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In caso di mancato recapito
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SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI
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venerdì 18 FEBBRAIO 1994
ANNO 2 - NUMERO 7
L'INTERVENTO MILITARE IN BOSNIA
SPADE
0 ARATRI?
GIANNA URIZIO
In questi giorni si discute
sull’utilità o meno di un
intervento nell’ex Jugoslavia.
La comunità internazionale
con un ultimatum ha minacciato un intervento se serbi e
musulmani non allontaneranno le batterie di cannoni da
Sarajevo. A prescindere da
questo ultimatum, si sta facendo sempre più forte e
convinto il partito di chi vuole un intervento armato, risolutore del conflitto. Io penso
che questa sia un’ipotesi
aberrante e non solo per il rischio di un’eventuale terza
juerra mondiale ma perché
significa acconsentire, ad un
livello più ampio, alla stessa
che ha spinto tanta poaiijolazione dell’ex Jugoslavia
¡hà entrare in prima persona
nel conflitto. Significa cadere nel gioco della polarizzazione che in questi due anni
di guerra è stato voluto e
provocato da chi detiene il
potere nei vari paesi dell’ex
Jugoslavia.
Proverò a dire il perché.
Dietro la guerra nell’ex Jugoslavia c’è una dura politica
etnica portata avanti con determinazione e cinismo da chi
oggi detiene i potere tra le var rie nazionalità del territorio e
sta cercando di leggittimarlo
e rafforzarlo. Se si ripercorrono i vari tentativi di mediazione internazionale, questi
sono preceduti o accompagnati da stragi o da comportamenti aberranti che suscitano
sia all’intemo che all’estemo
sentimenti di orrore e di odio.
Come le varie popolazioni
della Bosnia non sanno perché la stanno combattendo,
così buona parte dell’opinione pubblica internazionale
non sa perché è scoppiata
questa guerra, ma oggi si è
convinta di sapere perché
vuole che si intervenga con le
armi per farla smettere.
Mi chiedo perché un intervento occidentale armato dovrebbe avere un altro valore;
debba essere giustificato, rispetto a quella del bosniaco
che ha preso le armi per difendere la sua gente o del
serbo che ha accettato di
combattere perché convinto
di difendere la possibilità di
vivere sulla sua terra? Non
seguiremmo in questo caso
anche noi la stessa logica che
infiamma già questa guerra?
Oppure ci lasciamo tranquillizzare dall’asetticità di un
intervento aereo solo perché
forse i media, di nuovo come
per la guerra del Golfo, ci farebbero vedere gli aerei che
decollano e le loro tracce sui
monitor e non i corpi dei
morti?
Perché non trova spazio la
ricerca di altre vie? Ad esempio perché i mass media invece di giocare a polarizzare
le parti, nel vano tentativo di
indicare i buoni e i cattivi.
non mettono in discussione le
leadership dei vari gruppi in
guerra? Perché la comunità
internazionale riconoscendo
la sua impotenza, non cerca
un modo per ammettere al tavolo della trattativa organismi come il Croatian Helsinki Committee for Human
Rights, o esponenti di gruppi
che tra serbi, croati e musulmani si battono per una riconciliazione e propongono
una riconciliazione che vada
avanti villaggio per villaggio? Possibile che la «soluzione realista» prefiguri o ulteriori morti (nel caso di un
intervento armato) o una soluzione già in partenza instabile come la divisione della
Bosnia in tre aree, quando
tutti sanno che la popolazione viveva a pelle di leopardo
sul territorio? Inoltre, è sicuro che si sia davvero fatto
tutto il possibile per bloccare
il traffico di armi?
Allora mi viene il dubbio
che anche per gli organismi
internazionali la partita nell’
ex Jugoslavia sia più complessa e riguardi l’assetto di
tutti i paesi dell’Est, e con
l’ex Jugoslavia si voglia porre un’ipoteca per la loro futura area di appartenenza politica e economica. Insomma,
nonostante che oggi sembri
pazzia o per lo meno ingenuo
proporre di lavorare per trasformare gli archi e frecce in
roncole e aratri, probabilmente è davvero l’unica cosa
ragionevole da fare.
La strada di Abramo è stata l'obbedienza a Dio, non la rassegnazione
Etica per la gioia^ speranza per la prova
CLAUDIO PASQUET
«Avvenne che Dio provò Abrahamo e
gli disse: “Abrahamoi ” Ed egli rispose:
“Eccomi”. E Dio disse: “Prendi ora il
tuo figliolo, il tuo unico, colui che ami,
Isacco, e vattene nel paese di Moriah, e
offrilo quivi in olocausto... ”»
(Genesi 22, 1-13)
V
E un testo di antica origine, riletto, riscritto, reinterpretato nella storia di
Israele e della chiesa. C’è chi vi scorge
un racconto più antico in cui Abramo
prende coscienza poco a poco che il suo
Dio è diverso dagli dei. Abramo pensa
in un primo momento di adattarsi alla
mentalità di chi gli sta intorno e di sacrificare anch’egli il suo primogenito,
come fanno i popoli pagani che lo circondano.
Perché è difficile non adattarsi alla
mentalità di chi ci sta intorno? Il fatto
che «Tangentopoli» abbia toccato anche
persone e ideologie, inizialmente sospinte da nobili ideali, ce lo dimostra
chiaramente. Per noi la strada da percorrere non può che passare dal Signore,
fondamento di un’etica basata sul servizio. Dobbiamo tornare a predicare al
nostro paese e alle nostre chiese; perché
la diversità ci può essere rivelata solo da
lui (o da Gesù, che per noi sostituisce
«l’angelo dell’Eterno» che parla ad
Abramo); non ci si arriva da soli. Da soli al massimo distinguiamo tra la moralità di chi ruba per sé o di chi ruba per il
partito. Ma c’è un secondo racconto, più
recente, quello definitivo che leggiamo
nella Bibbia; quello della prova della fede di Abramo.
La prova : è una dimensione che non
ci piace perché contrasta con la nostra
fede in un Dio d’amore e di libertà. Eppure, anche se non ci piace e addirittura
ci spaventa l’idea che Dio potrebbe essere dietro il male che ci colpisce, non
possiamo ignorare il fatto che la vita ci
riserva momenti di prova. Che cosa fare? Anche se ci ribelliamo a Dio, non
eliminiamo la prova. Tutt’al più sfoghiamo solo la nostra rabbia.
Possiamo dire che Dio ci manda la
prova. Ma non è una regola valida sempre e per tutti; né può essere proposta
come interpretazione a chi si trova nel
mezzo della prova. Ma possiamo anche
vivere il male che ci capita rimanendo
all’ascolto di Dio e ricercare il suo aiuto
nei momenti negativi della nostra esi
stenza. Questa è la strada di Abramo:
obbedienza a Dio, ma non rassegnazione al male; fiducia in Dio (Iddio provvederà l’agnello per l’olocausto, versetto 8), ma anche rispetto della libertà
dell’Eterno.
Perché si tratta dell’unica strada percorribile? Perché al fondo di essa scopriamo un Dio diverso: non un dio sanguinario che chiede sangue, ma all’opposto un Dio d’amore che versa il suo
sangue, come ci ricorda la santa cena.
Si tratta comunque di un Dio libero,
che si cura della nostra libertà, ma del
quale ognuno di noi, uomo o donna credente, deve rispettare la libertà; anche
quella di imporre momenti difficili. Momenti nei quali si può essere confusi,
così come confuso era Abramo mentre
saliva sul monte Moriah, e non si sa se
parlare di prova, di sfortuna o di disgrazia. Ma se non riconosciamo questa libertà a Dio, difficilmente possiamo capire la sua opera di liberazione.
Riscoprire Dio è riscoprire un’etica
per i momenti della gioia, una speranza
per i momenti della prova, la salvezza
quando non c’è più speranza; ma prima
di tutto riscoprire la sua libertà di azione
anche nella nostra esistenza.
Ecumenismo
Programma
comune per
gli immigrati
Padre Bruno Mioli (direttore per l’immigrazione della
«Fondazione migrantes» della Conferenza episcopale).
Paolo Naso (Federazione delle chiese evangeliche in Italia) e mons. Giuseppe Pasini
(direttore della Caritas italiana) hanno presentato, l’il
febbraio a Roma, il «Messaggio ecumenico sull’immigrazione», appello comune di
cattolici ed evangelici sulla
situazione degli immigrati in
Italia. «Il Messaggio ecumenico - ha spiegato padre
Mioli - è fratto della comune
riflessione di 10 gruppi di
area cattolica e evangelica
(Servizio migranti Fcei, Opera sociale avventista, Ywca)
che hanno lavorato in accordo con le rispettive chiese».
E Paolo Naso ha rilevato che
«siamo di fronte a un evento
ecumenico significativo perché è la prima volta che in
Italia le diverse chiese prendono insieme posizione su un
problema sociale. In un momento di stasi dell’ecumenismo si tratta di un segnale
positivo».
Con il messaggio, fondato
sul richiamo biblico a operare
per la giustizia, le chiese intendono suscitare la riflessione sui gravi disagi che molti
immigrati devono affrontare
nel nostro paese, anche a causa delle disfunzioni create da
una carente gestione politica
del fenomeno immigrazione.
Il messaggio contiene alcune
proposte fra cui l’individuazione di meccanismi che favoriscano un adeguato incontro tra domanda e offerta di
lavoro; una regolarizzazione
degli immigrati irregolari già
inseriti nel mercato del lavoro; la regolamentazione del
lavoro stagionale.
(Nel prossimo numero pubblicheremo il testo integrale del
messaggio)
Un caso di «eresia»?
pagina 3
All’Ascolto
La «legge» di Dio
e il diritto del debole
pagina 6
Guerra e odio
nei Balcani
pagina 12
2
PAG. 2
RIFORMA
Ecumene
venerdì 18 FEBBRAIO
l^VENEl
Intervista a Marga Buhrig, una grande femminista del protestantesimo svizzero
«Le donne hanno qualcosa da dire e da fare
ma gli uomini non le prendono sul serio»
Marga Bührig, svizzera tedesca, non è molto nota in
Svizzera romanda dove i suoi
libri «femministi» non sono
stati tradotti: Die unsichtbare
Frau und der Gott der Väter
(La donna invisibile e il Dio
dei padri), Spät habe ich gelernt, gern eine Frau zu sein
(Ho imparato tardi ad apprezzare di essere una donna).
Marga Bührig rappresenta per
il protestantesimo svizzero
ciò che Ruth Dreifuss rappresenta per la politica: una speranza di cambiare le cose portando una riflessione femminile. Il suo pensiero colpisce
per la sua solidità e la sua
chiarezza: «Le donne hanno
qualcosa da dire e da fare, ma
gli uomini non le prendono
sul serio, neanche oggi». All’età della pensione, dopo una
vita molto piena come insegnante, giornalista, conferenziera, le è stato chiesto di essere copresidente del Consiglio ecumenico delle chiese
(Cec) dal 1983 al 1991. Oggi,
a 78 anni, sta scrivendo un libro autobiografico.
- A che punto è la situazione della donna nella chiesa
oggi?
«Da molto tempo le donne
criticano la chiesa e chiedono
che le loro esperienze vengano prese sul serio, ma invano.
Esse sono sempre più scoraggiate, quindi abbandonano la
chiesa... Si sta verificando lo
stesso fenomeno che si verificò con il proletariato nell’
800, che anche in questo caso
la chiesa non prese sul serio.
(...) La chiesa ha paura dei
cambiamenti, ha paura di essere scossa nelle sue basi teologiche dalle donne, ha paura
che tutto l’edificio crolli, il
che forse non sarebbe un male
dopo tutto!» (...).
- Ma allora, che cosa pensa degli uomini?
«Da un punto di vista generale (ma ciò vale anche per gli
uomini di chiesa), ce ne sono
pochi che siano pronti a rimettersi in questione. Per loro
è una questione di potere e di
carriera: sono ancora impregnati di patriarcato, educati
(anche dalle donne!) ad essere
eroi solitari; vogliono fare le
cose da soli. Può darsi che
qualcosa cambi con la nuova
generazione; ancora oggi non
c’è una sola cattedra di teologia femminista nelle nostre
università svizzere: questo ha
dato luogo a discussioni molto dure, ma senza successo».
- Alcune teologhe femministe accusano il cristianesimo
a causa della sua forte impronta patriarcale; a quanto
ne so, il patriarcato è anteriore al cristianesimo. Che cosa
ne pensa?
«È vero, il patriarcato esisteva ben prima del cristianesimo e del giudaismo. Lo si
ritrova in Cina migliaia di anni fa, in America Latina presso gli Aztechi e altrove. Non
trovo figura più antipatriarcale di quella di Cristo e mi piace sempre riferirmi a Galati 3,
28: “Non c’è qui né Giudeo,
né Greco; non c’è né schiavo
né libero; non c’è maschio né
femmina; poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù’’. Mi
sembra che nel cristianesimo
ci sia tutto ciò che occorre per
superare il patriarcato, il dominio da parte degli uomini.
II patriarcato non è un’invenzione cristiana né giudaica.
Alle donne che vogliono uscire dalla chiesa a causa del patriarcato, chiedo; “Ma dove
volete andare? Il mondo in
cui viviamo è patriarcale’’».
- Donne del Terzo Mondo
Marga Bührig è stata copresidente dei Cec dai 1983 al 1991
mi hanno detto: «È il sistema
economico mondiale basato
sulla crescita continua e sul
profitto, e importato dall’Europa, che è la causa della distruzione delle risorse della
terra, del degrado della situazione della donna e dei
bambini della miseria». È
d’accordo?
«Sì, lo penso anch’io. La
nostra chiesa porta una pesante responsabilità per via del
“Dovete dominare tutta la terra’’, che è stato male interpretato: in realtà si tratta di prendere la terra in gestione. D’altra parte, eccetto qualche
buon libro, le chiese protestanti e cattolica non hanno
saputo definire un’etica economica che parli della respon
sabilità globale in economia e
in politica: il profitto non è
una nozione biblica. Le chiese
hanno sempre posto l’accento
sulla responsabilità individuale. Non basta: quando la chiesa critica uomini d’affari,
questi fanno subito gli offesi.
L’unico problema che
preoccupa la chiesa è il numero dei suoi membri, le questioni di denaro, la sopravvivenza della chiesa stessa,
mentre si pongono questioni
di sopravvivenza dell’umanità! Occorre probabilmente
che le cose vadano ancora
peggio perché gli uomini di
chiesa capiscano finalmente
quali sono i veri problemi».,
- Che cosa fare per dare un
nuovo respiro alla chiesa?
«La chiesa deve allentare
le sue strutture rigide, deve
integrare i suoi movimenti di
base: movimenti di donne,
movimenti “Giustizia-pacesalvaguardia del creato”, movimento per la pace, movimento ecologico, le sue organizzazioni terzomondiali; tutte queste forze vive che possono rinnovarla, senza chiedere loro: “Siete battezzati,
siete membri di chiesa?” e
senza dire neanche: “Questi
non possono rappresentarci”.
È una questione d’avvenire
per la chiesa. Bisogna aprire
porte e finestre: quelli e quelle che conoscono il Terzo
Mondo e i suoi problemi di
sopravvivenza non sono più
pronti a inghiottire tutto ciò
che dicono i professori di
teologia».
- Che cosa pensa dello slogan della campagna ecumenica 1994: "Le donne plasmano il mondo" (in francese, "Le donne animano il
morulo”)?
«Non è vero che le donne
plasmano il mondo. È un’utopia, non è la realtà: sarebbe
bello se fosse così. Mi dà fastidio che sia stato scelto questo slogan che per me significa questo: “Ora che abbiamo
distrutto tutto, chiediamo aiuto alle donne!”. Certo, bisognerebbe condividere il potere religioso, politico ed economico, decidere insieme,
questo probabilmente cambierebbe il mondo: ma le donne
non sono state preparate per
questo! Bisogna quindi cominciare con l’insegnare loro
il funzionamento complesso
dell’economia, della politica e
dare loro vere responsabilità
perché possano poi portare il
loro contributo».
(Da Terre Nouvelle gennaio-febbraio ’94)
Vigorosa protesta del segretario generale, pastore Konrad Raiser
Il Cec non appoggia il Pkk curdo
Il segretario generale del
Consiglio ecumenico delle
chiese (Cec), Konrad Kaiser,
ha scritto il 16 dicembre scorso al patriarca ecumenico Bartolomeo e al patriarca armeno
Karekin II per respingere vigorosamente le insinuazioni apparse di recente sulla stampa turca - secondo le quali il
Cec appoggerebbe il movimento curdo Pkk. «Non abbiamo alcun contatto con il
Pkk, non gli abbiamo mai dato fondi e non abbiamo mai ricevuto denaro dalle chiese armena o greca per sostenere il
Pkk o altra organizzazione
politica», scrive Kaiser.
La controversia era iniziata
con un articolo pubblicato il
18 novembre ’93 sul grande
quotidiano turco Cumhuriyet
, che citava un rapporto dell’8
novembre, indirizzato dai servizi di sicurezza dello stato al
primo ministro turco, signora
Tansu Ciller. Il rapporto affermava che, sotto l’apparenza di aiuto umanitario, una
«unione di chiese» appoggiava gli sforzi dei separatisti
curdi in vista di ottenere uno
stato indipendente. Anche se
il giornale parlava di fondi di
chiese destinati al Pkk, il termine usato di solito per tradurre «Consiglio ecumenico
delle chiese» non appariva
nell’articolo.
Secondo Cumhuriyet, nel
rapporto dei servizi di sicurez
il
za, il Pkk viene presentato come un’organizzazione marxista-leninista che vuole fondare
«uno stato curdo indipendente, democratico unito» a partire dall’Iraq, dalla Siria, dall’Iran e dalla Turchia, preparando i curdi a un «modo di
vita comunista» e armandoli
per la guerra civile contro le
forze governative nei quattro
paesi indicati. Secondo il rapporto, le azioni terroristiche
del Pkk hanno causato la morte di circa 3.700 membri delle
forze di sicurezza e di 4.600
civili. Nel campo del Pkk, ,
numero delle vittime ammon
terebbe a 4.400.
Le accuse mosse contro il
Cec e contro le due chiese ortodosse sono state riprese da
un altro giornale. Il patriarca
armeno Karekin ha informato
Konrad Kaiser che il quotidiano Yeni Gunaydin del 6 dicembre ha accusato le chiese
greca e armena di raccogliere
fondi per l’aiuto umanitario e
di mandarli al Cec, il quale li
avrebbe trasferiti al Pkk per
l’acquisto di armi. Successivamente il giornale, citando il
vicario incaricato degli affari
ecumenici presso il Patriarcato armeno, che aveva contestato il rapporto, lo ha qualificato «prete bugiardo».
Secondo il patriarca Karekin, questi articoli hanno
eccitato «gli ambienti che
vorrebbero screditare il cri
tianesimo», provocando una
grande preoccupazione fra le
comunità cristiane in Turchia,
il cui numero sta diminuendo.
Oltre il 98% della popolazione turca è musulmana. Konrad Kaiser ha sottolineato che
il Cec, tramite il Consiglio
delle chiese del Medio Oriente (Cerno), aveva aiutato a
fornire aiuto umanitario ai rifugiati dell’Iraq dopo la guerra del Golfo, e che questo era
stato fatto «informando pienamente il governo turco e
con la cooperazione della
Mezzaluna Rossa turca».
Konrad Kaiser ha ricordato
che «in quanto organismo che
cerca di alleviare le sofferenze umane ovunque si manifestano, abbiamo volentieri fornito l’aiuto umanitario a coloro che ne avevano disperatamente bisogno. In altre occasioni, abbiamo agito allo stesso modo in Turchia in seguito
a catastrofi naturali». Ha
inoltre aggiunto di sperare che
le informazioni contenute nella sua lettera avrebbero aiutato i due patriarchi a «convincere coloro che vi hanno accusato a torto» e che ciò che
viene menzionato nel rapporto
«non ha alcun legame con i
fatti. Il nostro compito e quello delle nostre chiese membro
non è di incoraggiare un conflitto armato, ma di essere artigiani di pace e agenti di riconciliazione». (Soepi)
Dal Mondo Cristianoup
No all'appartenenza religios^Ai
sulla carta di identità greca u»
STRASBURGO — Il presidente della Commissione ilT a
petizioni presso il Parlamento europeo, on. Rosy Bindi, ha1X->
municato che è stata esaminata la petizione promossa dallaisciato
zione italiana dell’Associazione internazionale per la dSciando
della libertà religiosa in collaborazione con il Dipartimei^Lrano s
gli Affari pubblici della Chiesa cristiana avventista del 7° ^tiinazic
no affinché venga abrogata una legge greca che obbli&uzion
menzione dell’appartenenza religiosa sulla carta di identi4pione i
Commissione delle petizioni ha dunque invitato la Comniisafcione
ne delle comunità europee a prendere posizione sui diff Jsanta (
aspetti del problema. La Commissione ha anche deciso di^collega
smettere tale petizione alla Commissione delle libertà pub^ Com
che e degli affari interni del Parlamento europeo. «Auspicpuo ter
mo che il governo della Grecia prenda a cuore questo probl^'93) Ju
e che vengano rispettati la Carta dei diritti dell’uomo, laCócotera]
venzione sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle lib^rienza
fondamentali, i Patti intemazionali relativi ai diritti econoi^fira stai
sociali e culturali e ai diritti civili e politici e tutte le norm^mento
garantiscono la libertà di religione e di convinzione. In unn^lella (
mento di particolari tensioni, auspichiamo che tutti i paesi del^^rUe
Comunità europea rispettino pienamente i diritti di liber^idiona
coscienza e di religione e, dimenticando il passato, siano ^nienti
senso un esempio all’umanità intera», ha detto il pastore Igi^onten
zio Barbascia della sezione italiana dell’Associazione P“
zinnale per la difesa della libertà religiosa. ' titolo «
Il signi
Giornata mondiale di preghiefi*?;
I II I femmii
delle donne «^^eia
tipico
PALESTINA — Ogni anno, la liturgia della Giornata P’’°
diale di preghiera viene preparata da donne cristiane di unp ^demo
se diverso. Per venerdì 4 marzo 1994 spetterà a sei donne p^d'emmii
stinesi, rappresentanti le Chiese luterana, episcopale, cattolijt's^’
melchita, armena, ortodossa-araba e anglicana. Il tema della!
turgia sarà: «Va’, guarda e agisci!». Le offerte raccolte
casione di questa giornata saranno devolute a un’opera dia
naie di Betania, «Four homes of mercy», che comprende
casa di riposo, una casa per handicappati, un orfanotro^ *^^'^*^^
una maternità. Queste quattro case sono state create tra il 1! ^^^ito
e il 1961 da una donna araba-cristiana, Katherin Siksì ^ P®^
L’opera fa capo alla Chiesa ortodossa e accoglie musuli
cristiani. È gestita interamente da donne.
Ungheria: nessun impedimei
per i cappellani militari
istruito
¡che ra
della g
chiesa
masch
perpeti
la viol
3 La figL
BUDAPEST — Le tre grosse chiese cristiane presenti inS^ °
gheria (cattolica, luterana e riformata) dal 1° gennaio 1994|
sono dedicarsi alla cura d’anime tra gli appartenenti allero
armate senza alcun impedimento. Secondo quanto ha dichial
ideoloj
il vescovo Bela Harmati della Chiesa evangelica luterana d’I
gheria, i rappresentanti delle tre chiese hanno firmato conilllj
■ -- - - - |:sa eva
nistero della Difesa un accordo che concede loro la massini4^ ^ /
bertà PIqIIq rloll’niifnr,,.»,.. loco V
-------azione. Dalla svolta politica dell’autunno 1989
d’anime presso i militari era possibile solo in casi particoli'Pj^-”*^
Preti e pastori incaricati espressamente dovevano chiederei
permesso speciale per accedere alle caserme. I militari di lew ? ^
gli ufficiali potevano assistere in uniforme alle funzioni relii ^ '
se. Grazie all’accordo raggiunto si possono ora tenere nelle
riviene ì
serme culti, studi biblici e incontri di altro genere. Le <luecli :^gj^j^|
se protestanti, che contano insieme circa 2 milioni e mezzi!
membri, hanno deciso di organizzare in comune questo collegi
zio affidandolo a 12 pastori, che dipenderanno dal ministfl |
della Difesa e da un vescovo militare, che sarà a turno dell’lì ^
o dell’altra chiesa. I vescovi hanno il grado di generale, i pasti
ri e i preti di ufficiale. Tutti porteranno l’uniforme.
Culti ecumenici
nella cappella di Jan Hus
Il pa
Pe
PRAGA — La famosa cappella di Jan Hus a Praga è tofli
recentemente ad essere la sede di regolari culti ecumeni
culti vengono tenuti a turno da rappresentanti delle tredici ctó
se che fanno parte del Consiglio ecumenico della RepubbS
ceca. La prima predicazione è stata tenuta dal presideOj
dell’Accademia cattolica di Praga, Thomas Halik, docente'
teologia e filosofia. Halik ha ricordato la «rivoluzione pacifit*
del 1989, affermando che questa svolta radicale è stata
della difesa coraggiosa della libertà di fede e di pensiero. Vi^
re nella libertà e nella verità è la base su cui i cristiani delle®
verse confessioni possono costruire nuove forme di collabo^
zione. La cappella di Hus, che fino ad ora era stata utilizi
solo per conferenze e concerti, è fra i monumenti più signifld
tivi, dal punto di vista storico e turistico, della città boema.
Innario luterano in slovacco
BRATISLAVA — La Chiesa evangelica slovacca di codf
sione augustana ha introdotto all’inizio dell’anno ecclesiaS«®
un nuovo libro dei cantici. Esso contiene per la prima volta s?
lo inni in slovacco e sostituisce il vecchio innario, in cecoJ
uso da oltre 50 anni e con inni in lingua ceca che risalgo®®*
primo ’800. Il nuovo libro di cantici, distribuito in tutto il P j
se, fra i circa 3(K).000 membri della chiesa, è stato adottato®
ficialmente durante un culto speciale a Bratislava, la prima ^
menica d’avvento. Erano presenti il vescovo generale
Uhorskai e i vescovi del distretto dell’est e di quello dell’o''^
C’erano anche rappresentanti delle chiese luterane di Germ®®
e di Finlandia, che hanno finanziato in buona parte il prog®®
L’introduzione del nuovo libro di cantici ha portato anche®
rinnovamento parziale della liturgia: questo fatto però no®
incontrato il consenso di tutti i membri di chiesa.
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ENERDl 18 FEBBRAIO 1994
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n caso clamoroso che ha destato grande scalpore in tutta la Germania
;io^?i\ccusata di «eresia» la pastora )utta Voss
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PAG. 3 RIFORMA
EMMANUELE PASCHETTO
lissione d^'l' a pastora luterana Jutta
Bindi, hjuVoss, di 51 anni, ha laossa dallajsciato il suo ministero rinunper la dif^ciando alle prerogative che le
'artimenteijèrano state conferite con l’or;a del 7° gjj^inazione, vale a dire la conte obbligj|tìuzione del culto, la predicali identi4i^ione pubblica, l’amministraì Cotnrtijji^ione del battesimo e della
sui diffeSanta Cena e le altre funzioni
deciso di scollegate con il suo ufficio,
ibertà pub|' Come avevamo riportato a
. «AuspicffBuo tempo (Riforma del 26-2isto probl|f93) Jutta Voss, pastora e psiomo, la Cgcoterapeuta con lunga espe2 delle libgi-ienza di lavoro in ospedale,
tti econoD^ra stata sottoposta a procedile normfJ^ento disciplinare da parte
ne. InutimPella Chiesa evangelica del
i i paesi ¡y Wiirttemberg (Germania medi libertm^^*®*’^**®^ insegna
n, siano ^ in particolare per il
pastore IgjContenuto del suo ultimo linone inwfc*'® pubblicato nel 1988, dal
Hitolo «Il tabù della luna nera:ill significato culturale del cifemminile».
La pastora Voss, teologa
: (femminista di punta, sostiene
(Che la Bibbia è un documento
. (tipico del potere patriarcale,
riornata proverebbe, fra l’altro, la
ne di un ¿¡«demonizzazione» del sangue
i donne ® «santificazio
ale, catto^^®^^ cjuello maschile, con
terna maschio uc
iccolte *''^**^ croce, il cui sangue
’opera garantire la vita
mpren(3 eterna. La Bibbia non sarebbe
rfanotroffi*^'^’^9^^ altro che uno struite tra il l|™ento per la «distruzione delerin SiM ^^ potenza femminile» comusui™ raccogliendo gli scritti
che rafforzavano il potere
della gerarchia maschile. La
I chiesa, guidata sempre da
maschi, l’avrebbe usata per
perpetuare l’emarginazione e
la violenza contro la donna.
La figura e la funzione di Cristo sono dunque respinte, la
0anta Cena non sarebbe che
luna farsa, la Trinità un falso
nera
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RepuI
Secondo quanto stabilito
lai diritto interno della Chiesa evangelica del Wiirttemerg (le regole sono più o
meno le stesse in tutta la
Chiesa luterana di Germania),
quando si verifichino casi sospetti di «eresia», l’indiziato
viene esaminato da un Collegio giudicante composto da 9
membri e presieduto dal vescovo territoriale. Scopo del
collegio è verificare «se l’inquisito nelle linee fondamen
L’ex pastora luterana tedesca Jutta Voss
tali rispetta l’Evangelo di Gesù Cristo secondo l’insegnamento della Bibbia e l’interpretazione della Riforma, o
soggiace a idee e affermazioni umane». Se la maggioranza dei due terzi ritiene l’accusato colpevole, questi viene
praticamente «ridotto allo stato laicale».
Secondo l’accusa gli insegnamenti della pastora Voss,
che dal 1990 aveva chiesto
l’aspettativa, erano palesemente contrari alla Scrittura e
alla confessione di fede luterana. Il Collegio però, radunatosi una prima volta il 21
gennaio 1993, ha aggiornato
la seduta per dare la possibilità alla teologa di preparare
meglio la sua difesa e per vedere se non si poteva giungere a una soluzione più conciliante. Il 3 dicembre del 1993
il Collegio si è nuovamente
radunato per esaminare la
questione, ma - una settimana prima - la pastora Voss
aveva rassegnato le dimissioni e abbandonato il ministero.
Ciò ha naturalmente portato
il tribunale ecclesiastico a dichiarare che non «v’era più
luogo a procedere». Il vescovo Sorg tuttavia ha dichiarato
alla stampa che gran parte
delle posizioni della teologa
Voss erano contrarie all’insegnamento della Scrittura e
della Chiesa evangelica: «Il
Gesù della signora Voss non
è il Gesù del Nuovo Testamento» e che quindi se il
procedimento fosse andato fino in fondo non c’è dubbio
che le sue tesi sarebbero state
condannate.
Il caso ha naturalmente destato scalpore in Germania.
Alcuni sostenitori della teologa, gruppi femministi in particolare, hanno inscenato delle manifestazioni a suo favore particolarmente durante il
«processo» e la Chiesa luterana è stata accusata di essere
retrograda e di voler ridurre
alla fame una sua pastora solo perché non allineata alle
idee della maggioranza. Naturalmente i detrattori della
pastora Voss hanno cercato
di mettere in luce aspetti negativi della sua personalità o
di mettere in dubbio le sue
capacità di psicoterapeuta.
Come è stato sottolineato più
volte da parte dei responsabili della Chiesa nel WUrttemberg, il procedimento contro
Jutta Voss riguardava unicamente le sue posizioni teologiche, tutto il resto non interessava né il Collegio giudicante, né la chiesa stessa.
Casi di procedimenti contro
pastori per motivi teologici
sfociati in un allontanamento
dal ministero sono molto rari
in Germania. Negli ultimi 50
anni se ne sono verificati solo
due. Nel 1953 il caso di Richard Baumann di Mottling e
nel 1979 quello del pastore di
Amburgo Paul Schulz. Il primo era un pastore stimato e
benvoluto che dal 1946 in poi
maturò in modo sempre più
netto l’idea che i riformatori
avessero compiuto un grave
errore nell’opporsi al papato.
Le chiese evangeliche dovevano riconoscere il primato
del pontefice romano, successore di Pietro, a cui Cristo
stesso aveva in esclusiva affidato la guida della sua chiesa,
e rientrare senza indugio nella Chiesa cattolica, l’unica
chiesa. Collocato in aspettativa nel 1947, Baumann fu sottoposto a processo nel 1951 e
nel 1953 fu allontanato dal
ministero. Qualche anno dopo passò alla Chiesa cattolica.
Paul Schulz, pastore e teologo, si trovava in disaccordo
con alcuni punti fondamentali dell’insegnamento della
Chiesa evangelica. In particolare Schulz non accettava
né la risurrezione di Gesù né
la vita dopo la morte e non
credeva nell’esistenza di «un
Dio personale che mi ascolta». Dio era per lui solo una
formula dottrinale e riteneva
che invece di insistere sulla
fede bisognava affidarsi unicamente alla ragione: l’Evangelo si riassumeva nell’affermazione di Gesù: «Non fare
agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te». Queste
sue idee cominciarono ad essere note nel 1970 e nove anni dopo Schulz venne dimesso dal servizio.
Il suo caso suscitò un certo
scalpore e venne riportato
ampiamente dalla stampa dell’
epoca. Attualmente Schulz
dirige un ristorante a Liineburg ed è rimasto fedele alle
sue idee che ancora recentemente ha difeso in una intervista giornalistica.
Chi può decidere nelle chiese protestanti
A chi l'ultima parola?
STEPHEN CEZANNE
I^T elle chiese protestan^ ti non ci può essere
un’autorità amministrativa
che stabilisca le norme dottrinali e decida autoritativamente se una dottrina sia accettabile o meno». Così reagiva il
famoso teologo Rudolph
Bultmann nel 1931 al tentativo di alcune dirigenze ecclesiastiche di imporre degli indirizzi dottrinali nelle Facoltà
di teologia.
Nel protestantesimo è stata
sempre contestata la possibilità che si avviino dei procedimenti contro qualcuno per
motivi teologici. E non c’è da
meravigliarsi perché in fondo
la chiesa evangelica stessa è
nata dal «caso Lutero»: un
procedimento per motivi dottrinali, sulla base del diritto
canonico. Prima fu Lutero che
ritenne di dover contestare alla chiesa di allora una serie di
«errori dottrinali». Poi l’accusatore divenne accusato e fu
imputato di eresia.
Diversamente da ciò che
avviene nella Chiesa cattolica,
sottoposta all’autorità «universale» del papa, nel protestantesimo le divergenze dottrinali si sono risolte generalmente con le scissioni. Nel
cattolicesimo sarebbe impensabile la varietà di chiese libere, di raggruppamenti religiosi, di assemblee che caratterizza il mondo evangelico.
Nella Chiesa cattolica i dissenzienti sono tenuti all’obbedienza o vengono esclusi. La
Riforma invece si basa proprio sulla critica teologica: la
questione della retta dottrina è
stata sin dall’inizio al centro
dell’interesse delle chiese
evangeliche.
Nessuna inquisizione
«Davanti ad una commissione che giudicasse sulla corretta dottrina anche gli evangelisti sarebbero stati condannati» diceva recentemente
Walter Hollenweger in un’intervista. Matteo, il teologo interculturale, fa trovare a degli
astrologi pagani, sulla base
della loro religione pagana, la
via alla grotta della natività,
mentre gli scribi e i dottori
della legge vogliono uccidere
il piccolo Gesù.
Ma una contestazione di tipo dottrinale non è un atto
Il parere di Elizabeth Green e di Letizia Tomassone, pastore e teologhe protestanti italiane, sul caso Voss
Per una teologia responsabile, per una teologia della vita
Abbiamo chiesto a due pastore e teologhe che lavorano
I nostre chiese in Italia,
Eif“
ine nacifici Puglia, e Letizia
> stata che dirige il Cen
nsiero VW u ° ^‘^“^enico di Agape, un
iani delleii commento sul caso
di collabo!’
ita utili®**. ■ Green ritiene che
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boema. in quale contesto av
vengono gli «insegnamenti»
!Ìi tin teologo o di una teologa.
CQ Una cosa è una lezione uni. nflfei '^®™’nria, altra la predicazio1 ^oiriÉi comunità, altra anco
ecclesias**; ra pubblicazione. L’e
j spressione deve essere conso, in c ’ na al contesto in cui ci si tro
risalg va. E evidente che in un sagLnd 8'° teologico per «specialisti»
^“®tt jj-si possono fare affermazioni
da quelle che si fanno
a domenica mattina dal pulpi
la prima '
letale .a uy,jj
^aso una teologa
deve essere respon' il sabile verso la tradizione che
5 anche interpreta (e l’Iddio che vi sta
però non dietro) e verso la comunità
umana a cui si rivolge. Esiste
anche una forma di autolimitazione che la stessa Voss ha
esercitato nel momento in cui
si è dimessa.
E certo comunque che da un
breve articolo resta difficile
capire quali sono le sue posizioni autentiche e quali le interpretazioni dell’accusa o le
interpretazioni che l’articolista trae. Nel quarto capoverso
dell’articolo qui sopra, per
esempio, la prima parte sembra essere vicina al pensiero
della teologa ed è discutibile,
ma tutto sommato può essere
un contributo «liberatorio» alla fede cristiana. Le affermazioni dell’ultima parte invece
la porrebbero al di fuori di
questa fede, ma sembra che
queste non siano frutto del
suo pensiero, bensì le conclusioni dell’articolista... Se «il
Gesù della signora Voss non è
il Gesù del Nuovo Testamento» dovremmo cercare di sapere con precisione qual è il
«suo» Gesù, prima di espri
mere un nostro giudizio. Le
chiese hanno la necessità e il
diritto di salvaguardare la loro
comprensione del Vangelo: il
modo in cui lo fanno però non
può che destar sospetti. Si può
separare Dio da una parte e
l’umano dall’altra? L’interpretazione della Riforma non
era umana, e quella di Pietro,
Paolo e Luca, ecc? E quella
del «tribunale»?
In merito alla questione del
sangue maschile e femminile.
Letizia Tomassone osserva:
«La contrapposizione tra il
sangue versato con la violenza sulla croce e il sangue del
ciclo fisiologico femminile è
sottolineato in molta teologia
femminista. Il ragionamento
è duplice: da un lato, il sangue di un uomo versato da altri uomini viene dichiarato
nella Bibbia sangue che salva. Quale immagine cruenta
di Dio viene dunque veicolata
dalla croce! Un Dio che ha
bisogno di sangue versato
nella violenza, che si identifi
ca nella storia attraverso le
uccisioni. Ovviamente questa
immagine cruenta di Dio ha
già radici nell’Antico Testamento, nei resoconti di guerre
o nelle minacce di massacri.
Questo Dio favorisce la creazione di vittime della violenza, e alimenta l’idea che la
passività di fronte alla violenza sia positiva: così per esempio è nella storia dei martiri
cristiani dei primi secoli.
Ma c’è un secondo aspetto,
più antico, e che trova anch’
esso delle radici nelTA. T.: è
la cancellazione di tutto
l’aspetto di mistero e di sacro
legato alla generazione della
vita. Il sangue versato dal
corpo femminile è infatti sangue non cruento ma legato alla nascita e al parto. Nella
meraviglia di fronte alla vita
nascente e nel timore suscitato dal parto come luogo di
confine tra la vita e la morte,
le religioni più antiche consideravano sacre la fertilità e la
generazione. Il sangue fem
minile era uno dei segni di
questa sacralità. Nella lotta
contro le religioni della fertilità, i profeti e i sacerdoti di
Israele avevano invece costruito un sistema di purità in
cui il sangue femminile diventava luogo di contaminazione, era demonizzato e tenuto lontano da Dio, dal
Tempio e dagli uomini. Che
alcune teologhe oggi tentino
di riportare a valore il significato del sangue versato dal
corpo femminile ha dunque
un senso positivo: offre nuovi
argomenti per una teologia al
cui centro sta la vita e non la
morte, la nascita e non l’uccisione; contesta una volta di
più Timmagine di un Dio che
si manifesta in modo virile attraverso la violenza e la morte; ridà significato al mistero
della nascita da un corpo di
donna, alla corporeità della
nostra vita, che proprio in
questa radice così materiale e
impiastrata di sangue vivo ha
a che fare con Dio».
dell’Inquisizione, non ha certo conseguenze penali. Vi sono delle norme giuridiche ecclesiastiche collaudate che variano di poco da una chiesa
territoriale all’altra. È importante che sia chiaro che non si
processa la fede di una persona ma si sottopongono a giudizio le sue affermazioni pubbliche. Anche i detrattori della chiesa ammettono che sia
logico allontanare dall’Insegnamento una persona che
non si trovi più in accordo
con la dottrina che insegna o
che metta in dubbio le basi
della fede comune.
Generalmente poi nella
Chiesa evangelica in Germania si cerca di non gettare sul
lastrico un pastore che debba
lasciare il ministero. Così, già
nel 1911, il pastore di Colonia
Karl Jatho, che sosteneva che
su Dio non si poteva dire nulla di oggettivamente valido,
fu «sollevato dal suo incarico
dignitosamente» e collocato
in pensione.
Che criterio seguire?
Ma su quale base la chiesa
giudica che un insegnamento
sia giusto o sbagliato? Quali
sono le indicazioni da seguire? Dov’è l’autorità nella
Chiesa evangelica e a chi
spetta emettere giudizi? Nel
1984 si tenne ad Amoldshein
una conferenza a cui presero
parte 16 delle chiese territoriali facenti parte della Chiesa
evangelica tedesca. Vi si discusse a fondo il problema
del come muoversi tra gli
estremi di un pluralismo
sganciato da ogni obbligo e di
una rigida dottrina cristallizzata. Alla domanda: «Con
che diritto la chiesa afferma
che una certa dottrina è vincolante?» si rispose secondo
la tradizione della Riforma:
«Quando essa ascolta la Sacra Scrittura come fonte della
rivelazione di Dio», «Quando
essa espone correttamente la
Scrittura, facendosi guidare
dalle confessioni di fede della
chiesa», «Quando la sua predicazione si fonda sul messaggio centrale della Scrittura» e il messaggio centrale
della Scrittura è la dottrina
della giustificazione per fede,
sulla quale - secondo Lutero
- la chiesa sta o cade: «Solo
per fede il peccatore è giustificato».
Sotto il fuoco
della critica
Ma anche le confessioni di
fede non sempre garantiscono
la concordia nella chiesa. Alla fine dell’800 la confessione apostolica si trovò sotto il
fuoco della critica. Le sue affermazioni, e il modo con cui
erano formulate, venivano ritenute in contrasto con l’esegesi biblica fatta dalla scuola
storico-critica. Il teologo liberale Adolph von Harnack intervenne con forza, nel 1892,
in questa contesa che divideva la chiesa dai teologi. Harnack si dichiarò assolutamente contrario all’abolizione
della confessione di fede tramandata dalla tradizione, ma
ne propose una revisione secondo le esigenze dei tempi.
L'ultima istanza
Ma l’ultima istanza in questioni del genere, secondo il
riformatore Martin Lutero, è
la comunità dei cristiani. Nel
1523 egli scriveva: «Qui tu
vedi molto chiaramente chi
ha il diritto di giudicare la
dottrina: il vescovo, il papa, i
dotti, ognuno ha il potere di
insegnare. Ma sono le pecore
che devono giudicare se essi
riportano la voce di Cristo o
la voce di qualcun altro».
4
PAG. 4
RIFORMA
■¡■I
Vita Delle Chiese
venerdì 18 FEBBRAIO
LA TAVOLA VALDESE INFORMA
Risposte sulla
defiscalizzazione
Alcuni lettori ci hanno posto dei quesiti
relativi alla deducibilità ai fini fiscali delle
offerte versate alle chiese valdesi e metodiste nel 1993. In merito la Tavola valdese
ha istituito un gruppo di esperti per chiarire le varie situazioni. Pertanto chi ha problemi in materia può scrivere alla Tavola
valdese, via Firenze 38, 00184 Roma, tei.
06-4746476, fax 06-4743337.
Nella rubrica la «Tavola informa» pubblicheremo le risposte che hanno un carattere generale.
- Mio figlio dà una contribuzione alla
Chiesa. E a mio carico. Posso dedurre la
sua contribuzione dal mio reddito?
Abbiamo richiesto un parere ai fiscalisti.
E chiaro che la certificazione deve essere
fatta a nome del figlio, in quanto vi deve
essere corrispondenza fra quanto scritto sui
libri contabili della Chiesa, la Relazione
annua e la certificazione. Appena possibile
daremo quindi una risposta completa.
- Mia moglie, evangelica valdese, risulta
a mio carico, dà una sua contribuzione alla Chiesa valdese di £ xx. Posso dedurre la
sua contribuzione dal mio 740?
Vedi risposta alla precedente domanda.
- Domanda un cassiere: «Posso usare
un mio modulo per la certificazione?».
No, occorre utilizzare i moduli preintestati e prenumerati distribuiti dalla Tavola.
- Come faccio a defiscalizzare la mia offerta alla Cevaa (o alla Missione contro la
lebbra, o a «Riforma» o a...)?
Basta che l’offerta sia fatta alla sua chiesa, con destinazione Cevaa (o Missione
contro la lebbra, ecc.). La beneficenza è infatti uno dei fini della Tavola valdese.
- Un amico mi ha dato dei soldi per l’ex
Jugoslavia. Si possono defiscalizzare?
Se l’amico ha dato i soldi alla Chiesa
metodista di Omegna (il caso era questo)
con destinazione ex Jugoslavia, la certificazione può essere fatta dal cassiere, utilizzando i soliti moduli prestampati e prenumerati distribuiti dalla Tavola.
- Quali sono gli organismi autorizzabili
a certificare?
I Consigli di chiesa o Concistori (attraverso i loro presidenti e/o cassieri), i comitati di gestione degli enti riconosciuti
dall’Ordinamento valdese che abbiano fatto domanda alla Tavola e ne abbiano ricevuto delega formale (scritta), sempre attraverso i loro presidenti e/o cassieri. Per ottenere la delega occorre richiederla inviando agli uffici della Tavola a Roma o a Torre Pellice i due nominativi che si intendono responsabilizzare per la firma delle certificazioni, e le loro firme autentiche (scritte di loro pugno).
- Posso defiscalizzare un'offerta al Centro culturale valdese?
Sicuramente sì, se l’offerta viene fatta
passare dalla Chiesa xx di xxx, con destinazione Centro culturale: questa soluzione
è assolutamente certa. Si potrebbe anche
sostenere (ma qui occorre il parere del fiscalista) che il Decreto ministeriale concede anche al Centro culturale di essere delegato dalla Tavola all’emissione delle certificazioni. Speriamo di chiarire quanto prima questo punto.
- Posso defiscalizzare un’offerta fatta
tramite banca?
Solo se il bonifico è fatto alla Tavola
valdese, Roma. Se il bonifico è fatto alla
chiesa locale, occorre che il cassiere compili il solito modulo, dopo aver registrato
il bonifico sui libri della contabilità della
chiesa locale.
- Posso defiscalizzare utilizzando il modulo di conto corrente postale?
Se il tagliando del bollettino postale reca l’apposita dicitura [Tavola valdese Chiesa (o opera) xx di xx - erogazione liberale ai sensi della legge 409/93 (deducibile fino a un massimo di £ 2.000.000) £
x.xxx.xxx] il tagliando stesso è sufficiente
a dimostrare la correttezza della defiscalizzazione. Se il tagliando è «anonimo»
non ha alcun valore probante, e deve quindi essere utilizzato il solito modulo prestampato e prenumerato, con la firma del
cassiere (che certifica che l’ammontare è
stato riportato sui libri della contabilità
della chiesa locale). Gli enti e le opere che
desiderano emettere bollettini di cc postale
devono comunque richiedere l’autorizzazione e la delega della Tavola. È evidente
che non si possono defiscalizzare i pagamenti fatti con cc postale per acquisto di
libri, ecc. (si tratterebbe di illecito).
Apostolici italiani, metodisti e valdesi insieme per un progetti*"
Annunciamo insieme KEvangei
agli abitanti di Prato in Toscan^o
--
GINO CONTE
In che cosa consiste il «progetto Prato»? Nel tentativo, 0 progetto, di far sentire
una presenza protestante, riformata, nella città toscana,
con le sue marcate caratteristiche sociologiche e culturali: tanto più nel momento in
cui si dispone ad assumere responsabilità e compiti del
nuovo status di provincia, con
un comprensibile e prevedibile rilancio di attività e
di interessi, anche culturali.
A Prato e dintorni vi sono
nuclei e attività evangelici di
tipo pentecostale (Assemblee
di Dio, pentecostali liberi,
apostolici in Italia), una assemblea di Fratelli «stretti»; e
ha sede in Prato la centrale
dei Testimoni di Geova in
Italia; ma, a parte questi ultimi che, con tutto il rispetto,
creano nella gente ignara una
gran confusione a proposito
del mondo realmente evangelico che con loro viene confuso, la presenza evangelica avvertita in città non ha una caratterizzazione protestante,
riformata.
La Chiesa apostolica italiana (ramo staccatosi dalla
Chiesa apostolica in Italia) e
in particolare il suo pastore,
Mario Affuso, ha da tempo
avvertito l’esigenza di rendere sensibile, avvertibile
questo tipo di presenza; essendo la chiesa apostolica
italiana di Firenze-Prato in
un rapporto di fraternità e
collaborazione particolarmente stretto con la Chiesa
valdese, e quindi con la Chiesa metodista, anche a livello
istituzionale (circuito, distretto, Sinodo), ha rivolto alle
due comunità sorelle fiorentine un caldo e circostanziato
invito in tal senso. A dire il
vero, presi da tante cose e
L'esperienza al Servizio cristiano di Riesi
Ricordo di Ines
Long Alabiso
IRENE WIGLEY
Chiesa battista di Ariccia
Un intenso
rapporto ecumenico
H;
o trascorso più di
.vent’anni insieme a
Ines e Rocco Alabiso nella
comunità del Servizio cristiano di Riesi. Provenivamo dal
gruppo che si era costituito
come «comunità di agàpe» e
si era impegnato ad annunciare e vivere il messaggio
dell’agàpe di Cristo dove il
Signore ci avrebbe guidato.
Avevo conosciuto Rocco e
Ines durante i miei soggiorni
a Agape, dove loro hanno lavorato come volontari per
molti anni, prima di venire a
Riesi.
C’è sempre stato un rapporto molto stretto fra noi
che avevamo questo legame
con Agape ed eravamo stati
formati dalla predicazione di
Tullio Vinay.
Il lavoro di Ines a Riesi,
nell’amministrazione della
casa comunitaria e nell’insegnamento della musica e della ritmica, nelle scuole del
Servizio cristiano, è stato
prezioso. Ha dedicato tutta se
stessa a questo servizio, senza pensare ad alcun vantaggio per sé personalmente, come ha ricordato anche il pastore Platone nel suo mes
saggio al funerale di Ines. La
sua è stata veramente una vita dedicata a servire il Signore nel servire gli altri con i
doni che da lui aveva ricevuto. E bisogna ricordare che,
oltre a tutto quello che faceva per il Servizio cristiano,
Ines aveva anche dei figli e
un marito di cui occuparsi.
Era una persona dai fermi
principi; questa sua fermezza, che manifestava chiaramente la sua origine valdese
di vecchio stampo, la portava
ad essere inflessibile prima
di tutto con se stessa; ma era
soprattutto molto affettuosa e
generosa con tutti.
Non dimenticherò mai la
sua gentilezza verso mio padre, anziano, che è vissuto
per molti anni con noi in comunità.
Ines era un’amica, una sorella, che lascia un grande
vuoto fra noi del vecchio
gruppo del Servizio cristiano
e anche fra quelli che sono
venuti dopo e con i quali ha
continuato a lavorare per un
certo periodo. Il mio pensiero va a Rocco, al quale manca la compagna della sua vita, e a Gustavo e Marco, e
prego che il Signore li sostenga e li consoli.
BRUNO COLOMBU
Sono ormai anni che la nostra comunità intrattiene
un rapporto ecumenico con
la parrocchia del centro storico di Ariccia. Ancora prima
di iniziare gli incontri, con
scadenza bimestrale, abbiamo voluto chiarire all’interno
della comunità le motivazioni che ci spingevano a intraprendere questa attività non
in maniera occasionale (la
Settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani e qualche
altra rara occasione nell’arco
dell’anno e poi più nulla),
ma con un impegno che fosse continuativo, a scadenze
bimestrali, su tematiche varie, coinvolgenti, interessanti
e puntando principalmente
alla costruzione di una cultura ecumenica; la scoperta di
Dio oltre i confini in cui cattolici e protestanti lo hanno
relegato.
Ci siamo mossi tenendo
conto con chiarezza delle
motivazioni pro e contro
l’ecumenismo, cercando con
entusiasmo le radici di questo
movimento nella Parola di
Dio, motivati dalla fede in
Cristo e dal momento storico
che stiamo vivendo, cercando
di proporci con decisione e
capacità propositive pur sapendo bene che il processo è
molto difficile.
La Settimana di preghiera
per l’unità dei cristiani quest’anno si è svolta in modo
del tutto diverso dal tema stabilito; abbiamo voluto incontrarci su uno dei tanti elementi comuni, la Bibbia. In
due riusciti incontri, che si
sono tenuti uno all’inizio e
l’altro alla chiusura della Settimana, abbiamo ascoltato
quattro oratori che ci hanno
mostrato come la parola di
Dio sia al centro delle chiese
cattolica (mons. Bernini, vescovo della diocesi di Albano
Laziale), siro-ortodossa (il
monaco Jean Kavak), protestante (pastore Salvatore Rapisarda, segretario del dipartimento di teologia dell’Ucebi) e nella sinagoga (prof. J.
Sievers). Questi incontri ecumenici sono stati gli unici tenuti in tutta la diocesi e in entrambi era presente il vescovo cattolico.
Gli incontri proseguiranno
secondo il calendario stabilito; il prossimo prevede a
marzo una conferenza-dibattito tra il prof. Paolo Ricca e
il cardinale Casaroli.
tanti impegni, l’invito ha atteso a lungo una risposta operativa. Si dà qui atto della pazienza perseverante e convinta con cui il progetto è stato
riproposto. E infine, domenica 16 gennaio, si è avuta in
via Manzoni una riunione
congiunta dei tre Consigli di
chiesa: apostolica, metodista,
valdese. Questo primo incontro era così limitato, dato il
rapporto istituzionale particolare che lega le tre comunità;
ma, per parere unanime, in
una prossima occasione l’invito sarà esteso alla Chiesa
battista di Firenze e al suo
Consiglio.
A Prato, apostolici (italiani), battisti, metodisti e vaidesi hanno, ciascuno, un modesto gruppo di famiglie: sono... diaspora fiorentina (salvo gli apostolici), curata più
o meno, almeno da parte metodista e valdese. Unendo le
piccole forze, senza alcun
vincolo istituzionale, sarà
possibile fare di più sia per
permettere una solidarietà e
una vita comunitaria and
modesta ma reale ai • ,
stanti pratesi, sia perché ^ ¡j'
voce riformata, modesta
chiara, possa farsi udire i
città.
In questa fiducia ci si
nifi, si sono scambiate :
mazioni, riflessioni e pn
ste, si è fatto qualche J
gramma. La prima cossi
farsi, la più urgente, è tei!
di raccogliere queste no^
famiglie o persone, e a i
ne si sta cercando un pun
riferimento, magari pres|
Trovato questo punto, lej
miglie o persone sarannd
vitate dalle rispettive chi®
ritrovarsi insieme: e ins®
si rifletterà sulla situazi(ia, do]
pratese, sulle prospettivi àssegm
vita comunitaria, di prese lune ai
e testimonianza protesfiJkDon I
nella città. «Pentecoste ’Mificio
potrebbe anche essere unfc ma 1;
co di interesse e di irapq o 10. 1
in cui coinvolgere sorell ittimal
fratelli pratesi. , iratica
(dalm^ ;enitoi
«Diaspora evangeìk scuola
ubblic
Commissione sinodale!
PER LA DIACONIA
LE NUOVE PROFESSIONALITÀ
E IL LORO PERCORSO DI FORMAZIONE
rarietà
nento
Iteli’ed
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Mannu
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ìcosa si
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cialme
La Commissione sinodale per la diaconia (Csd) oi
nizza per il 12/13 marzo l'ormai tradizionale con^fE^
gno di primavera delle opere. L'incontro, che aw
luogo presso il Centro giovanile protestante Gouldf °’ ^
Firenze, avrà per argomento principale le nuove pi
fessionalità.
I
PROGRAMMA
Sabato 12 marzo:
ore 9:
ore 10,30:
ore 12,30:
ore 15:
Studio biblico a cura di Alberto Tacciai
Relazioni di Nedo Baracani (sociologQ
Letizia Sommani (presidente del Centì
giovanile protestante Gould) e Mathiì
Grube (direttore di una scuola per diré
tori di case per anziani in Germania)
Pranzo
Dibattito
Serata libera
Domenica 13 marzo:
ore 8,30:
ore 11,15:
ore 12,30:
Relazione del Centro servizi ammiri
strativi: discussione
Culto
Pranzo e partenze.
Le prenotazioni devono pervenire direttamente alla
rezione del Centro giovanile protestante Gould entro il
febbraio (via dei Serragli, 49 - 50124 Firenze - Tel. 05!
212576 - Fax 055-280274). Il costo del convegno, dalla et':
na del venerdì al pranzo della domenica, è di L. lOO.OOOJ
costi di partecipazione, salvo per gli invitati, sono a
delle singole opere.
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CASA BALNEARE VALDESE
PIETRA LIGURE - BORGIO VEREZl
Sono aperte le prenotazioni per soggiorni
presso lo «Cosa» che sarà aperta dal
1° MARZO 1994
Condizioni particolari per gruppi e famiglie^
Interpellateci!
Locali ristrutturati recentemente
Casa situata in riva al mare
Rivolgersi allo direzione;
Albino e Nicolino Conu - Corso Italia 110
17027 Pietra Ligure (Sv)
telefono 019-611907 - fax 019-610191
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/ENERDÌ 18 FEBBRAIO 1994
PAG. 5 RIFORMA
ogettoiirenze: intolleranza verso una cooperativa nata daH'impegno della Chiesa battista
geljHandicappatì e extracomunitari: per loro
atiijnon c^è posto nella scuola «Don Milani»
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^ IFirenze e ha avuto come ogla ci si è Inetto la Cooperativa «Gaetanbiate in^Q Barberi» e il suo presiden5ni e prd(£^ Andrea Mannucci. In breualche j fatti: la cooperativa, che
ma cosajopera da anni in favore di
Ite, è tenanortatori di handicap e immirati, aveva richiesto al Gonne con cui è convenzionala di fornirle una nuova sede,
ato che i locali prefabbricati
i piazza dei Ciompi erano
ol tempo divenuti insuffiienti.
Il Comune di Firenze avea, dopo una breve ricerca,
ospettiveMssegnato alla cooperativa aldi presdcune aule della scuola media
protest^Don Lorenzo Milani». L’etecoste ’^ificio infatti consta di 27 auisere un Me ma la scuola ne utilizza sodi impe«o 10. La soluzione sembrava
re sorellttttimale ma non si è rivelata
(Praticabile per il rifiuto dei
(dal meimeniton e degli alunni della
I evangelù ìcuola che hanno manifestato
pubblicamente la propria contrarietà all’ipotesi di trasferiinento della cooperativa
Jieir edificio scolastico. Abbiamo dunque rivolto alcune
domande al prof. Andrea
Mannucci per capire cosa sia
¡In realtà avvenuto.
, - Per prima cosa, di che
(cosa si occupa la CooperatiONE \va «Gaetano Barberi»?
I «La cooperativa si è uffi'sd) orM‘'*^ltnente costituita nel ’90
ile conw™® opera già dai primi anni
che aw'^® come scuola serale sopratGould primo tempo, ri
jove pdp"--------------------■ ■ ; ■—^--------------------
Il Consiglio dei pastori di Firenze
AMARE
IL PROSSIMO
Il Consiglio dei pastori e responsabili delle chiese evangeliche di Firenze, nel corso della seduta del 7 febbraio, venuto a conoscenza con preoccupazione e sofferenza di una
situazione di intolleranza e insensibilità manifestatasi ip
questi ultimi tempi nei confronti della Cooperativa «ScuoS
G. Barbieri», alla quale partecipano come volontàri diversi
nostri fratelli e sorelle,
condanna nella maniera più viva ogni manifestpione
contraria ai principi della Carta dei diritti umani ;
esprime là più sentita solidarietà e comunione ai fratelli
della scuola G. Barbieri, augurando loro di trovare pon
l’aiuto delle autorità una sede idonea per il prosieguo delle
loro attività;
auspica una maggiore sensibilità verso il problema degli
extracomunitari, dando loro dignità nel vivere civile.
Nel contempo questo Consiglio auspica che venga riscoperto il senso della fraternità verso i più deboli, mettendo in
pratica il comandamento di Gesù: «Ama il tuo prossimo come te stesso».
t ragazzi della cooperativa Gaetano Barberi di Firenze attendono una scuola che voglia accettarii
- Questa è però solo una
parte dell’attività della cooperativa...
«Sì, l’attività della cooperativa si svolge su tutto l’arco
della giornata: per prima cosa
con due corsi di socializzazione per giovani portatori di
handicap, organizzati sulle
due fasce orarie, dalle 9 alle
15,30 e dalle 12 alle 18,30.
La prima coinvolge 18 ragazzi dai 14 ai 24 anni e si sviluppa sia sul versante culturale in vista di un recupero di
alfabetizzazione, sia sul ver
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0 a cari0 ^ immigrati dal meridione d’Italia. L’iniziativa, partirla in quegli anni dalla riflessione del gruppo giovanile
della Chiesa battista sull’ imI pegno sociale e politico dei
^credenti, si è poi allargata
coinvolgendo nel lavoro anI che tanti altri indipendentemente dal loro credo religioso. Negli anni ’80 abbiamo
cominciato ad accogliere gli
I extracomunitari, prima etiopi,
sornali ed eritrei, poi via via
nitri africani fino a persone
provenienti dalle parti più disparate del mondo, fin dall’
Australia, dal Sud America e
I recentemente da paesi dell’ex
Jugoslavia. Per gli stranieri,
nttualmente circa un centi^nio, il programma si sviluppa nella fascia oraria più tarda
(dalle 21 alle 24) in corsi differenziati di apprendimento
della lingua italiana».
lorni
lol
sante espressivo e manuale
con attività artistiche come la
musica, la ceramica e la pittura, sia sul versante pratico finalizzato proprio all’autonomia nella vita quotidiana. Si
tratta di indirizzarli a imparare come cavarsela praticamente a prendere un autobus
da soli, o far la spesa o andare alla posta. Per la seconda
fascia di persone, tutte adulte
(sono dieci), ci si adopera a
mantenere un serie di capacità con attività espressive e
motorie. Sono inserite nel
programma, con piani scolastici individualizzati e di socializzazione, anche tre ragazzine di cui due provenienti da comunità nomadi, ma attualmente affidate a istituto e
casa-famiglia, l’altra con problemi caratteriali.
Per tutte queste attività siamo convenzionati sia con le
Usi e con l’assessorato del
Comune alla Sicurezza Sociale, sia per questi ultimi casi
col Tribunale per i minori. Infine c’è l’attività più tradizionale per noi che è la scuola
serale che segue una decina
di persone che per diverse ragioni hanno bisogno della licenza media».
- La cooperativa è stata recentemente al centro delle
cronache cittadine per un
episodio a dir poco increscioso. Ce lo racconta in breve?
«La nostra sede sin dagli
anni ’70 è rimasta sempre
presso alcune baracche di legno del Comune costruite alla fine degli anni ’40, in piazza dei Ciompi nel quartiere
Santa Croce. Col crescere
delle attività e col formarsi
della cooperativa, che attualmente coinvolge 31 soci, di
cui 11 lavoratori, e ben 40
volontari, le strutture sono
apparse sempre più inadeguate perché fuori di ogni normativa di sicurezza. Sono anni che chiediamo al Comune
una sede più idonea, ma in
tanti anni non ci è stata data
alcuna risposta. Solo recentemente l’assessore Pistelli,
che lavora nel settore dell’
emarginazione, si è impegnato a cercare una sede. La
scuola media «Don Milani»,
nella zona Rovezzano, che ci
è stata proposta ci è sembrata
molto idonea. È attualmente
una struttura molto sottoutilizzata e noi avremmo occupato solo una parte del piano
terra e un pezzetto di giardino. Così abbiamo chiesto a
un architetto di approntarci
un progetto di ristrutturazione, che mettesse tutto a norma e la cosa è stata fatta. La
somma prevista era di circa
300 milioni che avremmo ovviamente pagato noi».
- Dunque vi preparavate a
cominciare i lavori per poi
traslocare...
«Infatti ma, interpellato, il
Consiglio di istituto ha dato
parere negativo. Questo soprattutto quando hanno sentito parlare di extracomunitari.
A questo punto l’assessore ha
deciso di fare una verifica
convocando anche me e il
provveditore. Senonché la
mattina di giovedì 3 febbraio
è stata inscenata davanti a casa mia una manifestazione
con cartelli con su scritto “la
scuola è nostra’’, “giù le mani
da Don Milani’’ e altre cose
del genere».
- Paradossale questo com
portamento, se pensiamo che
la scuola è intitolata a Don
Milani che ha fatto della solidarietà con gli emarginati la
sua ragione di vita. Quali le
ragioni addotte per tale atteggiamento ?
«Le ragioni di questo rifiuto offerte dalla preside Montero, che ha avuto, a dire il
vero, in tutta la faccenda un
comportamento piuttosto ambiguo, sarebbero da ricercarsi
nel non volere “degradare”
ancora di più un quartiere già
molto pieno di problemi. “Poi
- avrebbe detto la preside di handicappati ce ne abbiamo già abbastanza; perché
portarne degli altri?”. Alla
conferenza stampa che come
cooperativa abbiamo voluto
convocare subito dopo, insieme ai genitori dei nostri ragazzi, abbiamo scelto di denunciare l’accaduto come atto
di grave intolleranza e grave
scorrettezza».
- Nel passato avevate mai
avuto problemi nella zona in
cui ancora operate?
«No, nessun problema tranne l’episodio razzista di tre
anni fa quando tentarono di
incendiarci il Centro; una
provvidenziale pioggia limitò
i danni. Per il resto niente di
più. I nostri ragazzi sono
molto ben inseriti nel tessuto
sociale del territorio e ritengo
che solo l’ignoranza possa
spiegare comportamenti come quelli a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi. Devo
comunque dire che abbiamo
ricevuto anche molta solidarietà, prima fra tutti quella
espressa dal Consiglio dei pastori in rappresentanza di tutte le comunità evangeliche
fiorentine».
- E ora?
«L’amministrazione sembra orientata a cercare un’altra sede. Vedremo, a noi non
manca la determinazione».
SAN MARZANO OLIVETO — Giovedì 20 e sabato 22 gennaio la Chiesa metodista di S. Marzano Oliveto e un gruppo
di cattolici, per lo più della parrocchia di Terzo d Acqui, si
sono ospitati a vicenda per un incontro di preghiera. I due
appuntamenti erano stati preceduti da altrettanti incontri di
conoscenza, molto utili per favorire l’instaurarsi di un clima
di dialogo e cordialità. La Chiesa evangelica di S. Marzano,
il cui tempio compirà fra poco cento anni, guidata da Bruno
Giaccone, candidato al pastorato, ha visto la predicazione
del parroco cattolico e del pastore pentecostale Zingale,
mentre a Terzo hanno parlato il pastore evangelico e un laico cattolico, Pier Luigi Pertusati. Oltre alle omelie e alle
preghiere c’è stata una colletta a favore delle popolazioni
dell’ex Jugoslavia. La diocesi di Acqui non ha al proprio interno gruppi rilevanti di altre confessioni, ma il gruppo ecumenico locale, consapevole del fatto che una risorsa indispensabile del cristianesimo del terzo millennio sarà proprio
l’ecumenismo, lavora per creare una maggiore sensibilità
verso i temi e le prospettive del piano ecumenico. Un aspetto positivo in tal senso e la decisione presa di ospitarsi reciprocamente per leggere insieme la Scrittura. A Casale Monferrato la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si è
chiusa con due momenti altamente significativi. Il primo è
stato la conferenza e la testimonianza di Bruno Giaccone,
valdese, candidato al pastorato che, in un incontro presso il
seminario, ha illustrato il tema della «koinonia» partendo
dalla visione unitaria di Genesi e rispondendo alle domande
dei presenti in sala. Il secondo momento è stato la celebrazione comune di preghiera in Cattedrale, con il Giaccone e
il vescovo, mons. Carlo Cavalla. Entrambi hanno voluto
porre in rilievo ciò che unisce piuttosto che ciò che divide,
con un invito forte e chiaro a cercare l’unità nella conversione unanime al Signore.
POMARETTO — Durante l’assemblea di chiesa tenutasi il 6
febbraio è stata ratificata la nomina (già fatta in precedenza
durante una riunione quartierale) a anziana per la zona di
Fleccia (Inverso Pinasca) di Nadia Serre, in sostituzione di
Daniela Ribet che ha terminato il suo mandato. Un benvenuto nel Concistoro, e auguri per il lavoro a favore della comunità.
SANREMO-BORDIGHERA-VALLECROSIA — Le nostre
comunità sono guidate, dall’ottobre ’93, dal pastore Dorothea Miiller, che svolge il proprio lavoro con molto entusiasmo e spirito di iniziativa. Durante il periodo natalizio
numerose sono state le occasioni di incontro: il 14 dicembre
si è svolta la festa dell’avvento, a cui ha partecipato anche
la comunità della Chiesa luterana di Sanremo. Sono stati
cantati inni italiani e tedeschi e il pomeriggio è proseguito
con un tè e dolci tipici. I bambini sono stati invece protagonisti, con giochi e premi, della festa dell’albero che ha rallegrato il pomeriggio del 19 dicembre. Da non dimenticare il
tradizionale bazar natalizio che ha visto, come sempre, la
partecipazione numerosa di membri di chiesa nonché di
amici e simpatizzanti.
• Proseguono gli appuntamenti settimanali: a Sanremo, lo
studio biblico ecumenico del lunedì e lo studio biblico del
mercoledì (sui Dieci comandamenti); sempre numerosi i
partecipanti. A Vallecrosia lo studio biblico il martedì, il
gruppo di ricerca biblica e la scuola domenicale e il catechismo il giovedì: anche in questo caso molti i presenti.
PINEROLO — Molti amici e conoscenti hanno partecipato al
funerale del nostro giovane fratello Giancarlo Martinat,
dando così prova di solidarietà cristiana alla famiglia. Le
condoglianze della comunità vanno anche ai familiari di Dino Fornerone del quartiere San Martino.
ANGROGNA — Giovedì 10 febbraio, nel corso della riunione
quartierale del Prassuit-Vemé, è stato presentato al battesimo il piccolo Diego Bertin, di Albino e di Elena Bertot. La
scuoletta Beckwith, in cui si è svolta questa riunione così
particolare, era piena sino all’inverosimile, ed è stato bello
pensare che, una volta ancora, questo piccolo edificio nel
quale sono state educate alla fede generazioni e generazioni
di angrognini, sia tornato a essere un simbolo di speranza e
di apertura al futuro in una Angrogna in cui sta tornando a
fiorire tutta una piccola schiera di bambini.
GENOVA-SAMPIERDARENA — Il Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche della Liguria esprime in un
documento la convinzione che la vicenda dell’occupazione
di Villa Bersezio a Sampierdarena sia una «testimonianza
della drammatica questione della mancanza nella città di
Genova di spazi fruibili (...) per l’aggregazione giovanile».
Il Consiglio ricorda che «è fondamentale, per un nuovo assetto della città, che vengano ascoltate le voci di tutti i soggetti (...), anche di quelli più “deboli” o che meno voce hanno nei mass media». Si chiede anche che vengano valorizzate tutte le risorse umane della città.
Andrea Mannucci
OPERA BALNEARE VALDESE G. P. MEILLE
BORGIO VEREZZI (Sv)
SOGGIORNO MARINO 1994 per ragazzi/e
Son stati fissati i due turni del soggiorno marino 1994 per ragazzi e ragazze a Borgio Verezzi presso la Casa balneare
valdese, corso Italia n. 110 - Pietra Ligure (Savona)
1° turno dal 13 giugno al 27 giugno età ó-9 anni
(nati negli anni da 1985 al 1988)
2” turno dal 27 giugno al 11 luglio età 9-11 anni
(nati negli anni da 1983 al 1985)
I modelli per le iscrizioni possono essere richiesti presso la segreteria della Chiesa valdese di Torino, via S. Pio V n.l5 10125 Torino. Telefono 011-6692838
Termine delle iscrizioni 15 maggio 1994
Si accettano anche domande per personale (evangelico) addetto ai due turni del soggiorno marino: vigìlatnci/ori
infermiere/ri. Età minima 18 anni compiuti.
I membri del comitato sono a disposizione per ogni ulteriore informazione.
6
PAG. 6 RIFORMA
All’Ascolto Della
LA «LEGGE» DI DIO
E IL DIRIDO DEL DEBOLE
DANIELE GARRONE
Il patto stipulato da Dio
con il suo popolo non
comprende soltanto l’esposizione dei 10 comandamenti
intesi a delimitare lo spazio
della libertà ma implica anche una serie di norme per
dirimere i conflitti, per punire le trasgressioni e per esercitare concretamente il diritto
e la giustizia.
Affrontare ¡ conflitti
esercitare il diritto
Il «libro del patto» (Es. 20,
22-23, 33) integra il Decalogo innanzitutto fornendo
una panoramica di «casi» seguiti dalla relativa prescrizione. La formulazione può essere molto stringata, ad
esempio nel caso dell’omicidio (Esodo 21, 12), delle percosse o delle maledizioni inflitte ai genitori (Es. 21, 1517), oppure più articolata. Es.
21, 18-19, ad esempio, descrive una situazione molto
specifica: in una lite, uno dei
contendenti percuote l’altro
con una pietra o col pugno,
cioè non con armi proprie.
L’offeso non muore (cioè
non si dà il caso di omicidio),
ma riporta ferite che lo costringono temporaneamente a
volontà di Dio: la concreta
amministrazione della giustizia è qui vista non soltanto
come un’indispensabile attività umana, magari sancita
dalla suprema autorità terrena, ma come un modo di tradurre nella concretezza della
vita del popolo l’esigenza di
giustizia che viene da Dio, il
Dio che ha costituito Israele
come popolo di uomini liberi
e uguali. Che la giustizia sia
esercitata concretamente non
è per Israele la volontà del
re, ma una disposizione del
Dio della libertà che ha vincolato a sé il popolo con un
patto.
Il patto implica anche il
concreto esercizio della giustizia, con leggi e sanzioni,
processi e indennizzi, con
una casistica che colga analogie e differenze. Dio ha
istituito nel suo popolo non
solo dei principi guida, ma
anche l’attività giudiziaria. I
riformatori hanno colto questa dimensione quando hanno sottolineato che la «legge» ha anche una funzione
politica, civile.
Il diritto del debole
Il «libro del patto» non si
limita però a presentare
l’esercizio del diritto e della
«Non maltratterai lo straniero e non
Vopprimerai; perché anche voi foste
stranieri nel paese d’Egitto.
Non affliggerete alcuna vedova, né alcun orfano.
Se in qualche modo li affliggi, ed essi
gridano a me, io udrò senza dubbio il loro grido; la mia ira s’accenderà, e io vi
ucciderò con la spada; e le vostre mogli
saranno vedove, e i vostri figliuoli orfani.
Se tu presti del danaro a qualcuno del
mio popolo, al povero eh ’è teco, non lo
tratterai da usuraio; non gl’imporrai interesse. Se prendi in pegno il vestito del
tuo prossimo, glielo renderai prima che
tramonti il sole; perché esso è l’unica
sua coperta, è la veste con cui si avvolge
il corpo. Su che dormirebbe egli? E se
avverrà ch’egli gridi a me, io l’udrò; perché sono misericordioso»
(Esodo 22,21-27)
letto. Colui che ha causato le
ferite non è ritenuto colpevole, ma soltanto tenuto ad indennizzare il danno economico causato dalla forzata inattività e a coprire il costo delle
cure mediche.
I «casi» presentati hanno
con ogni probabilità un valore «tipico», sono dei «precedenti» a partire dai quali si
potranno affrontare, per analogia, casi similari. Sia nella
forma, sia nei contenuti, sono spesso assai simili a quanto troviamo in varie altre raccolte di leggi dell’antico vicino Oriente.
La particolarità delle leggi
di Israele è che esse vengono
ricondotte all’autorità e alla
giustizia come una attività
umana che corrisponde alla
volontà di Dio. C’è un altro
tratto caratteristico, che si ritrova anche in altre raccolte
bibliche di leggi (basti pensare al Deuteronomio), e precisamente la presenza di alcune norme apparentemente
più «morali» che giuridiche,
tese ad assicurare la tutela
dei soggetti meno protetti, di
chi si trova a essere socialmente o giuridicamente
svantaggiato. La «legge», in
quanto legge «di Dio», non
si limita ad indicare criteri di
fondo (il decalogo), a reprimere le trasgressioni o a regolare i conflitti (leggi «casuistiche»), ma intende an
che tutelare, anzi «promuovere» il diritto e la dignità
del debole.
In Esodo 22, 21-27 il bisognoso di tutela è individuato
in tre categorie: lo «straniero», l’orfano e la vedova. La
parola ebraica che la Riveduta traduce con «straniero»
può essere resa anche con
«immigrato». L’immigrato
può essere sia uno straniero
nel senso stretto della parola,
sia un israelita: sappiamo, ad
esempio, che in seguito alla
caduta del regno del Nord ad
opera degli Assiri nel 722 ci
fu un notevole flusso migratorio di «rifugiati» verso
Giuda e Gerusalemme. Il forestiero trasferitosi in Israele
e l’ex abitante del regno del
Nord residente al Sud si trovavano entrambi sradicati dal
loro contesto originario.
Ne derivava una situazione
di debolezza non solo sul
piano psicologieo ed esistenziale, ma anche su quello sociale e giuridico: l’immigrato
era solo, non aveva alle spalle la sua comunità familiare e
sociale, non poteva dunque
contare sulla tutela sociale e
giuridica propria degli autoctoni. Pensiamo, a mo’ di
esempio, alla differenza che
esiste oggi tra chi ha la cittadinanza e la nazionalità e chi
ne è invece privo. Le norme
che abbiamo appena letto, e
altre simili, intendono assicurare che tutti, in Israele,
siano garantiti dal sopruso
qualunque sia la situazione
di partenza. L’oggettiva debolezza degli uni non può essere sfruttata per impostare
rapporti di forza a vantaggio
dei più garantiti.
Dio e il grido
dell'oppresso
Le norme sull’immigrato,
sull’orfano e sulla vedova ricorrono alla tipica terminologia con cui si parla altrove nella Bibbia ebraica della
condizione di Israele in Egitto e della sua liberazione da
parte di Dio. Come l’immigrato, Israele fu «oppresso»
in Egitto (ad esempio Esodo
3, 9). La condizione di Israele in Egitto, altrove descritta
in termini di schiavitù, è qui
equiparata a quella dell’immigrato: «Anche voi foste
stranieri nel paese d’Egitto»
(cfr. anche 23, 9 e Deut. 10,
19; Lev. 19, 34). Israele ha
conosciuto per esperienza diretta «l’anima dello straniero» (Es. 23, 9), cioè la condizione di vita dell’immigrato
in una realtà ostile. Come
può capitare alla vedova e
all’orfano, anche Israele fu
«afflitto» in Egitto (ad esempio Es. 1, 11).
Se l’immigrato, l’orfano e
la vedova «gridano» a Dio,
egli li ascolta e può ritorcere
contro il suo popolo l’ingiustizia che esso ha fatto patire
ai deboli nel suo seno. Come
non ricordare immediatamente il fatto che la liberazione
dall’Egitto si basa proprio sul
fatto che il grido degli oppressi sale fino a Dio (Esodo
2, 23)? Nel discorso a Mosè
dal roveto ardente, Dio annuncia (Es. 3, 7ss.) di aver
visto la miseria del suo popolo angariato e di averne udito
il grido. Nella tutela dell’immigrato e dei soggetti socialmente deboli nella comunità
non si tratta dunque di un generico umanitarismo. Per
Israele è in gioco qualcosa
della sua identità profonda.
Spe(
Non «generalizzare» a tutti
quelli che vivono nel suo seno la libertà dell’esodo equivarrebbe a rimettere in discussione un tratto tipico del
Dio d’Israele, la sua sollecitudine a rispondere al grido
dell’afflitto. Se la libertà non
si guarda dal diventare licenza di opprimere chi è socialmente svantaggiato essa si
snatura e viene perciò «impugnata» da colui che l’aveva donata.
La predicazione profetica pensiamo in particolare ad
Amos - riproporrà con toni
drammatici l’esigenza di giustizia diffusa che è qui sancita tra gli elementi essenziali
del patto di Dio col suo popolo. Permettere che altri subiscano al suo interno ciò
che ha patito in Egitto, equivale per Israele a mettere in
moto una sorta di antiesodo.
missione dei debiti (Deut.
15). Si possono richiedere
dei pegni, ma se il pegno è il
mantello, per la maggioranza
delle persone non ricche
l’unica copertura per la notte,
esso dovrà essere restituito la
sera. In altri termini, il diritto
del creditore a riavere il suo
non può trasformarsi in attività lucrativa: di più, esso
trova un limite preciso nel
diritto del debitore a non essere privato, a causa del suo
debito, di un certo numero di
garanzie minime.
Il diritto
e la volontà di Dio
Il prestito
Un discorso analogo viene fatto a proposito del
prestito. Non si tratta evidentemente del moderno prestito
bancario richiesto non da chi
è allo stremo, ma da chi ha
bisogno di un anticipo di capitale in vista di un’attività
produttiva che non solo gli
permetterà di pagare il debito
ma anche di aumentare i suoi
guadagni e quindi il suo tenore di vita. Israele conoscerà in modo drammatico il
problema del progressivo indebitamento degli strati più
poveri della popolazione, che
in molti casi giungeva fino
all’asservimento di sé o dei
propri figli, quando non si
aveva più nulla da ipotecare
o da vendere. Il prestito era
dunque richiesto non per crescere economicamente, ma
per non soccombere. La norma di Esodo 22, 25-26 stabilisce che non si possa lucrare
con interessi sul bisogno altrui; non solo, quando si concede un prestito non si deve
avere l’atteggiamento rigido,
talora inflessibile, del creditore solo preoccupato di riavere il suo.
Il Deuteronomio arriverà a
richiedere una periodica re
Non dobbiamo idealizzare queste antiche norme
né leggerle come se fossero
la compiuta esposizione di
un’utopia sociale, del sogno
di una società basata su un
egualitarismo perfetto, di un
«socialismo» utopico. Tant’è
che, nello stesso libro del
patto, si disciplina (e quindi
si presuppone) la schiavitù
per debiti o si applica la pena
di morte.
Tuttavia, il legame tra volontà di Dio e diritto, in par
ticolare diritto dei più (
è uno dei tratti più imp'
e caratteristici del
biblico. Nelle pagine!
li» (e profetiche) dell
bia ebraica non troviail
mule risolutive per glij
problemi sociali e giui®
Troviamo però po^
ogni evidenza il probfS
discernere, generazione^
generazione, le implica
concrete del fatto chel
beltà sia donata da Diól
lui vincolata al diritto ei
giustizia, in particola^
tutela di chi sta perde®
bertà, diritto, uguagliar|
È questa una dime®
in larga misura da rise®
ad esempio perché l|
cristiana tradizionale ,!
molto più interessata i
viduo che alla società e|
ritto, perché la sessu|
stata per alcuni To^
principale dell’etica, a|
pito dei rapporti sociH
scoprire questa dimeli
non solo ridona alla i
fede la sua ampiezza 1
ma può essere un con|
alla riflessione etica,
ca e politica della cofl
civile in cui viviamo.
Preghiera
Signore nostro Dio,
tu che ascolti
il grido dell’orfano e della vedova
dello straniero e del povero
rendi noi - che da quel grido
ci difendiamo col telecomando capaci di fare la nostra parte al servizB
del tuo diritto e della tua giustizia
Non rimandarci «in Egitto»,
come meriteremmo,
ma trasformaci con a tua Parola.
ì
Am¿
In Ci
Cas!
L'Ed
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L'Editore si impegna a corrispondere
il diritto di resa
Fondato nel 1848
Elezioni
Candidature nelle Valli
Al momento di «chiudere» il giornale tre soli sono i nomi
«certi» per le candidature alla Camera e al Senato nei collegi delle Valli: Lucio Malan correrà per la Lega Nord alla
Camera, un’esponente di Forza Italia dovrebbe essere candidato nella lista comune con la Lega al Senato; il pastore
Giorgio Bouchard è il candidato dei progressisti alla Camera, mentre Franca Coisson dovrebbe essere la candidata,
sempre dei progressisti, per il Senato ma si attende la conferma a livello romano; Attilio Sibille sarà il candidato al
Senato per i Riformatori (lista Pannella e altri). Per i partisti
e Alleanza nazionale ancora tutto da decidere.
venerdì 18 FEBBRAIO 1994
ANNO 130 - N
LIRE 1300
La guerra assurda, i massacri della Bosnia entrano ogni giorno nelle nostre
case attraverso i telegiornali;
al di là della incomprensibilità di quanto accade ci si
chiede sovente: che fare?
Come riuscire a far prevalere
il dialogo?
Fra le iniziative che in
molte zone del nostro paese
sono state assunte c’è l’ospitalità ai profughi, quasi sempre giovani donne con bambini piccoli; i mariti spesso
sono stati uccisi o sono impegnati nel conflitto o hanno
rifiutato di parteciparvi e sono ricercati per questo.
È un gesto importante di
solidarietà; da solo non potrà
mai sconfiggere la bestialità
del conflitto ma è uno dei
INIZIATIVE DI SOLIDARIETÀ
CON LA BOSNIA
PIERVALDO ROSTAN
pochi gesti in cui tutti possono in qualche modo impegnarsi. Anche nelle Valli sono ormai diversi i casi di
ospitalità.
Eppure quante difficoltà
per concretizzare questa solidarietà! In vai Pellice due
Comuni, molte associazioni
ospiteranno dalla prossima
settimana una famiglia di
profughi ma, per trovare un
alloggio, ben inteso in affit
to, sono stati necessari decine di contatti personali, appelli e alla fine la risposta è
arrivata dalla Chiesa valdese
di Angrogna.
È stata esposta nell’atrio di
un municipio una raccolta di
40 fotografie che ci permettono di cogliere nella loro
crudezza il dramma dell’ex
Jugoslavia; ma in Comune ci
vanno in pochi e allora ecco
un’idea: portare la mostra in
XVII Febbraio
Una festa di
tutto il popolo
italiano?
Alcuni anni fa l’allora presidente del Senato, Francesco Cossiga, in visita alle
Valli e da noi intervistato a
proposito del ruolo della festa del XVII Febbraio, ebbe
a dire che per certi versi questa ricorrenza, trattandosi
dell’estensione ad una parte
del popolo italiano di un diritto civile, avrebbe dovuto
essere ricordata da tutti gli
italiani. A volte sembra che
ci sia difficoltà a festeggiare
il XVII anche alle Valli.
Un tempo, ricordano gli
operai Fiat, si doveva prendere un giorno di permesso
(non di ferie) e quindi restituire addirittura i contributi
all’azienda. Oggi, nelle fabbriche, si può ricorrere a un
giorno di ferie; gli accordi
sono in questo senso, ad
esempio, alla Manifattura di
Perosa Argentina o alla Caffarel di Luserna dove l’anno
scorso circa il 70% delle
maestranze scelse il giorno
di vacanza.
Dove c’è maggiore flessibilità e, tutto sommato, minore uniformità, è nel mondo
della scuola. Così a Luserna
le famiglie valdesi hanno
protestato perché in sede di
Consijglio di circolo è stato
preferito usufruire di un giorno festivo il 14 febbraio, in
grado di garantire un ponte
lungo, piuttosto che fare festa il XVII; chiuse invece le
scuole del circolo di Torre
Pellice.
Nelle valli Chisone e Germanasca la scelta è da anni
quella della scuola aperta anche il XVII (tanto si sa che
ben pochi alunni vi andranno) con l’eccezione di Pomaretto, dove si festeggerà la ricorrenza. Aperte le scuole
medie di Perosa Argentina,
chiuse quelle di Torre Pellice
e Luserna, così come l’istituto tecnico di Luserna e, naturalmente, il Collegio di Torre
Pellice.
Gli studenti dell'Istituto magistrale «Rayneri» di Pinerolo contro il degrado della scuola
Scuola occupata per poter studiare meglio
DAVIDE ROSSO_________
Gli studenti dell’istituto
magistrale «Rayneri» di
Pinerolo da una settimana
occupano la propria scuola,
con una formula che, come
ha sottolineato lo stesso preside, Pietro Lucchese, è responsabile e mira a non intralciare la normale attività
didattica; gli studenti seguono regolarmente le lezioni mattutine mentre al pomeriggio si autogestiscono
organizzando varie attività di
studio e di discussione. Ma
perché hanno deciso di attuare l’occupazione?
Quando siamo andati a trovarli sabato ci hanno detto
che la scuola è in condizioni
di generale degrado: le aule
da 20 anni non vengono tinteggiate, rimpianto di riscaldamento che risale agli anni
’50 è inefficace, i servizi
igienici sono insufficienti, alcune aule del pianterreno non
hanno più il pavimento (solo
qua e là sono rimaste tracce
di un vecchio pavimento in
linoleum per il resto ciò che
rimane è un battuto di cemento), ci sono infiltrazioni
L'Istituto magistrale «Rayneri» di Pinerolo
d’acqua dal soffitto e a tutto
questo si aggiunge l’insufficiente numero di bidelli, 5 in
tutto contro i 9 che dovrebbero essere tenuto conto del fatto che la scuola conta 550
studenti, vari laboratori e uffici. Mancano al secondo piano anche le scale antincendio
mentre le barriere architettoniche impediscono ai disabili
di poter raggiungere il secondo piano dell’istituto costringendo, ad esempio, da
più anni un insegnante dell’istituto costretto su una se
dia a rotelle a tenere le proprie lezioni al pianterreno.
Tutto questo ci è stato mostrato dagli studenti del
«Rayneri» che attendono un
intervento del Comune. A
quanto ci hanno detto gli studenti e il preside Lucchese
l’amministrazione di Pinerolo, in un incontro tenutosi
all’inizio di dieembre su
sollecitazione del preside
stesso (anche pressato dagli
studenti che avevano manifestato l’intenzione di andare a
protestare di fronte al palazzo
Le Valli sono passate attraverso a
molte crisi economiche. C’è stata la
miseria, come negli anni seguenti
all’«emancipazione» del 1848.
Tra il 1850 e il 1854 una grave carestia colpì l’agricoltura delle valli: scarsissima fu la produzione del vino, delle
castagne e delle noci che rappresentavano la principale risorsa economica. A
Prarostino, Villar Pellice, Bobbio Pellice, Rorà, Angrogna, San Germano, Villasecca, si faceva la fame. La popolazione per poter sopravvivere faceva debiti, che finivano per rovinare le famiglie e dare origine a numerose liti. Il pastore francese Battista Noël scriveva, in
un rapporto del 1854: «L’ubriachezza
non è rara ad Angrogna e, nonostante
la loro povertà, parecchi degli abitanti
hanno uno spirito talmente portato alle
dispute che perdono ogni anno parecchie migliaia di lire, litigando gli uni
contro gli altri».
In questo contesto la fatica del lavoro
IL FILO DEI GIORNI
LA FAME
_____________GIOROIO GARDIOL____________
era grandissima e la sua rimunerazione
bassissima: «In quelle contrade — scrive
ancora il pastore Noël — l’agricoltore è
costretto ad essere lui stesso carretto e
cavallo, portando persino il fieno sul
suo capo dal fondo della valle fino alla
cima della montagna (...). In queste terre bisogna talvolta ricostruire il campo,
raccogliendo la terra al piede della
montagna, riportarla a spalle fino alla
cima, aspettando che gli anni successivi
la medesima terra, nuovamente trascinata in giù, sia di nuovo riportata a
spalle in alto una seconda, una terza
volta, indefinitamente».
mezzo alla città, nelle vetrine
dei negozi. Non si potrà far
finta di non vedere... a meno
che... già: siamo proprio nella settimana di san Valentino
e quindi nelle vetrine si sprecano cuori e cuoricini. «Non
si può mettere nella stessa
vetrina una foto così cruda!»,
è stata la risposta di un commerciante interpellato. Per
carità, la maggior parte delle
persone interpellate ha aderito con grande partecipazione
all’iniziativa, hanno capito.
Quel no rappresenta probabilmente solo la nostra
umanità, la nostra inadeguatezza, la nostra indisponibilità allo slancio gratuito; ma
è anche per episodi come
questo che è difficile far finire una guerra.
comunale), ha promesso che i
lavori di ristrutturazione sarebbero iniziati entro gennaio
’94; alTincontro hanno partecipato i rappresentanti di studenti, genitori, alcuni professori, il preside della scuola e
l’amministrazione comunale.
I lavori sembrano lontani dall’iniziare; dal Comune arrivano risposte evasive: da qui le
ragioni della protesta (decisa
durante l’assemblea studentesca del 7 febbraio) che mira a
smuovere una situazione che
si protrae da tempo: la prima
perizia infatti si ebbe nell’88
e da allora in poi, a quanto ci
è stato riferito, si è proceduto
con richieste da una parte e
promesse dall’altra senza che
si arrivasse ai lavori veri e
propri. Il preside che ha anche affisso un comunicato
dove traccia le tappe della vicenda, così come gli insegnanti della scuola sono solidali con gli studenti e durante
le ore serali assistono i giovani che sostano nella scuola.
Gli studenti stanno anche
raccogliendo firme per una
petizione, e finora ne hanno
già raccolte 1.600.
La miseria era grande e così la descriveva, in una lettera a sua madre, il pastore Giorgio Appia: «Molta gente rimane digiuna una buona parte della
giornata (...) ho visto in una famiglia
quattro persone dividersi un uovo (...)
in un altra quattro persone dormono
nello stesso letto di foglie (...) alcuni
hanno per cibo una specie di pane confezionato con i rimasugli delle noci dopo che se ne è estratto l’olio (...) a Torre c’è una famiglia in cui i bambini si
nutrono di erbe (...)».
Perciò si dovette ricorrere all’aiuto
dei riformati ginevrini. Nel 1854 furono
distribuiti 8.854,81 franchi a 1.066 famiglie e nel 1855 i franchi distribuiti a
962 famiglie furono 7.074; altri 14 mila
853,73 furono il frutto di una colletta di
solidarietà promossa dalla Tavola. I
franchi svizzeri erano utilizzati come
«aiuti allo sviluppo» per incentivare la
produzione di tele grezze che venivano
poi vendute in Svizzera.
In Questo
Numero
Teatro
La «recita» del XVII
Febbraio è una tradizione
che si rinnova di anno in
anno; tuttavia da un po’ di
tempo il fenomeno ha assunto una nuova consistenza e coinvolge decine di
giovani. Ci sono almeno
dieci gruppi teatro e le rappresentazioni vanno al di
là della data più classica
per fornire vere e proprie
occasioni di aggregazione
giovanile.
Pagina II
Turismo
Le Pro Loco possono essere effettivaménte uno
spaziò di proipozione turistica? Dovrebbero contare
su un maggiore coinvolgiinento dèlia popolazione?
Nè parliamo con i rappresentanti di alcune Pro Loco delia vai Germanasea.
Il caso di Salza dove è la
Pro Loco ad aiutare il Co'rttune.
Pagina III
Stranieri a scuola
Ci siamo dimenticati di
loro oppure si sono integrati talmente bene al punto da non rappresentare un
problema? Sono i figli delle famiglie di extracomunitari immigrati nella nostra zona. Le normative e
l’inserimento nel mondo
delle scuole del Pinerolese; esperienze a volte molto positive.
Pagina HI
Formazione
La formazione scolastica, oltre che crescita culturale, deve anche rappresentare un momento di
preparazione in vista del
lavoro; l’Istituto tecnico di
Luserna lancia nuove proposte per diversificare una
preparazione altrimenti
forse perdente.
Pagina HI
8
E Eco Delle ¥ìlli Va ii .orsi
VENERDÌ 18 FEBBRAIO !
UNA GUERRA ALLA FINESTRA A PINEROLO — Sabato 19 febbraio, alle 16, presso l’expo Fermili, verrà inaugurata l’esposizione della mostra del fotografo Paolo Siccardi
tratta dal libro «Una guerra alla finestra». La mostra resterà
aperta d pubblico fino al 27 febbraio. Nell’ambito di una
serie di iniziative sul dramma dell’ex Jugoslavia, martedì
22 febbraio, alle 21, sempre alla Fenulli, incontro sulle ragioni che h^no portato a questo conflitto; altri incontri sono previsti il 24 e il 26, alle 21, presso l’auditorium di corso
Piave, con i Sesto Senso che presenteranno canzoni e musiche dei Nomadi.
APPROVATO IL BILANCIO DI PERRERO — Il Consiglio comunale riunito giovedì 10 febbraio ha approvato il
bilancio di previsione per il 1994; dalla discussione che
c è stata è emersa la volontà della maggioranza di confermare l’applicazione dell’Ici, la tassa da quest’anno effettivainente coinunale sugli immobili, al 6 per mille. Dovrebbe intanto riprendere vigore la possibilità di estensione
della rete di metanizzazione della vai Germanasca da parte
dell Acca in concomitanza con la costruzione di tubature
per portare a valle acqua a scopi idropotabili. Il Consiglio
ha poi proceduto all’approvazione di un piano finanziario
integrativo per la costruzione di un campo sportivo; in un
primo tempo non erano previsti determinati servizi, che invece sono ritenuti necessari. Un ulteriore mutuo di 100 milioni è stato acceso per il completamento della fognatura
Eirassa Ribbe.
LA^ PEYROT SECONDA PER 6 SECONDI — Sfumata
l’opportunità di p^ecipare alle Olimpiadi, la sciatrice di
Frali Lara Peyrot si consola con la partecipazione a gare di
rilievo nazionale; domenica, a Dobbiaco, ha dovuto però arrendersi a Karin Moroder che l’ha superata, dopo 7,5 km, di
soli 6 secondi.
LE CAVE SONO RISORSA, NON SOLO COSTI — Da anni l’amministrazione comunale di Lusema lamenta di dover
far fronte al mantenimento della strada di Mugniva, per altro utilizzata quasi esclusivamente dai trasportatori dei
blocchi di pietra estratti dalle cave di Bagnolo. «Spendiamo
periodic^ente decine di milioni per quella strada - dicono
gli amministratori — e non ne abbiamo alcun vantaggio».
Ora questa situazione dovrebbe cambiare: sta infatti per essere siglato un accordo col Comune di Bagnolo (su cui si
parte delle cave) che dovrebbe permettere
una più attenta verifica dei quantitativi di materiale estratto;
Bagnolo interverrà a sua volta economicamente per il mantenimento della strada.
AUTORIPARAZIONI
Costantino Marco
Officina autorizzata
LA PRIMA IN PINEROLO
Via Montebello, 12 - Tel. 0121/321682
PINEROLO
Quante sono e come lavorano le tante filodrammatiche giovanili
Alle Valli si recita per tradizione
e per cercare nuovi linguaggi
DANIELE GARDIOL
SAN SECONDO: CIRCOLAZIONE DIFFICILE — È difficile circolare in questi giorni a San Secondo: il paese è diventato un grande cantiere in cui si muovono ruspe, camion
e operai. Si lavora alle fognature, ma anche alla costruzione
di una piazza nelle vicinanze del municipio come la foto
evidenzia; la forma, decisamente un po’ originale, ricorda
un anfiteatro greco e potrebbe in futuro ospitare anche manifestazioni culturali e musicali.
Il teatro è una tradizione
per il mondo valdese alle
Valli; dalle filodrammatiche
sono nate in passato esperienze estremamente interessanti come il Teatro Angrogna ovvero in molti casi si è
fatta della semplice, ma non
secondaria, aggregazione giovanile. Dopo che per diversi
anni si è registrata una certa
stasi e i gruppi teatro erano
ridotti nel numero e nei componenti, da qualche stagione
c’è un vero rilancio; giovani e
giovanissimi si cimentano
con testi in alcuni casi anche
assai impegnativi. Così, accanto alle tradizionali farse e
alle commedie, si sono rappresentati anche «gialli» e
pezzi più tradizionali, anche i
famosi «drammoni valdesi»
che dieci anni fa erano praticamente scomparsi dalle
locandine del XVII Febbraio.
Come sono costituite oggi
le filodrammatiche delle Valli, cosa recitano, come si inseriscono nella vita comunitaria? Alle Valli oggi si recita
presso una decina di comunità: Bobbio Pellice, Pomaretto, Pramollo, Rorà, Luserna San Giovanni, San Secondo, Torre Pellice, Villar Pellice, Villar Perosa, Villasecca;
quasi sempre il gruppo teatro
è diretta emanazione, o una
parte, del gruppo giovanile.
Da una verifica effettuata risultano essere impegnate circa 130 persone, oltre ai «tec
Una recita allestita dalla filodrammatica di Torre Pellice
nici» del suono e delle luci;
anche i registi sono in alcuni
casi più caserecci, in altri
persone con una lunga esperienza nel settore. Chiaramente la maggior parte delle
filodrammatiche legano la loro attività al XVII Febbraio
(con successive repliche), ma
ci sono naturalmente le eccezioni; a San Secondo e Villasecca le rappresentazioni avvengono da alcuni anni dopo
la fatidica data.
L’esercito degli «attori vaidesi» va da un’età molto giovane (13-15 anni per alcuni di
Bobbio e Villar Pellice) a
qualcuno più maturo: insomma in diverse comunità si recita fin oltre i 40 anni. Molte
filodrammatiche hanno anche
la caratteristica di essere
«ecumeniche»: nella metà dei
casi sono coinvolti anche giovani cattolici.
Anche l’aspetto linguistico
può essere di un certo interesse: il piemontese è lingua
ufficiale di molte commedie
brillanti proposte al XVII;
praticamente assenti francese
e patuà. Accanto alle commedie, che sembrano fare la parte del leone, troviamo anche
testi più impegnativi; nessuno
al momento pare proporre testi frutto della propria riflessione o della fantasia del
gruppo anche se, a Torre Pellice, dopo tre anni di Vittorio
Calvino, stanno pensando per
il prossimo spettacolo di por
mano alla penna e di presentare un proprio testo.
17 febbraio, giovedì.
MARETTO: Alle 16,30,
l’ex convitto valdese,’*
inaugurata l’esposizione’]
nente «Antichi mestieri»,
dal Centro culturale v
con la collezione di modi
Carlo Ferrerò.
Viaggio in Uruguay
: Il Centro Culturale sta organizzando un viaggio presso le
comunità valdesi del Rio de la
Piata (Uruguay e Argentina),
della durata di tre settimane e
da effettuarsi tra il 15 settembre e il 15 ottobre 1994.
Il programma è in via di definizione; per infonnazioni e
iscrizioni rivolgersi alla segreteria del Centro (tei.
0Ì21/932566).
19 febbraio, sabato —
ROSTINO: Alle 21, nel ^
valdese, la Camerata cor^ i' * '
Grangia presenterà una se^j
canti del repertorio piem^ punto
e di complaintes della tradì V"
valdese. ^ parsi e
20 febbraio, domen^i 0^^611
VILLAR perosa. Alle
nella chiesa valdese MasA tidiani
no Genot, al pianoforte, 3
terà musiche di Haydn, |
mann, Schubert, Listz. . j- ,
ì di extr
25 febbraio, venerdì
MARETTO: Alle 20,30, '
cali del teatro valdese, si
gerà un incontro sul tema
tadini e cristiani in un’
che cambia»; intervengo
stavo Zagrebelsky, doc^
Diritto costituzionale all
versità di Torino, e il pa(
Franco Giampiccoli; modg
serata il presidente della (J
nità montana valli ChisS
Germanasca, Erminio Ribtìi
25 febbraio, venerdì —
NEROLO: Alle 20,45.
cali della chiesa valdese, sìij poluoj
ge la riunione mensile del| aumer
po «Capemaum».
CONOMI
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Posta
Allarme lavoro
I dati sulla disoccupazione
che ci forniscono le statistiche indicano una situazione
assai allarmante, con poche
prospettive di miglioramento
nel breve periodo: la zona di
Torino, su cui gravita una
buona parte della manodopera delle nostre valli, è particolarmente colpita dalla crisi e
gli avvenimenti di quest’ultima settimana non fanno certo
ben sperare.
Ormai conviviamo con una
realtà che vede molte delle
nostre famiglie affrontare in
qualche modo il problema
della disoccupazione: a volte
si tratta di giovani in cerca di
primo impiego mentre in altri
casi vi sono persone che hanno perso il lavoro perché la
loro azienda è andata in crisi
o è fallita. A questi vanno aggiunti coloro che rischiano di
perdere il posto o di essere
messi in cassa integrazione e
si trovano di fronte a prospettive di lavoro quanto mai incerte. Personalmente mi sono
trovato nella condizione del
giovane in attesa di prima occupazione e le mie ricerche
sono durate circa un anno prima di dare un risultato positivo: francamente, speravo di
trovare lavoro in tempi più
brevi perché sentivo sempre
dire che il mio titolo di studio
(una laurea in Economia e
Commercio) era molto richiesta sul mercato.
II mio ottimismo si è tuttavia scontrato con la realtà e il
mio metodo di ricerca ha seguito tre filoni principali: il
primo è stato quello di partecipare ad alcuni concorsi
pubblici con poche probabiiità di successo (una volta
erano in palio 5 posti per
1.200 candidati) ma con la
certezza di fare un’esperienza
utile. Il secondo filone è stato
quello di presentare domande
di lavoro «a tappeto» in tutte
le industrie, banche e società
di revisione di bilanci della
zona: su un totale di 40 domande ho ricevuto otto risposte di cui sei negative e due
inviti a colloqui di lavoro a
cui ho partecipato anche se
mi era stato detto sin dall’inizio che, in caso di esito positivo, la mia assunzione sarebbe stata congelata in attesa di
tempi migliori. La terza via è
stata quella di rispondere agli
annunci economici di giornali
e riviste: non sempre possedevo tutti i requisiti richiesti,
tuttavia tentar non nuoce e le
domande inoltrate hanno
sempre trovato risposta, che
in un caso è stata positiva e,
dopo un lungo colloquio
presso l’azienda, è arrivata la
sospirata assunzione.
lampante che nemmeno Dio
me l’avrebbe levata.
Senza testimoni, senza colpa, senza carabinieri, assente
al processo, come si motiva
tecnicamente la sentenza?
Qualcuno mi può aiutare a
capire?
Lettera firmata
Pochi giovani
a discutere
Andrea Melli
Bobbio Pellice
Una sentenza
poco chiara
Due anni fa, in un’impeto
di (provocata) collera, dissi
una parola a una persona che,
sentendosi umiliata, mi denunciò, ingigantendo un po’ i
termini. Fui raggiunto da un
avviso pretorile ma non vidi
mai i carabinieri competenti
per zona.
Dopo un anno e più sono
stato condannato al pagamento di una multa (£ 100.000).
Interrogato il difensore d’ufficio, ho avuto da lui un ammonimento a non insistere
con ricorso in appello, tanto
la mia colpa era talmente I
A proposito del dibattito
che si è tenuto mercoledì 18
gennaio sulle problematiche
inerenti la tutela dei minori,
peraltro già affrontato in uno
dei numeri precedenti, ci pare
opportuno fare alcune considerazioni.
L’aula consiliare del Comune di Torre Pellice, dove
si è tenuto rincontro, era
«sovraffollata di giovani»,
purtroppo solo in senso ironico. Infatti, ci potevamo contare sulle dita di una mano.
Ciò potrebbe essere imputabile alla sveglia che all’indomani sarebbe suonata molto
presto o forse a una scarsa
pubblicizzazione. Ricordiamo, infatti, che lo scorso anno anche il cinema Trento,
dove si era tenuta la conferenza-dibattito sulla «devianza giovanile», era al completo. Riteniamo che vi sia una
sensibilità verso questo tipo
di tematiche, vista anche l’alta percentuale di giovani della valle che vivono situazioni
di disagio. La «comunità
educante» sta crescendo (anche se mercoledì sera questo
non è sembrato).
È stato fatto notare che i
presenti erano i «soliti», cioè
operatori socio-assistenziali,
genitori adottivi e affidi
Forse anche per questo il
scorso, in definitiva, hai
per scontato alcuni asf^
noti quasi alla totalità!
presenti, ma non a tuttì<|
differenza fra adozione e|
fidamento, come si svoli
vita nella Comunità all(^
e le notevoli difficoltà dà
ragazzi, quando compio»
maggiore età incontri!
nell’inserimento nellaf
La
sta
creta, per esempio, non m
stati del tutto chiariti.^
«insoliti», come noi, et*
molto pochi; un maggiorii
mero di partecipanti noni
detti ai lavori avrebbe rii
discorso più stimolai
L’importante è, comuni
che vi siano sempre spai
confronto e di sensibili®
zione come questi.
Sonia
Luca
Torre
Per la pubblicità ,
su L’Eco delle valli valdesi
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Resp. Franco Giampiccoli i
Stampa: La Ghisleriana MondrWl
Una copia L. 1.300
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VENERDÌ 18 FEBBRAIO 1994
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I problemi e le aspettative dal punto di vista dei direttori didattici in vai Pellice
La scuola^ occasione privilegiata di
inserimento per i bambini extracomunitari
CABMELINA MAURIZIO
Ci siamo dimenticati di loro o si sono integrati a tal
punto da non rappresentare
più un problema di cui occuparsi e con il quale misurarsi?
Forse non si tratta né dell’una
né dell’altra cosa; sommersi
come siamo da messaggi quotidiani sulla crisi economica,
su guerre e su minoranze etniche in difficoltà, la presenza
di extracomunitari nel nostro
territorio al momento sembra
non far parte delle urgenze e
delle emergenze. In realtà ci
sono interi nuclei familiari,
bambini, uomini e donne in
cerca di lavoro dopo aver abbandonato le loro terre,
rincorrendo una speranza, che
fanno ormai parte integrante
del nostro tessuto sociale.
Di recente un’indagine del
Provveditorato agli Studi di
Torino faceva rilevare che il
nerdì—1 numero di bambini extra20,45, nei] comunitari nelle scuole del caIdese, sii poluogo e della provincia è in
sile del,| aumento. Se è vero, come ci è
stato confermato dai direttori
didattici intervistati, che la
scuola per queste famiglie e
questi bambini è un importante punto di riferimento,
un’occasione per inserirsi, un
modo per imparare la lingua e
uista per conquistarsi una chance in
oggetti I più per essere riconosciuti, efJ fettivamente rilevare la presa pensiq senza numerica dei minori ex;teticoJ
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li; mi
della
li Chisi
rio Rii
iMIi
tracomunitari significa anche
conoscere un po’ più da vicino questa realtà.
I dati ci dicono che la presenza di bambini provenienti
dal Nord Africa (in maggioranza), dall’America Latina e
dai paesi orientali seppure non
massiccia è importante. Spesso si tratta di famiglie con più
figli e parenti, arrivati qui a
più riprese ma ormai presenti
stabilmente. Complessivamente, tra Pinerolo e i vari comuni valligiani gli extracomunitari iscritti a una scuola media o elementare nell’anno
scolastico in corso sono circa
cinquanta, tra cui un quarto in
vai Pellice, una dozzina presenti nelle scuole delle valli
Germanasca e Chisone e i restanti a Pinerolo. Non tutti
però sono in regola con le normative (i permessi di soggiorno sono vincolati alle attività
’«■■Il &
lavorative precarie dei genitori e quindi di breve durata) ,
per cui spesso i bambini sono
iscritti alla scuola dell’obbligo
«con riserva». A questo proposito va detto che meno di un
mese fa il Ministro della Pubblica Istmzione ha emanato la
circolare numero 5 del 12-194, che intende tutelare il diritto allo studio del minore
extracomunitario che vive in
Italia, invitando i capi di istituto a procedere comunque
all’iscrizione, impegnandosi a
sciogliere la riserva non appena gli interessati abbiano normalizzato la propria posizione. «La situazione di forzata
irregolarità in cui spesso si
trovano questi bambini, - dice
Roberto Eynard, direttore didattico del circolo di Torre
Pellice che al momento conta
cinque iscritti provenienti da
famiglie di origine marocchi
JParlano i responsabili delle associazioni in vai Germanasca
La difficoltà per le Pro Loco
sta nel coinvolgere la gente
liCità ;
Ili valdesti
riali
36.38
Valdesi
25 Torino
278
- 10066
;to)
2166
)st./50
Dopo i Comuni, le Pro Loco; le forme organizzative
che si propongono sul territorio sono spesso limitate a
questi due elementi: in qualche caso sono sorte anche associazioni culturali, ma in
realtà piccole come i paesi
della vai Germanasca, le Pro
Loco hanno un loro spazio
abbastanza definito. Problemi, prospettive, rapporti col
territorio sono stati affrontati
nel corso di un incontro organizzato dalla nostra redazione: vi hanno partecipato Giovanna Caimotto e Ilario Alcalino (Pomaretto), Giulietta
Breusa (Perrero), Piero Sanmartino (Salza di Pinerolo).
Quasi tutte le Pro Loco
hanno numerosi soci, ma
grande difficoltà a coinvolgerli nell’organizzazione delle iniziative e, in certi casi,
anche nel farli partecipare alle manifestazioni proposte.
Le attività sono quelle più
tradizionali (carnevale,' tornei
di calcio, incontri musicali,
feste paesane, spettacoli natalizi) ma c’è in questi ultimi
anni un tentativo di valorizzazione turistica, ad esempio
riscoprendo le varie borgate a
piedi o a cavallo o di proporre iniziative più nuove, come
fe gare di ballo intemazionali
come quelle di Pomaretto.
Considerando anche le dimensioni del paese e della
sua Pro Loco a Salza oramai
da diversi anni si sono svolti
momenti di grande richiamo;
6alza music e i concerti sono
un vero fiore all’occhiello per
fetta la zona. «Salza music dice Piero Sanmartino - ci ha
talvolta causato alcuni prolemi; c’è chi sostiene che
questa festa sia diventata un
raduno di tossicodipendenti.
Noi facciamo in realtà una
grande festa di tre giorni per
i giovani, poi è inutile negare
che ci siano molti ragazzi che
si fumino uno spinello. Due
settimane dopo, da sei anni,
proponiamo un grande concerto di un cantautore italiano. Queste iniziative costano
parecchio ma comunque ci
consentono in genere di chiudere con degli utili che
reinvestiamo sul territorio a
favore degli anziani o addirittura del Comune al quale
abbiamo dato un contributo
per il trasporto degli alunni
alla scuola».
«Molte volte - aggiunge
Giulietta Breusa, della Pro
Perrero - dobbiamo constatare che alle nostre iniziative
manca la partecipazione proprio della gente del posto.
Buon successo ha avuto la festa del paese che l’anno scorso ha ospitato un concerto di
musica classica e che ha visto anche la partecipazione
dei ragazzini che suonano il
pianoforte nel nostro paese».
In molte situazioni le Pro
Loco rappresentano un importante strumento di promozione turistica; è chiaro che la
maggior vocazione turistica
della valle riguarda Prali, dove c’è un ufficio turistico,
tuttavia qualcosa, a livello
proprio di promozione potrebbe essere fatto anche più
in basso; in concreto cosa
succede? Ci sono rapporti
con l’Apt di Pinerolo? «Con
l’Apt pinerolese - aggiunge
Giovanna Caimotto, della Pro
Pomaretto — abbiamo rapporti molto limitati; forse una
na, - è ancora oggi uno dei
pochi ostacoli che impediscono un’integrazione ufficiale
con il territorio».
È interessante notare poi
che in generale a parte l’iniziale difficoltà di comunicazione dovuta alla lingua diversa, per il resto i bambini
per lo più marocchini presenti
nelle nostre scuole frequentano con regolarità e vivono la
scuola come un’occasione
fondamentale di socializzazione. «I bambini che da circa
cinque anni frequentano le
scuole del circolo di Luserna
San Giovanni (nove tra Bibiana, Bricherasio e Luserna) spiega il direttore Marco Armand Hugon -, hanno sempre
frequentato regolarmente, anche perché in nessun caso si
trattava di famiglie di ambulanti, che molto spesso coinvolgono anche i figli in questa
attività lavorativa».
Quello che emerge allora
da questo quadro di insieme
fornitoci dalla situazione dei
minori extracomunitari presenti nelle scuole delle nostre
valli ci induce a pensare che
effettivamente non ci sono al
momento problemi nuovi e
che l’inserimento delle famiglie nordafricane è ormai un
dato di fatto, senza per questo
però dimenticare che in molti
casi le situazioni lavorative
degli adulti sono estremamente precarie.
Luserna San Giovanni
L'Istituto tecnico
cerca nuove strade
PIEBVALDO ROSTAN
Da alcuni anni l’Istituto
tecnico per ragionieri e
geometri di Luserna San Giovanni ha ottenuto l’autonomia
dalla sede principale, il Buniva di Pinerolo; la professoressa Antonella Mavilla è la preside di questo istituto che da
due anni è stato intitolato a
Leon Battista Alberti. Una
scuola nata prima come biennio e successivamente estesa
a tutto il corso, che ha saputo
rappresentare per tutta la valle
un buon riferimento; «Oggi i
nostri studenti sono circa 400
nella sede centrale e una cinquantina nella sede aggregata di Torre Pellice - dice la
preside -; attualmente la
maggior parte ha scelto ragioneria (dieci classi) contro
le sei classi di geometri, ma
già dall’anno passato c’è una
certa tendenza all’aumento
per i geometri, anche fra le
ragazze. Buona parte degli
studenti proviene dalla vai
Pellice ma sono numerosi anche i ragazzi provenienti dalle
vicine Barge e Bagnolo».
- Posto che approfondire le
proprie conoscenze culturali è
sempre positivo, non c’è un
po’ il rischio che corsi 'come
quello di ragioneria diventino
in molti casi «scuole di disoccupazione»?
«Effettivamente in tempi come questi è molto difficile fa
riunione l’anno. Qualcosa in
più sulla promozione turistica la fa la Comunità montana, ma ci vorrebbe maggiore
partecipazione della gente».
Poco denaro (i Comuni danno contributi abbastanza contenuti, banche, enti come Regione o Provincia sono spesso assenti) difficoltà a coinvolgere i cittadini; esiste anche un problema di spazi? «A
Pomaretto abbiamo un’area
attrezzata con il campo sportivo e la sala del bar - precisa Giovanna Caimotto -; da
un po’ di tempo in qua è venuta a mancare la disponibilità del cinema e ora ci
troviamo sempre a dover
chiedere il tempio o il teatro
valdese».
Perrero può contare su un
Centro culturale. Salza ha invece un suo anfiteatro naturale in cui si svolgono le principali manifestazioni; fra qualche settimana partirà il nuovo
Cantavalli e saranno in alcuni
casi ancora le sale delle chiese valdesi ad ospitare i concerti. Proprio il Cantavalli è
l’unica iniziativa che vede
una qualche collaborazione,
se non altro a livello di redazione di calendario, fra le varie Pro Loco; «Dovremmo incontrarci di più - conclude
Giulietta Breusa -; dal confronto possono nascere delle
nuove idee e proposte interessanti».
Qualche proposta in più,
proprio sul piano turistico,
potrebbe arricchire la zona; il
progetto di valorizzazione turistica delle miniere, una proposta per la valle, una maggiore interazione diventeranno indispensabili.
Incontro istruttivo a Pinerolo
Elezioni: conoscere
le nuove regole
DANILO MASSEL
L9 incontro promosso dal
Comune di Pinerolo sul
tema «Le nuove regole elettorali» concernente le riforme
elettorali e le innovazioni
nell’organizzazione degli enti
locali è il primo di una serie
sul tema della società civile.
All’appuntamento di giovedì
3 febbraio hanno partecipato
l’avv. Guido Brosio, vicesindaco di Torino e il prof. Gustavo Zagrebelsky, docente di
diritto costituzionale.
Gli aspetti tecnici della
riforma degli enti locali sono
stati visti dall’avv. Brosio in
diretto collegamento con
quanto avvenuto in questi mesi nella realtà torinese: dalle
controversie sul computo dei
voti ai problemi sulla convocazione e sulla presidenza
della prima riunione del consiglio comunale, alla questione infine della nomina dei
vertici delle imprese municipalizzate. Il vicesindaco di
Torino ha osservato che l’introduzione di nuove norme è
stata accompagnata da un discreto numero di questioni applicative non previste, ma ha
anche fatto rilevare che alcune delle stesse erano forse indotte da una certa difficoltà
ad adeguare le tecniche interpretative al «nuovo spirito»
della legislazione.
L’intervento del prof. Zagrebelsky è invece stato incentrato sulla legge maggioritaria per le elezioni al Senato
e alla Camera e sulle «promesse» di rinnovamento affidate al nuovo sistema elettorale. Queste promesse sono state
individuate dal relatore sotto
forma di due obiettivi di fondo: miglioramento della qualità della classe politica, considerati gli esiti poco edificanti del vecchio sistema elettorale, e razionalizzazione del sistema politico, nel senso di favorire una razionale alternanza delle maggioranze politiche
in Parlamento e quindi di governo. Circa la possibilità di
realizzazione di questi obiettivi, il giudizio del prof. Zagrebelsky non è stato particolarmente ottimista. Da un lato,
infatti, egli ha detto che si sta
assistendo, nell’individuazione dei candidati nei collegi
uninominali, insieme alla diminuzione del ruolo dei partiti
tradizionali, alla caduta della
distinzione fra le tre funzioni
tipiche di una società organizzata: la funzione politica,
quella economica e quella culturale, con una commistione
di ruoli che appare problematica e rischiosa. Dall’altro lato
ha invece osservato come la
molteplicità dei candidati e
degli schieramenti che si va
configurando, molto lontana
ad esempio dalla realtà elettorale inglese, insieme al permanere di una quota proporzionale, rendono poco probabile
la realizzazione anche della
seconda promessa.
re previsioni sull’inserimento
nel mondo del lavoro. Per rispondere a questi problematiche il collegio docenti ha recentemente richiesto (il che
non vuol dire automaticamente ottenuto) al ministero
di modificare uno dei corsi di
ragioneria nel senso di una
maggiore “licealizzazione”
della scuola per evitare quelle
grosse disparità che si potevano creare fra diversi tipi di
scuola; in questo modo si dovrebbero anche facilitare
eventuali passaggi da un tipo
di scuola all’altra, visto che
spesso a 13 anni è diffìcile effettuare delle scelte di scuola
superiore. In più in progetti
come il nostro c’è la prosecuzione delle lingue straniere fino in quinta e un migliore apprendimento dell’uso di mezzi
quali i computer».
- Iniziative nuove sono state anche proposte per la sezione di Torre Pellice, l’ex
Bosso per intenderci...
«A Torre Pellice quest’anno è iniziato il progetto di formazione di operatori turistici
d’azienda. Il corso è articolato in un biennio in cui vengono prese tutte le materie tradizionali con un maggiore utilizzo dell’elaboratore al posto
della dattilografia; rimane
comunque, al termine del
triennio, l’esame di qualifica
professionale. La prospettiva
è di creare comunque maggiori collegamenti col mondo
del lavoro con delle esperienze di scuola lavoro in
aziende della zona».
- Che cos’è che spinge dei
giovani ad iscriversi a una
scuola come l’istituto di Luserna? Il desiderio di inserimento nel mondo del lavoro o
la volontà di formazione globale? Ci sono dei contatti precedenti le iscrizioni con le famiglie, con i ragazzi stessi?
«Direi che quest’anno, molto più che in passato, ci sia
stato un approccio, anche visivo e fisico, con la scuola.
Abbiamo preparato un opuscolo da distribuire nelle
scuole medie, ma molti genitori hanno voluto visitare la
nostra scuola».
- L’ultima parte del 1993
ha visto gli studenti organizzarsi in forme di protesta contro la «riforma» della scuola,
proponendo momenti di occupazione e autogestione; cosa è
accaduto a Luserna?
«Qui c’è stata autogestione,
condotta con molta maturità;
determinate richieste degli
studenti, quali maggiori spazi
per stare insieme, sono a mio
avviso più che legittime. È
stata chiesta la collaborazione di insegnanti per affrontare alcuni argomenti di grande
interesse. A Torre Pellice c’è
stata invece un po’ di confusione. Rispetto ad altri momenti di contestazione studentesca per certi versi questi ragazzi mi sembrano quasi più
maturi. Bisogna però tener
conto che nel ’68 o nel ’78
ciò che si doveva ottenere era
molto di più. Ora c ’è un gran
bisogno di discutere di argomenti che non siano esclusivamente quanto proposto dal
programma ministeriale».
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Arriva PSOS dai bambini di tutto il mondo
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FRANCESCO PETBOSILLO
LJ aumento degli aiuti internazionali deve fondarsi su un impegno continuativo e soggetto a verifica,
a soddisfare i bisogni umani
' elementari e a mantenere, nei
f periodi difficili, il principio
' della «priorità all’infanzia».
' L’opinione pubblica dei
paesi industrializzati ritiene
nella sua generalità che i fondi destinati agli «aiuti allo
sviluppo» siano finalizzati al
soddisfacimento dei bisogni
elementari dei poveri paesi
in via di sviluppo. La realtà è
ben diversa !
La realtà è che solo il 1015% degli aiuti è utilizzato
per venire incontro ai bisogni
della gente povera, e questa
quota scende addirittura a
meno del 5% se si escludono
i fondi destinati al sostegno
della scuola secondaria. Solo
r 1% circa degli aiuti intemazionali va ai servizi di assistenza sanitaria di base, che
sarebbero in grado di prevenire o curare l’80% dei casi
di malattia, malnutrizione e
morte prematura che si veri
ficano nel mondo in via di
sviluppo. Solo l’l% circa va
ai servizi di pianificazione
familiare, che potrebbero fare tanto per migliorare le
condizioni di vita di milioni
di donne e bambini. E molto
meno deH’1% va all’educazione primaria che rappresenta al tempo stesso un bisogno umano fondamentale e
uno dei migliori investimenti
che un paese possa fare per il
proprio futuro.
Il Summit per l’infanzia
del 1990, conclusosi con la
Dichiarazione mondiale, aveva individuato gli obiettivi
principali per la sopravvivenza, lo sviluppo e la protezione dei bambini, e aveva impegnato i governi a orientare
i bilanci nazionali degli aiuti,
affinché quegli obiettivi venissero raggiunti. Alcuni governi hanno redatto i programmi nazionali di azione
sulla base dei quali apportare
il proprio contributo al raggiungimento delle finalità
concordate, ma è indubbio
che molti degli obiettivi individuati dal Summit sono intrinsecamente deboli dal
Le leggi sulle barriere architettoniche
UssI; chiese e disabili
DANIELE MIRAGLIA
H;
o letto con molto interesse i due articoli apparsi su «L’Eco delle valli
valdesi» n. 46 e 48 sul tema
delle beuriere architettoniche
e trovo molto importante promuovere dibattiti su tale argomento perché si possa fare
.chiarezza sulle tematiche sollevate nei due articoli e verificare se il problema delle
• barriere architettoniche nella
quotidianità venga tenuto in
giusta considerazione sia dali| tla legislazione vigente, sia
»dall’atteggiamento comune
■ della gente, sia dalle strutture
delle nostre chiese.
E vero che esistono articoli
"di legge sull’abbattimento
delle barriere architettoniche
■' (dpr n.384 del 27/4/78 in attuazione deH’art.27 della legge n.ll8 del 1978) ma come
mai non viene attuata in primo luogo proprio dalle strutture pubbliche? È una vergogna che ancora esistano Ussl
J- in stabili privi di ascensori e
di scivoli, e come questa si
■ tuazione sia presente anche in
‘ molti altri edifici pubblici.
Una rapida ricognizione da
parte di chiunque di noi confermerebbe in pieno questa
situazione.
Inoltre la legge 833/78 isti' tutiva del piano sanitario nazionale stabilisce all’art.Sl
che le funzioni amministrative in materia di assistenza
protesica e specifica agli in~ validi civili sono di compe' tenza delle Ussl. Questo vuol
dire che è un diritto per un di‘ sabile essere messo in condizione di indipendenza e riceI vere quei mezzi che possono
j far sì che questi avvenga, ma
abbiamo consapevolezza del‘le lungaggini burocratiche e
) di tutte le umiliazioni che dei ve sopportare un disabile per
i ottenere il riconoscimento effettivo di tali diritti?
Venendo alla nostra espeìrienza, siamo sicuri che noi
come chiese agiamo diversamente dalle strutture pubbliche? Quanti sono i nostri
Centri che in questo momento sono in grado di offrire ai
disabili quelle strutture che
i permettono loro l’autonomia
di movimento? E quante
chiese consentono una piena
partecipazione dei disabili alle varie attività comunitarie?
Credo poche.
Infine se centrale è certamente il problema delle bar■ riere architettoniche da abbattere per consentire concretamente l’inserimento dei disabili nella vita sociale, è ancor
più importante cominciare ad
abbattere quelle barriere mentali che impediscono a tutti
noi una pienezza di vita e di
vera comunione.
punto di vista politico, perché riguardano le fasce di
popolazione più povere e
ininfluenti, oltre che esigenze a lungo termine.
Per marcare la controtendenza innescata dall’approvazione della Convenzione
sui Diritti dell’infanzia e dalle conclusioni del Summit, si
aprono ampi spazi di intervento per l’opinione pubblica
dei paesi ricchi, che dovranno esercitare la maggiore
pressione possibile, affinché
gli aiuti siano destinati agli
interventi per l’infanzia.
Gli ostacoli che si frappongono a una redistribuzione
della spesa sociale a favore
dei poveri sono chiaramente
di carattere politico. Aumentare la spesa sanitaria di base
o incentivare l’educazione
primaria significa trasferire
risorse dai ceti benestanti a
quelli poveri, scardinando
interessi consolidati. Un tale
travaso di risorse è realisticamente prevedibile nei sistemi
democratici, dove i poveri
hanno comunque un peso
politico, sulla base però di
un accordo e di un controllo
con i paesi donatori. Aiuti
che riescano veramente a
raggiungere obiettivi di sviluppo elencati nella Dichiarazione mondiale - diminuzione della mortalità infantile e materna, riduzione della
malnutrizione grave nei
bambini, accesso universale
all’acqua potabile e ai servizi
igienici, accesso universale
all’educazione primaria e riduzione dell’analfabetismo
negli adulti - «sono esattamente gli aiuti che la maggioranza della gente nei paesi in via di sviluppo vuole ricevere, e che la maggioranza
della gente nei paesi industrializzati è disposta a dare». Al momento la situazione nei paesi «a rischio» è la
seguente:
Albania - L’Albania ha la
più alta mortalità infantile d’Europa: 37 bambini morti prima di
compiere 5 anni su mille nati vivi, e ancora più alta nelle regioni più povere e montagnose del
Nord. Il 50% dei bambini che
vivono nelle campagne sono
malnutriti (nelle città la percentuale scende al 10% ma risale al
34% nei sobborghi poveri di Tirana). Principali cause di morte
sono la polmonite e altre infezioni respiratorie, combinate
con la malnutrizione.
Romania - La mortalità infantile sotto i 5 anni e del 34%,
e tuttora mancano dati attendibili sullo stato nutrizionale dell’infanzia, molto precario stando alle prime rilevazioni dell Unicef.
Jugoslavia - Oltre 500.000
sono gli sfollati in Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina e nelle
altre Repubbliche jugoslave, e
almeno il 75% di questi sono
donne e bambini, 187.500 i ragazzi sotto i 15 anni, 200.000
sono in Croazia, 24.000 in Slovenia, 100.000 in Bosnia-Erzegovina. 167.500 in Serbia, 6.000
in Montenegro, 2.500 in Macedonia. Servono medicine e vaccini indispensabili per garantire
la salute dell’infanzia e integratori alimentari per i neonati e
per le donne in gravidanza.
Iraq - A più di un anno dalla
conclusione della guerra del
Golfo, scarsa e l’attenzione sulla
drammatica condizione dei
bambini iracheni, prime vittime
di un dopoguerra pesantissimo.
Tutti i più recenti rapporti delle
Nazioni Unite e di organismi
umanitari segnalano situazioni
disastrose: milioni di persone,
soprattutto bambini, soffrono
per la fame e la mancanza d’acqua e medicinali. Se la situazione non cambia, secondo le stime
dell’Unicef, la mortalità infantile in Iraq sarà fra breve raddoppiata rispetto ai livelli anteguerra. Nel sud dell’Iraq oltre
42.000 bambini sono in stato di
gravissima denutrizione, e il numero è destinato ad aumentare.
Tifo, epatite, colera e dissenteria
sono sempre più diffusi, mentre
a causa della scarsità dei vaccini, la poliomielite ricompare e il
morbillo ricomincia a mietere
vittime. Mancano acqua potabile, antibiotici, farmaci di base.
NOTIZIE DA RIESI
SICILIA
AMARA
GIUSEPPE PLATONE
Nell’ufficio del sindaco di
Riesi c’è un quadro rappresentante volti di donne ve-,
stite di nero che piangono. E
il ritratto della Sicilia amara,
descritto tante volte: da Pirandello a Verga, a Sciascia.
È la Sicilia dell’emigrazione,
della disoccupazione, della
mafia. Quel quadro è un biglietto da visita di questo Comune: ma questo quadro lugubre, melanconico, non piace alla dottoressa Fascianello,
una dei tre commissari antimafia che amministrano Riesi. «Mi deprime questa visione della Sicilia; oggi ci sono
gli strumenti per una rivolta
morale, per imboccare un
nuovo cammino».
Che cosa manca per avviarsi decisamente verso il nuovo? «Manca - dice la dottoressa Lombardo, la seconda
commissaria - la cultura del
lavoro. Il lavoro, quando c’è,
non deve servirci solo per lo
stipendio ma per dare qualcosa agli altri. La mentalità del
furbo, del cercare di frodare
lo stato, del parassitismo, è
ancora molto radicata ma
qualcosa, pur lentamente sta
cambiando». Sì, il grande assente è il lavoro. L’agricoltura e il terziario non bastano
per un paesone come Riesi
oggi ridimensionato a 12.500
abitanti: ci vorrebbe un po’ di
industria differenziata. Fuori
Riesi c’è già una grande area
industriale, parzialmente attrezzata, ma non è ancora sorto un capannone. Poco lontano al confine con il Comune
di Sommatine c’è il grande
complesso abbandonato delle
miniere di zolfo di Trabia
Tallarita con i suoi impianti,
le case degli operai, le scuole,
la vecchia stazione ferrovia
Linguaggio e segni del nuovo messianismo politico italiano
La salvezza non è un bene da vendere
ANNA MAFFEI
Al grido di «Silvio, dacci
la luce» si è ufficialmente aperta nel Palafiera dell’Eur a Roma, lo scorso 6
febbraio, la campagna elettorale di Forza Italia. Senza entrare nel merito delle scelte
elettorali di ciascuno, alcune
brevi riflessioni sul linguaggio e i segni di quello che appare come il nuovo della politica-spettacolo di fine secolo. Doppiopetto grigio, sguardo accattivante, leggero make-up, frasi brevi, parole
scandite con studiata determinazione, slogan a effetto, vasta platea inneggiante, sfondo
azzurro intenso, schermo gigante alle spalle: ecco gli ingredienti, enormemente amplificati dalla sofisticata tecnologia elettronica al servizio
della massima resa sullo
schermo, della «discesa nel
campo della politica» del cavaliere Silvio Berlusconi.
Nulla di strano ci sarebbe
nell’Italia dei grandi rivolgimenti politici e sociali nell’
ingresso di un altro personaggio nell’affollata kermesse
politica di questi ultimi mesi,
nulla di grave se l’entrata
nella politica attiva del magnate di Arcore non fosse
ammantata nelle parole e nei
simboli di una valenza quasi
messianica. Lo stesso Berlusconi aveva preconizzato la
sua diretta partecipazione alla
competizione politica quale
una decisione dolorosa ma
necessaria qualora non ci fosse stato qualcuno nel panorama politico italiano in grado
di «salvare» l’Italia dai comunisti. E così la sua decisione, se pur sofferta, è divenuta per sua sola dichiarazione (ahimè) inderogabile «per
il bene del paese».
Ma la categoria della salvezza non è l’unica usata per
offrirsi alla gente come indispensabile uomo della provvidenza. Luce, speranza, amore, rispetto, fiducia, futuro
sono le parole più gettonate
nei suoi martellanti spot, costruiti con l’arte consumata
dei «creativi», coloro che
«creano» quegli stessi messaggi pubblicitari che hanno
fatto la fortuna delle sue reti
televisive. E «miracolo», sì,
rispolverata dalla terminologia religiosa anche la vecchia
categoria del miracoloso: il
miracolo di un paese più ricco
e spensierato, più libero e più
felice, dove le famiglie corrono serene sui prati della vita,
dove tutti, dai più piccoli ai
più anziani, abbiano.qualcuno
che pensa a loro.
Certamente il nuovo messianismo tecnologico si arric
chisce anche di termini più
attuali come professionalità,
efficenza, libero mercato, rilancio dell’economia. Questi
appaiono come delle formule
magiche che affiancate ad arte accanto ai primi e dunque
riferiti a «valori» più stabilmente radicati nell’immaginario collettivo, contribuiscono a creare una falsa impressione di concretezza e pienezza della proposta politica
che in realtà copre il vuoto siderale più profondo.
11 nuovo messia delle italiche platee è prodigo di riferimenti storici; uno in particolare richiama al clima medievale della crociate, quando rivolge una ben precisa vocazione: la «chiamata alle armi
contro la sinistra». Ci sarebbe
da sorridere bonariamente se
non conoscessimo quanto riesce a fare il meccanismo pubblicitario. Per le regole del
marketing, quando un prodotto che si vuole lanciare sul
mercato viene abilmente pubblicizzato esso viene poi acquistato in massa almeno nella fase di lancio. Solo successivamente si verifica se regga
o no la concorrenza.
È un meccanismo ben conosciuto e sperimentato; il
prodotto, qualsiasi esso sia,
che sia di qualità oppure no,
non ha importanza, viene as
sociato a belle immagini, musiche orecchiabili, colori vivaci, immagini molto mobili.
Il suo nome si lega strettamente alle immagini, alla
musica e allo slogan che contiene in sé sempre almeno un
valore molto positivo per la
coscienza collettiva, (la famiglia, l’essere giovani, la serenità, il calore, l’amicizia,
ecc.) così che quando la persona va a far la spesa essa è
più o meno consciamente
condizionata a scegliere il
prodotto pubblicizzato piuttosto che uno sconosciuto. Ora
non è la prima volta nella storia della nostra Repubblica
che questo meccanismo viene
utilizzato in campagna elettorale (ricordate il craxiano
«ottimismo della volontà»?),
ma è la prima volta che lo si
fa così scientificamente e
massicciamente su tutto il
territorio nazionale usufruendo senza limiti del proprio
quasi monopolio nel campo
dei mass media privati.
C’è dunque da stare molto
attenti perché le elezioni non
sono un gioco e non sarebbe
molto facile, se si dovesse
verificare che il «prodotto acquistato» in realtà non vale
niente, ritornare sui nostri
passi come facciamo al supermercato. Il destino di un
paese è un’altra cosa.
ria. Con un po’ di fantasia si
potrebbe attrezzare un grande
museo regionale, ricordare il
mondo delle solfatare, verrebbero centinaia di scolaresche, di turisti... è un luogo
affascinante; l’idea circola
ma di concreto non c’è ancora nulla.
Anche sul lavoro, con un
po’ di creatività, si potrebbero organizzare associazioni di
produttori, ma per far questo
occorre superare una certa
mentalità individualista dura
a morire. Recentemente ho
appreso che a Catanzaro è
sorta in questi ultimi anni una
serie di cooperative giovanili
per svolgere tutti quei servizi
sociali che lo stato non riesce
a fare (assistenza domiciliare
agli anziani o portatori di
handicap) e che oggi danno
lavoro a più di 300 giovani.
Le cooperative di servizi sociali costituiscono un mercato
totalmente scoperto, e per fare queste cose i soldi pubblici
ci sono.
È solo un esempio per dire
che in certi settori il lavoro è
possibile e ha un futuro concreto: occorre scoprire un
nuovo filone di lavoro, in
ogni caso occorre reagire perché in Sicilia ormai i senza
lavoro hanno raggiunto e superato la soglia del 20%. Siamo il paese dell’unione europea che ha il più alto tasso di
disoccupati e anche il più alto
numero di poliziotti, politici,
magistrati uccisi per ragioni
di legalità. La mafia cresce e
si irrobustisce proprio sul terreno dell’incertezza sociale,
della sfiducia verso le istituzioni e della disoccupazione.
Questa situazione di degrado è stata illustrata molto bene, giorni fa, a Riesi, da Luciano Violante, presidente
della Commissione parlamentare antimafia. In un incontro
con i giovani del Liceo scientifico, Violante ricordava che
la mafia non crea lavoro ma
prospera sul disastro sociale.
Per combatterla l’esercito e la
magistratura non sono sufficienti, ci vuole soprattutto
una nuova e ferma coscienza
civile capace di arrestare i fenomeni delinquenziali. «La
forza della mafia - osservava
Violante - sta nella nostra debolezza». Mentre ascoltavo il
dibattito e le numerose domande degli studenti pensavo
che questa nuova generazione
sta prendendo coscienza dei
gravi problemi di quest’isola
oggi e desidera prendere le
distanze dalla Sicilia amara
dei loro padri. «Che cosa possiamo fare noi giovani per
combattere la mafia?» ha
chiesto un po’ ingenuamente,
nella grande assemblea, una
ragazza di IV liceo. «L’argine
maggiore nella lotta alla mafia - ha risposto Violante - è
la coerenza con i valori della
legalità e dell’onestà».
Insomma, da questa situazione di amarezza, di vergogna nazionale, si può uscire.
La mafia non è invincibile: è
un nemico di casa nostra. Per
sconfiggerla definitivamente
occorre una nuova mentalità
che per noi ha in Cristo il suo
riferimento principale, che
non può essere divisa tra dimensione pubblica e privata e
che può essere l’inizio di una
stagione diversa per tutti. Anche per quei giovani che oggi
guardano con preoccupazione
a un futuro, se si vuole rimanere qui, tutto da costruire.
12
PAG. 8 RIFORMA
VENERDÌ 18 FEBBRAIO it
Reticolati di iager
(foto Carlo Zibecchi)
Per sfuggire alla persecuzione
[Identità provvisoria
di una bambina ebrea
ELENA RAVAZZINI
Pubblicato nemmeno un
mese fa. Una bambina e
basta di Lia Levi* è la breve,
efficacissima e poetica storia
in prima persona di una bimba ebrea durante la seconda
guerra mondiale. La vita, gli
avvenimenti, le costrizioni
razziali, la «diversità» tutto è
visto con l’occhio ingenuo,
poi più maturo, della bambina
che osserva, sente e vive nella famiglia ebrea durante quegli anni in cui, parlando del
padre, sente di dover dire «...
il suo cuore ha una stanchezza antica (...) quando suo padre, suo nonno, il suo bisnonno hanno lottato, hanno via
via consumato anche le sue
forze», e a proposito della
madre: «Le madri ebree no,
sono tigri, leonesse, contendono alla vita ogni boccone
(...) loro devono difendere i
figli: per questo non hanno
spazio per libri e sinagoghe».
Dalla vita di famiglia alla
vita di clandestina, in un convento romano dove loro tre
sorelline affrontano una nuova vita: «Siamo state tutte e
tre educate alla disciplina e
ci avviamo come soldati lente
e pesanti con i nostri fagotti...». E lì, fra quelle mura la
più grande, lei, ormai quasi
dodicenne, subisce il fascino
un po’ misterioso, un po’ ambiguo dell’atmosfera del convento dove tante bambine
ebree sono provvidenzialmente ospitate, ma dove il
frusciare delle vesti monacali,
il bisbiglio continuo delle
preghiere e la suggestiva penombra della cappella esercitano su di loro momenti di
dubbio e di esaltazione mistica: «... si avvicina il Natale e
tutto il convento è scosso da
brividi di attesa (...). Ci sarà
un enorme presepe animato
sul tipo dei quadri viventi (...)
si contano i personaggi e appare chiaro che il presepe
sarà popolato tutto dalle
ebree perché le altre poche
collegiali, almeno per le feste, tornano a casa». Spicca
nel presepe «il Gesù bambino
di coccio trasferito con cautela dalla chiesa al palcoscenico. Attorno tutto un esercito
di ebree intente e volonterose
canta “Alleluia”».
Loro, le bambine ebree,
non possono celebrare le loro
festività possono solo, nel
dormitorio, ogni sera, recitare
«Shemà Israel, Adonai Eloenu (Ascolta Israele, il Signore
è il nostro Dio) (...) la preghiera ebraica vecchia di
duemila anni trema nella notte come una fiammella e volteggia ai piedi della Madonna di terracotta...». E per la
piccola ebrea che ha dovuto
cambiare il nome come tutte
le altre «... il più difficile è
riuscire a girarsi subito
quando qualcuno ti chiama
all’improvviso da lontano
con il tuo nome finto...» e
quasi quasi la propria identità
«... senza più nome, né viso,
né tessera [per mangiare]», si
profila la tentazione di diventare una «santa» cristiana.
1 genitori, malgrado le difficoltà e i pericoli del momenti, recupereranno la figlia
che vede ora la madre come
«l’immagine della furia (...) i
suoi capelli sono serpenti, i
suoi occhi scintille di fuoco...». E c’è la fame, il freddo, l’ansia per i parenti lontani, la paura della delazione...
Un breve romanzo, un centinaio di pagine ricche e
profonde, in cui le vicende
cmente della guerra e del razzismo ci appaiono filtrate attraverso lo sguardo candido
ma acuto di una bambina. Un
bellissimo libro, che si legge
tutto d’un fiato, per adulti e
per ragazzi, per non dimenticare e per imparare, del tutto
privo di retorica e ricco di
grande forza espressiva.
(*) Lia Levi: Una bambina e
basta. Roma, e/o, pp 105, £
22.000.
NERDI
Le vicende delle comunità dei Fratelli sono state studiate da Domenico Maselli
La Bibbia e la macchina a vapore
testimonianze su colportori e evangelisti
Jn libi
,ial
re
A Chiavari, nei pressi della
«fiumana bella» (l’Entella)
abita la novantatreenne Olga
Ferrato della comunità dei
Fratelli. Questa sorella è sempre lieta di raccontare episodi, esperienze di evangelisti e
colportori, tra i quali suo padre, Paolo Ferrato, per la coraggiosa opera di evangelizzazione compiuta a Piacenza,
Parma e zone limitrofe.
Nella mente della sorella
Olga, quand’era fanciulla, è
rimasto impresso il racconto
di sua nonna che le descriveva Farrivo d’un colportore a
Rivalta Bormida dove vivevano i Ferrato; essa è rimasta
particolarmente colpita dalla
figura del mereiaio ambulante, madido di sudore, dopo
una lunga marcia attraverso
la campagna e con una grande sporta, colma di Bibbie,
opuscoli, trattati; della descrizione ricorda il modo affabile
e convincente con cui il colportore rispondeva alle domande sulla Bibbia come per
esempio: «La Bibbia contiene
la Parola di Dio che rivela il
grande amore che il Signore
manifesta alle sue creature».
Commovente è stata l’accoglienza in casa Ferrato, dove
l’uomo di Dio fu rifocillato,
rimesso a nuovo nei vestiti
ormai logori e ospitato per la
durata di un mese; ogni giorno egli visitava i villaggi, le
case sparse, e a sera i contadini accorrevano a frotte alla
casa ospitale per ascoltare
sotto un gran pergolato la
spiegazione dell’Evangelo.
La sorella Olga mentre raccontava, sollevava lo sguardo
in direzione d’un quadro dove è dipinta la casa e il pergolato, esclamando: «Questa è
stata la mia prima chiesa».
Un gruppo dell’Assemblea a Rivalta Bormida nel 1926
Il seme sparso dal colportore in quelle settimane cadde
nel buon terreno. Infatti lo
storico Domenico Maselli nel
suo volume Libertà della Parola' ci fa conoscere il nome
del colportore nella persona
del genovese Celestino Gallo,
che creò svariati gruppi nella
vai Bormida, a Rivalta, dove
sorsero delle scuole e trovò
sede un’«agape», nonché a
Montaldo, Acqui e così pure
a Mombercelli e Casorzo;
Gallo svolse pure una missione presso gli emigranti italiani in Svizzera dove contrasse
una malattia e dopo poco
tempo morì.
Un frutto prezioso dell’opera del colportore fu la conversione di Paolo Ferraro, padre
di Olga. Infatti questo fratello, macchinista nelle ferrovie,
svolse una coraggiosa missione a Piacenza dove una parte
della famiglia si era trasferita,
dando origine a una comunità
dei Fratelli nel 1920, e poco
tempo dopo anche a Parma.
Maselli ricorda il clima per
Composizioni di Ferruccio Rivoir
Una musica «nostra»
FERRUCCIO CORSAMI
Fa piacere ritrovare, in
un’audiocassetta della
Corale valdese di Luserna
San Giovanni, la presenza di
un musicista nostro: è una
scelta di composizioni sacre
del m.o Fermccio Rivoir, del
quale ricordo una stretta collaborazione musicale, anni fa.
L’impostazione del programma è nettamente protestante:
la confessione della fede e
l’adorazione di Dio soltanto: i
due pilastri della cassetta sono infatti il grandioso «Credo» (Simbolo niceno) e il
«Magnificat». Si potrà giudicare poco protestante l’uso
del latino in alcuni brani, ma
tale considerazione non regge
riguardo a musica scritta non
per uso cultuale, ma con fini
d’arte.
BANDO PER TESI DI LAUREA DI STORIA VALDESE
E DEI MOVIMENTI EVANGELICI IN ITALIA
La Società di studi valdesi bandisce un premio annuale per tesi di laurea che trattino di storia del
movimento valdese e delle chiese vaklesi, del territorio delle valli valdesi, dei movimenti e delle chiese
evangeliche in Italia. Le tesi devono essere presentate presso università o facoltà teologiche italiane e
straniere e inviate in copia unica (che non sarà restituita) entro il 30 aprile di ogni anno alla Società di
studi valdesi in Torre Pellice, \na Beckwith 3. Per l’anno 1994 saranno prese in considerazione le tesi
discusse negli anni accademici 1991-1992 e 1992-1993 (cioè entro la sessione di febbraio 1994),
per gli anni successi^ le tesi discusse rieU'anno accademico precedente.
11 Seggio della Società nomina ogni anno una commissione di cinque studiosi che procede alla formazione di una rosa delie tesi considerate migliori (fino a un massimo di cinque) e poi alla scelta della
tesi da premiare. Il giudizio della commis^one è inappellabile.
11 premio è di due milioni di lire. Alle idtre tei della rosa viene attribuito un rimborso spese di duecentomila lire. La premiazione avverrà nel corso dell’Assemblea ordinaria della Società di fine agosto.
La tesi vincitrice e le altre comprese ndla rosa verranno presentate sui «Bollettino» della Societìi e ai
loro autori verrà offerta la possibilità di estreme m articolo da pubblicare sul detto «Bollettino».
Nell’esecuzione della citata
Corale, dell’organista Walter
Gatti, di un insieme di ottoni
germanico e del Gmppo flauti Valpellice figurano anche i
«Salmi» 1 e 23, il «Concerto
natalizio» (una versione per
coro e organo e una seconda
con inserimento dei flauti
dolci: peccato che non si siano potuti inserire la terza versione, con piccola orchestra,
e altri brani strumentali).
Nelle musiche di Rivoir un
certo richiamo alle armonie
dell’epoca palestriniana è
controbilanciato dalla modernità ritmica e coloristica, specialmente nel «Credo» (i cupi
accordi del «fu sepolto»), nel
fugato del «Salmo 23» e nel
«Concerto natalizio»; qui si
trova la nota tipicamente
riformata del corale luterano,
famosa melodia di Natale, inserito tra le frasi del coro libero: siamo così riportati a
un’atmosfera liturgica.
L’esecuzione corale è compatta, espressive le voci .solistiche; l’accompagnamento
organistico è giustamente discreto, ma là dove lo strumento «canta» da solo si può
notare come finalmente, dopo
anni, esso sia stato intonato
con una sonorità insieme densa e squillante, assai espressiva. Al compositore e ai suoi
interpreti vanno dunque rallegramenti e viva gratitudine.
La cassetta potrà essere richiesta direttamente alla Corale valdese di Luserna San
Giovanni.
secutorio di quel periodo: infatti nel 1930 Paolo Ferraro e
Cesare Ronco furono processati e condannati per aver
presieduto una riunione e nel
1935 il fratello Paolo fu inquisito e ritenuto «affetto fa
mania religiosa» perché attivo propagandista della fede.
Non dimentichiamo però
che la nascita di queste comunità è stata preceduta da numerosi tentativi di altri colportori, poco dopo l’Emancipazione, e sempre fmstrati da
una dura persecuzione con
soprusi, calunnie, minacce di
morte descritte da Maselli nel
volume Tra risveglio e millennio. Per questo è sufficiente ricordare quello che scrive
la stampa cattolica di Piacenza nel 1864 nei riguardi di un
coraggioso testimone della
fede, Bernardo Rettani: «disprezzato, aborrito da tutti,
dopo aver raccolto quantità
di schemi e busse - non approviamo le busse, insinua
ipocritamente il giornalista ha chiuso bottega senza aver
guadagnato all’eresia
re un’anima; ecco un
store scornato»^.
GE
I tempi, per grazia di|,, .
sono mutati; ritengo petòjfc
la lettura o rilettura dei
uura aeir,,
di Maselli o L’EvangeloYl^.ll^.
berretto frigio^ di
Spini, o / cento anni di sS ■ ■ „
pa evangelica*, ci conseC^„„nd
di scoprire le testimoni
di oscuri e umili servitoli (esibii
Signore e in armonia coh
spirito della storia dell’ì ^
diamento dei valderì m^^^bile i
vali raccontata da Giov^
Gönnet e Amedeo Molnà^gja fa
Questa testimonianza
fatto pensare ai numerosii„,o
denti che hanno dato e dij „jj
ancora contributi prezio^,,, Pp,,,,
nostra diaspora «i-e i ess
^ queste
(I) Domenico Maselliijndameii
bertà della Parola. Storiainctrn e r
Chiese dei Fratelli
Torino, Claudiana,
105-106, 116.
PP df In una
(2) Domenico Maselli;]
Risveglio e Millennio. *■
.emoria
delle Chiese dei Fratelli | ®
no, Claudiana, p. 165. '
(3) Giorgio Spini: L’Èva». ’ d'
e il berretto frigio. Storiap^’
Chiesa cristiana libera in |®da pope
1870-1904. Torino, Claudiai studi di
(4) Aa.Vv: Cento anilisce cos
stampa evangelica. La Cisplosiont
diana 1855-1955. Torino, ènomeno
diana. teesi cure
.ella loro
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la Gin;
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Il locale di culto a Momberef
Bl
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vista <
iumero
ido de
Mercoledì 23 febbraio — MILANO: Alle ore 18, nell^‘“i di
di via Sforza 12/a, il past. Antonio Adamo tiene uno stud^^™ji
blico sul tema: «Gesù Signore», nell’ambito del ciclo sui#''^ “ ts
cristologici nel Nuovo Testamento. darco».
databil
Venerdì 25 febbraio — ASTI: Alle ore 21, presso
z, i, picoJiu 1 i“' Certo u
vio storico del Comune (via Massaia 15), il past. Alberto^
eia parla sul tema: «“Noi predichiamo Cristo crocifisso” (I^^j
rinzi 1, 23 - La teologia della croce». le ss un i
Venerdì 25 febbraio — MILANO: Alle ore 15,30, nellijQuosciut
la attigua alla libreria Claudiana (via Sforza 12/a) inizia il J 125-1
su «La Riforma protestante e l’Europa. Divisioni religi%ritto di
conseguenze politico-sociali nell’Europa moderna». LafcmoalS
Susanna Peyronel parla sul tema specifico: «Le origini
Riforma in Europa e il problema delle sue cause». IscriziA, e ci c
no al 24 febbraio; si rilascia attestato di partecipazione "gassare I
ai fini dell’aggiornamento degli insegnanti. Per iscriziÉone di
informazioni tei. 02-76021518. issata in
Venerdì 25 febbraio — PISA: Alle ore 17, nella saletecennio
palazzo Lanfranchi (Lungarno Galilei 9), a conclusione APurtro]
mostra su «I valdesi: 8 secoli di una protesta religiosa», ilpolto ca
Daniele Garrone parla sul tema: «Essere protestanti oggj:pzioni.
modernità e ecumenismo». due
Sabato 26 febbraio — NAPOLI: Alle ore 17,30, neilf ’ Prop
della chiesa valdese (via dei Cimbri), il dott. Giancarlo^®2”^di parla sul tema: «La confessione dei peccati nella Bibc . ’ I
nella storia». letto 70'
Domenica 27 febbraio — TORINO: Dalle ore
17,30, presso il salone valdese di corso Vittorio Emanuel
nell’ambito del corso della scuola di pace «Ernesto Baldul
Enrico Peyretti tiene una lezione sul tema: «Una culturali
Vii
ce come memoria, coscienza, progetto», e Raniero La Rep/i«
una sul tema: «Perché il problema della pace è così emi
oggi». Per informazioni 011-5620805; 543597; 4472417.
Attua
PROTESTANTESIMO
RIVISTA TRIMESTRALE
PUBBLICATA DALLA FACOLTÀ VALDESE DI TEOLO'
VIA P. COSSA 42 - 00193 ROMA - FAX: 06/3201040
1, primo trimestre 1994 - voi. XLIX
B. Corsani, Messaggio e coscienza profetica P. Ricteur, L'ecc
del dono E. Gente, L'unità della teologia pratica L. I^rinelli,
num In ecclesia - Rassegne: G. Cónte, Gli ebrei americai
Rubboli, Le chiese negli Stati Uniti - Cronache: R. Ciappa, Fii
teologia A. Cassano, Filosofia ed esperienza religiosa
Recensioni
L. Pai
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Cultura
efimgei
di Lute
13
BNERDI 18 FEBBRAIO 1994
Cultura
PAG. 9 RIFORMA
;jn libro pubblicato in Francia fa il punto su una questione controversa
. la bomba demografica si può disinnescare
’^restando attenzione all'uso delle risorse
GERALD ELDIN
azia
i dice che Einstein sia uno
® dei primi ad aver visto un
ura u^l^jjegainento tra la bomba
Comica e la bomba «popola* • ^i®^one». Mentre la prima ha ef•««i ai immediati e spettacolari
,,seconda, pur essendo «a
stimoni^ io ritardato», non è me^®™‘%temibile.
n?L’«esplosione demografila delri ^ ^ l’argomento di un libro
Ide^ ni^cabile che ci viene propoda Albert Jacquard, gene’.Moln^m di fama ma anche abile
manza^.yyjg^mre e ecologista nel
umeros^jjgQ migliore del termine,
lato e ^ pjjj ¿i cento pagine si
Preziosi|ce l’essenziale a proposito
fi questo fenomeno, che è
Maselliijndamentale per l’avvenire
1. Storia,Lstro e per quello dei nostri
» 188«%li.
3’ PP ll|in una prima parte, «Una
^ 'Memoria per comprendere»,
Jjingono descritti gli strumeniatellL f ® ‘ concetti della demogra55 ** la: tasso di natalità, di morta
i- L’Evai^’ fecondità, speranza di
I. Stori^i^^^’ censimenti, «piramide
bera popolazione», previsioni
, Claudi^ studi di probabilità. Si chia;nto anisce così quanto l’attuale
ca. La ®plosione demografica sia un
Torino,feomeno singolare, perché i
^ |esi europei siano minacciati
jlla loro esistenza anche dal
^Ivjprio invecchiamento, menla Cina ha dovuto imporre
Ile misure autoritarie di
introllo delle nascite. Si in
Folla in una strada americana
veste così il dramma di una
crescita esponenziale, che potrebbe portare la popolazione
mondiale da 5,2 miliardi di
unità nel 1990 a 8,4 miliardi
nel 2025, stando alle previsioni delle Nazioni Unite.
La seconda parte del libro,
«Uno studio per riflettere»,
conduce Jacquard ad abbozzare, da biologo, una storia
dei popolamenti umani. «Crescete e moltiplicatevi, riempite la Terra!». Il minimo che si
possa dire, afferma l’autore
con ironia, è che questo invito
è stato seguito...
Di fronte alla minaccia della sovrappopolazione bisogna
dunque disperare a proposito
umran: nessuna certezza sui testi
n Marco nascosto?
BRUNO CORSAMI
ì;
n una nota apparsa sulla rivista «Archeologia viva»
jiumero di dicembre), trat""^lindo dei notissimi «mano18 nellaF’’'^^^ Qumran», l’autore
ino stucBl®^^™^ grotta «conte
iclo suil®''^ il ‘l®! Vangelo di
(larco», Il manoscritto sareb„ ,]e databile intorno al 50 d.C.
. Ih Certo una notizia del gene. ^ ^ sarebbe una bomba per gli
1 isso Nuovo Testamento.
Nessun manoscritto finora
,30, nslpnosciuto, infatti, è anteriore
iniziail«l 125-150 d.C. Un manoli religi%ritto di Marco, databile inla». Lafenio al 50 d.C., ci porterebbe
origiwjiù indietro di quasi un secoIscrizA, e ci costringerebbe ad abìzione ^ssare la data di composir iscrizii^one di quel Vangelo (ora
issata intorno al 70 d.C.) al
;lla saleÌecennio 40-50 d.C.
fusione 4 iPurtroppo bisogna andare
iosa», il^lto cauti con queste afferjiPazioni. L’identificazione di
mti oggtf
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icario r
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IO, due o tre passi di Mars proposta dal papirologo
isuita J. O’ Callaghan nel
, si presta a forti obiezioni- Il frammento maggiore,
9 301^*^® conterrebbe Marco
tiTSd^^TESTANTESIMO
cultural IN TV
ero Lfl J| ^ep//co; lunedì 21 febbraio
)SÌ emerif| ore 8 circa - Raidue
evangelica
in questo numero;
I «Chiedo perdono»: per ¡a prima
^^ita, dopai recenti passi del
Sud Africa tfersó il superamento
dell'apartheid, il Comitato ceni tréfe del Consiglio ecumenico
delle chiese si riunisce a Johannesburg
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IX
f, L'eC0|
irinelll,
imerica
ipa, Filo
- L. Pa
I Cultura: alle radici della fede
etnngelica: «il Sento Arbitrio»
di Lutero
IGiorgio Girardet risponde ai telespettatori
6, 52-53. In realtà, come osservava Carlo M. Martini (ora
arcivescovo di Milano) su
«Civiltà cattolica» del 15
aprile 1972, il frammento
contiene solo undici lettere
certe e nove probabili, disposte su cinque linee; il testo ricostruito con queste pochissime lettere per linea presenterebbe inoltre una breve omissione rispetto al testo noto di
Marco. La situazione è ancora più precaria per gli altri reperti che conterrebbero parti
di Marco 4, 28; 6, 48 e 12, 17
e frammenti di altri scritti
neotestamentari.
Sempre secondo Martini,
esperto di fama mondiale in
questioni di manoscritti e critica testuale del Nuovo Testamento, l’estrema frammentarietà dei testi impedisce di dire che siamo in presenza di
argomenti certi in favore
dell’ipotesi di O’ Callaghan.
Il prof. Paolo Sacchi dell’
Università di Torino, che si
era espresso con favore su
quell’ipotesi sulla «Rivista di
storia e letteratura religiosa»
nel 1972, un anno più tardi
scriveva sulla stessa rivista:
«Nel frattempo però esperti
di papirologia hanno completamente negato la possibilità
della lettura dei frammenti
quale era stata proposta
dalTO’ Callaghan».
I frammenti sono stati pubblicati da M. Baillet, J. T.
Milik, R. De Vaux: Discoveries in thè Judaean Desert of
Jordan III: Les petites grottes de Qumràn, Oxford, 1962
(voi. I: Textes', voi. II: Planches). Un cenno al problema
si trova anche in B. Corsani:
Introduzione al Nuovo Testamento, Claudiana, ed. 1991,
pp 64-65, dove si trovano anche indicazioni bibliografiche
sull’argomento.
dell’avvenire dell’umanità?
Jacquard non lo crede: siamo
entrati in effetti in una fase di
«transizione demografica»,
caratterizzata da un rallentamento del tasso di crescita
della popolazione, che aveva
raggiunto un massimo del
2,1% intorno al 1970. Ma, tenuto conto della diminuzione
non meno spettacolare della
mortalità e della tendenza acquisita, la popolazione mondiale potrebbe stabilizzarsi
solo verso la fine del XXI secolo, intorno ai 10 miliardi di
esseri umani. Per la prima
volta, come aveva annunciato
profeticamente Paul Valéry,
gli uomini si trovano a con
frontarsi con la «finitezza»
del loro territorio.
La grande sfida del XXI secolo consisterà quindi nel gestire un difficile equilibrio tra
la popolazione e le risorse.
Riprendendo la problematica
che il «Club di Roma» ci ha
reso familiare a partire dai
primi anni ’70, Albert Jacquard vede più problemi da
lato del consumo d’energia
(che pone dei pericolosi problemi ecologici) che non dal
versante dell’alimentazione
(ma a condizione di lasciare
meno spazio alla carne nei
nostri menù). La sola alternativa alla «soluzione finale»,
guerra o eugenetica generalizzati, è in definitiva un radicale
cambiamento della nostra maniera di vivere.
Il saggio si conclude con
una professione di fede umanista: «L’uomo, prodotto da
questo universo in cui tutto si
conforma alle leggi, ha il privilegio, in ragione della propria ipercomplessità, di poter
dire no alle forze che vengono
esercitate su di lui. Dispone
quindi di uno spazio di libertà». Un cristiano potrebbe
sottoscrivere questa affermazione, aggiungendovi però
che questa libertà, voluta dal
Creatore, si accompagna a
una responsabilità nei confronti degli altri uomini e della creazione nel suo insieme.
(da Réforme)
Un ricco inglese tra Settecento e Ottocento
Il protestante che
navigava il Tevere
MARIO CIGNONI
Nel 1833 giungeva a Ancona, nello Stato pontificio, un ricco gentleman inglese, Adlard Welby (1776-1861)
con parte della sua numerosa
famiglia. Le sue figlie si posarono con nobili marchigiani e
si stabilirono nei dintorni di
Fermo. Grazie alla loro testimonianza si costituì un nucleo
protestante a Porto San Giorgio che fu curato dai valdesi e
venne anche visitato nel 1891
dal pastore Matteo Prochet,
presidente del Comitato di
evangelizzazione. I figli maschi si stabilirono a Roma (altri rimasero in Inghilterra, dove uno fu pastore, o partirono
per l’India e l’Australia).
Il gruppo romano in un primo tempo fu guidato da Edgar
(morto nel 1865), console degli Stati Uniti d’America a Civitavecchia, che sposò una parente del Belli. Suo padre gli
scriveva nel 1845: «Ñon ti azzardare a diventare cattolico
romano (...) ti sposerai secondo il rito della nostra chiesa
protestante». Poi la guida degli affari fu presa da Egbert.
Costui nel 1869 vinse l’appalto della navigazione sul Tevere, allora importantissima arteria del traffico commerciale
pontificio.
In breve i fatti: con atto del
7 gennaio 1869 la Reverenda
Camera apostolica concedeva
alla ditta Egbert Welby e fratelli, per 36 anni, «l’esclusivo
privilegio del rimorchio dei
bastimenti e del trasporto dei
passeggeri e delle merci lungo il Tevere, da Orte a Fiumicino», in cambio di un canone
annuo. Con lo stesso atto con
cedeva agli Welby l’appalto
della manutenzione delle rive
e dell’alveo del fiume e esecuzione annuale «dell’espurgo generale del Tevere, compresi i porti di Ripagrande e
di Ripetta». Gli Welby si assumevano anche l’onere di
tutto il personale addetto ai
vapori, ai piroscafi, ai porti
fluviali e all’arsenale di Porta
Portese. In una parola, sotto
10 Stato pontificio, nel 1869 il
Tevere intero era «in mano» a
un protestante: la notizia può
essere di notevole interesse
per una storia dell’evangelismo romano.
La terribile inondazione del
1870 determinò il governo italiano (subentrato nel frattempo allo Stato pontificio) a procedere a grandiosi lavori di restauro e di protezione della
città di Roma. La ditta Welby
stessa avrebbe voluto eseguire
i lavori, sulla base del contratto, ma il tribunale rigettava la
domanda (1877). Non ebbe
successo neanche un altro ricorso presentato per chiedere
11 risarcimento dei danni dovuti alla costruzione di ponti
che impedivano la navigazione, all’insabbiamento di alcuni tratti del fiume e a altre violazioni contrattuali.
Egbert Welby morì nel
1888 e venne sepolto nel settore protestante del cimitero
del Verano, dove ancora si vede la sua semplice lapide. Ma,
passati i 36 anni dell’appalto,
nel 1908 gli eredi aprirono un
processo gigantesco contro il
ministero dei Lavori Pubblici;
e nel 1913 lo stato veniva condannato a pagare - e pagava agli eredi Welby l’indennizzo
favoloso di £ 14.239.000.
La schiuma della navigazione
Un mondo di erranti, marinai, vagabondi; viaggi che sono in
realtà delle fughe in direzione di una meta irraggiungibile, o
forse inesistente. Viaggi che, sullo sfondo di uno straniante
esotismo, sono sempre in realtà una discesa negli insondabili
abissi dell’animo. Così si presentano i cinque racconti della
raccolta Schiuma e cenere* dell’olandese Jan Jacob Slauerhoff.
L’autore (1898-1936), medico di bordo sulle navi che collegavano l’Europa con le Indie olandesi, la Cina, il Giappone, il
Sud Africa e il Sud America, è un grande classico della letteratura olandese. A tale esperienza si ricollegano dunque i motivi
ispiratori delle novelle, alcune di sapore goticheggiante, altre
un po’ «maledette»; alcune ispirate a certi toni di Conrad. Così
si parla di porti e angiporti, malavita, trafficanti di caucciù ma
anche di cadaveri, di storie d’amore senza speranza, di sogni
impossibili, come quello di Bruce, medico di bordo (guarda caso) su una nave all’ancora in un porto della Cina, che vorrebbe
piantare lì tutto e andarsene per trovare se stesso.
(*) Jan Jacob Slauerhoff; Schiuma e cenere. Milano, Iperborea,
1994, pp 164, £ 18.000.
IVISTE
L'antisemitismo in Italia
«... fare i conti col passato, con un certo passato, è utile
quando la sensazione è quella che in realtà sempre meno si è
disposti a discuterne fermamente, se non per ripetere frasi genericamente umanitarie e consolatorie». Le parole di David
Bidussa, all’inizio del suo saggio «Razzismo e antisemitismo
in Italia. Ontologia e fenomenologia del “bravo italiano’’», introducono il tema centrale dell’ultimo numero (LIX-3) della
Rassegna mensile di Israel, quadrimestrale edito daH’Unione
delle comunità ebraiche italiane. Al centro della riflessione è
dunque, una volta di più, l’antisemitismo, nella sua variante italiana e con le implicazioni legate al comportamento della Chiesa cattolica. Il saggio di Bidussa tra l’altro entra in dialettica
con alcune posizioni sostenute da Renzo De Felice in quanto
, alla valutazione di razzismo e antisemitismo. Altri saggi sono
«La missione Kiniger (autunno 1944). Un fallito tentativo di
salvataggio degli ebrei nella Repubblica sociale italiana» (M.
Viganò) e «David Frankfurter - 1936. Gli albori del nazismo in
Svizzera: Naqam» (S. Sohn). Completano il volume lettere e
un’amplissima rassegna bibliografica di recensioni e segnalazioni.
Rassegna mensile di Israel. Abbonam. £ 60.000. Ccp intestato a
Ucei, Lungotevere Sanzio 9, 00153 Roma, n. 45169000.
E uscito
in questi giorni Pensieri
di fede, di speranza e di
amore, raccolta di riflessioni del pastore
metodista Giuseppe
Anziani. L’editore è
Silver Press (Genova);
pp 102, £ 10.000.
PENSILRI
di fede,
di speranza
e
di amore
«I»
14
PAG. 10 RIFORMA
Pagina Dei Lettori
VENERDÌ 18 FEBBRAlOi
Combattere
la mafia
Da quando sono in Francia
la cosa più importante che ho
capito concerne il fenomeno
che impedisce al Meridione
d’Italia ogni sorta di progetto
sociale, economico, culturale,
politico: la mafia, la ’ndrangheta, la camorra. Descrivere
e spiegare questi fenomeni è
cosa molto difficile e complessa, ma sempre più necessaria. Un carattere comune
comunque si può trovare tra
queste tre diverse forme di
oppressione di massa: l’omertà delle vittime, cioè di
tutti gli abitanti il Meridione.
E questa, a mia personale
opinione, la principale causa
della cpntinua rigenerazione
di questo fenomeno.
Quando penso alla totale
condizione di recesso economico, sociale, politico e culturale in cui vivono più di
200.000 persone, inevitabilmente provo orrore e vergogna soprattutto quando sono
gli altri che mi ci fanno pensare. Mi riferisco a tutti i problemi logistici, mentali, materiali, che assillano la città di
Reggio Calabria dalla fine
degli anni ’60, cioè all’inizio
dell’ascesa del potere mafioso in Calabria.
Guardate, reggini, quanto
indegna è la nostra città di essere chiamata tale; guardate
la nostra provincia sempre
più visibilmente degradata
dal punto di vista architettonico, culturale e sociale a
causa del secolare silenzio
dei più; guardate la via Marina, il castello aragonese, il
museo, la via Reggio Campi,
una volta vanto della città per
la vista totale che si aveva di
tutto lo stretto da Scilla a
Punta Pellazzo e da Ganzirri
a Taormina fino alla cima
dell’Etna. Guardate ancora
quante strade, tanto nel centro
quanto in periferia, sono dirupate se non addirittura semi
impraticabili. Quando parlo
di una città disperata e dominata dal disordine della criminalità organizzata, mi riferisco a tutto ciò.
Combattere questo fenome
L'azione della Chiesa metodista di Omegna in aiuto alle popolazioni dell'ex Jugoslavia
A Karipvac tra la fame, odio, guerra
Oltre al lavoro che svolgiamo con il
coordinamento del Comune di Omegna, noi evangelici siamo tornati dopo
un anno a Karlovac, poiché il nostro
ormai familiare amico Nevio Bakac,
della Società umanitaria cristiana
«Ithius», ha ricevuto un pressante appello del pastore della locale Chiesa
battista: quest’ultimo, con la giovane
moglie e il piccolo figlio, ha deciso di
rimanere là dove la gente soffre e muore.
Così, con un carico di aiuti, sono tornati a Karlovac Egidio e Giuseppe con
gli amici Enzo e Mauro, tra il 21 e il 23
gennaio. Rivedere Karlovac oggi significa dover scoprire che la guerra è tornata, più atroce e invasiva, dove si credeva che ormai fosse passata. Le case
che avevamo visto mitragliate e bombardate, oggi sono diventate addirittura
fortini pieni di soldati e munizioni, i
campi intorno sono di nuovo stati minati, i carri armati pronti a intervenire, i
cecchini sempre sulle colline; ma ora il
fronte è a soli 250 metri, noi stessi abbiamo dovuto camminare nelle trincee
scavate nel bosco dove gli alberi hanno
i rami segati dagli spari.
La gente rimasta, circa 2.000 persone, è barricata nelle case semidistmtte,
mentre le pochissime persone che si incontrano hanno il terrore negli occhi.
Una delle case rimaste è adibita a infermeria d’emergenza, come se fosse normale ferirsi e ammazzarsi per strada,
nei prati, nel cortile o sul balcone... E
abbiamo trovato che il deposito viveri
era vuoto...
La piccola famiglia del giovane pastore ospita una bambina di Fiume, rimasta orfana dei genitori, e un giovane'
bosniaco: quasi ci si vergogna a portar
soccorso a gente così disperata, a fratelli e sorelle che devono esser coraggiosi sino all’eroismo. Lo stesso pastore ci ha detto che lui e i suoi cari si trovano a essere difesi da ragazzi di leva o
«volontari» che egli stesso ha visto crescere lì a Karlovac. A noi tutto ciò
sembra incredibile, ma forse ci siamo
dimenticati di che cosa sia la guerra e
che cosa un regime. Non si può sottrarsi alla chiamata alle armi e a ogni «volontario» vengono offerti l’abitazione
per la famiglia e 2.800.000 lire al mese
Òo stipendio medio di un operaio che
riesce a mantenere il posto è pari a
150.000 lire).
Così si capisce come la fame possa
spingere alla disperazione e quindi indurre all’odio e alla violenza. Non è un
caso che siano in aumento i suicidi giovanili e che si stia pericolosamente
diffondendo l’uso della droga, redditizia quanto le armi: la guerra è sempre
voluta da chi ci può guadagnare, e sofferta da chi viene costretto a uccidere e
morire. Gli aiuti umanitari sono doverosi e indispensabili, ma più ancora bisogna seminare la cultura della pace,
fondata sulla giustizia e sull’amore.
no, quindi, significa far sì che
tutti questi problemi siano risolti una volta per tutte; vuol
dire incitare, per esempio, i
commercianti a non pagare
più il «pizzo». Combattere la
mafia vuol dire sviluppare la
propria mentalità in modo tale da andar contro gli interessi di chi opprime la nostra
città e la nostra regione.
Piervincenzo Canale
Denestanville
Il culto
di Natale
Caro direttore, credo che
l’intervento del fratello Italo
Artus-Martinelli in merito al
culto in eurovisione da Palermo meriti alcune osservazioni.
1 ) La formula scelta non ha
convinto neppure me. Si poteva e si doveva dare maggiore peso alla Parola di Dio e
meno alle esigenze del mezzo
televisivo.
2) Il culto trasmesso non
era «evangelico valdese», ma
del protestantesimo palermitano e siciliano. Accade che
la comunità di Palermo-Noce
Da un lettore un suggerimento
Rio Marina: una
proposta per l'estate
UGO ZENI
Sta per arrivare il tempo in
cui si comincia a pensare
come si potrà passare l’estate. Non è a tutti noto che la
Chiesa valdese è proprietaria
della Casa per ferie di Rio
Marina (Isola d’Elba), sita in
un complesso dove il verde
domina e rallegra e dove un
centenario tempio, con culto
domenicale, dà un po’ l’illusione di trovarsi in un località della alte valli valdesi,
mentre il mare a pochi passi
ci porta il suo profumo.
L’interno della casa appena messovi piede, se non si
fosse a conoscenza del costo
giornaliero del soggiorno,
darebbe adito al pentimento
per esservi arrivati, per il timore di una solenne «spellatura» per il prezzo da pagare.
Non è esagerato definire signorile l’ambiente in tutto il
suo complesso.
Ma ben presto la Casa diventa, sia pure con la necessaria privacy, casa nostra.
Una direttrice che ti accoglie
mettendoti subito a tuo agio,
il sorriso di chi con lei collabora; poi una cucina casalinga, ma che incoraggia a dire
«ancora un po’»; delle camere pulite e comode ove non si
deve fare la coda alla porta
dei servizi. E poi ancora, la
vicinanza di un mare azzurro
e la pace che ci circonda. Ho
capito perché si chiama Casa
per ferie.
Giunti alla stazione ferroviaria di Piombino marittima
si prende il traghetto per Rio
Marina (tragitto 3/4 d’ora
circa, £ 5.000 a persona). In
auto si giunge in autostrada
fino a S. Vincenzo e si prosegue per Piombino marittima.
Si raggiunge Rio Marina con
i traghetti Toremar, il cui
molo d’attracco è a un centinaio di metri dalla Casa valdese. L’auto è consigliabile
per visitare le varie incantevoli località dell’Isola d’Elba
(compresa la villa di Napoleone).
Per prenotazioni tei. a Casa
valdese (0565-962141, fax
962770).
stia vivendo un’esperienza
molto particolare. E una comunità integrata: africanametodista-valdese, con un
modello di culto integrato. E
parte di ciò è passata nella
trasmissione (coro, canti, distribuzione della Santa Cena).
3) Per il motivo sopra accennato sono stati inseriti nel
culto due inni africani: uno in
lingua (akan) del Ghana, l’altro in una (yoruba) della Nigeria.
Aggiungo che probabilmente la forma di quel culto
sarebbe risultata più evidente,
rappresentativa e significativa, se a fianco o in sostituzione di qualcuno dei tre pastori
valdesi chiamati a presiedere
ci fosse stato anche il conduttore della comunità africana.
Per il resto sono concorde
con il fratello Artus-Martinelli e con Mirella Argentieri
Bein. Posso soltanto annotare
con rammarico che in cose di
una certa complessità bisogna
saper ascoltare e considerare
le idee di altri.
Alfonso Manocchio
Palermo
I manoscritti
del Mar Morto
Caro direttore,
leggo su Riforma del 4 febbraio l’articolo di M. Bodmer
su Qumran. Nonostante l’autore abbia una notevole padronanza nella nostra lingua,
vi sono nel suo studio parecchi errori e non poche improprietà; sono ancora problematiche le parti che si riferiscono all’ebraico e nelle citazioni di opere tedesche appaiono
parole così sfigurate da essere
irriconoscibili; un altro termine, settan, non esiste in alcuna lingua.
Ma quel che preoccupa è
che l’autore offre una recensione favorevole al libro dei
giornalisti neozelandesi M.
Baigent e M. Leigh, libro che
i competenti hanno qualificato di «insufficiente e sciocco». Vi appaiono tra le altre
(e vengono citate da Bodmer) affermazioni stravaganti quali quella secondo cui
l’Ecole biblique et archéologique française di Gerusa
TRA!§»LO€Hl
preventivi a richiesta
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quaisiasi destinazione
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Telefono 011/62.70,463
lemme dipende dal card. Ratzinger, o che i membri del
comitato internazionale di
edizione riterrebbero, anzi
censurerebbero certi testi settari, considerati pericolosi
per la fede cristiana, o ancora
che gli israeliani non hanno
pubblicato molto.
Gli eruditi in questione, ai
quali si può se mai rimproverare la lentezza con la quale
hanno proceduto (ma altri
hanno invece lamentato la
loro eccessiva fretta, con
l’inevitabile corredo di errori
e di sviste), non si sono arrogati il monopolio della divulgazione dei testi, ma hanno
seguito quella che è la prassi
corrente in questi casi: che
gli scopritori e le istituzioni
alle quali appartengono hanno il diritto di pubblicazione,
in questo caso l’Università
ebraica di Gerusalemme,
TEcole biblique e il «W. F.
Albright Institute» di Gerusalemme.
In ogni caso sono passati
alcuni anni da quando i materiali sono stati messi a disposizione degli studiosi che
intendono consultarne le fotocopie (depositate presso la
«Huntington Library» di Pasadena in California); sicché
l’accusa cade ormai nel vuoto. Lo stesso R. H. Eisenman
(con una sola n), più volte citato neH’articolo, ha frattanto
pubblicato, nel 1992, un volume di testi fino allora in
parte inediti, sulla base delle
fotocopie in questione. Da
essi risultano dati di notevole
interesse, ma nulla che possa
spiegare un’eventuale censura: qui ci muoviamo nel campo della fanta-archeologia.
Per ulteriori dettagli sono
costretto a rimandare alla seconda edizione del mio volume I manoscritti del Mar
Morto, in corso di stampa
presso la Newton-Compton di
Roma (la prima edizione è
del 1978).
Cordialmente,
Jan Alberto Soggin - Roma
D'accordo
con il
moderatore
Al direttore di Avvenire
Milano
Egregio direttore,
nella Settimana di preghiera per l’unità dei credenti in
Cristo io, credente di fede
evangelica .senza peraltro essere nei registri di alcuna
chiesa, condivido la posizione dei fratelli valdesi di non
aderire «ufficialmente» alla
messa papale.
È stato un grave errore l’invito rivolto ai non cattolici da
parte del pontificio Consiglio
per l’unità dei cristiani. Non
è solo questione di papa o papato, ma la stessa messa cattolica è uno dei nodi di controversia molto sentiti. Una
celebrazione della Parola in
forma ecumenica (senza cioè
l’eucarestia secondo il rito
cattolico romano) avrebbe
avuto una migliore accoglienza.
Personalmente trovo che
una delle maggiori barriere
che in questo momento si
frappongono all’unità dei credenti sono certi atteggiamenti
di una parte del clero che
conta nella vita della diocesi:
la richiesta, ancora, di attenzioni privilegiate se non addirittura di veri e propri privilegi per il cattolicesimo. Proprio in questa diocesi-patriarcato in questi giorni due episodi hanno dimostrato quanto
questo atteggiamento sia tuttora vivo, anche qui dove
Maria Vingiani ha iniziato la
sua opera ecumenica con la
fondazione del Sae (di cui si
parla oggi, 18 gennaio, pro
ime
Caro dir
11. In ui
nne acc
torità I
impi (po
ia) moi
iminanzi
sere ur
;nza. Si
prio nell’inserto di A
il primo è la richiesta
sindaco Cacciar! di
blica conferenza-co^
sul tema del volenti
tolico, svoltasi veneri
Mestre con una figura;
na proprio nei confini
handicappati da parte
rettore del settimanale"
veneta. Gli altri voL
«non cattolici» cosa s^il progn
perché mai la pubblica
nistrazione deve privil#iit^®.
primi ai secondi? ^0 insien
Il secondo: perché ^
patriarcale rifiuta l’attiiji .
salvaguardia dei beni ® ’
delle chiese usando, ai
del Comune, i cassaini
pretendendo solo i qa
E che dire poi di certi
che dalla casa per
Aids di Mestre da me ft
hanno fatto togliere
nuova direzione - il noJ*“"^“’ r
to sin dalla nascita C
Ezer» (dall’ebraico
sin qui 1 Eterno ci hai^j^
o anche: questa e la pie|onale di
ricorda l’aiuto di Dlo)?i|^Q^p
Tutto ciò non è solo^^ggjjo g
canza di spirito ecui^jj^g opt
ma si sta rasentando i|gtenzial(
l’antisemitismo! Si vui^oiogico
alla casa, al posto del|i mah del Creatore, un nomeSaggestioi
creatura! In realtà si ceijo «al fe
«cattolicizzare» un posj perché
lutamente laico che ri|ei progr
tutte le fedi. iresentari
L’ultimo morto dell4onia tra
Eben Ezer è morto in|elical» c
Era un devoto del Sai-ftomento
ha voluto terminare'fcale. Che
giorni laggiù. Mi ha reèi al paes
grande dolore la sua {)i4anifest
per l’India, ma mi sono|uando si
dato di Gesù Cristo e dtado a ci
vane ricco. Anche Cm», super
sciò la piena libertà ffiotipe, di
giovane! 'ijenzeea
Mi auguro che lai H risei
scenza di queste cos^’esterm
non tanto alla «condyrata, os
tipica in noi italiani progressi
tro quanto per un coi^o, che
le raddrizzamento di ]
so nelle relazioni eci
che, specie in Italia,
mente, *
luoghi (
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lophia.
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Giovanni Luigi in m
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fondatore casa per anltentag»
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sidente del comitato «Djb delle ]
gno» prò ammalati di Acontran
_____________________Jiito a gc
Ph ''^01,1 A.XM'W' 'I
La Bibbia in Dos
Vii
Vii
Vii
Proseguendo la fatica dell’«amanuense informatizzai
completato la trascrizione dell’Antico Testamento e la^
zione della precedente trascrizione del Nuovo (vers. Rivai
L’Antico Testamento è ora in una versione simile, DIRETTO
uguale, a quella utilizzata dalla Cei; in questa edizione viCEDiRl
compresi, in appendice, gli apocrifi dell’A. T. più i « REDAHl
Vangeli, gli Atti e la lettera ai Romani. Nella versione rw Buse
invece ci sono il N. T. e i Salmi. La trascrizione dei testi»
è messa gratuitamente a disposizione di chi lo desidera; siP
schetti normali Hd da 3” 1/2, formattati a 2.880 settori,!
dischetti formattati a 1.440 settori con qualche «acrot
tutto è in formato Ascll senza compressione, importab
qualsiasi programma di trattamento testi.
Chi lo desidera può inviare al mio indirizzo (via Torra
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normali), possibilmente fra due fogli di cartoncino ondula
evitare guasti prodotti dalla timbratura postale.
TIZIO I
grò, I
co, G
do Ri
Volpi
garant
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abbona
FOTOCO
STAMPA
EDITORE
Ugo Tomassone - '
Appello per
«Tempi di fraternità»
' ordinai
■ sosten
• semes
■ cumuli
I Perabboi
«Tempi di fraternità» lancia un appello: in una lettera^ testanti s
dovuto sostituire il numero di gennaio il gruppo reda
che ha subito la prematura scomparsa del direttore Elio TI
esprime la necessità di una riorganizzazione del gruppo?
e di un ripensamento sul giornale. Tutto questo nella
volezza, ribadita nel numero di luglio-agosto scorsi di hF
re «un giornale da strada per dare corpo a un progettai
Tariffe in
Partecipi
Economi
proposta di fraternità». Altro obiettivo considerato ^ “
bile è quello di arrivare a quota 1.000 abbonamenti, coniiconorcjnai
ranza che quanti non avranno la possibilità di versare
.nflll II numero i
... m
quota (£ 25.000) siano bilanciati da persone e gruppi Nord, via r
gior disponibilità. Il ccp di «Tempi di fraternità» (via <
38-10122 Torino) è il 29466109.
15
BRAIo
NERDÌ 18 FEBBRAIO 1994
Pagina Dei Lettori
'evangelismo
i°p”S|imezzato
manale f
tri volÉ Caro direttore,
cosa il programma di massima di
ubblica^entecoste ’94» sembra pre; priviijjntare un evangelismo italia% insieme dimezzato e biPerché dimezzato?
ta l’attoi beni
ando, Si
cassai]
lo i qui
di cei
per
da me f<
igliere
erché
jalza all’occhio che predicaci e relatori sono solo maìhi. In un momento in cui le
nne acquistano visibilità e
torità propositiva in vari
mpi (politica, filosofia, teoia) mostrarsi come chiese a
minanza maschile rischia di
bsere una contro-testimo_ Jianza. Si obietterà che voci
' ^ . o4j„jj,inili saranno senz’altro
Sesenti tra le testimonianze
“tl sabato sera: ma ciò non è
™Ccompatibile con una tradiP^l^nale divisione sessuale del
li secondo cui gli uomini
u e soloignsano e fanno teologia, e le
o ecum^nne operano nella sfera asitando tógtenziale (Oltretutto il tema
! Si vu(%ologico scelto - lo Spirito,
)sto del'^ fiiah _ evoca di per sé la
n nome Ijggestione di un discorso su
iltà si cijo «al femminile»),
• un po4 Perché bifronte? Vediamo
0 che r^ei programma lo sforzo di
Ìesentare all’esterno un’aronia tra protestanti e «evanilical» che ci sembra per il
omento più auspicata che
ninare^ale. Che significa presentarli ha reali al paese insieme, con una
a sua p^unifestazione di massa,
mi son®|uando stiamo ancora imparisto e (^do a conoscerci, «annusarche Crisi», superare le immagini stelibertà afeotipe, dare un nome a divernze e convergenze?
Il rischio è che si offra
’esterno un’immagine edulrata, oscillante tra un vago
'ogressismo e un pio biblicio, che taglia le ali estreme,
luoghi della ricerca eterossa e scomoda (dal nostro
rsante per esempio: Agape,
ophia, Cassiopea, Caper,_um, il Grulateo, ecc.). Epi Luigi ^re in molti ci hanno racconto che il sale di un «Kira per anmentag» sta, più che nel pron EzeriiWamma ufficiale, nel «mercalitato «Ilo delle possibilità» dove si
ilati di /étcontrano e si scontrano go_______hito a gomito i diversi: cap
DIVERSO PARERE
Non è lécito nfiutaré la preghièra comiine
Io sono fiera di appartenere da generazioni, e per mia scelta personale, a
una chiesa della Riforma protestante,
ma proprio per questo sento dentro di
ine l’urgenza di potermi riconoscere
nella chiarezza che la Riforma esige
dai credenti e dalle chiese, in quanto
chiamati a trasmettere i limpidi valori
deirEvangelo.
Premesso questo, sono altresì perfettamente consapevole di quanto la figura del pontefice romano costituisca per
noi riformati una «pietra d’inciampo»
nel cammino ecumenico, secondo il
senso dato a questa locuzione in Romani 14, 13. Desidero però, appunto per
esigenza di chiarezza, far presenti alcune riflessioni.
1) La locuzione «pietra d’inciampo»,
usata solo in Romani 14, 13 nell’accezione ripresa da Gianni Rostan, è ben
fàù diffusa, più conosciuta e ha spessore teologico nell’altro significato di
questo termine, quale lo troviamo come
premessa in Isaia 8, 14-15 {v. anche
Salmo 118, 22 e Atti 4, 11), sulla cui
base si esprimerà l’apostolo Paolo in
Romani 9, 32-33, l’apostolo Pietro nella I lettera al cap. 2, 6-8, e troviamo in
più opportuni»r non poteva «ovviamente» imocare, a seguito di tale proposta, la disponibilità a una «fraterna
accogìienm» m San Pietro, per chiunque lo volesse,'
3) Al di là modi e dei luo^i, siamo davvero còèvinti che sia lecito a un
credente rifiutare di pomi tutti insieme
Matteo 21, 42-44. Da tutti questi testi,''' in preghiera davanti al l^gnore, a qualsiasi confessione apparteniamo? L’fivangelo ci impone di amare: forse,
nell’ansia di tejrtimoniare le nostre convinzioni di fede e salvaguardare la nostra identità, noi evangelici itàliani non
siamo più capaci di amare. Dice l’apostolo Paolo: «Or queste tre cose durano:
fede, speranza, amore; ma la più grande
di esse è l’amore» (I Corinzi 13, 13).
fondamentali nella Scrittura, deduciamo che quando si parla di «pietra d’inciampo», nel Nuovo Testamento ci si
riferisce a Cristo Gesù. Sembra pertanto improprio e addirittura ambiguo
strumentalizzare questa locuzione in altro senso.
2) Come si può notare da una lettura
attenta della lettera di Pierre Duprey,
l’invito era prioritariamente proposto
come preghiera comune di tutti i credenti, «nei modi e nei luoghi giudicati
Florestano Sfredda Piccoli
Rovereto
pellani militari e pacifisti, gay
e fondamentalisti.
C’è un altro rischio: che
l’immagine evangelical, più
dotata di un retroterra di massa, soverchi quella protestante
meno spregiudicata nell’uso
dei mezzi di comunicazione.
Ci rendiamo conto di apparire
provocatori e forse ingenui
con queste domande, ma pensiamo meglio porcele prima
piuttosto che discuterne (come
si dice appunto a Eirenze) «a
babbo morto».
Tiziana Colasanti,
Giorgio Guelmani
Milano
Due riflessioni
Il numero del 14 gennaio
contiene un articolo («Culto
in eurovisione il mattino di
Natale») e una lettera a firma
Leonardo Boeri di Sanremo:
su ambedue vorrei esprimere
alcune riflessioni.
Anch’io ho seguito il culto
di Natale e l’ho fatto in compagnia di amici non protestanti (qualcuno agnostico, altri
cattolici): devo dire che io ho
apprezzato molto - diversamente da Mirella Bein - pro
Rifdrma
matizzaW
Ito e laU
ers. Rivei
Via Pio V, 15 -10125 Torino - tei. 011/655278 - fax 011/657542
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DIRETTORE: Giorgio GardioI
edizione VICEDIRETTORI: Luciano Deodato, Emmanuele Paschetto
. più i il REDATTORI: Stello Armand-Hugon, Claudio Bo, Alberto Bragaglia, Daniele
rsione flil
dei testili
sidera; sjl
settori, DI
«acroba^
Busetto, Luciano Cirica, Alberto Corsani, Piera Egidi, Fulvio Ferrarlo, Maurizio Girolami, Anna Maffei, Milena Martinat, Carmelina Maurizio, Luca Negro, Luisa Nitti, Jean-Jacques Peyronel, Roberto Peyrot, Gian Paolo Ricco, Giancarlo Rinaldi, Fulvio Rocco, Pietro Romeo, Marco Rostan, Pienraldo Rostan, Marco Schellenbaum, Federica Tourn, Florence Vinti, Raffaele
Volpe
GARANTI: Franca Long, Andrea Mannucci, Mario Marziale, Fulvio Rocco, Bruno Rostagno
la TorraJ| AMMINISTRAZIONE: Mitzi Menusan
'zata peri ABBONAMENTI: Daniela Actis
! se sondi FOTOCOMPOSIZIONE: Aecs.r.l,-tel,0174/551919
IO onduli STAMPA: La Ghisleriana s.n.c. Mondovì - tei. 0174/42590
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sane
M
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ITALIA
ESTERO
• ordinario
■ sostenitore
■ semestraie
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^orma è il nuovo titolo della testata La Luce registrata dal Tribunale di Pinerolo con il n. 176
I gennaio 1951, responsabile Franco Giampiccoli. Le modifiche sono state registrate
ì lettera
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uppi CO^!|ij¿¡.j'’|®'°o®.'^®'¡!,'tJ®bbraio 1994 è stato consegnato per l’inoltro postale all'Ufficio CMC
ß con ordinanza in data 5 marzo 1993.
(via I
l via Reiss Remoli 44/11 di Torino mercoledì 9 febbraio 1994.
prio quei passaggi filmati che
hanno vivacizzato e reso
«mossa» la trasmissione. Credo che un mezzo come la televisione vada usato proprio per
le occasioni che offre di «movimentare» ciò che ritrae. Una
cosa è partecipare a un culto,
altro è trasmetterlo; che non
vuol dire fotografarlo altrimenti lo renderebbe rigido,
ingessato freddo... al di là dei
contenuti. Devo dire che i
miei amici hanno anche compreso il senso del messaggio e
gradito il modo di «porgerlo».
Per quanto riguarda invece
il dibattito aperto su «appelli
sì appelli no» devo dire che
sono da qualche tempo irritata con tutti quelli che nelle
occasioni più importanti della
nostra vita nazionale si prodigano a raccogliere le firme
per gli appelli.
Mi sento trattata (e così
tanta altra gente «normale»
come me) da essere inferiore
(culturalmente, politicamente
ecc.) che deve essere «illuminato» ora da una lista di illustri firme di scienziati (non è
detto che chi ha una laurea
capisca tutto della vita e lo
capisca meglio di altri), ora
da persone «socialmente» e
«eticamente» particolarmente
rappresentative. Ormai la
quasi totalità degli italiani sa
leggere e scrivere; sa pensare
e riflettere, soprattutto ha il
diritto (che è anche un dovere) di decidere con la sua testa e con il suo cuore... correndo tutti i rischi che da ciò
possono conseguire.
Inoltre noi protestanti, che
giustamente con tanta forza
focalizziamo il senso di responsabilità del singolo, non
possiamo adeguarci a una
cultura dominante e di stampo cattolico che invita a delegare sempre a qualcun altro.
No, chi legge Riforma, a mio
avviso, sa bene (o fa finta di
non capire?) qual è la scelta
di campo di questo giornale
(ovviamente all’interno di
questa scelta di campo ci sono anche opzioni diverse e diversamente articolate, ma è
chiaro il comune denominatore). Quindi, per favore, la
Il clic
di prima pagina
Due immagini ricordano la fine dell’embargo
Usa al Vietnam: un’offensiva dei marines nel 1968
e un cimitero vietnamita,
che ricorda molto da vicino, con le lunghe file di
pietre nell’erba, i tanti
film americani che parlano dei caduti in guerra.
sciamo fare a altri la brutta figura di bacchettare le mani ai
discepoli ignoranti, che vanno richiamati. A noi, lettori di
Riforma, lasciate la responsabilità e la libertà... fors’anche
di sbagliare.
Doriana Giudici - Roma
Disdico
Spettabile direzione,
a seguito delle evidenti tendenze sinistrorse di Riforma,
sono rimasto ancor più scioccato dall’apparizione di
queU’infelice «Appello ai cittadini della capitale» (n. 46
del 3 dicembre scorso), sottoscritto dai soliti tromboni,
non animati certo da spirito
cristiano, ma schiavi ancora
del perenne spirito di parte.
Non erodevo che si arrivasse
a tanto: che il perdono, se di
perdono proprio si possa parlare, fosse ignorato dagli illustri signori innanzi citati.
E poiché sono stato sempre
contrario a che in chiesa si
confondano Cristo e i suoi insegnamenti con la propaganda politica, desideroso sempre di non alimentare - anehe
in questo caso - la stampa avversaria (chissà che cosa farete bollire in pentola in occasione delle prossime elezioni
politiche...), esimo codesta
spettabile redazione a inviare
Riforma in abbonamento per
il corrente anno 1994.
Distinti saluti.
Giuseppe Mastroserio - Bari
Federalismo
stravolto
Vorrei rispondere al sig.
Donini (Riforma n. 50/1993)
e alla signora che sullo stesso
numero parla di obiettività.
Le «cattiverie» e le «falsità»
è il sig. Bossi a crearle e quel
che è peggio a diffonderle
tramite i suoi presunti intellettuali e ideologi.
Norberto Bobbio scrive in
Liberalismo e democrazia:
«Per liberalismo si intende
una determinata concezione
dello stato, quella concezione
per cui lo stato ha funzioni e
poteri limitati, e come tale si
contrappone sia allo stato assoluto, sia allo stato che noi
oggi chiamiamo sociale».
Guardando al «significato
prevalente di liberalismo bisogna ammettere che tra il filosofo (liberale) e l’economista (liberista) ha avuto ragione il secondo. Per neoliberalismo oggi si intende principalmente una dottrina economica conseguente, di cui il liberalismo politico è soltanto un
modo di attuazione, non sempre necessario, cioè la difesa
ad oltranza della libertà economica di cui la libertà è sol
tanto un corollario (...). Nella
formulazione oggi più corrente il liberalismo è la dottrina
dello «stato minimo» (...) Per
il liberale lo stato è pur sempre un male ma necessario, e
pertanto deve essere conservato se pur entro limiti il più
possibile ristretti. Con il testo
di Nozick (Anarchia, stato,
utopia) si arriva alla rappresentazione del «punto estremo a cui è giunta la rivendicazione della tradizione autentica del liberalismo, come
teoria dello stato minimo,
contro lo stato benessere che
si propone, tra i suoi compiti,
anche quello della giustizia
sociale. Come tale, non può
non fare i conti con la tradizione del pensiero democratico (...), con la stessa democrazia formale, il cui esercizio avrebbe portato ovunque,
anche là dove non si sono
formati partiti socialisti, come negli Stati Uniti, ad un eccesso di interventismo statale
incompatibile eon l’ideale
dello stato che governi il meno possibile».
E i risultati storici li abbiamo sperimentati: lo stato liberale della fine ’800 in Italia,
gli Usa e l’Inghilterra, che si
dibattono in profonde crisi
sociali. Io non sono per questo stato, che è stato assistenziale, ma per un vero stato sociale. Il liberismo porta alle
conseguenze sopra descritte.
Quanto al federalismo io,
federalista europea, mi sono
recata a un convegno organizzato dalla Lega Nord a
Modena, ma sono uscita disgustata dallo stravolgimento
storico-politico operato dal
prof. Gianfranco Morra; egli
innanzitutto ha invertito il significato dei termini «confederazione» e «federazione»,
sostenendo che il primo è un
fenomeno internazionale
(cioè fra stati sovrani) e il secondo intranazionale (cioè
interno a uno stesso stato).
Così facendo ha bollato noi
poveri federalisti europei,
che propugniamo il federalismo europeo da oltre 40 anni,
di «confederalismo», scordandosi che nei «10 punti»
della Carta di Assago si parla
di «libera associazione di stati», cosa che è una confederazione. Infatti, se ci si è liberamente uniti, ci si può liberamente disunire, ma questo va
contro la nozione di federalismo che non prevede il potere di secessione. Una confederazione invece sì.
A degna conclusione dell’
intervento Morra ha inneggiato a un federalismo «che
unisce, non divide». Innegabile verità, per la quale noi ci
battiamo da molti anni: ma
che bisogno c’è di unire l’Italia? Non l’hanno già fatto
124 anni fa?
Loda Aldini
Sassuolo (Mo)
PAG. 1 1 RIFORMA
Religioni
per la pace
Domenica 23 gennaio; come in molte altre chiese protestanti, anche nella chiesa metodista di Piacenza si è celebrato il culto misto con i cattolici in occasione della Settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani. Riflettendo sul
motivo dell’incontro, il comune credere in Cristo, il condividere un unico Dio, ho pensato che per tutti quelli che
veramente aseoltano e credono nella parola di Dio non vi
può essere che questo tipo di
rapporto. Tra uomini credenti
(sia pure di fedi diverse) non
vi può essere che pace e rispetto reciproco, e l’ecumenismo è l’unico mezzo.
A questo punto il mio pensiero è andato inevitabilmente
a quei paesi dove sono in corso le «guerre di religione»:
Bosnia (cattolici, ortodossi e
musulmani), Irlanda del Nord
(cattolici e protestanti), Palestina (ebrei e musulmani), Sudan meridionale (cristiani e
musulmani), per non citare
che le più note, e mi sono detto ancora una volta: come è
possibile che uomini credenti
in un unico Dio si affrontino
con le armi sotto l’insegna di
una fede religiosa?
Coloro che si affrontano
con le armi in queste guerre
non sono e non possono essere dei credenti, ma al contrario sono proprio persone che
hanno del tutto dimenticato
Dio e che cosa voglia dire
credere. Eeco perché io ritengo oltremodo sbagliato e
scandaloso che proprio noi
continuiamo a definire queste
guerre come «guerre di religione» o tra cristiani e musulmani, dando così a questi criminali, che continuano a
combattersi tra loro a scapito
di tanta gente che perde la
propria vita innocente, il vessillo ideale della religione
dietro cui nascondersi.
Credo che anche noi protestanti dobbiamo dire a chiare
lettere, a cominciare da questo giornale, che coloro che
in Bosnia, Irlanda del Nord e
in tutte le altre regioni del
mondo si combattono non sono protestanti, cattolici, ortodossi, ebrei o musulmani, ma
sono solo dei criminali che
hanno ormai dimenticato che
cosa sia il messaggio di pace
e amore di Dio, e che con la
religione non hanno proprio
nulla a che vedere.
Giuseppe Rai - Piacenza
RINGRAZIAMENTO
«lo sono la luce del mondo,
chi mi segue
non camminerà nelle tenebre,
ma avrà la luce della vita»
Giovanni 8,12
I familiari di
Emanuele Micol
sentitamente ringraziano tutte
le persone che, in svariati modi,
hanno manifestato solidarietà ed
affetto nella triste circostanza.
Un particolare ringraziamento
alla Croce Verde di Perosa Argentina, a tutto il personale medico e paramedico del reparto di
neurologia dell’Ospedale civile di
Pinerolo, e ai pastori Claudio
Tron e Lucilla Peyrot.
Massello, 25 gennaio 1994
«Noi siamo più che vincitori,
in virtù di colui che ci ha amati»
Romani 8, 37
All’età di novant’anni si è addormentata nel Signore
Margherita Stallé
ved. Frangoli
Lo annunciano le figlie, i figli, i
nipoti e tutti i familiari, riconoscenti a quanti condividono il loro lutto.
Firenze, 8 febbraio 1994
16
PAG. 1 2
RIFORMA
BiAL
VENERDÌ 18 FEBBRAIO 155
Intervista a Catherine Samary, collaboratrice del mensile «Le Monde diplomatique»
Nei Balcani «è stata la guerra a generare
l'odio e non l'odio a generare la guerra»
EMANUELE REBUFFINI
Á ccogliendo nell’indif\\ .Inferenza il grido dei/
morenti, perché sono barbari
incolti,/ si sgozzano tra loro./
E la vita dei sazi è più preziosa della vita degli/ affamati»;
sono versi del poeta polacco
Milosz. Versi amari che accusano l’indifferente impotenza
dell’Europa che di fronte al
conflitto balcanico rivela di
avere il nulla come fondamento. Un’accusa verso quelle generazioni che un tempo
invocavano la rivoluzione e
ora sbadigliano di fronte ai
dolori degli altri. Una guerra
difficile da fermare, ancora
più difficile da comprendere.
Ma davvero sono barbari incolti che si sgozzano tra loro?
Abbiamo girato la domanda a
Catherine Samary, collaboratrice di Le monde diplomatique e esperta delle questioni
balcaniche.
- Bosnia: guerra di religione o conflitto interetnico?
«Troppi sono i luoghi comuni che i media contribuiscono a diffondere. Non è
una guerra tra etnie poiché le
genti hanno vissuto insieme
fino a quando questo costituiva un vantaggio; dietro alla
guerra c’è una lotta di potere
e si sono adoperate le paure
legate al passato per fomentare la violenza. È stata la
guerra a generare l’odio e
non l’odio a generare la guerra: lo sviluppo economico e
sociale è stato a lungo un fattore di coesione, per cui non
è vero che la Jugoslavia era
tenuta insieme solamente dalla dittatura comunista; la causa del conflitto deve ricercarsi nella crisi socio-economica
degli anni ’80 e nell’indebitamento estero.
Di fronte a questi problemi
le forze politiche hanno cercato di rafforzare il loro potere appellandosi al nazionalismo; hanno contato molto le
disparità tra regioni (alla fine
degli anni Ottanta la disoccupazione in Kosovo era del
20%, in Slovenia del 2%) e
tra città e campagne. Nelle
prime, da secoli, esisteva una
mescolanza interetnica armonica; infatti, nelle prime elezioni libere, nelle zone industrializzate come Tuzla vinsero i partiti non nazionalisti.
Invece è nelle zone rurali che
i sentimenti nazionalisti e religiosi sono più vivi e si manifestano nei loro aspetti fondamentalisti».
-C’è il rischio che il conflitto si estenda e coinvolga
Kosovo e Voivodina ?
«Sono due situazioni differenti: la Voivodina è una regione multietnica, ma malgrado l’uso strumentale dei
profughi serbi e le minacce di
pulizia etnica non ci sono
spinte separatiste da parte
della minoranza ungherese e
del governo di Budapest; in
Kosovo c’è una maggioranza
albanese (l’80%) schiacciata
psicologicamente e culturalmente dal nazionalismo serbo. Il tentativo di “serbizzare” la popolazione non è riuscito ed esistono due società
parallele: quella ufficiale serba, e quella clandestina e pacifista degli albanesi. Anche
se c’è una resistenza non violenta, i rischi di un’esplosione violenta ci sono, anche
perché gli albanesi sono presenti anche in Macedonia;
sono un popolo emarginato
con una forte aspirazione
unitaria: il sogno della
“Grande Albania’’».
- Come giudica il piano di
Scene di vita quotidiana a Sarajevo
pace Owen-Stoltemberg?
«Tutto ciò che può garantire la pace non può non essere
ben accolto. Però, se non ci
limitiamo alla risposta emotiva, dobbiamo rifiutare la proposta di tripartizione della
Bosnia, anche perché non
realizzabile: ci sono tre comunità: i musulmani (40%), i
serbi (30%) e i croati (18%),
ma pochissimi sono i comuni
dove una di queste componenti risulti maggioritaria. È
un paese a “pelle di leopardo’’
e con moltissimi matrimoni
misti (a Sarajevo il 60%); non
possono esistere zone etnicamente pure. Anche dopo la
tripartizione vi saranno delle
minoranze considerate come
“nemiche”: ciò dimostra che
non si può fondare la pace
sull’esclusione e qui si pone
il problema dell’intervento
militare. Se si intervenisse
per restituire ai popoli la possibilità di decidere i loro destini, bene; ma un intervento
avrebbe lo scopo di imporre il
“piano di pace”. Ha ragione
chi dice che la soluzione militare lascerebbe irrisolte le
questioni politiche che stanno
alla base della guerra. La vera
ragione del non intervento è
che in Bosnia non ci sono interessi “forti” da difendere».
- Che giudizio può dare di
Izetbegovic e Milosevic?
«La vittoria nelle ultime
elezioni dimostra che Milosevic gode di un certo sostegno
popolare, anche perché non vi
sono programmi politici alternativi e l’opposizione è in
consistente e contraddittoria:
Milosevic è l’unico a godere
di un riconoscimento intemazionale, l’unico che può far
togliere le sanzioni. Credo
che non si debba guardare solo agli individui, ma alle loro
scelte concrete; quando Draskovic, leader dell’opposizione, afferma di voler far finire
la guerra, la sua posizione è
da sostenere, ma quando Draskovic cerca di allearsi con
l’estrema destra di Sesevij
dobbiamo contestarlo.
Izetbegovic è un politico
mediocre che ha commesso
l’errore di scommettere tutto
sulla possibilità di un intervento militare esterno: non
ha saputo essere il presidente
di tutti i bosniaci, ma dei soli
musulmani; il nazionalismo
islamico ha le sue responsabilità, ma minori rispetto a
quello serbo e croato. Non
bisogna dimenticare che i
musulmani sono le vittime e
che non hanno altro stato se
non la Bosnia. Se questa diventa una Repubblica islamica sarà come avere una Palestina nel cuore dell’Europa:
la condizione per una guerra
permanente».
- Quale giudizio può dare
del comportamento della comunità internazionale?
«La politica dei governi occidentali è stata catastrofica.
Fino al giorno dell’indipendenza della Slovenia e della
Croazia, nel 1991, si cercò di
integrare l’ex Jugoslavia
nell’Unione europea, sostenendo Ante Markovic che
poteva dare al paese un governo e un’economia liberali;
con il riconoscimento dell’indipendenza si scelse, invece,
di legittimare il separatismo
delle regioni più ricche. Il
principio dell’autodeterminazione dei popoli è un principio nobile, ma non è da applicarsi a tutti i costi: la Commissione Badanter aveva formulato dei criteri per la concessione del riconoscimento,
ma nessuno li ha seguiti. I
paesi occidentali hanno svolto il ruolo di pompieri-incendiari: soffiando sul fuoco e
poi cercando di spegnerlo
con mezzi inadeguati. Come
l’embargo: aveva il duplice
scopo di far cessare la guerra
e di far cadere Milosevic e
non è servito a nessuno dei
due: anzi, la crisi economica
che colpisce la Serbia non è
vista come una conseguenza
delle scelte di Milosevic ma è
imputata ai governi stranieri;
l’embargo ha rafforzato Milosevic e toglierlo ora significherebbe farlo apparire come
un vincitore.
Al tavolo dei negoziati è
stata data la parola solo a coloro che fanno la guerra, non
a coloro che resistono e si oppongono, come i gruppi di
donne, i pacifisti, i media indipendenti che manifestano la
volontà di vivere insieme: volontà non rispettata, perché si
è preferito polarizzare le posizioni; tutti i serbi sono rappresentati da Karadzic, tutti i
croati da Boran e tutti i musulmani da Izetbegovic. Solo
che la realtà è un po’ più
complessa e articolata: le soluzioni non possono essere
trovate solo in Bosnia, occorrono profonde trasformazioni
politiche in Serbia e Croazia.
La causa della Bosnia merita di essere difesa perché essa
mette in luce questioni generali: intolleranza e razzismo
sono elementi presenti in tutti
i paesi europei e conseguenza
dell’attuale crisi socio-econo
mica: SI cerca un capro espiatorio e lo si trova nello straniero. La tragedia bosniaca ci
ripropone questa domanda:
come vivere insieme nonostante le differenze?».
Pressante appello del Cec a tutte le chie^
Bisogna opporsi al
commercio delle ami
LUCIANO DEODATO
T n mondo sempre di
>> X più lacerato da conflitti,
il problema del commercio
delle armi si pone a noi con
una nuova urgenza. Il traffico
che alimenta questi conflitti
dà vantaggi solo a quei pochi
che ne ricavano guadagno e
potere. Tutti gli altri, e in particolare le vittime di armi
sempre più sofisticate, ne subiscono le conseguenze rivoltanti per le loro atrocità».
Così inizia un appello del
Consiglio ecumenico di Ginevra (Cec) inviato a gennaio a
tutte le chiese che ne fanno
parte ma rivolto soprattutto a
quelle che si trovano in paesi
produttori di armi, perché si
attivino e interpellino i rispettivi governi sulle linee che
guidano la politica relativa alla produzione bellica e al
commercio degli armamenti.
Il Cec non è nuovo a questi
appelli: nella storia delle sue
assemblee generali, quella del
’75 a Nairobi ebbe tra i suoi
punti qualificanti proprio la
denuncia dell’intreccio tra apparato industriale, produzione
di armamenti e politica. Il problema della pace, della giustizia e del creato è oggi altrettanto bruciante e urgente
quanto pochi anni fa. Ha assunto, casomai, una nuova
connotazione. Mentre prima
ciò che attù-ava l’attenzione e
riusciva a smuovere l’opinione pubblica era costituito dalla
minaccia nucleare, oggi ci troviamo di fronte ad un pericolo
meno evidente, più sottile, ma
non per questo meno grave.
Le armi nucleari erano, in un
certo senso, inutilizzabili; finito il bipolarismo e la politica
della deterrenza, l’industria
bellica si è buttata sugli armamenti convenzionali, ma sofisticati. La guerra del Golfo è
stata in questo senso un prezioso momento di verifica e
sperimentazione. I numerosi
conflitti locali offrono un
ghiotto e ricco mercato.
«La vita dell’essere umano,
creato a immagine di Dio, è
sacra», afferma il documento
del Cec che aggiunge: «Oggi
le vittime delle guerre in corso
Svizzera: sono 35.000 gli zigani residenti nella Confederazione, di cui 5.000 nomadi
Contro l'esclusione della «gente del viaggio»
Secondo i dati ufficiali sono 35.000 gli zigani residenti
in Svizzera, di cui 5.000 ancora nomadi. In quanto minoranza etnica, i loro diritti
sono ancora ben lontani
dall’essere riconosciuti.
Il pastore May Bittei, che è
il loro portavoce, ritiene che
per meglio preparare l’avvenire, occorra volgersi al passato. La storia del popolo zigano non è altro che una lunga serie di persecuzioni, di
torture, di rigetti o di sedentarizzazioni forzate.
Le origini di questo popolo
rimangono misteriose. Partiti
dall’India mille anni or sono,
si stabilirono nella zona che
allora si chiamava il «Piccolo Egitto» (regione compresa
tra l’attuale Iran e il Mediterraneo) prima di dividersi,
perché troppo numerosi, in
due gruppi: l’uno emigrò
verso l’Ovest, via Nord Africa, fino in Spagna, l’altro risalì ad Est verso l’Europa.
Il numero attuale di zigani
nel mondo viene stimato tra
40 e 45 milioni. Essi sono ripartiti in quattro grandi tribù:
i Rom, i Manouche o Sinti, i
Gitani e gli Jenische (questi
ultimi maggioritari in Svizzera). Il loro bisogno di
«muoversi» sarebbe dovuto
ai rigetti e alle persecuzioni
di cui sono vittime. «Penso
che non sia il nostro modo di
vivere a dare fastidio, bensì
la nostra libertà» sottolinea
May Bittel.
Durante la seconda guerra
mondiale, ufficialmente,
5(X).0(X) zigani - in realtà tra
1 e 1,5 milioni - morirono
nelle camere a gas naziste,
vittime anch’essi della soluzione finale.
«Un paese senza zigani
non è un paese libero» ama
ripetere May Bittel. La Svizzera, che fin dall’arrivo dei
primi zigani, nel Quattrocento, non ha lesinato le misure
e le ordinanze nei confronti
di questi «pagani», adottò nel
1926 una strategia mirante a
«normalizzare» la gente del
viaggio. Fino al 1973, trami
te la «Pro Juventute», 2.000
bambini vennero tolti in tutta
legalità alle proprie famiglie
per essere posti in orfanotrofi, case di rieducazione o cliniche psichiatriche. In pratica, ogni famiglia zigana residente in Svizzera è stata colpita da questo dramma. Conseguenza: il numero di zigani
nomadi è fortemente diminuito ed è attualmente di
5.000.
I loro mestieri tradizionali
(panierai, arrotini, ferrivecchi, rigattieri, stagnai) sono
oggi in via di estinzione. Per
salvaguardare il loro modo di
esistenza, la «Radgenossenschaft», l’associazione della
gente della strada, ha lanciato una petizione che è appoggiata da numerose personalità, fra cui il pastore Heinrich Rusterholz, presidente del
Consiglio della Federazione
delle chiese protestanti in
Svizzera (Feps), mons. Pierre
Mamie, vescovo della diocesi di Friburgo, Losanna e Ginevra, mons. Hans Gerny,
vescovo della Chiesa cattolica cristiana. La petizione
chiede alle autorità federali,
cantonali e comunali di adottare misure per porre fine
all’esclusione degli zigani
svizzeri.
Oltre il riconoscimento ufficiale della minoranza zigana svizzera, della sua cultura
e dei suoi diritti, essa chiede
un accordo intercantonale
che consenta l’assegnazione
di una licenza unica valevole
sull’insieme del territorio
svizzero e la realizzazione in
ogni cantone di luoghi di sosta riservati alla gente del
viaggio.
I crescenti problemi ai
quali viene confrontato il popolo zigano hanno portato
May Bittei, pastore evangelico, a diventare uno dei suoi
portavoce presso le autorità
elvetiche. Bittei siede inoltre
nella Commissione dei diritti
umani dell’Onu. La Missione
zigana, di cui fa parte, conta
circa 500 membri in Svizzera
e 500.0(X) nel mondo. (Spp)
sono nella loro stragranj
maggioranza poveri e pet^
ai margini della società e ¡j{|
storia, popolazioni indigo
donne e bambini» (ma quanj
non è stato così?). Gli enon
cambiamenti che stanno*
guendo alla fine della gue,
fredda mettono ancora dip
in evidenza il fossato che«
ste tra il Nord e il Sudj
mondo, e le divisioni eeoii
miche, razziali, etniche, rd
giose presenti all’interno dij
società. Quasi ovunque è(
trata in crisi l’idea della naa
ne-stato.
In questo contesto di cren
ta delle tensioni talvoltal
stati vicini, ma il più sovei
alFinterno degli stessi sh
bisogna fermare la produzioi
e la proliferazione degli am
menti convenzionali. Ciò«
significa ignorare che esisl#
ancora immensi quantitativii
armamenti nucleari; chi
trattato per non proliferazia
nucleare non è ancora sti
sottoscritto da tutti i paci
che, infine, bisogna far cea
re veramente tutti gli esps
menti nucleari. Insomma,
nucleare resta una minai*
incombente sul nostro
così come un’altra gravisi
minaccia è costituita daglii
mamenti chimici.
Ma ciò che oggi distruggi
vite umane sono gli armami
ti convenzionali. Tra il 1945
il 1980 in più di cento coni
sia internazionali che cM
svoltisi nel Sud del moni
morti sono stati più di É
milioni. Senza contare i Éj
incalcolabili delle distruà^
la miseria come eredità i
guerra, la fame, le epideni
guasti a livello psichicovj
invalidi, gli orfani, eccJ
somma, più del nuclearf
produzione e il commeti
delle armi convenzionali SI
un vero flagello per Futnail
Dunque bisogna intervd
nel settore della loro pffll
zione e del loro commefii
Purtroppo quest’ultimo
quanto mai florido, in baih
qualsiasi embargo, Basti |*
sare a ciò che succede ni
vicina ex Jugoslavia. As
l’embargo aiuta ad aumenB
i profitti dei commercianti.
Il Cec chiede ai governi!
paesi produttori di armii
convertire sia pure in té
graduale, ma di cominciarci
subito anche se questo 1»
avere dei costi, l’industrial»
lica in industria civile; e à’
conoscere che la vendita dii
mi non è un sistema «soc»
mente ammissibile, durati
ed efficace di creare posti'
lavoro»; all’opposto esso si'
solve a lungo termine in"
danno per l’economia, di*
che per lo sviluppo e per l’s»
biente. Non è infatti necesS
rio essere dei grandi econoi
sti per comprendere che Iç'
sorse che vengono bruc»
nei conflitti sono pure
in termini economici (o'®
che umani e civili!) e duai
sottratte allo sviluppo.
L’appello del Cec si rivdj
in particolare ai sette paesiP
industrializzati del motidm
l’Italia è tra questi) e ai ^
che fanno parte del Consi^
di sicurezza dell’Onu p®»**
III
questi possiedono da un
le tecnologie e dall’altf®
controllo dei conflitti. E ^
que su di essi ricade
te delle responsabilità. D
cumento, ampio, equilib»J,
realistico prospetta tutta
al
Sped
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si pri
via P
L’Edi
corni
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nor\
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bori
serie di ipotesi di lavoro
quali le chiese sono ridi',
di dare una risposta. Q“
sarà la risposta delle no*
chiese?
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vani
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