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ECO
BELLE mm VALDESI
B1 Bh I CIECA V Ì^LDSSE
llo66 TOaRE PEILICE
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 111 - Num. 36
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{L. 4.000 per l’interno
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TORRE PELLICE - 13 Settembre 1974
\mm. : Via Cavour, 1 bis - 10066 Torre Pellice ■ c.c.p. 2/33094
ff BENE 0 MALE, MOLTO 0 POCO, SIAMO TOTTI TEOLOGI n
Cosa significa, oggi
insegnare teologia?
FINE DEL COLONIALISMO PORTOGHESE NELL’ AFRICA SUD-ORIENTALE
Mentre si festeggia l’accordo raggiunto il 7 settembre per I
Mozambico ricordiamo la figura di E. Mondlane, primo presidente del Fronte di
figura
Liberazione del Mozambico
La nomina di un nuovo professore
di Teologia, avvenuta nel corso delFultima sessione sinodale, è sembrata
a molti deputati ed a non pochi pastori un atto di modeste proporzioni,
poco più che una normale amministrazione nell’ambito del nostro istituto di
studio. Un professore anziano, in questo caso il prof. V. Vinay, sta per raggiungere i limiti di età previsti per lo
insegnamento, un nuovo, più giovane,
il past. P. Ricca, lo sostituisce, all’incirca come avviene nelle comunità dove un pastore sostituisce il suo predecessore e ne prosegue l’attività sia pure con nuove idee e con caratteri personali. In realtà si tratta di qualcosa
di molto più importante ed impegnativo.
Non perché ci sia nella nostra chiesa una gerarchia di ministeri; un professore non è più di un pastore o un
pastore più di un anziano, davanti al
Signore e dal punto di vista della predicazione deli’evangelo essi sono egualmente importanti e lo sono nella
stessa misura, essenziali all’opera di
testimonianza. La nomina di un professore è più importante di quella di
un pastore nel senso che la sua responsabilità è maggiore, in due sensi.
Anzitutto nel senso che un professore è un maestro delle nuove generazioni di studenti. Ed è questo il primo
punto ed il primo problema: che significa oggi essere maestro di qualcuno, insegnare ad uno il cammino del
servizio cristiano? Come si deve agire
per trasmettere lo slancio dinamico
dell’Evangelo, lo spirito di servizio, la
vocazione? Come fare a far crescere
0 maturare la vocazione in fratelli più
giovani? Un pastore ha molti compiti
il professore uno solo ed è compito
che diventa sempre più rischioso; i
giovani che cercano non sono oggi
meno numerosi di un tempo, non soni) meno numerosi quelli che desiderano servire il Signore, diverse sono le
esperienze e le vie che li hanno condotti a porsi il problema delFimpegno,
diverse sono le esperienze, le sensibilità, le attese. Molto bene è stato detto : un professore deve camminare con
1 suoi allievi alla ricerca della verità
evangelica, deve fare il cammino con
loro per aiutarli a crescere. Un professore di teologia al giorno d’oggi deve rassomigliare sempre meno ad un
docente universitario e sempre più
agli apostoli delle prime comunità cristiane nel senso che non è maestro in
cattedra ma uomo in missione che cerca. La critica di Gesù agli scribi che
insegnano la via della legge senza viverla è attuale anche per noi.
La responsabilità di un professore
di teologia è maggiore anche in un altro senso : egli non può limitarsi a trasmettere un insegnamento, a dare at
nuovi pastori quello che ha ricevuto,
deve aiutare la comunità tutta a ripensare la sua fede. La teologia non è la
scienza della religione riservata ai professionisti come l’astronomia è risesvata agli astronomi, è roba di tutti i
credenti perché tutti fanno della teologia. Molto o poco, bene o male, volenti o no siamo tutti teologi, la nonna
c’ne insegna al nipotino a recitare il
Padre Nostro, i genitori quando fanno
battezzare il proprio figlio, il valdese
che va in chiesa a Natale e non le altre
domeniche, quello che dice che la chiesa non deve fare politica, quello che
dice tutte le religioni sono buone, tutti facendo quelle cose e dicendo quei
discorsi fanno della teologia perché
ognuno ha la sua idea molto chiara
della religione, di quello che dovrebbe o non dovrebbe essere.
Nulla di più e di diverso fa un pro
fessore di teologia ma lo fa per tutti e
con tutti. Egli deve mettere in chiaro
le cose che non son chiare nei discorsi nostri, mostrare i punti deboli, gli
errori, i pericoli nascosti nei ragionamenti che stanno facendosi, deve trovare dei nuovi modi di dire le cose
vecchie, di esprimere la fede e per poter fare questo deve vivere e camminare con la comunità e nella comunità
dei credenti.
11 maggior problema che sta oggi
dinnanzi alla chiesa cristiana non è
quello dell’impegno, del servizio, del
coraggio, della perseveranza ma quello della fede, della comunicazione della fede. Non basta credere occorre saper comunicare perché ed in chi si
crede, quello è diventato difficile perché non siamo sicuri che il nostro modo di dire sia capito. La comunità non
ha oggi meno fede di un tempo ha meno parole ed il compito della teologia,
e di chi vi si dedica, è proprio quello
di fornire ai credenti le parole di cui
hanno bisogno. In questo senso la ricerca è comune, è di tutti perché nessuno è maestro nella chiesa, maestro
nel senso di avere la verità. Non molti anni fa si diceva « occorrono meno
parole e più fatti », oggi dovremmo
dire « occorrono meno impegni e più
meditazione ».
Il rinnovamento ed il travaglio che
investe oggi la comunità cristiana non
risparmia le Facoltà di Teologia, anzi
le rende ancor più esposte e vulnerabili; non sono delle retroguardie della
chiesa ma delle prime hnee.
Giorgio Tourn
Un protestante africano
nella lotta di liberazione
Il 7 settembre è stato firmato a Lusaba l’accordo che sancisce la prossima
dopo quasi cinque secoii di dominio coloniale
indipendenza del Mozambico
portoghese. L’indipendenza^ a’
tarano parte”rappr^ntanti~del Fronte di " Liberazione
.___ j- j__-minìcii*! imAiit.rA 1111 tftrzo sRifà noininato da Lisbona.
porSes“ L’indipendenza awerÌà il 25 giugno 1975 mentre sta P«. ^sere va.
iin o-nvornn nrowisorio che reggerà il paese sino a quella data, di e
norzione di due terzi dei ministri mentre un terzo sara nominato
Così alia caduta del fascismo in PortogaUo con la fine del regime di Salazar
segué la caduta del colonialismo portoghese in Mrica con i indipendenza, già
ac^isita, della Guinea e del Mozambico: più difficile appare per ora il pa
Iffie^foie de/*Moi^bico dal dominio coloniale è avvenuta dopo 10
anni di sanguinosa guerriglia e realizza le aspirazioni deUa popoiazione negra,
mentre ia minoranza bianca, con una cieca reazione, sta insangmnando
il paese nel disperato tentativo di evitare la sua decolonizzazione. Gruppi di coloni bianchi hanno persino cercato di attuare una secessione, senza riuscirvi.
Il processo di liberazione è irreversibile.
^11 Frelimo (Fronte di Liberazione del Mozambico) e il grande protagonista deU’indipendeiiza acquisita. li primo presidente del ^ PJ^®‘
stante, Eduardo Mondlane, assassinato a Dar es Salaam il 3 febbraio 1969.
L’editoriale del «Mozambique Revolution» che annunciava la sua morte lo ricordava come «un uoQio nuovo in una nazione nuova» e precisara: «il senso
della sua morte è chiaro, com’era chiaro il senso della sua vita: offerta e dono
di sé nella lotta ». , j j
Nei giorni in cui si festeggia l’accordo raggiunto per 1 indipendenza del Mozambico riteniamo giusto ricordare Eduardo Mondlane ripubblicando 1 articolo di Mario Miegge « Le scelte di Eduardo Mondlane » apparso su « Gioventù
evangelica » 2/1969. ____
Un uomo nuovo in una nazione nuova
{A pag. 4 le decisioni del Sinodo per la
Facoltà di Teologia).
Ho conosciuto Eduardo Mondlane
alla Seconda assemblea del Consiglio
Ecumenico, a Evanston nel 1954. In
quella afosa estate americana non era
ancora spenta l'eco delle invettive del
senatore Mac Carthy e la crociata anticomunista dei fratelli Dulles cercava spazio — invero con scarso successo — anche nella assemblea delle
chiese. Stanchi della cordialità formale di cento incontri, finivamo per ritrovarci di notte in pochi sulla spiaggia
del lago Michigan e Mondlane ci parlava della sua terra e di un popolo
ridotto in schiavitù. Figlio di una stirpe di capi mozambicani che avevano
combattuto battaglie impari contro gli
invasori portoghesi, vissuto fino alla
adolescenza nella savana, protestante, educato nelle scuole missionarie,
Eduardo aveva proseguito gli studi
dapprima nel Sud-Africa — da dove
era stato espulso per ragioni politiche
e razziali — poi in Portogallo, ed era
approdato infine in un dipartimento
di antropologia culturale del Middle
West. Gigante nero, sorridente e gioviale, si muoveva con un certo im
LE CHIESE MESSE DI FRONTE ALLA
Lettera alle comunità
CRISI ECONOMICA
evangeliche
di Torino e del Piemonte
30 agosto 1974
« Questo non si fa per recare sollievo ad altri e aggravio a
voi, ma per principio di uguaglianza; nelle attuali circostanze la vostra abbondanza serve a supplire al loro bisogno, onde la loro abbondanza supplisca altresì al bisogno vostro, affinché ci sia uguaglianza, secondo che è scritto: chi aveva raccolto molto non ne ebbe di troppo, e chi
aveva raccolto poco non ne ebbe mancanza ».
(2 Corinzi 8: 13-15).
Cari Fratelli,
l’esortazione dell’apostolo Paolo ai cristiani di Coritito in relazione all’appello che egli aveva rivolto a tutte le chiese dell’Asia Minore e della Grecia in
favore delle fratellanze di Giudea colpite dalla carestia, ci incoraggia a rivolgerci a voi.
Siamo i rappresentanti del piccolo gruppo di evangelici dipendenti della
azienda EMANUEL, intorno alle vicende della quale avete probahilrnente letto
qualcosa Sui giornali. Siamo solo 8 degli oltre 600 lavoratori venutisi a trovare
in una situazione veramente grave. Ma poiché i colleghi Cattolici impegnati si
sono rivolti all’arcivescovo di Torino e alle comunità della diocesi, abbiamo ritenuto di potere e di dovere anche noi interessare al nostro grave problema i
nostri confratelli evangelici.
Nel foglio accluso vi diamo le informazioni fondamentali intorno alla situazione per la quale chiediamo la vostra solidarietà umana e cristiana. Pensiamo
che essa possa manifestarsi lungo due vie:
1. Una manifestazione pubblica di solidarietà con noi, mediante la presenza di una qualche vostra delegazione ad una delle Assemblee che teniamo
periodicamente nella sede dell’azienda, o mediante una qualche dichiarazione
inviata alla Stampa Evangelica;
2. Una sottoscrizione volontaria per aiutarci a integrare in qualche misura il mancato salario e, così, a resistere nell’azione intrapresa fino alla sua
positiva soluzione.
Vi siamo riconoscenti fin d’ora per quanto vorrete fare per noi nella solidarietà umana che Gesù ha vissuto fino in fondo.
Vostri
Bertinat - Castagno - Del Buono - Pontet
NOTA INFORMATIVA
La lotta che conducono i lavoratori
della EMANUEL è nota nelle sue linee
generali da quando è stato deciso il
fallimento dell’Azienda, e da quando
le maestranze, per parte loro, hanno
deciso di continuare autonomamente
l’attività produttiva.
Meno note sono le difficoltà che i lavoratori hanno incontrato nell’attuare
la decisione di continuare a produrre
(dato che ci sono commesse per oltre
2 miliardi di lire) da parte degli ex dirigenti che avevano impostato programmi e organizzazione produttiva in
maniera da portare l’azienda al fallimento.
Il curatore fallimentare, dopo la dichiarazione di fallimento da parte del
Tribunale di Torino il 31.5.74, ha voluto impedirci di provvedere alla ulti
mazione degli apparecchi in corso di
fabbricazione per potere aumentare il
patrimonio fallimentare. Avendo noi
però ottenuto un prestito di 1 milione,
abbiamo potuto completare tali lavorazioni per un totale di 144 milioni di
lire. Se nell’arco di due mesi abbiamo
potuto produrre un fatturato di oltre
500 milioni, e avere a fine luglio un
avanzamento lavori di oltre 200 milioni, ciò dimostra che le maestranze hanno una capacità e una coscienza professionale che, se fossero indirizzate
diversamente da come le avevano indirizzate i vecchi dirigenti, potrebbero
condurre alla soluzione di ogni problema.
Tenendo presenti le ordinazioni ricevute dalla EMANUEL, recentemente
per oltre 2 miliardi, la necessità di difendere il posto di lavoro di oltre 200
lavoratori, e di mantenere in vita un
patrimonio produttivo realmente efficiente, abbiamo deciso di non cedere
e di restare al nostro posto di lavoro,
presidiando anche la fabbrica durante
la notte.
Come potete quindi facilmente capire, la nostra non è una lotta di aggressione ma di difesa; e l’abbiamo voluta
condurre in uno spirito e con atteggiamenti di apertura e di maturità,
scegliendo la via degli incontri, delle
trattative e della resistenza non violenta.
Come è chiaro dai giornali, le autorità competenti, fino al ministro del
lavoro, hanno acccettato di interessarsi al nostro problema, e si stanno adoperando per giungere ad una soluzione.
Il problema più impellente di questo momento è quello di mantenere la
capacità di resistenza dei lavoratori e
delle loro famiglie per mezzo di tangibili aiuti in denaro che permettano
loro di fare fronte alle indilazionabili
esigenze della vita, rese ancora più
gravi dal continuo aumento dei prezzi.
paccio nel meccanismo efficiente della « american way of fife »; ma una
tesi di seicento pagine sullo sfruttamento coloniale del Mozambico gli
aveva procurato la stima di professori
« liberali » e gli garantiva un inserimento attivo nel mondo universitario; poteva permettersi, di li a poco,
di sposare Janet, una studentessa
americana bianca.
Ma per Eduardo Mondlane l'Africa
non doveva rimanere un argomento
di produzione accademica. Quando
l'ho rivisto nel 1966, a Ginevra, Eduardo aveva ormai abbandonato l'università americana ed era tornato in Africa con Janet e i figli Nelle province
settentrionali del Mozambico era iniziata la lotta armata contro il regime
coloniale portoghese. La guerriglia s-i
qualificava come movimento politico
di massa, nei villaggi perduti nella
foresta si aprivano scuole e dispensari. Promotore del Fronte di Liberazione del Mozambico, Mondlane ne era
stato eletto presidente e sviluppava
instancabilmente i rapporti internazionali del FRELIMO, in collegamento
con i movimenti rivoluzionari delle
altre colonie portoghesi : il MPLA angolano di Agostinho Neto e il PAIGC
di Amilcar Cabrai (Guinea portoghese). In dodici anni Eduardo non era
mutato, non aveva perso il largo sorriso, il parlare franco e privo di riserve: capo di un movimento di liberazione nazionale, viaggiava senza scorta per le infide città dell'Occidente,
solo con la moglie Janet. Dopo aver
preso parte alla conferenza di Ginevra su « chiesa e società » era in procinto di partire per Cuba per i lavori
dell'Organizzazione di solidarietà dei
popoli dell'Asia, dell'Africa e della
America latina (OSPAAL), ma trovava ancora il tempo per dialogare con
gli amici. Certo, non erano parole
oziose: per Eduardo come per noi si
trattava di ritrovare una solidarietà
internazionale nella lotta; egli stava
in prima linea ed aveva tuttavia la pazienza di ascoltare chi era invischiato
nella realtà ambigua del movimento
operaio occidentale.
Il 3 febbraio 1969, di ritorno da un
viaggio, Eduardo è andato al suo ufficio a Dar es Salaam (capitale della
Tanzania, dove ha sede la direzione
del FRELIMO), ha ritirato la posta in
arrivo e si è recato in casa di un amico per lavorare con maggiore tranquillità. Ha trovato anche un libro, indirizzatogli personalmente, lo ha aperto ed è rimasto ucciso da una
bomba innescata nel volume. Il pacco era stato spedito da un paese dell'Europa occidentale.
Eduardo Mondlane è stato ucciso
perché i progressi della guerriglia nel
/'Mozambico minacciano il regime coloniale portoghese: poiché il movimento non può essere stroncato alla
base, all'interno del paese, si è cercato di paralizzarlo al vertice e di colpire le sue relazioni internazionali.
Ma questa non è soltanto una impresa del fascismo portoghese (va ricordato che già tre altri dirigenti del
FRELIMO sono stati eliminati in attentati avvenuti fuori dal territorio del
Mozambico). In realtà la lotta armata
nel Mozambico e nell'Angola mette
in questione lo status quo di tutta
l'Africa australe : l'Africa delle miniere, dell'oro, del lavoro coatto, dell'apartheid, l'Africa che deve essere
Mario Miegge
(continua a pag. 6)
2
pag. 2
N. 36 — 13 settembre 1974
Un p^lémà ché non riguarda soltanto
! capitani d’industria o r responsabili di « multinazionali »
Uno dei protagonisti della teologia del XX secolo
CRISTIANESIMO E CAPITALISMO I® *0
Il settimanale romando « La vie protestante » ha avviato, da alcuni mesi,
una rubrica che pare incontrare favore: « Scriveteci ». 7 lettori possono porre domande di vario genere a un teologo, che risponde in forma anonima.
Su di un numero recente, un lettore di
Neuchâtel chiedeva:
Si può essere cristiano e capitalista? In
caso contrario, a partire da quando
si è capitalista? Il fatto di possedere un libretto di risparmio o una
vigna che non si coltiva direttamente, mi classifica già in questa categoria?
Ed ecco la risposta del teologo:
Cominciamo dall'ultima domanda,
rispondendo semplicemente: si. Essere,
capitalista significa possedere un fondo (mobiliare o immobiliare) che si fa
rendere per trarne un beneficio. Se il
capitale è prestato, il beneficio che supera il salario del lavoro (o che lo divora, a seconda dei casi) si chiama interesse.
È più difficile rispondere brevemente alla prima domanda.
Notiamo anzitutto che il capitalismo
esiste ovunque, sotto varie forme. Il
capitale prestato può essere privato
(società occidentali) o collettivo (società orientali); nel primo caso i capitalisti rappresentano ima minoranza; nel secondo il popolo nel suo insieme è, in teoria, proprietario del capitale; ma in pratica la minoranza che gestisce il capitale è altrettanto occulta,
autoritaria e democraticamente irresponsabile in ognuno dei tipi di società.
Oggettivamente il capitale, quale
strumento di lavoro, si rivela ovimque
necessario. E che possa essere prestato
è vm gran bene, in termini democratici: poiché nessuno può creare nulla
materialmente se non ha, prima di
produrre, un campo o una macchina.
Il principio della remunerazione di
questo prestito si rivela anch’esso indispensabile, in oriente come in occidente, per evitare che il capitale si riduca e si sprechi. Infatti ogni capitale
è, in origine, un prelievo sul consumo,
un risparmio, che può essere rapidamente svalutato, consumato, venduto,
e così sparire.
Il problema etico che si pone alla
coscienza cristiana è in primo luogo
quello della proprietà del capitale ;
quindi quello della sua remunerazione
(di quale entità?) e quello dei diritti
(chi decide?) che gli sono connessi.
Gesù non aveva alciina proprietà,
dunque alcun capitale, dunque alcun
interesse. Perciò una parte della Chiesa ha sempre considerato, nel corso
dei secoli, che solo la povertà era
compatibile con la fede cristiana. Lo
ascetismo legato a questa tendenza si
associa all’idea che bisogna strapparsi alle abitudini e ai piaceri del mondo per essere salvati. Questa tendenza
si rafforza nelle epoche — qual è la
nostra — in cui pesano sulla società
minacce di "fine del mondo”. La Chiesa
primitiva ha conosciuto un tentativo di
rigetto e di messa in comune della proprietà: ce ne parla il libro degli Atti
degli apostoli. Quanto alla remunerazione dell’interesse, una parte della
Chiesa l’ha sempre combattuto. Al limite di questa posizione ci sono gli
Ordini mendicanti che rifiutano ogni
altra attività che non sia la contemplazione e la preghiera in questo mon
IIIIIIIIIIII!
do, attendendo il Regno di Dio nell’altro. (N.d.r.: la storia del valdismo primitivo mostra però che è state possibile, almeno in certi periodi, una scelta della povertà diversamente motivata e orientata).
Una parte della Chiesa, fin dagli inizi, ha assunto im atteggiamento diverso. Ha messo l’accento non sulla fuga
dal mondo ma sulla solidarietà con esso, nelle sue opere creatrici e nella sua
fatica produttiva. Considerando che Gesù, senza essere proprietario, non ha
condannato il fatto di essere proprietario e meno ancora il lavoro e la sua remunerazione, ha cercato di assumere
le responsabilità della produzione nella società; si è conformata, più o meno, alle regole delle sue attività, fra
cui l’approvazione, privata o sociale,
del capitale e della sua remunerazione.
Al lìmite di questa posizione si vedono
cristiani diventare duri uomini d’affari
in cerca di riuscita e di successo a ogni
costo, ritenendo che le cose di questo
mondo e le regole della società sono
senza rapporto con la loro pietà del
tutto interiore e individuale: il Regno
di Dio annunciato da Gesù Cristo è riservato all’aldilà (su questo punto essi raggiungono, dunque, gli asceti della prima tendenza).
Ffa questi due poli estremi si è sviluppata una tensione in seno alla Chiesa universale, tensione sempre esistita e che, per buone ragioni, non può
non esistere; infatti ciascuno dei due
poli rappresenta, semplificato a oltranza, un orientamento dell’evangelo che
dev’essere salvaguardato: da un lato
il si di Cristo (autore della creazione)
al denaro e al mondo, come servizio
agli uomini; e d’altro lato il suo no a
queste stesse realtà in quanto Salvatore degli uomini, difensore dei poveri e degli oppressi contro i poteri economici dominanti. Questi poteri rischiano infatti sempre di essere tirannici e oppressivi; manifestano ovunque e sempre la stessa tendenza alla
concentrazione (e ai monopoli) per
rafforzare il loro dispotismo, a ovest
come a est.
Ma prendiamo il problema di petto.
Le persone religiose che partecipano a questi poteri hanno la tendenza
a dire: il sistema dev’essere migliorato dalla vita ’spirituale’; bisogna cambiare ’i cuori’ per lottare contro la tirannia del denaro ; il capitalismo in sé,
ad esempio, non è anticristiano.
Le persone religiose che subiscono
questi poteri e che sentono di essere
sfruttate da loro hanno la tendenza a
dire: il sistema è anticristiano, bisogna sostituirlo con un altro, più cristiano.
In realtà gli uni e’gli altri riducono
il problema. Infatti il dominio del denaro, che è quello di Satana, denunciato da Gesù come Mammona, è al
tempo stesso spirituale e materiale,
personale e strutturale. E lottare contro Mammona, non vuol dire opporre lo spirituale al materiale, o il capitalismo al comunismo. Vuol dire cercare la libertà spirituale che ci rende
atti a lottare contro le strutture oppressive della società concreta nella
quale viviamo. E questa lotta, sui due
piani, non finisce mai; infatti la libertà spirituale si perde facilmente, appena si è dalla parte del potere; e le
strutture oppressive si ricostruiscono
via via che sono modificate.
Poiché viviamo in sistema capitalista, dobbiamo dunque lottare contro
i meccanismi oppressivi e monopolistici del sistema (ad esempio, favorendo
una effettiva partecipazione nelle aziende, e il controllo democratico delle società multinazionali). Se vivessimo in
sistema socialista, dovremmo lottare
contro le tendenze oppressive del sistema (ad esempio, contro la centralizzazione non democratica delle decisioni). ì
Si può essere cristiano e capitalista?
Il fatto di essere cristiano non implica necessariamente la rinuncia alla
proprietà di un capitale, ma esige in
ogni caso la lotta spirituale e politica
contro le ingiustizie del sistema e a
favore di una società più giusta a Jivello locale, nazionale e mondiale.
UNA DOMANDA AD UN TEOLOGO
“Come si situa di fronte
ai problema della proprietà?»
In uno dei suoi ultimi numeri, il settimanale francese “Réforme" riporta
un’inchiesta svolta partendo da sei domande, nelle quali un gruppo ecumenico di giovani olandesi ha riassunto
le sue preoccupazioni fondamentali.
Una, quella riportata nel titolo, verteva sull’atteggiamento di fronte al problema della proprietà. Ed ecco la risposta di Jacques Rossel, teologo riformato svizzero, 59 anni, presidente
della Missione di Basilea e membro
del Comitato esecutivo del CEC.
Poste a confronto con la tradizione
biblica, le mie idee personali al riguardo mi portano a pensare che s’impone
una rifusione del diritto di proprietà
in vigore nella maggior parte dei paesi
occidentali.
L’Antico Testamento presuppone una
ripartizione equa della proprietà fondiaria e prevede una ridistribuzione
lib ri
NDStiliis di IHiirtà
.Alfredo Brosstesi. Perché i preti se ne vanno, Milano 1973.
Possibilità di accedere al sacerdozio per coniugati e per le donne, temporaneità del ministero sacerdotale, contro la dottrina tradizionale cattolica del carattere indelebile della consacrazione sacerdotale : queste sono le
proposte rivoluzionarie contenute nel libro
del Brontesi.
Se le riforme sono veramente radicali, il
tono del discorso è molto moderato, anzi
« tradizionale ». Il Brontesi vuol fare un discorso airinterno della chiesa cattolica .fondandosi .soprattutto sugli aspetti più rinnovatori dei decreti del Concilio Vaticano II.
Non è messa in discussione né la gerarchia
cattolica, né la concezione a sacerdotale »
del ministero del prete, anzi l’Autore tenta
di stabilire un dialogo con la stessa gerarchia,
prendendo sul serio alcuni aspetti della teologia cattolica più aperta e dimostrando le incongruenze della disciplina imposta ai cattolici sul preciso argomento del ministero sacerdotale.
Il Brontesi parte da una constatazione di
fatto: l'uscita di molti preti. Egli vuol diinostrare che questo fatto non va recepito
semplicisticamente come debolezza di fede o
tradimento di alcuni, ma come .segno che
la disciplimi ecclesiastica cattolica è in contraddizione con il significato teologico dello
stesso ministero sacerdotale nella chiesa. La
di.sciplina ecclesiastica rappresenta un ostacolo alla libertà dello Spirito Santo che suscita le vocazioni sacerdotali fuori degli schemi di quella disciplina. Perciò — pur valutando l'importanza del celibato ecclesiastico
— il Brontesi ritiene che esso non debba essere impo.sto. La stessa libertà dello Spirito
urta contro l’esclusione delle donne dal ministero sacerdotale, dipendente da situazioni
sociali e non da precise indicazioni bibliche.
Anche la perpetuità del sacerdozio è messa
in discussione: un credente può essere chiamato a svolgere un servizio nella chiesa per
un periodo della sua vita, chiuso il quale
egli può sentire il dovere di rinunciarvi, senza per questo essere considerato fedifrago, degradato, ecc.
Il discorso del Brontesi si inserisce nel contesto della revisione critica che è stata particolarmente viva negli anni del Concilio Vaticano II e successivi, ma che esisteva nella
clandestinità molto prima. Il domma
lico quale è stato congelato nei Concili di
Trento e Vaticano I, non regge alla revisione
critica e nella misura in cui i cattolici stessi
aprono la Bibbia e consultano la stona, esso
si dissolve. Scoperto che tante affermazioni
dommatiche hanno avuto origini in determinati momenti storici e quasi sempre per giustificare il potere, scoperto 1 annuncio della
libertà dello Spirito nell’Evangelo, i teologi
cattolici impegnati nella ricerca sono .sospinti a rivendicare la riforma della propria chiesa. Il punto debole della loro impostazione
critica consiste nel fatto che il loro discorso
rimane a metà strada. Così il Brontesi critica
un aspetto della disciplina e, nello stesso
tempo, si mostra ossequiente alla gerarchia e
ne riconosce l’autorità, senza forse accorgersi che il discorso che egli fa sulla disciplina
del sacerdozio cattolico ha un valore molto
più generale e radicale. Verrà il momento
in cui anche il Brontesi si renderà conto che
il dilemma è molto più profondo : Roma o la
si subisce integralmente o la si respinge radicalmente: le vie di mezzo non ci sono.
Alfredo Sonelli
periodica (ogni cinquanta anni) per
garantire l’equità: « La terra non sarà
venduta con perdita di ogni diritto,
perché la terra è mia e voi siete presso di me stranieri e ospiti. Per ogni
proprietà fondiaria lascerete un diritto di riscatto sul fondo » (Levitico 25:
23, 24). Secondo questa legislazione ci
sarebbero due diritti alla proprietà: un
diritto fondamentale e permanente e
un diritto limitato. Riferita al contesto occidentale contemporaneo, questa
legislazione ci costringe a questa conclusione: in assenza di una preventiva
giusta ripartizione dei beni, non possiamo pretendere a un diritto fondamentale e permanente. Il diritto del
quale godiamo non può essere che limitato e soggetto a una ridistribuzione periodica, per assicurare a ciascuno il minimum di proprietà che possa
assicurargli la sua dignità e il suo pieno sviluppo.
Il Nuovo Testamento tratta del diritto di proprietà nella prospettiva della comunità dei beni liberamente consentita (Atti degli apostoli 2: 45). Questa comunità dei beni è retta dalla totale fiducia reciproca dei membri. Non
è quindi possibile che su scala ridotta e ha valore di segno. A livello nazionale i diritti e gli obblighi reciproci delle persone e della comunità devono essere definiti mediante leggi. In
Europa ci troviamo oggi in presenza
di due sistemi: l’uno accorda diritti
prioritari alla comunità, l’altro all’individuo. Secondo la Bibbia, la comunità umana non può essere un formicaio. Deve riconoscere il diritto alla
dignità della persona rendendone possibile l’iniziativa e la responsabilità.
Per questo la persona ha bisogno di
poter chiamare ’sue’ certe cose. Ha
quindi bisogno che le si conceda un
certo diritto di proprietà. Ma questo
diritto non dovrà mai permettere alla
persona di diventare un ’individuo’, capace, grazie al diritto di proprietà di
cui dispone, di stabilirsi in qualche
modo al di fuori e al di sopra della
comunità. Su questo punto la legislazione fondiaria occidentale dev’essere
rivista. Jacques Ros.sel
Il 20 agosto scorso il teologo protestante di Marburgo, Rudolf Bultmann,
ha compiuto 90 anni. Lo studioso e
docente di Nuovo Testamento è —
unico ancor vivente dopo la scomparsa di Bonhoeffer, Barth, Tillich — fra
i protagonisti della scena teologica del
nostro secolo ed è senz’altro uno di
quelli che l’ha più profondamente segnata.
È un esegeta, di una penetranza e di
una vivezza rare. Questo sarà forse il
lascito più profondo e durevole che lo
seguirà, anche se è già entrato nella
storia come il maestro della ’demitologizzazione’.
Le prime opere che lo imposero all’attenzione furono nel 1921 una Storia della tradizione sinottica che ha
poi avuto tutta una serie di edizioni,
e nel 1926 un Gesù che ha avuto la
stessa fortuna. Nella prima R. Bultmann, in base a un’analisi metodica
degli Evangeli sinottici, saggiando le
forme in cui sono espresse le testimonianze che abbiamo relative ai detti e alle opere di Gesù, affermava che
non abbiamo nulla di prima mano, di
lui, ma che tutto, su di lui, ci è giunto
filtrato, appunto, da testimoni e gruppi di testimoni, di cui si tratta di evidenziare le caratteristiche. Nel dibattito sul ’Gesù storico’, insomma, egli
optava per il Cristo della fede: la fede dei testimoni e quella degli ascoltatori; una biografia di Gesù è impossibile, è possibile soltanto — ed è l’appello alla decisione della fede — rincontro con il Cristo vivente annunciato dai testimoni scritturali. Di Gesù
sappiamo soltanto che visse, predicò
e mor’j, testimone del Regno di Dio alle porte, del comandamento radicale e
del gratuito perdono di Dio, condensato nell’appello al ravvedimento, al
cambiamento di mentalità, e nell’ubbidienza al suo volere. Non osservazione storica, dunque, ma incontro con
la storia che pone l’ascoltatore di fronte alla decisione, alla scelta se vuole
o no incontrare in Gesù la parola di
Dio e osare l’avventura dell’amore.
Elementi positivi e negativi si affiancavano in questa posizione, e si capisce che essa abbia suscitato appassionati consenti e violente ripulse. Da un
lato, il giusto rifiuto della freddezza
documentaria e distaccata ; dall’altro, il
grave rischio di ridurre tutto a psicologia umana, svuotando, al limite, il
messaggio biblico di ogni vera realtà
storica. L’eredità scientifica della ricerca ’liberale’ del XIX secolo e l’immediatezza dell’esistenzialismo si associavano in qualche modo in lui.
Ed ecco l’altro grande momento dell’opera bultmanniana. Nel 1941, in piena guerra mondiale, era apparso in
Germania un suo libro: dei due saggi
ivi contenuti, il secondo, Nuovo Testamento e mitologia, dette l’avvio a una
discussione destinata ad avere una risonanza mondiale, anche se in un primo tempo, a causa delle circostanze
belliche, era rimasta piuttosto circo
scritta in Germania e in ambito ecclesiastico. Sostanzialmente R. Bultmann affermava che proprio per essere afferrati dal messaggio e per vivere l’incontro con il Cristo, occorre
liberare il nucleo permanente del messaggio dal suo involucro legato alla
mentalità, alla cultura, alle conoscenze, al linguaggio del suo tempo; e poiché il messaggio biblico è tutto avviluppato in una visione mitologica del
mondo, che non è più la nostra, bisogna ’demitologizzarlo’: così, ad esempio, bisogna liberarlo dal mito del
mondo a tre piani (cielo, terra, inferno) inaccettabile alla luce delle nostre
conoscenze scientifiche, e dalla credenza nei dèmoni e nei miracoli nonché
nella fine prossima del mondo, tutti
miti inconciliabili con le nostre osservazioni scientifiche e storiche. Poneva
insomma, in termini odierni, il problema dei rapporti fra la fede fondata
sulla Bibbia e le conoscenze scientifiche via via più vaste e profonde. Un
problema ben poco affrontato, finora,
dalla chiesa, e che pure sta esplodendo nella crescente secolarizzazione, che
spesso bimbi e adolescenti respirano
crescendo, come sa bene ogni genitore, ogni monitore o catechista che si
sforzi di portare ai giovani la testimonianza all’Evangelo. Con viva e responsabile sensibilità per la ’predicazione’,
R. Bultmann evidenziava e affrontava
un nodo cruciale della fede cristiana
contemporanea. Meno convincente la
soluzione proposta, che rischiava appunto l’annientamento della realtà storica del ’messaggio’: piegandosi forse
inconsciamente al mito nuovo della
Scienza e della Storia, si rischiava di
disperdere proprio i dati storici costituiti dalle testimonianze apostoliche e
di ridurre il Cristo a quel che posso
pensare e ’sentire’ di lui. La fede limpida e decisa che pervade l’opera del
maestro di Marburgo lo ha personalmente preservato da questo svuotamento; ma considerando le conseguenze del suo insegnamento c’è da chiedersi se, proprio volendo combattere
la secolarizzazione, il crescente divario
fra fede e visione scientifica del mondo, egli non abbia paradossalmente
contribuito a questa secolarizzazione,
con la ’soluzione’ da lui proposta.
« Rudolf Bultmann è diventato il
simbolo di un radicalismo teologico
pericoloso. Egli non è senza responsabilità in questo giudizio che i contemporanei formulano su di lui. I suoi discepoli proseguono con fredda determinazione la sua opera di critica esegetica. Alcuni critici lo esortano a liberarsi dal concetto di kerygma (annuncio), come da un ultimo residuo
mitologico, e a risolvere francamente
il suo cristianesimo in filosofia. Eppure sarebbe peccato che la profonda
esigenza di fede, che ravviva tutte le
opere di Rudolf Bultmann, fosse dimenticata o elusa; che il Bultmann
della demitologizzazione facesse dimenticare il Bultmann della decisione
esistentiva, il Bultmann discepolo di
Kierkegaard e ’teologo della crisi’ » —
così scriveva Giovanni Miegge nel 1956,
quando la diffusione e la discussione
del pensiero protestante era ancora
tutta di là da venire, in Italia, eppure
egli già dedicava, con vigile e tempestiva sensibilità teologica e culturale,
un saggio a L’Evangelo e il Mito nel
pensiero di Rudolf Bultmann.
Fra le molte opere successive, sono
da segnalare soprattutto un monumentale e originale anche se unilaterale o
discusso Commento all’Evangelo secondo Giovanni, e una Teologia del
Nuovo Testamento, di cui l’editrice II
Mulino sta per pubblicare la versione
italiana: potrebbe essere un omaggio
sobrio e concreto al teologo novantenne.
G. C.
Notiziario Evangelico Italiano
Una pila di libri deli’evangelismo italiano
% Al teologo berlinese Helmut Gollwitzer
è stata conferita dalla Lega internazionale per i diritti dell'uomo la Medaglia « Cari
von Ossietzky », con la motivazione dell’impegno esemplare del Gollwitzer a favore dei diritti dell'uomo, senza badare a critiche e ad
attaechi, da qualunque parte venissero. Affrontando nevralgiche questioni sociopolitiche
il Gollwitzer si è procurato molte ostilità; fra
l’altro questo suo impegno ha giocato contro
di lui nella decisione delle autorità di asilca,
che hanno respinto alcuni anni fa la sua candidatura alla successione alla cattedra di Karl
Barth, presso quell Università, e gli hanno
preferito il prof. H. Ott. una figura senza
dubbio di minore rilievo.
Edizioni « Uomini Nuovi »
« Cristo ritorna » di R. Pache.
« Luci sul di là » di T. Brès.
« La croce e il pugnale » di D. Wilkerson.
« Luce di vita » corso biblico gratuito.
Inoltre dischi incisi dal complesso
Gioia e canti religiosi e « L’arca di
Noè », la Bibbia su dischi raccontata
ai bambini.
I dischi U.N. costano L. 1.000.
L’ultimo libro di «Uomini Nuovi»
è « Un fiore, due cani e un bambino »
di G. Giuliani. È una guida di educazione sessuale e morale per il bambino; è illustrato a colori e costa lire
2.000. « Edizioni Uomini Nuovi », Marchirolo (Varese).
« La Voce del Vangelo » offre un
corso bìblico per corrispondenza:
« Conquistatori d’anime » a L. 1.000.
Progetta inoltre un giro biblico nei
luoghi più importanti d’Israele, dal 21
al 30 settembre. La Voce del Vangelo,
V. Pozzuoli 9, 00182 Roma.
Pubblicazioni « Voce della Bibbia »
Una serie di sei libri per bambini
a L. 750 ciascuno.
« Nero ma libero » opuscolo adatto
all’evangelizzazione.
« Spiritualità vera » di F. Schaeffer,
L. 2.500.
« Portare frutto » di D. Trotman.
« Il Cristianesimo è ragionevole? ;
di W. Woodson.
Sono pure disponibili « cassette »
con inni, musica e messaggi. Si può
chiedere il catalogo a: Voce della Bibbia, Cas. Post. 580, Modena.
La Casa Ed. Avventista « Araldo
della Verità » ha pubblicato recentemente quattro volumi:
« Giustificazione per fede » di Vaucher.
« L’oro di Dio nelle mie mani » di
Robok.
« Hai risolto questi problemi? » di
G. Cupertino.
« Guida pratica dell’educazione » di
Tièche.
Il 1974 è il centenario del movimento Avventista in Europa. Per fondare
l’opera nel continente fu mandato nell’agosto del 1874, dall’America, il pastore Audrew, che stabll;i la sede principale della missione a Basilea.
È dunque in quella città che si farà
la celebrazione del centenario, dal 27
al 29 settembre. La chiesa di Basilea
preparerà un’esposizione storica con
la partecipazione delle Case Editrici
d’Europa. Inda Ade
3
pag. 3
Scompare un altro esponente della «generazione barthiana» un grave lutto nella chiesa di topino
Una vita al servizio della parola di Dio Arnaldo Eynard
EDUARD THURNEYSEN 1888-1974
medico e uomo
Scompare, con Eduard ThurNEYSEN, uno dei maggiori esponenti della generazione teologica
barthiana. È morto il 21 agosto
1974 a Basilea, all’età di 86 anni.
Pastore, predicatore e professore di teologia, Thurneysen sarà ricordato soprattutto come il collega e l'amico intimo di Karl Barth,
colui che per oltre cinquant anni
ha camminato con lui sul piano
della fede, del pensiero, della battaglia teologica. Insieme a Barth,
Brunner, Gogarten, Merz (con la
rivista « Zwischen den Zeiten ») e
pochi altri, Thurneysen contribuì
a determinare nel periodo che va
grosso modo dal 1915 al 1930
quella che è stata giustamente
chiamata la grande svolta nella
teologia protestante di questo secolo; abbandono del liberalismo
teologico in tutte le sue ramificazioni e lancio della « teologia della crisi », detta anche « teologia
dialettica », che fu in sostanza la
riscoperta che al centro del discorso teologico non c'è l’uomo
religioso ma Dio e la riscoperta
parallela della divinità di Dio (più
tardi integrata dalla scoperta
complementare della sua umanità) e del valore assoluto, normativo ed esclusivo della rivelazione
dell'unico Dio nell’unica sua parola, Gesù Cristo. Che cosa sarebbe diventata la teologia e la stessa chiesa evangelica se non ci fosse stata questa svolta decisiva e
provvidenziale? Preferiamo non
immaginarlo. Certo, è in larga misura grazie alla parola e all’azione
di quegli uomini che la fede evangelica ha saputo allora e fino a
oggi superare le due grandi tentazioni che, in forme sempre nuove
e diverse, la minacciano: quella
del secolarismo e quella del cattolicesimo.
Eduard Thurneysen appartiene
dunque a quella piccola pattuglia
di uomini che, in uno dei periodi
più critici e più contradditori della nostra epoca, hanno saputo ridar vita, forza, autorità ed autenticità evangelica alla teologia, alla fede e alla testimonianza della
chiesa in Europa. Tutte le forme
di rinnovamento evangelico sorte
in questo secolo nella cristianità
protestante — da quello biblico a
quello ecumenico — hanno ricevuto impulsi decisivi dall’opera
della « generazione barthiana ».
Ad essa anche si deve il sorgere
in Germania della 'chiesa confessante’ che ha saputo resistere a
Hitler, al nazismo e alle seduzioni di un cristianesimo nazionale.
Vista oggi in retrospettiva e valutata col senno di poi, la via percorsa da Barth e compagni sembra una via maestra, ben segnata,
lineare, sicura, una via sulla quale non ci si può smarrire. Ma a
coloro che per primi l’hanno tracciata a fatica, giorno dopo giorno,
in mezzo a ogni sorta di difficoltà,
avversità e opposizioni, in situazioni sovente molto complesse e
tutt’altro che chiare, essa dev’essere parsa assai impervia e scomoda, davvero una via stretta, la
più stretta di tutte. Noi riconosciamo oggi in Barth il «dottore»
della chiesa evangelica, e non soltanto di quella evangelica, nel nostro secolo. Ma dobbiamo anche
ricordare che la teologia barthiana non è stata l’invenzione di un
grande spirito solitario, al contrario essa è nata e si è sviluppata
nel quadro di uno scambio intenso di pensiero, di fede e di lotta
tra un gruppo di uomini; il primo
tra questi è senza dubbio Thurneysen. Basterebbe a documentarlo il fitto carteggio intercorso
tra i due; Thurneysen, certo, si
dedicò alla teologia pratica, Barth
a quella sistematica; il primo continuò a esercitare il ministero pastorale, il secondo si consacrò
quasi interamente al lavoro accademico. Ma nello svolgimento del
loro lungo ministero teologico rimasero in stretto contatto 1 uno
con l’altro, cosicché anche ora che
non sono più in mezzo a noi non
li si può non ricordare insieme.
Insieme: non uno nell’ombra dell’altro ma uno a fianco dell’altro.
Docente di teologia pratica all’Università di Basilea, Thurneysen non ha abbandonato il lavoro
pastorale per l’insegnamento: ha
continuato a esercitare entrambi.
Ha scritto alcune opere teologiche di valore duraturo: La parola
di Dio e la chiesa; Dostojewski
(tradotto anche in italiano; alcune parti-comparvero anche su questo giórnale qualche anno fa);
Christoph Blumhardt; La dottrina della cura d'anime (la sua bibliografia completa comprende
oltre 400 titoli^ Ma soprattutto
ha predicato e ha fatto il pastore.
Come tale è rimasto legato più alla chiesa che all’università, più
all’ambiente ecclesiastico locale
che a quello teologico internazionale. Non è diventato un accademico, non è vissuto fra i libri ma
fra gli uomini.
A 80 anni ha scritto una lettera
circolare a tutti colóro che in
quella occasione gli avevano in
vari modi manifestato affetto, stima e gratitudine. È forse eccessivo vedervi una specie di testamento spirituale. Certo però essa
illustra bene il suo atteggiamento
di profonda fiducia in Dio e quindi di disponibilità e apertura per
le cose nuove che egli prepara e
propone alla sua chiesa per l’avvenire. A 80 anni Thurneysen
guarda avanti, non indietro. Dopo
aver citato il Salmo 103 e manifestato sentimenti di lode e riconoscenza a Dio, Thurneysen scrive:
« Oggi non è più una cosa ovvia
considerare come qualcosa di particolarmente importante la vita e
l’opera di un teologo e pastore. Il
nostro servizio è problematizzato,
ed esiste persino la previsione che
entro un certo tempo non ci sarà
più un vero e proprio pastorato.
Comunque: la parola di Dio vuole
ancora e sempre essere annunciata, e lo sarà. Il fatto che io abbia
potuto rendere, certo con molte
mancanze, questo servizio alla parola di Dio e poi ancora, come insegnante, preparare almeno un
po’ i giovani a questò servizio, resta il segno sotto il quale, insieme e accanto a molti compagni
di viaggio, ho vissuto la mia vita
e oggi ancora la vivo... Il nostro
lavoro come teologi e predicatori
in quanto fa parte de/Z’establishment, come oggi si dice, è stato
messo in questione ed è diventato
problematico. Ma non è forse proprio questo un segno che la chiesa nei suoi servizi non può vivere
nell’immobilismo ma è in cammino?... ».
« In cammino... ». In una predicazione dei suoi anni giovanili
Thurneysen si chiedeva coinè mai
avvertiamo e sappiamo così poco
di quel « regno dei cieli » che pure si è avvicinato a noi. E rispondeva: « La nostra vita è come un
cammino lungo un muro, ma
questo muro è sempre di nuovo
interrotto da porte nascoste che
ci conducono nel regno dei cieli ».
Ora Eduard: llhurneysen è passato per l’ultima « porta nascosta »
che lungo il muro della vita introduce alla presenza di Dio. Questa
porta — occorre ripeterlo?
non è la morte ma Gesù.
Paolo Ricca
L’8 settembre scorso è tragicamente mancato il Dott, Arnaldo
Eynard. Lo ricordiamo per il momento con questo breve profilo.
Nato a Torre Pellice il 24 ottobre 1926, il Dott. Arnaldo Eynard,
dopo il conseguimento della laurea in medicina e chirurgia avvenuta nel 1951, iniziò a svolgere la
sua attività professionale all’Ospedale Maria Vittoria e all’Ospedale
Evangelico Valdese di Torino.
Presso tali enti — come pure presso gli Ospedali Valdesi di Torre
Pellice e Pomaretto — ebbe modo di esplicare la sua innata versatilità nel campo medico, d’altronde ben esemplificata dalle
molte specializzazioni conseguite:
in radiologia, igiene, anestesia,
ostetricia e ginecologia oltre che
in chirurgia generale, ramo su cui
incontrò il proprio interesse. La
serietà professionale lo fece apprezzare nei più vari ambienti in
cui svolse la sua attività.
La passione del Dott. Eynard
per l’attività ospedaliera andò poi
ben oltre il lato meramente professionale; l’ampia tematica sul
senso dei nostri ospedali lo vide
sempre attentamente partecipe e
lo impegnò ufficialmente a più riprese a partire dal Sinodo 1961,
quando venne chiamato a far parte di una Commissione ad referendum sul problema della trasformazione e dello sviluppo dei nostri ospedali nel contesto della riforma sanitaria di cui si iniziava
allora a parlare.
Nel 1972 il Dott. Eynard lasciò
l’Ospedale Maria Vittoria per concentrare la propria attività nell'Ospedale Evangelico Valdese dove nel frattempo era stato nominato Primario di ruolo della Divisione di Chirurgia Generale e
Ginecologia, .
La morte lo ha colto nel pieno
della vita e nel momento in cui la
ormai sperimentata maturità professionale poteva trovare un aperto campo di espressione.
Lo vogliamo ricordare così, per
quel tanto che ci ha dato non solo
come medico ma anche come uomo che dietro ad un’apparenza di
timidezza nascondeva una non
consueta umanità. In questo ricordo siamo vicini alla moglie, ai figli
e a tutta la famiglia che lo piange
in questo grave momento.
Renato Balma
La redazione dell’« Eco-Luce » e la
Coop. Tipografica Subalpina esprimono ai familiari del dott. Arnaldo Eynard la loro viva simpatia e fraterna
solidarietà nella dura prova che li ha
colpiti.
Le circostanze della mortale disgrazia non sono ancora del tutto chiarite
e restano frammentarie. La famiglia
Eynard si trovava in vacanza in Calabria, a Marina di Zambrone (Vibo Valentia). Secondo un dispaccio dell’agenzia Ansa, il dottor Eynard sarebbe stato travolto dalle onde mentre tentava
di raggiungere sua moglie in difficoltà
a un centinaio di metri dalla riva per
un’improvvisa tempesta marina. Secondo altre fonti il dottor Eynard sarebbe stato travolto da una burrasca
abbattutasi improvvisamente a una
cinquantina di metri dalla costa e trascinato al largo, benché egli fosse
esperto nuotatore. Certo la tragedia si
è svolta in pochi minuti, senza che si
potesse far nulla. La ricerca della salma è durata a lungo; infine è stata avvistata da un elicottero dei carabinieri. Un carabiniere, calatosi con una
fune per ricuperare il corpo, è stato
investito da uria forte raffica di vento
ed è caduto rimanendo gravemente
i®ùto.
Solo un paio di ore piu tardi la salma ha potuto essere ricuperata.
r
« E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù
dal cielo d'appresso a Dio... E
udii una gran voce che diceva:
Ecco il tabernacolo di Dio con gli
uomini; ed egli abiterà con loro,
ed essi saranno suoi popoli, e
Dio stesso sarà con loro e sarà
loro Dio; e asciugherà ogni lacrima dagli occhi loro e la morte
non sarà più; né ci saran più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le cose di prima sono passate.
E Colui che siede sul trono
disse: Ecco io io ogni cosa nuova, ed aggiunse: Scrivi, perché
queste parole sono fedeli e veraci ».
(Apocalisse 21).
Conferenza stampa di Gladys Marin, deputata al parlamento durante il governo Allende
## CUb un anno dopo II golpo
Dal 10 al 14 settembre 1973 si svolgeva
ad Ecumene l’annuale incontro biblico
per pastori metodisti. Il tema era; la
lettura della Bibbia alla luce dei più recenti risultati della critica biblica. Nel
corso dell’incontro siamo stati raggiunti
dalla notizia del colpo di stato militare
in Cile per cui lo studio è stato sospeso
per dedicare il resto del tempo a vagliare le notizie che ci pervenivano attraverso gli organi di stampa e per redigere una lettera che è stata poi inviata
alle comunità. In quella lettera, credo
valga la pena di ricordarlo, venivano
denunciate le gravi responsabilità della DC cilena nel creare i presupposti
per il colpo di stato. Dietro questo atteggiamento della DC abbiamo creduto di ravvisare la vera posta in gioco e
cioè « il mantenimento di un certo tipo di società che trova la sua codificazione ideologica nei principi della dottrina sociale della chiesa cattolica e
che è funzionale agli interessi dei
gruppi capitalistici nazionali ed internazionali di cui la stessa DC, in virtù
del suo interclassismo, viene ad essere
strumento essenziale ». Si è detto ancora che il nostro intervento come credenti non andava solo nella direzione
della denuncia politica, ma che « sentiamo il dovere di denunciare la riduzione dell'Evangelo a dottrina sociale,
a sistema ». Perché un simile modello
potesse sopravvivere, i così detti cristiani, non hanno esitato ad essere
complici dell’immersione del Cile in
un bagno di sangue.
ABBIAMO GIÀ’
DIMENTICATO?
Un anno è trascorso dal sanguinoso
gólpe defili settembre 1973 e forse
molti di noi, dopo avere allora manifestato la propria angoscia e la propria rabbia, hanno poi finito per dimenticare o quasi incalzati come siamo stati in questo anno da tutto un
tragico susseguirsi di episodi di violenza e di terrore.
Come membro del Comitato ItahaCile « Salvador Allende » ho partecipa
to nei giorni scorsi ad una conferenza
stampa, tenuta nel comune di Bologna, di cui è stata protagonista Gladys Marin, deputata al parlamento durante il governo Allende e dirigente
del fronte clandestino. Essa è stata incaricata di diffondere in Europa tre
documenti redatti dai rappresentanti
all’estero di tutti i partiti della sinistra
cilena riuniti di recente per fare il
punto sulla situazione ad un anno dal
golpe e a quattro anni dalla vittoria
elettorale della coalizione di unità popolare.
Facciamo conoscere questi documenti ael loro contenuto essenziale per
cercare di contribuire a ravvivare la
nostra piena solidarietà con il popolo
cileno.
I documenti sono tre: 1) Dichiara^
zione dei rappresentanti dei Partiti
della sinistra cilena; 2) Appello per
moltiplicare la solidarietà con il Cile;
3) Lista dei torturatori della giunta fascista (105 nomi).
15 MILA ARRESTI
L’ondata di più di 15 mila arresti
delle ultime settimane, l’intensificazione delle torture, delle esecuzioni, dei
campi di lavoro e di concentramento
sono la conferma che il Cile sta vivendo uno dei periodi più drammatici della sua storia.
La brutalità del regime oppressivo
è tanto maggiore quanto più forte è il
processo di costruzione di un fronte
unitario delle forze antifasciste.
Le organizzazioni del movimento
operaio hanno ristrutturato i propri
organismi di lavoro, si sono date una
direzione effettiva all’interno del paese, coordinando le iniziative per contrastare l’immagine di solidità che la
Giunta vorrebbe presentare di sé al
mondo.
La politica economica di attacco ai
salari dei lavoratori, di drastico impoverimento dei ceti intermedi, costretti
ai fallimento economico dalla penetrazione delle grandi società monopolistiche internazionali, nonché dalla incapacità dei gorilla di porre un argine al
la spirale inflazionistica, sta corrodendo rapidamente la stessa base di massa del regime. La divaricazione di
commercianti, bottegai, artigiani e piccoli imprenditori (cioè del principale
strato sociale dopo il proletariato)
spinge la Giunta a generalizzare l’uso
degli strumenti di tortura e a ricorrere ai peggiori espedienti per ingannare le masse. I partiti politici sono accusati di praticare la delazione l’uno
contro l’altro, i dirigenti più popolari
sono demmeiati come responsabili della perquisizione di fabbriche e quartieri, madri, mogli e persino i bambini
dei militanti rivoluzionari sono vigliaccamente incarcerati per poter piegare
la volontà dellé vittime.
RESISTENZA IN ATTO
Si tratta di metodi hitleriani, che
rivelano il vicolo cieco in cui il paese
è stato cacciato. Ma il proletariato, i
contadini cileni e segmenti sempre più
larghi del ceto medio non mostrano
di voler cadere nelle trappole psicologiche della dittatura né di arrendersi
alla micidiale macchina repressiva
messa a punto. La Giunta viene giudicata dalle sue opere, cioè dai risultati
della sua politica. L’inflazione (nei primi dieci mesi di governo dei gorilla ha
superato il 1.300%!) e la recessione
economica, conseguenti all’ideologia
liberista sostenuta dalla Giunta come
una formula magica per superare le
difficoltà economiche, hanno portato
alla caduta della produzione nell’industria e nei servizi, alla distruzione dell’agricoltura, alla disoccupazione ed al
congelamento degli investimenti. Al
padronato cileno e ai monopoli stranieri sono stati restituiti gran parte
delle imprese nazionalizzate, all’imperialismo si pagano gli indennizzi che
Allende aveva loro rifiutato (è per es.
il caso della Anaconda cui la Giunta
ha deciso di pagare 235 milioni di dollari). Le conseguenze sono sotto gli ochi di tutti: la diffusione dell’accattonaggio, della prostituzione, del vagabondaggio, lo spettacolo di gruppi di
bambini e di vecchi che raschiano gli
immondezzai di Santiago per raccogliere rifiuti. Il 15% della forza-lavoro
attiva del Cile è sul lastrico, il 10% dei
commercianti ha dichiarato bancarotta (o brucia i negozi per lucrare l’assicurazione sugli incendi), 1750 piccoli
esercenti sono stati multati per l’impossibilità di far fronte all’ingente prelievo fiscale, e più di 500 imprese industriali hanno posto fine alla loro attività.
La realtà della miseria, l’insicurezza,
le persecuzioni e gli eccidi sono i segni dell’« ordine nuovo » instaurato
dai golpisti. Ma la classe operaia e la
maggioranza della popolazione, nonostante la clandestinità cui sono condannate le organizzazioni, non subiscono passivamente questo infernale processo di miseria e di violenza. Le proteste, la ribellione, il dissenso crescono ogni giorno nelle fabbriche, nelle
scuole, nei quartieri popolari, alimentando l’adesione delle masse alla resistenza.
APPELLO
La dittatura è ormai isolata all’interno e all’esterno, si regge solo sulla
complicità dell’imperialismo e dei monopoli. L’esistenza del regime fascista
cileno è diventata un pericolo per fiintero continente latino-americano. Con
questa consapevolezza i partiti di Unidad Popolar, insieme al MAPU operaio
e contadino e al MIR hanno rivolto il
25 agosto 1974 un appello agli stati ed
ai governi di tutto il mondo a non vendere, e a non permettere la vendita di
armi alla Giunta fascista cilena.
« Rivolgiamo un appello specialmente ai lavoratori del mondo n boicottare
la fabbricazione e l’imbarco di materiale di guerra destinato al Cile. L'innalziamo come urgente richiesta del
nostro popolo ed insieme per l’esigenza del consolidamento della pace sulla
terra, per opporre una diga ai piani
controrivoluzionari e fascistizzanti che
l’imperialismo nord-americano pretende imporre in America Latina e in altre regioni del mondo ».
Valdo Benecchi
4
pag. 4
N. 36 — 13 settembre 1974
Si è svolta a Torre Pellice, contemporaneamente ai Sinodo Valdese
ATTUALITÀ DEL PENSIERO TE0LO6ICO METODISTA
la Conferaiza della CMesa Metodista d'Italia Conveono dei predicatori
laici, metodisti, a Gorizia
Approvato all’unanimità il progetto di « integrazione globale» tra chiesa valdese
e chiesa metodista - Il principale obiettivo dell’integrazione è l’evangelizzazione
- Vivere il sacerdozio universale - « Liberare il nostro popolo dall’idolatria che
ancora lo opprime » - Proposta la costituzione nelle singole comunità di « comitati di evangelizzazione »
Il 1974 sarà ricordato come l’anno in
cui si è dato il via al progetto di integrazione globale fra la Chiesa Valdese
e la Chiesa Metodista. E non possiamo che ringraziare il Signore perché
il progetto poggia suiresigenza di dare
una risposta aU'autentica vocazione
unitaria delle chiese al fine di rafforzare la presenza e la testimonianza evangelica nel nostro paese e per stimolare in questo senso l’unità di tutto lo
evangelismo italiano.
La Chiesa Metodista si è accinta a
compiere il passo non per stato di ne' cessità, ma appunto in vista di una ripresa dell’evangelizzazione nel nostro
paese. La Conferenza con il suo voto
all’unanimità ha inteso proprio esprimere tutto questo e lo ha fatto in un
clima di emozione e di gratitudine.
Ma che cosa intende la Chiesa Metodista per unità del protestantesimo
italiano? La risposta è stata data in
sintesi dal Presidente Sergio Aquilante nel messaggio rivolto alla sessione
plenaria della Conferenza: « Noi pensiamo che sia possibile raggiungere tale unità soltanto in quel movimento
che Dio si è suscitato nei secoli antichi su queste nostre terre e che oggi
celebra il suo ottavo centenario. Non
si tratta affatto di rinunciare alla propria identità e, per dirla chiaramente,
farsi valdesi. Si tratta semplicemente
di riconoscere nella storia di questo
movimento anche la propria storia,
nelle sue lotte anche le proprie lotte,
nei suoi martiri anche i propri martiri e nel suo Sinodo il luogo in cui le
varie chiese, pur mantenendo ciascuna
le sue caratteristiche (quali si sono venute costruendo nelle varie esperienze di predicazione e di testimonianza
da ognuna compiute), manifestano la
loro unità di fede, di vocazione, di disciplina ».
Come è noto, l’approvazione del progetto è stato anche per il Sinodo valdese uno dei momenti più significativi.
Ma su questo il nostro settimanale
ha già ampiamente riferito, così come
i contenuti del progetto sono stati illustrati da vari articoli nelle settimane
che hanno preceduto il Sinodo e la
Conferenza.
Il messaggio
del Presidente
Vorrei quindi, in questo intervento,
far notare come il principale obiettivo
dell’integrazione, cioè l’evangelizzazione, sia stato veramente al centro di
tutti i lavori della Conferenza.
L’indicazione più importante ci è venuta dai messaggi del Presidente e del
Vice-'Presidente che hanno aperto la
Conferenza che ha concluso i suoi lavori proprio con un ordine del giorno
sull’evangelizzazione.
Il Pastore Sergio Aquilante, dopo
aver ricordato che da alcuni anni è
stato ripreso il discorso sulla necessità di realizzare pienamente il sacerdozio universale dei credenti « intendendo per questo la partecipazione effettiva di tutti alla determinazione delle
scelte e alla vita stessa della comunità » si è chiesto se e come sia possibile
viverlo oggi efficacemente.
Si tratta forse di un discorso velleitario? Le nostre comunità riproducono
le contraddizioni della società, i membri di chiesa sono di fatto divisi dalla
realtà stessa della vita, hanno problemi ed interessi diversi. E tutto questo
non può essere annullato con semplici
atti liturgici e con un amore puramente verbale, né facendo finta che non
esistono le divisioni o proponendo una
sorta di interclassismo. Trovarsi in
deteminate occasioni chi da una parte e chi dall’altra parte della barricata
è un fatto che pesa e che procura dolore, ma che non può essere annullato
con la semplice esortazione a volerci
bene. Ma allora il sacerdozio universale è solo « un momento predicatorio? ».
Una possibilità di vivere il sacerdozio
universale dei credenti risiede solo
« in un incontro dialettico delle varie
posizioni che sussistono ».
Tutto questo è realizzabile a queste
condizioni; « Il rifiuto del monolitismo
ideologico, dell’ostracismo, e il riconoscimento, nella pratica, del diritto alla
libertà di esprimersi e di impegnarsi
effettivamente nella vita comunitaria e
nell’azione comune, quando questo diritto, s’intende, non sia usato nell’intento di sopraffare gli altri e non diventi negazione di quello degli altri.
Anche questa è una battaglia contro
quelle forze spirituali della malvagità
che spesso piegano anche noi al loro
dominio ».
Quale potrebbe essere oggi quel comune obiettivo? Il neo-Presidente ha
ricordato che la linea di vita e di lavoro della Chiesa Metodista di questi
ultimi anni è stata guidata dallo sforzo di inserire nelle nostre situazioni
specifiche l’annuncio deU’Evangelo e la
tesitimonianza del Regno in riferimento alle esigenze reali, dicendosi poi
convinto che questo sforzo nei nostri
giorni si debba esprimere nell’impegno di « liberare il nostro popolo dal
l’idolatria che ancora lo opprime ». « Il
rapporto falso con Dio che essa esprime e mantiene gioca un ruolo abbastanza determinante nella organizzazione stessa della nostra società a tutti i livelli ». E qui è possibile chiarire
quale sia la « politica » che le nostre
comunità devono fare. Esse non possono né sostituirsi alle forze politiche
esistenti, né crearsi un proprio partito
politico, né limitarsi ad un fiancheggiamento acritico dei problemi altrui. Il
loro compito è quello di proporre un
rapporto corretto con Dio. È così che
potranno dare un importante contributo nella battaglia per una società diversa. « La reale liberazione dalle falsità e dalle osservanze di una religiosità idolatrica e oppressiva, la scoperta
gioiosa della grazia sovrabbondante di
Dio, del suo amore che non conosce
confini, del suo Regno di giustizia, di
verità e di pace che Gesù ha già inserito nella trama delle nostre vicende,
determinano nella situazione del nc>
stro paese anche quella crescita politica di cui tanto si avverte la necessità e quella urgente e piena disponibilità per la lotta in vista di una società
diversa ». Tutto questo potrà cioè provocare delle lacerazioni in un tessuto
di oppressioni e di ingiustizie.
Libertà nella carità
Anche Tecumenismo dovrà essere visto in questo quadro. Un ecumenismo
che non metta in questione il falso
rapporto con Dio, o una religione idolatrica, o una politica di privilegi e di
potere va combattuto.
La Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia è nata su questa base,
su questa vocazione ed è per questo
che la Chiesa Metodista vi si sente
fortemente impegnata.
Nel suo messaggio il Vice-Presidente
Roberto Sbaffi ha, in primo luogo, motivato la propria posizione critica di
questi anni nei confronti della chiesa.
Egli ha inteso respingere; « La forma
dentro cui la chiesa si è troppo spesso
rinchiusa: il fortilizio all’interno del
quale le comrmità dei credenti hanno
sempre più ritenuto di dover costringere la propria testimonianza via via
che testimoniare al di fuori comportava un rischio troppo alto per le proprie certezze; il muro che la chiesa si
è costruito intorno in una sorta di illusoria difesa della propria purezza,
in realtà accettando il comodo compromesso di una arbitraria divisione
tra sacro e profano ». Dopo aver sostenuto che oggi il territorio di testimonianza del Regno è infinitamente più
vasto di quanto la stanchezza della nc>
stra fede non ci lasci supporre, il Vice-Presidente ha individuato il campo
in cui la chiesa evangelica riel nostro
paese debba recare una specifica testimonianza nel tentativo di sciogliere il
nodo della cultura cattolica; « della
sua concezione gerarchica del mondo,
del suo fondamentale integralismo che
influenza negativamente tutti i settori
della vita italiana ed il cui permanere
rallenta ogni processo di liberazione,
di conquista di una più ampia misura
di giustizia, di formazione di una reale
libertà di coscienza, che sta all’origine
di un certo modo di utilizzare il potere ». In altri termini si tratta di essere
nel nostro paese un punto di riferimento evangelico nel senso « non usurato del termine » per tutti coloro che
sono alla ricerca di un diverso rapporto con Dio e con il prossimo. Un compito arduo, ma da cui non possiamo
sottrarci perché è qui la funzione di
chiese di minoranza nel nostro paese.
Pertanto ne segue che « dobbiamo raccogliere tutte le forze di cui disponiamo e la fede di cui siamo capaci. Dobbiamo fare delle nostre comunità, non
delle cittadelle chiuse a difesa, ma territori aperti aH’incontro con gli uomini e con la storia di questo paese;
luoghi in cui la nostra vita individuale
e la storia che con gli altri viviamo,
vengano costantemente sottoposti al
giudizio della Parola di Dio ».
Nel corso della sua esposizione, il
Pastore Sergio Aquilante ha fatto ad
un certo punto una proposta che è stata ripresa nel corso dei lavori della
Conferenza e cioè la costituzione in
ogni comunità di un comitato di evangelizzazione composto di persone disposte ad impegnarsi a lavorare seriamente. Ogni comitato analizzerà la situazione in cui la comunità si trova ad
operare oggi, onde trovare il modo
di annunciarvi il messaggio della liberazione e la testimonianza dell’amore.
Attorno ai messaggi iniziali e a questa
proposta si è sviluppato un ampio dibattito di cui ricordiamo solo alcuni
accenti. Queste piccole comunità italiane, così come sono, possono essere
le cose deboli per svergognare le forti, e lo possono fare anche perché non
sono legate al potere. Esse possono
rappresentare un’alternativa sia a livello organizzativo che a livello etico.
Inoltre in questa crisi della civiltà industriale, le comunità evangeliche possono diventare il punto di riferimento
di un nuovo modo di pensare. Quel modo di pensare che ci viene dalla fede.
L’alternativa evangelica
Nei rapporti delle comunità alla Conferenza 1974, è stato notato, c’è stata
una novità rispetto agli anni precedenti: qui e là spuntano iniziative di carattere evangelistico.. Ed è una constatazione importante. Infatti se i segni
di una prossima grave crisi della nostra società avranno un seguito, tale
crisi investirà il modo di pensare e di
comportarsi della società ed in essa
l’Evangelo potrà portare una parola
diversa al nostro popolo malato. Dovremo, però stare attenti a non cadere
nella tentazione di scambiare l’evangelizzazione con la glorificazione della civiltà protestante per la quale non c’è
più spazio.
DaH’ampia discussione è scaturito
un ordine del giorno in cui la Conferenza; « invita le comunità ed i circuiti
ad un rilancio dell’azione evangelistica, intesa come restituzione al popolo
della Parola di Dio ed appello ad una
radicale trasformazione deiresistenza
umana, che suscitino credenti atti a
vivere come sale della terra nella presente crisi del nostro paese. A questo
scopo, invita le comunità ed i circuiti
ad investire del problema i propri organi, a creare — ove consigliabile —
appositi gruppi di lavoro ed a riferire
specificatamente suH’argomento in sede di relazioni annuali alla Conferenza » Valdo Benecchi
Nel quadro delle iniziative del Segretariato Predicatori Laici, si colloca il
Convegno che ha avuto luogo qualche
tempo fa nei locali della Comunità
di Gorizia, con la quale Comunità si è
avuto anche un fraterno incontro do-^
po il Culto della domenica mattina, tenuto dai fratelli Ugo Schirò e Claudio
Martelli, con la predicazione di Michele Fiorillo.
Tale incontro zonale non è un fatto
isolato, ma fa parte d’un vasto piano
di approfondimento, di aggiornamento e di studio per i Predicatori Laici e
comunque per i laici impegnati in un
servizio attivo neH’ambito delle Comunità locali e che non sempre _ si
esplica nella « Parola ». Sulla necessità
di questi convegni si era già parlato da
tempo nelle assemblee annuali dei Predicatori Laici e nell’ambito stesso della Conferenza della nostra Chiesa, ma
ora più che mai sono necessarie alcune considerazioni in quanto due esperienze pratiche (S. Marzano l’anno
scorso e Gorizia quest’anno) si affiancano alle enunciazioni di principio e
ai buoni propositi fatti a tavolino.
E anche di questo che s’è parlato
nella prima parte del convegno di
Gorizia, aperto da una breve relazione
del Segretario Marcello Rizzi. In primo luogo s’è dovuta constatare una
scarsa partecipazione (meno di venti
presenze) non giustificabile dalla distanza (tra le presenze: Scicli, Alessandria, Milano, Genova). Questo potrebbe essere il risultato di uno scarso
senso di responsabilità di laici che vivono alfombra dei Pastori, illuminati
solo dalla luce che falsamente proviene loro dalla qualifica, dalla carica ufficiale di Predicatore Laico. E a questo proposito, dopo uno sguardo alla
figura del Predicatore Laico nel Metodismo, compresa una digressione « disciplinare », è stata anche ribadita la
necessità di riesaminare il ’’ruolo” e la
funzione del Predicatore Laico. Il ruolo, in quanto nella lista ufficiale non
compaiono persone che in pratica operano nel campo della Comunità o del
Circuito, per il fatto di non aver superato gli esami prescritti e vi compaiono viceversa altre che da tempo non
si impegnano più nella vita ecclesiale.
Riguardo alla funzione del Predicatore
Laico, si rende necessaria un’evoluzione che porti il predicatore ad esser
sempre meno il vice-Pastore (anche come ordine mentale), il tappa-buchi della predicazione e assumere sempre più
l’aspetto di laico responsabile in tutta
la vita della Chiesa, senza rinunciare,
anzi ribadendo l’estrazione laica del
suo impegno e del suo operare.
Non vice-pastori
Ma il futuro stesso delle nostre Comunità impone, e in tempi neppur
troppo lunghi, questa maturazione e
questo maggior senso di responsabilità del laico e del Predicatore Laico in
particolare. Il tema di questa evoluzione della Chiesa è stato ribadito nella
relazione del Pastore Carile e durante
la discussione stessa del convegno, il
cui tema era infatti; .« Attualità del
pensierò teologico metodista ». Questo
tema non voleva essere un momento
di pura riflessione teologica, una sosta
teorica, un ripensamento successivo al
grosso sforzo organizzativo per dar vita alla Federazione Regionale o al
grande impegno sociale nella battaglia
del Referendum. Anzi, è stato ribadito
come la « passione dell’evangelizzazione » metodista nasce dall impossibilita
SINODO VALDESE 1974
Decisioni suiia Facoità di Teoiogia
Il dibattito sinodale sulla Facoltà di
Teologia è avvenuto sulla traccia della controrelazione preparata in particolare dal pastore Franco Gtamptccoli: una buona controrelazione, in cui
non mancavano gli spunti critici nei
confronti del Consiglio di Facolta ma
a ciascuno di essi corrispondeva una
proposta positiva, per cui nell’insieme
s’è trattato di una critica costruttiva
molto utile alla Facoltà stessa.
La controrelazione ha soprattutto insistito su due punti: il primo è il pieno inserimento della Facoltà nella vita
della chiesa; il secondo è l’apparizione
di un nuovo tipo di studente in teologia. A proposito dell’inserimento della
Facoltà nella vita della chiesa e viceversa, la controrelazione afferma che
la Facoltà « è l’opera corresponsabile
di una Chiesa nel suo insieme e non
l’avventura aristocratica di alcuni specialisti organizzati in istituto autonomo ». La verità e l’importanza di questa affermazione non possono essere
sottovalutate. Quanto al nuovo tipo di
studente in teologia, è in effetti una
realtà, e le proporzioni del fenomeno
sono probabilmente destinate a crescere con gli anni. Si tratta di studenti in teologia che hanno già altri titoli
di studio o li stanno conseguendo oppure sono già inseriti in un’attività lavorativa. Quanto ha fatto finora la Fa
coltà per questa « nuova figura di studente » non è sufficiente o quanto rneno lo è soltanto per coloro che risiedono a Roma. La controrelazione ha
chiesto al Consiglio di riesaminare 1 intera questione e ristrutturare completamente il ciclo di studi destinato a
tali studenti al termine del quale si otteneva il « diploma in teologia protestante ». Dopo 18 anni dalla sua istituzione — osserva la controrelazione
— « questo ciclo di studi non ha visto
neppure un partente giunto al traguardo, prova che esso non risponde
neppur minimamente alle esigenze a
cui dovrebbe far fronte ».
Gli ordini del giorno proposti dalla
Commissione d’esame e votati dal Sinodo con alcune modifiche contengono
alcune importanti affermazioni di principio, oltre quelle già menzionate, e alcune linee programmatiche che meritano di essere segnalate:
1. La Facoltà è invitata a ristrutturare il ciclo di studi per il diploma
in teologia protestante « tenendo particolarmente conto di coloro che, non
risiedendo a Roma, desiderano studiare teologia pur essendo già inseriti in
una attività lavorativa ».
2. Gli studenti non evangelici (alcuni cattolici sono attualmente iscritti al corso di licenza in teologia, quel
del credente di tacere, di restare chiuso, dalla necessità di aprirsi al mondo.
E questo « non fermarsi » si esprime
proprio in un continuo progresso: bisogna evolversi come si evolve la spiritualità dell’uomo e l’uomo stesso
dev’essere pronto ad assecondare lo
Spirito. Ma, poiché la linea più breve
tra l’uomo e Dio non è retta, ma passa
attraverso il fratello, il prossimo, l’uomo, la nostra spiritualità deve rivolgersi a rispondere alla domanda che il
mondo pone al credente; anche se
spesso il mondo non sa porre la domanda, il credente, con il suo annuncio di salvezza e di redenzione, deve
rispondere.
In una situazione sociale in continuo
mutamento, noi non possiamo fossilizzarci in schemi che, se andavano bene
per il passato, non sono adatti per l’oggi e rischiano di mandare in cancrena
la Chiesa se mantenuti per il domani.
La teologia metodista si colloca nel
contesto della Chiesa quale elemento
dirompente, di spinta, di un continuo
rifiorire del rapporto tra l’uomo e Dio.
È lo spirito che conta, non l’architettura ecclesiastica che il Metodismo non
sente come vincolo e che quindi può
cambiare: il problema, anche in vista
dell’integrazione con la Chiesa Valdese, non è formale, ma sostanziale. Ci
dobbiamo porre l’interrogativo: cosa
portiamo come «dote» alla Chiesa Valdese?
Formazione di base
Si è parlato anche della figura e della preparazione del Predicatore Laico
nella futura Chiesa integrata: contrariamente alla tendenza di istrtiire i laici con corsi facenti capo alla Facoltà
di Teologia, si ravvisa la necessità di
proseguire e, anzi, progredire nella
strada che il Segretariato ha intrapreso, tra l’altro anche con i convegni
zonali. Bisogna insistere su una formazione sempre più laica, di base e
legata all’esperienza della conversione
e alla affermazione dell’« uomo nuovo »: tale esperienza che non è vissuta
solo come momento religioso (il credente non è Cristiano solo per se stesso) ma anche sociale, unisce il concetto di testimonianza con quello di evangelizzazione.
Scaturisce da ci^ il problema del linguaggio, a lungo discusso nel convegno cioè la necessità di tradurre la
Parola, pèiché essa sia capita da coTòro ai quali è predicata. L’operazione
non è priva di pericoli: non possiamo
predicare Dio traducendolo con «Mammona » solo perché per la gente è più
facile identificare la divinità con Mammona, che è già l’oggetto di culto per
il potenziale ascoltatore. La nostra traduzione dev’essere tale per cui il nostro linguaggio cristiano, senza snaturarsi, sia compreso e accettato anche
da coloro che sono al di fuori di una
tematica cristiana: è il rendere accessibile e pratico un messaggio che per
molti rischia di rimanere astratto e
comunque incapace di risolvere i problemi contingenti in cui si dibatte.
La difficoltà di una predicazione pratica, costituita più da opere che da parole, rende necessario un enorme lavoro e una solida preparazione: i Predicatori Laici, spinti dall’« obbligo »
della testimonianza e dell’evangelizzazione, non possono però abbandonarsi a pur apprezzabili gesti di buona volontà individuale e di impegno ecclesiale così com’era inteso finora, rna
nel contesto di una Chiesa che cambia
devono rendersi conto dell’enorme importanza che può avere il loro operare.
E in questo senso, dopo il convegno di
Gorizia, dovrà svilupparsi il loro impegno e la loro ricerca anche teorica.
Giovanni Carrari
10 richiesto anche ai pastori) « devono
continuare a essere ammessi al ciclo
di studi per la licenza in teologia, a
parità di diritti rispetto agli studenti
evangelici per il conseguimento di un
uguale titolo di studio ».
3. Qccorre una differenziazione tra
la licenza in teologia (aperta a chiunque, indipendentemente dalla confessione), e l’abilitazione al ministero pastorale alla quale potrebbero accedere
gli studenti, ovviamente evangelici che,
oltre a conseguire la licenza teologica,
abbiano svolte le esercitazioni omiletiche e catechetiche dei quattro anni e
sostenuto un esame finale di catechesi
e predicazione.
4. La frequenza ai corsi deve essere richiesta ad ogni studente, perché
11 rapporto personale, umano, da fede
a fede tra professori e studenti è indispensabile. Altrimenti la licenza in
teologia rischia di diventare, come talune lauree italiane, un certificato di
esami sostenuti. D’altra parte bisogna
tener conto delle esigenze degli studenti che, per lavoro o altri studi in
corso, non sono pienamente disponibili. La frequenza dovrà dunque essere
identica per tutti quanto all’obbligo
ma diversa quanto al tempo e ai modi della sua attuazione.
Cronache dalle chiese
Pramollo
Ci rallegriamo con i neo maestri Ivana Costabel e Gianni Long ed auguriamo loro di
poter svolgere una proficua attività ed una
preziosa collaborazione anche nelle attività
della Chiesa.
Ringraziamo sentitamente I. Costabel e G.
Long ed i Pastori E. Rostan, S. Long e Gustavo Bouchard per gli apprezzati messaggi
che ci hanno rivolto nei culti e riunioni da
loro presieduti nel corso deH’estate.
Un cordiale benvenuto a Silvia, giunta a
rallegrare la famiglia di Beux Oreste c di
Barai Dionigia (Mondoni); alla neonata ed ai
suoi genitori l’augurio di ogni benedizione del
Signore.
Il battesimo è stato amministrato a Cinzia
Broglia di Siro Paolo e di Bertalot Fulvia
(Pina.sca); la grazia del Signore accompagni
questa bimba e dia ai genitori di guidarla
nelle Sue vie.
Ci ha lasciati la sorella Clotilde Bounous
nata Bounous (Pomeano), deceduta all’Ospedale di Pomarctto all’età di 71 anni. Ultimamente ci è anche pervenuta la notizia da
Vaidense (Uruguay) del decesso di Lidia Long
in Bouchard di 73 anni. Nell’esprimere a
queste famiglie, colpite dal dolore della separazione, la solidarietà della Chiesa, riaffermiamo la nostra fede: « credo la comunione dei
santi, la risurrezione dei corpi e la vita
eterna ».
5
13 settembre 1974 — N. 36
ECHI SINODALI
pag. 5
Il dibattito sui nostri istituti d’istruzione secondaria
impostato da un rapporto critico della Commissione d’esame
Una terapia d’urto...
La discussione è stata segnata da tensioni che non hanno contribuito
a renderla feconda — / rilievi, non tutti documentati, vertevano
] ) sull’autosufficienza (ma chi è autosufficiente? e chi ne è responsabile?), 2) sul rapporto fra Vamministrazione e il corpo docente, per
cui sono state decise utili misure, 3) sulla presenza dei nostri istituti
nella battaglia per una scuola democratica — La riconferma del Comitato del Collegio Valdese e della Scuola Latina ha mostrato che i
rilievi non erano disgiunti dal riconoscimento del lavoro compiuto,
come pure dall’apprezzamento per l’opera educativa degli insegnanti
Uno dei poli — forse più psicologici
che altro — dei lavori sinodali è stato
quest’anno l'esame e il dibattito sull’operato del Comitato del Collegio
Valdese e della Scuola Latina. La Commissione d’esame lo ha voluto, facendone uno dei punti-forza della sua relazione (10 pagine su 36; 11 sui 22 ordini del giorno proposti), e il dibattito al riguardo ha occupato quasi
un’intera giornata sinodale su quattro
(la quinta è stata occupata dalla sessione congiunta con la Conferenza Metodista). C’è stato dunque uno squilibrio strutturale abbastanza marcato, e
ha determinato pure una tensione psicologica; anche se a un certo punto la
C. d’e. ha fatto un intervento distensivo, non pareva aver fatto molti sforzi per superare l’unilateralità che ci
minaccia tutti. Comunque, la battaglia che forse qualcuno voleva riaprire sull’esistenza e la sussistenza o meno dei nostri istituti d’istruzione secondaria non c’è stata, anche se una
pattuglia ha mostrato, in chiusura,
che il problema non è affatto chiuso e
che per una carte almeno del Sinodo
— e per quella parte della Chiesa che
essa esprime — il tempo di questi nostri istituti è scaduto. L’armistizio del
1969, come qualcuno l'ha chiamato, è
appunto, per una parte della Chiesa,
un armistizio, non un accordo di spartizione di responsabilità, come molti
avevano invece inteso la decisione del
Sinodo 1969.
I rilievi che la C. d’e. ha mosso senza lesinare, e che avrebbero avuto un
peso specifico diverso se avessero avuto come contrappeso dei riconoscimenti non sentimentali, sono stati di
vario ordine.
Anzitutto, secondo la C. d’e. il Comitato (CCV) non ha adempiuto a un
mandato conferitogli in base all’o.d.g.
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIMillIIIHIIill
sinodale del 1969: il raggiungimento
ÓLeW autosufficienza finanziaria entro
un quinquennio. E stato risposto che
bisogna intendersi su che cos’è ’autosufficienza’. Certo, una parte cospicua
del carico economico dei tre istituti è
sostenuta da doni esteri (61 milioni
circa), nettamente più forti di quelli
attualmente provenienti da chiese e
da persone in Italia (24 milioni circa);
e si deve riconoscere che la sproporzione fra le due parti delle entrate
è maggiore, in questo caso, di quanto avvenga per altri aspetti della nostra vita ecclesiastica; ma dev’essere
ben chiaro a tutti che nessun’opera e
nemmeno la Tavola Valdese, per quel
che riguarda la cassa culto e le spese
generali, sono ’autosufficienti’, anche
se lo sono un po’ più del CCV. Bisogna inoltre notare che in questi cinque anni il CCV ha dovuto affrontare
forti impegni per l’ampliamento, da
un lato, e ha trovato livelli retributivi
certo non alti, dall’altro. Ha comunque
espresso la sua decisione di impegnarsi ora per l’elevazione di tali livelli e
ha già presentato quest’esigenza a sostenitori, trovando sensibilità al riguardo.
Un altro ordine di rilievi riguardava il rapporto, a vari livelli e in varie
direzioni, con il corpo insegnante. Su
questo piano varie richieste, a parte
alcuni particolari emendamenti, accettate dal CCV, sono state votate dal
Sinodo. Circa il rapporto amministrativo, sono stati approvati questi due
o. d. g.:
Il Sinodo invita il Comitato del Collegio Valdese e della Scuola Latina, in
collaborazione con la Tavola, a prendere immediato contatto con il personale docente e non docente impegnato negli istituti di istruzione secon
I lettori ci scrivono
Ricordi d’un valdese
d’Argentina
Un lettore settantatreenne, nato a S. Germano Chisone e vivente da 47 anni in Argentina, ci scrive da Caseros (Buenos Aires):
Caro direttore.
Ho ricevuto stamattina « L’Eco » del 17
maggio e del 13 giugno u. s. e vedo in quello del 17 maggio — come tante altre volte
— una notizia riguardante la fraterna e ottima relazione che esiste, da diversi anni, tra
i Trombettieri valdesi e germanici.
Sono notizie che mi rallegrano oltremodo,
starei per dire che mi sento veramente felice
perché quale vecchio musicista di S. Germano
Chisone e Pomaretto (parlo di 50 anni fa)
ho sempre pensato che suonare con i nostri
legni e ottoni gli inni che abbiamo nelle nostre jaccolte sarebbe un ottimo contributo
ai culti ed alle nostre feste, specialmente
quella del 17 febbraio. In quei tempi non si
è fatto, salvo una volta, se ben ricordo: il
17 felìbraio 1927, quando dirigevo la Banda
Musicale di Pomaretto (attualmente diretta
dal mio caro amico Arturo Bernard, se non
sbaglio) composta quasi esclusivamente da
giovani valdesi, ho fatto suonare il « Giuro
di Sibaud » accompagnando la Corale di quella chiesa nel grande salone del Convitto gremito di pubblico. Quel medesimo « Giuro »
l'ho poi presentato qualche anno dopo (1932)
quando la chiesa di Colonia Iris, dov’era pastore il signor Silvio Long, aveva organizzato. come si faceva quasi tutti gli anni, la
Festa di Canto Sacro nel tempio di Jacinto
Arauz (La Pampa, Argentina). La bandina
musicale di quel luogo era composta da solo
una dozzina di giovani valdesi, ma ciò non
ha impedito che le note del nostro « Giuro »
echeggiassero insieme con le voci di una ottantina di coralisti che formavano i 4 gruppi
(o quartieri) di quella chiesa, cioè: Jacinto
Arauz. Villa Iris, Triángulo e Colonia del
Trigo.
Mai avevo pensato a scrivere queste cose
perché fossero pubblicate, ma siccome sovente leggo quanto si fa alle Valli per formare
dei gruppi di Trombettieri che si dedicano
alla nostra ottima musica ed aiutano a dar
rilievo tanto a culti quanto a riunioni speciali — uniti ad altri musicisti venuti dalla
Germania — non so resistere alla tentazione. Scrivo perché mi sento realmente felice
(e perché non confessarlo?) anche se con una
certa nostalgia. Quanto mi piacerebbe prendere parte a quelle riunioni di Trombettieri!!
Posso assicurare che i 12.000 chilometri che
mi separano dalle Valli non impediscono di
sentirmi fratello e compagno nelle fede di
tutta quella generosa gioventù che in quel
modo serve la grande causa di Cristo.
Auguro di tutto cuore che quel lavoro con
tinui e si sviluppi sotto la benedizione di Dio.
Le mie felicitazioni al pastore Enrico Geymet che è stato l’iniziatore dei gruppi di
Trombettieri, i quali vorrei incitare perché
lavorino sempre coll’idea di dare alla nostra
chiesa quel talento — sebbene modesto —
che Iddio ha affidato loro. So che è uno sforzo
non indifferente, ma credo che vale la pena
farlo perché anche questo è un modo di proclamare l’Evangelo di Cristo, unico mezzo e
unica strada che il mondo deve percorrere
se vuole essere salvo. Grazie, signor direttore,
di farmi un posticino!
Affettuosamente
Clemente Beux
Affermazioni
affrettate
Ferrerò, 3 settembre 1974
Caro direttore.
Mi pare ohe non si possa lasciar passare
senza osservazioni l’articolo firmato da Valdo
Vinay, comparso su « L’Eco-Luce » del 30
agosto u.s.
1) Innanzitutto non si capisce bene se « riferisce », come dice il titolo, sui lavori della
Commissione Fede e Costituzione del C.E.C.
o su quello che pensa lui del tema dibattuto.
Per chi desidera documentarsi con metodo
storico questa distinzione ha una certa importanza, tanto più che l’articolo contiene
certe forzature del messaggio biblico che non
tutti accetterebbero.
2) Tra queste è veramente un po’ grossa
quella basata sui termini greci « dynamis » e
r< kratos », che, secondo l’articolista, indicherebbero, l’uno la potenza dell’Evangelo e l’altro la violenza mondana. Ora, il termine
« kratos » indica sempre nel Nuovo Testamento la potenza e il Regno di Dio (Luca 1 :
51; Atti 19: 20; Efesini 1: 19; 6: 10; Colossesi 1: 11; I Timoteo 6: 16; I Pietro 4:
11; 5: 11; Giuda 25; Apocalisse 1: 6; 5:
13). Unica eccezione. Ebrei 2: 14 in cui è il
diavolo che ha la potenza della morte. Mentre, d’altra parte, anche il termine « dynamis » ha talvolta, anche se raramente, il senso di potenza avversa al Signore e non di potenza promessa da Lui. Si vedano Romani
1: 8; I Corinzi 15; 24; 15: 56; Efesini 1:
21- Apocalisse 13: 2; 17: 13 (la «potenza»
della bestia!); Apocalisse 18: 3 (la «forza»
della lussuria!). Quindi i due termini sono
ambigui e non si prestano affatto alle deduzioni tratte nell’articolo. Se si vuole sostenere la tesi ivi sostenuta lo si faccia almeno
senza aumentare la già sufficiente ignoranza
biblica dei membri delle nostre comunità
3) Infine possibile che si salvi solo Riesi
sulla chiarezza dei rapporti da tenere nei confronti delle speranze degli oppressi? Non ce
chiarezza neanche in Facolta.
Cordialmente „
Claudio Tron
darla di Torre Pellice e Pomaretto, e
con i delegati tra loro indicati, per
aprire una trattativa al fine di giungere nel più breve tempo possibile alla firma di im contratto di lavoro. In
esso saranno precisati gli impegni di
ordine morale derivanti dal servizio
reso in istituti scolastici della Chiesa
e saranno stabiliti i criteri del trattamento tenendo conto delle condizioni
contrattuali del personale delle Scuole statali.
Il Sinodo raccomanda ai docenti
evangelici presso gli istituti di istruzione secondaria della Chiesa, di considerare attentamente l’opportunità di
optare per il trattamento pastorale,
riconoscendo in tale scelta una via difficile ma preziosa per avvalorare l’efficacia della loro diaconia e della loro testimonianza.
Qualcuno ha visto una contraddizione in questi due o.d.g.; altri l’hanno
invece negata. È rm problema che si
ripropone anche per altri istituti. Di
fatto, contraddizione non vi è, perché
è diverso il rapporto con chi sceglie
vocazionalmente l’inserimento nel ’ruolo’ della Chiesa, e con chi per ragioni
molto disparate non si sente di fare
questa scelta. Resta tuttavia il fatto
che gli o.d.g. sono stati presentati in
quell’ordine, e che l’insieme della ’controrelazione’ rivelava un’accentuazione
considerevole sulle affermazioni sindacali. Certo, com’è stato notato giustamente, noi non abbiamo un « indice
delle parole proibite » e non temiamo
di parlare di sindacati e di contratti
di lavoro. Tuttavia significherebbe chiudere gli occhi sulla realtà, negare che
stia stingendo sulla chiesa (corpo pastorale non escluso, come la discussione sui risvolti amministrativi della
emeritazione ha mostrato) una certa
mentalità rivendicativa, che rischia di
svuotare il senso del servizio. La chiesa, l’istituzione ecclesiastica non è
mai, essenzialmente, un ’datore di lavoro’, un ’padrone’ tendente al profitto; ci possono certo essere tentazioni
e cadute nei responsabili di un’ammistrazione ecclesiastica e un controllo
continuo è indispensabile, ma evangelicamente è un fallimento se non si avverte quanto è diverso un ’accordo’
fra collaboratori in qn’opera comune
e un ’contratto’ battagliato fra avversari di classe. Questi, alcuni degli elementi di un dibattito interessante e vivo, su una problematica ben aperta,
ma purtroppo viziato da non poca passionale animosità.
Molto giusta, accolta di cuore dal
CCV, quest’altra decisione:
Il Sinodo, considerata l’utilità di un
più organico legame tra il Comitato
del Collegio Valdese e il personale docente degli istituti p.d esso affidati, al
fine di una costante informaziorie reciproca sulla vita degli istituti in vista di un continuo aggiornamento di
metodi e piani di studio-e delle attrezzature necessarie, riconoscendo che i
presidi di detti istituti sono persone
idonee professionalmente e vocazionalmente a realizzare tale scopo, modifica l’art. 8 dello Statuto del Comitato del Collegio Valdese come segue:
« « I componenti del Comitato sono
eletti dal Sinodo annualmente e sono
rieleggibili fino ad assolvere il mandato per sette anni consecutivi. I presidi
degli istituti scolastici amministrati
dal Comitato ne fanno parte d’ufficio,
mentre ne sono esclusi i membri della Tavola ».
E stata anche tenuta presente la ricerca in atto, fra molte incertezze e
confusioni e contrasti, di una maggiore democraticità nella scuola italiana.
In scuole di piccola entità come le nostre il rapporto con le famiglie è da
sempre stretto, ma ci si trova ora di
fronte alla elaborazione, non priva di
tortuosità e di incognite, di nuove
strutture, quali i consigli d’istituto e i
distretti scolastici. Su questo problema varrà la pena di ritornare. Ecco,
intanto, l’o.d.g. che è stato votato:
Il Sinodo, considerato che la costituzione dei nuovi organi collegiali previsti dall’apposito decreto delegato governativo del ' 30.5.74, e in particolare
del consiglio di istituto, offre una valida occasione di contatto con i genitori degli studenti, invita il Comitato
del Collegio Valdese a sollecitarne la
formazione e a sostenerli in ogni possibile modo affinché questi organismi
siano uno strumento per riaffermare
in modo concreto la linea della libertà e della responsabilità all’interno
delle nostre scuole. Afferma che la costituzione dei consigli di istituto nelle
scuole valdesi sarà un importante
esempio per la democratizzazione della scuola non statale e per la partecipazione su posizioni distinte all’elezione dei rappresentanti della scuola non
statale nel distretto scolastico comprendenti le Valli e nel Consiglio Scolastico Provinciale.
Infine, un o.d.g. « invita la Tavola a
rendere annualmente noti, a partire
dall’anno scolastico 1975-76, i criteri
per procedere alla graduatoria relativa alla nomina di docenti incaricati »
nei nostri tre istituti d’istruzione secondaria.
A conclusione, i ringraziamenti:
Il Sinodo ringrazia gli amici e le
chiese italiani ed esteri che hanno
consentito la copertura delle spese
degli istituti di istruzione valdesi di
Torre Pellice e di Pomaretto; chiede
a tutte queste chiese, istituzioni ed
amici di mantenere il loro aiuto spirituale e materiale, confermando la lo
ro solidarietà fraterna perché venga
così raggiunta la loro piena sufficienza finanziaria.
Il Sinodo ringrazia il Comitato del
Collegio Valdese per l’impegno profuso nello svolgimento del suo compito.
Il Sinodo, riconoscente al corpo insegnante del Collegio e della Scuola
Latina per lo spirito di dedizione manifestato nel servizio presso questa
scuola, lo ringrazia.
* Come già pubblicato, il CCVSL è stato interamente confermato, con votazioni cordiali. Accanto ai rilievi e alle
critiche, è questo il riconoscimento
che conta e rinnova un mandato: a
chi fa vivere ’amministrativamente’ i
nostri istituti e a chi dà loro contenuto con il proprio servizio di educatore.
Un pensiero di gratitudine particolare alla prof. Anna Marullo: dopo 38
anni di servizio presso la scuola media del Collegio, con il 1° ottobre essa
entrerà in emeritazione. Questa gratitudine le sarà certo espressa in forma
’ufficiale’. Generazioni di alunni e il loro affetto sono, per altro, il riconoscimento più vero e durevole.
Gino Conte
Alcune risoluzioni
Chiesa e Stato
Il problema dei rapporti con lo Stato è stato toccato solo indirettamente
o di passata; da un lato si è sollecitata
l’azione per richiedere allo Stato le intese per l’abrogazione delle leggi sui
culti ammessi: la Tavola, nel suo Rapporto, spiegava il ritardo notando che
si era voluto ricercare una posizione
unitaria, al riguardo, di tutte le Chiese evangeliche italiane, federate e non;
il ritardo, è vero, c’è stato, ma in tal
modo si è potuto raccogliere il consenso, per quest’azione, della Chiesa Apostolica, dell’Unione delle chiese avyentiste, dell’Unione delle chiese battiste,
della Comunione delle chiese libere;
metodisti e valdesi avevano già preso
insieme la loro decisione. Si tratta ora
di procedere, sulle linee indicate dagli
ordini del giorno sinodali.
Nella società italiana
Considerando la presenza delle nostre chiese nella società italiana, nel
corso di quest’anno, è stato votato
quest’ordine del giorno:
Il Sinodo, dopo aver rifiettuto sulla
azione svolta dalle nostre Chiese a favore del NO in occasione del Referendum del 12 maggio, la valuta positivamente ;
invita le comunità a vigilare nell’attuale clima di grave involuzione repressiva ;
le incoraggia a proseguire nella lìnea di impegno democratico, partecipando alla battaglia per i diritti civili
e costituzionali di nuovo oggi conculcati o minacciati.
Qualcuno ha fatto notare — giustamente, ci pare — che sarebbe valso la
pena — ma il tempo utile per le deliberazioni sinodali scadeva, l’ultimo
giorno — valutare un po’ più a fondo
la portata dei risultati del referendum
e dell’apporto evangelico, in modo da
preservare una autonomia evangelica
fra clericalismo e laicismo; una tematica che nei mesi scorsi è affiorata anche sulle nostre colonne.
Sul battesimo
Nella Conferenza del II Distretto
era stata presentata e avvertita l’esigenza di ristudiare la questione battesimale, con particolare riferimento al
fatto nuovo costituito dall’ultimo volume della (incompiuta) « Dogmatica
ecclesiastica » di Karl Barth, un voluminoso ’’frammento” dedicato appunto al battesimo, che ha suscitato ampia eco e accesi dibattiti. L’esigenza è
stata portata in Sinodo, facendo ben
presente che è in gioco non tanto la
polarizzazione battesimo dei fanciullibattesimo degli adulti, bensì l’intera
questione dei sacramenti, del modo di
intenderli e viverli (dato e non concesso che si debba continuare a servirsi
di questo termine non biblico). E stato quindi votato questo o.d.g.:
Il Sinodo, accogliendo l’O.d.g. n. 9
della Conferenza Distrettuale del II
Distretto (Coazze, 28-29 giugno 1974),
propone alle Chiese di proseguire la
loro riflessione sul battesimo e, in generale, sui sacramenti, tenendo conto
in particolare del contributo del teologo Karl Barth sull’argomento e della discussione che ne ha suscitato, e
riferirne a un prossimo Sinodo, in vista di una presa di posizione della
Chiesa nel suo insieme.
Presidenza laica
di consigli di chiesa
E stato prospettato il problema di
chiese non aventi il pastore residente
in loco, e dell’opportunità che il loro
consiglio possa essere presieduto da
un laico: è il caso, quest’anno, di Ginevra e di Losanna, lo è da alcuni anni
quello di Riesi e probabilmente ve ne
sono altri o altri si prospetteranno in
futuro, specie con il prevedibile abbinamento di chiese per la cura pastorale. Il problema — proposto una volta di più da necessità pratiche — ha
un’incidenza regolamentare e sopratutto un’incidenza ecclesiologica. Al riguardo è stato votato il seguente
o.d.g.:
Il Sinodo, in riferimento all’Art. 13
della Conferenza del III Distretto,
incarica la Commissione dei Regolamenti di predisporre, nel quadro della revisione dei Regolamenti, le modifiche necessarie all’Art. 40 BO nel senso che il Consiglio di Chiesa possa nominare nel suo seno un presidente e
un vicepresidente senza altre limitazioni (cioè che questo possa essere pastore o no a seconda dei casi).
Centro Diaconale
Come sottolineava il Rapporto della
Tavola al Sinodo, la questione diaconale si pone in termini nuovi e urgenti nell’ambito della nostra Chiesa; e
questo è tanto più vero per quel che
concerne i nostri istituti per minori,
i convitti. La riflessione è stata avviata da qualche tempo, ma finora in cerehie relativamente ristrette, soprattutto su iniziativa del Centro Diaconale (il quale, fra l’altro, sorto dalla
matrice della Casa delle Diaconesse,
non ha finora ricevuto una struttura
ecclesiastica sufficientemente definita e
responsabile); è tempo che ne siano
investite le chiese. E poiché in questa
sessione sinodale la questione non ha
potuto essere affrontata, la C. d’e. ha
richiesto un serio impegno in proposito, per l’anno venturo, ed il Sinodo
ha accolto la richiesta votando questo
o. d. g.:
Il Sinodo invita il Centro diaconale
a preparare entro la fine di gennaio
1975 il materiale informativo e illustra
tivo riguardante tutta l’attuale problematica dell’assistenza dei minori in generale e in particolare come si attuano l’assistenza e l’impostazione educativa nei nostri istituti. Chiede che questo materiale sia tempestivamente distribuito alle chiese per imo studio
nelle comimità e delibera che il Sinodo 1975 dedichi del tempo all’assistenza ai minori.
Finanze
Anche delle finanze non c’è stato,
quest’anno, molto tempo per parlare.
Si possono notare questi elementi: da
un lato una lenta, ma sensibile assunzione di responsabilità da parte dei
membri e delle chiese (versamenti regolari più alti e rateali), conseguenza
— soprattutto in alcune zone, come il
I e il V Distretto — di una più capillare e costante informazione, su iniziativa della Commissione Distrettuale, mediante incontri di cassieri etc.;
dall’altro il perdurare della generosità
di Chiese sorelle e organismi ecclesiastici, ecumenici e assistenziali; sicché
è stato possibile l’equilibrio dei nostri
rendiconti annui, sia pure contenendo
assai gli stipendi al personale. Per il
futuro, non tutti i Distretti né tutte le
chiese si sono impegnate con un preventivo di versamenti alla Cassa culto, sicché la richiesta di aumento del
20% (aumento che del resto entro la
fine anno sarà più che ’bruciato’ dalla
inflazione...) fatta dalla Tavola è stata
’girata’ dal Sinodo alle chiese come
pressante invito: c’è da augurarsi che
esse lo accolgano in tutta la sua impegnativa serietà. Ecco i due o.d.g. che
sono stati votati riguardo a quest’ordine di questioni:
Il Sinodo, considerato con soddisfazione l’aumento dello sforzo contributivo delle comunità, le invita ad adeguare ulteriormente il loro impegno al
progressivo crescere del costo della
vita.
Il Sinodo esprime la sua riconoscenza a quanti, chiese sorelle, comitati ed
amici, hanno generosamente contribuito alla vita e allo sviluppo della nostra chiesa e delle sue opere.
Saluto al pastore B. Tron
Il pastore Bruno Tron, per qualche
settimana in Europa con la sua famiglia, ha portato al Sinodo, nel corso
di una delle sue sedute, il saluto della
Chiesa evangelica dell’Eritrea, nella
quale egli è al lavoro da 19 anni, proseguendo il ministero là svolto dai
suoi genitori. La Chiesa evangelica
dell’Eritrea è una chiesa piccola ma
viva, sorta dall’opera della Missione
luterana svedese, al servizio della quale hanno già lavorato ben 15 pastori
valdesi, dal 1889, quando iniziò la serie il past. Filippo Grill. Ora la Chiesa è da tempo autonoma, ma grata
per i collaboratori fraterni venuti dall’Europa; attraversa da vari anni le
difficoltà che condivide con tutte le
popolazioni etiopiche e partecipa con
fiducia ai mutamenti in atto nel paese. Il pastore Tron riparte ora con i
suoi, per un nuovo periodo di servizio
all’Asmara: sperando di avere presto
e più frequentemente notizie, li accompagna il nostro pensiero fraterno e
l’aug;urio per quella Chiesa minoritaria come la nostra, che ci è legata da
quella lunga serie di pastori: Bruno
Tron notava, trattandosi là di una Chiesa luterana, che se il Sinodo Valdese
ha approvato quest’anno la Concordia
luterano-riformata di Leuenberg, una
’concordia’ luterano-riformata lega nei
fatti da quasi un secolo la Chiesa evangelica d’Eritrea e la Chiesa valdese.
6
pag. 6
I NOSTRI GIORNI
N. 36 — 13 settembre 1974
Un sesto del territorio itslieno è
sotto lo minaccio dell'erosione
In dieci anni, come conseguenza dell abbassamento
del suolo, l’Adriatico ha eroso 500.000 metri cubi di costa nel delta del Po - Le conclusioni tratte dalla commissione De Marchi
Il dilagare degli incendi in varie parti del territorio italiano ha richiamato all'attenzione il problema della conservazione e della distruzione del
suolo.
In Germania in 15 anni l’erosione ha
distrutto 545 Km. quadrati di territorio, il 4 per cento del territorio agrario del Paese. Ma dove si presentano
aspetti drammatici è soprattutto negli
Stati del bacino Mediterraneo, nei
quali la distruzione delle foreste ha
provocato irreversibili alterazioni climatiche, vastissime aree di erosione
del suolo, scompensi idrologici con
gravi alluvioni, scarsità di acqua in superficie, perdita di produttività agricola e zootecnica, diminuzione della
recettività ed utilizzazione territoriale
anche ai fini del turismo. In parte dei
Paesi della sponda mediterranea africana ed asiatica, infatti, il deserto ha
ormai raggiunto il mare.
L’erosione del suolo è provocata dall’azione umana in mille modi; dalla
distruzione delle foreste, dall’agricoltura irrazionale, dal pascolo eccessivo,
dagli incendi dei pascoli e delle sterpaglie di ripa; dal turismo incondizionato e dai suoi insediamenti specialmente in territori di montagna, dagli
sports fuori -strada, dalle costruzioni
di strade, edifici, cave; lacustri e marittime; come conseguenza della distruzione delle dune costiere e della
costruzione di dighe irrazionali per
porti marittimi o per il contenimento
dei fiumi; per le estrazioni irrazionali
dal sottosuolo.
Dal 1951 al 1961 come conseguenza
dell’abbassamento del suolo, il mare
Adriatico avrebbe eroso 500 milioni di
metri cubi di costa nel delta del Po,
demolendo le barriere protettive del
suolo retrostante create e costantemente accresciute dagli oltre 15 milioni di metri cubi di materiale solido
portato annualmente dal fiume al
mare.
Per realizzare un’efficace difesa del
suolo in tutto il territorio italiano la
Commissione De Marchi indicò nel
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiMiiii
Sfruttamento
dell'energia solare
in Gina
Mille fornelli ad energia solare sono stati
prodotti a titolo sperimentale da una fabbrica di Shanghai. Secondo il « Quotidiano del
Popolo )) di Pekino, i primi risultati sono
soddisfacenti : a Shanghai, per esempio, verso
la metà di maggio, tra le 11 e mezzogiorno,
con una temperatura di 24 gradi centigradi,
si è riusciti a far bollire in venti minuti una
pentola di acqua, e a cuocere in 15 minuti
due chili di riso. I fornelli vengono sperimentati alla periferia di Shanghai e in altre località della Cina, e ì contadini — dice il
’’Quotidiano del Popolo — li giudicano molto utili ed economici.
Il giornale spiega che le prime ricerche
vennero intraprese nel 1954, ad opera di operai e tecnici di Shanghai, ma furono ostacolate dai « revisionisti » : questi fecero notare
che apparecchi del genere erano stati messi a
punto solo qualche anno prima all’estero,
c che dunque pretendere di costruirne in Cina significava « voler acchiappare le nuvole ».
Gli operai non accettarono questa forma
di « culto di ciò che è straniero ». « Lavorando giorno e notte », misero a punto nel 1958,
anno del gran balzo in avanti, cinque prototipi di apparecchi sanitari a energia solare.
I « revisionisti » continuarono a criticare
queste « cose nuove », ma gli operai persistettero nelle loro ricerche, lavorandovi durante
il tempo libero. Furono aiutati da dirigenti e
operai di altri posti di lavoro, e riuscirono finalmente a trovare i materiali di fabbricazione più adatti. « Distruggendo le stereotipate
formule straniere ».
La « Rivoluzione culturale » e ora la campagna contro Lin Piao e Confucio hanno dato grande impulso a questa impresa, «di grande significato — scrive il ’’Quotidiano del
Popolo” — per la ricerca scientifica nel settore dell’impiego dell’energia solare ».
nordsud-estovest
■ Il 14 settembre si aprirà a Colombo
(Sri Lanka) la Conferenza dei paesi del
Commonwealth; fra i temi all’OTdine deil giorno : le relazioni fra i paesi del Commonwealth
e la Comunità economica europea, la proposta
del Sri Lanka di dichiarare l’Oceano Indiano
zona di pace, e quella della Malaysia per
la neutralità del sud-est asiatico.
■ Con il prossimo ottobre, « in considerazione della situazione economica generale » e in particolare del rapido calo di vendite di automobili in Danimarca, la General
Motors ha deciso di chiudere il suo stabilimento di montaggio a Copenhaghen.
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
1970 una spesa di sei mila miliardi di
lire in trent’anni. Nel 1973 il Consiglio
d’Europa promulgò una « carta del
suolo » dove erano enunciati i principi
della razionale gestione del suolo. In
essa si precisava che « i Governi e le
autorità amministrative devono pianificare e gestire razionalmente le risorse rappresentate dal suolo ».
Ogni sforzo, tuttavia, sarà inutile se
non vi sarà la responsabile collaborazione di tutti i cittadini che hanno il
dovere di non causare direttamente o
indirettamente danni all’ambiente naturale nel quale vivono. Per la propria
salvezza e per quella di coloro che li
attorniano oltre che per la sopravvivenza delle future generazioni.
Il numero degli alberi abbattuti per permettere la proliferazione di cartelli elettorali durante l’ultima campagna per le elezioni presidenziali in Francia, valutato, rappresenta un ennesimo grido d’allarme contro
l’apporto che la pubblicità dà alla distruzione
delle foreste.
L’edizione domenicale del « New York
Times » — che costituisce un corposo
fascicolo — equivale, in valore cartaceo, alla
distruzione di 17 ettari di foreste canadesi.
La distruzione forestale, di cui sono dati sopra due esempi, favorirà nella nostra
atmosfera un’accumulazione di anidride carbonica, alterando i nostri climi e avvelenando l’aria che respiriamo.
L’aiuto internazionale per le popolazioni africane vittime della siccità (380
mila tonnellate) ha costituito finora la decima
parte della quantità di cereali che nella sola
America del nord vengono dati come cibo al
bestiame (380 milioni di tonnellate). In tal
modo abbiamo lasciato morire di fame centomila esseri umani nel Sahel e centomila in
Etiopia.
Un protestante africano
nella lotta di liberazione
/segue da pag. 1 )
tenuta ad ogni costo sotto il controllo
diretto del capitalismo occidentale e
dei bianchi. In questo quadro il fascismo portoghese, alleato ai razzisti
sudafricani e rhodesiani, non è altro
che un potere delegato : paese sottosviluppato, a un tempo colonizzatore e colonizzato, il Portogallo fornisce
un esercito di disoccupati e di analfabeti per difendere in Africa gli investimenti e i profitti di paesi altamente
« sviluppati » e politicamente rispettabili : Germania occidentale, Inghilterra, Italia, Svezia ecc. E l'esercito fascista combatte con armi della NATO,
benedette da ministri socialisti.
I partiti di Neto, di Cabrai e di
Mondlane, che lottano per l'indipendenza dei loro paesi, si scontrano con
...........limimi..
DOPO LA CONFERENZA DI BUCAREST SUL PROBLEMA DEMOGRAFICO
Controllare le nascite non basta
se non si crea un nuovo ordine economico
Dalle conclusioni della recente conferenza indetta dall’Onu sulla popolazione mondiale e svoltasi a Bucarest
dal 19 al 30 agosto con la partecipazione di 142 Stati e governi, si possono trarre, molto schematicamente, alcune indicazioni:
1. II contrasto tra paesi ricchi e
paesi poveri è oggi la discriminante di
fondo in ogni dibattito che riguardi
globalmente le sorti del nostro pianeta e dell’umanità.
2. Questo contrasto non si sta attenuando, anzi sta crescendo e viene
acuito dalla politica delle Superpotenze. Esso non potrà essere avviato a soluzione fin quando il governo mondiale sarà soggetto agli interessi delle
Superpotenze e alla logica delle « zone d’influenza ». Basta questa considerazione a dimostrare che la componente politica del problema demografico
è decisiva.
3. In un mondo le cui risorse sono
limitate è errato pretendere di risolvere tutto con il controllo delle nascite. Il male maggiore non è (entro certi
limiti) la crescita numerica della popolazione terrestre ma la pessima distribuzione degli abitanti e delle risorse. È stato detto che nell’arco della
sua vita un americano consuma quan
to 500 indiani. È
ogni bambino che
anche chiaro che
nasce nelle nostre
case consuma enormemente di più che
un bambino del Terzo Mondo. Questi
squilibrii sono intollerabili e vanno tenuti ben presenti nell’impostare la
questione del controllo delle nascite.
4. Il problema di fondo è politico,
economico, sociale e solo in seguito
demografico. Se i paesi ricchi non
cambiano atteggiamento e politica verso quelli poveri, qualunque azione di
contenimento delle nascite nel Terzo
Mondo sarà sospetta e servirà a poco: la politica economica dei paesi
ricchi impoverisce i paesi poveri assai
più che l’alto tasso di natalità di questi ultimi. La creazione di un nuovo
ordine economico mondiale deve andare di pari passo con la promozione
di una nuova politica demografica.
5. Tutti i popoli, senza eccezioni,
hanno il dovere di riconoscere resistenza del problema della popolazione
mondiale e la necessità assoluta di una
pianificazione delle nascite, in piena
autonomia e responsabilità, nel quadro di una politica di sviluppo economico.
6. Sono da respingere come mistificanti certe grossolane alternative riproposte di recente da certa pubblici
stica cattolica. Ad esempio questa:
« Sconfiggere la miseria o distruggere
i poveri? ». Si vuole far passare coloro che sostengono la necessità indero.gabile di una pianificazione delle nascite in autonomia e responsabilità come gente che vuole « distruggere i poveri ». Invece è gente che vuole semplicemente non moltiplicarli irresponsabilmente. Altrettanto mistificante è
il tentativo di ridare credito all’enciclica papale Humanae vitae (che vietava ai cattolici l’uso della ’pillola’),
presentandola quasi come il manifesto
del Terzo Mondo sul problema della
natalità. Questa strumentalizzazione
da parte cattolica del punto di vista
dei popoli del Terzo Mondo per rilanciare e dare lustro alle posizioni papali sulla questione demografica è veramente indebita, per non dire altro.
Il Terzo Mondo non ha affatto « sostenuto la tesi del Papa », come qualcuno
ha scritto pur precisando che le motivazioni erano diverse. Diverse sono le
motivazioni ma diversa è anche la tesi
di fondo. Schematicamente le posizioni sono queste: il papa non vuole il
controllo e il contenimento delle nascite; il Terzo Mondo non vuole solo e
neppure in primo luogo il controllo e
il contenimento delle nascite. La differenza c’è ed è grande.
Coop. Tip. Subalpina - Torre Pellice (Torino)
IL SENSO
OSCURO
DELLA COLPA
NelTart. « All'ovest niente di
nuovo » (v. questo_____________________
settimanale, del 30.
8.’74), abbiamo riportato un severo
giudizio sulle dimissioni di Nixon dalla presidenza USA, giudizio che disconosce in quel fatto una vittoria sia
della morale, sia della giustizia, sia
della democrazia.
Ma quali sono allora le forze che
hanno agito sulTopinione pubblica
americana, cos'i violentemente da abbattere il suo superbo e potentissimo
presidente?
« La realtà (scrive A. Cambino su
"L’Espresso" del 18.8.’74) è che, per
molti anni, l’assoluta maggioranza sia
della classe politica che dell'opinione
pubblica americane hanno approvato
l’intervento nella penisola indocinese
ed i mezzi che Kennedy, in parte,
ma specialmente, in seguito, Johnson
e Nixon, hanno adoperato per assicurare la vittoria degli Stati Uniti e dei
loro alleati di Saigon: bombardamenti a tappeto sul Vietnam del nord, uso
di bombe incendiarie e dirompenti
contro la popolazione, pratica della
terra bruciata e ricorso ad armi tossiche contro i Vietcong e i villaggi da
loro controllati ecc. Il primo degli accordi di Parigi ha steso un pudico velo su tutto questo: ma nel fondo della loro coscienza decine di milioni di
americani sanno perfettamente che la
guerra in Vietnam non è stata solo un
incidente, un momento di spiacevole
confusione e “deviazione” (...), ma una
profonda malattia della coscienza collettiva di un paese che ha passato i
primi 190 anni della sua esistenza a
rimproverare agli europei l'immoralità
e la rapacità della loro politica d'intervento.
Questo senso oscuro di colpa ha finito per scaricarsi su Nixon: e neppure il merito di aver districato gli USA
dal Sudest asiatico è stato sufficiente
a salvarlo. La perizia con cui l’ex presidente, tramite Henry Kissinger, ha
cercato di aggirare il problema, prima
portando la violenza e la crudeltà delle rappresaglie americane a livelli sconosciuti all’epoca dello stesso Johnson,
e poi sganciando l’America ma lasciando che il conflitto continuasse a fare
ogni mese migliaia di vittime, ha avuto in realtà effetti contrastanti. Lo
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
stesso americano medio, che ha approvato la firma degli accordi di Parigi
perché assicuravano la sua incolumità
personale o quella dei suoi figli, non
vi ha visto però quella rottura col passato, se si vuole perfino quell’espiazione che, alla sua mentalità puritana,
appariva in qualche modo indispensabile. Lentamente ma sicuramente il
suo sentimento nascosto di colpa ha
cominciato a rivolgersi verso l’eccessiva abilità, la mancanza di “candore”
di Nixon. E quando l’ex presidente si
è fatto cogliere in fallo, sia pure su un
terreno del tutto differente, è esploso
nell’opinione pubblica un impulso irrefrenabile a liberarsi di una figura così
dissimile dai “padri fondatori”.
Nixon, da parte sua, ha contribuito
ad accelerare ancor più questo processo proprio rilasciando, dopo molte
indecisioni, una parte dei nastri. Questi contenevano ben poco di realmente
criminale, ma molto di distruttivo per
l’immagine di un presidente. L’americano medio il quale, pur sapendo benissimo che gl’inquilini della Casa
Bianca bevono whisky, hanno amanti,
cercano di far soldi e, di tanto in tanto, bestemmiano e tengono i piedi sul
tavolo, seguita tuttavia ad immaginarseli sempre quasi in parrucca come
Washington e Jefferson, è rimasto prima stupefatto e poi umiliato, personalmente umiliato, di scoprire che il
copo dell’esecutivo si rivolgeva ai suoi
collaboratori come un macellaio maleducato ai propri garzoni, parlava dei
vari gruppi etnici americani col gergo
del razzismo più triviale, e nel trattare problemi scabrosi di corruzione
non conservava neppure quella certa
rituale reticenza ed allusività che contraddistingue i dialoghi tra i capi mafiosi. Di qui un altro impulso a liberarsi al più presto di un uomo del genere ».
L’ERRORE DI CIPRO
yk Criticando l’opera di H. Kissinger, il Nobel della pace 1973 (v. questo
settimanale, del 6 c.), lo stesso A. Cambino (su « L’Espresso » del 1.9.’74)
scrive:
« A Cipro, col tentativo americano
prima di far accettare ai turchi il fat
questa realtà e sanno di non poter
ottenere una indipendenza reale senza confitto con l'imperialismo internazionale: il AAPLA, il PAIGC e il ERELIMO non sono dunque soltanto l'ultima manifestazione militante del nazionalismo africano ma sono attualmente l'avanguardia della rivoluzione
africana. Gli imperialisti lo sanno e
non colpiscono a caso. I complici dell'assassinio di Mondlane stanno dunque in casa nostra : si trovano nei
centri del potere capitalistico, in posizioni altolocate nel mondo degli affari e della politica occidentale.
Infne Eduardo Mondlane è stato
ucciso perché personalmente aveva
trasgredito le regole del gioco. Negli
anni del neocolonialismo si può anche
ammettere che un africano sia un uomo intelligente e capace di elevate
prestazioni culturali. Ciò che non si
può ammettere è che l'intelligenza e
la cultura degli africani siano utilizzate in Africa a favore della liberazione
dell'Africa. Se Mondlane avesse accettato il meccanismo di integrazione
culturale dell'imperialismo, se avesse
accettato di fare l'esperto di problemi
africani in una università americana o
in una qualche organizzazione internazionale con sede a Parigi o a Ginevra, avrebbe avuto lauti stipendi e
riconoscimenti accademici, una brillante carriera e una lunga vita. La
scelta del nostro fratello in fede
Eduardo Mondlane è stata diversa. Ha
scelto di essere un uomo nuovo in vista di un mondo nuovo. È stato eliminato.
M. M.
« L’Eterno è la mia luce e la mia
salvezza» (Salmo 27).
È tornata serenamente al Signore
nel suo novantunesimo anno di età
Italia Angelucci
Paschetto
La ricorderanno sempre con immenso affetto e profonda riconoscenza le
figlie Fiammetta e Mirella, i generi
Claudio Comba e Ferruccio Jalla, i
nipoti Giovanni, Daniele, Claudia.
Torre Pellice, 7 settembre 1974.
to compiuto del colpo di Stato e d’impedire un loro sbarco nell’isola ( che invece era inevitabile); e poi, dopo l’azione militare di Ankara, con la decisione di abbandonare del tutto la Grecia, il risultato è stato di mettere in
crisi il versante orientale della Nato e
di consentire a Mosca di stabilire un
dialogo politico, in funzione antioccidentale, con un paese atlantico.
Non si può dimenticare un altro
punto. Tra il 22 e il 24.10.’73, il segretario di Stato americano, dopo aver
svolto un ruolo decisivo neU’accordo
per il cessate il fuoco tra arabi e israeliani, dette via libera a questi ultimi
perché estendessero la loro testa di
ponte a occidente del canale di Suez
fino a circondare del tutto la terza armata di Sadat: alterando così profondamente, almeno sul piano militare, i
risultati del conflitto. Quest’iniziativa,
compiuta in aperta malafede e a favore di una delle due parti tra le quali
Kissinger s’era assunto la veste di mediatore, fu salutata da molti come un
capolavoro di realpolitik (= politica
realista). Era invece un clamoroso errore. Quando i dirigenti di Ankara hanno seguitato, nelle scorse settimane,
ad estendere la loro occupazione a Cipro dopo aver ufficialmente accettato
il cessate il fuoco, gli USA si sono trovati infatti sprovvisti di ogni mezzo di
pressione nei confronti del governo
turco di Ecevit. Un vero uomo di Stato non dovrebbe mai ignorare che la
sua azione, per essere efficace, deve rispettare, se non i principii della giustizia, almeno le regole della legalità ».
I primi risultati negativi della politica super-machiavellica di Kissinger,
scrive ancora il Cambino, cominciarono a delinearsi, « quando il vantaggio
derivante dalla semplice spregiudicatezza intellettuale venne a mancare e
gli USA non potettero sperare di migliorare la propria posizione solo correggendo le manchevolezze delle proprie precedenti impostazioni.
Così è successo che il Dipartimento
di Stato si è mosso con incertezza e
perfino con puerilità. Così era già accaduto durante la guerra del Bangla
Desh, quando, non si sa bene perché,
Kissinger pensò che il solo invio d’una
portaerei nel Golfo del Bengala potesse bloccare i successi della politica
sovietica a Nuova Delhi e a bacca ».
« Io alzo gli occhi ai monti...
Donde mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto vien daH’Eterno »
(Salmo 121)
È piaciuto al Signore richiamare a
Sé nel suo 96° anno di età
Ciémentìne Jourdan
ved. Bertalot
Le famiglie Bertalot, Coisson e Pontet ringraziano quanti hanno preso
parte al loro lutto e rivolgono un particolare pensiero riconoscente al Pastore Renato Coisson, al Dott. De Bettini e alla Signora Jeanne Jourdan.
Jourdan di Angrogna, 7 settembre ’74.
RINGRAZIAMENTO
La famiglia ed i parenti tutti della
compianta
Simonetta Richaud
nata Laetsch
di anni 41
ringraziano vivamente quanti hanno
preso parte, testimoniando affetto alla malata ed ai familiari, alla separazione dalla loro cara, deceduta il 4 settembre 1974 dopo lunga malattia coraggiosamente sopportata.
Particolarmente ringraziano il dott.
Teodoro Peyrot, gli inquilini della casa, tutti coloro che sono stati loro vicini durante la malattia e nella mesta circostanza.
Pomaretto, T8 settembre 1974.
Il marito, la figlia, i figli con le loro
rispettive famiglie ed i familiari tutti
annunziano la dipartenza della loro
cara
Lidia Long in Bouchard
di anni 73
Un ringraziamento particolare ai Pastori Tron, Delmonte e Negrin.
« L’Eterno è il mio Pastore, nulla
mi mancherà» (Salmo 23: 1).
Vaidense (Uruguay), 12 agosto 1974.