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Anno 120 - n. 27
6 lugrlio 1984
L. 500
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delle v»llì vflldesi
La luminosa e limpida figura
di Sandro Pertini, tanto amata
dalla pande maggioranza degli
italiani, rischia suo malgrado di
essere coinvolta in un’operazione molto discutibile.
Quella che fino a poco tempo
fa era solo una battuta, comincia ad essere una concreta proposta politica, sollevata da più
parti ; « Confermiamo Pertini alla I^esidenza per un altro settennio ». La cosa pare assurda
sul piano civile e politico. Civile,
perché tutti i cittadini hanno il
diritto di andare in pensione a
65 anni e non si vede perché debbano essere esclusi i politici;
nella fattispecie poi, una rielezione porterebbe a concludere U
mandato, nel mlgUore dei casi,
ad una età vicino ai cento, certo troppo avanzata, considerando anche l’efficienza richiesta per
l’espletamento di certe funzioni.
Politico, perché una democrazia seria- deve prevedere sistematicamente il ricambio, non
solo per evitare pericolose incrostazioni di potere (che in questo caso non esistono), ma soprattutto per una educazione
collettiva ad un certo costume.
Certo, una riconferma faciliterebbe a breve termine la soluzione di un difficile problema
e sarebbe anche espressione di
affetto, venerazione e stima per
chi tanto li meritST
Il rovescio della medaglia è
rappresentato dalla accettazione
passiva di un tradizionale vizio
di immaturità dèTn5stroT*ìreSEr
che ilei momenti diffienr-cèrca
protezione sotto le ali paterne
di im « uomo della provvidenza» (anche se questa volta di
segno positivo).
QuaU sono le qualità che l’opinione pubbUca riconosce al nostro Presidente? Soprattutto una
calda « umanità », una speculare onestà (anche intellettuale),
un grande rigore morale. Qualità, tutto sommato, che non dovrebbero costituire la prerogativa del « genio », ma essere abbastanza diffuse tra i cittadini. Diciamo aUora che se in un Paese
di 57 milioni di abitanti abbiamo difficoltà a trovare un altro
uomo con simili qualità, possiamo mettere in Uquidazione lo
Stato e tornare all’antica vocazione di « giardino d’Europa ». "
Queste considerazioni, fin qui
materia per politologi, hanno anche un risvolto che ci riguarda
da vicino, dandoci l’opportunità
di testimoniare su alcuni aspetti
di etica e antropologia cristiana.
Non esistono «uomini della
provvidenza» (tutti semmai, in
un certo senso, lo sono ). La ricerca del capo carismatico che
risolve i problemi in vece nostra
non dev’essere un alibi per scaricare su altri dei doveri che
competono a tutti noi.
Il potere di « Cesare », nei lìmiti e nella imperfezione che gli
sono propri, appartiene a tutti
gli uomini e la partecipazione
diretta di ognuno è la traduzione concreta, storica, della vocazione all’amore e al servizio verso gli altri. La «questione morale », della quale tanto si parla, non deve esaurirsi in una sterile esercitazione retorica, ma
costituire un impegno concreto
e fattivo soprattutto per i cristianL
Aurelio Penna
FERMARE L’INUMANA DEPORTAZIONE DEI NERI NEI BANTUSTANS
Diritti umani o regole di mercato?
Le Chiese olandesi sollecitano una presa di posizione ecumenica sul problema dell’apartheid
Le ragioni economiche e strategiche non fanno dimenticare la condizione di 23 milioni di neri
« Il Consiglio delle Chiese in
Olanda è sinceramente preoccupato degli sviluppi della situazione in Sud Africa », con queste parole inizia una lettera che
il Consiglio (Federazione) delle
Chiese protestanti olandesi ha
inviato alle altre Federazioni delle Chiese europee, aderenti alla
Commissione Ecumenica per
Chiesa e Società in Europa, per
sollecitare una loro presa di posizione comune.
Infatti nel corso di questi ultimi anni è molto diminuita l’attenzione delle chiese e dei vari
governi europei alla situazione _
della minoranza nera nella Re- "
pubblica Suaatricàna. Stando ai '
giornali infatti la situazione per
gli africani neri sarebbe in
via di miglioramento: sta per
entrare in funzione una nuova costituzione che prevede la
creazione di tre Camere separate per i bianchi, per gli indiani,
per i meticci. Niente è previsto
per i 23 milioni di neri (il 75%
della popolazione), per I quan “è
pronta una sorta di « indipendenza » nei 10 bantustani (zone
poverissime in cui dovrebbero
vivere gli africani divisi nelle loro tribù). Al termine di questo
processo « non ci sarà alcun negro con cittadinanza sudafricana » come ha dicharato il governo del Sudafrica e così non sarà
necessario alcun riconoscimento
di diritti politici alla maggioranza nera del paese.
Si sono inoltre stabiliti trattati con i paesi confinanti dell'Angola e del Mozambico e si
accetta di negoziare il problema
della indipendenza della Namibia.
Questa apparente modifica del
sistema sudafricano ha già prodotto risultati politici importanti in campo internazionale:
si è rotto l’isolamento dato che
vari governi hanno ricevuto « in
forma non ufficiale » il premier
Sudafricano Pieter Willelm Boiba. Nel mese di giugno il primo
ministro sudafricano ha fatto infatti il giro delle capitali euro
pee ed è stato ricevuto dalla Signora Tatcher, da Mario Soares
in Portogallo, dal governo elvetico, da quello belga, dal cancelliere tedesco Kohl, dal cancelliere austriaco Sinowitz, da Craxi
ed anche da papa Wojtyla. L’unico capo di stato che non ha
ricevuto Botha è stato il francese Mitterand, dimostrando una
certa coerenza tra affermazioni
di principio e comportamento.
La politica che ha permesso
di ammorbidire l’atteggiamento
politico dei paesi europei verso
il Sudafrica è giudicato severamente dal Consiglio delle Chiese
olandesi: « Le esperienze dei nostri fratelli neri in Sudafrica dimostrano che il governo persegue una politica perversa: divide et impera. La nuova cosìtfìXzione, più che la vecchia politica dell'apartheid, ha come obiettivo di dividere gli indiani e i
meticci dalla popolazione nera.
La inumana deportazione dei neri verso i bantustans è un’ulteriore prova di questa divisione.
DALLA PREDICAZIONE PER LA CONFERENZA DEL 2° DISTRETTO
Gesù, la nostra via al Padre
« Io sono la via : io sono la verità e la vita. Solo per mezzo di
me si va al Padre» (Giov. 14: 6).
Con la citazione di questa parola di Gesù inizia il primo articolo della Confessione di Barmen
del 1934.
La Chiesa Confessante Tedesca
riscopriva la sua via, verità e vita nell’unico Signore, Gesù Cristo
Figlio di Dio.
Sono trascorsi 50 anni da quel
torrnentato maggio del 1934, moltissimi fatti sono accaduti, ma
rimane ancora di inquietante attualità quella scelta di fede, auell’annuncio, questa realtà di Dio
che si rivela solo in Cristo e che
deve essere proclamato di fronte a qualsiasi potere. I cristiani
nei confronti di queste parole di
Gesù sono sempre posti di fronte
ad un appello, e la Chiesa del Signore si ritrova nella rinnovata
necessità di confessare la propria
fede con chiarezza e senza cedimenti.
Questo versetto fa parte del
discorso di commiato di Gesù dai
suoi discepoli, ma la potenza e
la grandezza delle sue parole abbracciano la realtà di ogni credente in ogni tempo.
Noi abbiamo serie difficoltà a
capire il messaggio evangelico
per il nostro tempo; ci confrontiamo con i problemi quotidiani,
con le nostre crisi e speranze e
restiamo perplessi. Nel cammino
della nostra esistenza, di fronte
alle scelte fondamentali, che ci
qualificano agli occhi dell’umanità, abbiamo un grande timore e
tremore: non possediamo la verità e non siamo la verità. Così,
non possiamo che essere critici
verso chi si presenta quale depo
sitario di verità, offrendoci facili
e accattivanti risposte.
Questo atteggiamento critico
può essere il segno di una tensione verso Colui che è realmente
la via, la verità e la vita.
La nostra fede ed il nostro essere Chiesa sono il risultato di
un’azione di Dio verso di noi.
Questa azione è la persona di
Gesù Cristo. Si tratta del fatto
unico della rivelazione di Dio attraverso la sua Parola diventata
persona in Cristo.
Gesù si offre quale unica via
per giungere al Padre, manifestando là Verità di Dio che è la
sua misericordia e additandoci
l’unica vita nuova: il suo Regno
di amore e giustizia.
Gesù risponde ai nostri interrogativi non chiedendo, ma offrendo se stesso. Non siamo di
fronte ad un Dio che esige la nostra vita in cambio di qualche
briciola di salvezza o religiosa
consolazione, ma entriamo in relazione con un Signore misericordioso che si accosta a noi, soccorrendoci e rispondendo affermativamente ai nostri dùbbi e
angosce.
Gesù è la vera ed unica via attraverso la quale Dio viene a noi.
La sua verità è proprio questa
sua divina maestà diventata persona in Gesù di Nazareth. Possiamo parlare di Dio, credere in
Lui, perché Gesù il Cristo ci è
stato donato quale unico mediatore tra noi e il Padre. Conosciamo Dio perché abbiamo conosciuto Gesù.
I nostri discorsi non possono
più essere un cianciare sull’al di
là o un’astratta speculazione, perché Gesù Cristo ha abitato un
tempo tra noi, ha messo le tende tra noi ed è presente ancora
tra noi come Spiritq Santo in
questo difficile tempo' della Chiesa, che è tempo di attesa dell’avvento del Regno. Così Cristo è
l’unico fondamento della Chiesa
ed anche l’unico vero capo, senza
vicari o sostituti vari.
La rivelazione di Dio non è un
fatto religioso circoscritto in un
ristretto ambito sacrale, ma è
dono di nuova umanità, è dono
dell’agàpe a caro prezzo nella
tempesta della storia umana.
Senza la rivelazione di Dio nella Bibbia, ogni nostro riferimento di fede sarebbe un vago atteggiamento religioso, un andare
per cento vie diverse verso una
meta inesistente. Ma sarebbe porre noi stessi o altre creature sul
piano di un Dio frutto della vroiezione dei nostri desideri; un
dio di comodo, un dio fantoccio.
Ecco l’importanza dell'identificazione di Gesù con la via. Soltanto attraverso questa via —
Gesù Cristo — percorriamo il
cammino della libertà e della vita, verso il suo Regno, diverso
dalle gloriose miserie di un’umanità vecchia e crudele, (anche se
formalmente va tanto di moda il
giovanilismo).
Che cosa significa comprendere
che Gesù è la via? Innanzi tutto
che bisogna lasciarsi condurre da
Lui nella comunione intima con
la sua persona, sapendo che tale comunione inizia nel nostro
tempo e sarà totalmente chiara
e gloriosa nel suo Regno di cui
Antonio Adamo
(continua a pag. 2)
Il Consiglio africano delle Chiese ha dimostrato tutto questo.
Il trattato col Mozambico ha il
solo scopo di indebolire l’African Nazional Congress (il movimento di liberazione del popolo
nero, n.d.r.)».
Mentre questo succede in SudAfrica, si intensificano gli scambi commerciali coi paesi della
CEE. Le nazioni europee importano oro, diamanti, titanio, vanadio, antimonio, cromo, manganese, tutti minerali indispensabili per l’industria europea, e
prodotti agricoli. La CEE acquista il 50% dell’export sudafricano. Ufficialmente i paesi della
CEE condaimano l’apartheid ma
non disdegnano accordi commerciali col governo presieduto
da Botha. In una recente intervista Luciano Cao, il funzionario della CEE responsabile dei
rapporti col Sudafrica, ha spiegato questa contraddizione. Innanzitutto — ha detto — il governo e l’economia sudafricana
sono dominati dai bianchi e con
essi abbiamo legami culturali.
Poi bisogna assicShdaré' Í0 " SViluppo economico di quel paese
per non essere tagliati fuori da
un importante mercato di materie prime, ed infine per ragioni
strategiche: i porti del Sudafrica sono importanti per le riparazioni alle navi della Nato.
Proprio per questo ñon possiamo star fuori dal problema.
— continua la lettera del Consiglio delle Chiese olandesi — Gli
interessi economici e l’importanza strategica non possono far
passare sotto silenzio la politica razzista dell’apartheid » e per
questo il Consiglio delle Chiese
chiede una presa di posizione comune nei confronti della CEE e
del Parlamento Europeo. Una
posizione che tenga presente « le
esperienze delle chiese nere in
Sudafrica ». . '
Di questo la commissione ecumenica discuterà, sentite le varie federazioni, nella riunione del
prossimo gennaio ’85.
Le chiese olandesi continuano .
a stupire gli osservatori per le |
loro prese di posizione: riescono
ad imporre la moratoria circa '
l’installazione dei missili americani nel loro paese e si impegnano per l’autodeterminazione dei
popoli e sfidano l’opinione dei j
governi in materia di politica internazionale.
Dicono di applicare alle questioni dell’etica politica i criteri del Consiglio Ecumenico delle Chiese: « per una società più
giusta, partecipata e vivibile ».
Giorgio Cardio)
SOMMARIO
□ Conferenza del 2° distretto, p. 2
O La tribolazione mancante, p. 3
□ Servizio è femminile?
p, 4
□ I profughi, dramma
del XX secolo, p. 5
□ Incoerenze di ieri, impegno di oggi, p. 8
2
2 vita delle chiese
6 luglio 1984
CONFERENZA DEL 2<> DISTRETTO E COLLOQUIO PASTORALE - TORINO E RIVOLI, 22-24 GIUGNO 1984
“Sinodo regionale” difficile “Professionalità”
Il tempo limitato e la scarsità di informazione preventiva rendono dif- P3StOr3l6
ficoltoso il lavoro dell’assemblea - Una proposta di lavoro per gruppi "
Centododici persone, pastori e
deputati delle chiese locali, hanno dato vita alla Conferenza del
secondo Distretto, che ha avuto
luogo a Torino, sabato 23 e domenica 24 giugno.
In dieci ore di lavoro effettivo
dalle 14 di sabato alle 16 di domenica) si è cercato di ascoltare,
dj riflettere, di discutere e di decidere sul lavoro di un anno
delle chiese e delle opere valdesi
e metodiste dellTtalia settentrionale, prendendo anche in considerazione i progetti per il futuro
ed i problemi che rimangono
aperti.
In questo senso, un valido metodo di lavoro, potrebbe essere
la discussione in gruppi separati
che lavorano su un solo argomento e che riferiscono, in un secondo momento, aH’assemblea plenaria, presentando, magari, degli
ordini del giorno da discutere ed
approvare, evitando così la dispersione e l’astrattezza che troppo spesso ostacolano il momento delle decisioni concrete.
Quest’anno i principali problemi ’’sul tappeto” sono stati tre.
Tre temi
Considerando il fatto che molte persone hanno preso conoscenza di molti degli argomenti
da trattare solo all’inizio della
Conferenza, risulta evidente la
grossa difficoltà che spesso si incontra in questi nostri ’’sinodi
regionali”, di giungere a delle decisioni non affrettate, ma maturate durante un sufficiente dibattito.
E' chiaro ohe la Conferenza del
secondo distretto non può svolgere i propri lavori durante due
fine-settimana come avviene alle
Valli e bisognerà dunque trovare
un modo diverso per affrontare i
principali temi da trattare.
Il primo è stato quello dello
"straniero dentro le tue porte”,
che sta diventando particolarmente urgente soprattutto nelle
grandi città. Di fronte ad una
realtà problematica di 800.000 immigrati clandestini in Italia, qual
è la posizione che le nostre chiese devono adottare? Ogni chiesa
continuerà a rispondere saltuariamente a delle situazioni individuali particolarmente problematiche oppure, in collaborazione con il servizio migranti della
FCEI, affronteremo di petto questo problema per trovare delle
nuove strade e per individuare i
fronti su cui lavorare, cercando
La nostra via al Padre
(segue da pag. 1)
siamo fatti eredi. Oggi questa via
può essere irta di di-fficoltà e contraddizioni: un travaglio doloroso, ma aperto al futuro gioioso
della vera vita promessa. Nel
Vangelo di Matteo questa realtà
di ricerca e di resistenza è descritta con parole chiare: "Entrate per la porta piccola! Perché
grande è la porta e larga la strada che conduce alla morte, e sono
molti quelli che ci entrano. Al
contrario, piccola è la porta e
stretta è la via che conduce alla
Vita, e sono pochi quelli che la
trovano» (Matteo 1: 14). Chi desidera vivere senza difficoltà, credere e testimoniare senza dubbi
e sofferenze cerca di entrare per
la porta grande e la strada larga,
e così predica un messaggio che
incontra il consenso dell’uomo,
senza il salto della crisi e della
conversione, assecondando le inclinazioni religiose della maggioranza degli uomini.
Ma ciò significa affermare una
religione che considera la croce
di Cristo un incidente di percorso da dimenticare. '
Invece è proprio la via della
croce che ci è indicata, la porta
piccola e la strada stretta sono
l’immagine dell’Evangelo che ci
pone in condizione di doverci
spendere per il Signore e per il
prossimo, anche a costo di scelte
laceranti. Questa è la via di cui
parla Gesù.
E’ la via in -cui ogni parola e
azione sono sofferte e pensate, e
in cui tutto ha un alto costo.
Le nostre piccole Chiese sembrano spesso sul punto di soccombere; ci sentiamo profondamente inadeguati all'immensa vastità del campo della testimonianza. Ma nella prova occorre
saper udire la voce del Signore
che ci è vicmo, ci consola e ci dà
forza. Occorre ribadire con fermezza che esiste una sola strada
che porta al Padre, alla salvezza: Gesù Cristo. Dobbiamo ricordarlo a noi stessi ed ai fratelli
cattolici, affinché anche l’ecumenismo sia fondato su Cristo senza le inquietanti ambiguità del risorgente marianesimo e le obso
lete presunzioni di infallibilità
ecclesiastica. Non abbiamo altra
forza ed altre speranze oltre Gesù Cristo crocifisso e risorto; non
abbiamo altri mezzi per esprimere questa verità se non l’amore
fraterno e disinteressato.
Nel corso di questi mesi abbiamo assistito a fatti gravi che ci
hanno turbato: la corsa al riarmo, la tragica questione dei missili in Europa, la strage per fame di milioni di creature, il disprezzo per i diritti della persona in troppi paesi del mondo. Ma
in questo quadro così fosco della realtà presente abbiamo ricevuto da Dio un grande dono: abbiamo imparato ad indignarci
con crescente senso di responsabilità. Questo è un segno di vitalità evangelica. Non siamo dei
sopravvissuti e. non lo saremo
fino a quando sapremo indignarci per l'odio, la violenza e l’ingiustizia.
Io sono certo che il Signore
non ci abbandonerà su auesta
via della fraternità, perché sono
convinto che l'amore espresso in
tutte le circostanze umane è un
segno della benedizione di Dio.
Allora saremo una presenza significativa se persevereremo sulla strada indicataci da Gesù, ricercando nello studio della Parola di Dio il senso della nostra vita e della vita del mondo.
I prossimi anni ci riserveranno
altre difficoltà, ed è indispensabile essere pronti ed affrontare il
futuro con coraggio e speranza.
Noi sappiamo che l’amore di
Dio in Cristo sarà la vera notenza vincente, contro ogni arroganza e violenza distruttiva. Il coraggio che non abbiamo ci sarà donato, e potremo essere messaggeri di un mondo nuovo che già
oggi reca i segni di una pace definitiva e felice che sta davanti a
noi, perché Cristo ci ha preceduti e ci invita a seguirlo.
La norma della nostra esistenza teologica di oggi, rimane anche per noi come lo fu per i fratelli della Chiesa Confessante,
questa dolce e forte verità evangelica: "Io sono la via, la verità
e la vita”.
Antonio Adamo
di adempiere il mandato di Gesù
’’fui straniero e mi accoglieste”?
Secondo momento importante,
quello dedicato alla discussione
del cosiddetto ’’Progetto Torino”,
nato in sede di C.D. lo scorso anno sulla falsa riga del "Progetto
Lombardia” di qualche anno fa,
e ohe si è concretizzato soltanto
dopo il convegno su "Condizione
giovanile e predicazione evangelica” tenutosi a Milano alla fine
del marzo scorso. Questo "Progetto Torino”, che dovrebbe coinvolgere tutta l’area del IV Circuito e che sarà portato avanti in
collaborazione con i battisti, partirà dalTautunno prossimo. Una
giunta di 3-5 persone, sostenuta,
però, dall’ intera chiesa locale,
svolgerà un grosso lavoro di inchiesta, di aggregazione e di collegamento fra i gruppi giovanili
— quelli già esistenti e quelli che
nasceranno — e cercherà di contattare i numerosissiimi giovani
che non hanno più nessun aggancio con le chiese (solo a Torino e
cintura dovrebbero essere circa
duecento gli evangelici fra i 18 e
i 30 anni).
Fra un anno avremo già un
momento di verifica rispetto a
questo lavoro.
Il terzo grosso argomento è
stato quello del progetto dei dipartimenti diaconali che; se si
concretizzerà, risponderà, anche
in questo distretto, a dei grossi
problemi di coordinamento tra
le varie opere di cui anche quest’anno si sono approvate le varie
relazioni morali e finanziarie, dopo una discussione troppo sommaria e confusa.
Elezioni
E’ stato chiesto, infine, alla Tavola di rimandare al Sinodo ’85 la
proposta avanzata dalla Comunità Cristiana Libera di Bologna,
di aderire all’accordo di base
stretto fra le nostre chiese e le
Chiese Libere della Campania
nel 1980. Questo, per poter rendersi conto in modo più approfondito della realtà e delle motivazioni che stanno alla base
della proposta di auesta Comunità Libera, per evitare di fare
da "ombrello protettore” a chiese costituite da pochissimi anni
e con le quali, ci hanno detto i
deputati della Chiesa di Bologna,
non esiste al momento alcun contatto.
Cos’è la professionalità? «La
capacità di svolgere il proprio
lavoro a un buon livello di competenza e di efficienza » precisa
un dizionario. Per chi fa il mestiere di pastore vale la stessa
regola? « La nostra capacità viene da Dio » puntualizza Paolo in
II Cor. 3: 6. Fra questi due poli
— capacità come preparazione
e capacità come aiuto da Dio —
si è mossa una trentina di pastori in una conversazione per
complessive otto ore prima della Conferenza annuale del II distretto di fine giugno a Torino.
Thomas Soggin aveva suggerito il tema (il fatto oggettivo
della professione di pastore, indipendentemente dai suoi gusti
o dalle sue divergenze con la
comunità), con un questionario
su come i pastori effettuano il
loro lavoro nelle chiese. Non si
chiedeva che cosa ogni pastore
vorrebbe o riterrebbe indispensabile fare in una chiesa. Si chiedeva invece che cosa egli si trova a dover fare in concreto, a
prescindere dai suoi desideri, e
come vive il suo lavoro, in che
modo lo svolge, con quali strumenti lo prepara, e qual è la
maggiore difficoltà che gli impedisce una corretta professionalità intesa come competenza ed
efficienza (o efficacia).
Stando alle risposte, il dato
più frequente del lavoro pastorale sembra essere la solitudine
in cui si svolge. Solo alle Valli
ci sarebbero regolari riunioni periodiche fra colleghi per preparare cicli di predicazioni, fare
giri d’orizzonte collettivi, fiutare l’aria che tira, il momento
che si attraversa. L’isolamento
nel lavoro pastorale non veicola
ma al contrario ostacola la circolazione e il confronto delle
idee, magari l’esortazione reciproca : chi fa la cura d’anime ai
pastori? Si aspetta che egli la
faccia alla comunità, ma la comunità non la fa a lui, anzi si
estrania sempre più dal suo lavoro, aumentando la sua frustra
zione.
Dopo l’invito, ormai troppo
consueto, alle chiese locali a rivedere i propri impegni finanziari per il 1985 nei confronti della
Tavola, si è passati alle varie nomine.
Dal momento ohe il pastore
Paolo Sbaffi, per ragioni di salute, non ha accettato la candidatura, è stato eletto nuovo presidente della C.E.D. il nastore
Gianni Bogo; Umberto Beltrami,
vice-presidente; Roberta Rostan
Peyrot, segretaria; Franca Bacierà e Bruno Mathieu, membri.
Il deputato del di.stretto al Sinodo ’85 sarà Agostino Kodima
Ntumba, sostituta Maria Pia
Guerrini Sbaffi. La Commissione d’Esame alla prossima C.D.
sarà costituita da Alfredo Berlendis e Pina Garufi, sostituti:
Ennio del Priore e Cinzia Vitali
Carugati. La sede della C.D. 1985
sarà Milano.
Non retorico è stato il ringraziamento di tutti all’Istituto Filadelfia di Rivoli e al p-ruppo di
servizio della Chiesa Valdese di
Torino, per l’organizzazione eccellente e per la disponibilità che
ha reso possibile il nostro incontro.
sua opera. Il senso primo e ultimo di ogni attività nella chiesa è la centralità dell’evangelizzazione, che non sempre viene
soddisfatta per un cumulo di
motivi: non c’è tempo, non si è
d’accordo sui metodi, le comunità la trascurano, le strutture
stesse della chiesa-istituzione la
frenano ecc.
Non così era per Paolo, che
per essa e in nome di essa si assoggettava liberamente a tutti.
Ci sono elementi del ministerio
che vanno esercitati anche fuori
della spontaneità ; portare la
gente a Cristo (a Cristo, non
alle chiese) conta più della stessa disponibilità individuale.
« Farsi tutto a tutti » non è essere camaleontici o banderuole,
ma rispettare i contenuti dell’Evangelo adattando però le forme
della sua presentazione (linguaggio, luoghi, occasioni). Farsi tutto a tutti è nella sua essenza
crescere nell’agàpe, subordinando la propria identità al compito specifico per il quale il pastore lavora: far conoscere TEvangelo. Farsi tutto a tutti non
è perdere la faccia, ma perdere
la propria vita nel senso di Marco 9: 35, cioè smetterla con la
ricerca ossessiva della propria
soggettività, che è poi individualismo. La professionalità del pastore nasce con Tagàpe e finisce
con la disciplina: nel lavoro,
nella preghiera, nello studio. Il
pastore, questa specie non ben
definibile di libero professionista, deve razionalizzare il suo
tempo e la sua attività come se
a organizzarsi non fosse egli
stesso ma qualcuno che gli prepara il mansionario (come accade a milioni di comuni mortali).
Tra un anno un nuovo convegno discuterà probabilmente lo
spinoso e controverso tema delle
visite, mentre prima ci sarà a
S. Fedele in febbraio un incontro specialistico su Chiesa e
Israele. Renzo Turinetto
Gianni Genre
Ferma restando l’utilità dell’interscambio fra colleghi, il pastore o predicatore deve aver
ben chiaro lo scopo e il metodo
della sua occupazione. Lo scopo
è di mobilitare la comunità rifondandola costantemente sull’Evangelo (certo non sul pastore né su se stessa) in stretta collaborazione con la comunità medesima. Tutti diaconi per costruire il corpo di Cristo (Efes.
4: 12) liberandoci dal nostro
passato per proiettarci insieme
nel servizio di Cristo al mondo.
Il pastore non è maestro di nessuno ma compartecipe con gli
altri nella crescita comune. Più
che dare risposte deve porre domande, affinché ognuno arrivi a
dare una risposta personale all’Evangelo. (Un politico ha detto che guidare è importante come insegnare ad altri a guidarsi).
Il metodo è la ricerca biblica
e la preghiera del discernimento. Studio assiduo («giorno e
notte». Salmo 1), e richiesta a
Dio di saper evitare l’alienazione della routine (un giorno uguale all’altro) e invece saper vedere le occasioni che ci mette davanti, compreso l’imprevisto, che
sempre più sembra diventare la
norma; riconoscere Gesù quando non ce lo aspettiamo, come i
due discepoli di Luca 24: 31. Nei
fatti, il pastore ha bisogno di tenacia, perseveranza, pazienza e,
perché no, «spalle larghe» (sopportazione).
Seconda materia, la professionalità di Paolo secondo le sue
stesse parole in I Cor. 9: 19-27.
Quale professionalità ha dunque
Paolo, come la esercita? Dio gli
ha fatto fiducia affidandogli una
amministrazione (v. 17). E’ la
piattaforma da cui si libra la
« L'Eco delle Valli Valdesi »: Rea.
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&
3
6 luglio 1984
prospettive bibliche ì
LA FEDE INTERROGA
La tribolazione mancante
Chiunque può indirizzare a questa rubrica una breve domanda su un
probiema di fede che gli sta a cuore, ricevendo una risposta da un
collaboratore del giornale. Domanda e risposta saranno anonime perché
risulti maggiormente II contenuto del dialogo della fede
/ cattolici affermano che le nostre sofferenze hanno un valore
redentivo aggiungendosi a quelle di Cristo e basano questa affermazione sul passo di Col. 1: 24
in cui Paolo dice di campiere ciò
che manca alle sofferenze di Cristo. Cosa dobbiamo pensarne?
Alla domanda del lettore l’ovvia e immediata reazione protestante è : Ma Paolo può aver
detto una cosa simile? E subito
si affollano alla nostra mente i
numerosissimi passi delle epistole che parlano della sufficienza della morte di Cristo per la
nostra salvezza. Anche senza andare a cercar lontano, nella stessa lettera ai Colossesi basta leggere 1: 13-14 (in Cristo abbiamo
il perdono e la redenzione ) ; 1 :
19-20 (in Cristo Dio ha riconciliato con sé tutte le cose, perché
Dio ha voluto essere pienamente
presente in lui); 1: 21-22 (per
mezzo della sua morte, quanti
erano lontani da Dio e nemici
sono stati riconciliati e possono
comparire davanti a Dio santi,
immacolati e irreprensibili).
Dunque l’epistola ai Colossesi
( anche nel caso che non fosse
di Paolo) non ha dubbi sulla
sufficienza della sofferenza re
dentrice di Gesù ! Si veda anche
Col. 2: 13.
Che cosa vuol dire dunque
Col. 1: 24? E’ chiaro che « soffrire per voi» (o «le mie sofferenze per voi ») si riferisce alla
frase che segue, cioè alle afflizioni o tribolazioni di cui parla la
seconda metà del versetto 24.
Dobbiamo subito osservare che
non si tratta affatto delle sofferenze redentrici. La parola greca tradotta con « afflizioni » o
«tribolazioni» (gr. thlipsis) non
è mai usata nel N.T. per la passione di Gesù. Il N.T. riserva
questo termine per le tribolazioni che provengono dal di fuori,
dalle circostanse avverse, e soprattutto per le tribolazioni connesse con l’avvento degli ultimi
tempi. Cfr. At. 14: 22 « dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni».
Anche l’apocalittica giudaica
parlava molto delle tribolazioni
finali che devono accadere prima dell’avvento del mondo nuovo di Dio (Dan. 12:1). Talvolta
queste tribolazioni venivano
chiamate « le doglie del messia »,
cioè le sofferenze che precedono
l’era messianica («tribolazioni
di Cristo », 0 meglio : « del Cristo », perché in greco c’è l’articolo, si potrebbe anche tradurre
« tribolazioni del messia » o « tribolazioni messianiche »). Il cosiddetto « discorso escatologico »
dei vangeli sinottici (Marco 13=
Matteo 24) parla anche di questo, dicendo in particolare che
quel periodo di tribolazioni sarà
abbreviato o limitato (da Dio)
per amore degli eletti (Me. 13:
19-20 e Mt. 24 : 21-22).
Il nostro passo biblico è basato sulla consapevolezza che il
traguardo della missione di Cristo e degli apostoli non è ancora raggiunto, che l’Evangelo non
è ancora stato predicato fino all’estremità della terra (At. 1:8
in fine; Mt. 28: 19a; Me. 13: 10).
Paolo deve ancora darsi da fare
in direzione di quel traguardo:
e l’impegno nella testimonianza
apostolica è inseparabile da una
lotta e una sofferenza continua.
Basta leggere II Cor. 11: 23-29.
Ma Paolo sa che quelle sofferenze, incontrate nel compimento
della sua missione, possono essere accettate gioiosamente perché attraverso il suo prodigarsi
fino all’estremo l’Evangelo raggiunge gli uomini come potenza
di vita, rinnovamento e salvezza
(si legga II Cor. 4: 8-12). In un
altro passo. Paolo parla delle sue
prove come della via per sperimentare la consolazione che viene da Cristo: chi la sperimenta
può farsene portatore a sua volta, facendone parte ad altri
(II Cor. 1: 3-7).
Cos’è dunque che « manca »?
Non una parte dell’opera reden
trice di Cristo, che è perfetta e
compiuta (cfr. Ebrei 1:3; 4:1416; 5:9-10; 9:11-14.28; 10:19-23),
ma la tribolazione connessa con
la predicazione del vangelo a tutte le genti. Deve « compiersi » la
profezia della tribolazione che
coinvolge e fa soffrire tutta la
chiesa, e in particolare che si
prodiga per la predicazione dell’Evangelo (I Tess. 3:34). Soffrendo così,“ nella sua opera di
testimonianza, la chiesa fedele
(e prima di tutto gli apostoli!)
si assume la sua parte delle « doglie messianiche » che precedono
la venuta del Regno, le quali per
gli increduli sono incomprensibili (e quindi solo motivo di lamento o di ribellione), ma per i
credenti, specialmente nella misura in cui sono collegate alla
loro testimonianza fedele, diventano tribolazioni vissute per Cristo, al suo servizio (cfr. II Cor.
1: 5 ; Pii. 3:10 dove Paolo chiama « sofferenze di Cristo » ciò
che egli soffre per lui, come suo
discepolo e apostolo). Finché il
Regno sia venuto, o almeno finché l’Evangelo sia predicato fra
tutte le genti (Me. 13:10) manca
ancora una certa misura di impegno, di lotta, di sofferenza.
Paolo è convinto che quanto più
egli si impegna (anche a costo
di moltiplicare le sue prove e le
sue tribolazioni), tanto più si
accorcia queU’intervallo di tempo che ci separa dal traguardo,
e dunque anche la misura di tribolazione che sta ancora avanti
a noi. Questo risulta ancora più
chiaro se si conserva l’ordine
delle parole del testo greco: lì
«nella mia carne» non sta dopo
« compio » ma dopo « tribolazioni del Cristo »,
Un certo numero di pensatori
antichi e moderni hanno cercato
di interpretare l’espressione « afflizioni di Cristo » riferendola al
la chiesa che è il suo corpo (Crisostomo, Agostino e altri antichi. Fra i moderni M. de Unamuno ha scritto che « Cristo è in
agonia fino alla fine del mondo »). Ma l’idea che Cristo soffra quando il suo popolo soffre,
pur essendo suggestiva (e forse
anche valida in senso spirituale)
non ha riscontro nel N.T., almeno in senso proprio e reale.
Da quanto si è detto risulta
dunque impossibile prendere
questo passo per sostenere l’esistenza di un tesoro di meriti
(dei santi) dal quale attingere
per distribuire indulgenze ai fedeli. Lo sostenevano antichi commentatori cattolici, come Caietano, Bellarmino, Estio; ma oggi
anche i cattolici tendono a distinguere Cristo e le sue sofferenze dalle tribolazioni degli uomini e della chiesa : così R. Fabris scrive che Paolo, nelle sofferenze che affronta per l’annuncio e il progresso del vangelo, dà il suo contributo e partecipa a quelle tribolazioni che
contrassegnano l’ultima fase della storia della salvezza la quale
ha in Cristo morto e risorto il
protagonista centrale (FabrisBarbaglio, Le lettere di Paolo,
Roma 1980, voi. 3", p. 98).
Protestantesimo
in Tv
lunedì 9 luglio - ore 22,45
RAI 2
« Storia e presenza dei
luterani in Italia »
Mi
il
Senza tempio, in Cristo
Come abbiamo visto, già nell’Antico
Testamento la istituzione del Tempio appare in una luce contraddittoria, come
una realtà ora positiva ora negativa o comunque tentatrice.
Ma il colpo finale al « tempio » lo ha
dato Gesù, il Cristo. Lo ha capito lucidamente il quarto evangelista che pone
proprio all’inizio del ministero di Gesù
il racconto della purificazione del Tempio, che invece i Sinottici situano all’inizio della settimana della Passione. Il quarto Evangelo ne fa dunque un gesto programmatico, parallelo alla programmatica uscita pubblica in Galilea narrata dai
Sinottici (specie da Marco 1: 14-15). Giovanni interpreta questa « purificazione »
con una profondità e una radicalità sconosciuta agli altri testimoni: come l’annuncio della fine del Tempio e del suo
tempo, della sua ’economia’; secondo la
sua testimonianza, infatti, Gesù annuncia con chiarezza che si sostituisce, lui,
al « tempio » e che d’ora in poi, in questa
èra ormai messianica, la presenza di Dio
non va più cercata — né tanto meno considerata garantita — in un tempio, in una
istituzione sacra, bensì in lui, nella sua
persona irripetibile e incomparabile
(Giov. 2: 21).
Gesù e il tempio
Fra noi, V. Subilia, nei suoi studi sul
Nuovo Testamento, sul eattolicesimo,
conciliare e non, sullo sviluppo della teologia protestante, sui documenti ecumenici, è stato particolarmente attento a
quella che definisce « la teologia del Tempio » 1 e insistente nel riecheggiare il messaggio neotestamentario della fine dell’economia del Tempio.
In uno dei suoi libri sintetizzando una
pagina di Barth relativa all’atteggiamento di Gesù di fronte al tempio, scrive:
quando è a Gerusalemme, « Gesù frequenta ogni giorno il tempio, esercita il
suo insegnamento nei suoi cortili (Mt.
11: 11, 27; 14: 49), lo considera la casa di
Dio e si preoccupa perciò di purificarlo
(Mt. 11: 15-18) e ammonisce di presentare le offerte con animo puro da risentimenti (Mt. 5: 23), versa con i suoi discepoli la contribuzione prescritta (Mt.
17: 24; Me. 12: 41-44), si conforma agli
usi cultuali delle sinagoghe e dà il suo
contributo alla loro attività (Le. 4: 16 s.).
D’altra parte annuncia che è apparso
« qualcosa di più grande del tempio »
(Mt. 12: 6), proclama che non rimarrà
pietra sopra pietra dell’edifìcio del tempio (Me. 13: 1 s.), manifesta nei confronti di una delle massime istituzioni religiose del giudaismo, il sabato, una liber
a cura di Gino Conte
Proseguiamo la riflessione iniziata la scorsa settimana : in relazione all’esame del
« BEM », il documento ecumenico su « Battesimo-eucaristia-ministero », abbiamo riletto alcune «visioni» di Ezechiele e constatato come già Isaraele sia stato testimone
del fatto che nessuna istituzione (pretesa) sacra garantisce la presenza di Dio, non
ha Dio al guinzaglio. La storia ha forzato Israele a imparare a vivere la fede senza
« tempio ».
tà che, insieme alla parola sul tempio,
sarà contata fra gli elementi determinanti della sua condanna. Il quarto Evangelo vedrà nella presenza di Gesù il nuovo tempio, cioè la realizzazione nuova,
escatologica della presenza di Dio e della sua gloria in mezzo agli uomini (Giov.
1: 14; 2: 18-22; 4 : 20-24; 14: 9)».
Dunque, Gesù non svolge una campagna anti-tempio^ non è un razionalista
che sprezza le strutture e vuole « isolare
un nucleo puro e razionale di religiosità»: finché il tempio c’è, se ne serve, anche se per insegnare, incontrare la gente,
amica, indifferente o avversaria, più che
per partecipare ai riti. Ma è un ramo ormai morto, una pianta alla cui radice è
già stata posta la scure, cadrà. E non a
caso Gesù ha scelto deliberatamente la
settimana pasquale per la sua ultima salita a Gerusalemme, non a caso morirà
— laico Agnello di Dio — nell’ora del
grande sacrificio degli agnelli che serviranno alla cena del gran giorno pasquale. Ormai, la via a Dio è lui : « Io sono la
via... non si viene al Padre, se non passando da me» (Giov. 14: 6).
Due secoli senza templi
E’ significativo che l’Apocalisse giovannica — un libro che ha molti e singolari
punti di contatto con le visioni ’apocalittiche’ del sacerdote profeta Ezechiele su
cui ci siamo soffermati nel n.ro scorso —
nella visione finale della nuova Gerusalemme (I), del regno di Dio, nota espressamente che il veggente non vi scorge
«alcun tempio» (2: 22). Con Gesù, il
laico Agnello di Dio, l’economia del tempio, del sacrificio, del sacerdozio è finita.
E i cristiani primitivi hanno già vissuto la portata di questa fine. Nella seconda opera citata Subilia osserva (p. 42 s.):
« Il fenomeno per cui nei primi due secoli non si ha notizia di templi costruiti
e frequentati dai cristiani non è una semplice contingenza storica dovuta a difficoltà giuridiche più tardi superate, ma
un fenomeno di ordine teologico, che ha
determinato il comportamento dei cristiani nella storia prima che il Cristianesimo si trasformasse in una religione, assimilata alle altre religioni. Secondo le
testimonianze cristiane primitive Gesù
non aveva forse detto di essere chiamato
a disfare il Tempio e a ricostruirlo in
tre giorni? (Me. 14:58; 15: 29; Mt. 26: 61;
Giov. 2: 18-22). Se il Cristo risorto è il
Tempio in cui si adunano gli adoratori
in spirito e verità che costituiscono il suo
corpo nella storia e che il Padre richiede
(Giov. 4: 23), non è lecito alla Chiesa di
Cristo di ignorare l’avvento dell’ora decisiva di Cristo (Giov. 4: 23 a), di retrocedere verso il passato, stipulando alleanze fra le sue varie confessioni e aprendo
dialoghi con le religioni non cristiane per
ricostruire il Tempio che è stato distrutto. Dal momento in cui è stato posto termine all’economia del Tempio, la presenza di Dio nel mondo si sottrae alle
garanzie istituzionali ed è affidata al discernimento degli spiriti e al rischio della fede ». In nota Subilia cita un significativo testo in cui Lutero schernisce le
continue costruzioni di chiese « come se
il giorno finale non dovesse mai giungere ».
Senza garanzie
Nel rapporto con Dio, tutto ci è dato,
niente diventa nostro possesso, e così nostra sicurezza. Non la chiesa, tanto meno
l’istituzione ecclesiastica è il punto di riferimento, il « punto fermo ». Lo è l’Evangelo, lo è il Regno: Dio, insomma, la
sua Parola, il suo Spirito, la sua libera
presenza, il suo amore gratuito, mai «a
disposizione », mai garantibile. Non crediamo neUa chiesa, crediamo la chiesa
(non è una semplice sfumatura!), creazione e ri-creazione continua di Dio, provvisoria e strumentale, sottoposta al suo
giudizio, umanamente fallibile e mortale,
finché venga il suo regno. Non siamo, come chiesa, la presenza di Dio, ma l’atte
stiamo e ne viviamo, come ci è dato dallo Spirito e nella (scarsa) misura in cui
non lo contrastiamo e contristiamo.
Quando ci riuniamo, per il culto, per
10 studio, per l’azione, lo facciamo nel
suo Nome: attestiamo la nostra fede fiduciosa e grata e gioiosa nella sua presenza, fede piena di timore e tremore,
non sicurezza ecclesiastica, istituzionale.
Dio non è al nostro guinzaglio, non risponde a comando : in mezzo a noi, è il
Santo. Che lui sia fra noi e con noi, se e
come e dove e quando vuole esserlo, è
una meraviglia inspiegabile e abbagliante, è « gloria », anche se ora non percepibile ai nostri occhi. E’ miracolo, è dono,
è grazia.
Non abbiamo garanzie su di lui. E’ lui
11 nostro Garante. Ci sono state ore in
cui la sua Gloria ha abbandonato il Tempio, ci sono state e ci sono ore in cui la
sua Parola è stata ed è rara, ore in cui
il suo Soffio non ha affatto soffiato con
istituzionale continuità, ore di sua assenza. Non è nella privazione che realizziamo
il valore del dono? Non è per questo che
Gesù ha proclamato beati i poveri in spirito? Essi, non altri, vedranno Iddio.
Gino Conte
^ V., in particolare, il cap. II de La nuova cattolicità del cattolicesimo, Claudiana, Torino
1967, p. 79 ss. « Senza contestazione siamo qui di
fronte al punto decisivo di discriminazione tra la
Riforma e il Cattolicesimo: a partire da questo
punto prende le mosse e si sviluppa in un senso
0 nell’altro l’interpretazione del fatto cristiano,
dell’economia stessa della fede sulla terra in tutti
1 suoi aspetti. Si tratta dell’alternativa tra Tuna
o l’altra di due interpretazioni totali dell'Evanselo. In presenza di questa oggettivazione del divino, che forma il cuore della fede cattolica e che
un catechismo riformato de] 1563, ii Catechismo
di Heidelberg, deRniva drasticamente « un’idolatria maledetta » [Dom. 80: anche Calvino, nel
suo Traité de la Saincte Cene, parla di « exécrable idolatrie »], le altre divergenze o convergenze hanno un peso molto relativo. La teologia riformata si trova qui davanti a un compito di critica e a una responsabilità di ricostruziore di
grande respiro » (p. 86 s.).
^ V. Subilia, Presenza e assenza di Dio nella coscienza moderna. Claudiana, Torino 1976, p. 86.
A quasi vent’anni dalla pubblicazione, le pagine
di quest’opera, in particolare del cap. Il dedicato
a « La teologia ecumenica », sono di una fresehez
za attuale e di una lucidità impressionanti. Leggere, o rileggere, per credere.
* Anche su questo punto (Jesù presenta, accanto ad alcune analogie, profonde differenze rispet
to alla posizione molto critica nei confronti del
Tempio rappresentata dal movimento zelota e
soprattutto dal movimento di Oumràn; in proposito V., ad es., O. Cullmann, Gesù e i rivoluzionari del suo tempo, Brescia * 1980, specie le pag.
27 ss.
4
4 ecum^iì«
6 luglio 1984
_________DONNE NELLA CHIESA: PRIMO INCONTRO A BOSSEY
Servizio è femminiie?
Al maschile si parla di ministero; al femminile il termine sembra sfumare nel servizio-sacrificio, una stortura che non è più accettata
Che sia una settimana di studio dedicata alle donne è evidente dal titolo del seminario « Servire la Chiesa in quanto donna »
o, come in altre lingue suona
meglio, « Il servizio della donna
nella Chiesa ». Volto al maschile
il tema sarebbe: « I ministeri
nella Chiesa ».
Per la donna si parla di « servizio ». E’ la prima considerazione che mi viene in mente mentre
mi guardo intorno per conoscere le mie compagne di « riflessione » in questo luogo che sembra
tagliato fuori dal mondo: un castello immerso in un meraviglioso parco sulle rive del lago Lemano, trasformato (fin dal 1946)
in centro di studi e di incontri,
l’Istituto Ecumenico di Bossey,
strettamente legato al Consiglio
Ecumenico delle Chiese, della vicina Ginevra.
Sono. colpita dal numero piuttosto elevato {una quindicina o
più)_ di cuffiette bianche, sopra
abiti neri, grigi o celesti: sono
suore evangeliche, soprattutto
svizzere e tedesche; ma vedo anche le scure uniformi delle suore cattoliche presenti; ordine di
S. Vincenzo e piccole sorelle di
Gesù. Nere, fasciate fino al mento, negli abiti antichi, due monache ortodosse, custodi di preziosi monasteri rumeni, e, accanto,
allegre nel loro più moderno e
simpatico costume celeste, le sorelle del centro femminile di
« Grandchamp »... Ma molte partecipanti vestono « laico »; accanto ad abiti occidentali, i variopinti tessuti degli abiti lunghi
di donne africane ed indiane.
Siamo una sessantina. Ci presentiamo: scopro la presenza di
un certo numero di donne-pastori (sette per l’esattezza, più alcune della staff, siamo in tutto una
decina), studentesse in teologia,
teologhe non ancora ordinate,
catechiste, organiste, insegnanti,
laiche impegnate. Scopro anche
che alcune in abiti laici sono
suore consacrate, mentre altre,
in cuffietta bianca, offrono un
servizio diaconale senza consacrazione né voti.
Tutte donne. Ma nroveniamo
da parti diverse del mondo, siamo di confessioni, culture e tradizioni diverse, e diversi sono anche i nostri ruoli di « servizio »
nella Chiesa. Come mantenere la
compattezza di « donne », « sorelle », nonostante le scelte di
impegno tanto differenti da apparire quasi contrastanti?
Ce ne rendiamo conto ascoltando le relazioni, quasi tutte tenute da suore impegnate in vari
settori e rapnresentanti scelte
« comunitarie » diverse, e presto
la discussione si accende nei
gruppi di lavoro e nelle assemblee plenarie. Come legare laicità e voti, servizio diaconale e
pastorato, contemplazione e azione, « diaconia » della preghiera
e impegno pratico e sociale? Sapremo superare le latenti incomprensioni e divergenze e le
possibili spaccature nello stesso
ambito del « servizio »?
Cominciamo a riflettere partendo proprio dal termine « servizio ». Che significato ha oggi per
noi questo concetto?
La tradizione delle nostre Chiese ci ha consegnato un modello
di servizio femminile, fortemente
intrecciato con rinunce e dedizione totale, dove il « servizio »
spesso sfuma nel « sacrificio » di
sé. Oggi le donne non accettano
più una simile impostazione: Dio
non ci chiede un « servizio » servile, fino aH’esaurimento delle
forze e rinuncia alla propria vita
e personalità. Gesù ha detto
« Ama il tuo prossimo come te
stessa ». Le « care sorelle » che
« fanno tanto per la Chiesa »
spesso sono oppresse e sfruttate,
in im molo « che fa comodo agli
uomini ».
Inutile dire che, in questa riflessione, bersagliate sono le diaconesse presenti. Le quali rispondono tranquille, coscienti della
crisi che investe questa forma di
servizio, che nei secoli passati
rappresentava Tunica possibilità
per la donna di inserirsi con un
lavoro extrafamiliare nella società. Oggi le cose stanno diversamente anche per loro: nella maggior parte dei casi le diaconesse
hanno un orario di lavoro e percepiscono un normale stipendio:
ritengono più sacrificate le donne che dopo il lavoro devono occuparsi della casa e della famiglia... Sono molto preparate, alcune sostengono grandi responsabilità nel loro « servizio »; di
rettrici di ospedali, asili, istituti
ecc. Mi appaiono moderne, nonostante la cuffia. Sembrano capaci di contestare; la loro « consacrazione » non è riconosciuta,
dalla Chiesa ufficiale: è un « servizio » per la Chiesa, ma non
della Chiesa. Utili, ma spesso
emarginate ed incomprese dalle
Comunità e dai pastori. E qui si
arriva ad uno dei punti nodali:
« I pastori-donna sapranno apprezzarci e capirci, o anche loro
ci guarderanno dall’alto in basso, con il loro ruolo da "leadership”, mentre il nostro è un umile "servizio” materiale e sociale? ».
Il bersaglio ora si sposta su
noi, donne-pastori, attaccate contemporaneamente da diaconesse
e laiche. La riflessione si con
centra su om nuovo termine:
« potere ». Con l’ordinazione pastorale per la prima volta nella
storia della Chiesa le donne accedono a un ruolo di rilievo nella
Chiesa, tradizionalmente inteso
come ruolo di « potere ». Come
mettere a frutto i doni specifici
della donna in questo ruolo « maschile », come non perdere la nostra « identità » di donne? Per noi
il nodo è proprio questo: come
intendiamo il « potere » legato al
nostro ruolo?
Siamo tutte concordi nel sostenere che le donne-pastori non vogliono ricalcare il modello accentratore, autoritario, clericale di
un pastorato tradizionale, in realtà in via di trasformazione anche
sul versante maschile. E’ vero
che il ruolo pastorale oltre a responsabilità dà autorità e, dobbiamo ammetterlo, « potere »,
più che altri « servizi » nella
Chiesa. Ma vogliamo usare le possibilità legate al nostro ruolo per
introdurre del « nuovo » e trasformare la Chiesa in un’autentica comunità di sorelle e fratelli, dove ogni tipo di ministero sia
cercato ed apprezzato, e dove
ognuno possa trovare lo spazio
per esprimere i propri doni.
Non vogliamo dominare, né
creare un gruppo di « spécialiste
privilegiate » che crei fratture
con un linguaggio « teologico »
da iniziate, ma piuttosto aiutare
ogni fratello e sorella a « fare »
teologia, in modo semplice, essenziale, esistenziale, e cercare
risposte concrete di vita. Se il nostro ruolo nuò essere tm ruolo
di DOtere, vogliamo intenderlo e
viverlo come « potere diaconale», in vista di un rinnovamento
di tutta la Comunità e la Chiesa.
Osserviamo anche ohe, nonostante la teorica parità, nessuna
Chiesa ha affidato a pastori-donne compiti amministrativi di un
certo rilievo. E siamo coscienti
che « potere » nel senso tradizionale, « maschile », è sempre
strettamente legato al « denaro ».
Su questo tema vorremmo confrontarci con la parte maschile
della Chiesa, e, concordi, propo;
niamo alTlstituto Ecumenico di
Bossey di organizzare per Tanno
ossimo un seminario su « potere e denaro » con una presenza per metà femminile e metà
maschile.
E, riconoscenti ner questo primo incontro di donne, dal 28
maggio al 3 giugno 1984, organizzato in risposta alle esigenze
emerse alTAssemblea di Vancouver, vorremmo ripetere, ogni due
anni, un analogo confronto.
Giuliana Gandolfo
IL NUOVO CODICE DI DIRITTO CANONICO - 5
I matrimoni misti
Attraverso varie tappe intermedie, la normativa relativa ai matrimoni misti è mutata non poco rispetto a quella del vecchio
Codice. Come si può desumere
dal raffronto schematico riprodotto a fianco, vi sono oggi importanti mutamenti che riguardano soprattutto la parte non
cattolica. C’è maggiore considerazione per la sua appartenenza
ecclesiastica, rispetto per la sua
fede, trasferimento sull’altra parte di tutti gli impegni (tra cui
quello relativo al battesimo e all’educazione nella Chiesa cattolica dei figli è in forma attenuata,
essendo anche caduta la « certezza morale » dell’adempimento).
D’altra parte, anche se non formalmente, la parte non cattolica
non cessa di essere coinvolta sostanzialmente negli impegni che
la narte cattolica assume riguardo ai figli subendo indirettamente, ma in modo pur sempre inaccettabile, il « diritto di opzione »
ohe la Chiesa cattolica pretende
di mettere sui figli dei matrimoni
misti.
Inoltre anche la dispensa dalla
forma canonica (con possibilità
cioè che la Chiesa cattolica autorizzi il dare il consenso matrimoniale davanti ad un ministro di
culto non cattolico) che avrebbe
potuto aprire la strada ad una
accettazione di altre forme di celebrazione che non sia quella cattolica, in pratica si risolve in una
delega data dal prete ad altro
ministro previe le consuete garanzie prestate dalla parte cattolica. Il che non fa che generare
una situazione ambigua e dal
timbro poco ecumenico.
Per quanto in forme attenuate e con qualche cambiamento,
Vimpianfo dei due codici è dunque sostanzialmente lo stesso,
basato sul meccanismo proibizione — prestazione di garanzie
— dispensa/licenza, che alla propria base ha un intento pastorale di avvertimento e istruzione
della parte cattolica in merito ai
rischi e alle responsabilità connessi al matrimonio misto, ma
che nella traduzione cattolica di
questa esigenza ha assunto la
forma di una gabbia giurisdizionalista che, per quante modificazioni riceva, risulta a noi inaccettabile.
L’impedimento
Vi è tuttavia una novità da rilevare nel nuovo Codice. L’unica
novità rispetto alla normativa
del Motu proprio « Matrimonia
mixta » di Paolo VI del 1970, la
cui sostanza è tradotta nei canoni 1124-1129 del nuovo Codice, è
che non si parla più di impedimento e di dispensa, bensì di licenza. In effetti dal nuovo Codice scompare del tutto la categoria stessa di impedimento impediente (che cioè rende il vincolo
illecito ancorché valido) in cui il
matrimonio in situazione di « mista religione » (interconfessionale) era inserito. Rimane solo la
categoria di impedimento dirimente (che cioè rende il vincolo
invalido oltre che illecito) in cui
continua ad essere iscritto il matrimonio in situazione di « disparità di culto » (matrimonio misto
in senso proprio, tra parte cattolica e parte non battezzata).
Questa « derubricazione » della
difficoltà rappresentata per la
Chiesa cattolica dal matrimonio
interconfessionale non è dunque
di poco conto. Certo si può osservare che la licenza di sposare un
membro di « una Chiesa o comunità ecclesiale non in piena comunione con la Chiesa cattolica »
è data dal vescovo solo « dopo il
compimento delle... condizioni »
(termine che peraltro non era niù
usato dal Motu proprio del 1970),
per cui si potrebbe dire che nella sostanza nulla cambia nel meccanismo più sopra indicato. Si
può anche osservare che la richiesta che è stata costantemente avanzata, anche da settori avanzati del cattolicesimo (Foyers
mixtes), riguardava non solo Tabbandono del concetto di impedimento ma anche quello di dispensa (o licenza che dir si voglia) e
di riconoscimento reciproco delle
liturgie matrimondali, e che aver
lasciato cadere soltanto l’impedimento non significa gran che.
Tuttavia l’abbandono di un termine così denso di risonanze negative non va sottovalutato e va
per lo meno segnalato perché sia
seguito nella sua traduzione pratica. Al prof. Corecco, uno del massimi canonisti italiani, che recentemente esnoneva a Savona le
linee del nuovo Codice, è stata rivolta dal pastore Becchino una
domanda riguardo al « cosa cambia » nel campo dei matrimoni
interconfessionali. La risposta ha
indicato ciò che sta al di là del
canone scritto: la sua interpretazione. E’ su questo terreno che
la Chiesa cattolica spiegherà concretamente che cosa vuol dire
Le principali differenze
1917 1983
Matrimonio tra una parte cattolica e una parte iscritta a setta eretica 0 scismatica. Parte cattolica e parte iscritta a una Chiesa o comunità ecclesiale non in piena comunione con la Chiesa cattolica.
Proibizione severissima del matri- monio misto. Proibizione.
^impedimento che causa la proi- bizione è tolto mediante dispensa a condizione che: La proibizione (non si parla più. di impedimento) è tolta mediante licenza a condizione che:
— il coniuge acattolico abbia pro- messo di non mettere in pericolo la fede della parte cattolica; — la parte cattolica dichiari di es- ser pronta ad allontanare i perico- li di abbandonare la fede;
— entrambi i coniugi abbiano pre- stato garanzia di battezzare e edu- care solo cattolicamente tutta la prole; — la parte cattolica prometta sin- ceramente di fare quanto é in suo potere perché tutti i figli siano bat- tezzati ed educati nella Chiesa cat- tolica; che di questo sia tempesti- vamente informata Valtra parte in modo tale da esserne realmente con- sapevole;
— si abbia la certezza morale del- Vadempimento delle promesse. — entrambe le parti siano istruite sui fini e le proprietà essenziali del matrimonio che non devono esse- re escluse da nessuno dei due con- traenti.
Forma, di regola, scritta, delle pro- messe. E’ competenza delle Conferenze Epi- scopali stabilire il modo e la for- ma delle promesse e dichiarazioni che sono sempre necessarie.
Il coniuge cattolico ha Vobbligo di adoperarsi prudentemente alla con- versione del coniuge acattolico.
E' vietata ogni altra celebrazione, prima o dopo, davanti ad un mini- stro acattolico. Stesso divieto, e inoltre divieto di concelebrazione da parte delVassi- stente cattolico e del ministro non cattolico che richiedano insieme il consenso delle parti. Per gravi difficoltà, VOrdinario può dispensare dalla forma canonica (davanti al prete con due testimo- ni) salva, per la validità, una qual- che forma pubblica; norme applica- tive delegate alle Conf. episcopali.
Impegno per i sacerdoti a dissua- Impegno perché non manchi al ca- dere dai matrimoni misti, a opera- niuge cattolico e ai figli Vaiuto re cotpunque perché non avvenga- spirituale per adempiere agli ob- no in trasgressione delle leggi della blighi e per accrescere Vunione del- Chiesa e perché le promesse siano la vita coniugale e familiare, adempiute.
4 casi di scomunica connessi ai ma trimoni misti Annullati successivamente e non più presenti nel nuovo Codice.
l’abbandono delTimpedimento;
dalla pratica delle curie vescovili verremo cosi a sapere se tale
abbandono costituisce una pura
variazione terminologica o un
passo avanti nel diffìcile cammino dell’ecumenismo.
Franco GiamplccoU
5
y
$
6 luglio 1984
5
RIFIUTO E GHETTIZZAZIONE DEI <c PARIA » DEL NOSTRO TEMPO
I PROFUGHI, DRAMMA DEL XX SECOLO
ii:
%
I
Il nostro settimanale si è già occupato in passato — ed in
varie occasioni — del drammatico problema dei profughi.
Si contano a mìhonì le persone che, a causa di guerre,
di rivnlgimenti poUtici, di dittature varie, di disprezzo
dei diritti umani, di razzismo, ecc., sono costrette
ad abbandonare il proprio paese e ad affidarsi alla solidarietà
e alla comprensione internazionali;
solidarietà e comprensione che tante volte sono carenti
e inadeg^uate a causa degli egoismi dei singoli paesi
e della « paura » nei confronti degli stranieri.
Nel numero di aprile della Rivista « Réfugiés »,
edita dalla sezione informativa dell’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i profughi,
leggiamo un editoriale e varie notizie dedicate
a questo aigomento. Qui appresso ne forniamo una sintesi
per informare ulteriormente i lettori sul grave problema.
r. p.
Vittime della xenofobia
La xenofobia esiste, ed esiste
anche contro i profughi in quanto sono stranieri. Buttati tutti
neho stesso sacco, i profughi sono assaliti dall’ondata di rancore e di aggressività che si rivolge verso tutti gli stranieri.
L’azione internazionale in favore dei profughi è difficoltosa
perché — a causa dell’antipatia
che nutre la pubblica opinione
nei loro confronti — la volontà
degli Stati di far fronte a nuove
situazioni viene a trovarsi direttamente ostacolata.
Ma quali sono le cause di questa xenofobia, e perché essa esiste ancor’oggi? Secondo una teoria popolare, la paura o la diffidenza verso ciò che è straniero
è un elemento fondamentale della mentalità umana. In tempi
difficili, questo istinto latente
tende a risvegliarsi e può assumere la forma di una vera e
propria fobìa. Recenti manifestazioni di xenofobia dimostrano che questo può succedere
dappertutto, sia nel mondo sviluppato che in quello sottosviluppato. Un fattore comune è in
ogni caso quello della recessione economica. Gli stranieri diventano facilmente i capri espia
tori accusati di tutti i mali. E’
un’idea comune che i problemi
di un determinato paese verrebbero risolti istantaneamente se
gli stranieri se ne andassero.
Idea suadente per la sua semplicità, ma totalmente priva di fondamento nella maggior parte
dei casi.
Quando lo straniero è poi anche un profugo, vengono del
tutto dimenticate le ragioni per
cui egli ha lasciato il proprio
paese ; la paura dello straniero
si trasforma allora in « paura
del profugo». Il problema viene
visto in termini politici e qualsiasi considerazione umanitaria
viene messa da parte.
Le conseguenze si vedono un
po’ dappertutto: frontiere che
si chiudono a chi chiede asilo;
governi che ricorrono a sottigliezze giuridiche per evitare di
prendere in considerazione domande di profughi; la definizione del termine « profugo » interpretata in modo restrittivo; rifiuto di posti di lavoro; certe
condizioni nei campi di raccolta,
che si degradano ad un punto
tale da raggiungere il livello minimo accettabile... e tante altre
misure di « dissuasione ».
Gli Afghani in Pakistan
Gli afghani fuggiti in Pakistan
rappresentano la più vasta popolazione di profughi oggi esistente al mondo. Si calcola infatti che essi ammontino a circa
quattro milioni, secondo i dati
più aggiornati. Si tratta di poco
meno di un terzo della popolazione : sarebbe come se dall’Italia occupata se ne fossero andati 18 milioni di cittadini.
Si trovano un po’ dappertutto :
nei 370 villaggi di confine del
Belucistan, nelle vallate, sui pendìi delle colline e dei monti innevati. Altri vìvono in gruppi
lungo le strade, nella città e nelle campagne dove — per coloro
che ne possiedono — il bestiame
cerca un pascolo. In più di un
distretto, il numero dei profughi afghani è di due volte superiore a quello degli abitanti locali.
Da qualche tempo a questa
parte, grazie alla generosità pakistanese, agli aiuti internazionali ed allo spirito di iniziativa
di cui gli stessi profughi han dato prova, la loro situazione si è
relativamente normalizzata. Non
è più vero né giustificato parlare di sitùazione di emergenza e
si sta passando da una fase di
assistenza — che resta pur sempre importante — a quella della
ricerca del lavoro, della formazione professionale e dell’istruzione. I progetti di questo tipo
comprendono il 17 per cento delle spese previste dall’Alto commissariato per ì profughi (HCR)
per il 1984, contro l’8 per cento
dell’anno precedente. Questo
obiettivo di aiutare i profughi
a prendere essi stessi le proprie
responsabilità è naturalmente
assai difficile.
Mentre i profughi afghani era
no nel loro paese, in gran maggioranza, agricoltori o pastori, i
problemi di disponibilità di terra in Pakistan consentono limitate installazioni agricole. Molti
vengono indirizzati verso il commercio o verso professioni artigianali, quali muratori, calzolai,
carpentieri o meccanici. Altri
vengono indirizzati verso corsi
professionali in cooperazione
coirOrganizzazione internazionale del lavoro. Per migliorare il
regime alimentare dei profughi
l’HCR distribuisce delle sementi che possono essere piantate
nei giardinetti familiari attorno
alle case. Sono stati anche messi
a punto dei progetti per allevamento di volatili da cortile.
Anche il bestiame condotto
daH'Afghanistan comporta grossi problemi. Si tratta di circa
tre milioni di capi per cui si è
organizzato un programma di
vaccinazione allo scopo di proteggere una cosi importante fonte di sussistenza.
Come primo bilancio, si calcola che almeno un membro di
ogni famiglia di profughi abbia
trovato un impiego o si sia potuto mettere per proprio cónto.
Tuttavia, parecchi di loro hanno un’occupazione stagionale o
a tempo parziale, per cui non
sono in grado da soli di mantenere la propria famiglia.
Ma ora la questione più urgente e drammatica è quella del
rimboschimento. Il sistematico
abbattimento degli alberi per
fornire combustibile domestico
e nuovi pascoli per gli animali
stanno producendo una catastrofe ecologica dalle enormi proporzioni, che affliggerà il Pakistan per parecchie generazioni.
Occorre una politica urgente di
rimboschimento per evitare un
disastro ancor più generalizzato.
Sarebbe una ricompensa assai
amara per un paese la cui generosità, nei confronti dei profughi è veramente esemplare.
Che fare dunque? E’ urgente
richiamare gli Stati al loro impegno di tener conto della situazione dei profughi, confrontandola a quella degli altri stranieri. La differenza fra il profugo
— che ha dovuto abbandonare
il proprio paese per motivi politici — e fra il lavoratore emigrato — che è partito per motivi puramente economici — deve
essere tenuta presente.
Le personalità pubbliche ed i
mass media hanno la loro parte di responsabilità. Non si dovrebbe descrivere la situazione
dei profughi senza ricordare le
condizioni in cui versavano nei
propri paesi. Quanto agli uomini politici, dovrebbero sforzarsi
di indurre un atteggiamento responsabile ed intelligente nella
pubblica opinione. La xenofobia
è un argomento che si presta facilmente alla retorica emotiva.
I profughi ne soffrono in modo
del tutto particolare perché gli
Stati sono meno disposti ad accordare loro un’attenzione speciale.
Occorre continuare il dibattito sull’argomento della xenofobia, fenomeno che — nei confronti dei profughi — raggiunge
sovente la dimensione della catastrofe.
In Italia
Sin dal 1982, un gruppo di afghani, ora ammontanti a 35 persone, è giunto anche in Italia,
attraverso l’Iran, la Turchia, la
Jugoslavia... Esso è alloggiato a
Ladispoli, che dista 40 chilometri da Roma. Il governo italiano
ha loro accordato lo status di
profugo. In effetti, essi non
avrebbero potuto essere accolti
dal governo come profughi in
quanto provenienti da paese non
europeo. L’Italia è infatti fra
quei paesi che, fra i firmatari
della Convenzione del 1951 relativa alla condizione del profugo,
hanno espresso una « riserva
geografica » secondo cui solo dei
cittadini europei possono beneficiare di questo riconoscimento. Sia questi profughi afghani.
Una famiglia di profughi Afghani in attesa.
come in precedenza altri profughi cileni e indocinesi hanno comunque potuto ottenere il riconoscimento di profughi in base
ad una «deroga» alla legge tuttora vigente.
I profughi afghani se la sono
finora cavata col lavoro « nero »
(raccolta di fragole, di carciofi,
ecc.) ma certamente non avrebbero potuto vivere senza l’aiuto
dell’HCR.
A Ladispoli, a causa di ima
certa facilità di reperimento di
alloggi che si rendono disponi
bili — dopo il turismo estivo —
per parecchi mesi dell’anno vi
sono circa un migliaio di immigrati stranieri, che si aggiungono
ai 60 mila presenti a Roma.
Il numero degli immigrati
stranieri in Italia, in gran parte
sprovvisti di un legale permesso
di soggiorno è di circa un milione. Essi provengono da numerosi paesi africani (Etiopia, Nigeria, Ghana, Egitto e Tunisia)
da alcuni paesi asiatici (in modo particolare Iran e Filippine)
e dal Sudamerica.
Dal Libano in fiamme
Secondo i più recenti dati ufficiali, vi sono oggi nel Libano
117 mila famiglie profughe e sinistrate, e cioè oltre 600 mila
persone. Da notare che questa
cifra concerne solo le vittime a
partire dallo scorso settembre.
In contemporaneità alle crisi di
questa guerra novennale, le ondate dei profughi si susseguono.
Come si è finito di accogliere e
di sistemare alla meno peggio
quelli della montagna, sopraggiungono quelli di Tripoli. Dal
nord, dal sud, dall’est del Libano i civili che fuggono dai combattimenti arrivano a frotte. Il
conflitto, dallo scorso febbraio,
è giunto anche a Beirut ed in
questa città sovrapopolata la vita è drammatica.
Fin dal 1976 l’HCR partecipa
agli aiuti in Libano. I soli soccorsi portati dal Commissariato
per l’anno 1982 sono ammontati
ad oltre 5 milioni di dollari. Attualmente vengono forniti coperte, materassi, fornelli a kerosene, materiali da cucina, abbigliamento, specie per bambini, ecc.
I movimenti politici partecipano anch’essi attivamente agli
aiuti. Si tratta di un contributo
tutt’altro che trascurabile, ma
che allo stesso tempo complica
seriamente il compito degli organismi internazionali, obbligati
a destreggiarsi affinché gli aiuti
giungano là dove sono più necessari. Infatti, sia da un lato come
dall’altro della « linea verde »
che separa Beirut in due campi
di battaglia, il calvario per le
popolazioni è il medesimo.
Stati Uniti ed altri paesi
La maggior parte dei profughi negli USA trova un impiego.
Essi sono assai meno debitori
degli aiuti sociali di quanto non
si creda. Questo risulta da un
rapporto pubblicato dal « Church
World Service » del C.E.C. che
descrive i risultati di una inchiesta svolta presso un campione
di 45(X) profughi dì origine diversa (n.d.r. nel rapporto stesso
non viene detto quale sia il numero reale dei profughi).
I principali punti del suddetto
rapporto precisano che:
— Dopo un sufficiente periodo
di ambientamento, per i tre quarti delle famiglie di profughi (circa tre anni) almeno una persona ottiene un impiego a pieno
tempo. In ,^odp particolare, per
gli ' indocinési, solò un due per
cento era poco disposto a cercare un lavoro, mentre l’uno per
cento preferiva affidarsi all’aiuto
sociale piuttosto che cercare un
posto remunerato.
— La maggior parte dei profughi sopperisce alle proprie necessità e si adatta al nuovo genere di vita. Il fatto che la maggioranza delle persone interrogate nel corso dell’inchiesta possieda un’autovettura può essere
considerato come l’indice di una
integrazione riuscita.
— In un periodo di tre anni e
mezzo, i contributi provenienti
da fonti private e da comunità
religiose affiliate al Church W.S.
— che si fa carico di circa il dieci per cento dell’insieme dei profughi negli Stati Uniti — hanno
raggiunto un ammontare pari a
133 milioni di dollari.
Il rapporto sottolinea che
quando si vuol procedere ad una
analisi approfondita sull’integrazione dei profughi, essa deve coprire dei periodi più lunghi di
quanto non sia stato fatto finora: «una integrazione riuscita
richiede non dei mesi, ma parecchi anni». Tuttavia, per accelerare il processo di adattamento,
il rapporto raccomanda una intensificazione dei corsi di lingua
inglese e di formazione professtonale.
In Messico vivono circa 45 mila profughi guatemaltechi, di cui
il 50 per cento bambini, disseminati negli 89 campi della provincia di Chiapas. Per quelli sistemati nelle zone più asciutte,
la situazione è più normale,
mentre è assai più difficile per
coloro che hanno trovato un rifugio nella foresta.
La Nuova Zelanda ha fornito
una ospitalità esemplare a circa
5 mila profughi indocinesi sin
dal 1975 e continua a,farlo mensilmente per altri 650. L’alto
commissario dell’Onu per i profughi, in occasione di una sua
visita ha dichiarato che la N. Z.
ha dato im grande esempio a tutto il mondo.
In Australia 84 mila profughi
(specie indocinesi) hanno trovato un asilo. Aiuti vengono dati
sia daU’ONU che da varie associazioni benefiche.
Drammatica la situazione dei
profughi in Angola e specie in
Mozambico. Sono migliaia di neri provenienti dal Sudafrica a
causa del regime di apartheid,
che vengono a trovarsi in una
situazione dì estrema difficoltà
per due motivi: anzitutto per
via di una serie di catastrofi naturali iniziate con una spaventosa siccità, poi seguita da cicloni devastatori, e poi a causa
dei negoziati Mozambico/Sudafrica, per cui nuovi campi verranno creati più aH’interno in
Mozambico con inevitabili restrizioni e nuovi disagi.
A sua volta lo Zimbabwe ha
ospitato 34 mila profughi mozambicani (coll’aiuto dell’HCR)
in grave stato di salute e di denutrizione, vittime delle su ricordate catastrofi naturali.
6
6 cronaca delleValli
6 luglio 1984
POMARETTO
USSL 44
Vietati i missiii nudeari
La scelta
C’è un monaco benedettino,
nelle campagne intorno a Mondovì, che apre il suo monastero
a incontri ecumenici. Una volta
si parla di ebraismo, altra volta
del famoso documento di Lima
il cosiddetto BLM, altra volta
ancora di vaUUsmo. In questo
convento dell’anno 1000. immerso nella calura di questi giorni,
circondato da vasti territori arati e fruttiferi, vi convergono uomini e donne di ogni età. Ma cosa cercano? « Dio — mi risponde il monaco che, tra l’altro, negli anni 50 era presidp.ntp della
RAI — soltanto Dio ». C’è èliche
Vex drogato, il balordo, il ladruncolo. Il convento è sempre aperto. E la cosa che più mi ha
colpito in questo convento degli
anni ’80 è la dimensione del silenzio. Si discute di tutto, massima libertà, ma voi subentra —
come regola — il silenzio, scandito solo dalla preghiera delle
ore recitata nell’antica cappella
medioevale. Certo il monastero,
poco da dire, ha un suo fascino.
Per molti gustare il religioso silenzio del chiostro e della campagna, dopo una settimana di
"stress",^ fa bene, tonifica. Ma<
nella piccola Taizé del cuneese
è rimasfo'~sòltànJò~t[fi' mo’ftdcó
condurre la sua battaglia spirituale. « E nei vostri conventi le
cose vanno meglio? » mi chiede
un visitatore, credo, di Torino.
« Il protestantesimo — dico io —
è forse l’unica religione che non
ha né monaci né conventi ». « Bene — dice lui — allora con l’ecumenismo imparerete a conoscerli, accettarli ed apprezzarli ».
La visione dell’ecumenismo come sintesi universale dei valori
cristiani (ma non è proprio il
documento di Lima che spinge
in questa direzione?) si sta facendo rapidamente strada. C’è
spazio per tutti nella futura chiesa ecumenica, per ogni esperienza, per ogni avventura spirituale. Ma è veramente questo l’ecumenismo che cerchiamo? Dopo
un anno di riunioni sul documento ecumenico riguardo a
Battesimo, Eucaristia e Ministeri ( BEM) possiamo 'finalmente
dire che la fedeltà a Cristo non
coincide con la fedeltà a tutte
le chiese. Bisogna scegliere. O
no?
Giuseppe Platone
Nella riunione del Consiglio
Comunale del 22 giugno 1984 si
è discusso, tra i vari punti all'ordine del giorno, la richiesta di
denuclearizzazione del territorio
comunale avanzata dal Comitato
pace e disarmo locale.
Dopo una interessante discussione in seduta aperta centrata
soprattutto suH’uso civile della
energia nucleare, da cui sono
emerse posizioni diversificate, il
Consiglio Comunale ha deliberato: « di aderire al Comitato Pace
Valli Chisone e Germanasca; di
vietare l’installazione di impianti nucleari ad uso militare sul
territorio comunale; di accetta
re la donazione dal comitato per
la pace ed il disarmo di Robassomero, per tramite di due suoi
membri Bernardi Antonio e Calzi Ezio, di un terreno agricolo
esteso V9630 situato all’interno
del territorio comunale di Comiso, riportato al catasto a partita
16702 foglio 5 particella II, uliv. 3,
are 96,30 ».
Ha inoltre dichiarato di impegnarsi « a programmare e promuovere iniziative, rivolte in particolare ai giovani ed agli studenti, finalizzate ad un’opera di
informazione e sensibilizzazione
sui temi della pace e del disarmo » e di « consultare la popolazione per l’eventualità di dichia
rare denuclearizzato il territorio
comunale anche ad usi civili ».
Riteniamo che questa iniziativa sia da appoggiare pienamente e non debba essere considerata come un punto di arrivo,
ma come l’inizio di un ampio dibattito che coinvolga tutta la popolazione. L’impegno del comitato pace e disarmo delle Valli
Chisone e Germanasca verterà
prossimamente in questa direzione, mirando ad un approfondimento delle conseguenze della
denuclearizzazione civile e militare, per giungere ad una estensione dell’iniziativa ad altri comuni.
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Raduno al Colle della Croce
r. Domenica 22 luglio si terrà il
tradizionale raduno evangelico
: italo-francese al Colle della Crof ce. Il programma è il seguente:
ore 10.30: culto a cura dei past.
Gilles Pivot di Briançon e Claudio PasquéÌ di Boddiò Pellice ;
ore 14 : dibattito su « I rapporti
tra chiese e stato in Francia e
Italia », introducono il past. Bryno Bellion e un esperto protesianféTràncese.
Ospiti da Francoforte
BOBBIO PELLICE — Domenica 24 giugno abbiamo avuto il
piacere di avere ospiti nella nostra comunità alcuni giovani pastori tedeschi di Francoforte.
Questo gruppo, una ventina di
persone, era al Castagneto per
uno stage ed ha chiesto di partecipare attivamente al nostro
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culto. La liturgia è stata condotta parte in lingua italiana e parte in lingua tedesca, mentre il
sermone constava di due brevi
riflessioni su Genesi 11, in tedesco poi riassunto in italiano; ed
Efesini 2, in italiano poi riassunto in tedesco.
La scelta dei testi biblici non
era casuale: la torre di Babele,
simbolo del peccato dell’umanità divisa, viene superata dal Cristo che, come dice l’autore di
Efesini, ci fa diventare tutti
membri della famiglia di Dio.
In conclusione, un culto un po’
diverso, che in alcune parti non
era comprensibile da coloro che
non conoscevano la lingua straniera impiegata, ma che ha emotivamente coinvolto più di una
persona ed è stato una piccola
parabola di quell’amore cristiano che ci aiuta a superare tutte
le barriere di divisione umana.
Appuntamenti
VILLAR PEROSA — Mercoledì 11/7 alle ore 20.30 nella Sala
del Tempio concerto del gruppo « Joie et Vie ».
ANGROGNA — Domenica 8
c. m. culto unico alle ore 10.30
con i giovani di Marsillague (F)
in vacanza alla Rocciaglia.
FERRERÒ MASSELLO —
Questo il calendario delle riunioni estive : 8 luglio a Lorenzo
(Ferrerò), 22 luglio alla Balsiglia (Massello), 29 luglio al Parant (Ferrerò).
Petizione TEV
E’ in corso una raccolta di firme per una petizione al Sinodo
in difesa della famiglia cristiana.
Chi è interessato è pregato di inviare questa dichiarazione a
Testimonianza Evangelica Valdese — Casella postale — 10066 Torre Pellice: «Il sottoscritto approva il testo della petizione da presentarsi al Sinodo, come pubblicato sull’Eco-Luce » (firma e indirizzo).
« I sottoscritti, profondamente turbati per i nuovi principi etici
che cercano di affermarsi nella Chiesa in vista di giustificare certe
deviazioni come l’omosessualità e che si risolverebbero nella negazione deila famiglia cristiana, fermamente chiedono al Sinodo di
dichiarare che la Chiesa intende mantenersi fedele nello spirito e
nella lettera all’insegnamento della Scrittura, sulla padronanza dei
propri istinti (I Tessalonicesi 4; 34) e sulla santità del vincolo matrimoniale ( Matteo 19: 4-6 ) ».
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Handicappati
senza cure
PINEROLO — Sono quarantacinque i bambini handicappati
che dal mese di aprile scorso sono obbligati a ricorrere ai servizi privati di fisioterapia a causa
della « temporanea sospensione »
del servizio pubblico della USSL
44 (Pinerolese).
« Il servizio di fisioterapia —
dice Enrico Codino, un handicappato animatore del comitato
di base per i diritti degli handicappati — è un po’ una nostra
conquista. Nel ’78 il nostro gruppo è riuscito ad imporre questo servizio ad una amministrazione comunale reticente. Si diceva: siete in pochi, il servizio è
un lusso. Poi si è dimostrato che
il servizio era una necessità ed
ora gli utenti settimanali sono
45. Da quando è passato all’USSL
44 il servizio è vissuto nella precarietà: assunzioni di tre mesi in
tre mesi della fisioterapista, nessuna programmazione dei servizi.
Così dopo alcuni anni di incertezza, ia fisioterapista ha preferito dimettersi. E non è più stata
sostituita ».
« Siamo perciò costretti a ricorrere al privato, ad un istituto
pinerolese — dice una madre —
e dobbiamo pagare 25.000 lire
per seduta. Ci sono bambini che
debbono fare 3/4 sedute settimanali ». Nonostante le ripetute richieste gli amministratori delrUSSL 44 non sembrano voler
risolvere il problema. « E’ previsto un concorso per l’assunzione di un fisioterapista alla fine
di agosto » dicono.
Ma i bambini che hanno onesta necessità, non possono aspettare, pena la loro regressione
che in qualche caso può essere
irreparabile. Ci sono le leggi della burocrazia e le leggi della vita. Per l’USSL 44 prevalgono
certamente le prime. Intanto c’è
chi lucra sulla necessità di cure e
sviluppa la sua attività privata.
Chi non può pagare si metta da
parte ed aspetti che la burocrazia faccia il suo corso: « dopo le
ferie ». Ma la riforma sanitaria
non doveva garantire a tutti le
cure necessarie? Sì, però questo
non succede a Pinerolo.
Giorgio GardioI
Amnesty International
NeH’ambito della Rassegna Culturale Torrese. Amnesty International organizza una manife.stazione pubblica a
Torre Pellice. Dal 9 al 15 luglio nei
locali del Collegio Valdese, via Beckwith 1, verrà esposta una Mostra e .si
raccoglieranno le firme a favore di prigionieri per motivi di opinione e contro la tortura. Orario di apertura:
16-19; 20,30-22,30.
Giovedì 12 luglio, alle ore 21. iiell’aula sinodale, via Beckwith 4, il magistrato dott. Amos Pignatelli terrà una
conferenza su « I diritti dell’uomo ».
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7
6 luglio 1984
cronaca delleYalli 7
i
Lettere all'Eco delle Valli
ANCORA SULLA
MATERNA DI TORRE
Egregio Direttore,
un anno fa a quest’ora partecipai
a una riunione di genitori i cui figli
erano in vìa di inserimento nella
scuola materna. Vi era il direttore didattico Eynard con alcune insegnanti.
L'atmosfera mi parve rilassata e quasi cordiale.
Furono da parte nostra espresse
critiche, formulate domande, enunciati desideri.
Con l’arrivo dei bamhini delle scuole Bouissa (c’erano anche alcuni loro
genitori) ci pareva che gli angus*ti seminterrati in dotazione avrebl>ero almeno dovuto arricchirsi permanente(inente del salone comunale. Facevamo
notare, inoltre, nella rete di cinta, un
laico da cui poteva uscire un bambino,
sc^gnalavamo rotture negli attrezza del
niiniscolo a parco giochi » e chiedevamo con urgenza rinstallazionc di un
telefono anche solo a gettoni. Gi fu risposto che tutto era stato da tempo segnalato a chi di dovere e che comuncpie si sarebbe prontamente provveduto a sollecitare.
A settembre nulla. Come sempre succede. chi si lamenta è chi ancora non
ha fatto Fabitudine, il nuovo. Sta dì
fatto che i genitori che si erano ritrovati in estate cominciarono a sentire la
e^iirenza di chiarimenti. Ai vecchi problemi insoluti si aggiungevano quelli
del cibo (volevamo e tuttora vorremmo
sapere, ad esempio, quale olio venga
usato, quanto sale ecc.) e delle sedie a
sdraio giudicate poco sicure e poco
iiTìeniche... L’atmosfera si fece tesa.
Riuscimmo a strappare un’assemblea
{che non credevo andasse contata perolié convocata da noi) in cui nulla fu
chiarito. Ne segui una seconda che il
direttore definì illegale ma a cui partecipò perché quasi costretto. Egli esordi dicendo di non essere tenuto a presenziare in quanto aveva già completato il monte ore mensili e alla prima
frase sgradita se ne andò sbattendo la
]volta. (Anche questa assemblea credevo non fosse da contare).
Per farla breve : è passato un anno
e tutto è allo stesso punto. Il telefono
non c‘è (altro che norme di sicurezza!),
gii attrezzi sono ormai inutilizzabili, dal
buco nella rete può quasi passare un
cavallo. Il terriccio che volevamo c< verde n è stato trasformato in un lastricato dì cemento sudicio (per fortuna ogni
tanto raffiche di Phon spazzano la valle a 80 Km/h) abbellito da copertoni
di auto usate. Il salone comunale è
sempre part-time, ha prese pericolose
ed c sempre squallido.
Non ho una laurea in Pedagogia ma
sono certa che come ambiente fisico
non corrisponda ai canoni suggeriti da
Maria Montessori.
Anch’io, dopo che mia figlia ha terminato il suo primo anno, mi sento
c(>me Andrea Salusso insoddisfatta e
pure in colpa per non aver insistito nella battaglia.
A me. come a lui, credo, stanno a
cuore i bambini, i miei e quelli degli
altri, non la polemica, specie quando
e così poco divertente. I bambini, però, non il bambino astratto e ideale
che si studia sui libri e che non esiste. Il bambino reale è fatto, specie
quando è piccino, cibo, dì sonno,
di mani sporche, di pianti, dì pipi addosso, di bisogno di affetto e di comprensione, in primo luogo. DOPO vengono i programmi, la didattica, l’ap™
prendimento e l’alfabeto. Le due uniche cose che invece il direttore ripete
di continuo sono che la materna è una
scuola e che le maestre sono insegnanti.
Si sa che per i genitori i figli sono
bambini andhe quando ormai sono vecchi. Mi pare però che se c’è un periodo in cui essi vadano tollerati e ascoltati anche se sono un po’ « chiocce » è
proprio quando i figli hanno un’età
inferiore a quella definita usualmente
scolare. Se anche gli organi collegiali
non lo contemplano, un direttore che
ci tiene a un buon rapporto con gli
adulti e a un felice inserimento dei piccini, dovrebbe conoedere spazi magari
non ufficiali in cui ai genitori paia di
contare un pochino. Le loro idee non
sono per forza sempre sbagliate : qualche genitore a volte sa anche leggere
e scrivere.
Erica Scroppo, Torre Pellice
Gentile direttore,
siamo un gruppo di genitori della
Scuola Materna di Torre Pellice e vorremmo approfittare ancora dello spazio
che il Suo giornale ci offre. Comprendiamo come il professor Eynard non
abbia voluto — visti d toni della lettera — rispondere ai molti quesiti posti dal Signor Salusso e che non la
polemica, ma il bambino dev’essere
l’obbiettivo. Questo vale soprattutto
per noi perché questo bambino è nostro figlio.
Siamo coscienti Che il compito es
senziale della scuola è la didattica —
che peraltro ci pare venga svolta con
serietà e competenza — ma crediamo
anche che spazi, ambiente, alimentazione e rapporto quotidiano col bambino, in una scuola materna non possano
essere messi in secondo piano, anzi, siano parte integrante della didattica
stessa. Ed è sotto questo aspetto che
sentiamo maggior disagio. E’ vero,
sono i problemi generali della scuola
italiana, ma lo sono anche di questa
in particolare; e questo ci preme sottolinearlo perché è anche a partire da
questa scuola ohe noi possiamo cominciare a modificare qualcosa.
Siamo convinti che molti degli
equivoci sorti in quest’anno scolastico
abbiano origine proprio dalla mancanza di un dialogo più costruttivo tra
genitori ed operatori, scuola e comune. Su questo crediamo sarebbe utile
lavorare negli anni a venire e non in
contrasto con la regolamentazione della
scuola di stato, ma col concorso del
buonsenso, del rispetto e della fiducia
reciproca. A tal proposito come genitori riteniamo importante che si arrivi a collaborare in modo fattivo per
evitare che al termine di un anno di
lavoro emergano delle incomprensioni.
Con questo spìrito e su questi temi
sarebbe utile avere un incontro all’inizio dell’anno per -saper trarre stimolo
da una polemica che altrimenti risulterebbe inutile.
Ringraziando per Tospìtalità
Fera Odino, Patrizia Tourn, Susy Bertalot, Myriam Bein, Buzzi Giancarlo, Fiammetta Gullo,
Morel Claudio, Ricca Lidia, Arnoulet Carlo, Marinella Granerò.
Con la pubblicazione di queste lettere consideriamo chiusa per quanto ci
riguarda la polemica, auspicando che
il dialogo venga ripreso nelle sedi istituzionalmente preposte.
Pro Asilo dei Vecchi
di San Germano
Le offerte per IL FONDO DI SOLIDARIETÀ' sono quelle che da
sempre giungono all'Asilo e servono per coprire II costo delle rette
per coloro che non sono in grado
di pagarle interamente e non hanno parenti che li possano aiutare.
Altre volte sono utilizzate per
acquisti specifici su richiesta dei
donatori.
L’Asilo ha sempre utilizzato questi doni per la gestione ordinaria.
Le offerte per LA RISTRUTTURAZIONE non entrano nella gestione
ordinaria, ma vengono accantonate
per le spese della nuova costruzione.
Si prega quindi di specificare la
destinazione delle offerte.
Per il Fondo di solidarietà: c/c
postale n. 11037108.
Per la Ristrutturazione: c/cn.11426
- Istituto Bancario S. Paolo di Pinerolo.
FONEK) DI SOLIDARIETÀ'
Mesi dì marzo, aprile e maggio
L. 2.000.000: Unione Femminile, S.
Germano (acquisto carrello scaldavivande e asciugamani).
L. 500.000: N. N., Perrero.
i. 220.000: Unione Femminile Villar
Perosa (acquisto schedario).
L. 150.000: Chiesa Evangelica di Calosso (AT).
L. 100.000: Giraud Miranda; Graziella e Valdo, in memoria dei loro cari,
Pinerolo; Ida e Amalia Ruffino, in memoria di Angiolina ved. Costantin, Coazze.
L. 85.000: I nipoti Pontet, Comba,
Sappei, Geminatti, in memoria di Paolo Comba, S. Germano.
L. 80.000: Orazio, Rossana, Loretta,
Loredana, Elio, ricordando Granpapà,
S. Germano.
L. 55.000: I condomini delle "Betulle", in mem, di Remigio Roccione, S.
Germano.
L. 50.000: Elsa Salma e Giulietta, in
mem. delio zio Giulio Coucourde, Pinerolo; Chiesa Evangelica dei Fratelli,
Collegno; Paschetto Gino e Giulia, S.
Secondo; Ditta CORCOS, in mem. di
Martinat Carlo; L.A.N. Rostan, ricordando le sorelle e i fratelli; Charrier
Dina; Grindatto Renato; Ada e Aldo
Griot, in mem. di Barba Milu da S.
Germano; Castorirro Anna, in mem. di
Paolo, Roma.
L. 40.000: Fiorella, in mem. di Renato
Vola, Pinerolo; Maria Martinat Berta
lot, in mem. del marito, Torino; I nonni, papà, mamma e frate! lo, per la confermazione di Alessandro Maurino; Cognati e cognate, in mem. di Rostan
Francesco, S. Germano.
L. 30.000; Travers Emma e Silvio,
Pramollo; Beux Silvio e signora; i genitori per confermazione di Long iRenzo; gli amici, in mem. di Long Ermanno, S. Germano; Murialdo Vincenzina,
Vado Ligure.
L. 25.500: Colletta del 17.4 al quartiere Gianassoni, S. Germano.
L. 25.000: Eli e Maddalena, ricordando l'anziano Emilio Cardon, Pinerolo;
Micol Ernesto, Massello.
L. 20.000: GardioI Ada Vicino; Attilia Fornerone GardioI, da S. Secondo;
Maria Armasini, Vado Ligure; Longo
Pietro e Anna, in mem. del past. Rostan, Pinerolo; Giraud Giovanni, Emma, Claudio, per la confermazione di
Stallé Luisa; Margherita Jahier e Clementina, per la festa delia mamma;
il marito, ricordando Liliana Griot; Ida
e Vera Durand, ricordando il loro caro; ia madrina, per la confermazione di
Long Renzo, da S. Germano.
L. 15.000: N. N.; N. N.; Céline, ricordando Silvano 3.3.82/3.3.84; Obiaiero
Carlo e Elena, ricordando tutti i nostri
cari; i genitori in occasione della nascita di Davide, da S. Germano.
L. 10.000: N. N.; N. N.; D.B.L., ri
cordando il padre, Pinerolo; Marina e
Elenà, ricordando zia Olga; Niki per la
nascita del fratello; Bosio Lina ved.
Bourrous, da S. Germano.
L. 5.000: Bounous Eglantlne; una
mamma: Signore benedici e proteggi
mio figlio, da S. Germano.
PER LA RISTRUTTURAZIONE
I nominativi con l’asterisco (=i-) hanno assunto l’impegno per 1 milione.
L. 2.000.000: Ida Poèt Jahier per desiderio espresso dalla cugina Poèt Genre Elvira, Pomaretto.
L. 1.000.000: Mary e Anita Long, per
riconoscenza al Signore; Dau Olga;
Long Walter e Irene, ricordando i nostri genitori; Tron Enzo e signora; Ribet Andrea; Famigiia Bertalot Giovanni; Unione Femminile; Bertalot Alberto
e Albertina, da San Germano; Long
Ernestina ved. Long, in memoria del
marito, Pramollo; la moglie, i figli con
amici di Ivrea e Pinerolo ricordando
il past. Ermanno Rostan; Garrou Silvio,
in memoria dei miei cari; coniugi N. N.,
riconoscenti a Dio; N. N., da Pomaretto.
L. 500.000: Melchiori Eugenia ved.
Peyronel; Baret Alfredo e Mary, S.
Germano.
L. 300.000: Ribet Federico e Anita (*)
S. Germano.
L. 250.000; Due amiche dell’Asilo,
riconoscenti al Signore (*); Griot Aldo {*), S. Germano.
L. 200.000; Balmas ilda ved. Zaninetti e Lorenzo, in mem. del marito e padre, S. Germano.
L. 100.000: Lisely, in mem. di Ferruccio; Gibert Jean e sorelle, in mem. di
Adolfo, S. Giov. di Bellagio; Peyrot
Lidia, Perrero; Ugo e Lidia Bounous;
Lillina Bert, S. Germano; Long Umberto, Inverso Pinasca.
L. 71.700: Colletta Riun. quart. Bert,
2,5.84, S. Germano.
L. 60.500: Catecumeni 4” anno, Pomaretto.
L. 50.000: Lageard Bleynat Martina,
Pomaretto.
L. 40.000: Ida Bounous, ricordando
Renzo e Grampa, S. Germano.
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1. 10.000: Sappei Iris, ricordando la
mia cara Marraine; la figlia e il genero alla cara memoria di Emilio Bleynat,
S. Germano.
Totale al 31.5.84 L.17.953.900 — Totale precedente 5.007.670 — Totale L.
22.961.570.
Per altri Impegni sottoscritti, ma non
ancora versati L. 7.700.000.
RINGRAZIAMENTO
« Venite a me voi tutti che
siete travagliati ed aggravati
ed Io vi darò riposo ».
(Matteo 11: 28)
NeR’impossibiilità di farlo singolaiv
mente d familiari del Compianto
Romano Celegato
ringraziano sentitamente tutti coloro
ohe con la presenza, scritti, fieri e
parole di eonforto, hanno preso parte al loro grande dolore.
Un particolare ringraziamento al
Dott. Varalda, a tutte le infermiere,
al pastore Coìsson Renato, ai reparto
anestesiología dell’Ospedale Molinette
di Torino, ai vicini di casa, ai coscritti, ed alla Banda Musicale eh Inverso
, Pinasca.
Inverso Pinasca, 10 giugno 1984.
RINGRAZIAMENTO
« Io ho combattuto il buon com^
battimento, ho finito la corsa, ho serbato la fede ».
(Il Timoteo 3: 7).
Il figlio della compianta
Anna Maria Parisa (Mary)
ved. Fornerone
di anni 88
commosso e riconoscente per la grande
dimostrazione di affetto e simpatia
manifestata in occasione della dipartenza della sua cara, sentitamente ringrazia tutti coloro che con la presenza
o scritti gli sono stati vicini nella trìr
ste circostanza.
Un ringraziamento particolare al pastore C. Tourn, ai vicini di casa, parenti, amici, ai medici curanti e a tutto il personale dell’Ospedale Cottolengo di Pinerolo.
Prarostino, 11 giugno 1984.
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Guardia Medica :
Notturna, prefestiva, festiva: telefono 74464 (Ospedale Civile).
Ambulanza :
Croce Verde Pinerolo; 22664.
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Guardia Medica :
Notturna: tei. 932433 (Ospedale Valdese).
Prefestiva-festiva: tei. 90884 (Ospedale Mauriziano).
Guardia Farmaceutica :
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CALETTO ■ Via Roma 7 - Telefono
909031.
Ambulanza :
Croce Rossa Torre Pellice: telefono 91.996.
8
8 crofláca ddle\klli
6 luglio 1984
TAVOLA ROTONDA SULLA PACE A TORRE RELUCE
Incoerenze di ieri
e impegno di oggi
Nell’ambito delle manifestazioni per la pace organizzate dalla
commissione a ciò delegata dalla
Chiesa valdese di Torre Pellice,
si è svolta sabato sera 23 giugno
la preannunciata tavola rotonda
cui hanno partecipato — alla
presenza di un pubblico abbastanza numeroso — la prof.ssa
Ada Alessandrini di Roma, esponente del movimento « Donne
per la pace » e dell’U.D.I. ; il sacerdote cattolico Vittorio Morero di Pinerolo ed il pastore Valdo Benecchi della Chiesa evangelica di Milano. « Moderatore »
il pastore Giorgio Tourn. Come
pontributo al dibaittito che le
Chiese tengono su questo argomento, annotiamo schematicamente alcuni passi fra i più significativi dei singoli interventi.
Alessandrini — La lotta per
la pace ha avuto i suoi inizi —
anche se poco conosciuti e ricordati — sin daH’immediato ultimo dopoguerra. Il movimento
« partigiani della pace » voleva
dare uno spirito di continuità
alla lotta di liberazione portandola sul piano della pacificazione e della convivenza fra i popoli. Di fronte ai « cinque grandi » e cioè alle potenze uscite vittoriose dalla ^erra (includendovi la Cina) i popoli, e specie
i giovani vennero definiti dal
movimento per la pace « la sesta
potenza mondiale » per indicare
che devono essere loro i protagonisti reali per il raggiimgimento della pace. Contemporaneamente anche i credenti, col movimento « cristiani per la pace »
vollero affermare la necessità
dell’impegno religioso oltre che
politico.
Lo « ieri » della Chiesa per
contro è stato piuttosto negativo: a parte le alleanze Chiesa/
Potere in occasione delle guerre,
si pensi alle Crociate ed alle
guerre di religione, all’interno
dello stesso cristianesimo. Ora
vi è qualche segno di mutamen
to anche al vertice, sia nei discorsi del pontefice romano, come pure nella sua dichiarazione
«pacificatrice» nei confronti di
Galileo.
Murerò — La Chiesa è piena
di contraddizioni, e noi ci viviamo dentro. Da una parte, ad
esempio, vi è l’opera umanitaria
e sociale delle missioni del Terzo Mondo e nello stesso tempo
le guerre coloniali sono state
considerate come avamposto della « civiltà cristiana ». La Chiesa da un lato parla di pace, ma
dairaitro ha educato alla guerra. Il messaggio di pace dell’Evangelo è chiarissimo, ma si infrange sul muro della contraddizione del suo non accoglimento. Oltre a queste contraddizioni, due reali difficoltà dividono
le Chiese sulla tematica della
pace. Innanzi tutto, molti credenti si chiedono come si può
realizzare una incondizionata
prassi pacifista quando allo stesso tempo si prospetta il dovere
di difendersi (ma è stato detto:
« Vi mando come pecore in mezzo ai lupi»...). Secondariamente, vi è ima grande mancanza di
fede. Si dice: la pace è impossibile, la giustizia è utopìa. Non
ci si lascia coinvolgere dal messaggio di Cristo e non si crede
nella potenza del Regno. Però,
migliaia di giovani ogni anno
scelgono di non più esercitarsi
nell’arte della guerra preferendo
un servizio civile.
Benecchi — Senza dubbio il
bilancio, sin qui, non è confortante: occorre che la Chiesa parta da un profondo senso di autocritica e da una confessione
di peccato. Il Sinodo valdo-metodista del 1982 ha fatto preciso
riferimento al « colpevole ritardo per non aver testimoniato
con sufficiente fermezza contro
l’aberrante politica degli armamenti ». La Chiesa ed i credenti
sono ora in una fase di apprendistato e di ricerca, di cui alcu
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,^meopati§^
ni aspetti e indicazioni potrebbero essere i seguenti:
— Il rifiuto delle armi non
può solo derivare da una legittima paura o da ragioni morali- o
politiche, ma deve essere un’occasione di predicazione, come ad
es. è avvenuto per l’appello del
Sinodo al presidente Craxi.
— Per richiamarsi alla pace,
occorre riferirsi al « shalom »
dell’A.T. che esprime tutta la
pienezza della vita, il senso della libertà, quello della verità. E’
la parola che deve avviare il progetto di un mondo nuovo.
— Non vi può essere pace senza giustizia. Occorre abolire la
fame, il saccheggio del Terzo
Mondo, il divario Nord/Sud.
— Mentre nella politica degli
armamenti la « difesa » è sicurezza, il credente non può seguire questa logica, ma deve opporre la visione di nuovi cieli e nuova terra. Occorre essere fedeli al
Cristo anche disobbedendo agli
uomini. Bonhoeffer ha pregato
per la disfatta del proprio paese e don Milani ha detto che
l’obbedienza non è più una
virtù.
— Il problema dell’educazione
alla pace è uno dei più difficili e
complessi a causa della cultura
di guerra in cui siamo immersi:
bisogna attuarlo nel mondo più
efficace possibile. In questo campo il ruolo delle Chiese e della
scuola sono di estrema importanza.
COMUNITÀ’ MONTANA VAL PELLICE
U.S.S.L.43
Sede: TORRE PELLICE, P.zza Muston, 3 - Tel. 91514 - 91836
AVVISO PUBBLICO
E’ indetto avviso pubblico per il conferimento
di incarichi temporanei per la copertura di
— 1 posto di Collaboratore Amministrativo.
— 3 posti di Infermiere Professionale per il Servizio
di Salute Mentale.
Gli incarichi non potranno superare il periodo
massimo di mesi sei.
La domanda, in carta legale, dovrà pervenire alrUfficio Personale dell’Unità Socio Sanitaria Locale
n. 43 - Piazza Muston, 3 - Torre Pellice:
— Per il posto di Collaboratore Amministratwo entro le ore 12,00 del 16" giorno successivo alla
data di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale;
— Per i 3 posti di Infermiere Professionale entro
le ore 12,00 del 30° giorno successivo alla data di
pubblicazione sul Bollettino Ufficiale.
Per ogni altra informazione rivolgersi all’Ufficio Personale della USSL n. 43 - Piazza Muston, 3 Torre Pellice - Tel. 0121/91514 - 91836.
IL PRESIDENTE
(Coisson Prof.ssa Franca)
r. p.
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Via S. Secondo, 38 - PINEROLO - Tel. (0121) 201712
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Italiana 00195 ROMA. Viale Mazzini 146
Telefoni 06/38.08.98-06/38.94,03.
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