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ECO
DELLE VALLI VALDESI
Past. TACCIA Alberto
10060 ANOROSNA
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 99 - Nom. 41
Una copia Liré 60
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TORRE PELLICE - 17 Ottobre 1969
Auimin Claudiana Torre Pellioe • C.CJ*. 2-17557
giorno del grande dissenso
L Assemblea europea dei preli si è riunila a Roma nell Aula Magna della Facoltà Valdese di teologia
HflIiiliiaziGne di cuscienzt Una Chiesa libera per liberare il mondo
Dall’Atlantico al Pacifico, sugli Stati Uniti d’America è passata, vasta e
profonda, l’ondata della protesta del
« Moratorium - Day », il giorno della
moratoria, giorno di pausa e di meditazione: un’intera nazione è stata
chiamata ad esprimere pacatamente
ma fermamente il suo deciso dissenso
dalla politica perseguita dal governo
di Washington nel conflitto vietnamita, e ha risposto aH’appello in un modo che dà da riflettere e — aggiungiamo — da sperare.
È stato detto che si è trattato della
più imponente manifestazione pacifista nella storia degli Stati Uniti. In
realtà si è trattato di un fatto ancora
più significativo: mai finora la storia
umana ha registrato un simile movimento generalizzato di opinione pubblica, in una nazione di dimensioni
macroscopiche, al di fuori delle consultazioni elettorali e degli S’oonvolgiR.enti rivoluzionari.
Mentre in altra parte del giornale
diamo alcuni dati sul fatto, desideriaHiO qui fare un paio di considerazioni.
ite ^ m
ua prima si riferisce alla demccraz; i. Democrazia significa « governo del
p. polo ». I.n realtà, in Occidente come
ir Cri,«te questa espressione rischia
spesso Si non essere altro che un’etic'netta fasulla, e non è certo faci’e dif( ndere le cosiddette « democrazie occi dentali » così come quelle «popolari»
orientali daH’accusa di essere pure e
s< mplici coperture formali che velano
- ma non troppo — l’esercizio del potere da parte di gruppi ristretti, si
tratti di certe forze economiche capitalistiche o dell’apparato di un partito
Umico). Anche se vi giocano indubbiamente altri fattori, la marea montante
della contestazione e anche del rifiuto
quale si vuole sostituire, soprattutto
da parte giovanile, la “democrazia diretta”, di base, dev’essere considerata
in questa luce realistica. E sebbene tale contestazione dia spesso nelTutopi■suio anarchico e inconcludente (anzi
controproducente), resta' il fatto che
la realtà politica, e in ultima analisi
umana contro la quale si leva è probndamente bacata e ben degna di
I ontestazione e di rifiuto.
Tanto più rallegranti sono segni come questo « Moratorium-Day » (al quali forse seguiranno altre consimili
"giornate”). Non intendiamo certo
idealizzare; ma non possiamo non sottolineare con forza questo vasto e profondo movimento di una opinione pubblica, la quale al di fuori e prima ancora dello scadere di una consultazione domanda ai governanti che ha eletti conto dei loro impegni e delle loro
realizzazioni. Qui veramente non si
può dire che la democrazia si riduca
a un fatto “formale”; qui una parte
non indifferente di un popolo mostra
che non considera la propria responsabilità politico-sociale esaurita nel
fatto di deporre una scheda in un’urna elettorale ; qui una nazione, in una
misura niente affatto trascurabile,
esercita quella funzione costante di
controllo, rispettoso delle altrui responsabilità ma fermamente attaccato
alle proprie, che non è privo ^ qualche analogia con il « discernimento
degli spiriti » che è dono e compito di
tutti i credenti nel corpo di Cristo ; qui
una nazione mostra che è possibile,
senza violenze ma con una efficienza,
una ampiezza e una profondità di azione che non può mancare di avere precise conseguenze politiche, premere su
un governo che non mantiene i suoi
impegni. Una lezione da non dimenticare.
«
La seconda considerazione si riferisce al fatto particolare del conflitto
vietnamita. Nel giro di alcuni anni,
una nazione non po'co intossicata dal
maccarthismo e che ancora recentemente denunciava un’alta percentuale
di indifferenti o di persone convinte
che la bandiera stellata guidasse sulla
costa indocinese la grande battaglia
della libertà contro l’oppressione, della luce contro le tenebre, ha maturato
una più seria presa di coscienza del
problema e continua a diminuire il
numero di coloro che sono disposti a
morire per il corrotto governo di Saigon. Certo, non tutto in questo rifiuto
è puramente ideale; ma c’è da chiedersi se in fondo non sia perfino più
serio e valido che la posizione di un
pacifismo generico, l’atteggiamento
molto terra terra ma fondamentalmente sano di coloro che non vogliono più morire per van Thieu e compagni, per certi generali del Pentagono e per i profittatori dell’industria
bellica.
Non diceva anche l’apostolo Paolo,
sia pure per sottolineare la grandezza
dell’amore che Dio ha per noi peccatori, che « a mala pena uno muore per
un giusto, ma forse per un uomo dabbene qualcuno ardirebbe morire » ( Romani 5, 7)? La causa impersonata dagli elementi di cui sopra non è una
causa « dabbene », pensa un numero
crescente e ormai considerevole di
nordamericani. Questo non significa
che bene e male, luce e tenebre hanno
semplicemente invertito le loro posizioni, la questione è ben altrimenti
complessa; ma si è latta strada una
più matura presa di coscienza e siamo
lieti di poter dire che anche considerevoli settori delle Chiese, spesso pure
a livello di dirigenze e di sinodi, vi
hanno contribuito accanto ad altri.
Anche questa è una lezione da non
trascurare.
Gino Conte
iiiiiiiimiiiMiiiiiiimmiiiimimiiimiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiii
Verso la metà ad luglio scorso, a
Coira, nel Cantone dei Grigioni, i Vescovi europei si radunarono in un
« simposio » di studio sul problema del
prete nella nostra società.
Nella stessa città svizzera e nello
stesso tempo si radunò un centinaio
di preti provenienti da otto nazioni diverse, in delegazione di alcune migliaia
di preti per affrontare lo stesso problema. Questa « Assemblea europea dei
preti » affrontando con notevole serietà l’argomento all’ordine del giorno
cercò in vari modi di stabilire un contatto col « simposio » dei Vescovi, ma
senza frutti positi\ i.L’eco di questa delusione fu racchiusa in una lettera inviata a Paolo VI.
Nella seconda lettera inviata al Simposio dei Vescovi i preti radunati a
Coira scrivevano: « Vogliamo sperare
che l’atteggiamemo di questa Assemblea episcopale di Coira non faccia
scuola al Sinodo di Roma ». In questa
iiiitiiiiiiiiiimiiiiiiiimiiiiiiiiiitiin
IL SINODO DEI VESCOVI
Quale collegialità?
Qual'è il tema di fondo del Sinodo dei Vescovi che si sta svolgendo in questi giorni a Roma? È
Vinterpretazione, diciamo così, ufficiale da dare alla « collegialità
episcopale », sancita dal Concilio
Vaticano IL Votata quasi all’unanimità daU'gLSsemblea conciliare e
in ^rte glT realiz^fa cori là creazione, da parte di Paolo VI, del Sinodo dei Vescovi, la collegialità
non è ancora stata chiaramente
definita nei suoi contenuti specifici, in rapporto soprattutto con il
primato del pontefice romano. I
testi conciliari parlano ripetutamente di « comunione gerarchica » tra il papa e il collegio dei
vescovi, di cui egli è il capo. .Ma
come bisogna intendere questa comunione gerarchica tra papa e vescovi? Ecco il nodo della questione; ecco il tema di fondo del Sinodo episcopale di questi giorni.
Paolo VI ha già espresso, al riguardo, il suo punto di vista, nel
discorso d’apertura dei lavori del
Sinodo, pronunciato nella Cappella Sistina sabato scorso 11 ottobre. In questo discorso il pontefice ha dato, come si dice, un colpo al cerchio e uno alla botte: da
un lato ha affermato di voler attuare « una più organica partecipazione e una più solidale corresponsabilità dell'Episcopato nel
governo della Chiesa universale »;
d’altro lato ha ritenuto opportuno
ricordare la « somma responsabilità... che la Tradizione e i Concila
imputano al nostro specifico ministero di Vicario di Cristo, di Capo
del collegio apostolico, di Pastore
universale e di Servo dei servi di
Dio, e cHe non potrà essere delimitata dall’autorità pur somma
del Collegio Episcopale, la quale
noi per primi vogliamo onorare,
difendere e promuovere, ma che
tale non sarebbe se ad essa mancasse il nostro suffragio ».
In altri termini, il papa ha detto: collegialità episcopale, sì; e
primato papale, pure. Collegialità
episcopale, sì, ma senza togliere
india al primato papale. Dal pontefice romano non ci si poteva, ragionevolmente, aspettare altro. Il
dogma del primato, sancito dal
Vaticano I, ha creato un rapporto
di subordinazione gerarchica dei
vescovi al papa, che, secondo Paolo VI (a molti altriX nessuna collegialità potrà mai annullare. Il
primato del pontefice romano non
è soltanto un primato d’onore, ma
è un primato di poteri.
Le due interpretazioni della col
legialità che si i lenteggiano al Sinodo di Roma sembrano essere
queste: i « progi essisti » (chiamiamoli così, per intenderci), con a
capo il cardina'e belga Suenens,
propugnano una collegialità di tipo decisionale, cioè vorrebbero un
collegio di vescovi che disponga di
"'èttettivi poteri df decisione nel governo centrale della Chiesa cattolica, insieme al pontefice romano;
i « conservatori » invece sono per
una collegialità di tipo consultativo, cioè vorrebbero uri collegio
di vescovi che informi il papa, gli
dia dei consigli, lo assista ed aiuti,
ma non decida. Il papa, dal canto
suo, ha parlato di « corresponsabilità » e di « partecipazione » episcopale al governo centrale della
Chiesa cattolica, senza però 'precisare se questa assunzione di responsabilità da parte dei vescovi
comporti una corrispondente attribuzione di poteri al loro collegio. A Sinodo concluso, vedremo
quale tipo di collegialità verrà instaurato. La posta in gioco è, ovviamente, grande: se la collegialità, come qualcuno ha detto, ha introdotto una struttura di dialogo
nel sistema gerarchico cattolico,
si tratta di fissare le condizioni, le
modalità e la portata effettiva di
questo dialogo. In particolare si
tratta di vedere se il Sinodo dei
vescovi interpreterà la collegialità
episcopale a partire dal dogma del
primato papale (come Paolo VI
ha suggerito di fare), oppure se
interpreterà il dogma del primato
papale a partire dalla dottrina
della collegialità episcopale (come
i « progressisti » vorrebbero fare).
Si può aggiungere, concludendo, che l’intero discorso della collegialità nella Chiesa dovrebbe
essere posto, da un punto di vista
evangelico, in termini ben più radicali di quanto non stiano facendo gli stessi vescovi progressisti.
Nell’ambito cattolico, il tentativo
di instaurare un regime di vera
collegialità si infrange contro il
principio gerarchico, che ne è, in
fondo, la negazione. L’Evangelo
prevede una diversità, non una gerarchia di ministeri. Per cui lottare per la collegialità dovrebbe signiheare lottare contro il principio gerarchico (e non solo contro
lo strapotere della curia romana).
Solo così potrebbe farsi luce la
visione evangelica secondo cui la
Chiesa è una comunione, non gerarchica, ma fraterna.
Paolo Ricca
speranza, anche se molto tenue, 150
preti dell’« Assemblea Europea » si sono radunati in questi giorni a Roma.
Nella conferenza stampa di fronte a
130 giornalisti della stampa internazionale, poco prima della apertura della
riunione, i responsabili del movimento hanno voluto rispondere ad alcuni
logici interrogativi: chi siamo, perché
ci raduniamo a Roma nel tempo del
Sinodo, perché le riunioni hanno luogo nell’Aula Magna della Facoltà Valdese di teologia.
In vari paesi europei sono sorti
gruppi organizzati di membri del clero, alle volte anche di laici, che desiderano un rinnovamento organizzativo
e spirituale nella Chiesa Romana: sono
gruppi che raccolgono alle volte anche
centinaia di preti, che spinti da motivi simili hanno deciso di organizzarsi,
non solo sul piano nazionale, ma anche sul piano europeo. Questi gruppi
operano in Qlanda, nel Belgio, in Francia, in Germania, in Italia, in Austria,
in Ispagna e nel Portogallo. Sono formati da preti per lo più giovani, vivaci, decisi nella loro attività. E interessante vederli nelle loro riunioni: nessuno naturalmente ha l’abito talare,
pochissimi il colletto sacerdotale, qualcuno sotto la giacca un maglione scuro, la grande maggioranza è vestito di
chiaro con cravatte dai colori vivàci.
Si sono radunati a Roma, hanno detto, perché Roma è la sede di Pietro,
« l’uomo che conferma i fratelli nella
fede »; ma a Roma anche perché qui
la loro responsabilità pastorale. Molto chiara la conseguente conclusione:
quando l’autorità di Pietro viene compresa come una autorità centrale, intesa come una monarchia, questa autorità si secolarizza e si conforma ai
sistemi ideologici del mondo.
Poiché è chiaramente affermato che
Cristo è l’unico ed eterno sacerdote e
che la Chiesa intera, in Cristo, è sacerdozio regale e santo, se ne deduce
che la predicazione della Parola è affidata alla Chiesa tutta intera; il ministero si giustifica quindi unicamente
come un servizio reso alla comunità
per l’unità e la fraternità. Deve quindi scomparire la strutturazione del
clero in casta e il celibato non deve
più limitare la scelta dei preti o dei
vescovi.
I vescovi hanno la loro ragion d’essere- nel fatto che le Chiese locali hanno bisogno, ricercano e reclamano
qualcuno che vigili sul fervore della
loro fede, che li inciti a restar fedeli,
cioè di un vescovo « sorvegliante » nel
senso migliore di questa parola, che
unisca fra loro i centri di ispirazione
evangelica. E fra i Vescovi, quello di
Roma, primo fra i suoi fratelli, sarà
nominato non per dettare loro legge o
per controllarli, ma per confermarli
nella loro fede. Il vescovo è eletto in
seno alle Chiese locali, il vescovo di
Roma è eletto dal Sinodo dei Vescovi.
Evidentemente in queste prese di
posizione noi non ritroviamo ancora
tutto l’Evangelo; non ritroviamo per
esempio nel vescovo di Roma una figura delineata nella Chiesa apostolica.
Abbiamo quindi anche delle riserve,
ma dobbiamo riconoscere che questi
documenti rappresentano una presa di
posizione interessante ed ardita e su
più di un punto concordiamo pienamente col pensiero degli estensori dei
documenti. Ma appunto per questo
comprendiamo anche la perplessità
delle autorità vaticane, comprendiamo
come gli stessi teologi progressisti della Commissione teologica sedente in
Roma per il Sinodo Episcopale, incontratisi con una delegazione dell’Assemblea dei preti, abbiano espresso anche
delle perplessità di fronte. a certe affermazioni dei documenti preparatori
e abbiano invitato i preti alla riflessione.
E questo ci aiuta tanto più a comprendere come a Roma negli ambienti
tradizionalmente chiusi di un certo
cattolicesimo la riunione dei preti proè riunito ora il Sinodo Episcopale.
Questi preti vogliono fare sentire ai
Vescovi la voce di quella che essi considerano la parte più viva della Chiesa: e così vogliono aiutare la Chiesa
a ritrovare la sua strada. Vogliono far
questo non attraverso manifestazioni
piazzatole, ma nello studio, nella meditazione e nella preghiera.
Si radunano nell’Aula Magna della
Facoltà Valdese di Teologia solo perché le sale cattoliche li hanno respinti
ed i Valdesi hanno accettato di dare
loro ospitalità. E questo non deve essere considerato come una volontà di
provocazione né da parte degli uni né
da parte degli altri, ma solo come una
espressione di carità, un segno di ecu
menismo e di questo essi sono profondamente grati alla Chiesa Valdese. Mi
diceva un prete olandese, uno dei dirigenti del movimento: « Vogliamo conoscere meglio quello che sono i Vaidesi, perché vogliamo parlare di loro
e della loro apertura ecumenica alle
nostre comunità ».
« Siamo qui — essi dicono — perché
siamo convinti del valore della nostra
contestazione » e questa convinzione
essi la racchiudono negli studi preparatori della riunione, naturalmente di
valore diverso sotto l’aspetto teologico, ma sempre espressione di una seria volontà di ricerca, sempre caratterizzati da un’ansia di fedeltà al messaggio di Cristo.
L’argomento fondamentale della riunione è racchiuso nel motto: « Una
Chiesa libera per liberare il mondo ».
Partendo dal presupposto che la testimonianza di Gesù Cristo deve situarsi e rendersi evidente al centro
dei problemi che tormentano l’umanità di oggi, essi affermano l’esigenza di
una radicale riforma della Chiesa perché questa possa dimostrarsi veramente fedele a Cristo che l’ha costituita. Solo così essa potrà operare per la
trasformazione dell’uomo concreto,
della famiglia e dei popoli, e dar loro
la liberazione dal peccato e la pienezza delle realizzazioni umane.
Affermazione certo piena di interesse per noi è che la chiesa locale è la
chiesa autentica: non è quindi dalla
Chiesa Cattolica che, per derivazione,
sorge la Chiesa locale, ma è vero l’inverso; il primato di Pietro ha per compito di salvaguardare per norma critica la carità, cioè il riconoscimento di
coloro che sono eguali e il servizio
delle Chiese locali nel rispetto di tutta
gressisti sia apparsa solo come una
provocazione, come un atto di sfida ai
Sinodo dei Vescovi ed al Vaticano. E
i cattolici tradizionali, in un loro manifesto hanno lanciato il loro grido
« via da Roma i nuovi eretici » e « disgustati per il provocatorio ed insultante raduno dei preti ribelli nella
Santa città di Roma » hanno voluto
opporsi « alla sacrilega pagliacciata
con santa violenza » ed una decina di
A VITA (TRAPANI)
S’inan|ura il ‘Villagio Speranza’
Domenica 19 ottobre, alle ore 10, si
inaugura il « Villaggio » che, comprendendo pure un Centro sociale, già ospita
20 famiglie terremotate. Sotto gli auspici
della Federazione evangelica, è stato offerto da Chiese sorelle
giovinastri (tali erano anche se ben vestiti!) ha coraggiosamente sfondato a
pietrate le vetrine della Libreria di
Ciultura Religiosa e, certo ricordando
la caratteristica purificatrice del fuoco, ha gettato uno spezzone incendiario nell’interno della libreria stessa incurante delle persone quivi presenti
(che non erano preti ribelli)! La presenza di spirito ed il coraggio di Paolo
Soltesz, che ha afferrato lo spezzone
e lo ha scaraventato in istrada, ha evitato guai maggiori. Nessun danno alle
persone, quindi, solo un danno economico alla nostra libreria che col raduno dei preti non ha proprio nulla a
che fare!
Piccola constatazione, ma non priva
di una certa amarezza: del fatto hanno taciuto il giornale radio e la cronaca àeW’Osservatore Romano, che però
hanno puntualmente registrato un altro spezzone che altri hanno gettato
in una sede locale della D.C. Il tintinnio dei vetri infranti a Piazza Cavour
non è stato udito, il fumo non è stato
scorto da chi non voleva udire o vedere e, mentre anche i giornali all’estero
se ne sono accorti, la Rai, informatrice ufficiosa dello Stato Italiano, e
l'Osservatore Romano, informatore semi uflìciale della Chiesa Romana, non
hanno né visto né udito! Eppure spesso il giornale cattolico condanna la
violenza antireligiosa; si vede però che
tale è solo da considerarsi quella che
colpisce gli interessi della (Chiesa Romana. Ce ne spiace, perché ci aspettavamo dalla stampa cattolica non certo
un benvenuto ai preti riformisti, ma
una chiara condanna di ogni violenza
nel campo religioso!
Quali saranno i risultati di questi
giorni di studio dei 150 sacerdoti cattolici-romani che si radunano nell’Aula
Magna della nostra Facoltà? Non è ancora possibile dirlo oggi, ma varrà la
pena di riparlarne al termine di questa riunione romana della Assemblea
europea dei preti. Alberto Ribet
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N. 41 — 17 ottobre 1969
LE NUOVE frontiere DELLA PEDAGOGIA
In Francia si vende la Bibbia
La nuòva pedagogia e la nuova cultura come settimanale illustrato
Col mese di ottobre, bene o male ha
avuto inizio un- altro anno scolastico;
migliaia di studenti di ogni ordine e
grado ha ripreso i libri e gli insegnanti
si sono accinti a svolgere il programma. La stampa quotidiana e gli altri
mezzi di informazione hanno a lungo
parlato dei problemi che, anno dopo
anno, le strutture scolastiche non affrontano o lasciano insoluti, creando
disagio per gli studenti, le famiglie e
i docenti. Ma le critiche di solito si sono limitate a colpire gli aspetti più
appariscenti del sistema, gli anacronismi di certe istituzioni e raramente
hanno toccato il problema metodologico che, proprio per la sua intima
connessione col problema dei contenuti, riguarda dalla base quello che
possiamo definire « rapporto studentedocente-sistema educativo ».
Educazione prospettica
La scelta di un determinato metodo
educativo dipende non soltanto dal
concetto che si ha del ragazzo e della
sua evoluzione psicologica, ma anche
dalla scelta che obbligatoriamente la
scuola deve operare fra i vari contenuti che vuole trasmettere e le abitudini o gli atteggiamenti che desidera
suscitare. In un passato anche non
troppo lontano, quando le trasformazioni socio-economiche e tecnologiche
erano ancora assai lente, ci si poteva
illudere che la scuola fosse in grado
di dare al futuro lavoratore tutte le
conoscenze fondamentali di cui egli
avrebbe avuto bisogno nella vita produttiva che lo attendeva. La regola
scientifica, la tecnica operativa, il gusto letterario trasmessi attraverso l’insegnamento scolastico possedevano un
notevole grado di stabilità e raramente un individuo era costretto, nel corso della sua esistenza, a mutare ordine di idee o ad imparare nuove tecnologie, grazie proprio alla relativa lentezza del progresso scientifico e culturale.
Oggi, la prospettiva è totalmente
cambiata; il rapido succedersi delle
scoperte, in tutti i settori, ci proibisce
di credere che la scuola — o qualsiasi
altra istituzione educativa, compresa
la famiglia — possa dire tutto a tutti,
secondo una famosa affermazione comeniana. L’evoluzione tecnico-scientifica e la mobilità culturale impongono
alla scuola nuovi compiti, che vanno
ben al di là della ricerca di un inserimento del giovane nel mondo d’oggi.
E, anche supponendo che la scuola attuale riesca a compiere questo inserimento (cosa di cui dubito molto, almeno se ci si attiene ai libri di testo!),
questo sforzo non è sufficiente poiché,
quando il giovane d’oggi sarà adulto,
le condizioni sociali, economiche e culturali saranno a loro volta mutate e
gli insegnamenti ricevuti non avranno
né attualità né valore.
Se la scuola si accontenta di trasmettere un definito bagaglio di conoscenze o di preparare lo studente al
mondo contemporaneo fallisce per metà il suo vero compito. Infatti, gran
parte di questo bagaglio nozionistico,
all’atto pratico, quando dovrà essere
adoperato concretamente, risulterà insufficiente o sorpassato rispetto alle
richieste operative e l’individuo non
sarà stato preparato a costruirsi da
sé gli strumenti di cui al momento
sentirà il bisogno. Inoltre, le necessità
del mondo contemporaneo, stando a
quanto ci dicono gli studiosi di futurologia, non coincideranno di certo con
quelle di domani.
Pertanto, la scuola deve compiere un
ulteriore passo avanti, guardare al futuro e promuovere una pedagogia prospettica. La difficoltà dell’intervento
educativo attuale consiste proprio nell’impossibilità di determinare con sicurezza direi profetica il tipo di richieste che il mondo di domani farà
all’uomo.
Educazione aperta
Tuttavia, quest’incertezza nella domanda del domani non impedisce all’educatore di agire oggi. E l’appai'ente antinomia fra il dovere di rivolgersi
al futuro e l’impossibilità di definirne
il contenuto può essere risolta se l’insegnante si pone da un punto di vista
critico. Senza dover uscire dal presente, basta che l’educatore si-faccia questa domanda: per formare un uomo,
è sufficiente che lo aiuti a soddisfare i
suoi bisogni attuali, oppure devo guidarlo a scoprire in sé nuove capacità,
che gli consentano di dominare e capire il continuo progredire degli avvenimenti?
Chi sceglie la prima strada, rimane
vittima del flusso sempre più rapido
della contingenza; la seconda via, invece, proprio perché concepisce la vita
come qualcosa di sempre nuovo e problematico, consente alla pedagogia di
dire la sua in fatto di formazione dell’uomo attraverso una educazione
aperta.
Educazione aperta vuol dire soprattutto pensare alla formazione di un atteggiamento critico, costruttivo, antidogmatico attraverso lo svolgimento
di compiti comuni, la verifica dei risultati conseguiti, il ricorso ai dati dell’ambiente e la sensibilità verso i problemi del mondo che ci circonda. Si
tratta cioè di operare su dati, su contenuti, ma non con la volontà di fare
accettare a priori questi dati e questi
contenuti; prima di tutto bisogna convincersi, attraverso una ricerca perso;
naie, della loro maggiore o minore validità alla luce di quella che è la propria visione del mondo e delle cose e
dei risultati della sperimentazione.
Questo principio sottintende un capovolgimento nella tradizionale impostazione metodologica della lezione e
nella stessa formulazione dei curricoli
e piani di studio. Vuol dire fare tesoro del patrimonio di idee, di convinzioni, di gusti, di sentimenti formatosi
lentamente nello studente attraverso
le più diverse esperienze e metterlo al
servizio, in maniera più funzionale, di
un apprendimento" sistematico.
Educazione aperta significa, per
esempio, lasciare che lo studente di
fronte ad un brano poetico esprima
prima di tutto le sue impressioni e
scopra i valori che crede di intravvedervi; il parere dei critici ha sì la sua
importanza, ma come punto di arrivo,
di confronto, forse di personale chiarificazione. Se partiamo dai giudizi preformati non solo impediamo al lettore
di pronunciare liberamente un proprio
parere, ma lo disabituiamo ad essere
autonomo nel giudicare, personale e
creativo.
Questo principio vale non solo per
l’ambito umanistico, ma anche per
quello scientifico e in questo secondo
settore, almeno nella scuola dell’obbligo, qualcosa è stato fatto.
Educazione
alla creatività
Il concetto di educazione aperta, più
volte ribadito da Capitini, ad un certo
punto si confonde con quello, più attuale ancora, di educazione alla creatività.
La nostra intelligenza, nell’espletamento delle sue funzioni, dimostra di
possedere parecchie qualità, due delle
quali particolarmente ci interessano a
questo proposito: la convergenza e la
divergenza. Il pensiero convergente è
facilmente rilevabile attraverso i normali tests d’intelligenza ed è quello
ambito dalla scuola tradizionale. Lo
troviamo in quegli studenti puntuali
nell’applicare le regole appena studiate secondo schemi prestabiliti e sperimentati, nel risolvere problemi costruiti in base a « figure » già note, nel rispondere a domande che, a loro volta,
ricalcano la formulazione o la spiegazione contenuta nel testo o negli appunti, ecc. Il pensiero convergente, insomma, è la dote principale dello studente-modello secondo lo schema classico.
Il pensiero divergente, invece, è riscontrabile in quegli individui forse
meno « studiosi », ma più intuitivi, che
riescono a dare nuova e coerente spiegazione di un fatto, di una poesia, di
■un’immagine; che riescono a scoprire
la regola attraverso l’osservazione di
una successione di fenomeni; che si
impegnano a ripensare le cose, a verificare le proprie conoscenze e a mantenere una reale indipendenza di giudizio. La definizione e la valutazione
di questo tipo di intelligenza sono
mólto più problematiche, ma esistono
oggi dei metodi testologici che ci possono aiutare e soprattutto esistono dei
metodi scolastici che, oltre a rivalutare il pensiero divergente, lo « educano » secondo le strutture che gli sono
proprie.
Una forma di educazione che non
trascuri la divergenza cognitiva è essenzialmente un’educazione alla creatività, qualità quest’ultima fondamentale per la società presente e futura.
E il metodo che meglio si adegua a
questa richiesta psicologica e sociale
può essere identificato nello strutturalismo che, oltre ad interessare direttamente il settore dell’insegnamento delle lingue, riguarda anche il campo matematico-scientifico.
Tanto per fare un esempio, rimanendo nel campo linguistico, lo strutturalismo rinunzia all’analisi tradizionale
della frase e propone altre forme di
analisi, poiché concepisce il fatto linguistico come qualcosa di sempre nuovo e mobile e, quindi, irriducibile a
pure categorie (o «caselle») logiche a
cui attribuire una definizione: nome,
verbo, attributo, ecc. Quest’impostazione promuove un procedimento nuovo
che prende l’avvio dalla frase nel suo
complesso (analisi del periodo); ne osserva poi la struttura sintagmatica e
paradigmatica ed arriva quindi al riconoscimento degli elementi componenti (analisi strutturale).
La nuova cultura
Il rinnovamento metodologico, di
cui abbiamo voluto dare solo un rapido cenno, anche se gli studi sull’argomento oggi si moltiplicano e ci interessano da vicino, ha una portata
ancora più ampia, che ci consente di
trovare un punto di raccordo fra questo rinnovamento metodologico e il
rinnovamento più generale presente in
tutte le forme di cultura.
La pedagogia si sta scuotendo di
dosso quel fardello di pregiudizi e di
nozioni antiscientifiche che le hanno
impedito di realizzare appieno e nella
giusta misura le innovazioni dell’attivismo. Col contatto con le « filosofie
della crisi », con la psicologia e la sociologia, con le nuove tecniche di ricerca e di lavoro, essa si apre a valori
nuovi e spazia per nuovi orizzonti.
Come in letteratura, in arte, nel cinema si è giunti alla contestazione
dell’esistenza stessa di questi « mondi », per non continuare — con la mistificazione di parziali rinnovamenti —
a conservare queste realtà quasi intatte e a mortificare la vera creatività,
così anche la pedagogia deve arrivare
ad un punto di rottura con i compromessi e aprirsi aWantipedagogia. Come esiste un’anti-letteratura, un’antipittura, un’anti-poesia, così deve esistere un’anti-pedagogia quale segno di
liberazione verso l’autentica ricerca e
riflessione. Quest’evoluzione non ci deve spaventare, se siamo convinti che il
compito della pedagogia è lo studio
dei modi e degli strumenti che ci consentono di aprire l’uomo al mondo di
domani. Si tratta di un processo di
rinnovamento e, nello stesso tempo, di
ritorno alle origini, alla genuinità ed
alla spontaneità, che sono caratteristiche messe ultimamente in luce dal
mondo beat.
Lasciando da parte le implicazioni
negative e marginali purtroppo ben
note del mondo beat, credo che il significato vero di questo movimento sia
da ricercare nella volontà di creare
una cultura nuova in contrapposizione
alla pseudo-cultura di un mondo in
crisi. Ma l’aspetto forse più significativo del movimento beat è il desiderio
di inventare la propria vita, di tuffarsi nella pace e nella semplicità come
beffa alla violenza e alle sovrastrutture della società presente, in una parola di creare. Quest’impegno mi sembra molto importante ai fini del nostro modo di concepire la pedagogia
ed anche in rapporto a quanto l’analisi psicologica ci è venuta dicendo, a
proposito del pensiero divergente!
Conclusione
La realtà che stiamo vivendo apre,
quindi, una strada nuova alla pedagogia; i primi sintomi del cambiamento
traspaiono nei pochi tentativi di coloro che vogliono impostare « strutturalmente » il loro insegnamento e impegnare realmente le capacità e gli strumenti cognitivi dello studente.
Questa forma di lavoro evita naturalmente il pericolo dello spontaneismo, presente in molto attivismo di
second’ordine, perché impegna a fondo l’individuo a penetrare il mondo, a
vedere chiaro nelle cose e in sé, a superare le difficoltà e le contraddizioni
della ricerca. L’uomo prende così anche Coscienza di qqelli che sono i suoi
limiti, i limiti della scienza e della ricerca; si oppone al conformisrno, alla
massificazione delle idee e dei sentimenti; vive una vita più completa in
comunione con gli altri e manifesta
appieno il suo mondo interiore.
Roberto Eynard
mimiiiiiiiiimiiimiiii'iniiiiiiiii
AIGE
donvp^no autunnale
PINEROLO, 26 OTTOBRE 1969
Per rispondere alle richieste di parecchi colleghi, il Convegno Autunnale avrà carattere di
una discussione a gruppi sul a Piano di lavoro
annuale », sia per la Scuola Elementare che
Media a seconda delle Classi e delle Materie.
Ci ritroveremo per il culto nel Tempio Valdese di Pinerolo, Via dei Mille 1, (i presenti
potranno pranzare insieme). Il lavoro per
gruppi avra inizio alle ore 14,30 nello stesso
luogo.
Il Comitato Nazionale A.I.C.E.
LUSERNA S. GIOVANNI
Festa del raccolte
nella Sala Albarin
DOMENICA 19 OTTOBRE
ore 15
esposizione e vendita di prodotti dei campi, offerti dagli
agricoltori di San Giovanni
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da un condimento nella forma più sana, naturale e più adatta al corpo umano, essendo un alimento eccellente che
si raccomanda ad ognuno che si interessi della propria salute.
Per informazioni con listino completo scrivere a: PAOLO SCEVOLA - Casella Postale 426 - 18100 IMPERIA
ONEGLIA.
Parigi (soepi) - La Bibbia in questi giorni
è « scesa nella strada » in Francia, sotto forma di una nuova rivista settimanale illustrata e si trova presso tutti i chioschi ed i
giornalai.
Questa iniziativa è stata presa dal gruppo
editoriale che pubblica la rivista « Donne
d’oggi » a seguito di un’inchiesta, apparsa
recentemente, dalla quale si deduce che, su
duemila francesi interrogati, il 77% dichiara di conoscere la Bibbia ma solo il 14%
poteva affermare di averla letta.
Partendo dal principio che i testi biblici
si presentano attualmente sotto la forma di
libri austeri, sovraccarichi di note e quasi indecifrabili, gli autori della nuova pubblicazione hanno voluto rendere attraenti l’Antico
ed il Nuovo Testamento, e metterli alla portata di tutti. Il testo integrale è stato tra
dotto dal latino e riscritto direttamente in
lìngua francese dallo storico A. Frossart, secondo il testo di S. Gerolamo (La Vulgata),
Ogni fascicolo comprenderà 24 pagine di
testo biblico, illustrate da fotografie a colori
rappresentanti manoscritti (reliquie archeologiche della storia del popolo d’Israele, ve
dute odierne di luoghi biblici, ecc...). A que
sto testo, totalmente privo dì note esplica
live, sarà aggiunto un « Giornale della Bibbia » nel quale degli archeologi, dei teologi
ed altri specialisti daranno quei lumi che
mancano ai profani.
Gli editori della Bibbia modello 70 insistono parimenti sul carattere ecumenico della nuova rivista, che — come essi affermano — ha avuto l’imprimatur della Chiesa cattolica e l’avallo di parecchie personalità
protestanti, quali il pastore Casalis, ed israelite, come lo storico Aron.
IIIMIIIIIIIKMIIMIIMtlNIIIIIIIIIIII
iiiiiiimiimiiiiiiiimiiiiiiiiimiiiiKiiiiiiiii
■iiimiumiiiitiiiiiMiiiMHiiiiiiiiiimiiimiiiiiiiiiiiiiiK
SUL TEMA DELLA PREGHIERA
L'Intercessione di Àbramo
« Ma Abramo rimase ancora davanti all’Eterno >,
(Gen. 18: 22)
La Bibbia considera Àbramo come il padre dei credenti i
quali, in ogni tempo, vivono e operano per fede nella Parola di
Dio; non senza ragione l’apostolo Paolo poteva scrivere queste
parole: « Coloro i quali hanno la fede, son figliuoli di Àbramo e
sono benedetti con lui ».
Uomini di fede e, secondo il nostro testo, uomini di preghie
ra, specialmente nelle situazioni più gravi della storia e della vita
umana. Qui la preghiera di Abramo ha il tono e la forza della in
tercessione, non in favore della sua famiglia o della sua terra,
ma in favore di Sodoma, la città dove la gente « era scellerata e
oltremodo peccatrice contro l'Eterno ». Sotto le quarce di
Mamre, Abramo aveva ricevuto la visita di tre messaggeri, por
tatori di una promessa che si realizzerà in Isacco e nella sua di
scendenza. Nel mondo di Abramo, però, non c’è soltanto la tranquilla dimora di Mamre; c’è anche Sodoma, la città corrotta eci
incredula, dove gli uomini e le donne vivono, godono, faticano e
soffrono senza neppur supporre che i loro giorni sono contât;
da Colui al quale appartengono il giudizio e la misericordia
Lo sguardo di Dio non si posa soltanto su Abramo, si abbas
sa anche sulle città impenitenti: « L’Eterno disse: io scenderò
vedrò se hanno interamente agito secondo il grido che è perve
nuto a me; e, se così non è, lo saprò ». Lo sguardo di Dio è un^ ;
sguardo che giudica e spera; per questa ragione Abramo, invece
di disinteressarsi della sorte di Sodoma, « rimase ancora davanti
—atìr Eterno »-.'<ìion sottovalutiamo il significato-£. la.. portata„di.
queste parole: « ancora davanti all’Eterno » in una preghiera di
intercessione, lunga, stringente, instancabile. Abramo prega per
un mondo peccatore e ribelle, prega perché ha fede nell’Eterno
il destino di Sodoma non lo lascia tranquillo, anzi lo angoscia. Í,
opportuna o ridicola la sua preghiera? C’è ancora una possibilità
di misericordia e di salvezza oppure ogni porta è chiusa, definiti
vamente chiusa? L’intercessione di Abramo diventa una accak>
rata discussione con Dio: « Forse ci sono cinquanta giusti nell,:
città; farai tu perire anche quelli? Farai tu perire il giusto insic
me con l’empio? ». Abramo non è un piccolo dio che discute con
il suo superiore; è un credente davanti a Dio, perciò non alza 1;
voce con sicurezza ma prega con umiltà; « Ecco, prendo Vardin
di parlare al Signore, benché io non sia che polvere e cenere; forse, a quei cinquanta giusti ne mancheranno cinque; distruggerai
tu tutta la città per cinque di meno? E se si troveranno in Sodoma quaranta giusti o trenta o venti o soltanto dieci, perdonerai
tu a quel luogo per amore dei dieci giusti che vi sono?»
•k -k *
La risposta dell’Eterno alla intercessione di Abramo mostra
chiaramente che la salvezza del mondo viene dalla grazia di Dio,
non dalla giustizia degli uomini: « tutti hanno peccato », scrive
Paolo ai Romani, « non v’è alcun giusto, neppure uno » e il solo,
vero mediatore fra Dio e gli uomini è Cristo Gesù.
Tuttavia l’intercessione di Abramo contiene un messaggio
per noi e per la Chiesa cristiana del nostro tempo. La Chiesa che
oggi discute sulla sua missione nel mondo, sottolineando l’aspetto rivoluzionario della sua testimonianza, conosce essa ancora la
preghiera di intercessione per il mondo? In qual misura si può
parlare di una Chiesa o di una comunità di credenti che « rimane
ancora davanti all’Eterno »? In tutte le chiese si parla del mondo
e si richiamano i cristiani al senso della loro responsabilità, attiva e impegnata. Giusto, ma c’è anche un impegno nella preghiera di intercessione a Dio che non può essere sottovalutato, dal
momento che Dio ha dato al mondo «il suo Figliuolo Unigenito,
affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia vita eterna ».
La Chiesa cristiana annunzia al mondo la parola di Dio, ma
deve intercedere presso Dio in favore del mondo; il mondo ha
bisogno di quella preghiera, umile, costante, vigilante. Nella sua
intercessione la comunità dei credenti non intende sostituirsi
al Signore; essa esprime la sua solidarietà con tutti gli uomini e
prega affinché i popoli e le nazioni, gli abitanti delle metropoli e
dei villaggi, le violenze e le ingiustizie, la pace e le guerre, l’incredulità e la corruzione, le colpe e le sofferenze, la fatica e la speranza umana, tutto ciò che cade sotto il giudizio dell’Eterno sia
in qualche modo illuminato e rinnovato dall’Evangelo di Gesù
Cristo talché il mondo « che giace nel maligno » come scrive
l’apostolo Giovanni, conosca anche « Colui che è il vero Dio e
la vita eterna ».
L’intercessione non è una pia evasione dalla realtà della storia, un facile distacco dall’uomo che muore per mancanza di pane
e di libertà. È una presenza reale nel mondo, sull’esempio di
Abramo la cui preghiera divenne addirittura una lotta con Dio,
nelle ore più cupe e disperate.
Oggi la Chiesa cristiana ha il dovere di « rimanere ancora
davanti all’Eterno ». Il Signore attende la preghiera della sua
Chiesa dispersa nel mondo: la preghiera della fede e della intercessione, non quella della superbia o dell’indifferenza umana.
Ermanno Rostan
3
17 ottobre 1969 — N. 41
pag. 3
UNA LUNGA RICERCA CHE NON FA CHE COMINCIARE
L'Africa agli Africani
DA COIRA A ROMA
L'Editore Sansoni ha pubblicato, nel
alaggio scorso, la traduzione italiana
della seconda edizione dell'opera African Nationalism (1), scritta dal leader
nazionalista africano Ndabaningi Sithole, attualmente detenuto nelle carceri rhodesiane dopo esser stato condannato a sei anni di reclusione sotto
l’accusa di « incitamento all’assassinio » del primo ministro della Rhodesia. L’opera è stata interamente riveduta dall’autore nel ’68, dato che i problemi africani si pongono oggi in termini sensibilmente diversi dal ’57, data della prima edizione. L’opera del
Sithole s’impone alla nostra attenzione non foss’altro perché è scritta da
chi ha per molti anni sofferto affinché
la Rhodesia e l’Africa in generale fossero degli africani. L’Autore afferma
neH’introduzione: « è merito del genio
del nazionalismo africano che gli interessi africani abbiano ora la precedenza in Àfrica. Le ingiustizie di parecchi
decenni sono state raddrizzate non soltanto per il bene degli africani, ma an
« Quali che siano le zone isolate di governo straniero in Africa, è soltanto una questione di
tempo prima che queste isole
straniere vengano cancellate dalla carta geografica deU’Africa,
esattamente come avevamo predetto nel 1957, allorché affermammo che ”lo spazio della doininazione” si stava rapidamente
restringendo ovunque in Africa.
Soltanto lo "spazio deU’amicizia”
è in rapida espansione ».
«La minoranza (europea) doveva essere sloggiata dal controllo del potere nell’unico interesse
della maggioranza. È soltanto
.sotto il controllo della maggioranza che bianchi, neri e bruni
possono godere dell’eguaglianza
come cittadini e come individui ».
N. Sithole
chi' per quello degli altri popoli del
mondo, in quanto l'esistenza di un
'continente da sfruttamento' è in sé
una causa basilare di guerra tra coloro che ritengono, per una ragione o
pei l’altra, di avere il diritto di esercitale in pieno i 'diritti di sfruttamento'
che si sono autoattribuiti » (p. IX).
* * *
Nato nel 1920, in un villaggio non
lungi da Bulawayo, Sithole passò parecchi anni — dai sette in poi — in
mezzo a tori e buoi muggenti, pecore,
cepre e agnelli belanti. «La vita del
pastore, egli dice, è tutta una noiosa
sfacchinata ». Poi venne il tempo degli
studi, l'incontro con le scuole di una
missione cristiana e « l’accettazione di
Cristo », che in quel momento rappresentava per Ndabaningi « niente di più
e niente di meno di una distinzione sociale » (p. 9). Più tardi, dopo una breve
esperienza neH’insegnamento, il nostro
si sente chiamato al ministero pastorale e lascia la Rhodesia per gli Stati
Uniti, dove deve completare la sua
preparazione teologica e pratica. Quando ritorna, nel ’58, già si delinea quella che sarà la passione del resto della
sua vita: liberare il suo paese. Assume
incarichi sempre più impegnativi prima nel Congresso nazionale africano,
poi nell’Unione del popolo africano
dello Zimbabwe. Ormai fuori legge, il
nostro si trova al confino al momento
della Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza del ’65.
Ci ricordiamo perfettamente quel
periodo per averlo seguito da vicino,
nello Zambia, come ci ricordiamo perrettamente l’ondata di repressione poliziesca che l’ha preceduto e seguito.
Non dimenticheremo facilmente l’impressione sgradevole ed il senso di vergogna con cui abbiamo dovuto assistere prima alla perquisizione di un afri
« Due Africani del Sud Africa:
«1) Il missionario è venuto
e ci ha detto: “Preghiamo". Noi
abbiamo chiuso gli occhi e, quando alla fine della sua preghiera
abbiamo risposto “Amen", ci siamo trovati nelle mani la Bibbia;
ma, ecco!, la nostra terra se
n’era andata!
«2) Quando gli Europei occuparono il nostro paese, noi
combattemmo con le nostre lance, ma essi ci sconfissero perché
avevano armi migliori^ Ma
ecco ! ; dopo arriva il missionario
e mette esplosivo sotto il colonialismo. La Bibbia sta facendo
ora quello che non potevamo fare con le lance ».
« Cristiani e non cristiani africani hanno raccolto, in varia misura, le benedizioni della fede
cristiana, e così è come dev’essere, poiché Dio stesso invia la
pioggia sul giusto e sull’ingiusto ».
N. Sithole
tmue pressioni poliziesche alle quali
lui ed i suoi sono stati più volte sottoposti?
Le pagine che l’autore dedica alla
descrizione del meccanismo implacabile che ha sempre portato le potenze
occupanti a servire se stesse, a decidere esse ed esse soltanto qual’era « il
bene dell’Africa », sono di un rigore
indiscutibile. Eppure raramente ci è
stato dato di sentire giudizio così duro espresso con tanta pacatezza ed apparentemente senza rancore, da un
africano. Vedere per questo le pagine
dedicate a « La filosofia della supremazia bianca ». Secondo l’Autore il nazionalismo africano non è sorto come una
presa di coscienza tardiva, da parte
delle masse africane, della loro dignità
di figli del continente in cui vivevano.
Al termine del capitolo « L’africano
com’è » il Sithole ritiene di poter affermare: « Abbiamo dimostrato mediante la filologia l'esistenza della libertà prima dell’avvento dei bianchi
in Africa. Mediante la storia abbiamo
inoltre dimostrato come l’Africano lottasse per riconquistare e mantenere la
propria indipendenza, prima e dopo
l’occupazione europea dell'Africa. La
lotta africana per l’indipendenza è altrettanto antica della lotta degli Europei per la propria indipendenza. In
breve, il concetto di libertà politica è
indigeno in Africa come lo stesso indigeno africano » (p. 80). Tutte le organizzazioni politiche africane sono sorte come conseguenza del fallimento
dell’Africano nel riacquistare la sua libertà mediante l’azione militare e come conseguenza dell’amore dell’Africano per la libertà.
Ci pare indiscutibile che il Nostro
sottovaluti alquanto il fattore tribale
che continua a soggiacere anche alle
più belle realizzazioni di certi stati indipendenti africani. Si prenda per
esempio lo Zambia, il cui sviluppo è
pur stato ed è così positivo dopo Tindipendenza, sotto tanti aspetti. Fattore tribale che non può che aver ristretto alquanto il concetto di libertà e di
indipendenza, anche e tanto più prima
della venuta degli europei. Resta però
il fatto che anche i migliori governi
coloniali non hanno saputo, voluto o
potuto operare in modo da rispettare
la personalità africana, pur incoraggiando anche involontariamente il formarsi di una coscienza politica e nazionale più libera daH’influenza tribale
e di clan.
* * *
Che ne è della Chiesa cristiana in
tutto ciò? Il Sithole esaurisce questa
questione in una decina di pagine. Il
che ci pare francamente un po’ poco,
anche se si considera l’economia generale dell’opera. Varrebbe la pena di
esaminare a fondo questo capitolo, ma
ciò non è possibile in questa sede. Basti dire che, secondo il Sithole, la chiesa cristiana, « con l’invio di missioni
religiose educative ed industriali in
Africa, ha allargato l’orizzonte a parecchi Africani. Ha dato là possibilità
a molti di loro di sviluppare le loro
qualità latenti; ha contribuito a scoraggiare l’odio tribale e ad incoraggiare la fratellanza universale (...) L’attuale illuminata guida politica dell’Africa sarebbe stata quasi impossibile
se non fosse stato per la chiesa cristiana, che ha diffuso l’istruzione in parecchie parti dell’Africa » (p. 92).
Certo, il Nostro sottolinea l’importanza essenziale che il messaggio biblico ha avuto per moltissimi africani.
Tuttavia ci pare che non sia sufficiente sottolineare il carattere per così dire « utilitario » dell’Ev^gelo ridotto
un po’ alla scoperta o riscoperta della
dignità dell’individuo di fronte a Dio.
Forse il Sithole non è riuscito a distinguere abbastanza tra influenza dell’Evangelo e « Funzione positiva del colonialismo » (vedere per questo il cap.
10). Non sappiamo se questo sia dovuto ad una certa delusione provata in
seguito al suo contatto con la Chiesa
o ad una certa incomprensione di que
st’ultima per la sua attività politica.
* * *
Nell’ultima parte dell’opera l’autore
cerca di delineare i problemi e le speranze del nazionalismo africano. Non
ci è parso che indichi delle soluzioni
precise per la vita politica africana, limitandosi a sottolineare la necessità
che essa sia dal popolo, del popolo e
per il popolo. In un capitolo che porta
il titolo significativo « Occidente o
« Lo scopo del nazionalismo
africano era quello di creare
un’Africa libera ed indipendente, che avesse una posizione
esclusivamente sua, di amicizia
con l’Occidente i; con rOriente
senza tuttavia inchinarsi a nessuno dei due ».
«Il socialismo “dottrinario"
piarterebbe inevitabilmente ad
una prova di forza tra il popolo
e i suoi governanti e l’Africa
non può correre questo rischio ».
N. Sithole
Oriente?» Sithole rifiuta la scelta obbligata che si vorrebbe far accettare
all’Africa tra uno dei due blocchi. Vorremmo soltanto che, in pratica, tutti
gli stati africani fossero effettivamente
in grado di agire in tutta libertà in
questo senso, il che francamente non
ci pare avvenga in questo momento.
Ed è evidente che le « grandi » potenze hanno qui una grandissima responsabilità negativa.
L’Autore termina indicando in un
socialismo non « donrinario » ma « imperniato sul popolo la via da seguire
in Africa. Egli dice giustamente: « Non
fa parte della formazione dei popoli
africani ricorrere a rigide misure di
conformità, come sono richieste dal
socialismo "dottrinario”. Il loro mondo spirituale ha ancora una forte presa
sulle loro menti (...) Pianificare lo sterniinio di uomini perché non hanno aderito ad una determinata dottrina non
è una caratteristica generale del popolo africano» (p. 201). Una frase che
non manca di un amaro umorismo e
che giriamo volentieri a quanti credono di potersi permettere tale dottrinarismo.
Nel complesso uno scritto utilissimo
per comprendere le attuali tendenze
africane ed una posizione che ci è parsa alquanto equilibrata.
Giovanni Conte
(1) Ndabaningi Sithole - Nazionalismo Africano - Sansoni, Firenze 1969,
p. 202, L. 2.200.
Una lezione tenuta a S. Secondo dal prof. G. Peyronel
Israele eggi
cano con la rivoltella puntata nella
schiena, alle porte di Bulawayo, poi all’interrogatorio minuzioso con cui un
poliziotto ha voluto accertarsi che
Ì'africano che viaggiava con noi non
fosse qualche pericoloso sovversivo.
Come stupirsi se dal tono del Sithole traspare dell’amarezza per le con
La prima delle conferenze del ciclo
previsto dal Comitato prò Collegio è
stata tenuta a San Secondo, nella nuova sala delle attività, dal professore
Giorgio Peyronel, domenica 12 corr.
L’oratore è stato presentato dal pastore Arnaldo Geme, dopo la lettura
di alcuni passi delle Sacre Scritture
ed una preghiera, al folto pubblico (oltre 200 persone).
Il prof. Giorgio Peyronel, docente
universitario di chiara fama, membro
della Tavola Valdese ed appassionato
studioso dei problemi che interessano
molteplici aspetti della vita del nostro
tempo, ha svolto una interessante « lezione » su alcuni aspetti della vita in
Israele, oggi.
Escluso il problema politico-religioso del Sionismo che sarà oggetto di
una « lezione » del prof. Soggin, l’oratore ha enunciato il suo tema che potremmo approssimativamente riferire
con queste parole: come un popolo abbia saputo risolvere i suoi problemi
apparentemente insolubili, sul piano
sociale-economico.
Abbiamo così una presentazione della struttura geografica-geologica, una
epitome storica della dispersione storica del popolo d’Israele e delle sue conseguenze sullo sviluppo economico della regione, una indagine statistica sulle vicende varie dello spopolamento e
ripopolamento.
Questi tre punti vengono trattati dall’oratore con competenza e chiarezza;
il sussidio di diapositive rende più efficace l’esposizione dei vari argomenti
e tiene desta l’attenzione del pubblico
durante due ore.
Di particolare interesse la presentazione dei quattro tipi di insediamento
rurale, degli accorgimenti per risolvere i più ardui problemi della irrigazione razionale.
Parlando ad amici della Scuola, exstudenti, studenti e professori, non ha
mancato l’oratore di prospettare le soluzioni radicali deH’insegnamento universitario in Israele; università con
cinque mila studenti e mille docenti e
primo ciclo scolastico per i figli dei
Beduini.
Delusione sul piano ecumenico; la
ben nota concorrenza di Chiese e riti,
con una vera e propria profanazione
dei luoghi sacri.
Un caldo applauso esprime all’oratore la riconoscenza del pubblico.
* * *
Come annunziato, il presidente del
Comitato dott. Guido Ribet informa i
presenti sull’attività svolta dal Comitato. I quadri del personale insegnante sono al completo; le lezioni h^no
avuto regolare inizio; si è pubblicato
un dépliant per illustrare la funzione
del Collegio; la campagna di impegni
lanciata dal Comitato Amici del Collegio procede regolarmente con buone
prospettive, commovente adesione di
alcune Chiese dell’Italia Meridionale
(Cerignola docetl); è allo studio il problema delle Borse di studio, che si
vuol vedere in un quadro più vasto (in
modo da coprire l’arco completo del
corso di studi: 5 anni di Ginnasio
Liceo più i 4 anni di Università).
* * *
Dopo il Padre Nostro, si sfolla.
rep.
Molto spazio dedicano, in questo periodo, ì giornali quotidiani e settimanali, al Sinodo mondiale dei Vescovi,
aperto TU ottobre a Roma, con un discorso di Paolo VI nella Cappella Sistina. Mentre scriviamo questi appunti, hanno inizio i lavori veri e propri.
I giornalisti che parlano dell’argomento hanno una certa tendenza a
presentarlo in modo drammatico. L’articolo di un valente specialista qual è
Carlo Falconi, sull’« Espresso », è intitolato La Chiesa ferita. Il Sinodo mondiale dei vescovi minaccia di lacerare
irreparabilmente il mondo cattolico.
11 titolo risente forse più delle esigenze di vendita del settimanale che non
delle opinioni dell’autore, il quale nel
corso dell’articolo dimostra, ragionevolmente, che uno scisma è improbabile.
Tuttavia, che discussioni, contrasti,
contestazioni, ottengano alle riunioni
dei vescovi un’attenzione vivace, anche
quando fatti assai più prossimi alla
vita di ognuno, come le agitazioni sindacali, tenderebbero a scolorire Tinteresse dell’argomento, è circostanza
consona all’opinione professata sin
dall’antichità da Eraclito, circa la lotta e la guerra; « La lotta è la regola
del mondo, e la guerra è comune e
generatrice e signora di tutte le cose ».
Se la chiesa di Roma, che il Mazzini
quasi un secolo e mezzo fa vedeva
« incadaverita », è tuttora viva, ciò si
deve in gran parte alla guerra che al
papato hanno mosso la risorgente nazione italiana e il radicalismo anticlericale, alla critica che i modernisti
hanno esercitato nei confronti della
precedente sistemazione teologica, e
da ultimo alTavvivarsi dello spirito
critico in diversi settori del cattolicesimo. Insomma, potremmo dire, « chi
si contesta, gode ».
Falconi rievoca molto opportunamente, per quanto concerne la richiesta che i vescovi fanno da più parti di
essere associati, mediante la formula
della collegialità, al potere esercitato
in forma assoluta dal Papa, e quindi,
praticamente, dalla Curia, il precedente del Concilio di Costanza, il quale,
nella prima metà del secolo XV, decretò che « l’assemblea dei padri della Chiesa, in materia di fede e di morale, aveva più autorità del papa ». Ci
volle poi l’opera abile e tenace di due
papi. Martino V ed Eugenio IV, per
disfare quanto il Concilio di Costanza
aveva fatto.
Questa volta l’avvio ad una riaffermazione di collegialità nell’esercizio
del potere è stato dato da un altro
concilio, il recente Vaticano II, e il
Falconi ravvisa nell’azione dei cardinali Suenens e Montini, il futuro
Paolo VI, nel novembre 1962, il pimto
di partenza da cui sono scaturite conseguenze di grande importanza a questo fine: anzitutto la costituzione apostolica « Lumen Gentium », che ha richiamato l’attenzione sulla Chiesa come « popolo di Dio ».
Tuttavia, caso strano, mentre verso il sommo della piramide gerarchica, Papa e vescovi, una scossa recente
rievoca un’antica scossa sismica, quasi un’onda, trasmessa dal limite settentrionale dell’odierna Svizzera, da
Costanza, fino a Roma; ecco un’altra
scossa recente, con un percorso analogo, interessa la base della piramide,
e cioè il rapporto fra i vescovi stessi
e coloro che a loro volta sono sottoposti ai vescovi, cioè i preti. Quest’altra onda sismica va da Coira (luglio
1969) a Roma (ottobre 1969).
A Coira, dal 6 al 10 luglio, contemporaneamente al Simposio dei vescovi
europei, si è riunita una « assemblea
europea » di preti (in tutto 125 partecipanti), la quale, come hanno riferito
a suo tempo i giornali, ha contestato
ai vescovi il diritto di discutere privatamente fra loro argomenti importanti per l’avvenire della Chiesa. I documenti relativi sono stati raccolti in un
opuscolo, pubblicato recentemente dall’Editore Gribaudi con titolo Coira: un
nuovo prete? Degli stessi avvenimenti,
una valutazione sintetica, di notevole
interesse, anche per il fatto di provenire da fonte diversa, fornisce, nel numero di settembre, « Il Regno - Attualità Cattolica », rivista diretta da Valentino .Comelli s.c.j. In questi giorni
a Roma, com’è noto, parallelamente
al Sinodo dei vescovi, si riunisce una
Assemblea di preti (opportunamente
ospitata nella nostra Facoltà di Teologia), che si rifà al precedente di Coira,
come in certo senso i vescovi si rifanno al precedente di Costanza.
A Costanza, nel ’400, il Concilio dovette rendersi conto del profondo turbamento politico-sociale dell’Europa
cristiana, e fu l’attenzione al significato del momento storico a stimolare
talune sue decisioni. A Coira, tre mesi
fa, si è parlato, da parte dell’assemblea dei preti, della loro inserzione
efficace nel mondo di oggi, anch’esso
turbato politicamente e socialmente,
con la figura del « nuovo prete ».
Riunendosi, provenendo da varie diocesi e da varie parti d’Europa, e chiedendo di essere ascoltati collettivamente dai vescovi, riguardo ai vari
aspetti della loro inserzione nel mondo attuale, sia i preti di Coira che oggi quelli di Roma chiedono sostanzialmente ai vescovi qualcosa di simile a
ciò che i vescovi chiedono al Papa:
cioè di non essere più oggetto delle
decisioni, ma di entrare effettivamente a far parte di quell’insieme, da cui
vengono prese le decisioni.
Quell’insieme è attualmente al cen
tro, come si è detto, la Curia Romana,
cioè il complesso degli organi di governo, le Congregazioni e i Tribunali,
e in senso lato anche i Segretariati e
gli altri organi di governo, le Curie generalizie degli Qrdini, ecc.; alla periferia, sono i vescovi. La Curia Romana
esercita il potere al centro; e a livello
d’esercizio del potere, occorre a un
certo punto che le statuizioni di principio abbiano forma giuridica. Dal
punto di vista dei supremi amministratori, dialogo, collegialità, unità del popolo di Dio, sono cose bellissime, ma
allorché si traducono in strutture corporative e assembleari, Sinodo dei Vescovi ed altri enti presenti o futuri, ci
si domanda; in caso di dissenso del
Papa coi vescovi, o del vescovo coi
suoi preti, cosa si decide?
La collegialità del Sinodo col Papa,
0 dei preti della diocesi col vescovo,
è una cosa bellissima finché tutti vanno d’accordo, ma se il Papa vuole A,
e non è disposto a cambiare, e i vescovi vogliono B, e non sono disposti a
cambiare, che si fa: A o B?
Le proposte degli innovatori, sia fra ■
1 vescovi sia fra i preti, semlira che
vertano in generale sulla costituzione
di assemblee permanenti, che vadano
obbligatoriamente consultate, senza per
questo ledere il principio d’autorità.
Ma chi conosce un po’ la storia sa
quante volte le assemblee consultive,
dopo un po’ che si sono riunite, sono
diventate assemblee deliberative: basti l’esempio famoso degli Stati Generali convocati da Luigi XVI re di Francia, e della Rivoluzione francese che
seguì.
A noi che vediamo le cose dall’esterno, e non siamo né cattolici né giuristi, sembra evidente che la soluzione
di questi complessi problemi si possa
ottenere, da parte del clero cattolico
(e del laicato cattolico, che a sua volta rivendicherà sempre più il diritto
di partecipare responsabilmente alla
vita della Chiesa), guardando i problemi stessi dall’alto e dall’intorno.
Dall’alto, cioè cercando di comprendere qual’è oggi la volontà di Dio per
queste cose. E poiché, per noi cristiani, la volontà di Dio per il giorno di
oggi è comprensibile se leggiamo, con
l’assistenza dello Spirito santo, la
espressione che essa ha avuto, nel
tempo e per ogni tempo, in Cristo e
nei suoi apostoli, si tratta per i nostri
fratelli cattolici di leggere in tal modo, in quella comimione fraterna che
rende sensibile l’opera dello Spirito, la
parola del Vangelo.
Dall’intorno, cioè uscendo dal chiuso dei templi e dei palazzi, in cui sempre ci si illude di imprigionare la potenza del Signore e l’efficacia del suo
Spirito. Lo Spirito, invece, soffia dove
vuole, e in questo momento soffia più
forte dove templi e palazzi sono più
rari ed estranei: nel terzo mondo, fra
i non-cristiani, fra gli atei, nelle periferie industriali. Infatti i cristiani oggi non si identificano più, come al
tempo di Gesù, con gli oppressi, ma
assai più volentieri con gli oppressori. Noi non siamo d’accordo con coloro che vogliono fare della teologia
un’appendice della sociologia, e considerare il Vangelo in funzione di una
tendenza politica populistica, scartando quanto non gli fa comodo a tal fine.
Non c’è, del resto, bisogno di impostare le questioni teologiche in questo
modo errato, per comprendere che
Gesù non può essere un alleato degli
oppressori: basta leggere il Vangelo.
E ovvio che la parte del clero più sensibile a quest’aspetto della realtà e del
messaggio evangelico siano i preti, le
cui istanze, quindi, hanno anche carattere sociale.
Mirando perciò a questo mondo,
esterno non come all’obiettivo di strategie più o meno sociologicamente calibrate, ma come al luogo dove lo Spirito li chiama, con quel suono rauco
come di verito impetuoso che sceglie
talvolta per manifestarsi, prelati e
monsignori troveran forse meno sgradevoli le voci dei preti contestatori.
Per tutte le Chiese:
saper intendere
la volontà del Signore
Queste cose, a noi, dal nostro punto
di osservazione, sembrano evidenti.
Ma basta l’esperienza dei nostri Sinodi valdesi per comprendere come sia
difficile rendere operanti tali principi.
Qgni nostra seduta sinodale inizia
con un culto. Ma quando si passa alle
discussioni sui regolamenti, e i giuristi fanno la parte loro, cercando di
inquadrare le questioni nei loro schemi, e coloro che non sono tecnici cercano semplicemente di dare forma generale alle loro istanze particolari,
quant’è la residua efficacia della parola di Dio?
Nel giudicare le difficoltà della Chiesa Romana, che poi sono, a un certo
punto, difficoltà di tutta la Chiesa, e
nel valutare il Sinodo dei Vescovi e la
Assemblea dei preti, come non possiamo prescindere dalla nostra esperienza della parola di Dio e della realtà
che abbiamo dintorno, così dobbiamo
tener conto dell’esperienza che facciamo nella nostra Chiesa, che pure è una
Chiesa in cùi i laici sono presenti in
Sinodo.
Con questo spirito possiamo augurare al Sinodo dei vescovi, come un
vescovo ha augurato al nostro Sinodo, di saper intendere la volontà del
Signore.
Augusto Comba
4
pag
N. 41 — 17 ottobre 1969
IN SICILIA A QUASI DUE ANNI DAL SISMA
La ricostruzione, peggio del terremoto?
La maggior parte di noi potrebbe
abbastanza facilmente riesumare dalle profondità della memoria le immagini, a seconda dei casi definite commoventi, allucinanti o pietose, del terremoto che colpi nel gennaio dello
scorso anno un'ampia fascia della Sicilia. E inevitabilmente insieme a questo ricorderemo anche, forse con una
punta di soddisfazione, che, pur essendo lontani centinaia di chilometri e
tenendo conto delle nostre limitate
possibilità, abbiamo in vario modo
aderito alle iniziative pubbliche e private che si preoccupavano di far pervenire nella zona « viveri, medicinali e
coperte per sopperire alle necessità
più urgenti delle popolazioni terremotate », in ossequienza ad una formula
che pare funzioni in tutte le parti del
mondo.
Dopo i primi attimi di smarrimento
abbiamo assistito dagli schermi della
televisione e dalle telefoto dei giornali alla erezione delle tendopoli, che si
sono evolute in baraccopoli e quindi,
almeno nelle intenzioni, in casopoli.
Avviandoci^ verso il secondo anno da
quella luttuosa calamità:, è nostra intenzione presentare una documentazione che ci è pervenuta in questi giorni dalla Sicilia.
Si tratta del numero di settembre
del mensile « Pianificazione Siciliana »,
che si trova al suo quarto anno di attività e riprende le pubblicazioni, dopo un anno di pausa forzata, dedicandosi comprensibilmente in maniera
specifica al problema dei terremotati.
Il manifesto a firma di mille cittadini di Roccamena, con cui si apre il
giornale e che riportiamo integralmente al termine di questo intervento, afferma:
« Abbiamo costruito in tutto il mondo: ora vogliamo costruire un mondo
nuovo, nella nostra terra, cori il nostro
lavoro, con la nostra intelligenza: chi
ci ostacola è un assassino.
« Non chiediamo elemosine. Vogliamo: costruire le nostre case e le nostre dighe; creare industrie, case, boschi; avere scuole e ospedali per tutti; educare i nostri figli, trasformare
la nostra terra; valorizzare i nostri
prodotti; vivere da uomini liberi.
« Chi ce lo impedisce è un assassino ».
Il fatto che si siano scritte frasi di
questo tenore credo possa indurre almeno il sospetto che la situazione non
sia del tutto normalizzata a partire
dal gennaio 1968 fino al settembre '69,
il che corrisponde, secondo il calendario Gregoriano, a qualcosa come
venti mesi, i quali sono almeno serviti
ad ingigantire le montagne di rifiuti
intorno alla Baraccopoli di Castelvetrano, che nella attuale topografia
provvisoria risponde al nome di Villaggio Belvedere. Della situazione attuale vogliamo presentare due aspetti: ricostruzione e sviluppo, con particolare riferimento alla Valle del Belice, in cui si trovano paesi come Partanna, Gibellina, Salaparuta, Montevago e Roccamena, divenuti a suo tempo tristemente famosi.
а) RICOSTRUZIONE.
Nella Valle gli abitanti da trasferire
sono più di 85 mila ed i vani da ricostruire di sana pianta sono 122 mila
(le domande presentate fino a maggio
in venti paesi della Valle ne interessano 150 mila), senza contare tutte le
opere di urbanizzazione.
Per avviare la ricostruzione sono necessarie le seguenti operazioni:
1) definire le aree di nuova urbanizzazione (cioè scegliere e delimitare
il posto in cui dovrà essere trasferito
tutto o parte dell'abitato di ogni comune terremotato);
2) procedere all'esproprio;
3) progettare le opere di urbanizzazione;
4) urbanizzare (cioè realizzare le
opere una volta progettate);
5) lottizzare le aree edifìcabili;
б) procedere alla assegnazione di
esse.
Dopo aver fatto queste operazioni
potranno iniziare le progettazioni da
parte dei privati. Ma non è finita qui.
Infatti, secondo la attuale burocrazia,
ogni pratica per la ricostruzione di
una casa di abitazione dovrà fare il seguente cammino: dal privato al Comune, da questo al Genio Civile, poi all'Ispettorato per la Zona terremotata,
da qui alla Ragioneria Generale dello
Stato, poi alla Corte dei Conti ed infine all'Ufficio Provinciale del Tesoro,
dal quale la pratica, se tutto va bene,
viene restituita al Comune e da questi al privato perché inizi i lavori.
Al momento attuale, sono stati approvati i regolamenti edilizi, con annessi programmi di fabbricazione, di
tutti i comuni terremotati, fuorché Gibellina, Salaparuta, Poggioreale e Calatafimi; sono stati avviati gli espropri (secondo chilometro della lunga
strada verso delle case in muratura)
soltanto nei quattro comuni di S. Ninfa, Sambuca di Sicilia, Contessa Entellina e Vita, e, in -certo senso, per
gli stessi comuni, la progettazione delle opere di urbanizzazione.
h) SVILUPPO.
« Purtroppo il problema di fondo si
trascura a Gibellina come iri tutti gli
altri paesi della Valle del Belice; ovunque si parla di ricostruzione, ma nessuno dei responsabili ha il coraggio o
la volontà di affrontare il problema se
chi dovrà abitarle (le case) avrà anche
la possibilità di lavorare o se dovrà
abbandonare la casa nuova per ritornare in una baracca di emigrato in
Svizzera o in Germania. Nessun elemento fa sperare che si voglia abbandonare la strategia classica di mantenere in queste zone un comodo serbatoio di mano d’opera a buon prezzo ».
Come strumenti per evitare tale beffa colossale, vengono indicati da un lato lo sviluppo agricolo (costruire dighe
per irrigare 24.600 ettari di terra, liberarsi delle culture di basso reddito,
ammodernare le tecniche e socializzare la gestione), dall'altro lo sviluppo
industriale agricolo ed extra-agricolo,
che deve evitare le tragiche conse
d! Luca ZarottI
guenze dell'emigrazione forzata dovuta alla inevitabile diminuzione della
mano d'opera impiegata nella agricoltura, che oggi ammonta ancora al 50
per cento delle forze produttive. Infatti con la ricostruzioyie devono essere
investiti circa 180 miliardi. « Dove andranno questi 180 miliardi? Data l’inesistenza quasi totale di produzione di
materiale destinato alla ricostruzione
in zona, data l’assenza di una robusta
organizzazione di imprese edili modernamente attrezzate, circa il 60% dei
180 miliardi è destinato a cascare dal
fondo del nostro sacco nelle mani del
capitalismo del Nord attraverso le imprese, le attrezzature, i materiali necessari alla ricostruzione provenienti
dall’esterno. Circa il 15% dei 180 miliardi se lo riprenderà dalla bocca del
sacco la mano pubblica sotto forma
di tasse e tributi di vario genere, sui
materiali, sui trasporti, ecc... Almeno
il 5% dei 180 miliardi andrà fuori dalla zona per progettazione, personale
qualificato, ecc... Solo il 20% dei 180
miliardi andrà nelle mani della popolazione della Valle, soprattutto sotto
forma di salario. Cosa avverrà di questo salario? Con la casa nuova si ac
Contro la fame
degli altri
Mentre ci auguriamo che il
ritmo delle sottoscrizioni per
il « Centre familial évangélique » del Gabon ci consenta
una nuova pubblicazione di offerte nel prossimo numero,
preghiamo indirizzarle possibilmente al conto corr. postale
n. 2/39878 intestato a Roberto
Peyrot, corso Moncalieri 70,
Torino. Grazie.
FERRERÒ
Nel tempio di Perrero si sono sposati il
28 giugno Ugo Collet, di Pomaretto e Ines
Massel di Perrero. Diciamo ancora agli sposi i migliori auguri di benedizioni nel Signore.
Ringraziamo vivamente il prof. C. Tron ed
il past. A. Janavel, che hanno voluto presiedere i nostri culti il 7 e il 21 settembre. La
comunità è particolarmente grata al pastore
Janavel per la sua visita memore del ministerio ch’egli ha svolto nel suo seno.
Il 30 settembre ha avuto luogo il funerale
della nostra sorella Alina Peyran, nata Micol,
del Resse, spentasi all'età di 65 anni. Alla sua
famiglia rinnoviamo l'espressione della nostra
profonda simpatia.
L’il ottobre è stato celebrato il matrimonio
di Vilma Ferrerò, già residente a Grangetto e
Guido Riceli, già residente a Campo Clot, i
quali si stabiliranno a Pomaretto. Rinnoviamo
loro i nostri fraterni auguri di una vita benedetta dal Signore.
quisterà il mobilio nuovo, elettrodomestici, qualche vestito, ecc... Il 90%
del denaro andato alla zona sotto forma di salario cadrà fuori dalla zona,
soprattutto al Nord, per consumi. Insomma se la ricostruzione si effettuasse senza un piano di sviluppo industriale, oltre che agricolo, ci resterebbero:
— le abitazioni;
— 20.000 persone specializzate e qualificate nel processo di ricostruzione,
senza lavoro;
— nessun tessuto produttivo nuovo
capace di sviluppare nuovo lavoro e
nuovo reddito.
I 20.000 che, man mano, si troverebbero senza lavoro sarebbero forzati ad
abbandonare la nostra zona per andare al Nord o all’estero ».
L'industria della Valle del Belice viene vista quindi articolata nel modo seguente: industrie di trasformazione
dei prodotti agricoli (cantine, oleifici,
caseifìci, ecc...), industrie legate alla ricostruzione ( imprese edili, laterizi,
carpenteria, ecc...) e industrie legate
ai consumi (mobilio, abbigliamento,
elettrodomestici, ecc...).
Di fronte a queste analisi, da una
parte sta il Piano di intervento per
l'agricoltura elaborato dall'ESA (Ente
preposto allo sviluppo deUa agricoltura), dall'altra non sta il Piano di sviluppo per la ripresa economica e sociale della zona terremotata previsto
dall'articolo 59 della legge 18 marzo
1968 n. 241, che avrebbe dovuto essere
approntato dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione
economica) entro il 1968.
« Ma anche la popolazione ha i suoi
piani... e continua a ripetere quello
che mille Roccamenesi hanno scritto
a Saragat »:
Il giudizio popolare di Roccamena
Abbiamo costruito in tutto il mondo: ora vogliamo costruire un mondo
nuovo, nella nostra terra, con il nostro
lavoro, con la nostra intelligenza: chi
ci ostacola è un assassino.
Non chiediamo elemosine. Vogliamo:
— costruire le nostre case e le nostre dighe;
— creare industrie, strade, boschi;
— avere scuole e ospedali per tutti;
— educare i nostri figli;
— trasformare la nostra terra;
— valorizzare i nostri prodotti;
— vivere da uomini liberi.
Chi ce lo impedisce è un assassino.
Non vogliamo passaporti per le città estere: della nostra zona possiamo
e vogliamo fare una città.
Chi ce lo impedisce è un assassino.
Strade, acqua, luce nelle campagne.
Ricostruzione e sviluppo senza mafia.
Terra irrigata a chi la lavora.
Chi ce lo impedisce è un assassino.
Tutto questo è necessario subito;
chi non fa il suo dovere subito è un
assassino: va messo in galera.
Chi ci ostacola, chi impedisce lo sviluppo della nostra vita:
1) Ministri, Assessori Regionali, Presidenti di Enti pubblici. Uomini Politici - quando se ne infischiano - quando sono ignoranti - quando sono mafiosi - quando fanno a scarica barile quando sono vigliacchi - quando non
mantengono gli impegni - quando coltivano la clientela - quando sono corrotti e corruttori - quando rubano il
potere al popolo - quando non ascoltano la parola del popolo - quando
tengono il popolo nell’ignoranza.
2) I Lecnici, gli esperti, i burocrati quando si asserviscono ai potenti quando si lasciano corrompere - quando sono complici - quando non informano il popolo dei delitti del governo quando cercano il prestigio e la potenza - quando non lavorano in continuo contatto con la popolazione.
3) Tutti quelli che sanno - quando
fingono di non sapere - quando fanno
i « fatti propri » - quando diventano
galoppini - quando rinunciano alla loro dignità di persone e strisciano ai
piedi dei ricchi - quando non faticano
col resto del popolo per inventare e
costruire un mondo nuovo.
Ritardando la costruzione delle dighe sui due rami del Belice, Garcia e
Piano di Campo, i governi succedutisi
dal 1960 ad ora hanno commesso contro la zona e contro la nazione i seguenti delitti:
— Hanno buttato e continuano a
butttare a mare, consapevolmente, dal
1960, 17 miliardi ogni anno; negli ultimi 8 anni hanno buttato a mare 136
miliardi.
— Hanno impedito che 170.000 persone (gli abitanti di Roccamena, Corleone, Camporeale, Contessa Entellina,
S. Giuseppe Lato, Sancipirello, Piana
degli Albanesi, Campofiorito, Chiusa
Sclafani, Giuliana, S. Margherita Belice, Montevago, Salaparuta, Gibellin.a,
Poggioreale, Partanna, Castelvetrano,
Campobello di Mazara) passassero da
un livello subumano di vita a un livello umano con lavoro e prospettiva
per tutti.
— Hanno reso tragica e insoppoi labile la vita a 20.000 famiglie, spezzandole con l’emigrazione.
Mille Roccamenesi
« In pace io mi coricherò e in
pace dormirò, perché tu solo,
o Eterno, mi fai abitare in
sicurtà» (Salmo 4: 3)
La famiglia della compianta
Alina Peyran nata Micol
riconoscente per la testimonianza di
simpatia ricevuta in occasione della
dipartita della sua amata congiunta,
ringrazia di cuore quanti in qualsiasi
modo hanno preso parte al suo dolore
ed in particolare i pastori A. e L. Deodato e L. Rivoire.
Ferrerò (Bessé), 3 ottobre 1969
I LE¥¥ORI CI <E $l> SCRIVONO
In margine ad una
consacrazione
Un lettore, da Losanna:
L’Eco-Luce dell’8 agosto u. s. ha annunciato che il solo candidato al ministero pastorale di quest’anno, Reymond de Rham, ha studiato teologia a
Lo.sanna ed è cittadino svizzero.
Mia intenzione non è tanto di far
presente che non è la prima volta che
un cittadino svizzero è consacrato a
Torre Pellice (vi è un precedente: la
consacrazione di Jean-François Rebeaud nel 1965), ma di ricordare, poiché l’occasione me ne è offerta, che un
certo numero di pastori italiani hanno
frequentato o coronato i loro studi
alla Faculté libre de théologie de Lausanne.
Nella pubblicazione: Les 100 ans de
la Faculté de Théologie de VEglise
libre 1847-1947 figurano nel novero
degli studenti i seguenti nomi: Turin
Davis 1847-1848, Malan Guillaume
1847-50. Malan Théophile 1862-63, Revel Eugène 1862-63, Mede 1864-65,
Tourn Edouard 1894-95, Tourn C.
1910, Trogolo Joseph 1936, tutti provenienti dalle Valli valdesi; nonché
quelli di Giannini Edoardo 1873-74,
Diaz France.sco da Lugo 1881, Bossi
Luigi da Intra 1896-97, Chiari Italo
1901, Cacciapuoti Nestore da Villarica
1902, Della 'Torre Fabio da Isola 1903,
Tallero S. da Castino d’Alba 1903,
Schiavoni 1903, Taliero Samuele da
Castino d’Alba 1907, Zampieri Pietro
da Prato 1908, Cavalleria da Rampolla
1916, Pons Vittorio da Ortonova 1936.
La pubblicazione ricorda inoltre che
Charles Chàtelanat ed Eugène Bridel
— due personalità del protestantismo
vodese — hanno dato alle stampe, il
primo nel 1865 una Etude historique
sur l’origine des Vaudois du Piémont,
il secondo nel 1886 un lavoro De l’origine des Vaudois du Piémont.
In seguito alla fusione delTEglise
libre e dell’Eglise nationale vaudoise,
la Facoltà libera ha chiuso i suoi battenti. Oggi la Faculté de théologie dell’Università di Lausanne è l’unica del
cantone; è frequentata da una sessantina di studenti, in media, divisi in
tre corsi : I. IL III, quest’ultimo raggruppa gli studenti del terzo e quarto
anno.
/. Rossetti
Uno strappo
alle regole?
Un lettore^ da Milano:
Caro direttore.
devo protestare contro la leggerezza
con cui VEcO'LtCce si è fatto portavoce
delle accuse di antisemitismo distribuite dal prof. Soggin. Libero ognuno di
pensarla come crede, non però di servirsi della nostra stampa per lanciare
accuse così infamanti su di una base
inevitabilmente soggettiva. Si può dissentire senza cadere nella diffamazione
e neirinsulto è per questo sono rimasto
estcrefatto sentendo usare in pieno Sinodo un’accusa così carica di emotività
e gravità come quella di antisemitismo
e sono addoloralo vedendola ripresa
sulle colonne àùVEco-Luce. Esprimo
quindi il mìo rammarico per questo
strappo alle regole del vivere civile e
del rispetto per il fratello anche nel
dissenso che VEco-Luce ha sempre cercato di coltivare; e spero che le future
polemiche giornalistiche possano avere
più forza, ma più dignità.
Giorgio Rochat
Mi pare che nella sua risposta all’ultima domanda che gli avevamo intenzionalmente posto, il prof. Soggin ah
hia ben chiarito in qual senso parlasse
di antisemitismo: pratico, non dottrinario, indiretto, ma non per questo insignificante, per quanto involontario;
Vantisemitismo ha molti volti e li muta col mutare delle epoche, delle situazioni e delle passioni. Se forse il nostro
collaboratore non ha sufficientemente
distinto fra antisemitismo e antisionismo, non vedo nel suo intervento una
diffamazione. Gino Conte
Ancora
sulla Resistenza
nelle Valli Vaidesi
Un lettore, da Villar Perosa:
Anche il mio nome è stato chiamato
in causa dalla sig.ra Donatella Gay Rochat (a pag. 164 del volume che ha
dedicato alla Resistenza nelle Valli
Valdesi) come quello di un Pastore
che prende posizione in senso molto
negativo nei confronti della Resistenza.
La scrittrice deve essere incorsa in
un malinteso e avere scambiato per
ostilità contro la Resistenza — che in
quel tempo non si chiamava così —
la mia ostilità verso la guerra, verso
qualunque guerra, dì qualunque tempo.
Ho sempre predicato che l’Evangelo
non ammette la guerra ed ho sempre
esortato i miei catecumeni a non lasciarsi mai convincere, da nessuno, che
una guerra possa esser voluta da Dio.
Si può essere costretti ad andare in
guerra e neppure l’Evangelo esorta i
soldati alla ribellione, ma nella nostra
coscienza dobbiamo sapere che la guerra è un male che Dio non vuole. Comportatevi come potrete e soprattutto
pregando sempre intensamente il Signore. Ho sempre visto una grande differenza tra i soldati credenti e quelli
soltanto animati dal desiderio umano e
passionale di abbattere il nemico.
Questo fatto poteva ingenerare negli
osservatori superficiali dei malintesi;
come anche il fatto particolare che più
di una volta pregai dei capi partigiani
di evitare certi atti di sabotaggio in
prossimità della nostra Rorà per evitare
crudeli rappresaglie sulla popolazione
civile ed inerme; come, ancora, il fatto che mia madre, che conosceva bene
la lingua tedesca, andò qualche volta a
[ parlamentare con i comandi in occasione di rastrellamenti, per convincerli
che Rorà non aveva responsabilità al, cuna negli atti bellici che eran com; piuti da gente di passaggio...
Fui avvertito un giorno dal sacerdote cattolico locale, col quale ero in fraj terni rapporti di amicizia, che il mio
nome doveva esser scritto sull’elenco
j di quelli che dovevano esser « fatti
I fuori » come elementi sospetti. Intervenne allora per me la vedova di un
nobile Partigiano caduto poco tempo
prima ; a prezzo di una lunga e pericoI iosa camminata tra le gole montane
: andò a perorare la mia causa presso un
^ comando Garibaldino; intervennero pure altri partigiani Valdesi che militavaI no in quel movimento e fui salvo. Non
ho dimenticato ancor oggi che, dopo
che a Dio, debbo a loro se sono ancora
in vita...
In concreto, alla fine della guerra, il
consuntivo del tempo bellico si trovò
per noi ad esser questo :
1) Sessantacinque case bruciate in
occasione di rastrellamenti;
2) Minimo il numero dei caduti,
mentre nella precedente guerra europea, Rorà era stato il Comune d’Italia
che aveva dato la proporzione maggiore di caduti per la patria;
3) Nessuna mai, in Rorà, di quelle
esecuzioni da parte dei nazi-fascisti che
funestarono tante altre parrocchie e località;
4) Centinaia dì partigiani e dì sfollati trovarono rifugio in Rorà durante il
tempo di guerra e nessuno mai vi fu
catturato: tutti avevano il loro nascondiglio in qualche buca del monte, anche
il Pastore aveva il suo e più di una
volta dei partigiani, sorpresi in centro
dall’arrivo di un rastrellamento, vi trovarono scampo.
In più di un caso anche il mio intervento era riuscito a salvare questa o
quella persona in pericolo...
E posso ora serenamente comprendere che in quei giorni atroci di guerra
qualche povero partigiano inasprito
dalle sofferenze e dall’odore della polvere, possa aver scambiato il mio atteggiamento riservato e alieno dal toccare
qualunque arma, con quella di un uomo ostile e nemico; ma mi è meno facile di comprendere oggi il giudizio
della sorella Donatella Rochat.
Come deve comportarsi in tempo di
guerra un Pastore che deve solo servire la pace di Cristo?
Non posso ad ogni modo altrimenti
e resto quello che fui già nel lontano
1921 quando, giovane studente Valdese a Vercelli, contestavo contro i miei
compagni di studio che si davano con
fanatismo ai fasci di combattimento e
raccontavano ogni mattina le loro prodezze della sera precedente, con i
manganelli, nei paesi della pianura circostante. Resto ostile alla violenza ed
alla guerra, a qualunque guerra. Tale
fui anche in tempo di guerra quando da
tutte le parti ero minacciato e tale
spero di poter restare anche in tempo
di pace.
Enrico Geymet,
pastore Valdese
Grazie, Cadetti,
per il culto radio
Una lettrice, da Torre Pellice:
Al cullo radio, Domenica mattina,
mi sono unita con un sentimento tutto
speciale dì comunione alFinno di lode
cantato dal gruppo giovanile c ho aggiunto un grazie di cuore al Signore,
per questa testimonianza.
Non era un sermone, ma l’espressione di fede, non ignara dell’incertezza
della nostra vita: sconcertata talvolta
dal silenzio di Dio, eppure radicala nella certezza dell'amore divino e della
Sua fedeltà. Meditato in questo scambio fraterno di riflessioni e di canti
appropriatamente intercalati, il Salmo
130 m’è parso più personale e tutto lo
svolgimento di questa testimonianza di
fede giovanile mi lascia un sentimento
profondo di speranza. Il negro spiritual
era davvero l’espressione migliore della
speranza dei miseri schiavi, che aspettavano la gioia, solo nella città celeste.
Io spero che un giorno invece della
liturgia « tradizionale » un nostro culto sdnizi con una testimonianza di fede giovanile di questo genere.
A proposito di questa rottura con la
staticità compassata della tradizione, ricordo che, in un recente viaggio in
Israele, a Gerusalemme abbiamo assistito, la sera di sabato 4 ottobre, a danze religiose: doni Rabbini ballavano
con la Torà nelle braccia, rinchiusa in
bellissimi scrigni d'argento! Questo mi
ricordò il racconto di 2 Samuele 6.
quando il re Davide danzava a tutta
forza davanti alFEterno, e il disprezzo
di Mical, figlia di Saul! Però anche in
queste danze religiose s’indovinava un
profondo sentimento di fede c di gioia,
ed era un grande onore, da parte <lei
Rabbini di Gerusalemme di offrire in
tal modo alla folla. Israeliana e straniera. la Legge divina.
Graziella ¡alla
I
Siamo lieti di questa impressione sul
culto evangelico radiotrasmesso domenica 12 ottobre, che condividiamo pienamenle.
5
17 ottobre 1969 — N. 41
pag. 5
Conflííh senza soluzioni?
Per una estensione pedagogica
dei segreto professionaie
È un falto ormai accolto anche dai misoneisti più retrivi, che lo sviluppo armonioso
biella personalità umana trova 1 maggiori
contrasti non tanto nella ostilità materiale
deirambiente, quanto nei dissensi, nei conHilti e nelle oppressioni di natura psichica
in mezzo ai quali noi viviamo. Il martirio
non consiste tanto in una tortura fìsica, alla
(juale la persona può resistere, spesso fìno
airultimo respiro, quanto in una umiliazione morale, quasi un crivello di raffinate
persecuzioni sul piano mentale, e in un impoverimento interiore vero e proprio, i quali vengono imposti dal difuori con il proposito appunto di vanifìcare Tinnata esigenza
della giustizia, di far ammutolire la voce
della coscienza, di spegnere nella vittima
<1 nella luce dello spirito che giustamente è
slata chiamala la « scintilla divina ». Lo ricordano gli orrori dei campi di concentrajiienlo nazisti, dove la tecnica della « riduzione della persona umana all’animale » non
eidje più limiti. E, per attenerci ad esempi
j)iù comuni, chi non ha letto le vicende di
matrimoni falliti, semplicemente perché la
personalità del marito musicista era come
otÌesa e mortificata dalla moglie sciattona e
c iMilinga, o perché la finezza e l’educazione
(i' IIa moglie non riuscivano ad assuefarsi allí \olgarità (anche solo verbali) del marito?
Questi casi, che la giurisprudenza americ-ma chiama « crudeltà mentali » e che noi
i dichiamo più semplicemente come « in( .rmpatibiiilà di carattere » (vedansi Socrate
I Santippe!) non sono sempre il frutto di un
■ Aesciamento «epidermico» dei rapporti di
t Ileranza reciproca che ogni essere umano
ivrebbe instaurare nei suoi contatti con il
j ‘)Ssimo (mariti-mogli; genitori-figli), co
i\-c si vorrebbe oggi sotto la bandiera della
(• mlestazione marcusiana; ma corrispondono
V lamente a degli stati d’animo reali, in cui
’ -cnso di oppressione, la malinconia pe1 ine, il cruccio che corrode, l’infelicità che
I jviene daH‘incomprensione, possono davve1 londurre. prima allo sfinimento e alla de( lonza irrimediabile della persona umana,
f ;(oi anche alla follia — od al suicidio.
^ Ji« *
cimili osservazioni mi accadeva di fare, in
i ■- -ti giorni, a proposito dì taluni aspetti
i. ; « segreto professionale ». Sotto la spinta
(i ili avvenimenti, il concetto della segretezza
0 ;eiale, che non ho bisogno di spiegare, e
iato arricchendosi ed anche modificandosi,
l’i ;• degli elementi che non sono soltanto la
cc’iseguenza di un nuovo modo di pensare
ci ile (certo, non siamo più all’età della pieli i: e. per riferirci alla donna, la sua persoli dità non è più schiava di quella dell uomo
ozi tutt’altro!) ma sono soprattutto l’espressione di un approfondimento dei doveri
fondamentali di ogni individuo nei cdnfronI' (lei suoi simili. Mi limito a segnalare tre
( i. recentemente registrati, a proposito dei
( ali non mi sembra dubbio che tutto un .as ilo tradizionale del « segreto professiona
1 r) debba essere riveduto.
I caso
Ecco i! primo episodio. In una città d’Ita. un ragazzo di scuola media si esprime,
j un tema di componimento, con una certa
1 imiardosità nei confronti di Dio, addiritIr.¡a — l’incauto! — formulando l’opinione
(■)"• Dio debba rammaricarsi di aver creato
il mondo cosi come è attualmente (tra parent» {jueslo ((rammarico» di Dio per i misfatti
d. ; genere umano è una delle costanti della
B iihia. 11 ragazzo è dunque, almeno, in reggia perfetta con la rivelazione scritturale).
Gl 1 che cosa accade? Il docente di italiano
fn convocare il consiglio dei professori e in
<|i;:Ulro e quattr’otto il ragazzo è « sospeso
]j(M- due anni da tutte le scuole ». Soltanto in
segnilo an un intervento massiccio di autorità del luogo, la punizione è abrogata.
Ora. dico io. quel docente ha dunque improvvisamente perduto il senno ? Chi ha mai
autorizzato un professore, dico un pedagogista (così dovrebbe essere) a violare il segreto
dr! pensiero e eventualmente della critica
clic un alunno sedicenne ha scritto in tutta
iìdncia. nel desiderio di « confidarsi » senza
risi'rve a qualcuno, attraverso lo svolgimento
d('l tema assegnatoli ?
\ prescindere dall’età del suo autore, il
componimento letterario è un prodotto dell ingegno e come tale va tutelato (ci sono
le leggi sul diritto (Bautore). Propalare il conIcnnlo di tale prodotto, senza previa intesa
con rautorc. è reato; diffonderne i concetti
ira persone che, per un malinteso senso della
loro vocazione, se ne faranno un’arma contro
Bau [ore. è reato più vile ancora.
Ma lasciamo andare la giurisprudenza !
INon si è reso conto, quel docente sprovveduto
che semmai, con dolcezza, con carità, con senso di paterna (ipporliuiìtà. avrebbe dovuto ragionare con Balunno, intendere i motivi
clu' erano alla base del suo angosciato, veramente desolalo argomentare ; e che ad ogni
modo quanto lo studente aveva affidato alla
Carla era un segreto che nessuno avrebbe dovuto rivelare ? Docenti di quel tipo, per i
<piali la pedagogia è la grande sconosciuta,
che si ritengono i don Chisciotte dell’ordine
stal)ililo. manomettono irrimediabilmente la
fiducia che i discepoli hanno riposta in loro
(so mai l’abbiano avuta !).
II caso
Un secondo caso, che non mi sembra meno
grave, è il seguente. In una famiglia composta di padre, madre, due figli e una figlia,
quest’ullìma. studentessa, pensa un giorno di
essersi innamorata. Cose che accadono, no ?
In quei casi, per chi prova il bisogno di confidarsi con qualcuno, c’è la mamma. Così la
giovinetta, colta l’occasione, si intrattiene
con sua madre e le parla a lungo del suo “ragazzo”. La madre ascolta, dà qualche consiglio
più o meno assennato (come si potrà capire
da quel che segue); e con un sorriso, il col
loquio ha fine. Poi, a sera, tutta la famigliola è a tavola.
E lì, in mezzo al silenzio generale, la madre si mette a parlare, a spiattellare (è il caso di dirlo : spiattellare) il discorso che qualche ora prima le ha fatto la figlia, e a mettere in mostra, in un modo che non sapresti se
più sciocco o più sadico, ì sentimenti della
figliuola, lo svegliarsi in lei delle prime segrete speranze. Poi, come se non bastasse
(la giovinetta veste un pochino « pop »), rincara la dose : « credo che quel ragazzo ti trovi ridicola, con quelle catenelle, con quegli
anelli; io, se fossi al suo posto, mi guarderei
bene dal rivolgerti la parola! » Amarezza di
una madre a cui il « refoulement » ha fatto
uno scherzo ? Comunque sia, finita la sfuriata della madre, i fratelli e il padre si fanno
arditi e vengono dì rincalzo; e la ragazza è
li, indifesa, di fronte a dei congiunti, che per
un momento si divertono, come una muta di
cani, a recarle dolore, a ferirla, a straziarla.
Più tardi essa mi scrìverà: «ne soffro, tacendo, profondamente ».
Anche qui, siamo fuori strada. Che specie
di madre è quella donna che, dopo aver accolto le confidenze della figliuola, le va divulgando, sia pure soltanto in famiglia (ma
si sa quanto spesso i fratelli siano dei persecutori della loro sorella!). Sarà magari una
diplomata in economia domestica, ma non è
certo che sia una buona madre. È da augurarle che la cosa non si complichi; ma se così dovesse accadere, nessun dubbio che il torto sia suo. I genitori (padre e madre) hanno
da attenersi al « segreto professionale » per
le confidenze loro fatte dai figli: non chiedano comprensione, se essi stessi non ne hanno
mostrata, non pretendano che i loro figli siano educati se essi stessi si sono ineducatamente comportati nei loro riguardi ; se
sono stati i primi a infrangerla, non rimpiangano la perduta unità familiare, alla quale
i giovani presto avranno sostituito lo schiamazzo, il linguaggio irriverente, la presa in
giro, la beffa per i «semifreddi», di cui, fuori delle mura di casa, il mondo è prodigo.
Ili caso
Il terzo caso è quello del « segreto professionale » dei confessori ecclesiastici. Lo ha
riportato sul tappeto, non molto tempo.fa, un
libro di Ignazio Silone, che abbiamo potuto
rivedere sugli schermi televisivi italiani :
« Il segreto di Luca ». In un villaggio della
Marsica abruzzese, un prete sa che un ergastolano è innocente; ma per delle ragioni di
« quiete pubblica » tace, finche il vero colpevole, in punto di morte, non confessa la verità.
Ora è evidente che gli ecclesiastici, di
qualsiasi confessione, ì quali ricevono spesso
delle confidenze gravissime sotto il suggello
del segreto, non sono tenuti a rivelarlo a
chicchessia. Ci mancherebbe altro ! Ci sono
talora dei segreti che potrebbero distruggere
la felicità, la vita stessa di persone innocenti.
QuelLatteggiaraento non è soltanto lodevole :
è doveroso.
Ma non si può non aggiungere che, proprio
a motivo della sua assoluta segretezza, la confessione ecclesiastica ha degli aspetti negativi
che ne annullano il valore positivo. Anzitutto, per chi si è confessato. È noto che la confessione ecclesiastica viene purtroppo considerata, da chi l'ha praticata, come un vero e
proprio discarico di coscienza. Si dice : « la
colpa è confessata al sacerdote, cioè a Dio. E
chi meglio di Dio può Valutare la gravità di
una colpa? » Il fatto è che, apunto, Dio non
ha bisogno di quella confessione per conoscere le colpe deH’uomo : già le conosce, già le
ha viste, proprio da quando erano ancora nella mente del peccatore. E allora? Allora, accade quanto era da prevedersi : a chi si è
confessato al sacerdote, cioè a Dio, viene lentamente, ma inevitabilmente a mancare la
buona volontà di affrontare la propria vittima
per confessarsi a lei ed ottenerne il perdono.
È questo, bisogna riconoscerlo, un autentico
crollo morale. La coscienza, pacificata con il
sacerdote (con Dio?), si addormenta. Nel
Sermone sul monte Gesù aveva detto: «se
hai qualche cosa contro qualcuno, recati da
lui e confessagli il peso del tuo cuore; poi,
soltanto dopo di ciò, rècati all’altare per offrirvi la tua offerta a Dio », E’ chiaro che
per l’Evangelo ralibi morale non esiste.
E per colui che ha raccolto la confessione
del colpevole? Ci sarebbe da dire una quantità di cose, di cui i retroscena della storia
della Chiesa sono pieni. Basti qui os.servare
che il segreto a cui il sacerdote è legato può
portare degli innocenti a delle condanne inique; può rovinare uomini, famiglie ed anche ambienti, determinando quelle « deviazioni storiche » a cui giustamente alluse lo
storico cattolico Ludwig von Pastor; non si
ri.solve in una edificazione della comunità
dei credenti, ma provoca facilmente l’estraneità sempre più completa della Chiesa dalla educazione alla verità e alla giustizia, dalle vive correnti del pensiero e dai primordiali .sentimenti ed affetti che agitano il
cuore deiruomo. E non è neppur escluso che
coloro ai quali un tremendo segreto è stato
affidato, siano intimamente persuasi dell’assurdità morale del silenzio ad ogni costo, dal
quale sorgono, chiare ed insistenti, le voci
degli innocenti che il segreto ha ingiustamente colpiti. 11 contrasto interiore che affiora in quei casi non corrode certo meno di
un pesante rimor-so!
* *
Il terzo esempio, a differenza degli altri
due, dovrebbe dunque mostrare la necessità
di una maggiore « duttilità » del segreto professionale? No: ma vuol semplicemente puntualizzare una esigenza morale primaria, e
cioè che, quando un segreto ponga in giuoco l’innocenza di chicchessia, colui che ne
è il detentore ha lo strettissimo dovere di
osare l’inosabile, perchè sia fatta giustizia,
prima che sia troppo tardi. E la coscienza,
A Roma, un attontani inceidioriD
alla aostra libreria di Cultara Religiosa
Un gruppo di giovani neofascisti ha tentato di distruggere la libreria, per il dispetto
che l’attigua Facoltà valdese di teologia avesse ospitato i preti «contestatori*
Sono le 17 e una quieta e luminosa
sera d’ottobre cala sulla Piazza Cavour, a Roma, il 9 u. s. In un angolo
della piazza, quasi di fronte al Palazzo di Giustizia e a fianco della facciata della chiesa valdese, la Libreria di
Cultura Religiosa, da molti anni al servizio della diffusione del pensiero protestante nella città e in Italia. La signorina Elena Senn è dietro il banco,
intenta al suo lavoro quotidiano di responsabile; la libreria è momentaneamente vuota, c’è solo il signor Paolo
Soltesz, il custode del contiguo tempio valdese.
AH’improvviso, sotto una gragnuola
di sassi s’infrangono tutte le vetrine,
i ripiani crollano con gran fracasso.
Subito dopo la porta si spalanca e vm
giovane scalmanato getta all’interno
della libreria un candelotto incendiario. Una prima vampata, ma il signor
Soltesz afferra la bomba prima che
esploda e la lancia fuori sulla piazza,
dove fortunatamente non transitava
nessuno. La prontezza di spirito e il
coraggio di questo gesto hanno evitato vittime umane e la distruzione totale della libreria, poiché si può immaginare quel che una bomba incendiaria può determinare in un vano, relativamente ristretto, sovraccarico di
libri.
Intanto la ’squadracela’ si è volatilizzata, benché ne! giro di pochi minuti la zona si sia popolata di camionette della polizia, chiamata da un passante. Ma sono rimasti dei volantini,
a documentare rintenzione dell’attentato, rivolto con irò l’Assemblea dei
preti europei, riuniti nell’Aula magna
della Facoltà valdese di teologia, all’estremo opposto del medesimo isolato. Ecco il testo di questi volantini
rmilllllliniliilillilillllliilliiliiii
I CATTOLICI TRADIZIONALI
VIA DA ROMA
I NUOVI ERETICI!
La migliore gioventù cattolica,
disgustata per il provocante e insultante raduno dei 'preti ribelli'
nella santa città di Roma, già
consacrata dal martirio dei primi veri cristiani, si oppone alla
sacrilega e blasfema pagliacciata e con la santa violenza, quella
stessa che usò il Cristo per scacciare dal tempio del Padre suo i
cambiavaluta, noi manifestiamo
e diamo prova della vera fede
nell'unica Chiesa Cattolica Apostolica Romana, affinché il gregge di Dio non creda di essere stato abbandonato nelle diaboliche
grinfie di un pugno di avventurieri che, facendosi scudo del sacro abito, cercano per loro utile
di distruggere la fede nella vera
Chiesa di Roma.
Fratelli diletti, non siete soli
nella lottai
Noi, forti dell'aiuto divino, sfidiamo i falsi preti a calpestare
le autentiche leggi consacrate
dalla divina rivelazione.
Il volantino non era firmato, ma dalle indagini della polizia è poi risultato
stampato nella tipografia del movimento giovanile neofascista « Giovane
Italia », e appartenenti a questo movimento sono risultati gli attentatori,
che sono stati identificati nel giro di
alcuni giorni e denunciati a piede libero. Sono tutti studenti, fra i 17 e
i 20 anni, di famiglie abbienti della capitale.
Resta difficile comprendere perché
essi se la siano presa con la libreria,
a parte la vigorosa riprovazione per il
mezzo di protesta che hanno scelto, indegno e vile, incuranti di mettere a repentaglio vite umane. Che cosa sarà,
nelle sue responsabilità, domani, questa intellighentsia (!) in formazione?
Grazie a Dio non vi sono stati danni
alle persone, mentre quelli alla libreria sono considerevoli, sia per le vetrine, sia in pubblicazioni. Ma in quest’occasione penosa è stato dato di
scorgere segni rallegranti e di constatare la stima cordiale che da parte di
molti circonda la libreria. Oltre alle
espressioni di viva simpatia delTAssemblea dei preti europei, molti hanno offerto il loro aiuto, e sono cominciate a giungere offerte; alcune case
editrici haimo manifestato la loro solidarietà e una signora cattolica è venuta appositamente a chiedere scusa
per il gesto cristianamente inqualificabile. Spiace notare che, mentre il fatto
ha avuto rilievo sulla stampa nazionale e internazionale (la notizia era stata raccolta e diffusa da vari dispacci
di agenzia e molti corrispondenti sono
venuti per interviste), ufficialmente si
è taciuto da parte vaticana, anche se
non si può dubitare che vi si deplorino gesti come questo.
Riconoscenti che il danno sia stato
minore di quanto avrebbe potuto essere, confidiamo che con l’aiuto di molti
la Libreria di Cultura Religiosa possa
presto riaprire « come prima e meglio
di prima » le sue finestre e la sua porta a un servizio prezioso e, lo si è visto, apprezzato. È l’augurio che facciamo con cordiale simpatia, in particolare alla signorina Senn e al signor
Soltesz, il quale è stato, lo si può ben
dire, « l’uomo giusto al posto giusto ».
g. c.
imiioiliiilllliliiiimiiiiiiiimiiMiiiiiiiiiiiMiMiiiMiiiiiMMiiiiiiiiiiMiniiiiiiii
imiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
A Torre
Pellice
Esigenza dello studio della Bibbia
Nel corso dei niesi estivi, durante il
culto del giovedì sera nell’Aula Sinodale, i
pastori Sonelli e R" lagno hanno introdotto
alcuni argomenti di ,drande attualità, oggetto
poi di interessanti e talora costruttive discussioni: Valore delia tradizione — Il rinnovamento della Chièsa — La torre di Babele — Il cielo è di Dio e la terra è dell’uomo? — La Bibbia, incontro del credente
con Dio — La Bibbia, parola di Dio — Come leggere la Bibbia.
Nei quartieri di Inverso Rolandi, Chabriols, Ravadera e Simound, anche quest’anno hanno avuto luogo le tradizionali riunioni domenicali sotto i castagni.
Abbiamo avuto in mezzo a noi due ospiti
particolarmente graditi, il Pastore Delmo Rostan, Moderatore della Mesa Vaidense Rioplatense ed il signor Alfredo Janavel, Pastore della Comunità Valdese di New York, che
hanno presieduto j culti del 24 e del 31 agosto e nella Sala delle Attività hanno parlato
ed illustrato con l’aiuto d; diapositive alcuni
aspetti della vita delle loro comunità.
Per la prima volta è stato organizzato un
corso estivo dell’Asilo Infantile dal 21 luglio al 20 settembre, anche per i bambini
dei villeggianti. La direzione è stata assunta
dalla signorina Ombretta Arnoulet che dirigerà l’As’lo anche nel periodo invernale.
Il Comitato delle accoglienze ha avuto la
gioia di organizzare nel salone della Foresterìa alcuni amichevoli r'cevimenti di graditi ospiti stranieri: una quarantina dì giovani francesi (Provenza), cinquanta Diaconesse di St. Loup e una ventina di giovani
tedeschi di Celle (Hannover) che si preparano al ministerio pastorale senza avere compiuto gli studi classici. E^i hanno parlato
delle loro esperienze, della loro fede» delle
loro speranze, in termini moderni e commoventi e hanno cantato alcuni inni con
accompagnamento di chitarre. Ricordiamo
anche il film a colori delle Diaconesse di
St. Loup in cui un cineasta svizzero ha illustrato con tocchi artistici, altamente qualificati la loro vita¿ le svariate attività, la testimonianza negli ospedali e nel mondo il rapido susseguirsi delle stagioni, la natura che
le circonda.
Ringraziamo il Moderatore Neri Giampiccoli per il messaggio sempre apprezzato, che
ogni anno rivolge affa nostra Común tà, nel
periodo presinodale. E grazie ai Cadetti di
Agape che ci hanno fatto udire una ventina
di inni del loro Nuovo Canzoniere. Grande
ll■llMl<lIllllm■lllllllll1lll<llm>IlIl■
A
Pinache
Riunione annuale dei faldesi di Oeimania
Domenica 21 settembre si è riunita nella
comunità valdese-luterana di Pinache (Wiirtlenberg) l’assemblea annuale dei rappresentané delle numerose comunità di origine valdese sparse in Germania.
n culto solenne di apertura venne presieduto dairOberkirchenrat Kiihlewein del Baden, il quale offri ai presenti una predicazione vigorosa ed edificante, intesa a ricordare ai valdesi la loro missione sempre valida, anche nel mondo moderno, e a conservare alla Parola di Dio tutta la sua importanza e tutta la sua attualità.
Nella seduta successiva, vennero risolti i
consueti problemi amministrativi della as.sociazione. Il presidente dei « Deutsche
Waldenser », pastore Schofer, parlò anche
dei rapporti con le Valli Valdesi e accennò
all’importante problema dei loro Istituti di
istruzione di Torre Pellice e di Pomaretto.
Il pranzo segui con Pinvito presso le varie famiglie della comunità, di tutti i 150
ospiti presenti.
Nel pomeriggio, giunti anche coloro che
non avevano potuto essere presenti al mattino, si riuni una numerosa assemblea nel
■salone delle attività.
Rappresentavano la chie.sa valde.se d’Italia
l’intelligenza, soprattutto il cuore, ne troveranno certamente la via : la via migliore.
11 verdetto del nostro tempo — che probabilmente i posteri ricorderanno per una
sola cosa, veramente grande e bella, e degna di esser tenuta a mente: il suo smisurato anelito, quasi un disperato appello, alla
giustizia, a tutta la giustizia per ogni uomo
— è quanto mai preciso; colui che tace contro la giustizia, come coloro che calpestano
la fiducia posta in loro dai minimi di questo
mondo, tutti mostrano di essere, non già dei
figliuoli degli uomini, ma dei disumani.
r. b.
un numeroso gruppo proveniente da Villar
Perosa, i pastori Edoardo Micol e Roberto
Jahier a questo fine invitati, il moderatore
del S. America Delmo Rostan ed il candidato
in teologia L. Deodato. Dopo i messaggi delle autorità presenti, pastore di Pinache, sindaco di Pinache e il past. Schofer presidente dei valdesi di Germania, la parola venne
data al gruppo di Villar Perosa-Pinasca ed
amici che li accompagnavano — Suor Susanna, Suor Ermellina, Prof. Balma e Geymet, Ins. Long, ecc. — i quali dopo aver
cantato un inno a quattro voci, rivolsero a
mezzo del proprio Pastore un messaggio alla
Assemblea, spesso interrotto da applausi, nel
quale perorarono particolarmente la causa
del Collegio e della Scuola Latina.
Seguirono altri interventi dedicali all’atteggiamento dei Valdesi di fronte alle tendenze contestatrici moderne.
Attorno ad una ricca merenda offerta ai
presenti, si moltiplicarono le conversazioni
amichevoli e le promesse di aiuto per il Collegio c per altre opere della cara antica patria delle Valli, che gran parte dei presenti
già conoscevano per e.sserci venuti in varie
precedenti circostanze.
Conclude la giornata una fervente preghiera del pastore Allinger, il quale domanda a
Dio di benedire le scuole delle Valli Valdesi
d’Italia che, come sempre, costituiscono un
importante strumento della loro Chiesa per
il servizio di .Dio.
Il momento del commiato è giunto c ci si
saluta tutti con effusione ripetendoci soprattutto un cordiale e prossimo — molto prossimo — arrivederci.
E ciascuno torna alla sua casa, ma non
tutti andranno tanto presto a dormire... In
molti casi le conversazioni della giornata si
prolungarono fino a tarda ora della notte.
Ringraziamo Dio per questa splendida
giornata di Pinache. L’amore fraterno è veramente una grande benedizione.
è stato il successo anche se la notizia della
loro venuta a Torre Pellice si era diffusa
solo alcune ore prima.
Domenica sera 5 ottobre dtirante l’assemblea di Chiesa, il doti. Loris Bein delegato
al Sinodo, ha letto la sua relazione che verrà discussa argomento per argomento, in varie altre assemblee; si è tracciato un programma di lavoro basato suUo studio e suUa
meditazione della Bibbia. Sottolineando tale
esigenza e prendendo lo spunto da una proposta del prof. Augusto Armand-Hugon, il
Pastore Rostagno ha parlato della formazione di gruppi familiari che studino insieme
la parola di Dio aU’inizlo sotto la guida del
Pastore. Infine il sig. Geraldo Mathieu ha
presentato un esauriente bilancio preventivo.
Alcuni membri dj Chiesa hanno manifestato il desiderio che la relazione annua venisse presentata prima delle vacanze estive,
come un tempo, ma l’usanza di presentarla
a ottobre è stata introdotta da qualche anno,
per espresso desiderio delPassemblea, anche
perché ogni membro di Chiesa potesse averne
una copia. Purtroppo non era stampata neanche per il 5 ottobre, per delle ragioni indipendenti dal Concistoro; era infatti pronta
fin dai primi di settembre.
Due riuscite manifestazioni artistiche a
beneficio del Collegio Valdese hanno avuto
luogo durante la settimana del Snodo: un
concerto di organo, violino e cori con la
partecipazione del Maestro Ferrucc'o Corsani, del violinista Ezio Rampa dalla Ch'esa di
Genova e della nostra Corale.
Un dramma olandese: «La buona speranza » presentato dalla filodrammat ca « Giuseppe Casini » con la regia della signora
Elena Corsani e del prof. Alberto Gabella.
L'8 ottobre un gruppo di giovani svizzeri
di Zurigo, accompagnati dal loro Pastore
Walter Dedi, ha vis tato Torre Pellice.
Battesimi: Paola Armanda Costa di Giuseppe e di M rella Ricca; Crist'na Rivoir di
Giorgio e di Luisa Zorgnotti; Peter Charles
Walker di Richard John e di Milvia Munzi;
Alessandra Antonella Avondetto di Silvio e
d; Ida Monne! ; Alberto Lazzero di Francesco
e di Marisa Bounous.
Dipartenze: Hanno lasciato nel lutto i loro cari: Giulio Gay (Villa 2); Melania Pellegrin ved. Favai (S. Margherita); Armida
Turin ved. Ribet (da Torino); Ettore Costantino (S. Margherita); Pietro Pons; Delfina
Gay in Gottero (Villa 2). A tutte le famiglie afflitte esprimiamo la viva simpatia della nostra Comunità.
Da Dieulefit (Francia) ci è giunta la notizia della dipartenza del signor Alberto Pons
nativo di Torre Pellice a cui è rimasto sempre legato da profondi vincoli affettivi. Alla
sua famiglia lontana e alla sorella Elena Pons
(quartiere di Santa Margherita) esprimiamo hi
nostra profonda simpatìa e la nostra solidarietà.
In memoria di Alberto Pons la famìglia offre L. 10.000 per la Chiesa di Torre Pellice.
Lina Varese
AVVISI ECONOMICI
FAMILLE médecin cherche aide de ménage
gentille et consciencieuse. Quartier salubre, pas de travaux pénibles. Prière de
faire offre avec prétentions. Détails suivront. - M.me Bach, Chemin du Réservoir. 7 - 1012 Lausanne.
6
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N. 41 — 17 ottobre 1969
La Chiesa nel mondo
a cura di Roberto Peyrot
La Conferenza annuale
della Chiesa Metodista
Polacca
Varsavia (soepi) — Diffondere più
largamente la proclamazione dell’Evangelo, promuovere lo scambio dei
teologi, accrescere il contributo volontario dei membri di chiesa ed approfondire la vita spirituale: sono stati
questi i principali temi dibattuti dalla
Conferenza annuale della Chiesa metodista della Repubblica popolare polacca, che si è recentemente tenuta a
Varsavia. La relazione pubblicata al
termine della Conferenza sottolinea
che l’obiettivo della Chiesa rimane immutato, anche se i metodi preconizzati
per realizzarlo sono modificati in parte. Base di questo nuovo orientamento dei sistemi è la stabilità che dovrà
servire alla chiesa metodista come
punto di partenza .p>er il suo sviluppo
futuro.
Nel terzo giorno della sessione vi è
stata una seduta solenne dedicata al
25“ anniversario della Repubblica popolare polacca (ecco un modo di “fare
politica" da parte della Chiesa che non
ci piace molto!) ed al 30” anniversario
dell’inizio della seconda guerra mondiale. Nella sua allocuzione il pastore
A. Kuczma, direttore della scuola di
lingua inglese di Varsavia,' ha ricordato la somma di sofferenze causate da
quella guerra durante la quale sono
morti ben sei milioni di polacchi: questa dolorosa esperienza deve incitare
la Polonia ed i cristiani polacchi ad
impegnarsi fermamente per la pace e
a garantire una pace stabile in Europa e nel mondo intero.
Erano presenti parecchi rappresentanti di altre Chiese. Il rappresentante del segretariato di Stato per le questioni ecclesiastiche ha esposto all’assemblea la situazione giuridica delle
Chiese minoritarie nello stato socialista.
DIMINUISCE
LA STAMPA CATTOLICA U.S.A.
TRANNE QUELLA DESTINATA
AGLI UOMINI D AFFARI
New York (Relazioni Religiose) — Il
totale delle copie dei quotidiani e delle riviste cattoliche vendute negli Stati
nel corso del 1968 ammonta a 26 milioni 661.706 contro i 28.772.098 vendute
nel corso del 1967. In percentuale la
diminuzione è del 7% circa. Negli Stati Uniti le copie dei 141 giornali venduti hanno raggiunto una somma di
6.312.226, il che rappresenta una diminuzione di poco superiore al 7%, mentre il numero delle varie riviste vendute in tutta l’America del Nord ha
raggiunto i 20.168.206 copie, pari ad
una diminuzione del 7,5%. Ma non tutta la stampa cattolica ha subito una
flessione negli Stati Uniti e nel Canadá. Sono aumentate del 17% circa le
vendite delle 50 riviste per gli uomini
d’affari e professionisti, delle quali alcune sono state fondate da poco.
LA POLITICA NEL CULTO
IN SVEZIA?
Stoccolma (bip) - Si è recentemente tenuto, presso il Centro di Sigtuna in Svezia,
un colloquio religioso il cui tema era l’informazione. Durante questo incontro, è stato
deciso che non si deve esitare nell’abbordare problemi sociali e politici durante i
culti.
E’ indispensabile che i cristiani assumano un impegno politico, senza peraltro dover
appartenere ad un partito, ha dichiarato il
giurista Wiemark. Egli ha soggiunto che le
generazioni più anziane non gradivano queste prese di posizione, ma che occorre risvegliare le giovani comunità cristiane ed
aprirle a tutti i problemi del mondo.
SOLDATI AMERICANI CONTRARI
ALLA GUERRA NEL VIETNAM
SI RIFUGIANO
IN UNA CHIESA A HONOLULU
Honolulu (spr) — Ventidue soldati americani che rifiutavano di riprendere il servizio
attivo nel Vietnam hanno cercato asilo nella
chiesa di Crossroads (Chiesa unita del Cristo) a Honolulu. I dirigenti di questa chiesa hanno dato il loro assenso uffic'ale a che
i soldati e le loro famiglie soggiornino nell'edificio.
L'i< asilo » iniziò il 5 agosto u. s., quando
un aviatore USA cercò la protezione morale
della Chiesa di fronte alle autorità militari.
Una settimana dopo si formò un gruppo di
undici soldati, j quali redassero una dichiarazione in cui definivano la guerra nel Vietnam « immorale e illegale ».
Si ignora ancora quali misure le autorità
abinaino preso; ma il Comandante dei Marines del Pacifico aveva affermato che non vi
era alcun piano circa l'invio di truppe per
fare evacuare i contestatori.
PRIMO INCONTRO
FRA GIORNALISTI CRISTIANI
DELL’EST E DELL’OVEST
Siofok. Ungheria (soepi) - Un centinaio
di giornalisti protestanti, ortodossi c cattolici
giunti da tutta l’Europa hanno partecipato
a Siofok, in Ungheria, dal 17 al 20 settembre all’incontro del Circolo europeo di studi
di informazione protestante.
Invitati dal Cec in Ungheria, hanno ascoltato le relazioni dei vescovi E. Oltlyk (luterano) e T. Bartha (riformato) sul tema:
« Il servizio delle Chiese fra Est e Ovest ».
L’incontro, il primo del genere fra Est e
Ovest, ha eonsentito dei fruttuosi scambi di
idee. I giornalisti sono stati rieevuti dalla
Associazione della stampa ungherese fondata
nel 1954.
Il Circolo europèo di studi di informazione protestante, le cui attività si sono fin
qui limitate all’Europa occidentale, ha trovato una nuova dimensione dopo questo incontro. D’ora innanzi si chiamerà « Circolo
ecumenico di studi per l’informazione in Europa » e terrà la sua prossima sessione a Ginevra nell’ottobre 1970.
MILLE PARROCCHIE ORTODOSSE
GRECHE
PRIVE DI PRETI
Atene (soepi) - Il <c Santo Sinodo » della
chiesa greca ha pubblicato una enciclica nella quale si insiste sul fatto che oltre mille
parrocchie sono senza preti; perciò « esso incoraggia ed invita i giovani credenti, virtuosi ed istruiti a rispondere a questa divina
vocazione ».
L’enciclica afferma che dopo i precedenti
appelli del 1967 e del 1968 circa 150 giovani si sono fatti preti.
Per soddisfare alle necessità del popolo
cristiano in Grecia — prosegue l’enciclica
— occorrerebbe disporre, nello spazio di cinque anni, di 400 nuovi preti ed in seguito,
di 200 ogni anno. Vengono proposte due
soluzioni :
1) Il contributo di tutti i cristiani,
specie degli studenti in teologia « che debbono essere generosi e consacrarsi al servizio
pastorale. Il nostro popolo ha gran bisogno
di pastori che possano effettivamente quidarlo verso la verità delVEvangelo in un
mondo così assetato della parola di Cristo ».
2) L’altra soluzione è quella di limitare le capacità richieste nei candidati, dice
l’enciclica ; <c Oggi il mondo ha bisogno di
preti istruiti, ma la Chiesa, di fronte a questa grande carenza di pastori, è costretta ad
essere più corriva e comprensiva ed anche
meno esigente per quanto riguarda l’istruzione dei futuri preti ».
Riuniti a Montpellier trenta docenti delie Facoltà teologiche dei paesi latini
ANa scoparla dal djfficile aquilM
fra ricarca iatellettuala e iaipagao easianriait
Si avvicina l'apertura del nuovo anno accademico della nostra Facoltà di Teologia, a Roma: come annunciato, il decano prof. Bruno
Corsani terrà la prolusione sabato 1 novembre.
Purtroppo, mentre lo scorso anno vi è stato un
buon numero di nuove iscrizioni, a tutt’oggi si
ha notizia di una sola iscrizione al I anno, quella di un giovane battista; speriamo negli iscritti
dell'ultima ora... Intanto abbiamo avuto cono
scenza di un documento preparato a conclusione di un Incontro delle Facoltà teologiche dei
paesi latini, tenutosi dal 24 al 27 settembre a
Montpellier e al quale ha partecipato il prof. B.
Corsani. Riproduciamo tale documento, che ci
pare di vivo interesse e ci fa sentire che i problemi dibattuti, anche negli ultimi Sinodi, a
proposito dell'attività della nostra Facoltà teologica sono veramente problemi ovunque sentiti profondamente.
Ci siamo ritrovati, trenta professori delle Facoltà di Bruxelles, Ginevra, Losanna, Montpellier, Neuchâtel,
Parigi, Roma e Strasburgo.
Avevamo in programma due relazioni generali — Luna del padre de
Certeau sulla natura e sul senso della
contestazione, l’altra sullo studente in
teologia visto da psicanalisti —-, sedute
settoriali e plenarie su un inventario
della situazione e un tentativo di individuare le prospettive delle nostre
Facoltà.
1. - Docenti e discenti
Il maggio 1968 ha scoperto nelle università il ricorso alla violenza, che si è
sostituita a una parola che non sembrava più potere esprimere la verità
profonda dei conflitti a livello dei docenti come a quello dei discenti; ci troviamo dinanzi a una sovrabbondanza
di analisi teoriche e a un’impotenza di
realizzazione pratica. Questo squilibrio, presente ovunque nel mondo universitario, è raddoppiato nelle Facoltà
di teologia, ove l'unità del "dire” e del
“fare", caratteristica della Parola di
coltà (corsi integrati, seminari comuDio, è tanto difficile da vivere nelle
nostre esistenze di uomini.
Gli psicanalisti ci hanno presentato
due considerazioni relative alle motivazioni espresse dagli studenti in teologia da essi incontrati: da un lato il
iiiiiimiiiiiinmirniiiiiii
HIMIUHHIKIHIIHtIHIIIIimitlllllli
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
PERSEGUITATO
PER CAUSA DELLA GIUSTIZIA
...ALL’ EST
« Il generale d’aviazione Vilem Stanovscky è stato riabilitato venerdì 10 ottobre,
dal tribunale militare di Pribram (Cecoslovacchia).
Ben conosciuto dai vecchi combattenti francesi, comandante della Legión d’onore, insignito di numerose decorazioni militari francesi, fra cui la croce di guerra aveva combattuto in Francia durante la guerra 1914-18, e
s’era fatti numerosi amici francesi fra i detenuti del campo di concentramento di Dachau,
in cui fu incarcerato per un periodo di cinque
anni e mezzo.
Dopo la guerra, il generale occupò, in Cecoslovacchia, la carica di direttore dell’aviazione civile. Ma nel 1954 venne condannato
a una pena di 17 anni di prigione, per tradimento e spionaggio. Dopo anni 7% di detenzione, diretti ad espiare la condanna, egli venne liberato. Ma solo venerdì 10 ottobre è
giunta la sua completa riabilitazione, con la
cessazione della sentenza del 1954 ».
(Da « Le Monde » del 14-10-1969).
...E PERSEGUITATI
... ALL’OVEST
È in corso a Chicago il processo contro
otto esponenti e militanti di diversi movimenti della cosiddetta « nuova sinistra » americana, ormai noti e autodefinitisi come « la Cospirazione » (The Conspiracy), « sotto l’imputazione di aver promosso, nell’agosto ’68, le
manifestazioni che ebbero luogo in occasione
della Convenzione per la nomina del candidato presidenziale del Partito Democratico.
Gl’imputati sono: Tom Hayden, primo presidente della SDS ( = Students for a Democratic Society); Rennie Davis, il più popolare
organizzatore delle comunità di poveri a Chicago; Dave Dallingher, pacifista radicale e
co-presidente insieme con John Froines e Lee
Weiner del "Comitato rmzionale di mobilitazione contro la guerra in Vietnam"; Bobby
Seale, presidente della "Black Party of California”; e infine .ferry Rubin e Abie Hoffman, fondatori del " non-partito Yppie "
(Youth International Party) una specie di
gruppo “provo” che usa la guerriglia psicologica in azione politiche. Gli otto imputati
sono tutti accusati di "aver viaggiato attraverso gli Stati americani con l’intento d’incitare, promuovere, incoraggiare, partecipare e
sviluppare un RIOT ( = sommossa)”, e precisamente accusati sulla base di una nuova
legge federale espressamente approvata nell’aprile 1968 con l’intento di prevenire le manifestazioni (“antiriot act”), neutralizzando e
immobilizzando i cosiddetti “agitatori esterni”.
Già fin dalle prime battute, il processo contro “The Conspiracy” si profila come un avvenimento esclusivamente politico e di dibattito
costituzionale, per il carattere esemplare che,
da una parte e dall’altra, si attribuisce alla
vicenda giudiziaria. Per il regime che a Chicago è incarnato dal sindaco Daley e dalla
sua ben nota macchina di potere, a cui è
stata ufficialmente fatta risalire la responsabilità degli scontri e delle violenze dell’anno
scorso, si tratta di mettere in atto un ulteriore
strumento di repressione attraverso l’applicazione, per la prima volta, di una legge che è
in palese contraddizione con le più elementari libertà civili di manifestazione e di dissenso, così come sono codificate e garantite
dallo stesso Primo Emendamento della costituzione americana. Per gli otto “cospiratori”,
rappresentanti una parte significativa delle
diverse componenti dei movimenti di opposizione organizzata delle minoranze radicali bianche e nere, il processo non è soltanto la necessità di autodifesa personale contro la violenza istituzionale che ormai fantasiosamente
si manifesta attraverso molteplici espressioni,
ma soprattutto e l’occasione di una mobilitazione politica (a livello legale, dell'azione diretta nelle strade, e nella radicalizzazione dell’opinione pubblica) dell’opposizione extraparlamentare.
La settimana agl’inizi del corr. mese sono
affluiti a Chicago migliaia di manifestanti, che
hanno dato luogo alle prime agitazioni. Quello che dovrebbe rappresentare un nuovo giro di
vite nei confronti delle organizzazioni della
nuova sinistra e dei loro più capaci dirigenti,
è probabile che invece si trasformi in un processo al regime, in un'atmosfera di mobilitazione di massa simile a quella del 1968, ed in
un clima che tende sempre più a ricalcare,
nelle intenzioni di una parte della classe dirigente americana, la strada di Joe MeCarthy
degli anni Cinquanta ».
(Da « L’Astrolabio » del 5-10-1969).
desiderio di consolare gli altri in un
mondo pieno di angoscia, dall’altro la
contestazione e il "militantismo” politico. Queste motivazioni ci mettono
in questione su due piani: L’insegnamento teorico ha una presa esistenziale sufficiente? Quale rapporto vi è
tra il lavoro del teologo e l’impegno
nella politica?
Le relazioni di conflitto fra docenti
e discenti devono tener conto di queste reaità attuali e profonde.
2. - Quattro lìnee di ricerca
Volevamo riunirci per settori (bibiico, storico, sistematico e pratico), ma
di fatto ci siamo raccolti intorno a
quattro interrogativi e a quattro linee
di ricerca.
a) La finalità degli studi teologici
sta nel formare dei credenti teologi,
capaci di comprendere e di far comprendere, con l’aiuto di metodi scientifici, il loro atto di fede nell’Evangelo.
In tale prospettiva le nostre Facoltà
sono degli istituti universitari, dei luoghi di preparazione al ministero della
Chiesa e deile comunità interpersonali,
senza che una finalità escluda le altre.
b) La specificità della teologìa. Lo
sviluppo delle scienze umane e l’incertezza di un sapere globale pesano anche sulle nostre Facoltà teologiche.
Molti si domandano se vi è ancora
un'unità architettonica della conoscenza teologica. La teologia non ha
come suo campo riservato il trascendente, ma ha il compito di decifrare la
destinazione che la realtà ha nel suo
insieme.
c) L’esercizio dell’insegnamento
teologico pone il problema dei rapporti fra l’impegno esistenziale del docente e la sua competenza nel campo
conoscitivo. Vi è dunque un pericolo
duplice : nascondere la propria esistenza dietro la propria competenza o
approfittare della propria esistenza
per mascherare la propria incompetenza.
d) La teologia e la formazione politica. Pare auspicabile, per la formazione politica del teologo, che docenti
e discenti siano coscienti della portata
politica di ogni affermazione verbale,
di ogni dichiarazione. È bene che docenti e discenti sviluppino la messa in
comune nei problemi di governo, di
insegnamento o di pedagogia. D’altra
parte l’impegno politico è il segno dell’apertura della Facoltà sulla città,
equilibra con la prova pratica ii discorso teoretico, ma esige competenze
molteplici.
3. - Alcuni interrogativi e alcune pro
poste.
a) Gli studenti in teologia devono
e possono conseguire una duplice formazione professionale?
b) Le nostre Facoltà dovrebbero
specializzarsi a seconda delle materie
o a seconda degli studenti per cui lavorano?
c) Come armonizzare i nostri programmi di studio affinché resti possibile la circolazione degli studenti fra
miiiimiiiiiiiaMiiiiiiiiiiii
INCONTRO PASTORALE A PINEROLO
Le linee di meditazione
e di ricerca, quest'anno
Il primo incontro dei pastori delle
Valli ha avuto luogo lunedì 13 a Pinel'olo. Dopo un breve culto d’inizio ed
un benvenuto ai nuovi arrivati nel distretto (in questo caso alla nuova arrivata, sig.na Gianna Sciclone), si è
consacrato gran parte della mattinata
alla programmazione del lavoro del
prossimo inverno. Si è deciso di prendere come schema di lavoro l’Ordine
del Giorno votato dall’ultimo Sinodo e
pubblicato anche sui nostri giornali,
sotto il titolo non del tutto appropriato di « Ruolino di marcia ». Si tratta
in realtà di alcune linee di meditazione e di ricerca che si devono condurre avanti nelle nostre comunità in vista dell’auspicato rinnovamento della
loro vita e della loro testimonianza. Si
è deciso di consacrare una parte della
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 — 8.7.1960
Tip. Subalpina s.p.a - Torre Pellice (To)
seduta mensile all’esame ed alla discussione di una o l’altra di queste diverse linee di azione. Si tratta naturalmente di problemi che devono essere affrontati dalle comunità e questo
sarà fatto nelle modalità e con gli strumenti che ogni situazione locale suggerisce; in vista di favorire questa riflessione pubblicheremo mensilmente, in
preparazione dell’incontro pastorale, le
tesi di studio che saranno dibattute di
volta in volta. Parallelamente a questa
meditazione sui problemi pratici si è
deciso di modificare il carattere del
culto d’inizio delle sedute trasformandolo in uno studio biblico su un testo
scelto opportunamente, anche come introduzione al dibattito seguente.
La parte pomeridiana della giornata
di lunedì è stata invece consacrata all’esame di alcuni problemi amministrativi ed alla messa a punto di alcune proposte in vista dell’attività invernale; tra le altre la proposta di avere
durante i prossimi mesi incontri di
concistori viciniori, su base di valle
(vai Pellice, vai Germanasca, vai Chisone), per esaminare problemi comuni
ed iniziare quella necessaria integrazione di attività che tutti sentono urgente. G. T.
le nostre Facoltà a livello della licenza e a quello del 3° ciclo?
d) Come sviluppare le esperienze
interdisciplinari alTinterno di ogni Fani, rapporti fra le Facoltà teologiche
e le altre Facoltà)?
e) Non vi è, attualmente, un rischio di regresso nelle discipline del
sapere, e precisamente un regresso
quantitativo (riduzione del tempo dedicato alla comunicazione del sapere
nella maggior parte delle discipline) e
una crescita della discussione informale a detrimento dell’insegnamento
tradizionale?
Su tutti questi problemi occorre concentrarsi ed è stato deciso che la Facoltà di Ginevra assicuri la circolazione dell’informazione fra le nostre Facoltà e la loro concertazione.
U. S. A.
Il "Moratorium-Dav,,
Mercoledì 15 ottobre resterà nella storia degli Stati Uniti, e del mondo « il giorno uiel
grande dissenso » : milioni di cittadini nordamericani hanno espresso, in modo molteplici
e in assenza quasi assoluta di qualsiasi violenza, il loro richiamo alPammiriistrazione Nímiu
affinché mantenga gli impegni e cessi, se imiì
subito, con una gradualità comunque sensibile e rapida, Tintervento bellico nel Vietnam,,
dove 40.000 soldati federali sono caduti e centinaia di milioni di dollari si sono ingolle li
senza frutto.
Vale la pena pubblicare alcuni dati su questa grande manifestazione di dissenso.
Nella capitale, Washington, si segnalano’
fra l’altro una grande marcia notturna guiflnla dalla vedova di M. L. King, sfilate di "pi ’chetti” dignitosi attorno alla Casa Bianca.-, i
parlamentari favorevoli aH’iniziativa sono .caliti a 60.
A Ne'w York il sindaco, Lindsay, ha aderii.o
alla manifestazione, si sono viste bandiere a
mezz’asta e sì sono udite campane a martello;
a Wall Street per tutta la giornata ottanta,
personalità, anche di alto rilievo nella politica
e nell’economia, si sono avvicendate sui gradini di una chiesa nella lettura dei nomi dei
caduti e nel medesimo centro economico .si
sono avute una marcia e una messa.
Quello che si segnala nelle maggiori jueIropoli (e al momento |li andare in macchiua
non abliiamo che i primissimi dati) si è V('rificato nei centri piccoli e grandi, dairAfluatico al Pacifico, con una mobilitazione di milioni di persone: quanti, non lo si saprà mai,
e certamente il presidente Nixon, che ancora
alla vigilia aveva dichiarato di non poter
tenere « alcun conto )> delFopinione che que.-ta
manifestazione avrebbe riflesso, non potrà in
realtà trascurare questa inedita valanga di
« no », più o meno radicali, anche se pacati^
che gli sono venuti da tutti gli orizzonti geografici, spirituali, culturali, economici e .-ocialì della sua nazione.
Naturalmente le sfumature anzi le diverse
posizioni sussistono anche fra i dissenzienti,
ma la richiesta che l’intervento americana
nel Vietnam finisca, e finisca presto, è rigorosa, le « colombe » hanno fatto udire una
voce pacata ma ferma. Sam Brown, il giovane
(26 anni) neo-laureato di Harvard che solo due
mesi fa ha creato il « Comitato per la pace
nel Vietnam », forse non osava lui stesso
sperare una cosi vasta rispondenza fra i suoi
concittadini, guadagnaiidosi perfino l’aperta
simpatia di due fra i massimi quotidiani statunitensi, il « New York Times » e il « Washington Post ».
Nè si tratta di una pura ondata sentimentale; lo dimostra il fatto che in certi ambienti si sta studiando il problema di offrire
asilo politico a coloro che la caduta del regime
sudvietnamita costringerà a fuggire (come
già fu per i suoi rifugiati cubani).
Non si può tacere il fatto positivo della
assoluta libertà in cui questa grandiosa manifetsazione ha potuto muoversi, l’ampio ed
aperto dibattito che ha suscitato sulla stampa,
mentre i funzionari federali hanno avuto il
permesso di prendere, in questa giornata, uno
dei giorni di ferie loro spettanti. C’è qui
mollo di più che una pura democrazia « formale ». Non resta che augurarsi che questo
« Moratorium-Dcy », cui altri potranno seguire nei mesi prossimi, rechi frutto, e presto.
Stampato il sermoiiB sinodale
Si avverte che il sermone tenuto dal past.
E. Geymetin apertura del Sinodo è stato stampato e può essere richiesto alla Claudiana.
NOVITÀ CLAUDIANA
È uscito il
NUOVO INNARIO
L. 1.200
EDITRICE CLAUDIANA
Via S. Pio Quinto 18 bis
10125 TORINO