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Roma, 21 Agosto 1909
SI pobbliea ogni Sabato
ANNO li - N. 34
LA LUCE
Propugna gl’interessi sociali, morali e religiosi in Italia
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ABBONAMENTI
Italia: Anno L. 3,00 — Semestre L. 1,50
Estero: » » 5,00 — « t 3^00
Un rmmero separato Cent. 5
I manoscriiti non si restituiscono
INSERZIONI
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per avvisi ripetuti prezzi da convenirsi.
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Direttore e Amministratore : B. Celli,t^Via Magenta 18, Roma
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Raggi e sprazzi di iucz estiva
Un buon vecchio che festeggiava l’ottantesimo sno
anniversario ripeteva sorridendo a chi gli domandava
la ricetta di lunga vita : « Vivete di vita semplice
e naturale, mangiate con sobrietà quanto si adatta
al vostro organismo, e camminando scegliete sempre
la parte soleggiata della strada ».
La prima parte della ricetta è un po’ materiale ;
la seconda è buona per i popoli nordici che vivono
sotto le raffiche boreali o nelle den.se nebbie ed ai
quali un raggio di sole filtrato a stento da queste
è un vero regalo celeste. Ma, per noi, italiani, con
questi splendidi « chiari di sole » scottanti, accascianti, deprimenti i corpi e le menti, con questi
belli e poco benedetti 40 gradi centigradi, al sole,
noi ? camminare sotto le sue saette ? Siete pazzi,
voi che ce lo consigliate e volete che lo diventiamo
pur noi per una tremenda insolazione.
Cari lettori, cercate l’ombra benigna nelle vie e
sui corsi, delle case e degli sporgenti veroni, andate pure a sedere od a coricarvi soavemente al
rezzo sotto i castagni, sotto gli abeti ed i montani
larici, sull’erba molle, sui profumati muschi alpini,
presso i rnscelli canterellanti le loro inimitabili canzoni ed i loro sommessi mormorii. Quivi leggete,
sonnecchiate, se vi talenta, per riprendere nuove
forze, per affrontare con coraggio e lena rinnovati
le nuove lotte che si preparano per voi nelle ombre
opache del misterioso vostro futuro. Quivi leggete
queste modeste righe che non sono nè di filosofo
epicureo nè tampoco di filosofo triste e piagnucolone, — e che si riferiscono unicamente al significato
morale e spirituale delle parole dell’ ottuagenario
suddetto. Camminai-e nella Ince, dalla parte soleggiata della via ! E’ facile il dirlo, difficile il praticarlo, dicono parecchi.
Il mondo è triste, ognuno di noi possiede nell’anima sua un tesoro di mestizia che la minima occasione 0 circostanza della vita fa manifesta, e cosi
non è raro il vedere un viso allegro coprirsi ad un
tratto di un denso velo di capa tristizia. E se non
sono i nostri dolori, i nostri rimorsi, le nostre delusioni che ci ammestano sono quelli dello sterminato stuolo dei miseri che ci muovono al pianto.
E se non piangiamo allora, di che piangere sogliamo ? Perchè spero che non siamo nel branco
dei brutali egoisti. Siamo sempre e dovunque circondati da gente che soffre. L’ umanità del eontinno
geme e travaglia ed eternata Rachele piange i figli
suoi che le sono strappati dalle braccia. « Dovunque il guardo io giro» se vedo « l’immenso Iddio »,
veggo pure faccie patite, visi rósi dal dolore, dalla
povertà, arrossiti dai pianti, impalliditi dalla malattia, od inlividiti dall’odio e dal cruccio. La vita è
piena di tremende tragedie. Non è la commedia
rabelaisiana dopo la quale si cala il sipàrio e la
farsa è finita, no, è tragica negli affari leali o loschi,
che portano al suicidio, è tragica negli affetti più
puri come nelle più roventi passioni, è tragica nella
vita sociale, nella domestica, nella intellettuale individuale e collettiva. Che più ? Leggete i periodici
pieni zeppi di storie vere orribili che deliziano gli
egoisti e fanno rabbrividire la gente onesta dalla
portinaia che col giornale legge le vostre cartoline
al padron di casa che nel salotto sta sorbendo il
suo moka.
Tutto ciò è dolorosamente vero, noi nego, ma saranno migliorate le condizioni degli uomini infelici,
se noi ci fermiamo li a contemplare inoperosi, scioperati, quelle realità sommamente malinconiche ? Se
la vita ha quei grandi spazii di ombra cupa, siamo
noi obbligati di camminarvi o di rintanarvici senza
attività ? Se noi dobbiamo operare il bene per i
miseri nostri compagni di lotta per resistenza, lavoreremo noi meglio nell’ ombra od alla Ince meridiana del sole di giustizia sociale e individnale che
reca salute nei raggi suoi ? Saremo noi meglio e
più preparati per sciogliere onoratamente il compito
ed il debito nostro verso i fratelli che penano, se
viviamo nell'ombra e se ci sopraffanno le teorie e
le snervanti suggestioni di un pessimismo cronico ?
No, mai ! Lasciamo l’ombra alle talpe, ai vipistrelli,
ai gufi, agli usurai, agli ubbriachi (Efesi V, 18, I
Tess. V, 7) ai dormiglioni, e come figli della luce
« camminiamo nella luce, mentre è giorno, chè fra
breve verrà l’ombra della valle della morte, nella
quale a nessuno è dato di poter lavorare » (Giov.
XI, 9, IX, 4).
Parecchi altri vi diranno : ma considerate, di grazia, come il mondo si compiace nel disordine morale e quanti progressi fa in esso, mentre i buoni
rallentano gli sforzi per condurlo sulla retta via.
Inesorabilmente e fatalmente la società è pencolante
snllabisso della perdizione. Non può non precipitarvisi. Le riforme vagheggiate hanno sempre dei deficit e ogni giorno si fa maggiormente palese Timpotenza della chiesa a salvare la società. Ah ! pessimisti morbosi e sciancati, la volete dar voi T ultima spinta per produrre l’ultimo crollo ? Attenti !
quanto dite non è vero, perchè voi fissate lo sguardo,
appannato ancora da lenti affumicate, solo nell’ombra
e non riguardate alla parte soleggiata della vita o
se la guardate i vostri anneriti occhiali v’ingannano.
Il male, Timpurità, l’alcool, il disordine nella vita
civile e nella sociale, deturpano i costumi, è vero,
dato e concesso. Lo ha detto perfino Voltaire, quel
« singe de géme » .•
« On ne peni le nier, le mal est sur la terre ».
E’ pur vero che i cristiani sono spesso inconseguenti, che il popolo di Dio pare talvolta disposto
ad uno sciopero geneiale, mà ciò nullameno aprite
gli occhi dalla parte del sole, cosa vedrete ? Vedrete
il mondo in progresso nelle scienze, nelle arti, nelle
industrie fecondatrici di sane energie. Non distogliete
lo sguardo da una infinità di cose scintillanti di viva
speranza che è già quasi una luminosa realtà, vedete con gioia pullulare le opere benefiche di soccorso, di protezione della donna, degl’infanti, degli
operai vecchi o inabili al lavoro, la guerra che società forti e ben compatte fanno alla guerra infame, al vizio, alla tratta dell’ ebano amano ed a
quella delle schiave bianche, contemplate con venerazione, con dolce commozione generosa la vita di
stenti e di sacrificio lieto di migliaia di missionari,
uomini e donne, che recano agli uomini il Verbo
eterno accompagnato da cure amorevolissime per
tutti i malati pagani logorati dai loro vizi e spesse
volte dai bianchi cosidetti civili che importano fra
loro la bucherata e fetida loro cupidigia. Contemplate i progressi fatti nello studiò e nella diffusione
della Parola di Dio. Vedete con gioia pura ed esaltante che gli uomini veramente grandi, che i dotti
che fanno fare un passo in avanti alla scienza non
sono nè atei, nè increduli e che anzi, come lo dimostrò il Naville, del quale parlammo in queste colonne, lo spiritualismo fa sensibili progressi fra la
gente colta, mentre i piazzaiuoli ragliano.: « Nè Dio,
nè padrone! »
Son pur segni dei tempi ! Contemplateli, uscite
dall’ombra del pessimismo. Venite al sole, entrate
nelle file dei lavoratori della luce, fatevi i cooperatori modesti ma gagliardi di tutti gli umili eroi, talvolta ignorati, del bene, del sacrificio personale per
la salvezza delia società.
Altri ancora beleranno : Ahimè, ahimè... il mio lavoro personale è infecondo, i miei conati sono coronati da una serie lamentosa di sconfitte, sono nel
dubbio, tentenno, ho le luci annebbiate dalle mie
incertezze, il mio orizzonte è coperto di nuvole !
Ahimè, ahimè... amico, ciò non mi meraviglia punto,
tu sei immerso nell’ombra. Non essere come l’asino
di Buridano che tentenna ancora. Tra l’ombra ed il
sole, scegli il sole, anche se ti scotta, ti farà bene.
Il tuo lavoro personale è infecondo, perchè hai lavorato senza fede, o perchè hai creduto senza operare. Ogni sforzo tuo sarà coronato da vergognosa
sconfitta, se non ricordi che « la fede senza le opere
è morta » e che dessa dev’ essere « operante per
la carità ». (S. Giacomo e S. Paolo).
Dio medesimo si obbliga a concederti la vittoria,
se credi lottando ed operando. Egli ti dice : < Chi
semina con lagrime, mieterà con cantici di vittoria »
(Salmo CXXVI v. 5, 6) e : « Non ci stanchiamo facendo bene, perchè se non ci perdiamo d’animo la
ricolta verrà nel suo tempo » (Galati VI, 9).
Non ci affanniamo e non ci diamo tormento di
spirito, anzi lavoriamo : è questa una buona risoluzione che racchiude una sana e salda filosofia pratica (iella vita.
Crediamo in Dio, crediamo nell’umanità e nei suoi
alti destini, crediamo anche in noi stessi, se pure
lo Spirito di Cristo abita in noi ; e poi avanti, con
coraggio virile, con mitezza ed umiltà, con invincibile e santa audacia, sempre al sole, nella luce che
irraggia attprno a noi, che irraggierà da noi. Al
sole ! Là dove non ci sono i brividi deU’omhra gelida e infeconda. Lavorando per Cristo e con Lui
la vittoria è certa. E come si troveranno allietate.
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LA LUCE
senza vanità, le anime nostre se porteremo qualche
altra ànima dàlie tenebre del vizio e della disperazione alla meravigliosa luce di Gesù che disse : « Io
sono la luce del mondo, chi meco camminà non camminerà nelle tenebre, anzi avrà la luce della vita ».
(Giov. Vili, 12).
Paolo liongo
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R I 8 VEG L IO
La missione dei signori Chapman e Alexander in
Australia porta già i suoi frutti benedetti. Da un
articolo del dott. Pitchett, uno dei migliori autori
inglesi, togliamo alcuni periodi che caratterizzano
l’opera e gli operai.
L’invito venne al dott. Chapman dalla Società evangelistica di Melbourne ; ma ben tosto altre città ed
altri paesi unirono le loro sollecitudini a quelle di
Melltourne. Si formò una Lega di preghiera per preparare il terreno, e non meno di mille gruppi di
credenti si Tannarono settimanalmente per in^ ocare
le benedizioni di Dio sulla imminente campagna di
risveglio.
Melbourne, come Atene antica, cerea veder nuove
faccio ed udir cose e voci nuove ; ma è forse una
delle città più mondane del continente : l’indifferenza per gl’interessi spirituali, il cinismo che vi
regna avrebbe fatto dubitare del successo della missione, se il dott. Chapmann ed i suoi collaboratori
non fossero stati sorretti da una fede che trasporta
i monti del dubbio e dell’incredulità.
E infatti, sin dalle prime adunanze, i locali si dimostrarono insufficienti per le moltitudini che accorrevano.
La gran sala municipale, capace di 2000 persone,
era zeppa ogni giorno nelle ore in cui più fervevano gli affari ; e, la sera, da 10 a 12,000 uditori facevano ressa alla porta dei locali dell’Esposizione.
Il dott. Chapman ha tutte le doti del grande oratore : egli parla in modo che ognuno dei suoi uditori sente ch’ei si rivolge a lui per^almoùte e
non già ad una massa inerte od incosciente ; non
cerca di produrre dei movimenti sensazionali, ma vi è
nella sua voce, nelle sue maniere qualche cosa che
va al cuore e fa scorrer lagrime di pentimento. E
quando un uomo può, come lui, per delle settimane,
ogni giorno, attirare a sè migliaia e migliaia d’individui di tutte le classi della società, e tenerle in
sospeso ed in silenzio per delle ore intere, bisogna
dire che qneirnomo ha un messaggio che merita di
essere ascoltato. Del resto, il segreto della sua potenza risiede nella sua spiritualità : egli tratta sempre
i soggetti più vitali e i- suoi appelli vanno diritti
alla coscienza come lame affilate ; condanna il peccato con un coraggio che fa fremere e presenta
l’amor di Dio con una tenerezza ed un fervore inresistibile ; costringe i suoi uditori a prendere una
decisione.
Con tutto ciò, il suo linguaggio è sempre terso,
il suo parlare elevato ; egli evita ogni eccesso, ogni
stravaganza sia in parola che in azione j cerca solo la
naturalezza. Mette ogni cura a lavorare in unione
colle Chiese costituite ; si direbbe che il suo scopo
sia, tanto di risvegliare le energie latenti nella
Chiesa, quanto di attrarre gl’inconvertiti e i peccatori ; gli stessi discorsi rivolti ai suoi colleghi nel
ministero sono improntati a quel desiderio di vedere il regno di Dio trionfare con lui o senza
di lui.
Il signor Alexander non è nuovo per il pubblico
australiano ; ma giammai, come ora, è riuscito a
condurre, col canto, le anime a Cristo. Circondatosi
di eletti ingegni per la composizione e l’esecuzione
di nuovi inni, egli predica al pari del suo compagno
e contribuisce, con la sua arte, a risvegliare le coscienze ed a salvare i derelitti. Egli è poi riuscito a formare un coro di 1200 voci che aiutano
potentemente nell’opera di risveglio e di salvezza.
E per mostrar la missione nel suo complesso, il
dott. Pitchett ci parla ancora di alcuni altri colla
boratori, fra cui il signor e la signora Asher che
rappresentano il lato più aggressivo della campagna
col tener riunioni per le vie, nei caffè, nelle case
da giuoco ed ovunque possano penetrare ; il signor
e la signora Norton che preparano altri operai insegnando loro il modo di accostare e di trattare
quelli che, tocchi nella loro coscienza, cercano consiglia consolazioni ; ed infine il signor Davis, il quale
procura (scusino i lettori l’espressione troppo americana) di piantare la Parola di Dio, non soltanto nella
memoria e nel cuore, ma fin nella tasca di ogni
nuovo convertito. Egli aveva portato con sè 35,000
Testamenti di cui 7500 dovevano essere distribuiti
gratuitamente. Nella sola Melbourne, in poche settimane, più di 10,000 persone si unirono cosi alla
Lega del Testamento tascabile.
L’aritmetica è fallace per giudicare dei risultati
del lavoro dei nostri fratelli ; eppure pochi numeri
potranno direi quanto la predicazione del dottor
Chapman e dei suoi compagni abbia avuto dei frutti
che non potrebbero esser più rallegranti. In poche
settimane, e nella sola sezione centrale di Melbourne
2800 persone fecero professione di fede e dichiararono volersi dare al Signore. E vi sono altre 32
sezioni ; onde ben si può dire che i nuovi convertiti salgono a parecchie migliaia. A quest’ora, ben
altra messe avranno mietuto i fedeli servitori del
Padrone della ricolta.
F. Grill.
XVU» CONGRESSO ÌHTERSAZIONÌLE
delle Associazioni Cristiane della Gioventù
Dal 28 luglio al 2 agosto, Barmen e Elberfeld,
le due città gemelle o, per meglio dire, siamesi,
visto che l’una è innestata nell’altra, hanno ospitato i membri del XVII® Congresso Internazionale
delle Associazioni Cristiane della Gioventù.
Il Congresso venne inaugurato con un servizio
religioso nella Chiesa principale di Unter-Barmen il
28 luglio, alle ore 11. Erano presenti oltre tremila
persone, tra le quali circa mille duecento delegati
rappresentanti 27, diverse Nazioni. Il pastore Niemöller, di Elberfeld, predicò con forza e talento facendo giungere senza sforzo la suu potentissima e
pur simpatica voce fino all’estremità opposta dell’ampia chiesa. Impressionanti riuscirono i cori di
350 voci maschili.
Non ho mai sentito cantare con tanta precisione
e tanto effetto di colorito, in nessun angolo della
terra dei suoni e dei carmi ! Questione di pazienza
e di disciplinatezza : virtù embrionali presso di noi.
Alle 3 pomeridiane ebbe luogo l’inaugurazione ufficiale del Congresso nella Stadthalle di Barmen sotto la
presidenza di lord Kinnaird, regio commissario per
le Chiese della Scozia. Alla presidenza del Congresso venne eletto il consigliere intimo Schniewind,
grande industriale di Elberfeld. •
Il signor Voigt, primo borgomastro di Barmen,
adorno della collana d’oro con la quale l’Imperatore
onora i magistrati emeriti, portò ai delegati il saluto delle due città sorelle, e fu vivamente applaudito, specialmente quando accennò all’opera di pace
delle Associazioni Cristiane della Gioventù, opera
che egli dichiarò star tanto a cuore alla Germania.
Nei giorni che seguirono vi furono numerose sedute per trattare vari argomenti. Il tema principale delle discussioni fu : « Gesù Cristo nella vita
personale, nella vita di famiglia e nella vita pubblica del giovane ».
Altri argomenti furono :
« L’opera delle Associazioni Cristiane della Gioventù fra gli emigranti e gli immigranti ».
« L’opera unionista fra i giovani della campagna ».
« L’opera delle Associazioni Cristiane della Gioventù fra i giovani impiegati nel commercio e nelle
industrie ; fra i soldati e i marinai e fra gli studenti
e la gióventù nei paesi pagani
Alla ottima riuscita del maraviglioso Congresso
contribuirono le autorità e i privati delle due città,
facendo a gara non solo per ospitare, ma per coL
mare di gentilezze i delegati da qualunque parte
del mondo essi venissero.
E fra tante cortesi persone mi sia lecito ricordare il simpatico industriale signor Carlo Diedrichs,
magnifico campione teutonico, e la sua gentilissima
signora, dai quali il sottoscritto ricevette infinite
prove di squisita ospitalità, durante tutta la sua permanenza in casa loro.
Vi furono dei ricevimenti ora in Barmen ora in
Elberfeld, offerti da ricchi cittadini, ed ai quali era
facile l’intervenire percorrendo rapidamente le distanze intermedie sia con i tram elettrici, sia con
la « Schwebebahn » o ferrovia pensile la quale è
agganciata a rotaie sostenute in alto da potenti travature metalliche, e corre, direi quasi vola, lungo
le due città, seguendo il corso sinuoso e variato del
fiume Wupper.
Anche la città vicina di Lüttringhansen volle far
onore ai congressisti, offrendo ad essi un ricevimento. Intervennero circa tremila persone divise in
sette spaziose sale, e tutti furono saziati ! Che magnifico appetito hanno i Tedeschi e..i loro invitati.
La domenica, 1® agosto, alle ore 10, vide 17 Chiese
in Barmen e 20 in Elberfeld affollate di fedeli tra
i quali, molti congressisti ; in tutte vi fu un servizio religioso avente per argomento centrale l’opera
dei giovani tra i giovani.
Alle ore 15 vi fu contemporaneamente nella
Stadthalle di Barmen e in quella di Elberfeld una
festa religiosa pubblica con discorsi, cori e musica
orchestrale. Entrambe queste immense aule non potendo ospitare più di 4000 persone ciascuna, gli oratori, i cantori e i componenti l’orchestra dovettero,
gli uni dopo gli altri, fare il bis nell’ampio parco
circostante alle due Stadthalle, dove si affollavano
altre migliaia di persone.
E sempre e ovunque regnò il massimo ordine e
la più ammirevole serietà.
La seduta di chiusura del Congresso fu tenuta
nella Stadthalle di Elberfeld, alle ore 20 con l’intervento dì tutti coloro che riuscirono a pigiarsi fraternamente in 4000 dove, naturalmente, dovrebbero
tram postq.^WO Persope ! , . ...
li discorso d’addio venne pronunciato dal signor
Funk, Oberbürgermeister della città di Elberfeld, a
nome delle due città. Seguirono brevissime allocuzioni dei rappresentanti dei diversi paesi. Il presidente del Comitato Nazionale d’Italia, dopo di aver
rivolto in lingua italiana alcune frasi di commiato agli
ospiti gentili (affinchè la nostra bella lingua avesse
risonato almeno una volta sotto quelle vòlte grandiose) terminò in tedesco il suo discorsetto di cui
ricordo la chiusa accolta da degli hoch! hoch! di
una potenzialità non comune.
« Il vostro grande poeta — diss’egli — cantò
un giorno ; Conosci tu il bel paese dove l’arancio
fiorisce ? Egli alludeva all’Italia, all amato mio paese.
Io non sono poeta, ma vi è però nell’animo mio un
sufficiente slancio per far si che allorquando io sarò
di ritorno in patria io possa dire ai miei amici : Conosci tu il bel paese dove son sempre in flore l’amicizia,, la fede e la più maravigliosa ospitalità ? Quel
paese, amico, è la Germania ! ».
Non c’è che dire, ma quando parecchie centinaia
di voci si accordano a triplicare ì'hoch! nazionale,
ne segue un discreto effetto !
E cosi ebbe termine il XVII® Congresso Internazionale delle Associazioni Cristiane della Gioventù,
addimostrando una volta di più quanto possa una
grande idea per avvincere e affratellare i cuori di
tutti i popoli. „ . .L
Dott. Roberto Prochet.
Presidenzct de! Comitato
Tutte le corrispondenze e comunicazioni
concernenti la presidenza del Comitato di
Evangelizzazione, fino a nuovo avviso, dovranno essere indirizzate :
Sig. Arturo Muston
fermo posta
{Torino) Torre Pellice
3
Cf".:
LA LUCE
r(4angelizzazioiie degli israeliti
I.
Il centenario della « Società per la propagazione
del Cristianesimo fra gl’israeliti », fondata a Londra
il 15 febbraio 1801, è stato celebrato nel giorno
stesso dello scorso febbraio, in una seduta solenne.
La grande aula della Church-Honse era gremita di
amici e di agenti della Società, con una larga rappresentanza dei giovani alunni delle Scuole della
Missione. Sulla piattaforma avevano preso posto diverse personalità eminenti del mondo religioso inglese, alcuni membri del Parlaménto e diversi missionari della Società convenuti da lontani paesi. L’arcivescovo di Cantorbury mise in rilievo, nella sua
allocuzione, quanti sieno gli obblighi della Chiesa
cristiana verso gl’israeliti.
E’ una storia impressionante quella di cotesta Società, fondata da sette uomini pieni di fede e di buona
volontà, pronti a combattere contro le circostanze
grandemente ostili al loro proponimento e contro i
pregiudizi tanto dei cristiani che degli ebrei, riguardo
a questa impresa. Oggi, coloro che hanno seminato
con lagrime, cominciano a mietere con canti. Frutti
di questa Società fino a questo giorno, sono i 250
« figli di Abramo » che sono divenuti pastori evangelici della Chiesa d’Inghilterra ; sono quegli israeliti in gran numero che, o apertamente o nell’ intimo del cuore diventarono discepoli di Gesù e lo
riconobbero Messia. Il numero loro è computato di
circa 245,000.
La seduta commemorativa, dopo aver rendute grazie a Dio per le benedizioni largite agli operai ed
agli amici d’Israele, coronando di frutti le loro fatiche riconobbe la necessità di addivenire alla fondazione di una Chiem cristiana israelita nazionale.
La ragione è questa che sprofonda le sue radici fino
ai tempi apostolici. Un gran numero di ebrei tiene
a conservare la propria nazionalità, a non confondersi coi « gentili » , benché in Cristo, nella cristiana
chiesa, nessuna distinzione dovrebbe più esistere.
Eenché sinceramente convertiti, e persuasi della fratellanza universale proclamata da Gesù e dagli apostoli, essi non hanno il coraggio di infrangere il
vincolo di razza che li tiene uniti ai loro fratelli
della stirpe di Abrahamo ; pertanto, moltissimi di
loro se ne stanno da parte, non si dichiarano apertamente cristiani. Vi sono non pochi « Nicodemi »
tra di loro.
Forò, un vecchio missionario giudeo-cristiano presente alla seduta commemorativa, volle rendere la
sua testimonianza dinanzi al pubblico commosso. < Inquanto a me, di.ss’ egli, ‘Gesù occupa tutto il mio
pensiero, riempie l’anima mia, assorbe la vita mia :
ho ben tentato di sfuggirgli, ma Egli mi ha preso 1 »
Ed egli vorrebbe che molti, come lui, si lasciassero
prendere da Gesù ; egli vorrebbe che in molti si
presentassero gli operai zelanti per portar le buone
novelle della salute agl’ Israeliti suoi fraterni nella
carne. Anche da questa parte la raccolta è grande,
mai mietitori son pochi. Nella gran Russia, pei sei
milioni di Israeliti, vi è un solo missionario cristianol
« Iddio non ha rigettato il suo popolo » — ma
ci troviamo davanti a questo mistero, che « induramento è avvenuto in parte ad Israele, finché la
pienezza dei Gentili sia entrata : e cosi tutto Israele
sarà salvato » (Rom. 11, 24-32). Orai tempi si avvicinano a questa « pianezza dei Gentili » e ci portano verso un sempre minore < induramento di Israele », talché < l’entrata » di esso seguirà da presso
« la pienezza dei Gentili ». Possiamo cosi comprendere la parola profonda e profetica di S. Paolo : « Per
la caduta d’Israele è avvenuta h salute dei Gentili,
onde provocarlo a gelosia. Or se la lor caduta è la
ricchézza del mondo, e la lor diminuzione la ricchezza dei Gentili — quanto più sarà la loro pienezza I — E se il loro rigettamento è la riconciliazione del mondo, qual sarà la loro assunzione, se non
vita da morte?...» (Rom, 11, 11-12-15).
V.
DDUA E IDOLATRIA NE LA CHIESA ROMANA
(ut WA — SPIAITO SAI<TO)
Ne la corsa vertiginosa del secolo ostro anche le rane
si son mosse. Non hanno più cercato di emulare il
bove ne la grossezza, nè hanno reclamato un sovrano
da Giove, che, anzi, piene ancora di livore per la tirannia d’un re Travicello da esso loro mandato a distruzione, hanno intuonato l’inno de la riscossa, hanno
agognato a la rivendicazione de la loro famiglia, e,
dando la scalata al cielo — più felici dei giganti di
un dì — hanno sobbalzato Giove, — pluvio o tonante
che fosse — hanno incarnato lo Spirito Santo.
In San Felice Slavo de la Cenerentola d’Italia, si
verificò — nel verno passato — un fatt > di inapia religiosa, una suggestione che da l’individuo si comunicò
a le massa, un vero contagio, e le sognatrici di una
santa vergine sepolta trai ruderi di un castellò'feudale in Castellezze diroccato nel mediò evo da nemici
vincitori — secondo alcuni cronisti, — dal terremoto
— secondo altri - più non si contarono," furono legioni, furono di S. Felice, di Tatrénna, di Acquaviva
Collecroei, di Mafalda, di Montefalcòne e paesi limitrofi.
Il sesso forte da prima ascoltò tutto con un sorriso
beffardo, scrollò il capo e tirò innanzi canzonando;
ma poi finì con Tesser contaminato anch’esso, col vantare anch’esso dei... visionarii. Allora il moto non conobbe più ragione, non trovò più freno, oltrepassò
ogni limite.
Fino a diecimila gli operai di ogni età e dei paesi
su accennati — preceduti da un crocifero — sfidando
le intemperie de la stagione, dimentichi anche dei
doveri più intimi, — correvano quotidianamente là sù
armati chi di badile, chi di vanga e chi di bidente,
a un lavoro alacre, assiduo. Si sono, verificate su quella
vetta le scene di Casalbordino descrittene« Il trionfo
della morte ? »
No, certo. Ma le deliranti processioni, i canti entusiastici hanno raggiunto il delirio e il fanatismo è
giunto fino a suggestionare talmente una buona donna
di Mafalda, che ella non si lava — dietro una proibizione di Maria SSma. — per ben 6 mesi nè viso e nè
mani.
Intanto si lavora ; si demolisce, si scava, si appiana,
si rimuovono avanzi umani e teschi, òmeri, tibie, stinchi e sterni sono gettati in un canto — visione raccapricciante—abiancheggiareal pallido sole invernale.
Un dì sotto una pietra, rimossa da una zappata, fu
scoperta una biscia ravvolta in ispira. Contemporaneamente fu avvertita a poca distanza una rana temporaria — ciò è de la famiglia di questi batrachi che
vivono più su la terra che ne Tacqua.— Momento lirico!!! Intessevano fra loro idue animali un idillio,
o si atteggiavano l’uno ala fuga e l’altro a la rapina?
Oh I se Omero o chi ne parodiò T Iliade si fosse trovato là sù, non avrebbe potuto certamente intesser
la Batracomiomachia:; ma ci avrebbe tramandato un
poema eroicomico d’indole pastorale su la rozzezza dei
costumi e sul sentimento idolatrico cui inesorabilmente
trae seco il culto dei santi nel cattolicesimo romano.
Per Irene di Tavenna il rettile e l’anfibio sono i
segnali divini. Si accosta ella per prenderli, ma i raggi
solari hanno riscaldato il serpe che s’insinua fra i crepacci. Non fu così, però, per la povera rana, che presa
delicatamente e avvolta con precauzione nel grembiale,
fu portata a San Felice per farne un presente prezioso a la famiglia nobiliare del dottor Quinzii. L’assenza di questi cagionò la catastrofe, la vergogna. Giovane colto e di larghe vedute, energico, avrebbe egli
con una pedata, schiacciato l’immondo animale e corretta da Terrore la portatrice; ma il fato volle che
questa avesse potuto portare a casa sua — in Acquaviva Collecroei — il dono de l’Alto. Un bicchiere di
acqua — ornato di un fiore artificiale — diè apparato
solenne a la cosa e la rana fu battezzata per... la palma
del mondo ! ?
Ah, Santa Inquisizione, perchè non rivivi nel Sant’ Ufficio, che segue le tue orme e si rincorona dei
tuoi allori ? Ah ! se si esplicasse anche in minima parte
contro i cattolici sfruttatori, ignoranti e idolatri lo
zelo che il mostro d’iniquità spiegò più che brutalmente contro i buoni cristiani che agitavano la face
pura de l’Evangelo di Dio, quante sozzure sparirebbero. *
Quella specie di Diavoletto di Cartesio fe’ sbarrare
gli occhi a tutti, fu soggetto di discorsi, fu spettro
notturno in Acquaviva e altri paesi. Cominciarono le
vere suggestioni, che si manifestarono in paralasi parziali o totali, che spariTano al momento che la Irene
faceva annasare il bicchiere portentoso.
Passò del tempo nel parossismo idolatrico del feticcio e il pellegrinaggio si raddoppiò : a Castellezze
per lavorare di scavo e ad Acquaviva per vedere la
palma del mondo e per sentirne elogiare la virtù, la
potenza e la gloria. Si manifesta in tanto un malessere generale. Viene la sfiducia e la stanchezza. Torna
presto, parò, la speranza, perchè la nota donna predice che il corpo santo apparirà subito che iapafma
del mondo sarà stata ricollocata sul suo luogo di elezione, ma necessita la pompa, l’adorazione, la più clamorosa e sontuo^ manifestazione del culto cattolico,
— la processione —.
Presto fatto. Si forma la commissione ; T arciprete
Don Olindo De Vito è intervistato, e questi, previo il
pagamento usuale in L. 10.00, acconsente pienamente.
Il parroco si è accontentato per niente e il popolino
— appagato — raggiunge il delirio.
In su l’alba del mattino seguente il rospo mummificato del caminetto de la libreria Zanichelli è animato in quella rana, non è portato no sul tavolo da
giuoco al Carducci ; ma — da un popolo più barbaro
dei versi del poeta marem^mano — è deposto su l'altare
maggiore de la chiesa matrice e non si chiama più
Dragbignazzo ; ma palma del mondo ! Quando il tempio di Dio è affollatissimo, il parroco intuona la litania e—= per dirla col segretario Peta, che, con tutti
gl’intellettuali di lì, riprova il fattaccio — la rana, col
suo gracidare, risponde « ora pronobis » a ogni invocazione de la Vergine SSma.
Subito la processione numerosissima, preceduta da'
10 stendardo e da la croce, esce dal tempio, da Acquaviva va in San Felice e di lì si avvia a Castellezze.
Dopo parecchie ore di una corsa pazza per burroni
e per vie mulattiere, trafelati di sudore e atoni per
11 continuò cantare, i romei sono su la vetta agognata.
Irene sale sur una roccia con il bicchiere — contenente la raña — ne la destra, apostrofa la folla, loda
Dio, intesse il panegirico de la rana animata da lo
Spirito Santo, invita a la preghiera e a l’adorazione.
Quando le labbra riarse de la folla hanno deposto
un bacio sonoro sul cristallo, la rana è deposta religiosamente sul luogo dov’era stata rinvenuta e tutti,
giulivi, con la certezza nel cuore che nel lavoro del
giorno seguente avrebbero scavato il corpo benedetto,
tornarono nei proprii paesi che già il sole era tramontato.
Povero buon parroco e buona popolazione di San
Felice, quanto rimasero scossi e avvititi da la profanazione ! Ñe interessarono Mons. Carlo Pietropaoli Vescovo di Trivento è amministratore apostolico di Termoli ; ma questi si accontentò di qualche riga di scusa
del Parroco De Vito e dormì la grossa.
Povero prefetto, che dovè — per tutelare T ordine
pubblico — stanziare dei carabinieri a Mafalda per
rinforzo.de la.^^ brigata di Montefalcone !
Póvefo EÌiò bÒsì malmenato!- Egli, dopo 60 secoli,
non anima più il bue o il serpente, l’uomo ola natura
tutta ; ma s’incarna in un fetido, lurido, vischioso
animale, la rana ! ! ! Ma, più che Dio, poveri cattolici
lasciati al buio dai preti speculatori e trascinati —
per la forza inesorabile de la logica — ad adorare gli
esseri animati più che i legni e gli argenti, che popolano le nicchie de le chiese cattoliche. Toccò però'
a un buon cristiano la missione di dover riparare a
lo sconcio. Seppe egli ottenere da la famosa protagonista un auto da fè rogato dal Notar D. Agostino
D’Ettore di Mafalda, fè la sua relazione e non pensò
più a la triste faccenda, che gli cagionava disgusto
non piccolo. Ma — incredibile — dopo 4 mesi fu dal
suo pastore invitato per lettera a copiare su foglio
grande quanto gli aveva abbozzato egli medesimo il
Vescovo Don Carlo Pietropaoli nei termini qui sotto
trascritti fedelmente da l’originale :
« Io Basilio Mastronardi, Arciprete parroco di Bel
< monte del Sannio, di anni... invitato oggi 10 luglio
« 1909 nella Curia Vescovile di Trivento da S. E. Mons.
« D. Carlo Pietropaoli, Vescovo di Trivento ed Amm.
€ della Diocesi di Termoli a deporre cum juramento
« de veritate dicenda et de secreto servando intorno
« alla condotta morale e religiosa del sac. Olindo De
« Vito parroco di Acquaviva Collecroei, rispondo :
« Conosco il detto sacerdote De Vito, per aver predi« cato nella sua parrocchia nella quaresima del 1909.
« Non ho alcun interesse materiale con lui, nè alcuna
< animosità. Mi consta ch’egli non gode punto la fi« ducia e la stima de’ suoi filiani, perchè è ritenuto
« immorale, negligente de’ suoi doveri sacerdotali e
« parocchiali. So di certa scienza che ben pochi si
« accostano ai sagramenti, che non si predica il S.
« Vangelo, nè si insegna la dottrina cristiana. È pure
« a mia conoscenza che il De Vito portò pubblicamente
« in processione, vestito di cotta e stola, a scopo di
« turpi guadagno, una rana scavata in un fosso da
< contadini superstiziosi.
« 1 buoni fedeli sono scandalezzati delle condotta
« del parroco De Vito.
« Letta e confermata la presente deposizione, mi
« sottoscrivo
« Sac. Bas.... Mast______
« Arcip— di B.... »
Oh ! bella, carina questa : raggiungere il trentennio
per dover tornare a fare esercizii di copiato anche su
la firma mia... Sentii di dover esserne tanto grato a
TEce. Rev.ma e Ill.ma che non lo degnai nè anche di
4
LA LUCE
Un rigo di risposta.E che? Potevo forse io ottemperare a l’empi-) comando ? La mia falsa deposizione doveva certamente servire a qualche bassa vendetta del
Erasule contro il De Vito e io non dovevo mentire
con P asserire d’ essere stato chiamato in Curia ; non
potevo— sotto la santità del giuramento — deporro
tutte quelle accuse, che non mi constano e tanto meno
l’ultima de la cotta e stola dietro la trionfale rana,
perchè mi consta che il D. Olindo si limitò solamente
a intascare le L. 10 e a permettere la processione in
onore de l’anfibio. In ultimo, il Vangelo di Dio mi
comanda di non giudicare gli altri e — nel caso nostro — di dover sperare che il povero parroco sia stato
anche ingannato. Non potevo quindi prestarmi vilmente a le voglie di un Torquemada redivivo.
In ogni modo, miei cari fratelli, la rana avrà servito a qualche, cosa oggi, come nel XVIII secolo.
Se esea allopi diè gloria a Galvani e immortalò Volta,
oggi avrà dato luogo a una corrente di affezione fraterna da parte vostra per un amante del Vangelo che
__ne la sua conversione— lancia la sua scarica elettrica
— di virtù terapeutica, spero — a un prelato domestico di S. S. a ravvedimento dei traviati e a ricordo
de la voce di Dio. : Deut. V, 8,9 ; — Es. XX, 4,5:; Lev.
XXVI, 1. — * Non farti scultura alcuna; nè imagine
alcuna di cosa che sia in cielo di sopra, nè di cosa
che sia in terra di sotto, nè di cosa che sia nelle acque
di sotto alla terra. Non adorar quelle cose, e non
servir loro; perciocché io, il Signore Iddio tuo,sono
un Dio geloso, che fo punizione delle iniquità dei
padri sopra i figliuoli, fino alla terza é alla quarta ge
nerazione ^
Basilio IWastPonardi
jL WHOVRMKf^TO
Anno III — Fascicolo 3
Il volume s’apre con un articolo di G. Amendola su
« La Filosofia della pratica » di B. Croce.
Tutte le soluzioni del problema ÌLc\VEtica date in
questo libro appaiono — dice l’A. — relative ad un
principio di filosofia generale. Quindi, la critica di detto
principio equivale alla critica del libro.
Il Croce parte ^sX\'idealismo assoluto, ed in base a
questo egli reputa che l’accusa di psicologismo è ia più
grave che possa farsi ad un sistema filosofico, poiché
la filosofia deve stabilire i suoi concetti indipendentemente- daU’analisi deH’w empirico, cioè indipendentemente dalla psicologia. Viceversa rA. dell’articolò parte
id\\'idealismo immanente, cioè egli della tesi filosofica
del Croce non accetta che la spiritualità del mondo,
rigettando il resto, vale a dire il supremo rasionalismo del mondo. Inoltre, il suo idealismo immanente
non ha l’obbligo di fuggire in ogni caso all’analisi psicologica.
Qui l’A. si domanda se il sistema del Croce sia scevro
davvero — come ha la pretesa di esserlo — da qualnnque
traccia di psicologismo. Esamina a questo riguardo, il
libro del Croce e ne conchiude che in esso lo psicologismo esiste realmente. Cosi, il sistema del Croce si
trova in fallo di fronte alla propria logica, e quel tanto
iicWidealismo assoluto che pretende sorpassare l'idealismo immanente apparisce gratuito. L’A. ne conchiude
che l’idealismo assoluto, dopo un secolo di vita non ingloriosa, non ha ancora dimostrato anzi. la legitti
mità delle sue affermazioni fondamentali, tra cui spicca
quella della suprema razionalità dell’essere. Ciò è confermato da certe affermazioni con le quali il Croce stesso
conclude dicendo che/a wVa trascende il pensiero. Trasceniendolo lo limita — dice l’A. — e, limitandolo,
toglie alle sue costruzioni un valore assoluto. Còn le
quali conclusioni, il Croce si allontana ^ secondo l’A.
— dalle posizioni deU’idealisrao assoluto compiendo nientemeno che la distrusione di Hegel.
La mia impressione è che l’A., per tirare l’acqua al
proprio mulino, forzi un po’ — come dire?. — la
mano alle conclusioni del Croce. Ad ogni modo, chi, in
questo cozzo dei Croce che vogliono completarlo e degli
Amendola che vogliono distruggerlo, avrebbe il diritto
di .solennemente protestare, è — a mio credere — proprio Hegel, a cui se ne fanno dire di cotte ed anche di
crude per completarlo ed anche (sic). distruggerlo
un po’ troppo. a buon mercato.
*
* *
Segue un notevole studio di A. L. Lilley su « L’avvenire religioso della Chiesa Anglicana ». L’A. ragiona con profondità di pensiero AclYunitd e della libertà quali condizioni normali della sana vita religiosa. La sana vita religiosa esclude l’autoritarismo
papale che impone la fede ; ed esclude anche l’atomismo
individualista che pretende monopolizzare la libertà.
Quello conduce al suicidno intellettuale, questo allo scisma continuo moltiplicantesi. Or, suicidio intellettuale e
scisma, cioè autoritarismo e individualismo, sono negai
zione della sana vita religiosa. L’unità e la libertà non
debbono trovarsi in irsuto contrasto, anzi deggiono trovarsi riunite armonicamente in una sintesi. A questa
sintesi aspira con ardore l’umanità ; a questa sintesi
dee dar opera la Chiesa futura.
Qual è — su questo terreno — la prospettiva della
Chiesa anglicana? L’A. — che è un anglicano modernista — non è tenero per le peccata che affliggono
le tre scuole di pensiero deH’anglicanismo. Alla Scuola
Alta Chiesa Riproverà il concetto magico della religione
e l’inschiavire ch’essa fa la religione alla storia. Alla
Scuola Larga Chiesa rimprovera la superficialità, a
volte puerile, del suo razionalismo. Alla Scuola Bassa
Chiesa, di cui loda la tendenza mistica, rimprovera i
legami con una teologia chiusa e deprimente : con quella
teologia medievalesca che oggi è ancora il patrimonio
di tanti puritani..... ortodossi.
Però, malgrado queste peccata, ci sono ragioni fortissime di letizia e di speranza. E’ ragione di letizia
il fatto che nella Chiesa anglicana queste tre scuole
di pensiero (la storica, la razionale e la mistica) coesistono, con pieno diritto di cittadinanza, in un unico
corpo. Nè altri creda (tra noi italiani lo credono molti...
e sono quelli per i quali la Chiesa anglicana è terra
inesplorata, anche quando essi suppongono di conoscerne i penetrali intimi) che i vincoli fra le tre scuole
sieno puramente esterni. Anzi...sono interiori, e nean
che la separazione dallo Stato — secondo l’A. — varrà
a spezzarli.
Io, poi, credo che la separazione varrà a rafforzarli.
Ed è perciò (tra parentesi) che, unionista in principio
generico, io sono separazionista nel 'caso specifico della
Chiesa d’Inghilterra. Tra le ragioni di speranza l’A.
nota il fatto che la critica biblica {Ingete, o letter alisti..,)
è stata in massima accettata liberamente nella Chiesa
anglicana e vi va rapidamente demolendo la teoria scolastica e magica della Chiesa e delle istituzioni religiose. Un’altra ragione di speme poggia sulla decadenza
del vecchio partito razionalista e superficiale della Larga
Chiesa, mentre un nuovo e più profondo spirito va permeando tutte le tendenze liberali con ripercussione vivace neU'intera comunione anglicana. E’ grazie a questo
spirito che i pastori della Scuola Alta e della Scuola
Bassa cominciano ad incontrarsi in un terreno comune
Grazie a questo nuovo spirito liberale, non solo gli nn {
ma anche gli altri cominciano a riconoscere che {udite
0 individualisti) che c la coscienza generale é la matrice della coscienza individuale e il correttivo
individuale di questa ».
Insomma, prosegue, a passo da bersagliere, l’unificazione interna della Chiesa anglicana. Ma basta ciò nei
riguardi dell’avvenire ? No. Bisogna domandarci anche
quale sarà la funzione deU’anglicanismo in quall’opera
di conciliazione che — contro gli estremi del papismo
e dell’individualismo — ci addurrà alla gloriosa sintesi della unità e della libertà. L’ A. osserva che in
quest’opera l’anglicanismo ebbe già, sebbene forse inconsapevo'mente, una parte importante per mezzo del
movimento « trattariano » (ritualista). Questo movimento, certo, non si proponeva uno scopo liberale. Si
proponeva — anzi — lo scopo di resistere ad ogni manifestazione di liberalismo, e ^ trattenete il riso, o
amici — perfino di deprotestantizzare la Chiesa inglese. Ma la ciambella non riuscì col buco. Il protestantesimo della Chiesa anglicana era sicuro, era nel
suo sangue, nel suo abito innato di vita, e cosi il movimento trattariano ebbe un risultato opposto a quello
che si proponeva, risultato benefico anziché malefico,
liberale e non anti liberale. Esso corresse il protestantesimo dommatico, salvò certi valori cattolici che meritavano d’essere conservati, ritrovò il valore sociale
della religione correggendo con esso la degenerazione
individualistica, richiamò il protestantesimo evangelico alla realtà della storia, al senso della bellezza naturale e di tutta l’arte come rivelazione divina, e in
genere a un interesse-più largo e. intelligente per la
vita del mondo. Mirò a irrigidire la religione, riuscì
invece a renderla più fluida. E fece ciò non solo per la
Chiesa anglicana, ma per l’intero mondo cristiano. Ma
questo non è che il principio dei servizi che la comunione anglicana è chiamata a rendere al mondo cristiano.
Essa è posta naturalmente nella posizione mediatrice
tra le forze della tradizione e quelle della libertà. Il
suo avvenire è legato a ciò ch’essa riconosca questa sua
missione e vi si consacri interamente.
L’A. rileva quindi alcuni ostacoli che si oppongono
a che la Chiesa anglicana riconosca questa sua mis
sione ; difficoltà gravi e minacciose, tra cui primeggia
il concetto « anti-storico, illogico, irreligioso » che fa
scaturi|;e la'Chie^ dal clero, anziché il clero dalla
Chiesa’giusta là storica, logica e religiosa nozione evangelica. Il concetto clericale diffuso e sostenuto da un
partito potente ed influente nel clero ridurrebbe — se
riuscisse a prevalere — l’anglicauismo ad una sètta,
e frustrerebbe ogni speranza di una grande missione
futura. Chi guarda da fuori crede che la nozione clericale della Chiesa abbia invaso l’intero corpo anglicano. Ma chi guarda dentro sa che la teoria magica
dell’ordine ecclesiastico ha, nella Chiesa anglicana, i
giorni contati. Le idee esposte dal Tgrrel, specie
nell’articolo « Da Dio o dagli uomini » vanno conquistando rapidamente tutto il clero giovane. Al trionfo
di queste idee anti-clericali è legata la missione mediatrice dell’anglicanesimo nel mondo cristiano pei fini
dell’unità.
*
*
Segue un momentoso studio di Adriano Tilgher intitolato « Analisi dei concetti di delitto e di pena ». La natura dello studio non ci consente di analizzarlo data
la natura del nostro periodico e i limiti fissatici. Ci
limiteremo a dire che l’A. — rilevata la lotta, nella
storia dell’tra l’utilitarismo e il moralismo; e
ricordato che questa lotta ha cominciato ad avere una
soluzione col riconoscimento di due gradi, l’uno utilitario, l’altro morale, e che, mentre nella fase utilitaria
lo spirito non afferma che la propria individualità, nella
fase morale afferma non solo la propria, ma tutte le
individualità, l’Essere, la Vita, l’Universo — applica
lo stesso metodo a risolvere la triplice antinomia che
da tempo immemorabile travaglia la filosofia del diritto
penale, e cioè : a) l’antinomia delle teorie utilitaristiche
e delle teorie moralistiche del delitto ; b) l’antinomia
delle teorie utilitaristiche e delle teorie moralistiche
della pena; c) l’antinomia di delitto e pena e suo superamento.
♦
• «
Neppure è possibile analizzare l’articolo intitolato
« Il massimo problema » del prof. Bernardino Varisco
dell’Università di Roma. L’articolò è la conclusione del
volume « I massimi problemi » che viene in questi
giorni pubblicato dalla Libreria Editrice Milanese, e si
propone l’ardua questioue « Se il divino esista soltanto
come immanente nelle cose o abbia inoltre anche delle
determinazioni sue proprie ; se sia o non sia unità di
coscienza, unità che sarebbe trascendente rispetto alle
coscienze singole ».
I lettori comprino a dirittura il libro del Varisco, se
vogliono comprendere la conclusione pubblicatane dal
« Rinnovamento ».
«
• Ha
H. prosegue e termina il suo studio su « L’abate
Loisy e il problema dei Vangeli Sinottici ».
I due primi capi di quest’ultima parte trattano rispettivamente delle Vorgeschichten in Matteo e Luca,
e della introduzione di Marco coi suoi paralleli in Matteo
e Luca. Le due serio di genealogie e di racconti dell’infanzia resistono a tutti gli sforzi leali di armonizzarli; ed alcuni di essi resistono ostinatamente ad ogni
tentativo di trovare per essi un posto nella storia reale.
Ciò —• secondo l’A. — non conduce necessariamente
ad abbandonare qualsiasi altro racconto del Vangelo,
poiché la verità storica delle scene della vita pubblica
e della passione può e deve essere conservata, ma non
in base a principii che salvino insieme la verità storica dei racconti dell’infanzia. Del resto i prologhi non
restano per ciò privi di ogni verità ed utilità : rimangono cosi vagamente e spiritualmente veri «ome i particolari e le combinazioni non strettamente storiche in
un affresco di Frate Angelico. L’A. osserva, inoltre,
che le due credenze della concezione-nascita verginale
e della divinità di Cristo non sono obbiettivamente in
connessione essenziale. Nostro Signore avrebbe potuto
esser concepito verginalmente e non per questo essere
da più che un semplice uomo. Viceversa, avrebbe potuto essere tutto ciò che il dogma della sua divinità
esprime e tuttavia essere concepito e nato — quanto
alle circostanze fisiche — come gli altri uomini. L’osservazione dell’A. è giusta. Ma egli non avverte che il
rapporto della concezione non è con la divinità di Gesù,
bensì con la sua umanità novella. Egli è il nuovo Adamo.
Se non v’è, all’origine della sua umanità un principio
nuovo posto nel giuoco delle forze preesistenti dal potere creatore con l’intento di modificarne la risultante,l’umanità novella esula.
Con ciò non si vuol dire che sieno necessarie per
questo le circostanze strettamente fisiche dei prologhi
intesi letteralmente. Anzi, se s’interroga il criterio del
5
LA LUCE
-quod, ubique, ab omnibus,si .ìtosa, -- come il prof. Michand
ha dimostrato — che le circostanze meramente fisiche
non rientrano nel deposito della fede, e possono (non
dico che debbano) senza eterodossia venir considerate
come la poetica espressione deU’azione speciale di Dio
alla base dell’nmanità novella di Gesù ; azione speciale
che é de fide, e che non é punto legata alla sorte che
la critica può riseibare ai prologhi.
Sopra i Capi Vili e IX del libro di Loisy, l’A. osserva che solo in apparenza è conclusivo il ragionamento dell’abate francese su certi testi relativi al battesimo per escludere la predicazione messianica del
Battista. E dimostra che « la tradizione cristiana è
rigorosamente storica in quanto rappresenta Giovanni
che predica il Messia ».
Nel cap. III l’A. riassume i pregi e le debolezze degli
Evangiles Synoptiques del Loisy. Alla Introduzione l’A.
preferisce il Commentario, e nel Commentario i capitoli
intorno ai discorsi di Nostro Signore e quelli intorno
agli atti. E non dubita che le molte pagine dedicate
al Discorso sui Monte, alle parabole, all’annuncio della
jiarousia non abbiano a restar classiche. Ed in questi capi
il Loisy è più felice, nel ricostruire le vere parole dette
da Nostro Signore che quando si sforza di penetrare
la verità e il significato permanente e spirituale di
quelle parole. lu parecchi casi, il Loisy — secondo l’A.
— trova un’influenza paoliua (in Marco) dove non può
essere affermata che artificiosamente ed aprioristicamente. Eiguardo aU’aspettazìone della passione da parte
di Gesù, l’A. in sostanza approva l’atteggiamento *ne,gativo del Loisy pure attenuandolo sensibilmente. Ed
egli loda il Loisy per l’insistenza sul posto centrale
che la aspettazione della parousia ha nello spirito di
Gesù.
• «
Sotto il titolo « LeUpanisad » F. Belloni-Filippi
pubblica il terzo suo articolo di cui 1’ argomento è :
Il concetto del Brahman e il concetto dell’Atman ; il
pensiero filosofico-religioso nei Bràhmana e nelle Upanisad. ’ '
Chiude il volume la solita rassegna di libri e riviste.
Ugo Janni
profili di riformafi italiani
Qiulio delisi Rovere
Milano diede alla Riforma un predicatore assai
popolare che diverrà fondatore di comunità italiane
dei Grigioni nella persona di Giulio della Rovere.
Appartenne all’ordine degli Eremitani di S. Agosstino. Si ignora per quali circostanze egli abbia abbracciato le dottrine riformate. Ma è noto che Milano conobbe assai presto la Riforma. Già nel 1521
circolavano per la città versi in lode di Martin Lutero.
E fin dall’anno 1523 il duca Francesco Sforza aveva
bandito una grida contro tutti quelli che avessero
libri eretici. In Milano molto contribuì alla diffusione
delle idee evangeliche il Cnrione, il quale vi aveva
sposato una signorina della nobile famiglia Isacchi.
Protetto dal Senato insegnava le lettere, e nei cinque anni di dimora che vi fece, condusse molte persone alla conoscenza del Vangelo. Fra Giulio, del
resto, già assai apprezzato quale predicatore, a Venezia aveva dimorato in casa del Cnrione. Questo
fatto aggiunto ai sospetti che già se ne aveva quale
eretico, gli valse la denunzia e la perquisizione. Nei
suoi interrogatorii diede spiegazioni insufficienti, per
cui nel 1541, fu condannato al carcere e deferito
al tribunale del Santo Ufficio. Essendo caduto infermo, fu preso dallo scoraggiamento, chiese perdono,
e lesse dal pulpito di S. Marco, un atto di abiura,
che però non lo salvò da un’altra e più severa condanna.
Fu sotto l’impressione di questa nuova condanna
che il celebre Bernardino Ochino si lasciò sfuggire
in una sua predica ai Santi Apostoli la famosa apostofe : « Che facciamo, o Veneti, che macchiniamo?
0 città regina del mare, se coloro che ti annunziano
il vero chiudi in carcere, mandi alle galere, come
si farà luogo la verità ? Oh 1 potesse questa liberazione enunciarsi, quanti ciechi ricupererebbero la
vista I »
Ma ecco che di li a poco, non si sa in quale maniera, fra Giulio si trovò libero, andò nei Grigioni, e
Poschiàvo' l’ebbe còme pastore fin dal 1547. Da questa città visitò i vicini paesi della Valtellina, e per
il suo zelo quasi ogni città vide sorgere una comunità riformata. Nel 1555 egli scrivea al riformatore
Bullinger : « Le nostre chiese della Valtellina, che
sono a Poschiavo, Tirano, Teglio e Sondrio, perse
verano concordi nell’antica e semplicissima dottrina
ricevuta da tutte le chiese fin dall’età apostolica, e
oggi la grazia di Dio è insegnata senza controversia
nelle chiese della vostra Elvezia e della nostra Rezia ». Mori nel 1572, in tarda età, dopo avere compiuta un’opera benedetta quale pastore e predicatore
del Vangelo.
Lasciò parecchi scritti, nei quali si palesa strettamente ortodosso.
Enpieo f/ieyniep
La Dottrina Cristiana spiegata al popolo
Tra la Croce e la risurrezione
D. — Dove andò lo spirito di Gesù subito dopo la
morte alla vita terrena ?
R. — Il simbolo detto apostolico, che è un simbolo
ecumenico della fede cristiana, e che è ritenuto nella
confessione di fede della Chiesa evangelica valdese, risponde: « discese aH’Ades ».
D. — Che cosa è l’Ades ?
R. — La parola Ades è una parola greca ed etimologicamente significa : ♦ qualche cosa di invisibile ».
Secondo l’idea dei Greci, gli spiriti emani dei defunti
andavano, dopo il seppellimento dei rispettivi corpi, in
una località detta Ades distinta in due parti : i campi
dell’Eliso in cui le anime dei virtuosi godevano non
però senza un languido, rimpianto pel corpo che avevano abbandonato, e il Tartaro, in cui i cattivi soffrivano in gradi diversi. La concezione ebraica dell’Ades
è diversa da quella greca in questo ; gli ebrei, a differenza dei greci, credevano in una risurrezione finale
del corpo. L’Ades, perciò, non era che uno stato intermedio tra la vita terrena e il futuro stato definitivo.
Questo stato intermedio essi chiamarono in ebraico
« Sheol », e, più tardi, quando il greco fu diventato
l’idioma comune, Ades. Dagli scritti rabbinici si raccoglie che, peri giudei, l’Ades. si. divideva in due stati
distinti ed opposti : lo stato di felicità per i giusti,
quello di sofferenza per i malvagi. Al primo di questi'
due stati essi applicavano i titoli di : « Paradiso »,
« Giardino dell’Eden », « Sotto il trono di gloria »
« Seno di Abramo ». In breve ; Per gli ebrei l’Ades è lo
stato degli spiriti disincarnati tra la morte e la risurrezione, stato non definitivo ma temporaneo, poiché
l’Ades termina con la risurrezione ed il giudizio per
dar luogo allo stato definitivo. E il « Paradiso » è per
gli ebrei la condizione di felicità nella quale nell’Ades
si trovano i buoni ; il « Paradiso » è dunque uno stato
transitorio (1) che prelude a quello definitivo che sarà per
i salvati il cielo, cioè la perfetta glorificazione dell’anima e del corpo nella consumazione finale. Il paradiso
perciò, secondo la nozione ebraica, non è confuso col cielo.
Gesù e gli scrittori del Nuovo Testamento sanzionarono puramente e semplicemente le nozioni ebraiche
sull’ Ades. Il che prova che esse rispondono a verità.
Gesù rese testimonianza alla verità della vita dell’Ades
nella parabola dell’ Epulone e di Lazzaro (Lue. XVI).
Questa parabola ci presenta tanto il ricco come Lazzaro, dopo la loro morte, nell’Ades ; il mendico in quella
parte o stato dell’Ades che gli ebrei chiamavano « Seno
d’Àbramo » o « Paradiso », e il ricco nella condizione
di sofferenza e non di felicità. « Ed avvenne che il
mendico mori e fu portato dagli angeli nel seno di
Abramo. E il ricco mori anch’egli...; ed essendo nell'Ades, alzò gli occhi... » (ver. 22-23). Le nostre vecchie versioni inesatte presentano il ricco nell’inferno.
E’ un errore di traduzione. Il testo greco dice nell'Ades
e non già nell’inferno. L’inferno, ossia la pena finale e definitiva, è cosa da noi remota ; essa seguirà, non precederà il giudizio finale (2). Le versioni evangeliche moli) Ma felice, come è anche detto nelle parole che
precedono immediatamente. Non vorremmo che i Lettori si facessero un concetto strano delle teorie del
nostro egregio Collaboratore ; egli certo vuol direi
questo solamente : che la felicità comincia subito dopo
la morte (« saremo con Gesù »), ma che questa felicità
progressiva o, meglio, che questa vita di comunione
santa e beata col Cristo e con Dio avrà il suo glorioso
coronamento nella risurrezione.
(A. d, DI).
(2) L’infelicità incomincia subito dopo la morte, ma
non diverrà, come la felicità, stato definitivo se non
più tardi.
(IV. d. D.).
derne o rivedute della Bibbia (come quella di Segond
e la Revistìd Version inglese) hanno corretto tale errore,
qui e in tutti gli altri passi in cui il Nuovo Testamento parla dell’Ades. Gesù morente diede appuntamento per quello stesso giorno, al ladrone convertito,
in Paradiso : « oggi tu sarai meco in Paradiso ». Ora
è noto che Gesù non ascese al Cielo che più tardi, dopo
la sua risurrezione, e non in quel giorno stesso della
sua morte. Il paradiso non è, dunque il Cielo. (3) Concludiamo ; Lo spirito di Gesù, immediatamente dopo la
morte alla vita terrena entrò in quello stato intermedio tra la vita terrena e la gloria celeste nel quale si
trovano gli spiriti disincarnati (gli uni godendo, gli
alf.ri soffrendo) in attesa della risurrezione e del giudizio che metteranno capo allo stato definitivo.
B- — -Di quale delle due parti dell'Ades andò lo
spirito di Gesù dopo la morte sulla Croce f
R. — Egli, il santo, non poteva che entrare nello
stato dei giusti neli’Ades. E cosi fu: lo conferma l’appuntamento che egli diede al ladrone convertito nel
paradiso. Ma è parimenti certo che Gesù entrò anche
nell’ altra parte dell’ Ades, cioè venne a contatto con
gli spiriti cattivi o che erano stati miscredenti.
D. — A quale scopo ?
R- — Risponde la parola di Dio : « Cristo, essendo
stato messo a morte quanto alla carne, ma vivificato
quanto allo spirito, nel quale (cioè nella condizione di
spirito disincarnato) andò a predicare agli spiriti in
prigione i quali altra volta erano stati increduli... »
(1® Pietr. Ili, 18-20).
D. — A qual fine questa predicazione di Gesù ?
R. — Risponde La Bibbia nostra regola di fede : « Per
questo è stato predicato l’Evangelo anche ai morti, affinchè dopo essere stati giudicati come gli uomini quanto
alla carne, vivano secondo Dio quanto allo spirito »
(1* Pietr. IV, 6). A proposito dell’evangelizzazione iniziata da Cristo nell’Ades, il dott. Enrico Bosio, Decano
della Facoltà teologica Valdese, scrive nella Rivista
Cristiana (ottobre 1908) quanto segue : « Come esempio dell’attività salutare del Cristo, dopo la morte in
croce, nella sua nuova forma di esistenza, Pietro cita
la predicazione del Vangelo fatta da Cristo, anche agli
spiriti dei morti antidiiuviani i quali, quando vivevano
in carne ai tempi di Noè, erano stati ribelli agli avvertimenti diy|ni. Cristo ri recò nel carcere àell’Ades,
dov’erano ritentiti, per annunziare ed offrire loyo la salvazione da, lui compiuta... Potè allora proclamare che
tutto era compiuto, e potè proclamarlo non agl’israeliti
soltanto suoi contemporanei, ma agli spiriti dei defunti
che non àvevano potuto conoscere la grazia di Dio,
spiriti innumerevoli, spiriti delle passate età (nel cap.
IV, 6 dice, in modo generaie, che l’Evaugelo è stato
annunziato ai morti), e tra questi anc'he agli uomini
del diluvio che, per la loro ribellione agli avvertimenti
divini ne parevano meno meritevoli ».
D. — Che importanza ha il fatto della predicazione
del Vangelo ai morti ?
R. — Questo domma biblico, a cui la Chiesa primitiva diede sempre la grande importanza che esso ha
di fatto, lumeggia la funzione cosmica di Gesù come
Salvatore unico e necessario, la realtà —- dice Martensen — della sua opera espiatoria in favore delle generazioni anteriori morte senza conoscerlo, e — aggiungiamo noi — delle generazioni posteriori che son morte
e muoiono ^senza averne mai sentito parlare. Sono esse
perdute per questo? Bestemmia! Sono, allora, salvate
senza aderire "con la fede al Cristo? Ma allora Cristo
sarebbe una via, non la via, la verità, eia vita. Ninno
può essere salvato, senza Cristo ; ninno si perde senza
avere liberamente e consapevolmente respinto il gran
mezzo di salute. Tutti, adunque, debbono essere posti
a contatto con Cristo nelle stesse condizioni, per potersi decidere prò o contro. Se ciò non accade per tutti
in questo terreno capitolo della vita, accadrà nell’Ades.
Così Cristo, resta, in realtà e non soltanto a parole, il
Salvatore unico. Tale è l’importanza della discesa di
Gesù nell’Ades e della predicazione del Vangelo nella
vita intermedia, predicazione da lui iniziata, in rapporto
con la missione cosmica del Figliuolo dell’Uomo. (4)
___________ n. i.
(3) Il Paradiso non è il Cielo, ma è però un trovarsi
con Gesù ; e questa è speranza ineffabile pel cristiano ;
tanto ch’egli, nella sua debolezza modesta, stenta per lo
più a capire che differenza ci possa mai essere tra la felicità del « paradiso » e la felicità del « cielo ». Non
si insista solo sul significato di « paradiso, » che del
resto è soave ; si badi anche al « sarai meco ». cioè « in
mia compagnia ». Essere con Gesù ovecchessia : ecco la
felicità somma per il cristiano. Se questa felicità crescerà ancora, tanto meglio, non è vero ?
{N. d. D.).
(4) Un lettore superficiale potrebbe indursi a ere-
6
6
LA LUCE
dere che l’Autore ammetta il purgatorio paplstico. Si
attribuiscano unicamente a questo nostro timore fondatissimo le note che abbiamo redatte.
No! Altro è ammettere un luogo ove si scontan le
pene di certi peccati e altro è ammettere cbe ohi, senza
propria colpa, non abbia conosciuto il Cristo qui, lo
possa conoscere là. Ciò non toglie nulla alla tragica
serietà della vita presente per la coscienza di chi
abbia avuto agio di conoscere il Cristo mediante l’Evangelo, o mediante la testimonianza cristiana, fin
d’ora su la terra !
{N. d. D.).
5alic( Piangente
Gramignazzo di Sissa {C. T.)
Abbiamo accompagnato al Cimitero la salma del caro
fratello
Lutlgi Allegri
morto improvvisamente la mattina del giorno 6 corr.
Quest’operaio onesto e laborioso che aveva saputo dalla
sua modesta condizione sollevare il capo e farsi per
il primo banditore di idee nuove nel suo pa;ese, che
uon tollerava alcuna restrizione alla libértà del pensiero, che aveva combattuto asperrime lotte in favore
del socialismo, quest’uomo la cui anima era andata
salendo continuamente di idealità in idealità, raggiunse
l’estrema vetta che congiunge l’uomo a Dio !
Oh ! quando lo conobbe veramente, non come glielo
avevano dipinto i preti da fanciullo, ma come lo trovò
nella divina purezza dell’Evangelo, la sua anima fu
ricolma di gioia ; e guardava in faccia alla morte
^ollà sicurezza del buon soldato che ha compiuto il
SUO dovere.
Ad alcuni parve una debolezza quésto suo schierarsi
fra i soldati di Cristo ; parvero inconciliabili le idee
socialiste colle idee cristiane ! No, no ; il vero cristianesimo sarà sempre una fonte di progresso, e 1 anima
umana è come l’aquila a cui nessuno può vietare di
guardare in faccia al sole e di posarsi sulle candide
vette inesplorate.
E sei tu dunque,
• Tu mondo bugiardo.
Che vuoi tarparmi l’ale ?
direbbe Luigi Allegri!
Noi l’abbiamo accompagnato al Cimiter-oitùtti : fratelli nella fede, parenti ed amici. Sventolavano sulla
sua bara le bandiere verdi e rosse e la musica suonava
non marcio funebri, come per chi scende in un baratro
senza speranza, ma degli inni lieti in cui vibra ad ogni
nota una parte della nostra anima e che Luigi Allegri
tanto amava. i¡
Era la prima volta che nel paese si accompagnava
una salma col rito evangelico ; l’aspettativa era grande
e la testimonianza pure fu grande. La semplicità del
nostro rito, e le parole pronunciate dal nostro ministro
G-. Toninelli al cimitero sul testo « Beati i morti che
muoiono nel Signore » strapparono a molti le lagrime.
Oh 1 si riconfortino la figlia Zaira, il genero, la Chiesa
che ramavano. Noi abbiamo perduto tanto con la sua
dipartita ; ma lo ritroveremo lassù dove già egli si
trova...
ai campi eterni, al premio
Che i desideri avanza.
Dovè silenzio e tenebre
La gloria che passò.
](clla Persola e nrilt JsoU
Alta Valle di San Martino
L’annua i-inuione al Colle delle Fontane è riuscita
secondo il parere di tutti, a meraviglia.
Sul pendio settentrionale del contrafforte delle Alpi
che separa la valle della Qermanasca di Frali e Eodo
retto da quella della Germanasca di Massello e Salza
si estende una magnifica foresta di larici, abeti, faggi
e ontani, la ricchezza del piccolo comune di Salza. —
Chi sale dall’altipiano delle Fontane, sul versantè'meridionale del monte, arriva, in venti minuti, sul colle
dello stesso nome d’onde gode d’un bel panorama sulle
alture di tutta la vallata di San Martino. In pochi
minuti di scesa nel bosco, il viaggiatore si trova in
un piccolo avvallamento del terreno, formato ad anfiteatro, con rozzi sedili di sasso ove aspetta un uditorio
dei più vari. — Quivi infatti si radunano, da molti
anni, i rappresentanti delle chiese Valdesi dell Alta
Valle di San Martino ; Perrero-Maniglia, Massello-Salza,
Eodoretto e Frali, ad udire, in quel tempio della natura, '
sotto la vòlta del firmamento ed all’ombra ‘delle coni
fere ergenti le loro cime ardite verso il cielo, gli appelli dei loro ministri e le notizie delle Missioni e
dell’opera di evangelizzazione.
Quest’anno l’adunanza aveva un duplice scopo : udire
appelli e notizie come sopra e dare agli alunni delle
scuole domenicali la loro festa di canto che, per varie
circostanze, non aveva potuto aver luogo prima d’ora.
Un centinaio di bambini con forse due cento altre
persone si assiepavano intorno ai vari oratori venuti
da vicino e da lontano. Cominciò l’adunanza il presidente di turno, sig. pastore Bonnet di Frali, coH’invocazione, la lettura dei primi versetti del Cap. Ili
dell’Apocalisse e con alcune parole d’introduzione. Cedette quindi la parola ai suoi colleghi Bertalot di Massello e Grill di Eodoretto, i quali parlarono, il primo
sulle parole del versetto terzo del suddetto capitolo;
« Eicordati quanto hai ricevuto », l’Evangelo con tutti
i suoi benefizi, «ed udito », gli appelli della grazia ; il
secondo sulle parole che seguono : serbalo, quell’Evangelo e metti in pratica i suoi insegnamenti, come pure
gli appelli del tuo Dio, e ravvediti ; ravvediti dalla
tua indifferenza religiosa, dal tuo orgoglio spirituale e
dalla tua mondanità.
Frese poi la parola il sig. Giosuè Tron pastore a
Napoli e Capo del Distretto dell’ Italia Meridionale.
« La Chiesa Valdese ha due figlie : di una d’esse vi
parlerà fra poco il signor Léger ; dell’ altra desidero
dirvi alcune parole ». Dopo quest’ esordio, il signor
Tron si fece a parlare dell’opera nel campo affidato
alle sue cure ed alla sua sorveglianza, recando alcuni
esempi di risveglio spirituale i quali dànno a sperare
per l’avvènire dei frutti buoni e più abbondanti.
Il sig. G. G. Tron, pastore a Susa, aggiunse pure
alcune parole sull’opera sua nella Valle della Dora.
A questo punto, le nuvole si accavallano sulle nostre
teste, la pioggia, tanto desiderata da questi valligiani,
sembra voler interrompere sul più bello il nostro tratnimento. Grossi goccioloni cadono già sulle foglie, sui
rami e sulle pietre, gli ombrelli si aprono, la gente
si alza e si prevede un fuggi fuggi generale.
Il Vice Moderatore, sig. Léger, attacca arditamente,
ai rami d’un abete una gran carta dell’ Uruguay e
dell’Argentina e comincia, in mezzo alla confusione ed
al ^umor della pioggia, la narrazione del suo recente
viaggio attraverso le due repubbliche dell’ Americameridionale. A poco a poco il pubblico fa ressa intorno
all’oratore, si sente attirato, cattivato ; il tempo, visto
che non la poteva spuntare, smette di fare il broncio,
i raggi del sole riappariscono attraver.so le fronde degli
alberi e il nostro amico può parlare per più di ■ 30
minuti in mezzo all’attenzioue sostenuta dei piccoli e
dei grandi. Al racconto del suo viaggio e delle sue
numerose visite e soste in tutte le chiese e in tutti
i gruppi di Valdesi del Sud America, il sig. Léger fece
seguire alcune osservazioni ch’ei disse « osservazioni
generali », ma che a noi parvero essere molto particolari e specifiche. Fareva infatti udire un profeta antico flagellare i vizi del popolo ; la mondanità, 1 avarizia, l’intemperanza e l’ingratitudine, ment.’e facea
vedere come i nostri fratelli americani andassero innanzi a noi nell’attività, nella pietà, nel desiderio di
istruzione, nello spirito di sacrifizio.
I discorsi dei vari oratori furono intramezzati di
cantici eseguiti, parte da tutta Tassemblea, parte dai
bambini che ci rallegrarono coi loro inni e assistettero
sino alla fine a un culto che durò'" più di due ore e
mezzo. Fresero parte alla festa anche i signori pastori
E. Fascal di Finerolo ed Attilio Arias di Caltanissetta
coll’innalzare a Dio delle preghière di lode, di riconoscenza, di supplicazione e d’intercessione per l’opera
dei suoi servitori nelle Valli, nel gran campo della
Evangelizzazione d’Italia e nelle lontane colonie della
nostra Chiesa Valdese.
Una colletta fu pure fatta a pro dell’opera di Evangelizzazione. Ed infine, i bambini ricevettero, premio
della loro costanza ed attenzione, un panino ed una
tavoletta di cioccolata. Pino Pini
Su questa medesima festa abbiam ricevuto, in ritardo,
una reazione del pastore di Frali sig.' G. Bonnet Lo
ringraziamo cotdialmente, fidando nella sua collaborazione avvenire. P'
IN SALA DI IvBTTURA
Del Metodismo Episcopale di Carlo M. Ferreri, con
prefazione di W. Buri. — Casa Editrice Metodista 1909.
Prezzo L. 1.
Questo volume assai interessante ai propone di far
conoscere in Italia la Chiesa Metodista Episcopale. Il
fine è pienamente raggiunto. I cenni storici, le dottrine, l’organizzazione ecclesiastica sono esposti con
grande chiarezza.
Certamente questo lavoro paziente, accurato del Ferreri, farà apprezzare la Chiesa Metodista Episcopale
come una delle più potenti denominazioni del Protestantesimo, sebbene quasi futta la sua forza ed attività si svolgano in tutta la loro efficacia in una sola
parte del mondo protestante, cioè negli Stati Uniti,
come dimostrano le statistiche.
E. 1«.
Il CpistianesiniD e le Chiese cristiane
E’ un bel volume di oltre 200 pagine, che il chia.mo
prof. Giorgio Bartoli ha pubblicato testé contemporaneamente in Italia e in Inghilterra.
Con un metodo un poco antiquato e scolastico, ma
sempre facile e piano, l’autore vuol dimostrare la falsità di alcune pretese inverosimili della Chiesa papale
di Eoma. Sono undici capitoli che egli consacra al suo
scopo.
Dimostra prima di tutto la natura spirituale ed invisibile della vera Chiesa di Gesù Cristo: lo sviluppo
religioso dì essa : la relazione della Chiesa col Vangelo.
insiste sulla forma democratica che Cristo e gli apostoli hanno data alla società religiosa. L autore fa anche un lungo studio esegetico sul famoso testo di Matt.
XVI. « Tu sei Pietro e su questa pietra ecc. » e poscia
riporta l’opinione in proposito di molti padri e scrittori Acclesiastici d’ogni secolo.
Un capitolo molto riuscito è quello in cui il valente
scrittore descrive l’origine delle pretese assolutiste del
papato, il quale conquistò la supremazia per forza di
combinazioni umane e spontanee e molto più colla politica e coir astuzia e coll'adulterazione di documenti.
Trattando dell’unità dottrinale del cattolicismo romaico, -dimoetaa quanto ^ssa sia effimera, dL forma più
che di sostanza. Le scuole teologiche cattoliche sono
concordi solo nelle formule dommatiche imposte dall’autorità; ma nell’interpretazione di esse non sono
maggiormente unanimi di quanto lo siano le scuole non
ortodosse. .
Il libro termina con uno studio storico molto interessante sui tre Concili di Firenze, di Trento e Vaticano, nei quali a stento anche un occhio amico potrebbe
trovare la necessaria libertà, e l’ecumenicità indispensabili per avere una rappresentanza legale di tutta la
Chiesa. • * n tj
Eingraziamo con cuore sincero l’egregio prof. G. cartoli della sua grande attività per la causa che egli
crede la migliore. La sua nuova opera non può interessare quei molti studiosi di cose religiose, pei quali
simili argomenti sono già superati, ma senza dubbio
sarà di somma utilità per i moltissimi, vecchi e giovani, i quali in Italia e fuori contemplano ancora la
questione religiosa dai soli punti di vista scolastici e
si trovano quindi inviluppati miserevolmente tra le
contraddizioni storiche ed esegetiche, che nuociono alla
libertà della loro ragione e impediscono alle anime loro
il volo verso quella fede religiosa, spirituale, che trascende le quisquiglie delle scuole e gli intrighi della
storia per posarsi vittoriosa sul gran fatto di Cristo
Torino.
Il sig. Alberto Frochet è stato rieletto secondo pastore della nostra Chiesa di lingua francese. Vivissime
congratulazioni al carissimo collega.___==:=
PiiHuaei Signorina capace dirigere pensione foreWwFuiKll stieri a Firenze, che parli italiano, francese,
inglese. Si richiedono ottime referenze.
Dirigersi alla sig.ra Rochat, 16, Via dei Fossi, Firenze.
il Salvatore perenne. Anche queste povere anin il eh. prof. Bartoli, che le ne lo ringraziamo. Non nascondiamo però il dere presto un tanto uomo c de’ suoi doni di mente anc e forse più vivente, da cui l’alta intelligenza, ma forse 1 deU’ambiente vissuto. le richiedono un medico e !onosce, si dedica a loro e nostro vivo desiderio di ve- onsacrare qualche porzione le nel campo più moderno lo rende schivo non certo ultimo anelito dell’influenza A. Mingardi chiese eristiane. — Tipo- Firenae. L. 2,00.
(1) Il Crlatianesimo e le grafìe diretta da 0. Jalla»
Domenico Giocoli, gt '.rente responsabile
Tipografia deU’Istltuto Go ild Via Marghera 2, Roma
Si etrta per scuola p Rivolgersi Direzione della privata maestra italiana atentata. Buone condizioni. Luce.
7
LA LUCE
DI ROMA
Sludio di sforia c di psicoio
jia del Prof. O. Bartoli.
Poi s’intorruppe come soprapreso da un nuovo pensiero.
Dimmi — disse si sa chi sia l’accusatore ?
— Non è un uomo: è una donna.
— Potente?
— Potentissima e molto ascoltata.
— Allora è la principessa Gualdi ! — E diede un ruggito, quasi un urlo dell’anima, che fece balzare in
piedi l’amico.
— Perchè o Signore- Gesù — gridò D. Ottavio —
perchè o Dio, hai comandato di perdonare le offese
che ci fanno, i nostri nemici ? Perchè non posso io
prendere di quella donna una vendetta spaventosa ?
Quietati, povero amico mio — disse il monsignore. Non ti far cattivo sangue a cagione dei
tristi. Usa solo ora un po’ di prudenza. La tempesta
passerà, passerài...
No, non passerà ! L orizzonte è troppo buio. Il
cielo è troppo carico di nubi. La tempesta; anzi mi somergerà. Sento l’odor del naufragio, e per me non ci
sarà nessuna tavola di salvezza.. no, dico male... ve
n è una. Vi è il Cristo. Chi mi dividerà, dunque, dalla
carità di Cristo? Porse la tribolazione ? Porse l’angustia? Porse la’fame? Porse la nudità ? Porse il risico ? Forse la persecuzione ? Forse la spada ? No ! nè
anche la spada mi separerà da Cristo!
Quello stesso giorno D. Ottavio si recò dai Lincoln,
e vi trovò i soliti amici inglesi ed americani, più
la Bice e la signora Maria che l’avevano preceduto
colà.
Fin dal principio della conversazione egli raccontò
ai suoi amici l’accusa ond’era stato fatto segno presso
il Cardinal Vicario : tacque tuttavia quella che riguar
dava la Bice, volendo di essa parlare a tu per tu colla
ragazza, alla prima occasione.
Un coro di riprovazioni seguì il racconto di D. Ottavio e animatissimi furono i commenti che sorsero
da ogni parte.
— Non mi meraviglio — disse il ministro anglicano
di accuse siffatte. Sono una conseguenza inevitabile della legge del celibato che la vostra Chiesa impone tirannescamente sopra i propri! ministri. Ogni
più vile donnicciatola ha in quella legge un’arma possente da ferire il più degno dei sacerdoti.
— La è così, la è così -v osservò l’ameriesincf— seniù
dire che questa legge del celibato, infatti, poi, da
quanto sento dire, si osserva assai poco. Ora, non è
assai meglio prender moglie in pubblico, alla luce del
sole, che trasgredire la legge di Dio in privato ? « Chi
non può contenersi, si ammogli, » ha detto San
Paolo, e ancora : « Val meglio contrar nozze, ohe bruciare ».
— Ha detto anche — osservò D. Ottavio — « Vorrei
che tutti fossero come me » ; ed egli visse e morì celibe.
— E' vero — interpose Miss Florence — il celibato
conferisce al sacerdote una certa dignità e Io lascia
libero a consacrarsi tutto intero alla salute delle
anime.
— Ma, insomma, si osserva nella Chiesa romana
questo celibato ? — domandò il dottore — Che ne dice
lei, D. Ottavio ?
— Mi permetta di non rispondere io a questa domanda — disse D. Ottavio — la mia risposta potrebbe
forse non parere del tutto disinteressata ed obbiettiva...
— No ! no 1 — sciamarono in coro parecchi dei pre
senti.
Egli continuò ;
— È qui uno che ha fatto studi i profondi in coiài
materia, aiutato in ciò dal celebre Padre Mazzoleni
Intendo il signor Ridley. Ci dia egli il risultato dei
suoi studii.
— È vero — rispose il ministro anglicano — come
il dottore sa, io fui un tempo assai inclinato ad entrare nella Chiesa di Roma. A fine di decidermi al
passo decisivo, studiai con grande spassionatezza tutti
i dogmi, i riti e gli usi disciplinari di quella Chiesa.
In ciò fni assistito amorosamente dal defunto Padre
Mazzoleni, il quale fece di tutto per convertirmi alla
Chiesa romana...
— Senza riuscirvi, tuttavia — osservò la signora
Lincoln.
-- Vi fu assai vicino però. Ora, discutemmo insieme
e a lungo, anche la questiono del celibato ecclesiastico, ed ecco in globo i risultati positivi ai quali era
giunto 11 mio mèntore. E si badi, questi apprezzamenti
non risalgono se non a sei o sette anni fa.
— Che diceva, dunque, questo suo amico ? — domandarono gli astanti.
— Alla domanda : € se i sacerdoti della Chiesa ro
mana osservavano il celibato », rispondeva non potersi dare una risposta unica e generale. In certe provinole del mondo cattolico si osserva benino ; in altre
meno, in altre male, in alcune malissimo. E per venire ai particolari, in Italia il celibato ecclésiastico è
osservato abbastanza bene in Piemonte e in Lombardia ; meno nel Genovesato : c’è del gran marcio
anche neH’Emilia, benché non in tutte le diocesi ugualmente. La Toscana lascia molto a desiderare sotto
questo rispetto; Roma era, allora, molto giù. Napoli
nel suo clero inferiore dà materia di grave scandalo.
Le Calabrie stanno malissimo, e la Sicilia non sta meglio ; il Veneto così, così ; la Sardegna poi si avvicina
ai paesi meridionali d’Italia. Tutto questo rispetto al
bel paese.
— E la Francia ? — domandò il dottore.
La Francia, presa in generale,-sta un po’ meglio
dell Italia, o meglio, i suoi sacerdoti sanno occultare
un po meglio i proprii falli. La Spagna, almeno in certe
parti, è più giù dell’Italia. Il Portogallo naviga in
cattivissime acque. In Inghilterra, alcune diocesi sono
assai edificanti, altre meno. Ciò vale anche per ITrlanda. Gli Stati Uniti non sono certo un modello: e
qui osservo per queste tre nazioni, che, se in esse un
prete vuol venir meno al proprio voto, lo può fare,
per varie.ragioni, molto più impunemente che non
nei paesi latini. L’America del Sud è giù assai. L’Austria sta maluccio ; la Dalmazia peggio. In Germania,
su per giù, le cose vanno come in Francia, meno
certe diocesi, le quali si accostano piuttosto all’Italia.
— Vediamo - disse il dottore — potrebbe dirsi che
il quaranta per cento dei preti romani osservano veramente il celibato?
— È impossibile, mi diceva il Padre Mazzoleni, che
pure aveva studiato la cosa a fondo, è impossibile in
tale materia fare dei calcoli più che generali : anche
perchè le trasgressioni dei sacerdoti rimangono più
facilmente occulte che non quelle dei secolari. Egli
confessava molti preti e dava loro di frequente gli esercizii. Li conosceva bene, dunque...
— E che diceva ? — domandò la signorina Florence.
— Che anche i sacerdoti sono uomini, nè più nè
meno degli altri.
— Perchè, dunque — saltò su a dire l’americano —
imporre a tutti i sacerdoti indistintamente un peso
che Nostro Signore non volle loro addossare ? Alla
fin fine, il celibato è una cosa innaturale. Potrà, se
vuoisi, nei più dei casi, non recar grave danno alla
salute del corpo, ma, fisiologicamente, è una cosa innaturale. Provatevi ad impedire ad una pianta di fiorire e di portar frutti, e vedrete! Essa soffrirà fino
a morirne.
— Se il celibato è dannoso alla salute — osservò il
dottore — l’abuso contrario è più dannoso ancora.
— Vero, verissimo — ribattè l’altro. — Ma fra i due
estremi c’è un giusto mezzo: non è vero?
— Ma dove lasciate gli alti fini spirituali pei quali
è obbligatorio il celibato ? — domandò D. Ottavio.
— Oh ! in quanto a questo poi — sciamò l’anglicano — vi debbo proprio contraddire. Certe Chiese
non romane, benché non obliganti i loro ministri al
celibato, sono attivissime, non solo in patria, ma anche
nelle missioni fra i pagani.
— Verissimo ~ fece la signora Lincoln — la Chiesa
anglicana, per esempio...
— E dove lasciate le Chiese Evangeliche degli Stati
Uniti? - soggiunse l’americano. — Anzi, l’attività
missionaria delle Chiese europee od americane scisse
da Roma, in questi ultimi ottant’anni ha deU’incredibile.
— Verissimo ! E da ciò —■ disse il dottore — si può
a buon diritto concludere che la Chiesa Romana
avrebbe dovuto lasciar libero ai suoi preti abbracciare o ricusare lo stato matrimoniale...
— Pare anche a me - soggiunse l'anglicano — tanto
più che, anche quando viene osservata, la castità sacerdotale torna però sempre molto difficile. Per un monaco, segregato dal mondo, il conservarsi casto è più
facile ; ma per un prete ordinario, che va per le case
dei secolari, convive con ogni sorta di persone... e poi
c’è il confessionale...
—- Già — osservò la signora Lincoln — le nostre
amiche cattoliche ci dicono che le donne si attaccano
con grande facilità ai loro confessori, e la cosa è na-'
turale.
— Mi permetta un’ossèrvàzione — disse D. Ottavio.
— Il pericolo maggiore pel sacerdote cattolico, non
sta nell’ademptmento dei suoi doveri, ma nella vita
oziosa, la quale, a volte, egli è costretto a menare.
Spesso, da noi, un sacerdote novello è confinato in
una solitaria parrocchià di campagna o di montagna'
solo, senza amici, senza una persona colla quale possa
scambiare una parola civile. Ha da mangiare a sufficienza ; da bere oltre il bisogno ; da fare, poco assai,
perchè le parrocchie sono piccole, e, tranne un po’ di
lavoro la domenica, i giorni feriali, può stare in ozio
dalla mattina alla sera. Allora, spesso, egli passa il
tempo a cicalare colle donne del vicinato o a giuocare alle bocce coi contadini. Il parlar domestico genera la famigliarità, la famigliarità passa facilmente
in amore, e l’amore acceca il prete e la donna ; senza
dire che le donne si sentono in modo particolare attirate verso i preti. Per tutto ciò, i preti che cadono,
meritano la più grande compassione,
— E perchè dunque li obbligate al celibato ? —
notò con forza il ministro anglicano — Gesù non
volle imporre questo obbligo ai suoi ministri. Chi lo
ha imposto?
— La Chiesa — rispose D. Ottavio.
La Chiesa? Quale? La Chiesa greca no, perchè
ella permette il matrimonio a suoi ministri ; la Chiesa
mia no ; le Chiese evangeliche no ; ma, nè anche la
Chiesa greca, nnita a Roma, nè altre Chiese orientali.
Chi dunque —domandò— ha imposto questo grave
peso ai ministri di Cristo?
— San Callisto Papa — osservò D, Ottavio — protestò fortemente contro la tendenza rigorosa di alcuni
che volevano imporre il celibato ai ministri inferiori ;
e più tardi, nel Concilio di Nicea il confessore e vescovo S. Pafnuzio rinnovò la stessa protesta, non solo
pei ministri inferiori, ma per gli stessi preti. Più
tardi ancora, il dotto vescovo Sinesio accettò di esser
consacrato vescovo, a patto però che gli venisse concesso di continuare a vivere in compagnia della consorte, il che gli fu permesso dai vescovi della sua Provincia.
Tutto questo mostra — entrò a dire l’americano
— che non la Chiesa universale di Cristo impose ai
sacerdoti la legge del celibato, ma una setta di asceti
rigorosi, di monaci forse, che a poco a poco prevalsero nella Chiesa latina. Non so, se spiego abbastanza
bene il mio pensiero.
— Dunque, ragiono bene io che la Chiesa i romana
dovrebbe; lasciar Uberi i suoi preti di sposarsi o no ? —
conchiuse Miss Fiorance.
— Quando ascolto le confessioni dei preti — disse
D. Ottavio penso io pure la stessa cosa. Ma guai a
manifestarla in pubblico ! In pubblico siamo costretti
a dire che i nostri preti, tutti o quasi tutti, osservano perfettamente il celibato, e che questo è necessario al sacerdozio cattolico ; altrimenti siamo trattati
da eretici e peggio. Ma già; l’intera società, e quindi
anche l’ecclesiastica, vive di formalismo, di sottintesi,
d’inverniciatura, d’ipocrisia: e forse, lavila colla verità e nella verità è impossibile.
— Gesù Cristo visse nella verità e per la verità__
sentenziò il ministro anglicano.
— Sì, ma fu confitto in croce — ribettè D. Ottavio.
— Non dal popolino — notò l’americano — ma dai
sacerdoti, dai Pontefici, dai Papi di quel tempo.
— Cosa strana ! quasi incredibile 1 — sciamò Miss
Florence.
— Si può spiegare — signorina — osservò D. Ottavio. — Non è vero che l’uomo sia sempre inclinato
alla rilassatezza: vi èin lui anche l’inclinazione opposta,
la tendenza al rigorisnio ; anzi tutte le religioni barbare di un tempo, 6 le non cristiane dei nostri giorni
hanno avuto ed hanno ancora digiuni esagerati, penitenze severissime, spesso brutali, hanno professato
una castità impossibile, ed altre cose di questo genere. I sacerdoti della dea Cibele ne sono un esempio,
6 non è l’unico. Gesù, quindi, pei giudei era un riformatore che rilassava, non restringeva la religione
patria ; era un corruttore della legge musaica, e perciò
l’uccisero. Egli si oppose al formalismo farisaico, alla
burocrazia sacerdotale, predicò>una religione personale, stimolò i figli di Abramo a badare più all’osservanza dei divini comandamenti, che non alle pratiche rituali ; dichiarò che ogni anima, senza intermedio di persona creata, poteva mettersi in diretta
comunicazione con Dio; proclamò una religione novella, religione di spirito e di verità, e per conseguenza fu ucciso. La sua religione troppo contrastava
colla religione dei farisei, che era religione di formolo, di ritualismo, di osservanze e di precetti umani,
che essi imponevano ai fedeli, quasi fossero divini...
(22)
(Continua).
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