1
LA BUOM NOVELLA
GIORNALE RELIGIOSO
puexxo »’akkociaxeo.ve;
{/I domicilio
Torino, per un anno L. 0,00 [ L.7,00
— per sei mesi » 4,00 | » ì,!jO
Per le provincie e l’estero franco sino
ai conlìni, un anno . . L. 7,20
per sei mesi, ji S;20
A).r,9£'jovTEC iè e'v ày&nn
Seguendo la verità della carità
Epes. IV. <5.
L’Ufficio della BUONA NOVELLA è in
Torino, presso la libreria Evangelica
di GL\COMO BIAVA, viaCarlo Allierto,
dirimpetto al Caffè Dilei.
Le associazioni si ricevono in Torino allo
stesso Uflìcio.
Gli Associali delle Provincie potranno provvedersi di un vaglia postale,
inviandolo franco alla libreria Biava.
Quali eETettl produrrebbe in Italia la difTusione delle dottrine evangeliche : SpÌYÌt9
della dotlrÌn(l romana. — La Chiesa e Io Stato, — Risposta del si«. Reta padre al
suo figlio Costantino,«—Ancora della Società evangelica di Torino, — Corri•pondenza. — Notixìe religiose — Cronachetta politica.
* QUALI EFFETTI PRODCRREBBE IN ITALIA
TA
DIFFUSIONE DELLE DOTTRINE EVANGELICHE
LETTERA IIL
Spirito della dottrina romana
La dottrina della Chiesa romana
da qualunque parte si prenda ad esaminarla non è che un’ abile combinazione , cou cui assicurare il dominio assoluto della gerarchia sulle
moltitudini dei fedeli.
Nella precedenle leltera abbiamo
dimostrato che fondamento della ere
denza evangelica è la salvazione per
la fede] di rincontro., invece il fondamento massimo de’.la dottrina romana
è la salvazione per le opere.
Si voglia in breve esaminare le
conseguenze i’jevitabili cui deve condurre questo principio.
La salvitzione , secondo Roma, è
2
una mercede, è ii compenso del travaglio durato, è il premio delle buone
azioni. Ma dov’è il valore delle azioni
umane? forse che il cattolico-romano
può farsi illusione intorno ai merili
delle opere proprie? forse che egli
ignora le battaglie che deve sostenere
per procedere a quella perfezione che
gli è posta davanli come meta suprema? Non mai; nè il prete caltolico lo tiene in inganno sulla di lui
debolezza , nè gl’ inspira confidenza
nelle proprie forze.
Quale ne può essere il fine? come.
può conciliarsi questa necessità di
salvarsi mediante le opere colla sconfidenza e collo scoraggiamento che
il prete tende ad infondere neiranimo
del credente? Che resterà a quest’ultimo in una posizione così piena di
perigli e di timori?
Se il cattolico romano si pone davanti a Dio, e mira all’opera propria
ripiena di corruzione e di peccato,
e se pensa die a quesla sola sarà dovuto il premio eh’ egli brama e la
pena che teme, il di lui animo non
potrà a meno di esser preso da grande
spavento e da indicibile trepidazione,
convinto come egli deve essere, che
altro giudicio non può attenderlo fuorché di condanna.
EgU è su questo stato interno di
desolazione e di turbamento che si
appoggia la potestà del prete romano.
Se il fedele pecca, se egli pecca necessariamente, poiché non vi è alcun
uomo giusto davanti a Dio, non pur
uno; e se d’altronde la salvezza deve
essere il premio delle buone opere,
conveniva Irovare dei mezzi sussidiarii i quali ponessero un riparo ai
danni eterni ed inevitabili die dovevano provenire dalle azioni malvage
deH'uomo. E Roma alla verità della
salvazione per la fede , che è Tunica
tavola di salute che ci rimanga nel
naufragio, sostituì la teoria del perdono e della grazia per supplire ai
meriti che l'uomo non possiede. Ma
questo perdono e quesla grazia ella
dichiarò che il fedele non poteva ottenerla da sè, avvegnaché Cristo non
a\rebbe potuto gradire la preghiera
d’un suo nemico; quasiché egli non
fosse morto e non avess4dato il suo
sangue per l’espiazione di tutli i peccati e per la salvezza di tutti i peccatori. Ma Roma così non l’in tende, e
tra il fedele e Gesù pose di mezzo il
prete, il quale per l’aulorilà di cui è
rivestito, potesse ottenere quel perdono e quell’assoluzione dalla colpa
che Cristo ha di già compita colla
sua morte.
Tulto quindi lo studio del romanesimo fu rivolto ad accumulare una
infinità di alli suppletorii con cui assicurare al credente il conseguimento
de’fini eterni che egli non può rag-
3
giungere colle sole umane sue forze.
Di là venne la istituzione di numerosi sacramenti ai quali tutti è attribuita una virtù speciale sull'anima,
ed una efficacia valevole a raffermare
nel bene coloro che tornarono ad un
opportuno pentimento de’ proprii peccati. Ma dispensatore di questi sacramenti fu abilmente costituito il prete;
nè sarebbe senza grave profanazione
che il laico oserebbe portarvi la mano
sconsacrata. Di là ancora le indulgenze in cui il premio eterno è posto
a mercato della bigotteria, di pratiche materiali e del danaro versato
nelle mani del sacerdote a titolo di
elemosina.
Corollario inflne di questa credenza
è il sacrifizio della messa, ch’è nientemeno che la rinnovazione quotidiana dell' imico sacriQcio vero di
Cristo. E come infinito è 11 merito
della primitiva salvazione, cosi con
pochi danari, ogni fedele è in grado
di lucrarsi un merito infinito, od
espiazione delle proprie colpe.
Egli si pare evidentissimo che come
primo effetto della dottrina della salvazione per le opere è quello di gettare l’animo del credente in una eccessiva costernazione; essa finisce col
raezio delle pratiche surrogatorie di
ispirargli una così illimitata confidenza da riuscire del più grave nocumento alla santità e purezza del sen
timento religioso, ed alla integrità
delia morale.
E perchè dovrei io temere di commettere un’opera malvagia ? perchè
dovrei io essere onesto con mio sacrificio? EgU è tanto facile il riparare anche ad una grave serie di
colpe? Forse che l’assoluzione ottenuta dal confessionale, una messa
fatta dire a tempo, non sono mezzi
bastanti a cancellare i miei misfatti,
e ad assumermi il perdono 1 Se tale
non è il ragionamento di un cattolico
romano, egli vi è perù insensibilmente
condotto dalla forza stessa dei fatli e
dall’indole deUe premesse.
Una volta che il romanesimo ebbe
postoli piede sullo sdrucciolo, le conseguenze si moltiplicarono prodigiosamente. Oltre il mediatore terreno,
che è il prete, altri mediatori si trovarono in tutti quelli che partecipano
della vita eterna di salute. Se oltre
i merili di Crislo erano infatti necessarii i meriti delle opere umane ; se
oltre l’unico sacrificio di Gesxì vi era
qualche cosa che potesse a quello aggiungere deirenicaeia,perchè una tale
efficacia non si sarebbe trovata nelle
supplicazioni di coloro che sono messi
a parte della sua gloria? I santi del
cielo furono quindi creduti ed assunti
come validi intercessori presso Dio
onde ottenere il perdono de’ commessi faUi. Non è a dire quanto una
4
tale credenza debba riuscire funesta,
come quella che facilmente ingenera
Eell’animo dei meno istruiti la tendenza a prestare alla creatura quell’omaggio che soltanto al Creatore è
dovulo. A convincersi di tale verità non occorre che superficialmente
osservare lo spirilo religioso de’ cattolici romani, ¡ quali alla adorazione
di Dio fanno andare avanli tante pratiche e venerazioni speciali ad infiniti
protettori celesti o ad oggetti di cullo,
che al primo trovasi appena riserbato
l’ultimo luogo.
Dal culto che si presta ai santi a
quello prestato a quelle che essi appellano sacre immagini non vi era
che un passo. E forse che il tributo
di riverenza prestato a queste non
dovea riuscire gradilo al primo, non
care a lui le ricche offerte, i sontuosi altari, i superbi ornamenti? Cosi
si rinnovò l’idolatria pagana; all’ 0limpo antico se ne sostituì uno novello.
Ma vi è di più ; dacché il cullo
delle immagini veniva riconosciuto
siccome consentaneo alla fede, non
si dovea rifuggire dal riprodurre sotto
immagine artificiale lo stesso Iddio
ed il suo figliuolo Gesù Cristo. Il
comando espresso di Dio fu per tal
guisa dalla Chiesa romana apertamente violato, e ne’ suoi templi si
può osservare in tele ed in marmo
ritratta o sculla l’immagine dell’Ente
Infinito, di quello che è Spirito, e che
vuol essere adorato solamente in
rito e verità.
Un altro punlo di divergenza fra
le dottrine delle Chiese evangeliche e
del romanesimo si Irova in questo
insegnamento della Chiesa romana,
la quale sostiene : che tulle le credenze e gli usi che costituiscono il
dogma cristiano, e che sono necessarii alla salule, non trovansi nella
Bibbia ; ma che un gran numero
ancora se ne trova nella tradizione.
La .tradizione è la fonie in cui
Roma attinge la giustificazione dei
suoi soprusi e di quelle usurpazioni
per cui sì dichiara la sola in possesso
della verità e la continuatrice legittima dell’opera degli Apostoli. Così
percorrendo in breve le credenze particolari della Chiesa romana si riesce
a quella che per essa è. somma, la
sola anzi importanle e capitale da
cui lutte le allre dipendono, ossia
l’autorità infallibile di essa Chiesa.
La Cbiesa romana non è la compagnia de’ fedeli che s’accordano nel
seguire la parola di Dio; ma k: la
società dei fedeli, i quali sotto la
guida dei legittimi j)astori, dei vescovi e del sommo romano pontefice,
professano la stessa fede e partecipano agli stessi sacramenti.
Da questa definizione appare già
5
la differeüza che è posta fra la gerarchia ed i laici. Infatti questi come
autorità non entrano nella Chiesa;
essa risitìde nella sola gerarchia, la
quale, sotto la presidenza e direzione
del ponteOce, ha sola il diritto di
far leggi e regolamenti, di scomunicare e anatemizzare, di imporre alle
coscienze ciò che hanno a credere ed
a seguire, e ciò che devono respingere siccome erroneo ed ahbominabile.
Dicevo or ora che la questione
vitale della Chiesa romana risiede
nell’autorità del papa e del clero ,
nella infallibilità che a lale autorilà
si attribuisce, e nella esclusione dei
laici dal partecipare direttamente o
indirettamente a questa autorità suprema. Infatti se essa sola può interpretare le sante Scritture, prescrivere
gli articoli di fede, conservare la
tradizione, fissare la credenza dogmatica, come potrà il fedele indagare
e discutere, e porre in chiaro davanti
alla propria coscienza quegli errori
essenziali che abbiamo riassunti e
che mettono lo spirito del romanesimo in perfetta opposizione collo
spirito del Vangelo? il solo dubbio
non basterebbe per metterlo fuori
della Chiesa, e farlo dichiarare miscredente ed eretico?
Ma il porre in rilievo gli errori
della Chiesa di Roma è opera poco
meno che vana, poiché noti essi sono
a coloro che da essa dissentono, nè
l’enumerarli varrebbe a persuadere ai
suoi seguaci che la verilà non si trova nella dottrina da essi professata.
L'opera di Roma, appunto perchè si
discosta dalla pura ed integra dottrina, è opera essenzialmente umana,
e come tale fortunatamente affidato
e nè alla storia il di lei principio,
l’incremento e ia stessa decadenza.
Nella lettera seguente mi proverò a
delineare a rapidissimi tratti il processo storico della Chiesa di Roma,
dal quale risulterà chiaramente come
l'opera deH’uomo abbia fatto prova
con audace tentativo di porsi nel luogo
dell’ opera indestruttibile ed eterna
di Dio.
LA CHIESA E LO ST.\TO
opera
deiravv. Carlo Boccio,
1.
Le oneste libertà di cui fu dotato saggiamente ii nostro paese mettono il loro
fruito; le qiiestioDl di diritto da qualunque parte incomincino guidano poco a
poco le menli a que’ principii lontani,
primissimi e necessarii a cui devono metter capo siccome a loro scaturigine nalurale. Egli è in virtù di questa forza intima la quale governa la ragione, che lo
studio del problema politico condusse gli
spirili a prendere in severa disamina anche ii problema religioso, per quella attinenza che esiste fra i varii sentimenti del
cuore umano.
6
Una grave testimonianza di questo movimento interiore che si è operato, per
così dire, sotto ai nostri occhi, l’abbiamo
neH'opera or ora pubblicata dall’avvocato
Boggio intorno alla Chiesa e lo Stato in
Piemonle, sposinione storico-critica dei
rapporti fra la S. Sede e la Corto di Sardegna dal 1000 al 1834 (I).
La natura del problema che egli si proponeva risolvere richiedeva che esponesse
alcuni principii a cui chiamare in appoggio la sloria, pigliando le mosse dagli iuconiinciamenti lontani del dominio di Casa
Savoia fino ai nostri giorni, aSìnchè la
soluzione riuscisse adequata e completa.
L’opera si comjione quindi di due parti
distinte: 1“ la teoretica esposta in una
lettera diretta al signor conte Cavour, in
cui dimostra la convenienza e la necessità di adottare il principio della assoluta
separazione della Chiesa dallo Stato onde
por fine a quelle coulroversie che durano
da secoli fra i due poteri : la 2“ parte
comprende la sposizione storica di quesle
medesime controversie, e l’inutilità dei
modi diversi di composizione invano ritentati in diversi tempi e da diversi uomini; dal che egli trae una riprova della
bonlà ed efficacia del principio da lui posto avanti, siccome l’unico valevole a decidere la gran lite.
<1 Chiesa e Stato, egli dice, sono i due
« termini della queslione. Creatura, l’uo« mo sente il suo Creatore... donde la refe ligione, e per la religione, la Chiesa:
« ente socievole egli cerca i suoi simili,
«siringe vincoli duraturi, perpetui.....
« d’onde lo Stato ». (Pag. IX e X. Leti.
al conte Cavour).
(<) 11 ToI. 'e pubblicato.
Questa doppia proprietà iniziale dell’uomo, qualora egli sia in godimento di
quella ragionevole libertà a cui ha per
natura inalienabile diritto, lo deve portare
a voler la separazione di quel doppio ordine di attribuzioni che emanano da quelle
sue proprietà uaturali.
Perciò « conseguenza inevitabile della
tolleranza sancita dallo Stalulo e allargala
tostamente dall’opinione di tutla la parte
illuminata della nazione, si è la separazione assoluta della Chiesa dallo Stato ».
« La tolleranza religiosa è solo una
verilà quando si attui la separazione assoluta fra le due potestà ».
I timori dei danni che possono provenirne alla religione da una tale separazione nascono dall’essere gli spiriti « avvezzi da secoli a vedere lo Stato intromettersi nella amministrazione della
Chiesa u ecc. Ma egli « sarebbe un far
grave ingiuria alla religione il supporre
che ella non possa bastare a se medesima ».
La religione « che è il rapporto, il legame fra l’uomo e Dio, rapporto aflatto
individuale, non dee cercar altronde che
in se medesima gli elementi della sua autorità 11.
La religione « si basa sulla moralità
personale, quindi un tale rapporto è affatto spirituale, perehè concerne solo l’anima e la vita futura. Lo Stalo invece
ha un’esistenza collettiva, il suo carattere
è temporale; non ha coscienza, non ha
moralità personale; dunque il concetto di
religione è ioapplicabile allo Stato ».
Nè mancano gli esempi dei felici risultati di questa separazione. « Nel Belgio
ove la separazione venne attuata, la religione non vi ha perduto alcun che della
7
sua forza e della sua sua efficacia. Ed
havvi paese nel quale il sentimento religioso sia più vivo, più intenso o più operoso che non agli Stati Unili d’America
ove la separazione è da 71) anni un fallo
compiuto ? a
Se vani sono i timori di coloro chc sano la religione ahhia a soffrir detrimento dalla invocala separazione, egualmente vani egli proclama i timori di quelli
cbe da essa prevedono possano derivarne
incagli e pericoh' alla libertà politica ed al
progresso civile. E infatti <i che valgono,
egli dice, le liherlà gallic^ane tanfo strombazzate, il Regio Exequatur, l'appello per
abuso e simili altre precauzioni e preservativi ? » i< L’esser essi, soggiunge, stali
iulrndolti dall’assolulismo li dimostra inconciliabili colla libertà u.
Il Ma d’onde nascono questi timori del
clero?» E qui l’autore prende a voler
dimostrare che libertà e progresso sono
conciliabili col cattolicesimo, e si fa forte
dcll’autorilà di Monlalembert, di Tocqueville, del ministro americano Baird.
Infine dopo aver combaltufi coloro che
avversano per paure religiose o politiche
la separazione della Chiesa dallo Stato,
egli prende ad oppugnare quelli che tale
separazione la ammeltono siccome buona
in teoria, ma impossibile ad attuarsi in
pratica pei precedenti storici e per le materie miste.
Quali sono i precedenti storici? La
lunga serie dei Concordati. Ma che provano essi? una sola cosa, ché non si venne
cioè mai a capo di definir nulla, che la
contesa sopita un momento per lali palliativi, rinacque sempre più complicata
ed acerba. Se una conseguenza logica discende dai Concordati, si è la necessità
di porli da parte sici;ome ineflìcaci e dannosi alla liberlà giuridica dello Stalo, e
della stessa Chiesa. A che infatti riusci
la vanità di simili tentativi? Alle rappresaglie degli incameramenti delle proprietà
ecclesiastiche, ed all’idea di salariare il
clero; due provvedimenti dannosi sotlo
il duplice rispetto dell’econumia e della
morale.
'' Ilinunzi dunque lo Stato alle prerogative che tuttavia ha in materia spirituale ; applichi alla Chiesa il diritto comune alle persone morali; riconosca la
libertà d’insegnamento, di predicazione,
di disciplina, di azione, sempre, ben inteso, entro la sfera spirituale..... ed informi il suo progetto francamente, logicamente al principio dell’assoluta separazione 11.
E a questo voto dello scrittore noi
ci associamo di tutto cuore e ne invochiamo la più pronta e la più larga attuazione. l moli^i ci riserbiamo ad esporli in
un secondo arlicolo insieme a qualche appunto che stimeremo o|>portuno di fare
intorno ai concetti contenuti in quest'opera e di cui abbiamo dalo un cenno forse
troppo rapido per la di lei importanza.
RISPOSTA
del sig.
MU PADRE AL SUO FIGLIO
COSTAiMLXO
Preg.""’ sig.' Gerente,
Perchè dov’è la proposta sia la risposta, invocantio la legge, e prima
ancora la sua gentilezza, le mando la
8
seguente lettera, che desidero pubblicata sulla Buona Novella.
Sono con pienissima stima
Suo Devot.'“" Servo
Gio. Luca Reta.
Al mio carissimo figlio
Costantino Reta.
Tu mi provochi ad una discussione, e
vuoi che entri con te in polemica in punlo
di religione. M’indirizzi una lettera nel
N. 50 della Buona Novella, e m’invili ad
una categorica risposta, che mi prometti
di tenere « come un nuovo e caro pegno
di quella paterna .sollecitudine » che hai
letto nel mio articolo stampato sull’/lrmonia. Qui io sono infra due; da una parte
un padre si piega a mala pena ad abbandonare un figlio che si dimostra così ben
disposto e lo invita in uome della sua
sollecitudine paterna: dall’altra io non ho
nè missione, nè ingegno, nè studio tale
da intavolare una pubblica disputa con
te. Tuttavia dirò quanto io credo, e quello
che dirò intendo sottometterlo alla santa
romana Chiesa, pronto a disdire e a rigettare quello che quesla disdice e rigetta. Passo senza piìi all’analisi della tua
leltera. Tu conosci l’indole mia alquanto
risoluta 6 franca, nè ti stupirai se la mia
lettera porta l’impronta del mio carattere,
lo ho lasciato la prima parie ul cuore;
ora mi vuoi con teco a ragionamento; ebbene ragioniamo a Gl di logica, e bando
alle digressioni ed alle scappatoie.
La tua lettera adunque tocca molti
punti. Parla deH’etimologia di apostata,
poi della necessità delle opere, poi della
basedel cristianesimo, poi deH’invocazione
della Vergine e dei Santi, poi dei papi
cattivi, e via discorrendo. Bea vedi, mio
caro, che se io ti volessi rispondere per singola, dovrei scrivere un volume. Convien
dunque esaminare le cose una alla volta,
e da un punto passare ad un altro. Io
prendo la prima quistione che trovo nella
tua letlera, ed a questa t’invito a restringere per ora la disputa. La quistione è
da te enunciata cosi: Nel domma cristiano l’unica condizione della salute è la
fede, lo, colla s. Chiesa caltolica, credo
che, oltre la fede, ci vogliono le opere.
Chi è pili ragionevole nel suo ossequio
tra me e te? Ecco l’argomento nostro. Io
non ne sfuggirò, e li prego di non ¡sfuggirne a lua volla.
Prima di traltarlo permettimi due parole sullefoDli.
Tu mi dici: « Prevedendo ch’ella possa
avere qualche scrupolo nell’ aprire una
Bibbia non licenziata da Roma ci serviremo della volgala di Gerolamo «; e sla
bene. La nostra via sarà piii spedila, e
non dovremo enirare in queslioni che richiederebbero cognizioni ch’io non ho.
Poi tu mi domandi: Dov’era il cattolicismo romano prima del quinto secolo ?
Dunque lu ammetti che santi Padri e
pontefici anteriori al quinto secolo credevano il puro Evangelio. Quindi io colla
loro autorilà potrò provare anche le cose
che neghi. E così mi trovo libeiato dal
carico di dovere stabilire che i dogmi
cristiani si ricavano non solo dalla Bibbia,
ma anche dalla tradizione. Tu me lo
concedi giacché non neghi la verilà di
quanlo si credeva anteriormente al quinto
secolo.
Cosi sono stabilite due fonli dalle quali
ricaveremo I noslri argomenti. La Volgata
di Gerolamo e le tradizioni dei secoli crisliani anteriori al quinto secolo. Ricordat'
9
bene e spesso dì queste due cose, e bada
di non mancarmi di parola e di non uscire
dal tema.
Ciò premesso ripeto la questione: Nel
damma cristiano l’unica condizione della
salute è la fede. Questa è la tua tesi. La
mia è : Nel domma cristiano non basta la
pura fede perché gli uomini sieno salvi;
ma sono necessarie inollre le opere. Spiego
prima la tua lesi, e poi spiegherò la mia.
La tua vuol significare, che per salvarsi
basta credere puramente. Si può calunniare e salvarsi, si può rubare e salvarsi,
si può uccidere e salvarsi, peichè l’omicidio, la calunnia, il furio possono stare
colla fede. Video meliora proboque, deteriora sequor come disse il poeta. Non è
questo che vuoi dire?
lo colla santa Chiesa caltolica credo
l’opposto. Credo che per salvar.'ii sia necessaria una fede operativa, una fede che
creda in Dio, e ne osserva i Comandamenti, perchè la fede senza le opere è
morta.
Del principio catlolico, e del principio
evangelico fu falla pochi giorni sono una
applicazione in Nizza. Un adultero ammalò a morte, e chiamò il sacerdote cattolico. Il sacerdote non si contentò della
sua fede, raa volle che con questa unisse
le opere, e impose all’adultero di licenziare la druda. L’adultero lo negò, e
chiamò il ministro protestante. Questi
mandò di botto in paradiso l’adultero,
perchè l'unica condizione della salute é la
fede.
Non ti nego, che il principio ¡)rotestante
dell’uuica condizione sia molto commodo.
Io posso fare d’ogni erba fuscio ; purché
creda mi salverò. Ma queslo principio è
morale, è sociale ? Che cosa importa fare
elemosina? L’unica condizione della salute
è la fede. Che cosa serve frenare le proprie passioni? Tanlo si salva lo scapestrato, quanto l’uomo di buoni costumi,
perchè \'unica condizione della saluteé la
fede. A che l’esercizio della virtù, se così
può salvarsi l’uomovirtuo.so, come l'uomo
rollo ad ogni sorla di vizio purché credano?
A le, una volla legislatore, domando:
Per la società, pel buon governo credi
più ulile, più fecondo di buone e grandi
azioni il principio protestante, o il principio caltolico?
Ma non è colla ragione che noi dobbiamo discutere questo tema, sibbene
coll'autorilà delle sacre scritture. Ci serviremo della volgala di Gerolamo, tu mi
hai detto. Or bene consultiamola. Se vuoi
entrare alla vita osserva i Comandameuti,
dice Crislo (IJ. Dalle opere si giustifica
l’uomo e non sollanto dalla fede, dice san
Giacomo (2). E ne dà la ragione; perchè
la fede senza le opere è morta (3). Imperocché non gli ascoltatori della legge sono
giustificati appresso Iddio, ma gli osservatori della legge saranno giustificati,
dice san Paolo (i).
(1) Si vis ad vilam ingredi .«crva mandata.
{Matt. XIX, 17).
(2) Ex opcriBiis justificatur homo et non
ex fide tantum. (E;j, II, 2 i). Sebbene io non
ignori die la lenirà di S. (ìiaconio è rigettata <ia’ prolestanti per l’autorilii di Luterò,
die la cliiama leiiera straminea; tuttavia facendo tu appello alla Volgata tradotta da san
Gerolamo ove detla lettera .si trova, credo
poter trarre da essa argomento per la nostra
controversia.
iò) Fides sine operibus moitua est. {Ibid.
V. 2tì).
(4) Non enim auditores legis jusli sunt apud
Deum, sed factores legis justilicabuntur. {Ad
Rnm. XIV, 15).
10
Ora la legge non si può osservare cbe
colle opere. E di nuovo aggiunge l’Apostolo: Se avessi ogni fede, così da trasportare le montagne, e mancassi di carità sarei nulla (i). Dunque la fede non è
l’unica condizione della salute, giacché
ci vuole eziandio la carità, ossia, come
spiega lo stesso Aposlolo, quella fede che
opera per la carità (2). DilTatli san Paolo
spiega quale carità ricerchi con dire la
carità é paziente e benefica : la carità non
é astiosa, non è insolente, non si gonfia,
non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non si muore ad ira, non pensa
male ecc. i a Cor. Cap. XIII. v. 4 e seguenti.
Perchè Cristo si è fatto uomo? Unicamente perchè credessimo? No, ma ancora perchè operassimo. Apparve, scrive
san Paolo a Tito, la grazia di Dio Salvatore nostro a tulti gli uomini ammaestrandoci, affinchè abnegando l’empielà e
¡secolari desiderii sobriamente, e giustamente e piamente viviamo in questo secolo (3). Se la fede è l’unica condizion'e
della salute, che cosa importa ritenere od
abnegare i secolari desiderii ? Che serve
vivere sobriamente o passare la vita in
bagordi? Cbe cosa monta per la salute
la giustizia e la pielà? Perchè Gesù Crislo
(l ) Si habuero omnem fi*m ita ut montes
Iransteram, cliarilatcm autem non haiiuero
niliil sum. (1» Corint. cap. XIII, v. 2).
(2) Fides qu» per charitatem opcratur.
{Galot. cap. V, v. C).
(3) Apparuit enim Rratia Dei Salvatorls nostri omnibus hominibus erudiens uos ut at>negantes inipietalem et ssecuiaria ilesideria
sobrie el Justu et pie vivamus in lioc saiculo. (cap. II, V. H. i2).
è morto? È morlo forse per fondare una
scuola di teologia più sapiente di quella
di Platone e di Socrate? S. Paolo ci risponde ancora di no, insegnandoci che
Cristo è morlo per redimerci da ogui iniquità e purificarsi uo popolo accettevole
e zelatore delle buone opere (1).
Gesù Crislo ba detto: « lo vi bo dalo
l’esempio affinchè come bo fatto io, cosi
facciale voi u (2). Se l’unica condizione
della salute è la fede, Gesù Cristo doveva
dire; io vi ho insegnato quello che vo!
dovete credere, affinchè lo crediate, (
basla Invece vuole ohe facciamo. Eccc
la necessità delle opere. Quindi Crislo di'
ceva ancora: «Non chiunque mi dice
Signore, Signore, enlrerà nel regno de
cieli ; ma chi fa la volontà del Padre mi(
egli enlrerà nel regno de’ cieli « (3). Cesi
Crislo minaccia di rigettare coloro eh
avranno operaio l'iniquità (4). Dunqui
l'unica condizione delta salute non è li
fede. Chi crede e non opera, osserva i
divino maestro, è simile allo stolto eh'
edifica la sua casa sopra l’arena. Viene li
pioggia, straripano i fiumi, infuriano
(1) Qui cledit scmelipsum pro nobis ut no
redimerei ab omni iniquitate et mundaret
populum acceptabilem sectatorcm boB<
operura. (Ad Titum, cap. II, v. 14).
(2) Exemplum enim dedi vobis , ut qi;
madmodum ego feci vobìs, ita et vos faci
tis. {Joaii. cap. XIII, 15).
(3) Non omnis qui dicit milii, Domine,
mine, intcabit in regnum Caelo'rum : sed
facit voUinlatem Patris mei, qui in CitIìs
ipse inlrabit in regnum tolorum. {Mail. Vi
V. 21.
(4) Discedite a me qui opcramiiii iniquil
lem. (v. 23).
11
venti, e la casa va in rovina (1). Invece
l’uomo sapiente è colui che ascolta la parola di Cristo e fa, ossia ohe congiungc
la fede colle opere. La sua casa è fondala
sopra la pietra ferma {“2). L’albero che
non fa frutto buono è tagliato e gettato
nel fuoco (3j. L’uomo buono è colui che
opera santamente senza contenlarsi di
credere soltanto, come l’albero buono non
è quello che fa bella mostra di sè, ma che
produce buoni frutti (i). Quindi in tutto
il Vangelo ci sono predicate le opere.
Quando fai elemosina non sappia la tua
sinistra quello che fa la destra (3). Quando
digiunate non vogliate praticare come i
tristi ipocrili (6). E la ricompensa eterna
a chi sarà data? A chi avià creduto, o a
chi avrà falto ? Il Signore non dirà ; Venite, 0 benedetti, perchè avete creduto;
ma venite, o benedelli, perchè avete operalo. Io aveva fame e mi deste da mangiare; aveva sete e mi deste da bere (7j.
Così ai reprobi non dirà: andate all’iu
(() Et omnis qai audit verba mea h«c et
non facil ea, siDoilis erlt viro stulto qui adificavit domum siiam super at'eiiam. Et desceiidit pluvia, el veucruiit llujniaa et flave»unt venti et irruerunt iu domum illam, et
cecidil et fuit ruina iUius magna. {Hall. VII,
V. 26. 27).
(2) Ib., V. 2-i. 23.
(3) Ib., V. t3.
(i) Muli. cap. VII, V. 18.
(3) Te autem fai'iente eleemos> naro , nesciat sinistra tua quid faoiat desterà. (Mail.
VII, V. 3).
(G) Cum autem jojunatis, nolite fieri siculi
ipocrita! tristes. {Mail. loc. cit., v. 46).
(7) Esurivi enim et dedistis mitii manducare ; sitivi et dedistis milii bUjere. (3Iall.
X\V, V. 3b e seg. )
ferno perchè non avete creduto ; ma andate al fuoco perchè non avete falto. Finalmente quando Cristo inviò gli Apostoli
a predicare che cosa disse loro I Andate e
insegnate alle genti di osservare i miei
comandamenti {tj.
Io potrei ancora prolungare queste citazioni, La sacra Scrittura da capo a fondo
inculca la necessità delle opere. Tu mi
citi quella risposta data da Paolo e Sila
al carceriere di Filippi : « Credi nel Signore Gesù Cristo e sarai salvato tu e la
tua famiglia «. Ma quel credi tu l’inlendi
d’una fede speculativa, menlre vuol essere inteso d’una fede pratica. Cosi fu
sempre inteso dai primi cristiani, che
predicarono più colle opere che colle parole. Ti pare giusto e ragionevole che
Paolo e Sila dicessero al carceriere: credi
c uccidi, credi e ruba, credi e calunnia e
sarai salvo ? Tu hai senno abbastanza,
mio buon Costantino, tu hai bastante onestà per rigetiare una tale interpretazione.
E poi non ignori che i testi di un libro
non si dehhono prendere alla spicciolata,
ma confrontarli l'unocoiraltro.e spiegarli
a vicenda. Ora l’insieme dei sacri testi ti
dichiara che la fede senza le opere non è
fede; che la vera e sola fede è quella che
opera per la carità.
Io non voglio essere soverchiamente
lungo, e conchiudo. Tocca a te ribattermi
e provare: I" che la fede necessaria per
la salule è, secondo le Scritture, una fede
Sterile di opere; 2’ che questo principio
V unica condizione della salute é la fede
sia uu principio morale, sociale, santo e
non disecchi per contrario la sorgente di
(1) Docente* eo« .wrvare omni» qucciuBque mandavi vobi*. iìIcUl. XWUl, 20).
12
tutte le virtù. Non darti a credere ch’io
ahbia rislretto la mia risposta ad un punlo
solo perchè sia impicciato per rispondere
al resto. L’ho fallo per la sola ragione d
cavare qualche costrutto dalla noslra disputa, che se discorresse di cento cosei
non pulrehhe approfondirne nessuna, ed
io bramerei approfoudirle tutte. Ti ripeto
dunque che dopo una cosa passeremo all'altra, e se li sei conservato come fosti
sempre persona di buona fede non dispero
di le. Ti raccomando però caldamente di
noo uscire dall’assunto, e questo te lo
raccomando così spesso perchè so a prova
come le dispute per lo più riescanoinulili
appunto perchè scompigliate e universali.
La scolaslica fu sempre il martello degli
acattolici perche loro non permetteva di
fuorviare, e quindi le tennero sempre il
broncio. Persuaso intanlo che alla conversione ed al ravvedimento le parole r. i
ragionamenti non bastano, ma ci vuole la
grazia di Dio, io pregherò caldamente affinchè Egli illumini la tua intelligenza per
conoscere la verità e fortifichi il tuo cuore
per seguirla. Faccia il pietoso Signore che
io ti possa presto stringere al mio seno e
ci sia dato unirci e ringraziarlo al medesimo aliare
¡1 luo amoroso Padre
Gio. Luca Reta.
Torino, 18 oli., mio giorno onomastico.
ANCORA
DEL14 SOCIETÀ EVANGELICA
DI TORINO
Dovere imperioso ( e non già la
stolta smania di criticare) ci ha fatto
dettare intorno a detta Società il breve
articolo, che nel numero antecedente
del nostro Giornale vi avranno ravvisato i nostri lettori. A queste poche
righe informate, lo crediamo, da uno
spirilo francamente crisliano, ecco la
risposta che ci vien trasmessa dal
Comitato della medesima. Noi la pubblichiamo tale e quale, e senza farvi
sopra 'ad onta delle rincrescevoli personalità di cui abbonda) la minima
osservazione, lasciando che le faccia
tutte quante chi legge.
La Direzione.
Chiarissimo sig. Direttore, (")
Poiché dal contesto generale pubblicato
nel suo foglio, venerdì 20 ottobre, n“ 51,
e da frasi cspli(;ile si desume che il Comitato della Società Evangelica Italiana,
nominalivaiiiPiile soUoscritto alla circolare
in esso articolo attaccata, viene designato
di far vedere al pubblico le cose assai diverse da quel che sono. A termini di legge
sulla stampa, la preghiamo di voler inserire la seguente :
Risposta alla Blona Novella.
Ogni volla che si vuol far del bene, c’è
a sentirsi dire ; Chi v'ha dato il mandato? Voi siete pochi 1 Noi, noi non siamo
con voi! (Alt. IV, 7j. La Socielà Evangelica non ha ricevuto incarico da chicchessia : essa ha sentito il dovere di operare. Il dovere non è un buon mandalo?
Altro non ne vogliamo.
(*) Ad evitare scandali, sappia chinnqne che si
'e ailempiulo dal Comitato c dalla Società verso il
sig. Meille in linea fraterna tutto quanto prescrive
l’Evangelo di N. S. Gesù Cristo. Finora inutilmente.
13
La Buona Novella critica la Società,
perchè coloro che la coinpon"ono han comitjciato col dire : I Cristiani evangelici
della città di Torino. Potremo rispondere
cbe non c'è del gran male, salvi sempre
gl'interessi clericali, a rappresentar gh
allri nel hene ; che la Socielà nostra non
rigetta nessuno degli evangelici, tranne i
cattivi se ve ne sieno ; che il pensiero
che la informa crediamo sia compreso,
ed amato dalla gran maggioranza de’ cristiani, e ciò dicendo crediamo onorarli.
Ma la vera risposla è in lutt’allro. Coloro,
di cui parla la Buona Novella, souo gli
evangelici Valdesi, e come tali sono riconosciuti generalmente: or i componenti
la Socielà non han preso il loro tilulo. La
massima parte appartengono è vero, alla
Chiesa Valdese, ma si sono riuniti in Società, non come Valdesi, bensì come semplici seguaci dell’Evangelo, chè altrimenti
la Socielà noo avrebbe potuto costituirsi
indipendente. Il loro nome dunque non è
usurpato ; è un nome che naturalmente
debba esprimere una minoranza. Or tutte
le mmoranze han ricevuto sempre o(iposizione per parte de’ principali in Israel,
del clero e de'loro seguaci (Att. XXVlll.
22). Ma che importa? Quando Dio le ha
aiutate, in lor mano sono stati i destini
del mondo (I Corint. L 26, 27, 28, 29j.
Voi sig. Meille, Diretlore della Buona
Novella, voi encomiate lo scopo della Socielà, e dite che se sarà raggiunto riescirà
per fermo di grande incremento all'Evangelo; perchè dunque non appartenete a
simile associazione? Temete lo scopo elevato? Non vorreste contribuire a raggiungerlo ? Convenite che se la vostra protesta
è giusta pel titolo da noi preso, essa diviene una protesta conlro di voi e contro
de' vostri : voi e i vostri non concorrete
ad uno scopo così eUvato, e non cercate
di raggiungerlo! E per avere il gusto di
attaccarci nel lilolo vi privale del gran
piacere di fare il hene ? Ei pare che ii sig.
Meille abbia de' gusti veramente alla Romana.
Dite che la V. Tavola non ha stimato
di accellare per ora le profferte della Socielà, aspettando che da' fatli lesie.no maggiormente noti il vero carattere e le schiette
tendenze di tale SociciàTaciamo su la maligna insinuazione contenuta in lali parole,
che avressimo voluto trovare nell'.irmonia e non nella Buona Novella-, e avvertiamo il sig. Meille a mettersi in guardia,
allorché legge il Cattolico e VArmonia
suddetta, perchè pare che da quando a
(juando se ne ispiri molto saporitamente.
La V. Tavola dunque aspetta! Davvero
che la tattica è veramente sublime I Ed è ^
a questo modo che si curano gl'interessi ‘
del Regno di Dio? Salomone dice che,
veggeudo il male, dobbiamo nasconderci
(Prov. XXVIl. ■12) e non già quando veggiamo un fine elevato, e uon già quando
puù trattarsi di grande incremento all'Evangelo. Sig. Meille, o ci lodate olire a
quello che pensate, o la vostra lode condanna la V. Tavola. Perchè non mettersi
in relazione colla Socielà? Perchè non voler senlir il Comilato? Perchè non domandare degli schiarimenti? Si vuole
aspettare i fatti. Reverendi della V. Ta-,
vola, la Buona Novella vi fa i Gamalieli
moderni (Att. V. 38, 39). A ciascheduno
ciocché gli spetta, ecco una regola da cui
sarebbe cosa prudente il non dipartirsi
giammai, dice la Buona Novella : cosa
prudente si, e che certo può esser convalidata coll'autorità di Gallone Proconsole
14
dell’Acaia (Att. XVIII. 13, ii, IS, 16). Ma
invece di questi versetti, non potrebbe il
sig. Meille legger questi altri? (Filip. IV.
7, 8, 9).
(I. Corint. XIII. i, 3, 6, 7, 8).
Checché ne sia, la V. Tavola aspetti.
Ormai grazie al sig. Meille, il pubblico sa
che quella conosce l’esistenza d’una Società che ha un fine elevato e che se sarà
raggiunto riescirà per fermo di grande
incremento all'Evangelo. Il pubblico cristiano giudicherà del modo come la V.
Tavola si comporta e si comporterà rimpetto alla Socielà Evangelica.
Noi fidiamo io Dio, e desideriamo che
nulla si faccia conlro I disegni suoi.
Giambattista Albarella
GmsEPrE Varisco
Giovanni Aimino
Amedeo Basile
Rinaldo Bacchetta
Vincenzo Albarella
Giacomo Biava.
Torino, 2S ottobre 185i.
C0UR1SP0M)ENZA.
Sig. Direttore della Buona Novella.
Ho letto nel n" SI del vostro Giornale
religioso l’articolo che ha per titolo : Il
l'empio della Gran Madre in Genova.
Non intendo entrare nè su quello che ha
falto il sig. Malan, nè sul deliberato dalla
V. Tavola, uè sull'insieme del vostro articolo, nè sul senso che ha prodotto in
me. Non tocca a me di giudicare, e assai
volontieri me ne tolgo la pena : son persuaso, e attamente lo dico adesso meglio
di quel che lo avrei detto prima, son
persuaso della coscienziosità di tutti, nè
presumo che il mio modo dì pensare
abbia ad essere il criterio della verità.
Però, bene ' o male che sia, a torto o a
ragione come meglio vi piaccia, io penso
che dal fatto della vendita della Gran
Madre possano derivarne delle non ¡spregevoli conseguenze e personaM e reali.
Vi siete degnato di nominarmi nel vostro
arlicolo per un fatto e con un epiteto
che io non nego punto : è bene però che
si sappia qualche altra cosa che mi riguarda ; a ciascheduno ciò che gli spetta
(avete scritlo in una pagina antecedente
dello stesso numero); ecco una regola di
cui sarebbe cosa prudente il non dipartirsi giammai. Secondo voi si è cercato
di sviare l'opinione pubblica, e avete creduto ricondurla nella reiio wa: sta benee quindi vi prego di render noti questi
due fatti, benché di lievissima importanza,
affinchè io abbia 1’ intera responsabilità
che mi deve toccare.
1“ Il Mazzarella è stato, egli è vero,
Evangelista unitamente al suo caro Geymonat a Genova, mandatovi dalla V. T^
vola , ma non è stato mai, e non è ministro valdese. Ha annunziato l’Evangelo
come semplice fedele ; e come tale, piacendo a Dio, e avendone opportunità, e
sempre senza contenzione lo annunzierà
ancora, ma non dipendendo mai più dalla
V. Tavola.
2“ Il Mazzarella, per il fatto della vendila eseguita nell’ interesse della Fedecommesseria Fransoniana, e secondo
quello che nella sua pochezza avea annunzialo parecchi raesi fa, ha rinunziato
al posto di Evangelista a Genova. Con
questa rinunzia non si è inteso di gittar
b¡as¡mo, o muover lagnanza contro chic-
15
chessia: chi esegue un dovere rende gloria a Dio nella propria coscienza, e non
vitupera alcuno.
Permettete che aggiunga poche, altre
righe, e finirò. Voi dite che tra i eorreligionarii vi sono di tali cbe si rattristano
e quasi piangono per il fatto di quella vendita ; e aperlamente soggiugnete che non
trovate, quanto a voi, molivo per quel
pianto, come noi sapreste scorgere per il
tripudio che ne mostrano i clericali della
Chiesa romana. Cerio che di Iripudii siffatti non cale nemmeno a me: raa mi
addolora, nè saprei tacervelo, sig. Direttore, mi addolora di mollo il dispiacere
de’ miei fratelli, e potrei esser cerio che
ne sarete addolorato anche voi e il sig.
Malan, e la V. Tavola valdese. Tranne
questo però, vivete tranquillo quanto a
me, chè sono lietissimo d’avere adempito
al mio dovere, e d’aver fatto il possibile,
secondo le mie forze, a risparmiare il dolore de’miei e de’vostri fratelli. Siano
pur piccioli questi fratelli, m’avrebbero
sempre fatto ricordare (Matt. XVIII, tì,
e I Cor. Vili, 13J, passi che crederei
superiori al parere di tutte le persone distinte così del paese come dell’estero. Ma
non occorre per fermo di citar la liibbia
a proposito di qualtro mura, e a riguardo
di voi, del sig. Malan, e della VenerabiI
Tavola che abbastanza la cpnoscete. Per
jagire come si è agito vi son dovuti essere
dei motivi molto alli, non v’ha dubbio:
non entro a giudicarli. Dio abbia pietà
'di tutti noi.
Vi prego , gentilissimo sig. Direttore,
d’inserir questa mia leltera nel prossimo
numero del vostro Gionu.le. Ve ne ringrazio fin da ora, e credetemi.
Genova, 23 ottobre 185 i.
Il vostro B. Mazzarella.
NOTIZIE RELIGIOSE
Favale. Ecco quanto ci scrivono nel
loro semplice ed incollo linguaggio i noslri fratelli di questa località :
n Grazia all’eterno Iddio godiamo una
perfellissima salute, e lo stesso speriamo
di tulti i fralelli di Torino. Vi facciamo
sapere che il cholera ha mietuto tante
viitime d’intorno alle nostre case, e noi
Iddio ci ha ancora guardati, talché non
siamo stati nessuno di noi ammalali di
sorta alcuna.......... Due dei noslri fratelli in Gesù Cristo (cioè Giuseppe e Maddalena} dovettero andare per degli affari
di casa lontano circa 20 miglia, e dovettero passare una montagna e non aveano
seco pane. Scesi giù dalla montagna aveano molla volontà di prendere cibo,
ma non v’era luogo dove vendessero da
mangiare. Veduta una casa che piuttosto
gli pareva esservi dei benestanti andellero colà, e gli dissero: abbiamo [lassato
questa montagna e non abbiamo preso
del pane con noi, e qui non ne vendono : fate grazia, dateci qualche cosa da
mangiare. Ed un uomo portò loro un
tozzo di pan nero. E mentre se ue volevano andare, esce un prete di quella
casa e dice loro: Ditemi un poco, di dove
siete voi altri ? — E loro gli dissero ; noi
siamo di S. Vincenzo del Favaie. — Ditemi un poco, soggiunse il prete , non
sareste forse di quelle famiglie che hanno
venduta l'anima al diavolo? — Ed eglino
dissero : noi non crediamo di avere venduta l’anima al diavolo, chè l’anima che
è in noi è costata molto al nostro Salvatore Gesù Cristo, egli è molto cara;
pensate se noi vogliamo vendere l’anima
ch’Egli ci ha data, ch’Egli ha lavata col
16
suo preziosissimo sangue, avendoci sanlificali col suo Spirito Santo. E come ci
viene a dire che abbiamo venduta l’anima al diavolo? — Allora il prete gli
disse : Ora vi conosco, precisamente nel
voslro parlare, che siete di quegli infami che avete abbracciato una religione
di demonio, ed avete lasciato la santa
madre Chiesa della quale i ministri siamo noi, che abbiamo il potere di fare
tutto qfiello che vogliamo, perchè Gesù
Cristo l’ha dichiarato : « qualunque cosa
avrete sciolto sulla terra ecc. ecc. ». Ora
vedete se non siamo noi quelli che possono far tutlo, e niuno li giudica, perchè siamo da Dio stesso mandati per
giudicare gli allri. — E quelli risposero:
crediamo che ella sia un po’ di fango
come noi, ed il giudicare appartiene al
Signore, e niun uomo ci può giudicare
nella coscienza. — Allora il prete disse
ai suoi, che aveano dalo ii lozzo di pane
nero : e voi, dovete dare da mangiare a
questa gente thè è fuori della s. madre
Chiesa.?—-E quell’uomo (credo che sia
suo fratello) gli disse: io non la sapeva
che fossero di quella gente così cattiva.
— Dunque, gli disse il prete, prendigli
prestamente il pane di mano sua, chè
non voglio che facciate bene a tale gente
contraria alla santa religione e che non
credono al vicario di Dio in terra, e non
riconoscono la sua infallibililà ». E soggiunse, indirizzandosi a lutti i vicini:
badate a non fare bene di sorta a cotesta gente scomunicata e perversa ». E li
mandò via con insolenti parole di maledizione; e loro ringraziavano Dio, di essere maltrattati e scomunicati per il suo
nome ».
TROXACnETTA POIITICA
Torino. Bollettino completo del 24 ottobre: casi di cholera 22, decessi 42; del
giorno 2o cosi 27 decessi 17.
Francia. L’armata francese ha provato
all’Alma le seguenti perdite: 186 morti,
di cui 4 ufiìciali, e 1200 ferili, di cui 61
ufficiali. Queste cifre sono recate dal Moniteur.
Dispaccio telegrafico.
Parigi, 23 ottobre.
Un dispaccio privalo di sorgente russa
ricevuto a Vienna il 24 viene comunicalo
sotlo ogni riserva.'
Pietroburgo, 24. Mentsikoff riferisce
che nel mattino del 17 il nemico ha aperto
il fuoco per terra e per mare.
Il bombardamento durò sino a notte: I
russi hanno avuto 500 morti e feriti, e
l’ammiraglio Korriloff è stato ucciso. Il
18 il fuoco non venne continualo per mare,
e debolmente dal lato di terra ; le fortificazioni hanno sofferto poco danno.
Trieste, 23 ottobre.
Costa.ntinopoli, 16. Tutta la guarnigione disponibile sarà imbarcata. Sono
giunti i vapori coi feriti nella sortita tentata con 30 mila russi, stala respinta.
Il bombardamento doveva cominciare
il 16: secondo altri rapporti, il 18.
I bastimenti turchi e la caserma di Scutari sono stati convertiti in ospedali.
Smirne ha ospedali con 30 mila letti.
Direttore P. G. MEILLE.
Grosso Domenico gerente.