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ECO
DELLE mu VALDESI
Past. TACCIA Albarto
10060 AKOROOMA
Settimanale
della Chiesa 7aldese
Anno 99 - Num. 31-32
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TORRE PELLICE - 8 Agosto 1969
Ammiu Claudiana Torre Pellice • C.CJ*. 2-17557
Sarà un Sinodo di chiarimento? Convocazione del Sinodo Valdese
Intorno al Sinodo di quest’anno
(24-29 agosto p. v.) esiste una certa attesa, forse persino, in qualcuno, una certa apprensione, ben
comprensibili — sia l'una che l'altra — dopo l’anno ecclesiastico
piuttosto tormentato (anche se
non privo di diversi fatti positivi
e incoraggianti) che abbiamo avuto. Un anno non facile, né per le
chiose né per la Tavola, cui seguirà presumibilmente un Sinodo
ani nato dal confronto, o dallo
scontro, tra le diverse posizioni
oggi presenti nelle nostre comunità. Non un Sinodo di ordinaria
am ninistrazione, questo è certo.
E ^ >me stupirsene? Il nostro non
è i! 1 tempo di ordinaria amministri/.ione, né per la Chiesa né per
il r ondo! Del resto, in campo spiriti ale, l’ordinaria amministrazione non denota, in genere, una situi .ione particolarmente florida...
( he cosa succederà in Sinodo?
È igionevole supporre che vi si
rip odurrà quel dissenso che da
diversi anni esiste all’interno delle
noi tre comunità, che si è già manif stato al Sinodo dello scorso
ani c) e che negli ultimi mesi, sembra essersi ulteriormente acuito,
ahi ano in alcune situazioni particol iri.
■Sulla realtà di questo dissenso
non vi possono essere dubbi: molti stanno facendo la dolorosa
esperienza, di non potersi intendere con altri membri della stessa
comunità su aspetti importanti
delia vita e della testimonianza
della Chiesa, e forse della stessa
fede. Tanto che, considerando la
nostra attuale condizione ecclesiastica, sembra una pura utopia
'a speranza dell’Apostolo di vedere
i credenti « fermi in uno stesso
spinto, combattendo assieme d’un
medesimo animo per la fede del
Vangelo... avendo un medesimo
sei t-mento, un medesimo amore,
es.s ;ndo d'un animo, di un unico
sentire; non facendo nulla per spiriti di parte o per vanagloria, ma
ciscim di voi, stimando altrui da
più di se stesso, avendo ciascun
di voi riguardo non alle cose proprie. ma anche a quelle degli altri .> (Filippesi 1: 28; 2: 2-4). La
situazione nelle nostre chiese è sovente l’esatto rovescio di quanto
l’Apostolo qui raccomanda. La Re' lazione della Tavola al Sinodo,
stampata in questi giorni, lo rileva, denunciando la presenza nella Chiesa di « un clima di sospettosità e di intolleranza di cui occorre seriamente umiliarsi ».
Se non vi sono dubbi sulla realtà del dissenso, non si è invece ancora al chiaro — così almeno ci
pare — sulla sua natura. Il dissenso esiste, e va bene; ma perché
esiste? Le diverse posizioni che
oggi si fronteggiano nella Chiesa
dove affondano le loro radici? Di
che cosa si alimentano? Che cosa
le fa vivere? Può darsi che la situazione sia ancora troppo fluida
o troppo intricata perché si possa
rispondere a questi interrogativi,
posto che li si riconosca validi.
Sappiamo anche che il Sinodo di
quest’anno dovrà pronunciarsi su
alcuni grossi problemi particolari
che limiteranno forse il dibattito
più generale. Bisognerà però, prima o poi, avere il coraggio e il discernimento necessari per guardare al fondo delle cose. È solo per
questa via, pensiamo, che si potrà
giungere a quel « chiarimento di
fondo » che la Tavola, nella sua
Relazione, giustamente reclama.
Sarà il Sinodo ’69 un Sinodo di
chiarimento? Potrà esserlo, se il
dibattito e le decisioni avverranno in un clima di forte consapevolezza evangelica.
Intanto, un paio di considerazioni possono essere fatte. Anzitutto, si può pensare che il faticoso e
talvolta doloroso travaglio della
Chiesa del nostro tempo preluda
alla formazione di un nuovo tipo
di comunità cristiana che sostituisca, almeno per certi aspetti, il
modello parrocchiale nel quale
siamo cresciuti e al quale siamo
abituati II problema non è solo né in primo luogo quello delle cosiddette strutture. Si tratta
piuttosto di una nuova concezione della Chiesa, della sua posizione e missione nel mondo,
e quindi della sua vita e organizzazione interna. Si è ancora all’inizio di questo cammino, nella
fase di ricerca, con qualche coraggiorie tentativo di sperimentazione. Ma è un cammino che, ci pare,
dev’essere percorso, se la Chiesa
vuole vivere e non solo sopravvivere.
La seconda osservazione riguarda il confronto con la Scrittura.
La Chiesa, sia pure in modo alquanto disarticolato, è in agitazione, o in fermento, o in travaglio, o
in ricerca, o semplicemente in crisi. Qual’è il posto della Parola di
Dio in tutto questo? Qual'è il ruolo che le si riconosce? L’obbedienza alla Parola di Dio resta il criterio fondamentale di ogni posizione, vecchia o nuova, nell’ambito
della Chiesa. Diciamo vecchia o
nuova, perché anche le posizioni
tradizionali devono essere saggiate col metro della Parola. Altrimenti, che Chiesa evangelica siamo? Nessuno è esonerato dal
compito di motivare le proprie
posizioni in base all’Evangelo, sapendo che lontano dalla Parola
di Dio la Chiesa non può che perire spiritualmente e senza que
sta Parola nessun rinnovamento
della Chiesa, degno di questo nome, sarà mai possibile. « Se la
tromba dà un suono sconosciuto chi si preparerà alla battaglia? » (I Corinzi 14: 8).
Terminando, riportiamo la conclusione della Relazione della Tavola, che, nella sua sobrietà e fermezza di fede, ci sembra costituire la migliore introduzione al Sinodo 1969: « Piuttosto che con
qualche considerazione sulla difficoltà del, nostro compito e sulla
insufficienza del nostro lavoro, anche se ambedue le cose sono vere,
vogliamo concludere questa relazione con un pensiero di fiducia e
di speranza. Il momento è grave e
siamo tutti consapevoli delle nostre infedeltà, delie nostre incoerenze, della nostra "umanità; ma il
Signore rimane fedele. Questa è la
nostra fiducia e la nostra speranza; ogni altra parola aggiunta a
questa certezza non è che retorica ».
VIAGGI DEL PONTEFICE
In Africa e altrove
Manca solo più l’Oceania, e poi
Paolo VI sarà stato in tutti i continenti della nostra terra. Mai un
pontefice romano ha viaggiato tanto. Gerusalemme, Santuario mariano di Fatima (Portogallo), Turchia, Colombia, India, ONU, Ginevra, Uganda: sono già 8 viaggi di
media e grande distanza, in appena sei anni di pontificato. Col passar del tempo, l’elenco è destinato
ad allungarsi. È chiaro ormai che
i viaggi costituiscono un aspetto
peculiare dell’attuale pontificato.
Perciò la domanda che ci si può
porre non è: Dove andrà ancora
Paolo VI? ma piuttosto: Dove non
andrà?
Si sarebbe tentati di mettere a
confronto i viaggi del pontefice romano con i viaggi missionari degli apostoli narrati nel Libro degli
Atti: il contrasto non potrebbe essere più stridente. Ma un simile
confronto è tutto sommato sconsigliabile, perché lascerebbe supporre che tra i viaggi apostolici
del I secolo e i viaggi papali del
XX secolo esista una Certa continuità, sia pure per contrasto. Invece, questa continuità non sussiste, neppure per contrasto.
Il rituale dei viaggi pontifici è,
più o meno, sempre lo stesso ed è
inutile soffermarvisi. Persino il
contenuto dei discorsi può essere
in certa misura previsto: quel che
Paolo VI dice a Roma, lo ripete
altrove, e viceversa. È quindi evidente che il « valore » dei viaggi
Il Sinodo della Chiesa Valdese si aprirà, D. ,v.
DOMENICA 24 AGOSTO, ORE 15.30
nel Tempio valdese di Torre Pellice con un culto presieduto dal Pastore
Enrico Geymet e la consacrazione al ministero pastorale del Candidato
Raymond De Rahm.
I membri del Sinodo sono convocati per le ore 15 nell’Aula Sinodale
della Casa Valdese per alcuni atti preliminari.
, Subito dopo il culto i membri del Sinodo si riuniranno nell’Aula sinodale per costituirsi in Assemblea, sotto la presidenza del più anziano di età
tra i ministri di culto in attività di servizio, e per procedere alla nomina
del Seggio definitivo.
Achille Deodato
Vice-moderatore della Tavola Valdese
Torre Pellice, 25 luglio 1969
'>iiiiiiiimiiMiiiiiimiitiNiiiuiiiiimiMmmiiiMNiMiiniiiiiiiiMiiii
Miidstin pastorale alla prava
Dati statistici
Dalla Relazione della Tavola al Sinodo ricaviamo alcuni dati statìstici
relativi alla Chiesa * Valdese. I membri della Chiesa Valdese in Italia sono
21.272 e in Sud America (Uruguay e
Argentina) 6.090, mentre la popolazione valdese è di 21im8 unità in Italia
e di 13.308 in Sud America. In tutto
abbiamo quindi un po’ più di 27.000
membri di Chiesa e una popolazione
valdese di circa 41.000 unità.
Le Scuole Domenicali sono in Italia
132 e in Sud America 79, con 2.511 e
2.515 alunni, rispettivamente. I catecumeni sono 1.145 in Italia e 550 in
Sud America. Gli anziani e diaconi
sono 550 circa in Italia e 250 circa in
Sud America. I pastori sono 81 in Italia e 15 in Sud America.
risiede tutto nella presenza fisica
del pontefice romano in diversi
punti strategici (o ritenuti tali)
del nostro globo. Non più solo la
voce del papa, ma la sua persona
deve percorrere il mondo. Il papa
c’è, e si vede.
Ma cosa sono, in sostanza, questi viaggi pontifici? Non sono soltanto — benché siano anche questo — « la forma più caratteristica di pubblicità del pontificato di
Paolo VI » (così Carlo Falconi).
Sono anzitutto le diverse tappe di
una sorta di escalation papale, tendente a far emergere la dimensione universale del « papa di Roma ». Senza negarsi — beninteso — come pontefice romano,
Paolo VI intende affermarsi come
personaggio internazionale e raccomandare la funzione papale
presso il maggior numero di uomini possibile. Un papa che diventa in qualche modo onnipresente,
in quanto, secondo lui, il suo posto è dappertutto.
Il papa non s'accontenta più di
essere il vescovo dei vescovi e il
« padre » di tutti i cattolici. Vuole
anche essere riconosciuto come il
leader morale e spirituale dell’umanità. I suoi viaggi vanno situati in questo contesto, alla cui base
c’è il proposito — enunciato dallo
stesso Paolo VI in un discorso del
maggio 1964 — di « rendere cattolico il mondo ».
Paolo Ricca
In vista della consacrazione al Ministerio Pastorale che avverrà il 24
agosto, al culto di inaugurazione del
prossimo Sinodo, giovedì 31 luglio a
Torre Pellice ha" avuto luogo l’esame
del candidato al ministerio pastorale
Raymond De Rham, di nazionalità
svizzera, proveniente dalla Facoltà di
Teologia di Losanna. Il De Rham ha
lavorato già per due anni nella Chiesa Valdese, a Roma, occupandosi dei
protestanti di lingua francese uniti alla Comunità di Via IV Novembre e
poi in seguito, quale coadiutore del
Pastore Mathieu, interessandosi anche delle zone della periferia di Roma
Tor Sapienza 'S*‘Ceritocelle Torre
Maura.
Ventinove Pastori hanno proceduto
alTesame del Candidato a cui è stato
richiesto di esporre il suo pensiero sui
seguenti temi: La salvezza in Gesù
Cristo - Funzione della Sacra Scrittura nella predicazione e nella vita della
Comunità - La Chiesa ed il mondo - La
sua vocazione personale ed il significato che riveste per lei la sua consacrazione al ministerio pastorale.
L’ultima domanda, a carattere personale, è di prammatica negli esami di
fede dei Candidati che intendono essere consacrati nella Chiesa Valdese.
Non è forse inutile anche sottolineare
che l’esame è pubblico. Ma quest’anno
il pubblico è stato veramente assai ridotto; il meno numeroso (per non dire il più sparuto) a nostra memoria!
Nella esposizione delle idee teologiche fatta dal Candidato abbiamo notato una speccata accentuazione dell’umanità di Cristo che è «un uomo
vissuto circa 2.(XX) anni or sono e nel
quale è stata riconosciuta la presenza
di Dio, la grazia e la giustizia di Dio.
È l’uomo che ci fa conoscere il Padre. Senza Gesù non vi è una vera
ragione di vita, non esistono scelte valide nel mondo : tutto può essere ugualmente giusto, il bene-come fE male,
l’odio come l’amore. Gesù è per l’uomo quel che la bussola è per il navigante: gli indica la giusta direzione,
gli fornisce una gerarchia di valori».
Per quel che concerne la funzione della Sacra Scrittura oggi nella Comunità il Candidato fa osservare come tutti i libri della Bibbia siano stati scritti da credenti che testimoniano per i
loro contemporanei. Per attualizzare
per conoscere la direzione verso la
quale deve volgersi oggi la Comunità». Questa affermazione porta naturalmente il candidato a precisare — rispondendo alla terza domanda — che
Chiesa e mondo non sono due realtà
opposte l’ima all’altra (come ad es.
l’acqua ed il fuoco, il bene ed il male)
perché 11 mondo è il luogo dove con
tutta umiltà e modestia i credenti possono e devono porre i loro segni del
Regno di Dio che viene, aspettandone
la piena realizzazione.
Passando alla quarta domando il
Candidato spiega come abbia chiesto
la consacrazione perché vede in queoggi la Bibbia ci vuole quindi la predicazione, preceduta da un accurato
studio esegetico e teologico della Scrittura per discernere in essa ciò che è
contingente da ciò che è valido oggi
ancora, quello che era detto e richiesto da Dio agli uomini di allora, in
quella determinata circostanza e quello che Dio dice e richiede da noi nel
presente. Per attualizzare la Sacra
Scrittura nella predicazione il predicatore « deve leggere e meditare da una
parte la Bibbia e dall’altra il giornale.
La Bibbia per avere il punto di riferimento senza il quale non è possibile
agire su una base solida, e il giornale
sta cerimonia il riconoscimento della
Chiesa conferito alla sua vocazione.
In un certo senso essa sarà come il
sigillo che conferisce validità oggettiva al suo futuro ministerio che risjriterà così essere non la conseguenza
di una scelta puramente personale,
ma una vera missione affidatagli dalla
Chiesa che gli riconosce il dono richiesto per espletarla.
È stato senza dubbio notevole udire
una esposizione così precisa, chiara e
sicura sul significato della consacrazione valutata positivamente proprio
in questi tempi in cui molti candidati
al.ministerio la valulaso in ben altro
modo er la contestano aiqiassionatamente — questo giornale ne ha parlato a suo tempo — e proprio nella
Svizzera da cui proviene il De Rham!
Superato l’esame di fede in modo
positivo, al De Rham non resta ora
— prima di essere ammesso alla consacrazione che sostenere il sermone di
prova che avrà luogo giovedì 7 agosto
alle ore 10 nel tempio dei Coppieri.
Bruno Costabel
NELLA LHIESA RIFORMATA DI FRANOA
Venticinque
alla
II
II
Strasburgo (soepi) — Venticinque
studenti in teologia e giovani pastori
protestanti francesi si sono rifiutati di
farsi consacrare al ministerio pastorale perché questa cermionia, a loro
detta, non è che « un rito di passaggio » e la « ripetizione del battesimo
tradizionale riservata a qualche religioso ».
Così essi si sono espressi in una dichiarazione indirizzata al Consiglio nazionale della Chiesa Riformata di
Francia dopo l’autorizzazione alla consacrazione ricevuta dalla commissione.
Non si tratta di un atto rivoluzionario, essi proseguono, ma di un tentativo di « riallacciarsi a quelle istituzioni della Riforma riguardanti il sacerdozio universale ».
Soltanto « quando si avrà preso completamente coscienza del carattere laico e non clericale del pastorato si potrà guardare con la necessaria serenità a dei ministeri (pastorali) a tempo
parziale o a pieno tempo, ma per un
esercizio limitato, e che il fatto di lasciare una carica pastorale per un altro lavoro potrà essere visto senza lagnanze o scandalo » si legge nella di •
chiarazione.
« Declericalizzare il ministerio pastorale significa nello stesso tempo adoprarsi per una molteplicità ed una
complementarietà dei ministeri, non
gerarchizzati... Riteniamo che il tipo
di ecclesiologia qui suggerito somigli
assai alla concezione carismatica sviluppata dalle epistole paoline. Ma bisogna giungere a dire che se le attuali
circostanze ci obbligassero a trovare
un tipo di ecclesiologia senza un rapporto immediato con un modello neotestamentario, questa ricerca di nuove
strutture ci verrebbe dettata dalla libertà delle prime comunità cristiane
di fronte alle esigenze dei loro tempi,
come è testimoniata dagli scritti del
Nuovo Testamento ».
2
pag. 2
PROSEGUENDO IL DIBATTITO SULLA PREDICAZIONE
N. 31-32 — 8 agosto 1969
E SUI SUOI RIFLESSI NELLA VITA COMUNITARIA
^ r
Predicazione e impegno
Questa "risposta", per tutta una
serie di disguidi postali, viene pubblicata con grande ritardo: ce ne
scusiamo con l'autrice e con i lettori.
red.
Ho letto con vivo interesse l’articolo
di Gino Conte « Miti e realtà della predicazione » (su « Eco-Luce » n. 22 del
30 maggio '69), ove sono offerti diversi
spunti ad una seria ricerca su questo
argomento.
Mi pare però che quelle che Gino
Conte chiama « due obiezioni fdhdamentali » e sulle quali impernia il suo
intervento, non siano in realtà per
niente centrali: strutture e linguaggio
non costituiscono infatti dei problemi
a sé, tranne forse per quelli che reagiscono scandalizzati ad ogni espressione diversa dalle formule abituali, o
per quelli che si allarmano se appena
ci si chiede, se le chiese sono il posto
principale in cui debba avvenire la nostra predicazione. A noi non importa
granché di queste cose, tanto è vero
che ce ne serviamo con libertà e non
le serviamo!
I veri problemi sono piuttosto la
fede e l’impegno: la fede è quella che
riceve la Parola, la riconosce fra le
molte altre parole che vengono dette,
e se ne nutre. L'impegno è l’applicazione della Parola ricevuta con fede nella
vita di tutti i giorni. L’impegno non
riduce la fede a religiosità e non lascia cadere a terra nessuna Parola,
senza che essa incida e trasformi tutto quello che incontra, determinando
una coscienza profonda dei problemi,
una serie di decisioni immediate, una
ricerca critica di quali debbano essere
le posizioni future.
Non si tratta dunque minimamente
di « aggiornare » o di « modernizzare »
la predicazione; essa non è un problema nostro, non dipende dai nostri
sforzi o dalla nostra buona volontà:
c’è quando e dove Dio vuole. Il problema è la nostra risposta, cioè la nostra fede e il nostro impegno. Essi
debbono essere espressi nel modo in
cui normalmente parliamo e viviamo,
altrimenti non sono veri per noi (ma
possono esserlo o esserlo stato per altri che così sono vissuti).
Anche quello che vien detto la domenica mattina è una risposta alla
predicazione della Scrittura, che se
Dio vuole, può diventare a sua volta
« predicazione » e suscitare in altri una risposta simile alla nostra. Per questo è assurdo che avvenga sempre soltanto per iniziativa di im’unica persona (in genere il pastore), tranne che
non sia il solo ad esser stato chiamato, ma allora perché parlare ancora di
comunità... È giusto che ci sia chi può
spiegare la Scrittura e sviscerarne il
contenuto, ma oltre questo occorre poi
la risposta sua e della comunità. Il
fatto che il Signore abbia chiamato e
creato delle comunità esclude delle
risposte isolate.
(guanto al linguaggio e alle strutture, mi pare che accontentarsi di accettare quelle tradizionali e conservarle
gelosamente è l’uso peggiore che se ne
possa fare... Non si riconosce cioè in
esse una risposta di altri credenti, alla quale ci si può adeguare o meno a
seconda delle situazioni, ma si dà loro
un significato molto più grande quasi
« sacramentale », nel senso cattolico
del termine, di vie obbligate per la salvezza.
I profeti hanno usato il linguaggio
con scandalosa libertà, prendendo
esempi e parabole anche dai settori
più imbarazzanti della vita dell’uomo
(si pensi al frequente paragone di
Israele, cioè della chiesa di quel tempo, con una prostituta), o anche hanno addirittura sostituito il linguaggio
con dei gesti dimostrativi (la brocca
spezzata, la cintura di lino, il vaso rifatto dal vasaio) o con un modo di vivere dimostrativo (il matrimonio e i
figli di Osea). Le strutture ecclesiastiche e politiche sono state spesso ampiamente contestate. Anche Gesù ha
usato la stessa libertà nelle sue parabole, nelle sue risposte o nel rifiuto di
darle (ad es. lo scrivere in terra di
Gv. 8: 6), ha utilizzato abbastanza poco le strutture esistenti, ma non si è
neppure curato di trasformarle. L’importante era ed è la Parola.
Sono ben d'accordo con Gino Conte
quando dice che è « l’Evangelo predicato che forma e riforma la chiesa,
non è una chiesa ristrutturata a facilitare una nuova comprensione dell’Evangelo ». Nessuno di noi infatti (penso ad una parte degli studenti in teologia, ad alcuni colleghi e ad altri giovani e non, che hanno anch’essi una
posizione critica nei confronti delle
strutture attuali) s’impegna nella trasformazione della chiesa valdese o
pianifica non so che rivoluzione liturgica o ecclesiastica. Non ci poniamo
nemmeno di questi problemi, sia detto per la tranquillità di quanti sono
attaccati a queste cose!
II problema che noi ci poniamo è la
nostra risposta all’invito di Gesù:
« Ravvedetevi, il Regno di Dio è vicino ». Gesù e i discepoli hanno diffuso
questa buona notizia, provocando attorno a sé opere straordinarie, miracoli, che sono stati accolti con riconoscenza oppure con scandalo. I « miracoli » non sono altro che l’affermazione della potenza di Cristo al di sopra
della natura e degli uomini, che non
hanno più l’ultima parola nel mondo
e non rappresentano più niente di insuperabile. Questa notizia ci è preziosa, perché ci dice che non è vero che
il « sistema » o le guerre o la fame o
l’ingiustizia sono inevitabili e non possiamo farci niente... « Anzi in tutte
queste cose, noi siamo più che vincitori in virtù di colui che ci ha amati »
(Rom. 8: 37).
Ad alcuni di noi sembra che la risposta e l’impegno della fede, che ha ricevuto questo Evangelo (che vuol dire
appunto « buona notizia »), non possa
■ avvenire' fuori del mondo in etti lavoriamo e viviamo. Ci sembra anche che
il linguaggio non debba essere diverso
da come giornalmente ci esprimiamo.
Forme liturgiche come il battesimo,
la Santa Cena, la confessione di peccato durante il culto, l’ammissione in
chiesa o la confermazione, il matrimonio religioso, la cerimonia di consacrazione di un pastore ecc. sono forse per
alcuni una risposta di fede, per altri
non lo sono più, perché non fanno
parte della loro vita normale, ma li
trasferiscono in una sfera religiosa
che li distrae dall’impegno in risposta
alla fede.
La religiosità produce disimpegno
nella vita, alienazione dalla coscienza
di quanto avviene attorno a noi e soprattutto falsa sicurezza di esser sempre nel giusto, con l’inevitabile chiusura borghese nel proprio ambiente.
Ha ragione G. Conte quando dice
che il messaggio di Gesù e dei profeti non è stato più comprensibile e più
compreso dai contemporanei di quanto non lo sia ora. Ma sia Gesù che i
profeti han parlato in modo che la risposta alla loro parola non poteva essere solo una religiosità. Quando Gesù
ha detto o fatto qualcosa, la reazione
è stata o l’incredulità e la persecuzione o la fede ( « Io ti seguirò dovunque
tu andrai »), non avrebbe certo potuto
essere una saltuaria frequenza a dei
culti o una disimpegnata partecipazione a dei riti.
Questa risposta della « religiosità »
non è forse un’accusa inquietante alla
nostra odierna predicazione? A cominciare naturalmente da quella di chi
scrive, ma guardando anche le condizioni generali e i « fini » delle nostre
comunità valdesi in tutta Italia. Se la
predicazione fosse un fatto personale,
la sua inefficacia dovrebbe esser sentita come una personale debolezza o
carenza di fede; ma se è un fatto che
riguarda tutta la comunità dei credenti, cosa aspettiamo a mettere , in discussione il nostro annuncio in tutto
il paese?
Perché viene interpretato come
mancanza di fede il rifiuto a fare il funerale di Cristo la mattina di Pasqua,
seppellendolo con cura fra le mura di
una chiesa? La fede nella risurrezione
non richiederebbe piuttosto una risposta diversa, sul luogo dove avvengono
le battaglie contro la inorte? È possibile che tali lotte avvengano anche nella nostra vita di tutti i giorni, ma è
allora lì che siamo invitati ad ascoltare insieme ad altri la Parola e a rispondervi con delle prese di posizione
coerenti. Non sarebbe questo un culto
più autentico, che non l’andare apposta in un luogo in cui normalmente
non ci troviamo, e ascoltare insieme
a persone, con le quali spesso non abbiamo affatto decisioni e risposte in
cornune, e che difficilmente possiamo
invitare in quel contesto alla ricerca
di esse, perché altrimenti siamo accusati di non aver fede?
È un discorso di strutture questo?
Come mai si fraintende continuamente questa ricerca con una mancanza di
fede o una vergogna dell’Evangelo?
Forse che la fede e l’Evangelo sono
possesso della chiesa e vengono dispensati solo da essa o dalle sue istituzioni?
Il fraintendimento è preoccupante,
perché rivela un attaccamento quasi
« cattolico » alla chiesa e aH^e sue formule, un attaccamento « religioso » in
quanto incapace di ricevere altrimenti
una Parola che supera di gran lunga
e mette in discussione ogni cosa fatta
da uomini.
La chiesa « avviene » dove la Parola
suscita una risposta comune nell’impegno a realizzare e annunciare il Regno di Dio nel mondo. Sul piano di
questo impegno, che può esser ricco
di manifestazioni nella varietà dei doni ricevuti, c’è comunità e il culto è
l’espressione del suo ascolto e della
sua risposta. Altrove anche se c’è la
confessione di peccato durante il culto, la predica, gli inni, la Santa Cena,
può essere che non ci sia affatto comunità e che si perda semplicemente
tempo.
Gianna Sciclone
L'ordine delle cose
Avete ragione di ricordarci che l’annuncio esige l’impegno e di chiederci conto della realtà del
è questo a render valido quello? - Non è una
Il minimum vitale
« Voglio dare a quest'ultimo altrettanto quanto
a te.. Ti dispiace forse che io sia buono? »
(Matteo 20: 1-16)
Dunque, Tuomo che non ha lavorato se non un’ora sola, al
fresco della sera, è trattato dal Signore come colui che fin dall'alba, curvo sul terreno, ha penato sotto il sole.
Strana giustizia. Ingiusta bontà.
Non scandalizziamoci troppo presto.
Questa è una parabola del « Regno ». Non ci troviamo, qui,
nel mondo dei servizi pagati. La Giustizia di Dio non è la bilancia
sulla quale si misurano meriti e ricompense.
Abbiamo ricevuto tutto in partenza, in anticipo. Avendoci
dato tutto, Dio non ci deve nulla, qualunque cosa facciamo per
Lui. Siamo sempre noi i debitori e quando Gesù ci dice; « Siete
servi inutili » (Luca 17: 10), vuol dire esattamente questo.
* * *
Si dirà; « Questa parola è dura! » Perché rivolgercela, rischiando di spezzare il nostro slancio?
Senza dubbio perché non ci perdiamo nella giustizia propria, quella dell’uomo di un’altra parabola con la sua preghiera
empia: « O Dio, ti rendo grazie perché non sono come il resto
degli uomini »... che non hanno lavorato che un’ora per te.
Del resto il Signore ha per noi un’altra parola: « non vi chiamo più servi... Vi ho chiamati amici... » (Giovanni 15: 15). Ecco
la vera natura dei nostri rapporti con Dio, quando lasciamo che
la luce della Croce si diffonda sul nostro cammino. Allora non
pretendiamo più di lavorare con profitto. Serviamo per riconoscenza.
* ★ *
Ma allora che significa quel « denaro » che l’intendente consegna a ciascuno?
Non si tratta di un salario.
È ciò che oggi chiamiamo il « minimum vitale ». Senza !
quale è impossibile vivere.
Allora la parabola scandalosa s’illumina.
L’uomo che non ha lavorato che un’ora ha, come il lavorant ;;
a giornata a pieno tempo, il diritto di vivere, o piuttosto (bench é
non abbia, a confronto dell’altro, alcun diritto) il Signore nell .
sua bontà glielo dà.
È appunto la definizione della salvezza.
Si può forse vivere senza perdono e senza speranza?
Si può forse vivere senza avere la certezza che la giustizia
la verità e l’amore avranno ragione, un giorno, deH’ingiustizis,
della menzogna e dell’odio?
Sono cose che non possono essere monetizzate. Se Dio ce 1
promette gratuitamente, senza alcuna contropartita, vuol dir;
che sono proprio « il nostro minimum vitale ».
*
Così i primi (coloro che credono di poter « guadagnare » !<;■
propria salvezza e quella del mondo) saranno gli ultimi e gli u!
timi (quelli che sanno di non meritare nulla, perché tutto è gra
zia) diventano i primi.
No, Signore, non trovo che sia male, non mi dispiace che tu
sia buono, e ti lodo per la tua misericordia.
Jean Perret
(da « Le Christianisme au XXe siede »)
nostio discepolato, ma siete d’accordo che non
domanda formale nè una pignoleria dogmatica
Cara collega,
sono lieto — per i nostri rapporti e
ancor più per i nostri lettori — che tu
abbia voluto proseguire la conversazione fraterna, sia pure reciprocamente critica: è chiaro che siamo tutti dì
fronte al problema della nostra fedeltà all’Evangelo. Sono perfettamente
d’accordo con te nell’inizio del tuo articolo; ma mi pare che a te e al gruppo che in qualche modo del tutto informale rappresenti, fede e impegno
siano in fondo più interessanti o importanti della predicazione; o meglio,
quest’ultima esiste solo nella misura
del riflesso che ha nella fede e nell’impegno della comunità. E forse sta qui
la radice del nostro dissenso: a me pare che la predicazione ■— se è tale,
cioè annuncio vivo della misericordia
e del giudizio di Dio in Cristo, se pone
l’uomo dinanzi alla maestà santa dell’Iddio vivente — è incomparabilmente più importante ed essenziale della
nostra fede e del nostro impegno, tanto al di sopra quanto Dio è al di sopra dell’uomo, anche se egli ha voluto
legarsi a noi e legarci a sé. Fede e impegno sono, come ben dici, la nostra
risposta — risposta necessaria, di cui
ci è e ci sarà chiesto conto; risposta
che, se mancata, può far sì che il Nome santo di Dio sia bestemmiato dagli uomini e il suo Evangelo disprezzato prima di essere stato veramente
udito: e di questo soprattutto ci è e
ci sarà chiesto conto — ma protagonista assoluta è la Parola di Dio: chi
è da Dio lo ascolta, e quando uno ha
percepito questa voce, non c’è voce
umana che possa coprirla o contraddirla, e non sarà una realizzazione
umana a confermarla né una mancata
realizzazione umana o una realizzazione umana contrastante a infirmarla:
altrimenti crederemmo anche noi nella chiesa, sia pure in modo diverso dal
modo cattolico. È questo primato assoluto e questa autosufficienza della
Parola, dell’Evangelo che vorrei sentire tua e vostra convinzione, mentre
mi pare che ci sia incertezza e contraddizione. Per dire una parola personale, quello che ad es. hai fatto, con
altri, per i terremotati, mi ha vivamente interessato e commosso nel
senso più intenso e fraterno del termine, ma è stata predicazione? non di
per sé. Nemmeno per Gesù (neppure
per la "cena”!) il gesto ha mai sostituito la parola, l’annuncio; e se io fossi membro della tua comunità l’impegno più serio e totale non potrebbe sostituire per me l’annuncio del quale ti
è stato riconosciuto il dono; le cose
non possono essere disgiunte, e fate
bene a ricordarcelo, ma non possono
essere confuse, e dovete rifletterci.
Mi pare di avvertire nel tuo pensiero delle contraddizioni, dicevo. Infatti
dici tu pure, a un certo punto: « L’importante era ed è la Parola »; ma nel
La Corale Valdese di Torre Penice
presenta
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la fede - la storia - il folklore del popolo
valdese in un microsolco 33 giri di 30 cm.
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l’insieme di questo come di altri tuoi
scritti non mi pare che questa affermazione trovi conferma, sembra invece di sentire sfiducia nel semplice annuncio di questa Parola. Ora, tutto il
resto è importante, ma viene dopo;
avete ragione di ricordare che è importante, ma siete d’accordo che viene
dopo, e che questa non è affatto una
pura questione formale o una fissazione di pignoleria dogmatica?
* * *
Dopo questa, che mi pare la questione fondamentale, permettimi qualche
nota. Mi pare molto discutibile dire
che « quello che viene detto la domenica mattina è una risposta alla predicazione della Scrittura »; se partiamo da questa prospettiva è certo che,
per quel che dipende da noi, non ci sarà mai una predicazione degna di questo nome ma, tutt’al più, una consulenza teologica ’mpegnata’, in avvicendamento a quella spiritualisticomorale di impostazione pietista contro la quale arruffiamo il pelo. Non ci
può essere predicazione che non parta
dalla fede-fìducia che in quel momento il Signore vuole veramente parlare
al suo popolo, e che se lo vuole non
c’è niente al mondo che glielo possa
impedire.
D’accordo sull’esigenza di rivalutare
il fatto comunitario; ma la testimonianza apostolica non presuppone, fin
dalla predicazione e dalle scelte di
Gesù, i « doni », i carismi? Siamo tutti
un solo corpo, ma appunto un corpo
in cui non siamo tutti mano, piede, occhio. Quello della predicazione è o no
un « dono » (pastorale o ’laico’, a pieno tempo o no)? o, meglio, è un dono
personale o un dono collettivo? Personalmente — e, credo, non senza base
biblica — se sono convinto che la predicazione debba essere vagliata e discussa dalla comunità (che troppo
spesso abdica a questo suo compito e
carisma; il discernimento degli spiriti), penso che più che mai nella nostra
èra di massa, in cui ci si abitua in
opti campo a pensare in modo collettivo e per gruppi, la riflessione di fede dalla quale deve scaturire la predicazione non può che essere rigorosamente personale — cosa ben diversa da
« individualistica » — come personale e
solitario è ogni vero incontro con DioK
Altrimenti può avvenire, più spesso di
quel che non si pensi, che gli altri ci
coprano Dio, che il secondo comanda
mento anziché seguire — e come non
riconoscere che avete ragione di insistere criticamente sul fatto che d.-ve
seguire? — di fatto si sovrapponga al
primo. Non so se è una mia impressione personale e deformante, ma in
tanta predicazione, pure alla radio, sui
nostri giornali (naturalmente non solo in Italia!) mi pare di avvertire una
certa aridità di adorazione, quasi che
parlassero e scrivessero uomini appassionati degli uomini (o almeno di parte di essi, e qualche volta anche in modo abbastanza teorico e in generale)
ma non poi tanto di Dio.
In proposito, quanto dici della predicazione dei profeti è più che giusto;
il problema, appunto, non è di linguaggio, ma di contenuto; e la grandezza di quella predicazione sta proprio nel fatto che, ascoltandola e riascoltandola, si è posti dinanzi a Dio
in un’adorazione che ora è timore e
tremore, ora gioia luminosa e speranza invitta; si sente che tutto ruota intorno a lui e in lui si decide, che « ogni
carne» (soddisfatta e contestatrice, ricorda la visione d’Isaia!) « è come
l'erba » e che soltanto « la Parola del
nostro Dio dura in eterno ». La cosiddetta predicazione sociale e politica
dei profeti — evidente e impressionante — ha senza possibilità di dubbio il
suo fulcro in Dio, non nella società,
l’Iddio vivente ne è il cuore pulsante,
la passione, l’alfa e l’omega. Il che
non direi, sinceramente, di tanta predicazione sociale e politica odierna.
Ancora, mi lascia perplesso quanto
scrivi circa i "miracoli” e il "sistema"._
Per cominciare mi pare che proprio i
miracoli di Gesù siano quanto di più
frammentario e a-sistematico si possa
immaginare, semplici segni — impressionanti per la fede! — che hanno lasciato del tutto intatto il "sistema"
dal quale Gesù è venuto a farsi stritolare, umanamente parlando. Mi pare
che il Nuovo Testamento non permetta altra prospettiva di uscita dal sistema (dai sistemi via via di turno)
se non Pasqua, per Gesù, e per il mondo il ritorno di Cristo, la nuova creazione. Certo, per la fede quei segni fanno apparire le crepe del sistema e lo
pongono nella luce del giudizio e del
rinnovamento di tutta la creazione. Ma
' Nella raccolta di predicazioni di Paul
Tillich, L’eterno presente, ve n’è una molto
bella dedicata a : Isolamento e solitudine.
3
8 ogosto 1969 — N. 31-32
p¿g. o
la croce pone un limite che oggi possiamo superare solo per fede, non per
visione né per azione; soltanto questa
fede è la vittoria che ha vinto il mon
do e mi pare che soltanto in questo
senso si possa rettamente interpretare
il passo della lettera ai Romani che
hai citato. Ci è richiesto di riecheggiare quei segni unici e irripetibili in al
tri segni che saranno, come e più dt
quelli, ambigui e non-risolutivi, cioè
privi di ogni ’’evidenza", all’interno e
all’esterno della comunità cristiana; e
soprattutto non si pretenderà che costituiscano un prolungamento di quanto è avvenuto in quel fatto storico e
teologico unico che è la vita, la morte
e la risurrezione, di Cristo: altrimenti,
anche qui si infilerebbe una deformazione cattolica, e avremmo una sorta
di prolungamento dell’incarnazione,
questa volta forse non in un quadro
ecclesiastico (come nel cattolicesimo),
ma mondano ( il neo-cattolicesimo che
si fa strada un po’ in tutte le confessioni cristiane).
* * *
Difficilmente troverai chi non concordi con te nel dire che « la risposta
e l’impegno della fede non possa avvenire fuori del mondo in cui lavoriamo e viviamo »: il dissenso si manifesta nei modi; comunque è certo che
su questa linea vi è molto da fare e la
ricerca che da varie parti si conduce
per legare maggiormente predicazione, testimonianza e servizio ai problemi concreti è fondamentalmente corretta e doverosa nell’intento e negli
spunti, anche se non trova tutti concordi nei metodi e nei risultati. Tuttavia faccio con altri le più ampie riserve .suH’illusione di riuscire a vivere in
modo non religioso; vi è una religione
dell’irreligiosità -— che, non so con
quanta ragione, veramente, si fa risalire a Dietrich Bonhoeffer — la quale
non è altro se non una mistificazione,
poiché l’uomo di oggi è carico più che
mai di miti. Come la sfera religiosa,
anche la sfera ’irreligiosa’ può distrarre dall’impegno in risposta alla fede
(o meglio, a Dio); mi pare che gli
esempi tton manchino, pure fra noi.
Ah-, he nell’impegno — un impegno che
può essere visto secondo ottiche assai
diverse — ci possono essere false sicurezze e non è difficile riscontrare
soddisfatte chiusure ’borghesi’ nel proprio ambiente: forse non nel proprio
ambiente sociologico, ma in quello
ideologico sì (e anche teologico, quando la teologia cessa di essere colloquio fresco e vivente con la Parola e
si riduce a sistema statico).
d più che vero che la risposta della
"religiosità” odierna — ma, secondo
me, dei due tipi di religiosità odierna,
quello tradizionale forse al tramonto
e quello più o meno ’laico’ che si va
affermando — costituisce un’accusa
inquietante alla nostra odierna predicazione, a cominciare dalla mia; quante volte lo si è riconosciuto e sottolineato qui? Ma in che prospettiva volete mettere in discussione il nostro
annuncio nel paese? Perché, invece di
dire che predicare la risurrezione di
Cristo in chiesa, a Pasqua, significa
celebrarvi il suo funerale e seppellirvelr. (vi pare che Paolo avesse di queste paure scrivendo ai Corinzi quel
grandioso capitolo 15?), non la predicate come pensate che vada predicala, la risurrezione, e non ci dite come
pensate che vada concretamente condotta la lotta contro la morte, pur ricordando che non siamo noi a risuscita : e i morti, e che essi non risuscitane ora, se non in Cristo, cioè in speranza? Siete così convinti che le comunità — e i vostri più istituzionali
coiìeghi — proprio non vi seguirebbero, se indicaste loro una via chiara,
non una mèta, certo, ma un punto di
partenza? Siete così certi che la vostra predicazione sia stata autentica,
la vostra parola inconfondibile con altre? Perché — scusate — prendete volentieri lo staffile, ma vi brucia quando vi si chiede conto delle vostre staffilate? Amare (evangelicamente!) il
mondo significa disprezzare la chiesa,
anche una chiesa ben mondanizzata
quale siamo? Che ne sapete di quel che
’avviene’ in una chiesa nella quale c’è
’solo’ la confessione di -peccato, la predicazione, gli inni, ecc.? Che poi l’Evangelo non sia ’possesso’ della chiesa, è verissimo: è di Dio; ma che l’Evangelo ci possa venire da altri, dal
mondo pagano o incredulo, agnostico
o ateo, questo no. Il mondo (o gente
del mondo) ci potrà svergognare, davanti al giudizio, ma non per questo
sarà per noi o per altri il portatore
dell’Evangelo, di questo sono fermamente convinto, e credo con qualche
fondamento neotestamentario.
* * ie
Spero che prenderai — e i lettori
con te — questa lunga replica per il
suo giusto verso: non come un saccente pistolotto di chi vuol avere l’ultima parola, ma come un desiderio
sincero di proseguire e chiarire il colloquio che mi ha fatto molto piacere
tu abbia voluto continuare e che non
è certo chiuso; non una delle famigerate "postille" redazionali, insomma,
ma un modo di prenderti sul serio, in
questo tuo e vostro discorso, in questa
vostra ricerca che riconosco senza esitazioni mossa da una fede salutarmente inquieta e inquietante, la quale ha
molto da dirci e molto da chiederci
circa la realtà del nostro discepolato.
Senza sicurezze né scomuniche anche
implicite, con umiltà e pazienza, riconoscendo voi pure la molteplicità dei
"doni” (ne resteranno pure di tradizionali, no?), vivete la vostra ricerca,
nel modo più libero e fresco e serbando la comunione dello Spirito con
quanti amano il Signore; e sopportate che un mezza-età vi dica che tirare
la saracinesca sui pulpiti è un segno
di debolezza, non di forza, di rinuncia,
non di speranza. Gino Conte
ZURIGO: 13.000 GIOVANI CRISTIANI A CONGRESSO
l'Congresso moodiale della Giovonn Ainoollsta
Gli Avventisti
Chi sono - Quel che
credono e predicono
In occasione del primo e riuscito Congresso
giovanile avventista tenutosi nei giorni scorsi
a Zurigo (ne riferisce qui accanto il pastore
avventista De Meo), ecco alcuni brevi dati su
questa Chiesa — presente e attiva pure in
Italia, per ora non inserita nella Federazione
evangelica — diffusi dairEvangelischer Pressedienst (epd) zurighese; a chi volesse saperne
di più, lamentando che non vi sia ancora alcuna pubblicazione maneggevole in italiano
(gli avventisti hanno una cura particolare della stampa, e senz’altro la più organizzata, ampia e seria rete di colportori: una vera, esemplare valutazione di questo "dono”), ricordiamo che nella collana « Connaissance des sectes » pubblicata dall’editrice Delachaux &
Niestlé è apparso un volumetto di Eric
Fuchs, Les Adveiitistes du septième jour.
La Chiesa Cristiana Avventista, organizzata da poco più di cento anni,
ha voluto testimoniare del suo interesse per la gioventù, organizzando
per essa il primo Congresso Mondiale.
Questo congresso ha seguito di soli
due anni il Congresso Giovanile Europeo tenutosi a Vienna.
A Zurigo sono confluite delegazioni
giovanili da ogni dove. La bella e ridente città di Zuinglio è stata letteralmente sommersa dai 13.000 giovani.
Il Presidente della Confederazione Elvetica ha fatto pervenire un messaggio di saluto e di augurio in apertura
dei lavori. Il Sinodo della città ci ha
onorato della sua presenza. Ambasciatori, Consoli e Funzionari di ogni paese rappresentato erano stati invitati
all’apertura del Concesso.
La radio, la televisione e molti giornalisti svizzeri hanno ampliamento
riferito sull’avvenimento.
Il Congresso s’è aperto la sera del 22
luglio per terminare la sera del 26.
L’imperativo di Cristo « Seguimi » è
stato scelto come motto di questo importante raduno.
Il primo oratore è stato il pastore
Teodoro Carcich, Vice Presidente della Conferenza Generale, uomo di lunga esperienza cristiana ed amministrativa. Il suo intervento è stato un po’
la guida per tutti i lavori : « Rimaniamo in gara ». Il suo messaggio poggiava sulle ben note parole dell’apostolo contenute in Ebrei 12: 1-3.
La vita non è una passeggiata, ma
una corsa impegnativa. Ai giovani egli
ha ricordato quanto sia breve il cammino umano sulla terra e quanto sia
necessario per ogni giovane vivere una
vita sana, santa e attiva.
Durante i lavori del Congresso molti
sono stati i giovani che hanno presentato all’assemblea i risultati ottenuti
nella predicazione dell’Evangelo e di
metodi usati per raggiungere tali risultati.
IIIIIHIHllttWHHIIIIIMtHIKIHinilll
I lettori ci scrivono
Conferenza
riabilitata!
Zurigo, 19-7-1969
Ricevo ora il n. 27-28 de « L’EcoLuce » e prendo atto della lettera del
dott. Giorgio Rochat con il suo richiamo e con la sua messa a punto. Mi
offrono, infatti, la possibilità di un
chiarimento che si presenta ora necessario e di una risposta ad un suggerimento importante in vista di una più
equa rappresentanza delle nostre comunità al Sinodo.
Con riconoscenza, dò atto alla Conferenza di Bergamq (14-15 maggio
u. s.) — come d’altronde ha sottolineato il dott. Rochat nella sua lettera —
che :
a) sono stato chiamato alla presidenza con voto quasi unanime;
b) il lavoro è stato intenso e, pur
nella legittima diversità di opinioni,
cordiale e vivacemente fraterno.
Il dissenso delle nostre valutazioni
concerne la designazione dei Deputati
della Conferenza al Sinodo. « Le raccomandazioni (cito) di due pastori non
ascoltate... » effettivamente indicano
come esse non siano state sufficienti
per quello che, invece, i due suindicati
pastori consideravano, forse ingenuamente, come un gentlemen’s agreement, accettato da tutti con tacito consenso : dare la precedenza alle comunità costituite non aventi rappresentanza
diretta al Sinodo. Sarebbe stato opportuno — lo pensiamo ora a ragion veduta — affrontare il problema con
maggior incidenza, e non con una
semplice esortazione, che non è stata
affatto seguita, anche in vista di una
futura adeguata soluzione.
Ho affermato che la votazione fu incontestabile in base ai regolamenti, ma
moralmente carente, perché non abbiamo tenuto conto di quei diritti delle
chiese costituite, non autonome, dei
quali si era pur così a lungo discusso
in mattinata. La protesta del Pastore
Bert, poi, a me parve conclusiva e non
giudicai fosse compito del Presidente
insistere in tal senso.
Il suggerimento di riconoscere a codeste comunità il diritto della rappresentanza diretta al Sinodo mi venne in
mente a Conferenza ultimata, riflettendo su quanto più sopra esposto.
E sono giunto al convincimento che
il Sinodo dovrebbe introdurre la modifìca suggerito, ammettendo così alla
rappresentanza diretta le 39 comunità,
he attualmente non ne fruiscono. Alcune di esse sono ultracentenarie ed altre sono tra le più attive delle nostre
chiese (le elenchiamo, a titolo dì informazione : Piemonte: Aosta, Biella,
Ivrea; Liguria: Sampierdarena, Sanremo, Vallecrosia-Bordighera; Lombardia:
Brescia, Felónica, Mantova; Triveneto:
Trieste, Venezia, Verona; Svizzera: Basilea, Ginevra, Losanna, Zurigo; Italia
Centrale: Colleferro, Ferentino, Forano, Livorno, Pisa, Rimini; Italia Meridionale: Bari, Campobasso, Cerignola, Corato, Napoli-Vomero, Orsara, San
Giovanni Lipioni, Taranto; CalabriaSicilia: Agrigento, Caltanisselta, Catania, Catanzaro, Messina, Pachino, Reggio C., Riesi, Vittoria).
Non è opportuno, tuttavia, presentare la proposta alPimminente Sinodo per
due ragioni principali :
а) il problema deve essere esaminato e vagliato da una commissione dì
studio con sufficiente tempo a sua disposizione;
б) la deputazione della Conferenza
del I Distretto ne sarà drasticamente
ridotta, a favore di una più equa ripartizione tra i rimanenti Distretti. Data la tensione, che è stata creata ed alimentata alle Valli, non è psicologicamente savio né opportuno sollevare,
proprio ora, tale argomento, che po
trebbe facilmente assumere ingiustificati toni polemici.
Al Sinodo del prossimo Agosto, Lei,
egro dott. Rochat con i Suoi amici e
noi tutti porteremo il nostro concorde,
valido contributo ai mantenimento, alTeventuale trasformazione ed al potenziamento del nostre Collegio. E quando alle Valli si saranno placate le acque nel giusto riconoscimento di una
posizione di servizio, consolidata nel
corso di varie generazioni, servizio e
testimonianza tuttora validi, anche se
bisognosi di un rinriovamento evangelico oltreché organizzativo, ci sarà facile chiedere a quel Pistretto di rinunziare serenamente alla eccessiva sua
rappresentanza al Sinodo. E per dimostrare che queste considerazioni non
sono un facile tentativo di rinvio « sine
die », l’attuale commissione d’esame
potrebbe introdurre l’argomento nelrimminente sessione, con l’invito del
Sinodo al Seggio di nominare la commissione di studio col mandato di riferire al Sinodo del 1970, che potrà
prendere la decisione definitiva.
La saluto « sine ira et studio », cordialmente.
Elio Eynard
Anti-Cristo
tecnologico ?
Un lettore, da Aosta:
Signor direttore,
desidererei sottoporre all’attenzione
di chiunque s’interessi come me al problema delle rivelazione profetiche descritte lungo tutto il corso della "Parola di Dio", cioè la Sacra Bibbia, quanto
segue.
Riferendomi allo scalpore, d’altronde
giustificato, che in tutto il mondo ha
destato la strabiliante avvenura dell’Apollo 11, ma più ancora ponendo
l’accento sui probabili avvenimenti
mondiali che da questo prenderanno
l’avvio, cioè i tentativi che certamente
l’uomo farà per andare oltre nell’opera
iniziata (pare con successo!) per la
conquista dell’universo, e sulle possibili conseguenze che da questi tentativi
si possono sin d’ora dedurre, desidero
dire al mondo cristiano il mio pensiero
in merito.
Nella Parola di Dio è detto: negli
ultimi tempi sorgeranno dei falsi profeti i quali profeteranno a faranno
segni e prodigi coi quali sedurranno
molti; la Parola prosegue ammonendo
di stare attenti a non lasciarci sedurre
perché da quei segni e prodigi sorgerà
Fanti-Cristo, il quale si porrà al posto
di Dio (la desolazione deU’abominazione posta in luogo santo!): leggi — secondo me — che l’adorazione della tecnologia prenderà presso Fumanità il
posto della fede in Dio, e allora sarà la
fine! Già da un po’ di tempo è sorta
nel pensiero di un gran numero di uomini la convinzione che l’uomo stesso
si evolverà fino a diventare lui stesso
dio, ma io desidero esortare i credenti
a guardarsi attentamente dal pericolo
di una simile teoria.
Per me, Fanti-Cristo non sarà un
uomo, bensì un sistema tecnologico di
vita umana; si instaurerà l’idolatria
verso l’opera umana sino a giungere al
paradosso di attribuire all’uomo la
creazione ideologica dell’essenza divina,
cioè a credere che non fu Dio a creare
l’uomo, ma che fu l’uomo invece a
crearsi e attribuirsi la divinità.
Alla base di tutto ciò io vedo l’avversario, satana nel suo tentativo continuo di togliere Dio dal cuore dell’uomo, per farsi da lui adorare, sia pure
sotto la forma di progresso o di evoluzione.
Grato se pubblicherete,
Silvio Rossotti,
cristiano evangelico
Dai palloncini colorati inviati nell’aria con un invito a seguire un corso
per corrispondenza sulla Bibbia, metodo usato dai delegati malgasci, alla
organizzazione di vere e proprie crociate evangeUstiche tenute nei centri
più isolati dell’Australia, ai centri di
beneficenza fondati e diretti dai giovani americani, tutto ha concorso perché negli ultimi quattro anni 111.333
persone accettassero Cristo come loro
Salvatore e ricevessero il battesimo. I
delegati presenti a Zurigo, dopo aver
udito un così incoraggiante rapporto
si sono impegnati, anche a nome degli
assenti, a portare 2(X).0(X) anime a Cristo nei prossimi quattro anni.
Nelle sere di mercoledì e giovedì si
sono avute due serate folcloristiche
con la presentazione di canti e scene
da parte delle varie delegazioni. Le delegazioni cecoslovacche, finlandesi,
olandesi e italiana si sono distinte
sulle altre.
Il venerdì pomeriggio ogni delegazione si è prodigata per stabilire nuovi
contatti con la cittadinanza di Zurigo.
Ogni parco, ogni punto strategico della città è stato preso d’assalto dai giovani per la testimonianza pubblica attraverso concerti corali, bandistici o
nella predicazione mediante la pagina
stampata.
La delegazione italiana è stata ricevuta sia dal Sindaco di Zurigo che dal
Console Generale d’Italia.
Il culto è stato tenuto dal Presidente della Chiesa Avventista Robert Pierson. Il suo è stato un toccante invito
alla gioventù per una nuova e completa consacrazione a Cristo. Ha invitato i giovani a non scoraggiarsi quando i vecchi non sanno dare buoni consigli ed un buon esempio, ma a fidare
nell’aiuto di Dio.
Il sabato pomeriggio, dopo un concerto musicale terminato col canto
dell’Alleluia di Haendel il Congresso è
passato alla storia.
Ai delegati non rimaneva che salutare i nuovi ed i vecchi amici, riprendere la via del ritorno. Chi in aereo,
chi in nave, chi in treno, chi in macchina, sperando tutti presto d’avere
la possibilità di ritrovarsi.
G. De Meo
SE M PARLERÀ A ROSSEY
1’avveDÌre delta chiesa
Il tema del semestre invernale che si svolgerà presso il Centro universitario di Studi
Ecumenici, a Bossey (Svizzera), dal 12 ottobre
1969 al 28 febbraio 1970, è: « L’avvenire della
Chiesa a.
Questo tema costituisce in qualche modo
una continuazione dei due ultimi corsi : « Il
rinnovamento nel mondo della chiesa » e
« L’evangelizzazione ». Sono possibili due interpretazioni dell’argomento. Da un lato si
tratta del compito della chiesa nei prossimi
anni dopo i recenti avvenimenti ecumenici.
D’altro lato si tratta di scoprire quale forma
prenderà la chiesa dell’avvenire considerando
le critiche sempre più serie rivolte alle strutture e alle istituzioni ecclesiastiche. Molti,
soprattutto fra i giovani, contestano la forma istituzionale della chiesa e reclamano modifiche radicali, aflSnchè la chiesa eserciti un
ruolo più eflScace e assuma le sue responsabilità nella società intemazionale in rapida
trasformazione. Lo studio comporterà dunque
una parte ecclesiologica, con l’esame delle
differenti ecclesiologie e dei loro mutamenti.
Nella parte critica si cercheranno le possibilità pratiche di cambiamento qualora si
tenga conto delle critiche formulate contro
le attuali strutture della chiesa. La terza parte sarà dedicata allo studio dell’attività dei
diversi dipartimenti del Consiglio Ecumenico delle Chiese per eonoscere il contributo
del Consiglio alla creazione di una concezione nuova dell’impegno della chiesa nel
nostro tempo.
Il Centro Evangelico di studi ecumenici è
aperto a studenti, giovani pastori e giovani
professori interessati agli studi ecumenici.
Devono avere compiuto almeno Ire anni di
studi teologici o fatti studi equivalenti con
conoscenze teologiche e bibliche sufficenti.
Rivolgersi per altre informazioni, dopo
aver parlato con la propria chiesa. Facoltà o
altre istituzioni, al Consiglio Ecumenico delle Chiese: Route de Ferney 150 - 1211 Gi
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ONEGLIA.
Gli Avventisti del settimo giorno, che
traggono origine dalla predicazione di
William Miller, un americano di origine battista nel Massachussets (egli iniziò a predicare nel 1831), sono oggi
diffusi in tutto il mondo e si calcola
a 1.800.000 il numero dei membri battezzati, associati in una Unione mondiale, essi hanno numerose scuole di
vario grado, ospedali e sanatori; diffondono il loro programma di fede attraverso « La voce della speranza »,
trasmissione radiodiffusa da numerose
stazioni in molte lingue.
PREDICAZIONE DI CRISTO
E ATTESA DELLA FINE PROSSIMA
Gli Avventisti del settimo giorno collegano la loro fede nella rivelazione di
Dio in Gesù Cristo con l’attesa del suo
ritorno a breve scadenza, e da questa
speranza traggono il nome. L’americana Ellen G. White (1827-1915), che ha
fortemente influenzato l’Unione, ha dichiarato, sulla base delle sue visioni,
che nel 1844 è iniziato l’ultimo periodo
della storia umana: si tratta di un
tempo di giudizio prima del ritorno
imminente del Signore. Gli Avventisti
si differenziano quindi dalle Chiese in
base a questa dottrina e alla insistenza sull’imminenza del ritorno di Cristo; tale speranza, infatti, unitamente
a quella di un divino regno di pace
che sta per venire, è di fatto estranea
alle Chiese, o comunque non viene affatto messa in evidenza.
IL SETTIMO GIORNO
Importante è, per gli Avventisti, la
osservanza del Sabato. Questo è per
loro il giorno festivo — e il riposo viene preso estremamente sul serio, anche nei lavori domestici — con la scuola sabbatica per adulti e il culto. Essi,
rifacendosi al messaggio dell’Antico
Testamento circa l’atto creatore di Dio
e al Decalogo, considerano il Sabato
vincolante pure per i cristiani, e tale
convinzione è stata rafforzata da una
visione di E. White (1847); sicché l’osservanza del Sabato fa parte della vita cristiana genuina e per molti decenni festeggiare la Domenica è stata
considerata una ribellione a Dio.
Da qualche tempo questa convinzione è un po’ mutata, anche se il Sabato
rimane il solo giorno del Signore; tuttavia, per coloro che non sono ancora
giunti alla piena conoscenza, anche la
Domenica conserva significato. Tuttavia alla fine dei tempi, dicono gli Avventisti, ogni cristiano sarà posto di
fronte alla scelta; il Sabato o la Domenica, e chi sceglierà la Domenica,
si perderà.
DOMENICA O SABATO?
A parte il giudaismo, vi sono stati
fin dai primi secoli gruppi minori che
hanno conservato il Sabato. Ma le
Chiese non hanno visto nella scelta
della Domenica alcun rifiuto della volontà di Dio; la Domenica è il giorno
in cui Gesù Cristo è risorto, ed è pieno di significato celebrare il culto in
quel giorno. Del resto il Nuovo Testamento giudica indifferente per la fede
e l’ubbidienza dei cristiani l’osservanza di un giorno piuttosto che di un altro (cfr. Colossesi 2: 16).
Le Chiese pensano che non si possa
sottovalutare l’elemento nuovo, rispetto ai secoli dell’Antico Testamento,
che ci ha portato l’èra di Cristo, il quale con il suo perdono ci ha inseriti in
una comunione nuova con il Dio vivente. Naturalmente in questa nuova
appartenenza al Signore non si può
trascurare l’appello all’amore di Dio e
del prossimo; ma l’amore e l’ubbidienza a Dio si manifestano appunto non
nello scegliere un giorno piuttosto che
un altro, bensì nella costante santificazione del suo nome e nella disponibilità per i compagni d’umanità. Perciò nel Nuovo Testamento la scelta del
Sabato (anziché la Domenica) non appare mai, nel Nuovo Testamento, come uno degli elementi dei quali Dio
terrà conto quando giudicherà.
LA DECIMA
E LE NORME IGIENICHE
Gli Avventisti traggono i loro mezzi
finanziari essenzialmente dalle decime
dei loro membri. Attribuiscono valore
alla dieta vegetariana, sostenuta dalla
loro rivista (in molte lingue) « Vita e
salute ». Viene rigorosamente evitata
la carne di animali che l’Antico Testamento definisce impuri (ad es. maiale,
coniglio, lepre, ecc.), e così pure l’uso
di alcolici, tabacco e caffè.
RAPPORTI CON LE CHIESE
Sono piuttosto limitati. Il segretariato del Consiglio ecumenico delle
Chiese, a Ginevra, ha iniziato conversazioni con gli Avventisti, essenzialmente con il Seminario avventista di
Collonges (Francia). Qua e là si è avuto un avvio di contatti con altre Chiese; così, ad es., in Ungheria gli Avventisti sono membri del Consiglio delle
comunità evangeliche libere. In Italia
essi hanno avuto contatti dall’esterno
con il Consiglio Federale prima e con
quello della Federazione evangelica
poi; osservatori avventisti hanno partecipato ai Congressi di Roma e di
Milano. In considerazione della loro
predicazione di Cristo, gli Avventisti
non vengono definiti una setta, ma
una chiesa; tuttavia le credenze particolari sopra accennate ostacolano finora un contatto seguito.
4
pa g. 4
N. 31-32 — 8 agosto 1969
Letture vacanze - Letture vacanze - Letture vacanze - Letture vacanze - Letture vacanze
Un racconto fantastico, un sogno, una profezia ?
L'ultimo papa
Piacerebbe ai Valdesi primitivi
UN MODERNO LIBRO DI PEDAGOGIA
Nascondendosi sotto Tumile pseudonimo di Just Nothing, un cattolico appassionato ha pubblicato, nella bella
collana de La Locusta vicentina, elegante proprio nella sua semplicità, un
racconto fantastico. L'ultimo papa
(p. 56, L. 500).
Ponendo a motto del suo scritto il
testo biblico « Ciò che è grande secondo gli uomini è abbominevole - davanti
a Dio » (Luca 16; 15), l'autore riesce a
condensare in queste brevi pagine, e
nella vivacità della forma narrativa,
tutti i problemi della chiesa odierna,
di quella cattolica in particolare: il
dogma, la libertà, l’ecumenismo, la libertà, la pace; è una delle voci del
cattolicesimo del dissenso.
Voce cattolica, sia detto chiaramente; la chiesa di domani vagheggiata in
questo sogno è ancor sempre cattolica, anche se assai meno romana; sentiamo riaffiorare il misticismo di certe correnti pauperistiche che non sono
del resto mai del tutto mancate in seno al cattolicesimo, ma certo non sentiamo la rottura, la lacerazione della
esperienza di Lutero.
Eppure, detto questo, resta il fatto
che il volumetto si legge d'un fiato, e
poi si ha voglia di riprenderlo, e meditarlo lentamente, tranquillamente;
dà da pensare a tutti, fa riflettere sulla realtà del nostro discepolato. Non è
poca cosa.
Le pagine indubbiamente più felici
sono quelle iniziali: quando « l’ultimo
papa », affiorando da un duro travaglio interiore, al cospetto dell’Evangelo, scende senza paludamenti e senza
scorta nel Tesoro di S. Pietro e annuncia, con profonda mniliazione per
il passato, che sarà distribuito ai poveri; ed è solo l’inizio di tutto un processo di sgretolamento della situazione costantiniana, il quale culmina in
una lunga predicazione, e nella partenza del papa (non chiamatemi più
« santo », né « padre », ma « fratello »)
in pellegrinaggio verso Mosca (?), mentre la notizia fa affluire verso di lui
pellegrini da tutto TOriente cristiano (?). In questa lunga predicazione,
c’è decisamente troppo; e accanto alle
perle evangeliche, vi sono diverse idee
evangelicamente dubbie, una discutibile relativizzazione della questione
della dottrina (della verità!) rispetto
all’esigenza dell’amore, l’affermazione
— cattolicamente comprensibile, ma
evangelicamente inaccettabile — che
« si può certo avere fede in Cristo senza mai avere udito questo nome »; infine la conclusione cala molto di tono
e ci si chiede se non rimane pur sempre, inconscio, un certo trionfalismo,
forse non il gran ritorno all’ovile romano, ma la grande raccolta intorno
all’ultimo papa romano e... al primo
papa (o come lo si voglia chiamare)
universale.
Si tratta insomma di una rottura a
metà; ma la questione della verità
non viene posta nei suoi termini estremi, né portata alle ultime conseguenze; lo slancio mistico privo di un approfondimento sufficiente della riflessione di fede, resta a mezz’aria, non
si giunge a un rinnovamento radicale; almeno, così pare, perché il sogno
è incompiuto.
Ma quest’operetta è particolarmente
interessante perché delinea, nella fantasia appassionata di un cattolico del
iniimiiiiiiiiiMtiiiiiiiiiiiiiiiiimmiMiiiiiiiiiiiimii
iiiiimiimitiMMimiitii
Per i nostri ragazzi
CHI CERCA TROVA è il nome di
una collana di MONDADORI dedicata
ai ragazzi (dagli 8 ai 16 anni), che
comprende volumi su argomenti che
possono servire a ricerche scolastiche,
rna anche a ricerche personali, possibili specialmente in questi mesi estivi.
Alcune pagine bianche in fondo ai
« quaderni » sono dedicate alle osservazioni personali del bambino, facilitato così ad annotare ciò che osserva.
I vari autori sono specialisti delle singole materie e conducono con capacità il ragazzo nella sua ricerca. Elenchiamo i volumi che compongono la
collana per dare un panorama. Essa
prevede una continuazione;
Gli insetti e la loro vita.
I pesci e la loro vita.
Le formiche e la loro vita.
Gli animali migratori.
Le farfalle e la loro vita.
Vita nello stagno.
II volo negli animali.
Riconoscere gli alberi - voi. I.
Riconoscere gli alberi - voi. IL
Le piante dei muri.
L’atomo e la materia.
I pesci.
II comportamento degli animali.
I rettili.
L’Universo.
I pianeti.
Energia fonte di vita.
Le carte geografiche.
La luna.
Minifauna delle nostre case.
I movimenti delle piante.
Alberto Rogier - L’ombra del gigante
Mursia.
La guida Conforti, a causa di un incidente alla gamba non può mantenere l’impegno di condurre su una cima
una comitiva. Sarà il suo ragazzo a
sostituirlo, riuscendo egregiamente
nell’impresa. Il fascino della montagna di cui è impregnato tutto il libro,
la gioia di un’amicizia che si salva nel
momento del pericolo, il piacere di
fare lo sforzo, di avere coraggio, rendono bella e educativa la lettura di
questo libro e piacevole specialmente
per i giovanissimi già appassionati di
alpinismo.
Berta Subilia
Anche una raccnha
di predicazinni II divenire deii’educazione
dissenso, quella che potrebbe essere la
rinnovata chiesa di domani, liberata
dal costantinianesimp; ima chiesa certamente più spirituale, per molti aspetti più ’evangelica’, ma che sembra
sprofondare neH’informe della mistica
dell’amore e (o) nella più totale ’terrestrità’, anche questa mossa dall’amore.
Anche in questo sogno — come a Uppsala! e la cosa deve farci riflettere __
l’escatologia, cioè il Re che viene quale punto orientatore della vita cristiana, si sbiadisce fino ad essere quasi
assente, senza timbro, senza passione.
Ecco perché la palpitante speranza di
questo volumetto ci sembra in fondo,
per quanto grande e seria, una speranza penultima e a breve termine; e
la svolta auspicata una svolta che resta senza comune misura con la rottura e il ritorno alla fonte rappresentati dalla Riforma del XVI secolo.
Come si vede, uno scritto estremamente vivo, stimolante alla riflessione; e, come dicevamo, una riflessione
pure profondamente critica su noi
stessi, sul nostro modo di essere chiesa, sulla nostra amministrazione di
credenti e di comunità di Cristo, sugli infiniti compromessi, sulle incoerenze, le infedeltà quotidiane. Un’operetta che piacerà in modo particolare
agli appassionati del Valdismo primitivo: una fresca fonte alla quale non
si può, per altro, guardare senza prospettiva teologica storica e culturale.
g- c.
nella valigia delle lerie
Una raccolta di predicazioni non parrebbe,
oggi, una lettura consigliabile; per le vacanze poi,.. In realtà, com'è stato scritto, « la lettura dei sermoni dei maestri della teologia
evangelica ha sempre qualcosa di corroborante ». Si pensi alle predicazioni dì Barth, di
Thurneysen, di Lùthi, di BonhoefFer. Ora
1 editore Ubaldini-Astrolabio ha pubblicato, fra
tutta una serie di opere del teologo tedesco
americanizzato Paul Tillich scomparso nel
65 anche due volumi di sue predicazioni : il
nuovo essere, L’eterno presente e se ne attende
un terzo : Si scuotono le fondamenta. Il Tillich
è un teologo sistematico — molto più “sistematico di Barth e meno esegeta di lui, ad
esempio — e la cosa risulta chiara da questi
brevi saggi “pronunciati”, che si sviluppano
partendo da un testo dell’Antico o del Nuovo
Testamento con una riflessione spirituale molto indipendente, ma pur radicata profondamente nella Parola, nella realtà bìblica. Il
testo è di grande bellezza e semplicità, ricco
di echi culturali molteplici, ma senza alcuna
pesantezza; e questo grande teologo che non
ha sdegnato di essere predicatore sa effettivamente portare alla luce in una forma limpida
il “seme” di pensiero racchiuso nel testo biblico, senza astrazioni teologiche, con un lindiretto. Ecco davvero dei volumi da
portarsi in vacanza, per chi vuole che questa
sia non solo riposo fisico e distensione psichica,
ma ri-creazione spirituale in una meditazione
viva della Parola di Dio.
Un educatore protestante francese dà una descrizione ricca
e documentata della rivoluzione in atto nelle strutture educative
Jean Jousselin, uno degli educatori protestanti più attivi della Francia di oggi, ha pubblicato per invito della Commissione educativa
del Consiglio Ecumenico e in collaborazione
del Consiglio Mondiale per l’Educazione cristiana uno dei libri di pedagogia più avanzati
e completi. Si tratta di Le devenir'de VéducU’
tion una descrizione estremamente ricca e
documentata della « rivoluzione » che sì sta
operando neU’ambito delle strutture educative
e che sostituisce alla trasmissione autoritaria
della cultura e della conoscenza riservata ad
una ristretta cerchia di individui una ricerca
di tipo comunitario. E Jousselin descrive quest’evoluzione con la foga ed il calore di chi
partecipa sul serio a questo movimento, di chi
sa che a fare una rivoluzione » non vuol soltanto dire adattarsi al caso ed alle sue conseguenze, ma significa soprattutto compiere una
scelta in una determinata direzione e impegnarsi fino in fondo perché questa scelta si
realizzi.
L’autore analizza in primo luogo quelle che
possono considerarsi le nuove condizioni entro
cui l’uomo d’oggi è chiamato a vivere: il nuovo stato demografico e le caratteristiche della
civiltà tecnologica (tecniche di produzione e
di consumo, sviluppo dei veicoli di informazione, mobilità sociale, automizzazione delle
conoscenze, ecc.) e avanza alcune ipotesi ri
initlIHIlimiMIMIlHIIIIIIIIMlllllimilH lllMIIIIIlmi
Trad
Fra gli ultimi volumetti della collana de La
Locusta, oltre a Se Cristo vedesse (L. 400) già
largamente presentato sulle nostre colonne,
segnaliamo :
Giorgio Pecorim, A messa coi carabinieri
Salvatore Baldassarri, Che cosa resta?
Nando Fabro, Confusione
Del resto l’intera collana, ormai notevolmente estesa, raccoglie brevi opere di prim’ordine, di ricco contenuto spirituale, cariche di
passione: una lettura sempre consigliabile e
corroborante; un posto a parte nell’editoria
cattolica nostrana.
rzrone e innovazione
nella Ch ¡esa odierna
L’Africa
oggi
Sui problemi africani, oltre due opere sulrUganda pubblicate in questi giorni dalla
Jaca Book, di cui parliamo in ultima pagina,
si tenga presente Nazionalismo africano (Sansoni, L. 1.200) di Ndabaningi Sithole, pastore della Chiesa unita del Cristo in Rodesia.
Egli si trova da quattro anni in carcere a
Salisbury, ed è stato ultimamente accusato di
complotto e di attentato contro il premier
rhodesiano lan Smith. Il Sithole, oltre al suo
ministero pastorale, è il capo dell’unione nazionale africana Zimbabwe (ZANU), uno dei
partiti africani vietati dal regime razzista
della Rhodesia, ora all’opposizione nella clandestinità.
Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino,
ma anche valente filologo e studioso di patrologia, ha tenuto nel settembre 1968, per la
Fondazione Cini, alcune lezioni sul tema indicato dal titolo.
La cautela del filologo, il quale, non facendo di professione il teologo, quasi ricuserebbe (a differenza di certi sfrontati arruffoni
come potrebbe essere il sottoscritto) di parlare di teologia, fa sì che il testo delle sue
lezioni sia un contesto di citazioni. Ma nella
sobria scelta di queste citazioni, sceverate da
un materiale che s’intravede assai ampio e
vario, emerge, malgrado tanta cautela, una
ben definita linea di p^siero teologico.
Padre Caprile, che di Concilio se n’intende,
recensendo il volumetto sul quaderno 2857 de
(( La Civiltà Cattolica », si dichiara pienamente soddisfatto.
Per noi può essere interessante saggiare la
tesi del Pellegrino dal nostro punto di vista
di protestanti.
A noi interessa evidentemente in primo
luogo, piuttosto che il rapporto fra Tradizione
e innovazione, il rapporto fra Tradizione e
Scrittura. Noi infatti, per quanto le acquisizioni teologiche degli ultimi decenni abbiano contribuito a rendere più critica la nostra
accezione della Scrittura, sempre a questo termine ci rifacciamo.
Per il Pellegrino il fatto che una parte della Tradizione non sia esplicitamente associata dalla Chiesa alla Scrittura mediante le decisioni riguardanti il Canone non solleva, nei
confronti di quella parte, particolare sospetti.
Anzi, in fondo, come sempre per i cattolici, ciò che maggiormente lo interessa nella
Tradizione, ciò a cui ap))lica questo nome, è
proprio quell’insieme di elementi tradizionali
che, per essere più evidentemente aliepi dalla
tradizione scritturale, rendono necessaria la
raffigurazione di una duplice sorgente.
Il vantaggio di questa endiadi è evidentemente quello di poter più agevolmente innovare, pur mantenendo la finzione giuridica e
l’istanza metafisica deU’immutabilità della dottrina.
Il tema dell’innovazione è sentito dal Pellegrino, in armonia con lo spirito del Concilio, specialmente in funzione pastorale. A tal
fine viene ampiamente utilizzato il termine
« adattamento », e vien richiamato « il programma paolino del farsi "tutto a tutti” (1 Corinzi 9: 22) » (p. 99).
A un movimento così caritativamente impostato sullo schema paolino. noi protestanti,
che vediamo essere acquisite più d’una fra le
nostre istanze, non possiamo certo mostrarci
ostili, salvo ripetere le obbiezioni che il nostro Subilia presenta nei confronti della « nuova cattolicità del cattolicesimo ».
A un certo punto è abbastanza significativo
che l’accenno fatto a p. 87 a Cristo che è a la
vita stessa, che tutto rinnova », sia tratto da
uno degli articoli della costituzione « Lumen
Gentium » in cui si parla « De Muñere Beatae
Vìrginis in oeconomia salulis », e che la frase,
da cui è tolta l’espressione, abbia per soggetto la Madre di Gesù « quae ipsam vitam,
omnia renovantem. mundo effudit » (« Lumen
Gentium », 56.430).
Il tipo di obbiezione che continuiamo a fare
è a un dipresso di questo genere : vorremmo
avere, comme soggetto, il Cristo, che fa tutte
le cose nuove, anziché averlo come complemento oggetto, sia pure qualificato attivamente
con un participio presente.
Resta che la pacata trattazione del Pellegrino, in armonia con la sua azione conciliare,
è mossa, nello spirito pastorale, non da preoccupazioni estrinseche, ma dalla coscienza, maturata mediante lo studio dei Padri, che il
modo migliore per innovare è di risalire fiduciosamente alle fonti : ed è là che, se è lecito
usare una cosi disinvolta espressione con un
illustre prelato e professore, gli chiediamo di
darci appuntamento.
Per quanto riguarda l’hic et nunc, qualche
cristiano di spiriti populisti potrebbe forse desiderare che il cauto accenno (per via di cita
zione) a Proudhon ed alle questioni di politica e di sociologia, espresso alle pp. 47-48,
fosse stato maggiormente sviluppato, anche se,
tenendosi le lezioni a cura della Fondazione
Cini, ciò potesse suonare irriguardoso.
Sappiamo tuttavia che Pellegrino ha saputo
non solo rivolgersi ai distinti signori spaparanzati nell’isola di S. Giorgio, ma anche ai
signori meno distinti che usano ammucchiarsi nel garage di Via Vandalino.
Il che, somme tonte, non tutti gli arcivescovi sanno fare.
Augusto Comba
M. Pellegrino, Tradizione e innovazione nella Chiesa d’oggi. Ed. Boria, Torino, 1968.^
# 5|8
Al problema della tradizione ha dedicato ricerche e riflessioni particolari il noto studioso
del Nuovo Testamento Oscar Cullmann: siamo lieti di segnalare che il suo saggio La tradizione, problema esegetico, storico e teologico
è ora disponibile pure in versione italiana, nella raccolta Studi di teologia biblica che, a cura
di E. Lamie, ha testé pubblicato l’editrice
A.V.E. di Roma nella collana « Teologia oggi » (p. 270, L. 2.700).
solutive, allo scopo di ristabilire un nuovo
equilibrio.
In questo senso sono da considerarsi le proposte dì nuove scelte operative, quali la ricerca di un reale equilibrio fra le generazioni,
l’aumento del periodo di tempo libero « attivo » rispetto al tempo lavorativo « alienante »,
la formazione di « nìicrosocietà » entro cui
l’uomo di oggi corre minori rischi di spersonalizzarsi, la necessità di uscire dalle istituzioni rìgide e dagli schemi fissi della società
dei consumi.
Ma che cosa ne è allora dell’uomo, del soggetto dell’educazione? L’uomo, cresciuto per
essere critico e per aprirsi al dialogo, ha il diritto e il dovere di educarsi mentre produce,
di vivere nel mondo mantenendo intatta la
sua originalità e personalità, di inventare e
di creare. In questa prospettiva, i fini dell’educazione diventano realmente prospettivi e si
concretizzano nel senso dell’attualità, nelì’umanesimo — « un umanesimo che esprima la
speranza e l’originalità (o specificità) dell’uomo di oggi » (p. 134) —, nell’universalità, nella cultura, che a non può essere definita per
il suo contenuto ma per l’atteggiamento di
presenza e di apertura ai problemi, che essa
produce » (p. 140).
La seconda parte del volume è dedicata all’esame dei diversi tipi di educazione. Per l’innanzi, quella familiare, oggi molto meno importante di una volta a motivo delTauffimizzazione della vita sociale; poi quella attraverso
gli insegnanti, che devono avere come .scopo
principale il rispetto della persona; quella attraverso gli « ambienti » (scolastici, gio\ filili,
professionali) e infine, attraverso i mass-media
(radio, TV, stampa, pubblicità), con tu ti i
vantaggi e i pericoli che sottendono.
Un’altra sezione del libro contiene un i riflessione su ciò che viene definito il ra;- ;orto
maestro-alunno. Jousselin afferma che g ^esti
rapporti sono oggi mutati rispetto al pi«isato
e, inoltre, essi si sono arricchiti di una dimensione —oltre che verticale — orizzoAitale
(o reciproca). L’educazione, infatti, devr favorire l’inserimento sociale e la cultura leve
prendere in considerazione tutti i problemi
umani, senza pregiudizi o mistificazioni.
In questo clima, Teducatore d’oggi g deve
prendere parte attiva alla scelta che detcr r.ina
la sua azione e alla selezione dei mezzi <x* la
condizionano » (p. 309); in altre j iroi gli
non deve assoggettarsi passivamente l i iia
ma deve scegliere coscientemente gli : irumenti e le vie attraverso cui aprirt i mi
che gli sono affidati ai problemi del tempo.
Non dimentichiamo che lo stesso Jousselin ©
autore di un altro interessante volume,
révoltes des jeunes^, sui movimenti conte: tatari e rivoluzionari di questi ’ultimi anni. E,
forse, per meglio intendere il primo lavon... occorre anche avere letto il secondo.
Roberto Evnaho
^ J. Jousselin, Le devenir de Véducutìon,
ed. Les Bergers et les Mages, Paris 1968.
^ J. Jousselin, Les révoltes des jeunes Les
éditions ouvrières, Paris, 1968.
IIIIIMIIIIIimilMIIIHIIIIIIimiMIIIIIMIIIMIIItmiHKIl
iiiiimiiiiiiiiiMiiiMii'iiii
Profili - narrativa
A chi ama i profili biografici, segnaliamo
rautobiografia di Albert Luthuli, premio
Nobel per la pace, Africa in cammino (SEI,
L. 1.800) e ricordiamo nella collana di profili curata dalla Claudiana la biografia di
M. L. King uscita recentemente : Lerone
Bennett, L’uomo di Atlanta.
^ ^ ^
Vi ricordiamo o segnaliamo II primo cerchio di Alexandr Sol,ienitsin (Mondadori,
L. 3.500), in cui lo scrittore russo continua
in forma narrativa il discorso autobiografico
iniziato ne Una giornata di Ivan Denissovic
(Einaudi), denunciando i lager dell’èra staliniana. Einaudi pubblica in questi giorni un
inedito giovanile di Cesare Pave.se. Ciau
Masino (L. 1.500).
nomio : a Per chi conosce il Peuteronomio,
leggere l’Evangelo o la prima Epistola di 1. iovanni significa, per molti aspetti, ritrovare in
un paesaggio nuovo qualcosa di familiare. Vi
sono fra il Deuteronomio e le opere giovanniche affinità di vocabolario, di stile, e anche
punti in comune nel campo della teologia e
delPetica ». Non si tratta di un’opera rivolta
agli specialisti, e se ci si stupisse di questo interesse così marcato per la struttura letteraria, l’autore ricorda che « mettere in luce le
strutture lettera rie di uno scritto biblico significa al tempo stesso esplicitare, almeno in
parte, il pensiero teologico, che è quel che
conta ».
Jean Renne.s - Le Deuléronome. Labor et
Fides, Genève 1968, p. 261, L. 3.200.
Jean Renne.s - La Première Epìtre de Jean.
Labor et Fides, Genève 1969, p. 58, L. 8o0.
Due commentari
biblici
L’Editore ginevrino Labor et Fides ha presentato, a breve distanzal’uno dall’altro, due
commentari biblici di Jean Rennes. Il primo
è dedicato al Deuteronomio e, con la penuria
di opere sui libri dell’Antico Testatnento, è
particolarmente benvenuto. Si tratta di un
commento concepito in modo originale e ricco. In una prima parte, troviamo la presentazione del testo: una traduzione, affiancata
pagina per pagina da ricche note esegetiche.
Segue una seconda parte sui caratteri letterari
del Deuteronomio (struttura, vocabolario, stile,
unità letteraria e fonti alle quali ha attinto).
Infine, particolarmente interessante, una terza parte presenta la teologia del Deuteronomio, « un libro che merita di essere studiato
con più perseveranza di quanto non sia stato
fatto sinora ».
La seconda opera del Rennes, assai più breve, è uno studio della prima Epìstola gìovannica. L’autore si interessa in modo particolare della struttura letteraria dello scritto e,
curiosamente, è stato condotto ad approfondire il testo giovannìco a partire dal Deutero
NOVITÀ'
CLAUDIANA
THOMAS VAN DEN END
Paolo Geymonat e il movimento
evan,§elico in Italia
nella seconda metà
del XIX secolo
p. 354, L. 3.800
Facoltà 'Valdese di Teologia, 9
Collana della
A. M. HUNTER
sul Vangelo di Giovanni
11 dibattito
pp. 220, L. 1.300
(«P.B.T. », 5)
Le nuove scoperte ed i nuovi
orientamenti della critica biblica sul Vangelo di Giovanni
Ampia bibliografia
Ordinazioni a
LIBRERIA CLAUDIANA
Via Pio Quinto, 18 bis
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s ogosto 1C89 — N. 31-32
pag. 6
SI È SVOLTO A STOCCARDA IL XIV KIRCHENTAG TEDESCO DOMINATO DALLA CONTESTAZIONE GIOVANILE
‘‘Fame della ginstizia” era il tema centrale
Muta profoodamente la composizione e Timpostazione della grande riunione biennale degli evangelici di Germania,
specchio significativo delle tensioni e dei contrasti, delle confusioni spirituali c teologiche e degli spunti di
rinnovamento e di speranza presenti in una delle maggiori Lhiese evangeliche europee, e in tutto il paese
Stoccarda (epd). - Dal 16 al 20 luglio si è svolto qui il 14“
Kirchentag evangelico tedesco. Chi per caso avesse pensato che
si sarebbe ripetuto il Kirchentag tenutosi in questa città nel
1952, a seconda del suo modo di considerare le cose sarebbe
stato deluso o soddisfatto. In ogni caso si è trattato di un
Kirchentag completamente diverso. Uguali sono rimaste le masse umane raccoltesi per le varie riunioni, identica la confusione,
i tram stracarichi e l’animazione di fiera prodotta dai venditori
di stampati, di francobolli, di bibite, identico il frastuono degli
altoparlanti. Ma il quadro interiore è mutato. Se nel 1952 erano
gli ambienti pii a dare l’impronta al raduno, reduci dell’esperienza della guerra nella quale avevano scoperto un rapporto nuovo
con il messaggio della chiesa, quest’anno l’impronta è stata data
dai critici, dai dubbiosi, dagli inquieti. Ovunque si è potuto avvertire la tensione fra il Regno di Dio e questo mondo. Nella
quarantina di risoluzioni e dichiarazioni formulate nei vari gruppi di lavoro si è espressa l’inquietudine del nostro tempo e la
messa in questione del cristianesimo tradizionale. Il « dibattito
su Gesù » ha rivelato tutta la pluralità della ricerca della verità
In ultima analisi si è trattato di un grido d’invocazione per una
attivizzazione della fede in campo sociale. Dipende dagli uomini se la realtà di Dio si afferma in questo mondo o ne scompare.
È stato tuttavia ricco dì promesse il fatto che oltre la metà
dei partecipanti erano giovani; davvero non è stato un raduno
di nonnine. È evidente che la gioventù odierna è toccata dai
problemi del nostro tempo in misura maggiore della generazione precedente, la quale dopo molti sacrifici gode della sazietà
nella società del benessere. Vi è una gioventù animata dalla ricerca dei fondamenti dell’esistenza umana. Certo, molto di ciò
che si è potuto udire al Kirchentag era acerbo, diciamo pure
utopistico; ma anche se il raduno è stato attraversato da un
fosso profondo di contrasti, ha pur sempre rappresentato un
luogo d’incontro dov’è stato possibile un confronto autentico.
Non c’è stato bisogno di estintori e i timori manifestati inizial
mente dalla polizia, non hanno trovato conferma. Si sono avute
aspre controversie, ma ci si è saputi ascoltare a vicenda, si da
pervenire a una vera comunicazione. Il Kirchentag ha permesso
ai giovani di essere ascoltati e presi sul serio come membri adulti. Ed è stato pure una valvola per la critica alla teologia, alla
chiesa e alle strutture ecclesiastiche ; e ha potuto dare un apporto al superamento della scissione, sempre riaffiorante, fra
fede e azione. Anche se alla fine i problemi relativi alla teologia
e alla situazione sociale sono rimasti insoluti, e anche se la
quarantina di risoluzioni formulate recano l’impronta di gruppi
convenuti casualmente, non è lecito parlare di esigui risultati
del Kirchentag. Esso ha in primo luogo mostrato che la mutata
esistenza quotidiana pone alla chiesa problemi seri, urgenti.
Tutto quanto si è detto, per convincere, per discutere, per precisare non è finito in amarezza. Ci si è ascoltati gli uni gli altri,
e tale risultato di questi quattro giorni può essere valutato come
un segno di speranza.
Circa 30.000 persone partecipavano,
la sera del 16 nel Neckarstadion di
Stoccarda, all’apertura del Kir
chentag evangelico. Nel discorso di
apertura, il presidente del Kirchentag,
dr. von Weizsäcker ha sottolineato che
in questo come nei precedenti raduni
io scopo era trarre insieme le conseguenze che la parola di Dio deve avere
nei!a nostra chiesa e nella nostra vita
nei mondo, del quale siamo responsabili,
Curante il culto dei giovani, fra i
quali studenti negri, hanno recato in
silenzio attorno agli spalti' dello stadio
dei cartelli; «Mi lavo le mani nell’innocenza: Pilato, Kossighin, Wilson, e
noi' », « Morte per fame: soluzione finale nel Biafra? », « Il genocidio nel
Bii'.ira non è mai una questione interna >. Intercalati da cori con accompagn.nnento di strumenti moderni, hanno parlato, presentando punti di vista
diversi, rappresentanti di vari orientamenti: quello biblico-teologico, quello
telogico-esistenzialistico, quello del
movimento confessionale e quello della critica sociale radicale. Nella sua
predicazione il vescovo del Wiirttenberg Helmut Class affermpa poi che
non si può parlare della giustizia senza mere a che fare con Dio. È più che
ora che la cristianità presti orecchio
all’invocazione di giustizia che espici
de in tutto il mondo. Troppo a lungo i
cristiani l’hanno lasciato ai marxisti e
agli atei, ai protestatari e ai diseredati
di ogni tipo di colore di pelle. Ma Gesù l’ha udito, quel grido. Tuttavia la
violenza non produce salvezza; la violenza crea spesso nuova mancanza di
libertà e nuova ingiustizia. Chi lotta
per la giustizia, non può farlo a poco
prezzo. Pur senza voler dimenticare la
miseria che ’accade’ nel Vietnam, nel
Biafra, in Israele, nella -fascia di Gaza,
nelTAmerica latina e heU’Africa del
sud, va considerato che il paesaggio
della miseria si estende fino alla nostra patria. Qui si deve manifestare
la credibilità di coloro che si impegnano per un mondo più giusto e più
umano.
Dopo questo culto di apertum circa
trecento partecipanti per lo più giovani, si sono riuniti per un teach-in, per
discutere di azioni critiche nell’arnbito del Kirchentag; in un volantino
hanno affermato che nella manifestazione inaugurale non si poteva se non
co-esultare, nei gruppi di lavoro non
si poteva che ascoltare, mentre nel
Centro critico si poteva discutere.
I sette gruppi di lavoro
I temi, esaminati e discussi nei gruppi di lavoro di giovedì, venerdì e sabato, si riferivano al compito gravoso
die i mutamenti del pensiero contempomneo impongono alla chiesa. Essa
deve parlare di Dio, ma se lo fa come
10 faceva 50 o anche solo 10 anni fa, W
non sarà compresa da un numero
.'empre crescente di ascoltatori.
11 problema di Dio
<■ Dovrebbe essere naturale che ancìu i marxisti parlino pubblicamente
nei!:: riunioni cristiane e spero che sia
naturale che i cristiani abbiano parola libera e pubblica nelle riunioni marxisic », affermava il filosofo marxista
di Praga, .Machovec. In una delle riunioni del gruppo cristiani e marxisti
concordavano nel pensare che l’uomo
va oiire sé stesso, che esiste «qualcosa come la realtà di qualcosa di più
alto di me ». L’unico problema è se
Dio sia l’interpretazione vera di questa realtà. Chi nega Dio nega al tempo
stesso la libertà dell’uomo e paralizza
la forza della critica a ciò che esiste —
affermava il prof. Pannenberg, il quale nel medesimo gruppo ha discusso
i Ire argomenti fondamentali degli
atei: 1. l’idea di Dio sarebbe la
proiezione dei desideri e delle paure
umane in un cielo immaginario; 2. il
mondo, con la sua malvagità e la sua
sofferenza, sarebbe inconciliabile con
l’ammissione di un Dio buono e onnipotente; 3. Dio e la libertà umana si
escludono a vicenda.
Dibattito intorno a Gesù
Questo gruppo di lavoro stava indiscutibilmente al centro deH’interesse. La sala più grande, con circa
8.000 posti, era quasi sempre strapiena. Il prof. .1. Heubach di Kiel ha attaccato una riduzione della cristologia
a « umanesimo gesuano »; nella sua
conferenza, interrotta più volte da applausi, egli ha affermato che quando
veniva abbandonato « il vero Dio » e
di Gesù non rimane altro che il compagno d’umanità, tutto finisce in un
« ottimismo ateo », perché in questo
caso ci redimiamo da soli, gli uni gli
altri. La divinità e l’umanità di Gesù
sono inseparabili; il problema di Dio
è questo: chi è Gesù?
Un teologo di Magonza, Manfred
Mezger, rappresentante della teologia
moderna ha sostenuto che oggi ci sarebbe meno discussione intorno a Gesù se le conoscenze scientifiche raggiunte dalla teologia non fossero state
circondate da tanta indifferenza nella
chiesa. E falso pensare che possa credere rettamente soltanto chi accetta
l’antica immagine del mondo dell’apostolo Paolo. Qggi non importano i
dogmi, ma la giornata lavorativa con il
Cristo autentico. La fede non consiste
nella quantità di ciò che si è ingoiato
senza discussione, ma è piuttosto fiducia.
« Croce e risurrezione nella discussione teologica » era il tema del prof.
W. Kùnneth. Non soltanto oggi la risurrezione è uno scandalo, lo era già
neH’antichità; è incomprensibile che
il messaggio della risurrezione di Gesù possa essere accostato a mitologie
e a culti misterici: il messaggio cristiano, legato a una persona storica,
spezza le mitologie collegati a ritmi
vegetativi. Applausi e interruzioni si
sono succeduti frequenti, e alla fine è
stata presentata la richiesta che l’oratore interrompesse il suo discorso,
avendo superato il tempo assegnatogli, richiesta non accettata.
Il relatore successivo, il prof. G.
Klein di Münster, si è dichiarato profondamente turbato dalla sterilità dell’opposizione fra il movimento confessionale « Nessun altro Evangelo » e la
« teologia moderna ». L’Evangelo impone di chiudere questo contrasto. Se
ci si continuerà a considerare con tanto astio, dichiarando eretici a destra
e a sinistra, se ne dovrà rendere conto a Dio e agli uomini. « Se la chiesa
non vuol ridursi a una setta lamentosa, dobbiamo imparare a convivere e
ad attestare insieme al mondo che il
Cristo crocifisso vive ». Mentre il Klein
ottenne vivo successo, l’affermazione
del Kùnneth che la teologia moderna
è stata funesta, è stata accolta cori
ritmici battiti di mani, impedendogli
di continuare. Un altro oratore, un pastore di Brema, ha rimproverato alla
teologia moderna di adattarsi alla visione del mondo propria dell’uomo
tecnocratico. Lo scontro di fede fra
correnti teologiche antagoniste, mai
apparso con tale tensione in un Kirchentag evangelico, ha raggiunto a momenti forme violente, spingendo a
chiedersi se non si era scavato anche
più profondo il fossato.
La Chiesa
Relazioni diverse sul tema « La nostra società ha bisogno della chiesa? ».
Il dr. R. Krämer, un cattolico di Wiesbaden, ha sostenuto le seguenti tesi:
la società non ha bisogno di chiesa —
la chiesa ha bisogno della società e ne
è il riflesso — la chiesa annulla la fede, riflettendo dialetticamente sé stessa; invece il prof. Illies si è detto convinto che la chiesa quale comunità di
fede di cristiani impegnati e adulti ha
una funzione importante. « Nell’oscurità della nostra vita, ’condannati’ come siamo alla libertà, la chiesa dev’essere, nella sua fedeltà a Dio, una lampada sulla quale orientarci ». Una chiesa adulta di questo genere non sarà
tranquilla né comoda, ma la società
ne ha bisogno così. « Le riforme non
sono ancora mai partite dalle direzioni ecclesiastiche: occorre lasciare ampio campo alle iniziative degli individui e alle decisioni delle comunità »
ha ancora domandato il consigliere ecclesiastico Quaas, di Düsseldorf; la
chiesa non deve levare barriere, bensì
abbatterle; deve ricercare non i confini della fede, ma le sue conseguenze. Nella discussione plenaria è stato
pure affrontato il tema della tassa ecclesiastica.
L’individuo e gii aitri
In questo gruppo di lavoro le discussioni si sono svolte in un’atmosfera
abbastanza quieta. Dopo le relazioni
introduttive si sono discussi soprattutto i problemi della politica della
istruzione e della cultura.
Democrazia
Con scene tumultuose si è concluso
il lavoro di questo gruppo. La maggior
parte dei partecipanti hanno formato
una manifestazione di protesta, per
mettere subito in pratica le discussioni, marciando sul parlamento regionale per esigere dai deputati una giustificazione della legge suU’insegnamento
superiore, appena votata. La polizia
di Stoccarda si è mostrata generosa,
scortando addirittura la manifestazione non comunicata né autorizzata. Il
corteo recava cartelli e striscioni recanti scritte come « la chiesa contro
il diritto regolamentare » e « contro la
legge fascista del signor Hahn »; non
si sono avuti incidenti, anche se nella
loro marcia i dimostranti avevano
bloccato per dieci minuti due crocicchi centrali.
Anche in questo come in altri gruppi di lavoro l’ordinamento sociale è
stato il tema dominante. È stata contestata la legittimità dell’appellativo
« cristiana » nel nome del partito CDU
(Unione democristiana); si è discusso
sulla NPD (il partito neo-nazista) e i
suoi rapporti con la CSU (cattolici di
destra).
Giustizia in un mondo
rivoiuzionario
Al centro sono stati essenzialmente
i problemi dello sviluppo, del Terzo
Mondo (che rappresenta i due terzi
del mondo). Il ministro federale per
la cooperazione economica, il dr. Erhard Eppler, pare essersi guadagnato
la simpatia dei tremila ascoltatori:
non si sono avute azioni di disturbo.
Alla lunga — egli ha detto — la pace
mondiale non può essere mantenuta
se due terzi della popolazione del globo sono costretti ad assistere affamati a come il restante terzo risolve il
problema del superfluo. I paesi in via
di sviluppo non vogliono essere « nutriti », ma essere interlocutori autonomi. Il ministro esponeva i suoi piani
in un programma in 10 punti e il plenum decideva che rappresentanti delle ditte Bosch e Daimler-Benz fossero
invitati alle discussioni, dato che si
desiderava udire come rispondessero
all’accusa di neocolonialismo nei paesi
in fase di sviluppo. Ed effettivamente
il dr. Schleyer, membro del consiglio
d’amministrazione della Daimler-Benz,
e il dr. Merkle, direttore generale della Bosch, accettavano l’invito; essi affermavano che gli investimenti privati delle industrie tedesche rappresentano un aiuto effettivo a quei paesi, riconoscendo entrambi che per gli
investimenti oltremare avevano importanza decisiva i fattori economici; tuttavia gli investimenti creavano per le
popolazioni indigene non soltanto posti di lavoro, ma anche possibilità di
una buona formazione professionale.
In una dichiarazione il gruppo di lavoro richiedeva quindi al parlamento
e al governo federali una politica di
sviluppo completamente nuova; e in
un’altra risoluzione che il governo federale prendesse pubblicamente posizione in favore del diritto del Biafra
all’autodeterminazione.
Regnava un’atmosfera di nervosismo: nel salone delle esposizioni, sovraffollato, disegni murali e cartelli
criticavano i guadagni dell’economia
privata negli aiuti ai paesi in sviluppo. Gruppi di giovani hanno interrot
to ripetutamente con cori parlati la relazione del deputato CDU al ptirlamento regionale, Leisler, il quale rifiutava appassionatamente l’uso della violenza per mutare le condizioni di vita
nei paesi in via di sviluppo.
Giustizia per mediare
la felicità
« Le esigenze della giustizia a proposito della proprietà », ecco il primo
tema trattato in questo gruppo. Il materiale di partenza è stato costituito
da un film propagandistico a colori
delle casse di risparmio («La proprietà rende liberi »). Ci si è concentrati
soprattutto sulle questioni relative alla proprietà di terreni e immobili. 'Vivaci prese di posizione si sono avute
intorno a un abbozzo di risoluzione,
nel quale si affermava che « la proprietà privata non può fondare alcun
potere sull’uomo. Occorre quindi statalizzare la costruzione privata di abitazioni. E questo presuppone l’abolizione della proprietà privata dei terreni ». Altri temi di discussione, il Colmine e la faipigiia ampia, ma a questo proposito si e partiti nel fondo dal
modello tradizionale del matrimonio.
Culti e risoluzioni
Numerosi sono stati, naturalmente,
oltre agli studi biblici, i culti, anche
ecumenici; soprattutto quelli della domenica mattina, la giornata conclusiva del Kirchentag, in tutte le chiese
cittadine. Da segnalare una riunione
serale (« Stuttgarter politisches Nachtgebet ») nella quale si è trattato del
diritto degli stranieri. I passanti della
piazza Schiller, il 17 hanno avuto modo di incontrare il « Kirchentag in
mezzo alla strada »: altoparianti, cartelli e musica jazz li invitavano a un
pubblico dibattito, e Tindomani se n’è
tenuto un secondo, nella medesima
piazza. In un « culto della Parola » cattolico-evangelico, la domenica mattina,
ha predicato il ministro federale Eppler. Naturalmente largo spazio ha avuto la musica corale e strumentale, in
larga misura moderna.
Già abbiamo accennato alle numeiose dichiarazioni e risoluzioni votate nei
vari gruppi di lavoro; il più fecondo
è stato quello sulla democrazia (10 risoluzioni!). Ecco i temi principali: cogestione, obiezione di coscienza, problema della frontiera orientale, legge
sugli stranieri, democratizzazione delle Chiese. È stata chiesta la cessazione del « pluriennale abuso del nome
cristiano » da parte dei partiti CDU e
CSU; una seduta straordinaria del parlamento federale per condannare la
politica britannica e nigeriana, la messa a disposizione del 10% del bilancio
militare per i progetti di sviluppo, lo
ECUMENISMO
avvio di rapporti economici con Cuba,
la fusione delle organizzazioni assistenziali « Brot für die Welt » (evangelica)
e « Misereor » (cattolica); sono state
avanzate altre richieste relative a leggi sull’istruzione pubblica, elettorali,
all’abuso della proprietà privata. All’interno delle Chiese, oltre alla democratizzazione e alla revisione del catechismo, è stata richiesta la Cena comune prescindendo dalla confessione;
« Non supplichiamo le nostre direzioni ecclesiastiche di concederci la Cena comune; la esigiamo da tutti e per
tutti coloro che considerano la loro
vita e l’avvenire alla luce della speranza che si è resa visibile in Gesù».
E significativo che il gruppo « Dibattito intorno a Gesù » non è riuscito,
per il contrasto fra « movimento confessionale » e « teologia moderna », a
formulare alcuna risoluzione.
Nella riunione conclusiva cui partecipavano circa 30.000 persone, una
trentina di dimostranti hanno preso
d'assalto il podio per presentare i loro pareri. E stata data la parola a tre
di loro. « Democratizzate il Kirchentag », tale la richiesta del primo. Un
oppositore ha invece definito il Kirchentag « luogo di agitazioni e di tumulti dei nemici della Chiesa ». Il terzo ha accusato lo Stato, la Chiesa e il
Kirchentag di tollerare il genocidio
nel Biafra.
Poi, il rompete le righe.
la posizione rìloroiala
oell’era ecooieoica
In uno studio su « La posizione riformata nell’èra ecumenica », il professor Roger L. Shinn, dell’Union
Theological Seminary di New York
elenca alcune posizioni tradizionali
della fede riformata e le riformula nel
contesto contemporaneo. Eccole:
1. - L’Iddio conosciuto dai cristiani
per mezzo di Cristo è il Signore di
ogni creatura; ciò nonostante i cristiani devono imparare a servirlo in
collaborazione con uomini di fedi e
credenze diverse, riconoscendo il loro
valore e senza reclamare uno statuto
di superiorità per i cristiani.
2. - La Chiesa, in quanto comunità
di fede, si occupa di tutti i settori della
vita, senza eccezioni; tuttavia essa
non può cogliere in modo valido le occasioni di azione senza riconoscere
l’esistenza di istituzioni e discipline in.
tellettuali profane, che devono godere
di una certa autonomia rispetto alla
Chiesa.
3. - La Chiesa deve conservare il
suo retaggio riformato di impegno nel
mondo, ma si prefiggerà come scopo
più il servizio di questo mondo che la
sua conquista.
4. - La messa in guardia biblica e
calvinista contro l’idolatria resta più
attuale che mai ; richiede però da par
te del cristiano più persipacia di quanto non fosse richiesta in altri tempi
per discernere le forme dissimulate, di
idolatria. ;. ,
5. - La lotta coraggiosa intrapresa
per la libera propagazione e il libero
esercizio della vera fede deve essere
condotta ugualmente per la liberazione degli uomini, che credano o no in
quel che la Chiesa crede.
6. - Benché le vie di Dio siano in
sondabili, si può affermare che e gli si
rivela non per mezzo di gerarchie pri
vilegiate ma alla comunità dei ere
denti che ascoltano la sua Parola, co
sì, come essa è contenuta nelle Scrit
ture, sotto la guida dello Spirito Santo
7. - La fede secondo cui Dio,agisce
nella storia spinge i credenti a ricer
care e a riconoscere ciò che Dio fa nel
la storia contemporanea (includendo
vi i movimenti che turbano la tran
quillità dei cristiani), anche se essi
serbano qualche reticenza sulla loro
capacità di comprendere le vie misteriose di Dio.
8. - Questa stessa fede nell’azione
di un Dio vivente permetterà a quanti
si richiamano alla tradizione riformata di essere pronti a cambiare i
loro metodi e le loro istituzioni per ubbidire meglio a Dio in un’èra ecumenica.
6
pag. 6
N. 31-32 — 8 agosto 1969
ESEQUIE ANTICIPATE!
Dcprofunilis per 9 "Collegio"
(e ona proposta)
Buon senso, sì, ma con giudizio...
E cosi hanno affossato il Collegio Valdese.
Il processo di dissolvimento in atto da molti
anni, generato dalle critiche e daU’ostruzionismo di determinati ambienti, che hanno provocato il graduale allontanamento degli insegnanti e degli allievi con quell’effetto statistico di cui ahilmeute si è avvalsa la Commissione di studio, è stato portato al suo estremo
atto con la sanzione della Commissione stessa, come si legge nella sua relazione, della
quale non so se più ammirare l’abilità con
cui si è voluto dare uno strumento al Sinodo
per avallare una decisione già precostituita, o
meravigliarmi per il senso cosi poco evangelico ma molto politico, scarsamente psicologico
ma molto economico, con oui si è presentato,
esaminato, concluso l’argomento.
Oggi come oggi,« come stanno le cose non
mi sembra possibile risalire la china : se il
parere della Commissione fosse stato esattamente contrario e il Sinodo quindi decidesse
di mantenere in vita il Collegio, ricostruire
la sua ossatura con un ritorno o un nuovo apporto di insegnanti, ristrutturare Tambiente
scolastico cosi depauperato e svilito, richiederebbe un gran tempo e una dura fatica nonché
una spesa improduttiva.
Perché tra le amarezze che si impastano su
questo argomento una proviene dedla constatazione che alla base di tutto — e non nascondiamolo ipocritamente — c’è la questione economica. Se il bilancio del Collegio non fosse
passivo e questo passivo non rappresentasse
una larga fetta del bilancio della Tavola Valdese, solo qualche teorico isolato o qualche filosofo spaesato avrebbe posto il problema;
nessuno avrebbe pensato a chiudere il Collegio per la sua inutilità.
Ora, che la funzione primigenia del Collegio sia finita, siamo tutti d’accordo. I tempi
passano, gli uomini e le cose mutano e quello
che un tempo era valido oggi non lo è più
nella stessa misura. Ma da questo a dire che
il Collegio Valdese non serve più a niente,
c’è un abisso. Le varie teorie della surrogtizione o meno aU’attività di Stato hanno e non
hanno valore. Cerchiamo di vedere le cose dal
punto di vista della « testimonianza » che la
Commissione con dotte e tortuose argomentazioni ha abilmente negato. Io sono molto
meno dotto, ma credo fermamente che ogni
opera della Chiesa è contemporaneamente
« servizio » e « testimonianza » e ancora « predicazione ». La gioventù rappresenta una larga parte dell’umanità cui la Chiesa ritiene
di dover rivolgere il messaggio della Parola,
poiché da essa gioventù sarà formata la Chiesa di ogni domani: e tutti i modi e tutti i campi di predicazione debbono essere sfruttati: si
deve seminare in qualunque modo e con qualunque mezzo in questo campo. Perché allora
— dice la Commissione — non ci sono dieci
e cento Collegi in Italia? Forse proprio perché
non ne abbiamo la possibilità economica, ma
comunque uno c’è e dobbiamo usarlo e valorizzarlo. Non m’importa se esso non serve più
per le Chiese delle Valli: c’è tutto il mondo
intorno a noi, tutto un mondo che non sa
nemmeno che esiste tm Collegio evangelico,
tutto un mondo in cui con i mezzi di comunicazione e di informazione che oggi esistono,
si tiene isolato e nascosto in un angolino delle
Alpi uno dei più potenti mezzi di predicazione che sia possibile avere verso la gioventù :
la scuola. E che m’importa dei sottili « distinguo » della Commissione tra testimonianza
autoritaria e di sintesi, criptocattolicesimo e
pedagogia più o meno protestante? Un Collegio valdese, con insegnanti valdesi, con una
buona parte di studenti evangelici (aiutati
eventualmente con un buon numero di borse
di studio) avrà tutte le doti e tutti i difetti
che ognuno può trovarvi, ma nell’insieme sarà
e resterà sempre « una predicazione ».
Non posso ora dimenticare l’altro difetto
che è stato trovato nel Collegio Valdese: è
una scuola « borghese ». È molto di moda, oggi,vituperare questa classe sociale (ma sì può
parlare di « classe » sociale?) e la mentalità
che le è connessa. Ma per guidare una società
(umana, non una società per azioni), per sviluppare il progresso sia tecnico che sociale dell’umanità, bisogna studiare, quindi bisogna
avere delle scuole : possiamo nòin essere d’accordo su ehi frequenta queste scuole e come e
perché, ma scuola deve essere e se oggi un
lieeo è « borghese » e domani potrebbe non
esserlo, ebbene non lo sia.
La chiesa deve predicare TEvangelo a tutti,
ai ricchi e ai poveri, ai servi e ai padroni, agli
operai e ai borghesi. La chiesa non può stare
da una parte, perché stare da una parte vuol
dire divisione, mentre l’amore di Dio è unione,
affratellamento, comunione. Ed è solo nella
misura in cui il servo (che in Cristo è libero)
e il padrone (che per Cristo è servo) che siedono ogni domenica nella stessa panca ad
ascoltare il messaggio della Parola, uscendo
dal tempio dopo aver confessato il proprio peccato, ascoltato l’annunzio dell’amore e della
redenzione — nella misura, dicevo, in cui
l’uno saprà riconoscere la funzione sociale,
economica, produttiva dell’altro, che a sua
volta saprà riconoscere nel primo un essere
amato da Dio come figlio e assolvere quindi
le proprie funzioni con lo spirito del fratello,
col senso della disponibilità propria per il bene di tutti e non di pochi o di uno solo, solo
in tale misura noi sapremo se la chiesa assolve
il suo compito, se il suo messaggio è verace,
.se la sua predicazione è valida.
Non mettendosi da una parte, non difendendo un sistema contro un altro, non incitando
degli uomini contro altri uomini. Questo è riservato alle ideologie, ai sistemi, alle società
umane, e non è necessario avere una profonda cultura e un’alta sapienza per imparare dal1.1 storia passata e da quella amaramente presente che non v’è ideologia, sistema, società
umana in cui non vi siano ricchi e poveri,
servi e padroni, operai e borghesi, in cui non
vi siano sfruttati e sfruttatori, oppressi e oppressori, vittime e violenti; vi è una sola società che ci viene predicata da tremila anni,
in cui pochi fermamente credono e hanno cre
duto, e primo di tutti Gesù Cristo che ha tentato e tenta ogni giorno di convincerci, nella
quale è perfetto vivere, senza odiarsi, senza
sopraffarsi, senza misurarsi l’uno con l’altro,
e questa società è il Regno di Dio, che sarebbe possibile qui e ora solo che tutti, indistintamente tutti gli uomini capissero finalmente,
senza limitazioni o sospensioni, senza attenuazioni o riserve l’amore di Dio e il grande unico comandamento « ama il tuo prossimo come
te stesso ». Questo ha annunciato Dio a chi
vuol essere suo popolo, questo ha annunciato
Gesù esemplificando in mille modi, questo ha
predicato e deve predicare la chiesa, testimoniando e profetizzando, ma mai mettendosi da
una parte.
Per questo non m’importa che il Collegio
sia una scuola « borghese ». Ma con tutto ciò
il Collegio sarà chiuso. Forse si salveranno le
scuole medie di Torre e di Pomaretto, ma il
ginnasio-liceo scomparirà e la nostra Chiesa,
Tunica in Italia ad avere una tale opera, vi
rinuncerà per pigrizia, per miseria, per politicizzazione del problema.
Ma non voglio aver soltanto criticato le critiche e espresso il mio disappunto sulla forma
e sul contenuto deUa Relazione della Commissione di studio. Come un deprofundis finisce
con parole di speranza, anch’io vorrei finire
proponendo, o riproponendo qualcosa per la
vita del .Collegio. Forse, come la prima volta,
nessuno raccOglièrà queste mie proposte, perché sono difficili e dure, ma forse qualcuno in
extremis potrebbe pensarci ancora un momento e trarne almeno un’indicazione per una
soluzione. E mi rivolgo in particolare agli
Amici del Collegio, alle Autorità civili e a
quanti valdesi o meno, si occupano e si preoccupano della vita delle Valli e del loro smantellamento economico e culturale. Il Collegio
è anche un’attività economica, oltre che palesemente culturale. Una rivitalizzazione del
CoUegio potrebbe incrementare la vita economica di Torre Pellice in particolare, come
credo non ci sia bisogno di illustrare, e costituirebbe l’ossatura di base per tutta quell’attività culturale che la Commissione pone in
alternativa e che non avrebbe nessun senso
pratico senza tale base. La Tavola Valdese
chiede giustamente dei piOgrammi alla nostra
statura. Pertanto ritengo che il CoUegio Valdese dovrebbe essere costituito come Istituto
autonomo cui la Tavola, per le finaUtà delTevangelizzàzione; potrebbe assegnare, oltre
gl’immobili, anche una voce del proprio bilancio corrispondente alle disponibilità del bilancio stesso. L’Istituto potrebbe pertanto finanziarsi nella maniera che si riterrà più opportuna e utile (fondi degli Amici, rette degli
alunni, doni a questo scopo specifico daU’Italia e daU’estero, ecc.) e se in Italia vivono e
progrediscono analoghe istituzioni con scopi
di lucro, non vedo perché non dovrebbe vivere e prosperare una istituzione che tale scopo
di lucro non deve avere. L’importante sarebbe
riuscire a costituire un fondo di dotazione, anziché ricorrere costantemente e periodicamente a finanziamenti di esercìzio. E ho affrontato
per primo il problema finanziario perché,
come ho detto prima, è il più vero e scottante
dì tutti. Una volta impostato in modo concreto
e realistico questo problema, l’Italia è piena
di insegnanti evangelici con cui ricostituire
un efficiente corpo docente dotato di tutte le
qualità perché la Scuola sia seria e apprezzata,
e la relativa predicazione, implicita ed esplicita, sia valida e vera. Contemporaneamente
bisogna risolvere la ricettività del paese (il
Convitto è già insufficiente e di struttura antiquata) organizzando altri convitti o nucleifamiglia, con criteri moderni di assistenza pedagogica; risolvere il problema della pubblicità dell’Istituto che dev’essere rivolta a tutta
l’Italia evangelica o meno, mentre gli studenti valdesi meritevoli e bisognosi potranno
essere aiutati con borse di studio sia della Tavola che delle Comunità o di altri enti, laici
o religiosi. Naturalmente per tutta questa attività è necessario trovare fin da principio
persone idonee e decise a pieno tempo. E forse
questa sarà la cosa più difficile. Ma su questa
linea io vedo un avvenire florido e benedetto
e una .semina, costante nel tempo, della Parola nel cuore dei giovani, dalla quale Dio
trarrà i frutti secondo la sua volontà e malgrado la nostra piccolezza e la nostra infedeltà,
per la quale ora con molte parole nascondiamo
la rinuncia a un dono che un tempo Dio ci ha
fatto.
Costantino Messnia
Personalia
La famiglia del Pastore Rodolfo
Hardmeier, di Pratteln (Basilea), universalmente conosciuto ed apprezzato
nelle nostre comunità, è stata duramente colpita nel volgere di due settimane.
Il 5 giugno a Basilea si spegneva in
età di 84 anni la signora Agata WirzLuchsinger ed , il 19 giugno decedeva a
Pratteln, sua figlia signora Hanni
Hardmeier-Wirz, in età di 55 anni, dopo una lunga, dolorosa malattia.
La signora Hardmeier, consorte del
Pastore, aveva seguito tutti i corsi teologici all’Università di Basilea ed aveva esercitato il ministerio pastorale.
In questi ultimi anni aveva ricevuto
un incarico pastorale, nella comunità
di Pratteln, accanto al consorte.
Al Pastore Hardmeier ed ai suoi cinque figliuoli esprimiamo la sentita, viva simpatia delle comunità e degli
amici in Italia, chiedendo al Signore
di colmare con la Sua grazia e con la
Sua pace il gran vuoto che queste dipartenze lasciano nella sua famiglia.
E. E.
Non ho, sinora, preso qui la parola
a proposito della controversa questione dei nostri istituti d’istruzione secondaria alle Valli; spero si dia atto
al direttore di questo periodico di avere dato la parola a chiunque la volesse prendere, in modo obiettivo; mi si
permetta ora, come membro della nostra chiesa, di notare alcune cose. Mi
spinge a farlo il breve, chiaro scritto
di Sergio Rostagno, Meglio potenziare
i convitti, pubblicato qui nel n® delTll
luglio u. s. A scanso di equivoci, desidero esprimere la stima profonda e
fraterna che ho del pensiero di S. Rostagno, libero e fortemente sensibile,
sempre, alla problematica teologica:
ne sono esempi recentissimi tre suoi
studi, sulla violenza ( « Gioventù Evangelica » 1/1969), sulla pedagogia cristiana («Protestantesimo» 1/1969) e sul
cristiano e lo Stato nel Nuovo Testamento (che abbiamo pubblicato integralmente qui e che mi è parso un
compendio estremamente acuto della
complessa questionò ). Tanto più mi ha
stupito l’eccesso di «buon senso», elevato quasi a valore teologico, del suo
scritto citato, per altro esemplare per
concisione e concretezza.
Cercherò di essere altrettanto conciso e concreto, anche se le cose da dire sarebbero tante (semplificare i problemi è senz’altro efficace, ma deformante) e tante ne sono già state dette.
1. Mi pare anzitutto errato impostare la questione su di un piano puramente finanziario (il ginnasio-liceo di
Torre P. « ci costa un occhio della testa » e rende poco).
:a) Con questo criterio si potrebbe giungere a chiudere varie chiese, la facoltà di teologia (e l’idea è stata ventilata, i nostri studenti potrebbero studiare all’estero) e altro ancora.
b) Potrei ancora capire la dolorosa e drastica riduzione, se veramente
la nostra chiesa fosse in stata confessionis di fronte al problema della sua
vita, della sua amministrazione. La situazione è tutt’altra: a parte il fatto
che si costruisce di buzzo buono qua
e là per la penisola e che i dipendenti
della Tavola, pur senza scialare, nell’insieme non risultano ancora affatto
particolarmente emaciati e appiedati,
vi sono piani per parecchie decine di
milioni per il potenziamento dei servizi radiotelevisivi, della stampa (periodica ed editoria), dei servizi cristiani
di Palermo e di Riesi. Intendiamoci,
tutte ottime iniziative, e forse tali da
invitare più di altre all’aiuto i fratelli
all’estero (del resto opportunamente
sollecitati e indirizzati a tali scopi):
ma non si dica che occorre chiudere il
ginnasio-liceo perché non ci bastano i
soldi; si tratta invece semplicemente
di una scelta di politica ecclesiastica,
scelta di cui personalmente contesto
la fondatezza e che rifiuto.
c) Ancora, su questo punto, non
mi pare sostenersi l’argomento: non
ce la facciamo a reggere tutto, quindi:
o il ginnasio-liceo o i convitti tanto più
necessari. Sono il primo a riconoscere
la necessità di convitti; ma è noto che
questi, senza essere certamente opere
di lucro!, di fatto si mantengono, quindi non si pone l’aut-aut. Anche qui
dunque il « buon senso » invocato va
in direzione diversa da quella indicata da S. Rostagno.
d) Si noti che l’Associazione Amici del Collegio e della Scuola Latina
ha già raccolto numerosi impegni annui di sottoscrittori per il mantenimento di questi nostri Istituti; verrebbe dunque assicurata una decurtazione assai forte del deficit relativo. E si
noti che non si tratta, spesso, di grandi assegni, ma di modesti impegni di
gente che lavora sodo e non sciala,
piccoli borghesi come ce n’è tanti fra
noi.
2. Le statistiche. È già stato detto e
ridetto: le statistiche di questi ultimi
anni non sono affatto decisive, perché
sono anni che il Collegio vive in stato
di imminente disarmo. Il buon senso
vuole che quando una pianta stenta,
la si poti, sarchi, concimi, innaffi, e
solo dopo ci si risolva, eventualmente,
a tagliarla e a ripiantarne- un’altra; o
che quaildo un motore perde colpi, lo
si revisioni, ripari, lubrifichi, e solo
dopo ci si risolva, eventualmente, a
gettarlo ai ferri vecchi e a sostituirlo
con uno nuovo. Il nostro buon senso
è consistito invece o nel lasciar correre, o nel dare qualche colpo di zappa
nel terreno, recidendo radici e fibrille,
o nell’inserire nel motore un po’ d’acqua o di acido corrosivo. O guarda, si
dice poi, secca! o guarda, è arrugginito! Misteri del buon senso.
3. E un fatto che i giovani delle Valli vanno sempre più numerosi alle
scuole di tipo tecnico di Pinerolo. Stranamente, qui non hanno più nulla da
dire, proprio coloro che hanno tanto a
cuore i miseri legati alla condizione
operaia (e che sia dura, ne sono fermamente convinto, ed è sempre con
coscienza inquieta — ma senza vedere via di uscita, dato che i modelli
orientali sono tutt’altro che invitanti
— che mi siedo alla mia macchina da
scrivere o nella mia utilitaria). Sicché
si verifica questo paradosso: coloro
che gli studi classici o comunque superiori li hanno fatti, da un lato lamentano la condizione operaia verso
la quale tanti sono fortemente condizionati, e dall’altro non sanno fare di
meglio che offrire convitti a coloro che
su quella via si mettono.
È stato detto che il ginnasio-liceo è
una scuola classista. Qui c’è un equivoco: è una scuola classista per quello che vi s’insegna, o per quelli che la
frequentano? Nel primo caso, e pur riconoscendo (ricordo il mio liceo...)
quanto c’è da innovare, mi permetto
la domanda: i giovani del movimento
studentesco, che tale esigenza di rinnovamento hanno giustamente imposto all’opinione pubblica e ai governanti, dove mai si sono formati? È
pur caratteristico che siano stati gli
studenti delle facoltà umanistiche (incluse, logicamente, architettura e me
iimiiiiitiiiinimiiiiii
Concreio ed asiraiio, ovvero:
armiamoci e... parliie!
dice un anziano di Genova
Con l’approssimarsi del Sinodo Valdese e in
vista dei problemi vecchi e nuovi che durante
le sue sedute verranno trattati e... bistrattati,
ho sentito il dovere, nella mia qualità di vecchio e di anziano della Comunità di Genova,
di rileggermi attentamente le due Relazioni
che, in epoche diverse, vennero pubblicate sul
tema del « Collegio ».
I due studi compilati con sofferta imparzialità dai migliori nomi del vajdismo, esaminano
a fondo e con competenza, in tutti i loro
aspetti : etnico, religioso, psicologico, ambientale, sociale ed economico Talternatìva di mantenere o no, in vita un istituto scolastico onusto di rimembranze ed affetti locali.
A qualsiasi lettore, anche il più prevenuto,
oserei dire, anche il più « tifoso » non può
presentarsi, se davvero, a fatti e non a parole,
ama la sua Chiesa — che, è bene ricordare,
prima di essere valdese è soprattutto « cristiana » — che una logica, sincera conclusione; i fatti, documentatissimi, e l’evidenza
inoppugnabile delle cifre con la loro tremenda poesia, parlano chiaro; volerli ignorare e
demandare al Signore di sbrigare quello che è
nostro indefettibile dovere di fare, il voler,
con comoda elegante « souplesse » saldare i
bilanci citando versetti o rifacendosi a lamentosi ricordi del passato, è una soluzione aUegra per risolvere drammatici problemi; a mio
avviso — e credo di non esser solo — tutto
questo non è, né giusto, né cristiano : « ora et
labora »; solo i fatti contano, solo i sacrifici di
beni e di tempo risolvono i problemi contingenti e umani; chiedere a tutte le chiese vaidesi d’Italia di accollarsi un onere che ogni
anno si dimostra sempre più gravoso, senza
che risultati tangibili vengano conseguiti, è
troppo disinvolto; le statistiche parlano chiaro;
a noi gli studenti costano un milione l’uno,
mentre allo Stato — se quello che han detto
alla TV è vero — lo studente costa L. 65.000.
E c’è di più : le frequenze sono nella proporzione di un terzo di studenti valdesi contro
due terzi di cattolici.
Se questi venti e più milioni annui, li spendessimo in borse di studio per i nostri ragazzi,
e pensassimo una buona volta, al gravissimo
problema della fuga, ognor crescente, dei giovani dalle nostre comunità, se invece di gingillarci in vieti luoghi comuni e pietosi circoli
viziosi, affrontassimo coraggiosamente questo
tremendo problema e ne cercassimo le cause e
le ragioni, credo che ci vorrebbe ben poco a
confessare, onestamente, che mantenere in
vita un cadavere anziché addolcirgli la fine
con una ragionevole eutanasia, è poco serio,
poco onesto, affatto cristiano; e, per favore
non mi controbattete citandomi dei versetti
« ad hoc » che sono dei troppo comodi diversivi per evitare di prendere visione della
realtà.
Basta con i frettolosi ordini del giorno a
favore del « Collegio » quando capita di leggere che da parte di qnalche chiesa valdese le
contribuzioni arrivano — quando arrivano alla Tavola — in ottobre per tacere di altre
inadempienze del genere; ripeto: fatti e non
chiacchiere o preghiere ipocrite che non costano e risolvono nulla.
Basta con la vergogna ormai endemica, di
mandare all’estero, in fatiche estenuanti, i nostri moderatori, solo perché i valdesi — e ce
ne sono che guadagnano milioni al mese, non
sentono il dovere di far si che la Chiesa Valdese in Italia sappia bastare a sé stessa — e lo
potrebbe; eccoli i problemi da risolvere.
In quanto al « Collegio », ora che fra non
molto sarà ultimata la strada che conduce alPra e oltre, quale migliore occasione per saperla sfruttare intelligentemente, mentre che i
« nostri professori possono svolgere (cito dal
commento della Tavola Valdese sull’argomento in esame) individualmente o in gruppo una
più eificace opera nella Scuola di Stato ».
Il problema del « Collegio » sarà certamente dibattuto aspramente in seno al Sinodo, anche se è lecito pensare che l’ambiente non sia
il più adatto per escludere totalmente una legittima suspicione; speriamo che sia speditamente risolto e lasci il tempo per affrontare e
possibilmente risolvere ben più importanti
questioni; purtroppo devo sinceramente dichiarare che, ove la Tavola decidesse come,
per l’ultimo esercizio, di continuare a devolvere dalle più o meno sudate contribuzioni,
una quota pari a quella stanziata per l’esercizio precedente, manderò, malgrado la disapprovazione dei maggiorenti della mia comunità,
l’intera mia contribuzione direttamente e solamente agli Istituti Valdesi di Beneficenza in
Italia.
E se ho torto, fatemelo sapere.
L’anziano Federico Schenone
Genova
dicina) ad avviare un movimento, rimbalzato poi nelle scuole superiori classiche e quindi in tutte le altre; dunque, questo nostro vecchio liceo in un
modo o nell’altro forma ancora delle
persone alla critica. Penso piuttostoche si sostenga che il ginnasio-liceo
(pure il nostro) è classista perché' lo
frequentano figli di borghesi: anche se
il giudizio non è vero né al 100 né al
90%, riconosco che l’osservazione dello stato di fatto lo giustifica in larga
misura; ma il problema è: come lottare contro tale stato di fatto? è un
gesto di buon senso semplicemente
chiudere tale scuola, o non sarebbe
gesto di buon senso evangelico tenerla
effettivamente aperta a coloro che abbiano i doni e il desiderio di seguire
quella via (conosco personalmente più
di un caso di nostri valligiani, ai quali solo le condizioni di vita e familiari
hanno vietato questa via, e che ci stanno sulla coscienza come chiesa)? Lottare contro una scuola effettivamente
classista, per una chiesa significa dunque chiuderla o renderla veramente
aperta a tutti (borse di studio, anche
pre-salario), piccolo segno non risolutivo ma significativo nella realtà del
paese?
E c’è un altro aspetto: perché —
qualora la percentuale sia effettivamente calata — sono oggi meno numerosi coloro che nelle nostre comunità, e nelle Valli in particolare, mandano i loro figli al ginnasio-liceo? Non
c’è anche qui un confluire fra la deprecata (a parole) corsa al benessere e
un progressivo disamore per la cultura nel senso più profondo e nobile del
termine? Quanti dei padri o dei nonni
dell’ attuale « borghesia » nostrana
mangiavano polenta e castagne ma tenevano, a prezzi di sacrifici oggi impensabili, che i loro figli studiassero?
Eppure erano in condizioni fortemente
svantaggiate rispetto a quelle attuali
della massa delle nostre comunità, e
della popolazione delle Valli in particolare. Se in quello sforzo c’era, evidentemente, anche l’anelito a sfuggire
a una dura condizione sociale, almeno
nei propri figli, era forse tutta retorica quella che faceva definire queste
popolazioni « i montanari colti »? E,
continuo, qual’é la responsabilità proprio della borghesia nostrana e in modo tutto speciale del corpo pastorale,
durante decenni, circa il diffondersi di
questo disamore e di questa sfiducia
per la cultura? non ha qui radice anche quell’incultura biblica e teologica
che purtroppo oggi ci caratterizza, e
quel provincialismo che avvelena tante questioni o le deforma o lascia l>:ntamente posare sulle cose pesanti strati di polvere? Non mancano le eccezioni, e vi sono qua e là segni di risveglio in varie direzioni, ma nel complesso la situazione è questa.
4. Quanto sopra dovrebbe chiarire
che non idoleggio il « Collegio » così
com’é; pur non conoscendo più da! di
dentro la situazione, pur riconoscendo
lo spirito di sacrificio e di pazienza di
molti che vi hanno lavorato e vi lavorano, pur ricordando lo stillicidio cui
è stato sottoposto da anni, non si può
dire che esso, attualmente, si presenti
come un centro di pensiero e di irraggiamento molto vivo, né il suo corpo
insegnante come un corpo, appunto,
armonioso, solidale e pieno di vivacità. E colpa assai più nostra (di tutti,
però!) che loro. Comunque, penso che
un centro di studi, a Torre Pellice —
quale quello proposto dalla Tavola —,
indubbiamente utile anzi necessario,
debba essere logicamente legato al
ginnasio-liceo rinnovato. Non credo
che abbiamo le energie, le possibilità,
né che sia logico avere a una ventina
di km. in linea d’aria e a poco più di
un’ora di macchina due centri di questo tipo, forzatamente paralleli: Agape
e Torre; chi ci andrà? Viceversa, legato al « Collegio » — lo ripeto, un Collegio ripensato e rilanciato, rinfrancato
— esso ha una-iadubbia possibilità di
vita e di azione, sia locale e valligiana,
sia più ampia come centro di studi
valdesi.
5. Pur essendo logicamente aperto
in modo particolare agli studenti vaidesi delle Valli,come lo è stato in passato, così oggi esso dovrebbe essere
un servizio offerto a tutte le famiglie
evangeliche italiane. E qui bisogna fare due rilievi:
a) Il primo riguarda il Convitto di
Torre; esso è stato creato in funzione
del Collegio e gradatamente, senza che
siano state prese decisioni, se ne è fortemente staccato; a me pare che esso
debba vivere in simbiosi — anche se
in reciproca relativa autonomia — con
questo. Poche settimane or sono la direzione ha diffuso alle famiglie degli
alunni e agli amici un numero della
circolare periodica — sempre accurata — nel quale si invitava a fare al più
presto le iscrizioni, limitandole alla
!=■ liceo. Dunque: o 1) questa è la linea
che la Direzione segue in generale, o
2) la Direzione dà già per chiuso (si
tratterebbe probabilmente di una
chiusura graduale) il ginnasio-liceo;
nei due casi ci sono da fare serie riserve sulla correttezza di questa limitazione, perché o 1) la Direzione e la
Commissione del Convitto interpretano in modo molto particolare la volontà della chiesa, o 2) mettono il carro
prima dei buoi (= sinodo).
b) Il secondo riguarda Tinformazione. Ho sott’occhio un bel dépliant,
vivace e invitante, che il Liceo linguistico di Rivoli, opera della Unione battista d’Italia (o della Missione battista
in Italia), lo scorso autunno aveva lar-
7
8 ogosto 1969 - N. 31-32
pag. 7
gamente diffuso nelle comunità evangeliche italiane e probabilmente all’esterno. Quando mai abbiamo fatto
qualcosa del genere? quando mai si è
visto qualche annuncio relativo ai nostri istituti d’istruzione secondaria sulla stampa evangelica italiana? dov’é
finito il film sul Collegio? i professori
non potrebbero girare le comunità, secondo un piano, parlando dei nostri
istituti, dei loro problemi, delle loro
possibilità? e, specialmente alle Valli,
non potrebbero entrare maggiormente
nel vivo della vita comunitaria con
conversazioni di varia cultura, che la
facciano sentire nei centri e nei quartieri come realtà viva, .appassionante,
degna anche di sacrifici?
Sulle questioni di fondo molto è già
stato detto, da molti: in particolare
dal prof. Giorgio Peyronel sulla pretesa « laicità » dello Stato e della sua
scuola, dalla Tavola sulla tensione
scuola confessionale-scuola confessante, da molti sulla pedagogia evangelica, cioè una pedagogia critica orientata dall’Evangelo; e ancora sul fatto
che non si tratta di antitesi fra due
posizioni: c'è ampio campo di testimonianza e di servizio, per i nostri insegnanti, sia nelle scuole di Staio che
in quelle ecclesiastiche.
È una situazione aperta, di ricerca
— disconoscono questo fatto coloro
■che sono per la pura e semplice conser\azione, pensando che tutto va bene c che la colpa è soltanto di un
gruppo di sabotatori... — ma una ri•ceri a che vale la pena di compiere.
A me il buon senso dice questo. Certo, sono un borghese....
Gino Conte
Contro la fame
degli altri
( intinuano a pervenirci le sottoscr ioni alla nostra iniziativa, sia
pus a ritmo rallentato (forse la cosa imputabile alle vacanze estive. 1 e pubblicheremo pertanto un
nu. o elenco sul prossimo numero.
'1 frattempo la signorina Anita
■Ga ci scrive da Libreville (la capiTab del Gabon) dove si trovava nei
gio' (i scorsi per il Sinodo, per precisi ci di aver ricevuto già in parte
1 n stri vaglia e riservandosi di farci c rere prossimamente ulteriori notizi sul « Centre familial » che ha
nei ssità di essere aiutato per proseguire nella sua opera di innalzamento sociale e nella lotta contro
la denutrizione dell’infanzia.
ilicordiamo perciò ancora una
volta che attendiamo sempre con viva ijteranza e riconoscenza le sottoscrizioni dei nostri lettori, sottoscrizioni che vanno preferibilmente inviate al conto corrente postale num.
2 'Ì9878 intestato a Roberto Peyrot,
corso Moncalieri 70, 10133 Torino.
kL ECUMENICO Di AG/ÌPE
Cristianesimo del dissenso, oggi
Una settantina di cattolici e protestanti di vari paesi europei avvertono una reale, anche se imperietta, comunione di ricerca - Al termine, una ‘cena’ comune; ma sul contenuto ognuno a suo modo
Federazione delle Chiese
evangeliche in Italia
Con il « Campo ecumenico » si è aperta la
stagione dei campi internazionali di Agape,
anche quest'anno centrati sui grandi temi
della riflessione del nostro tempo. In questo
articolo il direttore di Agape, pastore Franco
Giampiccoli riferisce direttamente del campo
ecumenico che con una larga partecipazione di
cattolici e di protestanti ha affrontato il tema
delVautorità e del rinnovamento della chiesa
e che si è concluso con una « Cena » comune:
un gesto insolito, che viene spiegato nel documento che riproduciamo nel riquadro. Riprendiamo questo articolo e il documento dalVultimo n. di « Nuovi Tempi »,
Dal 13 al 22 luglio si sono riuniti ad Agape
una settantina di partecipanti al campo internazionale cc Cristianesimo del dissenso, oggi »,
provenienti in gran parte da Francia, Germania ed Italia, oltre che dalla Svizzera, dalla
Svezia, dalla Spagna e dalla Cecoslovacchia.
Nella prima parte del campo i partecipanti
hanno udito diverse testimonianze da parte
di rappresentanti di gruppi cattolici o protestanti o misti su esperienze diverse di forme di
vita comunitaria e di servizio in cui la fede
cristiana trova oggi espressione talvolta in
aperta critica nei confronti del tipo di organizzazione ecclesiastica e di concezione ecclesiologiea tradizionale. Sono state udite per esempio
testimonianze sulFesperienza comunitaria ed il
tentativo di lavoro parrocchiale della comunità
della Resurrezione di Firenze, sulle idee che
soggiacciono alFesperienza della comunità del
Vandalino a Torino, o sul lavoro nel campo
della scuola condotto dalla « Comune » di Cinisello (Milano).
Al termine di questa prima parte — e dopo
una testimonianza da parte di una partecipazione spagnola sulla situazione delle chiese in
Spagna — il padre domenicano francese Gerest, da diversi anni fra gli organizzatori dell’incontro, ha fatto il punto sulla contestazione dell’autorità nella chiesa cattolica distinguendo tre livelli di questa contestazione : il
livello di chi contesta la forma attuale che
l’autorità ha rivestito fino ad oggi criticandone
l’autoritarismo ma senza metterne in questione l’essenza; il livello di chi contesta il meccanismo di scelta dell’autorità contrapponendo una designazione dal basso all’attuale meccanismo di trasmissione ed investitura dall’alto; il livello infine di chi contesta il concetto stesso di autorità rivendicando la necessità di una sua totale scomparsa e di un’assenza del potere come condizione per la fedeltà
della vocazione cristiana.
Nella seconda parte del campo i partecipanti, divisi in gruppi, hanno affrontato lo
studio di alcuni temi emersi nel corso della
prima parte : il concetto di autorità c di potere nella comunità cristiana oggi alla luce della
contestazione, la necessità della creazione di
un nuovo linguaggio e di conseguenza necessità di una nuova lettura del testo biblico, le
possibilità di una azione di rinnovamento nella chiesa odierna e Tavvenire della contestazione neU’ambito del rinnovamento della chiesa cristiana, il rapporto fra la contestazione e
le strutture ecclesiastiche.
iiiiiimiminMiiiiliiliiiiii
iuando si cambia blaarlo
N I 1912, in seguito alla legge Credai-1, lo Stato avocava a sé le scuole
elciiii'iitari, fino allora dipendenti dalle autorità comunali. La Chiesa Valdese \ univa in modo particolare colpita
da oueslo provvedimento, perché da
seculi, grazie all’aiuto del Comitato
Val ione e poi del Beckwith, essa mantene\a, in collaborazione con i Comuni, una fitta rete di scuole fin nelle più
remote borgate delle Valli.
In un primo momento la Chiesa non
aveva fatto cattivo viso alla diversa
situazione, anzi le era apparso che fosse, so mai, mutata in meglio. La Tavola (Moderatore Bartolomeo Leger)
cosi esprimeva le sue speranze: « Le
faciliiazioni che il Governo accorda
per la costruzione degli edifici scolastici rispondendo sempre meglio alle
esigenze moderne, i sensibili miglioramcnti recati agli stipendi degli insegnami, compresi quelli delle scuole facoltative e di quartiere, una sorveglianza più seguita e illuminata sulVinsegnamento, sono, senza dubbio, dei
vantaggi che, saggiamente adoperati,
potranno aprire davanti a noi dei nuovi progressi, di cui saremo i primi a
rcdlegrarci ».
Al primo momento di entusiasrno
seguirono però le preoccupazioni. Già
nel 1913 lo stesso Moderatore esprimeva il timore che « le nostre scuole per
quanto cotíceme la loro direzione didattica finiscano per sfuggirci ». « Bisognerà dunque difendere almeno
quanto più ci sta a cuore, l’insegnamento della Bibbia e del francese e la
difesa di queste ultime posizioni potrà
essere facilitata dal fatto che i Consigli comunali sono formati da elementi
Valdesi ».
E vero che secondo la stessa legge,
i Comuni avrebbero potuto mantenere
l’autonomia delle loro scuole, ma le
autonomie costano e i Comuni erano
ben lieti di scaricarsi di un così grave peso. Perciò, prosegue la Tavola
l’anno seguente « constatiamo non
senza timore per l’avvenire, che l’amministrazione delle .scuole elementari
passerà l'anno prossimo dai Comuni
alle Provincie. Non potremo mai abbastanza raccomandare ai Concistori
come ai Comuni, composti in maggior
parte di Valdesi, di vegliare affinché
Dopo la discussione dei gruppi su questi
quattro temi il campo si è concluso con una
sintesi elaborala dal prof. Crespy da cui è
emerso :
1) Il valore determinante della comunità come unica possibilità di attualizzare il
messaggio evangelico: l’amore e la fede concepiti individualisticamente eonducono, o al
terrorismo (si detiene il potere e si cerca di
imporre questi valori) o alla disperazione (la
gente rifiuta questi valori e non si sa quindi
più che farne).
2) Nel passato la fede cristiana è stata
concepita come un sistema di verità immobili
da cui si poteva dedurre il comportamento
della fede. Oggi si ragiona di più in un senso
biblico (e non deduttivo-speculativo) in cui
la verità è riconosciuta nell’esperienza storica
e questa permette di correggere l’idea che se
ne ha (si pensi all’Antico Testamento, in cui
ogni generazione ha ripensato l’esodo a partire
dalla propria situazione storica).
3) Questo nuovo modo di pensare, che
mette in questione le chiese, non porterà verosimilmente all’esperienza della Riforma del
XVI secolo e cioè alla formazione di una « contro-chiesa ». D’altra parte si manifesterà sempre più l’esigenza, per i gruppi, di vivere
insieme. Su che base? L’unica base comune
e riconosciuta emersa nel campo è il riferimento all’Evangelo, non garantito nella sua
autorità da un magistero, ma incontrato come
una nuova possibilità : la possibilità di vivere
conoscendo già ora il fine della storia.
4) In questo contesto si pone il problema
del linguaggio nuovo della fede, che non può
più essere il linguaggio descrittivo riferito alla natura delle cose (Dio, l’uomo, ecc.), tua
che deve essere un linguaggio riferito aUa possibilità di una continua trasformazione nella
storia.
Terminando il prof. Crespy ha notato che
ogni contestazione « provoca ». Altrimenti
non è una contestazione. Ma spesso non si
pensa che « provocare » non vuole dire parlare contro ma parlare per, non è un discorso distruttivo, ma costruttivo. Il sofisma di
chi dice : potete distruggere solo quello che
potete riedificare, può diventare vero se si dimentica il fatto della provocazione. Non è un
sofisma invece se questa realtà positiva della
provocazione rimane chiara come realtà ed
esigenza davanti a noi. Ma parlare per chi?
Forse è la questione più importante, che non
è stata risolta a fondo nel campo su cui dovremmo tornare. L’importante ora è sottolineare l’esigenza che siamo in moto per una trasformazione, perché la chiesa sia veramente la
comunità di Gesù Cristo.
Il campo si è concluso con una cena nel
corso della quale è stato compiuto un gesto
lungamente meditato e discusso nel campo e
che è espresso nella dichiarazione che si legge
in questa pagina.
Franco Giampiccoli
r
La “cena,, di Agape
n
I partecipanti al campo ecumenico di
Agape riunito dal 13 al 22 luglio 1969 riconoscono di aver vissuto i giorni delVincontro come un periodo di ricerca in spirito- di comunione fraterna.
Per la maggioranza di noi questa comunità di ricerca era fondata in Cristo ed
era motivata da una volontà di testimonianza alVEvangelo.
In questo spirito abbiamo voluto inserire nelVultimo pasto serale un gesto di
particolare comunione, consistito nella distribuzione del pane e del vino preceduto
dalla lettura del testo di I Corinzi 11.
Riconosciamo o. questo gesto i caratteri
di un preciso riferimento alla persona di
Gesù Cristo, al ratto che ad unirci è
VEvangelo ed il lignificato di una indicazione, sia pure incompleta e sofferta, delVunità dei cristiani.
È stato chiaro per tutti che questo gesto
di comunione esprimeva solo Vunità di ricerca e di speranza a cui siamo giunti nel
lavoro comune di queste giornate; era
escluso ogni senso di trionfalismo ecclesiastico nel senso del raggiungimento di
una unità delle chiese.
Siamo coscienti del fatto che erano presenti fra noi diverse comprensioni: per alcuni infatti si è trattato di una Santa Cena o di una Eucarestia, per altri di un
senso eucaristico, per altri di un gesto
simbolico.
È stato altresì chiaro a tutti che non
si è con questo gesto voluto realizzare una
forma allargata di concelebrazione eucaristica né si voleva attuare una facile e superficiale svalutazione delle diversità e dei
motivi di divisione che sussistono tutt’ora
fra credenti di diverse confessioni.
l’insegnamento biblico sia mantenuto
nelle nostre scuole ».
Così si continuò ancora per qualche
anno senza troppi inconvenienti, tanto
più che il corpo insegnante era composto nella quasi sua totalità di Vaidesi. Ma l’avvenire dimostrerà che
quando si cambia di binario, anche se
al principio il panorama non cambia
necessariamente, si arriva poi a delle
stazioni diverse.
Non ci possiamo dilungare sulla
questione della imposizione del crocifisso nelle vecchie scuole Valdesi; delle crescenti difficoltà per l’insegnamento religioso; della soppressione delle
scuole con meno di venti alunni; della
graduale trasformazione di queste
scuole in organi di partito e di tutte
le conseguenze che la statizzazione delle elementari ha avuto nella vita della
Chiesa. Il Prof. Luigi Micol così si
esprimeva: « La legge Credaro del
1912, che diede nuovo slancio all’insegnamento elementare, ebbe conseguenze piuttosto gravi per le scuole valligiane. L’autorità scolastica le avocò a
sé e le affidò a personale diplomato.
Fu un grave danno perché l’aggravio
finanziario fu tale che molte scuole
quartierali furono soppresse, rimanendo solo quelle del centro. La situazione determinò l’immissione nel personale insegnante delle Valli di persone
ignare dell’ambiente, che non conoscevano il francese e che richiedevano
trasferimenti anche più volte nel corso dell’anno scolastico ».
E poiché una cosa è collegata all’altra, dopo le scuole elementari venne
il turno di un altro istituto di istruzione secondaria. Nel 1913 il Moderatore
esprimeva il timore che le scuole elementari potessero essere tolte alla
Chiesa. Dodici anni dopo la Tavola decideva di chiudere quella Scuola Normale (cioè l’Istituto Magistrale) che
dal 1852 aveva preparato i suoi insegnanti elementari. Bisogna essere cauti nel formulare un giudizio. Forse le
circostanze non consentivano altra
scelta. Quello che è certo è che di
quella decisione oggi stiamo raccogliendo i frutti.
Roberto Nisbet
XV Agosto a Prarostino
Quest’anno RIUNIONE UNICA per le due Valli al COLLARETTO di PRAROSTINO
PROGRAMMA
- Culto presieduto dal Pastore Marco Ayassot.
- Tavola Rotonda sulla Predicazione, con interventi di
Marco Gay (Pinerolo) - Alberto Taccia (Angrogna) Ernesto Ayassot (Torino) - Giorgio Tourn (Agape).
- Pranzo al sacco.
- Giorgio Bouchard: Il Centro Evangelico « Jacopo
Lomhardini » di Cinisello - Franco Davite: Il Sinodo
di Roccapiatta.
- Sono previsti altri interventi su temi di attualità.
ore 10
ore 11
ore 12,30
ore 15
Indicazioni utili
Ampio parcheggio per automobili a pochi metri da luogo di riunione - Fontana - Banco
di panini e dolci - Tè, caffè, bibite - Vendita - Pesca per grandi e piecini.
Per chi arriva da Torino-Pinerolo o dalla Val Pellice, il tragitto più breve è : San Secondo-bivio per Prarostino-borgata Podio-Buffe-Collaretto.
Per chi arriva dalle Valli Germanasca e Chisone: Ponte San Mertino-bivio per Borgata
Gay-borgata Gay-borgata Podio-Biffe-Collaretto.
Il tratto: Podio-Buffe-Collaretto (percorribile da qualsiasi tipo di autovetture, ma stretto
e non asfaltato) sarà a senso unico a salire fino alle ore 16 e a senso unico a scendere dopo
quell’ora. Chi vorrà scendere prima delle 16 potrà usare la strada: Collaretto-San Bartolomeo-Podio-San Secondo oppure la strada: Collaretto-San Bartolomeo-Mas.sera-San Secondo.
I pullmann troveranno posto per parcheggiare alla borgata Podio, che dista una ventina
di minuti a piedi dal luogo di riunione.
Chi non volesse pranzare al sacco potrà trovare ristoranti in località San Bartolomeo.
In easo di cattivo tempo la riunione avrà luogo nel tempio di San Bartolomeo e la vendita di rinfreschi nella vicina sala del tempio.
liliilinillllllllllKIXXBimi
iiiimiiiiiiiiiiiimmiiiiimimiitMii
Ululili....................
MiiiiiiiiiummiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiimiiMiiiiiiiiiiimiiiiiiiiimimiiiimn
Si apre la XX Mostra d’Arte di Torre Pellice
Sabato 9 Agosto sarà inaugurata la Mostra
d’Arte Contemporanea di Torre Pellice, che
quest’anno è alla sua ventesima edizione. La
cerimonia d’apertura avverrà come nel lontano 1949, nell’aula Sinodale, mentre la Mostra come sempre. Si svolgerà nelle aule del
Collegio Valdese.
Ci informa il suo organizzatore prof. Filippo Seroppo, che anche quest’anno saranno
presenti delle grandi firme della pittura ita
Oflerte per le pepelazleni
del Biefre
(Quinto elenco)
Importo elenchi precedenti L. 2.165.890
Chiesa Valdese, Vallecrosia L. 10.000; fa
miglia Ing. Gualtieri, Milano (2‘ off.) 10.000
alunni III elementare, ins. Fiorentine Eynard
Torre Pellice 11.000; Chiesa Valdese, S. Ger
mano Chisone, (7*, 8* e 9“ offerta) 15.000
Comunità Metodista di Ungua inglese, Roma
451000; Emilia Peyrot Albarin, Torre Pellice
500; Margherita e Carlo Gönnet, Torre Pellice
1.000; E. Vertu, Torre Pellice 5.000; Gino
Conte, Torino 5.000; Bianconi Mario, Roma
10.000; Emanuele Griset, Torino 10.000; Comunità Metodista, Cremona 8.000; ClementinaArnoul, Angrogna 1.000; Mirella e Ernesto
Bein, Torre Pellice (3* e 4“ offerta) 10.000;
Chiesa Battista della Garbatella, Roma 100
mila; Chiesa Valdese, Frali 50.000; Lauriero
Michele, Trani 2.000; Chiesa Valdese, Bobbio
Pellice 19.010; Corso catecumenato della
Chiesa Battista di Catania 8.000; alunni Seuola Domenicale «Inverso», Torre Pellice 7.200;
Scuola Domenicale, Rodoretto-Fontane 6.000;
Renata Pampuro, Genova 5.000; B. P., Bergamo 50.000; Chiesa Valdese, Torre Pellice
6.375; R. Arena, Catania, 5.000; fam. Nuzzi,
Catania 2.000.
Totale L. 2.568.435.
Offerte lo occasleee
Gieroata dell'eieiiraiite
(Primo elenco)
Chiesa Metodista, Roma L. 22.500; Chiesa Metodista, Genova-Sestri, 8.000; Chiesa
Valdese, Sampierdarena 8.000; Chiesa Battista, Genova-Rivarolo 5.000; Chiesa Valdese
Via dei Cimbri, Napoli 9.200; Unione Chiese
Avventiate 25.000; Chiesa Valdese,-San Germano Chisone 16.000; Unione Femminile Valdese, San Germano Chisone 5.0.000; Chiesa
Metodista, Bologna 25.000; Chiesa Metodista,
Novara 14.400; Chiesa Metodista; Alessandria
12.440; Chiesa Metodista, Vicenza 9.000;
Chiesa Metodista, Trieste 12.500; Chiesa Metodista, Venosa 3.000; Chiesa Metodista, RapoBa 3.000; Chiesa Metodista, Scicli 3.080;
Chiesa Battista, Genova-Cornigliano 3.000;
Chiesa Battista, Milano 15.000.
Totale L. 244.120.
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RINGRAZIAMENTO
La moglie di
Luigi Montaldo
ringrazia i Past. Rogo e SonelU, il dottor De Bettini la Direttrice ed il Per.
sonale dell’Ospedale di Torre Pellice,
come pure tutti quelli che le sono stati
vicini nella dolorosa circostanza della
dipartita del Marito.
Gesù disse : « Io sono la risurrezione e la vita ; chiunque
crede in me, benché sia morto vivrà» (Ev. Giov. 11: 25)
« Vous aurez des tribulations
dans le monde, mais prenez
courage, j’ai vaincu le monde »
(Jean XVI: 33)
M.me Emmanuel Brosia et son fils
Jean-Pierre; Mr. et M.me Artuso; Mr.
et M.me Barthélémy Brosia; les familles Brosia, Chambón, Lageard, Meynier, Pons, Rostan ; Mr. et M.me Jean
Poirot et leur fille; parents et alliés
ont le regret de faire part du décès de
Monsieur
Emmanuel Brosia
survenu à Marseille à l’âge de 71 ans,
le 27 Juillet 1969.
229, Boulevard Chave.
liana e straniera. Una sezione sarà dedicata
al disegno dei giovani, mentre un’altra sarà
dedicata agli artisti scomparsi, ma già presenti nelle passate edizioni. Tra questi figurerà, assieme a Fontana, Casorali, Sironi, Foutier, ecc. anche il nostro Charles Rollier,
mancato lo scorso anno a Ginevra.
Alla manifestazione culturale, nota per la
serietà delle scelte artistiche auguriamo il più
meritalo successo.
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Bassa stagione da L. 1.700
Alta stagione da L. 2.000
Informazioni; Sig. Revel Egidio
presso Hôtel Elite
47045 Miramare di Rimini
8
•pag. 8
N. 31-32 — 8 agosto 1969
ISotiziario
ecumen ico
______________a cura di Roberto Peyrot
LA CONFERENZA
DI TUTTE LE CHIESE DELLTJRSS
PER LA COOPERAZIONE
E LA PACE FRA I POPOLI
Mosca-(soepi) e hà conferenza di tutte le
lelieippi jdeirUrss per la cooperazione e la pacpit^ .iivpapoli, recentemente riunitasi a ZagoitJSs vicino a Mosca, comprendente 180 deleggici di-, 2.5 organizzazioni religiose dell’Unione, ^sovietica (buddiste, mussulmane, ebraiche
e piistiane), nonché 118 invitati di 39 paesi
straiueri hanno Votato diverse dichiarazioni,
relative alla situazione internazionale.
La dichiarazione sul Vietnam condanna la
« guerra aggressiva degli. Stati Uniti » guerra
prossima al a genocidio ìt e «la più vergognosa- dei nostri tempi »; essa fa inoltre appello
« a tutti gli uomini di buona volontà affinché
contribuiscano a ristabilire il più presto possibile la pace nel sudest asiatico ».
Altro problema bruciante, il Medio Oriente: la risoluzione chiede l’applicazione del
Consiglio di Sicurezza deU’ONU del 22 novembre 1967, « Ut cessazione incondizionata
delle provocazioni armate di Israele contro
gli stati arabi vicini » ed il ritorno dei profughi palestinesi.
Infine, essi hanno condannato « la politica
di apartheid ed il razzismo d; « Noi dichiariamo che qualsiasi oppressione dell'uomo sull’uomo e qualsiasi asservimento di un popolo
ad un altro... costituiscono un peccato ».
In un appello ai credenti del mondo intero i partecipanti dichiarano «• che si sono riuniti per rispondere alla comune professione
di fede che comanda loro di seguire la via
della pace e della giustizia e di operare per la
collaborazione fra gli uomini ».
L’appello aggiunge che l’appartenenza dei
partecipanti a diverse religioni non può impedir loro di « consacrare le loro forze, a fianco a fiianco, al servizio dell’umanità, sia sul
piano locale, rumotude od intemaàorude ».
In un messaggio d Congresso, Kossighin, a
nome del governo ha augurato <r un lavoro
fruttuoso in favore della pace » sottolineando
che « esso apprezza molto tutti gli sfòrzi, compresi quelli delle organizzazioni religiose, intesi a raggiungere detto scopo ».
(N.dj.: Peccato che la Conferenza non abbia anche rivolto la sua attenzione all’attuale
tensione russo/cinese, gravida di incognite,
paurose non solo per i due paesi interessati).
IL CRISTIANO
DEVE IMPEGNARSI NELL’AZIONE
POLITICA E SOCIALE
Ginevra (soepi). - Per un cristiano, l’azione
economica, politica e sociale è assolutamente
necessaria, ha dichiarato il prof. A Philip,
presidente dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economici (OCDE) in un
sermone pronunciato a Ginevra nella cattedrale di S. Pietro, in occasione del cinquantenario dell’Organizzazione intemazionale del Lavoro.
Egli ha affermato con forza che l’azione del
cristiano deve anzitutto raggiungere gli uomini perché « la testimonianza è più importante dell’efficacia » e che « l’essenziale dell’azione è, sempre, il preparare ed organizzare
il dialogo ».
Nel ricordare le parole di Giovanni : « Il
cristiano è nel mondo, ma non di questo mondo » egli ha dichiarato che il credente « non
deve mai accettare una sacralizzazione della
natura. Non si inchina né davanti ad una legge naturale, né davanti ad un diritto naturale,
né davanti ad una morale naturale... L’uomo
libero non si inchina mai davanti alla realtà
statica o dinamica; non cede né al costume né
alla moda, né al vento della storia; attraverso
di lui, è lo Spirito Santo che si manifesta, sia
nel giudizio che nell’azione ».
Nel mondo che sta per nascere dopo la trasformazione radicale delle strutture sociali e
del profondo scuotersi dell’equilibrio internazionale, il cristiano deve « in ogni momento,
ed a proposito di ogni problema, sostenere il
gruppo che riunisce i più disgraziati, libero,
a seconda del momento, di cambiare di campo
come la giustizia, eterna fuggitiva dal campo
dei vincitori ».
E « solo una vita interiore personale permette di restare nello stesso tempo solitari
nella riflessione e solidali nell’azione ». Quello di cui l’uomo ha bisogno oggi è di <r uno inventiva permanente, di una risposta aUa sfida
che Dio lancia ad ogni moménto attraverso
agli avvenimenti, interpellandoci: Caino, che
cosa hai fatto di tuo fratello? ».
LA CONTESTAZIONE
IN GIAPPONE
Tokio fsoepi). - Nove studenti della facoltà
di teologia luterana in Giappone hanno avuto
una risposta positiva alle loro richieste atte a
far prendere misure immediate per una riforma, sia dell’insegnamento che a livello della costituzione della Chiesa evangelica luterana giapponese.
In precedenza gli studenti avevano rifiutato
di sostenere un esame affermando che un
esame non è che la parte di un sistema che
deve essere radicalmente riveduto. Inoltre,
cinque di essi, a margine della loro tesi, hanno tracciato una storia della loro chiesa in
Giappone dalla quale risulta che, sotto il regime militare della seconda guerra mondiale, la
Chiesa è stata « opportunista ».
Uno dei punti principali del loro rapporto
denuncia la struttura essenzialmente « cleri■ cale » della chiesa, che, secondo loro, è un
Wero ostacolo al ruolo dei laici.
Nel notare la « sfida che la società contemporanea lancia alla Chiesa e la critica situazione attuale » chiedono una riforma della costituzione ed una nuova terminologia dell’espressione della fede. Inoltre, essi auspicano che venga fatto uno sforzo immediato
« per una più grande, reciproca confidenza »
e ehe « migliori rapporti » vengano stabiliti
fra la Chiesa e l’Istituto di teologia.
La facoltà luterana di teologia, al pari delle
altre faeoltà ed università del Giappone, è
stata luogo di numerose agitazioni nel corso
dell’ultimo anno scolastico.
NELLA "PERLA DEL NILO", AL CUORE DELL'AFRICA NERA
APOLLO 11
In srihippo spenacolare deHG Chiest in Updi Il commento di Blàlie
L’annuncio della visita del Papa a
Kampala, nel^ganda, ha attirato l’attenzione su questo paese al centro dell’Africa. La Chiesa cattolica romana
vi ha degli effettivi impressionanti ;
fra due milioni e mezzo e tre milioni
di battezzati ; è uno dei bastioni cattolici del contiente africano.
Ma non è altrettanto noto che è pure uno dei bastioni anglicani. Questa
Chiesa vi conta fra un milione e mezzo e due milioni di fedeli e si può
stimare che le sue statistiche sono perfettamente lïaragonabili a quelle della
Chiesa romana.
UN REGNO IN PREDA
ALLE RIVALITÀ COLONIALI
Negli anni 1880, ciò che ora chiamiamo l’Uganda era composto da vari regni indipendenti. Il più importante e
considerevole era quello del Buganda.
I primi esploratori sono stati colpiti
dalla sua salda struttura, dall’ordine
che faceva regnare, dall’entità e dall’attività di una classe agricola numerosa.
A partire dal 1885-1886 gli Inglesi,
già installati nel Kenia (all’est) e i Tedeschi, già installati nel Tanganika (a
sud) si disputano il Buganda. Nel 1890
la Germania rinuncia ai suoi "diritti"
a favore di una Compagnia coloniale
britannica, alla quale nel 1894 si sostituisce un Protettorato inglese, divenuto effettivo nel 1899.
In questo contesto di rivalità anglotedesche, con partecipazione francese,
e di una reazione anti-eurojìea suscitata da Arabi, vanno visti gli inizi
eroici delle Missioni cristiane.
MARTIRI
ANGLICANI E CATTOLICI
È stato l’esploratore americano
Stanley, erede suo malgrado di David
Livingstone, a introdurre il cristianesimo nel Buganda. Con l’aiuto di un
protestante francese, Linant de Bellefonds, egli evangelizzò in qualche modo U re Mtesa e chiese alla Gran Bretagna di mandare dei missionari. Una
prima équipe della Church Missionary
Society, la più importante società missionaria anglicana, arrivò nel 1877.
Due anni dopo, nel 1879, comparivano
i primi Padri Bianchi, mandati dal
card. Lavigerie.
I martìri ebbero luogo nel 1885-1886,
all’inizio del regno del giovane re
Muanga. Accanto ai venti e più martiri
che la Chiesa romana venera, vi furono ima cinquantina di martiri anglicani. Alcuni furono bruciati vivi, altri
uccisi a colpi o pugnalati. Il carattere
xenofobo di tale reazione ricorda le
persecuzioni della regina Ranavalona
del Madagascar, dal 1835 al 1861.
UN PROGRESSO SPETTACOLARE
A partire dal 1890 l’impianto cristiano è ormai solido e rapidi i progressi.
II numero dei battezzati anglicani passa da 200 (1890) a 63.000 (1911) e a
98.000 (1914), mentre alla vigilia della
prima guerra mondiale 1 cattolici contavano circa 150.000 battezzati.
Tale progresso, che ha un aspetto
religioso e anche un aspetto sociologico, ricorda quello del cristianesimo
nella regione centrale del Madagascar ;
un progresso che del resto è continuato e che l’espansione demografica non
basta a spiegare. Nel 1960 i cattolici
erano due milioni e sono attualmente
oltre due milioni e mezzo. Gli anglicani, che nel 1945 erano 800.000, oggi non
sono lontani dai due milioni.
FORZA E DEBOLEZZE
DELLE CHIESE
Successi tanto spettacolari non potevano mancare di porre dei problemi.
Mentre da parte anglicana il peustore
John V. Taylor era incaricato di analizzare in profondità in che cosa consiste esattamente lo sviluppo.^ della
Chiesa néH’Uganda, l’episcopato dell’Est-africano domandava al p. Adrian
Hastings uno studio sistematico sulla
situazione reale della Chiesa cattolica.
La coesione delle strutture familiari
e sociali, nell’Uganda, basta a spiegare
come una larga misura di conformismo o di fede sincera ma poco illuminata entri nel cristianesimo degli
Ugandesi. La cosa è, dopo tutto, normale. È del resto caratteristico che taluni gruppi etnici siano quasi interamente cristianizzati, mentre altri rimangono animisti.
Ciò che invece è inquietante è il
fatto che le Chiese si sviluppano numericamente, si estendono come una
specie d’inondazione, avanzano alla
periferia molto più rapidamente di
quanto non vada costituendosi, al centro, una solida struttura. In campo cattolico, il problema si pone in i>oche parole : non vi sono sacerdoti a sufficienza per inquadrare e istruire tutti questi fedeli, e proporzionalmente al numero dei fedeli vi sono sempre meno
sacerdoti. Si contano oggi circa 700 sacerdoti neU’Uganda, dei quali oltre
due terzi missionari, sicché non vi è
che un prete ogni 9.000 fedeli; e se si
deve giudicare dal numero attuale dei
seminaristi, fra poco non vi sarà che
un prete per 12 o 15.000 fedeli. Secondo
il p. Hastings si va diritti verso una situazione — religiosamente parlando —
di tipo sudamericano, cioè verso la catastrofe. Si potrebbero fare considerazioni analoghe a proposito del corpo
pastorale anglicano e del numero dei
laici veramente qualificati e impegnati nella vita della Chiesa.
In tutt’altro ordine d’idee occorre
sottolineare che nell’Uganda l’ecumenismo ha avuto una buona partenza.
È vero, con il favore di circostanze favorevoli: poiché la Chiesa anglicana è
di tipo episcopale, un parallelismo di
strutture rafforzato da un parallelismo sociale e storico facilita il dialogo
e permette di prendere in considerazione iniziative comuni.
L’ UGANDA NEL 1969
L’Uganda ha una superficie equivalente ai due quinti di quella della
Francia. È un paese di altipiani, in genere di altezza superiori ai 1.000 metri :
il clima vi è dunque relativamente fresco, e il terreno fertile.
L’Uganda dista notevolmente dall’Oceano Indiano, Con il quale non comunica che attraverso il Kenia o la
Tanzania. Ma è uno dei paesi rivieraschi del Lago Vittoria, un vero e proprio mare interno (più esteso della
Svizzera), che facilita le sue comunicasioni con altri paesi africani.
La popolazione sùpera i sette milioni e mezzo di abitanti, molto densa
nelle regioni coltivate (spesso supera
qui i 200 abitanti j»r kmq.). Si tratta
di un paese principalmente agricolo,
le cui principali risorse sono date dalla
coltura del cotone e del caffè.
La capitale è Kampala, nei pressi
della quale si trovano l’aeroporto in-_
ternazionale di Entebbe e l’università
di Makerere.
Il paese è divenuto indipendente
nell’ottobre 1963. La sua Costituzione
combinava allora il mantenimento dei
vari regni tradizionali e un sistema al
tempo stesso federale e democratico.
Capo dello Stato era il re del Buganda, Sir Fredeiik Mutesa. Ma nel febbraio 1S66 il dr. Milton Obote, primo
ministro, eliminò il re Mutesa e assunse i pieni poteri con il titolo di capo
dello Stato. L’Uganda fa parte del
Commonwealth britannico.
L’articolo che precede, diffuso dal B.I.P., è
stato preparato dal Dipartimento d’informazione della Società delle Missioni Evangeliche
di Parigi. Oltre ai libri del Taylor (A Study
in thè Church in Buganda, SCM Press, Londra 1958, poi condensato lo stesso anno, presso
lo stesso editore, fra gli « I.M.C. Research
Pamphlets » sotto il , titolo : Processus of
Grouwth in an African Church) e dello
Hastings (Church and Mission in Modern
Africa, Bum & Otes, Londra 1967), già citati, segnaliamo due recentissime pubblicazioni
dell’editore Jaca Book: Hosea Jaffe, Uganda,
la perdita e la riconquista della perla del Nilo
(p. 120, L. 1.000) e la ricerca di un gruppo di
giovani cattolici (« Uganda Terzo Mondo »),
Dove va la Missione? La lezione dell’Uganda
(p. 176, L. 1.200). Si tratta di due opere
estremamente critiehe. La prima attribuisce
ogni responsabilità dei mali presenti alla colonizzazione britannica, dimenticando ad esempio la negativa ingerenza islamica, soprattutto
attraverso gli schiavisti arabi, (com’è stato
scritto, « l’odio dell’africano nero per l’arabo
nasee. proprio da questo ricordo del passato
negriero degli arabi, ricordo che continua nella sanguinosa guerra di secessione del Sudan
meridionale, cristiano e pagano, contro il Sudan settentrionale, musulmano e a suo tempo
schiavista »); la seconda critica duramente
una missione considerata in forte misura struInento di conquista e di potere. Anche se queste critiche sono in parte unilaterali, è tuttavia estremamente istruttivo meditarle.
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
SULL’OCCUPAZIONE
DELLA CASA EDITRICE
«IL SAGGIATORE»
Tale occupazione ha avuto luogo dal 9
al 16-6-’69, da parte dei dipendenti interni ed
esterni della Casa, includendo anche una parte della redazione della rivista « Le Scienze »
(edizione italiana di « Scientifie American »).
Il 25-6, a lavoro nuovamente regolare, i dimostranti approvavano in assemblea generale,
a larghissima maggioranza, « un documento
nel quale erano espresse le ragioni di fondo
dello sciopero e dell’occupazione sia in rapporto alle rivendicazioni sindacali dei lavoratori, sia in rapporto alla funzione delle scienze in una società umana. Era questo il primo
tentativo in Italia da parte dei lavoratori subordinati di una rivista di divulgazione scientifica e di una casa editrice, d’intervenire
nella gestione e nell’orientamento culturale ».
Per ragioni assai complesse, ehe sarebbe
lungo esporre, quel documento non è stato
pubblicato dalla rivista. Ma « L’Astrolabio »
del 13-7 lo riporta per intero. Eccone la parte
finale :
« L’assemblea degli occupanti ha deciso che
il lavoro redazionale di “Le Scienze" continuasse anche durante la fase di occupazione,
permettendo così l’uscita regolare della rivista, onde diffondere mediante questo inserto
il discorso sviluppato durante l’occupazione.
Elemento essenziale di questo discorso è
l’uso sociale della scienza e della tecnica nell’attuale periodo storico. La scienza non è
neutrale rispetto ai rapporti sociali: non solo
riguardo al suo uso (bomba atomica, napalm,
guerra batteriologica, ricerca come parte di
un’economia imperialista, scienze sociali impiegate come strumento di asservimento), ma
neppure riguardo ai suoi contenuti. Non esiste una scienza astratta dal sistema che la
crea: quest’affermazione vale per ogni campo
della scienza, dalla medicina alla matematica,
e la sua verifica si pone come compito necessario e attuale. La scienza può essere un potente strumento al servizio dell’uomo e dei
suoi bisogni, ma oggi concretamente è fatta
in modo da servire alla produzione capitalistica di merci e quindi allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ».
Ci dispiace di non poter essere d’accordo
con quanto affermato nelle ultime righe di
questo documento, precisamente daUe parole
a Non esiste una scienza astratta... » in poi.
Infatti siamo profondamente convinti che,
proprio come scienze (cioè non riguardo ai
loro usi), la medicina e la matematica sono
le stesse in Italia come in Australia, in Cina
come nel Sud Africa. Per quanto concerne la
matematica, ci sentiremmo in grado di dare
una dimostrazione completa di questa nostra
convinzione.
Noi crediamo cioè nell’universalità delle
scienze, astrattamente considerate.
IL MARXISMO
COME SCIENZA
« Marxismo come scienza o marxismo
come rivoluzione? L’alternativa è esistita ed
esiste tuttora. Risolverla è meno facile di
quanto spesso non si creda. Comincerb dal
primo corno del dilemma: il marxismo come
scienza. Il discorso da fare, nelle grandi linee,
potrebb’essere questo. Il marxismo è una teoria delle “leggi" del divenire della società
umana*. Nel “Capitale", Marx, ha studiato
e analizzato le leggi che regolano il divenire
della produzione capitalistica, ha smontato e descritto questo “meccanismo" particolare In
quanto è una dottrina scientifica, il marxismo
consiste essenzialmente nella scoperta di nessi
causali oggettivi. Esso rivela e analizza le leggi che fanno funzionare il sistema, descrive le
contraddizioni che lo minano dall’interno e
Un appello rivolto ai giovani
per la creazione di una comunità aperta al servizio degli altri.
Centro Diaconale
Sono aperte le iscrizioni al
Centro Diaconale che, a Dio piacendo, si aprirà nel novembre di
quest’anno. A richiesta viene inviato gratuitamente il fascicolo
con la descrizione dettagliata
del progetto. Per ulteriori informazioni e chiarimenti, iscrizioni, richiesta di documentazione,
rivolgersi a: Past. Alberto Taccia, 10060 Angrogna (Torino).
Ginevra (soepi) — Il pastore Blake,
segretario generale del CEC, ha dichiarato che l'impresa deH’Apollo XI
è straordinaria e che si tratta dell’impresa di tutta l’umanità e non di ima
sola nazione.
Intervistato dalla televisione americana (la NBC) egli ha fatto rilevare
che il viaggio sulla luna è stato reso
possibile da due tecnici tedeschi specialisti in razzi e da scienziati di parecchi paesi.
« È spiacevole che questo fantastico
sforzo sia in parte motivato da una
sorta di nazionalismo che ha coinvolto
gli Stati Uniti in una competizione con
l'Urss. Avrei preferito che fosse stata
piantata la bandiera delle Nazioni
Unite sulla luna ».
« Bisogna anche pensare al fatto che
le enormi somme di denaro in gioco
contrastano assai colle somme del tut- '
to insufficienti che gli Usa stanziano
per risolvere i problemi economici e
sociali, all’interno come all’estero. Mi
auguro che il Congresso degli Stati
Uniti prenda coscienza della necessità
di largire altrettanto generosamente
dei fondi per risolvere i problemi dell’uomo sulla terra ».
« Qualcuno mi ha chiesto se questo
trionfo dell’uomo non contribuirà n distogliere vieppiù l’uomo dalla fede.
Rispondo che ciò non avverrà, a meno che non si sappia più cos’è la fede.
Se i cristiani pensano che Dio .s a lì
solo per colmare le lacune della c.jnoscenza umana, allora, certamente, più
l’uomo acquisirà delle conoscenze, e
meno sarà religioso. Oppure, se gi: uomini perdono il senso delle respo isabilità che hanno nei riguardi di Dio
in quanto credono di poter fare t- tto'
da se stessi, corrono naturalmente verso la catastrofe ».
che ne segnano il destino. E tuttavia, in quanto è opera di scienza e non ideologia, il "Capitale" non lascia che quest’analisi sia inquadrata da “giudizi di valore” o da preferenze
soggettive, bensì esprime solo “giudizi di fatto", giudizi oggettivi, affermazioni che, al limite, possono valere per tutti. Le proposizioni
della scienza sono all’indicativo. Esse non suggeriscono “scelte” 0 finalità. Dalle oggettive e
imparziali constatazioni della scienza, è impossibile descrivere imperativi (...). “Le leggi
che la concezione marzista della storia formula
in generale, l’economia marxista le applica
all’epoca della produzione delle merci" (..-)Sebbene siano continuamente confusi fra loro,
“socialismo” e “marxismo” non sono la stessa
cosa. Il socialismo e un fine, una mèta, un
obiettivo della volontà e dell’azione politica.
Il marxismo viceversa, in quanto scienza, è
conoscenza obiettiva ed imparziale. Si può accettare la scienza e non volere il fine. “Riconoscere la validità del marxismo (dice Hilferding) non significa in alcun modo formulare
valutazioni, né tanto meno significa additare
una linea di condotta pratica. Poiché una cosa
è riconoscere una necessità, altra cosa è porti
al servizio di quella necessità ».
(Da un articolo di L. Colletti su
«Il Manifesto» di luglio-agosto 1969)
Commentiamo brevemente e compendiosamente alcuni punti. Siamo anzitutto d’aceordo
con l’autore, sulla distinzione che egli fa fra
scienza astrattamente intesa (oggettiva, non
inquinata da giudizi di valore o da preferenze
soggettive: è proprio il discorso da noi fatto
alla fine dell’articolo precedente!), ed applieazioni della seienza (nella quali si formulano appunto valutazioni, si additano linee di
condotta pratica, ecc.). Noi crediamo però che
il marxismo sia « scienza » in un senso molto
limitato : abbiamo aggiunto degli asterischi
al testo, per precisare questa nostra critica.
Infatti l’affermazione con due asterischi l’accettiamo ben volentieri, sembrandoci che Marx
e i marxisti abbiano fatto proprio questo, e in
modo profondo e geniale. Ma l’affermazione
con un asterisco non l’accettiamo: che il divenire della società umana ubbidisca, nel suo
complesso, a delle « leggi», è una pura e semplice congettura (o, se si vuole, una ipotesi di
lavoro), che può essere altrettanto bene accettata (come faceva Hegel, secondo il quale « il
reale è razionale »), quanto respinta.
Del resto, tutta la cosiddetta « scienza marxista » si basa su una filosofia della storia («filosofia », cioè ancora un insieme di congetture opinabili!) e su un’antropologia. Le affermazioni da noi riportate su « L’Eco-Luce »
dell’11-7 («La liberazione dell’uomo è il senso fondamentale del socialismo e del comunismo », e « Il marxismo ha scoperto le forze
motrici dell’emancipazione dell’uomo ») bastano a provarlo.
Principi di azione ecumeni i
per ^li ortodossi ameriea ?
New York (soepi) — L’associa?; me
ortodossa di teologia in America ,i è
detta d’accordo per definire i priü ipì
di azione ecumenica che verranno sottoposti alla Conferenza permar. ite
dei vescovi ortodossi in America.
Un primo progetto era stato redatto da padre L. Contos, ma i ree nti
sviluppi dei rapporti ecumenici ha nO'
resa necessaria una ulteriore mest i a
punto. Dietro domanda della commissione ecumenica, il padre A. Schmemann ha preparato qualche « chiarimento » che è stato esaminato dalia
Conferenza permanente durante la ua
ultima riunione.
Egli ha scritto; « Bisogna stahi.'ire
una chiara distinzione fra lo scopa
primo del movimento ecumenico, . he
è il ripristino dell’unità dei crisicini
all’interno dell’istituzione visibile e
permanente della Chiesa, e gli asp.dti
secondari dell’azione comune cris nana ».
« L’ortodossia ha una lunga tradizione di non-impegno nella politica e celle lotte sociali, per cui il nuovo accento posto in Occidente su questo impegno, presentato come del tutto nc.rurale, è, per lo meno, soggetto a discussione. Le dichiarazioni ’ecumeniche' in
questo campo non legano in alcun caso la Chiesa ortodossa ».
Il padre Schmemann ha proposto
che un capitolo intero sia dedicato a
questa distinzione. Ha pure chiesto
che venga precisata la definizione di
« atteggiamenti inaccettabili quali il
relativismo ecclesiologico, il minimalismo dogmatico, ecc... ».
DONI ECO-LUCE
Da Torino: Sergio Gandolfo 500; con. Quara 500; Alìna Stringari Pons 500; Malvina
Pellenco 500.
Da Milano: Luigia Stein 7.500; Franco
Falchi 1.000; Margherita Plebani 500; Cecilia Tescari 500.
Da Roma: Costantino Vitaletti 2.000; Ottavio Prochet 1.000; Sofia Baldoni 1.000.
Grazie! (continua)
Coni di À|opuntura Moderna
e di Osteopatia
Il 2° Ciclo di Studio sull’Agopuntura e sulla Osteopatia si svolge i giorni 29-30-31 agosto
1969 a Torre Pellice, Torino (Italia).
Riferiscono sugli argomenti il Doti. G.Grall,
del Servizio di Agopuntura nel Reparto di Fisioterapia dell’Ospedale Hôtel Dieu di Parigi;
il Dott. C. Pinet, membro onorario della Società di Medicina Cinese di Hong Kong e
della S.I.A.; il Dott. U. Lanza, Presidente
della S.I.A. e titolare della Cattedra di Agopuntura nella Libera Università Internazionale G. Galilei di Roma; l’ing L. Grenier,
Electroconducteur E.D.P. di Parigi.
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
n. 175, 8-7-1960
Tip. Subalpina s.p.a - Torre Pellice (To)