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Lil BUONA NOVELLA
GIORNALE RELIGIOSO
(i domicilio
Tonoo, per un aono L. C,00 I L.7,00
— |)er sei mesi » 4,00 [ « 4,50
t*er le proviocie e l’esicro franco sino
ai conlìni, un anno . . I- 7,20
per sei mesi, « S,20
A/riflsiowTec <Ti i'jiyinn
Seguendo la verità nella carità
Efbs. IV. ^5.
L’Ufficio dell.i BUONA NOVELLA è i‘
Torino, presso la libreria Evangelica
di GIACOMO BIAVA, via Carlo Alberto,
dirimpetto al Caffè Dilei.
Le associazioni si ricevoiio in Torino allo
stesso Ufficio.
Gli /Issoct'oit delle Provincie potranno provvedersi di un vaglia postale,
inviandolo franco alla libreria Biava.
s(©sasaiiaiii®
Cliovanni Diodatì ^ Stadii itorici sulle indulgenze—^ KTotizie relìgìoie •— £rona>
chetta politica.
filOVAiVM DIODAT! C)
Se la città di Ginevra diede i nalali nel 1576 a Giovanni Diodati, e
se ne educò la mente e il cuore a
quelle evangeliche dottrine di cui ella
fu, dopo la morte di Lutero, custode
■ed interprete fedelissima, l’Italia ebbe
il vanto di produrre ia famiglia onde
dovea uscire quest’uomo incomparabile. 11 padre di lui apparteneva infatti all’illustre famiglia lucchese dei
Diodati, la quale dovette emigrare
contemporaneamenttì ai Marlinengo
ai Caracciolo , ai Turretini, ai liurlamaqui, ai Calandrini, ai Micheli, ed a
(1) Onesti brevi c(>nDÌ biografici sul
celebre iraduttore della Bibbia nell’ilaliano idioma, noi togliamo ad imprestilo
(e come saggio delle ottime cose che in
esso si contengono) dall’ ylmico di Casa
per /’ormo 1855, ecceUente publilicazione,
che per ta seconda rolla raccomandiamo
caldamente ai noslri leltori. Questo almanacco', di piij di 100 pagine lti-16'’, «
vendibile presso tiiUi I librai, al prezzo
di 20 centesimi.
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molti altri confessori del Vangelo, in
cerca di quella liberlà di coscienza
che le era negalo godere ia patria.
Nè a questo solo titolo possiamo noi
Italiani ripetere una gran parte del
lustro onde seppe circondarsi quel
germoglio di una delle nostre famiglie, ma quello che ci deve far riguardare il Diodati come una cara reminiscenza patria, si è ch’egli invece di
straniarsi, come han fatto e fan tuttodì tanli proscritti, messo appena il
piede fuor d’Italia, conservò innalterate le sue originarie sembianze, e
portò scolpita in cuore la terra de’suoi
avi. Amor di patria che Io indusse
ad affaticarsi cd esporsi a pericoli per
¡schiudere nel suolo nativo, mercè la
Parola di Dio, il solo raggio che ne
potesse diradar le tenebre. A questo
medesimo fine egli coltivò le lettere
italiane, e con tanto successo che vi
han pochi scritlori educati in Italia,
i quali ne abbiano saputo maneggiar
più destramente la lingua. Leggendo
le prose italiane del Diodati, nonché
crederlo nato e cresciulo oltr’alpi, noi
potremmo difficilmente persuaderci
che egli respirasse altr’aure vitali fuor
di quelle che mormorano sulle rive
amene del Serchio.
Per tempo s’applicò il nostro Diodati allo studio delle Divine Scritture,
a penetrar meglio il senso delle quali
agli non solamente avea famigliare la
lingua ebraica, ma la possedeva così
maestrevolmente che gliene venne affidata dal riformatore Beza la cattedra in età in cui la maggior parte dei
giovani devono studiare a compiere
la loro educazione II sentimento di
una vera fede, e lo zelo da cui era
animato per la salute dell’anime lo
fecero pervenire con eguale rapidità
al ministero ecclesiastico, nel quale
perdurò tutta la sua vita con fedeltà
ed operosità instancabili. Gli venne
affidata , come pastore, la condotta
della Chiesa italiana di Ginevra, composta dei figli delle vittime della persecuzione religiosa con cui il papato
avea cacciati d’Italia pochi anni addietro tante illustri e benemerite famiglie. Questo fu invero uno de’ benefizii della sedicente civiltà callolica,
ch’ella disertasse l’Ilalia di un gran
numero d’uomini d’ingegno, di dottrina e di soda pielà, quai furono i
Marlinengo, i Caracciolo, i Burlamaqui, i Minuloli, i Turretini, i Calandrini, i Diodati e molti altri i cui soli
nomi non capirebbero nelle pagine di
questa nostra eiTemeride! Servigio
ch’ella rese anche alla Francia inducendo Luigi XIV a privarsi, colla revoca deH’editto di Nantes, degli uomini più industri e laboriosi del suo
reame. Ma questa sventura italiana
dovea servire nelle mire providenziali
di Dio a riaccendere in lempi meno
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calamitosi la fiaccola della sua luce
in Italia, perchè l’esempio di quei
martiri e confessori non è ultimo degli
eccitamenti messi innanzi agl’italiani
moderni ad accogliere nel Vangelo ii
solo mezzo di rinnovamento religioso
e civile che sia olTerto ad un popolo
per sottrarsi alla sua ultima rovina.
Si distinse pure il Diodati pelTeloquenza della parola, la quale era in
lui alimentata da una ridondanza di
vita spirituale. Per la quale uno dei
suoi contemporanei ebbe a scrivere
« che il suo zelo passava nel cuore
de’suoi uditori, e la sua pielà si riproduceva nelle loro azioni ». Pion si
lasciava sfuggire occasione il nosiro
Diodati di annunziare la salute gratuita che è in Cristo, e il tesoro dei
suoi doni ; onde traeva a sè gran numero di gente avida del pane spirituale
della Parola, c ne ripartiva in parte
consolata, in parie felice di aver rinvenuto nel Vangelo, commentato con
ispirilo e verità , una sorgente inesausta di benedizioni.
Verso la fine del decimosesto secolo il Diodati, intento sempre a far
opera giovevole alla patria del suo
cuore, imprese la versione italiana
della Bibbia , dopo aver condotla a
termine una versione francese dello
stessodivin libro. Fedele nel riprodurre
il senso originale, purgato e conciso
nella sua dizifme, sempre all’ altezza
{per quanto può esserlo umana fa
velia) degl'ispirati concetti biblici,
quel lavoro rimane pel Diodati il mag
gior titolo alla riconoscenza nostra.
Che se taluno potè vedervi qualche
menda, essa era indispensabile in una
versione fatta in tempi in cui lo studio
delle lingue orientali e la critica uon
avevano ancor fatto i progressi a cui
pervennero oggidì, cioè dopo due secoli e mezzo d’investigazioni e di studii. Ma tolte via alcune poche frasi antiquate e corretti pochissimi passi, la
cui interpretazione rimase a lungo
controversa, la versione Diodali di
verrà il tesoro nazionale delle Chiese
evangeliche d’Italia.
Nè s’attenne solo alla versione,
ma compiuta quest'opera monumentale, il Diodati si adoperò a tutt’uomo
per diffonderla nella terra a cui l’avea
destinala. I tempi favorivano il suo
disegno, dacché Venezia fieramente
travagliala dalla rivalità ed ambizione
dei papi parea disposta a volerne spezzare il giogo. Dall’altra parte gli Ugonotti di Francia desiderosi di suscitare incagli al papato in Italia per
divertire la guerra ostinata che e.sso
uon ces.sava di far loro in casa, si
erano affrettati a coltivare le buone
disposizioni che i Veneti mostravano
per la riforma. Al die niuno parve
loro più adallo del Diodati, sia per
la sua oriuine italiana, sin per la fama
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della sua dottrina ed eloquenza. Gli
posero adunque in mano tutte le fila
della pratica, e lo spinsero a recarsi
nel 1605 sul campo d’azione ove tenean per certo che l'influenza di un
uomo di tanta vaglia dovesse determinare il Senato a proclamar la riforma. {Continua).
STDDIl STORICI SULLE IPCLGESZE
V.
La Tendila delie iudulgenze portando
seco l’idea della reroissione de’peccall per
mezzo del pagamento, trasse ancora seco
un’altra pratica ehe i preti seppero bene
far valere a loro profitto: quesla si fu la
pratica delfe donazioni per lo rimedio
dell anima; per la redenzione dell’anima;
prò remedio animcs, prò redemptione animoe. Il documento il più antico di tali donaziiwi è dell’anDO 7(59, ed è riportato dal
celebre abbate Muratori nella dissertazione 68 sulle antichità italiane, che fanno
continuazione ai suoi Annali. Il donatore
in quel documento è un faDciullo per nome Adaldo, il quale fa donazione di tutto
a S. Martino, ed ai preti per lui, prò redemptione animcB sucb. Le donazioni di
questo genere rncominciavano con questa
formola, la quale indica chi ne erano stati
gl’inventori ; «Chiunque dà una porzione
« dei suoi beni ai luoghi santi e venerabili,
« riceverà, Dio lo ha promesso, il centu« pio in questa vita, e quello che è infini
«lamente più prezioso, avrà la vita eterxna». I monaci s’impadronirono di una
tale pratica a loro profitto, ed incominciarono a venire a composizione co’peccatori. Quando un laico peccatore aveva una
lunga penitenz’a da eseguire, ricorreva ad
un monastero: i monaci dicevano di dividersi fra tutli loro la penitenza di quel
peccatore, il quale in compenso faceva un
dono proporzionato al monastero. Ed ecco
una delle fonli da cui ebbero origine le
sterminate ricchezze dei monaci, come lo
dimostra il Muratori nella sua dissertazione sull’origine delle ricchezze dei monasteri. Un tal marchese Malfrida , figlio
del conte Tassalguardia, dice Muratori
nella citata dissertazione, consultò i monaci dell’isola di Tremiti per sapere come
doveva fare onde essere assicurato della
remissione de’suoi peccati e della vita eterna. 1 monaci risposero cbe bisognava
si facesse monaco; ovvero se tale cosa gli
fosse stata impossibile, avesse almeno donato una porzione de’ suoi beni al loro
convento. Lo stesso Muratori, nel secondo
volume degli scritlori delle cose italiane
«Ila pag. 2G3 , cila una lettera di papa
Adriano a Carlornagno, nella quale il papa
ricorda aquel principe il dono da lui fallo
a S. Pietro, cioè ai'papa, di Capua ed altre ciltà, per la salvezza della sua anima.
Fin qui però l’imposta era volontaria ,
névi era obbligo alcuno di pagarla; ciascuno poteva far da sè la penitenza: ma
in seguito essa fu definitivamente tassala;
in guisa cbe il perdono de’peccali, o l’indulgenza, ossia remissione della penitenza
divenne una merce a prezzo fisso. S. Pietro Damiano nel secolo XI, diceva (Leti.
12) n Le ricchezze dell'uomo sono la sua
redenzione.... è dunque cosa giusta che
colui il quale dona alla chiesa le sue ricchezze, sia da questa liberato dal peso
della penitenza». I poveri non andavano
esenti dal pagare simili lasse; imperciocché la chiesa misericordiosa accettava non
5
- R(KI
solo i poderi, p il danaro dai ricchi, tn!i
ncc.ctiiiva ancora il lavoro dai poveri. Il
vescovo era incaricato di fissare il prezzo
dei lavori, e l’operaio doveva lavorare pei
preli fino a che a forza di lavoro avesse
pagato la tassa del perdono.
Allora i papi cercarono d’impadronirsi
essi soli delle indulgenze. Vittore IH, il
quafe essendo stato abliale di MoDtecassino
sapeva per esperieoza quanto grande profiUo si cavasse da esse, pubblicò per il
primo un’indulgenza plenaria nel 1087.
Egli promise plenaria remissione di tutli
i peccali a tutti quelli cbe avessero prese
ie armi contro i saraceni d’Africa. Le indulgenze cadute in mano dei papi cangiarono natura: quando erano in mano dei
vescovi non erano che la remissione della
penitenza canonica; ma divenuta proprietà
dei papi, questi colla pienezza del loro potere dissero che l’indulgenza non solo rimetteva la penitenzacanonica;ma anche liberava dai castighi temporali cbe Dio riserbayaal peccatore neH’altra vita. Papa Urbano 11 perfezionò l’idea del suo predecessore Vittore III, e predicò la crociata a
Piacenza prima, poscia nel celebre concilio
di Chiaramonte nel 1095, ove accordò ai
crocesignati un’intera assoluzione, ed una
assoluta remissione di lutti i peccati, dichiarando martiri coloro cbe morissero in
quella guerra: 13 arcivescovi, 225 vescovi, e 90 abbati sottoscrissero nel concilio a tale indulgenza.
Questo-cambiamenlo nella dispensazione
delle indulgenze sarebbe stato fatale agli
interessi del clero, se il clero non si fosse
saputo aiutare. Ma i preti ed i monaci profittando (tell’entusiasmo dei crociati divennero depositarii dei loro beni, e per
la morte di essi ne rimasero proprietarii.
Nel duodecimo secolo comparvero i
teologi, così delli scolastici, i quali ridussero a teologia lii pratica delle indulgenze, e la formularono in dollrina , dicendo l’he esiste nella chiesa un tesoro'
composto dei merili di Gesù Cristo, della
Vergine, e dei sanli: che que.'ti meriti'
sopravanzali ai santi si applicano ai fedeli
che non ne hanno abbastanza dei proprii:
che le chiavi di queslo tesoro sono nelle
mani del papa, il quale lo dispensa a sua
volontà.
Le indulgenze dale ai crociali per
l’acquisto di Terra santa, furono poscia
estese a coloro che combattevano conlro
i cosi detti Mori in Tspagna. Ma il fervore
dei crociati cominciando a raffreddarsi, il
papa concesse le stesse indulgenze a chi
avesse pagato tanto quanto era bastante
per mantenere un soldato : così senza
esporsi ai pericoli ed ai disagi della guerra,
bastava pagare per lucrare l’indulgenza.
Le crociate istesse cambiarono nalura, e
si stabilirono crociate colle stesse indulgenze contro i crisliani non di altro rei
che di non riconoscere gli abusi dei papi;
e cosi in nome di Gesù Cristo principe
della pace, si prometteva il perdono dei
peccati a chi trucidava i fratelli: e ben sovente i papi predicarono crociate contro
principi e popolazioni cri3tiane per solo
motivo politico.
Ma il grande traOico delle indulgenze
riservate ai papi incominciò nel sec. XIII.
Il papa Onorio III nel 1221 , mandò in
Germania a predieare la crociata frate
GfoTanni da Strasburgo domenicano , il
quale predicava che chiunque avesse comperata l’indulgenza era sicuro di essere
perdonato dei più gravi delitti : il popolo
credulo prestò fede al frate: i più gravi'
6
delilti furono commessi senza scrupolo ,
«fi il frale empieva la borsa vendendo il
perdono. Treni’ anni dopo papa Innocenzo IV aveva mandalo in Inghilterra i
fr.iti domenicani e francescani per vendervi le indulgenze, e cndesli Irati avevano
ordine dal papa di /orrore i moribondi a
lasciare i loro beni alla Chiesa privandone
fili eredi legittimi. Chi attesta un tal fatto
è Roberto Teslagrossa (Grostbeadì, il più
dotto ed il più zelante vescovo di quel
tempo, il quale, se vogliamo credere a
Matteo Parigi, storico inglese quasi contemporaneo, era in lale odore di santità
che dopo la sua morte faceva miracoli.
\’OTIZIE «EllGlOSfi
Novara. — I.<i tumulazione di un cristiano evangelico, il nominato Zanoia, nel
campo santo di questa città (vedi n” S3
della B. N.), ha dato cagione a monsig.
vescovo di questa diocesi di pubblicare i
due documenti che seguono, leggendo i
quali possiamo crederci tornati ai tempi
più tenebrosi del medio evo. Il primo è
una circolare ai signori parroci per rassicurarli sull’accaduto eraccomandare loro
nuova vigilanza; Il secondo è un monitorio
nU’/r»(ie Novarese che avea narrato con
encomio quell'alto di tolleranza.
Novara, 6 noicmbre Ì854.
Molto Rev. Signore,
Un avvenimento ben doloroso ebbe luogo negli scorsi giorni in questa ciltà. Venuto a morte un infelice valdese, ad insaputa dell’autorilà ecclesiastica si volle
seppellirlo nel cimitero cattolico. Appena
ne fui informato feci naturalmente i miei
richiami a ehi si dovea ; ma non essen
dosi potuto oltenere che fosse disumato
il cadavere secondo quello che a tutta
ragione prescrivono le gravissimi», leggi
della Chiesa, venne almeno disposto che
quella lingua di terra esecrala per la tumulazione dell’eretico fosse separala con
un muro totalmente dal cimitero cattolico.
Questo sarà poi riconciliato e purificato
secondo il iirescrilto de’ sacri canoni.
Intanto \'lride Novarese, giornale che
più d’uua volta mostrò ben poco rispetto
alle istituzioni della Chiesa, pubblicò un
articolo degno di un periodico ereticale ;
il perchè mi son creduto in dovere di dare
al sig. Gerente il Monitorio che qui retro
trascrivo.
Anche queslo fatto ci ricorda, come la
S. V. ben vede, quanlo si cerchi in tulli
i modi osteggiare la religinne noslra san-,
tissima, e quanto quindi dobbiamo noi
tutli raddoppiare la noslra vigilanza affine
che l’uomo nemico non riesca mai a seminare la zizzania in mezzo d'^ll'eleilo
frumento, il che speriamo non avverrà
per la intercessione della Vergine Santissima.
Mi pregio rassegnarmi con distinta
stima
Aff.mo come fratello
+ G. Filippo Vescovo.
Novara, 3 novembre.
Pregiatissimo Signore,
Più d’una volta la S. V. Pregiatissima
nel di lei Giornale Iride Novarese ha creduto di parlare di me in un modo assai
sfavorevole, e a me non venne mai pensiero di rispondere ; ma adesso che la
vedo attaccare la Diittrina immacolata
della SantaCliiesa Catlolica, non mi è più
pwmesso serbare silenzio.
7
Nel N. 14 (li'l corrente auno Ella [iirlando della sepoltura data in questa CiUà
ad lino sgraziato Valdese, chiama giusta
la domanda che fu fatta per seppellirlo nel
nostro Cimitero, e cnn questo osa disapnrovare apertamente le leggi gravissime
della Chiesa che lo vietano. (DO. lib. Ili,
tit. de seiiul. cap. 12 Sacris est Canonibus. L’I). V de Haerelicis, tit. 2, cap. 2
in 6 Quicumque fiaereticoa.) Ella chiama
inutilii celi, riprova gli.«ii'aria<ia65i,7/inmenti nelle persone ei'c. alludendo ai riti
che si (uisano dai Cattolici ne’ funerali :
manifesta un desiderio perchè anche da
tjoi si adotti la foggia Valdese di seppellire i morti, asserendo che ciò servirebbe
all’incremento detla Religione. Chiama il
Pastore Valdese firn eretico cioè di una
delle più ignobili sèlle) degno MinMro
del Vangelo, le sue pamb’ le più religiose
e. le più evangeliche, verità le piì't sante
le proposizioni che uscirono dalla sua
bocca, perchè fliiin/e (usandodella pretta
frase dei Protestanti) dal puro Vangelo e
dalla vera parola di Dio. Termina in fine
con un voto molto inaiurioso alla Religione ed alla pietà de’ suoi Concittadini,
di \ edere accalcarsi ¡D'orno alla fossa de’
Protestanti la folla dei credenti nella vera
Religione di Cristo.
Chiunque anche per poco ponga mente
a siffatte espressioni, non potrebbe non
riconoscere in esse gli errori i più manifesti contro la Fede noslra Santissima.
Il perchè Ella è in istrelto dovere di coscienza di riprovarli apertamente, lo la
invilo a ciò fare nel primo od almeno nel
secondo prossimo numero del di Lei Giornale, avvisandola l'Iie in caso contrario
dovrò fiirne pubblicare in tuli« le Parroccliie della !>ioci:si la solcnns proibizione,
affinchè i Fedeli alla mia cura allidati possano tenersi io guardia da un periodico
che lende a propinar loro il veleno dell’eresia.
Serva questa mia leltera alla S. V. |di
monitorio canonico, e sperando di averne
al più presto una risposta per mia norma,
SODO colla debila stima
Di V. S. Pregiatissima
DiiKmo servitori
+ G. Filippo Vescovo.
A questo monitorio script» in uno siile
cbe ai tempi in « ui viviamo si sarebbe
potuto credere caduto iiffalto in disuso, rispose in lingua umana il direttore dell’/ride Novarese, e con lale co(iiadi oltime ragioni, che monsignore disperando di poterle confutare, trovò cosa più spcdientc
di farne pubblicare dai pulpiti In condanna unitamente alla proibizione del
giornale. Inutile di avvertire chc « gli
emissarii di una delle più ignobili sette •>
(intendi la valdese) non sono dimenticati
in queslo nuovo manifesto vescovile, che
speriamo abbia 1’ elTetto di tanti allri,
quello cioè d’invogliare vieppiù le moltitudini di quelle doitrine, di cui molti
sono che cominciiino a capire, che per
tutt’altro motivo che per puro zelo della
gloria di Dio si sparla in modo cosi inverecondo e così sleale.
Gebmasia. — La conferenza pastorale
di Ilerrnhout, che noi avevamo ant.erior-.
mente annunziata, ha avulo luogo iM3 e
li giugno; era il centesimo anniversario
della sua fondazione. Egli è nel che
molli pastori, uniti di cuore ulla Chiesa
dei fratelli Moravi, si riunirono per la
prima volta ad Ilerrnhout (Prussia-Sassone), aflìne d'intrattenersi degl’iaicressi
delle loro proprie anime e del loro mini-
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stero. Quest’anno 94 pastori, caodidati
ed islitulori, s’erano riuniti per questi
fssta, ove l’influenza dello Spirito di Dio
è stata sensibile a lulti i cuori.
America. —Il 4 luglio, la Società per
ìa propagazione del cristianesimo ha celebralo a Surinam, nella chiesa dei fralelli
Moravi, il venticinquesimo anniversario
della sua fondazione. Dacché esiste, questa Società ha consacrato più di 100,000
fiorini a sostenere la missione morava.
All’epoca della sua fondazione, i fralelli
avevavo 900 persone sollo le loro cure;
ora questo numero èsalito a più di 19,000.
Avanti di separarsi, il Comitato ha presentato alla missione uu dono straordioario
di 1000 fiorini. {Semaine Religieuse).
CROMCIIETTA POIITICA
Londra, IC novembre. — Scrivono da
Windsor al Daily-Neivs io data del 14:
La regina ha ordinato oggi, nel suo
consiglio privato, che il Parlamento prorogato al 6 novembre, lo sarà di nuovo
fino al 14 dicembre prossimo. Quantunque non sia fatta menzione della riunioue
del Parlamento per la spedizione degli
afTari, crediamo cbe si riunirà più presto
dell’anno scorso.
Madrid, 14 novembre. — Credesi conoscere che il conte di Montemolino ha
dovuto lasciar Napoli il 10 novembre per
cercare di passare a Navarra dove si fomenta il rinuovanienlo della guerra civile.
La seduta delle corti d’ oggi è stata
consacrata senza incidente rimarchevole
alla verificazione de’poteri ; è stato verificato il mandalo di 129 deputati.
Bérlino. — Si parla mollo a Berlino
deir arresto di un banchiere che aveva
corrotto degli impiegati del telegrafo.
Erasi organizzala una banda di veri borsaiuoli che s’impadroniva di dispacci
ulficiali. Presso uno degli incolpati si è
trovato un dispaccio del conia di Nesselrode all’inviato russo a Dresda.
Crimea.— Il generale Lipraodi sarebbe
stalo ferito alla battaglia del 5.
— Il Globe annuncia che i generali inglesi uccisi nella battaglia del 5 saranno
rimpiazzali dal generale maggiore Bertinch, sir Colin Campbell, e dal luogotenente generale De Lacy.
I giornali di Lnndra recano cbe alla
battaglia del 5 gl' inglesi hanno perduto
102 ufiìciali e 2,500 soldati : ed i francesi 48 ufiìciali e 1,300 soldati. Alcuni
ridotti sarebbero stati presi e ripresi tre
volle. Al duca di Cambridge fu ucciso il
cavallo.
Un dispaccio della Patrie reca alla
sua volla che i russi in quella battaglia
perdettero 3,500 soldati e 109 ufiìciali.
Paribi , 20 novembre. — Le false voci
che il governo fiirà una leva di 500,000
uomini non meritano seria confulazione.
Tutto al più «sarà domandata una leva
come quella dell’anno passalo.
Parigi, 22 novembre. — Il Moniteur
pubblica il rapporto del generale Canrobert contenente i particolari della vittoria del 5 ; ed aggiunge che I’ esercito
russo ha nell’ insieme nou meno di 100
mila uomini; che il valore degli alleali
rammemora le grandi battaglie della
storia, e che non sarebbe mai Iroppo
lodato.
II governo ha ordinalo lo sparo del
cannone degli invalidi per onorare questa viitoria.
Dispaccio russo. — Nulla d’iniportanlc
a Sebastopoli fino al giorno 14.
Direttore P. G. MKILLE.
Grosso Domenico gerente.