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Anno 127 - n. 11
15 marzo 1991
L. 1.200
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a : casella postale - 10066 Torre Pellice
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
L’APOCALISSE
I quattro
cavalieri
L
La vittoria crea le condizioni
per ia pace? E’ ciò che in genere si pensa perché, una volta eliminato l’awersario, vigono
soltanto la legge e il diritto del
vincitore, si crea un nuovo equilibrio politico, si afferma un nuovo ordine economico, vi è un
solo potere militare e, molto
spesso, il vincitore impone anche la propria cultura.
Vorrei, però, tentare di rispondere alla domanda iniziale
alla luce del cap. 6 dell’Apocalisse, quello dove compaiono i
famosi «quattro cavalieri».
Il primo cavaliere cavalca un
cavallo bianco, impugna un arco e riceve una corona, « ed egii
uscì fuori da vincitore e per vin
cere » (Apoc. 6: 2). I commen
tatori hanno da sempre discus
so sull’identità di questa figura.
In epoca recente, uno dei più
grandi studiosi dell’Apocaiisse,
Charles Brùtsch, ha interpretato
questa figura come la personificazione « deila guerra di conquista, deU’imperialismo », aggiungendo: « Si capisce facilmente come questo cancro della storia mondiale inaug^uri la serie
di sciagure: l’epopea guerresca si
circonda di una mistica gloriosa, ma sfocia inevitabilmente in
una serie di flagelli ».
I flagelli sono rappresentati
dagli altri cavalieri. Il secondo
monta un cavallo rosso. La stessa Apocalisse ne dà l’irterpretazione: si tratta della guerra.
O meglio, è il cavaliere che toglie la pace, e gli uomini si uccidono tra loro. Non è più la
guerra imperialista, ma quella
fraticida, intestina; il paese conquistato precipita nel caos.
Ma non è finita: esce un ter
zo cavaliere. Il suo cavallo è ne
ro, e tiene in mano una hilan
eia. E’ la carestia. Manca il pa
ne, e quello che c’è diventa mol
to caro; i poveri non sono in
grado di pagare i prezzi della
borsa nera. E così quelli che
sono scampati ai massacri muoiono per la fame e gli stenti.
Ma un altro flagello si abbatte su questa umanità già abbastanza tribolata. Esce un quarto cavaliere, il suo cavallo è di
un colore indefinibile, tra il giallo e il verdastro, lo segue uno
scudiero, il cui nome è « Ades »,
inferno. Spiegano i commentatori che quest’ultima apparizione è la personificazione delle epidemie (colera, peste ed altro)
che seguono le guerre e fanno
strage tra i superstiti.
II fatto che ritroviamo oggi
all’opera questi quattro cavalieri in varie parti del mondo non
vuol dire che siamo arrivati alla fine dei tempi. In ogni secolo la terra è stata percorsa in
lungo e in largo da questi personaggi. L’Apocalisse (che vuol
dire « rivelazione » ) è tale non
tanto perché ci annuncia un futuro, quanto perché ci rivela il
senso profondo del presente.
L’imperialismo, di qualsiasi marca, non è la soluzione dei problemi ma il loro inizio.
Il primo cavaliere, il vincitore, ha dei tratti che lo fanno
assomigliare a Cristo. Anche Cristo è il vincitore, ed è circondato di gloria. Però la sua vittoria non corre lungo il filo di
una spada, ma nei pali di una
croce e nei fori lasciati dai chiodi nel suo corpo crocifìsso.
Questa è la logica della vita
e della giustizia.
Luciano Deodato
L’ESODO DEGLI ALBANESI
Un dramma che ci riguarda
La drammatica situazione di Brindisi: ritardi, disorganizzazione, approssimazione - Buona
volontà da parte della popolazione - I profughi inseguono un sogno costruito in televisione
OTRANTO — Nel camping di
Frassanito sono stati alloggiati i
primi profughi. All’entrata la polizia ed i carabinieri pattugliano,
mitra al braccio, ma quando dico di essere un pastore evangelico si mostrano gentili, specie un
carabiniere napoletano che ha
visto la targa della mia auto.
Entro nel camping dove si trovano circa settecento albanesi
che vanno e vengono, che fanno
la fila per mangiare, per farsi la
doccia, per avere assegnati dei vestiti, per essere schedati o visitati dai medici della Croce Rossa.
Hanno volti cupi, ma pronti al
sorriso non appena rivolgo loro
la parola. Quasi tutti capiscono
un po’ di italiano ed alcuni lo
parlano anche bene. E’ dalla televisione italiana che lo hanno imparato perché i programmi arri
vano fino a loro. Sono quasi tutti provenienti da Vallona. La nave « Suriola » che li ha trasportati in Salento era stata resa inutilizzabile dalla polizia albanese,
che ha tolto la bussola e il timone, ma un capitano di marina
fuggito coi profughi l’ha ugualmente pilotata con una chiave
inglese. Poi, quando la nave è partita, la polizia ha sparato e pare
ci sia stato un njorto.
Sono quasi tutti uomini. Le
donne, forse solo una dozzina, sono state ospitate da famiglie italiane. Questi pugliesi in terra
d’Qtranto sono meravigliosi. Moltissimi i volontari e le volontarie
venuti ad aiutare nelle cucine,
per le pulizie dei bagni e delle
docce, per la distribuzione del
cibo e del vestiario. Qtranto, questa piccola città non più grande
forse di Torre Pellice, è tutta in
fermento per portare soccorso.
Qui anche i bambini sanno a
memoria la storia patria, in particolare quella degli ottocento
cittadini sgozzati da Achmed Pascià nel 1480 per non aver ripudiato la propria fede cristiana. E
quasi l’80% degli albanesi è musulmano.
Al camping gli albanesi mi domandano se credo che potranno
restare in Italia! Da loro c’è solo
fame e miseria mentre i governanti, mi riferiscono, vivono in
ville lussuose.
L’età di questa gente va dai
quattordici anni ai trentacinque,
salvo qualche eccezione. Anche se
sono preoccupati per quello che
hanno lasciato e quello che stanno per trovare mi fanno domande sul risultato delle partite di
mercoledì sera; molti vogliono
essere fotografati, sembra quasi
non abbiano mai veduto im apparecchio fotografico tanta è la loro
curiosità. Un giovane ingegnere di
venticinque anni mi parla dei
suoi sogni di approfondire la sua
cultura tecnica restando in Italia; un ragazzino che parla meglio degli altri mi insegna qualche parola albanese.
Li lascio con la convinzione,
dettata dalla speranza, che in Ita
lia ci sarà posto anche per loro
se saremo capaci di fare un po’
di spazio e di dividere un po’
della nostra fortuna.
Passo la notte nella piccolissima cappella valdese di Matino
(vicino a S. Maria di Leuca), così simile agli antichi ospizi dèi
« barba », ma alle cinque di mattina sono già in auto perché ho
fretta di andare a Brindisi.
Stanchi, confusi:
sono migliaia
BRINDISI — Quando arrivo
non è ancora del tutto giorno. Eppure le strade tutto attorno al
porto brulicano di volti smunti,
di corpi scarni dall’andatura confusa, trasognata di chi si è appena destato o non ha mai dormito.
Mi rammentano le sagome degli
internati nei lager.
Più vado avanti più la gente
aumenta: diventa folla, mentre la
città italiana dorme ancora;
quanti sono? E’ difficile poterlo
stimare bene: sono migliaia.
Nel porto sudicio e infangato
c’è un odore indefinibile di umanità. Qui sono tutti sporchi, di
un sudiciume che non può essere quello di due o tre giorni di
viaggio, pur in quelle condizioni.
Si sono già registrati dei oasi di
scabbia (ma ad Otranto tutto
sembrava positivo). I poliziotti
che pattugliano hanno delle ma
LA PARABOLA DEI TALENTI
Cosa vuol dire fedeltà
« E il suo padrone gli disse: Va bene, buono
e fedel servitore; sei stato fedele in poca cosa,
ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia
del tuo Signore ».
(Matteo 25: 21)
Tante volte i componenti una comunità cristiana
vengono chiamati « fedeli » perché alla base della
loro fede e della loro vita vi è la fedeltà alla Parola
di Dio. Ma come si realizza oggi tale fedeltà? La
nostra parabola ci parla di fedeltà.
All’inizio del brano è subito chiaro che il rapporto tra i personaggi è quello stabilito dalla legge della servitù: padrone é servi. Durante l'assenza
del padrone i servi vengono incaricati di amministrare il patrimonio padronale. Ognuno riceve del
denaro in base alle capacità personali. Alcuni servi riescono a far fruttare il denaro ricevuto raddoppiando il capitale; altri, per paura, nascondono
il denaro. Al rientro del padrone vi è il rendiconto
dell'amministrazione compiuta. I primi servi sono
lodati come « fedeli » perché hanno raddoppiato il
denaro del padrone e ricevono nuovi incarichi di
responsabilità. I secondi servi sono trattati come
« infedeli » perché non hanno fatto niente per aumentare il denaro affidato e sono condannati.
Cos'è fedeltà? Nella parabola la fedeltà è contenuta nell'azione di produzione economica. Fedele
è quel servo che con denaro affidato aumenta la
proprietà del padrone, infedele è quel servo che non
si preoccupa del patrimonio del padrone e si preoccupa solo del proprio bene.
Cosa dice la parabola della nostra fedeltà?
Innanzi tutto mi sembra che anche il rapporto
tra noi e Dio sia simile a quello dei personaggi
della parabola. Quando l’uomo viene interpellato
da Dio perde ogni spazio per una libera decisione,
non può avanzare pretese in base a buone opere,
non può dettare condizioni nei confronti di Dio ma
è come un servo: deve compiere ciò che gli viene
comandato. Davanti all’uomo vi è la via del peccato e della morte, ma Dio è intervenuto strappandolo a questa schiavitù e donandogli la possibilità di vivere nella grazia e nella libertà dei figli
di Dio.
Ora questo Signore chiede di operare nella concretezza della nostra vita per produrre dei frutti
utili al bene di tutto il mondo. Chiede a noi tutti
di essere sale e luce del mondo in modo tale che
gli uomini possano glorificare il Padre nostro che
è nei cieli (Matteo 5: 16).
Così fedeltà vuol dire realizzare oggi atti i quali
abbiano la qualità di indicare con chiarezza che
solo Dio è donatore di giustizia e di vita. Si tratta^
di riaffermare ogni giorno ciò che dice la Scrittura:
« Non son più io che vivo, ma è Cristo che vive
in me » (Galati 2: 20). Riaffermare l’unica decisione
importante per la vita: solo a Dio sia gloria!
Si tratta certo di agire, di operare e anche di
correre dei rischi, ma ben sapendo che nulla
verrà a nostro vantaggio in quanto già tutto ciò
che è buono e giusto ci è venuto in Cristo Gesù.
Ogni giorno saremo nuovamente rimessi davanti a
responsabilità di servizio e di dono. La via della
fedeltà è ricca di azioni per la pace e la giustizia
ma, ripetendo le parole dell’apostolo Paolo: « ...dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno dinanzi, proseguo il
corso verso la meta per ottenere il premio della
suprema vocazione di Dio in Cristo Gesù», (Filippesi 3: 13-14).
Giovanni Anziani
schere davanti alla bocca e guam
ti sanitari alle mani.
Qualcuno dorme avvolto nei teli trasparenti di nylon che gli
hanno dato per ripararsi dall’umidità della notte. Ci sono dei
carri bestiame dove a decine sono ancora stipati mentre alcuni,
con lo sguardo nel nulla, lasciano
penzolare i loro piedi nudi seduti là dove la porta scorrevole
è aperta. Una grossa nave, il « Tirana », attraccata al molo di
fronte, brulica di esseri umani.
Qgni tanto le grosse ambulanze
della Croce Rossa, con l’allarme
stridente, si fanno largo tra là
gente assiepata sulla banchina.
Qui non ci sono che pochi gabinetti, come di solito è nelle stazioni. Solo una fontanella e la
folla si accalca per bere e riempire, chi l’ha trovata, qualche bottiglia di plastica abbandonata da
antichi turisti.
Mi viene un magone per lo sgomento e l’impotenza; ad Qtranto
era un paradiso! Tende militari,
letti ben rifatti con lenzuola e
coperte, cabine metalliche della
Protezione civile con medici e infermiere; assistenza e speranza.
Qui invece sembra che si sia appena scampati a un’immensa catastrofe. E’ tutto un abbandono.
Nessuno degli italiani sa bene
cosa fare: disorganizzazione e disperazione regnano.
Sono colpito dal fatto che, tra
i profughi, ci sono molti soldati
albanesi ancora in uniforme.
Qualcuno ha strappato le mostrine, come per un otto settembre
delTimbecillità di un regime.
Ma chi mi commuove di più sono i bambini. A centinaia, di otto,
nove, dodici, quattordici anni,
senza genitori, senza adulti che
si prendano cura di loro, che vagano a gruppetti o da soli, laceri
ma addestrati alla sofferenza come gli sciuscià del neorealismo
ancora visibile a chi non ha vissuto il secondo dopoguerra. Molti sono svestiti o vestiti di lunghe
palandrane. A molti, dalla tomaia
aperta delle scarpe, spuntano fuori i piedini sudici.
« Soviècie? » Quanti anni hai?
E subito un gruppetto comincia
a seguirmi come pulcinetti inzuppati e spaventati. Sono una decina ne! bar dove faccio loro bere
Odoardo Lupi
(continua a pag. 3)
Per le vittime
della guerra
Il conto corrente postale
11234101 intestato a LA LUCE
FONDO DI SOLIDARIETÀ’ ■
via Pio V n. 15 - 10125 Torino, è a disposizione dei nostri lettori che vogliono contribuire all’azione del Consiglio ecumenico delle chiese a
favore dei profughi e delle
popolazioni vittime della guerra del Golfo.
(altre informazioni a pag. 11)
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commenti e dibattiti
15 marzo 1991
BOLOGNA
CONTRO RICATTI E CLIENTELE
Non demonizziamo gli altri La nuova Napoli
Le affermazioni del pontefice e quelle pronunciate dal cardinale Biffi - L’evangelizzazione deve partire proprio dalla comprensione e dall’ascolto dell’altro
Una città alla ricerca di una sua
identità: i vecchi e i nuovi problemi
Molti bolognesi sono convinti che il discorso fatto
da papa Giovanni Paolo II
ai vescovi dell’Emilia Romagna al termine della sua
visita del 1° marzo scorso
sia stato preparato dal cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, delle
cui idee su questa regione,
sulle sue donne, sui problemi di convivenza con gli
extracomunitari ci siamo
già occupati sul numero del
15.6.1990. Da più di un anno il card. Biffi non perde
occasione per tuonare su
un preteso degrado morale
dell’ Emilia Romagna ed
in particolare di Bologna,
la cui caratteristica sarebbe quella di una società
« sazia, edonista, abortista
e disperata ». Qualcuno ha
anche pensato di fare un
raffronto sinottico tra il discorso papale e i vari interventi sulla stampa di Biffi
e ne è venuto fuori un interessante parallelismo, anche se si deve tener presente che i messaggi del papa al termine delle visite
”ad limina” sono riassuntivi o collegati con le relazioni che i ’’pastori” delle diocesi presentano regolarmente in Vaticano. Facciamo anche noi qualche esempio.
« A prima vista il corpo
sociale della vostra regione
appare forte e vigoroso...
Ma, accanto a questi segni
di vigore, emergono stigmate di malattie e di morte:
la denatalità, il frequente
ricorso a divorzi e separazioni coniugali, l’assuefazione alla piaga dell’aborto,
l’alto numero dei suicidi, la
spaventosa diffusione della
droga, le inutili morti del
sabato notte... ». dice il papa. « Sulla conclamata vitalità di questa società emiliana ha ormai preso a spirare un’aura di morte e cominciano ad affiorare i segni indubbi di una grave e
progressiva necrosi: la rarefazione delle nascite, l’uccisione generalizzata di innocenti nel grembo della
madre, la frequente dissoluzione delle famiglie, l’autodistruzione di molti mediante la droga, i troppo
numerosi suicidi degli anziani e dei giovani... Bologna diventi amante della
vita e non si rassegni alle
stigmate di morte come la
denatalità, l’aborto, il suicidio, che spiccano in modo
impressionante sul suo corpo sociale... ». diceva Biffi.
« La Chiesa, maestra di
umanità, non può rinunciare ad ispirare le attività
Lettera aperta a
Giovanni Paolo II
Il cammino di dialogo ecumenico, intrapreso dalla nostra comunità da diversi anni, ci invita ad esprimere il nostro dissenso per il giudizio unilaterale e parziale espresso da Lei e dai
vescovi dell’Emilia Romagna sulla nostra regione, così com’è stato presentato dalla stampa.
I problemi di etica e dei valori segnalati dalle autorità cattoliche — e ai quali siamo particolarmente sensibili — non sono specifìci dell’Emilia, bensì comuni alle regioni di importante sviluppo economico e sociale, sia d’Europa sia del mondo. Forti e diffusi in Emilia non
sono soltanto i problemi, ma anche la coscienza dei problemi stessi e lo sforzo per affrontarli
con franchezza.
Abbiamo visto nell’immagine dell’Emilia,
rispecchiata nell’intervento Suo e dei vescovi,
una visione incompleta della realtà che viviamo ogni giorno. La responsabilità civica, la solidarietà sociale, l’attenzione alle questioni della pace e dell’ambiente, il rispetto per l’altro e
il diverso — tanto importante per una minoranza religiosa come la nostra — non sono presenti soltanto « nel cuore delle persone singole », bensì diffusi in una cultura concreta di relazioni durature, di gruppi e di associazioni e
trovano anche, spesso, aperture e realizzazioni
coraggiose nelle istituzioni.
Ricordare instancabilmente la questione dei
valori e delia vita è un contributo essenziale
alla nostra società. L’unilateralità di giudizio,
invece, non contribuisce al dialogo necessario
per attuarli. In quanto cristiani evangelici siamo convinti che l’evangelizzazione — oggetto
della preoccupazione Sua e dei vescovi — sia
un atto di reciprocità e, prima di tutto, un atto
di ascolto: ascolto dela Parola di libertà che
viene da Dio, ascolto di coloro con i quali viviamo. Chi annuncia l’Evangelo lo riceve anche da coloro ai quali lo annuncia.
La comunità evangelica metodista
di Bologna
Holoirna, •’? marzo 1991
La chiesa metodista di Bologna.
che si dirigono al bene comune. La Chiesa... sa di dover offrire anche alla politica uno specifico apporto
di ispirazione e di orientamento », dice il papa. « ... è
diffusa l’errata opinione
che i cristiani, e specialmente il clero in quanto tale,
non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali... E’ vero, invece, che
la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i
non credenti) di immischiarsi del mondo », diceva Biffi.
« Occorre che la Chiesa
dell’Emilia Romagna entri
in stato di missione », in
una terra in cui è in atto
un processo di secolarizzazione che finisce per « rinchiudere le prospettive di
non poche persone entro
l’angusto orizzonte della ricerca del proprio benessere », dice il papa. « Oggi
che i sistemi decantati come avveniristici sono crollati, la voce della Chiesa
pare acquistare più autorevolezza e più forza. Questo
è dunque il tempo propizio
per una decisa rievangelizzazione della nostra terra »,
diceva e dice di nuovo il
card. Giacomo Biffi.
« Nell’ambito delle strutture pubbliche non pochi
sembrano confondere una
corretta laicità » (guarda
da che pulpito si vuol dare
lezioni di laicità!) «con
l’agnosticismo in tema di
valori... Le decisioni politiche permeano ogni settore
della vita e concorrono
spesso a indirizzare verso
stili di vita sempre più lontani dal senso cristiano »,
dice il papa. « 7 laici (agnostici) ostacolano i diritti religiosi cattolici nelle scuole
pubbliche », diceva Biffi.
Di fronte a queste ed altre varie affermazioni la
reazione dei bolognesi è andata dalla pretesa di scuse
pubbliche per le offese ricevute alle dimostrazioni,
statistiche alla mano, che
divorzi, aborti, suicidi e
violenze sono in percentuale molto più bassa che in
altre regioni, anche industrializzate, del paese e che
comunque nel computo degli aborti e dei ricoveri per
Aids vanno considerati gli
innumerevoli pazienti provenienti da altre regioni,
piene di ’’obiettori” all’interruzione della gravidanza
o non attrezzate a livello sanitario; dal ricordare che
fino a cento anni fa
l’Emilia era Stato pontificio e fiorivano i briganti e
la miseria alle concilianti
ammissioni che, in effetti,
occorre fare attenzione al
pericolo del degrado morale e sociale. Pochi si sono
accorti che il discorso del
papa (e di Biffi) è funzionale al criterio evangelistico dei due esponenti cattolici; squalificare e demonizzare l’avversario, umiliare,
per indurlo alla penitenza,
il popolo da convertire e assoggettare alla propria morale ed alla propria politica.
La « lettera aperta » della
comunità metodista di Bologna (che pubblichiamo a
lato) fa rilevare proprio
questo, cioè che il primo
approccio con l’oggetto dell’evangelizzazione deve essere proprio il contrario:
rispetto dell’altro, comprensione e ascolto non preconcetto delle sue istanze, senza giudizi sommari precostituiti e senza valutazioni
rozze e dozzinali, anche e
soprattutto perché l’Evangelo del Signore Gesù Cristo è quello di un Dio che
si è fatto altro da sé nella
nostra umanità e così chiamarla al ravvedimento e
alla fede.
I primi a sentirsi umiliati e offesi sono stati, più
che i « laici agnostici », i
credenti cattolici aperti al
dialogo ed al confronto sia
sul terreno ecumenico sia
sul criticato campo della
solidarietà con gli immigrati. Anche a costoro, molti
dei quali sono nostri compagni di ricerca biblica
regolare e fedele, dedichiamo le parole che abbiamo
rivolto al papa.
Paolo Sbaffi
Napoli è eome un quadro impressionista: se entri dentro vieni assorbito
da infiniti punti colorati,
sfuma e man mano scompare la complessità della
trama fino a perderne memoria dell’esistenza.
Se c’è una città su cui
tutti sono abilitati a formulare giudizi questa è
Napoli; per non parlare
poi della faciloneria ,nell’indicare diagnosi e terapie: picchiare duro la camorra, costringere la gente a lavorare e disciplinarsi, pensionare politici
incapaci e corrotti. Questo
poi è il sogno di tutti i
napoletani, anche degli indolenti ed indisciplinati:
che il loro quartiere, se
non proprio tutta la città,
diventi come Bologna con
quell’anonima periferia
che si vede arrivando col
treno dagli Appennini.
In questo contesto di
degrado e precarietà ogni
bordata, anche se sparata
a salve, provoca sussulti,
butta giù precedenti strutture, rinnova quel rosario
infinito che si sgrana per
emergenze successive; un
consumarsi spasmodico
degli eventi, uno scontrarsi di uragani di contraddizioni incorniciati in un
contesto che sembra fisso
e che li condanna all’implosione.
E l’ultima bordata l’ha
sparata a metà dicembre
Cirino Pomicino, ministro
segretario di Stato della
Repubblica e proconsole a
Napoli di Andreotti. La
tecnica politica è tutta mutuata dalle regole del tavolo verde con le carte
truccate: giocare al rilancio senza aver niente in
mano confidando nella
confusione generale, nella
complicità di altri giocatori, nell’inesperienza ed insipienza del pollo da spennare.
Cirino Pomicino per la
verità ha in mano una sola carta che conta, e la
sbatte forte sul tavolo;
« Se volete soldi per le
consorterie napoletane, e
ne avete bisogno perché
quelli del terremoto ve li
siete pappati tutti così rumorosamente da dar lavoro a magistrati e commissioni parlamentari di inchiesta, ebbene se volete
altro danaro fresco, entro
aprile definite l’area metropolitana così come previsto dalla legge Cava sulle autonomie locali ».
Appunto la definizione
dell’area metropolitana diventa il calderone dove far
confluire le varie voci di
finanziamento e i progetti speciali. E qui, ancora
una volta, come in uno
spettacolo pirotecnico
scoppiano scintille di mille colori. Assessori comunali incapaci di far funzionare un semaforo immediatamente riescono a sfornare centinaia di modelli
di città perfette. E’ bloccata la costruzione di una
(peraltro inutile) linea
tranviaria veloce dopo
qualche centinaio di metri perché il progetto è
cervellotico, si è messa in
cantiere la metropolitana
più idiota del mondo e nel
frattempo politici, urbanisti ed economisti si gingillano con plastici e modellini che farebbero invidia a città come Stoccolma o Copenaghen.
Eppure si parla di polo
tecnologico, terziario avanzato, città della scienza e
cose di questo genere.
Volumi e volumi di grandiosi progetti nascondono
nient’altro che una brutale deportazione di povera
gente da espellere dal centro storico e da segregare
nella zona nord di Napoli, che già oggi è un enorme ghetto, con i camorristi che in questo modo riciclano in edilizia denaro
sporco.
Il fallimento della giunta Valenzi ha lasciato in
bocca l’amaro del disinganno. La sinistra è a pezzi;
i più furbi sono saltati, o
son pronti a saltare, sul
carro del vincitore. Il popolo, la povera gente ha
perso una bandiera, una
identità che li proiettava
in un futuro di riscatto.
Oggi Cirino Pomicino
promette la sua nuova Napoli. Per le forze di sinistra e popolari le scelte
sono due: o farsi assumere come maggiordomo
sperando così di poter raccogliere le briciole e gli
avanzi di questa ennesima
tavola imbandita, oppure
cercare di contrapporre al fronte dei potenti le
istanze ed i bisogni della
gente.
La seconda via, così facile come opzione emotiva, è la più rischiosa e la
più incerta perché vanno
individuate nuove regole
del gioco, perché si mette
in discussione chi detiene
il potere, perché ti costringe a fare i conti con gente infida che ti lusinga per
corromperti e con gente
violenta che ti invita a non
impicciarti più di tanto.
Porse oggi è difficile definire le cose da fare, ma
già oggi è necessario mettere all’ordine del giorno
l’espulsione dai centri di
potere di tutta una classe
dominante, sapendo che essa ha forti legami clientelari cOn la gente, un rapporto che non è fatto soltanto di ricatti e di minacce ma anche di reciproche convenienze.
Ma un processo di liberazione è appunto la rottura del ricatto, delle clientele e della miopia della
egoistica convenienza immediata. Se non si ha questa ambizione e questa
tensione ideale si lascia
tutto il campo ad un Cirino Pomicino, che rischia
di apparire uno statista
soltanto a causa della bassezza e dell’ignavia di chi
dovrebbe opporsi a questo
sistema di potere e non
lo fa.
Mimmo Guaragna
Il Cenacolo
MEDITAZIONI PER OGNI GIORNO
L’abbonamento :
L. 10.000 per l’Italia e L. 12.000 per l’estero
sul ccp n. 26128009 intestato a :
«IL CENACOLO» ■ via Firenze, 38 ■ 00184 ROMA
Chi lo desidera può ottenerne una copia in saggio.
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15 marzo 1991
attualità
UN POPOLO VICINO AGLI ITALIANI
Gli albanesi e noi
Una tradizione che nel nostro Meridione data
- Anche Giuseppe Gangale era italo-albanese
La drammatica vicenda dei
profughi albanesi appare per noi
italiani più coinvolgente della
generica necessaria solidarietà
nei confronti di tutti coloro che
giungono in Italia sospinti dai
rovinosi squilibri esistenti tra
società opulenta e paesi impoveriti. L’Italia ha infatti la sua
parte di responsabilità: invase
l’Albania per due volte, allo scoppio delle due guerre mondiali.
L’abbiamo occupata nel 1514, sino al 1920: divenuta stato indipendente, cercammo di aggiogare il suo difficile sviluppo ai nostri interessi; nel 1928 Zogu, divenuto re anche con l’appoggio
dell’Italia fascista, era praticamente nelle mani del duce il
quale, nel 1939, gettò ogni superstite ipocrisia ed in cinque giorni
la invase scimmiottando l’espansione nazista in Austria ed in
Polonia, per annetterla incoronando Vittorio Emanuele re d’Albania.
Lo scrittore I. Kadarè racconta episodi di eroica resistenza:
un montanaro, calato sulla spiaggia armato di mitraglia, si oppose, da solo, sparando sullo
sbarco degli italiani invasori finché cadde spazzato via da una
cannonata di una nave. Occupanti, rimanemmo alleati dei nazisti contro i partigiani albanesi, finché nel 1943 l’Albania ritornò stato sovrano. Ma c’è dell’altro. Cinque secoli or sono,
per più di duecento anni, ad ondate successive, gli albanesi abbandonarono il loro sventurato
paese dopo aver strenuamente
resistito ai turchi, che alla fine
riuscirono a ridurre il libero
« Paese delle aquile » ad una
provincia dell’impero dei sultani.
In Italia meridionale, dal Molise alla Sicilia, gli esuli fondarono oltre 150 comunità, un centinaio delle quali conservano tuttora la loro lingua ed il rito greco, cattolico ma non per questo
rispettato dai cattolici latini che
gli fecero un lungo ostracismo
(la cattedrale greca di Bova fu
murata per distoglierne i fedeli!). I maggiori poeti di lingua
albanese del secolo scorso sono
italiani: Gerolamo De Rada e
Giuseppe Schirò, calabrese il
primo e siciliano il secondo, studiati nelle scuole in Albania
quanto negletti qui da noi dove, malgrado il chiaro dettato
dell’art. 6 della Costituzione (La
Repubblica tutela le minoranze
linguistiche con apposite norme), non esiste una sola scuola, né elementare né secondaria,
dove si insegni la lingua albanese. Tutto ciò non conta: il governo italiano ha deciso di respingere i profughi, accogliendo
soltanto i « rifugiati politici » e
ributtando nelle grinfie del dittatore Aiia, devoto del culto della personalità di Enver Hoxha
la cui vedova è tuttora una dei
despoti del regime. L’Italia appoggia Alia, come appoggiò Ceausescu, Saddam Hussein, Siad
Barre?
Per liberare il Kuwait si è invocata la solidarietà internazionale. Oggi, in violazione di quella solidarietà, ed in offesa alla
vera pace che dev’essere fondata sulla fratellanza tra i popoli, il governo italiano composto
da democratici (sedicenti cristiani, socialisti e risorgimentati) rifiuta di dare ospitalità a
chi ripercorre l’antica rotta verso l’Italia in cerca di salvezza,
di libertà. Le nostre reti televisive da anni sommergono la
miseria albanese con italiche visioni da paese di bengodi.
Spendiamo migliaia di miliardi per bombardare l’Iraq, ma
non abbiamo soldi per organizzare l’accoglienza ai profughi ed
il loro inserimento nel mondo
del lavoro. Eppure vi sono operai, tecnici, studenti, insegnanti:
perché non pensare a costruire
centri di cultura albanese nelle
cento comunità arbresh d’Italia?
Nel 1883, il primo (e credo
' l’unico) giornale libero in lin
Un dramma che ci riguarda
(segue da pag. 1)
del latte caldo. Ci sono entrati
precedendomi ed il proprietario
li ha subito presi per un braccio
per cacciarli via. L’ho dovuto redarguire con asprezza per la sua
malcreanza insensibile.
Così prendo una decisione,
qualcuno di questi ragazzi me lo
porterò a casa; il mio appartamento è grande ed io sono solo.
Vado da un maresciallo dei carabinieri e gli chiedo cosa devo fare. Mi risponde: « Ma se li porti
pure pastore, tanto qui nessuno
si prende cura di loro ».
Sono ingenuo, voglio esserlo, e
così ne carico ben sei nella mia
macchina. Mi fermo al distributore più vicino per fare benzina,
ma subito sono attorniato da
due «pantere» della polizia che mi
intimano di scendere daH’aulo.
Dico loro del colloquio col maresciallo. Andiamo alla sua ricerca, ma è sparito. Però sono confermato da due poliziotti che
avevano assistito al mio colloquio e che mi fanno spontaneamente da testimoni: diventano
gentili; vado al Commissariato
P.S. portuale per sapere come
devo fare per salvare almeno questi sei bambini soli, una goccia
nel mare; nessuno sa dinni nulla:
« Lasci qui nel recinto portuale i
bambini e vada in Questura a domandare ».
In Questura mi mandano in
Prefettura. Una dottoressa in alto grado è molto cordiale e vuole
aiutarmi. Cerca di telefonare al
giudice minorile. Sono le otto e
trenta del mattino e in ufficio
non ce nessuno. Arriva il questo
re, lui solo potrebbe prendere
una decisione, ma non vuole
neanche lui assumersi la responsabilità. Qccorrerà attendere una
risposta dal tribunale dei minori.
Torno alla ricerca dei miei
bambini ma al porto non ci sono
più. Vago per molto tempo alla
loro ricerca tra le migliaia di uomini e di donne, di bambini che
sembrano lì per essere deportati.
Non c’è proprio nulla da fare?
Così me ne torno a Taranto dopo aver informato la Prefettura
che i bambini erano spariti, ma
che restavo disponibile per accoglierne degli altri alla richiesta
delle autorità.
Qggi, nel fondo di « Repubblica », Miriam Mafai afferma che
« l'idea che le porte debbano venire aperte a tutti coloro che
bussano attiene al Vangelo, non
alla politica ».
Nel suo distinguo letterario e
politico la scrittrice è piena di
umana saggezza. Ma l’Evangelo
non è poesia di cui si possa afnmirare solo la bellezza estetica,
perché l'Evangelo è vita che nasce dalla vita.
Così questo dramma degli albanesi che bussano alla nostra porta noi italiani dovremmo affrontarlo con politica evangelica.
E’ un dramma vero. Come quello di quel bambino chiamato Gesù che, avendolo vissuto in prima
persona e fuggendo quando era
bambino, al di là di tutti i calcoli politici dei benpensanti,
quando fu grande ci indicò anche
questi albanesi predicando: « Fui
forestiero e mi accoglieste ».
Odoardo Lupi
da ormai cinque secoli
- Li cacceremo via?
gua albanese si pubblicò a San
Demetrio Corone (Cosenza), grazie al sacrificio personale di un
vecchio professore, il citato De
Rada. L’Albania allora era per
la maggior parte sotto il giogo turco, e per il resto spartita
(come oggi) tra Serbia, Montenegro e Grecia. Ma in Calabria
si pubblica il foglio Flamuri i
Arbérit: la Bandiera d’Albania,
anticipando l’Albania indipendente di quasi 40 anni dopo! Il
giornale uscì sino al 1887 a spese del De Rada che, dopo la
tragica perdita di tutti i suoi
familiari, metteva le ragioni della sua vita nella lotta per l’indipendenza della patria degli antenati e nel nobilitare tutti i
valori storici, etnici e morali
della stirpe. Ancora a sue spese, promosse due congressi linguistici albanesi: a Corigliano
Calabro nel 1895, ed a Lungro
due anni dopo. Morì, poverissimo, novantenne, il 28 febbraio
1903. Della sua povertà, conseguenza del non aver saputo adeguare i grandi progetti ai mezzi finanziari, non si lamentava.
Quai\do la salma fu portata al
cimi! ero di Macchia Albanese,
accadde un episodio emblematico. Un soffio di vento staccò
una nube di petali da un mandorlo fiorito, così da ricoprire,
come con un velo candido, la
nuda bara del povero De Rada:
la terra sembrava voler rendere l’estremo omaggio al suo poeta.
Come non accomunare al De
Rada il ricordo di un altro grande italo-albanese, nostro fratello evangelico, Giuseppe Gangale, che dalla teologia passò all’azione per la tutela deile minoranze linguistiche e di quella italo-albanese in particolare?
L’Italia « guerriera » si appresta a schierare contro i diseredati che giungono ai porti pugliesi gridando « Italia! Italia! »
la marina militare, reduce trionfante dalla guerra del Golfo.
L’Italia pacifista dei De Rada
e dei Gangale, invece, riconosce
nei profughi dei fratelli.' Alcuni
di loro, nel « cammino della speranza », hanno voluto portare
con sé la bandiera con l’aquila:
Flamuri i Arbérit. La stessa che
la Calabria contadina dispiegò
per prima, quando l’Albania era
ancora schiava, quasi cento e
dieci anni or sono. Anch’io, oggi, sono italo-albanese.
Tavo Burat
NOTE SU UN DIBATTITO IN TV
Fede e religione
Oggigiorno si parla di « esigenze religiose » e
di Dio, ma si parla molto meno di Gesù Cristo
Sergio Zavoli cura una interessante rubrica televisiva dedicata ai problemi dell’adolescenza e dei giovani; l’ultima puntata era dedicata al tema « religione » e cercava di delineare
un quadro degli interessi e delle aspettative delle giovani generazioni in tema religioso. La trasmissione si componeva di tre
parti, come tutte quelle della
stessa serie: un film, un montaggio televisivo ed un dibatti-*
to.
Il film prescelto era il « Francesco » della regista Liliana Cavani su cui varrebbe la pena
fare alcune, parecchie, riflessioni; il montaggio televisivo documentava con i limiti di questo
tipo di interventi, ma con la
massima cura ed attenzione possibile, atteggiamenti significativi sul problema religioso in senso stretto: le vocazioni al sacerdozio, l’impegno di volontariato presso emarginati, le vocazioni religiose, una simpatica
riunione a Roma di un gruppo
di giovani pentecostali, la seduta di una società segreta a carattere esoterico, ecc. con anche
interviste di carattere più generale: con un gruppo di amici
di due giovani suicidi, gli amanti della velocità a rischio, in cui
la discussione si muòveva, più
che sul tema della religione in
senso stretto, sul problema del
senso della vita.
Ed è questo filone che ha condotto al dibattito con alcuni
personaggi nell’ultima parte della serata. Difficile ricordare tutto ciò che è stato detto ma da
spettatore più o meno distratto,
come sono tutti gli spettatori
serali, e non essendo in grado
di rivedere la serata in registrata ricordo quello che ricordo e
mi sorgono alcuni pensieri. Eccoli.
A parlare erano persone qualificate e definite, non cioè il
solito chiacchiericcio televisivo,
e di conseguenza i caratteri erano molto delineati. Il primo elemento di riflessione è stato per
me il fatto che la religione ha
avuto nel complesso dei discorsi un significato estremamente
ampio, non è più la fede cristiana definita, non diciamo il
dogma ma neppure il riferimento preciso al cristianesimo. La
religione è ormai davvero la « religione », o più esatto sarebbe
dire « il religioso », una grande
nebulosa in cui sta tutto quan
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to ma in cui gli elementi mistici irrazionali tendono a prevalere.
In secondo luogo è apparso
chiaro che la religione è in diretto rapporto con il senso della vita, credere significa aver
trovato il senso della vita; non
è tanto il ieri che conta ma il
domani; ma il senso della vita
è un concetto che va ancora definito perché può significare: ciò
per cui vivi o ciò che ti aiuta
ad essere te stesso; e non è la
stessa cosa.
La terza considerazione mi è
suggerita dalla significativa e impressionante testimonianza di
Rossana Rossanda che narra di
una sua esperienza accanto ad
una adolescente dinanzi alla
morte. Agnostiche o atee entrambe, non hanno nessuna forma di
comunicazione o, meglio, l’anziana non ha nulla da dire alla
giovane, non sa cosa dire e riempie il silenzio con la lettura di ,
pensieri stoici di Marco Aurelio (se ben ricordo) e del testo
evangelico del Getsemani. Dirlo
qui è banale, sentirlo narrare
con la sua voce pacata dalle infiessioni quasi dolenti era altra
cosa. Perché mai leggere quel
testo? Perché l’Evangelo? Impotenza delio stoicismo, cioè della filosofia umana, a dare senso
alle cose? Religione che tappa
i vuoti dell’anima? (Su questo
Balducci parlava con impeto ma
anche lì che Dio veniva presentato? Quello della pace assoluta che poi non sai bene dove
sta). Io udivo (ma sarà poi vero o è deformazione professionale?) nella voce della Rossanda una sorta di invocazione alla rivelazione di una vera presenza, che ricorda l’altare al dio
sconosciuto degli ateniesi ed a
cui ci dovremmo impegnare a
dare risposta soddisfacente.
Ultima riflessione riguardo all’intervento di Valdo Spini. Il
fatto che in questo mondo di
uomini di religione, preti e frati (quella sera era presente il
rettore della Gregoriana), rabbini e muftì la fede evangelica
fosse rappresentata da un laico,
impegnato nel mondo della politica, è non solo significativo
ma corrisponde bene al protestantesimo classico del XVII secolo.
Riflessione: non si capiva però che fosse evangelico né credo si sia compreso bene cosa
intendesse dire. Questa sensazione non suona critica al fratello
Spini, s’intende, che è stato esemplare nella sua sobrietà,
chiarezza e sensibilità. Il suo
accenno al valore dell’impegno
di servizio e di solidarietà, che
era stato sottolineato in precedenza dai filmati, era forse il
dato più percepibile (per il telespettatore) ma nel senso della bontà ed utilità portate dall’amore per i poveri mentre egli
intendeva parlare, credo, di coerenza e di necessaria traduzione della fede; insomma la religione è una vita, non ima nebbia luminosa.
Gli altri due concetti chiave
a cui ha fatto riferimento, la
fede e la testimonianza (e lui
solo nelTinsieme del dibattito!),
chi li ha colti? Nessuno. Testimonianza, la fede? Di che (o di
chi? visto che il Cristo non è
mai stato menzionato)? E cosa
è mai la fede se-non una variante della religione?
Domanda: come faremo a far
capire questi concetti chiave nel
futuro mercato delle religioni
che si sta apprestando attorno
a noi? Tocca ai teologi pensarci e cercare di dare delle formule così elementari e semplici che possano passare anche
sul piccolo schermo. Non per il
piccolo schermo in sé, perché
si potrebbe anche decidere di
non affacciarcisi mai, ma per i
videolettori le cui capacità ricettive sono ormai molto condizionate dalla rozzezza comunicativa del mezzo.
Giorgio Tourn
4
4 vita delle chiese
15 marzo 1991
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
INIZIATIVA DELLA FCEI
Culto dei giovani Convocazione per la pace
ANGROGNA — Domenica 24
febbraio il culto è stato tenuto
nella scuola grande del capoluogo dal pastore Giorgio Tourn
che ringraziamo per la cortese
disponibilità.
• Il culto del 3 marzo, domenica della FGEI, è stato a cura
delle ragazze e dei ragazzi della nostra Unione giovanile, che
hanno messo in comune con i
presenti una riflessione elaborata in questi mesi nell’ambito
del loro gruppo sul modo in cui
un credente, un credente giovane, vive il suo rapporto con il
denaro e con tutto ciò che al
denaro è legato. Questa riflessione è stata arricchita dal confronto, attraverso la lettura di
alcuni documenti dell’epoca, con
la scelta di povertà radicale per
l’Evangelo compiuta ottocento
anni fa da Valdo e dai suoi primi compagni.
Nel corso di questo culto gli
anziani del concistoro, ministri
della comunità, hanno presieduto la celebrazione della Santa
Cena leggendo la preghiera di
benedizione sul pane e sul vino che — secondo la testimonianza di un valdese sottoposto
nel 1320 al tribunale dell’inquisizione — veniva pronunziata in
occasione della Cena del Giove•dì Santo nelle piccole e perseguitate comunità valdesi dell’epoca.
• Il Comitato della foresteria La Rocciaglia di Pradeltorno invita a partecipare ad im
campo di lavoro volontario sabato 16 marzo dalle ore 8.30.
I lavori consisteranno nella
pulizia in vista della ormai prossima riapertura e nello scavo,
per il collegamento con l’acquedotto.
Assemblea di chiesa
SAN SECONDO — Durante
l’assemblea di domenica scorsa
Doris Fornerone e Piero Griglio
hanno illustrato la « carta dei diritti delle coppie interconfessionali » e hanno sottolineato che
desiderano non soltanto che sia
conosciuta ma che se ne parli
e che si applichi.
Dopo una profonda e proficua
discussione si è auspicato la nascita di un gruppo misto che
si incontri parlando apertamen
Calendario
Giovedì 14 marzo
□ COLLEGAMENTO
«JPIC »
PINEROLO — L'incontro si svolge
alle ore 20.30 presso il Convento dei
padri Cappuccini. AH'odg: l’assemblea
di Canberra; lavorare per la pace dopo la guerra nel Golfo; occupazione
e lavoro in zona.
Domenica 17 marzo
□ INCONTRO SULLA
TEOLOGIA DI
GIOVANNI MIEGCE
POMARETTO — Alle ore 15, presso il teatro, Bruno Corsani e Claudio
Tron parlano sul tema; • Il rinnovamento biblico nella teologia di Giovanni Miegge ».
Lunedì 18 marzo
□ INCONTRO PASTORALE
1° DISTRETTO
POMARETTO — L’incontro si tiene
all’Eicolo grande dalle 9 alle 15. In
programma: meditazione a cura di
Ludwig Schneider. aggiornamento sull’esegesi del Nuovo Testamento a cura di Bruno Corsani; discussione sulla proposta del prof. Ermanno Genre
(circ. del moderatore, gennaio ’91),
Giovedì 21 marzo
□ COLLETTIVO BIBLICO
ECUMENICO
TORRE PELLICE — Alle ore 21, presso la Sala della ex biblioteca (Casa
valdese) serata pubblica sul tema
« Stranieri a se stessi, I popoli nella
Bibbia ». Introducono il past. Bruno
Tron e Riccardo Lorenzino.
te delle differenze, ma percorrendo un cammino assieme, guidato solo dalla Parola di Dio.
• L’assemblea di chiesa ha
inoltre riconfermato quali anziani di IVIiradolo per un altro
quinquennio Ilda Ribet Paschetto e Silvano Forneron; è stata
anche eletta una nuova anziana
del quartiere Combe nella persona di Paola Genre Morero.
• Il Signore ha chiamato a
se Clelia Gardiol in Fornerone;
la comunità esprime la sua cristiana simpatia ai familiari.
• Hanno chiesto di poter confermare il proprio battesimo durante il culto della domenica
delle Palme: Sandro Cogno, Raffaella Fornerone, Davide Monne!, Doriana Monnet, Valeria Paschetto, Luca Ribet.
CateGumeni
BOBBIO PELLICE — Il col
loquio finale dei catecumeni di
IV anno è stato fissato alle ore
20.30 di venerdì 22 marzo, davanti al Concistoro, nella saletta.
Durante il culto di domenica delle Palme confermeranno
il battesimo ricevuto e confesseranno la propria fede in Cristo, il Signore: Giuseppe Artus,
Luca Bandiera, Fabio Bertinat,
Claudio Bertramino, Marilena
Bonjour, Sabrina Geymonat.
TORRE PELLICE — Sabato 16
marzo alle ore 20.45 alla Casa
unionista, il concistoro incontrerà i ■ catecumeni dell’ultimo anno.
• Domenica 17 marzo il culto al centro sarà tenuto dall’Esercito della Salvezza. Agli Appiotti interverrà il Gruppo flauti guidato da Cristina Ricca per
un contributo di guida nel canto, come già fatto ai Coppieri
domenica scorsa.
• Domenica 17 marzo alle ore
15 alla Casa unionista è convocata l’assemblea di chiesa per
discutere sul « Progetto generale stabili ».
Grazie!
VILLAR PELLICE — Viva gra
titudine al fratello Albert Lazier per il messaggio rivoltoci
nel corso del culto domenicale
da lui presieduto.
• Ultimamente ci ha lasciato
all’età di 86 anni la sorella Susanna Margherita Bouissa ved.
Fontana; ai familiari rinnoviamo
la nostra fraterna solidarietà
nella speranza della risurrezione
in Gesù Cristo.
Lutti
SAN GERMANO — Due altri
membri della nostra comunità ci
hanno lasciati: Dino Martinat,
scomparso tragicamente in seguito ad un incidente stradale
all’età di 60 anni; era molto conosciuto nella nostra zona per
essersi prodigato da diverso
tempo a favore degli ammalati
quale direttore del servizio della Croce Verde di Porte, servizio compiuto volontariamente
con grande passione e con vero
spirito di abnegazione; Emilia
Costabel ved. Baret, ospite da
ormai parecchio tempo dell’Asilo, si è spenta improvvisamente
all’ospedale di Pomaretto all’età
di 82 anni. Ai familiari di questi nostri due fratelli esprimiamo ancora la simpatia cristiana di tutti.
L’iniziativa, prevista per Pentecoste, coinvolge anche le chiese americane e mediorientali - Dialogo fra credenti: un ruolo positivo
Il Consiglio della FCEI,
nella sua ultima seduta, tra
le sue iniziative per la pace
ha deciso di promuovere nella settimana della prossima
Pentecoste a Roma una «Convocazione per la pace». I delegati delle chiese evangeliche italiane alla VII Assemblea del Consiglio ecumenico
delle chiese a Canberra (Australia) hanno preso contatti
con esponenti delle chiese
del Medio Oriente, degli Stati Uniti e dell’Europa ed è
stato elaborato un programma di massima, che prevede
il coinvolgimento del Consiglio nazionale delle chiese degli Stati Uniti, del Consiglio
delle chiese del Medio Oriente, della Conferenza delle
chiese europee e del Consiglio degli episcopati cattolici
europei, con la partecipazione di ebrei, islamici, protestanti ed evangelicali. Il tema proposto è « Ricostruire
la pace - Costruire la giustizia ». L’organizzazione della
convocazione è a cura della
FCEI e della Commissione
battista - metodista - valdese
per la pace, la giustizia e la
salvaguardia del creato. La
data indicativa è quella del
20-21 maggio (Pentecoste).
Abbiamo chiesto al past.
Giorgio Bouchard, presidente della Federazione delle
chiese evangeliche in Italia
(FCEI), in quale prospettiva
si pone questa iniziativa.
« Il progetto è allo studio
di partenza, tuttavia noi confidiamo fermamente che esso
possa presto realizzarsi. La
crisi militare nel Golfo Persico ha infatti messo in evidenza una drammatica carenza di dialogo e talvolta di
informazione. Come negli anni '80 la mobilitazione delle
coscienze cristiane per la distensione in Europa ha sicuramente contribuito ad abbassare la tensione e ad aumentare la fiducia, così siamo convinti che il dialogo tra
credenti nel terribile dopoguerra che ci attende potrà
svolgere un ruolo positivo.
Rispetto alle manifestazioni
che abbiamo fatto a Comiso
negli anni '80, ci sono sicuramente delle grosse novità. Allora il dialogo era tra credenti e laici, ma tutti di tradizione cristiana. Ora si tratterà
invece di incontrare anche
persone di diversa tradizione
religiosa, ascoltarle, capirle
ed entrare in un dialogo costruttivo con loro.
Nulla è più deprecabile che
Veventualità che la superiorità tecnologica dell’Occidente,
ancora una volta dimostrata,
venga scambiata per superiorità culturale e morale. Gli
orrori della storia europea in
questo secolo costituiscono
per noi tutti una terribile lezione di umiltà. In base a
questa lezione, noi ci siamo
ritenuti in dovere di chiamare molti fratelli al dialogo in
una prospettiva di perdono,
di riconciliazione e di pace ».
( nev )
SAVONA
La chiesa e la pace
La comunità metodista di Savona è stata condotta nel mese di febbraio, durante i culti
domenicali, alla riflessione sulla
situazione di guerra nel Golfo
e sulla pace proclamata dall’Evangelo.
Il 10 febbraio il pastore Franco Becchino ha predicato sulla
necessità di opporsi al male ed
al malvagio, annunziata nei Salmi, e sulla radicalità della richiesta di JVlatteo 5: 43 « Amate i vostri nemici » che proclama la forza dell’amore di Dio
in Gesù Cristo; in chiusura è
stato letto il documento della
Federazione delle chiese evangeliche della Liguria del 22.1. che
afferma l’inesistenza di guerre
giuste.
Il 17 febbraio il predicatore
Giorgio Castelli ha preso come
traccia per il sermone la lettera delle chiese di Sampierdarena e Sestri, che afferma la necessità di un’azione forte di pentimento e di speranza nell’irruzione liberatrice di Dio nel mondo; l’ha commentata con brani
biblici e la preghiera.
Il 24 febbraio il predicatore
Sauro Gottardi ha predicato sul
testo di Romani 12: 19, « Cedete il posto all’ira di Dio », che
può essere praticato da una comunità fortemente unita attorno alla Parola e pronta alla testimonianza esterna con i fatti,
come dice l’apostolo Paolo.
Assieme alle altre associazioni
cittadine il gruppo giovani ha
aderito al « Coordinamento savonese provinciale per la pace »
ed il gruppo femminile alle
« Donne in nero », promuovendo
manifestazioni per la pace in
città e provincia.
Anche la II Circoscrizione
cittadina ha invitato la chiesa
metodista a preparare insieme
nel quartiere iniziative di cultura di pace, nelle strade, nelle
famiglie, nelle scuole, nelle chiese.
Si è constatato però che è più
facile parlare di guerra che di
pace e trovare le colpe degli altri che le proprie; ed è proprio
questo il campo in cui si è chiamati a seminare la Parola del
Signore.
S. G.
MIGRANTI
Avviso
La Commissione migranti della |
Chiesa valdese di Torre Pellice ha
realizzato una rassegna stampa sull’immigrazione.
Si tratta di una raccolta sistematica di articoli apparsi su periodici evangelici in Italia nei periodo 1986-1990, Ne è scaturito un
dossier ricco e consistente di oltre 130 pagine a cui è stato posto Il titolo « Fui forestiero e mi
accoglieste ».
E’ possibile fin d’ora prenotarne
copie, in vendita al prezzo unitario di lire 15.000 [per il rimborso
delle spese).
Le richieste dovranno pervenire
a: Commissione migranti - Chiesa
valdese - via Beckwith 4 - 10066
Torre Pellice, accompagnate dalla
ricevuta di versamento (o fotocopia) sul c.c.p. n. 23018104 intestato a Concistoro valdese. Torre
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5
r
15 marzo 1991
vita delle chiese 5
Ti
J
SALERNO
FIRENZE; CAMPO « SINGLE »
IsIam e prospettive di pace II gioco
Un dibattito che si inserisce nell’attenzione per i problemi degli immigrati - Le prospettive della pace nell’incontro con gli « altri »
Il Centro « Aurelio Cappello »
della chiesa metodista di Salerno
ha organizzato per sabato 23 febbraio un interessante pubblico dibattito dal titolo: L'Islam e le
prospettive della pace.
Introducendo l’incontro, il pastore Giovanni Anziani ha ricordato che questa iniziativa si inserisce nel programma che la
comunità metodista ha pensato
riguardo al problema della integrazione culturale in Italia di cittadini extracomunitari, soprattutto quelli provenienti dal mondo islamico.
Che cosa è oggi l’Islam? E’ una
forza di violenza e di morte o,
come ha affermato Abol Gbassem
Amini del Centro islamico di Roma: «L’Islam insegna che la società è una famiglia e deve essere aperta a tutte le categorie
etniche e a tutte le classi sociali »?
Per rispondere a questi quesiti
si è chiesto al dott. Giancarlo Rinaldi, dell’Università di Napoli, di
presentare una relazione sulle
fonti normative deH’Islam, Il relatore ha percorso velocemente
la storia di Maometto fermandosi soprattutto sul periodo della
sua attività a Medina. Quando
Maometto incontra il mondo cristiano, questi è il cristianesimo
non ortodosso ma quello dei
gruppi che meditano i vangeli
apocrifi; dunque un cristianesimo
particolare. Tale dato è utile per
comprendere le affermazioni successive del Corano riguardo ai
cristiani, come quella che dice:
,« E i cristiani hanno detto: il Cristo è figlio di Dio. Questo lo dicono con la loro bocca, imitano
coloro che prima di loro hanno
abiurato la loro fede. Dio li maledica! In quale grave errore sono caduti» (Corano IX/30-31) .
Parlando della « guerra santa »,
il relatore ha ricordato che vi è
nel Corano il permesso di combattere se si è aggrediti, ma non
di aggredire e tale ordine è comprensibile per le lotte, anche violente, dei seguaci di Maometto
con gli ambienti ancora politeisti
del loro tempo. Occorre sempre
leggere le affermazioni dei testi
islamici nel contesto del loro
tempo (questo dovrebbe essere
noto anche ai cristiani quando
leggono della guerra santa nell’Antico Testamento!).
A conclusione, dopo la lettura
di alcune parti del Corano sul tema della guerra e della pace, il
relatore ha ricordato l’apporto
del mondo islamico per la conservazione e la trasmissione di
importanti pezzi di storia antica
che l’occidente ha invece distrutto, e ha esortato i presenti
a ritrovare le « prospettive della
pace » nell’incontro con il fratello « diverso » per operare con'
lui nella costruzione di vera giustizia.
E’ seguito un interessante dibattito caratterizzato da tre proposte concrete: la prima è quella
di continuare questi incontri cercando di far partecipare esponenti del mondo islamico per un,
sereno confronto su temi comuni; la seconda è una esortazione
a non assolutizzare le varie posizioni creando in questo modo
barriere di incomprensione; la
terza è di vedere nei temi etici
momenti di maggior confronto rispetto a quelli più dettati dalla
pietà individuale.
Giovanni Anziani
CORRISPONDENZE
Incontri di riflessione
VENEZIA-MESTRE — In questa prima parte dell’anno ecclesiastico sono stati parecchi gli
incontri comunitari, che in buona parte hanno avuto al centro
un tema di studio e di riflessione.
Il 30 settembre il locale di
Mestre ha ospitato una giornata di studio organizzata dal circuito. Il relatore, il professor
Daniele Garrone della Facoltà
valdese di teologia, ha sviluppato l’argomento con grande competenza e senza un attimo di
stanchezza. Il tema, il concetto
di guerra nell’Antico Testamento e il problema della violenza
in relazione alia presentazione
nella scuola domenicale, era stato scelto in maniera specifica
come supporto al lavoro dei predicatori laici e dei monitori, ma
è stato di grande interesse per
tutti. Molti i presenti da molte
comunità del Veneto.
Il 16 dicembre la Foresteria
di Venezia ha ospitato, come al
solito, l’incontro natalizio che ha
riunito le due comunità e la diaspora. Dopo il culto, al quale
hanno collaborato i ragazzi di
Venezia, hanno avuto luogo una
agape e la tradizionale lotteria
natalizia. Un messaggio delle ragazze del catechismo di Ponte
di Piave e Treviso ha concluso
rincontro.
Il 3 febbraio ha avuto luogo
a Mestre un’assemblea di chiesa
piuttosto insolita, anch’essa conclusa da un’agape. Insolita perché non si è trattato delle consuete assemblee organizzative,
ma di un incontro, richiesto e
sentito come necessario da buona parte della comunità, per approfondire il problema tanto dibattuto della diaconia. Per illustrare la linea tenuta al riguardo dalla Tavola è intervenuta
Maddalena Giovenale Costabel,
che ha chiarito i molteplici aspetti del problema. Anche se
dagli interventi la comunità è
risultata sostanzialmente d’accordo sulla linea della Tavola,
ha ritenuto preferibile non arrivare a una mozione o a un
ordine del giorno.
L’agape del XVII febbraio ha
avuto luogo a Venezia, e ha visto riunite una sessantina di
persone. Dopo il pasto il pastore ha esposto il tema « l’inquisizione a Venezia ».
XVII febbraio
BERGAMO — La ricorrenza
del 17 febbraio è stata festeggiata la sera della vigilia, dapprima con un’agape comunitaria
e poi con l’interessante presentazione fatta dal pastore Soggin di una serie di diapositive
sul tema « La conquista dell’America ».
Attraverso il commento alle
diapositive, da lui stesso preparate, il pastore ha efficacemente illustrato alcune fra le circostanze storiche che hanno indotto gli studiosi a leggere la « scoperta » dell’America in chiave di
« conquista », di colonizzazione
violenta, a volte di strage.
Un aspetto promettente, che i
momenti di agape e di incontro comunitario mettono in evidenza, è il cambiamento che la
nostra comunità sembra attraversare in questi ultimi anni:
al nucleo stabile e « storico »
della nostra chiesa si sono aggregate parecchie famiglie provenienti da altre zone e un buon
gruppo di extracomunitari,
particolarmente legati al gruppo giovani. In piccolo, si trafta
di una comunità interculturale!
La voce valdese
GENOVA — In questo momento particolare che viviamo con
ansia e con sgomento ed in cui
tutte le chiese si adoperano per
risvegliare nelle coscienze il valore della pace, della vita umana,
del diritto reciproco, la presenza
valdese continua a far sentire la
sua voce ispirata agli insegnamenti del Vangelo.
Il pastore Fanlo y Cortés ha
infatti partecipato alla settimana di preghiera per l’unità dei
cristiani di confessioni diverse in contrandosi, il 18 gennaio, nella
chiesa luterana di Genova-Ner-yi
con il cardinale Canestri ed il
pastore luterano Delleman, ed il
25 gennaio, nella chiesa di Santo
Stefano — in Genova — con
mons. Martino Canessa e con
l’archimandrita ortodosso Eftimios Kulumbis.
Il pastore, ricordando lo scopo
dell’incontro, ha sollecitato a pregare per la comunione non solo
delle chiese, ma anche e soprat
dei presupposti
Comunicazione e capacità di accettare l’altro - Una sfida a conoscere meglio se stessi
tutto per quella dell’intera umanità che ancora una volta, dimentica che il messaggio di Gesù
Cristo è amore e non odio.
Coloro poi che la sera di venerdì 1“ febbraio alle ore 21 si
sono sintonizzati su Telecittà
hanno potuto ascoltare il pastore
Fanlo y Cortés che affrontava
con l’ingegnere islamico Mustafà
Abdelrahman il tema proposto
da Angelo Bendandi — che della
rubrica è il curatore — su tm
aspetto di questa guerra. Essa infatti, contrapponendo Jahveh ad
Allah, tende a trasformare un
conflitto economico - politico in
uno scontro religioso con raggravante — precisata da Mustafà Abdelrahman — che ben pochi tra gli occidentali possono
dire di conoscere l’islamismo. Il
pastore valdese ha ricordato che
come credenti abbiamo un compito specifico rispetto alla pace,
dono messianico che appartiene
a tutti : « Delle loro spade fabbricheranno aratri », ma ha altresì ricordato che non può esserci vera pace senza giustizia.
Il 4 febbraio, nella sinagoga
di via Bertora, ha avuto luogo
una manifestazione di solidarietà
con il popolo d’Israele. Ai messaggi dei numerosi presenti —
personalità politiche e del mondo ebraico italiano — sì è unito
quello^^^del pastore Teodoro Fabio y Cortés che ha espresso la
commossa e sentita partecipazione della comunità valdese al popolo ebraico.
* ^VII febbraio è stato
quest anno ricordato con la partecipazione di im gruppo di framlli di Nizza, appartenenti alla
Chiesa riformata di Francia, che
annovera alcuni membri di origine valdese.
Prezioso durante il culto della
domemca mattina è stato l’apporto della Chorale de Nice.
Alle 15,30 l’appuntamento per
tmti i fratelli di Nizza era al1 Ospedale evangelico intemazionale.
Dopo una visita ai vari reparti
— ammirate soprattutto le nuove sale operatorie — la corale
francese ha cantato per i nostri
ammalati « un cantico nuovo »
dettato dalTamore che tutti ci
unisce al Padre celeste.
Il tema dell’ultimo campo single, tenutosi a Firenze dal 2 al
6 gennaio, guidato dalla pastora Adriana Cavina, verteva sulla coppia e su cosa la «formazione della coppia » implichi e/o
presupponga. Si tenterà di seguito una brevissima sintesi degli studi fatti.
Quando Dio crea l’essere umano uomo e donna il presupposto è la loro relazione, e l’espressione di Genesi 2: 24 (« ...e
saranno una sola carne... ») non
significa solo unione sessuale
ma significa anche crescita, cammino, progetto comune. La «coppia » nasce proprio da questo:
dal progetto comune e dall’impegno reciproco di fronte a Dio.
Questo è il senso profondo del
matrimonio secondo le Scritture.
Formare una coppia presuppone amore e l’amore presuppone comunicazione. Per comunicare occorre svolgere un lavoro di conoscenza e accettazione sia verso se stessi che verso l’altro, e ciò è valido sia nel
campo affettivo che in quello
delle amicizie. Se infatti non abbiamo chiarezza interiore, ovvero non ci conosciamo e non ci
accettiamo, cosa mai potremo
comunicare di noi all’altro? In
realtà potremo condividere solo
la nostra confusione. Per contro accettare l’altro e conoscerlo presuppone cercare di capire chi egli sia, di cosa necessiti; a tal fine è essenziale l’ascolto, arte non facile. Esso presuppone tutto l’impegno della nostra mente, della nostra vista,
del nostro udito; presuppone
non attribuire intenzioni e motivazioni ma piuttosto recepire
quel che ci viene comunicato.
Per favorire la comunicazione
tra due persone bisogna seguire, per così dire, le regole del
gioco; esse sono: passare assieme un tempo speciale dedicato
alla reciproca conoscenza; non
temere le espressioni d’affetto fisiche (il tocco di una mano, per
esempio); essere disposti a dire
grazie e a chiedere scusa; non
accumulare tensioni («...non permettere che il sole tramonti sopra il tuo cruccio...»); usare la
propria creatività per r^on arrendersi alla prima soluzione
che non dà risultati.
Per tutto ciò occorrono umiltà, disponibilità, pazienza, volontà, delicatezza, rispetto dei
tempi. Se si accettano queste
linee di pensiero è facile vedere che pronunciare la parola
« amore » significa parlare di un
grosso impegno.
« Ama il tuo prossimo come
te stesso » è quest’impegno nella fede rivolto agli altri e in
primo luogo, ovviamente, a chi
vive vicino a noi, a chi condivide la nostra vita. Amare, in
questo senso, è un rischio, perché attraverso la comunicazione bisogna essere disposti a dire tutto di se stessi — pensieri, sensazioni, opinioni, fede, emozioni, sentimenti — e questo
presuppone la possibilità di essere feriti. Amare, in questo senso, è anche una sfida a crescere attraverso una migliore comprensione di noi stessi e degli
altri, il superamento delle delusioni e degli egoismi, il riconoscimento della priorità dei bisogni dell’altro rispetto ai nostri.
A questo terzo « campo single », svoltosi in un clima natalizio, erano presenti una quindicina di persone. Il gruppo ha
potuto fruire della calda ospitalità dell’Istituto avventista « Villa Aurora » — circondato da un
bellissimo giardino — sito appena fuori Firenze in una zona
silenziosa.
Il tempo libero ha dato ampio modo ai partecipanti di godere delle bellezze artistiche della città come di spargersi per
le vie del centro a curiosare di
vetrina in vetrina. Un ringraziamento è qui d’obbligo per i generosi amici di Firenze che hanno fatto da guide e che ci hanno ospitati nelle loro case.
Il gruppo ha suggerito la possibilità di un altro incontro nel
corso del quale sviluppare il tema della conoscenza di sé, sempre sotto la guida della pastora Adriana Cavina, a cui vanno la nostra riconoscenza e il
nostro apprezzamento per Tottimo lavoro svolto. Non appena
la data e il luogo saranno stati definiti, sarà nostra cura rifarci vivi attraverso queste pagine per comunicarvelo.
Comitato single
CASA VALDESE DI RIO MARINA
Verso la riapertura
Il 2 giugno prossimo sarà inaugurata la nuova veste della Casa
valdese di Rio Marina, all’Isola
d’Elba. In una località piena di
sole, in un paesaggio caratteristico, a poco più di lOO metri dal
mare e a ridosso di una collina,
questa Casa per ferie è gestita da
un Comitato nominato dalla Tavola valdese (presidente è Marco
Ricca, direttore della Casa la
sig.ra Qrnella Rovelli Grein).
La Casa è disposta su due piani, è adatta ad ospitare gruppi e
famiglie, con una capienza totale
di 50 posti, in camere anche singole e dotate tutte di servizi igienici, acqua calda e fredda e doccia. Il giardino consente momenti di riposo e di fraternizzazione. La cucina è moderna, la sala
da pranzo è stata interamente
ristrutturata.
La Casa valdese sorse come testimonianza dell’ Evangelo per
opera della locale comunità evangelica, presente fin dal 1853. Dal
1862 ospitò fino al 1931 le scuole
elementari evangeliche; riprese
poi l’attività negli anni ’50 per
offrire soggiorni estivi agli ospiti
degli istituti per -minori di Firenze (Ferretti e Gould). Successivamente, messa a disposizione
delle comunità evangeliche, di famiglie e gruppi italiani e stranieri, è stata radicalmente ristrutturata con il contributo della
Chiesa evangelica della Renania.
Non tutto è ancora perfettamente sistemato, ma il tipo di accoglienza è già organizzato: sarà
di tipo diaconale e familiare;
agli ospiti sarà chiesto di collaborare alla manutenzione e alla
pulizia della propria camera.
L’inaugurazione, fissata per domenica 2 giugno, avverrà alla
presenza del moderatore Giampiccoli; saranno presenti una delegazione della Chiesa della Renania, la Corale valdese di Villar
Perosa, una delegazione della
CED del III distretto e dei Consigli di circuito e saranno invitate le autorità civili.
Informazioni più dettagliate
si possono chiedere direttamente
alla direttrice Ornella Rovelli
Grein, piazza Mazzini, 1 - 57038
Rio Marina (Li). Tel. 0565/962141.
6
6 prospettive bibliche
15 marzo 1991
ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA
Come colui che serve
« Poiché, chi è maggiore, colui che
è a tavola oppur colui che serve?
Non è forse colui che è a tavola? Ma
10 sono in mezzo a voi come colui
che serve » (Luca 22: 27).
1. Gesù come diacono
« Egò de en mese ymon cimi os o diakonós » : « Io sono in mezzo a voi come
colui che serve ». Questa è la parola sconvolgente che vogliamo oggi ascoltare, anche se non sarà facile perché, probabilmente, abbiamo perso l’orecchio che poteva
ascoltare questa parola.
In che senso? Nel senso che Gesù, qui,
si definisce o descrive come « diacono »,
ma noi non conosciamo Gesù così. Gesù
ci parla di un Gesù sconosciuto.
Conosciamo Gesù in molti modi: come
Signore, Redentore, Salvatore, Figlio (di
Dio), Figlio (dell’uomo), guaritore, liberatore, profeta, Dio in persona, rivelatore e
via dicendo, ma non lo conosciamo come
diacono.
E’ questo il paradosso da segnalare subito: non diamo a Gesù l’unico titolo che
egli si è certamente dato, l’unica funzione
che si è sicuramente attribuito, quella di
diacono.
Egli, come si sa, adopera la nozione di
Figlio dell’uomo sempre alla terza persona
singolare, come per segnare una distanza.
Qui, invece, parla in prima persona: io
sono.
Tanto più è vero che Gesù si autocomprende come diacono e intende il suo ministero come diaconale, se si prende in considerazione l’altro passo fondamentale per
11 nostro discorso, e cioè Marco 10: 43-45
in cui sia il ministero di Gesù sia quello
dei discepoli è espresso negli stessi termini,
che sono appunto quelli della diaconia:
« Chi vuol essere grande tra voi, sia il vostro servitore [diàkonos] e chi vuol essere primo tra voi sia il servitore [dùlos]
di tutti; perché il Figliuol dell’uomo non è
venuto per essere servito [diakonethénai],
ma per servire [diakonésai] e per dar la
sua vita come prezzo di riscatto per molti ».
La diaconia, il servire, è la sostanza
stessa del ministero di Gesù, è il termine che
riassume ed esprime al meglio e nel modo
più compiuto la vocazione, la missione e
l’identità stessa di Gesù.
La qualifica di diacono e quella sinonima di «servo» nel senso di «servo dell’Eterno» (che secondo Cullmann è la più antica
categoria con la quale i cristiani hanno interpretato Gesù e creduto in lui, per cui la
più antica confessione di fede cristiana non
sarebbe Gesù Signore, ma Gesù « servo »)
con le quali Gesù si è, per così dire, autoidentificato sono proprio quelle che non
adoperiamo mai quando parliamo di Gesù.
La verità suprema su Gesù è questa, che
egli è venuto per essere diacono. E non si
parla mai così bene di Gesù come quando
lo si chiama diacono. E’ questa, e non altre,
la qualifica-base per capire Gesù: non una
qualifica tra le altre, ma quella che regge
e inquadra tutte le altre.
E’ molto significativo che in Luca 22
la parola su Gesù diacono sia collocata dopo l’istituzione della Cena nel contesto della
storia della passione, come a significare
che la diaconia di Gesù consiste nel dare
la sua vita proprio come dice esplicitamente Marco 10: 45 e come illustra benis
A lungo e molte volte le nostre chiese si sono interrogate sul significato delia diaconia e sul suo rapporto con l’evangelizzazione e la predicazione. In questa pagina pubblichiamo un contributo del prof. Paolo
Ricca a questo dibattito. Si tratta Ji uno studio tenuto a Firenze ultimamente, nel quadro di un convegno sulle prospettive della diaconia. Il
punto che lo rende particolarmente interessante è costituito dalla interpretazione, in chiave « diaconale », della figura del Cristo. Non solo il
volto di Cristo che si scopre è come un volto nuovo, ma si aprono anche
delle interessanti piste di ricerca sulla vita e la teologia della chiesa primitiva e moderna. Anche il credente singolo è coinvolto e chiamato alla
metànoia (al cambiamento della mente), e la chiesa si trova, forse, a rispondere in modo più chiaro alle sfide del tempo odierno, (red.)
simo l’episodio della lavanda dei piedi, con
il quale il quarto evangelo apre l’ampia sezione dedicata ai « discorsi di addio »,
quelli pronunciati da Gesù in occasione della celebrazione della Pasqua ebraica (ovviamente) — che peraltro il quarto evangelista non racconta — la sera prima di essere crocifisso.
Potremmo dire che il sipario si alza sulla storia della passione secondo Giovanni
e la scena inaugurale è quella di Gesù che
fa il diacono, lavando i piedi ai discepoli
e dicendo: « Vi ho dato un esempio, affinché facciate voi pure altrettanto ». In sostanza: è in quanto diacono che Gesù affronta la passione e si prepara a dare la
sua vita per il mondo.
E’ perché è diacono che Gesù muore. Voglio dire con questo che se la croce è il
riassunto e il senso della vita e dell’opera
di Gesù, essa è la suprema manifestazione
dell’essere diacono di Gesù. In altre parole,
dire che Gesù è diacono non significa parlare di un aspetto della sua persona e del
suo ministero, ma significa parlare del suo
centro e, quindi, dire la cosa principale, la
più importante, l’essenziale.
2. Il cristiano come diacono
Proprio perché è essenziale per^ individuare e capire Gesù, « diacono » è anche
la qualifica principale del suo discepolo.^
Qui, è anche da ricordare una parola importante del Gesù giovannico: « Se uno
mi serve, mi segua, e dove sono io quivi
sarà anche il mio diacono; se uno mi serve,
il Padre l’onorerà ». Come dire: solo il diacono segue Gesù, cioè solo il diacono e sulle tracce e nelle orme di Gesù; solo il diacono è cristiano. Egli è l’unico che arrivera
là dove Gesù sarà, cioè accanto al Padre, è
l’unico che Gesù vuole avere accanto nell’eternità.
La comunità di Gesù è una comunità di
diaconi. Cristianesimo significa diaconia.
Tutto quello che nel cristianesimo non è
diaconia è secondario, comunque non è così centrale come la diaconia. Per questo
l’esempio di sé che ha dato Gesù ai discepoli. raccomandando loro di «farlo anche
loro» (13: 15).
Secondo Giovanni 13 il vero sacramento
cristiano (e anche l’unico), quello che più e
meglio di ogni altro attualizza la presenza
di Gesù in mezzo ai suoi, è la lavanda dei
piedi. Se vuoi essere in comunione con
Gesù, lava i piedi degli altri, lava i loro
piedi. Come sapete, però, proprio questo è
il « sacramento » che la chiesa (tranne alcune poche eccezioni) non ha adottato: omissione significativa, perché è l’unico inequivocabilmente istituito da Gesù (altrettanto non si può dire del battesimo e neppure,
a rigore, della Cena, non è chiaro infatti se
Gesù pensasse che dovesse essere ripetuta,
diventando un rito cristiano). Si cornprende
comunque bene il senso dell’insistenza di
Giovanni sull’« amore » come unica realtà
della vita cristiana.
Se l’essenziale del cristianesimo è la diaconia di Cristo e, di conseguenza, del cristiano, allora comprendiamo il senso dell’insistenza esclusiva sull’amore come contenuto unico della vita cristiana: essere
cristiano significa amare e amare significa
servire. Prima, dunque, di essere un ministero particolare, il diaconato è la condizione comune di tutti i cristiani.
Potremmo dire: prima di essere un ministero, il diaconato è il ministero; quello che
più direttamente e inequivocabilmente riflette e persegue il ministero di Gesù. Il diacono, potremmo anche dire, è il « Christus
prolungatus » o 1’« alter Christus ». E che
così sia, cioè che l’essere diacono sia prima che un ministero particolare una condizione generale caratteristica di tutti i cristiani per cui la diaconia è la nota ecclesiale fondamentale, anzitutto in quanto condizione generale (e poi anche come attività
specifica, ma lo vedremo in seguito), lo si
vede chiaramente dal fatto che la nozione
della diaconia nella comunità cristiana primitiva è utilizzata per descrivere servizi tra
di loro molto diversi: il servizio delle mense
(Atti 6 e in varie parole di Gesù), ma anche il servizio della colletta a favore della
comunità di Gerusalemme (II Corinzi 8:
19) e, ancora, il servizio dell’evangelo oppure il servizio di Cristo (II Corinzi 11: 23)
0 il servizio della comunità (Paolo e Apollo
diaconi, I Corinzi 3: 5).
Queste diversità di manifestazioni dell’unica diaconia cristiana non dimostrano
incertezza o confusione teologica o caos organizzativo, ma dimostrano semplicemente
che tutto, nella chiesa, è diaconia, è l’ingrediente base dell’esistenza cristiana. Un’ulteriore prova di questo fatto sta nell’ovvietà
(si direbbe) con cui i sette diaconi eletti per
servire alle mense diventano evangelizzatori e predicatori (Stefano e Filippo!).
Due ultime osservazioni:
1 - Per quanto è dato ricostruire, il diaconato nel Nuovo Testamento è scarsamente profilato proprio perché in fondo, è più
una condizione che una mansione. Così anche quando avremo nelle Pastorali un vero
e proprio ministero diaconale (I Timoteo
3: 8-13)! esso è descritto in termini molto
generici e in modo molto simile a quello del
vescovo (I Timoteo 3: 1-7). Il fatto che
non abbia un chiaro profilo è, mi sembra,
estremamente positivo, in quanto vuol dire
che è un ministero flessibile, versatile, nel
quale si può manifestare la creatività dello Spirito Santo.
2 - Insieme alla profezia, la diaconia è
il ministero o l’attività in cui, chiaramente
più nel Nuovo Testamento, compaiono le
donne. C’è la famosa Febe, diaconessa della
chiesa di Cencrea (Romani 16: 1), anche
qui con mansioni che si avvicinano più a
quelle apostoliche che a quelle che noi oggi
chiamiamo diaconali e le quattro figlie di
Filippo, « vergini e profetesse ». Il diaconato è l’ambito ministeriale in cui la presenza femminile durerà più a lungo, prima
di essere cacciata da tutti i ministeri ordinati della chiesa. Il diaconato è stato, per
così dire, il « ridotto », l’estremo rifugio,
per le donne, in cui hanno potuto essere
protagoniste della loro vocazione. Anche
per questo è un ambito particolarmente pre
3. La chiesa come diaconia
E’ tempo, però, di entrare dentro questa
nozione di diaconia e di vedere che cosa
contiene. Si tratta, cioè, dopo aver visto che
« diacono » è la qualifica cristiana più tipica, perché più rivelatrice della natura del
cristianesimo e più in continuità con il ministero di Gesù e l’autocomprensione che
egli ebbe della sua missione, si tratta, dicevo, di capire meglio che cosa vuol dire
« diacono ».
Rifacendomi al significato del verbo greco «servire» (vedi Kittei 81) metto in
luce due appetti che mi sembrano costitutivi:
a) Anzitutto, servire significa sempre
servire una persona. Non un’idea, un programma, una istituzione o altre realtà anonime collettive. Essere diacono significa essere diacono di qualcuno. Il rapporto personale è costitutivo del ministero diaconale.
Se tu mi dici: « Voglio essere diacono », io
ti devo chiedere: « Diacono di chi? ». Certo, ci sarà anche sempre, o molto spesso,
una dimensione istituzionale e collettiva,
nel senso che, in generale, soprattutto oggi,
ogni rapporto personale è inquadrato in
qualche forma istituzionale. Ma il diacono
come ministro cristiano è colui che dà il
primato all’aspetto personale del rapporto, sia in strutture nostre, sia in strutture
altrui.
b) In secondo luogo « servire » significa, originariamente, soprattutto servire alle
mense, cioè dare da mangiare che è, come
ben sappiamo, l’atto primordiale dell’esistenza. La prima attività del bambino è
strillare e poi mangiare e lo strillare è in
funzione del mangiare. Il diacono è colui
che si occupa dei servizi primordiali, delle
necessità vitali del prossimo, là dove questi ñon ci sono. Il diacono è al servizio
della vita del prossimo: la vita nella sua
espressione fisica, elementare, primitiva. Il
diacono, potremmo anche dire, è al servizio del corpo del prossimo, mentre il profeta è al servizio della sua anima. Il corpo
affamato, assetato, nudo, incarcerato, ammalato, errante: questo è il campo di attività del diacono. Ecco, allora, il senso proprio della lavanda dei piedi, come lavacro
del corpo. Diacono uguale a ministro del
corpo dell’umanità crocifissa.
Concludendo, parlare di diaconia significa parlare del cuore delI’Evangelo, della
rivelazione di Dio in Cristo. C’è chi dice
che c’è troppa diaconia, io dico che ce n’è
sempre troppo poca, in quanto in questo
campo non si può fare troppo, ma solo troppo poco. Non abbiate, dunque, paura di esagerare perché più c’è diaconia, più c’è
chiesa.
Paolo Ricca
7
r
15 marzo 1991
obiettivo aperto
2-3 MARZO: CONVEGNO A FIRENZE
LE MOZIONI
Prospettive della diaconia «Nuova ciov»
I responsabili delle nostre opere convocati dal mandato del Sinodo
Verso un coordinamento del settore assistenziale - Le nuove esigenze dell’amministrazione
E’ tempo di convegni. Limitandoci a quelli che hanno avuto o
avranno per argomento la diaconia, ricordiamo il convegno
che ha avuto luogo a Portici il
26 e 27 gennaio, su La diaconia
per minori (vedi Eco/Luce dell'8 febbraio, p. 3, art. di Anita
Tron e Franco Carri, e una rettifica di Anita Tron sul numero
del 22 febbraio del 1991), e ci
prepariamo al convegno che avrà
luogo a Palermo, dal 12 al 14
aprile 1991, sul tema Quale futuro per i nostri grandi impegni
diaconali? '
A metà strada si è realizzato
a Firenze, il 2 e 3 marzo 1991,
un altro incontro, sul tema Nuova CIOV e ufficio fiscale: prospettive per le opere valdesi e
metodiste negli anni '90.
Questa consultazione è stata
indetta su invito del Sinodo
1990, dalla Tavola valdese e dalla
CIOV, ed aveva per scopo quello
di predisporre un progetto di
« riorganizzazione della diaconia » da presentare al Sinodo
1991 (cfr. 34/SI/90).
Si sono così incontrati tra i
cinquanta e i sessanta responsabili che rappresentavano un arco
estremamente significativo delle
opere delle chiese valdesi e metodiste (dagli ospedali alle foresterie, dagli istituti per i minori
alla Claudiana, dalla Facoltà di
teologia alle case per anziani,
ecc.).
Non erano rappresentate solo
opere che agiscono sul piano della diaconia perché, con una decisione a nostro avviso opportuna, la consultazione era stata
indetta non solo sul progetto
« nuova CIOV », ma anche sul tema del « riordino fiscale » (cfr.
43/SI/90), un tema che coinvolge
sia le opere diaconali che le altre
opere della chiesa.
Due le caratteristiche princi-.
pali che questo convegno ha
presentato. In primo luogo, il
programma previsto è stato scrupolosamente e pienamente svolto, sotto la guida del fratello
Sergio Nitti al quale si è chiesto
di assumere la presidenza dell’incontro.
Non si trattava di una cosa
scontata, perché il programma
era intenso e l’alto numero dei
partecipanti avrebbe potuto rallentare i lavori.
In secondo luogo, il convegno
è riuscito ad esprimere un alto
grado di consenso su alcune linee
generali, che sono state sintetizzate in due mozioni conclusive,
sulle conclusioni a cui i partecipanti sono pervenuti. Riportiamo
queste mozioni, con alcune note
esplicative per quelli che non
c’erano. 11 convegno era coii.sapevole che non si stavano votando degli ordini del giorno « decisionali », ma siamo convinti che
il lavoro svolto sarà di grande
utilità per la CIOV e per la Tavola valdese per proseguire i progetti già passati al vaglio del Sinodo 1990 e giungere al Sinodo
1991 con alcuni progressi.
Alcune note di cronaca.
Lo studio di Paolo Ricca, che
ha sottolineato quanto sia stata
spesso sottovalutata la figura
del Cristo diacono, ha dato un
importante stimolo perché, durante i lavori, non si perdessero
di vista le motivazioni cristiane
e le coordinate ideologiche del
nostro impegno diaconale.
Sul progetto « nuova CIOV » il
moderatore Franco Giampiccoli
ha riassunto le proposte di riorganizzazione della diaconia nella
nostra chiesa, frutto del lavoro
degli ultimi decenni, e soprattutto delle recenti riflessioni emerse
dalla CIOV e dalla Tavola valdese. Paolo Ribet ha esposto le
linee di sviluppo del progetto
presentato al Sinodo scorso, ag
giornando la situazione a quanto
di nuovo si è potuto elaborare e
verificare fino ad oggi.
Sul « riordino fiscale » vi sono
state tre comunicazioni, una ancora a cura di Franco Giampiccoli, sul perché e come si è giunti al progetto di costituire un ufficio di consulenza fiscale al servizio delle opere delle chiese vaidesi e metodiste; una a cura di
Franco Soave, in cui finalità e
caratteristiche delle opere e degli
enti nella prospettiva dell’ordinamento giuridico valdese venivano poste a confronto con le
necessità di raccordarle alla regolamentazione civilistica vigente; una relazione, infine, a cura
di Andrea Ribet, indicava scopi,
mezzi e modalità di funzionamento per l’istituendo ufficio fiscale, possibilmente accompagnato da Un centro capace di offrire
servizi amministrativi (per esempio per il calcolo di paghe e contributi, e per la contabilità), esaminando ipotesi diverse e ripercorrendo le tappe fin qui compiute per dar corpo nella pratica alle delibere votate dal Sinodo
'90,
Il dibattito ha evidenziato ampi consensi e alcune riserve, ripoi tati nelle mozioni conclusive;
è stato comunque vivace, concentrato su questioni di rilevanza
pratica e senza sbrodolature.
A chiusura del convegno una
meditazione, curata da Bruno
Bellion, sul testo di Esodo 33, ha
ricondotto i partecipanti al riferimento biblico da cui si era avviato rincontro, introducendo
una nota di speranza e di fiducia
basate sulla Parola di Dio, che
non annulla le nostre responsabilità ma le libera dai pesi non
sopportabili dello scetticismo e
del senso di impotenza che potrebbero coglierci.
Sergio Ribet e Silvio Vola
La prima mozione riguarda il
progetto « nuova CIOV ».
L’idea base approvata dallo
scorso Sinodo è una riorganizzazione della diaconia che porti
vari istituti che svolgono attività nel campo assistenziale sotto
il coordinamento e la responsabilità della CIOV.
Questa operazione si propone
due risultati: da un lato un riequilitario dei compiti tra Tavola
e CIOV, considerato che oggi la
prima si occupa di una sessantina di istituti e la seconda di
tre; dall’altro ima qualificazione
della CIOV in alcune aree —
ospedali, case per anziani, opere assistenziali per minori —
nei quali la normativa statale e
regionale è sempre più complessa e richiede una specializzazione dell’intervento diaconale e indirizzi comuni nelle scelte di
fondo.
In questa proposta spettano
alla CIOV compiti analoghi a
quelli svolti finora dalla Tavola:
nomina del Comitato di gestione dell’istituto e presenza di un
rappresentante alle riunioni del
Comitato. Sugli interventi straordinari la Tavola mantiene la
sua funzione di supervisione e
di allocazione generale dei piani di finanziamento e delle risorse della chiesa.
Il progetto favorisce anche
l’espressione del Sinodo sulle linee generali della politica assistenziale delle nostre opere, attraverso l’esame dell’operato della CIOV (che è una commissione sinodale amministrativa).
La consultazione è stata ricca
di spunti e la mozione rispecchia gli aspetti salienti del dibattito.
Vi è piena convergenza sull’esigenza di un’azione comune
nella valorizzazione della specificità di ciascuna opera. Coordi
namento non vuol dire accentramento: elemento fondamentale resta il radicamento degli istituti nella realtà in cui operano,
in rapporto con la loro storia,
le chiese locali e il territorio.
Alcuni dissensi sono stati invece espressi sullo strumento
proposto, CIOV a livello nazionale a fianco della Tavola. In
particolare alcune opere dell’area fiorentina, profondamente
inserite in un contesto interdenominazionale, hanno espresso il
timore che la suddivisione di
compiti tra CIOV e Tavola possa creare in futuro problemi di
competenze e portare ad una separazione tra diaconia e predicazione.
Vari interventi hanno sottolineato che si è giunti a questa
proposta dopo averne scartate
altre, quali il decentramento amministrativo o il potenziamento
della Tavola attraverso un aumento dei suoi membri. La nuova CIOV dovrebbe permettere
una specifica azione nel campo
assistenziale in collaborazione
con la Tavola e sotto il controllo di Sinodo e Commissione d’esame CIOV da una parte e Tavola stessa dall’altra.
La disponibilità a ricercare
forme di collaborazione all’interno di questo progetto è stata
espressa da alcune opere che dipendono direttamente da chiese
autonome. E’ questo un importante segnale nella direzione di
un effettivo coordinamento rivolto all’insieme delle opere diaconali della chiesa.
L’indicazione emersa è quindi
di proseguire il processo avviato. Adesso Tavola e CIOV prepareranno un programma che indichi tempi e modi di attuazione del progetto, da sottoporre
all’esame del prossimo Sinodo.
ORDINI DEL GIORNO Riordino fiscale
Dal Sinodo al convegno di Firenze
Adesione al progetto
della « Nuova CIOV »
34/SI/90
« il Sinodo, approvando in linea di
massima la relazione delia Tavola-CIOV
riguardante la riorganizzazione della
diaconia e degli organismi esecutivi
della chiesa, invita la Tavola e la
CIOV a proseguire in questa direzione; invita ia Tavola e la CIOV a indire una consultazione delle persone
e degli organismi coinvolti e interessati, al fine di predisporre, nei modi
che riterranno più opportuni, un progetto definito da presentare ed esaminare al prossimo Sinodo ».
— pericolo di una separazione tra
diaconia e predicazione che potrebbe
essere evitata da una riorganizzazione della TV anziché dal progetto nuova CIOV;
con puntualità alle sue spese secondo la ripartizione dei costi fatta dalla
Tavola ».
invitano TV e CIOV a tener conto
delle preoccupazioni che sono alla base delle riserve espresse e, d'altra
parte, a proseguire il processo avviato a partire dalle opere che attualmente fanno capo alla TV e alla CIOV
per le categorie di istituti già individuate — ospedali, anziani e minori,
assistenza;
L
I rappresentanti delle opere delle
chiese valdesi e metodiste riuniti a
Firenze nei giorni 2 e 3 marzo 1991
per discutere l'atto 34/SI/90 (progetto nuova CIOV)
ritengono opportuno che la TV diffonda lo studio biblico introduttivo del
pastore Paolo Ricca;
confermano l'utilità e la necessità
di indirizzi e riflessioni comuni nell'ambito della diaconia organizzata, con
la salvaguardia della storia e specificità di ciascuna opera e del rapporto con le chiese locali ed il proprio
contesto sociale;
registrano che il dibattito ha evidenziato un’ampia, anche se non unanime, adesione al progetto di una nuova CIOV così come presentato nel
documento CIOV-TV;
rilevano che nel corso del dibattito sono state espresse delle riserve
SU;
— rischio di una sovrapposizione
di strutture e di ruoli nel rapporto
tra la CIOV e la TV da un lato e la
CIOV ed i comitati dall'altro;
rilevano la disponibilità di alcune
opere che non fanno capo alla TV,
ma dipendono direttamente da chiese
autonome, a ricercare forme di collaborazione anche mediante la presenza di un rappresentante CIOV nell'ambito dei propri comitati.
I rappresentanti delle opere valdesi e metodiste riuniti a Firenze il 2
e 3 marzo 1991 presso l’Istituto Gouid
— condividono l'esigenza di dare piena applicazione all’atto sinodale
43/SI/90 in materia di riordino fiscale.
Sono consapevoli che la realizzazione dì questo progetto costituisce una
effettiva tutela dell’azione dei comitati e un valido sostegno alia Tavola
nell adempimento dei suoi compiti istituzionali;
Auspicano che TV e CIOV trovino
le forme opportune affinché le opere
che fanno capo all OPCEMI possano
salvaguardare quanto attiene al patto
di integrazione.
Consulenza fiscale
43/SI/90
« Il Sinodo, richiamandosi agli atti
50 e 51/SI/89, prende atto di quanto è stato fatto in tema di riordino
fiscale; incoraggia la Tavola a costituire un ufficio per il riordino e la
consulenza fiscale e per l'espletamento dei controlli previsti dal nostro ordinamento e dalla legge di approvazione dell'Intesa; raccomanda vivamente aile opere di prestare la massima attenzione a questo settore e di
utilizzare questo ufficio partecipando
concordano sul progetto di
massima secondo la formulazione della quarta ipotesi contenuta nella relazione di Andrea Ribet che prevede:
1) un Ufficio di consuienza fiscaie in ambito Tavoia con ii compito di:
a) proseguire il coordinamento dei
riordino fiscaie presso ie opere ed
assistere gii organi competenti nelia
revisione degii statuti e nelia definizione deile procedure contabili;
b) definire i criteri per gli adempimenti fiscali;
c) attuare i controlli previsti dai
nostri regolamenti interni;
2) un Centro di servizi in ambito CIOV con il compito di fornire alle opere, che ne facciano richiesta,
un servizio amministrativo (contabilità
e paghe) con impostazione unitaria:
3) la coincidenza, mediante opportuni accordi, delle due funzioni predette nella fase iniziale;
— auspicano, inoltre, che si proceda in tempi brevi (possibilmente entro il 30.4.’91) a raccogliere le adesioni al Centro servizi da parte delle
opere interessate, in modo da renderlo operativo al 1” gennaio 1992.
La relazione di Andrea Ribet
ha delineato tre scopi dell’uificio fiscale: curare il riordino fiscale, fornire un servizio amministrativo-contabile, effettuare i
controlli previsti.
Sul primo aspetto si sta lavorando alla revisione degli statuti, in modo da dare alle opere
una posizione fiscale distinta da
quella della Tavola, che sia corretta sotto il profilo della legislazione statale e conforme al
nostro ordinamento. In questo
quadro la Tavola mantiene comunque la sua funzione di garante e sostegno nei confronti
delle opere. In alcuni casi —
opere più grandi come ospedali
0 Facoltà di teologia — si sta
valutando la possibilità di richiedere la personalità giuridica.
Sul secondo aspetto è emersa
la proposta di costituire un centro servizi per la tenuta della
contabilità e delle paghe per le
opere che ne facciano richiesta.
1 nostri istituti sono identificabili per lo più come « enti iion
commerciali che svolgono attività commerciale », situazione particolare che è poco diffusa. Il
rischio è che questa situazione
dia origine a trattamenti differenziati a seconda del consulente fiscale a cui ogni opera si rivolge. Lo scopo di un centro servizi centralizzato è quello di dare un’impostazione unitaria alla
tenuta della contabilità, con specifico riferimento alle disposizioni che concernono gli enti non
commerciali.
Il terzo aspetto riguarda i controlli previsti dal nostro ordinamento e dalla legge di approvazione dell’Intesa. E’ stato ribadito che l’azione di un ufficio
fiscale può costituire un’effettiva
tutela nei confronti dei Comitati e un valido sostegno alla Ta
vola nell’adempimento dei suoi
compiti istituzionali.
Sotto l’aspetto organizzativo
sono state fatte quattro ipotesi
sulla collocazione deH’ufiicio fiscale e del centro servizi: che
dipendano entrambi dalla Tavola, dalla CIOV, da un’associazione delle opere e, infine, che il
primo dipenda dalla Tavola e il
secondo dalla CIOV. Quest’ultima proposta è sembrata la più
convincente, con una fase iniziale che preveda la coincidenza
delle due funzioni.
L’ipotesi su cui si lavora è
quindi la seguente:
a) un ufficio fiscale che dipenda dalla Tavola e si occupi
di delineare le coordinate del
riordino fiscale e di effettuare
un’azione di controllo di natura tecnica. Si tratta di un servizio già stabilito dal Sinodo e
già concretamente avviato;
b) un centro servizi che dipenda dalla CIOV e si occupi di
tenere la contabilità e le paghe
per quelle opere che- ne facciano richiesta. In questo caso si
tratta di un servizio in fase di
istituzione, che per funzionare a
pieno regime deve raccogliere
l’adesione di un determinato numero di opere. In previsione di
un avvio dal prossimo anno si
chiede alle opere di dare la propria adesione entro il prossimo
30 aprile, in modo da poter organizzare il centro servizi, dotandolo delle risorse necessarie
a svolgere efficacemente il suo
compito.
La collocazione del centro servizi in ambito CIOV potrà anche « dare gambe » alla proposta di « nuova CIOV », con un
respiro a livello nazionale e un
effettivo sostegno anche tecnico
all’azione dei Comitati.
8
8 fede e cultura
15 marzo 1991
DIBATTITO A PADOVA
NOVITÀ’ CLAUDIANA
Il Cantico dei cantici
Due criteri interpretativi per « leggere » il poema dell amore - Un
confronto utile e approfondito, secondo le due diverse sensibilità
Molto atteso il 16 febbraio
scorso a « Bibbia aperta » di Padova (associazione per la lettura
libera della Bibbia) il dialogo
sul Cantico dei cantici tra il
padre Enzo Bianchi della comunità di Bose e il prof. Daniele
Garrone. Sono stati proposti due
livelli interpretativi — quello spirituale e quello storico-critico —
che pur non escludendosi, rappresentano due modi di considerare il rapporto Dio-Scrittura-uomo. Suggestiva l’esposizione di
Bianchi, che, partendo dalle interpretazioni rabbiniche, ha insistito per un approccio sulla base
dei tradizionali « quattro sensi ».
Che nel Cantico dei cantici
fosse presente qualche cosa di
più del semplice canto d'amore è
dimostrato dal modo in cui i settanta ebbero ad utilizzarne il testo ebraico per la loro traduzione. E se Rabbi Aqiba lamenta
che esso veniva spesso cantato
nelle osterie, non è certo per affermarne il valore profano.
Un’allegoria
della fedeltà di Dio
Nelle discussioni che hanno
preceduto la costituzione del canone biblico, i masoreti insistettero sul fatto che il Cantico era
allegoria delFamore e delle fedeltà di Dio nei confronti del suo
popolo. Ed è motivo questo che a
partire da Osea — il profeta dell’amore per la sposa infedele —
percorre, da Geremia a Isaia fino
a Ezechiele, tutta la Scrittura. Il
rapporto popolo-credente-Dio viene presentato sovente in termini
di amore terreno: anche Geremia, per indicare la sua condizione di profeta, dichiara di essere
stato « sedotto da Dio ». Il Cantico dei cantici è dunque su questa linea.
In un Midrash, si racconta di
un tale che chiese a un mugnaio
di setacciargli cento stala di farina, sì da ridurgliele a cinquanta più pure; non contento, ne
chiese venticinque; insoddisfatto
ancora, ne ottenne dodici e quindi sei purissime. Ebbene, lo stesso è capitato a Dio nella sua rivelazione: si manifestò prima nella
Torah, poi — con successivi processi di raffinamento — nei profeti, nei libri poetici e sapienziali e infine nel Cantico dei cantici, la più alta espressione della
comunicazione divina. Dio infatti stabilisce i suoi rapporti con
Fuomo attraverso tutte le modalità espressive proprie dell’umanità: si rivela padre, madre, sposo, amante, figlio, Messia, Signore, redentore, salvatore, legislatore... e l’elenco dei suoi infiniti
nomi può procedere senza mai
esaurirsi. I Padri della chiesa,
a cominciare da Origene, videro
in questo canto l’allegoria del
rapporto di Cristo con la chiesa
e il credente: il dialogo d’amore fu comparato all’unione dell’anima con Cristo.
Fu così che nella mistica medioevale il contatto con Dio raggiunse i toni e l’equivalenza analogica del fatto amoroso fin nella
sua dimensione sessuale. Dio ha
parlato bocca a bocca con Mosè,
ed era rapporto d’amore simile a
quello descritto nel Cantico: « Le
tue labbra stillano miele vergine, o sposa, c’è miele e latte sotto la tua lingua» (4: 11). Esiste
dunque la possibilità di una rivalutazione dall’alto — dal quarto grado di comprensione — del
rapporto sessuale che, se santificato ne] matrimonio, può divenire qualcosa di altamente spirituale: addirittura atto liturgico,
secondo l’indicazione di Giovanni
Paolo II.
Diverso l’approccio di Garrone
che, prendendo le mosse dalle ri
cerche storico - critiche iniziate
dall’esegesi riformata, ha passato in rassegna le varie ipotesi interpretative, da quelle ohe vedono nel Cantico la celebrazione
delle nozze fra divinità (ierogamia), alla rappresentazione teatrale di un rapporto a due o a tre,
fino alla insistenza su un significato sapienziale. Del resto, tutti i commenti — da Erasmo a
Grozio, ecc. — hanno dato corpo
a un’interpretazione letterale di
raccolta di canti d’amore. Karl
Barth ne ha proposto il collegamento con Genesi 2: 16-24, il racconto della scoperta dell’« aiuto
convenevole » per l’uomo: « Così
l’uomo impose. nomi a tutto il
bestiame... e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un
aiuto che gli fosse simile ». E Dio
« plasmò la donna con la costola
che aveva tolto all'uomo; e l’uomo disse: ’’Questa volta essa è
carne della mia carne” ». Subito
dopo, l’autore biblico dà quasi
Pimpressione di trovarsi davanti
a una scoperta: « Per questo [ecco perché, dunque: vedi un po’]
l’uomo abbandonerà suo padre e
sua madre è si unirà a sua moglie; e saranno una sola carne ». Siamo di fronte al mistero
stupendo dell’ innamoramento,
quello stesso che verrà poi descritto nel Cantico dei cantici,
insieme appunto di canti d’amore
che descrivono la situazione particolarissima in cui l’uomo avverte l’attrazione fatale che lo
porta al distacco dai vecchi legami affettivi, 'al fine di costituire
la nuova famiglia. Interessante è
notare l’inconsueta predominanza 'attribuita alla donna.
Nessuna confusione
Ciò che manca in questa valutazione dell’amore, è senza dubbio la confusione dei piani. .L’atto sessuale — pur in tutta la sua
sublimazione, la sua forza, il suo
significato — è fatto di elementi
umani, di limiti imposti dalla condizione dell’uomo, daH’eduoazione, dall’inconscio individuale e
collettivo, dalle pulsioni più segrete, e contiene perciò una sostanziale ambiguità terrena, legata al « gemito e al travaglio del
creato » in attesa della finale redenzione. Difficile è considerarlo
— in un’ottica protestante, ma
non solo — come atto liturgico,
accostandolo alla dimensione dell’amore redentivo di Cristo. Non
considerazione dall’alto verso il
basso, pertanto, ma dal basso
verso l’alto: siamo uomini e dobbiamo riconoscere i nostri limiti
e le nostre insufficienze.
Se è vero che la liturgia protestante — col suo tono dimesso,
priva com’è di paramenti e di
pompe — ha un suo aspetto quotidiano, però sa mantenere le distanze, avvertendo disagio di
fronte all’accostamento di atti
privati, intimi e ambigui — quale quello sessuale — al momento
liturgico.
P. Enzo Bianchi ha replicato insistendo sulla sua tesi: a suo avviso, il disagio in questo caso finisce col rappresentare una limitazione dell’espressività divina.
Valido il successivo dialogo con
il pubblico, che ha riproposto
analoghe contrapposizioni. Qualcuno ha dichiarato di schierarsi
con il prof. Garrone; altri, invece,
ha sostenuto che, se gli era possibile concordare con lui limitatamente al nostro ’’essere” ordinario e quotidiano, avvertiva di
doversi schierare con le tesi di
p. Enzo Bianchi ogni qual volta
gli si presentasse l’esigenza di un
sentire 'Spiritualmente più elevato.
Importante ad ogni buon conto
questo confronto, che ha consentito una chiara visione delle due
linee interpretative — quella spirituale allegorica e quella storicocritica — attraverso differenti
sensibilità, la protestante e la
cattolica, nelle loro motivazioni
intrinseche e profonde. Gli amici
di « Bibbia aperta » proseguiranno l’esame del Cantico dei cantici in quattro incontri, che
avranno luogo nei prossimi mesi.
Paolo T. Angeleri
Appuntamenti
Venerdì 15 marzo — ASTI: Organizzato dal Centro culturale protestante,
alle ore 21, presso il palazzo Ottolenghi, si terrà un dibattito sul tema;
« Le religioni di fronte ai conflitti interetnici ». Partecipano: Giulia Vaggi,
docente di filosofia, del SAE di Milano; Paolo Ricca e Stefano Levi deila Torre, studioso di ebraismo. L’incontro conclude la prima parte del
ciclo di riflessioni sul tema; Differenza e pregiudizio.
Sabato 16 marzo — MILANO: Alle
ore 17, presso la sala attigua alla libreria Claudiana (via Sforza, 12/a), il
prof. Sergio Rostagno parlerà sul tema: « L’unità neila diversità: il fondamento comune di diversi protestantesimi ».
Sabato 16 marzo — TORINO; Il SAE
organizza presso la parrocchia di Gesù Nazareno (via Duchessa Jolanda
ang. via Palmieri), alle ore 16, un dibattito sul tema » Dialogo fra cristiani e musulmani in Europa ». Interverranno Elvira Bernareggi, esperta di dialogo interreligioso, e Djiiiy Pali Mamour, senegalese, capo della comunità islamica di Torino.
Sabato 16 - domenica 17 marzo —
SAN MARZANO OLIVETO; Si tiene un
collettivo teologico dal titolo: « Etica
del lavoro ».
Lunedì 18 marzo — MILANO: » La
nuova corsia » organizza uno studio
biblico (nell’ambito di un ciclo di incontri sull’Esodo) alle ore 21.15, presso la sala IGEI (via Salvini, 3 - Mètro: Balestro), dal titolo: « L’Esodo come paradigma delie rivoluzioni ». Relatore S. Natoli.
Giovedì 21 marzo — FIRENZE: Il
seminario Protagonisti dei protestantesimo », organizzato dai SAE presso
ia Sala incontri della comunità luterana (via de’ Bardi, 20), prosegue con
un incontro (con inizio alle ore 18)
con Giorgio Vola, ricercatore presso
l'Università di Firenze, sul tema « G.
Fox e i quaccheri »,
Giovedì 21 marzo — ALESSANDRIA:
Alle ore 21, presso la sala di c.so
Borsalino 24, conferenza del past.
Gianni Genre sul tema • Dio e la sofferenza », per l’organizzazione del Centro culturale protestante.
Venerdì 22 marzo — TORINO; Il
Centro evangelico di cultura « Arturo
Pascal » organizza, per le ore 20.45
precise, presso il Salone valdese (c.so
Vittorio Emanuele, 23) un dibattito sul
tema: « L’identità religiosa europea:
prospettive ». Interverranno Franco Bolgiani, docente di storia del cristianesimo all’Università di Torino, e Giorgio Girardet.
Sabato 23 marzo — MILANO: Il ciclo di incontri sul tema « Realtà protestante in una nuova realtà europea »
si conclude alle ore 17, presso la sala attigua alla libreria Claudiana (via
Sforza, 12/a) con l’intervento del prof.
Paolo Ricca, che parlerà su « Prospettivé protestanti nella futura Europa ».
Week end di Pasqua — ROCCA DI
PAPA: Il Comitato « single » propone
un incontro allargato ai giovani delle
nostre chiese presso il Centro battista, per incontro, conoscenza, riflessione biblica e di attualità. Per informazioni telefonare alla segreteria del
Comitato (dopo le 19): 06/2675978. Chi
fosse interessato alla sola giornata di
Pasquetta può prenotare il pranzo al
Centro (06/9499014).
Dio in
Piazza Rossa
La legge sulla libertà di coscienza (e di religione) - Una presenza protestante composita
In questi ultimi anni, come
conseguenza del rapido incalzare degli avvenimenti, si è verificata una fioritura di « instant
hook », di libri cioè che si basano sulla stretta attualità e cercano di fornire ai lettori una
chiave di lettura per una maggior comprensione: la guerra
del Golfo ne ha fornito un ulteriore esempio.
Anche l’editrice Claudiana dà
in questi giorni il suo contributo all’attualità con l’uscita di un
volumetto della collana « Dossier » dedicato alla situazione
religiosa in Unione Sovietica dopo la « grande rivoluzione » del
primo ottobre 1990 che ha visto approvata la nuova legge sulla libertà di coscienza e sulle
organizzazioni religiose (*).
L’autore, giornalista e corri;
spondente dell’Ansa da Mosca',
ha seguito in precedenza parecchie Assemblee internazionali fra
cui quelle ecumeniche di Uppsala, di Vancouver, di Basilea
e Seoul; fra le varie collaborazioni, ha anche quella col periodico « Confronti ».
La stessa brevità dello scritto (86 pagine) dice subito che
non si tratta di un saggio destinato agli studiosi: è piuttosto un insieme di « qualche cenno storico, di schegge, di dialoghi con la gente comune, di conversazioni con prelati ortodossi,
di citazioni sulla nuova normativa sui culti », come dice l’autore stesso nella premessa.
Il libretto parte dalla già citata legge sulla libertà di coscienza, compresa quella religiosa, che si basa — sottolinea
Sandri — sulla fondamentale novità per cui, mentre in precedenza tutto ciò che non era espressamente permesso era proibito, ora invece vige il principio che tutto quello che non è
proibito è permesso. Due importanti conseguenze di questa
nuova legge saranno la modifica di tutti i libri di testo per
l’anno scolastico 1992-93 e l’approntamento di una normativa
per gli obiettori di coscienza al
servizio militare, consentendo
loro un « servizio alternativo ».
Per quanto ritarda la situazione religiosa in genere, sono
ben note la complessità e l’intreccio fra i fattori etnici, nazionalisti e, appunto, religiosi.
Al di fuori dei contrasti fra azeri (musulmani) ed armeni (cristiani) il « litigio », specie in
Ucraina, è tutto in casa cristiana in cui si scontrano gli ortodossi, gli uniati ed i cosiddetti
« autocefali ».
Ma le dispute e i dissensi hanno anche un altro carattere: l’attuale crisi politica gorbaciovia
na e le pressioni militari-conservatrici paiono riflettersi anche nelle chiese: da un lato ci
sono credenti che appoggiano il
« richiamo all’ordine » perche temono lo sfascio; altri, al contrario, osteggiano questo giro di
vite in vista di un libero sviluppo futuro delle varie Repubbliche.
Quanti sono oggi i credenti
in URSS? Secondo i dati in possesso dell’autore la situazione
può essere così descritta: su
una popolazione di 289 milioni
di abitanti gli ortodossi si calcolano in 70 milioni. I musulmani (residenti nelle cinque repubbliche asiatiche) sono 40 milioni e gli ebrei tre milioni. I
protestanti (fra chiese storiche
e le nuove denominazioni evangeliche) ammontano a sei milioni, come pure a sei milioni
ammontano i cattolici di rito
orientale e di rito latino.
sic ^ ^
La breve appendice di Cesare
G. De Michelis (pp. 87-103) è dedicata ai protestanti in Unione
Sovietica. L’autore, ordinario di
letteratura russa alla II Università di Roma, fa un rapido e
sintetico excursus sulla « storia
riformata » della Russia a partire dalle prime « eresie » del
XIV secolo.
Curioso per noi l’accenno —
ripreso da un articolo dello storico L. Gautier del 1907 — alla
presenza valdese: la sala della
chiesa riformata di Mosca era
allora affittata a nome di J. C.
Arnaud, mentre vengono citati
come ricoprenti l’incarico di
« predicatore locale » certi Fornerod (Forneron?), Rochat, Secrétan, Dubois, « tous probablement d’origine vaudoise ».
Interessante anche, per il lettore comune, il ricordo di Ivan
S. Prochanov (1869-1935) detto
il « Lutero russo », teorico del
« comuniSmo evangelico » ma
poi amaramente deluso dalla collettivizzazione forzata e quindi
emigrato fino alla morte in Germania.
La presenza protestante in
URSS è assai composita. La
« popolazione ecclesiastica »
comprende oltre sei milioni di
membri suddivisi fra chiese
battiste, battisti dissidenti, mennoniti, luterani, riformati, metodisti, pentecostali, avventisti ed
altri, compresi gruppi d’ascolto
(calcolati in oltre un milione e
mezzo) della predicazione radiofonica diffusa dall’estero.
Roberto Peyrot
(*) LUIGI SANDRI, Dio in Piazza
Rossa, con appendice di Cesare G.
De Miclielis, ed. Claudiana, 1991, pp.
105, L. 10.000,
SOCIETÀ’ DI STUDI VALDESI
Pubblicazioni
e convegni
Si è svolto a Torino, il sabato
2 marzo nei locali della Chiesa
valdese, un incontro fra i soci
della Società di studi valdesi e
il seggio della medesima. Giorgio Rochat, neopresidente della
SSV, si è soffermato sulla priorità dovuta ai temi portanti della società che si esprimono attraverso le pubblicazioni e i convegni. Dal dibattito è emerso
che le due pubblicazioni, il Bollettino (strumento di attualizzazione del lavoro della SSV) e la
Beidana (strumento di sintesi
della ricerca storica) necessitano di una rivalutazione dei compiti loro specifici e, benché sia
da registrare un buon numero
di lettori, di uno scambio più
approfondito di pareri in fase
di progettazione e programmazione.
Il convegno stesso è stato oggetto di dibattito in quanto si
è evidenziata la necessità di una
programmazione a lunga scadenza che sembra dover essere sempre più vincolata a nuove collaborazioni nell’ambiente dell’Università.
Si ricorda che il volume di
Giorgio Rochat, edito dalla Claudiana nella collana della SSV, è
in vendita al prezzo ridotto per
i soci di L. 25.000.
9
p
15 marzo 1991
v^alli valdesi
TORRE PELLICE
SINDACI
Uintegrazione è possibile
Alla ricerca di un rapporto costruttivo e proficuo per tutti con gli immigrati nordafricani - Il problema del lavoro e quello della casa - No alla guerra, sì al dialogo fra popoli
Chi vive nelle città è ormai da
tempo abituato alla presenza di
cittadini extracomunitari; una
presenza gravida di problemi
che spesso si scontra con l'ostilità e l'indifferenza della gente.
Da alcrmi anni il fenomeno si
va attestando anche in provincia,
ed un certo numero di immigrati
nordafricani si è stabilito a Pinerolo, in vai Pellice e nei centri
limitrofi del cuneese.
Molti di essi sono venditori ambulanti, altri sono invece operai,
manovaU, lavoratori stagionali.
Alcuni hanno con sé le loro famiglie.
La loro presenza a Torre Pellice suscita reazioni diverse e
contrastanti da parte della gente
e delle forze politiche locali, ma
da parte di tutti occorre la consapevolezza dell’importanza che la
questione riveste e dei fatto che
essa debba essere affrontata in
modo serio e costruttivo.
Da qualche tempo anche la comunità valdese di Torre Pellice
è presente sul campo con una
specifica commissione nominata
dal concistoro in risposta ad una
istanza sinodale del 1989 che invitava le chiese ad assumere impegni concreti verso i migranti.
CONCORSO FOTOGRAFICO
TORRE PELLICE — Sono sta
ti prorogati Ano al 20 marzo i
termini per la consegna delle
diapositive per il concorso di
Radio Beckwith « Il treno e il
suo mondo », la cui premiazione avverrà il 23 marzo al terripio valdese dei Coppieri nell’intervallo di un concerto del coro di Angrogna « La draia ».
FURTI NELLE CHIESE
Numerose case pastorali delle
valli, fra cui Bobbio Pellice, Luserna San Giovanni, Villar Porosa, Chiotti, Pomaretto, oltre ad
alcune canoniche, sono state negli scorsi giorni visitate da ladri; sono ovviamente in corso
le indagini del caso.
L'attività della commissione si
svolge lungo due principali linee
direttrici, l’una tesa a sensibilizzare la comunità formata dai
membri di chiesa e l’altra tesa
ad un impegno solidaristico verso i nuovi concittadini.
Questa duplice aziqnc incontra
ovviamente alcune limitazioni dovute al numero ristretto di persone impegnate, al poco tempo di
cui ciascuna di esse dispone ed
alla scarsa possibilità di trovare
risposte immediate a esigenze
prioritarie quali quelle della casa,
del lavoro, dell’acquisizione delle
licenze, e così via.
Vi sono però obiettivi che possono essere raggiunti attraverso
il concorso di molti, e dunque
per questo la Commissione migranti non intende muoversi in
modo isolato ma si propone invece come un’area di collegamento tra la comunità ecclesiale e la
cittadinanza, tra la comunità ecclesiale e gli immigrati che vivono a Torre Pellice.
In una serie successiva di incontri a cui hanno preso parte
aderenti aU’Associazione pace,
membri delle chiese valdese
e cattolica, rappresentanti del
Comune e dei servizi sociali comunali sono stati fatti passi importanti nella direzione della reciproca conoscenza; tra l’altro è
stato avviato un corso di lingua
italiana.
I nordafricani a Torre Pellice
sono alcune decine, per lo più
marocchini, costretti in abitazioni fatiscenti e malsane, stridente
rovescio della medaglia di una
cittadina ove sorgono numerose
ville e case di lusso.
Una sistemazione più dignitosa
è dunque il problema più pressante e di più difficile soluzione.
La ricerca di una casa a Torre
Pellice, come si sa, è difficile per
chiunque; le cifre richieste per
l'affitto di un appartamento sono spesso pesantemente elevate.
Per chi ha la pelle scura ed i
lineamenti arabi trovare casa è
ancora meno facile ed il Comune
non può oggettivamente far fronte a una domanda sempre crescente di assegnazione di alloggi.
Torre Pellice. Venditori nordafricani al mercato del venerdì.
WS:
E’ quindi necessario considerare che l’afflusso di extracomunitari a Torre Pellice deve in qualche mòdo essere controllato per
poter essere gestito.
L’arrivo di nuove e più recenti
ondate migratorie rischia di rendere conflittuale non solo il rapporto con la cittadinanza ma anche tra gli extracomunitari stessi.
Coloro che sono qui da più tempo temono infatti, prima di altri,
che una presenza troppo massiccia di immigrati possa alla lunga inasprire i rapporti.
E' questo che essi intendono
fare presente quando dicono che
molti ambulanti che si incontrano al mercato del venerdì mattina provengono da altre località
del Piemonte.
Lontani dalla loro terra, dalle
loro famiglie, anche gli immigrati
nordafricani in vai Pellice chiedono di poter continuare a vivere
con le loro tradizioni, nel rispetto delle nostre, e di professare la
loro fede islamica. Altra comprensibile esigenza è quella di ottenere un luogo nel quale essi
possano continuare ad incontrarsi per discutere, per pregare, per
svolgere attività sociali.
Non sarà facile sfondare i muri
dell’incomprensione, né rendere
sterili i germi di quella mala
pianta che è il razzismo e che
trova purtroppo un terreno fertile nel qualunquismo della civiltà dei consumi, così lontana dal
messaggio di amore fraterno
dell’Evangelo.
Non sarà facile, anche perché
viviaimo aU’intemo delle nostre
comunità situazioni di imborghesimento e di allontanamento da
una radicalità evangelica che è
certamente difficile da praticare
rrja che è presupposto indispensabile ad ogni atto di solidarietà
e ad ogni atteggiamento di accoglienza.
Tutto questo ci appare oggi
ancora più importante. Il rifiuto
della guerra espresso dalla maggioranza degli evangelici nasce
anche dalla consapevolezza dei
rischi non secondari che essa
comporta nel provocare nuove
lacerazioni tra i popoli e nell’ampliare il divario esistente tra il
Nord ed il Sud del mondo. Il rifiuto e rabbattimento delle barriere che l’uomo ha posto tra sé
ed i propri simili è un passo
necessario in direzione della pace.
Sergio Franzese
No alla Cassa
Si succedono gli incontri sulla
situazione alla SKF; lo scorso 5
marzo si è svolta una riunione
di amministratori presso la sede
della Comunità montana cui hanno partecipato non solo rappresentanti di comuni delle valli Chisone e Germanasca ma anche della Comunità montana vai Pellice,
di San Secondo, di Bagnolo e di
Pinerolo.
Partendo da considerazioni generali sulla crisi dell’occupazione
nel Pinerolese, gli amministratori
segnalano la crisi alla SKF come un ulteriore colpo alla zona
rispetto alla quale è necessario
evitare ulteriori impoverimenti.
« Nella nostra veste di amministratori — è scritto in un documento approvato a larga maggioranza nel corso deH’incontro —
esprimiamo la nostra solidarietà ai lavoratori interessati dalla
cassa integrazione e ci impegniamo a porre in essere tutte le iniziative in grado di scongiurare
soluzioni più drastiche ai problemi, anche di natura congiunturale, che affliggono il gruppo SKF.
Nel prendere atto, con soddisfazione, che la direzione dello
stabilimento SKF di Villar Perosa ha tempestivamente e correttamente informato la presidenza
della Comunità montana sullo
sviluppo della ristrutturazione
produttiva, sulle cause delle difficoltà attuali e sull'applicazione
della CIG, invitiamo il gruppo
SKF, nel rispetto della totale autonomia che le forze produttive
hanno nei confronti delle amministrazioni pubbliche, a rivedere
modalità e tempi del trasferimento di alcune produzioni (conici) verso altre compagnie della
società, o in alternativa a prevedere l’acquisizione di nuove
produzioni al fine di garantire un
passaggio meno traumatico verso
i nuovi livelli organizzativi e produttivi, e di evitare una ricaduta
troppo pesante sul già debole tessuto socio-economico del Pinerolese.
Invitiamo, inoltre, le organizzazioni sindacali ad individuare
le sinergie necessarie a perseguire l’obiettivo del mantenimento
dei posti di lavoro attualmente
esistenti nella Compagnia italiana
della SKF ».
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7,34 7,34 8,59 10,29 14,14
7,37 7,37 9,02 10,32 14,17
7,38 7,38 9,03 10,33 14,18
7,39 7,39 9,04 10,34 14,19
7,40 7,40 9,05 10,35 14,20
7,41 7.41 9,06 10,36 14,21
7,42 7,42 9,07 10,37 14,22
7:44 7.44 9.09 10.39 14,24
7,45 7,45 9,10 10,40 14,25
7,49 7,49 9,14 10,44 14,29
7.50 7.50 9.15 10.45 14.30
7,51 7,51 9,16, 10,46 14,31
7,53 7,53 9,18 10,48 14,33
7,54 7,54 9,19 10,49 14,34
7,55 7,55 9,20 10,50 14,35
7,57 7,57 9,22 10,52 14,37
7,58 7,58 9,23 10,53 14,38
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GIARDINI “BRIANZA" 8.35 10.05 11.35 13.29 16.25 16.25
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MADDALENA 13.44 16.40
PONTEVECCHIO 13.46 16.42
MURCIUS 13.50 16.45
10
10 valli valdesi
15 marzo 1991
AGRICOLTORI DI PRAROSTINO
ASSEMBLEA DELLE VALLI OCCITANE
Lavoriamo in perdita Sì alla Provincia
Oggi
e domani
L'assemblea della Cooperativa produttori agricoli prarostinesi,
riunita il 5 marzo per esaminare la grave situazione determinatasi
nel settore agricolo e in quello lattiero in specifico, ha prodotto all’unanimità un documento che è una denuncia del grave disagio di
tutti gli agricoltori e che qui proponiamo.
La situazione è precipitata a
partire da dicembre, quando in
fase di trattative per la definizione del prezzo del latte alla produzione le aziende raccoglitrici
hanno reso noto la loro determinazione ad ottenere una diminuzione del prezzo del latte di circa
100-120 lire/litro, al che si sono
susseguite lunghe e inconcludenti
sessioni, finché il 22 febbraio è
stato siglato un accordo a livello
nazionale; contraenti l’Assolatte,
Unione industriale del settore, da
un lato, e l’Unalat, Unione nazionale produttori latte, dall’altro;
questo accordo prevede vari prezzi diversi da regione a regione.
Quello per il Piemonte, il più basso fra tutti, è di L. 532,8 -f IVA,
totale L. 585; vengono indicati
anche i parametri per il pagamento del latte di qualità, che
verranno poi ratificati a livello
regionale.
E’ da sottolineare come questo
accordo sancisca una diminuzione di ben 60 lire/litro rispetto al
prezzo valido fino a dicembre, ed
è già molto, visti gli aumenti a
cui sono soggetti tutti i costi di
produzione che sono molteplici:
dal gasolio all’energia elettrica,
al foraggio, costo particolarmente pesante in un’annata in cui la
siccità si è fatta sentire, e molti
altri, fino all’aumento degli oneri
previdenziali per effetto della riforma pensionistica: tra le altre
penalizzanti innovazioni l’eliminazione delle riduzioni previste
per le zone montane. Inoltre, pochi giorni dopo, si viene a sapere
che molte delle aziende raccoglitrici non possono applicare il
contratto per le evidenti difficoltà nel collocare il prodotto sql
mercato perché questo non è
competitivo rispetto alle massicce quantità di latte, latticini e
derivati importate a prezzi imbattibili e rivendicano quindi il
calo richiesto a inizio trattative;
ritorniamo perciò al punto di
partenza senza che vi siano segnali di una risoluzione positiva.
Tra l’altro si importa circa il
50% del fabbisogno nazionale, eppure sono tuttora in vigore le
quote di produzione: non si può
cioè produrre oltre i quantitativi
conseguiti nella campagna ’88-89,
altrimenti si dovrà pagare una
multa corrispondente a L. 541 per
ogni litro. E’ altresì noto come
dall’ultimo trimestre '88 è stato
inserito il pagamento latte-qualità: purtroppo i premi ad esso
collegati non corrispondono ai co
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sti reali per ottenere una migliore qualità del prodotto e di conseguenza, per evitare di essere
penalizzati dai parametri in uso,
si spende molto di più di quanto
viene poi ricevuto come premio e
tutto questo mentre il latte proveniente dall’estero è spesso incontrollato o di qualità di gran
lunga inferiore; ci .si chiede ormai da tempo perché non sia ancora stata messa in attuazione la
legge sul latte fresco che potrebbe essere un valido strumento di
difesa: sia del produttore perché,
regolamentandone le caratteristiche qualitative, potrebbe differenziare le produzioni locali da
quelle importate ponendo im freno a queste importazioni s-elvagge, sia del consumatore che viene
danneggiato in quanto non beneficia minimamente del calo del
prezzo alla produzione e continuerà pertanto a pagare, a prezzi
che giungono a triplicare quello
di origine, un prodotto che viene confezionato con dei contenuti e dei valori proteici molto minori in rapporto a quelli originali.
Tutto questo per spiegare perché molto probabilmente noi, e
come noi molti altri produttori,
saremo costretti ad abbandonare
l’attività in quanto i costi per
produrre in modo sano alimenti
sani sono ormai insostenibili a
fronte dei ricavi che diminuiscono inesorabilmente; anche perché
i consumatori molto presto si
troveranno ad alimentarsi esclusivamente di prodotti importati
essendo ovviamente scomparsi
gli allevamenti nelle nostre zone,
con le relative conseguenze anche
a livello ambientale: basti pensare quali effetti produce sulla collina l’abbandono e la scomparsa
delle attività agricole, in specifico
quelle collegate alla zootecnia che
d’altra parte rimane, con la viticoltura, fra le poche forme di
agricoltura praticabile nella zona,
che è fortemente penalizzata causa la conformazione del territorio
collinoso; oltretutto queste non
sono facilmente sostituibili cpn
colture diverse. Quindi un degrado ambientale con tutte le conseguenze che esso determina.
Ad esempio prati, pascoli, campi e boschi abbandonati favoriscono calamità quali incendi,
frane, eccetera.
alpina
Sabato 9 marzo, a Paesana,
è stata fondata l’assemblea permanente per le Valli eccitane.
Il Movimento autonomista occitano (MAO) ha organizzato un
dibattito a cui hanno attivamente partecipato molti amministratori della provincia di Cuneo,
nonché alcuni della vai Pellice.
Il dibattito ha nuovamente evidenziato i problemi della montagna, dalla cultura a quelli sociali ed economici, e soprattutto si è discusso di quali iniziative intraprendere per essere
nuovamente protagonisti del
proprio futuro. L’assemblea permanente vuole essere una sorta
di strumento capace di studiare e proporre soluzioni concrete, ridare voce ai territori montani ed un loro giusto peso politico e contrattuale nell’ambito
delle istituzioni amministrative
piemontesi.
Due sostanzialmente gli obiettivi delTincontro; il primo, creare e trovare i mezzi per una
politica « trasversale » che metta al primo posto l’esigenza delle nostre realtà montane e secondariamente le tessere di appartenenza; il secondo, quello di
attrezzarsi per il 1993 creando
le iniziative necessarie affinché
la nostra montagna, realtà
transfrontaliera, sia rivolta alla
realtà europea.
Che si tratti di una iniziativa
consistente lo dimostra l’adesione di politici ed amministratori dalle diverse tendenze politiche ed ai vari livelli amministrativi; per ricordarne alcuni:
Livio (Quaranta, PDS, G. Battista Possati, PSI, Romolo Bignami, area DC, Dino Matteodo del
MAO ed il consigliere regionale
Ripa.
In attuazione della legge di riforma delle autonomie locali,
saranno presentate delle proposte di statuti per i Comuni montani, che siano coerenti alle esigenze di sviluppo, inteso in senso lato.
La proposta della « provincia
ciambella » non piace a nessuno dei presenti al convegno, che
intendono sostenere la creazione di una provincia delle valli
alpine; l’iniziativa evidentemente sarà sorgente di confronto
con i « ciambellieri ». Un gruppo di fondatori dell’Associazione è già al lavoro, con l’impegno di coinvolgere altri amministratori, intellettuali e realtà
culturali esistenti nelle nostre
valli.
Mauro Meytre
Amnesty International
TORRE PELLICE — Venerdì 15 marzo, ore 17, avrà luogo nella sede In
via Repubblica 3, Il piano, la riunione quindicinale del Gruppo Italia 90
vai Pellice.
I ncontrl
TORRE PELLICE — Venerdì 15 marzo, alle ore 20,45, presso la sala della comunità alloggio di via Angrogna,
il PDS organizza un incontro sul tema: « Idee per lo sviluppo della vai
Pellice ».
TORRE PELLICE — Il Centro culturale organizza, per sabato 16 marzo,
alle ore 20.45 presso i locali della biblioteca, nell'ambito della serie Incontri con... una serata con Marcella Filippa, autrice di un libro su Giorgina
Levi in Bolivia durante il perìodo delle leggi razziali.
Cinema
TORRE PELLICE — Venerdì 15 marzo, alle ore 21.15, al cinema Trento,
verrà proposto il film ■■ Il tempo dei
gitani ». Sabato 16, ore 20-22.10 e domenica 17, ore 16-18-20-22.10, ,« Nikita » di Lue Besson.
Spettacoli
POMARETTO — Sabato 16 marzo,
alle ore 21, presso il cinema Edelweiss, il cabarettista Mario Zucca presenterà « Madre che coraggio ».
VALLI CHISONE E GERMANASCA
Riparte il Cantavalli
Parte sabato 16 marzo la quinta edizione del Cantavalli, la rassegna di musica popolare delle
valli Chisone e Germanasca; rimpianto della manifestazione è
grosso modo quello degli ultimi
anni (ogni sabato sera in uno dei
comuni delle valli, con una breve
pausa alla fine di aprile). La direzione artistica è curata ancora
una volta dalla Cantarana, gruppo pinerolese di sicuro valore
nel settore e che ancora una volta è stato impegnato nella ricerca dei gruppi e delle sedi; parliamo di Cantavalli ’91 con Mauro
Durando, appunto del gruppo
pinerolese.
« La caratteristica rimane quella della rassegna itinerante, il
che consente di avvicinare la musica popolare a tutta la popolazione delle valli, fra l'altro con
un successo crescente, visto che
nel pubblico troviamo sempre
una buona percentuale di persone provenienti da tutto il comprensorio ed anche dal cuneese.
Collaborano comunque all'elaborazione del programma anche
tutte le altre attività culturali
delle valli, comprese le Pro Loco ».
Come avviene la ricerca dei
gruppi?
« Potrei dire che cominciamo
a pensare alla prossima edizione
di Cantavalli fin dalla conclusione della precedente, mantenendo
contatti e cercandone di nuovi,'
sempre nel tentativo di proporre
gruppi direttamente impegnati
nella ricerca e nella riproposizione del patrimonio musicale dell'area da cui provengono. Anche
quest'anno, dal punto di vista
geografico, avremo presenze da
tutto il nord d'Italia più tre
proposte dall'estero, due dalla
Francia ed una dal Canton Ticino-».
Undici serate, ognuna delle
quali conclusa con la possibilità
di ballo sotto la guida di suonatori locali; alcuni ritorni, a cominciare proprio dal gruppo che
si esibirà sabato 16 alla sala valdese di Frali, i ’Trouveur valdotèn’, che proporranno il frutto
della loro ricerca negli ultimi
mesi. Una rassegna dunque che
coinvolge ed impegna, anche economicamente (siamo per il ’91 a
circa 20 milioni) gli enti pubblici;
è un sostegno importante per
un’attività che, specialmente pensando alla lunga opera di ricerca,
comporla impegno notevole.
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11
15 marzo 1991
lettere 11
ECUMENISMO?
NON PROPRIO...
Avevo ormai deciso di dimenticare
i'episodio, poi ho ritenuto invece utile raccontarlo, se non altro per dovere di informazione.
Premetto che sono per l’ecumenismo, da quello « spicciolo » dei matrimoni interconfessionali, ad esempio, a quello ufficiale delle riunioni
con il cattolicesimo, ecc.; sempre che
per ecumenismo intendiamo la comune ricerca di ciò che ci unisce, tralasciando o smussando gli angoli, là
dove è possibile, s'intende, su ciò che
ci divide.
Veniamo al caso.
Nella diocesi di Pinerolo è tempo
di cresime; una famiglia cattolica
chiede ad una coppia di parenti di
essere i padrini della loro figlia. Sfortunatamente (?!) questa coppia di . potenziali » padrini è interconfessionale:
lui cattolico, lei valdese.
Ecco allora quale interessante richiesta avanza il solerte parroco: se
la signora vuole essere la madrina
richieda alia sua chiesa il « certificato di buon cristiano » e per me va
bene!
in chi ha vissuto e conosciuto ia
vicenda i sentimenti sono stati dapprima di sgomento, poi di impotenza,
infine di rabbia.
Sgomento, perché pare impossibile
che la chiesa cattolica abbia bisogno
di un attestato comprovante l'effettiva « cristianità » di un non cattolico.
O meglio, forse non è la chiesa cattolica nel suo insieme (non voglio crederlo), ma è il parroco in questione
che deve andarsi a ripassare il capitolo di « Religioni nel mondo », là
dove si dice che fanno parte del cristianesimo i cattolici, i protestanti,
ecc. Ecco, signor parroco, i valdesi
sono protestanti, i protestanti sono
cristiani, quindi la signora è cristiana e... senza certificato, non le basta?
E non è bastato, e qui interviene
l’impotenza.
Dal momento che la chiesa valdese non ha l’abitudine di distribuire a
destra e a manca degli attestati sulia altrui « buona cristianità » (e con
che diritto, poi?), l’unica cosa da fare era desistere e ritirarsi impotenti
di fronte a questo assurdo ed ingiusto inciampo religioso-burocratico.
Tra le righe va anche fatto notare
il disagio di due famiglie e una ragazzina adolescente che forse stenta a capire perché sua zia, che pure
« cristiana » è, non lo sia così tanto
da poter essere la sua madrina perché è senza documento...
Al di là delle diverse interpretazioni che possiamo dare del madrinato o della cresima, su cui non saremo forse mai d’accordo, non vedo
perché creare ulteriori barriere di divisione, quasi che non ce ne fossero già a sufficienza.
In ultimo, la rabbia. Occorre darsi
da fare per opporsi a questo vero e
proprio abuso.
Le soluzioni prospettate, sempre dal
parroco... poco largo di vedute:
1) il coniuge cattolico, bontà sua,
si prenda la responsabilità di autorizzare sua moglie per scritto « lasciandole » fare la madrina. In pratica lui,
dall’alto della sua cattolicità (o forse perché è un uomo?) permetta a
lei, forse essere inferiore doppiamente colpevole perché valdese e priva
di certificato, di essere in regola sotto la sua ala garante;
2) la signora si faccia dare la
dispensa dal vescovo e tutto si sistemerà. Non si sa poi cosa deve
o dispensare » il vescovo, essendo in
questo caso una persona di altra religione.
Conclusione: la signera non accetta né la prima né la secenda soluzione perché entrambe, oltreché assurde, sono a dir poco umilianti. E
qui finisce la storia di una quasimadrina fallita per il «torto« di essere valdese...
Al di là della polemica resta l'amaro in bocca.
Tutti i nostri sforzi ecumenici, gii
incontri con il cattolicesimo « ufficiale », la settimana di preghiera per
l'unità dei cristiani (con o senza certificato?), sono senza senso se poi
si incontrano situazioni inverosimili come questa.
Cosa costruiamo, se poi scivoliamo
indietro su papiri, richieste, autorizzazioni, dispense, ecc.?
Non possiamo lavorare insieme in
modo fraterno pensando che prima o
poi saremo « fregati » da un qualche
don Abbondio di turno!
Anche all’Interno della chiesa valdese permangono frange scarsamente
ecumeniche però, avendo una struttura democratica, si riesce a portare
avanti le decisioni della collettività,
non dei singoli.
Se nella chiesa cattolica invece il
delle valli valdesi
settimanale delle chiese valdesi e metodiste
Direttore: Giorgio Gardioi
Vicedirettore: Luciano Deodato
Redattori: Alberto Corsani, Adriano Longo, Jean-Jacques Peyronel, Piervaldo Rostan.
Segreteria: Angelo Actis
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Peilice - telefono 0121/91334
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berto Peyrot_____________________________________________________________
EDITORE: A.I.P. - via Pio V, 15 - 10125 Torino - c.c.p. 61°° ,
Consiglio di amministrazione: Roberto Peyrot (Pi-esidente), Silvio Revei
(vicepresidente). Paolo Gay, Marco Malan, Franco Rivoira (membri).
Registro nazionale della stampa: n. 00961 voi. 10 foglio é81_____________
Il n. 10/'91 è stato consegnato agli Uffici postali di Torino il 7 marzo
e a quelli delle valli valdesi l’8 marzo 1991._________________________.
Hanno collaborato a"questo numero: Archiniede ®
na Romano, Renato Co’isson, Mauro GardioI, Sauro Gottardi, Ruggero
Marchetti, Teofilo Pons.
sistema è verticistico allora qualcuno,
per piacere, da qualche vertice, provveda a far abolire certe preistoriche
quanto insulse richieste degne del
Cencilio di Trento!
inoltre si veda di far capire ai propri uomini di chiesa che forse è venuto il momento di allargare decisamente certi schemi mentali, che i
valdesi non hanno mai avuto un occhio in mezzo alla fronte e che la
forma mentis un po’ ristretta è dannosa al cammino ecumenico per entrambe le parti.
Molti fratelli e sorelle sono impegnati in questo cammino lungo e spigoloso e lo fanno con speranza e
buona volontà.
Non è il caso che venga minato il
terreno sotto i loro piedi, magari nel
nome del Signore...
Paola Geymonat, Bricherasio
L’AGAPE NON E’
SOLO UN’UTOPIA
Mi ha molto stupita la lettera di
Mario Basile comparsa sul numero del
15 febbraio in risposta aH’articolo di
Luciano Deodato sul « No alla guerra ». E mi ha stupito perché proviene
da un credente. Mi domando come
sia possibile credere in Dio e non
nell’agape. Questo infatti si desume
da alcune frasi, come: ■■ L’unico valore assoluto in cui credo è Dio. Non
credo nella honviolenza ». Allora ci
troviamo nella solita posizione schizofrenica (e ormai troppo vecchia), per
CU! Dio è realtà, ma il Regno è utopia: il che mi sembra strano per un
credente.
Probabilmente a Basile non sembrerà giusto identificare l’agape con
la nonviolenza, che egli identifica con
l’ideologia di determinati gruppi di persone. Ma questo avviene perché erroneamente (come succede a tanti, e
anche a tanti « pacifisti ») si interpreta la posizione del no alla guerra come una posizione riferita puramente
al regno dei fatti; mentre invece una
vera ricerca della pace non può partire se non dallo schema di valori
che sottende ai fatti, e cioè dalla critica a una mentalità, a una logica, a
una lettura del reale certamente non
evangeliche, che rendono » inevitabile » la guerra (in questo sono d’accor
do con Basile). E’ questo quadro di
valori che si vuol mutare, proprio per
non trovarsi più « costretti » alla guerra. E per cercare di mutarlo mi sembra che occorrano ormai prese di posizione fortemente contestative e consistenti, e tra queste mi appare particolarmente significativa la disobbedienza civile generalizzata. Proprio per
questo ho apprezzato tanto l’articolo
di Deodato.
Non credo si possa continuare a
sostenere che i valori dell'agape, della solidarietà e della condivisione siano destinati a rimanere nell'empireo
dell'utopia. Oggi persino scienziati ed
economisti sostengono ohe proprio un
tipo di società pluralistica e complessa come l'attuale richiede che si abbandoni l'ideologia dei vincitori e vinti, e si cerchi di arrivare a forme
di « socializzazione solidale ». E una
bella lezione per noi credenti che i
valori della riconciliazione e della solidarietà ci vengano ricordati e riproposti da quel mondo della ricerca
scientifica che abbiamo tante volte giudicato con sufficienza!
Rita Gay, Bergamo
IL FRANCESE,
LINGUA A RISCHIO
Confesso di sentirmi un po' umiliata quando mi rendo conto che alcune persone considerano il francese
che parliamo alle Valli un dialetto locale di serie B e lo chiamano « il francese di Torre Peilice ».
Dunque il nostro francese è in
tale stato di degrado? Alle Valli il
francese, secondo me, è a rischio.
Infatti nel francese usato da molte
persone si mischiano con gran disinvoltura parole italiane o, peggio, parole e costrutti italianizzati, talvolta
strampalati, che danno un senso di disagio in chi li ascolta, anche se possono fare sorridere.
Certo non si può pretendere che
un italiano delle Valli parli come un
parigino, ma dobbiamo pure capire che
ogni lingua ha la sua dignità; che
una lìngua si può forse addomesticare, ma mai contaminare o violentare.
Una lingua si trasforma e rinnova, ma
non si deve deformare. Certo è difficile « pensare » in due lingue diverse, eppure il bilinguismo è una sfi
da da accettare, perché fa parte dell'identità valdese, come pensano molte persone che hanno recentemente
inviato lettere al giornale. Insomma
nessuno vuole che il francese, una
pianta che ha attecchito e prosperato
alle Valli, abbia a trasformarsi in un
alberello striminzito.
Per migliorare il nostro francese
abbiamo molti mezzi a nostra disposizione. Attraverso la lettura di libri
francesi, l'ascolto di programmi francesi alla radio, la consultazione di un
buon vocabolario francese monolingue
il nostro francese diventerà più corretto e moderno.
Per quanto riguarda l'inglese, certamente esso può essere insegnato anche alle Valli. E' una lingua un po'
ostica agli italiani per via delle difficoltà ortografiche e di pronuncia, ma
essa possiede una dote impareggiabile: la concisione. Questa lingua, comunque, non può sostituire tra la
popolazione adulta delle Valli il francese.
Silvana Tron, Torre Peilice
ERRATA-CORRIGE
Nel numero 8 del 22 febbraio, nell'articolo a pagina 12, intitolato « I saluti », siamo incorsi in un errore di
cui chiediamo scusa al fratello Roger
Schutz, priore della comunità di Taizé. Non lui bensì Max Thurian, membro della comunità di Taizé, è stato
ordinato sacerdote cattolico qualche
tempo fa.
FONDO DI SOLIDARIETÀ’
Per i profughi di guerra
Abbiamo già dato notizia nel
numero precedente che il nostro
Fondo di solidarietà ha accolto
l’appello del Consiglio ecumenico delle chiese alle chiese-membro per aiutare il gran numero
di profughi creati dalla guerra
del Golfo Persico.
E’ questo un aspetto meno conosciuto, ma altrettanto drammatico, di questo conflitto: mentre i mass media hanno dato il
massimo rilievo ai fatti bellici
veri e propri (pur nascondendo
finora il reale numero delle vittime militari e civili nonché l’entità enorme dei danni) hanno
per contro trascurato questo
triste fenomeno dei profughi, costretti ad abbandonare l’Iraq ed
il Kuwait, fuggendo verso i paesi d’origine in condizioni di miseria.
Gli aiuti del Cec sono coordinati dal Consiglio delle chiese
del Medio Oriente. Inizialmente
la cifra richiesta era di 300.000
dollari, unitamente a richieste di
generi vari. Con la progressiva
estensione e gravità dei fatti
bellici essa è stata portata ad
un milione di dollari.
L’appello del Cec dà alcuni
primi dettagli sulla situazione
venutasi a creare nei vari territori in cui questi profughi sono stati costretti a rientrare o
a migrare. In genere si tratta di
gente che ha dovuto lasciare il
lavoro, i propri (pochi) beni,
compresi i risparmi che sono
stati congelati tanto in Iraq
quanto nel Kuwait. E’ una massa di persone che a decine di
migliaia si è riversata in Giordania, in Siria, in Libano, in Turchia, nel Bahrein ma anche nei
NUOVI NUMERI DI TELEFONO
Il nuovo numero di telefono del pastore Guido Colucci (dal 14 marzo) è:
02/76021069.
Il nuovo numero di telefono della
Libreria Claudiana di Milano, sempre
dal 14 marzo, sarà: 02/76021518.
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territori occupati della 'West
Bank (Cisgiordania) e della striscia di Gaza. In quest’ultimo caso la situazione è stata per di
più aggravata — come sottolinea l’appello — dal coprifuoco
istituito in quelle zone dagli
israeliani che ha bloccato migliaia di persone che non hanno né lavoro né la possibilità
di muoversi, con sempre maggiori essenziali problemi di sussistenza.
L’appello in questione, datato
1” febbraio, risulta purtroppo
già parzialmente superato dai
successivi sviluppi del conflitto.
Le cifre ed i mezzi necessari
per aiutare questa gran quantità di persone in distretta dovranno essere sempre più ingenti.
Il nostro Pondo di solidarietà, ricordando anche l’ordine
del giorno sinodale n. 31 del
1990, in cui viene richiesta una
« risposta generosa e rapida agli
appelli del Cec (...) quando catastrofi naturali o guerre colpiscono duramente popolazioni
già stremate », desidera collaborare attivamente a questo appello ed invita pertanto tutti i
lettori, le comunità, le associazioni, le scuole domenicali, ecc.
a dare tangibile prova di solidarietà. Una prova che vuole am
che essere un’ulteriore denuncia
della guerra e del suo cumulo
di distruzioni e di orrori.
Le offerte vanno inviate al
conto corr. postale n. 11234101
intestato a La Luce Fondo ai
solidarietà, via Pio V 15, 10125
Torino indicando semplicemente
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Ambulanza :
Croce Verde Perosa: Tel. 81.000.
Croce Verde Porte: Tel. 201454.
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( Distretto di Pinerolo )
Guardia medica :
Notturna, prefestiva, festiva: Telefono 2331 (Ospedale Civile).
Ambulanza :
Croce Verde Pinerolo: Tel. 22664.
USSL 43 - VAL PELLICE
Guardia medica :
Notturna, prefestiva, festiva: Telefono 932433 (Ospedale Valdese).
Guardia farmaceutica :
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91.374.
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Croce Verde Bricherasio: tei 598790
SERVIZIO ATTIVO INFERMIERISTICO: ore 8-17, presso I distretti.
SERVIZIO ELIAMBULANZA, •llco^
tero: tei. 116.
12
12 villagrgio grlobale
15 marzo 1991
___________IL VIAGGIO EUROPEO DEL PACIFISTA ADAM KELLER
Una voce israeliana
contro la guerra
La pace può venire solo dall’incontro e dal dialogo con i palestinesi - Il ruolo dell Europa e la vergogna del commercio delle armi
RIESI
Torino, 6 marzo. Siamo in redazione a tirare le file di spezzoni di conversazioni avute negli
ultimi tre giorni con Keller da
Roma, dove ha tenuto una conferenza stampa orgtinizzata da
Confronti e dal gruppo ebraico
«Martin Buber » e un incontro
pubblico airUniversità con un
rappresentante dell’Olp in Italia,
a Torino dove parlerà oggi, sempre all'Università, insieme ad Ali
Rashid, anch’egli delTorganizzazione palestinese.
Un fitto programma
di incontri
Anzitutto gli chiediamo del
viaggio che da alcune settimane
sta facendo in Europa, in Ólanda
prima, ipoi ¡n Germania e ora in
Italia: che gruppi ha incontrato,
quali impressioni ha ricavato
finora?
« Gruppi assai diversi », ci dice. In Olanda, dove si è trattenuto di più, il contatto è stabilito
da anni con un gruppo ebraico,
l’Associazione per la pace israelopalestinese, che lavora per promuovere i rapporti tra la comunità ebraica e quella palestinese
nel paese. Quello del dialogo con
TOlp è lo scopo principale del
Consiglio israeliano per la pace
israelo-palestinese, di cui Keller
cura i rapporti internazionali,
oltre a dirigere la pubblicazione
di The Other Israel. Parte del
giro in Europa è imperniato su
una rete di rapporti con gruppi
collegati da tempo con « The
Other Israel » e che ne condividono gli scopi, oltre a organizzazioni pacifiste in generale. Con
l’Olanda Keller ha legami personali, qui ha conosciuto sei anni
fa la moglie. Beate Zilversmidt,
anche lei impegnata in « The
Other Israel » e nel movimento
per la pace in Israele, specialmente con le « donne in nero ».
E’ un personaggio che non gira
intorno ai problemi. Beate:
ebrea, andando a stare in Israele
ha mantenuto la cittadinanza
olandese, non avendo intenzione
di accettare la « legge del ritorno », secondo la quale ogni
ebreo del mondo può diventare
cittadino d’Israele. E’ protagonista di incidenti inusuali: a un
aeroporto israeliano una volta
ttn funzionario le chiese:
« Ebrea? » e lei, fulminante, rispo.se: «E’ una domanda che in
Olanda non si fa più dal 1945».
In Germania gli incontri sono
stati di vario tipo, da Bonn (con
ferenza stampa e incontro pubblico con esponenti della sinistra
del partito socialdemocratico), a
Colonia, poi a Oldenburg, nel
Nord, nella sede di un gruppo di
giovani — « Preferiscono non darsi una definizione precisa, li chiamerei un po’ anarchici; sono nonviolenti e non amano le autorità »
— che hanno occupato e trasformato una vecchia casermetta dei
pompieri, facendone un circolo.
In Germania gruppi del genere
sono numerosi. Infine altre due
cittadine, vicino a Norimberga,
in zona di basi americane: in
una c’è stato un incontro pubblico organizzato da un gruppo
ecumenico (luterani e cattolici),
nell’altra il contatto era con una
organizzazione che lavora con gli
obiettori di coscienza.
Felicia Langer
e i palestinesi
E parlando di Germania viene
fuori un altro personaggio, che
Keller conosce da anni e la cui
vicenda ha fatto rumore: Felicia
Langer. Nata in Polonia, Felicia
Langer è emigrata nel 1950 in
Israele dove ha lavorato per più
di vent’anni in difesa dei palestinesi arrestati dalle autorità militari. Con l’Intifada si è trovata
in una situazione tremenda, con
centinaia di processi tirati via
« come a una catena di montaggio »: quello che interessa ai giudici è liquidare gli accusati alla
svelta, confessione, condanna e
avanti il prossimo. La Langer si
è trovata nell’impossibilità di fatto di difendere gli assistiti (le
preteste di associazioni di avvocati, israeliani e palestinesi, non
si contano): le regole procedurali
praticamente non esistono, e un
avvocato che insista sulla legalità finisce col danneggiare gli
assistiti, che si vedono comminare pene ancora più pesanti. La
Langer ha finito, come altri, con
il gettare la spugna e ha abbandonato Israele. E’ stato un caso
clamoroso. Ora è in Germania, gira per tenere conferenze, con base all'Università di Tiibingen.
Il movimento
in Germania
Ultimo incontro in Germania,
a Berlino Est, con un gruppo del
Neues Forum. Impressioni generali? « In Germania il movimento
per la pace è molto diffuso, se ne
ITALIA
Reati in aumento
Ogni giorno in Italia avvengono tre omicidi e mezzo, oltre
tre stupri, 3.745 furti, 128 rapine: all’incirca ogni due giorni e
mezzo viene compiuto un sequestro a scopo di rapina o di
estorsione. Quotidianamente, inoltre, vengono staccati 835 assegni a vuoto. Questo bilancio
emerge dal tradizionale rapporto curato dall’ISTAT, che nella
radiografìa annuale del nostro
paese presenta le statistiche sui
delitti e sulle denunce nel 1989.
Il dato più allarmante riguarda i delitti commessi da ignoti:
1 milione e 569.000 su un totale di due milioni e 274.000 reati.
Gli omicidi sono in costante
aumento: si è passati dai 954
del 1988 ai 1.295 dello scorso
anno. Di questi ultimi, 924 sono di autore ignoto. In crescita, seppure minima, i furti: un
milione e 343.000 nell’88 contro
un milione e 366.000 nelT89, di
cui la quasi totalità commessi
da ignoti. Salgono anche le rapine: 39.534 nell’88, 46.830 lo
scorso anno (di cui 42.612 impunite). Anche gli stupri sono
aumentati: dai 1.228 delT88 ai
1.296 dell’89. Gli autori di circa un terzo degli stupri eseguiti lo scorso anno (483) non hanno un volto e un nome. I sequestri di persona sono saliti
dai 127 di due anni fa ai 162
dell’89.
Etica, politica
e religione
vedono i segni ovunque, scritte,
manifesti anche alle finestre delle case, molti su monumenti. Le
autorità non li tolgono: segno —
dice Keller — che non vedono la
cosa con ostilità; c’è una grandissima varietà di gruppi, molti
’verdi’ con i quali " The Other
Israel ” ha i più intensi rapporti,
insieme a organizzazioni ebraiche
e specificatamente pacifiste ».
1} viaggio in Europa è stato
all’insegna di eventi drammatici.
Partito all’inizio della guerra,
Keller aveva robiettivo principale di « aiutare il movimento europeo che si batte contro la guerra,
specialmente perché il nome di
Israele è molto utilizzato nella
propaganda a favore della guerra. Volevo parlare come israeliano che sotto la minaccia dei missili iracheni ci viveva, per fare
sentire da Israele una voce contraria alla guerra », poi la guerra
è finita « e ora il mio compito è
diverso, si tratta di affrontare la
nuova situazione in Medio Oriente, di come questa situazione possa portare a una pace tra israeliani e palestinesi ».
Centrale quindi, ovunque possibile, rincontro oon rappresentanti deirOlp, per Keller non ci
sono dubbi o alternative: se
Israele vuole la pace, la può trovare solo parlando direttamente
con i palestinesi, e finché i palestinesi sostengono l’Olp è con
TOlp che si deve parlare.
La diplomazia
messa da parte
Per la Francia (c’è una domanda specifica di Jean-Jacques
Peyronel) Keller ha parole dure:
Mitterrand ha iniziato giocando
la carta della diplomazia, ma
quando questa carta poteva aprir® ^spiraglio (il riferimento
è all’iniziativa di Gorbaciov a febbraio, nei tragici giorni dell’inizio
delle operazioni di terra) la Francia si è tirata indietro. E le armi
all’Iraq? « Il commercio delle armi è una cosa disgustosa; serve
a uccidere gente ovunque, a opprimerla » è la risposta. «Ma il
governo di Israele non ha il diritto di parlare. Buona parte
della nostra economia è basata
sulla produzione, sul commercio
di armi ».
all’analisi del « bombiirdcim€nto dei cei'velli » in Questi mesi, alle prospettive del movirnento per la pace, alla necessità di intensificare contatti, di
« voltare pagina » quanto a metodi, iniziative, continuità; ci sono « glanures » di vita israeliana,
una realtà di fatto poco conosciuta (i ricordi del carcere militare
dove Keller è stato ospite...), ma
il tempo preme. Adam Keller,
trentaseienne tondo, dal volto
roseo, capelli chiari su una grande fronte stempiata, abbigliamento « casual », anzi di un rustico
campagnolo che di più non si
può, e piccoli occhi vivacissimi
che non perdono nulla, e dicono
molto, si alza per andare a incontrare un altro palestinese. Ha
cominciato anni fa, con il primo
incontro di grupno in Romania
(la reazione in Israele fu una
legge che proibiva ogni contatto
del genere). Ieri c’è stato un dialogo pubblico a Roma, oggi ce
nè uno a Torino, la prossima
settimana un altro in Inghilterra.
E un buon viandante di pace, il
nostro amico e fratello.
E non ha per niente l’aria di
uno che molli facilmente.
Sandro Sarti
« I grandi delitti politico-mafiosi e la loro assoluta impunità
non sono una piaga dolorosa ma
lo specchio più vero e preoccupante della crisi della democrazia
italiana. Bisogna far politica in
modo radicalmente nuovo ». Il
tentativo di aprire una nuova
strada per mobilitare le energie
positive esistenti è arrivato anche a Riesi con Leoluca Orlando.
Nel corso di una vivace tavola
rotonda, svoltasi mercoledì 13
febbraio, con la partecipazione
del deputato Franco Roccella, del
pastore Giuseppe Platone, dell’ex
sindaco di Palermo Orlando e di
un pubblico attento si è affrontato il tema: « Etica, politica, religione ».
Per il laico e radicale Roccella
la religione nel nostro paese non
può limitarsi soltanto all’integralismo papale che parla di pace
ma in realtà si regge su una
struttura antidemocratica. « Bisogna riscoprire — afferma Roccella — il fondamento delle moderne democrazie che divide la
sfera del religioso dal politico ».
Platone ha ricordato come i
gravi problemi sociali del Sud,
considerato sempre più come
’’area infetta” non si risolvono
con il ’’leghismo” o con interventi straordinari dello stato; occorre piuttosto saper costruire ogni
giorno rapporti di verità, di giustizia e di partecipazione autentica alla vita democratica. « I credenti hanno il compito di vii>ere
con fatti e parole il nuovo di Dio
contro le vecchie regole del gioco politico ».
Orlando ha illustrato, con la
passione che tutti gli riconoscono, il senso della sua ’’Rete” che
vuole collegare i milioni di persone che non si riconoscono nell’attuale partitocrazia ma cercano un diverso modo di organizzare la convivenza civile. « C’è
tanta gente — dice Orlando — che
vuole vivere in un diverso sistema democratico racchiudente un
polo progressista ed un polo moderato ». Ex democristiano ( « Ho
qualche problema a chiamare cristiano un partito che non si pente e non si confessa »), uno degli
uomini politici più popolari d’Italia (ha raccolto 70 mila preferenze) Orlando ha espresso un’acuta
capacità di analisi della crisi in
cui viviamo. La gratuità dell’impegno politico, l’onestà, il rifiuto
di logiche partitocratiche sono i
valori del nuovo movimento di
Orlando.
Il discorso è convincente e per
molti diventa una speranza di
cambiamento: un cambiamento
difficile perché la maggioranza
non riesce a concepire la politica
fuori dalle logiche di partito. Si
può cambiare sapendo ohe è un
rischio e non solo quello di essere schiacciati dalla violenza dei
vari potentati. C’è il rischio più
grave di sconvolgere equilibri politici che torneranno a ricomporsi come prima, magari cambiando soltanto il nome. Speriamo che non sia così.
M. D. B.
PADOVA
Di fronte alla guerra:
rinnovo dell’obiezione
Di fronte alla violenza della guerra nel Golfo, alcuni obiettori
di coscienza di Padova hanno compiuto un atto dimostrativo e di
testimonianza, ribadendo la loro obiezione alla soluzione armata dei
conflitti. Pubblichiamo come esempio la dichiarazione compilata da
uno di loro.
Al Distretto militare di Padova.
Al sindaco di Padova.
Io sottoscritto Alberto Bragaglia, nato a Padova il 6 febbraio
1962 e residente a Padova, iscritto nelle liste di leva del Comune di Padova, distretto militare
di Padova, già obiettore di coscienza al servizio militare (obiezione regolarmente riconosciuta il 30.3.1987; servizio civile
prestato dal 26.10.1987 al
25.6.1989),
intendo rinnovare la mia obiezione di coscienza all’eventuale
« richiamo » al servizio militare
e, a questo proposito, mi dichiaro sin d’ora indisponibile a qualsiasi collaborazione con le autorità militari. Ritengo infatti che
la partecipazione italiana alla
preparazione e allo svolgimento
delle iniziative militari nel Golfo Persico sia stato un atto di
violazione della Costituzione e
un contributo alla violazione
della Carta delle Nazioni Unite.
Inoltre ho già avuto modo di
dichiararmi, nella mia prima domanda per il riconoscimento dell’obiezione, non solo contrario
all’uso personale delle armi in
ogni circostanza, ma ancor più
al loro uso organizzato collettivo in qualsiasi conflitto civile o
internazionale, con qualsiasi pretesto e per qualsiasi fine. Il rifiuto di qualsiasi forma di difesa armata nasce dalla convinzione che la violenza in quanto
tale è sempre e comunque un
male e che opporsi ad essa con
altrettanta violenza non annulla
il male, anzi lo aumenta.
Sono convinto che una difesa
reale della giustizia, della libertà, della democrazia non si pos
sa concretizzare se non attraverso un serio e profondo impegno di elaborazione e attuazione di metodi non violenti per
la convivenza tra i singoli e le
nazioni. Perciò cerco di adoperarmi per il superamento di tutti gli eserciti e la smilitarizzazione progressiva di ogni nazione, in modo da contrastare gli
abusi che colpiscono le persone
o il territorio in cui vivono, per
aiutare a costruire rapporti umani, sociali ed internazionali di
tolleranza, di rispetto, di pace
e di giustizia.
In questo senso intendo dare il mio appoggio anche all’iniziativa, proposta da alcuni in
questi giorni, ohe chiede di internazionalizzare lo status di
obiettore di coscienza al servizio militare, al fine di costituire una forza permanente di interposizione non armata e non
violenta sotto la diretta autorità deirONU, debitamente democratizzata, per la soluzione pacifica delle controversie.
Mi rendo conto che rinnovare
la mia obiezione di coscienza ad
un eventuale « richiamo » delle
autorità militari può configurare
un atto di disobbedienza civile,
con conseguenze anche serie.
Tuttavia è forte la mia speranza che un simile gesto, unito a
quello di molti altri, possa contribuire a fermare la guerra e
a ricercare l’unica soluzione che
mi sembra razionalmente possibile per risolvere il conflitto: la
pace nella giustizia.
In fede.
Alberto Bragaglia
Padova, 23 febbraio 1991