatori disponibili nelle diverse regioni
per interventi in assemblee scolastiche o di quartiere, in dibattiti o tavole rotonde, sulla linea delle proposte avanzate
dalle Comunità, dalla Fcei e da com-nuovi tempi.
Gli interessati possono telefonare al numero 06/4743619 nei
giorni martedì e gìovedfi dalle 16.30 alle 18.30; oppure scrivere a; Servizio « ora di religione », presso com-nuovi tempi,
via Firenze 38, 00184 Roma.
CORRISPONDENZE
GENOVA — Il 9 marzo — una
domenica qualunque, quasi a
significare che il Signore ci chiama quando vuole e non solo nelle ricorrenze solenni — nella
chiesa valdese di Sampierdarena sei giovani catecumeni: Monica, Sara, Stefania, Massimo,
Maria, Ilaria ed un adulto, Giancarlo, hanno fatto la loro professione di fede. Un avvenimento abbastanza prevedibile nella
vita delle nostre comunità si è
rivelato come un momento spiritualmente ricco per tutti i
presenti nella nostra piccola comunità, anziani e giovani, evangelici e non. Il fatto che fossero
loro, i « confermandi », a presiedere il culto ha dato alla professione di fede un significato molto più intenso ed il loro impegno per la chiesa si è espresso
sin dal primo momento in prima persona. Non era questa la
loro prima esperienza di predicazione — i culti tenuti dai ragazzi non sono un’eccezione nelle nostre comunità — ma in
quel momento la liturgia, le
preghiere, i messaggi preparati
insieme assumevano un valore
nuovo di servizio e di responsabilità.
Il filosofo e Dk>
voglio domandare il senso delle
cose; ho sete della verità... »
sembravano sottolineare la professione di fede della predicazione; « Signore, a chi ce n’andremmo noi? Tu solo hai parole
di vita eterna ».
Culto audiovisivo
Anche la testimonianza personale di Giancarlo, il meno
giovane del gruppo, è stata particolarmente profonda; ci ha
parlato della sua ricerca filosofica (e lo fa di professione!),
dei perché ultimi ed anche di
Dio. Ma Dio — ha precisato —
non è quello dei filosofi, non lo
si cerca noi; è Lui che ci trova;
ci chiama per metterci poi di
fronte alla pazzia della croce.
E Dio un giorno lo ha chiamato; passando nei pressi della
nostra chiesa mentre la sua ragione lo convinceva ad allontanarsi, una Mano lo ha condotto
nella ’ chiesa e vi è rimasto.
In un tale contesto è stato
particolarmente incisivo per tutti il brano scelto per la predicazione, su Giovanni 6: 48-71, « io
sono il pane della vita... ». Un
testo impegnativo di cui è stata
messa in rilievo la nostra fame
di questo pane che è Cristo,
unico nutrimento in mezzo alle
continue offerte di altri alimenti che ci vengono dal mondo,
l’unica premessa di vita che ci
libera dalla paura della morte,
dalle tante morti che oggi ci
minacciano.
Anche le altre testimonianze
dei « confermandi », le loro preghiere ci hanno toccato nel profondo; ci siamo tutti sentiti
chiamati per nome dal Signore
per potergli ripetere il nostro
rinnovato « sì ». La preghiera
comunitaria cui hanno partecipato tante voci ha espresso quanto si sentiva nel cuore. Infine i
canti e l’agape fraterna hanno
prolungato il nostro gioioso stare insieme.
NAPOLI — Donatella e Roberto Costagliola, Anna e Nicola D’Angelo, Mario Maida, Sergio Manna, Emma Olivieri, Giada e Natascia Pitarella, Stefano
Rinaldi, giovani della chiesa valdese di via dei Cimbri, in collaborazione con il movimento
CEUN (Cristiani Evangelici Universitari Napoletani) hanno condotto il 23 marzo il culto secondo uno schema del tutto nuovo.
Il pastore Carcò, che ha curato l’iniziativa, ne ha illustrato
le caratteristiche in ima breve
introduzione. Si è trattato in
sostanza di un sermone « audiovisivo» sulla parabola dei due
costruttori ( Matteo 7: 24-27 ) ;
vale a dire, la predicazione non
è stata solo verbale, ma anche
gestuale, per meglio comunicare l’intimo significato del testo.
Al culto hanno partecipato attivamente anche i ragazzi della
scuola domenicale, che hanno
offerto il loro contributo attraverso canti che, come anche l’originale forma di predicazione,
la comunità ha vivamente apprezzato.
za di proseguire nell’approfondimento del tema.
Il secondo incontro della giornata ha visto riuniti gli evangelici eritrei con alcuni membri
della comunità di Piazza Cavour. Sono una ventina gli eritrei che frequentano normalmente i culti della domenica
mattina, ma quando il pastore
Bruno Tron tiene il culto nella
loro lingua allora è lesta grande. Il culto con santa cena è
stato seguito da una simpatica
agape gentilmente offerta dagli
eritrei.
Incontro coi teologi
incontri romani
Le parole del bel corale di
Bach, cantato dal gruppo giovanile: « Signore, dove sei? Ti
Che il Signore operi col Suo
Spirito nella vita di questi nostri figli, ormai inseriti nella
vita della chiesa perché « siano
sempre fermi in uno stesso spirito combattendo insieme d’un
medesimo animo per la fede
del Vangelo» (Filippesi 1: 27).
ROMA (Piazza Cavour) —Domenica 23 marzo si sono avuti
due incontri nella sala delle attività. L’uno era un convegno
promosso dal consiglio di circuito su « ruolo, preparazione,
contributo dei predicatori laici e locali ». I convenuti non
erano numerosi, ma è stata, comunque. sottolineata l’importan
TRIESTE — Dal 14 al 16 marzo 24 studenti e tre professori
della Facoltà Valdese di Teologia hanno visitato la chièsa elvetico-valdese e le altre comunità della città e della regione.
Venerdì 14, nei locali della comunità elvetico-valdese, si è
svolto uri convegno pastorale
del Friuli-Venezia Giulia nel
quale, insieme con gli studenti,
si è discusso dell’identità del pastore e dei nuovi modi di annunciare l’Evangelo nella società di oggi. Il dibattito è stato
quanto mai proficuo e stimolante.
Il sabato è stato dedicato; la
mattina, a un momento di studio sui mass media tenutosi
presso Radio Trieste Evangelica; la sera a una cena offerta
dall’Azienda di Soggiorno presso il castello di S. Giusto.
La domenica mattina, infine,
i giovani hanno visitato le diverse chiese. In S. Silvestro il
culto è stato presieduto dallo
studente Ugo Armand Pilon,
mentre la predicazione è stata
tenuta da Fulvio Ferrario. Ad
entrambi va la gratitudine della
comunità.
áíiiv.
6
6 prospettive bibliche
Il aprile 1986
ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA
Segno del nostro esodo
Il battesimo: una liberazione - 2
SofFermiamoci ancora un poco
su Romani 6. E’ vero che il
tema centrale di questo capitolo non è afEatto il « battesimo », bensì resistenza cristiana
scaturita dalla grazia e vissuta nella
grazia. E’ altrettanto significativo,
però, che appunto in questo contesto Paolo venga a parlare del battesimo; o ancora, che in questo passo
gli fosse impossibile trattare della
« condizione di grazia » senza menzionare il battesimo. Il nesso fra i
due temi è cosi serrato, che Ernst Kasemann designa la seconda parte del
capitolo come « parenesi battesimale » (istruzione ed esortazione in occasione del battesimo).
Forze e poteri
E’ singolare che in questo passo,
soprattutto nei v. 12-13, Paolo si
serva di una terminologia tratta
dalla sfera politica e sociale, persino militare. Egli cerca di descrivere
l’esistenza sotto la grazia con concetti quali kyrieuein, essere o diventare signore, dominare; basileuein,
essere o diventare re, regnare, impadronirsi del governo; doulos,
schiavo; douleia, schiavitù, servizio
di schiavo; douleuein, svolgere servizio di schiavo; eleutheroun, affrancare; paristanein, qui, probabilmente: mettere in servizio, mobilitare; hopla, qui: armi.
Tutto questo indica in quali termini di massiccia concretezza si pensi e ci si esprima, qui come in altri
passi. La cosa mi pare assai significativa e consiglierei di lasciare a
queste espressioni tutta la loro forza, senza cercare subito di attenuarla.
Con Cristo nel battesimo non si
verifica soltanto né anzitutto un
cambiamento di sentimenti e di atteggiamento, bensì un avvicendamento di potere, di sovranità. Compare un nuovo potere. I rapporti di
potere, nei quali ci troviamo di frónte a Dio, cambiano e noi siamo trasposti in un diverso contesto di sovranità e di proprietà, in un nuovo
« regnum », nel nuovo eone \
La cosa può anzi essere pensata
ed espressa in termini quasi spaziali, ad esempio in Colossesi 1: 15-20;
questo passo è con tutta probabilità un inno battesimale, ima confessione di fede battesimale. Vi si dichiara (v. 13): « ...ci ha salvato dal
potere delle tenebre e ci ha trasportato nel regno del suo amato Figlio ». I due verbi indicano con chiarezza la concezione che soggiace a
questa dichiarazione: ci sono due regni, due sfere di potere. Tuna è la potenza delle tenebre, l’altra è il regno
del Figlio, e non vi è passaggio percorribile, neppure per gradi, dall’una
all’altra. Si deve essere tratti, anzi
strappati fuori dall’una (errysato, un
verbo che appartiene alla tipologia
dell’esodo dall’Egitto e dell’attraversamento del Mar Rosso) e inseriti
(metesteken) nell’altra. Forse non è
senza rapporto con questa concezione anche Colossesi I: 12: «Ringraziate il Padre, che vi ha dato il diritto di aver parte alla sorte dei
santi nella luce »; le espressioni parte (meris) e sorte (kleros) appartengono notoriamente alla tipologia
della occupazione della terra pro
La scorsa settimana abbiamo cominciato a pubblicare la traduzione
di uno studio che il prof. P. Filipi, della Facoltà teologica «Comenius» di
Praga, ha presentato ad un recente « colloquio regionale di Leuenberg »,
fra luterani e riformati - Il tema: « Il battesimo come liberazione » era
affrontato in cinque sezioni - Dopo aver visto che, sulla base del Nuovo
Testamento, vi si può anche porre un punto interrogativo, nel senso che il
battezzato è schiavo di Cristo e che la liberazione determinata dall’.Evangelo pone il credente al servizio del Signore, così continua l’esame
dei dati neotestamentari, in particolare di Romani 6 e di Colossesi 1 e 2.
a cura di GINO CONTE
messa. Con il battesimo l’uomo riceve parte alla terra della promessa.
Sono tutte espressioni e metafore
con le quali la tradizione neotestamentaria cerca di descrivere e precisare, chiarire la grande svolta, la
grande rottura. Restando nella metafora, si tratta di una liberazione,
di un esodo dalla terra della schiavitù e dell’idolatria; questo duplice
esodo viene espresso dal termine
ebraico abodah, che indica Tessere
trasferiti nella terra della libertà e
della vera adorazione.
La metafora della
morte e della rinascita
Ci sono naturalmente anche altre
metafore, più antropologiche, con
le quali la ti^adizione biblica esprime la radicalità, anzi Tirreversibilità di ciò che accade nel battesimo:
il morire con Cristo ed essere sepolti con lui, la purificazione dei peccati, la nuova nascita. Tenevo tuttavia a evidenziare la terminologia
cosmica, di risonanze mitologiche.
Mi pare che essa sia importante per
caratterizzare la libertà che il Risorto ci ha dischiuso, nella quale la
predicazione ci chiama ad entrare e
che ci è conferita nel battesimo.
La fraintenderemmo in senso idealistico, se la considerassimo un libero sviluppo delle possibilità naturali insite nell’uomo (molto istruttivi sono i passivi, nel testo paolinico di Romani 6!); come se fosse,
cioè, una forma di autodeterminazione e di autoaffermazione. E’ abbastanza naturale che l’unico passo
nel quale Paolo descrive la libertà
dei cristiani valendosi della terminologia relativa all’emancipazione.
Calati 4: 1 ss., capovolga in realtà
l’idea di emancipazione. Il fine del
diventare adulto per un figlio, che
momentaneamente deve sottostare
a tutori e amministratori, non è Tindipendenza nei confronti del Padre,
ma, all’opposto, il fine è Vyiothesia,
l’adozione, l’accoglimento quale figlio e la possibilità — ora soltanto
— d’invocare Abba, Padre! In questo modo si diventa eredi della promessa.
La libertà della quale parliamo,
è la libertà davanti a Dio. Il nuovo
Signore, che io riconosco nell’atto
e nella confessione battesimale, nella risurrezione di Cristo ha fatto tutto, sì da essere e rimanere il mio
unico Signore; e nessun altro potere, nessun’altra dominazione, siano
pure quelli del peccato, della morte, dei demoni, del denaro, hanno
più alcun diritto su di me. Essere liberato dal peccato non significa ovviamente (come un tempo pensavano gli Encratiti ^ siriaci) che non si
presentino più per me i singoli peccati, le singole colpe, i singoli debiti
{peccata actualia); ma che questi
non harmo più il potere di separarmi da Dio, il mio unico Signore e
Salvatore. In tal senso il peccato è
impotente e io sono morto ad esso.
Non moralizziamo
ia libertà
Non è il caso di voler moralizzare
troppo rapidamente il concetto neotestamentario di libertà. Le sue componenti mitiche ci rendono attenti
al fatto che ci sono forze e potenze
dalle quali non possiamo liberarci
da soli. Esse ci dominano, anche se
non lo vogliamo, o lo ignoriamo. La
libertà che il Risorto ci dona nel
battesimo, è la libertà di non ubbidire a queste potenze, a queste forze, a questi condizionamenti, di non
riconoscere i demoni che vogliono
dominare noi e il nostro mondo, di
infrangere le sbarre e i tabù dai quali
pare dipendere la nostra felicità. Si
sa che nelle forme liturgiche tardive questa libera denuncia dell’ubbidienza al potere satanico assumeva
là forma di una proclamazione solenne, la « rinuncia », con la quale
il battezzando osava, certo per la
prima volta in vita sua, esclamare
nelToscurità svanente della notte di
Pasqua: « Io ti rinnego. Satana, rinnego il servizio a te e tutte le tue
opere! ».
Questo vale anche per il rifiuto di
rispettare le prescrizioni rituali, cultuali e ascetiche che — si credeva —
dovevano proteggere e appianare la
vita. « Nessuno deve giudicarvi a
causa di cibi, di bevande, di festività, di noviluni o di sabati », è detto
in Colossesi 2: 16, in diretto collegamento con il battesimo (v. 12).
E il testo indica pure subito la mo
tivazione: « In lui (Cristo) egli (Dio)
ha disarmato le forze e le potenze
e le ha messe alla berlina, trascinandole in trionfo dietro di sé » (v. 15).
Nel corteo
trionfale di Cristo
Così radicato nella risurrezione,
nel trionfo di Cristo su forze e potenze, il battesimo rende possibile
questa libertà del cristiano, anche
di fronte alla religione. Il Christus
Victor, il Cristo vincitore traspone
il battezzato in un rapporto nuovo
con il mondo, i cui demoni, le cui
idolatrie e le cui pratiche religiose
gli fa vedere e riconoscere come vinti, superati.
Forse è in questo motivo della penetrazione dello sguardo che ha avuto origine la simbologia del battesimo come illuminazione (fotismos):
la conoscenza della vera condizione
del mondo nella prospettiva escatologica, fra risurrezione e parusia [il
ritorno, il nuovo avvento glorioso
di Cristo]. Ciò fu presto coperto da
altri motivi, derivanti dalla religiosità misterica e dalla gnosi.
La liberazione del battesimo è la
liberazione dalle forze cosmiche e
quindi anche dall’idolatria di ogni
tipo e matrice. Il battezzato vive in
questa certezza: il mondo e la mia
vita non appartengono (più) ai demoni.
Pavel Filipi
{continua)
1 « Eone » è il termine che nel Nuovo
Testamento, soprattutto nell’epistolario
di Paolo, indica un ’periodo’, un mondo ;
all’eone presente (o presente secolo), al
mondo così come lo conosciamo, si contrappone il tempo, il mondo avvenire,
che nel messaggio dei Sinottici è chiamato « regno dei cieli » o « regno di Dio »
(N.d.t.).
^ Gli Encratiti ( = i « continenti ») erano un movimento del giudeocristianesimo primitivo, particolarmente in Siria,
attestatosi poi come setta autonoma in
Asia minore alla fine del II secolo. Con
derivazioni dal nazireato giudaico, rifiutavano la carne e il vino, si astenevano
dai rapporti sessuali, anche all’interno
del matrimonio, ebbero fra le loro dottrine la concezione ’sessuale’ del peccato
originario. Furono una delle correnti che
portarono alle posizioni ascetiche e monastiche nel cristianesimo antico (N.d.t.),
ANCORA SULLA TRADUZIONE INTERCONFESSIONALE
Alcune osservazioni
Volentieri pubblichiamo questa replica del post. R. Bertalot, non condividendone
però il tono di... « criminalizzazione » del dissenso. A p. 8, col seguito di questa nota,
pubblichiamo altri interventi sulla TILC nel dibattito che si è riacceso dopo l’intervento del prof. V. Subilia su « Protestantesimo ».
Leggo su « La Luce » l’articolo di G. P.
a recensione della rivista « Protestantesimo» sulla nuova traduzione della Bibbia. Si tratta evidentemente di polemiche
che, nello stile in cui sono concepite, mettono fortemente in discussione e non
rendono credibili i nostri discorsi sulla
pace. Polemica è guerra alla radice; non
solo per quanto riguarda il vocabolario.
Non sarà facile presentarsi a testa alta
alle marce per la pace e nella lotta contro la discriminazione di chi è diverso
da noi per colore della pelle, per cultura
e per convinzione religiosa.
Va messo soprattutto in rilievo il discorso sull’oggettività. Il teologo del XX
secolo sa che l’oggettività non esiste (vedi P. Ricoeur, R. Bultmann, R.C. Colling
wood). Esiste al massimo una buona
soggettività, ma certamente non si tratta
del caso in questione. Per essere all’altezza di tale requisito bisognerebbe almeno tener presenti due requisiti: a) non
si possono raccogliere le critiche senza
tenere presenti le risposte già date; b)
non si possono formulare auspici malevoli senza documentarne la fondatezza.
Come metodo di lavoro è il minimo che
si possa esigere dallo storico e quindi
dal critico.
Lasciamo pure agli esperti la questione dell’esegesi biblica in un contesto secolarizzato. Accontentiamoci di fare al
Renzo Bertalot
(continua a pag. 8)
7
11 aprile 1986
obiettivo aperto 7
OMAGGIO PARIGINO ALLA CAPITALE EUROPEA DI IERI
VIENNA: 1880 -1938 - l’apocalisse gioiosa
Da alcuni anni anche in Italia si va riscoprendo la cultura mitteleuropea, di quell’Europa centrale che ebbe, tra la fine del secolo
scorso e l'inizio di questo, come caratteristica quella di riunire culture diverse, anche in origine lontane fra loro. Fu proprio la capacità di coesione di un centro come la Vienna di allora a permettere un enorme sviluppo della produzione artistica e culturale.
Importante dunque la mostra che il Centre Pompidou di Parigi
ha inaugurato nel febbraio scorso, e che nel maggio prossimo si,
trasferirà a New York.
Il più celebre dei valzer di
Strauss si arresta di Colpo, ma
l’audiovisivo continua a presentarsi come « audio » oltre che
« visivo »: in assenza della musica, la fisicità incombente del
silenzio abbinato alle foto di
Hitler che parla alla folla e del
« Café Rembrandt », sprangato
e segnato dalla stella di Davide
e dalla scritta JUD, si fa agghiacciante più di ogni dissonanza o musica ad effetto.
In precedenza, una trentina di
ritratti si erano susseguiti sullo
schermo: i personaggi (scrittori,
scienziati, politici, registi cinematografici, filosofi, psicanalisti,
musicisti) coinvolti nella grande diaspora provocata dall’aflermazione del nazionalsocialismo.
Robert Musil, Elias Canetti, e
poi Freud, Karl Popper e Arnold Schonberg. In massima
parte di origine ebraica, questi
uomini, che avevano « fatto » la
cultura viennese a cavallo tra i
due secoli, sono costretti a partire. Alcuni altri (Eric von Stroheim, Ludwig Wittgenstein,
Oskar Kokoschka, Joseph Roth
per citarne alcuni) avevano già
lasciato Vienna, intuendo forse
l’approssimarsi della minaccia.
Finisce un impero
inizia una diaspora
Siamo nell’ultima sala (sono
ben 21), significativamente denominata « L’ESILIO », della
mostra che il Centro di PI. Beaubourg a Parigi dedica alla capitale della Mitteleuropa e alla
sua centralità nell’elaborazione
della cultura contemporanea.
Sembra dunque di intuire che
gli eventi storici della fine degli anni ’30 interrompano prepotentemente una ben precisa
epoca.
In realtà Hitler entrava in
Vienna nel 1938, ma l’impero
austroungarico aveva visto la
propria fine vent’anni prima. Da
tempo erano state frequenti le
avvisaglie dell’inesorabile declino di questa singolare ed in
parte forzosa mescolanza di culture, lingue, religioni, che andavano dall’attuale Austria a parte della Germania, dall’Ungheria
alla Boemia, dalla casa regnante, cattolica, alla massiccia presenza ebraica. E si trattò di un
declino diffìcile da accettare, soprattutto nella capitale, che vedeva opporsi un apparato statale smodatamente burocratizzato ad un gusto per la cultura e
il divertimento, tant’è che « si
narra che un anziano impiegato
di corte dicesse: ’’Rigorosamente parlando, l’imperatore Francesco Giuseppe regnò fino alla
morte di Johann Strauss”.
I popoli dell’impero si agitano
in sempre più grave dissidio, e
Johann Strauss li compone, per
buona pace del suddito spettatore, in un colorito e folcloristico idillio » '.
II trauma della prima guerra
mondiale, nel frattempo, aveva
fatto sì che la realtà dell’ex-impero, decenni addietro astrattamente idealizzata, venisse ora
guardata con rimpianto, fino
alla mitizzazione. « Il mito asburgico (...) è la sublimazione
di una concreta società in un
pittoresco, sicuro e ordinato
mondo di favola ». Mito che non
fu però astratto, ma «capace
di cogliere alcuni aspetti reali
della civiltà asburgica».
L’esito letterario più elevato
raggiunto da questa riflessione
è senz’altro l’Uomo senza qualità che Robert Musil pubblicò
tra il 1930 e il '33. Emblematica,
la vicenda di Ulrich, segretario
del comitato per i festeggiamenti del settantesimo anniversario
della salita al tròno di Francesco Giuseppe, che vive di esitazioni, beandosi dell’incapacità
di scegliere e di decidere. Se la
sistemazione dell’impero, pacificatore e cosmopolita, era stata il riflesso di una civiltà, quella ottocentesca, che « aveva offerto una dimensione sicura e
acquisita dell’esistenza », l’inizio della sua crisi corrisponde
alla presa di coscienza, avvertita dalla generazione di Musil,
nato nel 1880, che la realtà è più
sfaccettata di quanto sembri:
« Il bene e il male (...) non sono
per lui [lo spirito] concetti
scetticamente relativi, ma membri di una funzione, valori che
dipendono dalla concatenazione
in cui si trovano. Egli [lo spirito] ha imparato dai secoli
che i vizi posson diventare virtù e le virtù vizi », cita Claudio
Magris dall’Uomo senza qualità.
Da qui la gaia indecisione
(Vienne 1880-1938 - l’apocalypse
joyeuse è il titolo, emblematico,
dell’amplissimo catalogo della
mostra), il cercare, nello svago
del valzer, di nascondersi che
la realtà si presenta come « in
trico di legami e soluzioni provvisorie », in cui « ogni cosa allude a un’altra », e, nel processo della creazione artistica, « la
metafora non è un espediente
stilistico ma un’intuizione del
mondo ».
Dal tempo del valzer
alla dodecafonia
Pensiamo allora a quanto
avviene in quegli stessi anni in campo musicale. Gustav
Mahler, direttore d’orchestra e
dell’opera di stato, compone alcune opere sinfoniche e liederistiche dalle dimensioni amplissime, dalle armonie a tratti
stridenti, dalle geometrie ormai
in via di dissoluzione, giacché
le forme del reale non sono più
conoscibili secondo i vecchi parametri. All’inizio della Nona
sinfonia tre episodi si succedono, ma non li chiamiamo « temi», dato che utilizzano ormai
melodia, ritmo, intensità e timbro come categorie autonome,
svincolate dagli obblighi di uno
sviluppo.
In quegli anni il musicista
Arnold Schonberg passerà dal
momento atonale ed espressionista (quando la produzione artistica dovrà essere soprattutto
espressione drammatica della
sofferenza, e degli orrori a cui
l’Europa stava andando incontro) a quello della costruzione
dodecafonica, nella quale tutti i
criteri della composizione si rinnovano e si stabiliscono molteplici e arbitrarie soluzioni gerarchiche tra le parti. Insomma,
è sempre più una civiltà in cui
il mondo appare come difflcil
Prime manifestazioni antisémite nella Vienna dell'Anschluss (annessione alla Germania nazista) nel 1938.
mente abbordabile da un lato
solo, inconoscibile se ci si limita ad applicargli le categorie
con cui lo si considerava rm
tempo.
E ciò varrà non soltanto per
il rapporto uomo-mondo, ma
anche — ed è ancora più sconvolgente — per il rapporto dell’individuo con se stesso. Nel
1900 Freud pubblica L’interpretazione dei sogni, aprendo una
finestra su spazi fino- ad allora
ritenuti insondabili.
Nel cinema, come nelle arti
figurative, e in parte nella musica, l’influsso del movimento
espressionista tedesco orienterà
la produzione verso aspetti decisamente allucinati, di grida,
di orrore e di terrore per l’alie
nazione cui andava incontro lo
abitante delle città moderne,
l’uomo del secolo del progresso
e della macchina.
In campo politico si fronteggiano all’inizio del secolo le forze che in vario modo intendono
por fine all’isolamento e alla
soggezione alla Germania. Se
Viktor Adler conduce dal 1889
la socialdemocrazia, a destra i
nazionalisti di von Schönerer e
i cristiano-sociali di Karl Lueger, praticano l’extra-parlamentari’smo e danno vita ad azioni
antisemite. E’ in risposta a taU
azioni che Theodor Herzl, corrispondente giornalistico dalla
Francia in occasione del processo Dreyfus, scrìverà nel 1896 Lo
stato ebraico, e guiderà per anni il movimento sionista.
Tra gli ampi materiali della mostra
La struttura portante della
mostra è il materiale figurativo,
in senso ampio (anche fotografia, progettazione, ecc.), ma una
serie di concerti (Schònberg,
Berg...), proiezioni (film di
Lang, von Stroheim, von Sternberg) e conferenze completano
il quadro della manifestazione.
Disegnando un mondo
nella sua esplosione
Nel settore della pittura, Gustav Klimt, Oskar Kokoschka
e Egon Schìele sono le personalità di maggior rilievo.
Il primo (1862-1918) fu capofila del movimento della « Secessione », nato nel 1897 per riunire artisti di provenienza internazionale e legati ai vari movimenti di avanguardia. L’intento
era anche quello di giungere ad
un’opera d’arte « totale », e alla
rivista Ver Sacrum (in cui si
auspicava una primavera di rinnovamento) collaborano infatti,
oltre ai grafici e allo stesso
Klimt, architetti anticipatori dei
futuri movimenti razionalistici e
scrittori del calibro di Rainer
Maria Rilke.
Klimt considerava i disegni,
che in buena parte forniva alla
rivista, come « studio preparatorio »' per le opere pittoriche
di maggior impegno. Sarà un
grande ritrattista di donne, ma
nei quadri di argomento mitologico esprimerà meglio la potenza delle forze simboliche della
psiche.
Attraversiamo altre sale, dedicate alla lapide di Gustav Mahler, alla produzione per il teatro dello scenografo Richard
Teschner (autore anche di un
film basato sull’animazione a
mo’ di pupazzi di alcune scenografie), alla fotografia «pittorica », precisissima nei dettagli, di
Heinrich Kùhn, e ai mobili e
oggetti progettati dall’oflìcina
artigiana della Wiener Werkstatte, ed arriviamo nel settore dedicato alla seconda generazione
di artisti (1906-1914), all’affermarsi del razionalismo (Adolf
Loos in architettura) e dell’espressionismo.
Kokoschka, pittore, ma anche scrittore per il teatro, si dedica al ritratto, rinvenendo nella raffigurazione dell’esistenza
individuale, anche esageratamente deformata, ossa, gomiti, arti
in sproporzionata evidenza, la
dissoluzione del singolo nel « tutto », i tratti della persona raffigurata « esplodono » in tracce
colorate che necessitano perciò,
nei titoli, di nome e cognome
del personaggio ritratto.
Egon Schiele è forse il più
drammatico di questi artisti: figlio spirituale di Klimt, è l’ultimo rappresentante della Secessione, ma si lega già all’espressionismo di Kokoschka e
Richard Gerstl (di cui è esemplare un autoritratto in cui
impietosamente deforma il proprio volto). Vive appieno i conflitti portati alla luce dagli studi di Freud. Come si legge nella
guida: « I temi della famiglia,
della donna con bambino, o
della coppia, sono soggetti privilegiati, rappresentando l’apparente unione dei sessi, per
denunciare allo stesso tempo
la chiusura dell’essere in se
stesso, la figurazione della sua
solitudine e del suo narcisismo ».
Ma la società del tempo non era
ancora pronta o disposta ad accettare la rappresentazione di
queste pulsioni, e Schiele scon
Particolare dell’autoritratto di
Egon Schiele, 1912.
terà un mese di carcere per dei
quadri ritenuti troppo audaci.
Ultima delle correnti artistiche illustrate dalla mostra è il
costruttivismo, giunto a Vienna
dalla Russia rivoluzionaria.
Facendo tesoro anche delle ricerche filosofiche di Wittgenstein,
volte a strappare il linguaggio
alla dimensione soggettiva per
Cercarne più solidi valori, i coGtruttivisti cercheranno nella
pittura e in architettura di dare
una costruzione logica del mondo. Infatti da poco si è concluso l’evento che tragicamente ha
concretizzato tutte le spinte irrazionali e autodistruttive dell’uomo: il primo conflitto mondiale. Karl Kraus ne darà nel
lavoro teatrale Gli ultimi gior
ni dell’umanità uno specchio
terrificante e grottesco. Molto
delle visioni allucinate dei pittori di cui si è parlato si deve
forse a questa esperienza e si
vedano in proposito i corpi straziati dei soldati disegnati da
Brosch.
Arriva la repubblica
e cala il sipario
Con la fine della guerra, finisce il governo imperiale. L’imperatore Carlo rinuncia alla sovranità, e il 12 novembre 1918
viene proclamata la repubblica.
Nella amministrazione della capitale, fino al ’34, i socialdemocratici metteranno in pratica le
teorie dell’austromarxismo, elaborate nei decenni precedenti.
Politica dell’architettura e assistenza sociale sono i pilastri di
questa «Mecca sociale».
Siamo verso la fine della visita. In lontananza si sente il
valzer che accompagna l’audiovisivo dell’esilio. Ripassiamo davanti all’entrata, efficacemente
basata sulla riproduzione di un
ingresso alla metropolitana. E
alcune delle yoci più significative (Joseph Roth), al momento
della fuga, troveranno rifugi e
nuovi stinìoli intellettuali presso il mètro di Parigi, nell’altra
capitale culturale europea, presso il café de Tournon invece
che al « Rembrandt » chiuso dai
nazisti.
' Questa e le successive citazioni
sono tratte da CLAUDIO MAGRIS, Il
mito asburgico nella letteratura austriaca moderna, Einaudi 1976.
Pagina a cura di
Alberto Corsani
8
8 ecumenismo
Il aprile 1986
UN TRADUTTORE DIFENDE LA TILG
Un imprimatur al contrario?
Al posto di « esaminare ogni cosa e ritenere il bene », da qualche parte si vuol imprimere
su questa traduzione una sorta di marchio d’infamia affinché non sia diffusa tra noi
Nel 1977 il Vademecum dello
studente della facoltà di lettere
dell’università di Catania, per il
corso di storia del cristianesimo, tra i libri sconsigliati indicava il Nuovo Testamento nella
traduzione interconfessionale. La
cosa ci sorprese non poco visto
che un fatto nuovo, quale una
traduzione interconfessionale in
lingua corrente col metodo delle equivalenze dinamiche, se
non altro poteva essere considerato strumento di confronto e
di ricerca, specie in ima facoltà
universitaria.
Questo fatto mi toma alla
mente perché proprio ieri, 18
marzo, ho avuto il piacere, assieme al biblista cattolico prof.
A. Minissale, di presentare, ad
un vasto pubblico catanese, la
nuova Bibbia TILC. In sala era
presente anche il prof. Sciuto,
titolare della cattedra di storia
del cristianesimo presso la locale università. Ancora una volta,
il prof. Sciuto ha avuto l’opportunità di « sparare a zero » e con
veemenza contro il metodo delle equivalenze dinamiche. Forte
dell’articolo del prof. V. Subilia
(Protestantesimo 1/1986), giunto
a Catania proprio nella giornata
di ieri, ha concluso sconsigliando la diffusione e la lettura della Bibbia TILC.
Il pubblico ha accolto le sue
parole con un mormorio di dissenso. Oltre a ciò i parroci presenti e diversi lettori della nuova traduzione non hanno man
cato di rilevare la validità della
nuova traduzione per la pastorale e la comprensione del messaggio biblico, se non altro come stmmento di confronto con
altre traduzioni. Ho avuto modo di presentare la Bibbia anche a Reggio Calabria e a Palermo e le reazioni, sia pure con
varie articolazioni, sono state
fondamentalmente positive. Personalmente ho avuto modo di
diffondere quattrocento Bibbie
e sono certo che male non faranno ai lettori.
Come traduttore della Bibbia,
anche se ho condiviso soltanto
la responsabilità della traduzione del libro di Giobbe e dei libri profetici, non mi aspetto
applausi e benemerenze, cosciente come sono dei limiti del lavoro umano. Limiti riscontrabili in un lavoro di gruppo e limiti insiti nel metodo di traduzione che rappresenta una scelta. Ciò non vuol dire che una
traduzione individuale non avrebbe mostrato altrettanti limiti, così pure una traduzione
ad equivalenze formali o letteraria. Ma poi, chiediamoci, esiste una traduzione ad equivalenze formali che sia coerente
sino in fondo? La Riveduta si
presenta come una traduzione
ad equivalenze formali, ma sono innumerevoli i passi in cui
deve ricorrere alle equivalenze
dinamiche, ma ciò senza alcuna coerenza e senza continuità.
Ecco qualche esempio; nel bra
Alcune osservazioni
(segue da pag. 6)
cune osservazioni a chiarimento
dei nostri lettori.
1. - Come confrontarsi con
l’italiano corrente? Esiste o non
esiste? C’è una bibliografia in
proposito che gli esperti in linguistica possono trovare presso
case editrici di Torino, Brescia,
Bologna, Pisa, Firenze... Per
quanto riguarda il linguaggio
corrente in generale l’Alleanza
Biblica ha sviluppato una tecnologia applicata oggi in 180 lingue. Esiste un’ampia bibliografia alla quale fanno riferimento
anche accademie secolari.
Per il nostro scopo basterà
far notare che, secondo il vocabolario della lingua italiana
di Bruno Migliorini (in uso nei
licei classici) «peccato» e «credere» hanno ognuno significati
diversi tra cui anche quello religioso che può essere recuperato nel linguaggio corrente, ma
«giustificare» (mostrare che è
giusto, scusare, scagionare, scolpare) e « giustizia » (virtù) non
conservano alcun riferimento alla terminologia di Paolo anzi rivelano un contenuto esattamente opposto e contraddicente. Lo
stesso fenomeno si ripete in altre lingue europee. E’ quindi
troppo facile stroncare senza alcun appoggio bibliografico.
2. - La nuova traduzione si serve, per « giustificare », di termini alternativi come « riabilitare
davanti a Dio », « accogliere »,
« mettere nel giusto rapporto »,
« liberare », « perdonare ». E’ la
legge del contesto che determina l’orientamento della scelta.
Ma che questa sia « assolutamente non convincente » è un’affermazione che vuol essere oggettiva quando l’oggettività non
esiste. Si è posti di fronte ad
una netta divisione che vede
schierati, da una parte, l’autore
e quanti si riconoscono in lui,
come i soli che hanno capito e.
dall’altra, quelli che « assolutamente » sono fuori area. Il discorso qui passa dall’esegesi alla sistematica.
Quelli che si sono, contrariamente all’autore, lasciati convincere dalla scelta dei traduttori, avraimo il privilegio di trovarsi affiancati ad una lista di
nomi ben diversa da quelli che
ci vengono nroposti. Infatti, Giovanni Miegge usa il termine
« riabilitare », K. Barth, sulla
scia di Lutero, quello di « accogliere », P. Tillich quello di « accettare ». A mia sorpresa mi è
addirittura capitato di sentire,
alle televisioni private italiane,
fondamentalisti radicali che cercavano di spiegarsi al vasto pubblico proprio servendosi del termine « riabilitare » al posto di
« giustificare ». Se vi dev’essere
una linea di confine tra gli « assolutamente non convinti» e gli
altri è chiaro che con gli altri
si può dialogare, lavorare, imparare e insegnare.
3. - Se Paolo ha adoperato il
greco corrente, la lingua koiné
e non il greco classico, non l’ha
fatto per « appiattire » il messaggio o per banalizzarlo, ma
per comunicare con il suo destinatario (è la prima legge fondamentale della traduzione)
adottandone il codice di trasmissione. Questo non vuol dire
eliminare lo « scandalo » del
Vangelo. Sarebbe un imperdonabile fraintendimento! Vuol invece dire non camuffare lo scandalo del Vangelo con la nostra
incapacità di farsi capire dai
lettori, di servirsi adeguatamente, per quanto la scienza ce lo
permette, della nostra « koiné »
o lingua corrente. Non possiamo
alzare una quarta croce per
crocifiggere l’uomo secolarizzato che non conosce più l’antica
terminologia biblica e il gergo
ecclesiastico o confessionale che
ravvolge.
Renzo Bertalot
no di Gen. 3: 1-12 (seduzione
della donna) il testo ebraico ha
soltanto tre volte la parola frutto, ma la Riveduta la adopera
ben sette volte. Si tratta certo
di una esplicitazione, ma la traduzione non è ineccepibile dal
punto di vista formale. Il v. 6,
dello stesso brano, dice: « E vide la donna che buono l’albero per mangiare e che gradevole esso agli occhi e desiderabile l’albero per acquistare intelligenza e prese del frutto... »
(traduzione mia). Dal testo è
evidente che l’oggetto della contemplazione della donna era l'albero. Nella traduzione della Riveduta, invece, l’oggetto è il
frutto. Un tale spostamento di
accento sarà pure irrilevante
dal punto di vista dogmatico,
ma dal punto di vista della traduzione ed esegetico è ben commendevole. Le esolicitazioni di
cui sopra, nella Riveduta, non
vengono mai fatte là dove avrebbero evitato equivoci, esempio:
« Il forestiero ch’è dentro alle
tue porte » (Es. 20: 10). Quelle
porte, confronta i numerosi
esempi in Dt., non sono le porte di casa, ma le porte della città. L’accento è quindi sull’aspetto sociale e non su quello domestico. Come si vede non si
tratta di poca cosa!
Questi sono soltanto alcuni
esempi di come una traduzione
scivola facilmente nell’arbitrio
del traduttore, se il metodo non
viene applicato con coerenza.
Certo il traduttore è indispensabile e per evitare troppi arbitri è necessario che egli adotti un metodo di traduzione e a
quello si attenga scrupolosamente. Il metodo sarà pure una
limitazione, ma la traduzione si
deve giudicare in base alla coerenza al metodo applicato. La
TIL(3 è una traduzione ad equivalenze dinamiche, che poi non
è una parolona. E’, quindi, una
traduzione, accanto ad altre traduzioni; è una traduzione per
un pubblico non specialistico.
Sarà pure difficile stabilire in
astratto la « lingua corrente », è
una questione di sensibilità del
traduttore, ma non ci vuole molto a individuare il pubblico non
specialistico. Ricordiamoci poi
che Lutero, padre della lingua
tedesca, andava al mercato per
apprendere dai ragazzi, dalle
massaie, dagli operai la lingua
viva (corrente) del popolo. Non
gli servirono indagini statistiche per definire la lingua corrente, ma gli bastò la sua sensibilità. In Italia il Machiavelli
si ingaglioffiva nelle bettole e
.scriveva nella lingua del popolo.
Dante, poi, scrive in volgare, e
si giustifica con un trattato. La
nuova traduzione, prima di essere pubblicata, è stata data in
lettura ad un campione sufficientemente vasto di lettori e
tutte le loro osservazioni sono
state vagliate attentamente dai
traduttori. A buona ragione si
può quindi parlare di traduzione « in lingua corrente ».
Che la traduzione debba e.ssere valutata sulla base di quel
che vuole essere e che dichiara
di essere, non ci dovrebbero essere dubbi. Una valutazione, invece, sulla base di criteri dottrinali sposta i termini della questione. Ancor più quando questa valutazione si dichiara ora
soddisfatta, ora decisamente insoddisfatta. Per quel che mi
consta 1 traduttori non hanno
mercanteggiato le alternative,
specie per preoccupazioni dottrinali. Certo ogni traduttore ha
la sua collocazione in un contesto dottrinate, ma per quanto è
stato possibile si è cercato di
tenere distinti gli aspetti linguistici da quelli dottrinali. Ciò nel
la coscienza che la dottrina delle chiese si fonda, purtroppo,
non soltanto sulla Bibbia. Inoltre il compito del traduttore non
è quello di piacere a questa o
quella chiesa, né di risolvere
questioni secolari. Mi risulta
difficile concepire una traduzione come ora confessionale, ora
non più confessionale. Una traduzione confessionale, nella sua
pretesa di essere letterale, è
quella dei Testimoni di Geova.
Ma vogliamo mettere sullo stesso piano questa traduzione e la
TILC?
A questa Bibbia TILC, secondo il prof. Subilia, manca la capacità di presentare lo « scandalo » dell’Evangelo. Ma lo scan
dalo si coglie nella scelta tra
« egoismo » e « carne » o non
piuttosto nella croce, nel sola
grazia, nel sola fede? E questa
Bibbia non maschera, non attenua il messaggio centrale della parola di Dio.
Questa difesa della traduzione
non vuol dire che non si possono scorgere difetti. La questione
dell’imprimatur, poi, è stata sufficientemente dibattuta e lascia
l’amaro in bocca. Anche alcune
scelte tra testo e note, vedi Matt.
16: 18, meritano un lungo discorso. Ma da qui ad affermare, come fa C. De Michelis, condiviso
da Subilia: « questa versione della Bibbia non venga accolta dalle e nelle comunità che traggono la loro origine dalla Riforma » (La Luce 6.12.’85) mi pare
che ce ne passa di differenza.
Dove è finito il paolinico « esaminate ogni cosa e ritenete il bene »? Si vuole forse mettere un
imprimatur al contrario, cioè
un marchio? E con quale autorità? I lettori, protestanti e non,
sorretti dallo Spirito Santo sapranno ben cogliere il messaggio della Scrittura al di là dei
limiti di ogni traduzione.
Salvo Rapisarda
Sulla giustificazione
Il prof. Vittorio Subilia nel
suo articolo dal titolo provocatorio « La traduzione confessionale della Bibbia », apparso sul
n. 1 - 1986 di Protestantesimo,
osserva tra l’altro che sono stati perduti elementi caratterizzanti e « nozioni insostituibili
come giustizia di Dio' e giustificazione, senza le quali l’Evangelo non è più Evangelo, perché
indicano che il fondamento della vita non è nell’uomo, ma in
Dio ».
Quando nel 1976 apparve la
traduzione interconfessionale del
N.T., notai che il testo classico
di Romani 5,1; « Giustificati dunque per fede abbiamo pace con
Dio » (e così traduce, tra gli altri, anche Giuseppe Ricciotti,
Bibbia annotata, Salani 1957),
era stato tradotto: « Dio dunque ci ha accolti come suoi perché crediamo ».
Feci osservare ad alcuni dei
traduttori che il perché poteva
essere interpretato in due sensi
completamente diversi, che avrebbero giustificato due diverse teologie. Il perché poteva
avere un significato causale, ed
allora avrebbe si^ificato che
« Dio ci ha accolti come suoi
siccome crediamo ». In questo
caso l’iniziativa partiva dall’uomo e Dio ne teneva conto: teo
disse che avrebbero tenuto conto di questa osservazione nella
edizione completa. Ne hanno tenuto così bene conto, che ora
nella Bibbia interconfessionale
(Antico e Nuovo Testamento),
il perché è semplicemente sparito ed il testo è tradotto; « Dio
dunque ha accolti come suoi noi
che abbiamo creduto ».
Dunque, anche la prima volta
si voleva dare una interpretazione diversa da quella che è sempre stata data, e che_ perfino
molti esegeti cattolici riconoscono valida, tanto che qualcuno
di essi afferma che la giustificazione per fede, frutto della grazia di Dio, è sempre (?) stato
un concetto cattolico (il famoso
« malinteso » che sarebbe all’origine della Riforma del XVI secolo).
Se poi colleghiamo questa errata traduzione all’ultimo versetto del capitolo precedente, la
nostra perplessità aumenta. Infatti si traduce: « Egli è stato
messo a morte a causa dei nostri pieccati, ma Dio lo ha risuscitato per metterci in rapporto
giusto con sé ».
Cosa è questo rapporto giusto
che si staljilisce tra Dio e noi?
Se la nuova traduzione voleva
essere più comprensibile per
l’uomo di oggi, ci sembra che
logia cattolica. Oppure perché non gli abbia reso un buon ser• ■" " ’ ’ vizio. Accanto a numerose altre
licenze interpretative, questa
aveva significato finale, e quindi si doveva rettamente interpretare: « Dio ci ha accolti come suoi affinché crediamo ». La
iniziativa è di Dio, e qui siamo
in terreno protestante. Questo è
sempre stato per noi il senso
della « giustificazione »: Dio fa
grazia, e la fede l’accetta. Mi si
cambia totalmente il concetto
di giustificazione. Se i traduttori lo ritenevano di difficile comprensione, avrebbero potuto servirsi del « Vocabolarietto » per
darne la precisa interpretazione.
Enrico Corsani
SVIZZERA
Credenti senza chiesa
La vigilia di Pasqua la radio
della Svizzera romanda ha trasmesso un’inchiesta sul rapporto dei giovani con la fede. Ne
è emerso un quadro forse non
inedito, ma comunque merite
vole di riflessione. Le nuove generazioni. in sostanza, considerano importante il problemaDio, e anzi molti giovani si dichiarano credenti, ma rifiutano
nella loro grande maggioranza
qualsiasi rapporto con le chiese,
sia cattoliche che protestanti.
Perché? Le risposte degli intervistati esprimono degli stati
d’animo più che delle analisi
approfondite ; « Non vedo alcun
legame fra la mia vita e il ca
techismo », « La mia fede non
dipende daH’andare al culto ».
Una riflessione più approfondita dovrà invece venire dalle
chiese, le quali però, almeno per
il momento, tendono a cavarsela piuttosto a buon mercato —
soprattutto la cattolica — ripetendo che è Dio che dà senso
alla vita. E’ una risposta di comodo — nota il settimanale « La
vie protestante » — perché ad
essere messo sotto accusa non
è Dio, ma la chiesa. E, se le
chiese non faranno uno sforzo
serio per conoscere meglio l'universo giovanile, « la chiesa in
futuro non attirerà neanche i
credenti più convinti ». P. F.
9
11 aprile 1986
cronaca delle Valli 9
I
UN PROGETTO DI JOB CREATION IN VAL CHISONE
Com’è difficile creare
Pastore nuovi posti di lavoro!
è bello
Tempo fa in un isolato villaggio di queste montagne chiesi,
nel corso di una riunione serale, se i presenti (si trattava di
tre famiglie di contadini) sarebbero stati contenti se i loro figli
avessero deciso di studiare da
pastore evangelico. « Meglio cercarsi un prosto in fabbrica » mi
rispose uno. «< Una volta studiare da pastore meritava, adesso
non più » rispose un altro. Confesso che quella sera, tornando
a casa in mezzo ai boschi, ero
un po' sul depresso. In effetti,
una volta, quando gli studenti
in teologia delle Valli erano invitati a pranzo nelle buone famiglie valdesi romane per imparare il galateo, il pastorato era un
mezzo di promozione sociale:
dalle_ stalle alle stelle. Andare a
studiare da pastore, nel mondo
agricolo dei primi decenni del
secolo, era una scelta che apriva le porte a una posizione sociale di tutto rispetto, anche sotto il profilo economico. Ma oggi
dalle Valli non parte pdù nessun
giovane per andare a Roma a
studiare teologia in vista del pastorato. Colpa nostra che abbiamo dato delle chiese e del pastorato un’immagine negativa:
templi semideserti, pastori oberati d'incarichi burocratici e amministrativi, famiglie pastorali in
crisi, stipendi stretti e case larghe (con spifferi)? Cos’è che non
funziona?
« Il rapporto tra vita privata
e vita pubblica nel pastorato è
urto dei nodi — precisa Giorgio
Girardet, professore di teologia
pratica alla Facoltà Valdese di
Roma — che maggiormente preoccupano gli attuali studenti in
teologia ». Ben detto. Ma la questione è scottante non solo per
il pastorato. Inoltre, per citare
un'altra questione che appassiona i futuri pastori, c’è il problema del criterio con cui si trasferiscono i pastori (diciamo pure
le famiglie pastorali) secondo
regole che — sostengono alcuni — non tengono conto del lavoro del coniuge. Però ci sono
tante altre professioni soggette
a rapidi trasferimenti da un capo all’altro della Penisola...
E qual è, se c’è — ecco qui un
altro punto interessante da discutere — il progetto di chiesa
(e quindi di pastorato) a cui
stiamo lavorando? O forse ciascuno coltiva il proprio orticello senza cogliere un disegno
complessivo della nostra presenza, della nostra proposta?
Al di là di questi e di tanti altri interrogativi benvenuta sia
l'idea di aprire, nel prossimo ottobre, l’anno accademico della
nostra scuola di teologia alle
Valli con professori e studenti
per avere un confronto 'in diretta’ su importanti questioni
ecclesiastiche e sociali nella nostra specifica situazione montana. E chissà che incontrandoli
qualcuno non s’accorga della
’bellezza’ del pastorato. Bello sì,
forse perché segretamente (nel
senso che non lo dà a vedere) il
protestantesimo ama i suoi pastori, anche se stenta a riprodurli. Ma dal contatto più circostanziato ed approfondito con
la Facoltà possono nascere —
come si dice — 'nuove vocazioni' ad una vita spesa per una
causa alla quale vale la pena di
dedicarsi completamente. In una
società povera di prospettive e
di proposte, affamata di speranza e di gesti gratuiti, scegliere il
mestiere di pastore è un ottimo
investimento. Certamente è una
strada faticosa, mo- ciò che non
costa non vale. G. Platone
La chiamano "job creation”
(creazione di posti di lavoro) e
in alcuni paesi ocoidentali si occupano di questa nuova attività
istituti specializzati, governativi
e non. Da noi, nonostante gli alti
livelli del tasso di disoccupazione, è un’attività poco praticata,
ma ad essa si stanno dedicando
con buona volontà gli amministratori della Comunità Montana
delle Valli Chisone e Germanasca. Alle prese con un processo
di deindustrializzazione delle vallate gli amministratori, ed in particolare il vicepresidente Furlan,
si stanno muovendo « alla disperata » alla ricerca — quasi impossibile — di nuovi posti di lavoro che dovrebbero rimpiazzare quelli perduti.
L'occasione per fare il punto
su questa nuova attività, è stata
una riunione “operativa” convocata nella sede della Comunità
Montana, venerdì scorso, per affrontare la situazione della Filseta dopo i recenti accordi in sede governativa e regionale che
sanciscono una diminuzione di
200 occupati (su un totale di 300)
ed il mantenimento a Porosa Argentina del solo reparto di macerazione della seta. Ma fino a
quando? I sindacati infatti fanno
osservare che questo tipo di lavorazione non presenta particolari difficoltà tecnologiche ed è
quindi probabile che in un prossimo futuro questa lavorazione
possa essere effettuata anche nei
paesi produttori della materia
prima (est europeo e India).
Alla riunione, oltre agli amministratori locali e alle forze politiche, avrebbero dovuto partecipare anche gli imprenditori, per
verificare le possibilità concrete
di riconversione produttiva degli
stabilimenti lasciati liberi dalla
Filseta. A parte il direttore di
quest’ultima, gli imprenditori
hanno disertato la riunione.
Cerano invece gli assessori regionali Maccari e Genovese, quelli provinciali Bonansea e Sibille,
i sindacati, il consiglio di fabbrica della Filseta, la Finpiemonte:
Torganismo finanziario della Regione per le attività produttive,
e numerosi sindaci dei comuni
delle valli.
Alla base di tutta la discussione c’è stata una data, il 15 aprile prossimq, data nella quale la
Filseta sarebbe autorizzata in base agli accordi sottoscritti col
sindacato ad alienare « i gioielli
di famiglia » — come li ha definiti il direttore — cioè due delle
tre centrali di produzione • della
energia elettrica possedute, se
non vengono identificate altre
concrete possibilità produttive
per gli stabilimenti abbandonati.
Secondo uno studio della Soges, una società di consulenza
aziendale, l’unica possibilità di
riutilizzare infatti gli impianti è
legata alla possibilità di ottenere energia a basso costo. Se questa possibilità venisse meno e
le centrali fossero acquistate
da gruppi che hanno il solo interesse di vendere l’energia prodotta all’Enel, le strutture diffi
VALLI CHISONE E GERMANASCA
Bagarre per una
presunta incompatibilità
Un’accesa discussione, dai toni rissosi, ha animato la seduta
del Consiglio della Comunità
Montana di venerdì 4 aprile, riducendo l’ordine del giorno ad
un solo punto, trattato nello
spazio di due ore e mezzo.
L’inizio delle ostilità è partito dal consigliere di minoranza
Minoli, il quale ha rivolto una
interrogazione alla giunta, sollevando il caso di incompatibilità
tra le funzioni dell’assessore Rosa Tamarin e la sua carica di
presidente della cooperativa « La
Dua Valadda». Questa cooperativa, nata per iniziativa della Comunità Montana, svolge lavori
per vari enti pubblici, tra i quali la stessa Comunità, ed ha la
sua sede nel medesimo edificio.
L’interrogazione, per precisa
manovra del consigliere, era stata preceduta da un’intervista
concessa al settimanale « Il Pellice » e chiedeva altre precisazioni sui dubbi rapporti tra cooperativa e Comunità.
Alla questione dell’incompatibilità il presidente rispondeva
con la .lettura degli articoli di
legge che consentono ai membri
di una cooperativa di ricoprire
cariche negli enti locali e si impegnava a riprendere la questione dei rapporti con « La Dua Valadda » nella prossima seduta.
Il vero scopo dell’interrogazione, però, è venuto fuori nel corso della disputa ed è apparso
come una richiesta di rimettere
in gioco la composizione della
giunta e gli accordi tra i vari
gruppi. Come nei giochi prediletti dai bambini, chi sta fuori
cerca di trovarsi un posto buttando fuori qualcun altro. Ma,
se ci dovrà essere una verifica
all’interno della Comunità Montana, è auspicabile che sia fatta
sul modo in cui la giunta attua
i programmi e non in un clima
di « bagarre » magari originata
da futili pretesti.
L. V.
cilmente potrebbero essere riutilizzate: troppo vecchia è la concezione dello stabilimento, che è
a tre piani, e poi sono difficili le
comunicazioni con le autostrade
e l’area torinese.
Ma il prezzo delle centrali ri-<i
■ chiesto dalla' società Cascami,
proprietaria della Filseta, è proibitivo, « oltre il 40% in più del
prezzo di mercato », affermano
i Sindacati. Evidentemente dovendo confrontarsi con un grave
problema di liquidità, la Filseta
punta a realizzare il massimo.
A queste condizioni non sembrano perciò esserci possibili
acquirenti interessati a sviluppare attività produttive che diano
lavoro. E’ infatti difficile investire grandi somme di denaro (at. torno ai tre miliardi nella valutazione della Filseta) per ottenere un risparmio di due-trecento
milioni annui in energia: il costo di ammortamento della centrale rischia di vanificare il risparmio!
Cosa fare dunque? Vengono
proposte perizie giurate che stabiliscano il costo reale delle centrali e la costituzione di un consorzio per il loro utilizzo. Una
società a capitale misto, la
Ildreg, potrebbe rilevare le centrali e potrebbe fornire energia
ai soci consorziati che, a fronte
di un investimento complessivo
di 120 milioni per ogni miliardo
di costo di acquisizione, potrebbero avere l’energia con uno
sconto del 20% rispetto ai costi
Enel.
Questo non basta, perché evidentemente un’operazione del genere potrebbe esser fatta da imprenditori locali che, pagando
all’Enel il vettoriamento, potrebbero ottenere lo stesso sconto
senza creare nuovi posti di lavoro, aumentando solo i loro profitti.
E’ perciò opportuno che il consorzio raggruppi nuove imprese
che vogliano installarsi a Perosa
Argentina e che occupino a fini
produttivi parte degli stabilimenti Filseta. Se questo consorzio si farà, la Finpiemonte è disponibile ad intervenire con prestiti a tasso agevolato e la Regione con un capitale massimo di
300 milioni per i lavori di ristrutturazione degli stabilimenti.
Operazione che comunque per
bene che vada porterà al massimo una sessantina di posti di lavoro, nemmeno il 30% di quelli
persi.
Per intanto da questa settimana una quindicina di lavoratori
ex Filseta potranno tornare a lavorare nei loro vecchi stabilimenti. Saranno assunti da una ditta
che affitta i locali. « E’ un qualcosa che i lavoratori pagano ad
alto costo. Siamo stati infatti obbligati dalla situazione sociale
della valle a firmare un accordo
non positivo per le condizioni e
i ritmi di lavoro », dicono i sindacati.
Giorgio Gardiol
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TORRE PELLICE
Pinerolo sarà
denuclearizzata?
PINEROLO — Al termine di
un consiglio aperto agli interventi del pubblico (pochi per
la verità i cittadini e i consiglieri), dedicato all’esame della
questione del golfo della Sirte,
il consiglio comunale ha approvato alla unanimità un ordine
del giorno nel quale oltre alla
condanna degli atti di guerra
, nel JV^ffiJerraneo, si impegna la
Giunta^ còmtmàle a presentare
nel prossimo consiglio comunale un provvedimento per la denuclearizzazione della città.
Una proposta analoga, presentata dal comitato della pace nella scorsa tornata amministrativa, era stata respìnta. Oggi le
forze politiche di maggioranza
sembrano disponibili ad un tale
provvedimento che è richiesto
da più parti ed in particolare
anche dal progetto «protestanti per la pace » del 1° Distretto
della Chiesa valdese.
Ricordiamo che nel Pinerolese si sono dichiarati comuni
denuclearizzati i comuni di Prarostino, Angrogna, Torre PelUce, Bobbio Pellice, Rorà, Massello, alcuni dei quali però si sono visti bocciare la delibera dal
Coreco.
Se Pinerolo diventerà zona
denuclearizzata è possibile che
altri comuni seguano, visto il
peso politico che Pinerolo ha
tra gli enti locali della zona.
Ferrovia PineroloTorre Pellice
TORRE PELLICE — Giovedì
10 aprile 1986, alle ore 21, presso la Sala Consiliare del Comune di Torre Pellice, è convocato
11 Comitato di Difesa del Servizio Ferroviario Pinerolo - Torre
Pellice, per approfondire i risultati dell’incontro con gli assessorati ai trasporti della Regione e della Provincia del 4/4/
1986, e precisare le linee deH’ulteriore iniziativa.
Amnesty International
TORRE PELLICE — Il Gruppo in formazione della Val Pellice organizza
per sabato 12 aprile alle ore 21 un
concerto del Coro Alpino Val Pellice
nel Tempio valdese. Ingresso libero.
Le eventuali offerte sono devolute
all'attività di Amnesty nel 25° anniversario deiia fondazione.
Concerti
TORRE PELLICE — Venerdì 18 aprile alie ore 21 presso ii Tempio valdese per la Stagione di concert! 1986
si terrà il concerto del giovane pianista Francesco Cipolletta che eseguirà
musiche di Liszt, Brahms, Skrijabin e
Prokofiev.
il previsto concerto dell’Orchestra
da Camera di Torino non avrà, dunque, luogo.
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10
10 cronaca delle Valli
Il aprile 1986
GENTE DI VALLE - 4
E' ciò che chi ama la montagna definirebbe paradiso.
Dall’indritto, a mezzodì, un
nastro di strada largo circa
due metri sale dalla provinciale a serpentone per un
''buon chilometro, fin sotto casa. Verso ponente, dalla betulla che soffrì un fulmine ' e
ora infila in cielo due altissime punte invece d'una, muove il sentiero che in mezzo
miglio di lievi pendii alternati a falsopiano attraversa un
bosco di castagni, tigli, frassini, con rari faggi, aggira un
gran costone di bel granito e
poi, dopo un pianoro d’eriche
e félci vigilate da sperdute
pattuglie di pini, giovani e diritti come carabinieri, ti scodella in paese.
Rorà, oggi quattrocento anime tra villa e frazioni, meno
di un terzo di mezzo secolo fa,
ma ancora centro di cultura valdese e montanara. Meta
a luglio e agosto di comitive
in auto e pullman con targhe
francesi, tedesche e svizzere.
Ecco, la casa di Riccardo è
paradiso perché ha tutto: collegata al paese da quel sentiero di cui in tivù direbbero
« che più sentiero non si
può », senza rumori e polvere
e puzze ammorbanti e inquinanti; servita dall'altra parte
fin sull’uscio, e il tutto essendo già piena montagna, buoni
mille metri, isolata dalla barbarie dei “fine settimana’’ di
massa, più deleteri del flagello
delle cavallette. Alle spalle e
a sinistra s’allargano delizie
di prati e il bosco sul crinale
che porta al monte Bandito.
Quando il vento di Francia
spinge e dissolve al piano cumuli e nembi, dilaga lassù un
cielo di cobalto, come quello
invernale, a lode di Frioland
e Rumelle, e il sole inonda
la valle fino alle ferite delle
cave di granito, proprio sopra
Pian Frolé. Il giorno è cadenzato dal brontolìo di tuono
delle cariche sparate lassù.
La “pietra di Luserna"! Scalini e lastroni da marciapiedi
secolari; pezzi che mano saputa d’artigiano antico piazza
a mosaico in corti o su facciate di case, fin dai tempi di Roma; lastre di un metro quadro all'incirca, ottanta chili
Luna, le “lose”, piazzate con
fatica e perizia di cultura architettonica a far lorica sui
tetti. La pietra: storia della
povera ricchezza di questa
gente di valle e della sua tenacia. Unica.
Altrove: alchimie di milioni
d’anni intasarono vene di cristalli colorati e di metalli preziosi. Altrove: masse di tufo
e magma di calce e silicio
minarono su selve di giganti
a farne energia fossile, nera
come il buio dei millenni; o
terremoti e tregende di fuoco
e ceneri mossero a coprire
sulfure, a sbattere e frullare
acqua di mare ribollita nei secoli a farsi petrolio. Qui, fin
dai primordi, cristallo su cristallo, silicio e ferro e quarzo
fecero la meraviglia di codesta povera ricchezza nota fino
in Giappone, orgoglio del popolo valdese che da sempre
sale alle cave a “strapparla”.
Riccardo, quasi ottantenne,
si ferma a siesta e a sera a
mirare il “suo" panorama. Minuto, forte e attivo, una testa di elegante canizie, scambia rare parole con Camilla,
da più di cinquant’anni moglie e fedele compagna. Taciturno come i più dei rorenghi, parla però volentieri della casa che ostenta i suoi
quindici metri di facciata con ■
tre piani fuori terra. Incontro al sole e al lontano Montoso, di lassù ben visibile,
trionfo dell'incultura e della
barbarie, sposate al cattivo
gusto di bottegai.
1899 sta inciso su una lesena
del fianco: è la data dell'acquisto da parte del nonno, ma
quel rustico è là, pietra su pietra con poca ’pauta’ ^ per calce,
dal 1721. Ospitò nell’800 anche
una scuoletta per le frazioni
Verneys, Bosch e Moluire, oltre ai greggi di quelli di Bagnolo che qui svernavano a
fieno, in attesa di salire d’estate a Valansa.
— Nel 1906 mio padre si sposò e il nonno gli cedette la
metà della casa per cinquecento lire, tutto il capitale che
lui e marni avevano risparmiato centesimo su centesimo. Là, dove adesso viene
d’estate Milena, c’era la cucina e la stanza dei vecchi, pavimento ancora in terra battuta, e sopra le nostre stanze;
assito di legno con una faccia
liscia soltanto, quella che dava sotto, che di giù si vedeva.
Per salire, una scala a pioli
così a sera si andava “a
gióch" 2 come le galline. —
— Ma da quando noi si viene quassù da te, ormai più di
venti estati, io ricordo la tua
casa così: tutta allisciata e
bianca all’esterno e con gl'interni plafonati a dovere. E
così i due patio, davanti e di
fianco, puliti, fioriti, coi pinnacoli d’uva americana. E l’orto e il fienile da poco trasformato in dépendance per gli
ospiti. —
— Già, già: tutto frutto di
lavoro, di gran fatica e di rinunce. Di mio padre e mie,
cioè delle famiglie. Lui cominciò subito, verso il '10, dopo
^ aver recuperato e montato
pezzo per pezzo il laboratorio
che conosci: il grande trapano e il tornio da legno, ferri
d’ogni sorta da muratore, falegname e piccolo bric à brac
da meccanico. Ricordi, no, il
mio vecchio: « Sòn tanto
strach che per arpóseme
adess vòrr'ia moeire 'na frisa »?*. —
— Ricordo, ricordo. Ho usato quella frase per celebrare
Sergio Borgogno, un altro
grande lavoratore, un galan
tuomo. —
— Quando abbiamo cominciato a plafonare, andavamo
a far sabbia giù in riva al Luserna e poi, quando c’era luna piena o quasi che illuminava la strada, si saliva. Oggià,
le pile erano troppo care per
noi, allora. Dieci sacchi da
trentacinque-quaranta chili
l’uno e su, dieci viaggi di spola, come un gioco di staffetta:
un po’ per uno a far mucchio.
Tre tappe sulla strada, allora sentiero fin auassù. buoni
cinquecento metri di dislivello. A mezzanotte era fatta:
un mucchio contro il muro
dove adesso c’è la legnaia.
Neanche mezzo metro cubo!
In seguito, più attrezzati e con
qualche soldo in più, la facevamo trasportare a Rorà col
tombarello, su fino alla casa
degli americani e di là in cassette giù sulla "lesa”, la grande slitta dei cavatori. Cos'i anche per la calce. Dove adesso
c’è la vasca dell’acaua, il capolavoro mio e di Ricò, ma è
poi più tardi, nel '60, si faceva la fossa per bollire la pietra di calce con cura, setteotto quintali per volta, mantenendola poi umida e coperta
per l'uso. Tutte fatiche che
oggi non si sognano nemmeno, beati loro.
E la pietra? Lastroni, gradini, lesene dei poggioli: dove
adesso voi la.sciate l'auto,
c'era un costone che pezzo
per pezzo asportammo. La nostra piccola cava di grigiableu: micce, punte, scalpelli e
mazze.
E l’acqua? Le due sorgenti
che alimentano i sedici metri
cubi della vasca: una è di cento metri sopra, ma l’altra viene da «Tampa 'éd Boess »,
millecinquecento metri di tubo interrato. —
Mattino di domenica. Nel
sole alto due poiane giocano.
Lente volute di salita in tondo e picchiate o scivolate
d’ala, con grida puntute di
gioia purissima.
— Fanno il nido tutti gli an
ni sul hanco del roccione sopra il bosco. Belle, vero? —
Riccardo ci richiama dal sentiero dove, con Camilla, sta
tornando da Rorà, dal tempio.
Figurine da ritratto, vestite a
festa come in un dagherrotipo. Riccardo conosce sicuramente più il dovere che il piacere, non è un simpaticone ridanciano, ma di quella generazione, e non solo di quella,
quassù si contano più api che
cicale.
Si fermano entrambi nel
cortile dove gerani, rose, garofanini e fiori di montagna
trionfano. Oggi sfornellano le
nuore, bello è dunque sostare a leggere « La Voce » e a
conversare; la cronaca, quasi
sempre nera, viene a sera dalla televisione.
— Sai, Riccardo, a mettere^
insieme tutto ciò che dici di
aver fatto, non basta il tempo. Lavoro in Francia e prima
da pastorello, ventisei anni di
fabbrica con i sabati e le domeniche impegnati a rifinire
la casa e via di questo passo...
ma e a scuola? Mia nonna,
quando le domandavano:
« Marietta, che classe hai frequentato? » rispondeva: « La
seconda in piazza d’armi in
pastura », anzi « a larghé j
h'érrò ‘ »... —
— No, no. Fino alla terza
superiore a Rorà, dal maestro
Rostand, che noi avevamo soprannominato "manciòt” perché mancino e mancino per
forza, avendo perso da piccolo la destra. Ero piuttosto
bravo sai? Certo, smettevo a
fine aprile, quando partivo
per la stagione degli alpeggi
per guadagnare qualche lira
come margaro. Nel '19, finita
da poco la prima guerra mondiale, avevo dodici anni e salii per l’ultima volta. Fu al
Prà, ai confini della Francia,
con duecento pecore. La domenica non s’andava in pastura perché il padrone dava
il sale alle bestie nel grande
stazzo e così avevo il tempo
per scendere a Bobbio, a ven
dere i mazzetti di stelle alpine
e di piumetti, raccolti durante le lunghe giornate sull’alpe.
Quell’anno guadagnai tanto
da pagare il viaggio a Torino
per me e per i miei e poi il
primo vestito di fustagno e le
prime vere scarpe, oltre ai libri per entrare nel collegio
degli Artigianelli valdesi in
via Berthollet. Le dieci lire
per la tassa d’esame e d’iscrizione, le versarono invece
“Manciòt” e il pastore.
Dieci ore di lavoro e la sera
studio. Ma tu la fai troppo
grossa: sì, tante cose, ma piccole semplici cose, come quando a Parigi, per arrotondare
la paga del mio “bulò” di lift
d’albergo, andavo a tirare di
boxe come peso mosca. E la
naja da alpino a Pinerolo?
Anche lì ho avuto una fortuna
e un magone: la fortuna fu di
fare lo scritturale sfruttando
la calligrafia e il francése, il
magone dover rinunciare, dopo la selezione e il duro corso,
a seguire i miei quaranta compagni sciatori nella spedizione al polo del generale Nobile.
Niente da fare con mio padre: a casa mi aspettavano
per guadagnare. Bah, tutto
passato. Ora sono un signore,
siamo signori, vero ' Camilla?
Pensionati, tranquilli e sovente invitati e riveriti, come oggi. In questa nostra grande,
bella e comoda casa. L’unica
tristezza è per questo mondo
che non capisco più. Vogliono tutto facile, come se ciò
che diciamo bello e buono non
fosse frutto di millenni di fatiche e di studio... Hanno persino inventato il “tempo libero" come se alla fine della
tua storia tu non incontrassi
che le cose non dette, non fatte e non vissute. Il tempo è
“domani”: oggià, fintanto che
dici "domani” ci sei, è come
dire “sempre”, altro che tempo libero! Meno male che vedo tanti giovani sfilare in tutto il mondo per liberarsi dalla guerra; sanno ancora sognare e inseguire un’utopia?
Spero di sì, perché senza di
essa la vita non ha senso.
Bene, il socialismo lo faranno
loro... —
Eccolo sorridere, quasi che
il sorriso gli esca come un lusso di cui un galantuomo non
abusa. Passano refoli d’aria fina, un poco resinata. A gozzo pieno tacciono poiane e
merli. Due gazze litigano nel
bosco soprastante e sotto, laggiù, s'affanna a cose, troppe
cose, l’tiomo consumista che
Bruno insiste a definire errore biologico, essendo l’unico
essere giunto a progettare la
distruzione della propria
razza. Gianni Dolino
' Mola.
2 A nanna, dallo delle galline.
3 « Son tanto .stanco, che per riposarmi vorrei ade.sso morire un
poco ».
* A badare alle pecore.
11
11 aprile 1986
cronaca delle Valli 11
DIBATTITO A TORRE RELUCE
Una legge per i dissociati
o per la dissociazione?
Ricercando nuove soluzioni politiche e umane, al di là del terrorismo
I “pentiti” del terrorismo, cioè
coloro che non solo si sono resi
conto degli atti illegali che hanno commesso, ma che collaborano con la giustizia per assicurare altri responsabili degli stessi
atti illegali, hanno nel nostro ordinamento giuridico un sostanziale sconto della pena. Ci sono
casi clamorosi di persone pluriomicide confesse, messe in libertà dopo pochi anni. Di altri
ohe non solo sono stati messi in
libertà, ma che hanno anche rice-vTito dallo stato nuove identità
personali, soldi e rifugi sicuri.
E’ il cosiddetto diritto « premiale » introdotto nel nostro ordinamento dalla legislazione « di
emergenza » per battere il terrorismo.
Oltre i pentiti, vi sono anche i
“dissociati”, cioè coloro ohe individualmente o collettivamente
hanno rivisto criticamente il loro comportamento politico durante « gli anni di piombo » e vogliono essere reinseriti nella società. Per ora non godono di
sconti di pena, anzi pèr loro vale
in pieno la legislazione deiremergenza che ha aggravato le pene.
Per una stessa fattispecie delittuosa commessa in quegli anni,
ad un “politico” viene comminata una pena fino a tre volte superiore a Quella di un “comune”.
Di quest’ultima situazione si è
discusso sabato 5 aprile nel Tempio di Torre Pellice in un convegno organizzato à&W'Arci « De
Coubertin », che ha visto la partecipazione dei senatori Coyatta
(PSI) e Bastianini (PLI) e del
giudice Caselli del Consiglio Superiore della Magistratura, e di
numerosi protagonisti di quel periodo da Vesce a Pozzi, da Ferrari Bravo a Dalmaviva.
Persone tutte legate al cosiddetto « processo del 7 aprile » e
per il quale sono state condannate a pesanti pene quali responsabili o partecipanti a banda armata. Sono in libertà provvisoria
per aver scontato già gran parte
delia pena in attesa del processo
di primo e di secondo grado. In
generale si proclamano innocenti
rispetto ai reati di cui sono incolpati e per di più affermano
di aver svolto in carcere un ruolo attivo per "dissociare” dalla
lotta armata altri compagni incarcerati per aver fatto parte di
organizzazioni quali Prima Linea
o le Brigate Rosse.
Da politici hanno continuato a
far politica in carcere contribuendo a creare il movimento dei
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« dissociati dal terrorismo ». Ormai in questo movimento vi sono alcune migliaia di persone,
che, pér i ’motivi più div,ersi, stanno agendo politicamente nelle
carceri. Sono per lo più rinchiusi nelle cosiddette « aree omogenee » delle carceri italiane.
Per quest’area alcuni senatori
e deputati hanno cercato una soluzione politica alla loro vicenda.
Hanno presentato alcune proposte di legge per riconoscere il
ruolo del dissociato e per permettere loro una riduzione della pena (in genere si tratta di ripristinare la legislazione precedente al periodo delFemergenza).
Tra questi deputati e senatori vi
sono appunto Covatta e Bastianini. Essi hanno avuto un primo
successo proprio il giorno precedente al dibattito, avendo la commissione di giustizia del Senato
licenziato per il dibattito in aula
un primo testo della legge sulla
dissociazione.
Il testo di questo provvedimento, illustrato da Bastianini, dopo
aver definito “il dissociato”, prevede che anche per processi già
ultimati, l’interessato possa chiedere la riduzione della pena, con
esclusione di coloro che sono
stati condannati per strage, ed
in generale la riduzione delle pene dell’ergastolo a 30 anni.
Si tratta .— ha sottolineato Covatta — di un provvedimento politicamente giusto proprio in un
momento in cui sta risorgendo
un nuovo terrorismo. Quest’ultimo è profondamente diverso da
quello precedente perché è legato a questioni internaizionali,
mentre quello degli anni ’70 era
l’espressione di una reazione sociale ad uno stato di cose che si
intendeva modificare. Proprio
per isolare il nuovo terrorismo è
opportuno politicamente marcare le differenze e riconoscere il
valore positivo della dissociazione: si impedisce così una saldatura tra terrorismi che sarebbe
nefasta per la democrazia.
Per il giudice Caselli, che ha
molta esperienza di terroristi, es
sendo il giudice istruttore di molti processi contro le Brigate Rosse e Prima Linea, la legge è opportuna perché non solo ripristina una situazione di diritto eguale per tutti, ma perché accoglie
il principio costituzionale della
natura rieducativa della pena e
in questo senso valuta la legge
molto positivamente.
Sulla realtà dei dissociati uno
spaccato è venuto dalla lettura
di due documenti indirizzati ai
"valdesi" (c’è forse stato un certo equivoco visto il luogo dove
si teneva il convegno) da parte
di detenuti, alcuni dei quali avevano già scritto al Sinodo (Vitelli) e al nostro giornale (Bignami). Uno spaccato ohe evidenzia
la complessità del problema della definizione di dissociato.
Per il giudice Caselli la dissociazione non deve essere solo
politica, ma aver riferimento al
fatto commesso (i giudici, si sa,
professionalmente devono giudicare i fatti, non i sentimenti)
mentre per Vesce, del « 7 aprile »,
è importante invece riconoscere
il movimento, che deve arrivare
ad un accordo politico con lo
Stato. Due concezioni come si
vede profondamente diverse, che
si sono scontrate in modo laico
nel tempio di Torre Pellice.
Gli aspetti più intimi, l’importanza della religione e della fede
nel fenomeno della dissociazione
sono stati ricordati da don Greganti del movimento di carcere
e comunità, che ha chiesto la collaborazione della chiesa valdese
al suo movimento.
Il past. Giorgio Tourn, aprendo
e chiudendo il dibattito, ha ricordato come per la teologia riformata il perdono spetti solo a
Dio ed il peccato sia la storia
che gli uomini fanno, siano essi
giudici, politici o dissociati.
Un dibattito importante, che
ha il pregio di confrontarsi con
una tematica di attualità, che ha
visto però uno scarso pubblico e
una presidenza un po’ troppo rigida.
Giorgio Gardiol
CONCERTO A LUSERNA S. GIOVANNI
Bach secondo Labsch
Un po’ al freddo ma riscaldate dalle note di un eccezionale
concerto di musiche di Bach,
più di cento persone hanno preso parte — venerdì 4 — alla
serata organistica di Harry
Ijabsch, professore di musica a
Bretten, che si è svolta nel Tempio valdese di Luserna San Giovanni. Labsch, padre di Susanne, candidata al ministero pastorale e attualmente all’opera nel
Circuito Val Pellice, ha messo
in piena evidenza la potenzialità dell’organo ristrutturato attraverso significativi brani di
Bach. La serata è stata aperta
dal candidato in teologia
Vito Gardiol che ha sottolineato come simili iniziative concertistiche che arricchiscono spiritualmente possano anche essere
utili occasioni per portare a termine lo sforzo finanziario per
il restauro del prezioso stmmento. Susanne Labsch ha introdotto, situandoli — con competenza musicale — nella biografia di Bach i vari brani eseguiti : dalla ’Fantasia in Sol
Maggiore’ composta da un Bach
ventenne organista ad Arnstadt,
ai cinque ’Grandi Corali’ che
ripercorrono le principali tappe
del calendario cristiano, sino alla ’Fantasia e fuga in Sol Minore’ che Bach scrisse per la chiesa di Santa Caterina ad Amburgo.
Il lungo applauso che ha circondato Harry e Christa Labsch
(anch’essa insegnante di musica e violoncellista) al termine
dell’esecuzione è stato il segno
di una serata pienamente riuscita. « E’ un ottime strumento,
— ha commentato con visibile
soddisfazione il Maestro Labsch
— l’ho provato per alcuni giorni e credo che la comunità valdese possa essere fiera di possedere questo mezzo di alta
espressione musicale ». Tra il
pubblico si notava, particolarmente numerosa, la presenza di
tedeschi residenti in Val Pellice
che hanno apprezzato l’iniziativa della comunità di Luserna
San Giovanni, circondando calorosamente la musicale famiglia dei Labsch.
G. P.
SOCIETÀ’ DI
STUDI VALDESI
Notizie
La Società di Studi Valdesi
ha pensata di organizzare una
serie di gite storiche in alcune
località delle valli valdesi dove
sono accaduti i fatti e gli episodi principali del 1686. In questo anno infatti si consuma la
disfatta valdese, dopo l’emanazione dell’editto di gennaio del
giovane duca Vittorio Amedeo
II, col quale si 'ìmpone, similmente alla Francia di Luigi XIV,
la fine del culto riformato in
Piemonte. Le nostre passeggiate
prevedono itinerari misti per
soddisfare le esigenze di tutti;
alcuni posti. si raggiungeranno
in auto, altri a piedi, altri ancora con ambedue i mezzi di
trasporto !
La giornata, con pausa per il
pranzo al sacco, unirà la piacevole compagnia a momenti di
rievocazione storica e di culto
con le comunità locali eventualmente visitate. Le gite che avranno luogo in genere la seconda
domenica del mese, inizieranno
rii maggio con la visita a Possano e alle carceri di Carmagnola dove furono imprigionati 1400
valdesi. Poiché nello stesso giorno si svolgerà la festa delle corali proprio a Possano, saranno contemplati momenti comuni fra le due manifestazioni.
Il 15 giugno invece la meta
sarà il vallone di Rodoretto, dove fu catturato il ministro Pietro Leydet che aveva rifiutato
di consegnarsi alle truppe francesi operanti militarmente in
vai San Martino, in appoggio
all’esercito sabaudo impegnato
in vai Pellice. Il 13 luglio saremo sul posto dell’eccidio di Peumian, avvenuto dopo la capitolazione dei valdesi di Pramollo.
Durante il mese di agosto, già
pieno di incontri e scadenze, vi
sarà una pausa. Si riprenderà
il 14 settembre con l’escursione
al vallone degli Invincibili a
Bobbio, ultimo e disperato focolaio della resistenza valdese
prima dell’Esilio e si terminerà
il 12 ottobre a Roccapiatta. Paradossalmente il nostro giro finisce proprio là dove sono iniziate le vicende della terribile
primavera del 1686. Il 12 marzo
infatti, in questi prati i valdesi
decisero di restare e combattere.
Tutti sono dimque invitati a
non perdere un’occasione per
conoscere luoghi che altrimenti
non si visiterebbero mai perché
troppo vicini o perché non se
ne ha il pretesto.
Fra le iniziative della S.S.V.
è ancora da segnalare l’awenuta pubblicazione di due opuscoli della nuova collana «IL SEDICESIMO » (sedici pagine da
leggere in fretta e con gusto!).
Il primo si intitola «Le incisioni valdesi di Jan Luyken», (lire
4.000), e raccoglie una serie di
stampe riproducenti le incisioni di questo pittore olandese in
ricordo dei massacri valdesi. Il
suo interesse verso tali avvenimenti va collegato alla grande
risonanza suscitata in Olanda
dalle Pasque Piemontesi del
1655, preludio di altre crisi gravi che sconvolgeranno per im
cinquantennio il protestantesimo
europeo. Il secondo libretto
«Una ferrovia per le Alpi», di
B. Peyrot (L. 2.000), rappresenta un contributo essenzialmente storico al dibattito attuale
sulla ferrovia Pinerolo-Torre
Pellice. Vi si narrano i molti
progetti ferroviari compiuti ed
incompiuti, diretti verso Rorà,
Bobbio e la Francia, con allegata una scheda su imo dei personaggi politici locali più influenti nella seconda metà dell’80O: Giuseppe Malan.
Per informazioni e prenotazioni è possibile rivolgersi alla
S.S.V. - Via Roberto d’Azeglio 2
(sopra il Museo) - Torre Pellice - tei. 0121/932179.
B. P.
RINGRAZIAMENTO
AU’Ospedale Valdese di Torre Pellice, il 23 marzo 1986, si è spento serenamente il
Cav. Ferruccio Signoretti
La moglie Mina, i figli Elena e
Lucio con le rispettive famiglie e i nipoti, esprimono un pensiero riconoscente ai pastori B. BeUion e A. Deodato,
ai sanitari ed al personale delVOspedale, al sig. Livio GobeUo ed alla affezionata Lucia Miegge.
Un sentito grazie a quanti hanno
preso parte al loro dolore.
Luserna San Giovanni, 31 marzo 1986
RINGRAZIAMENTO
(( Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa,
ho serbato la fede »
(2 Timoteo 4: 7)
I familiari e parenti della compianta
Ines Rostan ved. Bertalotto
di anni 82
ringraziano tutti coloro che in qualsiasi modo hanno preso parte al loro
dolore.
Un particolare ringraziamento al
personale del Rifugio Carlo Alberto, td
direttore e aRa dott.ssa Peyrot, ai dr.
Sabbione, medico di famigRa ed ai pastori di Luserna S. Giovanni e di Pomaretto.
Pelosa Argentina, 4 aprile 1986
RINGRAZIAMENTO
(( Ritorna^ anima mia, al tuo
(Salmo 116: 7)
La famiglia della compianta
Alessandrina Fornerone
ved. Costantino
riposo »
profondamente commossa per le attestazioni di simpatia, ringrazia il pa^
store K. Langeneck, i vicini di casa,
gli amici e tutti coloro che hanno
preso parte al proprio grande dolore.
Prarostino, 27 marzo 1986
RINGRAZIAMENTO
Il 31 marzo a 93 anni è partita
Giulia Rivoir ved. Malan
A funerali avvenuti nel Tempio valdese di Torre PeUice i familiari riconoscenti ringraziano tutti coloro che
in più modi l’hanno eircondata del
loro affetto e sono stati accanto a lei
e con loro in questi ultimi anni e ultimi giorni di vita terrena.
Torre Pellice, 4 aprile 1986
USSL 42 - VALLI
CHISONE - GERMANASCA
Guardia Medica :
Notturna, prefestiva, festiva: presso Ospedale Valdese di Pomaretto - Tel. 81154.
Guardia Farmaceutica ;
DOMENICA 13 APRILE 1986
Villar Perosa: FARMACIA DE PAOLI
- Via Nazionale, 22 - Tel. 840707.
Ambulanza :
Croce Verde Perosa: Tel. 81.000.
Croce Verde Porte; Tel. 201454.
USSL 44 - PINEROLESE
( Distretto di Pinerolo )
Guardia Medica :
Notturna, prefestiva, festiva: Telefono 74464 (Ospedale Civile).
Ambulanza :
Croce Verde Pinerolo: Tel. 22664.
USSL 43 - VAL PELLICE
Guardia Medica :
Notturna, prefestiva e festiva: Telefono 932433 (Ospedale Valdese).
Guardia Farmaceutica ;
DOMENICA 13 APRILE 1986
Villar Pellice: FARMACIA GAY Piazza Jervis - Tel. 930705.
Ambulanza ;
Croce Rossa Torre Pellice: Telefono 91.996.
12
12 uomo e sodetà
Il aprile 1986
SULLA « LETTERA Al COMUNISTI ITALIANI »
Volontà o progetto politico?
I conflitti di classe non spiegano più tutti i conflitti, se mai lo hanno fatto - Il nodo centrale
identificato nell’« uscita dal sistema di dominio e di guerra » - La confusione di piani diversi
La ’Lettera ai comunisti italiani’ firmata da un gruppo di
intellettuali cattolici e della sinistra indipendente tra cui La
Valle, Napoleoni, Ossicini, Ulianich, pubblicata su Adista a fine gennaio, intende essere un
contributo alla discussione in
vista del XVII congresso del
PCI, e si pone certamente in una
linea di continuità con le sollecitazioni rivolte da qualche tempo a questo partito da parte di
singoli intellettuali o di gruppi
interessati agli orientamenti teorici e politici che in esso si vanno definendo (cfr. il carteggio
Natta - Girardi).
L’interlocutore è il Partito Comunista, ma non è l’unico destinatario dal momento che le
questioni poste sono di tale portata da chiamare in causa la società italiana nel suo insieme e
l’intera comunità a livello internazionale.
La lettera mi pare notevole
per almeno due ordini di ragióni: intanto perché contiene tma
critica serrata ed intelligente di
categorie usate ed abusate come slogan nel dibattito in corso: ’capitalismo’ e ’socialismo’
come termini esclusivi della contraddizione fondamentale; discussione sul ’modello’ di società socialista; ’fuoriuscita’ dal capitalismo. Sembra invece vero
che nell’attuale dimensione della complessità, né i conflitti di
classe in generale spiegano tutti
i conflitti, se mai lo hanno fatto, e nemmeno esauriscono o
definiscono adeguatamente i termini attuali dei conflitti in atto.
L’orizzonte internazionale in
« L'Eco delle Valli Valdesi »: Rea.
Tribunale di Pinerolo n. 175.
Redattori; Giorgio GardioI, Paolo
Florio, Roberto Giacone, Adriano
bongo, Giuseppe Piatone. Sergio
Ribet. Comitato di redazione: i redattori e: Mirella Bein Argentieri,
Valdo Benecchi, Mario F. Berutti,
Franco Carri, Rosanna Ciappa Nitti. Bruno Gabrielli, Claudio H. Martelli, Roberto Peyrot, Massimo Romeo, Marco Rostan, Mirella Scorsonelli, Liliana Viglielmo.
Direttore Responsabile:
FRANCO GIAMPICCOLI
Redazione e Amministrazione: Via
Pio V, 15 - 10125 Torino - Tel. Oli'/ j
655.278.
Redazione l'Eco delle Valli Valdesi:
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Stampa: Cooperativa Tipografica
Subalpina - 10066 Torre Peliice (To)
fatti è dominato da « forme di
oppressione ed espropriazione
politica che non sono adeguatamente spiegate dalla sola natura capitalistica dei poteri dominanti e dove V perciò l’istanza di
liberazione non è pienamente interpretata dalla parola d’ordine
di un’uscita dal capitalismo: ai
Palestinesi non basterebbe un
Israele socialista per avere una
patria, così come i problemi della supremazia bianca in Sud
Africa, del dominio inglese sulrirlanda del nord, dell’integralismo musulmano in Iran, della
disintegrazione del Libano, della spartizione di Cipro, benché
connessi e complicati con. i conflitti di classe, non hanno in tali
conflitti la sola loro spiegazione
ed origine ».
Il secondo motivo di interesse nella lettera mi sembra costituito da una critica altrettanto radicale di concezioni diffuse
anche ail’intemo del Partito Comunista, « tese a licenziare ogni
discorso di valori e di fini », per
privilegiare una visione pragmatica della politica schiacciata
sulla sola mediazione e ridotta
a « puro potere ». Sono effettivamente questi i poli contrapposti di una discussione che il dibattito precongressualé ha messo in evidenza.
Se dunque è vero che né le categorie tradizionali di un patrimonio ideologico vetero-comunista, né la liquidazione sommaria
di qualunque spinta etica ed
ideale in nome di una male intesa ’modernità’ sono prospettive
storicamente adeguate alla trasformazione della società, quale
strada è allora necessario imboccare, quale prospettiva che
assuma dignità piena di obiettivo politico concreto e realizzabile?
Il nodo centrale della battaglia politica ed ideale è oggi, si
dice, l’uscita « dal sistema di dominio e di guerra ».
E’ qui indicata una nuova radicale contrapposizione, paceguerra. E’ questa la contrapposizione originaria, costitutiva
deU’agire politico. Uscire dal sistema di guerra vuol dire uscire
dalla guerra come sistema, come cardine e fondamento dell’ordine politico; un sistema dove la guerra « non è un evento
ma un’istituzione, non è una crisi ma una funzione »; un sistema dove le armi non sono puri
strumenti di difesa ma ne determinano la struttura di potere
e ne « producono la costituzione materiale »; dove « oltre una
certa soglia, non sono più l’armamento di una società, ne sono l’ordinamento ».
« E’ questa l’arma nucleare
come supremo principio regolatore dei rapporti mondiali ».
Senonché il rapporto di dominio e la guerra come strumento decisivo di esso, così come sono descritti nella lettera,
sarebbero caratteristiche ineliminabili della convivenza umana dal suo primo costituirsi, sarebbero all’origine e nel
cuore stesso dell’ordinamento e
del l’agire politico, ne sarebbero
il fondamento costitutivo, e questo a causa deW'inimicizia originaria tra singoli e gruppi che
assume la guerra come soluzione estrema e inevitabile del conflitto. Così almeno nell’analisi di
alcuni teorici della politica in
un arco che va — si dice — da
Machiavelli a Hobbes a Von
Clausewitz a Cari Schmidt a
Reagan, dove invece, a me pare,
alle origini dello Stato moderno,
l’assunzione consapevole della
politica rappresenta proprio la
cessazione dell’inimicizia, il tentativo di uscire dalla logica del
la guerra di tutti contro tutti, il
momento in cui si comincia a
discutere con l’avversario invece di ammazzarlo.
Al di là di questa osservazione a me pare si introducano nell’analisi proprio alcuni di quegli elementi di rigidezza e di
determinismo che si dice giustamente di voler superare, e si finisca per operare un salto alla
ricerca di un’altra fondazione
della politica che non sia il puro rapporto di dominio. Come
si esce infatti dal sistema di
guerra?
— Prodotto dalla storia — si
dice — esso può essere superato nella storia —. Ma come? Con
un moto generoso della volontà
collettiva? L’indicazione è questa: uscire dal sistema di guerra vuol dire costruire la pace,
nelle sue determinazioni concrete, a livello nazionale e intemazionale. Nella prospettiva della
« pace al primo posto » non solo
restano assorbite tutte le altre
contraddizioni ma tutte le priorità capovolte: cercate prima la
pace e tutto il resto vi sarà dato, il pane, il lavoro, la vita, una
società più giusta.
La costruzione della pace deve assumere i connotati di un
concreto progetto politico. Qui,
mi pare ci siano i limiti maggiori. Intanto l’indicazione di
questa nuova radicale contrap)posizione — pace-guerra, amici
della pace-nemici della pace —
per di più tendenzialmente spogliata dalla concretezza di analisi scientifiche che le vecchie
alternative possedevano, di nuovo non restituisce la complessi
tà e resta sul piano delle grandi
opzioni di principio, di una volontà enunciata più che di un
progetto politico. Si prenda il
passaggio in cui si analizza _ il
nesso tra capitalismo ed opzio
ne di guerra e si sostiene che
bisogna « provocare il capitalismo a separarsi dal sistema di
guerra ». E se questo non avverrà, ne ricadrà su di esso la responsabilità.
Ma, si potrà dire, i progetti
politici spettano ai partiti. Qui
si coglie infatti l’aspetto più delicato della questione. E’ davvero pertinente una ’Lettera ai comunisti italiani’? Non ne restano poi tropoo mescolati dei piani diversi di intervento che andrebbero tenuti distinti? Al fondo, mi pare di avvertire l’esigenza di una maggiore laicità, di
una più rigorosa distinzione tra
progetto politico e spinta profetica e ideale.
Rosanna Nitti
BASILICATA
Possibilità di dialogo
Nel quadro del XV congresso
della Federazione del PCI di Potenza, conclusosi il 9 marzo, tra
i vari interventi che si sono succeduti per i tre giorni dì dibattito è stato caratteristico quello « a tandem » di due compagni che per la loro attività professionale hanno dato uno specifico contributo dì idee, analisi e proposte su due temi specifici: la posizione del PCI di
fronte alla presenza cattolica e
di altre organizzazioni « di diversa ispirazione religiosa »; la
questione nucleare, ambientale
ed etica dello sviluppo economico. Il pastore Francesco Carri della Chiesa metodista di Rapclla-Venosa e Michele Carbone
di Terranova di Pollino, sacerdote del dissenso cattolico, da
tempo in lotta con l’autorità diocesana, tanto hanno detto e ridetto che alcuni emendamenti
alle tesi congressuali sono stati
approvati. Con 101 voti a favore,
41 contrari e 2 astenuti, è stato
approvato un emendamento alla
tesi 41 (le scelte politiche dei
cattolici) con il quale è stata
soppressa la frase: « E’ stato
possibile rafforzare il carattere
laico dello Stato attraverso la
revisione delle relazioni con la
Chiesa cattolica e con gli altri
culti presenti nel paese ». Il
congresso ha inoltre approvato
gli emendamenti Mussi-Bassolino al paragrafo « Energia » del
documento programmatico, rispettivamente con 75 sì, 54 no e
19 astensioni, e 64 si, 59 no e 20
astensioni.
In questa esperienza di dibattito di un congresso provinciale di partito è stato possibile
riscontrare come vi sia spazio
per interventi che testimoniano
di una fede, di un modo di essere chiesa, di vivere il rapporto con Dio, con il prossimo, con
lo Stato, con l’ambiente, come
espressione dell’essere credenti
nella società del nostro tempo.
F. C.
E’ il Signore che decide
(segue da pag. 1}
non hanno più nessun diritto su
loro stessi. Un altro deciderà
per loro. Un altro stabilirà quel
che devono e possono fare. Ed
è infatti solo sulla parola di Gesù che riusciranno a pescare.
Sarà il cibo che ancora una volta Gesù distribuirà loro (pane
e pesce) che darà loro la forza
di ricordare la vocazione ricevuta, di riprendere il cammino,
di mettersi a disposizione del
Maestro.
Tutti gli uomini della Bibbia,
gli « uomini di Dio », sono passati attraverso questa esperienza. Ne ricordiamo uno in particolare: Elia. Nessun profeta di
quel tempo (erano i tempi del
re Achah!) aveva mai compiuto
imprese come quelle di Elia. La
vittoriosa sfida ai sacerdoti di
Baal (1 Re 18) rappresenta il culmine dell’estenuante lotta contro il paganesimo infiltrato in
Israele. Il popolo aveva piaudito alla vittoria di Elia, esclamando: « L’Eterno è Dio! L’Eterno è Dio! ». Immaginiamo la
gioia, l’esultanza del profeta! Lo
vediamo invece, subito dopo,
stanco, deluso, fuggitivo. « Basta! Prendi ora, o Eterno, l’anima mia, perché io non valgo meglio dei miei padri» (1 Re 19).
L’entusiasmo del popolo dura il
tempo di tma farfalla. Elia (almeno: così crede lui...) è rimasto solo ad adorare l’Eterno.
Non vuol più vivere. La sua parabola è conclusa. Ha dato quel
che poteva, ha lottato al massimo delle sue forze. Ora è finito tutto.
Ma non può fare quel che vuole. Non può decidere lui. Non
appartiene più a se stesso: non
ha diritto allo scoraggiamento.
E’ il Signore che decide, è il Signore che provvede. Una focac
cia cotta sulle pietre ed una
brocca d’acqua. E’ tutto quel che
il Signore gli procura. Ma sta
scritto: « Per la forza che quel
cibo gli dette, camminò per quaranta giorni e quaranta notti ».
Ci vien da sorridere, quando
pensiamo ai nostri calcoli di vitamine e di proteine... Non certo una brocca d’acqua e una focaccia possono dare tanta forza: ma si tratta del cibo che viene dal Signore, come quel pane
e quel pesce sul lago di Tiberiade, come quel pane e vino dell’ultima cena, come quello Spirito che scenderà alla Pentecoste.
L’esperienza di Pietro, l’esperienza di Elia, l’esperienza di
tutti gli uomini della Bibbia, è
in fondo l’esperienza di tutti noi.
Chiamati ad un servizio speciale (pastori e non pastori: siamo
tutti chiamati ad essere testimoni!), quello di vivere ed annunziare l’Evan^elo in mezzo ad un
popolo radicalmente indifferente, sovente siamo vittime della
frustrazione, della delusione. Siamo tentati di abbandonare l’impresa, di chiuderci in noi stessi,
di vivere interiormente (o al
massimo nell’ambito della nostra piccola comunità) la nostra esperienza di conversione e
di comunione col Signore, senza
più preoccuparci del mondo che
muore. Quando pensiamo alle
speranze che hanno animato i
nostri padri, dopo l’unità d’Italia, convinti che l’Evangelo avrebbe conquistato il cuore degli
Italiani in un paio di generazioni; quando leggiamo degli entusiasmi dei primi missionari venuti a darci una mano nell’evangelizzazione del nostro Paese,
veramente abbiamo di che scoraggiarci. Dopo tanti anni di
predicazione, dopo tanti impe
gni sociali e politici, dopo aver
impiegato tanto danaro (e tanto speso male...) per la testimonianza, in fondo non siamo che
il 2 per mille della popolazione
e — nonostante recenti visite di
personaggi importanti — la nostra voce è molto debole. Perché continuare? Perché questa
perenne ansietà per riuscire a
mantenere in piedi le nostre
opere? Perché vivere tormentati da tanti problemi insolubili?
Abbiamo conosciuto il Signore:^
viviamo ora in pace godendo di
questa esperienza e preoccupiamoci del nostro benessere. « Io
me ne vado a pescare!».
Questa è la tentazione. Una
sottile tentazione alla quale non
resistono molti credenti che hanno iniziato la loro "carriera” di
testimoni del Cristo con entusiasmo, con aggressività evangelica, con gioia. Ad un certo punto non ce la fanno più. La scarsità dei frutti e la debolezza della carne, non permettono di andare oltre, e « se ne vanno a pescare ». Ma non è possibile. Non
ci è concesso. Non siamo più
padroni di noi stessi. Se guardiamo bene, sulle rive del lago,
c’è il Signore con il suo cibo,
pronto a darci sempre e di nuovo la forza per andare avariti nel
nostro cammino di testimoni.
L’importante non è il nostro
scoraggiamento, la nostra deholez.za infinita; l’importante è riconoscere "il Signore” come tale, cioè come colui che dispone
della nostra vita. Non a parole
(magari teologiche!), ma a fatti, nel concreto. Allora faremo
anche noi l’esperienza di Pietro,
dei discepoli, l’esperienza di
Elia: « Per la forza che quel cibo gli dette camminò quaranta
giorni e quaranta notti ».
Piero Belisi