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Anno 127 - n. 29
19 luglio 1991
L. 1.200
Sped. abbonamento postale
Gruppo II A/70
In caso di mancato recapito rispedire
a : casella postale - 10066 Torre Pellice
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESÉ" EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
SUD AFRICA
INTERVISTA ALLO SCRITTORE SLOVENO BORIS PAHOR
Pacifismo non è suicidio
mÌiÌtn if riconosci- La storia degli sloveni, tra aspirazioni di indipendenza e rappor
mento al sanguinano Buthelezi: cosa accadrà? ti con lo stato federale - I tentativi, falliti, di cambiare le cose
Grazie, Bush
Adesso è chiaro. Sulla scena
della intricata questione sudafricana si staglia prepotente un
primo vincente. Vincente almeno per ora. Ma non è Nelson
Mandela, e neppure il presidente De Klerk. E’ invece il « Chief »
Mangosuthu Buthelezi, astuto
collaborazionista che governa la
Riserva KwaZulu con gli ampi
poteri che il regime gli ha concesso, creatore e guida del Partito della libertà inkatha. Lo ha
elevato a vincitore George Bush,
quando ha annunciato la revoca delle sanzioni contro il Sud
Africa.
Le sanguinose scorrerie degli
inkatha, che hanno fatto qualche migliaio di morti e decine
di migliaia di senzatetto, in occidente sono sempre apparse
oscure, Tobiettivo incerto, forse
prive di una strategia, comunque un fatto fra neri. Sono cominciate con frequenza regolare
nell’agosto 1985, dopo l’assassinio ad opera di uno squadrone
della morte di Vittoria Mxenge,
avvocato a Durban dell’Associazione avvocati per i diritti
umani. In 5.000 si erano riuniti
nella zona nera di Umlazi, tutti
zulu, per piangere questa donna che lottava per il riconoscimento dei diritti calpestati, con
le armi della giustizia e della
nonviolenza. Intrappolati dagli
inkatha armati degli antichi « assegai » e « battleaxe » ( un giavellotto con la cuspide di ferro e un’ascia), nella assoluta assenza della onnipresente polizia
di stato, 66 furono i morti e 215
i feriti gravi. La polizia subentrò poi a completare l’opera con
l’uccisione di altre 43 persone
con regolari armi da fuoco. Da
allora queste operazioni di chirurgia nel tessuto della popolazione favorevole all’African National Congress si sono ripetute con identica modalità e a
macchia d’olio, prima nel Natal,
poi nelle zone minerarie del
nord, infine nei ghetti intorno
a Johannesburg. E sempre con
maggiore forza, per l’aiuto testimoniato, denunciato e provato dell’estrema destra bianca
privata (organizzazioni boere terroristiche) e pubblica (polizia e
forze armate).
Le numerose inchieste, le rivelazioni clamorose di arrestati e
pentiti bianchi e neri, hanno fatto scoppiare lo scandalo degli
apparati statali responsabili dell’addestramento degli squadroni
dellfi morte e del ruolo fondamentale di supporto offerto da
Buthelezi. Ma non è bastato né
a far cessare gli eccidi, né a
piegare il governo a sconfessare gli assassini. Fra il 21 e il
27 giugno scorso è salito il numero di responsabili dell’ANC,
8ià membri della disciolta ala
armata, assassinati. E un certo
numero di deputati del « parlamentino » di Buthelezi, nel KwaZulu, sono stati messi sotto processo per assassinio. Fra questi
Xhawulngwe Mkhize è stato
condannato per un omicidio e
16 tentati omicidi, e il deputato per gli affari interni, Samuel
Jamile, per un omicidio ed un
tentato omicidio.
Cesserà tutto questo? Probabilmente no. Perché serve. Buthelezi non vuole diritti civUi
per ogni cittadino sudafricano
nero: non vuole un voto per
ogni donna ed ogni uomo. Vuole una rappresentanza politica
per ogni gruppo etnico, proprio
come vogliono i bianchi. E luì
si offre come l’unico capo etnico capace di far rinascere l’orgoglio della tradizione guerriera,
l’erede di un impero zrdu, il redivivo mitico Shaka. Nominato
comandante in capo e fornito di
soldi e di armi, non poteva offrire nulla di meglio alla disinformata opinione pubblica bianca. Chi è tiepido sui diritti polìtici dei neri dice: «Questi zulu non sono cambiati, sono dei
sanguinari ». Ma se oggi c’è tanta violenza lo si deve ai 40 anni di apartheid che hanno esasperato ogni divisione preesistente e creato delle nuove, con
sofferenze indicibili e odi insanabili. I padri degli inkatha non
sono i mitici guerrieri dei secoli passati, come vuol far credere Buthelezi, ma i maestri e
discepoli della recente religione
della supremazia bianca.
In tutto ciò Nelson Mandela
sembra politicamente impotente. E’ caduta la legge che assegnava l’87% del suolo in proprietà ai bianchi e il 12,5% in affidamento a 28 milioni di neri.
Ma questo popolo di fatto è stato espropriato e deportato, e
ora non ha il capitale per acquistare un solo ettaro di terra. E’
caduta la legge che costringeva
a registrare i nuovi nati secondo il colore della pelle e il dialetto parlato dalla madre, così
da confinare ognuno in una zo
Febe Cavazzutti Rossi
(continua a pag 8)
Sui fatti che sconvolgono la Jugoslavia
pubblichiamo un’intervista con Boris Pahor,
scrittore sloveno di Trieste.
Nato a Trieste stessa nel 1913, professore
di lettere nelle scuole superiori, partecipa
alla lotta antifascista delle file della resistenza slovena. Catturato dai nazisti viene
internato nei campi di concentramento di
Natzweiler, De a, Dachau, Harzungen e Bergen-Belsen. E' tra i fondatori del movimento
politico friulano « Sinistra slovena », poi
confluito nell’« Unione slovena ». Fondatore e
direttore della rivista slovena di Trieste Zaliv
Puoi riassumerci la questio”e
slovena? Come ha iniziato a svilupparsi l’identità nazionale?
— Gli sloveni, che per molti
secoli vissero come cittadini austriaci, nel 1848 dichiararono a
Vienna di volere una Slovenia
unita. Le loro richieste furono
vane e l’Austria, pur permettendo che essi sviluppassero la loro cultura, non accettò l’identità slovena e divise il territorio
in varie regioni: Carinzia, Stiria,
Carniola, Goriziano, Litorale. La
Slovenia chiedeva di federarsi
con gli altri popoli slavi ma l’Austria non sentì ragioni neppure
durante la guerra ’14-18, così gli
sloveni furono spinti ad unirsi
agli altri « slavi del Sud », e furono proprio Slovenia e Croazia
a volere uno stato federale di
serbi-croati-sloveni. Ma ciò che
ne scaturì fu uno stato unitario
sotto l’egemonia centralista serba.
L’Italia, vincitrice, ebbe un
(« Il golfo »), è autore di diversi libri in lingua slovena, fra cui La città del golfo e, in ultimo, quello in cui narra le proprie vicende
di internato, ora edito anche in francese, Pèlerin panni les ombres, Parigi, La table ronde, ed in corso di pubblicazione a New York.
Anche se il colloquio risale a due settimane fa, l’intervista è significativa e indicativa dei sentimenti che travagliano la popolazione della Slovenia, combattuta fra necessità del dialogo e della trattativa e risposta alla repressione di provenienza federale. ^
Tank, federale in mano alle truppe slovene
(Per gentile concessione de II Piccolo" - Trieste).
quarto del territorio sloveno,
mentre un disgraziato plebiscito
assegnò aU’Austria la Carinzia
slovena. Fu insomma per difen
IL TRATTATO « START »
Dobbiamo essere radicali
«...delle loro spade fabbricheranno vomeri
d’aratro, e delle loro lance roncole; una nazione
non leverà più la spada contro un’altra; non unpareranno più la guerra...» (Isaia 2; 4).
Bene: quanto prima, al prossimo vertice BushGorbaciov, dovrebbe essere firmato il trattato
«START», che stabilisce la riduzione di circa un
30% delle testate nucleari strategiche, attualmente
in possesso di Stati Uniti ed Unione Sovietica. In
concreto, pare che dovrebbero essere distrutte
qualcosa come 5 o 6 mila testate nucleari. (Ma
niente paura! Ne rimangono ancora abbastanza per
distruggere varie volte Vintero pianeta). In questa
distruzione parziale (e speriamo con tutto il cuore
che preluda a quella totale) v è un segnale politico
di enorme importanza. Le cosiddette « armi strategiche » sono quelle che permettono di raggiungere
il territorio nemico dalle proprie basi. Dunque Stati
Uniti ed Unione Sovietica dichiarano con questo
gesto di rinunciare a colpire l’avversario, sferrando il primo colpo o, come si dice in linguaggio
tecnico, « thè first strike ». Un passo, senza alcun
dubbio, fondamentale e necessario nella politica
della distensione. , . ,
Il cammino per giungere a quest atto e stato lungo laborioso, delicato. Le trattative iniziarono ufficialmente nell’82. Si sono protratte dunque per
circa un decennio, tra alterne vicende che hanno
seguito le oscillazioni politiche. E’ con sollievo perciò che le vediamo ora giungere a conclusione;
anzi, osiamo sperare che anche il residuo 10% sia,
quanto prima, distrutto. E che siano pure distrutte
le altre testate nucleari, montate su sottomarini o
bombardieri che volano alto sulle nostre teste o
che se ne stanno in agguato sul fondo dei mari,
pattugliando gli oceani. Insamma, vogliamo la distruzione globale di tutte le armi nucleari, e poi
anche di tutte le altre armi.
Qualcuno troverà che siamo troppo radicali. Ma
chi è per la pace non può non essere radicale.
Eppure la Bibbia è di una rqdicalità ancora più
grande. Isaia infatti non parla di una sernplice distruzione di armi, ma di una trasforrnazione radicale dell’industria bellica, e di una profonda trasformazione culturale dei popoli che passano da
una cultura della guerra ad una cultura della pace.
Molte volte in questi anni è risuonata la richiesta
di una « conversione dell'industria bellica ».
« Conversione » è una parola che appartiene al
nostro vocabolario: l’abbiamo imparata dai profeti
dell’Antico Testamento; Gesù ne ha fatto uno degli
elementi essenziali della predicazione del Regno
(cfr. Marco 1: 14 ss.); Lutero ne ha riscoperto l’importanza, ne ha fatto il centro delle « 95 tesi » ed
è nata la Riforma. Quale altra parola ci appartiene
di diritto più di questa?
Eppure abbiamo permesso che ci fosse sottratta.
Altri l’hanno proposta e gridata, come, per esempio,
quel gruppo di donne che in Italia ha presentato un
progetto di legge non solo per il controllo del commercio delle armi, ma anche per la conversione
dell’industria bellica in industria civile.
Come a dire che se i discepoli si tacciono, le
pietre si mettono a gridare (cfr. Luca 19: 40).
Luciano Deodato
dersi dalle mire tedesche e da
quelle italiane che la Slovenia si
unì a popoli diversi in quanto
a carattere e cultura. Analoghe
ragioni spinsero la Croazia, benché meno minacciata da Nord.
Che cosa avvenne nella seconda guerra mondiale?
— La Slovenia i,i alla mercé
dei nazifascisti, la Stiria fu annessa al Terzo Reich, una parte divenne forzatamente italiana, la « prò vincili di Lubiana »,
il resto fu occupato dai nazisti..
La lotta di liberazione fu combattula da un fronte unito di comunisti, cristiano-sociali e liberali progressisti: i comunisti furono presto egemoni e posero
le basi per la diti •■’tura. La Slovenia, una volta liberata, accet
tò di essere membro di uno stato federale ma dovette presto
fare i conti con la tradizionale
egemonia serba; la lingua nazionale lasciò posto al serbo croato e alla programmazione del
partito, che con il pretesto della fratellanza e dell’« unione »
mortificava le identità culturali
diverse dalla dominante.
La Repubblica slovena doveva
sopportare l’onere dei costi dell’esercito, della diplomazia, ecc.,
il tutto in misura sproporzionata rispetto agli abitanti (meno
di 2 milioni).
Nel 1970 ci fu un tentativo di
cambiamento...
— Sì, ma fu inutile; Stane
Kaveie, presidente del governo
sloveno, fu allontanato perché
favorevole a trasformare la SloIntervista a cura di
Tavo Burat
(continua a pag. 8}
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commenti e dibattiti
19 luglio 1991
DIBATTITO
SULLE ELEZIONI SICILIANE
Vocazione e 8 per mille Diaconia «politica»
Un op6r3 di sssistsnza « controcorrsnt© » assumorobbo in pieno il carattere della predicazione e c|ualificherebbe la nostra accettazione
« Il tuo compito, mi hanno insegnato parecchi anni fa in Facoltà di teologia, è l'annunzio
dell’Evangelo ». Uno dei libri più
recenti di teologia pastorale dice
che l'essenza del ministero del
pastore è l’interpretazione: interpretare, ossia spiegare la Parola di Dio per il giorno d’oggi
Il pastore non è la chiesa, lo
sappiamo; ma la definizione del
ministero pastorale ci aiuta a
capire quale sia il ministero della chiesa. Qualsiasi credente che
ricordi un po’ di catechismo sa
dire che il compito della chiesa è
l’annunzio dell’Evangelo.
Fornire delle idee
Se traduciamo questa frase ecclesiastica, "annunzio dell'Evangelo", in linguaggio corrente diremo che la chiesa ha un "compito
ideologico", che cioè deve fornire
ai suoi membri, e possibilmente
alla società umana, delle idee,
degli scopi, delle motivazioni, dei
concetti che orientino e mobilitino la gente.
Degli slogan come "unità dei
cristiani" oppure "giustizia, pace
e salvaguardia del creato” sono
appunto delle parole che tendono
a raccogliere la gente e a farla
agire in una certa direzione.
Fornire delle cerimonie
Ma siamo davvero sicuri che
la gente vuole che la chiesa dia
loro delle idee? La gente — purtroppo — le idee se le fa sulla
televisione. La relazione annua
della chiesa di Torino solleva
opportunamente il problema di
«centinaia di famiglie e di membri di chiesa la cui espressione
di fede... non passa più attraverso la Chiesa valdese: ad essa è
attribuito il ruolo di fornitrice
di cerimonie ».
Quando considero il mio ruolo
nella chiesa di Ginevra constato
che alle mie prediche vengono da
dieci a venti persone, ma che ai
numerosi servizi funebri che mi
tocca celebrare assistono molte
decine e a volte parecchie centinaia di persone.
Fornire dei servizi
La gente comune si aspetta delle cerimonie, ma la società (lo
stato, la classe dirigente) si aspetta che la chiesa fornisca soprattutto dei servizi.
Distribuzione Claudiana Editrice - Torino
NOVITÀ’
EUGENIO STRETTI
UNIVERSO
INTERIORE
Itinerario autobiografico in
poesie e riflessioni bibliche
pp. 30, L. 7.000
Non capita spesso nell'austero
mondo riformato che qualcuno si
cimenti ad esprimere e a comunicare ad altri i suoi sentimenti
e le sue tensioni più intime. Scrive l'autore: « Noi evangelici pensiamo che gli amori, le emozioni,
l'incanto nei confronti della natura siano qualcosa di umano, di
questo ordine creazionale (Salmo
115: 16). Non sacralizziamo né la
creazione né la creatura. Ed è a
causa di questa irriducibile differenza tra Creatore e creatura che
ci è concesso iodare e benedire
il Signore negli anni e con i doni
che Egli con misericordia infinita ci
concede (Salmo 115: 17-18) ».
Claudiana Editrice, via Principe Tommaso 1, 10125 TORINO.
Nel mio viaggio negli Stati
Uniti lo scorso ottobre mi sono
accorto che laggiù certe chiese
dedicano una parte enorme delle
loro finanze a opere di pura assistenza: doposcuola, case di riposo, mense, asili nido, ecc. L’assistenza non è redditizia, perciò
i ricchi (lo stato, le industrie,
i dirigenti) la scaricano sulle
chiese e su altri organismi umanitari e volontari.
Lo stesso sta accadendo sempre più in Europa.
Senza dubbio l’otto per mille
è stato istituito essenzialmente
per sovvenzionare la Chiesa cattolica. Ma se noi lo accettassimo
e usassimo genericamente per
l’assistenza faremmo il gioco di
una classe dirigente che scarica
Su altri organismi (come le chiese) i compiti di assistenza che
toccherebbero alla società nel
suo insieme.
E la nostra vocazione?
E in tutto ciò, dove rimane la
nostra vocazione? Rendere dei
servizi al posto di uno stato latitante e di una classe dirigente
interessata solo al profitto? Oppure fornire delle cerimonie più
o meno rassicuranti?
Se dico: « La mia vocazione
è di predicare l’Evangelo e non
di fare delle cerimonie », avrò
certamente dalla mia parte il
consenso di un gran numero di
protestanti.
Ma se dico: « La mia missione
è di predicare l'Evangelo e non
di fare assistenza», le cose cambiano. Per molti credenti l’assistenza è l’unica cosa concreta
che la chiesa può fare. Il resto,
per loro, è puro contorno.
Predicazione
e assistenza selettiva
La comunità cristiana ha as
sunto fin dai tempi del Nuovo
Testamento dei compiti di assistenza. Ma se uno legge con attenzione il libro degli Atti degli
Apostoli si rende conto che non
era un’assistenza in surroga di
una società latitante, ma che era
un’assistenza a favore dei discriminati.
Ciò significa che oggi, per essere fedeli all’Evangelo, dovremmo
concentrare i nostri sforzi sulla
predicazione dell’Evangelo e su
una assistenza che sia talmente
controcorrente da costituire di
per sé una predicazione.
Se si vuole l’otto per mille bisogna dimque avere un progetto chiaro, efficace e bene articolato di "assistenza eversiva". E
cioè non usare quei soldi per le
opere che abbiamo finanziato
finora con le nostre collette e con
gli aiuti dei correligionari di altri paesi, ma usarli per qualche
cosa che contesti nei fatti Passetto della nostra società orientata
al profitto. Per esempio ner
finanziare un referendum o delle manifestazioni per rompere le
regole europee restrittive sull’immigrazione degli extracomunitari.
Se c’è un progetto concreto
e controcorrente si può anche
accettare l’otto per mille, come
una sfida. Ma se ci sono solo parole vaghe e progetti generici
significa che vogliamo essenzialmente intascare i soldi e, in fin
dei conti, farci comprare.
La scelta, a mio modo di vedere, non è tanto sul sì o sul no
all’otto per mille, ma prima di
tutto sul come.
Su questo punto aspetto delle
risposte chiare e impegnative.
Per ora non ne ho avute. Se non
ne avrò voterò "no".
Aldo Oomba
' Pierre-Louis DUBiED, Le pasteur:
un interprète. Ginevra, Labor et Fides,
1990.
Ho letto più con curiosità che
con interesse l’articolo di Platone sulle elezioni regionali della
Sicilia.
Non ricordo il titolo, ma credo
di averne mandato a memoria
la chiusa. Eccola: « Per chi non
si aggrega al conformismo imperante, non resta altro che imboccare la strada della perenne contestazione ». In questa metodologia di lavoro socio-politico l’articolista vede — è da supporre solamente per la Sicilia — la via
maestra (a fronte delle « trazzere » = viuzze di campagna), che
deve percorrere chi è animato da
« volontà di cambiamento ».
Non condivido questo tipo di risposta ai grandi problemi che affollano il terreno politico siciliano (e non solo!), perché mi sembra che suoni come la rinuncia ad
una ancora possibile politica,
purché essa si ispiri ad idee diverse dalla ’’perenne contestazione”. Credo che dobbiamo coltivare una pianta che non sia
questa , alimentata dai dopolavoro delle analisi, dalle serate interminabili di discussioni e dagli
immancabili programmi incredibili perché irrealizzabili. In altri
termini, come ha scritto qualcuno, contentarsi di raggiungere la
sponda della parola Viceversa i
gruppi politici e le forze sociali
che vogliono il cambiamento
debbono insediarsi nelle politiche
di questo stato, condividere il
condivisibile e proporre il nuovo
in quanto portatori non della
bandiera illibata della contestazione, ma soprattutto di progetti
che tengano conto delle complesse coordinate sociali del nostro
tempo.
Questo è mancato, questo ancora manca. Ricordo benissimo un
incontro con il vicesindaco della
« primavera di Palermo » (gitmta Qrlando), nel quale lamentai
l’assenza di un programma forte
in quanto frutto di ampi consensi
e previdi una discesa al 4% nelle
future elezioni (mi riferivo al
PCI).
Analogamente sono portato a
credere che la stessa sorte po
PRECISAZIONI
Mennoniti e fondamentalismo
Nell’intervista pubblicata sul
numero del 7 giugno il prof.
Pietro Bolognesi, rispondendo
ad una domanda di P. T. Angelen, indica tra i fondamentalisti anche gli anabattisti (mennoniti).
Che gli anabattisti fossero fondamentalisti è certamente da
escludere e sarebbe sufficiente,
per accertarsene, una lettura dei
lavori del prof. U. Gastaldi (in
particolare il voi. I della sua
Storia deU’anabattìsmo).
Affermare, invece, che i mennoniti siano fondamentalisti è
quanto meno impreciso.
Il fondamentàlismc appare tra
i mennoniti all’inizio di questo
secolo e trova la sua peggiore
espressione nella battaglia dei
Cclleges biblici iniziata nel 1913
e proseguita, per decenni, con
notevole accanimento e con conseguenze tali da coinvolgere il
ruolo dell’autorità della chiesa,
il potere e la figura del vescovo, il rapporto tra chiesa e società.
Uno degli eventi più vistosi di
questo scontro fu la chiusura
del Goshen College, il più importante della Chiesa mennonita,
nell’anno accademico 1923/1924.
Alcune delle cause che provocarono quella che viene definita
una vera e propria crociata sono indubbiamente da ricercarsi
nel rapido sviluppo delle scienze bibliche, nei mutati rapporti
sociali e la totale assenza di conoscenza delle proprie origini
anabattiste (solo qualche decen
nio più tardi H. S. Bender svelerà al mondo mennonita la
« grande scoperta »).'
¡Molto correttamente, a nostro
avviso, il prof. Paul Toews (direttore del Centro degli studi mennoniti) in un suo approfondito
articolo apparso su « Mennonite
Quarterly Review », inquadra
il conflitto fondamentalista tra i
mennoniti come un tentativo di
dare risposta ai nuovi problemi
sorti in un momento di profonda transizione culturale.
Il progressivo e notevole sviluppo successivo degli studi sul1 anabattismo ha evidenziato
sempre più non solo la distanza, ma l’incompatibilità tra la
comprensione biblica fondamentalista e quella degli anabattisti
originando una profonda riflessione sia tra i mennoniti che
tra le altre chiese che si riconoscono nell’eredità di tale movimento.
Poiché tuttavia l’intervista
sembra far riferimento alla realtà mennonita italiana, pensiamo
utile comunicare alcune nostre
considerazioni.
Il mennonismo in Italia appare alla fine della II guerra mondiale come espressione della General Conference della 'Virginia,
chiesa che ha dovuto anch’essa
soffrire della disputa fondamentalista.
Ancora oggi alcune comunità
mennonite o singoli credenti risultano influenzati da una lettura biblica che, per alcuni aspetti, risulta tendenzialmente fon
damentalista. Tra questi anche
alcuni pastori missionari che
hanno indubbiamente condizionato le giovani comunità italiane.
A tale proposito basterebbe
leggere la traduzione italiana,
fatta da uno di noi, del volumetto Cosa credono i mennoniti di J. C. 'Wenger, e che rispecchia posizioni ufficiali mennonite, confrontandola, con occhio attento, alla confessione di
fede redatta, con il personale
contributo dei missionari, dalla
Chiesa evangelica (termine inusuale) mennonita italiana posta
come appendice al volume stesso.
In conclusione, non è accettabile definire la Chiesa mennonita come fondamentalista ma
piuttosto deve affermarsi che il
fondamentalismo risulta ancora
un problema, anche se fortunatamente in progressiva decrescita, che, come è avvenuto per altre chiese storiche, è sorto in
un particolare momento, che ha
messo alla prova le proprie identità evidenziando come, nel tempo, queste siano state troppo
influenzate da fattori socio-culturali, piuttosto che evangelici.
Purtroppo tali situazioni di
conflitto e intolleranza, comuni
anche ad altre comunità cristiane, sono state motivo di incomprensione e travaglio per numerosi di noi.
Roberto Derossi
Cesare Soletto
Irebbe toccare alla Rete, intestataria di una politica di protesta e
di denuncia contro la mafia e i
partiti. Socialmente si può anche accogliere la contestazione
poiché, agendo da valvola di sfogo, è ftinzionale alla democrazia.
La dislocazione su questo versante di elettori non è funzionale però al governo della cosa pubblica
e alla politica del cambiamento.
In rapporto a questi discorsi,
l’analisi del voto siciliano non è
facile. Potrebbe pensarsi innanzitutto che la Sicilia nelle due votazioni (referendum e elezioni regionali) abbia espresso una profonda protesta, una forte volontà di cambiamento e contemporaneamente un disagio enorme di
avventurarsi in mare aperto.
Complessivamente questo discorso è contenuto nella maggioranza del sì al referendum da
una parte, dall’altra nel 26% dì
astensioni, nel 7,3% della Rete,
nello stop al PSI, nel risultato
deludente del PDS nelle elezioni
regionali.
Ma non bisogna dimenticare
che in Sicilia viviamo in una società estremamente insicura e
con una psicologia sociale molto
labile, per cui il ruolo della DC è
risultato vincente, per una serie
di sicurezze collaterali che può
offrire e a cui è da aggiungere
una volontà di aggiornamento e
di modernità, espressa nel decisionismo del presidente Nicol osi. Sarebbe scorretto dimenticare
il controllo del voto da parte delle clientele e della mafia, fatto
questo che ben si coniuga con la
"voglia di fare” e di fare bene.
Il voto delle città maggiori (Palermo, Catania e Messina) ha sottolineato al massimo il dato regionale. Infatti è proprio nelle
grandi città che è mancato un
progetto credibile che recepisse
le elaborazioni della cultura urbana (vivibilità e servizi). In mancanza di questa non si può cbiedere alla gente di pazientare.
E parlando di cultura urbana
legata soprattutto ai servizi come condizione basilare di maggiore vivibilità delle città, il discorso ci riguarda per la porzione di partecipazione che mettiamo in campo nelFaífrontare i problemi delle marginalità viventi e
sofferenti nel degrado cittadino.
Questi nuovi contatti contribuiscono'non poco all’arricchimento
delle riflessioni intorno alla nostra diaconia e si prospetta per
essa un orizzonte impegnativo.
Si parla da qualche parte e da
qualche tempo di diaconia politica come della traduzione più
aggiornata e significativa del nostro lavoro nella società.
Se ciò vuol dire uscire dal ghetto e mettere al largo il nostro lavoro, i nostri progetti, le risposte
costruite e quelle da costruire; se
ciò vuol dire esplicitare il peso di
quello che facciamo in termini di
contrattazione e di contrapposizione; se ciò vuol dire dare
un’anima al capitale impegnato e
smuovere incrostazioni sociali illiberali e avvilenti; se ciò vuol dire soprattutto qualificare la diaconia e per essa ridare fiducia e
felicità ai minimi, allora sono per
la diaconia politica.
Per concludere: ciò che conta
in una società che tenta di dliiudersi in un sistema unico di valori è tentare di mantenere aperta — insieme ad altri — la strada
della libertà a qualsiasi livello
(compreso quello religioso). Infatti non ci vuole molto per accorgersi che viviamo in un tempo in cui abbiamo estremo bisogno di prendere contatto con
quel substrato di noi che è stato
reso profondamente libero in
Cristo c che. in quanto tale, ci
impegna ad essere collaboratori
di Dio e capaci di creare situazioni di salvezza e di felicità per i figli di Dio nelle città dell’uomo.
Tutto ciò, oggi, non può essere
fatto senza la qualificazione politica della diaconia.
Alfonso Manocchio
3
19 luglio 1991
vita delle chiese
SANTA SEVERA: IL « VILLAGGIO DELLA GIOVENTÙ’ » HA 40 ANNI
Un polo culturale
per gli evangelici
Un’esigenza di incontro maturata negli anni del dopoguerra - Campi
teologici e soggiorni organizzati autonomamente - Ragazzi e cadetti
LE CHIESE E GLI IMMIGRATI
In occasione del Convegno ecumenico di Pentecoste che è stato
ospitato a Santa Severa abbiamo
rivolto alcune domande al suo
direttore, l’arch. Paolo Landi, innanzitutto sulla storia del centro,
che ha festeggiato il novembre
scorso il suo quarantennio di attività.
« Esso è sorto per volontà e
maturazione di alcuni giovani
battisti, con l’aiuto economico
della Southern Baptist Convention e per Venlusiasmo di quello
che sarebbe stato il suo primo
direttore, Guido Saccomani. Subito dopo la guerra, e anche sulla
scia della costruzione di Agape,
si è sentita anche nell’ambito delle nostre chiese l’esigenza di un
centro che accogliesse in particolare i giovani. Questa opera, sorta come attività del movimento
giovanile battista — come recita
la scritta fuori dal cancello — ha
impiegato parecchi anni per aprirsi a tutte le altre componenti
evangeliche. Anche perché nel
tempo i movimenti denominazionali si Sono esauriti e hanno determinato la nascita della EGEI ».
Come sei arrivato a dirigere
questo centro?
« Ci sono arrivato un po’ tardi;
io ero un agapino, un "eretico"
già a quell’epoca, avevo partecipato alla costruzione di Agape —■
non s’incontra un uomo come
Tullio Vinay così, atizi, vorresti
che per persone come lui il tempo si fermasse — e poi avevo fatto parte, negli anni ’60,
insieme a Giorgio Bouchard e
Giampaolo Ricco, di quei campi
interdenominazionali ad Agape,
Ecumene e S. Severa, in cui ciascun movimento a turno era
direttore di un campo. Io ho
fatto l’architetto, ma ho sempre
lavorato anche per la chiesa,
sono stato anche membro del
comitato esecutivo dell’UCEBI,
e adesso che gli impegni professionali mi hanno assorbito di
meno ho dato la mia disponibilità per un lavoro di diaconia,
anche se non sono un diacono
né un operatore diaconale ».
Negli ultimi tempi il centro
di S. Severa ha ospitato diverse iniziative in campo culturale.
« C’è stata negli ultimi anni
una particolare attenzione e un
maggiore spazio alle occasioni
di incontri teologici e culturali
organizzati autonomamente dal
centro che, più che ospitarli, si
è proposto come "polo culturale”.
Abbiamo avuto così nelV89 un
seminario sui temi della bioetica e nel ’90 uno sulla difesa dell’ambiente, nel campo della discussione su fede e scienza; poi,
nell’aprile di quest’anno, un "incontro con la teologia femminista", con il taglio non da addetti
ai lavori per i quali è deputato il
dipartimento teologico, ma di
discussione dei singoli credenti.
Momenti interessanti sono stati
anche, lo scorso anno, un convegno della Conferenza delle chiede europee e uno della WACC,
l’associazione mondiale dei settori stampa e radiotelevisione
cristiani. Ovviamente ci interessa
continuare un lavoro presso le
altre denominazioni evangeliche,
per esempio ospitiamo da parecchi anni le Assemblee delle chiese di Cristo e del Nazareno proprio perché intendiamo presentarci come un punto d’incontro
con fratelli evangelici coi quali
condividiamo la nostra fede, anche se la esprimiamo in forrne
diverse. Fin dall’inizio noi abbiatno cercato di dare una particolare attenzione all’immagine di
Questo centro, proprio per sviluppare le relazioni nazionali e internazionali a livello religioso ».
E nei confronti del mondo cattolico e delle organizzazioni
laiche?
« Anche parecchi gruppi cattolici vengono qui a fare i loro
convegni, come ad esempio gruppi di catecumeni. Abbiamo lavorato anche con campi delrUNITALSI, che si occupa di
handicappati. Ogni anno nei nostri campi cadetti ospitiamo alcuni ragazzi portatori di handicap, e l'affiatamento tra loro è
incredibile. Ospitiamo incontri
di cooperative per il lavoro con i
ragazzi handicappati, e Vanno
scorso un convegno dei giovani
della FGCI di Roma. Poi naturalmente ci sono i campi vacanze,
i campi giovani e i campi famiglie. Noi assicuriamo sempre
una presenza pastorale, e c’è
sempre un tema del campo che
va sviluppato; si cerca di utilizzare il periodo della vacanza, nel
senso della riflessione, con tematiche impegnative, anche tra un
bagno e l’altro ».
Piera Egidi
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Tempio aperto
TORRE PELLICE — E’ ripre
sa anche quest’anno l’iniziativa
del « tempio aperto' » ogni sabato pomeriggio e domenica; sorelle e fratelli di chiesa accolgono i visitatori fornendo notizie
sulla realtà valdese avvalendosi
anche di un video e di libri Claudiana. Sono organizzati anche
degli incontri pubblici, il primo
dei quali avrà luogo domenica
21 luglio (anziché il 14) sul tema: « La Bibbia tra violenza e
nonviolenza »; parlerà il pastore
Claudio Pasquet.
Riunioni estive
MASSELLO — Com’è consuetudine, due sono le riunioni estive domenicali della comunità di
Massello: il 21 luglio a Balsiglia
e il 18 agosto alle Porte, entrambe alle ore 15.
A queste si aggiungono quest’anno alcuni incontri settimanali serali nelle seguenti scuole
quartierali: 19 luglio, Campolasalza, con la partecipazione del
past. Giorgio Tourn; 26 luglio,
Grangj^iiìiet:p, posizioni diverse
aH’interno del protestantesimo
su pace e guerra; 2 agosto, Ciaberso, proiezione di diapositive
sulla rnqntagna; 9 agosto, Roberso, con la partecipazione di fratelli battisti.
Le riunioni avranno luogo alle ore 20.30 e tutti sono cordialmente invitati.
Incontri nei quartieri
PRAROSTINO — Quest’anno è
stato deciso di offrire alla comunità varie occasioni di incontro, nei quartieri, per avere momenti di riflessione proposti dal
pastore o da altri presenti.
Dopo gli incontri ai Cardonatti, a San Bartolomeo domenica
scorsa con picnic dopo il culto,
e di giovedì 18 ai Gay, domenica 28 luglio a Eoccapiatta si
svolgerà l’annuale giornata comunitaria; rii agosto rincontro
avrà luogo al Collaretto.
L’ultimo appuntamento è previsto per il 22 settembre al Roc
e vi parteciperà il past. Paolo
Ribet.
Battesimo
BOBBIO PELLICE — Nel COr
so del culto di domenica 14 è
stato amministrato il battesimo
a Matteo Pontet di Ermanno e
Rosangela Garrone. La comunità rinnova il proprio coinvolgimento nel processo di educazione dei Agli alla fede sotto lo
sguardo del Signore. Al termine
dello stesso culto abbiamo ascoltato con molto interesse la ri
La responsabilità
dell’accoglienza
La riflessione deve sempre aggiornarsi per
tener dietro ai molti risvolti del problema
chiesta di collaborazione da parte di Radio Beckwith.
• Il culto di domenica 21 luglio sarà presieduto dal pastore
Claudio Pasquet.
Solidarietà
VILLAR PELLICE — Dopo
lunga malattia è mancata la sorella Isolina Gras ved. Janavel
di anni 81; ai familiari in lutto
rinnoviamo la nostra cristiana
simpatia.
Matrimonio
SAN SECONDO — Il 13. luglio Si sono uniti in matrimonio,
nel tempie, Roberto Rivoira e
Adriana Massocco; rinnoviamo
loro l’augurio di vivere sempre
uniti nell’amore di Dio.
• Il 6 luglio ci ha lasciato
Amilcare Romano; la comunità
rinnova ai familiari l’espressione della sua solidarietà.
• E’ nata Alessia, primogenita
di Sergio Avondetto e Tiziana
Polizzotto; che la grazia del Signore guidi questa bimba e i
suoi familiari.
Riunioni all’aperto
PERRERO-MANIGLIA — Le
riunioni estive all’aperto che devono ancora, avere luogo sono:
28 luglio Grange di Forengo; 11
agosto Crosetto, ore 15.
Domenica 28 luglio
□ GIORNATA
DEL RIFUGIO
RE CARLO ALBERTO
LUSERNA SAN GIOVANNI — Tutti
gli amici sono invitati a partecipare
aii annuaie incontro che si svolge secondo questo programma: ore 11- culto: a seguire buffet freddo. Nel pomeriggio: bazar.
□ CONVEGNO SU
GIOVANNI MIECCE
MASSELLO — in occasione dei trentennale della morte del pastore e professore Giovanni Miegge, alle ore
14.30, nella sala comunitaria del Reynaud, si svoige un convegno con la
partecipazione del prof. Claudio Tron,
del prof. Mario Miegge e del pastore
Renato Coisson.
Alle ore 17, presso la scuola di
■Campolasalza viene inaugurata una
mostra documentaria e fotografica sulla sua vita.
Domenica 23 giugno, in chiesa,
per il culto alla Noce-Palermo,
c’erano 15 bianchi e oltre 20 fratelli e sorelle di colore. Forse
un segno dei tempi nuovi. Dico
forse, perché c’è una tale sottostima del fenomeno dell’immigrazione che la prudenza è d’obbligo.
Infatti al problema, che è presente in una grandezza da non
poter passare inosservato, si è
accennato nel XVI circuito (moltissimo tempo è statO’ dedicato
al rapporto con i cattolici e alla sistemazione di una piccolissima parte del campo di lavoro)
e se ne è parlato per qualche
ora nella Consultazione metodista ad Ecumene, e quasi occasionalmente nel IV distretto, a
Portici. Complessivamente una
discussione sottotono e poco più
che rituale.
Quando il fenomeno sarà di
proporzioni enormi porterà, nei
vari livelli sociali, sommovimenti tali che tra qualche decennio
non riconosceremo la società in
cui siamo nati e cresciuti. E per
quanto ci riguarda più da vicino potremmo svegliarci domani
in una società più protestante,
senza che le chiese evangeliche
se ne siano accorte. Questo perché ci sono tutte le premesse
— tranne rare eccezioni — di
sottovalutazione della più grande transizione demografica di
questo secolo con i conseguenti
movimenti di popolazione, che
potrebbero avere rinforzi dall’Est europeo, anche se in maniera . meno spettacolare (vedi
caso albanese) in futuro.
In generale, se non riusciamo
a collocare l’attuale immigrazione nei suoi termini economici,
sociali e demografici diffìcilmente l’orizzcnte sarà tale da impegnarci in riflessioni teologiche
e in una diaconia qualificate e
significative. Quando l’episodìsmo, l’uso del senso comune e
l’abuso dei principi dominano il
campo, la strage delle buone
idee, delle strategie e della prassi coerente è immancabile!
Questo avviene in una stagione nella quale l’assenza di grandi idee è soppiantata e surclassata da elaborazioni forti in
campo religioso ma con evidenti ritorni nella sfera ^culturale e
politica.
In una stagione come questa
la mobilitazione e la coscienza
del futuro non possono abbandonarci. Un grido di allarme dovrebbe scuotere le nostre realtà
ecclesiali. Lo dico « en passant »,
ma è bene che dedichiamo alle
prospettive della nostra società
- moderna mondiale — alla cui
costruzione abbiamo contribuito —, partendo dal « locale », una
attenzione preoccupata.
Ritornando all’immigrazione,
che certamente fa parte delle
prospettive, credo che ne abbiamo una discreta conoscenza e
abbiamo accumulato qualche
punto di esperienza per non farci vincere da pudori e perplessità e scoraggiare da un approccio sistematico, per quanto è
possibile intorno ad un fenomeno per sua natura mobilissimo.
Ed è proprio questa la prima
idea che deve guidarci: il quadro teorico di comprensione è
sempre da aggiornare perché i
differenziali e i flussi nella loro
disposizione sul territorio rispondono ad una tipologia instabile
e complessa. Inoltre nella situazione attuale, alla luce di una
valutazione comune a parecchi
ambienti scientifici e politici,
sembra che le politiche di cooperazione non avranno molta influenza sull’arresto dell’esodo.
Anzi, in qualche ambiente si teme che il contatto con la nostra tecnologia incentivi l’emigrazione dei giovani, laureati o
professionalmente qualificati.
Rimangono in campo le altre
due politiche: controllo delle nascite e accoglienza nei paesi a
sviluppo avanzato. Sul primo
fronte stanno lavorando l’ONU
e altre organizzazioni; i risultati
si avranno a lunga scadenza e
non saranno di grande peso.
Nella realtà, dunque, si ha come unico strumento di intervento la politica di accoglienza. Ciò
complica moltissimo il ricorso
ad una legislazione adeguata,
all’elaborazione di progetti e a
comportamenti meno condizionati dall’emergenza.
Allora la politica di accoglienza si carica di problemi non
suoi e forse deve accollarsi le
responsabilità della politica di
cooperazione, introducendo nel
suo campo elementi rivolti alla
preparazione del rientro in patria come possibilità di cambiamento e di sviluppo autonomi.
Nessuno pensa che l’Occidente abbia inventato le forme organizzative perfette della società, ma certamente la libertà e
l’uguaglianza, pilastri della democrazìa, valgono e producono
benessere sotto qualunque cielo.
Rimango convinto che il contatto con questi nostri fratelli
immigrati nelle nostre chiese ha
valenze importanti nella linea
della politica dell’accoglienza;
solo che queste valenze (culto,
assistenza, corso di lingua italiana, riunioni, ecc.) dovrebbero
essere tematizzate in un contesto di rapporti paritetici, dentro il quale le varie identità dialoghino.
La partecipazione alle attività
locali e l’immissione negli organismi di formazione del consenso e di orientamento teologico
hanno di per sé una forza didascalico-educativa, e nulla vieta
di legare queste esperienze a forme organizzative specifiche, sedi
di riflessioni, elaborazioni ed
azioni inserite in un quadro di
riscatto e di giustizia.
Anche il corso di lingua italiana, nel rispetto dell’altra lingua e cultura, potrebbe diventare un luogo meno asettico di incontro e di dialogo. Si potrebbero portare altri esempi di polìtica di accoglienza qualificata.
Naturalmente lo stato e le regioni hanno maggiori possibilità
sul versante della formazione In
vista del rientro. Ma perché ciò
si avveri, è necessario che quest’aspetto si assuma in tutta la
sua dinamicità: lo sviluppo, per
essere reale e duraturo, deve essere frutto degli interessati; essi devono esserne i soggetti. Noi
abbiamo fatto una pessima esperienza. La Cassa per il Mezzogiorno ha amministrato e distribuito fior di miliardi senza riuscire a diminuire il divario tra
Nord e Sud dell’Italia. Alla radice c’è stato il peccato originale dell’importazione del modello
di sviluppo. Il nostro Sud può
essere letto come la parabola
dei Sud del mondo.
In conclusione la nostra politica di accoglienza dovrebbe farsi carico anche di questo livello
di problemi e costruire le relative risposte.
Alfonso Manocchio
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4
4 fede e cultura
19 luglio 1991
1530: DUE ’’BARBA” INCONTRANO ALCUNI RIFORMATORI
Quando i ’TDarba", riuniti nel
1530 a Mérindol (Provenza), decisero di affrontare concretamente il problema di una loro eventuale adesione alla Riforma scoppiata un decennio prima in Germania, prepararono una letteraquestionario ed inviarono d loro
colleghi Georges Morel e Pierre
Masson a discuterne coi riformatori residenti dn Svizzera e in
Alsazia. Visitati prima Farei a
Neuchâtel e Haller a Berna, si
recarono poi a Basilea da Ecolampadio ed infine a Strasburgo
da Bucero, e da questi ultimi
due ebbero delle risposte più o
meno lunghe. Il dossier relativo
ci è stato tramandato sia negli
originali latini sia nella versione
in provenzale curata in particolare dal Morel nel resoconto finale che egli fece di questi incontri coi riformatori al suo ritorno
a Mérindol (cfr. Valdo Vinay, Le
confessioni di fede dei Valdesi
riformati, Torino, Claudiana,
1973, pp. 210).
’’Plebs indiga
et pusilla”
Nella loro lettera-questionario
i due ’TDarba” illustravano realisticamente la situazione delle
comunità valdesi di cui si professavano i "dottori”: un popolo
"bisognoso e di poca importanza" (plebs indiga et pusilla), dedito in gran parte alla pastorizia
e alTagricoltura; il quale, "già
per oltre 400 anni, anzi, come
spesso narrano i nostri, dal tempo degli apostoli", ha dimorato
"tra spine crudelissime"^ ma ne
è stato spesso liberato dalla
"grande benevolenza di Cristo".
Riconoscendo umilmente la propria "ignoranza e pigrizia", gli
estensori della lettera ammettono che molte cose sono a loro
"dubbie ed anche del tutto occulte", il che ridonda a "grave danno” proprio e del popolo che ammaestrano "in modo tanto inadeguato”. Perciò si rivolgono ai
riformatori nella speranza che
essi, illuminati dallo Spirito, li
consiglino e li fortifichino nella
loro debolezza, come da fratelli
Bucero e i valdesi
Una lettera-questionario in vista dell’eventualità di aderire alla
Riforma - Le opere sono buone perché espressione dell’azione di Dio
a fratelli (Vinay, cit., p. 37 a
Ecolampadio, e p. 73 a Bucero).
Le questioni sulle quali si chiede il parere dei riformatori
riguardavano essenzialmente la
condizione dei ministri della Parola di Dio, le dottrine e i riti
sinora professati e celebrati, e la
vita delle comunità disperse in
vari luoghi, il tutto seguito da
una dozzina di quesiti particolari
concernenti, tra l’altro, lo jus
giada (i ricorsi alla giustizia secolare), il giuramento, la salvezza sia dei bambini che degli
adulti, ma soprattutto il libero
arbitrio e la predestinazione. Non
potendo esaminare in questa
sede tutto il dossier nella sua interezza, mi soffermerò soltanto
sul duplice problema del libero
arbitrio e della predestinazione,
che più di tutti intrigò i nostri
padri, tant’è che ancora sul finire del secolo XVI essi — per bocca di uno dei loro primi storici,
Gerolamo Miolo di Pinerolo —
non potevano capacitarsi che si
negasse sic et simpliciter il libero
arWtrio, ammettendo però che
c’era ancora "qualche poco di
farina papale” in alcuni punti
della loro dottrina (cfr. Gerolamo
Miolo, Historia breve e vera de
gl’affari de i Valdesi delle Valli,
del 1587, nuova edizione a cura
di Enea Balmas, Torino. Claudiana, 1971, pp. 156, qui 99-100).
Nella loro lettera-questionario,
Morel e Masson scrivevano che
non c’è nulla che li turbi maggiormente di quanto hanno saputo a proposito di Lutero il quale,
da una parte, negherebbe la presenza negli uomini di tma "qualche virtù naturale" — ammessa
anche da Erasmo — che li renda
responsabili dei propri atti e,
dall’altra, affermerebbe che "tutte le cose accadono per necessità": allora — essi concludono —
se "quelli che sono predestinati
alla vita eterna non possono
divenire reprobi, né viceversa,
perché la predestinazione divina
non può essere resa vana" (...)
"a che scopo tante scritture e
predicatori e medici del corpo?”
(Vinay, cit, pp. 47-49).
La risposta di
Ecolampadio
Nella sua risposta Ecolampadio esorta i valdesi a non dar
troppo peso alla diatriba tra
Erasmo e Lutero; il libero arbitrio è contrario alla grazia, tuttavia ciò non ci induce a peccare:
"Infatti coloro che peccano, peccano spontaneamente e di propria volontà... E la nostra virtù
non è maggiore perché ci sono
tanti comandamenti, ma grande
è la potenza dello Spirito, per
mezzo del quale facciamo la
volontà di Dio, e grande è la
nostra pigrizia, per cui siamo
reputati indegni”. Se a noi tutte
le cose appaiono immutabili,
tuttavia v’è in Dio una ragione
del destino (fatum) che è immutabile. Certamente, si tratta di
uno dei misteri (arcana) di Dio,
che noi non dobbiamo cercare
di capire; dobbiamo solo attenerci alla sua Parola, "nella quale
dobbiamo credere e per mezzo
della quale saremo anche salvati" (Vinay, cit., p. 63 X
In quanto a Bucero, la sua risposta si articola in due tempi:
prima, nel dossier di Morel e
Masson egli rimanda i due ’’barba” agli scritti di Agostino d’Ippona (Vinay, cit., p. 113); poi,
in un testo che il Morel aggiunse
solo nella sua relazione finale
in provenzale, egli si dilunga ampiamente sulla dottrina della giustificazione per grazia mediante
la fede, richiamando un suo libro
scritto sette anni prima sullo
stesso argomento, intitolato Nessuno viva per sé, ma per il prossimo, e come l'uomo possa riuscirci (Vinay, cit., pp. 18-22 e
118-137).
Valdo Vinay, valente editore di
quei testi, si stupiva che nel dossier in latino del carteggio tra
Morel-Masson e i riformatori
non vi fosse una domanda precisa su questa grossissima questione, ma poi trovò nel manoscritto che contiene il resoconto
finale di Morel in provenzale (il
259 ex C.5.18 della biblioteca
del Trinity College di Dublino)
la conferma che anch’essa venne
trattata, in particolare con Bucero. E’ probabile che in un primo tempo la questione fosse stata trattata solo oralmente e che
Morel, munito degli appunti presi durante il colloquio con Bucero, li avesse poi sviluppati al suo
ritorno a Mérindol. Ma quel che
è significativo è che di questo
problema non c’è che una traccia
minima nelle 24 dichiarazioni di
Chanforan del 1532 in cui, agli
articoli 2-19-20 e 21, si sentenzia
che "nessuna opera è chiamata
buona se non quella comandata
da Dio", che "tutti quelli che
sono stati e saranno salvati sono
predetti prima della fondazione
del mondo”, che "quelli che sono
salvati non possono essere non
salvati", e che "chiunque ammette il libero arbitrio nega totalmente la predestinazione e la
grazia di Dio" (Vinay, cit., pp.
131-143).
Cristo, salvezza
e giustificazione
Ma quali erano i punti basilari
del discorso di Bucero? Solo Cristo ӏ piena e perfetta salvezza
e giustificazione di tutto il genere umano”. Egli ci fece salvi non
per le opere di giustizia che noi
potremmo aver fatte, ma per la
sua grande misericordia. Le opere non sono necessarie alla salvezza, ma — secondo Giacomo (2:
26) — sono il frutto della fede,
di quella vera, e perciò saranno
liberamente fatte a gloria di Dio
e a favore del prossimo. Di fatto,
esse sono buone non perché fatte
da noi, ma perché sono l’espressione deH’azione di Dio in noi.
In conclusione, né la fede né le
opere sono meritorie, perché è
Dio che opera ogni cosa in tutti
(Vinay, cit., pp. 118-137, passim).
Come risulta dai documenti
illustrati più sopra, il ’’barba”
Morel sapeva il fatto suo: umile
di fronte ai riformatori quanto
basta per giustificare spiritualmente la missione sua e del collega Masson, sa esprimersi bene
in latino, e riassume opportunamente in provenzale tutti i ragionamenti fatti nella ’’tournée”
svizzero-alsaziana, anche i più
astrusi, perché il più sprovveduto dei suoi fratelli in fede e il
più ignaro dei membri del suo
"popolo” (quella plebs indiga et
pusilla!) possano rendersi pienamente conto dell’importanza del
passo che sarà poi fatto a Chanforan due anni dopo, dove tutto
fu stabilito "en presencia de
tutti li ministri et eciandio del
populo" (Vinay, cit., p. 139). Come
a suo tempo mise molto iDene in
evidenza il nostro sempre compianto Augusto Armand Hugon,
Chanforan non può essere considerato come la fine — la "morte” ha sentenziato ultimamente
lo storico francese Gabriel Audisio — del movimento valdese
medievale, ma solo come uno
degli episodi e dei momenti cruciali di un lungo periodo di crisi e di revisione il quale, iniziatosi col Sinodo di Laus del 1526,
"si concluderà soltanto durante
la campagna del conte della Trinità" (cfr. Giovanni Gönnet,
L'operosità storica di Augusto
Armand Hugon — 1938-1980 •—;
primo tentativo di valutazione
critica, in "Novel Temp”, n. 38,
maggio 1991, pp. 25-31, qui p. 30).
Giovanni Gönnet
CIVILTÀ’ ALPINA E PRESENZA PROTESTANTE NELLE VALLI PINEROLESI
E’ da almeno una quindicina
di anni che un numero sempre
maggiore di appassionati rivolge
la propria attenzione alla ricerca ed alla salvaguardia degli usi
e dei costumi delle Valli. Ultimo nato di una lunga serie di
pubblicazioni è il bel libro Civiltà alpina e presenza protestante nelle Valli pinerolesi, numero 32/33 di una collana che
gli editori Friuli e Verlucca di
Ivrea hanno dedicato alla cultura alpina'.
Gli autori si sono divisi i compiti: Claudio Tron tratta del
credo religioso, dell’istruzione e
del progresso civile (a questo
saggio fa seguito una nota comparativa curata da Caterina
Guiot sulla storia religiosa della
vai Pragelato); Massimo Lecchi,
un giovane architetto scomparso tragicamente lo scorso anno
in un incidente di montagna, ha
scritto sull’architettura e il territorio; Gian Vittorio Avondo ha
curato il tema della scuola; Enrico Lantelme quello del patrimonio tradizionale ed infine Rossana Sappé quello della situazione linguistica.
Come si vede quasi tutti gli
argomenti più importanti sono
trattati. Dico « quasi », perché il
tema del lavoro agricolo e industriale non è svolto in modo sistematico. Eppure è proprio il
mutamento del luogo e del modo del lavoro che ha prodotto
i movimenti di popolazione più
significativi ed i cambiamenti
culturali più profondi di quest’ultimo secolo. A mia conoscenza non esiste ancora una
analisi complessiva di questo
settore, tolta l’intelligente raccolta della memoria personale
Un libro che ci interroga
Più ch§ fornire delle risposte, i testi pongono delle questioni aper, sulle quali sarà opportuno ancora riflettere e discutere insieme
te
fatta da Carlo Ferrerò, di Po
maretto, e riprodotta negli oltre
cento modellini che illustrano
gli antichi gesti del lavoro.
Ma, gli autori ce lo rammentano fin dal titolo, l’argomento
in discussione è il rapporto tra
la civiltà alpina e la presenza
protestante nelle Valli che sono
o furono valdesi: è possibile ritrovare nella cultura, nell’organizzazione del territorio o nell’organizzazione della vita delle
peculiarità che segnino la distinzione tra la popolazione protestante e quella cattolica? Il libro non dà la risposta. Ma questo non suoni a critica degli autori; il fatto è che « la » risposta non esiste.
Vorrei citare alcuni esempi,
per far comprendere la mia affermazione. Innanzitutto, visto
che parliamo del rapporto fra
protestantesimo e cattolicesimo
su uno stesso territorio, occorrerebbe poter verificare se « questo » cattolicesimo fosse uguale
a quello del resto del Piemonte,
e in particolare dell’arco alpino.
Non possiamo dimenticare che
la vai Pragelato è stata protestante per quasi due secoli ed
anche i gesuiti di Fenestrelle
non possono non aver tenuto
conto di questo fatto nella loro
predicazione e nel catechismo.
Lo stesso si può dire delle par
rocchie in cui i cattolici erano
minoranza: fino a che punto l’affermazione della diversità li portava a differenziarsi dai valdesi e fino a che punto, invece, le
due comunità si condizionavano
a vicenda? Recentemente un giovane cattolico di San Germano
rni diceva che, quando era bambino, alla partenza della processione del Corpus Domini, il parroco esortava i suoi dicendo:
« Ricordatevi che con la processione rendiamo testimonianza
della nostra fede! ».
Un secondo esempio può essere dato dalla lingua: è indubbio che il francese ha marcato
la differenza tra le due confessioni religiose. Al riguardo è gustosissima la memoria riportata
nel libro di una signora, la quale racconta che da bambina era
così convinta di questo fatto
che rimase malissimo quando
udì dei cattolici, emigrati in
Francia, parlare in francese!
Ma il problema permane. Il
patuà, infatti, rimaneva la lingua quotidiana, familiare della
maggioranza della popolazione.
Non è un caso che il generale
Beckwith abbia fatto tradurre il
catechismo in patuà e lo abbia
regalato a tutte le parrocchie
(anche se queste non l’hanno
usato). Ma, poiché una lingua
non è soltanto un suono della
voce bensì una struttura mentale, dobbiamo cercare di comprendere se la conoscenza del
francese, che comunque tutti
avevano, non abbia in qualche
modo influenzato anche la vita
quotidiana di chi tale lingua non
usava correntemente.
Vi è poi un ultimo problema,
che il nostro libro propone per
un dibattito che non potrà mancare: se quanto è detto sulle
tradizioni e la cultura è valido
fino (forse) alla seconda guerra
mondiale, è chiaro che non vale più per l’oggi. Le generazioni dagli anni cinquanta in poi
hanno fatto terra bruciata e gli
attuali tentativi di recupero sono molto faticosi. Basta guardarsi intorno: le spose si vestono come Barbie, nessuno canta
più ed i giovani non sanno coltivare la terra...
La domanda si pone a due
livelli, il primo dei quali riguarda il senso stesso del termine
cultura. Oggi le Valli non sono
più un mondo a sé, ben delimitato e strutturato, ma sono solo un piccolo territorio ai margini occidentali della provincia
di Torino, la quale a sua volta
è alla periferia del mondo industriale. E se tale è la situazione, ciò non avviene per im
destino ineluttabile, ma perché
ci siamo lasciati provincializzare
ed abbiamo accolto senza resistenza la cultura dei grandi mezzi di comunicazione di massa.
Noi dobbiamo, però (e questo è il secondo livello), riuscire a percepire se e in che modo, sotto lo strato della cultura
di massa, permangano gli antichi valori fondamentali anche in
coloro che sono, o paiono, i più
marginali rispetto all’« essere
protestante » di cui il libro ci
dà una descrizione.
Gli autori si rivolgono ad un
pubblico ampio e indistinto; il
lettore valdese non potrà non
cogliere però gli stimoli per proseguire la riflessione, che non si
è mai esaurita, sul tema della
chiesa-popolo.
Mi rendo conto che in questa
mia presentazione ho lasciato
poco spazio alla descrizione del
libro e mi sono lanciato subito
nella discussione di alcuni dei
temi che esso propone: ciò significa che gli autori hanno colpito nel segno, presentando ciascuno il proprio campo di ricerca non come un terreno di scavi archeologici ormai sepolti dal
tempo, ma come una realtà ancora presente e viva oggi, nella
memoria se non nella realtà
quotidiana. Peraltro, il libro è
leggibilissimo, talora appassionante, ed il testo è accompagnato da un gran numero di fotografie, disegni e mappe, che giustificano il prezzo non accessibilissimo.
Paolo Ribet
‘ C. TRON, M. LECCHI, G. V. AVONDO, E. LANTELME, R. SAPPÉ, Civiltà
alpina e presenza protestante nello
Valli pinerolesi, Ivrea, Priuli e Verlucca editori, 1991, pp. 198, L. 70.000.
5
w
19 luglio 1991
obiettiyo aperto 5
L’IMMIGRAZIONE COME CONSEGUENZA DELLA POVERTÀ’ NEL MONDO
Storia di Faruk
Pur dotato di una qualifica professionale, l’immigrato è costretto
a frustranti peregrinazioni per ottenere un qualche posto di lavoro
Mi chiamo Belgacem Albelvvahad (Faruk per gli amici
perché è più facile), ho 27
anni, sono celibe; sono medico dentista e professore di
fisica nella scuola di base
(corrispondente alla scuola
media in Italia), la mia famiglia è algerina e in famiglia
siamo in 11 (8 maschi e 3
femmine), più la mamma (il
papà è morto).
Quand’ero in Algeria facevo parte deU’UNJA (equivalente della FGCI) e di un
gruppo d’insegnanti che in
modo volontario dà un aiuto
ai giovani delle famiglie più
povere che non sono in grado di permettersi il lusso di
pagare degli insegnanti presso FUNJA. Ero responsabile
dell’ ufficio formazione - informazione che svolge una
attività nell’ambito dei giovani, soprattutto fra quanti
non riescono a terminare gli
studi, promuovendo attività
culturali e manuali che costituiscono in qualche modo
una prevenzione nei confronti della delinquenza.
Dopo la fine dei miei studi,
ho deciso di partire per la
Svizzera per farmi una specializzazione (natui'almente a
spese mie, non a spese dello
stato). Arrivato là ho dovuto
aspettare l’arrivo del professor « Yoho » che era in congedo, per sapere se potevo essere accettato. Quando è rientrato ho avuto un colloquio
con la sua segretaria. Risultato; dovevo avere il permesso da parte delle autorità
svizzere e mi hanno chiesto
la bella cifra di 18.000 FS
(cioè circa 14.000.000 di lire)
quale garanzia di sussistenza,
oppure avrei dovuto trovare
qualcuno che mi prendeva a
carico.
Siccome sia l’una che l’altra possibilità erano fuori
della mia portata, ho dovuto
lasciare la Svizzera, questo
famoso paese « neutrale »
che poi tanto neutrale non è
con gli africani e ancor meno con gli arabi (e poiché io
sono sia africano che arabo
figuratesi la mia situazione!).
Mentre ero in Svizzera ho
sentito parlare dell’Italia come di un paese senza tanti
pregiudizi nei nostri confronti, un paese nel quale c’è già
la gente del Sud, e ho deciso
di venirci. Così il 16 settembre sono arrivato alla stazione di Milano. All’inizio sono
stato ospitato dalla chiesa di
San Martino e ho preso contatto con i medici del NAGA
che mi hanno cercato un posto più stabile, visto che la
chiesa mi ospitava solo per
15 giorni.
Così son venuto in contatto con il Centro Lombardini:
il primo rapporto è stato con
Mimmo che mi aspettava davanti alla scuola, siamo saliti al 4° piano dove ho incontrato Michele e Felicia. Abbiamo preso un caffè aspettando il pranzo. Dopo ho conosciuto gli altri: Roberta,
Daniele, Davide, Gianni, Vittorio e Maurizio e qualche
giorno dopo Marco che era
fuori Milano. Dopo pranzo
mi è stata indicata una stanza e ho dovuto chiedere che
ospitassero anche un mio
amico, anche lui algerino.
Poi ho trovato un lavoro e sono partito: ma appena arrivato e iniziato questo
lavoro (vendere libri) ho dovuto subire tali e tante umiliazioni dalla gente, oltre a
dover raccontare balle per
vende-re qualcosa, che non ce
l’ho fatta e sono tornato a
Milano.
Ho telefonato al Lombardini per chiedere che mi tenessero le valigie: le ho portate lì e ho parlato un po’ con
Daniele, che mi ha chiesto
dove sarei andato a dormire.
Ho dovuto confessare che sarei andato a dormire in una
macchina insieme ad un tu
1
L
Rorà: un paese per tutte le stagioni
MINI-MARKET
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APERTO LA DOMENICA
Tfcl. 93.144 - RORA
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Tfcl. (0121) 93.101
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Servizio Ristorante su prenot.
Tfel. (0121) 93.139
A 8 km da Lusema S. G. si estende fino ai piedi del monte
Frioland. Centro della resistenza dei Valdesi guidati da
Giosuè Gianavello.
Gite consigliate: Monte Frioland - Comour - Rif. Valanza
- Cave di pietra - Pianprà - Rocca Bera.
Da visitare il museo che contiene una interessante documentazione sulle vicende rorengbe del passato.
Nel Parco Montano vi sono un ristorante, un’area attrezzata per il campeggio ed un anello di fondo di 12 km.
nisino: Daniele mi ha subito
detto che potevo ritornare a
dormire al Centro.
Da allora sono qui, ma un
po’ con la sensazione di pesare sugli altri, specialmente
dopo aver visto in bacheca il
cartello nel quale accanto ad
ogni nome dei membri dèlia
comune c’è la somma che
versano ogni mese. E io invece non posso mettere niente! Naturalmente nessuno ha
mai fatto cenno a questo, ma
10 mi sento un po’ a disagio,
mi sento un po’ come un
handicappato che vede gli altri correre.
Mimmo, che conosce i miei
progetti per l’Inghilterra, ha
proposto di aiutarmi per il
viaggio, cosa che non potevo
e che penso non potrò mai
accettare.
Ecco qua la mia storia, voglio naturalmente concludere
ringraziando tutto questo
gruppo che mi ha accettato e
aiutato, chi in un modo chi
nell’altro: Mimmo che mi dà
le sigarette quando ho voglia di fumare, Daniele che
mi ascolta ogni tanto quando
11 morale è a terra, Manfredo
che ogni tanto mi porta con
lui la sera e mi offre uno svago; Felicia che di mattina mi
insegna l’italiano e che già
considero come la mia seconda mamma (dico sul serio), Michele che si è dannato
per trovarmi un posto presso
un dentista privato. Marco e
Roberta che mi hanno offerto
continuamente di mangiare a
tavola e ini coinvolgono nelle
cose da fare alla comune o
per il Lombardini (e questo
mi ha fatto sentire un po’ più
a casa), Davide con il quale
faccio delle belle partite a
scacchi, tuttavia senza dimenticare tutti gli altri, Gianni, Maurizio, Vittorio e Pina.
Grazie a tutti dal fondo del
cuore.
Chi è lo straniero?
Chi è lo straniero nel Nuovo Testamento?
E’ Gesù, colui che non ha
dove posare il capo, perché è
venuto in casa sua e i suoi
non l’hanno ricevuto (Matt. 8:
20; Giov. 1; 11).
Mi sembra che la nostra riflessione, di fronte al problema
dei migranti e dei rifugiati,
possa partire da quello che vorrei considerare un frammento
di antica cristologia, di cui troviamo qualche sviluppo nel
Nuovo Testamento.
Se così è, dobbiamo anche riconoscere che questo frammento è stato accantonato dalla
chiesa che andava man mano
accomodandosi nei regni di
questo mondo, divenendone cittadina importante; tanto che
solo qualche movimento — di
solito considerato ereticale —
ha riproposto nel corso della
storia della cristianità occidentale quell’immagine di Cristo
(mi vengono in mente i valdesi
medioevali, dei quali gli inquisitori scrivevano che « seguivano nudi un Cristo nudo »).
L’immagine della comunità
dei discepoli di Gesù che troviamo invece nel Nuovo Testamento è quella di donne e
uomini chiamati ad uscire fuori, ad essere forestieri e pellegrini come il loro Signore (Ebr.
11: 13-14) e che pertanto non
hanno territori e privilegi da
recintare e da difendere.
La nuova identità di questi
discepoli è quella di nemici e
stranieri con i quali Dio si è riconciliato e che Dio ha accolto
in Gesù Cristo (Rom. 5: 10;
Col. 1: 21-22).
Ritroviamo lo stesso messaggio, espresso nella forma
corposa del racconto, in quegli episodi riportati dai Vangeli
nei quali lo straniero Gesù è
colui che ha incontrato ed accolto coloro che erano stranieri (sia dal punto di vista etnico, come il centurione di Capernaum, la donna siro-fenicia,
la donna samaritana...; sia dal
punto di vista sociale, come i
pubblicani, gli indemoniati, i
lebbrosi... — i marginali, diremmo noi oggi), fino al punto di
identificarsi con loro e di dire
ai suoi discepoli: « Benedetti
dal Padre mio... perché fui forestiero e mi accoglieste... In
quanto l’avete fatto a uno di
questi miei minimi fratelli l’avete fatto a me » (Matt. 25: 31
e seguenti).
Dunque essere figlio di Dio,
essere discepolo di Gesù, viandante e forestiero, significa essere accolto e accogliere. Ma
accogliere non più inteso come
dovere né come opera assistenziale, bensì come uno di quei
gesti attraverso i quali si esprime (sia pure con tutti i limiti
e le ambiguità umane) la nuova identità del credente e nei
quali il confine fra soggetto e
oggetto dell’accoglienza non è
più netto, tanto che il forestiero non è più considerato solo
il bisognoso, colui che riceve,
ma forse l’angelo (Ebr. 13:
1, 2), cioè colui che porta e comunica a sua volta qualcosa di
valore!
A partire da questo frammento di cristologia del Nuovo
Testamento, leggo anche il « comandamento » (parola di vita)
dell’accoglienza dello straniero
che attraversa come un filo rosso l’Antico Testamento e sta
alla radice, mi pare, di quanto
siamo andati dicendo riguardo
al Nuovo Testamento.
Il passo più forte è certamente quello di Lev. 19: 33-34 da
leggere con Deut. 10: 17-19:
accogli e ama, « perché anche
tu fosti forestiero nel paese
d’Egitto », dal quale Dio — che
è garante del forestiero — ti ha
liberato.
Il punto di partenza è dunque lo stesso che abbiamo incontrato nel Nuovo Testamento: l’azione liberatrice di Dio a
favore del suo popolo; e contrariamente alle apparenze, troviamo anche nell’Antico Testamento una certa identità fra
accogliente ed accolto. Infatti è
vero che, pur essendo molto forte il concetto della terra, Israele confessa che quella terra appartiene all’Eterno, per cui il
popolo è forestiero ed avventizio, ospite di Dio, e non proprietario della terra (Levitico
25: 23); perciò anche il forestiero può avervi la sua parte.
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6
valli valdesi
19 luglio 1991
Debout!
Al Colle
Senza sosta, a tutte le ore, i
mass media sfornano notizie: l’informazione può capovolgersi in
disinformazione. Intanto crescono intrallazzi, delinquenza; l’economia nazionale ci fa retrocedere
tra i paesi di serie B. La grande in
dustria cede, l’artigianato viene
semiparalizzato: ci sono migliaia
di giovani disoccupati, fiorisce
il commercio della droga, i tossicodipendenti muoiono, mentre altri, miliardari, fanno le « vacanze d’oro ».
E’ caduto il muro di Berlino:
la peste del 2000, il malefico comunismo, è stato sconfitto. Ma?...
Altri muri resistono nell’urgere
impetuoso di questi nuovi tempi:
sono i muri dei feticci, dell’ignoranza, della superstizione...
Anni or sono il teologo protestante Tillich ammoniva: « Si
scuotono le fondamenta ». Noi, timidi credenti, stiamo a vedere. Ci
denunciamo per la pace, ma pace non c’è. Parliamo di giustizia e
di libertà, ma tutto passa sopra
la testa della gente. Siamo stati
tutti anestetizzati?
Debout!
La pluridecennale « rencontre »
chiama sul Colle della Croce giovani e anziani, unionisti, « acidigisti » di ieri e di sempre d’Italia,
di Francia e di altri paesi.
Negli anni duri della cappa fascista, quando ai valligiani valdesi era proibito giungere al Colle,
proprio allora gruppi di laici e
di pastori, militanti nelle Unioni,
nel 1933-34 e negli anni successivi,
riuscirono ad incontrarsi con i loro fratelli nel Queyras.
Dopo la guerra la « rencontre»
ha visto centinaia e centinaia di
convenuti anche dalla Germania,
dall’Inghilterra, dal Belgio e altri
paesi.
Poco dopo l'incontro, riuscitissimo, dell'anno scorso, il quotidiano « Le Dauphiné » titolava
« Le Col Lacroix » un articolo con
tre foto, e su « Évangile et liberté » il redattore, pastore Christian
Mazel annotava: « Un’indimenticabile gioiosa giornata, ricca di
emozioni »; e così altri giornali.
Un passato meraviglioso con innumerevoli personaggi indimenticabili; alcuni Dio li ha richiamati a sé, altri sono viventi e
sempre più carichi di fervore
unionista: il pastore J. Meyer, J.
Monod, i Cadier, Roberto Jahier,
Guido Rivoir, Gustavo Malori,
Duccio Gay, Ernesto Bein, i fratelli Cotta Morandini, i Frache, i
Jourdan, e tantissimi altri...
Un vero e proprio «Kirchentag » in miniatura, quello del Colle. Gente venuta da ogni parte,
che fraternizza nel nome dell’unico Signore. Ricchi di un impegno
non finto, radicati nell’essenziale
della Parola e perciò rifiutando
ogni sistema autoritario sociale
o clericale.
Giovani e adulti, che stimano
il primato della fede al di sopra
dei dogmatismi, si troveranno accomunati dall’ardente desiderio
di testimoniare Cristo e Cristo
solo, meditando sempre la preghiera sacerdotale: « Che siano
tutti uno ».
Domenico Abate
Domenica 21 iuglio
INCONTRO AL
COLLE DELLA CROCE
Il programma prevede il
culto con animazione a cura
del gruppo di giovani di Gap
(ore 10,30) e nel pomeriggio
(dalle 14) dibattito con interventi vari e riflessioni.
DOPO L’INTERVENTO DELL’ASSESSORE MACCARI
L'ambulanza resta ferma
Il comportamento della vai Pellice definito « propagandistico » - La
storia dei piani d’intervento regionale per i soccorsi più urgenti
In breve
L’ambulanza attrezzata per il
soccorso urgente, acquistata dalla Croce Rossa di Torre Pellice
grazie alle offerte raccolte in questi anni fra la jxjpolazione (circa 100 milioni), resterà per ora
in garage inutilizzata. E’ questa
la conseguenza immediata della
sospensione della deliberazione
che rUSSL 43 aveva preso e che
prevedeva un rimborso chilometrico per gli interventi della nuova ambulanza, nonché la presenza a bordo di un medico.
« Non so cosa accadrebbe se
per altro in questo periodo dovesse verificarsi la necessità di
un soccorso urgente e noi non
potessimo utilizzare la nuova ambulanza », commenta amaramente il coordinatore sanitario delrUSSL 43, Rissone.
Da parte dell'assessorato regionale alla Sanità sono stati espressi giudizi molto negativi sul comportamento « particolaristico e
non coordinato » dell’USSL della
vai Pellice e lo stesso comitato
direttivo del DEA (Dipartimento
emergenza e accettazione) di Pinerolo, deplorando il comportamento « demagogico e propagandistico » della vai Pellice, ricorda
che i lavori di rinnovo del pronto soccorso e di istituzione della rianimazione presso l’ospedale
civile di Pinerolo sono stati finanziati dalla Regione Piemonte
e sono in corso.
« La decisione di dar vita a
questo soccorso urgente — ribattono sia il coordinatore sanitario deirUSSL 43, sia il presidente della Croce Rossa Arnaldo
Bracchi — è stata presa fin dal
1985 ed approvata dalla Regione; del DEA di Pinerolo si parla da anni, ma concretamente cosa si è visto? ».
Dopo le prime prese di posizione l’assessore regionale Maccari è tornato sull’argomento;
«Per il soccorso urgente — dice
l’assessore — è stato attivato
l’intervento dell’elisoccorso, con
a bordo un medico anestesistarianimatore e tutta la strumentazione adatta ad un intervento
rapido e qualificato: in vai Pellice gli interventi, in due anni e
mezzo, sono stati una sessantina, di cui quelli particolarmente
gravi sono stati appena due. Inoltre a breve termine verrà istituito il numero unico di chiamata per l’emergenza (118) ».
L’assessore Maccari esprime
poi pesanti giudizi sull’operato
Mostre
TORRE PELLICE — Sabato 27 alle
ore 17,30 viene inaugurata, presso il
Centro culturale, la mostra di fotografie di Giovanni Turin, Patrocinata dal
Comune di Cuneo e dalla Regione Piemonte la mostra è stata esposta a Cuneo sotto il titolo « Reportages quotidiani, Giovanni Turin professore e fotografo ».
La mostra resterà aperta fino al 18
agosto con l'orario del Museo: giovedì, sabato, domenica dalle 15 alle 18.
Amnesty International
TORRE PELLICE — Venerdì 19 luglio, alle ore 17. avrà luogo nella sede di via Repubblica 3, T piano, la
riunione quindicinale del Gruppo Italia 90 Val Pellice.
Concerti
TORRE PELLICE — Venerdì 19 luglio alle ore 21, nel tempio valdese,
avrà luogo il primo dei quattro concerti estivi organizzati dalla Pro Loco; il « Giovane ensemble novarese »
eseguirà musiche di W. A. Mozart, J.
Ibert, A. Tansman e F. Poulenc.
del doti. Rissone, coordinatore
sanitario dell’USSL: « Purtroppo
nelle USSL il rapporto di pubblico impiego (forma di supergaranzia che spesso protegge solo
chi non lavora o chi è incapace) non consente di licenziare
neppure coloro i quali, come nel
nostro caso, fanno della pura demagogia gettando fumo negli occhi della gente ».
« Queste accuse — precisa Rissone — non meritano commenti;
personalmente ho redatto tutta
la cronistoria della vicenda, a
partire dal 1985, in cui a parla
re sono i fatti e non le ipotesi
o le grandi parole. (Queste note
sono state inviate ai coordinatori sanitari delle USSL 42 e 44,
oltre che al coordinatore del DEA
di Pinerolo. Non è da oggi che
abbiamo la sensazione di una volontà di penalizzare una valle che
ha saputo mettere in piedi servizi totalmente inesistenti altrove
e che prendono in considerazione i problemi reali della gente,
ma queste sono valutazioni di tipo politico che spettano anzitutto ad altri ».
Piervaldo Rostan
6« RESCONTRE OCCITAN
Le Alpi e l’Europa
Giunto ormai alla sesta edizione, il Rescontre occitan si è svolto lo scorso fine settimana a Sanfront, in vai Po.
Ancora una volta, accanto ai
momenti di festa, di musica e
ballo, alla gastronomia tipica delle valli, vi sono stati alcuni dibattiti a caratterizzare le tre giornate: « Quale uso per la risorsa
acqua? », « Quale autonomia per
il popolo curdo »?
Il momento più frequentato è
stato senz’altro il convegno sul
tema « Le Alpi come istituzione:
quali strumenti di autogoverno
per le popolazioni alpine verso
l’Europa? », un titolo che pareva comprendere un po’ tutti i temi di un dibattito che nel corso
di quest’ultimo anno, soprattutto alla luce della legge 142 sulle
autonomie locali, si è caratterizzato per la proposta di Provincia
alpina.
« Su questo tema — precisa Dino Matteodo, vicesindaco di Frassino — si sta costruendo anche
nelle valli cuneesi un fronte trasversale che ritiene che questa
sia una carta da giocare in vista
di una maggiore autonomia di
queste zone montane. Come occitani riteniamo oggi che questa
sia un’idea dirompente che può
cambiare i quadri fin qui definiti; personalmente credo ci serva
una provincia in grado di programmare e di gestire i problemi della montagna, che comprenda anche quelle città di fondovalle che per le valli rappresentano un riferimento. Ritengo però anche che sia importante avvalersi in pieno di quegli strumenti come i circondari, che dovrebbero fare riferimento ai ba
cini naturali del pinerolese o del
saluzzese. Certo la provincia che
immaginiamo noi non è quella
che cambia le targhe alle macchine o decentra semplicemente
gli organismi dello stato tipo le
prefetture ».
Il convegno sulle Alpi ha permesso di evidenziare anche altri
aspetti legati ad una politica per
questo territorio particolare; il
prof. Servoin, dell’Università di
Grenoble, ha per esempio sfatato un'idea molto diffusa da noi,
e cioè che oltralpe le strutture
politico-giuridiche siano più semplificate che da noi, mentre il
prof. Lombardi, dell’Università
di Torino, ha posto l’accento sui
rapporti che mutano nell’Europa
che va verso il 2000: sarà sempre più stretto il rapporto fra
governo delle strutture centrali
europee e governi delle regioni,
piuttosto che quello con i singoli stati, e per regioni si intenderanno sempre più quelle « naturali », come può essere l’area alpina occidentale, che quelle politiche costituite a tavolino.
Dunque nuovi concetti per la
regione alpina, « regione transfrontaliera a cui lo stesso stato
italiano — aggiunge ancora Matteodo — ha fin qui prestato scarsa attenzione; ma anche g livello
regionale si sono perse motte occasioni: sul progetto Interreg la
Regione si è limitata a raccogliere i progetti più o meno raffazzonati presentati dalli vàlriè“ Comunità montane. Sul versante
cuneese si è finito per indirizzarsi su studi di fattibilità di trafori, il che è tutto dire ».
P.V.R.
SAN SECONDO
Approvato lo Statuto
Anche il Comune di San Secondo di Pinerolo ha approvato
il suo Statuto, creato in ottemperanza agli obblighi posti dalla
legge 8 giugno 1990 n. 142 sul,1’« Ordinamento delle autonomie
locali ».
Nella calda serata di mercoledì
10 luglio il Consiglio comunale
ha espresso parere favorevole alla bozza di statuto presentata
dalla commissione-statuto ed ampiamente discussa.
Lo Statuto è nato con la precisa volontà di non escludere alcuna capacità potenziale d’azione prevista dalla suddetta legge.
Si è ritenuta importante la figura del difensore civico le cui
competenze però, per esigenze di
organizzazione, sono state attribuite al collegio per la tutela civica.
Lo Statuto prevede la possibi
Gioco, animazione,
ricerca ambientale
PERRERO — Si sono concluse a Perrero le settimane di gioco e animazione, oltre che di
ricerca ambientale, coordinate
dall’insegnante Paolo Ghigo, con
la collaborazione delle guardie
ecologiche volontarie delle valli
Chisone e Germanasca.
Due gruppi di ragazzi dai 7
ai 14 anni si sonC' ritrovati in
due settimane consecutive, dal 1”
al 13 luglio, per dedicarsi ad attività varie, come l’esplorazione
dell’ambiente montano, la costruzione di giocattoli con materiale di recupero, la discussione dei problemi legati alla salvaguardia della flora e della fauna con le guardie ecologiche,
una gita con arrampicata.
L’iniziativa, che era già stata
attuata a Prali in anni precedenti, ma che era nuova per
Perrero, è stata apprezzata sìa
dai bambini che dalle famiglie,
ed ha anche ottenuto un sostanzioso contributo da parte della
Provincia.
Nel corso dell’estate sono ancora previsti incontri analoghi,
nuovamente a Prali, dal 29 luglio al 10 agosto. Si richiede
l’iscrizione di almeno 10 partecipanti.
In ricordo
di Guido Vinçon
SAN GERMANO — Il Comune ha portato, nella seconda
guerra mondiale, un pesante carico di sangue e di dolore. I caduti sono stati 43, di cui tredici civili, sedici partigiani e quattordici militari. Tra questi. Guido Vinçon è stato insignito della medaglia d’oro.
In occasione della ricorrenza
del cinquantesimo anniversario
della sua morte, il gruppo pinerolese dell’Associazione marinai
d’Italia ha organizzato una commemorazione, domenica 7 luglio.
Come è forse noto. Guido Vinçon partecipò come componente
l’equipaggio di un MAS di appoggio ad una spericolata azione di barchini esplosivi contro
la base navale inglese di Malta,
il 26 luglio 1941. L’operazione
fallì e quando, sulla via del ritorno, il MAS di Guido Vinçon
fu attaccato dall’aviazione inglese egli, benché ferito, sostituì alla mitragliera un compagno ferito e continuò a combattere
finché il suo mezzo non fu distrutto. Egli morì, ma permise
ai compagni di salvarsi.
La sua storia, che è anche il
racconto di un brano della vita
del paese, è stata narrata da
Clara Bounous, in un libro edito dal Museo valdese di San Germano e che porta il titolo Una
vita spezzata. Profilo di Guido
Vinçon, un marinaio venuto dalla montagna, reperibile presso la
Chiesa valdese a L. 10.000.
lità di dar vita ad aziende speciali ed a società per azioni a
prevalente capitale pubblico, anche se nell’immediato futuro, si
presume, non saranno create vista la modestia delle risorse del
Comune.
Si è ritenuta opportuna la possibilità di poter nominare un assessore esterno la cui posizione
sarà però ben definita nel regolamento competente.
Il consiglio si è impegnato ad
adottare i relativi regolamenti,
previsti per l’attuazione dello
Statuto, entro 24 mesi.
Auspicando una prossima riforma del sistema delle finanze
locali e del sistema elettorale locale, si spera che, sin dall’entrata in vigore, lo Statuto possa dare i risultati sperati.
R. F.
Comune di Torre Pellice
Provincia di Torino
COMUNICATO
Il Sindaco rende noto che
in data 22.7.1991 verrà emesso
un bando di concorso per assegnazione in locazione di alloggi di edilizia popolare.
Possono presentare domanda di assegnazione i residenti
o con attività lavorativa nei
Comuni deiruSSL n. 43 (salva la riserva di 6 alloggi ristrutturati con finanziamento
destinato al recupero del patrimonio pubblico esistente e
del 20% degli altri a cittadini
residenti o con attività lavorativa in Torre Pellice) rivolgendosi all’apposito ufficio comunale entro il 6 settembre
1991.
Il Sindaco
dott. Marco Armand Hugon
7
19 luglio 1991
lettere
IL REFERENDUM
ALLE VALLI
Caro Direttore,
il pastore Taccia, nella sua lettera
pubblicata sul numero del 5 luglio, ha
ragione! La mia intervista su La Stampa dell 11 giugno '91 a proposito dei
risultati del referendum era proprio
« impacciatissima ».
E non intendo neppure invocare a
mia discolpa le attenuanti che pure
penso di avere: sono stato contattato
telefonicamente alle 23,30 del 10 giugno — a poche ore dalla chiusura
dei seggi — da un giornalista che mi
ha comunicato che i dati provenienti
dalle nostre valli erano .. controcorrente » rispetto a quelli del resto dell’Italia e del Piemonte e mi ha chiesto delle spiegazioni che — così . a
botta calda » — non sono stato in
grado di dare.
Non invoco le attenuanti perché
neanche adesso — a distanza di più
di un mese — so trovare uno o più
perché alla non partecipazione al voto nei . territori valdesi ».
E quello che mi rende ancora ,« impacciatissimo » non è il fatto che _
come accenna Taccia — noi non siamo stati i « soliti primi della classe ». ma proprio la constatazione che,
andando contro il risultato nazionale,
siamo stati gli « ultimi della classe »!
Non siamo perciò di fronte a « qualunquismo, stanchezza o superficialità », perché allora ci saremmo appiattiti sulle medie nazionali. Qui invece,
a parer mio, siamo alle prese con
qualcosa di diverso e forse di più
grave.
E credo che questo ■■ qualcosa »
non sia soltanto un « vacillare delia
nostra coscienza civile e democratica », perché noi assistiamo ad una pericolosa tendenza al disimpegno da
ogni responsabilità anche e soprattutto aH'interno delle nostre chiese.
Così, comunità valligiane con 500
membri comunicanti fanno una gran
fatica a conservare il numero minimo di 100 membri elettori necessario per conservare l’autonomia perché
le nostre sorelle e i nostri fratelli di
chiesa non si iscrivono nell’elenco degli elettori per non correre neanche
lontanamente il rischio di essere costretti ad assumere un incarico nella
comunità.
E così uno dei compiti più ardui
di un Concistoro e di un pastore è
quello — a primavera — di riuscire
a trovare dei candidati alle deputazioni al Sinodo e alla Conferenza distrettuale. E se non si fa ricorso alle
solite poche persone t di buona volontà » si è nei guaii
Il pastore Taccia ha allora pienamente ragione quando parla, per i dati del referendum, di una « stoccata
salutare ». Ma il discorso, secondo
me, andrebbe allargato ben oltre il
solo aspetto dell’impegno sociale e politico della nostra gente.
Cercando di vincere il mio impaccio, vorrei suggerire una possibile linea di riflessione e di ricerca: si fa
un gran parlare dell’influsso dei
« mass media » (e della televisione in
particolare) sulla gente. Forse è ora
di prendere in seria considerazione
questo fenomeno applicato alle nostre chiese.
Perché io temo che il continuo
« bombardamento » a cui siamo sottoposti (un bombardamento di fronte al
quale anche le ■■ Termopili valdesi »
sono purtroppo inutili) stia pian piano sgretolando la nostra cultura riformata innestando in essa i germi di
una cultura direttamente (il . superpapa » star televisiva onnipresente) o
■■ laicamente » cattolica. E con questa
cultura penetra la mentalità della delega e del « non - pensar - tu - che ci - sono - altri - che - pensano - per te » tipica del cattolicesimo. Temo ohe
questi germi, da noi per giunta neanche temperati dalla struttura obbedienziale cattolica, abbiano già iniziato a dare i loro devastanti frutti.
Forse, i risultati del referendum
possono aiutarci a renderci conto di
questo...
Ruggero Marchetti, Angrogna
ANTIPAPISTI
PER FORZA
L’intervento di Martelli al congresso socialista di Bari ha scatenato una
virulenta accusa di antipapismo da parte della Chiesa cattolica e associati.
Non volendo entrare nel merito di
tutto quanto dichiarato da Martelli,
tuttavia è bene evidenziare il nocciolo del problema per non confondere
i ruoli tra accusati e accusatori.
Valgano per esempio emblematico ì
casi del divorzio, dell’aborto, dell’ora
di religione, dell’etica sessuale.
Ebbene lo stato italiano non obbliga nessun cittadino cattolico a scelte contro coscienza.
La Chiesa cattolica, non riuscendo
ad imporsi moralmente ai propri fedeli, vorrebbe imporre con la legge le
regole della sua dottrina a tutti ì cittadini di un libero stato.
A nulla servono le cortine fumoge
CONSORZIO
PINEROLESE
ENERGIA
AMBIENTE
energia ambiente
mapERLmemm
Ciao,
sono solo uno
piccola goccia
d'acqua, ma ci
siamo già visti un
sacco ai volte!
la strada cfie
faccio ogni giorno
3er arrivare fino a
e è un servizio del
CONSORZIO e
dell'ACEA!
Le mie radici
sono forti, la mia
chioma è bella e
folta perché gli
operatori ecÒloqici
¿U CONSOLO
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servizio di
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rifiuti, lasciano il
mio ambiente
pulito!
Il CONSORZIO e
l'ACEA hanno
pensato anche a
me!
Con il servjzio di
deourazione
delle acque
posso tornare a
saltare felice e
contento nell'acqua dei fiumi!
n oasv
Il metano è
energia pulita!
Lg mia fiamma è
allegra, ti riscalda
e non inquina.
Tanti vantaggi:
pensaci,
anche questo è
un servizio del
CONSORZIO e
dell'ACEA!
ne innalzate dagli accusatori di antipapismo perché la storia insegna che i
« papi » Integralisti di tutte le religioni, vocati a crociate nefaste, sono
stati la tragedia della civiltà umana
e della libertà di coscienza.
Solo per opportunismo ipocrita di
parte si possono falsamente accusare
di antipapista i sostenitori della separazione tra libera chiesa ma soprattutto libero stato.
Roberto Mollica, San Mauro
EBEN-EZER
Cari fratelli in Cristo,
Paolo Fiorio (n. 26/’91) ha tracciato un ottimo profilo della situazione
mondiale circa l’AIDS: un virus che
riguarda tutti, colpiti o meno, ricchi
0 poveri, e che dovrebbe coinvolgere
maggiormente i credenti di tutte le
confessioni, specie evangeliche (si legga il salmo 31: 11-22).
Purtroppo l’Italia, più che un paese
ove l’AIDS regredisce meno che altrove — come scrive Florio — è un
paese considerato ad alto rischio dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità. Vi è riluttanza nel sottoporsi ai test anche se gratuiti ed
anonimi come qui nella Regione Veneto, vi è riluttanza persino alla vaccinazione contro l’epatite B. I più colpiti sono giovani appartenenti alle fasce più povere della nostra società
« del benessere »!
La nostra piccola opera profetica di
Mestre, Casa Eben-ezer, nonostante le
difficoltà finanziarie continua la sua
attività e sta ricevendo continuamente richieste di alloggio specie da parte di detenuti. Grazie per averci voluto segnalare tramite la rubrica « Il
fondo di solidarietà » e grazie in antìcipo a quanti vorranno contribuire, nel
nome di Gesù Cristo, al definitivo acquisto ed al mantenimento dell’opera
in attesa che si possa accedere ai
fondi ministeriali e regionali tuttora
bloccati. La vostra attenzione e le risposte al nostro appello sono la realizzazione di quanto è detto nel Salmo 72: « Poiché egli libererà il bisognoso che grida, e il misero che non
ha chi lo aiuti. Egli avrà compassione dell’infelice e del bisognoso e salverà l’anima dei poveri... e il loro
sangue sarà prezioso agli occhi suoi »
(vss. 12-14).
Giovanni L. Giudici, Mestre
PROBLEMI DI
COSCIENZA
Caro Direttore,
in queste ultime settimane, particolarmente dopo che è stata resa nota
la relazione della Commissione sinodale ad referendum, apparsa orientata per la tesi del « sì », sono stati
pubblicati dal giornale numerosi articoli e lettere che cercano invece di
spingere ad un rigetto della proposta.
A me sembra che ì motivi fondamentali delle tesi di costoro siano costituiti soprattutto da « orgoglio » e « superbia »; caratteristiche del carattere
umano che non riscuotono certamente
l’approvazione degli insegnamenti del
Vangelo (Marco 7: 21-23).
La situazione invece non mi sembra troppo dissimile da quella che si
verificò quando la chiesa dovette affrontare i problemi connessi con II
referendum sul divorzio e sull’aborto.
Anche allora, benché le scritture riprovassero molto più esplicitamente
tali comportamenti, (Matteo 19: 3-9;
Marco 10: 5; Luca 16: 18) e (Matteo 5: 21; Matteo 19: 18) si ritenne
con largo consenso che l’uomo e la
donna dovessero essere lasciati liberi
di prendere una decisione responsabile, avendo Dio come loro unico giudice.
In maniera analoga a me sembra
QUANDO VI OCCORRE
UN MOBILE PICCOLO
minimobìli
di
CESARE BERTOLI
Via Palestre, 13 ■ PINEROLO
Tel. 0121/79.39.87
che la decisione che il Sinodo deve
prendere non possa e non debba sovrapporsi in alcuna maniera alla libera responsabilità individuale. Se deciderà per il « sì », come molti si augurano, rimarrà, a chi dissente, la piena libertà di destinare la somma di
cui si parla allo stato, ad altre comunità oppure, se non vorrà esprimere alcuna scelta, per circa il 70%
alla chiesa cattolica. Sono problemi
che riguardano la coscienza del singolo e sui quali nessuno, nemmeno
la chiesa, ha il diritto di entrare, pur
avendo il dovere di mettere l’individuo in condizioni di poter operare liberamente la propria scelta.
Reto Bonifazi, Terni
RINGRAZIAMENTO
« Ma la cosa mi è parsa molto
ardua »
(Salmo 73: 16)
A funerali avvenuti, la moglie, la
figlia e il piccolo Andrea annunciano
che il 5 luglio è mancato
Amilcare Romano
Commossi e riconoscenti ringraziano il dott. Andrea Ciancio, le famiglie
Rocco, Vicino, Cesano, Odino, Gardiol,
Aldo Godino, i pastori Genre e Bertolino, tutti gli amici, i vicini di casa,
i parenti che si sono prestati e sono
stati vicini in questo triste momento.
S. Secondo, 10 luglio 1991.
RINGRAZIAMENTO
La moglie, i figli ed i familiari tutti
del compianto
Giuseppe Gönnet
profondamente commossi e riconoscenti per la dimostrazione di stima e di
affetto tributata al loro caro, neU’impossibilità di farlo singolarmente, ringraziano tutti coloro che hanno partecipato al loro dolore con fiord, scritti,
parole di conferì o e presenza al funerale. Un grazie particolare al pastore
Claudio Pasquet ed al personale medico e paramedico deU’Ospedale valdesè di Torre Pellice.
Torre Pellice, 17 luglio 1991.
RINGRAZIAMENTO
« Ogni cosa ha la sua stagione,
ed ogni azione sotto il cielo ha
il suo tempo. Vi è tempo di
nascere e tempo di morire; tempo di piantare e tempo di divellere ciò che è piantato... »
(Eccl. 3: 1-2)
In morte di
Emilio Gorrado Reymond
la moglie Maria Luisa Malan, il figlio
Roberto, con la moglie Danielle, nelrimpossibilità di farlo singolarmente,
ringraziano il personale di medicina
deirOspedale civile di Pinerolo, la
Croce Rossa di Torre Pellice, il pastore
Vito Gardiol, i vicini di casa, i parenti
e gli amici.
Rorà 19 luglio 1991.
AVVISI ECONOMICI
CERCO coppia media età disposta a trasferirsi in Maremma Toscana con
mansioni di custodia, manutenzione
giardino e casa; dispo:uibilità di proprio alloggio tricamere, bagno, cucina, uso macchina. Stipendio adeguato. Scrivere a: Ada Ruffini, Lungagnano 126, 57022 Castagneto Carducci (Livorno), tei. 0565/763696.
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l’eco
delle valli valdesi
Dir. respons. Franco Giampiccoli.
Aut. Trib. Pinerolo n. 175.
EDITORE: A.I.P. - via Pio V, 15 10125 Torino - ccp 20936100 - tei.
011/655278.
Consiglio di amministrazione: Roberto Peyrot (presidente), Silvio Revel (vicepresidente), Paolo Gay,
Marco Malan, Franco Rivoira (membri).
FONDO DI SOLIDARIETÀ’; ccp n.
11234101 intestato a « La luce »
via Pio V, 15 - 10125 Torino.
Stampa: Coop. Subalpina Torre Pellice.
8
8 villaggio globale
19 luglio 1991
FRA I LIBRI
Il Medio Oriente
al di là degli schemi
Sono ancora pochissimi i testi validi tradotti in italiano - La nostra nozione di Oriente porta con sé la comprensione dell’Occidente
Pacifismo
non è suicidio
« Occupato, studiato, visitato,
sfruttato, oggetto di fantasie,
l'Oriente è rimasto qualcosa di
non sottomesso, d'incomprensibile, rifiuto vociante o silenzioso
ma sempre accanito, barriera,
chiusura continuamente riemergente di cui l’onnipotenza occidentale non è mai veramente riuscita a venire a capo ». La definizione, con tutte le sue sfumature e concretezze, è di Thierry
Hentsch, in L'Orient imaginaire.
La Vision politique occidentale
de l’Est méditerranéen (Parigi,
1988) e l'Oriente in questione è
quello a noi T/icino, il Vicino
Oriente, anzitutto, e poi, ma sarebbe bene non confondere i due,
il Medio Oriente.
Siamo in piena cronaca. Di
Medio (Vicino) Oriente sono pieni giornali e schermi televisivi,
abbondano analisi di ’esperti’ e
schede informative, ma dopo
quattro frasi ti accorgi che la
minestra è sempre la stessa, sì
che anche la tendenziosità, quale
essa sia, non brilla per la varietà degli schemi usati.
Quando di Oriente si parla,
« tutto è politicizzato nella maniera più riduttiva e insensata....
E’ praticarhente impossibile usare una tavolozza sfumata »; i
termini della discussione, oltre
che « politici nel modo più ovvio », vanno raramente al di là
dei riferimenti immediati, dice
Edward W. Said, autore dì im
libro che ha fatto assai rumore
in America e altrove, Orientalism,
presentato in Italia, con lo stesso
titolo. Orientalismo, da Bollati
Boringhieri (della massa grandissima di libri su questi argomenti prodotti soprattutto in francese e in inglese da noi arrivano
goccette, in ritardo e accuratamente selezionate... siamo un
paese libero, ma non si sa mai).
E se altri riferimenti, teorici
e storici per intenderci, ci sono,
essi fanno quasi tutti capo a
quel grande, vetusto e finora incrollabile contesto ideologico che
è l’obiettivo critico dell’opera di
Said: T orientalismo appunto.
« Molta gente ritiene che io abbia
scritto una difesa dell’Islam o
una difesa degli arabi o un attacco all’Occidente. Avevo ben
altro per la testa. Quella che at
Grazie, Bush
(segue da pag. 1)
na: ma questa straordinaria nuova libertà varrà per i nuovi nati mentre restano in piedi tutte
le restrizioni per chi ha la sfortuna di essere già nato, e cosi
via. Sono stati cancellati i reati politici, ma nelle carceri si fa
ancora sciopero della fame e più
di 3.000 prigionieri attendono invano di conoscere la loro sorte. E allora? Non togliete le sanzioni! grida questo popolo lacerato. E’ la sola arma che ancora potete darci, che può dare credibilità politica a questo
vecchio signore metodista integerrimo, a Nelson Mandela, a
tutti coloro che hanno dato e
danno la vita per un Sud Africa pacificato e democratico.
Ma Bush ha detto serio e compreso che i progressi democratici del Sud Africa sono tali da
meritare il ritorno dei capitali
americani, e che lui ascolterà i
consigli del signor Mandela e
del signor Buthelezi; alla pari.
I consigli di uno che ha speso
tutto se stesso per la sua gente, e i consigli di un piccolo dittatore assassino: alla pari. Bravo signor Bush.
Febe Cavazzutti Rossi
■ :
Guerra Iran-Iraq: uno dei momenti piu caldi in Meaio Unente.
laccavo era la nozione che si ha
dell’Oriente e con essa, ovviamente, anche la nozione di Occidente ». Precisa Said, in un’intervista pubblicata tre anni or sono
su ’’Middle East Report”, rivista
americana specializzata (amministrazione: 475 Riverside Drive,
New York, indirizzo a noi familiare) in occasione del decimo
anniversario dell’uscita del volume negli Stati Uniti.
« Il riferimento immediato del
libro fu il periodo dal ’61 al ’73:
due guerre arabo-israeliane con
esiti differenti, la relativa esplosione di interesse per il Medio
Oriente contemporaneo nei media occidentali e nel mondo
accademico. La qualità del materiale prodotto mi colpi intellettualmente e politicamente, oltre
che dal punto di vista del livello letterario, per la sua incredibile povertà e arretratezza. La
coscienza che avevo della mia
storia, come arabo e come palestinese, non pareva aver nulla
a che vedere con quello che leggevo. Capii che la mia storia, che
era mescolata con quella dell’Occidente in molti modi, non aveva
mai veramente risposto alla sfida dell’Occidente ».
Parlando così, Edward Said è
ampiamente qualificato. Emigrato negli Stati Uniti con i genito
ri subito dopo la Nakba, la tragedia dell’ablazione di metà del
popolo palestinese dalla sua terra con la guerra 194749, Said ha
fatto una fulminante carriera
accademica, insegna da 25 anni
alla Columbia University dove da
tempo ha la cattedra (la Parr
Chair) di letteratura inglese e
comparata. Ed è anche uno dei
due palestinesi cittadini americani membri del Consiglio nazionale palestinese che nel novembre
del 1988 sancì la Dichiarazione
d’indipendenza della Palestina.
La critica di Said non è l’ennesima critica all’Occidente "cattivo”. Autocritica, ironia, forte
sensibilità per la valutazione
equilibrata sono buone compagne di strada di un discorso incisivo, senz’altro provocatorio
per il suo contenuto ma sempre
di buon respiro, non immeschinito, amaro quant’è inesorabilmente necessario. « L’informazione »,
e qui Said intende l'informazione
sui modelli interpretativi, « è
stata mercificata a un punto tale
che le opportunità per tipi all’opposizione come molti di noi di
far giungere le nostre idee a un
pubblico più vasto si sono fatte
alquanto sparute ». Per farsi
un’idea dell’occupazione leggere
Said.
Sandro Sarti
LAVORAVANO NELLA EX RDT
i vietnamiti
BERLINO — I vietnamiti erano arrivati nell’ex Germania democratica circa 5 anni fa come
tappabuchi della più grande industria dei paesi dell’Est; avevano lavorato duramente, spesso
ghettizzati in quartieri periferici,
isolati dagli altri cittadini, dai
luoghi di cultura e di tempo libero. Niente era stato organizzato per loro. Né asili o scuole né
ristoranti o centri culturali, né
giornali o televisione nella loro
lingua.
Erano, dopo l’Armata rossa, il
gruppo di stranieri più numeroso
nella RDT, circa 60.000. « Invitati
per approfondire l’amicizia e la
cooperazione tra la RDT e il
Vietnam», recitava l’ultima formulazione per il loro contratto.
Amicizia e cooperazione avevano
strane regole per i vietnamiti, in
particolare per le donne sovente
adoperate come forza lavoro per
le pulizie di uffici, negozi, nelle lavanderie. Per le donne vietnamite che rimanevano incinte, e
dunque a causa della loro gravidanza non potevano più essere
utilizzate come forza lavoro, esisteyano due possibilità: abortire
o ritornare nel proprio paese.
Anche per gli uomini la situazione era molto pesante : dovevano versare il 12 per cento del loro stipendio (è così ancora oggi),
alla propria ambasciata e potevano fare ritorno a casa soltanto dopo tre anni di permanenza
continuativa in Germania.
Negli ultimi mesi sono già 30
mila coloro che hanno fatto ritorno. La nuova Germania unificata non li vuole più, non ne ha
più bisogno. Nonostante gli impegni presi precedentemente oggi
vengono obbligati a partire «liberamente». Hanno diritto a tm
« premio » di tremila marchi, ma
non possono portare' con sé più
di venti chili di bagaglio.
Chi laverà ora i panni sporchi
della Germania? Porse i polacchi
o gli stessi tedeschi dell’est?
Una lunga fila attende alla porta
e la maniglia è sempre nelle mani dei paesi più ricchi e più arroganti.
Manfredo Pavoni
(segue da pag. 1)
venia in una moderna repubblica europea.
Che cosa è avvenuto con le
grandi modificazioni dei paesi
dell’Est?
— Di questi mutamenti gli sloveni sono stati antesignani, in
quanto decisi ad affermare la
propria identità: non per egoistico sentimento di separazione,
ma per poter essere padroni in
casa propria e liberi di unirsi
agli altri popoli in un patto federativo, senza imposizioni dall’alto.
Perché la Serbia si oppone a
tutto ciò?
— Perché il veterocomunista
Milosevic ha cercato di approfittare di una situazione che ha
portato Slovenia e Croazia ad
evolversi verso il pluripartitismo, tentando di aumentare il
potere serbo nel Kosovo albanese, nella Vojvodina e nel Montenegro. I serbi sanno che senza
la Croazia e la Slovenia le casse di Belgrado sarebbero ridotte a mal partito: soprattutto
l’esercito non potrebbe più disporre degli esorbitanti finanziamenti: una « grande armata » sarebbe sproporzionata per uno
stato ridotto, e così i generali,
in un esercito ridimensionato,
perderebbero molto del loro potere attuale.
I serbi e i generali sono i veri nazionalisti in Jugoslavia: sono i vertici dell’esercito a « fare politica », ma dopo gli accordi USA-URSS il gioco dei generali non ha più spazio...
Il diritto
alla secessione
Non ti sembra che la dichiarazione di indipendenza slovena
sia un pericolo perula stabilità
e la pace, come un evento « antistorico » nei momento in cui
ci si avvia al superamento degli
stati nazionali per la nuova Europa?
— Lo stato federale jugoslavo,
come quello sovietico, permette
il diritto alla secessione; se non
vi sono leggi di attuazione di
tale principio costituzionale la
colpa non è certo degli sloveni,
che hanno espresso la loro volontà in un plebiscito con il 90%
dei consensi.
Il Parlamento pluripartitico
ha deciso il distacco dalla Jugoslavia all’unanimità, non si può
ignorare questa volontà popolare.
Inoltre la Slovenia dichiara di
essere disponibile a un nuovo
accordo, che presupponga però
la piena libertà e parità dei
contraenti: un accordo tra stati
sovrani disposti a autolimitare
la propria sovranità. Si obietta:
l’Europa si unisce e la Jugoslavia si sgretola... Già, ma in Europa sono stati indipendenti a
federarsi. La Slovenia non può
accettare a priori di essere dipendente da una « maggioranza »
esterna, formata da Serbia e dai
suoi satelliti.
Contro
rassimilazione
La Slovenia può ora testimoniare la forza di un autentico
pacifismo, con la difesa nonviolenta...
— La Slovenia è pacifista, non
può minacciare nessuno. Patisce
da molti decenni l’assimilazione,
senza che nessuno se ne preoccupi in Europa. In Carinzia gli
sloveni devono abbandonare la
loro lingua a favore del tedesco,
in Italia a favore dell’italiano,
in Ungheria a favore dell’ungherese. Finora la Slovenia si è difesa solo con metodi democratici: conferenze, congressi, studi.
ordini del giorno, richieste ai
Parlamenti. Che cosa hanno fatto i democratici europei? Aggrediti con le armi, agli sloveni
non resta che la legittima difesa: siamo occupati da quello
stesso esercito che la Slovenia,
pacifista, è stata obbligata a finanziare. Perché non si è protestato contro le folli spese militari che mantengono al potere
i generali serbi? 800 milioni di
indiani hanno vinto con la tattica nonviolenta di Gandhi, ma
questo può valere per un popolo ridotto ormai ai minimi termini? Gli italiani hanno avuto
diritto al Risorgimento, gli altri popoli non dovrebbero averlo? Se i sudafricani non avessero fatto ricorso, in casi estremi, alla lotta armata, in che situazione si troverebbero? Come
dimostrare agli USA e all’Europa dei dodici che anche un piccolo popolo ha diritto all’esistenza se non ci difendessimo?
Chi ci invita ad essere nonviolenti dovrebbe farsi carico del
nostro sacrosanto diritto ad essere liberi di scegliere le forme
di governo e di federarci con
chi vogliamo noi, e non ad unirci come fa comodo ad altri.
Come possono Slovenia e Croazia ottenere l’indipendenza pacificamente, se gli USA hanno acconsentito che la Slovenia fosse
costretta dall’armata federale a
restare unita?
Come valuti la situazione oggi?
— Oggi, 3 luglio, non è il presidente federale che comanda,
ma lo Stato Maggiore. Il generale serbo Adzic dichiara che andrà fino in fondo all’azione punitiva, argomentando con menzogna e protervia la sua vendetta contro un popolo che non accetta i carri armati come elemento di discussione. Negli ospedali sloveni si curano i feriti
delle due parti; gli sloveni si accingono a liberare i soldati federali presi prigionieri, riconsegnandoli alle loro madri. Ma intanto gli aerei dell’armata federale attaccano le antenne della
TV e bombardano i villaggi.
L’esercito torni
nelle caserme
Boris, come si può aiutare la
Slovenia?
— Esigendo che l’esercito torni nelle caserme, che se ne vada. Denunciando che gli USA e
l’Europa non possono pretendere un pacifico sviluppo democra
fico e al tempo stesso continuare a ritenere valido lo stato unitario jugoslavo, quando la Serbia e i suoi satelliti concepiscono un solo tipo di « unità »:
quella diretta da loro, e difesa
dal potere dei generali. Prova ne
sia il fatto che il presidente della federazione, Mesic, che dovrebbe essere anche il supremo
comandante dell’esercito, è stato accettato soltanto perché voluto dai tre rappresentanti dell’Europa dei dodici, ed è in pratica privo di potere, esercitato
invece dai generali.
Si dovrebbe considerare che è
interesse di tutta l’Europa che
il popolo sloveno possa realizzare la sua vocazione europea,
la sua originalità culturale;' in
una parola: che possa continuare ad esistere.
Se non potrà decidere del proprio futuro il popolo sloveno sarà condannato a morte, alla totale assimilazione, e ciò non è
giusto.
Gli sloveni non possono accettare il perpetuarsi di un processo che vede via via cancellata
la loro identità. Sarebbe un suicidio; e gli sloveni, quanto a
suicidi, sono fra i primi in Europa.
Intervista a cura di
Tavo Burat