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BI1YCHNI5
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
ANNOV :: FASC. VI.
GIUGNO 1916
Roma - Via Crescenzio,
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ROMA - 30 GIUGNO - 1916
DAL SOMMARIO: Antonino De Stefano: I Tedeschi e l’eresia medievale in Italia - CARLO WAGNER: L'Evangelo e gl’intellettuali - ERNESTO RUTILI: Vitalità e vita nel catlo-licismo (XI) - GIOVANNI Costa: Religioni del mondo classico -R. E P. : Cronaca biblica (III) - M. : Rassegna di filosofia religiosa (IV) - Giovanni Pioli : La guerra. Notizie voci e documenti - RAEMAEKERS: I Bambini del Belgio; Le Vedove del Belgio (Disegni), ecc.
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RACCOMANDIAMO
a tutti i nostri lettori che non sono ancora in. regola con l’Amministrazione di affrettarsi a spedirci l'importo dell'abbonamento.
Con questo fascicolo si completa il primo semestre del 1916, il SETTIMO VOLUME della serie.
Vi abbiamo già dato — cari lettori — quest’ anno un volume di quasi 500 pagine e ci prepariamo a darvene un altro, pronti ad affrontare in Redazione e in Tipografia le non poche nè piccole difficoltà del momento.
Non vi giùngerà quindi importuno -il nostro appello e vi affretterete — ne siamo certi a seguire-la nostra calda raccomandazione.
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A? Si pubblica il 15 di ogni mese in fascicoli di almeno 64 pagine, /F
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LIBRERIA EDITRICE “BILYCHNIS,,
Via Crescenzio 2 - ROMA
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LETTERE DI UN PRETE MODERNISTA
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('osi scrisse di questo volume la Xuova Antologia: ».In esse è fatta brevemente
la storia del movimento nfodernista in Italia e degli ostacoli ch’osso ha incontrato specialmente in Roma. Su le Sacre Congregazioni, su gli ordini religiosi, su la gerarchia, su l'organizzazione interna della Chiesa vi sono particolari vivi e pittoreschi. Le velleità di riforma di Leone XIII, gli atti di Pio X vi sono narrati con efficacia: seguono profili dei modernisti italiani più noti. Ma quello che traspare da tutto il volume scritto con forza, è l’inquietudine profonda d'una parte del giovane clero italiano, il soffio religioso rinnovatore e. anche distruttore, la fede non diremo in un cattolicismo. ma in un cristianesimo che non sarà forse il primitivo, al quale l’autore si richiama, ma che può divenire una forza sociale potente. Questo libro è un sintomo ».
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo # # ------- Via Crescenzio, 2 - ROMA
D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore peri* Estero ------- Via del Babuino, 107- ROMA AMMINISTRAZIONE
Via Crescenzio, 2 - ROMA
ABBONAMENTO ANNUO Per l’Italia L. 5. Per ¡’Estero L. 8. Un fascicolo L. 1.
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Louvre. Pagine 180 ............. » 2,50 PAUL STAPFER, Les leçons de la guerre. Pagine 180 . . . > 3,50 W1LFRED MONOD, Vers rÉvangile sous la nuée de guerre.
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Foyer de l'âme à Paris. 13 volumetti di 100 pagine. Ciascuno ..’.... ......... .. . » 1,25
LOUIS Trial, Sermons patriotiques prononcés pendant la guerre
1914-1915. (Vol. di pag. 100) ......... > 1,25 G. Quadrotta, Il Papa, l’Italia e la Guerra . ... . > 2 — R. MURRI, La Croce e la Spada.......... » 0,95 A. TAGLI ALATELA, I Sermoni della Guerra ...... » 3,50
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BIÙOINB
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RJVI5IÀ DI SlVDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLA TEOLOGICA BAT T i STA . ..
• DI ROMASOMMARIO:
Antonino De Stefano: I Tedeschi e l’eresia medievale in Italia:
I. Il moto arnaldistico - IL L’eresia valdese - III. Considerazioni generali .................. pag. 429
Carlo Wagner: L’Evangelo e gl’intellettuali ........ > 444
CRONACHE:
Ernesto Rutili : Vitalità e vita nel catolicismo (XI) - L’eterna guerra in famiglia - Finanze - Antimodernismo in azione - I santi in giro. » 449
TRA LIBRI E RIVISTE:
Giovanni Costa: Religioni del mondo classico. I. Angeli del paganesimo -« Apollinis parasiti » - Avvali - Valore magico del chiodo - Egeo - Ercole vincitore - Culto delle imagini - Iside - Misteri eleusini - Mitologia -Mitreo - Il dio Rediculus e il dio Tutanus - Culto del Sole - Zeus - ecc. a 461 r. e p. : Cronaca biblica. 1(1. Introduzione alla Bibbia - I Filistei - La questione del Pentateuco - Ebraico e Greco-biblico - Enciclopedie. . . . » 466
m. : Rassegna- di filosofia religiosa. IV. Il Belgio filosofico - Aristotele nel
medioevo - L’etica di B. Croce - Pragmatismo trascendentale - Il dubbio tragico - Massoneria e umanesimo .............. » 473
NOTE E COMMENTI:
F. Rubbiani : La « Rivista di Scienza delle Religioni » condannata 1 . . . . » 480
LA GUERRA (Notizie, Voci, Documenti):
Giovanni Pioli : « Motivi di sperare » in un discorso dell’ex presidente Taft » 481
Russia. La Chiesa russa e la riunione delle Chiese - Benefici effetti
della temperanza in Russia........... ........ . . » 483
Germania. Scienziati tedeschi e la guerra - Alla gioventù germanica:
«Cristo e la guerra» - La filosofia tedesca e la guerra - «Conversione» dei poèti tedeschi... • • :............... • 4^6
Le missioni cristiane e la guerra - Missioni inglesi e tedesche nell’india L’Islam e il Cristianesimo al cimento................ > 491
A fàscio . . .................................... » 495
Illustrazioni: I Bambini del Belgio - Le Vedove del Belgio. Disegni di Raemaekers (Tavole tra le pagine 488 e 489).
Cambio colle Riviste .......................... > 481
Pubblicazioni pervenute alla Redazione ............... > 489
Croce Rossa Italiana .......................... » 491
Libreria Editrice « Bilycbnis » .................... » 492
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Estratti dalla Rivista “ Bilychnis ”
(In vendita presso la nostra libreria)
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Giovanni Costa: Critica e tradizione (Osservazioni sulla politica e sulla religione di Costantino) . 0,50
Giovanni Costa : Impero romano e cristianesimo (con 3 tavole). . . . . 1,00
r,001 Giosuè Salatiello: L’umaGiosuè Salatiello: Il misticismo di Caterina da Siena vcon 1 illustra’/.). 0,25
nesimo di Caterina da
Siena (con 1 illustra/.). 0,30
Calogero Vitanza: L’eresia di Dante ....... 0,30 !
Antonino De Stefano: Le origini dei Frati Gaudenti ......... X ----------- ;
M. Rosazza: La religione deì Nulla (con 6 disegni). 0,30
R. Wigley: L’autorità del Cristo (Psicologia religiosa) ......... 0,50
James Orr: La Scienza e
la Fede cristiana. . . . 0,25 T. Fallot: Sulla soglia. (I nostri morti) con una tavola .......... 0,30
Salvatore Mi nocchi : I miti babilonesi e le origini della Gnosi.......
Luigi Salvatorelli : La storio del Cristianesimo ed i suoi rapporti con la storia civile ......
Calogero Vitanza: Studi commodianei (I. Gli anticristi e l'anticristo nel Carmen apologelicum di Commodiano; II. Com0,60
A. W. Müller: Agostino Favoroni e la teologia di Lutero .......
Arturo Pascal: Antonio Caracciolo, vescovo di Troyes . . . . . ..... 0,30 Silvio Pons : Saggi Pasca-liani (I. Il pensiero politico e sociale del Pascal;
modiano doceta?) . . . 0,30 Furio Lenzi: Di alcune medaglie religiose del iv
II. Voltaire giudice dei 0 Pensieri » del Pascal ; III. Tre fedi: Montaigne, Pascal Alfred, di Vigny) con 2 tavole......
0,30
0.80
G. E. Mei 11 e: Il cristiano nella vita pubblica. . .
F. Scaduto: indipendenza dello Stato e libertà della Chiesa .........
0,30
I Guglielmo Quadrotta: Religione, Chiesa e Stato
0,50
0,30
secolo (con 1 tavola e 4 disegni) ...............
Furio Lenzi: L’autocefalia
0.30
T. Neal : Maine de Biran, 0,30 ,
della Chiesa di Salona (con ir illustrazioni). . 0,50|
F. Fornati : Inumazione e
F. Rubbiani : Mazzini e Gioberti ........ Paolo Orano: Dio in Gio0,50
cremazione (con 6 illustrazioni)..............0,30
C. Rostan : Le idee religiose di Pindaro . . . . . 0,30
C. Rostan: Lo stato delle anime dopo la morte, secondo il libro XI del-1'«Odissea» ...... 0,30
C. Rostan : L’oltretomba nel libro VI dell’« Eneide» .......... 0,50
Alfredo Tagliatatela: Fu il Pascoli poeta cristiano ? (con ritratto e 4 di-nse?ni) . . . . .. . . . . 0,30 F. ciondolino : La religiosità di Teofilo Folengo (c©n un disegno). . . . 0,30
F. Biondolillo : Per la religiosità di F. Petrarca (con 1 tavola) . . . . . 0,30
vanni Prati (con una lettera autografa inedita e ritratto) ....... 0,40 ! Angelo Crespi: L'evoluzione della religiosità . 0,30 ; Paolo Orano: La rinascita
dell'anima ....... 0,30 j Angelo Gambaro : Crisi contemporanea.........0,15 :
Giov. Sacchini: Il Vitalismo ........ . . 0,30 R. Murri : La religione nel-l’insegnamento pubblico in Italia........ 0,40
Ed. Tagliatatela: Morale e
Religione ....... 1 — Mario Puglisi : Il problema morale nelle religioni primitive........ 0,50 A. Tagliatatela: Il sogno di Venerdì Santo e il sogno di Pasqua (con 5 disegni di P. Paschetto) . . 0,20 G. Luzzi : L’opera Spenceriana.......... 0,15
nel pensiero di Antonio Salandra. (Con ritratto ed una lettera di A. Salandra).........
Mario Rossi: Razze, Religioni e Stato in Italia secondo un libro tedesco e secondo l’ultimo censimento ...... . . .
0.60
D. G.: Verso il conclave. 0.15
E. Rutili: Vitalità e vita nel Cattolicismo (Cronache: 1913-1914) 3 fascicoli .......... 0,90
E. Rutili: La soppressione dei Gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi........ . . 0,15
Paolo Orano: Gesù e la guerra......... 0,30
Edoardo Giretti: Perchè sono per la guerra. . . 0,20
Romolo Murri: L’individuo e la Storia. (A proposito di cristianesimo e di guerra) ...... 0,40
Paolo Tucci : La guerra nelle grandi parole di
Gesù.......... 1,00
Paolo Orano: Il Papa a Congresso ....... 0,50
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I TEDESCHI E L’ERESIA MEDIEVALE IN ITALIA
’¡eresia medievale, che costituisce certamente uno dei piò complessi fattori della Storia politico-religiosa dell’Italia, presenta alcuni aspetti che non sono stati ancora sufficientemente illustrati. Tra questi, uno dei più notévoli mi sembra appunto quello'Jdei rapporti esistenti tra il fenomeno ereseologico e l’elemento germanico ed è su questo che mi permétto, in questo’ breve saggio, di attirare l’attenzione degli studiosi. Possiamo intanto costatare questo fatto: che i più intimi rap
porti esistono generalmente tra gli eretici d’Italia e quelli di Germania e che occorre talvolta ricercare negli ambienti tedeschi la spiegazione e la genesi di alcune manifestazioni ereticali dell’Italia medievale.
Ad illustrare questa manifestazione mi varrò per il momento di due esempi tipici: il moto arnaldistico e l’eresia valdese. Alla rapida illustrazione ai questi due fenomeni ereticali farò seguire alcune considerazioni generali che mi sono suggerite dalle ricerche fatte sinora in questo campo. Pur dovendo, data la natura dell’argomento, mettere in rilievo alcuni elementi tacendone altri, non intendo per ciò attribuire alle mie conclusioni un carattere di esclusivismo che non sempre esse comportano.
Il moto arnaldistico.
Si è abbastanza insistito sui rapporti di Arnaldo da Brescia con la Francia e con Abelardo, e si è invece quasi sorvolato sulle sue relazioni con gli ambienti tedeschi, che pure, a parer mio, ebbero ben maggiore influsso sul pensiero e sull’azione
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dell'ardente innovatore. Cacciato dalla Francia, in seguito agli intrighi di San Bernardo, Arnaldo si rifugiò a Zurigo e presso il cardinale Guido, legato pontificio in Boemia. Nè questi, nè il vescovo di Costanza, della cui diocesi faceva parte Zurigo, vollero dar seguito alle pressioni dell'abate di Chiaravalle che consigliava di metterlo al bando. Arnaldo trovò in ambiente tedesco quell’appoggio e quella protezione che gli erano mancati negli ambienti francesi (i). A Roma, egli non venne che dopo un certo stadio di vita germanica, in cui egli ebbe agio di subire l'influsso di quei postulati imperialistici e antipapali che potevano dare una forma concreta e fattiva alle sue attività di riformatore irrequieto.
Certo è che tra i capisaldi della dottrina arnaldistica e le rivendicazioni degli imperialisti teutonici esiste una significativa comunanza di espressioni, di idee e di propositi. La teoria di Arnaldo secondo la quale nè i chierici e i monaci possano possedere nè i vescovi esercitare diritti di regalia, pena la dannazione eterna, va tutta a beneficio del Principe e dei laici (2). Ma questo Principe è il tedesco. Tutta l’agitazione arnaldistica è al servizio dell’imperatore tedesco. Arnaldo è tra coloro che invitano l'imperatore ad inviare i suoi rappresentanti a Roma per mettersi d’accordo col partito che intendeva costituirvi un governo sottratto all’autorità del papa. Arnaldo, a giudicare dalla testimonianza dei cronisti contemporanei, lamenta la servitù in cui Roma, l’antica « sede dell’impero », « fonte della libertà romana » e « signora del mondo » era caduta sotto il dominio del papa (3), allo stesso modo, come vedremo, che i rappresentanti del partito imperialistico romano.
Gli storici moderni sono inclini a considerare Arnaldo da Brescia piuttosto come un'agitatore politico che come un riformatore religioso (4). Senonchè credo che non si sia sufficientemente rilevato come il contenuto della propaganda politica di Arnaldo sia stato tutt’altro che una sua concezione personale e originale. Le teorie politiche di Arnaldo erano quelle stesse che formavano il programma del partito repubblicano romano, il quale, sin dal pontificato d’Innocenzo II (1130-1143) almeno.
(1) Il Volpe acutamente osserva: « Infine, trovò lieta accoglienza e forse orecchio intento il profugo di Brescia nelle case di quei nobili signori d'Alemagna che egli conobbe a Zurigo, e che, passando la lor vita tra mille brighe con Vescovi e convenuti per terre e giurisdizioni, apparvero poi da Roma, a lui ed ai suoi discepoli, strumenti adatti per una rivendicazione imperiale e laica ». (Eretici e moti ereticali dal XI al XIV secolo nei loro motivi e riferimenti sociali, estratto da < Il Rinnovamento », Milano 1907. P- .32)(2) « Dicebat emm nec Clericos proprietatem, nec Episcopos regalia, nec monachos possessiones habentes aliqua ratione salvati possent. Cuncta haec Principis esse, ab ejusque beneficentia in usura tantum Laicorum cadere oportere ». (Ott. Frisino, ai>-Pertz, M. G. H. Scriptores, XX, 403).
(3) « Praeterea non esse hómines admittendos, qui sedem imperii, fontem liberta-tis romanae, mundi dominant, volebant subiicere servitati ». (Hist. Ponti f, ao. Pertz M. G. H. Scriptores, XX, 537).
(4) Cfr. Schmidt, Précis de l’histoire de V Eglise d’Occident pendant le moyen âge. Paris, 1885, p. 215; Giesebrecht, Arnold von Brescia (Sitzungsberichte der k. Akad, der Wissensch. zu München, 1873, L p- 1-39 ss.); Gebhart, L’Italie mystique, Paris, 1890, p. 41; F. Tocco, L’eresia nel medio evo, Firenze, 1884, p. 249 ss.; dove, pur nducendo ai minimi termini l’accusa di eresia fatta ad Arnaldo, mostra tuttavia come le sue teorie non fossero « rigidamente ortodosse ».
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I TEDESCHI E L’ERESIA MEDIEVALE IN ITALIA
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aveva intrapreso una lotta aperta contro il potere civile dei papi allo scopo di restaurare le istituzióni senatoriali di Roma antica.
Questo moto antipapale fu essenzialmente popolaresco, e costituisce senza dubbio uno dei più notevoli prodromi del rinnovamento e del rinvigorimento di quella borghesia laica che in Italia e in Francia si avviava a scuotere il giogo dell’aristocrazia feudale e ad inaugurare il regime delle autonomie comunali. L’aristocrazia romana — e la testimonianza di Eugenio III, che citeremo più avanti, lo afferma categoricamente — pare non abbia avuto parte notevole e molto meno decisiva in questo rivolgimento che portò ài potere i 56 rappresentanti del popolo. Ciò sembrerà naturale qualora si pensi che, già da parecchi secoli, le fazioni avverse in cui si scindeva l’aristocrazia romana, lottavano, ad ogni vacanza di pontificato, per far salire al trono il proprio candidato e non potevano avere alcuno interesse alla soppressione di questo. Molto meno ora che il governo di Roma accennava a trasferirsi nelle mani dei partiti popolari.
Le circostanze in cui mi trovo a scrivere questo saggio non mi permettono di compiere ulteriori ricerche per darmi conto dei fattori immediati di questo moto repubblicano di Roma e in particolare, se esso abbia avuto origini puramente locali ed indigene; Qualora si pensi che sin dalla calata di Ottone I in Italia e dalla costituzione del Sacro Romano Impero Germanico, esisteva in Roma un partito di fideles, ligi all’imperatore tedesco, e che svolgeva la sua maggiore attività in favore dell’elezione di un papa o di un antipapa, creatura dell’imperatore, contro l’avversario scelto ed imposto da una fazione cittadina o locale, non apparirà temeraria l’affermazione che questi fideles dell'imperatore, che avevano interesse a pescare nel torbido, abbiano preso parte attiva agli avvenimenti romani. Certo è che, sia stato influsso dell’originario inquinamento germanico, ovvero suggerimento della necessità politica di appoggiarsi a un forte potere costituito nella lotta contro i papi e l’aristocrazia di Roma, noi vediamo presto che alcuni dei senatori, eletti dal popolo, fanno atto d’omaggio all’imperatore tedesco e insistono perchè venga o mandi a Roma suoi rappresentanti che dovrebbero coronare e consolidare la loro opera di emancipazione antipapale.
Su questo punto, parecchie esplicite testimonianze, che appartengono al periodo in cui Arnaldo da Brescia svolge a Roma la sua più fervida attività di agitatore, non permettono alcun dubbio. L’esame di queste testimonianze servirà ad illustrare alcune mie affermazioni.
Nel 1150, un senatore di Roma, quidam fidelis senatus servorum regis fidelissi-mus, in una lettera indirizzata all’imperatore Corrado III, protesta di essersi, in senato e altrove, consacrato sempre all'esaltazione dell’impero e lo consiglia di portarsi senza indugio a Roma, a frapporsi tra il popolo e il papa, prendendo sotto la sua protezione e popolo e senato, e lo assicura di potere impadronirsi facilmente di castel Sant’Angelo, dove i Romani si erano rifugiati e fortificati. Un altro notevole vantaggio della sua venuta a Roma sarebbe stato quello di impedire che d’ora innanzi si eleggessero pontefici senza il suo permesso, come s'era sempre fatto sino al tempo di Gregorio VII. Nè manca lo spunto arnaldiano.
Il senatore infatti stima dannoso che il pontefice possa impugnare con le sue mani tanto la spada come il calice, il suo ufficio essendo quello di predicare e di con-
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fermare la predicazióne coi buoni esempi e non di seminare la strage e la discordia, tra gli uomini (i).
Un’altra lettera del 1150 all’imperatore Corrado di tre consiglieri della Curia romana e procuratori del senato, Sisto, Nicolò e Guido, esprime gli stessi propositi di fedeltà e di attaccamento in vista della restaurazione del Romano Impero.
Anche questa lettera è d’ispirazione, diciamo così, arnaldiana. Questi tre consiglieri lamentano anch’essi la decadenza e l’avvilimento del popolo romano a causa del governo degli ecclesiastici e affermano di aver ricostituito il senato e di aver eliminato dalla città i loro principali avversari per preparare la via alla venuta dell’imperatore a Roma. Lo esortano quindi a mettersi subito in viaggio per venire in aiuto al suo popolo, assicurandolo che dalla città avrebbe ottenuto tutto ciò che avesse desiderato. Tra gli espulsi da Roma figurano in questa lettera Cencio Fran-giapane e i figli di Pierleone, i rappresentanti cioè di due potenti famiglie rivali, che si erano sin allora disputati la conquista del trono pontificale, ciò che conferma l’assenteismo e l’ostilità dell’aristocrazia romana al moto repubblicano. Chiaramente, infine, si afferma in questa lettera come nella restaurazione degli antichi ordinamenti politici i fautori dell'imperialismo germanico avessero mirato anzitutto ad agevolare e determinare la conquista di Roma da parte dell’imperatore. E ciò verrebbe a confermare altresì l'osservazione fatta più sopra circa l'influsso esercitato dalla fazione tedesca e germanizzante nell'esplosione del movimento popolare (2).
(1) « Certum ac firmum sit regiae majestati, me in senatu et quocunque potui ad vestri exaltationem imperii assiduam operam dedisse, ed idcirco vobis. licet audacter, tamen confidenter scrioo: utile consilium, domine, ne despice servi. Si licet itaque servo domino suo consilium dare, regali prudentiae consulo, ut sine mora Romam veniatis, et medium vos inter populum et papam ponentes, senatum et populum in vestra defensione suscipiatis, quoniam castellum sancii Angeli eum Romanis poteritis capere, et ita facere, ut sine vestra jussione ac dispositene nunquam de cetero apostolicus in Urbe ordinetur. Sic enim fuit tempore beati Gregorii, qui sine assensu imperatoria Mauritii papa esse nequivit, et sic usque ad tempus Gregorii sentimi perduravit. Propter id utile esse affirmo, ne per sacerdotes bella fiant aut homicidia in mundo. Nam non eis licet ferre gladium et calicem, sed praedicare, praedicationem vero bonis operibus confirmare, nequaquam bella et lites in mundo committere ». (Epistola cuiusdam senatorie ad Conradum imperatorem, an. 1150. Ap. Martens, Vet. Script, et Monum. ampi.
(2) « Excel lentissimo et magnifico domino Urbis et Orbis Cunrado, Dei gratia Romanorum regi semper augusto, Sixtus, Nicolaus et Guido consiliatores curiae, sacri senatus et communis salutis reipublicae procuratores, pro posse in omnibus fidelia servitia et Romani imperii restauraiionem.
«Ut jam per plures litteras regiae significatum est majestati, videntes imperium Romanurn temeraria usurpatione clericorum a suo vigore plurimum de ci disse, ex quo populus Rqmanus multum dedecoratus erat, ad orbem vestris pedibus subdendum Christi auxilio cum summo studio senatum relevavimus, qui pacem in Urbe conservane et justitiam faciens, bonos exaltando, malos autem delendos, ad adipiscendam imperii coronam, omni clericorum obstaculo remoto, vestrae dignitati ad urbem venienti congrue viam praeparet. Quod jam tam Senatus quam nos Christi gratia viriliter fecimus. Nam Cencium Franjapanum et filios Petri Leonis, qui cum papa et Siculo pro vestri mmoratione imperii conspirasse cognovimus, ex Urbe ejecimus, et eorum plurima bona depopulavimus, ita quod vobis resistere nullo modo quibunt. Nil ergo aliud restât, si placet vobis, nisi ut celeriter appropinquetis, et populo vestro succurratis, quoniam
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I TEDESCHI E L’ERESIA MEDIEVALE IN ITALIA
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Dello stesso anno 1150 abbiamo, infine, una lettera indirizzata all’imperatore Corrado a nome del senato e del popolo romano.
In questa lettera vengono ripetute le dichiarazioni di fedeltà alla causa imperiale, per la cui esaltazione il senato afferma di aver sempre lottato. Esso si lamenta tuttavia di non aver mai ricevuto risposta dall'imperatore alle numerose lettere inviategli.
La lettera accenna alle difficoltà e all’ostilità che i « fedeli » dell’imperatore incontrano per opera dei loro avversari e alle rappresaglie esercitate contro i principali fautori del papa. Vive premure sono rivolte all’imperatore perchè si decida infine a recarsi a Roma, « capitale del mondo », e donde egli avrebbe potuto, meglio che i suoi antecessori, regnare sull’Italia e sulla Germania.
Il senato annunzia che, per facilitare l’ingresso delle truppe imperiali a Roma e ad evitare le insidie di Castel Sant’Angelo dove gli avversari si erano fortificati, aveva fatto a gran pena ricostruire il ponte Milvio, che era stato precedentemente distrutto. Informa l’imperatore intorno ai patti conchiusi tra il papa e i Normanni in vista di un aiuto reciproco. Infine il senato annunzia d'inviare quali suoi messi presso l’imperatore il senatore Guido, Giacomo, figlio del procuratore Sisto, e Nicolò, perchè riferiscano a voce ciò che non potè essere affidato allo scritto (1).
quidquid desiderai Urbis cor imperiale, in ea procul dubio obtinere poterit. De cetero commendamus vobis hos nostros nuntios vestros fideles. Nam pro vestri amoris fidelitate illos ad vos misimus, litteris quoque vestris praecamur, ut nos laetificare et hono-rare dignemini ». (Ap. Martene, Veter. Script, et Monum. ampi. Coll., II, 398-399).
(1) « Excellentissimo atque praeclaro Urbis et Orbis totius domino Cunrado, Dei gratia Romanorum regi semper augusto, senatus populusque Romanus. salutem et Romani imperii felicem et mclytam gubernationem. Regali excellentia per plurima jam scripta, nostra facta et negotia diligenter exposuimus, quomodo in vestra fideli-tate pennaneamus, ac prò vestra imperiali corona exaltanda et omnino augenda quo-tidie detertamus. Ad quae quia regalis industria, ut postulavimus, rescribere dignata non fuit, piane tanquam filii et fideles de domino et patte satis miramur. Nos enim quidquid agimus pro vestra fidelità te et honore fecimus. Et quidem regnum et imperium Ronanum vesti© a Domino regimini concessum exaltare atque amplificare cu-pientes, in eum statum quo fuit tempore Constantini et Justiniani, qui totum orbem vigore seiatus et populi Romani suis tenuerunt manibus, reducere, senatu pro his omnibus Dei gratia restitute, ut eis, qui vestro imperio semper rebelles erant, quique tantum honorem Romano imperio subripuerant, magna ex parte conculceatis, quatenus ea, quae Carnari et imperatori pertinent, per omnia et in omnibus obtineatis, vehementer atque urianimiter satagimus atque studemus, et ob hujus rei affectum bonum princi-pium aclfundamentum fecimus. Nam pacem et justitiam earn omnibus volentibus observanìus, fortitudines, id est turres et domos potentum urbis, qui vestro imperio una cum Siculo et papa resistere parabant, cepimus, et quasdam in vestra fidelitate tene-mus, et quasdam evertentes solo coequavimus. Sed pro his omnibus, quae pro vestrae di lection fidelitate fecimus, papa, Frajapanes, et filii Petri Leonis, homines et amici Siculi, excepte Jordan© in vestra fidelitate vexillifero et adjutore, Tolomaeus quoque et alii jxures undique nos impugnant, ne libere, ut decet, imperialem regio capiti va-leamus iinponere coronam. At nos, quoniam amanti nullus labor gravis est, licet inde plurima (damna sustineamus, pro vestro amore et honore gratanter patimur. Scimus namque nos a vobis proinde proemium sicut apatie acceptuios, eosque in eos sicut et imperii aostés vindictam daturos. Cum tanta igitur nostra in vobis fidelitas sit, tan-taque pro vobis sustineamus, precamur, nee spes ista nobis deficiat, neve regia dignitas nos vesfros fideles et filios despiciat, ncque si regalibus auribus aura sinistra de se-
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Questa lettera, che illumina singolarmente l’opera di spionaggio e di sabotaggio che compiva in Roma il partito imperialista tedeschizzante, è pervasa delle medesime preoccupazioni politico-religiose che le precedenti. Alcuni concetti vi sono anche quasi letteralmente ripetuti; segno d’una scaturigine comune. Anche qui risalta la tendenza degli imperialisti a subordinare c a polarizzare l’origine e il contenuto del movimento repubblicano di Roma verso il programma imperialistico. Questi membri del senato affermano esplicitamente di aver sempre mirato, nella loro operosità anteriore, all'esaltazione c al fastigio della maestà imperiale, che s’impersonava in quel momento in Corrado.
La prima impressione che si prova è che il senato romano, nella cui costituzione culminò il moto repubblicano, più che l’emanazione di sentimenti e d’interessi popolari rappresenti l’esponente delle rivendicazioni imperialistiche germaniche in Roma. In realtà, il principio generatore e informatore del movimento è ancora visibile in questi scritti. Se questi senatori dichiarano di voler ricostituire l’impero quale esso era al tempo di Costantino e di Giustiniano, quando gli imperatori tenenatu et nobis flaverit, in eam intendat aut respiciat, quia qui de nobis vestrae altitudini mala suggerunt, de vestra et nostra, quod absiit, dissensione laetari volunt, et utrosque, ut soliti sunt, callide opprimere moliuntur. Sed circa haec, ne fiant, regalis prudentia, ut decet, sollicita sit, et próvida, reminiscaturque vestra solertia quae et quanta mala papalis curia et dicti quondam cives nostri imperatoribus, qui fuerunt ante vos, fecerunt, et nunc deteriora cum Siculo facere tentaverunt. Sed nos Christi gratia in vestra fidelitate viriliter eis resistimus, ac plures ex illis sicut pessimos hostes imperii, ut sunt, pepulimus. Appropinquet itaque nobis regiae celsitudinis vigor, quo-niam quidquid vultis in urbe, obtinere poteritis, ac ut breviter ac succincte loquamur, Sjtenter in Urbe, quae caput est mundi, ut optamus, habitare, toti Italiae ac regno eutonico, omni clericorum remoto obstáculo, liberius et melius quam qmnes fere antecessores vestri dominari valebitis. Sine mora ergo, praecamur, ut veniatis, et interim de statu vestro, quern semper desideramus salubrem et orosperum, et de his omnibus regalibus litteris aut nuntiis nos laetificare dignemini. Sunnis cnim per omnia vestrae voluntati obtemperare semper parati. Sciatis praeterea, quod pontem Milvium extra Urbem parum longe per tempora multa per imperatorum contrarium destructum, nos, ut exercitus vester per cum transire quaeat, et ne Petri Leonis per castellum sancti Angeli vobis nocere possint, ut statuerant cum papa et Siculo, magno conamine restauramus, et in parvi temporis spatio muro fortissimo et silicibus, juvgnte Deo, complebitur. Concordiam autem inter Siculum et papam hujusmodi accepirius. Papa concessit Siculo virgam et annulum, dalmaticam, mitram atque sandalia, et ne ullum mittat in terrain suam legatum, nisi quern Siculus petierit, et Siculus dedit multare Seuniam pro detrimento vestro et Romani imperii, quod Dei gratia vestrun existit.
tec omnia vestra animadvertat, optime rex, prudentia,
Rex valeat, quidquid cupit, obtineat super hostes, Imperium teneat, Romae sedeat, rogai orbem Princeps terrarum, ceu fecit Justinianus, Cacsaris accipiat Caesar, quae sunt tua praesul. Ut Christus, jussit Petro solvente tributum.
Nos de cetero legatos nostros, praecamur, ut benigne suscipiatis, et quid vobisjdixerint, credatis, quia scribere nequivimus. Sunt enim nobiles viri Guido senator, Jacobus filius Sixti procuratoris et Nicolaus eorum socius ». (Epistola senalus populique Rimani ad Conradum imperalorem. An. 1150. Ap. Martens, Veter. Scriptor. et Monwn. ampi. Còli., II, pag. 396-398).
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vano nel loro pugno l’universo, dicono anche chiaramente che nel senato e nel popolo romano risiedeva appunto la fonte di questa legittima sovranità universale. E se fanno con tanta insistenza la corte all’imperatore è senza dubbio perchè questi consenta a ricevere dalle loro mani piuttosto che da quelle del papa la corona imperiale, sanzionando così e consolidando la situazione politica del nuovo senato romano. Ciò non toglie tuttavia che il moto romano si risolvesse in un'agitazione essenzialmente imperialistica e tedeschizzante.
Tra gli artefici di questa agitazione non mancarono elementi schiettamente tedeschi. Tale era certamente quel Wetzel che nel 1152 scrive da Roma a Federico Barbarossa, successo da poco tempo al defunto Corrado III, per rinnovargli l’invito di venire a Roma a compiervi l'opera che il suo predecessore, sia perchè morto prematuramente, sia perchè indeciso di fronte alia resistenza del papa, non aveva potuto menare a buon fine (1).
Questo Wetzel è evidentemente uno dei più accesi fautori del nuovo ordinamento senatoriale. Dopo di essersi felicitato con Federico per la sua elezione regale, si lagna che egli non abbia pensato a consultare « l’Urbe sacrosanta, signora del mondo, altrice d’imperatori », nè a chiedere il riconoscimento di colei al di fuori della quale nessun principe ebbe mai impero. Wetzel attribuisce l’attitudine di Federico al consiglio « dei chierici e dei monaci, che della dottrina divina ed umana fanno d’ogni erba fascio ». Egli vuol provargli, citando il Vangelo, San Pietro, San Girolamo e San Clemente, come quei chierici e monaci, da cui egli ripete la sua elezione, sono chierici apostati e falsi monaci, prevaricatori, perturbatori della Chiesa e dello Stato, essendo essi immersi nelle ricchezze e nei negozi secolari contro ogni ordinamento evangelico, apostolico e canonico; e come invece non ci sia altra elezione che quella sancita dal popolo romano, essendo la dignità imperiale esclusivo privilegio dei Romani. Siamo, come si vede, in pieno arnaldismo.
Questa lettera contiene, per la prima volta, credo, e ben avanti Marsilio da Padova, la confutazione della leggenda della donazione dei diritti imperiali fatta da Costantino al papa Silvestro. Wetzel sostiene, riferendosi a un decreto di papa San Melchiade, predecessore di Silvestro, e dalla storia tripartita, che Costantino fosse già cristiano prima che Silvestro diventasse papa.
Wetzel, infine, esorta Federico a inviare a Roma alcuni suoi rappresentanti tejí) Che le pressioni degli imperialisti di Roma non sieno rimaste senz’effetto sull’animo di Corrado lo provano, tra l’altro, una lettera del cardinale Guido, cancelliere, all’abate Vibaldo, in cui lo consiglia di avvertire l’imperatore a non intraprendere contro la Chiesa atti ostili di cui gli si attribuiva con insistenza il disegno, (cfr. Epistola Guidonis cardinali* ad Wibaldum abbatem, an. 1150; ap. Martene, Veler. Scriptor. et Monum. ampi. Coll., Il, 400) e, più, la lettera dello stesso Corrado «al prefetto, ai consoli, ai capitani e popolo di Roma », in cui, dopo aver lodato la loro devozione e l’opera spesa in favore della riforma dell’impero, dietro il loro invito, annunzia la sua prossima venuta, che fa precedere da quella di tre suoi legati. (Cfr. Epistola Conradi ad Romanos, an. 1151; ap. Martene, op cit., Il, 498). Contemporaneamente, però, nel partecipare la sua spedizione in Italia ad Eugenio III, protestava di essere stato sempre pronto ad promovendum ecclesia* Dei et vcslrum honorem. (Cfr. Epistola Conradi imp. ad Egue-nium, p. HI, añ. Í151; ap. Martene, op. di., II, 499)-
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deschi, il conte Rodolfo di Ramesberch, il conte Udalrico di Lencenburch ed altri, accompagnati da giureconsulti competenti, allo scopo di definire le controversie giuridiche tra Roma e l’impero (i).
Se tale era il programma dei più notevoli rappresentanti della nuova repubblica romana e se la formulazione di questo programma era sostanzialmente anteriore alla venuta di Arnaldo a Roma, bisogna conchiuderne che tutta l’agitazione arnal-distica contro il potere temporale dei papi, più che una originale e personale elaborazione del suo spirito turbolento, costituisse sopratutto una propaganda di idee e propositi altrui, e in particolare di quel partito imperialistico che teneva gli occhi volti verso la Germania.
(i) s Carissimo Dei gratia F. Wetzel ad summa animae et corporis laeta undique proficere. Immensa laetitia, quod gens vestra vos sibi in regem elegent, moveor. Ceterum quod consilio clericorum et monachorum, quorum doctrina divina et humana confusa sunt, sacrosanctam Urbem, dominam mundi, creatricem et matrem imperatorum, super hoc, sicut deberetis, non consuluistis, et ejus confirmationem, per quam omnes, et sine qua nulli unquam principum imperaverunt, non requisistis, nec ei sicut filius, si tarnen filius et minister ejus proposuistis, non scripsistis, vehementer doleo... Et ut ad rem perveniam, ipsamque vobis plenius exponam, quod dico diligentius attendatis. Vocatio vestrorum olim praedecessorum, et vestra adhuc a coecis, id est a Julianistis, haereticis dico et apostatis clericis et falsis monachis, suum ordinem praeyaricantibus, et contra evangelica, apostolica et canonica statuta doxninantibus, et legibus tarn di-vinis quam humanis reclamantibus, ecclesiam Dei et saecularia disturbantibus, facta est. Quod autem tales sint, ostendit beatus Petrus, cujus vicarios se esse mentiuntur, dicens... Quomodo isti enim quibuslibet divitiis inhiantes, (sed qui divitias, quae toti mundo salutares extiterunt, per quarum utique usum pax tanta et talis per universum orbem fuit, quod filium Dei de sinu patris in sinum matris deposuit, sua falsa doctrina luxoriose vivendo destruxerunt) possunt primum illud evangelicae doxtrinae mandatorum audire, beali pauperes spirita, cum ipsi nec effectu, nec affectu sint pauperes?... Mendacium vero illud et fabula haeretica, in qua refertur Constantinum Silvestro imperialia simoniace concessisse in Urbe, ita detecta est, ut etiam mercenarii et mulierculae quoslibet etiam doctissimos super hoc concludant. et dictus apostolicus cum suis cardinalibus in civitate prae pudore apparere non audeat. Siquidem sanctus Melchiades, sancti Silvestri praedecessor, in decretis suis Constantinum esse baptizatum dicens: Cum inter turbines mundi succresceret ecclesia, adeousque pervenil, ut Romani princeps ad fidem Christi et bafitismi sacramenta concurrerent, de quibus yir religiosissimus Constantinus primus fidem veritatis est adeptus. Tripartita etiam historia eum, antequam unquam ipse imperator Urbem intraverit, Christianum fuisse testatur... Imperatorem non silvestrem, sed legum peritum debere èsse testatur Julianus imperator in primo omnium legum edicto, dicens: Imperatoriam majeslatem non solum armis decoratavi, sed etiam decet legibus esse armatavi, ut utrumque tempus et bellorum et pads recte possit gubernari. Idem etiam, unde princeps Romanus imperare et leges condere habeat, paulo post ostendit: sed et quod principi placuit, legis habeat vigorem, et quare, subinfert, eum populus ei et in eum omne suum imperium et potestatem concessit. Sed cum imperium et omnis reipublicae dignitas sit Romanorum, et dum imperator sit Romanorum, non Romani imperatoris, quod sequitur considerantibus, quae lex, quae ratio senatum populumque prohibet creare imperatorem. Comitem Rodulphum de Ramesberch, et comitem Udalricum de Lencenbberch, et alios idoneos, scitica* Ebe-rhardum de Bodcmen, qui assumptis peritis legum, qui de jure imperii sciant et audiant tractare, Romam quantocius poteritis mittere, non dubitetis, et ne aliquid novi ibi contra vos surgat, praevenire curatis ». (Epistola Weisel ad Fridericum imperatorem, an. 1152: ap. Martene, Veter. Script, et Monum. ampi. Coll., Il, 554-557).
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In altre parole, Arnaldo da Brescia avrebbe fatto opera più di agitatore che di riformatore politico.
Tuttavia, benché non fosse stato nè l’iniziatore, nè forse il principale organizzatore, pure per essere stato il più ardimentoso, il più colto, il più eloquente assertore delle rivendicazioni repubblicano-imperialistiche, egli potè, in un certo momento sembrarne l’esponente più autorevole. Certo ne fu il più celebre, e si comprende come tutto il movimento abbia potuto da lui prendere il suo nome. Ciò non toglie che come agitatore politico egli abbia in fondo servito gli interessi tedeschi in Roma, e si sia anche servito di elementi tedeschi per farli trionfare.
I capi del movimento repubblicano, e Arnaldo con essi, per far accettare con maggiore premura dal popolo romano il loro programma, ebbero ricorso ad elementi estranei alla città, venuti dal contado, dalle campagne e anche addirittura dall’estero.
Eugenio IH, in una sua lettera del 1152 a Vibaldo, che trovavasi allora alla corte di Federico Barbarossa, afferma che per istigazione di Arnaldo gli agitatori erano formati, non da nobili o da maggiorenti cittadini, ma da una « turba di rustici », circa due mila congiurati, i quali, operando nel secreto, pretendevano nelle prossime elezioni, imporre il governo di cento senatori e di due consoli, devoti al loro partito (1).
Da alcune espressioni di questa lettera si può facilmente arguire come la turba arnaldistica fosse estranea alla popolazione cittadina. Omni populo Romano speroni... imperare, scrive il pontefice. Ora la designazione che questi fa di due mila rustici, permette di pensare che si tratti appunto di quei due mila montanari svizzero-tedeschi, di cui il Franke vuole che Arnaldo da Brescia si sia servito per compiere la sua impresa in Roma (2).
Io penso che l’attività riformatrice svolta da Arnaldo nel campo religioso fosse più originale che la sua attività politica e fosse anche preponderante. Certo è che ai suoi contemporanei egli apparve sopratutto come un innovatore religioso ed un eretico (3).
(1) « Ad haec sancitati tuae quaedam notificamus, quae faciente Ar(noldo de Brixia) haeretico rusticana quaedam turba absque nobilium et majorum scientia nuper est in Urbe molita. Circiter enim duo milita in unum sunt secretius conjurati, et in pro-ximis Kalendis Novembris centum perpetuos senatores malorum operum et duos consules, alter quorum infra Urbem, alter extra illorum centum consilio reipublicae statura dispo-nant, immo potius rodant. Unum autem, quem volunt imperatorem dicere, creare dispo-nunt, quem illis centum duobus consulibus et omni populo Romano sperant, quod debeat mortifere imperare. Quod quia contra coronam regni et carissimi filli nostri Friderici Romanorum regis, honorem attentare paesumunt, eidem volumus per te secretius nun-tiari, ut super hoc maturo consilio, quid facto opus sit, provideat sapienter. Datura Signiae XII Imi. Octobris. {Epistola Eugenii papae III ad wibaldum abbatem. An. 1152. Ap. Martene, Vet. Script, et Mon. ampi. Coll., II, $53-554).
(2) Cfr. U. Franke, Arnold von Brescia und scine ¿eiten. Zurich, 1825.
(3) Ottone di Frisinga classifica Arnaldo tra gli ingenia ad fabricandas hereses sci-smatumque perturbationes prona. M. G. H. SS. XX, 404). E’Historia Pontificalis dice che fondò una setta, quae adhuc dicitur heresis Lumbardorum, e che la Chiesa dopo averlo scomunicato, tanquam hercticum preceperat evitari {M. G. H. SS. XX, 403, 538, 537). Innocenzo II chiama lui ed Abelardo perversi dogmatis fabricaiores et catholicae fidei impugnatores (Baronius, ad an. 1140, n. io). Eugenio III lo dice «scismatico» (Baro-nius, ad an. 1148, n. 38) ed «eretico» (Martene, Vet. Sor. et Mon. ampi, coll., II, 554). Adriano IV 10 chiama «erètico» (Jaffè-Lòwenfeld, n. 10073).
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Date la sua qualità di prete ribelle e di eretico, dato il prestigio che gli conferivano la sua superiorità intellettuale e la sua eloquenza, è naturale che il papa ci tenesse ad averne la testa. D'altra parte, morto Corrado III il 15 febbraio 1152, prima che potesse scendere in Italia, il suo successore Federico I, quando ancora sperava di realizzare, d’accordo col pontefice inglese, Adriano IV, i suoi disegni imperialistici, doveva incontrare minore difficoltà a consegnare nelle mani del papa un ecclesiastico eretico. Di questo suo gesto Federico ebbe probabilmente a pentirsi più tardi quando, dopo la sua rottura con Roma, venne a mancargli uno dei più efficaci assertori della sua politica antipapale (1).
Benché Corrado si fosse deciso troppo tardi a prestar orecchio agli inviti insistenti del partito imperialistico romano e Federico I si decidesse a tenerne conto dopo aver sacrificato Arnaldo alle sue illusioni conciliatoristiche (2), non è perciò men chiaro che tutta l’agitazione repubblicana romana fosse permeata d’interessi di finalità, di energie imperialistiche e tedesche e che ne fosse anche pervasa tutta l’attività politica e religiosa di Arnaldo da Brescia.
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L’eresia valdese.
L'eresia valdese, sbocciata verso il 1170 a Lione, rapidamente si diffonde in Germania e in Lombardia. Intanto il gruppo lombardo si differenzia subito dal gruppo lionese presentando una sua particolare fisionomia, tanto disciplinare che dommatica. Questo contrasto si accentua a segno che già al rompere del secolo xu, mentre è ancor vivo il fondatore stesso della setta, noi vediamo questi due gruppi in aperto ed aspro conflitto.
(1) In questo senso io mi spiego la testimonianza, circa una tardiva resipiscenza dell’imperatore riguardo la morte di Arnaldo, contenuta in un poema del secolo xu intitolato: Gesta -per itnperalorem Fridericum lìarbam Rubeani in partibus Lumbardiac et Italie, e che, dopo aver descritto la morte di Arnaldo, afferma: v. 241. Set doluisse datur super hoc rex sevo miscrtus. Questo poema fu scoperto nella Biblioteca Vaticana dal prof-sore E. Monaci che pubblicò il frammento relativo ad Arnaldo nel suo opuscolo: Il Barbarossa ed Arnaldo da Brescia secondò un antico poema esistente nella Vaticana. (Roma, 1878).
(2) Dopo la vana attesa di Corrado III e di fronte all’attitudine noncurante e ostile di Federico I, pare che il partito repubblicano imperialistico di Roma avesse pensato a crearsi un altro imperatore. Questo risulta dalla lettera, sopra citata, di Eugenio III a Vibaldo, e nella quale il pontefice mostra di volere sfruttare ai suoi fini politici lo stato d’animo dei repubblicani di Roma, nonché dalla velata minaccia con cui Wetzel chiude la sua lettera a Federico: Romani quantocius poteritis mittere... ne aliquid novi ibi cantra vos surgat, praevenire curatis. L’avviso del tedesco potrebbe anche far pensare che l’idea d’un altro imperatore fosse dovuta agli elementi indigeni del partito imperialistico.
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Questo dissidio ci è particolarmente noto da una lettera che nel 1218 i valdesi di Lombardia indirizzavano a quelli di Germania (1). Esso però risale ancora a parecchi anni addietro, e probabilmente al 1202.
Parecchi furono i motivi di dissenso tra Valdo e i suoi più 0 meno immediati discepoli di Lombardia (2). Il primo riguarda appunto il loro ordinamento disciplinare. Valdo, in omaggio ai precetti evangelici ch’egli intendeva osservare ad litte-ram, non ammetteva che, nè prima, nè dopo la sua morte, la Società dei « Poveri », fosse governata da un superiore, come i Lombardi ritenevano invece che fosse necessario. Il contrasto portò alla secessione dei Lombardi, i quali elessero allora a loro capo un certo Giovanni di Ronco, homo idiota et absque litteris.
Dopo la morte di Valdo e di Giovanni di Ronco, tra il primo ed il secondo decennio del 200, sei rappresentanti del gruppo lionese e sei deputati del gruppo lombardo si riunirono a Bergamo nell’intento di porre fine al conflitto. Dopo questo convegno, al quale si riferisce appunto la lettera del 1218, essendo risultata impossibile la conciliazione delle parti, la loro separazione divenne definitiva.
Riguardo poi all’ordinamento disciplinare, i lionesi invano consentivano a che eleggesse un superiore comune ai due gruppi: i lombardi pretendevano essere governati da un loro superiore speciale. Chiaro indizio del loro spirito autonomistico di fronte al gruppo francese (3).
Mentre un dissidio insanabile separa il gruppo lionese dal gruppo lombardo, fra questo invece e il gruppo tedesco sembra regnare la più completa concordia di azione e d’intenti, una mai smentitasi comunione di spiriti (4). Possiamo anzi affer(1) Rescriptum hcresiarcharum Lombardie ad pauperes de Lugduno qui sunt in Alamanna, pubbl. da W. Preger, Beiträge zur Geschichte der Waldesier in Mittelalter, München >875, PP- 56-63. Pubbl. anche da J. von Döllinger, Beiträge zur Sektengeschichte des Mittelalters, München, 1890, vol. II, p. 42 ss.
(2) Cfr. G. Volpe, Eretici e moti ereticali dal XL al XIV secolo nei loro motivi e riferimenti. sociali. Milano, 1907, pp. 67-68; A. De Stefano, La « Noble leçon » des Vau-dois du Piémont. Paris, Champion, 1909, pp. X-XÏ.
(3) « In primis ergo ad quandam nostrum questionem de preponimento, cuius tenor est hic: De hoc in primis querimus a vobis fratribus ultramontanis, quod audivimus, Valdesium dixisse videlicet se nolle aliquem in societate ultramontanorum aut ytali-corum fratrum fore prepositum in vita sua nec post mortem: utrum velitis in codem sine aliqua diminucione vel adiunxione permanere an non ? Talem dederunt responsionem in esposicione cuiusdam carte, mendacis a fine, quondam Massario in civitate Verone fraudulenter tradite, ubi legitur « et communiter eligere prepósitos ac rectores », subiungentes quod nos sic intelligimus simpliciter et absque velamine: quod commune nostrum et illorum, congregatone in unum, sicut dictum est, communiter eligat prepósitos etemaliter vel rectores ad tempus secundum quod utilius communi videbitur vel amplius ad pacem pertinere. Hoc, ut dictum est, de preponimento fuit ultramontanorum responsi© ». (Rescriptum, ap. Preger, op. cit., p. 57).
(4) Su questa concordia di animi tra valdesi lombardi e tedeschi s’indugia il Rescriptum con le esplicite- dichiarazioni seguenti: « Sagacius animi refert ac providi, nociva linquere, caduca fugere, munda prosequi, solida complexari. Gracias agimus deo nostro in omni memoria vestri semper in eunctis oracionibus nostris pro omnibus vobis cum gaudio deprecacionem facientes super communicacione vestra in ewangelio Christi a prima die usque nunc, confidentes hoc ipsum, quia qui cepit in vobis opus bonum perficiet in diem Christi Jesu, sicut est nobis iustum hoc sentire pro omnibus
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mare che il gruppo lombardo e il gruppo tedesco, di cui fanno anche parte i valdesi d’Austria, di Boemia e di Svizzera, formano un organismo ereticale sostanzialmente omogeneo (i).
I valdesi primitivi, detti Valdenses e Pauperes de Lugduno, vengono dai più antichi scrittori e cronisti nostri divisi in due rami principali: Pauperes Ultramo-tani e Pauperes Lombardi. La prima denominazione serve a designare i valdesi che vivono al di là delle Alpi Cozie, nel Delfìnato e in Francia; la seconda invece, oltre i valdesi italiani, comprende anche spesso quelli che abitano le regioni centrali ed orientali d’Europa (2).
La letteratura e la tradizione religiosa del gruppo lombardo-tedesco presenta dei caratteri comuni che contrastano con le peculiarità della letteratura e della tradizione dei valdesi di Francia. Tali sono per esempio: il motivo della leggendaria donazione fatta da Costantino a papa Silvestro alla cui epoca facevano i valdesi risalire la degenerazione della Chiesa; il simbolo delle due vie adoperato per significare il destino dei buoni e dei cattivi nella vita futura; la giustificazione del lavoro manuale. Questi ed alcuni altri motivi appartengono esclusivamente alle fonti di origine italiana e tedesca (3).
Le fonti ci attestano l’intima solidarietà che unisce i valdesi italiani ai valdesi tedeschi.
I valdesi « perfetti » solevano celebrare ogni anno, e generalmente in quaresima, un Capitolo generale, riunendosi più spesso in Lombardia che altrove. A questi convegni prendevano parte anche tre o quattro valdesi di Germania, che venivano in Italia accompagnati da qualche chierico istruito che potesse fare da interprete. In
vobis eo quod habemus vos in corde et in defensione et confirmacione ewangelii, socios gaudii nostri omnes vos esse. Testis enim nobis est deus, quomodo cupiamus vos omnes in yisceribus Jesu-Christi, et hoc oramus, ut caritas vestra magis abundet in omni scientia et in omni sensu, ut probetis pociora, ut sitis sincere et sine offensa in diem Christi, repleti (fructu) iusticie per Jesum Christum in gloriam et laudem dei (Phil, i, 3-11) ». (Kescriptum, ap. Preger, op. cit., p. 56).
(1) «I valdesi boemi, tedeschi ed austriaci sono la stessa cosa dei valdesi italiani, gii uni e gli altri profondamente diversi dai valdesi di Francia ». (G. Volpe, Eretici e moti ereticali, p. 150).
(2) « Dividitur autem heresis in duas partes. Prima pars vocatur Pauperes Ultramontani; secunda vero Pauperes Lombardi. Et isti descenderunt abillis». (Cfr. Rainerii, Summa de Catharis et Leonistis seu Pauperibus de Lugduno, ap. Martene, Thes. nov. anted., V, 1775).
« Ista possunt quaeri a Lugdunensibus: Si est Pauper Lugdunensis. Item si Lombardia vel Ultramontanus... Si Pauperes Valdenses, Lombardi vel Ultramontani sint ecclesia Dei ». (Da un cod. della Bibi. Casanatense, ap, Döllinger, Beiträge, II, 320, 321).
(3) Cfr. A. De Stefano, La « Noble leçon«, p. XIII e nota.
« Quarto sciendum est, quod praedicti haeretici perfecti semel in anno in quadragesima vel circa celebrant concilium vel capitulum generale in aliquo loco Lombardiae Vel Provinciae, vel in aliis regionibus, in quibus sandaliati vel eorum aliqui commorantur, et hoc fieri consuevit potius in Lombardia quam alibi. Ad quod concilium veniunt très vel quatuor haeretici de Alamannia habentes aliquem clericum seu alium interpretato-rem, et fingunt, aliquo modo, se veile apostolorum Petri et Pauli limina visitare ». Cod. Vatic, lat. 2648: De Pauperibus de Lugduno. ap. Dollinger, Beiträge, II, 94).
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queste adunanze venivano trattati gli affari generali della comunità valdese e si curava sopratutto la distribuzione del denaro, raccolto tra gli «amici» o «credenti», secondo le necessità dei vari «ospizi» valdesi e dei singoli «perfetti» bisognosi. Ora le fonti ci affermano che la maggior parte di questo denaro veniva appunto dalla Germania (i).
Benché gli antichi documenti sieno decisamente schivi di offrire dettagli di questa specie, non sarebbe diffìcile raccogliere numerosi esempi della presenza di elementi tedeschi nei gruppi ereticali d’Italia (2).
Sin nel tardo medio evo i rapporti tra valdesi italiani e valdesi tedeschi si mantennero intimi e l’un gruppo s’interessò vivamente alle vicende interne dell’altro (3).
La concordia degli animi, la comunanza della dottrina c la solidarietà delle vicende storiche che fanno dei valdesi italiani e tedeschi un organismo omogeneo ci suggeriscono l'ipotesi che il valdismo sia penetrato in Germania attraverso l’Italia (4). E ciò sembrerà ancora più naturale qualora si pensi che ben più facili e battute erano le vie di comunicazioni che univano la Lombardia alla Germania che non quelle che univano questa al Delfinato e che, come un tempo l’idea cristiana, così anche l’eresia si diffondeva nel medio evo seguendo le grandi vie di comunicazione.
Inoltre, nei secoli xn e xm, l’elemento germanico è. politicamente, etnicamente in Lombardia incomparabilmente più notevole dell'elemento francese. Infine, mentre dalla Lombardia alla Germania tutto il territorio è disseminato di valdesi, tra la Lombardia e il Delfinato, le Alpi Cozie costituiscono in origine una zona neutra ed isolante. Solo più tardi, verso la fine del sec. xm, in seguito alle persecuzioni, i valdesi vi cercarono un più sicuro rifugio e questi valdesi appartennero anch’essi al ramo lombardo e non a quello lionese (5).
III.
Considerazioni generali.
Lo sviluppo dell’eresia nelle città italiane del medio evo non presenta, come è noto, generalmente un contenuto e una finalità politica. Esso è quasi sempre l’espo(1) « Item in dicto capitalo parantur pecunia et cleemosynae per amicos et credentes eorum sibi data et transmissa, quae quidem pecunia iuxta ordinationem dictorum san-daliatorum distribuì tur, et datur cuilibet certa portio pro se et sua familia in victu et vestitu anno venturo sustinenda. Et si aliqui qui regunt hospitia praesentes non fue-rint, mittitur eis pecunia per alios, qui in illis partibus morantur, et de Alamannia major pars pecuniae de qua vivunt et substinentur, apportatur •. (Cod. Vatic. lat. 2648. De Pauperibus de Lugduno, ap. Dollinger, Beitrage, II, 96).
(2) Tra gli eretici scoperti 1260 a Volterra, alcuni sono tedeschi e altri dalmati. Cfr. Giachi, Dello stalo antico e moderno di Volterra, p. 178. App. n. XL VI.
Tra gli eretici di Cher, esaminati dal domenicano Antonio di Sesto, inquisitore in Lombardia e Marca Genovese, nel 1388, figura un certo Bardonus alamannus. (Cfr. Ms. della Bibi. Casanatense, III, 18 (n. 3217, fol. 149 v.; cfr. ibid. fol. 98r).
(3) Cfr. V Epistola Waldensium Lombardiae ad Waldenses Germaniae, del 1368 ap. Dollinger, Beiträge, II, 355.
(l) Si ricordi la frase: a prima die usane nunc, del Rescritto del 1218, già citato.
(5) Cfr. De Stefano, La « Noble leçon», pp. XII-XIII.
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442 BJLYCHNIS
nente di una data situazione sociale. Nelle città ghibelline — e tali furono spesso per prevalenza d’elementi e d’interessi tedeschi — l’eresia è favorita per il notevole contributo che essa apporta nella lotta contro il papa e in sostegno dèlie rivendicazioni imperialistiche. Nelle città guelfe pòi, dove predominano gli elementi e gli interessi borghesi e nazionali, a parte alcune superficiali fluttuazioni, possiamo costatare in massima una diversa attitudine nei riguardi dell’eresia a seconda delle loro vicende politiche. Finché le città guelfe hanno da loftare contro l'aristocrazia feudale, di origine prevalentemente teutonica e sono alleate del papa contro l’imperatore, le città guelfe rimangono immuni dà eresie propriamente dette. Dopo però che. in seguito alla pace di Costanza, esse ebbero più o meno largamente conquistato la loro autonomia politica e quando esse vollero stornare dal loro capo il dominio papale che minacciava di sostituire quello dell’imperatore, allora vediamo le borghesie dominanti o accogliere benevolmente gli eretici entro le mura delle città o per lo meno sottoporli a una sorveglianza e persecuzione deboli c intermittenti.
Come ad ogni calata d’imperatore germanico in Italia assistiamo ad un rin-focolamento di moti ereticali nelle città italiane e in specie in quelle ghibelline, così la reazione contro Roma, determinata anche da interessi puramente locali, favorisce il diffondersi di correnti ereticali che riescono talvolta a sopraffare l’ambiente e ad imprimere alla città un diverso orientamento politico.
Milano ci offre un esempio tipico di questa evoluzione politica. La città che, nella lotta tra Alessandro IH e Federico Barbarossa aveva preferito la guerra contro l’imperatore e i suoi «scismatici » fatta d’accordo con la Chiesa ad una pace imperiale contro la Chiesa (x), nella lotta invece tra Ottone IV ed Innocenzo III, «deviando dall’antica via », prende le parti dell’imperatore contro il papa (2), per cui, nel Concilio Latera-nense del 1215 i milanesi furono scomunicati come « paterini e fautori di eretici <>.
La città paterinica del sec. xi, dove la scoperta dei catari di Monteforte aveva provocato sorpresa, sdegno e furore, perchè eretici e perchè stranieri (3), diventa; sulla fine del sec. xn e sopratutto nella prima metà del sec. xm, sede di tutte le eresie, ricettacolo di tutti gli eretici di cui molti sono italiani e molti, special-mente i capi, di origine straniera e'sopratutto tedesca (4). Chè in questo diffondersi
(1) « Lombardi responderunt: nos prò honore et libertate Italiae et Romanae Ec-clesiae dignitate servanda imperatorem cum suis schismaticis nec recipere nec audire volumus... Magis enim volumus guerram illius cum Ecclesiae imitate incorrere, quam pacem eius cum Ecclesiae divisione servare ». (Romuald. Chron.. ap. Muratori, Rer. II. SS., Il, 223).
(2) « Mediolanenses ab antiquo tramite deviantes juraverunt in his Ottoni ». (A da Imperi, n. 922).
(3) Il Vescovo Ariberto temè ne genus Italiae huius heresi contaminaretur, e gli italiani erano a qua orbis parte in Italia fuissent (i catari) eventi insci!. Ved. Landulphi, Hist. Medici., ap. M. G. II. SS., Vili, 66.
(4) Nel 1215, il cardinale Giacomo di Vitry, venuto a Milano, trovò la città in mano degli eretici. Milano era detta fovea haereticorum; « madre e nutrice di eretici » da Federico II (Matte. Paris. Chron., ap. M. G. H. S.. XXVIII, 133); ove prosperavano ben sedici sette diverse (Etienne de Bourbon, Anecdotes hisloriques, éd. Lecoy de la Marche, Paris, 1874, P- 1 2 3 479). e ci si davano convegno valdesi di Francia, di Germania e più tardi di Boemia. (Cfr. E. Comba, Histoire des Vandois, Paris, 1901, p. 136).
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I TEDESCHI E L’ERESIA MEDIEVALE IN ITALIA 443
dell’eresia nella grande metropoli d'Italia non fu certamente estràneo l'influsso degli agenti tedeschi, i quali « solevano inviare ogni anno a Milano una contribuzione pecuniaria, per mantenervi in tutto il suo vigore l’agitazione ereticale » (i).
Col modificarsi della generale situazione politica in Italia, i moti ereticali vanno assumendo un aspetto sempre più rispondente alla loro natura originaria e al loro contenuto sostanziale. L’eresia va sempre più immedesimandosi col programma imperialistico e a farsi strumento degli interessi tedeschi in Italia. Questa concezione, in cui l’elemento politico prevale sull’elemento religioso, si afferma apertamente ed esclusivamente imperialistica nel sec. xiv, nella lotta tra il papa e Ludovico il Bavaro, ma già nel secolo xm, eretico diventa sempre più sinonimo di ghibellino (2). Eliminata man mano dall'Italia, l'eresia sarà riassorbita dalla Germania, dove culminerà nella Riforma.
Antonino De Stefano.
(x) Annualem ccnsum transmitiere solebant Mediolanum ubi diversarum haeresum et errorum primatus agebatur» {Ann. Argent. ap. Boehmer, Fontes, IH, 107);.
(2) Cfr. G. Volpe, Eretici e moli ereticali, p. 105 e passim.
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L’EVANGELO E GL’INTELLETTUALI
Che cos’è un «intellettuale»? Questa espressione è un termine astratto; vi sono molti modi d’essere intellettuale. L’erudito che sta rinchiuso nel suo studio, curvo per ore intere su vecchi manoscritti, è un intellettuale ; e l’astronomo, che passa le sue notti a osservare le stelle lontane, è anch’egli un intellettuale. II letterato e l’inventore sono ambedue degli intellettuali. Intellettuale il filosofo che ragiona su delle idee pure; intellettuale il chimico che studia i corpi e il biologo che studia la natura animata.
Però, in questa varietà di forme esiste l’unità. Per definizione l’intellettuale è un uomo che ha sopratutto coltivato la sua facoltà di comprendere e che cerca di spiegarsi le cose.
Tanto nel ca mpo politico ed economico, quanto in letteratura e in scienze, una forza direttrice orienta il lavoro umano: e di questa forza gl'intellettuali d’oggi sono in gran parte i depositari. La loro influenza sociale è preponderante.
I rapporti di questa categoria dei nostri contemporanei coll'Evangelo sono adunque d’importanza capitale.
Cercheremo di rispondere a quattro questioni :
i° Che cosa pensano gl'intellettuali dell’Evangelo?
2° Che cosa possono gl'intellettuali per l’Evangelo?
3° Che cosa pensa l’Evangelo degl’intellettuali ?
4° Che cosa può l’Evangelo per gl'intellettuali ?
Terminando vedremo le conclusioni che se ne possono trarre, i doveri che s’impongono ai cristiani di fronte agli intellettuali.
Che cosa gl’intellettuali pensano dell’Evangelo?
Essi ne hanno dei concetti molto vari. Per gli uni è una spiegazione del mondo, un insieme di vedute sul destino umano; essi vi cercano una dottrina. A questa dottrina, alcuni sono favorevoli; altri si mostrano ostili come ad un sistema che essi considerano fuor di moda e da molto tempo superato.
Meno superficiale, un numero notevole d’intellettuali vede nell’Evangelo un fatto storico del più alto interesse, di cui importa fare lo studio scientifico e osservare gli effetti psicologici; si tratta di sapere quali fenomeni interni di gioia, di timore, d’amore, sono provocati dal-l’Evangelo nell’anima umana.
Condividano la prima o la seconda di queste opinioni, quei pensatori si accordano generalmente nel considerar l'Evangelo in un modo esterno, affatto obbiettivo : semplici spettatori, essi passano in rassegna dei fatti che non sembrano concernerli personalmente e che, per questa ragione, non hanno alcuna azione diretta sulla loro coscienza o la loro volontà.
Gl'intellettuali cristiani, invece, trovano nell’Evangelo una fonte di energia e di gioia intime.
Vi sono finalmente delle persone veramente intellettuali che non hanno al-
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" 1
L EVANGELO E GL INTELLETTUALI 445
cuna idea personale dell’Evangelo; non ne pensano nè bene nè male: lo ignorano.
Rimane una categoria, la più numerosa di tutte, che si crede intellettuale senza esserlo e che professa riguardo al-l’Evangelo le opinioni più strambe senza naturalmente conoscerlo. Falsi intellettuali, « sotto-pensatori », mezzi filosofi, mezzi scienziati, aventi della coltura solo la vernice, quella folla che giudica senza sapere è per noi la dimostrazione migliore che non occorre essere in molti per trasformare la sciocchezza in verità.
Questi vari intellettuali che cosa possono essi per l’Evanpelo?
Gli ultimi ricordati, coloro che non si dànno la briga di riflettere per conto proprio, sono press’a poco impotenti. Però dobbiamo considerarli come terreni da dissodare e da mettere in valore.
È una cosa diversa pei primi: essi possono molto contro, ma altresì prò l’Evangelo. I loro attacchi stessi, se sappiamo farne nostro prò, possono servire la causa del Cristianesimo, tanto è vero, come diceva ¡'Apostolo, che «tutte le cose cooperano al bene di coloro che amano Dio ».
Esempio: ecco degl’intellettuali che considerano ¡’Evangelo come una spiegazione del mondo, spiegazione ch’essi respingono; non c’invitano essi a domandarci in quale misura le affermazioni evangeliche circa l’universo e le sue leggi hanno un valore assoluto, o s’esse non valgono che pei tesori spirituali in esse rinchiusi? I destini dell’Evangelo son dessi vincolati a una certa astronomia ? Dipendono essi da una filosofia? Non abbiamo torto, noi cristiani, di associare ¡’Evangelo a un concetto qualunque del mondo ? « Il cielo e la terra passeranno: le mie parole non passeranno », ha detto Gesù ; l’Evangelo non può far corpo con delle spiegazioni
temporanee delle cose che se ne vanno: esso è eterno.
Ecco ora degli intellettuali, i quali vedono nell’Evangelo un insieme di fatti storici e preconizzano lo studio attento delle fonti, l’analisi minuziosa dei testi : a neh’essi possono molto per l’Evangelo.
Certo, in nome dello stesso spirito critico, bisogna diffidare della critica, e saper distinguere tra la ricerca coscienziosa, documentata, fondata su prove, e l’osservazione affrettata, trascurata, colle sue conclusioni così spesso temerarie. Renan ha detto un giorno : « temo che una delle incombenze del secolo xx sarà di trarre dal cestino una quantità di buone cose che il secolo xix vi aveva storditamente buttate ». Ecco a che ci si espone seguendo troppo facilmente la critica nelle sue conclusioni estreme. Si batte falsa strada e bisogna tornare indietro.
Ma la storia del Cristianesimo, condotta con scienza e imparzialità, i lavori sull’autenticità dei testi, la loro integrità, la loro veridicità, rendono tosto o tardi dei grandi servigi. Anzitutto, essi ci dànno un’ottima lezione di calma e di pazienza ! E poi la critica ha questo immenso vantaggio: di costringere a fare l’inventario del nostro patrimonio religioso, delle nozioni ricevute, a operare la scernita fra il necessario e il superfluo, come un negoziante che ripulisce la sua bottega !
Per impedire che il ponte crolli, ci assicuriamo della solidità dei pilastri ! Nessuno ci accuserà per questo di mancar di rispetto verso i loro costruttori. Non si possono considerare le cure o le precauzioni per ben fondare le nostre convinzioni religiose, come una mancanza di fiducia verso Dio o verso i nostri precursori nella fede.
La critica e la storia possono riavvicinarci all’Evangelo e al suo spirito moltiplicando le occasioni di studiarlo più
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346 BILYCHNIS
da vicino, dandogli un rifiorimento d’interesse e d’attualità.
Però, la scienza non può darci la vita, la pace, la gioia, se già non le possediamo.
E l'Evangelo, che pensa degl'intellettuali ?
A primo aspetto, non sembra tenerli in molta considerazione! S. Paolo non parla egli di quegli uomini che « a forza d'esser savi son divenuti pazzi »? E il Cristo stesso non lodava egli suo Padre « di aver nascosto certe cose ai savi e agl’intelligenti e di averle rivelate ai piccoli fanciulli»?
Ma qui appunto la critica ci renderà un buon servizio: che significano questi passi? Prendono essi proprio di mira quella categoria d’uomini che abbiamo designata col nome d’« intellettuali », o piuttosto non biasimano essi un modo di essere, un atteggiamento errato dello spirito, a cui l’intellettuale è esposto come gli altri ?
Perchè vi sono due persone nell’intellettuale: vi può essere in lui un uomo deforme, dal sapere orgoglioso, che s’immagina aver fatto il giro di ogni cosa e visto il fondo dell’infinito. Un tal uomo è insomma incompetente, perchè pensa che ciò che l'uomo vede sia più grande di ciò che l’uomo non vede. D’altra parte, posta in cattive mani, la scienza (che altio non è se non un istrumento) fa del cattivo lavoro. Allorquando il • vecchio uomo " veste il manto del filosofo o s’asside nelle cattedre della scienza, egli nulladimeno rimane il vecchio pazzo, il vecchio delinquente che insozza e corrompe ciò che tocca e tutta la sua sapienza non serve che a renderlo più cattivo, più perverso e più insensato.
Ma l’Evangelo non ha mai disprezzato nulla di veramente umano. Nell’intellet-tuale vi è ben altro che folle presunzione o sciocca vanità. L’uomo porta in sè il
marchio della sua origine divina, e la ragione è un dono del cielo d’inestimabile valore. In virtù di essa, possiamo mettere in pratica il precetto dell'Apo-stolo: «Provate ogni cosa e ritenete il bene ». Nelle profondità nascoste del nostro essere, un legittimo desiderio di conoscere fa risuonare l’eco di quella parola; essa ricorda la voce del Pastore che le pecore ascoltano. Coltiviamo dunque il nostro spirito, preghiamo Dio, come faceva Salomone, di darci l’intelligenza.
Quali servigi l’Evangelo può rendere agl’intellettuali.
Anzitutto egli può amarli, il che è davvero la cosa migliore Che si possa fare per chiunque è un uomo; si ha un bell’essere intellettuale, si ha sempre bisogno di amore. Vi sono delle cose in cui la ragione non basta più per contentare l’anima, in cui l’essere intero sospira dietro qualcos’altro!
Ma non basta: l’intelligenza stessa può subire l’influenza salutare delTEvangelo ; lungi dall'indebolirla o dal comprometterla, ne estende i limiti, la purifica, la santifica. Un intellettuale che trova l’Evangelo non incontra uno strumento oppressivo nè proibitivo, ma una potenza amica, un'alleata.
Perchè l'Evangelo vuole aiutarlo nelle sue miserie come nelle sue grandezze. L’intellettuale ha delle malattie speciali, è esposto a delle eccentricità particolari : a forza di guardare, non può più veder chiaro. In lui si produce uno squilibrio dell’essere. All’esuberanza del cervello corrisponde l’atrofia del cuore. Ma ecco l’Evangelo, il quale è largamente umano, il quale vuole che nulla nell'uomo sia lo schiavo o il paria di altra cosa, e che viene in aiuto all’intellettuale per affrancarlo dalle sue smanie e liberarlo dai suoi difetti ! « Serviti della tua ragione », gli dice, «ma non applicarla a sragio-
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L' EVANGELO E GL’lNTELLETTUALl 447
nare. Segui pazientemente le orme dell’ignoto, senza per ciò trascurare il tuo cuore! »
Quali sono i nostri doveri di fronte agl’intellettuali?
Non v’ha dubbio; tra il cristiano il quale dice : « sono uomo, e nulla di ciò che è umano m’è estraneo » e l’intellettuale il quale risponde: «tutto ciò che non capisco, per me non esiste », v’è una differenza enorme. Ma il cristiano può e deve farsi tutto a tutti. Ciò non vuol dire ch’egli debba intellettualizzare se stesso nel senso stretto di questa parola. Quando si è uomini non si abbaia coi cani sotto pretesto di testimoniar loro della simpatia.
Ogni metodo ha un lato negativo, pel quale siamo ammoniti intorno a ciò che non bisogna fare, e un lato positivo pel quale esso deve indicare ciò che bisogna fare.
La prima cosa che non bisogna fare è d’intellettualizzare noi stessi o di volere intellettualizzare l’Evangelo. Farsi tutto a tutti non significa far proprie tutte le esagerazioni e piegare successivamente, a seconda degli incontri, nel medesimo senso verso cui piega il nostro interlocutore. Un tale lavoro consisterebbe nel portare acqua al fiume. Un intellettuale non ha bisogno d’essere convertito alle concezioni astratte, ma all’umanità larga, alta e vivente, quale la rappresenta l’Evangelo. Sforzarsi di guadagnare gli intellettuali per mezzo di dotte dissertazioni sull’Evangelo, per mezzo di teorie profonde e abili sul concetto cristiano dell’universo, offrire ai filosofi una filosofia, agli scienziati un sistema scientifico, agli storici della storia, agli atei dell’esegesi e della letteratura, tutto ciò può essere effetto di buona intenzione, ma non è ben compreso. Se non abbiamo da offrire a ciascuno qualcosa di meglio di quello che già possiede, non rispon
diamo nè a ciò che l’Evangelo, nè a ciò che gli uomini reclamano da noi.
Per molti d’infra noi, l’evangelizzazione si confonde coll’apologetica e la conversione consiste nel sostituire una serie di clichés intellettuali a un’altra serie di clichés intellettuali.
Ora col 'sostituire, in un uomo, alla sua psicologia la nostra psicologia, alla sua scienza la nostra scienza, alle sue vedute storiche le nostre vedute storiche, alla sua spiegazione del mondo e degli uomini il nostro modo di spiegarli, si può cambiare il vestimento che ognuno indossa, ma non si rinnova il suo cuore e non se ne fa un uomo nuovo.
E peggio di tutto sarebbe se la nostra evangelizzazione consistesse in uno sforzo ostinato a mantenere una certa spiegazione dell’universo, già vecchia, aventi tutti i caratteri di una scienza, ma di una scienza superata, e di dare così ai nostri contemporanei intellettuali l’impressione che il nostro scopo sia di perpetuare un vecchio modo di concepire la natura e la realtà che ci circondano, senza tener conto di tutto l’immenso lavoro dei secoli. Le persone che riflettono, i cercatori e i dotti potrebbero allora pensare che un cristiano è un uomo il quale si ostina ad affermare certe cose senza essere accessibile alle indicazioni nuove, spesso più certe e più positive. Si è fatto, in questo senso, molto cattivo lavoro, contrario nello stesso tempo agl’interessi dei nostri contemporanei in genere e a quelli della vita religiosa in particolare. Si è fatto uno strano abuso riguardo al movimento scientifico moderno e, in genere, riguardo a tutto ciò che lo spirito ha di più legittimo e di più equo. Si è fraintesa la parola del Cristo: « nascosto ai savi, rivelato ai fanciulli», e se ne è tratta questa conclusione stravagante: che coloro i quali hanno studiato le quistioni non ci capiscono nulla.
Il più meschino catechista pretenzioso.
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44§ BILYCHNIS
in preda a un simile errore, può scambiare la sua ignoranza per la follia divina che confonde i savi di questo mondo. Non esitiamo a gettare questo grido di allarme: un evangelo oscurantista sarebbe la più orrenda bestemmia.
Non ci atteggiamo adunque a rappresentanti d’una vecchia concezione dell’universo: gl’intellettuali non potrebbero ragionare seriamente con noi. Siamo sinceri, abbiamo quella onestà di pensiero la quale permette, se occorre, di riconoscere che si è sbagliato: è questa, per un intellettuale, la prima delle qualità.
E, sopratutto, sappiamo comprendere gl’intellettuali, sappiamo simpatizzare con essi! Mostriamoci attenti alla grande lezione che Dio ci dà per mezzo di coloro i qu^li studiano le sue opere senza forse pronunciare il suo nome. Come Lutero, il quale andava cercando sulle labbra del popolo la lingua che doveva creare, mettiamoci al lavoro, e non temiamo di avvicinarci a coloro che. senza saperlo, sono operai del regno dei cieli ! Per giungere a servirsi di un cavallo, la prima condizione è di non averne paura; del pari, il modo più sicuro di non mai intendersi con qualcuno è di averne paura.
La religione è male ispirata quando teme la scienza storica, gl'intellettuali, coloro che cercano e comprendono. Questo timore diventa tosto o tardi offensivo per la fede e disprezzante per Dio, il quale ha tutto organizzato salvo ciò che è stato disorganizzato dall'uomo! Perchè, non lo dimentichiamo, tutte le nostre spiegazioni del mondo non sono altro che le testimonianze della nostra infermità; sono altrettanti tentativi di fanciulli che tirano sassi verso le stelle!
Siamo chiamati, gli uni e gli altri, a collaborare nella medesima opera; ciò che uno scienziato può far di meglio a favore di un cristiano è d’essere uno scienziato scrupoloso; ciò che un cristiano può far di meglio per uno scienziato è d’essere un 'cristiano fedele nell’amore, nella libertà e nella fede, perchè l’Evangelo è un contagio vivente di certezza e di fede: ce ne dà l’esempio il nòstro Maestro il quale soff.ì nel passato per l’umanità peccatrice e vuole oggi armonizzare la sua forza colla nostra debolezza per mezzo della potenza del suo amore!
Carlo Wagner
Predicatore a Parigi.
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Vitalità e vita nel cattolicismo
XI.
L'eterna guerra in famiglia: Esame di coscienza fatto dai clericali di destra... per quei di sinistra — Confusionismo? — Le vendette dei sinistri: la giustizia distributiva dell’Opera della Buona stampa.
Finanze: Come finisce il denaro della beneficenza — I dollari americani e il card. Merry del Val.
Antimodernismo in azione: Una condanna in odium audorum — Santa ingenuità — La palla del forzato — Una speranza del modernismo.
I santi in giro: La Salette — Cornigli© — Gissi — Altre manifestazioni — L’ovatta benedetta ed i suoi distributori — San Pio X — Perchè?
Multa renascentur, diceva la sapienza antica, e non aveva torto.
Chi avesse immaginato che le differenze tra le varie tendenze nel cattolicismo italiano sarebbero finite per sempre dopo i primi atti pontificali di Benedetto XV con cui i sospetti e gli infetti del giorno prima erano posti sul candelabro, mentre i papali di Pio X erano ricacciati nel l'ombra, sarebbe stato un ingenuo. Lo abbiamo già ripetuto e documentato nei commentari che siam venuti pubblicando. Dobbiamo proseguire in questa opera, perchè, a nostro giudizio, i sintomi della ripresa di una campagna di odio e di denigrazione tra i cattolici vanno aggravandosi, e la fazione sconfitta ieri approfitta di ogni occasione per mostrar che non solo non è morta per ordine pontificio, ma che, a dispetto forse del papa, continua nelle sue ardite imprese.
V’è ad esempio, un articolo dell’Unità Cattolica dello scorso gennaio che meriterebbe seria considerazione, perchè vorrebbe essere un esame di coscienza dei cattolici italiani. Il giornale fiorentino afferma che vi sono manifestazioni del disorientamento dei cattolici, e che quelle « più gravi ed impressionanti »sono rappresentate dal contegno « incerto e più volte fuori di posto » dei deputati che sono ritenuti per cattolici. Gli altri sintomi del disorientamento, giusta il predetto giornale, sono:
— il vocabolario liberalesco adottato anche da giornali che si dicono cattolici;
— i romanzi poco castigati che si pubblicano:
— la rédame a rappresentazioni sconcie o cinematografiche:
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45° BILYCHNIS
— le entusiastiche approvazioni e gli incoraggiamenti dati al boyscoutismo;
— la tenace persistenza nel nominare certe nostre associazioni con nomi riprovati dalla S. Sede perchè troppo affini al socialismo (allude ai « Sindacati », e$. quello dei ferrovieri cattolici);
— la insistenza di relegare fra i pregiudizi e i preconcetti, questioni di assoluta gravità per la Chiesa (la questione del potere temporale)’,
— ubriacatura che nella guerra attuale dimostrano non pochi cattolici;
— l’idealismo patriottico liberalesco che infarina anche certi periodici d'indole religiosa.
Così, mentre nell’intenzione di certi cattolici si crede di resistere al sovversivismo, si aprono allegramente le porte di casa nostra ai settari che vi fanno cagnara, e che ai sovversivi si equivalgono, se non peggio.
Stabiliti questi capi di accusa, il giornale, assunto il tono imprecatorio, ammonisce i « disorientati » che il papa non ha mai relegato tra i pregiudizi ed i preconcetti «la gravissima questione romana » non ha mai fatto l’elogio del boyscoutismo, non ha mai approvato i nomi sindacalisti delle associazioni cattoliche. E, riferendosi più specificatamente all’atteggiamento di altri organi cattolici della tendenza opposta, a proposito della guerra, chiede severamente:
Quando è che il papa ha comandato ai cattolici di intrupparsi vergognosa mente in coda ai liberali, per soffiare nel fuoco, già troppo divampante, delle ire nemiche? Il papa non fa altro che parlare di pace nella giustizia e nel diritto, e i cattolici si sgoleranno a parlare di guerre e di stragi?
Di questo confusionismo varie sono le cause; una è data dalle attuali circostanze e consiste ne « la vanità di esser chiamati grandi patrioti, anche quando si va contro gl’interessi della patria » (i).
(i) Ci preme notare che le stesse cose vengono ripetute infinite volte e non sempre in forma accettabile dagli stessi partigiani dei clericali d* ancien style. Nel numero del 30 decembre 1915 l’CZmM Cattolica ci informava che due articoli da essa riportati, facendoli propri, da un altro giornale della stessa tendenza, erano stati definiti da alcuni suoi amici • una canagliata ». Nello stesso scrittarello che ci dava tale notizia, si ritornava sull’argomento del giornalismo cattolico, in forma più corretta. Vi si diceva:
« La vita religiosa non forma un quid a parte dalla vita sociale e non basta combattere il liberalismo sul terreno religioso e poi far all’amore più o meno con lui sul terreno sociale e politico.
■ ...È qui, proprio qui, secondo noi dove certi giornali cattolici sono venuti meno a un grande dovere verso il popolo, e si sono trovati troppo d’accordo col Corriere della Sera, o almeno troppo poco discordi da lui e compagni. Per arieggiare a giornali patriottici, per avere titoli di benemerenza in campi, che non sono e non saranno nostri, essere reputati pieni di sentimento di italianità, cotesti giornali hanno abbandonata la causa del popolo in altre mani. E la storia dirà l’esito di questo abbandono.
• Non abbiam detto, nè abbiam voluto dire che per piacere al Corriere della Sera o al Secolo cotesti giornali abbiano messo in dubbio o negato la infallibilità pontificia o il numero settennario dei sacramenti ».
Come è facile rilevare, si tratta di un motivo predominante, su cui si torna quasi con malcelata voluttà. La ostentata divergenza poi intorno alla guerra, cela, come altre volte abbiamo detto, lo scopo di procurarsi Valibi per quando saremo alla resa dei conti. L’Avanti'., nel numero del 23 gennaio, commentando l’articolo dell’Unità Cattolica, del quale abbiamo parlato nel cominciar queste cronache, diceva giustamente:
« Domani la Chiesa giuocherà il suo alibi, valendosi appunto di questo contrasto, che V Unità Cattolica trova — o mostra di trovare — sconfortante, ma che sarà utilissimo
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Ma, come abbiamo visto altre volte, più la fazione di estrema destra nel catto-licismo italiano si agita, e più la fazione opposta le grava sopra. E non con parole gravi e con ritorsione di offese, ma con un metodo più persuasivo, quello di tagliare i viveri, per quanto è possibile, alla stampa papale integrale. Questa, è notorio, non può sostenere la concorrenza dei confratelli liberaloidi, che le hanno lasciato appena pochi degli antichi abbonati, i più fedeli ai vecchi governi ed alle tradizioni del passato, con le quali, data la loro età, vengono rapidamente tramontando; onde rimediare a tal male e fornir di ossigeno l’ammalata di consunzione, venne indótto Pio X a sconfessare gl’invasori. Ora però il vecchio papa, dopo non essere riuscito a nulla in vita, ha lasciato il campo libero ai sopravviventi, i quali non dimenticano il passato. E lo han dimostrato nella ripartizione dei sussidi fatta àzWOpera Nazionale della Buona Stampa, organismo creato da Benedetto XV, che naturalmente ne ha affidate le redini ad uomini i quali non erano troppo in odor di santità sotto il suo predecessore. L'Opera predetta ha destinato al giornale fiorentino un sussidio di cui V Unità Cattolica accusa ricevuta con questa nota che ha sapor di fiele (n. 16 aprile):
L’C'mìÌìì Cattolica, che non aveva domandato sussidi all’Opera nazionale per la Buona stampa, ha ricevuto anche la seguente lettera dell’IU.mo e Rev.mo Mons. Francesco Faberi datata da Roma, 25 marzo 1016:
« Ho il piacere di significale alla S. V. che il Consiglio Centrale di quest'opera nazionale nella sua adunanza del 18 corrente ha deliberato di assegnare al giornale V Unione Cattolica un sussidio straordinario per una sol volta di L. 500.
« Essendosi il S. Padre degnato di approvare la suddetta deliberazione, rimetto alla S. V. la somma nella fiducia che Ella vorrà vedere in quest'atto una prova del benèvolo interessamento della nostra Opera per il benemerito giornale da lei diretto, e non mancherà di cooperare come e quanto le sarà permesso alla propaganda in favore del-l’Opera stessa «.
Abbiamo pubblicato la somma dell’offerta c la lettera perchè abbiamo visto che ha fatto altrettanto prima di noi La Voce del Popolo di Cagliari, al quale giornale settimanale toccò la stessa somma di L. 500.
Dal Bollettino Mensile dell’Opera Nazionale per la B. S. del 31 marzo, veniamo a sapere che il 18 marzo vi fu un’adunanza del Consiglio dell’O. N. per la B. S., e che la somma raccolta raggiunse la cifra di lire 39.269,67. Di questa, detratte le spese e la parte destinata ad essere capitalizzata, rimasero disponibili pei sussidi ai vari giornali e periodici, L. 22.400.
domani di fronte al popolo. Perchè i preti dimenticheranno tutte le stamburate patriottiche e si sforzeranno di persuadere i loro seguaci che essi hanno combattuto contro le infatuazioni belliche. E, in gran parte almeno, ci riusciranno.
«Accadrà allora che,'per alcune chiacchiere del papa o del cardinale Ferrari, si faranno belli della pace di domani. Non hanno provocato la guerra, e non daranno la pace ai popoli. Ma hanno saputo sfruttare la prima e sapranno sfruttare la seconda.
« Nella Puglia arsa dal sole, allorché il periodo della siccità si prolunga, i preti iniziano le processioni invocanti l’acqua. E prega oggi, prega domani, poiché tutte le cose hanno un termine, anche la siccità, finalmente piove! Allora i preti attribuiscono il miracolo all’influenza dei loro santi e delle loro madonne, di cartapesta di legno o di cera, e le folle cieche si prosternano a ringraziare, e recano doni alle chiese.
« Vedrete che, appena giungerà la pace sospirata, accadrà per essa quello che accade pei- la pioggia nella Puglia sitibonda!
« E rc/n»7ii Cattolica ci regalerà un articolone, per dimostrare l’influenza enorme che il papa ha avuto nella pace, e per domandare... che gli si dia la presidenza del Congresso! •
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r l Ì ^f^iani, sussidiati furono: il Corriere d’Italia, ¡’Avvenire, V Italia, la Liberta di Napoli, il Corriere del Mattino, di Palermo, la Liguria del Popolo, Il Messaggero Toscano di Pisa. L’Unità Cattolica. Il Momento di Torino ebbe il largo sussidio che il card. Richelmy aveva dato all’opera.
I periodici e settimanali sussidiati pure sono stati: Arte Cristiana, Azione Muliebre. l’Eco del Pontificato, Effetto di Bologna, Malfida di Torino, Rivista Inlern. di Roma (dell’Unione Popolare), V Azione di Lecce, Conquista di Roma, Mentre si Combatte di Roma. La Croce di Napoli. Parva Favilla di Ravenna, Sicilia Vigile di Palermo, Stella Cattolica di Firenze, Voce del Popolo di Cagliari.
In tutto fra quotidiani e pe riodi ci, ventiquattro.
Non una parola di più, non un ringraziamento sia pure esclusivamente formale. Il giornale fiorentino aveva però ragione, perchè il sussidio accordatogli costituiva una offesa. Mentre ai giornali del trust era stata fatta la parte del leone e ad essi erano state date parecchie migliaia di lire, al foglio che — a suo dire — più che ogni altro erasi dedicato alla difesa dei diritti del papato, offri vasi, certo solo pel fatto che i direttori dell’Opera della Buona Stampa non potevano fingere di ignorarlo, cinquecento lire, quanto, ed anche meno di quanto erasi accordato a piccoli organetti settimanali. Ciò che equivaleva a dire ai clericali di destra che il loro massimo giornale quotidiano non era che un giornaluccolo, o che la loro causa era meno buona di quella sortenuta da altri che ben più e con più grazia avevano ricevuto.
A proposito dell’Opera Nazionale della Buona Stampa crediamo tutt’altro che inutile rilevare e ricordare qui come a favore di essa, a favore cioè di un partito politico. rappresentato e sostenuto dai giornali clericali italiani di ogni tendenza, si sia permesso di devolvere offerte fiduciarie fatte a scopo di beneficenza dai creduli fedeli alle autorità ecclesiastiche. Si leggeva infatti neìV Osservatore Romano del 23 febbraio il seguente comunicato, che riportiamo anche perchè serve di esplicita conferma a quanto più sopra abbiamo detto:
„ „^seguito alIe J.etÌ®rc inviate da S. E. Reverendissima il signor Cardinale Pietro Mafli, Arcivescovo di Pisa. Presidente onorario dell’Opera Nazionale per la Buona btampa, alla b. C. del Concilio, intorno al modo di sovvenire questa istituzione, la stessa Sacra Congregazione ha risposto con lettera indirizzata allo stesso Em.o signor Cardinale, nella quale è dichiarato che «qualora i Rev.mi Ordinari abbiano disinibì idei fondi per opere pie o di beneficenza, purché però non siano destinati alla soddisfazione di obblighi di messe o ad alto scopi specificamente determinati dai dii oblatori o fondatori, possono erogarli a vantaggio dell’Opera della Buona Stampa, TnUIQne<J 1.uttuos‘ tcmP' attuah ,a necessità è somma, e che perciò sta tanto a cuore
, disposizioni dello Statuto presento da Sua Santità il 25 marzo 101 s
le offerte debbono essere raccolte dal Consiglio centrale che risiede in Roma o direttamente o per mezzo dei delegati diocesani con i quali esso corrisponde. Al Consiglio centrale spetta ogni facoltà per l’organizzazione e la gestione dell’Opera. La erogazione delle somme raccolte si farà tenendo conto dell’importanza e delle condizioni dei giornali, penodici e riviste, previa approvazione della Santa Sede. Il Consiglio centrale si riunisce ogni anno entro ri mese di marzo per la erogazione delle somme e per il resoconto Gena gestione.
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Tale decisione della Congregazione del Concilio costituisce una enormità, perchè' malgrado le parvenze di restrizioni contenute nel decreto stesso, equivale ad una violazione evidentissima della volontà degli oblatori, sia pure che essi non abbiano « specificatamente » determinato l’uso delle loro somme, e le abbiano date con la generica clausola da derogare in opere pie o di beneficenza. È indubbio che devolvere tale denaro a sostenere giornali e periodici politici, parecchi dei quali — almeno a quanto affermano persone ed altri fogli dello stesso loro campo — assai poco raccomandabili (si vegga ad esempio ciò che abbiamo riportato all'inizio di questa cronaca), è un forzare arbitrariamente la volontà del testatore o del donatore.
Non bisogna però maravigliarsi troppo di tal modo di far denaro. Se si volessero esaminare le vie per cui l’oro perviene nelle casse ecclesiastiche ci troveremmo spesso di fronte a sorprese di questo genere, ed anche a metodi più ripugnanti. L’episodio del cinematografo in San Pietro, durante le funzioni della settimana santa di quest’anno, vai la pena di esser citato a proposito. Ne desumiamo la narrazione dal Giornale d'Italia del 19 aprile:
Domenica scorsa nella Basilica di San Pietro si svolse con la consueta solennità la funzione delle Palme.
Vi si affollò come sempre una quantità di fedeli e di curiosi, poiché simile cerimonia, come tutte quelle di questa settimana di Passione, assumono un carattere di grandiosità originale, e pittoresca, famoso in tutto il mondo per le mirabili descrizioni che ne hanno dato illustri scrittori di ogni nazione.
Ieri l’altro qualche cosa di inaudito attirava l’attenzione dei fedeli e dei curiosi. Tre apparecchi da • presa » cinematografici erano in funzione per fermare sulla pellicola sensibile lo spettacolo meraviglioso.
Una macchina era collocata sotto l’orchestra presso l’altare della Cattedra e spiava con l’avido obbiettivo da un finestrino praticato nell'impalcatura dell'orchestra stessa; un’altra più audace troneggiava sopra la loggetta di S. Andrea e afferrava un campo Eiù vasto del cerimoniale sacro; una terza stava appollaiata e vigile sul loggione in >ndo alla navata centrale e raccoglieva i mistici quadri della processione delle Palme, e la massa imponente e commossa dei credenti.
Come già i fedeli, della inaudita intrusione finirono per accorgersi i reverendi canonici dell’illustre Capitolo Vaticano, che rimasero assai indignati di mandare per il mondo la loro effigie sugli schermi profani delle sale cinematografiche.
I monsignori del Capitolo si affrettarono a delegare persona che dichiarasse al cardinale arciprete della Basilica, l’eminentissimo Merrv del Val, il loro rammarico per la irriverente azione cinematografica, ma con indicibile sorpresa i canonici si sentirono rispondere che il cardinale arciprete aveva ordinato la « presa » della funzione, e che non vi era nulla di male in questa innovazione ultra-moderna, e in contrasto con la santità del rito e del luogo ove si compiva.
La scena ebbe a rinnovarsi ieri mattina, e allora i canonici, che si rividero sotto il fuoco inflessibile dei tre obbictivi scintillanti, sentirono più viva la loro indignazione e il giusto sdegno per una cosa che essi giudicavano una vera profanazione. Molti allora si alzarono e disertarono la funzione ritirandosi in sagrestia a commentare il capriccio del loro capo ecclesiastico.
Questa specie di scioperetto silenzioso ha avuto origine dal fatto che l’eminentissimo cardinale Raffaele Merry del Val, senza curarsi di interpellare, com’è sua consuetudine del resto, il Capitolo stesso, aveva consentito ad una ditta americana la facoltà di cinematografare i suoi venerandi colleghi nel pieno esercizio delle loro funzioni.
Gl'intraprendenti americani, per procurarsi una “ film • d’interesse mondiale e che frutterà loro parecchie centinaia di migliaia di lire, avevano avuto la geniale idea di riprodurre dal vero le celebratissime funzioni della Settimana Santa.
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Cercarono dapprima di mettersi d’accordo col basso personale della Basilica per poter celare i loro apparecchi e i relativi operatori per poter lavorare di sorpresa: ma i sampietrini, a cui certamente erano stati offerti molti dollari nuovi fiammanti per ottenerne la complicità, compresero il rischio a cui si sarebbero esposti, quando la cosa fosse divenuta di pubblica ragione in tutto il mondo e rifiutarono le tentatrici offerte.
Gli americani non si perdettero d’animo per questo, ed essendo disposti a proporzionare le offerte, al fine si rivolsero all’Amministrazionc della Fabbrica di San Pietro e all’arciprete della Basilica, eminentissimo Merry del Val. che si mostrarono assai più arrendevoli dei modesti sampietrini.
Si convenne dunque che la ditta cinematografica americana avrebbe versato una assai cospicua somma, per ottenere l’agognatissima autorizzazione.
Convennero nella bontà della cosa alcuni tra i più assennati canonici, tra cui mons. De Bisogno e mons. Ugolini. Ma tutto questo non è bastato a calmare gli animi indi-gnatissimi degli altri canonici, i quali non vogliono saperne della parte assai poco lusinghiera di « cachets » da compagnie cinematografiche, e tanto meno di offrire in effige le loro venerande persone proiettate sullo schermo bianco in tutte le sale del mondo, tra l’ammirazione dei pubblici esòtici e a titolo di ■ great attraction ■ tra un dramma poliziesco o di mala vita e una comica finale.
Non sappiamo ancora come la faccenda andrà a finire, perchè se i canonici persistessero nello sciopero, la cassa delia Fabbrica di San Pietro potrebbe vedersi costretta a restituire tutti o in parte i bei dollari d’oro della Casa americana.
A rigor di termini i reverendissimi canonici possono essere accusati di misoneismo. 11 tòro capo, l’eminentissimo Merry del Val, è uomo assai più moderno e non ha certi scrupoli antiquati e vieti. Il giovane ex-segretario di Stato anzi ama assai di posare davanti agli obbiettivi fotografici, tanto vero che di recente, mentre impartiva la benedizione alla campanella nuova che ^Eminentissimo ha offerto alla Basilica e che egli ha battezzato col nome di • Raffaella ». ebbe la degnazione di farsi riprodurre in ben sedici pose dagli obbiettivi del fotografo Felici.
Lo scandalo suscitato dalla narrazione ora riferita dovette essere assai grave nelle superiori sfere ecclesiastiche, e se ne temette certo una disastrosa impressione tra i fedeli, se Benedetto XV si indusse ad inviare immediatamente, appena a cognizione della cosa, un ordine perentorio al Merry del Val, con cui gli si ingiungeva di non ammettere più per veruna ragione in san Pietro gli intraprendenti cinematografisti americani, e di disdire in conseguenza il contratto.
Benedetto XV è da lodarsi per questo atto. Non egual lode però gli attribuirà chi serenamente ragioni per avere donato la sua approvazione allo storno dei fondi destinati a beneficenza per devolverli a sostenere'una stampa di parte. E non sappiamo in verità se sia maggior vergogna il vedere i canonici di San Pietro col loro arciprete proiettati sullo schermo bianco dei cinematografi, dopo essersi fatti convenientemente pagare, o quella di forzare c violare positivamente la volontà di persone, che con confidenza han depositato i loro denari presso organismi chiesastici per opere di bontà.
Roma non può soffermarsi su queste cose: essa ha ben altro da fare. Deve salvare il mondo dalle infezioni. E precisamente quasi nel contempo delle gesta su ricordate, la peste era alle porte della cristianità. Figurarsi che alcuni studiosi avevano dato vita ad una Rivista di Scienza delle Religioni. Ce n’era abbastanza, col solo titolo, per colmare di spavento tutte le puritane autorità della Chiesa: Infatti, appena comparso
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il primo fascicolo, il corrispondente da Roma dell'Unità Cattolica precipitava al telegrafo onde segnalare il terribile evento e porre in guardia la cristianità tutta intera. Il giorno appresso (23 marzo) si leggeva in caratteri marcati sulla prima colonna del giornale fiorentino quanto segue, sotto il titolo: « Il fior fiore....»:
Veritas ci manda da Roma, 22:
È uscito il primo fascicolo di un nuovo periodico intitolato Rivista di Scienza delle Religioni. _ .
Esce in fascicoli bimestrali di 80 pagine. Il materiale vi è così ripartito: Articoli originali, note critiche, bollettini, recensioni, notizie scientifiche.
Il Comitato di redazione è così composto: Ernesto Bonaiuti, professore di storia del Cristianesimo nella R. Università di Roma: Giulio Farina del R. Museo Egizio di Firenze: Umberto Fracassini, professore di storia del Cristianesimo nel Regio Istituto di Studi Superiori in Firenze: Umberto Pestalozza, professore di storia delle religioni nella R. Accademia scientifico-letteraria di Milano: Raffaele Pettazzoni, professore di storia delle religioni nella R. Università di Bologna: Luigi Salvatorelli: Nicola Turchi.
Questo periodico «si propone di contribuire alla diffusione e al progresso delle discipline che indagano lo svolgimento storico del fenomeno religioso », esso «ha carattere esclusivamente critico ».
Evidentemente la critica entrerà nel campo religioso e storico ecclesiastico e biblico e filosofico, anche se gl’iniziatori del periodico non lo vorranno.
Io metto in guardia i cattolici da questa rivista e mi pare con ciò di fare nè più nè meno il mio dovere di giornalista: a chi spetta, il dire qualche cosa d’altro special-mente sull’indirizzo della nuova rivista sorta sotto gli auspici di uomini già molto noti per il loro passato, nelle battaglie modernistiche.
L’oca capitolina aveva dato l'allarme ed i cani custodi di santa Chiesa si posero subito sulle piste della selvaggina. E l'addentarono presto. Non eran trascorsi venti giorni che si poteva leggere Sull’Osservatore Romano un decreto del S. Ufficio del seguente tenore:
Gli E.mi Inquisitori Generali nella feria IV. 12 aprile 1916 hanno decretato:
« Il periodico intitolato Rivista di Scienza delle Religioni, di cui recentemente è uscito il primo numero dalla Tipografia del Senato 1916, è condannato come organo di propaganda modernistica: e si proibisce severamente a tutti i fedeli, e specialmente agli ecclesiastici, di leggerlo, abbonarvisi e collaborarvi ».
Il modernismo dunque non era morto? Ma vera del modernismo nella rivista condannata e negli scritti contenuti in essa, 0 non piuttosto si è fatto un processo alle supposte intenzioni dei componenti il Comitato di redazione? La seconda ipotesi è, secondo noi, la vera, ed è desumibile dal fatto che chi ha proferito la condanna non è stata la Congregazione dell’/flrfice a cui spetta di competenza l’esame e l’eventuale dannazione dei libri e periodici, ma la Congregazione del S. Ufficio, a cui spetta inquisire e condannare le persone sospette o convinte di eresia. In una parola, non potendo o non avendo forse il coraggio di tradurre dinanzi alla Inquisizione 0 S. Ufficio che dir si voglia qualcuno 0 tutti i redattori del periodico, si è condannato questo in odium auclorum.
Dato ciò, non ci sembra improbabile, pur non avendo dei dati per certificarlo, che, come è stato pubblicato da qualche giornale, Benedetto XV si sia dimostrato riluttante ad approvar la condanna.
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La recrudescenza di ant¡modernismo ha prodotto qualche rumore, malgrado che oggi tutti siano assorbiti da altri problemi. Fra gli altri giornali, La Perseveranza di Milano commentò il decreto, dicendo tra l’altro:
Ormai dobbiamo essere persuasi che dottrinalmente nulla si è mutato nell’atteggiamento del Vaticano, non dico per quanto riguarda la dottrina fondamentale, ma per quanto è espressione formale del modo più conveniente di adattarla alla cultura moderna. .
Ciò ha attirato addosso al giornale milanese un articolo àeW Osservatore Romano, il quale (n. del 22 aprile) così dogmatizzava in risposta:
« Vana pertanto doveva essere la speranza, se v'era pure qualcuno che avesse potuto accoglierla nell'animo pervertito, di potere nel campo modernistico « lavorare sotto questo Pontefice con una relativa libertà » che in sostanza doveva essere poi la licenza dell’errore e dell'eresia: giacché il papa (e questo lo sanno anche i meno iniziati nello studio di siffatte materie), si chiami esso Leone, Pio q Benedetto, è sempre Pietro, cioè il Vicario di Gesù Cristo, il Maestro supremo e infallibile della Sua Chiesa.
Ed avendo la Perseveranza espresso l’avviso che i redattori, della rivista condannata si infischieranno della condanna stessa e proseguiranno nell’opera iniziata, il comm. Angelini fulmina il giornale di Milano, esclamando:
È una ipotesi questa ed un prognostico che ha tutta l’aria di un consiglio e di una istigazione, e che però sta a dimostrare da quale spirito sia veramente animata la stampa liberale del nostro paese, anche quella che passa per la più temperata: e a ribadire una verità che i cattolici italiani non debbono mai porre in oblio, e cioè che quella che principalmente è presa di mira ed insidiata dal liberalismo di qualsiasi gradazione, è la potestà stessa spirituale del Romano Pontefice, la stessa autorità dottrinale e disciplinare della Chiesa. .
Sull'atteggiamento che assumeranno i redattori della rivista c sul come risolveranno il loro « caso di coscienza » contiamo di ritornare un'altra volta. Circa le parole de\V Osservatore Romano, diremo appena che certo sarebbe stato per lo meno ingenuo il supporre nel papa attuale un vero homo novus, dato che, eccetto qualche svolazzo e qualche ghirigoro in più o in meno, tutti i papi debbono esser decalcati sulla stessa falsariga, o, se vai meglio, tutti, siano pure menti aperte e serene, debbono trascinare la grossa palla del forzato, che si ingrossa sempre più, e che risponde al nome di tradizione. Onde, dopo il lavorio di Pio X, che si studiò nei suoi anni di pontificato di lasciare al suo successore una condizione di fatto assai più grave di quella che non trovò salendo al soglio l’antico contadino di Riese, Benedetto XV, per quanto si studi di fare., o meglio di disfare, non può giungere alla sconfessione aperta del non desiderato predecessore. Non sarà affetto da mania di persecuzione, giusta gli esempi lasciatigli, ma non potrà sottrarsi da firmar di tanto in tanto qualche condanna, sebbene a malincuore. È la fatalità.
Poiché siamo a parlare di modernismo, ci si permetta di ricordare qui un effetto benefico da esso prodotto per l'Italia e l’italianità dei suoi commerci in questo grave momento che la patria attraversa. Si tratta del riscatto della celebre ditta libraria Ermanno Loescher & C., dovuto alla iniziativa di un ex sacerdote minorità, il p. Gioac-
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chino da Napoli, (al secolo — si dice così — prof. Pasquale Maglione) già famoso come oratore sacro, avendo calcato i principalissimi pulpiti della penisola.
Il prof. Maglione, rientrato per frutto di studi e di convinzioni profonde nella vita civile, ha dato prova di non comune forza di volontà e di spirito di iniziativa, rendendo italiano quel vasto e possente veicolo di multiforme penetrazione sociale e diffusione di cultura quale il commercio del libro, esercitato dalla ditta Loescher, per circa mezzo secolo, con iniziative ardite ed organizzazione ammirevole (i).
Tanto maggior merito devesi attribuire al Maglione in quanto, appreso l’acquisto da lui fatto della celebre libreria, le superiori autorità ecclesiastiche hanno tentato subito e ripetutamente, ma invano, gli approcci presso di lui, temendo forse — ciò che noi ci auguriamo e che sappiamo avverrà — che dall’opera del Maglione, quale proprietario di sì possente mezzo di cultura, nuovo impulso e più fortunato successo avesse ad arridere agli studi di scienza e di critica delle religioni in Italia.
Per tutto questo ci permettiamo di formular qui i nostri voti che il successo migliore coroni l’opera del Maglione. (2)
Un altro decreto del S. Uffizio non ha avuto il commento necessario, che certo non sarebbe mancato sulla pubblica stampa in tempi normali, il decreto cioè sui Secreti della Madonna della Salette.
La leggenda, assai nota del resto, narra che due pastorelli nel 19 settembre 1846 menando al pascolo il loro bestiame, videro ad un tratto una bella signora, che, qualificatasi per la Madonna, disse loro di divulgare un suo messaggio pubblico che avrebbe contenuto gli insegnamenti destinati da Maria al suo popolo. Il vescovo di Grenoble si pronunziò naturalmente per l’autenticità dell’apparizione, e da allora la storiella fruttò migliaia e milioni di franchi, date le moltitudini dei creduli che per anni si succedettero in pellegrinaggio al luogo dell’apparizione.
Il così detto Secreto della Salette consiste in ciò, che la « bella signora » avrebbe detto ai due pastorelli, i quali sembra facessero la storia più lunga e moltiplicassero a piacere le confidenze della Madonna, che si era fatta intervistar da loro. Tempre di giornalisti quei due pastorelli! Venne il giorno in cui nessuno ci capì più nulla. I « Secreti » manifestati erano i più vari ed i più difformi. Dubitare dei pastorelli non po-tevasi, dato che l’autorità chiesastica aveva dichiarato indubitabile l’apparizione; nè poteva revocarsi in dubbio il Messaggio da diffondersi, accolto dalla stessa autorità. Ma, ed era logico, se i pastorelli erano in questo ritenuti veritieri, doveva pur ritenersi vero il resto che essi venivano narrando. Ma la Chiesa ha una sua logica propria e accetta solo ciò che le conviene.
(1) La ditta Loescher è stata acquistata il io aprile scorso dal prof. Maglione in società con Costantino Strini. La ragione sociale sarà: Libreria E. Loescher & C. (P. Maglione & C. Strini), Roma, via Due Macelli, 88.
(2) Del Maglione e della sua opera diremo più ampiamente in un prossimo numero.
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Dopo settantanni dalla presunta apparizione, un bel giorno la sacra Congregazione del S. Ufficio si ricorda di queste storielle che una volta circolavano e vi ci combina su un solenne decreto il quale dice:
È giunto a conoscenza di questa suprema Congregazione che vi sono alcuni, anche ecclesiastici, i quali, nonostante le risposte e le decisioni della stessa Sacra Congregazione, continuano — con libri, opuscoli e articoli pubblicati in riviste periodiche, sia firmati, sia anonimi — a trattare e discutere la questione detta del « Secreto de la Salette - delle sue diverse versioni, e delie sue applicazioni ai tempi presenti o a quelli futuri, e questo, non solo senza l’autorizzazione degli Ordinari, ma anche contro la loro proibizione. Affinchè tali abusi, che recano nocumento alla vera pietà e pregiudicano 1 autorità ecclesiastica, siano repressi, la medesima Sacra Congregazione ordina a tutti i fedeli, a qualunque paese appartengano, di astenersi dal trattare c dal discutere l’argomento presente, sotto qualsiasi pretesto, sotto qualsiasi forma, come libri, opuscoli o articoli firmati o anonimi o in qualunque altro modo. .
Che tutti quelli che trasgrediranno quest'ordine del Sant Uffizio, siano privati, se preti, di ogni dignità che potesse avere, e siano colpiti dalla sospensione dall Ordinario del luogo, sia per ascoltare le confessioni, sia per celebrare la Messa: e se laici, che non siano ammessi ai Sacramenti, prima che abbiano dato segno di resipiscenza. Inoltre, che gli uni e gli altri siano colpiti dalle sanzioni stabilite, sia da Leone XIII nella costituzione Officiorum et- munerum contro quelli che pubblicano, senza regolare autorizzazione dei superiori, libri trattanti argomenti religiosi, sia da Urbano Vili nel decreto Sanctissimus Dominus Deus wjster emesso il 13 marzo 1625, contro quelli che divulgano tra il pubblico, senza .licenza dall’ordinario, ciò che è presentato come « rivelazioni ». .. . ,
Del resto, questo decreto non è contrario alla devozione alla Santissima vergine avocata e conosciuta sotto il titolo di < Riconciliatrice de la Salette ».
Dato a Roma, dal Palazzo dei S. Uffizio, il 21 dicembre 1915.
Dopo settanta anni, ripetiamo, tale decreto equivale a chiudere la stalla quando i buoi sono fuggiti da un pezzo. Io credo anzi che si sia voluto chiuder la stalla, perchè i buoi eran fuggiti, vale a dire perchè l’affare della Salette era stato già sfruttato a sufficienza e ritrattone tutto l’utile possibile. Era tempo pertanto che il S. Ufficio intervenisse a dichiarare che la Somma Autorità non voleva mischiarsi in simili faccende... cum nioderamine inculpalae tulelae, dicendo cioè e non dicendo, contestando solo indirettamente il fatto principale senza pur nominarlo, ma facendo salva la devozione alla Vergine invocata sotto il titolo della Salette.
Anche in Francia alla Salette non pensava più che qualche isterico o qualcheduno che amava molcerne gli ultimi spiccioli, dopo l’enorme sfruttamento a cui abbiamo accennato. La storia era troppo vecchia, era un ciarpame da gettar via. A ciò ha provveduto il Sant’Ufficio.
Cose nuove occorrono, o magari cose vecchie ripetute altrove. E difatti, come a tentare un duplicato della Salette francese in Italia, proprio mentre scriviamo ci capita sott'occhi nellMwtZi-/ del 15 maggio, questo fonogramma:
‘PARMA, 15.
Era da prevedersi: anche il miracolò» l’apparizione della madonna! Nelle nostre campagne preappenniniche, verso Cornigli©, si è sparsa la voce che è apparsa, tra i rami di una pianta, ad alcuni fanciulli che conducevano le pecorelle al pascolo, l’imagine di non sappiamo bene quale madonna. L’apparizione fu vista anche da altri ai quali i pastorelli narrarono la cosa e poi da altri ed altri ancora che incominciarono ad affluire in folla verso il luogo indicato.
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Va sans dire che la madonna avrebbe anche parlato ai fanciulletti dei grandi avvenimenti del tempo, facendo dolci promesse, benedicendo gli armenti sparsi sui declivi tranquilli dei colli.
Si sono già organizzati pellegrinaggi al luogo dell’apparizione. Vere folle di devoti oranti, di poveri contadini, continuano ad accorrere lassù ogni giorno. I carabinieri del luogo intanto, visto il rapido estendersi della leggenda, hanno voluto interessarsi della faccenda, e vive indagini si stanno compiendo.
Noi, però, ci permettiamo di essere degli scettici anche... sul valore di queste indagini!
Sembra di rileggere la storia della Salette. V’è la sola variante che qui la bella signora s’è arrampicata, chi sa con quali scopi, su di un albero. Altrimenti v’è tutto il resto, i pastorelli, le pecore, le confidenze fatte ai bambini. Già, come abbiamo Ietto, la stolta credulità, la miseria morale e l’abbrutimento, frutto di una fede non sentita ma supinamente accettata, han cominciato a portar le folle sul luogo dove la Madonna, arrampicata sull’albero... coglieva le frutta.
Ci vedessero un po' chiaro i carabinieri! Altrimenti assisteremo a processi canonici; sorgere di santuari, messe, tridui, novene, ecc., vedremo spuntare come fungaia, tutta una letteratura sul « Secreto » della Madonna di Cornigli©, finché chi vivrà di qui a settant’anni, leggerà un decreto del Sant’Ufficio come quello surricordato.
Un altro fatto « miracoloso » dicono sia avvenuto il 21 maggio in Gissi, un paese del mezzogiorno, davvero tuttora irredento. Anche di questo « prodigio » abbiamo notizia daH’/lvan#.' (n. del 28 maggio), da cui togliamo queste brevi righe:
Il 21 corr. era la festa di S. Bernardino, patrono del paese.
Verso le 21, mentre la musica eseguiva il suo programma, alcune donnicciole... sparsero la voce d’aver visto sudare la statua del santo protettore.
È difficile — a gente civile — immaginare ciò che è successo. La popolazione s’è riversata nella chiesa: tulli han visto il miracolo.
Il prevosto, accompagnato dal facente funzione di sindaco, scortato dai pezzi grossi del paese, proceduto dalle « signore », s’è recato in chiesa. Per suo conto, non ha riconosciuto il miracolo; ma non l’ha escluso.
Ha chiesto le dichiarazioni, giurate, dei testimoni ! !....
Per tutta la notte non s’è chiusa la chiesa. Un gran vassoio è stato posto ai piedi dell’altare: in breve s’è riempilo di denari, oro ed argento.
Più d’una povera madre si ha tolto l’anello nuziale per offrirlo al santo, affinchè le faccia tornare, sano e salvo, l’adorato figlio.
Per la cronaca, debbo aggiungere che uno dei « testimoni » del miracolo dichiarava prima di recarsi in chiesa a due nostri compagni, che non era prudente contraddire ai credenti; del resto, soggiungeva, per il paese è un bene: verranno delle processioni, ed io venderò la merce che ho in magazzino.
Si preparano grandi feste: cominciano i pellegrinaggi: i vassoi si riempiranno d’offerte, le Commissioni andranno in giro per raccogliere fondi... Secondo gli usi locali, non si darà pubblico rendiconto. Gli usi locali sono al disopra delle leggi.
Nè questi, a quanto sappiamo, sono soli mirabili eventi di quest "ultimi tempi, poiché ci è stato riferito di singolari ritrovamenti miracolosi nelle Marche ed altrove, ed ivi, come a Corniglio ed a Gissi, la gente superstiziosa accorre. Par d’essere in Beozia.
Certo non siamo in terra colta e civile e mal ci appelliamo alla libertà in casi di simili balordaggini. Eppure non mancherà chi alla libertà farà appello per far denaro
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sui gonzi e pelarli ben bene. Il tempo di guerra, come tempo di calamità pubblica, bisogna bene sfruttarlo. A parte le presunte apparizioni miracolose, non abbiamo forse veduto e non si può forse vedere ancora la vendita ai soldati di piccole cartucce contenenti sì e no un grammo di ovatta benedetta per il... modestissimo prezzo di cinquanta centesimi, perchè tale cotone idrofilo protegga chi lo porta e ne sani le piaghe? Vero si è però che chi vende il cotone a 500 lire il chilo vien pure distribuendo il Libriccino d'oro del soldato italiano in cui si legge: « Soldato, ricordati. Ascriviti e frequenta per quanto è possibile, qualche congregazione religiosa o circolo cattolico e sta lontano da protestanti, socialisti e repubblicani »; vero è che chi vende l’ovatta benedetta distribuisce nel contempo l’altro opuscoletto: l nemici del popolo italiano, in cui si eccita ignobilmente il popolo contro gli israeliti, i socialisti, i massoni, in cui Garibaldi èchiamato un ignobile buffone, uno sfacciato bugiardo...
Parlando di Santi non bisogna dimenticare qui che un altro ne sta spuntando all’orizzonte. Un santo nuovo, di cui abbiamo parlato più volte mentre era in vita, ragione per cui chi sa che i nostri modesti commentarii non vengano anch’essi prodotti ed alligati al processo canonico. Si tratta, insomma, di... San Pio X.
Pio X era un santo. E non nel senso che fosse un uomo pio e buono, ma, dicono nel senso più stretto della parola. Infatti il Bollettino diocesano di Jaen (Spagna) pubblica i miracoli del vecchio papa. Leggere per credere:
Estasi. — Era la vigilia di un Concistoro e i nuovi Cardinali dovevano esser ricevuti in udienza dal Papa. Siccome passava l’ora segnata e Sua Santità non si mostrava ancora, il Card. Bisleti volle aprire alquanto la porta deH’appartamento del Papa. Che vide?...
Pio X stava inginocchiato in profonda orazione e alzato alquanto da terra!... Tutto commosso il Cardinale chiuse la poita e si ritirò. Dopo poco Pio X entrò nella sala col volto raggiante e trasfigurato e proruppe in queste testuali parole: « Oh! quanto è buona la Santa Vergine: essa mi ha grandemente consolato! »
Sordo che sente. — Un giovane di nome Pietro Beaumont faceva parte di un pellegrinaggio a Roma. Contava 21 anni ed era sordo fin dall'età di due anni. Tre specialisti avevano tentato tutti i rimedi per guarirlo, ma senza risultato. Erasi perciò portato a Roma per ottenere la guarigione per intercessione del Papa.
— Hai tu fede? — gli domandò Pio X.
Il povero giovane non rispose perchè era sordo: ma sua madre ripose tosto per lui: « Sì, Santità, sì, sì ». Il Papa allora gli diede tre colpettini sul capo dicendo: « Sì, sì: egli ha molta fede ». In quel medesimo istante il giovane udì e dalla commozione si mise a piangere.
Adesso egli continua a udire perfettamente.
Un braccio paralizzato. — Un uomo del popolo, un italiano, con un braccio privo di movimento aveva visitato il santuario di Lourdes e, non avendo ottenuto la sospirata guarigione, ebbe l’idea di domandare questa grazia a Pio X. Il Papa lo mirò sorridendo e, passando con la mano su quel braccio, in atto di fargli una carezza, disse: « Sì, sì, sì! ». In quel momento ¡stesso il braccio paralizzato riacquistò il movimento, e il Santo Pontefice, guardando fissamente quell’uomo, si pose il dito sulle labbra come per raccomandargli il silenzio su quanto era successo.
Vedrete che c’è chi ci crederà.
Ma si chiederanno molti, come va che malgrado tanti Santi e madonne che vanno passeggiando pel mondo e miracolosamente si manifestano non ce n’è uno che valga a far cessare l’eccidio dei popoli?
Ernesto Rutili.
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RELIGIONI DEL MONDO CLASSICO
I.
Veramente incominciare, durando ancora la guerra europea, un bollettino che dia ai lettori un sufficiente ragguaglio delle più recenti pubblicazioni in libri, opuscoli e riviste di quanto si produce ne! campo scientifico intorno alla religione dei Greci, dei Romani e di tutti, in genere, i popoli che abitavano nel territorio conosciuto dai popoli classici, può sembrare o audacia o incoscienza. Se non che chi lo inizia si lusinga di poter per ora dare un saggio di quel che potrebbe essere, a cose cambiate, una simile rassegna, la quale naturalmente non dovrebbe avere le lacune che ora necessariamente avrà e non dovrebbe, per poter essere utile, essere interrotta od, ancor peggio, esser tardiva. Non è il caso, perciò, di domandar scusa ai lettori dei difetti che essi riscontreranno nella sua redazione — difetti che saranno specialmente notevoli al principio — nè di porre innanzi agli occhi loro le cause ed i motivi determinanti lo stato di cose, che rende impossi; bile di dare quanto in tali cronache si desidera. Se ci sarà concesso, come e quando meglio potremo perfezioneremo lo strumento che tentiamo di dare in mano agli studiosi e ne completeremo le lacune e ne toglieremo i difetti. Per ora limitiamoci a dare questo saggio iniziale con una certa larghezza di limiti di tempo e di materia.
• ♦ •
1. L’indiscutibile esistenza di iscrizio n pagane dedicate ad angeli (Deo A eterno et lunoni et angelis..., Diis Angelis..., I(ovi)
O(ptbno) M(axbno) angelo H e liop (olii ano)... -Malach-Bel ossia Bel-messagero o messag gero di Bel) fa esaminare a Fr. Cumont in Rev. de l’hist. des relig. (72, 1) l’interessante questione degli angeli del paganesimo. Evidentemente l’angelogia pagana ha le sue radici nella demonologia persiana (♦semitica, poiché nel culto greco e romano i demoni non hanno una posizione speciale di qualche importanza. Grazie alla diffusione dei culti siriaci, per mezzo del principale mezzo di comunicazione di idee e di sentimenti nelle • moltitudini di que’ tempi, delle truppe, la demonologia si estese con qualche nuovo carattere e con notevole prevalenza nella Grecia prima ed in Roma Si. L’identificatore degli angeli delle due
•me di culto, l’orientale e l’occidentale, fu Posidonio d’Apamea che paragonò gli angeli di quello ai demoni greci e ne iniziò la dottrina. Nel mondo latino alla fine del 1 secolo <1. Cr. si ha la prima eco di tali credenze con Labeone (Aug., Deciv. d., 9, 19), se non che l’angelogia pagana non acquista corpo e forma prima di Porfirio, lo scolaro di Plotino. Con esso noi la vediamo entrare a far parte, trionfalmente, del neoplatonismo (Jamblico, Proclo, ecc.), Il C. delinea quindi le teorie angeologiche pagane e l’efficacia ch’esse esercitarono sulla magia e fa qualche confronto.con la credenza negli angeli dei primitivi cristiani. Il vedere come nel vi secolo lo pseudo Dionigi l'A-reopagita nella sua opera sulla gerarchia celeste colleghi le credenze nuove con le antiche grazie alle sue reminiscenze filosofiche, ci permette di notare quale importanza
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abbia lo studio di quest’altro elemento pagano per spiegarci le credenze cristiane e specialmente quegli abusi superstiziosi nel culto degli angeli che furono già da altri rilevati (si veda Kart, anges nel dizionario dei Cabrol).
2. L’interessante scoperta di un sarcofago con tre iscrizioni funerarie dà modo a G. Coltrerà sulle Notizie degli Scavi (1915, 159) di mettere in evidenza le caratteristiche principali di quegli Apollinis parasiti i quali più che formare un collegio sacerdotale dovevano essere degli istrioni, raccolti in corporazione, sul modello de’ sinodi di tecniti dionisiaci. L’importanza che avevano in Roma i ludi Apellinares può aver suggerito l’idea di mettere questa classe di persone sotto la protezione di Apollo. Le iscrizioni scoperte contengono le solite acclamazioni deprecatorie per l’integrità sepolcrale: qui il morto pare si senta autorizzato dalla divinità a distribuire ai violatori delle buone febbri (guaríanos). Il documento è del 1 secolo d. Or. se non anche anteriore.
3. La tavola arvalica scoperta nel 1914 sotto S. Grisogono permette a F. Fornari nel Boll, della Comm. Arch. coni. (42, 317) di esaminare il rito della cena alla maler Larum nel culto degli Arvall, facendone notare l’importanza per lo studio della religione romana. Secondo la tavola stessa la cena non veniva offerta alla maler Larum, ma gettata. Il qual rito trova origine nel concetto che le anime dei morti (e Lares~ Manes secondo la testimonianza degli antichi e la dottrina di molti moderni, sebbene contrariamente a quel che ne pensa uno dei più competenti in questo campo, il Wissowa) possono nuocere ai viventi ed occorre quindi propiziarle, ma allontanandole, come si faceva anche nei riti greci, del resto, e presso altri popoli. In quanto alla relazione poi di una divinità infernale con il culto arvalico, essenzialmente agricolo, non è da meravigliarsi, perchè non solo è noto come nel carme arvalico i Lari fossero invocati per i primi, ma da credenze di altri popoli (per esempio dei Greci; si ricordi Demeter) dobbiamo stabilire la connessione stretta tra gli spiriti dei defunti e le divinità storiche. I contadini debbono perciò allontanare e placare i morti. Ne viene quindi confermata la connessione della maler Larum con Mania e Larenta come concezione antica e non come elucubrazione letteraria.
4. A proposito della stessa tavola arvalica, N. Turchi nella Riv. di scienza della relig. (1,1), dopo aver esposto lo svolgimento della liturgia arvalica viene alla conclusione che il collegio degli Arvali ha una a grande analogia con le associazioni religiose di tipo agrario », la cui funzione originaria in età storica non sopravvive che nelle forme rituali. Perduto tale carattere magico-agrario, grazie alla livellazione legalistica subita da tutti i culti indigeni dei Romani, il collegio arvalico avrebbe potuto acquistare un carattere drammatico* mistico come i misteri eleusini; se non che vi si oppose dapprima l’incapacità romana a sentire il misticismo e più tardi, quando se ne cominciò a sentire il bisogno, la penetrazione in Roma delle religioni orientali. Il che, se non è assolutamente nuovo, è certamente esposto con molta chiarezza e può servire a completare le illustrazioni fatte da altri deirinteressante e importante frammento.
5. Delle buone ossers’azioni e comparazioni fa P. Saintyves nel Morsure de ¡'rance (113, 639) sul proposto e in parte eseguito conficcamento di chiodi nella statua lignea di Hindenburg. Egli ricorda non solo quale importanza ebbe un simile uso del chiodo nelle abitudini latine (es. il dictator davi figendi causa), ma confronta con queste le cerimonie di altri tempi e di altri popoli, non esclusi i popoli cosiddetti selvaggi, le quali rimonterebbero ad un’unica credenza di carattere magico sull’efficacia propiziatrice del chiodo e sulla sua potenza profilattica, credenza che si estrinsecherebbe coll’attirare l’attenzione dell’idolo » inchiodato » nel primo caso, e col-l’attrarrc a sè il male sul punto « inchiodato » nel secondo. Per completare questo studio bisognerebbe ricercare come e perchè si è perpetuata, sia pure sotto altre forme e con apparentemente diversi fini, una tale usanza presso i Germani.
6. Su Egeo, l’eponino del mare omonimo, pubblicano due ricerche di differente mole e di risultati diversi G. M. Columba, nelle Memorie della r. Accad. di Arch. lelt. e b. arti di Napoli (voi. IH), e B. Pace in Rend. Acc. Lincei (1915, 465). Per il primo di questi due studiosi il nome si spiegherebbe con fa comparazione dei nomi a radice al^, propria di molti animali che corrono velocemente, onde Egeo equivarrebbe a « mare della corrente ». Per il secondo, invece, e forse con maggior probabilità di cogliere nel vero, l'eroe eponimo non sarebbe una
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divinità marina, come comunemente si crede, ossia un’ipostasi di Poseidone, ma una divinità pastorale, forse originaria dell’isola di Skyros, il che spiegherebbe perchè una versione leggendaria lo faccia figlio di Skyrios, anziché, come comunemente si dice di Pandione o di Nettuno.
7. Buone pagine dedica G. Lugli in Boll. Ass. Arch. rom. (5, 108) più che al culto, come dice il titolo, e ai santuari, di Ercole Vincitore in Roma, a questi ultimi soli, identificando la localizzazione dei due maggiori, quello ad porlam Trigeminam e quello in foro boario. Vedremo forse altrove come il culto di Ercole in Roma avesse più ampie radici di quel che si crede comunemente: l’articolo del Lugli però giunge opportuno e notevole contributo a tale ricerca.
8. L’interessante questione del culto delle imagini è stata esaminata da C. Clerc nella sua opera: Les Théories relalives au culle des Images chez les auteurs grecs du II"* siècle après J. C. Paris, 1915 (Fonte-moing et C. éditeurs). L’A. si è proposto di ricercare, nella misura che l’opera letteraria può rispecchiare le correnti popolari, quel che era nel II sec. d. C. «l’idolatria », in quel periodo cioè in cui special -mente in Grecia devozione e critica artistica si collocavano dinanzi alle opere d’arte del passato per ricavarne la ragione del loro valore (p. 3). Il lavoro è stato quindi diviso in tre parti, nella prima delle quali sono state studiate le imagini sacre nel 2® sec. secondo gli scrittori dell’epoca; nella seconda sono state esposte le polemiche degli avversari dell’idolatria, tanto greci che cristiani, nella terza le teorie dei difensori dell’idolatria. Indubbiamente, come dice l’A. stesso nella conclusione (p. 259), si stenta a vedere sinteticamente l’idea centrale dell’operaeciò non per colpa dell’A.» ma per la limitazione a cui egli si è dovuto sottoporre per necessità di cose. Per quanto « centrale » sia il periodo da lui scelto per il suo studio, si deve convenire che l’opera ha troppo più il carattere d’un frammento che quello d’un lavoro completo. Cionondimeno i risultati della ricerca sono notevoli: essi ci fanno conoscere in primo luogo come nel II sec. la fede negl’idoli fosse tutt’altro che svanita, tanto che in un’epoca in cui l’arte era in fiore i monumenti più aniconici e primitivi, gli xoana ed i betili, sono venerati come dotati d’un’energia divina maggiore che le migliori opere artistiche. Ad essi si attri
buiscono benefici e guarigioni, come se ne attribuiscono anche ad altri idoli per lungo tempo venerati, anche se non proprio divini. Noi vediamo e sentiamo dagli scritti dei teorici, come dalle credenze popolari, svilupparsi il principio « magico » dell’idolatria, fondato sulla « simpatia » che si crede esista tra l’individuo, sia uomo o spirito, e la sua imagine. Si aggiunga il trionfante simbolismo che da una parte tende a distruggere l’idolatria, mentre dall’altra essa fa oggetto del suo culto i simboli. Tutto ciò ci conduce allo studio delle interessanti polemiche svoltesi contro e a prò’ dell’icono-latria. L’A. giustamente osserva (p. 89) come non siano stati i cristiani i primi a iniziarle; esse si possono dire sorte_ con i templi e con l’erezione degli idoli. È interessante anzi notare come gli elementi fondamentali delle accuse' che più tardi rivolsero i padri della Chiesa contro l’idolatria siano stati già formulati dai filosofi e dai dotti dell’antichità, ed è perciò veramente istruttivo il leggere o rileggere quanto dal Clerc è molto sinteticamente e chiaramente esposto nelle pagg. 90-110. Non meno importantissime le pagine dedicate alla polemica ebraica e cristiana. Si leggono finalmente con vero piacere le teorie dei difensori delle imagini, teorie che in genere si ripetono anche ai nostri tempi: simbolismo o allegoria, bisogno artistico, sentimento di vivificazione dell’idea religiosa e cosi via. Le idee di Massimo di Tiro e di Dione Crisostomo, sia pure dovute al bisogno di salvare il passato con le sue credenze e la sua arte, più che a quello di affermare un principio filosofico in cui essi credano, non sembrano, è vero, fatte per la folla, nè per gli avversari dell’idolatria, ma sono indubbiamente un supremo tentativo di salvare la religione morente, nel giudizio degli spiriti superiori. Senza conoscerle è vano studiare tutto il movimento di idee e di sentimenti che si agitò intorno all’idolatria nell'epico momento in cui il vecchio ed il nuovo culto vennero a cozzare.
Da questo breve e scolorito cenno gli studiosi comprenderanno l’importanza e l’interesse che rendono notevole lo studio del Clerc. Varrebbe la pena ch’egli lo completasse se non anche per il periodo anteriore al II sec., per il quale egli ci fornisce in ogni modo dati ed elementi sufficienti per potersene fare un concetto, almeno per il periodo successivo. Egli porterebbe così un nuovo e non sprege-
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vole contributo a quell’adattamento del cristianesimo all’ambiente in cui sorse e si svolse, che segnò la sua trasformazione e nella vittoria apparente il principio del suo decadimento e la sua disfatta.
9. Un accenno al culto d’Iside in Roma fatto da Minucio Felice neìVOttavio (22,2) dà modo ad E. Buon aiuti neìì’Alhenaeum (4,90) di « aggiungere un nuovo argomento a quelli che ormai sono con più attendibilità invocati, per dichiarare V Ottavio posteriore aXV Apologetico e per assegnarne la data di composizione al terzo decennio del terzo secolo ». L’argomento si fonda su v Ani. Carac. 9, da cui l’A. crede di trovar la prova che solo con Caracalla il culto isiaco si romanizza come vuole Minucio nel 1. c. Veramente l’argomento è piuttosto debole, perchè il culto isiaco è probabilmente già romanizzato anche prima del 20 decennio del terzo secolo e perchè l’accenno minuciano non ha maggior valore e maggior precisione storica del generico accenno tertullianeo che vi corrisponde (c. 6). La datazione quindi del-l'Ottavio, qualunque sia la tesi che si se-Sua, nè acquista nè .perde un appoggio alla nuova osservazione.
10. Dell’ iniziazione de’ maggiori uomini romani ai misteri eleusini si occupa G. Giannelli negli Alti dell’Acc. di Torino (50, 319 e 369), ricercando quali di essi entrarono a far parte dei misti e completando il suo interessante lavoro con una tavola in cui sono • catalogati per ordine cronologico gli uomini politici della repubblica e gl’imperatori di cui può dirsi con certezza che furono iniziati ai misteri d’Eieusi.
11. R. Sciava in Athenaeum (5,181) servendosi del mito di Procri, Cefalo e ('Aurora tende con molta ragionevolezza, se non con altrettanta stringatezza, a dimostrare l’errore del principio puramente naturalistico, e specialmente < solaristico » nello studio della mitologia, facendo notare l’importanza dell’elemento novelli-stico, al quale egli riconosce, però, un valore forse eccessivo. Checché si dica, la mitologia forma ancora, ad onta di tante teorie e di tanti studi, un problema nella sua generalità e ne’ suoi principi sommi, insoluto.
12. Sul mitreo sottostante all’attuale basilica di S. Clemente nel Boll, della Commissione Arch. rom. di Roma (43, 69) dà alcuni ragguagli L. Cantarelli a proposito degli scavi del 1914 sui quali hanno
scritto recentemente il p. L. Nolan e Fr. Cumont. L’A. accenna alle più notevoli scoperte, quali le ossa di animali, sopratutto di cinghiali, vittime per placare gli spiriti del male e l’altare cubico con raffigurazioni mitriache (il dio tauroctono, il sole, le 4 stagioni(?). La dedica dell’altare, fatta da un membro della gens Arria permette di datare il mitreo col secondo secolo di Cr., durante il quale il palazzo, che è di età augustea, dovè esser stato posseduto dagli Arrii, che ne adattarono una sala a speleo mitriaco.
13. Sul dio Rcdiculus e sul dio Tutanus che una parte della tradizione romana collega agli avvenimenti annibalici E. Meyer in Hermes (50, 151) ha una breve nota con cui tende a dimostrare come non ci sia ragione alcuna per dirli creati durante la guerra contro Annibaie. Il primo fu probabilmente unito alla storia della fuga del generale cartaginese da Cornificio, autore di uno scritto de elymis deorum e venne seguito dall’Epitome liviana (per. 26), ma non da Livio; il secondo venne erroneamente identificato da molti critici: (Mommsen, Peter, Wissowa) con il primo è considerato dai Romani come il pre-seryatorc di Roma dalla minaccia annibalica: esso aveva una cappella presso la porta Collina. Si osserva invece che a tutto rigore Tutanus non è che propriamente l’appellativo di Ercole. Il Wissowa in una breve annotazione a questa comunicazione osserva, con molto acume, come molto probabilmente si abbia da fare in quest’ultimo caso con un Ercole protettore dei viandanti dai pericoli della strada, per cui Hercules Tutanus = ìlp«/.).x- ’AXtgsxax««. Naturalmente più tardi sarebbe stato connesso con l’indietreggiamento di Annibaie e per avere stornato semplicemente il pericolo nemico può essersi formata la leg-Senda che Annibaie avesse preso la via el ritorno precisamente dal punto in cui sorgeva una capella in suo onore.
14. Le raffigurazioni simboliche dello stemma di Ginevra offrono al Deonna la materia per stendere una dotta ed interessante monografia sul culto del Sole e le sue esplicazioni nella Rev. de l’hist. d. rclig^ (72. 50). Il sole, l’aquila e la chiave che ivi appariscono si riportano non difficilmente a quel culto solare che era in onore tanto estesamente quanto profondamente, specialmente nell’occidente gallico. La ricerca di carattere dimostrativo non può facilmente essere compen-
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diata e d’altra parte non porta novità generali tali da segnalarne le parti: il suo grande merito consiste piuttosto nella finezza dell'esame che porta convincentemente al risultato sopra enunciato. Ne raccomando perciò la lettura a quelli de’ miei oppositori che nel mio studio sull’origine solare del monogramma costantiniano mi dettero la croce addosso: essi vi troveranno larghe documentazioni sui simboli solari delle monete galliche, sull’uso di ornare le armi con segni tratti dallo stesso culto, che avessero valore profilattico o apotropaico, che dir si voglia, sul culto degli stendardi e via dicendo. Il nuovo studio, fatto da un autore di tanta competenza, quanta tutti riconoscono al Deonna, viene a dar valore e significato ai risultati ai quali ero giunto io, sicché credo nessuno possa più negare ormai che il monogramma costantiniano è di origine prettamente solare c che fu cristianizzato solamente dai Cristiani.
15. Sullo stesso argomento, per quel che si riferisce all’epoca di Diocleziano, nella cui restaurazione religiosa, com’é noto, egli ritiene di vedere le tracce più evidenti del mitriacismo in ispecie e del culto solare in genere, Fr. Cumont ritorna, a proposito di un’iscrizione rinvenuta a Como, nei rendiconti deWAcad. Inscr. et bell. lelt. (1914, 147) tentando di dimostrare come il nuovo documento porti tutto il suo valore probativo alla tesi da lui sostenuta. Per ragioni che spero di poter presto svolgere qui od altrove credo debbasi respingere una tale interpretazione, la quale non è fondata neppure cronologicamente e storicamente in maniera tale da essere accettata. L’epigrafe si riferisce ad un templum dei Solis lussu dd. mi. Diocletiani et Maximiani Augg. dedicato da un uomo politico del tempo, della cui vita sappiamo abbastanza per datare il fatto di cui si dichiara attore, del quale del resto un principio di datazione si à pure nell’accenno testé indicato dei nomi imperiali.
16. Di un nuovo appellativo di Zeus dà spiegazione E. Sitting in Hermes (50, 158). Nelle ruine di Amathus, città cipriota sulla strada Rofino-Nicosia, si è trovata un’iscrizione del 30 sec. a. Cr. in cui è nominato un Zrù; ’Opouircisa;, di cui sinora non si aveva contezza. Il Sitting crede di potei- spiegare questo nuovo appellativo come un equivalente a e quindi di ricavarne un Zeus « che va sui monti « un Zeus «errante (wandelnde) pei monti ».
• • •
17. Segnalo, per ultimo, agli studiosi il volume del padre M. J. Lagrange, Mélanges d'histoire religieuse, Paris, 1915 (Lib. V, Lecoffre) nel quale sono ripubblicati otto scritti da lui editi in varie riviste scientifiche. Sono tutti interessanti ed importanti, ma a me piace richiamare l’attenzione dei lettori di questo bollettino sul II (Palmyre), sul III (Les religions orientales et les origines du christianisme, à propos de livres récents), sul VII (Le miracle grec et les rythmes de l’art, à propos d’un livre récent), sull’VIII (Les fouilles dé Suso d’après les traveaux de la délégation en Perse) e pure sul IV (Daphné, par Alfred de Vigny), sebbene esso abbia naturalmente un carattere maggiormente letterario. In tutti questi studi, che talvolta assumono la forma di vere monografie, si nota accanto ad una calma confutazione delle teorie o delle opinioni altrui, una perfetta chiarezza di idee e una sincera convinzione le quali non rendono perciò accettabili le conclusioni del Lagrange, ciò è evidente, ma fanno riflettere e riesaminare alcuni lati dei problemi discussi. I quali hanno tale e tanta importanza che non è male siano approfonditi anche sotto l’impulso di opinioni che talvolta possono sembrare, in perfetta buona fede ed inconsapevolmente, il frutto di pregiudiziali filosofiche che la scienza libera non può ammettere.
Giovanni Costa.
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CRONACA BIBLICA
III.
INTRODUZIONE ALLA BIBBIA
Ora si può leggere anche in italiano un manuale d’introduzione alla Bibbia composto con l’intento di esporre liberamente i precipui resultati della critica moderna; e ciò per opera di uno studioso laico, Luigi Salvatorelli. « Da molto tempo io sentivo vivamente — egli dice nella prefazione — la mancanza in Italia di un libro che ponesse in grado di conoscere, elementarmente ma sufficientemente, la Bibbia quale appare aii'indagine critica contemporanea ». Nel desiderio di rimediare a tale mancanza si decise a tradurre il « Manuale » tedesco di E. Hühn (Hilfsbuch zum Verständnis der Bibel. Tubinga, Mohr, *9° 5» 4 volumetti). Se non che presto si avvide di non doverlo presentare tal quale al pubblico italiano, e quindi si nel disegno come nell’esposizione delle questioni fece tali mutazioni e aggiunte da poter dire: « il manuale biblico che ora presento al pubblico deve considerarsi nell’insieme come opera mia, pur essendo in larghe parti traduzione e adattamento di quello di E. Hühn ». Siccome ha stimato di dover fare tante e notevoli piodificazioni nonché aggiunte al lavoro preso a tradurre, non avrebbe il S. fatto opera migliore componendo un manuale biblico che fosse, quant’è possibile, tutto suo? «La domanda è ragionevole — egli risponde — io me la sono posta ed ho risposto affermativamente ma debbo confessare schiettamente che ciò è accaduto quando, per ragioni indipendenti dalla mia volontà ed anche da quella dell’editore, non era più tempo. La cosa, del resto, non ha grande importanza; se il presente lavoro, così com’è, potrà rendere servizio alla cultura italiana, potrà mettere in grado di conoscere elementarmente ma sufficientemente ed esattamente la Bibbia quale si presenta all’indagine critica presente, il suo scopo sarà raggiunto; e questa è l’unica cosa essenziale ». Noi crediamo che questo bel volume (La Bibbia: Introduzione all'A. e al N. Testamento, Palermo, Sandron, «915. PP- xvin-543, in-8°, L. io) rende davvero un desiderato servizio alla cul
tura religiosa in Italia e ce ne rallegriamo. Le parti che meglio appartengono ai professore Salvatorelli sono quelle dove si parla del Pentateuco, dei Vangeli e degli Atti. Qui sotto facciamo conoscere le linee principali della sua trattazione del Pentateuco; di quella dedicata ai Vangeli come pure di quella sugli Atti diremo qualche cosa nelle prossime note, presentandosene l’occasione. Nel campo degli studi biblici, benché non pochi resultati dell’indagine moderna siano oramai stabiliti, il progresso delle ricerche continua con la disputa circa molte questioni specialmente di critica letteraria; e quindi non devesi stimare come definitiva, né l’A. ciò pretende di certo, ogni conclusione additata in questo volume. Ma nell’insieme e anche nelle questioni di critica letteraria, checché altri voglia dire, questo manuale porge un’idea notevolmente proporzionata alle esigenze presenti della scienza biblica giustamente libera.
Merita cenno la nuova edizione della pregevolissima « Introduzione all’Antico Testamento » di L. Gautier (Introduction à l'Ancien Testamcnt. Losanna, Bridel, 1914; 2 volumi, pp. xvi-547-544, in-8°, L. 20). Poiché la prima edizione, pubblicata nel 1906, fu tosto esaurita, il G. nella prefazione di questa può rispondere a chi lo ha- consigliato di compendiare l’opera, che l’accoglienza fattale dal pubblico testimonia per la convenienza di lasciarla com’è. Ciò non significa che non vi abbia nè aggiunto nè corretto nulla. Per esempio, «restando attenzione a recenti studi sul bro Ecclesiaste, ora ammette che vi siano state interpolate qua e là proposizioni al pio scopo di mitigare il pessimismo filosofico dell’autore. Per i pregi di moderazione, perspicuità e solidità che rifulgono in questa Introduzione all’A. Testamento, il suo venerando Autore meritò giustamente d’essere chiamato « il Driver in francese». Il compianto prof. Driver, dell’università di Oxford, « conquistò l’Inghilterra alla critica biblica », così disse il prof. Kautzsch nell’autorevolissimo periodico tedesco Theologische Literaturzeitung. Va notato che il Gautier esamina anche i libri apocrifi (chiamati «deuterocanonici ■
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dai teologi romani) dell’A. Testamento; mentre il Driver li ha omessi nella sua famosa Introduzione, perchè non sono nel canone, ovvero nel « Lezionario ■ anglicano.
Ma in Inghilterra si coltiva oramai con ardore anche lo studio degli apocrifi del-l’Antico Testamento. Anzi, per merito Erincipalmente dell’insigne studioso R.
'. Charles, l’Inghilterra ci ha dato la migliore edizione ed illustrazione critica degli apocrifi e pseudoepigrafi dell’A. Testamento (The Apocrypha and Pseudoepigrapha of thè Old Testanient. Oxford, 1913; 2 grossi volumi). Accanto a questa opera grandiosa destinata ai dotti non è superfluo il volume di W. Oesterley inteso a far conoscere a un più largo pubblico « l’origine, l’argomento e la dottrina degli apocrifi dell’A. Testamento (The Books of thè Apocrypha. their ori gin, theaching and contente. Londra, Scott, 1914; pp. xiv-553. in-8°). È diviso in due parti: « prolegomeni a e «introduzione » ai singoli libri apocrifi. L’Autore, studioso ben noto di antica letteratura giudaica, tratta gli apocrifi con singolare Seri zia. Specialmente notevole è la parte edicata ai prolegomeni, la quale prende più che la metà del libro (pp. 1-315), ed è un compendio di storia della religione giudaica dal secolo 11 a. C. al secolo 1 d. C. Egli concede molta e forse troppa parte al pensiero greco nell’evoluzione del giudaismo seguendo in più punti la corrente iniziata da M. Friedlànder. Sostiene che il contrasto tra’ Farisei e Sadducei, anziché di natura politica, fosse essenzialmente di carattere religioso; già al tempo de’ Maccabei e anche prima. E opina, con il Leszynsky, che il nome Farisei valga « interpreti », conforme al significato secondario della radice ebraica p-s. Come si sa, da questa radice comunemente si trae il significato di « separati • o « separatisti »; che però soggiace a questa obiezione: i Farisei formavano non già un nucleo di segregati, ma un partito a cui aderiva la maggioranza del popolo. Il nome di Farisei poteva forse suonare come quello di veri e accurati « interpreti • della Legge di fronte ai Sadducei meno legalisti o las-situdinarii.
Il manuale biblico compilato dagli abati Vigouroux, Bacuez e Brassac continua, cosi pare, a essere molto ricercato nelle scuole cattoliche francesi e italiane: del testo francese è stata pubblicata (4 volumi) la edizione (Parigi, Roger); e della versione italiana si pubblica la 3“
edizione. Vediamo che nel volume terzo (Gesù Cristo e i Santi Evangeli, Sampier-darena. Libreria Salesiana, 1915, pp. xx-.764, in 8°) per prima cosa si offre ai lettori il testo del decreto Lamentabili di Pio X, come documento che insegna la sana critica biblica!
Quali e quanto difficili siano le questioni della moderna critica neotestamentaria si può vedere, per esempio, nel volume del dott. M. Jones intitolato: « Il Nuovo Testamento nel secolo ventesimo » (The New Testament in thè twenlieth Century. Londra, Macmillan, 1914; pp. xxiv-467, in 8°). Di ogni questione l’À. addita le soluzioni proposte dagli studiosi contemporanei più noti, e in generale egli propende verso le opinioni moderate che sembrano prevalere ancora presso i dotti d’Inghilterra. Anche essi, però, incominciano a prestare attenzione, come nota il F., alla teoria non certo moderata che distingue il Gesù della storia dal Cristo del culto (p. 62). Benché d’indole piuttosto popolare, questo volume merita attenzione e lettori.
(Jn buon « compagno » ai bici nella lettura del N. Testamento è il volumetto dal titolo: « Studi sul N. Testamento » (Studies in thè New Testament, New York, Fleming, «915; pp- 272, in 8°) di A. T. Robertson. Vi si descrive popolarmente: 1) l’ambiente del N. T., 2) la vita di Gesù, 3) la storia apostolica. Come i lettori sanno, il R., professore della Scuola Battista a Louis vi Ile (N. America), è autore di una vasta e pregevole opera grammaticale del Nuovo Testamento. del quale ha conoscenza in grado non comune.
A. Harnack ha dedicato un fascicolo, della « Collezione di studi per l’introduzione al N. Testamento », alla questione delle origini del canone neotestamentario, di cui ha già parlato in altri suoi scritti ben noti agli studiosi di antica letteratura cristiana (Die Entstehung des neuen Testament und die wichtigsten Folgen des neuen Schöpfung. Beitrage zur Einteilung in das neue Testament, VI Heft, Lipsia, Hinrichs, 1914, pp. vii-152, in 8°). Nella prefazione di questa monografia si osserva che la ricerca del perchè e del come abbia avuto origine la collezione ecclesiastica degli scritti che diciamo Nuovo Testamento, è argomento di storia del dogma anziché storia della letteratura cristiana. Il dogma cristologico nascente nella coscienza della comunità cristiana fu cagione che ricevessero venerazione le memorie della vita
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BILYCHNIS
e della predicazione di Gesù, e poi quelle de’ suoi apostoli; e tosto che si videro compiute in Cristo le profezie dell’A. Testamento, fu sentito il bisogno di avere una nuova Scrittura che attestasse perenne-mente il compimento di quella antica, da leggere ai fedeli durante il servizio liturgico. La chiesa romana, verso la metà del il secolo, si trovò costretta a proporre una raccolta di scritti normativi della nuova fede per ciò che l’eretico Marcione ne proponeva una contenente soltanto il .vangelo di Luca e dieci lettere paoline. I cristiani di Efeso dal loro canto riconoscevano come autentico il vangelo giovanneo rigettato da altri; donde contrasti che furono appianati mediante un compromesso rappresentato dal quadruplice vangelo proposto come autentico a tutte le chiese. Cosi, per soddisfare alle esigenze del dogma e della pietà, come per contrastare il passo alle nascenti eresie la chiesa romana a poco a poco determinò quali fossero i libri con cui formare il Nuovo Testamento. Il quale, secondo il prof. H., praticamente era canonizzato intorno alla metà del secolo terzo, quando Origene ed Ippolito, ossia la chiesa di Roma e la chiesa di Alessandria, si accordavano nell’accettare il medesimo elenco di scritti venerati come apostolici. Del resto, la storia delle origini del canone neotestamentario è molto oscura, c neppure il prof. H. può pretendere di dire su di ciò l’ultima parola.
Il prof, von Dobschütz, dell’università di Halle, in un articolo pubblicato in The American Journal of Theology (an. 1915, R. 416-429) propugna «la rinunzia allea canonica » per la Scrittura sacra. Dopo alcune considerazioni sull’origine del Canone neotestamentario a cui, secondo il D., ha dato vita l’eretico Marcione, e narrata la storia dell’idea canonica dal secolo xvi fino ad oggi nella chiesa romana e in quella Protestante, egli conchiude con queste osservazioni. Nel secolo xix la critica ha meravigliosamente rinnovato l’interpretazione letteraria e storica della Bibbia. Il lavoro da fare nel secolo xx òdi trasformare la vecchia concezione meccanica del Canone biblico. I detti della Bibbia contengono la verità spirituale ed eterna; però valgono non per il semplice fatto che sono registrati nei due Testamenti, ma bensì perchè ci dànno l’esperienza sublime e perenne della più alta religiosità preconizzata dai Profeti, c predicata e praticata da Gesù e dagli Apo
stoli. La Bibbia è un libro di fede e di Sietà: canonizzarla come testo infallibile i storia, di scienza, di etica e di teologia significa falsarne lo spirito e lo scopo divino.
I FILISTEI
Perchè il nome de’ Filistei, a cagione di reminiscenze bibliche popolari, forse in ogni lingua europea suona proverbialmente come quello di « barbari », non s’ha da stimare la loro storia come poco meritevole di studio. Chi pensasse così, potrà facilmente disingannarsi leggendo il libro di S. Macalister su < I Filistei, la loro storia e civiltà » (The Philislines, their Hi-story and Civilization, Londra, Oxford University Press, 1915; pp- vni-135, in 8°. con 11 illustrazioni). 11 M., professore di archeologia celtica a Dublino, è ben noto ai cultori di studi biblici come sagace esploratore del suolo e della civiltà di Canaan: basti menzionare gli scavi da lui eseguiti tra le rovine di Gezer e descritti in una sontuosa pubblicazione in tre volumi (The Excavations of Gezer, Londra, 1912); la quale città cananea era finitima al territorio de’ Filistei, e della loro civiltà le sue rovine serbano tracce notevoli. Nei quattro capitoli di cui consta il detto libro, il prof. Macalister raccoglie c dottamente esamina tutte le notizie, pur troppo non copiose, che finora si possono avere circa l’ongine, la storia, il paese e la civiltà de’Filistei.
Quanto alla loro origine, il M. osserva, in primo luogo, che non ci è dato di con-Setturarla dal nome « Filistei », ignoran-one il significato etimologico. Vero è che presso i Settanta il nome Pelislìm solitamente si traduce con « stranieri »; ma questa interpretazione etimologica non pare accettabile. Se avesse tale significato, il nome « Filistei » non sarebbe stato usato dallo stesso popolo filisteo come appellativo etnico suo proprio. E’ poi notevole il fatto che questo popolo ricevette un tal nome costantemente in varie epoche da scrittori ebrei, assiri ed egiziani. La tradizione biblica attesta che i Filistei erano un popolo straniero emigrato da « Caftor » in Palestina. Molte sono le congetture fatte circa la determinazione geografica di « Caftor »; però l’opinione piu comune è quella che identifica questa voce con il termine egiziano Kcftiu, che designa il paese o il popolo di Creta. E nel nome Che-reti, dato nell’A. Testamento talora a
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gente filistea, si può scorgere un accenno alla Caria come luogo donde in parte i Filistei sarebbero usciti. Il M. accoglie ed eruditamente illustra questa congettura che pare la più fondata. « I Filistei, egli conchiude, erano un aggregato di genti provenute da Creta nonché dal lembo sudoccidentale dell’Asia Minore: la loro civiltà probabilmente ebbe origine cretese; e quantunque in parte fossero emigrati dalla Caria, ben può dirsi ch’essi seco recarono in Palestina le tradizioni delia vetusta e gloriosa età di Minosse » (p. 28). Come tutti sanno, gli scavi eseguiti in questi ultimi anni in Creta hanno rivelato una civiltà cretese maravigliosamente antica e progredita. Quando 1 Filistei entrarono. circa il 1200 a. C., come invasori in Palestina, occupandone allora la costa marittima da Gaza a Biblo, la gloria di Creta era tramontata; nondimeno della civiltà cretese essi portavano in Palestina le orme, tra cui l’invenzione dell'alfabeto (p. 127). Ciò può bastare per la riabilitazione del nome de’ Filistei, ma dalle scarse fonti archeologiche nonché dalle notizie bibliche, accuratamente studiate dal professor Macalister, si traggono vari altri indizi della importanza di quel popolo per la storia d’Israele e della civiltà nel suolo di Canaan; le quali cose egli compiuta-mente descrive in questo libro.
Circa il racconto biblico (II Samuele. capitoli 5 e 6) della peste che infierì tra’ Filistei detentori dell’arca di lahvè, notiamo un articolo di A. Chrichton nel periodico The Exposilor (an. 1915, pp. 558-565). Vi si dice che le cognizioni moderne intorno alla peste bubbonica lasciano supporre che appunto ’ questo fosse il morbo che colpì i Filistei. 11 testo di quel racconto sarebbe stato inteso male dagli interpreti ebrei, e poi da quelli cristiani, i quali, non sapendo che i sorci portano la peste, vorrebbero vedervi l’accenno a due flagelli: l’uno cagionato alla campagna per mezzo di sorci, l’altro inflitto alle persone col farle vittime di una epidemia. Ora si sa che la peste bubbonica viene comunicata alle persone dai sorci, che ne siano infetti, per mezzo di pulci le quali, abbandonata la morta preda, ne cercano e ne trovano un’altra nei corpi umani e li iniettano del germe fatale. A Bombay osservando la morìa dei sorci si potè antivedere quale sarebbe stato il momento dell’anno in cui il morbo avrebbe maggiormente infierito. Si è pure notato che questa epidemia non dura in un luogo
che per alcuni mesi; il che spiegherebbe il corso della peste nelle varie località dei Filistei. Insomma, nel loro paese patirono la peste bubbonica prima i sorci e poi le persone; questa sarebbe la calamità di cui quel racconto biblico serba ricordanza, a ben leggerlo.
LA QUESTIONE DEL PENTATEUCO
La questione della composizione del Pentateuco è trattata dal Salvatorelli, nel manuale sopra indicato, con notevole ampiezza (capp. II-X, pp. 18-132): additiamo i punti principali di questa trattazione per dare un’idea della natura e dello stadio presente di tale questione.
Dopo di avere sommariamente esposto (cap. I) il contenuto dei cinque libri (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio) che compongono il Pentateuco, il S. pone la tesi critica che « il Pentateuco non è di Mosè, nè opera di un solo autore » (cap. II).
Anzitutto la tradizione, biblica ed estra-biblica, non ci dà nemmeno una prova della mosaicità del Pentateuco. Essa, interpretata anche nel senso più favorevole, incomincia a parlare della mosaicità di parie del Pentateuco nei tempi di poco anteriori all’Esilio (a proposito del libro trovato sotto Giosia, nel 621); siamo dunque ad una enorme distanza dal tempo di Mosè (c. 1300 a. C. ?); nè i dati offertici sono tali da permetterci in alcun modo di ricostituire una catena di tradizioni fino al tempo di Mosè, od almeno a tempi a lui relativamente vicini. Se poi esaminiamo attentamente il Pentateuco, non solo non vi scorgiamo caratteri che lascino congetturare la sua origine mosaica, ma invece c’incontriamo in cose che contrastano con la personalità e con l’età di Mosè. Inoltre, vi si nota mancanza di ordine e di connessione; il che non dovrebb’essere in una opera composta da un solo autore, tanto più quando narra eventi di cui sarebbe stato protagonista. E’ facile poi scorgervi molte intercalazioni che rompono il filo dell’esposizione, e ripetizioni: queste sono tante che un critico di tendenza conservatrice, com’è il prof. Sellin, tedesco, ha potuto affermare che ■ quasi ogni avvenimento dalla creazione del mondo fino alla morte di Mosè ci è narrato due volte e spesso anche tre volte ». Alle ripetizioni talora evidenti e talora dissimulate si aggiungono, accompagnandosi spesso con esse, contradizioni nei racconti e nella
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legislazione; e in line differenze di lingua, di stile nonché nell’uso dei due nomi divini: Elohim e lahvè. Di fronte a tutte queste incongruenze additate dai critici — delle quali il S. porge un numero cospicuo di esempi scelti fra i più chiari e convincenti — il p. Cornely, gesuita, ha scritto che se nel Pentateuco fossero tante lacune, tante ripetizioni, tanti racconti insufficienti e sconnessi, tante descrizioni prolisse e languide, tante inversioni d’ordine, come credono di averne trovato i critici, non ne seguirebbe altro se non che Mosè era poco versato ed esercitato nello scriver libri, e che prima d’incominciare la sua opera avrebbe dovuto frequentare le scuole dei razionalisti per imparare che cosa e in che modo scrivere. Queste parole, come dice il S., provano soltanto poca capacità scientifica e scarso rispetto alla serietà' degli studi biblici in chi le ha scritte: la verità è che i resultati dell’esame critico del Pentateuco chiaramente, a chi abbia occhi per vedere, mostrano — e lo mostrerebbero anche se la tradizione ebraica della mosaicità del Pentateuco fosse meno fragile — non poter essere i cinque libri della Torà opera di Un solo autore, e tanto meno di Mosè. Le incongruenze molteplici del Pentateuco dimostrano che è un’opera di natura composita; il che viene confermato dal fatto che si possono eliminare talora le contradizioni e le ripetizioni con lo scomporre il testo in racconti paralleli, i quali anche cosi risultano abbastanza compiuti; del che il S. dà alcuni esempi nella narrazione del diluvio, nella storia di Giuseppe, eco. Naturalmente, com’egli osserva, una tale scomposizione in molti casi, dove pure s’intravede la natura composita del testo, non può esser fatta in modo soddisfacente; e ciò prova solo questo che il redattore seppe con certa perizia unire insieme levarie fonti per comporre un’opera organica.
Pertanto possiamo ritenere, con tutta la certezza possibile in questo genere di ricerche, che il Pentateuco risulta dalla combinazione di più documenti. Com’è avvenuta tale combinazione? Il miglior modo di rispondere a questa domanda è l’additare primieramente, come dice il S., la storia della moderna teoria documentaria circa il Pentateuco (cap. III).
Quantunque la tradizione giudaica e quella cristiana non mettessero in dubbio la mosaicità del Pentateuco, pure di buo
n’ora, e poi meglio al tempo della Riforma, è stata avvertita a poco a poco da studiosi solitari la difficoltà di accettarla in maniera assoluta. Se non che costoro movevano solo dall’esame di alcuni passi imbarazzanti presi separatamente; come, ad esempio, il Masius, un dotto cattolico olandese, il quale in un’opera pubblicata nel 1574 espresse l’opinione che il Pentateuco sia stato composto su documenti Ereesistenti e ritoccati « lungo tempo dopo (osé», ossia, nel secolo di Ezra (secolo v a. C.): l’autorità ecclesiastica mise all’indice quella pubblicazione. II primo ad avere una visione critica e ampia della questione fu il celebre filosofo Spinoza nel suo Tractalus teologico-polilicus (1670). Propugnando la necessità del processo puramente storico, ossia analitico nell’esegesi biblica, egli diceva che il Pentateuco dovette primitivamente far parte di una opera comprendente parecchi altri scritti dell’A. Testamento, compilata da Ezra: questi avrebbe raccolto il materiale da vari autori, lasciandolo però disordinato e monco. A Spinoza intese opporsi, per difendere l’autorità della Bibbia e in pari tempo il principio cattolico di autorità della tradizione, R. Simon, oratoriano, con la sua Hisloire critique du Vieux Testamene (1685), Ia quale è un’opera capitale per la scienza biblica, giacché vi si riconoscono le ragioni contrarie alla mosaicità del Pentateuco nel senso tradizionale. Ma il primo a scoprire un criterio per la distinzione dei vari documenti fu Jean Astruc, con uno scritto pubblicato nel 1753; e lo scorse nell’uso alternato dei nomi lahvè ed Elohim nella Genesi,' La sua ipotesi, dopo trent’anni, fu presa in benevola considerazione da dotti tedeschi e inglesi; i quali la estesero a tutti i libri del Pentateuco. Fu proposta l’ipotesi secondo cui il Pentateuco sarebbe composto di molti e vari frammenti; poi l’ipotesi dei completamenti, secondo la quale il Pentateuco sarebbe costituito da uno scritto fondamentale completato con altri scritti minori. Tra oscillazioni si giunse alla ipotesi documentaria accennata dal Graf (1865), sviluppata dal Kuenen (1876) e solidamente edificata dal Wellhausen (1876-1883) sul terreno della critica letteraria nonché su quello della critica storico-religiosa.
Questa teoria (cap. IV) distingue nel Pentateuco quattro documenti: il lahvista, l'Elohista, il Deuteronomista ed il Codice
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sacerdotale. Dagli studiosi, per brevità, i quattro documenti sono indicati con le lettere J. E. D. P (dalla voce tedesca Prie-slercordex, «Codice sacerdotale»). Il metodo con cui si giunse alla separazione e alla ricostruzione delle quattro fonti è fondato precipuamente sulle varie divergenze e incongruenze contenute nel Pentateuco. Naturalmente i sostenitori della mosaicità del Pentateuco opposero e oppongono obiezioni a questa teoria, dicendola non necessaria e anche non sufficiente a eliminare le pretese difficoltà. In queste obiezioni vi è qualche cosa di vero, giacché i resultati del lavoro critico non possono che essere approssimativi. Però questa teoria è pur sempre il tentativo più razionale e meno incerto per risolvere il problema del Pentateuco; problema che s’impone agli studiosi che non abbiano la mentalità, mediocre ovvero annebbiata, dei Green, dei Möller e dei Cornely. A determinare l’individualità dei singoli documenti non si può partire, come si fa per i libri moderni, dallo studio degli autori o redattori perchè ci sono sconosciuti; però guidati dall’analisi interna di quei documenti si può approssimativamente stabilire il tempo, il luogo, il carattere e lo scopo della loro composizione. Conviene notare che ora prevale la tendenza a considerare quei documenti non come prodotti letterari di alcuni scrittori, ma quali compilazioni di carattere impersonale racchiudenti tradizioni e leggende diverse per origine ed età: tali, per esempio, le narrazioni di J e di E nella Genesi.
Quanto al documento J e al documento E (cap. V), essi hanno carattere esclusivamente narrativo (eccetto il tratto relativo alla legislazione sinaitica), e trattano lo stesso periodo di storia israelitica, dalla vocazione di Abramo alla occupazione della terra promessa, giacché si estendono anche al libro di Giosuè strettamente collegato con il Pentateuco. Ad essi appartengono i cinque sesti della Genesi, gran parte del-l’Esodo e parecchio anche dei Numeri; nulla del Levitico e quasi nulla del Deuteronomio. La distinzione tra J ed E si fonda su differenze di lingua, di stile e di concetti, nonché sull’uso del nome lahvè nel primo e del nome Elohim nel secondo. Nello stile J presenta una particolare chiarezza, vivezza e una costruzione artistica del racconto. In E il racconto procede alquanto slegato, e vi si nota una certa tendenza allo schema cronologico e anche teologico.
Quanto alle idee religiose, generalmente si ammette che E ci presenta maggiore elevatezza e rigidità teologica e morale che non J. presso il quale abbondano gli antropomorfismi nella rappresentazione di lahvè. Per ciò che riguarda il luogo di origine. dai più si dà per patria il regno d’Israele a E, e quello di Giuda a J. Quanto alla cronologia, ora si crede che J sia più antico di E: a quello si assegna la data approssimativa dell’850, a questo la data approssimativa del 750. Naturalmente, la data di quei documenti non coincide con quella dei materiali di cui si giovò chi li ha compilati o redatti. Quale la provenienza, il carattere e l’antichità di quei, materiali? Non è possibile, almeno per ora. rispondere con certezza neppure relativa: e in parte da ciò hanno origine diverse tendenze e opinioni opposte di critici autorevoli nella ricostruzione e interpretazione della primitiva religione d’Israele.
Per ciò che concerne il documento Deu-teronomista (cap. VI) a cui appartiene quasi tutto il Deuteronomio, esso si distingue facilmente dagli altri documenti sia per la forma che per il contenuto. Ha un periodare uniforme e complicato, predilige un certo numero di formule e ha pure un tono palesemente omiletico. Anche nella dottrina religiosa ha un’impronta sua propria: insegna rigorosamente Che lahvè è il solo Dio d’Israele, e che questo è il popolo eletto e prediletto. Sono pure notevoli le sue idee di carattere sociale e umanitario. Quanto all’origine del Deuteronomio, si fanno e sono tuttora aperte non Khe questioni, sommariamente additate
Salvatorelli, le quali non possiamo qui riassumere. Una parte dei materiali costituenti questo documento sembra an- > teriore al tempo di Josia (621), allorché fu « scoperto » e promulgato. Chiaro è che D si presenta in veste mosaica come legge che proscrive la molteplicità dei luoghi di culto, per eliminare l’idolatria e indurre il popolo a serbarsi fedele a lahvè. Compie una riforma religiosa la quale ha nella sostanza un carattere sacerdotale, ma nello scopo un carattere profetico, cioè, mono-teistico.
Quanto al documento P (cap. VII), senza troppa difficoltà si discerne dalle altre fonti, giacché in esso la lingua, i vocaboli e il pensiero hanno un’impronta caratteristica. La lingua presenta analogia con i libri storici più recenti della Bibbia; il pensiero religioso ha un carattere teo-
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logicamente elevato ed è costantemente rivolto al culto di lahvè da regolare in ogni particolarità. A P appartengono alcuni tratti della Genesi, il Levitico e i Numeri per buona parte. La tesi che P sia il più recente dei quattro documenti, o gruppi di documenti, del Pentateuco e appartenga all’età postesilica, può dirsi che oggi nel campo critico non sia più contestata da alcuno. Rimane però la questione intorno alla provenienza della sua materia, che si distingue in legale e storica: questo è il punto che ora più si discute nella questione del Pentateuco, ma non possiamo qui esaminarle. Il Salvatorelli, pur accennando alle opinioni recentissime in senso contrario alle idee del Wellhausen, propende più tosto verso di queste. E dopo di avere parlato dei brani minori (cap. Vili) e dei vari stadi redazionali della composizione del Pentateuco (cap. IX), sintetizza i risultati della critica e la posizione attuale del problema del Pentateuco (cap. X).
Adunque, la critica moderna, per opera precipuamente della scuola Graf-Wcllhau-sen, ricostituendo la genesi letteraria del Pentateuco addita con ciò le fasi principali dell’evoluzione religiosa d’Israele. Nei primi tempi fino all'età dei Re, mancava im Israele qualunque legislazione religiosa c qualunque organizzazione di culto determinata. Con la formazione dell’unità nazionale e la fondazione della monarchia le cose incominciano a cambiare: l’importanza del sacerdozio si afferma, e si edifica un grande santuario a Gerusalemme. Tuttavia il primo strato di legislazione del Pentateuco, ossia quello di J E, sebbene di data posteriore alla divisione della monarchia israelitica, rappresenta sostanzialmente la fase primitiva: non unità di culto, non casta sacerdotale. Una fase ulteriore è rappresentata dal Deuteronomio, frutto del profetismo e del sacerdotalismo. Però in esso l’elemento ritualistico è ancora scarso. Ma centralizzato il culto nel tempio di Gerusalemme, era necessario che il ritualismo prendesse via via proporzioni sempre maggiori. Così venne fuori dai cerchi del sacerdozio il Codice sacerdotale, largito e anche gradito al popolo pio. In quello lahvè dà le più minute leggi rituali a Mosè: il tabernacolo del deserto è l’esem-Slare del tempio da costruire a Gerusa-mme, ed Aronne è l’antenato de’ sacerdoti. E’ questa, conchiude il S., la ricostruzione imponente e geniale che la pre
detta scuola critica ci ha dato della storia religiosa d’Israele come della formazione del Pentateuco. Più che rifare, bisogna compiere l’opera di tale scuola.
Non perchè contenga novità ma perchè è quasi una novità in lingua italiana, la trattazione della questione del Pentateuco fatta non senza abilità dal Salvatorelli, ci parve meritasse questo cenno, che necessariamente è insufficiente. Una esposizione accuratissima e chiarissima di tale questione, si può leggere nell’introduzione all'A. Testamento del Gautier il quale, come narra egli stesso, studiando l’argomento dovette suo malgrado convertirsi alle idee della Scuola Wellhausiana che si era proposto di confutare.
EBRAICO E GRECOBIBLICO
Per lo studio dell’ebraico e dell’aramaico biblico il migliore dizionario manuale che si possa proporre a’ principianti è certo quello del Gesenius (1834), abbreviato e ritoccato via via da studiosi competenti. Ora ha avuto la 16* edizione, per cura del prof. Buhl, dell’università di Copenhagen, coadiuvato per le voci assire da H. Zimmern, per quelle arabe da O. Weber, per Ìuelle egiziane da W. Max Müller (Wil-clm Gesenius’ hebräisches und aramäisches Handwörterbuch über das Alte Testament, Lipsia, Vogel, 1915, pp. xx-1014; Mk. 22). Nella prefazione il prof. Buhl dice che questa edizione, la quinta da lui curata, sarà forse l’ultima «uscita dalle sue mani. Una caratteristica di questo lessico è la massima cautela di fronte alle nuove congetture. Molto vecchia, per esempio, quella che identifica con gli Ebrei i Habiri; ma tale congettura non fu mai accettata in questo dizionario prima d’ora dal Buhl; il quale, se mai cade in errore per troppa circospezione, ciò che, come si sa, è un difetto raro e proprio ai veri dotti; però osserva anche la massima notata sul frontespizio: dies diem docci.
Merita nota l’edizione della grammatica del greco neotestamentario di F. Blass « completamente rifatta » da A. Debrunner (Friedrich Blass’s Grammatik desneu-teslamentlichcn Griechisch. Gottinga, Van-denhoeck und Ruprecht, 1913; pp. xvi 346, in 8®, Mk. 8). Il dott. Debrunner ha veramente rifatto, ossia, sostanzialmente migliorato sotto ogni aspetto il vecchio lavoro del Blass; ed ha tenuto conto, in misura notevole, dei dati più recenti della papirologia.
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ENCICLOPEDIE
Da poco iia avuto termine la pubblicazione della « Enciclopedia biblica • americana, in cinque volumi di pagine 3541 con molte il lustrazioni (The International Bible Encyclopaedia, Chicago). Reca nel titolo il qualificativo di opera «internazionale»» perchè tra’ collaboratori, circa duecento, sonvi anche nomi di studiosi appartenenti al « vecchio mondo ». Quanto al carattere, è un’opera d’indole popolare, nè può quindi pretendere di fare testo presso i dotti.
Si leggono parecchi articoli concernenti la Bibbia anche nella « Enciclopedia di Religione e di Etica » che si va pubblicando
con la direzione di J. Hastings e la collaborazione di studiosi valenti (Encyclopaedia of Religion and Ethics, Edim burgh, Clark, 1915, vol. ^[Hymns-Liberty} pp.xx-911 ). Generalmente anche intorno a questioni bibliche in questa Enciclopedia si propugnano opinioni che rispecchiano un liberalismo moderato. Non mancano, però, eccezioni a confermare la regola. Per esem-Eio si legge che « i testi religiosi assiro-ba-ilonesi ci additano l’origine e la formazione del vero monoteismo ebraico, da cui germinarono poi il Cristianesimo e l’islamismo » (vi-252).
r. e p.
RASSEGNA DI FILOSOFIA RELIGIOSA
IV.
IL BELGIO FILOSOFICO
Alla filosofia nel Belgio fu dedicato quasi per intiero il fascicolo gennaio-marzo 1915 della Rivista di filosofia. R. Mondolfo vi riassumeva sinteticamente il contributo del Belgio alla filosofia da Sigieri. che Dante ricorda, e da David di Dinant ed Enrico di Gand ai moderni. L. Ambrosi tracciava le origini e lo sviluppo della nuova Università di Lovanio e in particolare l’opera del de Wulf, l’insigne storico della filosofia medievale; e B. Varisco vi discuteva criticamente il neo-scolasticismo di D. Mer-cier, cardinale di Malines. Seguivano saggi su Maeterlink, de Lavelaye e G. de Greef.
Il contributo del Belgio negli ultimi decenni! alla filosofìa sistematica si compendia quasi per intiero nel neo-scolasticismo; nel quale sono da distinguere due parti, la storica e la teoretica.
Dalla Scolastica esauritasi nel virtuosismo dialettico e sempre più strettamente asservita all’autorità della chiesa e della teologia si torsero con disgusto gli animi al sorgere dell’umanesimo e del neo-platonismo e quindi delle scienze sperimentali; e l’idealismo e il criticismo parvero poi relegarla per sempre nell’ombra della « barbarie » medievale. Oggi >si torna ad essa con interesse storico crescente; e molti sono — nè mancano anche in Italia,
dove è nota l’opera di G. Gentile, del Tocco del Saitta e di altri — gli studiosi di storia di questa filosofia. In Italia, anzi, G. Genti e ha iniziato una raccolta di filosofi an ichi e medievali nella quale ha parte già una scelta degli scritti di San Tommaso d’Aquino, di cui è testé uscito il primo volume (Laterza. Bari). Ma la Scolastica, che è per gli storici un lungo ed oscurissimo periodo di attività filosofica, ricca di tendenze cozzanti e dei più disparati motivi, da Anseimo giù giù sino al card. Gaetano e al Suarez e ai neo-scolastici di oggi, vorrebbe essere per questi ultimi una filosofia, un sistema; sicché poi essi si trovano costretti a riporla tutta in uno — sia pure il massimo — de’ fi-. losofi di quel periodo, T01 maso di Aquino: ed a considerare come avviamento a lui quelli che lo precedettero e come chiarimento o deviazione quelli che vennero dopo; facendo consistere in questo tomismo e pre-tomismo e post-tomismo la phi-losophia perennis della scuola cattolica.
Il tentativo di convertire la storia della filosofìa, in un così lungo e turbinoso periodo, in storia di una filosofìa, o sintesi filosofica, assunta come norma e critica di verità, è stato fatto principalmente dal De Wulf, del quale la celebre Storia della filosofia medievale fu anche tradotta in italiano (1914). Il De Wulf non ammette una storia continuativa della filosofìa, una filosofia che si va sempre facendo, e non è
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. mai fatta, ed è essa stessa la sua storia. Secondo lui : i° esiste una successione di cicli filosofici. I! pensiero filosofico non segue un movimento ascendente; periodicamente esso si spande in tutta la sua potenza e’ dopo un certo tempo, si ripiega su se stesso’ per ritornare a) punto iniziale: sviluppo-apogeo e decadenza formano un ciclo autonomo e una specie di ritmo; 2° in ciascun ciclo filosofico i problemi appariscono successivamente e secondo un ordine determinato. Lo spirito è attratto prima da' problemi cosmologici e poi dagli psicologici e le scienze filosofiche si susseguono in quest’ordine: cosmologia, metafisica, logica, estetica, morale c psicologia; 3° le preoccupazioni dominanti e le predilezioni variano in ciascun periodo storico secondo le razze, il clima e l’ambiente.
Ma, in questa mutabilità dello spirito filosofico, a quale ciclo storico dare la preferenza e in qual punto di esso riporre il culmine e la sintesi dopo le quali comin--cino la decadenza e la disgregazione? Rispondere alla domanda è un definire i caratteri interni della vera filosofia. Secondo il De Wulf tali caratteri — connessi tra loro da un’unità organica e perciò richia-mantisi a vicenda — sarebbero il dualismo (contrario a ogni forma di panteismo) in metafisica, il creazionismo e il personalismo in teodicea, il dinanismo e l’evoluzionismo finalistico in cosmologia, lo spiritualismo individualistico in psicologia, V oggettivismo realistico in gnoseologia, reudemonismo in morale e via, di seguito, tutti gli altri contrassegni compatibili coi precedenti o da essi derivanti, ciascuno dei quali può anche trovarsi in altre sintesi filosofiche, ma dei quali l’unione non conviene che alla Scolastica, come il De Wulf arbitrariamente la circoscrive, cioè al tomismo. Ma chi garantisce che proprio questa filosofia sia la vera? Qui allo storico subentra il filosofo: nè il filosofo riesce a chiudersi in una speciale filosofia, sfidando i tempi e lo svolgersi del pensiero e a critica, se non in quanto egli si fa forte di una garanzia che gli viene da fuori, dalla sua fede cattolica.
Ma, anche ammesso che una dottrina di fede possa garantire una filosofia, cioè porre dei limiti al filosofare, quella stessa garanzia, se si consideri attentamente, vien meno; poiché la stessa fede cattolica non è egata storicamente con alcuna filosofia, ma molte ne ha accettate e utilizzate e
rielaborate ne) suo corso, dal platonismo alessandrino all’evoluzionismo spenceriano, Sr il quale taluni scrittori cattolici mani-¡tarono una sintomatica simpatia.
A ogni modo questo tentativo lovaniense di rivivere storicamente e di ripensare criticamente una filosofia di altri tempi offriva a ogni studioso sereno un vivo interesse; ed è peccato che la brutale spada tedesca l’abbia interrotto, disperdendo anche un meraviglioso patrimonio di studio.
ARISTOTELE NEL MEDIOEVO
Senonchè non è poi neanche storicamente esatto che la filosofia scolastica, dell’Aqui-nate, sia il culmine e la somma di un ciclo filosofico. Nella Rivista di filosofia neo-scolastica (1915. II, pag. 209), leggo: « I neo-scol. affermano, implicitamente o esplicitamente, che S. Tommaso o Aristotele ha dato un sistema filosofico valido per tutti i tempi •». E più innanzi: « Tutta la filosofia medievale resta, e se ne va solo l’elemento empirico o scientifico... Se San Tommasc. fosse vissuto oggi, non avrebbe mutato, no, il suo sistema filosofico, avrebbe corretto o abbandonato del tutto alcune opinioni scientifiche ».
Non solo, dunque, c’è da porre la domanda: filosofia medievale o tomismo?, ma poi anche quest’altra: tomismo o aristotelismo? E qui si tratta di due filosofìe nettamente caratterizzate dal fatto dell’essere esse attribuite a due filosofi, ma che poi sono, in parecchi punti sostanziali, sostanzialmente diverse. Aristotele, infatti, insegna che l’anima non può essere immortale, che Dio non è una provvidenza, che il mondo è eterno, che non ci sono angeli, non demoni, non miracoli. La rivelazione divina, la redenzione, non solo è fuori della sua conoscenza, ma è estranea al suo sistema filosofico e morale ed inconciliabile con esso. E quando il cristianesimo verrà, esso prenderà da Platone, in quello appunto che lo contraddistingue da Aristotele, le mosse e lo spirito della sua speculazione teologica.
Solo più tardi, nel secolo xi, col sorgere delia scolastica, si torna ad Aristotele; e l’autorità di lui, fra lunghi contrasti — memorabile la condanna del concilio provinciale di Parigi nel 1210, •< nec libri Aristo-telis de naturali philosophia nec commenta legantur Parisiis publice ve) secreto; et hoc poena excomunicationis inhibemus » confermata nel 1215 dal legato pontificio
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ed estesa anche ai libri di metafisica * non legati tur libri Aristotelis de metaphysica et de naturali philosophia, nec summe de iisdem »— divieneun poco alla volta gigante, sino a conferire ai maestro di color che sanno, nel campo della ragione, la stessa autorità della quale le fonti della rivelazione godevano per la teologia. (V. Rivista di filosofia. 1915. Ili: G. Zuccante: Aristotele nella storia della coltura).
Ma questa stessa autorità illimitata di Aristotele, come di rivelatore e disciplinatore provvidenziale delle verità di ragione, dovrebbe avvertire gli incauti neo-scolastici dello speciale carattere della filosofia storica che essi vogliono convertire in perenne e definitiva; essa risponde e si adatta, pur fra le insopprimibili contraddizioni, a un periodo nel quale la fede cattolica dominava potentemente gli animi e gli studi ed a quel bisogno di autorità e di gerarchia sotto la guida di un ordine provvidenziale, di cui la chiesa medievale era la massima espressione; e sta o cade con questo. Sicché anche oggi, jxjr il de Wulf, e per tutti i neo-scolastici, in ultima analisi, è la verità rivelata e l’autorità della Chiesa che si pone garante della verità intrinseca del tomismo ed abbatte a colpi di autorità tutte le dottrine le quali deviano da esso; come avvenne a quell’ontologismo tradizionalistico che. nell’università cattolica di Lovanio ricostituita, difendevano calorosamente, sulla metà del secolo scorso. Casi mi r Ubaghs, Arnold Tits e Lonay.
Ma diranno i neo-scolastici che il ritorno al tomismo importa sopratutto sconfessione di quell’idealismo che, venuta in disprezzo la scolastica per l’umanesimo e il risorgere degli studi naturalistici, fu inaugurato da Cartesio e poi proseguito da Spinoza e Leibniz e Berkeley e dal criticismo kantiano e dal trascendentalismo di Fichte, Schelling ed Hegel. Se-nonché nella stessa Rivista di filosofia neoscolastica, un rosminiano. M. Billia, in un acutissimo e paradossale studio sulla inferiore umanità dei tedeschi (1915, II: Le ceneri di Lovanio e la filosofia di Tamerlano) al quale invero la rivista fa seguire una postilla che lo sconfessa (1), avverte
che il principio fondamentale dell’idealismo è più antico. « La grande scoperta kantiana, anche a volerne, come è giusto, considerare tutto il valore e non ignorarla, che sarebbe sciocchezza, non è una vera scoperta, ma è il dimezzamento della verità che Galileo e i greci conoscevano da molto tempo nella sua compiutezza e che aveva veduto tanto bene e tanto arditamente K»clamato 3450 anni fa il sommo italiano rmenide. quando affermò l’identità dell’essere e del pensiero. Che il pensiero e lo spirito entri nella composizione delle cose, e che queste non esistano senza di quello, è una verità dimenticata dai fabbricanti di caucciù e da tutti i Wallenstein di ogni nazione; ma che la filosofìa ha sempre Seduto e avrebbe continuato a posse-anche se Kant non fosse venuto al mondo. Ma egli che voleva filosofare per il servizio del re di Prussia e colla boria di creare un mondo nuovo e di sfatare tutti e di capovolgere, io dice egli stesso altezzosamente, le basi del móndo e del pensiero, facendola da Copernico a rovescio, non tanto si avvide di questo vero prezioso ma po' dimentico dalla plebe sensista e dall’incompleto dualismo cartesiano, quanto lo guasta subito», ecc. C’erano, dunque, espresse prima dali'aristotelismo e sempre rinascenti nel seno degli stessi seguaci e commentatori di Aristotele, in Plotino, che è per metà aristotelico, negli arabi, e in particolare nell’intelletto unico e separato di Averroè, negli scolastici stessi, e vigoreggiarono dopo la caduta della Scolastica sino a dominare tutto l’ulteriore sviluppo della filosofìa, delle esigenze idealistiche, preliminari e fondamentali, alle quali la Scolastica non soddisfa e che essa sembra negare, e che, non ostante i ripetitori di essa, la storia della filosofìa continua... •
L’ETICA DI B. CROCE
Dal principio del 1915, B. Croce va pubblicando nella sua Critica «lei frammenti di Etica; interessanti, come ogni scritto del Croce, per la chiarezza logica e la correzione di vedute confuse, parziali o false.
(1) < La Redazione non può essere col prof. Billia nelle sue forti rampogne contro i tede«; hi. non è con lui, sia perchè essa non ritiene equa
nimi tutte queste rampogne, sia perchè ha amici buoni e illustri nel Belgio e nella Francia... ma ha anche — c di non meno cari e di non meno illustri —nella dotta Germania».
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ma che non aggiungono nè tolgono alle linee generali del sistema etico dal C. definito in altri suoi scritti, e specialmente nella Filosofia della pratica (Laterza, Bari, 1909).
Già nel 1897 il C. scriveva: «in fatto di etica, non son riuscito ancora a liberarmi dalla prigionia della critica kantiana, e... non veggo ancora superata la posizione assunta dal Kant, ed anzi la veggo da alcune tendenze modernissime rafforzata » (in: Materialismo storico ed economia marxistica, 2a ediz., pag. 130). Ma non era, in sostanza, una prigionia; ed un certo superamento, del quale in queste parole si, avverte l’esigenza, era già implicito nel pensiero di C.'e si è chiarito poi negli ulteriori suoi scritti. Perchè il Kant di C. non è tanto quello della Ragion pratica, quanto quello della Ragion teoretica; e con la correzione che il solo vero a priori della conoscenza teoretica è lo spirito; non forma vuota che attenda dai sentiti, emanazione di una inafferrabile cosa in sè, il suo contenuto, ma forma piena di se stessa, soggetto e oggetto, spirito nell’atto di pensare e di volere la realtà, che non è altra cosa dalla sua realtà. Posto il quale principio, non c’è più bisogno di quei postulati trascendentali della ragione pratica che il Kant poneva e che erano un ritorno al dommatismo e quindi una nuova eteronomia morale.
Sicché l’accusa di formalismo opposta al principio etico di Kant non vale — od almeno non vale allo stesso modo — per il C., poiché il formalismo. 11, stava nella universalità ancora astratta del principio etico, nella trascendenza dell’oggetto sulla ragione teoretica, mentre qui questa universalità è lo spirito stesso, universale concreto; e il precetto: agisci in modo che la tua azione possa valere come norma universale, si traduce qui in quest’altro: agisci come spirito; sii tu, individuo empirico che operi, lo stesso spirito che opera in te (momento economico) ma di sè e per sè (momento etico).
In questa concezione la religione, e il cristianesimo stesso, è ridotta a filosofia. Ma bisogna intendersi; e giova, a questo proposito, riferire una pagina fondamentale dello stesso Croce: «Questa funzione dell’Etica idealistica, questa affermazione che l’atto morale è amore e volizione dello spirito in universale, si trova nell’Etica religiosa e cristiana, nell’Etica dell’amore, della ricerca ansiosa della presenza divina.
È questo il carattere fondamentale del-l’Etica religiosa, la quale ai volgari razionalisti o intellettualisti... per angusta passione di parte o per manco di finezza mentale, rimane ignoto. Non c’è quasi verità dell’Etica... che non si possa esprimere con le parole, che abbiamo apprese da bambini, della religione tradizionale, e che spontanee ci salgono alle labbra come le più elevate, le più appropriate, le più belle; parole, di certo, impregnate ancora di mitologia, ma insieme gravi di contenuto profondamente filosofico. Tra il filosofo idealista e l’individuo religioso c’è, senza dubbio, antitesi fortissima; ma non maggiore di quella che è in noi stessi, nell’imminenza di una crisi, allorché siamo divisi d’animo, eppure vicinissimi all’unità e conciliazione interiore. Se l’uomo religioso non può non vedere nel filosofo il suo avversario, anzi il suo nemico mortale, questi, invece, vedrà nell’altro il suo fratello minore, il suo se stesso di un momento prima. Onde si sentirà, sempre, con più stretta affinità legato a una austera, commossa e torbida di fantasmi Etica religiosa, che non a un’Etica superficialmente razionalistica: la quale soltanto in apparenza è più filosofica dell’altra; perchè, se ha il merito di riconoscere (sia pure a parole e con psittacismo, come avrebbe detto il Leibniz) i supremi diritti della ragione, li esercita, poi, assai malamente, strappando il pensiero dal terreno su cui è germogliato, e privandolo del suo senso vitale ».
Nel quale giudizio non siamo intieramente d’accordo col C., tenendoci più vicini alla posizione kantiana; ritenendo che la fede, o la volontà, pone come postulati pratici certe affermazioni che per la ragione teoretica — e qui diremmo: per il criticismo — rimangono controverse; nè deducibili da quella filosofia che è storia nè capaci di negazione recisa; p. es., per non ricorrere ai postulati celebri del Kant, «nella affermazione della vittoria della ita sulla morte che è implicita in ogni celebrazione religiosa della vita, e che al filosofo, il quale osservi la vita concreta dello spirito limitata e circostanziata, nel tempo e nello spazio, da condizioni empiriche e fatti naturali, apparirà sempre irrazionale.
E la critica che il Croce va facendo nei suoi frammenti (si vegga, ad es., il frammento V: Religione e serenità, Critica, 20 marzo 1915) vale bensì contro espressioni ed immaginazioni critiche, contro la traduzione di principii e di speranze cri-
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stiane in volgare superstizione, ma non contro quella « sustanzia di cose sperate » che è di là dalla critica ed è filosofia, bensì, ma filosofia di domani, perenne inattuale della attualità.
PRAGMATISMO TRASCENDENTALE
Indice notevole delle correnti e tendenze contemporanee di filosofia in Italia sono alcuni saggi che Adriano Tilgher raccoglie in un volume, con questo titolo (Bocca, 1915). Sono saggi di vario argomento filosofico, scritti in un breve periodo di anni, ma non collegati da unita sistematica di pensiero; e solo in alcuni di essi, e special-mente nel penultimo: Etica e gnoseologia, è dedotta dialetticamente la dottrina che il T. ci presenta come nuova e come sua.
Così nella prefazione il T. ce la. annunzia: « Secondo il pragmatismo trascendentale, l’essere è niente altro che la sensazione, l’immagine, la rappresentazione qualificata esistente da un atto assolutamente libero e incondizionato dello spirito umano; è niente altro che il giudizio esistenziale, la conoscenza, il sapere, la scienza; sì che per esso tra essere e conoscere v’è coincidenza piena e completa (idealismo assoluto).
« Ma per il pragm. trasc. il conoscere, il sapere, la scienza, e quindi l’essere, che con essa fa tutt’una cosa, non è un dato ultimo e inesplicabile, ma ha il suo principio, la sua ragione, la sua condizione fuori di sè, nell’atto con cui lo spirito si pone come astrazione assoluta da ogni dato empirico, come volere puro non legato a nessuna immagine contingente e particolare, come dovere, che non è, ma deve essere, e che si pone nell’essere con un atto di assoluta autoposizione ed antoaf-fermazione. Per esso la scienza non è principio a se stessa, bensì ha il suo principio nel volere, non già nel volere empirico, immediato, utilitario (pragm. volgare), ma nel volere puro o dovere morale (pragm. trascendentale).
Idealismo assoluto, adunque; nel quale tuttavia l’n priori dello spirito non è il pensiero, ma la volontà. Su questo a priori ci istruisce il T. nello studio indicato; nel quale mostra come nel caos delle immagini, che di per sè è sogno e veglia, finzione e realtà, lo spirito distingue qualificando le cose e gli oggetti realmente esistenti. Con quale criterio? « Questa attività giudica esistenti le immagini, se in esse c’è ordine, logica, coerenza. Ma perchè ordine, logica.
coerenza non sono dati come tali nella singola immagine per sè presa, nè nella loro semplice somma o risultante, resta, come ultima ipotesi, che questa attività dello spirito abbia in sè un ideale di ordine, di logica, di coerenza, secondo cui giudica le immagini, qualificandole esistenti, se lo riscontra nella loro successione, inesistenti, se non lo riscontra. Questo ideale di ordine, logica, coerenza, non è peraltro una nozione o idea innata nello spirito, che questo appunto possegga già bella e fatta come tale... non è nulla di dato... ma è attività a priori... Questa, Fer ciò stesso che fonda resistenza e pone essere, non è nulla di immediatamente esistente, non è ente, ma è ciò che fa esistente l’esistenza, ente l’ente, riconoscendo essere nell’ordine, nella logica, nella coerenza delle cose che esso esista e sia, riconoscendo il suo diritto ad essere, la sua esigenza di essere. Per essa, quindi, è ed esiste veramente solo ciò che dev’essere. Dunque, solo ponendosi come ideale di ordine, di logica, di coerenza, come dover essere, lo spirito, insieme e in un atto solo, attribuisce l’essere... ».
Il nocciuolo del pensiero del T. è tutto qui, benché diffuso poi in una lunga e sottile argomentazione: nel passaggio dall’ordine, logica, coerenza che lo spirito, con l’a priori della sua attività formale, pone nei dati della sensibilità, qualificando con ciò l’esistente, al dover essere, cioè all’intima esigenza di queH’ordine, ecc., che è nello spirito, formalmente, non nelle cose, e per la quale lo spirito, attuandosi, attua la realtà, secondo i principi dell’idealismo critico. Ma è, questo dover essere, il dover essere morale o semplicemente l’ordine e la coerenza logica? In forza di questa, non viene da noi qualificato come esistente anche ciò che, secondo la ragione morale, è un non-dover essere, la volontà del particolare, sensibilità, passione, materia grezza della ragione pratica universalizzante, e poi questa stessa volontà particolare con esclusione della norma universale, cioè il male morale? Qui è tutto il problema, che ci fa perplessi sul valore costruttivo di questo libro.
A. T. incominciò, alcuni anni addietro, nell’orbita deH’idealismo di B. Croce e della Critica; e dal Croce ebbe i primi impulsi all’attività filosofica. Poi egli ha voluto uscire dall’idealismo della Critica, e in queste pagine ricorrono spesso giudizi di amaro dispetto, aperti o velati.
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contro l’opera del Croce. Per uscirne, ci E tre che egli si sia limitato a tornare da
egei a Fichte; dal panlogismo a aule divino fervore di creazione morale e di fede che l’io empirico fichtiano trova nell’intima comunione con l’io trascendentale. Ma del fervore etico fichtiano non c’è traccia in questo libro freddamente concettualistico e che ci par mentire col suo metodo la sua tesi.
Il pragmatismo recente ha dato al T.. per il suo sistema, solo il nome; e non poteva dargli di più. poiché il procedimento di T. rimane strettamente deduttivo e trascendentale, e, per ciò stesso, essenzialmente anti-pragmatistico. Eppure, questa esigenza di uscire dall’idealismo concettualistico, di giovarsi della critica per scuoprire o fondare le salde basi dell’azione e dell’etica é antica quanto il criticismo stesso; ed è pur tuttavia insoddisfatta.
IL DUBBIO TRAGICO
Miguel de Unamuno, rettore dell’uni-versità di Salamanca, filosofo e letterato, può essere ancora per molti italiani una conoscenza nuova, benché taluni suoi scritti di filosofia religiosa pubblicasse già il Rinnovamento di Milano e nella collezione Cultura dell’anima sia stato pubblicato, in due volumetti, il suo Commento al Don Chisciotte, tradotto da G. Beccari. inter-Srelazione originale e suggestiva dell’eroe i Cervantes, nel quale egli vede un tipo meraviglioso di idealismo irrealistico. La L. E. M. ci ha dato da poco, in traduzione dello stesso Beccari. la prima parte di uno studio dell’U. intitolato: Del sentimento tragico della vita. Nella prefazione dello stesso A., leggiamo:
- Questi saggi sono un complesso che tende ad essere fusione di filosofìa e di poesia, di speculazione dialettica e di sogni mistici, un’opera di contraddizione intima. Il mito si mescola col dogma o col teorema.
o Non è il caso di mettersi a difendere Siiesti scritti che qualcuno potrà stimare •ridi o forse mostruosi; so quel che sono gli aridi razionalisti, attaccati alle definizioni. Ma sono stanco di tante cose pure: ragion pura, volontà pura, conoscimento puro, esperienza pura... M’indispone la
E anelo impurezze in cui poter riposare un cuore impuro ».
Genere pericoloso, quando non sia maneggiato da un filosofo autentico e lette
rato vero e coltissimo; ma che, quando è consapevole disdegno delle cose « pure », della fredda astrattezza dialettica, può essere una utile reazione contro quel filosofare a vuoto al quale concludono i minores di ogni movimento idealistico; e ne abbiamo ora esempio in Italia fra i critici giornalisti, fisolon crociani di seconda mano.
La tragedia della vita che l’U. descrive con cosi intenso fervore in queste pagine é, innanzi tutto, la tragedia interiore del filosofo stesso; di un ca/ZoZico spaglinolo che ha bevuto larghissimamente alle fonti del criticismo, che sa l’analisi fredda della Ragion pura di Kant e le vertigini della speculazione trascendentale e il grido angoscioso di G. Leopardi, e tuttavia vuol credere ancora, e crede, e si attacca ansiosamente alle vecchie credenze, suscitando contro la ragione critica e negativa le ragioni del cuore.
Credere a che cosa? Alla vita, innanzi tutto: e non alla vita astratta, impersonale, di un Assoluto che é in tutti ed è nessuno, ma a quella che è la sua vita c lotta con il male e con il dolore e con il lento morire di ogni giorno e con la morte finale e totale; e vuol persuadersi della vittoria della vita, della sua vita, sulla morte. Il problema, quindi, filosoficamente, é più vasto della crisi di un domina o di una religione (perchè, per l’U., la ragion ultima e suprema e la forza vera del cattolicismo è nella affermazione della immortalità); è il problema stesso della personalità individuale, questa pietra di scandalo dell’idealismo contemporaneo.
Mostrare, non sillogizzando, ma quasi gridando il proprio affanno interiore, i limiti della ragione ragionante e le esigenze supreme del sentimento, protestare contro la scepsi razionalistica del pensiero e della vita, postulando e quasi presentendo una nuova sintesi, è l’assunto di questa filosofìa, espressione perspicua, a un tempo, della tragedia del dubbio filosofico, intimamente vissuto, opera di arte e di pensiero.
MASSONERIA E UMANESIMO
Fra un anno la massoneria internazionale celebrerà il secondo centenario dalla sua nascita, la fondazione, cioè, a Londra, di una gran loggia che riunendo in un corpo i soci di talune corporazioni edilizie (Societies oí Masons) diede ad esse uno
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statuto e programma etico e umanitario. In previsione della data FUnione dei massoni tedeschi promosse un concorso per uno scritto popolare che riassumesse nel miglior modo lo spirito, il programma e gli scopi della massoneria; e due scritti furono premiati dei quali l’uno, quello del dotto Ludwig Keller: Le basi spirituali della Massoneria e la vita pubblica, fu recentemente pubblicato in traduzione italiana, per cura della casa editrice Atanor, di Todi.
Il K. si sforza di fare della massoneria una tradizione filosofica ininterrotta, che risale alle origini della sapienza greca, discendendo nei secoli, come antitesi ad ogni religione positiva rivelata; e fa consistere il nocciuolodi questa dottrina e tradizione nell’umanesimo. Ma la preoccupazione costante di non notare le molteplici e varie opinioni dei fratelli lo ha costretto a tenersi molto sulle generali e ad esporre il suo pensiero non sistematicamente ma per via di antitesi circostanziate e parziali dalle quali mal si ricava un costrutto unitario; sicché è difficile dire che cosa sia, realmente, per il K., l’umanesimo ed in quali affermazioni filosofiche fondamentali egli riponga l’unità di questa tradizione.
Interpretando, piuttosto che esponendo.
il pensiero dell’A., ci pare di poter dire che quest’umanesimo non è già un nomismo materialistico e idealistico (e il K. si guarda bene dallo scegliere fra le due correnti o solo dal porre il problema della loro opposizione) ma una specie di rivelazione naturale, una filosofica Provvidenza, intesa alla educazione progressiva del genere umano con la dottrina della saggezza, della perfettibilità — o evoluzione — e della fraternità; un idealismo puramente morale, che non cerca di giustificare i suoi E>stulati teorici, e che si attribuisce, con rgo eclettismo, tutte le buone intenzioni e i propositi morali delle varie scuole filosofiche che furono e sono in opposizione con la eteronomia di una rivelazione miracolosa e di una religione gerarchicamente costituita. Anche la massoneria è, in qualche modo, una religione positiva, con simboli e voti e gerarchia, una setta; ma essa non pretende di elevarsi a suprema norma giuridica della condotta; c il K. ha cura di mettere bene in vista il lealismo di essa verso lo Stato; uno Stato etico, strumento di perfezione e di progresso, anche esso mal definito ed evanescente. Scarso è quindi il costrutto che si può cavare da queste pagine.
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NOTE E COMMENTI
La “Rivista di Scienza delle Religioni,, condannata!
Nei primi giorni del febbraio scorso apparve a Roma il primo numero della « Rivista di Scienza delle Religioni ». Del comitato di redazione, oltre alcuni professori laici, facevano parte i Sacerdoti proff. E. Buonaiuti, U. Fracassivi e N. Turchi, note personalità nella storia del modernismo italiano. La rivista si proponeva di compiere un lavoro strettamente scientifico e già il secondo fascicolo era pronto per la spedizione, quando un decreto della S. Congregazione del Santo Ufficio venne a proibire la lettura della Rivista, condannandola come organo di propaganda modernista.
Lasciamo il commento del fatto molto significativo al nostro Rubbiani. Red.
Perchè dopo qualche anno e mentre l’opera degli scrittori sospetti, si era mantenuta di proposito lontana da ogni giudizio di merito su le questioni aventi più diretta affinità coi principi, per una manifestazione di carattere esclusivamente critico dove essi credevano di poter soddisfare il loro particolare temperamento, le loro legittime aspirazioni di studiosi hanno trovato nuovamente irreconciliabile l’autorità?
La questione à della cronaca che serve ad illuminarla. Ma perchè raccoglierla se essa non deve che consolidare la nostra convinzione sul modo col quale si preparano le difese del patrimonio e dell’integrità della fede? Noi sappiamo che non basta la firma pontificia per collocare sul tripode dell’austerità dogmatica un atto pubblico della Chiesa cattolica, e il recente episodio — avvenuto quando il mondo, le Chiese ed i fedeli devono essere presi dalla tragica preoccupazione dell’umanità in pericolo— ne è una documentabile conferma. Ci interessa piuttosto fermare quelle che furono le accuse che il defensor fidei P. Rosa, direttore della Civiltà Cattolica, ebbe a muovere ai redattori della Rivista condannata, perchè sono la rivelazione d’ una mentalità e di un sistema che non sono morti e non morranno nella Chiesa cattolica romana: L’aver messo il Cristianesimo — per il suo studio scientifico - alla stregua delle altre religioni, quindi l’aver permesso che dei laici — pei quali è merito grande l’essere riconosciuti come dei competenti, mentre è colpa della grandissima maggioranza del clero la nota incompetenza — si occupino di problemi che investono la vita del Cristianesimo: l’aver segnalate agli studiosi opere di acattolici, come quella del Rei-nach, senza aver fatto cenno delle confutazioni ortodosse — quasiché non fosse noto che tutta la collezione della Civiltà Cattolica ha per esempio minor valore scientifico di quattro pagine del Reinach; l’aver riconosciuto che per seguire con metodo lo svolgersi del Cristianesimo è necessario racchiuderlo negli schemi che la dottrina storica ha fissati per lo studio degli avvenimenti, l’aver cioè fissata una epoca neotestamentaria, un cristianesimo antico, un cristianesimo medioevale e un cristianesimo moderno: queste per- sommi capi le colpe della Rivista di Scienza delle Religioni. Noi parliamo da studiosi a studiosi e diciamo: con tale mentalità si fa della teologia, non si fa della scienza, ep-però finché essa sarà tanto diffusa e cosi tanto influente da provocare delle condanne come quella che commentiamo non sarà possibile fare — nel campo della Chiesa cattolica — opera di scienza c di cultura.
Se non che questa recente condanna ha un significato ed un valore che vanno al di là delle persone dei preti che ne sono colpiti e trascendono i limiti stessi della vicenda ecclesiastica. La storia delle religioni e la storia del Cristianesimo sono insegnamenti professati nelle nostre università e i redattori della Rivista sono nella maggioranza professori di tali materie. E’ evidente che la condanna infirma la validità dei primi e colpisce i secondi proprio in quella loro specifica attività per cui lo Stato li vuole su la cattedra. Che avverrebbe domani se — per rendere la scuola Siù italiana e meno serva del pensiero te-esco — lo Stato istituisse in ogni facoltà di lettere e filosofia una cattedra di storia delle religioni ?
Dobbiamo essere ben lontani dal credere che dai programmi d’ insegnamento sarebbe tolto lo studio scientifico del cristianesimo. L’indifferenza tuttavia e del mondo universitario e degli studiosi per il recente episodio di cultura non ci fa persuasi che la coscienza laica saprebbe ribellarsi se l’autorità ecclesiastica proibisse agli studenti di frequentarne i corsi.
Ferruccio Rubbiani.
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Cambio colle Riviste
Atene e Roma. Firenze, anno XIX, n. 207-208; marzo-aprile 1916. - Carolina Lanzani: « Attilio De Marchi e ' Atene e Roma’» - Giulio Giannelli: <La Donna nel sacerdozio romano » Manfredo Vanni: « La battaglia del Lago Regillo » (dai ' Canti dell*Antica Roma’ di T. B. Macaulay) - Recensioni.
“MOTIVI DI SPERARE,,
N UN DISCORSO DELL’EX-PRESIDENTE TAFT.
Nell’ inaugurazione dell’anno sociale nell’ Istituto Swarthmore di Filadelfia, diretto dai « Friends », l’ex presidente degli Stati Uniti e presidente onorario della • Società Americana per la decisione giudiziaria dei conflitti internazionali », William Howard Taft ha pronunziato un discorso sulla « Civiltà e la guerra », da cui estraggo la parte riguardante principalmente i rapporti fra la religione e le presenti condizioni della civiltà. « Non so se nel mio uditorio vi sia alcuno che abbia avuto il privilegio di udire la relazione fatta da John R. Mott, anima del movimento dell’Associazione Cristiana della Gioventù, dopa la sua visita a tutte le nazioni belligeranti, sullo stato degli spiriti nelle diverse regioni di Europa. Egli notó venire in contatto con i centri religiosi più influenti di ogni nazione, e trovò che dappertutto lo spirito religioso assorbe qualunque altro sentimento, spirito di sagri-fizio, di patriottismo e desiderio di morire per la patria. Egli disse di non aver mai visto tale abnegazione e sì intenso fervore religioso, quale quello di cui fu spettatore in queste nazioni belligeianti. Egli conviene però elle lo spirito religioso si modella più sul Dio del Vecchio Testamento, Dio di battaglie, che sul Dio del Nuovo Testamento, quale è espresso ed esemplificato in Gesù Cristo. Egli deplorò le enormi perdite di vite umane e le orribili sofferenze, e le sue statistiche relative alla distruzione presente e futura straziano il cuore. Ma nonostante questo fosco quadro, nonostante il cammino a ritroso percorso dalla civiltà, non dobbiamo essere pessimisti nè lasciarci pervadere dalla disperazione. Non è vero che siamo ritornati ai tempi di Tilly e di Magdeburg; non è véro che la natura umana ha retrocesso in questi ultimi secoli ai giorni di Berseker e dei pirati di terra e di mare. Ciò che è vero si è che le circostanze hanno posto in evidenza il fatto, che per quanto là natura umana sia migliorata e per quanto l’uomo sia, nell’insieme, più buono di prima.
Rivista Storica. Torino, aprile-giugno 1916. - Recensioni e note bibliografiche (Storia generale - Età romana e preromana - Alto medio evo - Basso medio evo - Tempi moderni -Rivoluzione francese - Risorgimento italiano) - Spoglio dei periodici - Elenco di no Ìubblicazioni di storia ita-ana -Notizie e comunicazioni.
Archivio storico per la Sicilia orientale. Catania, anno XIII, fase. I-II. - Casagrandi V.: «La missione di Siracusa fra gli Elleni occidentali e le tre finalità della politica siciliota » -Catalano M.: «La fondazione e le prime vicende del Collegio dei Gesuiti in Catania (1556-1579)» - Majorana G.: « Francesco Branciforte Barresi e le due principesse d’Austria» - Bu-stico G.: « Massimo d’Azeglio e la Sicilia » - Rapisarda N. : « Polifemo, Aci e Galatea divinità sicule ellenizzate » -Recensioni - Bollettino bibliografico - Notizie - Necrologio.
La cultura filosofica. Firenze, anno X, n. 2; marzo-aprile 1916.-F. De Sarlo: «La conoscenza morale » - G. Capone-Braga: « L’Athanasia di Bernardo Bolzano » - E. P. La-manna: « Il fondamento morale della politica secondo Kant » - Recensioni.
La nuova rassegna. Roma, anno I, n. 2; 5 maggio 1916.
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- Nota della quindicina - Iva-noe Bonomi: « Compiti diversi nella guerra comune » - Arturo Labriola: « Politica estera ed opinione pubblica » - Meuccio Ruini: « Lloyd George » - ecc.
— N. 3;' 20 maggio. - Nota della quindicina. - Luigi Rava: «Pensioni di guerra «-Giuseppe Canepa: «Errori e rimedi in materia di cambi ■ - Meuccio Ruini: « Problemi e figure d’Ir-landa « - G. A. Borgese: « Beth-mann Hollweg » - Carlo Ma-nes: « Le spese e il costo della guerra » - ecc.
Rassegna nazionale. Firenze, anno XXXVIII, 2* serie, volume III: i° maggio 1916. - E. Corbino: « Considerazioni sull’intervento delio Stato in alcuni problemi economici » -Pietro Pagnini: « Galileo in guerra« - Luigi Vitali: «L’a-mor di patria nel Manzoni » -Giov. Jannone: « Per le onoranze funebri a Pietro Colletta « - Enrico Bergson: « Il riso « - Rassegna politica -Libri e riviste estere - Note c Notizie.
— 16 maggio 1916.- Orazio Grandi: « Un poeta della patria » - Enrico Masini: «La data della nascita di Gesù » -Cesare Ceassaro: « Il Papa al congresso, la questione romana e il socialismo » - Gaetano Balelli: « Le arti belle al Chile » - Gino Monaldi: « Domenico Bàrbaja » - Recenti pubblicazioni - Rassegna politica - Libri e riviste estere -Note e notizie - Varia.
N uovo Convito. Roma-Pe-scara, anno I, n. 4; aprile 19x6. -Maria Del Vasto Celano: « Pasqua Sacrificale « - N. R. D’Alfonso: « Guglielmo Shakespeare e la sua psicologia » -Neera: « Il Trentino e le sue condizioni » - !.. Gamborale: « Il Diavolo bianco o Wittcrio Corombona di Webster » -F. Dèi Greco: «Sentimento e ragione nell'ora presente » e le nazioni più progredite che in qualunque altro periodo nella stona, col mutare delle condizioni sociali, quei tratti più foschi e meno belli della natura umana che noi tutti sappiamo essere presenti, benché raffrenati, in tempo di pace, possono porsi più in evidenza.
«Tutti gli umori malsani della politica europea,gli odi di razze, la brama di potenza e di ricchezza, le gelosie economiche, il timore di ogni nazione di essere ingiustamente aggredita dall’altra, tutti si sono concentrati, coincidendo a sviluppare questo conflitto mondiale, e a estrarre dal fondo della natura umana i suoi lati peggiori, sovrapponendoli ora ai suoi lati migliori. Tuttavia non mancano liste di argento nelle fosche nubi. Pensate solamente ai sagrifizi che molte nazioni neutrali stanno facendo per alleviare le sofferenze dei loro vicini belligeranti. Pensate al fardello che l’Olanda si è assunto nel mantenimento dei Belgi scacciati dalle loro case. Pensate agli immensi servigi resi da una nazione all’altra. Pensate alla ■ Croce rossa » e alle altre organizzazioni di questa nazione. Pensate ai volontari sagrifizi abbracciati dai nostri dottori e dalle nostre infermiere recatisi a soccorrere i loro fratelli in altre regioni e a dare la propria vita senza un lamento nella lotta per la soppressione delle malattie e la mitigazione delle sofferenze.
«Neppure è vero ciò che si dice, che al termine della presente guerra, sarà impossibile di ristabilire, entro una durata di tempo relativamente breve, quei sentimenti fraterni che esistevano già fra le nazioni, e che sembravano crescere a vista d’occhio nelle ultime tre o quattro diecine d’anni. Vi é chi dice, perfino, che mai le nazioni" ora belligeranti torneranno fra loro amiche. Eppure, molti di voi a cui ora parlo hanno presente alla loro memoria la migliore confutazione di tale asserzione. Una guerra civile quale fu la nostra produce naturalmente uno stato di malanimo molto maggiore che fra diverse nazioni: eppure, nessuno può negare che in una generazione tutte le animosità fra il nord e il sud degli Stati Uniti sono interamente scomparse, benché la guerra fosse stata la più terribile che fino allora la storia avesse registrata.
« In tutte le osservazioni fatte da John Mott nella sua conferenza sulla guerra, si poteva vedere che egli si era trovato a contatto in ogni regione coi rappresentanti del pensiero religioso, ed aveva sentito che benché il legame dell’unità religiosa si era spezzato fra i belligeranti, era tuttavia caldo e pulsante nei rapporti fra lui ed ambedue le parti. Questa circostanza mi dà un fortissimo motivo di sperare, e di credere che per quanto amari siano ora i sentimenti fra nazioni, l’avvento della pace riallaccerà i vincoli che sembravano così forti fra tutte quelle nazioni, e che facevano sperare a molti di noi che l’orribile cataclisma e il macello presente sarebbe scongiurato. h
«L’esaurimento completo dei belligeranti alla fine della guerra sarà accompagnato da tale prostrazione, e penetrerà così a fondo nei cuori e negli spiriti di
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tutto il popolo che i piani proposti per prevenire il ricorso di un’altra guerra incontreranno una disposizione favorevole, tale da incoraggiare alla loro attuazione più che in qualunque altro periodo della storia umana.
« Per ciò noi contiamo, come su fattore prevalente, sulla influenza delle Chiese Cristiane c di associazioni quale l’Associazione Cristiana della Gioventù.
• Possiamo noi abolire la guerra? No, fino a che le debolezze e le passioni della natura umana si rifletteranno nella condotta delle nazioni. Ma possiamo almeno renderla meno probabile? Si, lo possiamo per mezzo di accordi internazionali. Lo possiamo, invocando l’aiuto concorde di molte nazioni per arrestare il braccio sanguinario di una odue nazioni pronte a fare appello al Dio della guerra. Hanno detto che i trattati altro non sono che pezzi di carta quando la passione della guerra si è impadronita degli animi: ma ciò dipende dalla forza fìsica e morale che deve fare da sanzione a quei trattati. Talvolta, è vero, essi saranno violati, ma più spesso verranno rispettati. Se i trattati sono sfati violati, non è questa ragione per non farne di nuovo nella speranza che questa volta saranno osservati. E evidente che la tendenza dèlia pubblica opinione internazionale sarà in favore di una lega di nazioni il cui interesse per il mantenimento della pace mondiale, e il danno che esse direttamente riceveranno dal permettere che scoppi una guerra fra nazioni, per quanto esse direttamente non vi siano impegnate, farà si che esse riconoscano il vantaggio di una unione contro la guerra, e della espressione del diritto di una parte dei mondo a fare dei passi, per impedire che il resto del mondo coinvolga il mondo tutto nelle pene e negli orrori di sì atroci sofferenze umane quali quelle di cui siamo testimoni al presente. Domani noi ci aduneremo nel Palazzo deH'Indipen-denza per discutere un piano e per tracciare le sue linee generali, nella speranza di poterlo offrire al nostro Governo il giorno in cui dovrà discutersi la pace nel congresso delle nazioni, quale base per una unione internazionale contro la guerra >.
RUSSIA
La Chiesa russa e la riunione delle Chiese.
Fin dal principio della guerra, nell’occasione del-V Ukase imperiale dello Czar di Russia che annunziava l’autonomia della Polonia, il Messaggero Ecclesiastico di Pietrogrado, organo dei più autorevoli dell’ortodossia russa scriveva queste parole:
« Non è forse cosa significativa che il più devoto tra i popoli ortodossi, quali sono i russi, ed il più devoto fra i popoli cattolici, come sono i polacchi, si uniscano insieme nella sola radice slava?... Considerando sotto
E. Sella: « Padre nostro » -G. De Caeseris: « Severino Boezio » - Commenti conviviali. -Illustrazioni di T. Patini, professor P. Paschetto, A. Bianchi, prof. V. Ali canòri, professor A. Rossetti.
Conferenze e prolusioni. Rq-ma, anno IX, n. 9: i° maggio 1916. - « Il palazzo di giustizia in Roma e il suo architetto ■ -Gustavo Giovannoni: « Per un monumento di architettura » -Gicv. Batt. Milani: «Guglielmo Calderini » - Regitze Win-ge: « Amleto nell’anima contemporanea » - L’attualità.
— N. io; 16 maggio 1916. - Alberto Bergamini: « Per E-duardo Talamo ■ - Attilio Momigliano: « Il canto delle trasformazioni » - Dalle riviste e dai giornali - L’attualità.
Vita e pensiero. Milano, anno II, voi. IH, fase. 7; 20 maggio 1916. - Card. Pietro Mam: « Nel giubileo della ' Re rum Novarum ' » - Filippo Meda : Ricordando la ' Rerum Novarum ’ » - La riabilitazione cristiana del corporativismo » -Francesco Olgiati: «Il papa degli operai » - Ernesto Virasi: • La Spagna e la guerra » -P. Mattei Gentili: « Le ' giornate di maggio ’ ed i cattolici » - Bartolomeo Nogara: «Le pubblicazioni della Biblioteca Vaticana » - Luigi Borriello: ■ Roberto Ardigò » - ecc.
La Riforma italiana. Firenze, anno V, n. 5; 15 maggio 1916. Paolo Orano: «Il pretesto della morte» — La R. I.: «L’esame nazionale » - B. Croce: « La Società italiana » - R. Murri, Paolo Romano: « La religione » - G. A. Borgese: « La letteratura » - A. Anile: « La scuola » - A. Rocco: « Il E .riamento » - N. Co.ee: « La agistratura » - G. Barzelletti: « La Stampa » - X: « Il socialismo » - L. Giulio Benso: « Corriere femminile » - Fatti e commenti.
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tale aspetto provvidenziale il ravvicinamento della Russia ortodossa con la Polonia cattolica, questo si S resenta come un’avvenimento di un grande signi-cato religioso e civile. Perciò esso appunto apre la via a quell’unione delle Chiese che fu il sogno carezzato dai migliori rappresentanti di tutte le confessioni cristiane, e per la quale la nostra Chiesa prega continuamente. Noi siamo abituati a considerare queste aspirazioni come utopie ineffettuabili; ma un simile atteggiamento si sostiene solo con uno scetticismo che non è più giustificato in un periodo così eroico quale l’odierno. Un simile scetticismo non è anzitutto, religioso: dal momento che la Chiesa prega per l’unione, noi dobbiamo da parte nostra non solo seriamente desiderarla, ma anche più renderla attuabile con tutte le nostre forze: né è saggio perchè si basa... su casi fortuiti della storia e non sulressenza stessa della cosa. Cristo fondò una sola Chiesa; la sua Chiesa è nel suo concetto una, e questo concetto dovrà trionfare finalmente una volta sulla discussione empirica. La riconciliazione del popolo russo c polacco è importante sotto l’aspetto che esso traccia e segna una via storica concreta. per la quale può effettuarsi cotesta unione indispensabile e ideale... Che cosa si deve fare per l’unione delle Chiese per la $uale si prega ogni giorno ai nostri tempi? Crediamo di non ingannarci dicendo che anzitutto richiedesi la rigenerazione della Chiesa Romana. La Chiesa Romana è da tempo un organismo, compatto, ma privo della vera e profonda vita religiosa, dello spirito di santità. L’antica Roma con la sua potenza le diede il suo organismo, la sua ferrea disciplina; ma nel tempo stesso le comunicò il suo spirito pagano il quale si manifesta nello schematismo, ed in genere, nella subordinazione dell’interno all’esterno. Senza eliminare questo difetto fondamentale in cui sembra nascondersi la radice di tutto ciò che non è accettabile per l'ortodossia, non si può menomanente parlare di unione ecclesiastica; e ci sembra che siffatta rigenerazione si potrà ottenere in virtù della riconciliazione russo-polacca sul medesimo terreno... La vita religiosa intima di cui è tanto ricca la santa Russia dovrà necessariamente comunicarsi al popolo consanguineo. Che non sia questo un vano sogno, lo prova il movimento dei Marianiti, il quale può considerarsi come il risul tato dell'influsso dell’anima religiosa russa sull’anima religiosa polacca.
« Questo influsso sarà ancora più forte nell’avvenire. La vittoria sul nemico, nella quale crediamo fermamente, deve essere seguita da un gran rialzo spirituale nella vita del popolo russo: e questo non potrà avvenire senza che lasci una traccia sul popolo fratello, col quale dovremo vivere in stretta unione. Può darsi che di qui nascerà una potente attività spirituale la quale' abbraccerà tutto l’occidente cattolico e, chi sa?, forse anche il mondo protestatne. Noi russi siamo troppo modesti e diamo poca importanza alla nostra grande vocazione storica. Nondimeno, tutto annunzia che la nostra ora è suonata e che il popolo russo è
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predestinato a dire la sua parola,... e che è ormai giunta l’occasione opportuna di dirla... Non è per nulla che tutta la Russia si è slanciata con tanta unanimità ed elevazione spirituale in questa lotta accanita dello slaviSmo contro il germanesimq. In tutto ciò si sente qualche cosa di straordinario, di provvidenziale. Certo, il suddetto movimento non avverrà d’un tratto; gli avvenimenti della vita spirituale dei popoli non si svolgono con una rapidità simile a quella della loro vita esteriore e politica. Ammettiamo pure che tutto ciò non sia che una prospettiva storica; non può negarsi nondimeno che ciò abbia un alto grado d’importanza ».
È da notare che l’importanza di questo articolo è stata additata anche dal l’organo del
Patriarcato di Alessandria, e dal Bessarione. l’organo che cullò i sogni d’imperialismo cattolico, per mezzo della riunione al Cattolicismo di tutte le Chiese Orientali, del Pontefice Leone XIII.
Benefici effetti della temperanza in Russia
Un notevole articolo dovuto alla
La nuova riforma. Napoli, anno IV, fase. Ili; maggio-giugno 1916. - Gennaro Avolio: » Unione per la giusta pace » -Michele Cesario: ■ Guerra ed educazioni » - Rati. Valerio: • Per una • colonna infame • -Gius. Castelli-Avclio: • Una comunità laica nella chiesa primitiva » - Gius. Tropeano: • La refezione per le madri lattanti » - Pagine scelte - I periodici-Note bibliografiche.
Eco della Cultura. Napoli, annoili, fase. VIII-IX; 15-30. maggio 1916. - F. Bellomia Barone: • Una nuova costruzione dell’infinito. Il grande enigma o - Domenico Bosurgi: « Studi storici d’arte italiana. Raffaello da Urbino » - Guido
penna del generale Alexis Polivanov, Ministro della Guerra in Russia,
Malean zi: • Poeti della Caleapparso sulla New Republic giornale di Westerville, negli Stati Uniti fa conoscere il risultato maraviglioso della proibizione dello spaccio di liquori alcoolici in Russia fin dal principio della guerra.
• Se non vi saranno, più bevande alcooliche — egli dice — la Russia diverrà la regione più ricca del mondo ». ‘ E per provare il suo asserto, egli cita una parte del rapporto inviato dallo Zemstvo del Governo (provincia) di Kostroma sul cambiamento avvenuto tra i contadini nei villaggi. • Grazie alla temperanza, è dato appena di ravvisare i risultati della presente guerra. Sembra che la popolazione possa sopportare con molto maggiore facilità i gravami della guerra e la scarsità del raccolto, ora che i fumi dell’ebbrezza non annebbiano
donia. Roberto Burns » - Ettore Arculeo: • La religione di Mazzini ■ - Recensioni, - ecc.
La nostra scuola. Milano, anno III, n. 8; 15 maggio 1916. - B. Varisco: • Sul concetto di educazione nazionale » - G. Santini: ■ I programmi e la scuola » - J. Dewey: « Il fanciullo^ i programmi » - S. T.: « I libri » - 1. Z.: < La nostra
via » -Vitali » sposte.
J.: « L’opera di Giulio
- Recensioni. - Ripiù la Madre Russia. La capacità produttiva del lavoro è aumentata: gli ubriaconi c gli accattoni sono scomparsi dalle vie dei villaggi: essi sono ora in migliore condizione e meglio vestiti. La temperanza dagli alcool fa risparmiare ad ogni famiglia da 250 a 500 lire all’anno. Le assemblee popolari non sono ora più accompagnate da chiassate e da linguaggio scorretto, e la trattazione degli affari è più giudiziosa. Gli scandali, le lotte, i litigi cominciano a scomparire: e i sentimenti religiosi acquistano, sembra, di profondità ora che i giorni festivi hanno guadagnato di serietà. Anche il trattamento delle donne per parte degli uomini è migliorato, ed ugualmente quello dei fanciulli. Le donne, sia come madri che come padrone della casa, vengono maggiormente rispettate. Anzi le donne si sentono felici ora, e pregano Dio perchè non sia mai più ristabilito il permesso della vendita di liquori: nella loro gioia, esse giungono quasi al punto di benedire la guerra presente ».
Voci amiche. Milano, anno VI, n. 4-5; 25 maggio 1916. - • Pasqua » - • La guerra continua » - ■ Cristianesimo » -Mary Raymond S. Andrews: « Il volontario » - A. Gratry: « Le Sorgenti » - G. A.: « Giustizia » - Risposte - Lettere di guerra - ecc.
Luce e ombra. Roma, anno XVI, fase. 5; 31 maggio 1916.-A. Bruers: « Lo spiritualismo, la scienza e il problema dell’anima » - V. Caselli: • Il culto dei morti » - G. Servadio: « Guerra; ottimismo e spiritualismo » - P. Raveggi: « Per un poeta dell'anima » - E. Cim-
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mino: « Fenomeni fisici e influenze spirituali » - A. Tiberti: « Il mio anticremazionismo » - I libri - ecc.
Bollettino della Società Teosofica italiana. Pavia, anno X, fase. V-VI; maggio-giugno 1916 - B. P. Wadia: «Lettere dal quartiere generale» - «Quindicesimo Congresso della Società Teosofica Ital. » - C. W. Lcadbeater: « Che cosa inse-Snerà? » - E. Pavia: « La rie-ificazione » - G. Gasco: « La missione delle nazioni » - Notizie - ecc.
Boi et vie. Paris, anno XIX, n. 8; 1® maggio 1916. Cahier A. - Paul Doumergue: « Les jardins de la Passion • - Henri Bois: « L’opinion à l’etranger. Le mouvement du combat pour le droit • - Emile Doumergue: « Propos de guerre ».
— N. 9; 16 maggio 1916. Cahier A. - Paul Donmergue: « La mauvaise parole » - Y.: «Les blessés de Verdun. Lettre d’une infirmière » - Henri Bois: « L’opinion étrangère ■ -E. Doumergue: « Propos de Suerre • - Ch. Gide: « Le coût eia guerre: guerre et religion ».
— N. 8-9: 1-16maggio 1916. Cahier B. - Ferdinand Brunot: « La défense de Schirmeck • Pièce alsacienne en 6 actes. Essai de théâtre national populaire.
Revue Chrétienne. Paris, anno LXIII; maggio 1916. - Charles Ducasse: « Le nouveau testament, la guerre et le chrétien » - J. E. Roberty: « Charles Péguy » - G. Pariset: « Luther serait-il slave?»-Henry Dastigue: « De l’état d’esprit de la jeunesse avant la guerre » - W. Monod: « A propos d’un article du Figaro » - J. Segond: « L’amitié franciscaine et la guerre mondiale - ecc.
The Expositor. London, anno XLII, maggio 1916.-George Edmundson: «The enigma of
GERMANIA
Scienziati tedeschi e la guerra.
Nel suo libro Eternai Life pubblicato prima della guerra, qualificato dal Vescovo Gore come « il più gran libro di teologia dei nostri tempi » il barone Von Hügel aveva presentato al pubblico inglese gli scritti del prof. Troeltsch con elogi superlativi. Ora questo professore tedesco ha pubblicato una conferenza da lui tenuta a Carlsruhe, dal titolo: « La natura dei Tedeschi », in cui rappresenta l’Europa polarizzata ih due campi : la furia, l’ottusità, l’odio incosciente da un lato, e dall’altro la superiorità morale e spirituale: da un lato l’autoeccitazione morbosa e la stampa corrotta, e il favore dei neutrali comprato con oro, e dall’altro un senso profondo del dovere morale e una fede incrollabile nella giustizia della propria causa. Ma le sue vedute generali sulla guerra nei suoi rapporti con la civiltà moderna mostrano quanto fosse superfluo che il Troeltsch parlasse di moralità e immoralità nella presente guerra facendo della prima il monopolio della Germania e suoi alleati: e della seconda quello dell’Intesa. Egli infatti riguarda l'idea di una civiltà europea unica, come una fra le grandi illusioni coltivate in tempo di pace: giacché « la vita industriale separa i popoli più che non li unisca » e il Cristianesimo « non ha mai impedito conflitti mentali o materiali». Il culto dell’internazionalismo è «una ubbia di epicurei e di persone abituate alla vita di Hôtel ». L’antagonismo è inevitabile a causa della varietà e dei contrasti di esperienze e di spirito nazionale. Le razze latina, slava, anglo-sassone differiscono da quella tedesca: perciò è inevitabile che sorga fra questa e quelle un conflitto. La guerra, altronde, è inevitabile, e sarà sempre necessaria per produrre le qualità più virili che rendono grande una nazione, ecc.
Il Rev. Blackshaw, in una sua recensione al volume, commenta: « Il Troeltsch sembra supporre che per ottenere l'unità fra nazioni, anziché la differenziazione fra esse, si richieda l’identità: egli con ciò perde di vista i principi di uno dei più grandi filosofi tedeschi, e la grande lezione che è fornita dall’esistenza dell’impero Britannico. I Francesi e gl’inglesi, nel Canadà, non sono tra loro in conflitto, benché essi rappresentino differenti tipi di vita e di esperienza nazionale. Egli non sa concepire due nazioni vicine, che in conflitto: come l'incudine l’una e il martello l’altra. Questa è la concezione del Principe Von Bülow, ma certo non è una concezione fatta per far bene sperare della civiltà europea in avvenire. Col suo esaltare l’efficacia corroborante della guerra, egli dimentica che le cose più grandi sonò dovute alla pace, non alla guerra. Ed io credo che il prof. Troeltsch stesso, in realtà non professi queste idee, e che le sue parole sian dovute a un attacco di quella Kriegsnervosität cht si calmerà quando subentrerà l’atmosfera calma ed equilibrante e cristiana della pace ».
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Al Troeltsch, accecato dai suoi idolo tribus, il Blackshaw contrappone l’equilibrio mentale e morale di altri scienziati tedeschi i libri dei quali, pubblicati mentre infuria la guerra, egli recensisce. Fra essi egli cita le parole del sommo ellenista Wilamowitz-Mol-lendorff, eletto rettore dell’università di Berlino, il quale nel suo discorso accademico, deplorando la rottura dei rapporti cordiali ira nazioni, e la perdita toccata a quella cooperazione internazionale a cui la scienza tanto deve, diceva: « Sono questi rapporti spezzati per sempre? Non c’illudiamo: per il rimanente della nostra vita noi cammineremo avanti, stranieri §li uni agli altri e non c’incontreremo più. È una perita quésta assai dolorosa: ma nessun sagrifizio è troppo grande se la Patria ce lo domanda. Ciò che la Patria non domanda, è che il nòstro amore e la nostra fedeltà siano sradicati come si fa delle erbacce: ed io custodirò sempre nel mio cuòre, verso gl’individui delle nazioni nemiche, non solo la stima loro dovuta ma anche un’amicizia leale: e non dubito punto che molti individui di nazioni nemiche provino gli stessi sentimenti ».
Un altro scienziato che non cessa di esser tale e non rinnega il suò senso critico a causa della guerra è il prof. Konig di Bonn, professore di lingue semitiche è autore di un eccellente dizionario ebraico. Nel commento da lui scritto sulla profezia di Ezechiele, Capitolo XXXVIII e XXXIX, giunto al primo verso del Càp. XXXIX egli gentilmente, ma fermamente, si ^ne ai cacciatori di profezie, che in ógni verso
Bibbia sanno leggere, scritta nel modo più lam-Sante, la condanna e la sconfitta dell’Inghilterra, della .ùssia o della Francia. Nel verso in questione, si legge: « La parola del Signore venne su di me e mi disse: Figlio dell’uomo, volgi la tua faccia contro Gog, la terra di Magog e il principale signore di Meshech e di Tubai, e profetizza contro di essi ». Poiché nel testo ebraico « il principale signóre » suona « nesi’ rosh », i fini segugi della critica biblica « ad usum delphini » hanno voluto vedere nella parola « rosh » una chiara allusione alla... Russia, e in tutta la profezia del capitolo, la condanna della Russia.
Non fa molta maraviglia che uno scienziato come il prof. Konig sia inesoràbile con questi profanatori della scienza — a cui ricorda come la Russia non appaia sulla ribalta della storia che nel sec. vii dell’era volgare: troppo tardi per essere maledetta da Ezechiele —; notevole è invece la sobrietà della sua conclusione: « Tuttavia per quanto in questi capitoli non si contenga alcuna predizióne sulla guerra, possiamo però riconoscere in questa profezia una pittura autorévole del progresso costante del regno della giustizia amministrato dal Giiidice del Mondò. La proclamazione di Ezechiele può, quindi, suonare per noi come l’assicurazione, che nella presente crisi Dio concederà la vittòria alla verità e alla giustizia ». Il prof. Konig non aggiunge che la verità e la giustizia siano il monopolio della nazione tedesca.
Titus» - William Turner and Alexander Simpson: « The phi-sical cause of the death of Christ» - J. M. Thompson: «The interpretation of John VI» - Frank Granger: «The Semitic element in the fourth Gospel» - E. R. Montgomery Hitchcok: « ' Every creature ’, not 'all Creation ’ in Romans VIII, 22 » - J. E. Me. Fadyen: «The mosaic origin of the decalogue. The second commandment ».
Record of Christian work. East Northfield, Mass. Maggio 1916. - K. Ibuka: «The coronation of the emperor of Japón » - J. R. Davies: « The message of John’s Gospel» -Franz Zeller: «A russian invasion » - ecc.
The modern churchman. London, vol. VI, n. 2; maggio 1916. - Canon Rashdall: « The ethics of coscientious objection» -«The religion of Shakespeare » -W. A. Cunningham Craig: «The outfit of a modern churchman » - John Gamble: «The indecision of Hamlet» - ecc.
The Harvard theological review. Cambridge, Mass. Volume IX, n. 1, gennaio 1916. - Crawford Howell Toy: « Thomas Kelly Cheyne » - Gilbert Reid: «Confucianism, an appreciation » - John F. Moors: « Ethics in modern business > - John P. Peters: «Hebrew psalmody» - Norman Wilde: «Scepticism and faith in the philosophy of Pascal » - Francis A. Christie: «The diary of an old New England minister » - Reviews and notices.
— N. 2; aprile 1916.-Francis Greenwood Peabody: « U-niversity preaching » - R. F. Alfred Hoernlé: « The religious aspect of Bertrand Russell’s philosophy » - George Harris: «The ethics of college students » - George P. Adams: «Mystery God and Olympian God» - Reviews and notices.
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Non farà maraviglia a chi si sia avveduto, almeno nell’occasione della presente guerra, che i professionisti della filosofia sono tra i meno capaci d’inibizione, di sano e sereno criterio, di self-control, forse perchè abituati appunto a trattare con le idee, meno assai massiccio dei fatti, e non sottoposti al controllo educativo delle conseguenze dannose di un errore di raziocinio, come avviene agli uomini di affari, d’industria e di altre professioni — di sentire che il prof. Wilhelm Wundt, il grande psicologo, partecipa in riguardo alla guerra, su cui ha voluto scrivere nel volume La vera guerra, la mentalità di un qualunque giornalista berlinese e di un qualunque ufficiale dell’esercito prussiano.
La presente guerra non è, per lui « vera guerra che da parte della Germania e dei suoi alleati, che combattono per la libertà e per l’indipendenza ». Gli Alleati, invece, « sono impegnati in null’altro che in una spedizione di saccheggio c di gara di menzogne, senza ombra di verità ». Per lui, « la preparazione militare della Germania fu solo difensiva, mentre quella degli Alleati fu offensiva: c il piano diabolico di annientare la Germania fu tracciato in Inghilterra ». Che l'elemento anche più colto della Germania sia tenuto nella compieta ignoranza della realtà delle vicende della Ìuerra, sembrerebbe risultare dalle parole con cui il
/undt cita, contro il contegno deir Inghilterra nella Suerra, il motto di Grozio: « La guerra non ha meno ella pace il suo codice di giustizia »; e con cui sentenzia:
< Non è già la Germania, bensì l’Inghilterra che ha violato questo codice usando le palle dutn-dum, e trattando come è noto le navi delle nazioni neutrali », e conchiude che l’Inghilterra sarà, a causa della sua condotta durante la guerra, espulsa dal novero delle nazioni civili, dopo aver pagato un’enorme indennità, aver ceduto un buon numero di colonie, e aver lasciato che la Germania divenga protettrice delle nazioni conquistate. I
Suale spettacolo patetico sta dando di sè l’Umanità... Filosofia.
Alla Gioventù Germanica — *• Cristo e la Guerra "
Il prof. W. Forster ha diretto alla Gioventù Germanica un opuscolo con questo titolo, da cui togliamo alcuni periodi: « Oggi l’umanità è giunta ad un punto in cui è assolutamente indispensabile un’azione reciproca di integrazione, di educazione e di aiuto fra vari popoli. Nessuna nazione è più in grado di compiere la sua missione senza l’aiuto delle conquiste della civiltà delle altre. La Francia ha bisogno della Germania e viceversa: la Germania ha bisogno dello spirito slavo, e la razza slava dello spirito germanico, ecc. ».
« Le singole razze non sono meno dipendenti fra loro di quello che lo siano fra loro i due sessi... Senza questa comunione d’ordine superiore, tanto un popolo quanto un’anima sono destinati a perire nella propria unilateralità. Soltanto nell’unione delle razze nascerà in
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I BAMBINI DEL BELGIO
Disegno di Racmaekers
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Disamo di Raemaekkrs
LE VEDOVE DEL BELGIO
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LA GUERRA
(Pubblicazioni] 489
noi il Cristo Universale... Noi dobbiamo divenire gli assertori e i propugnatori dei futuri Stati Uniti d’Europa. Rendiamoci il centro d’una profonda educazione reciproca di popoli... Rendiamo le nostre azioni completamente indipendenti, tacendole scaturire dalla coscienza della nostra propria civiltà... La generazione che combatte dovrebbe essere quella che, in mezzo all’inasprimento generale, elevasse l’anima verso grandi doveri da compiere per la civiltà e per la liberazione interiore, preparando così nel fondo dei cuori il ricongiungimento dei popoli.....
La filosofia Tedesca e la Guerra.
In un capitolo introduttivo al suo libro Filosofia e guerra, Emilio Boutroux il noto filosofo e membro dell’Accademia, studia i rapporti fra la filosofia tedesca e la guerra presente. Egli mostra anzitutto, che a torto i Tedeschi vogliono far risalire ai loro grandi filosofi la responsabilità dei principi che ispirano, al presente, la loro condotta. « Come è possibile conciliare la dottrina della nazione-capo (Herrenvolk) destinata dalla Provvidenza ad avere l’egemonia su tutte le altre, con la conclusione a cui giunge Kant nella sua filosofia politica, che cioè il diritto internazionale deve esser basato su una federazione di Stati liberi (auf einen fòderalismus freier Staaten)1 Non si può abbastanza ripetere, che i grandi maestri del pensiero tedesco furono idealisti innamorati della verità e devoti al trionfo dello spirito/ e che la loro opera offre una disapprovazione anticipata delle conseguenze che la Germania della presente generazione pretende di dedurre da essa ».
Tuttavia, egli soggiunge, questo rifarsi dei Tedeschi, ai loro grandi filosofi non è del tutto arbitrario, e le loro aberrazioni presenti e le ambizioni smodate sono alimentate da alcune dottrine da quelli propugnate. Fra queste, egli novera come una delle più efficaci, la fede nella superiorità affatto unica e quasi divina della razza tedesca e del Germanesimo. « Questa dottrina — egli dice — fu senza dubbio elaborata dalla filosofia di Fichte, il quale nel suo Reden an die deutsche Nation (Discorsi alla Nazione tedesca) dimostra che il popolo tedesco costituisce l’to più vero del Mondo, che s’identifica con Dio... ed anche che solo il Germanesimo è capace di produrre in questo nostro Mondo alcuna vera e genuina scienza o moralità.
« E se noi esaminiamo le grandi idee della filosofia tedesca, quali quella Egeliana dell’identità del razionale e del reale, nonché la teoria Egeliana dello Stato; la dottrina di Fichte della insussistenza di un diritto che non sia protetto dalla forza; la conclusione del Faust di Goethe: « Colui soltanto merita la vita e la libertà che deve conquistarle di nuovo, giorno per giorno »; il gran principio di Kant che l’io è costituito solo dal contrasto, c che l’essere si attua soltanto nella lotta contro il suo contrario; o anche solo la dottrina, così comune tra i filosofi tedeschi, che la colpa è la
Pubblicazioni pervenute alla Redazione
Dalla libreria Fischbacher di Parigi:
Paul Stapfer: Ce qui est vrai toujours... Opuscolo di pag. 38.
Pendant la guerre. Discours prononcés à l’Oratoire, à Lyon et à Alais. Volumetti 12° e 13® di 10a pagine ciascuno, L. ï,25 (ciascuno).
J.-E. Roberty: Pour l'Evangile et pour la France. Discorsi religiosi. Di pag. 133 L. 2,65.
Benjamin Vallotton: Fonds suisse romands en faveur des soldats aveugles en France. Articles et rapports-Lettres- Documents, ecc., L. 1,30.
J.-E Roberty: Nos raisons d’espérer (2 sermoni). L. 0,75.
Avec le Christ à travers la tourmente. Sermons d’un pasteur brancardier, pag. 127, L. 2,65.
A t. A
„ Dall’editore F. Battiate di Catania:
N. Tommasèo: Scintille. Traduzione dal serbo-croato con introduzione storico-critica di Luigi Voinovich. Prefazione di Giorgio D’Acandia. Pag. 96, L. 1,25.
Jules Destrée: Il principio della nazionalità e il Belgio. Pag. 72, L. 1,25.
A A A
Gio. B. Bruna: Wallenstein. Poema storico drammatico in tre atti. Milano, C. Barbini, ed. 1916. Pag. 95, L. r,5O.
• A A
Ed. Tagliatatela Posizioni nuove di vecchi problemi. (Estratto da « I diritti della scuola ») Roma, rçrô'
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Bl LYCHNIS
Antonietta Giacomelli: La coscienza cristiana e la guerra. Opuscolo di pag. 51, L. 0,30.
Relazioni del Comitato Massose di Mobilitazione e di A esistenza civile. Giugno-dicembre 1915. Pag. 45 in-8*>. L. 1 (a beneficio del Comitato di Assistenza civile).
a a &
V. Brandi Scognamiglio: Il superuomo. Napoli, studio editoriale • Eco della cultura ■. Pag. 39. L- f.25a A a
Lelio Fontana: Il carme ai popoli oppressi. Con introduzione di Terenzio Grandi, Torino. 1916.
a A a
Prof. R. Corso: Il ceppo nuziale. Saggio critico comparato (Società Romana di Antropologia), Roma 1916.
Prof. R. Corso: Per l'etnografia calabrese. Napoli.
a a a
Giovanni Montelatici: Storia delia Letteratura bizantina (324-*453)- Ulrico Hoepli, Milano, 1916. Volume rilegato di pagine 202, L. 3.
Bernardino Varisco: Know thyself. Translated by Gu-S"jlmo Salvadori. London, orge Alien and Unwin, 1915, Bel volume di 327 pagine.
prima forma di attività, la condizione, anzi il generatore, del bene, come la notte é la madre della luce : se noi meditiamo questi principi, troveremo che, benché, per se stessi essi esprimano soltanto vedute metafisiche, tuttavia essi si prestano ad applicazioni più q meno simili a quelle che i Tedeschi ne stanno oggi facendo.
« Per esempio, una volta ammessa l’identità del razionale e del reale, il passo alla giustificazione della realtà per se stessa, era molto breve. Heine ha detto che la Germania era un’anima in cerca del proprio corpo. Ed infatti, fin dallo scioglimento del Sacro Romano Impero di nazionalità tedesca, la Germania ha sempre aspirato all’unità politica come alla condizione indispensabile per stabilire il suo impero sul mondo. Ora, 1 tedeschi, persuasi insieme ai loro filosofi, che il pensiero è nulla a meno che non sia tradotto in realtà, e che lo spirito non può esistere che per mezzo della materia, sono giunti alla determinazione di effettuare questa attuazione... dimenticandosi che ciò che doveva realizzarsi era lo spirito. Faust, vedendo che l’idea pura non poteva soddisfare il bisogno profondo di vita, di attività, che egli sentiva, vende la sua anima per realizzare le sue aspirazioni. La guerra Sresente ha posto di nuovo in prima linea il problema el rapporto fra il pensiero e l’azione... ».
“Conversione» dei poeti Tedeschi.
Anche la Poesia ha frenato in Germania il suo libero volo e si è trasformata in un dipartimento del Ministero della Guerra. La sua produzione ha assunto fin dal principio della guerra proporzioni non meno impressionanti di quella dei proiettili e delle munizioni: critici tedeschi hanno calcolato che nel primo mese della guerra ben cinquanta mila poesie belliche si sprigionassero dal cuore — o piuttosto dal fegato — di altrettanti cultori non di Apollo ma di Marte, e che più di sei milioni ne fossero scritte (benché non tutte stampate) durante il primo anno.
Ma più che la quantità è degna di osservazione la qualità e il contenuto di esse, messo in rapporto con le idee e i sentimenti professati da coloro la cui arte aveva già preso una posizione ben definita nel campo letterario. Così é notevole, come osserva uno scrittore del New Statesman, lo « chauvinisme » assunto da uno scrittore e poeta umanitario quale Richard Dehmel; il patriottismo esagerato di un caratteristico profeta sociale quale Gerhart Hauptmann; la trasformazione di satirici quali il Wedekind e Ludwig Thoma, la cu satira si appuntava abitualmente contro le convenzioni sociali e gli eccessi d'autorità, in appassionati e docili servi della Vaterland; il selvaggio imperialismo di cui alcuni artisti dai sentimenti socialisti capitanati dal poeta, romanziere e drammaturgo Arno Holz, si sono ■ mostrati capaci non ostante il loro panteismo umanitario alla Whitman. « Ma — soggiunge lo stesso articolista —- l’avvenimento che ha cagionato la più grande soddisfazione a tutti i veri patrioti tedeschi è
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LA GUERRA
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l’apparente dissoluzione, salvo alcune notevoli eccezioni, di tutto il movimento Simbolista e Neo-Romantico. Agli occhi di un ordinario imperialista tedesco, Iualcosa di anti-germanico si trovava sempre al fondo i queste scuole poetiche: quindi la gioia con cui è stata accolta la così detta, conversione di Hugo von Hofmannsthal, Rainer Maria Rilke, Ernst Hardt, Franz Werfel, Richard Schaukal e di un’altra dozzina di meno noti; benché la decantata « conversione • non si riduca spesso che a una risoluzione generica di prendere la vita più sul serio, la quale non implica cambiamento d’ideali letterari e artistici. Ad esempio, un poeta del circolo di Hofmannsthal, Rudolf Schroder. scriveva tempo fa dal fronte a un amico: « Caro amico, promettiamo solennemente che l’avvenire, se noi vivremo abbastanza per vederlo, ci troverà migliori, più sinceri, più fraterni, più puri ». Ma le riviste « chauvinistes » si affrettano a vedere in queste dichiarazioni un sintomo del ritorno dei Romanticisti alla « deutsche Art »... Il solo poeta di valore che non ha fornito assolutamente argomento alcuno per formulare tale conclusione, cioè Stefan George, è al presente il poeta più impopolare della Germania... ».
CROCE ROSSA
LE MISSIONI CRISTIANE E LA GUERRA
Nella « Rassegna delle Missioni nell’anno 1915 • comparsa nel numero di gennaio deha International Review of Missions, l’editore menziona le gravi perdite dovute allo stato di guerra, che, in grado diverso, interessa tutte le regioni del globo: « L’opera delle Missioni tedesche in India e nel Camerini e delle Missioni inglesi nell’impero turco e nell’Africa Orientale tedesca è, per il momento presente, quasi interamente sospesa. In altri campi di Missioni la disorganizzazione è grande, il personale è stato fortemente ridotto e l’attività limitata. In tutte le Missioni, poi, ogni piano di estensione e di conquista ha dovuto essere rimandato, e si è adottata come regola generale quella della pratica della più rigida economia. Centinaia di uomini e donne consacrati alla grande opera hanno dovuto vedere il loro lavoro costruito con una vita di fatiche e di abnegazione portato via, almeno apparentemente, dalla fiumana. Ancor maggiore è il numero di quelli che hanno dovuto assistere alla demolizione dei loro piani, e al rinvio a tempo indefinito dell’attuazione delle loro speranze. Non solo, ma uno spirito di amarezza ha invaso anche i rapporti di quelli che sono uniti nel servizio del loro comune Signore, e il prestigio morale del Cristianesimo ha sofferto un colpo tale, dal quale non si riavrà per lungo tempo ». D’altra parte, vicino alle tinte fosche, vi è anche, nel quadro, qualche stria luminosa. La Rassegna, in fatti, continua: « Eppure, il danno recato all’opera delle Missióni non è stato così generale ed estremò come si sarebbe potuto prevedere. In vasti campi di MisLA CROCE SULLE BENDE.
La croce sulle bende è un piccolo segno di umanità. Una goccia di sangue buono, una goccia di quel sangue che si versò per la redenzióne delle genti.
Il simbolo cristiano è vivo di fiamma e d’amore. E la Croce Rossa lo ha portato in trionfo per i campi del mondo. V’è quasi nella piccola croce il segno della continuità d’una missione di bontà; tutto quanto d’umanissimo vi era nel martirio cristiano, oggi rivive sótto altri aspetti se non ugualmente eroico certo ugualmente e forse più altamente benefico. La croce sulle bende parla un linguaggio d’amore e di carità più sentito perchè più vicino all’umiltà della vita; e non v’è bisogno di fede per intenderlo, non c’è necessità di passione E ir apprezzarlo. Per questo là rocc Rossa ha potuto vincere le barriere di confine e le asprezze dei mali, per questo la Croce Rossa ha potuto e può ad ogni appello del dolore portare il suo esercito del bene all’opera pietosa.
Noi dovremmo meglio diffondere questo ideale umano, meglio far conoscere l’ufficio e l’importanza della Croce Rossa. L’ultimo gradino, nella statistica dei soci delle diverse Croci Rosse del mondo, l’ultimo gradino è occupato da noi, e persino la Svizzera ci avanza di più che cinque mila inscritti.
E pure quanti benefici non ha sentito l’Italia nelle sventure nazionali dall’attività della Croce Rossa; dalle campagne d’Africa all’epidemia colerica, dai terremoti del Mezzogiorno all’opera quotidiana dell’Agro, dalla guerra libica alla guerra attuale sono pagine meravigliose di abnegazione scritte
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BII.YCHKIS
dalla Croce Rossa, sono commoventi episodi di sacrificio, è tutta una quadrata e possente lotta contro il male combattuta con pochi mezzi ma con gran cuore.
La irriconoscenza è grande da noi ? Quanti dei nostri amici stessi, dei nostri parenti, non s'ebbero amorevole soccorso c forse anche la vita dall’opera della Croce Rossa. Ma chi ricorda il benefizio? Pochi, molti pochi, se ancora non si sente da tutti il dovere di inscriversi alla Croce Rossa.
E la nobile istituzione non richiede che un tenuissimo tributo, 5 lire annue. Con questa piccola quota si può esser soci della Croce Rossa, e rendere sempre più viva ed efficace la croce sulle bende.
Basta rivolgersi al Comitato locale e versare la quota di ire cinque e non si hanno altri obblighi. Là dove non vi sia Comitato locale, inviare le cin-Ìue lire al Comitato Centrale di toma, via Nazionale, 149.
LIBRERIA EDITRICE “ BILYCHHIS "
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(Novità} Frank Thomas: Les heureux. Etudes pratiques des Béatitudes. Pag. 18x; prezzo L. 3,25.
Sommario: Heureux! - Les humbles - Les affligés - Les doux - Affamés, altères de justice - Les miséricordieux -Les purs--Les pacifiques-Les persécutés - Le soleil levant.
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(Novità] J. E. Roberty: Pour l'Evangile et pour la France.
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Sommario: Les tourments de la guerre-I.es prières non
sione, quali il Giappone, la Cina e, eccettuate le Missioni tedesche, in India il lavoro è continuato per la maggior parte, nei modi consueti. In molti casi, la tribolazione sopravvenuta ha rivelato fedeltà che non si sarebbero sospettate, c stimolato sagrifizi non ordinari. È motivo d’incoraggiamento anche il fatto, che in molti campi di Missioni la circolazione delle « scritture » ha mostrato un aumento notevole superiore a qualunque altro precedente. In tutte le principali Missioni dell’Asia nuovi sforzi vigorosi sono stati fatti per far giungere il Vangelo alle popolazioni, ed essi sono stati coronati da risultati assai lieti. Mentre la guerra infuria su tutta l’Europa, in molte Missioni si è avuto un aumento pacifico di una vita più intima di comunità, un ravvicinamento maggiore dei diversi gruppi di Missionari, ed un progresso costante nel definire saggi metodi di attività missionaria... In tutto questo è facile riconoscere le tracce dell’opera dello spirito di Dio, e una garanzia che anche in mezzo alla dissipazione e allo strepito della guerra, la costruzione del Regno eterno della verità, della giustizia e dell’amore nel cuore degli uomini, procede ininterrottamente, benché silenziósamente... ».
Missioni inglesi e tedesche nell'india.
La situazione delle Missioni tedesche nell’india è divenuta estremamente diffìcile in conseguenza dell’ordine emanato nell’agosto scorso dal Governo dell’india di internare tutti i tedeschi, gli austriaci e i turchi in età da servizio militare: ciò che sottrasse a parecchie vaste missioni tedesche tutto il personale, lasciando sprovviste le scuole, gli ospedali ed il resto.
Però tale cimento ha fornito l’occasione, di una delle più belle testimonianze di cordialità cristiana fra ministri evangelici. Infatti un’adunanza del • Comitato Nazionale delle Missioni » nel quale sono rappresentate tutte le Missioni Protestanti dell'india, fu convocata nello scorso novembre, presieduta dal vescovo anglicano di Calcutta, allo scopo di « concertarsi sulle misure da prendere per provvedere ai bisogni delle Missioni (tedesche): dovere questo di massima importanza, non solo per impedire che in quelle Missioni sorgano risentimenti contro il Governo imperiale, ma ancor più quale saggio di spirito Cristiano, il quale può coltivare una calda simpatia fraterna per 1 colleghi nell’opera delie Missioni, pur senza offesa alla fedeltà ai poteri dello Stato ». Ed è veramente un documento degno di rimanere e di esser tramandato anche quando tanti proclami della presente guerra saranno passati in dimenticanza, l’ordine del giorno votato unanimemente dal Comitato.
• Il Comitato Nazionale delle Missioni... esprime la sua profonda gratitudine a Dio per l’opera disinteressata e per lo spirito di abnegazione dei missionari tedeschi nell’india alla quale si deve la fondazione non solo delle Missioni tedesche esistenti, ma anche delle più fiorenti Missioni inglesi. Il Comitato è per-
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suaso che le loro fatiche sono state interamente ispirate da una grande devozione a Gesù Crsto, e rivolte all’elevazione spirituale della popolazione indiana. Il Comitato deplora, e intende di sottrarre qualsiasi appoggio alle imputazioni che con tanta leggerezza sono state fatte contro di essi di essersi prefissi ulteriori motivi politici. Il Comitato riconosce la grave difficoltà della situazione, conseguenza della guerra, e apprezza con sentimenti di gratitudine il contegno di simpatia che ha caratterizzato gli atti del Governo nel provvedere ad essa. Nello stesso tempo, però, il Comitato deplora profondamente che le attività dei missionari siano state inevitabilmente interrotte, ed esprime a questi le proprie condoglianze per la loro attuale separazione dall’opera che tanto amano. Inoltre, il Comitato deplora che le esigenze della guerra abbiano condotto alla interruzione di quella cooperazione amichevole tra i missionari tedeschi e Sii altri missionari che formava la loro gioia prima ella guerra, ed esprime il voto ardente che, alla conclusione della pace quando a Dio piacerà, le condizioni politiche possano divenir tali da rendere possibile la ripresa di questa cordiale cooperazione nella impresa di estendere il regno di Cristo. Giacché è in questa cooperazione che si ritrova un grande motivo di sperare, che si compia la prima riconciliazione delle nazioni, al presente sì profondamente separate ».
Ecco un proclama che può presentarsi dinanzi al mondo, senza temere di venire saggiato col criterio discriminativo del Cristianesimo: « Gli uomini giudicheranno che siete miei discepoli, dall'amore che avrete gli uni per gli altri ».
ma...« —
L'IsIàm e il Cristianesimo al cimento.
« È la prima volta — dice il Zwemcr nel suo recente volume Maometto o Cristo — che il Cristianesimo si trova di fronte il mondo Islamitico nella sua interezza ». E il Contrade di Calcutta: « La guerra Balcanica cominciò a porre dinanzi al mondo musulmano, in tutta la sua nudità, il problema secolare della loro fede: a mostrare chiaramente dopo più secoli che l’IsIam non è un’espressione puramente verbale, corrispondente a comunità diverse e senza reciproci rapporti, ma una forza vivente di coesione spirituale c sociale, che unisce tutti i Maomettani in una unità indissolubile di speranze, di propositi, di doveri e di sforzi... Finora la fratellanza deirislam era stata un articolo fondamentale del loro Credo: ma ora... le sofferenze delle membra hanno ravvivato nel tutto il suo senso di un'unità organica».
Di parere contrario c il Muhammadi, che afferma: « mentre i Cristiani divengono sempre più uniti, nell'IsIam, purtroppo, siam tutti divisi ». Nel suo capitolo « La pienezza dei tempi nel mondo Islamitico », il Zwemer fa notare che dei 200 milioni almeno di Maomettani — di cui la quasi metà sono soggetti all'Inghilterra — circa 60 milioni sono in realtà degli
exaucées - Heureux les morts! - La marche en avant - Le désir de mourir - Le patriotisme de Jeanne d’Arc - La recherche de Dieu - Le doute -L’amour vient de Dieu.
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(Novità] Pendant la guerre. (Discorsi religiosi). Volumetto 12° di pagine 100, L. 1,25. Sommario: Qui est digne de Lui? (di N. Weiss) - La vitalité française (di J. Viénot) -Le prix du sang (W. Monod) -Heureux quand même: (J. Calas) - Luther et l’Allemagne contemporaine (Ch. Mened’Au-bigné) - L'anniversaire de la mobilisation (W. Monod).
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Pendant la guerre. Volumetto 130 di pag. 100, L. 1,25. Sommario: Rendez à César (J.-E. Roberty) - Pour les découragés (J.-E. Roberty) -Les causes ultimes: IV. Nobles et justes causes (L. Monod) - L’Oubli des morts â Viénot) - L’attente (E.
ulier) - Jusqu’au bout (J.-E. Neel).
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[Novità] Paul Stapfer: Ce qui est vrai toujours, di pag. 38, L. 1.
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[Novità] Avec le Christ d travers la tourmente. Sermons d’un pasteur brancardier. Pag. 127, L. 2,50.
Sommario: Prière - Comment expliquer la douleur humaine - La présence du Christ - Pour ne pas fléchir -Mon Royaume n’est pas de ce monde - Noël 1915 - Aimez vos ennemis - Prière.
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(Novità] J.-E. Roberty: Nos raison d’espérer. Deux serinons, L. 0,75.
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(Novità] G. Boissonnas: La foi mise à l'épreuve. Pendant la guerre 1915. Discorsi religiosi. Pag. 223. L. 3,75.
Sommario: L’homme, un soldat - Comment souffrir - Où est ton Dieu? - La foi disparaîtra-t-elle de la terre? - J'ai gardé la foi - I.es neutres et la conscience - Le rôle de la vérité - Le monde haï et vaincu - Aimer c’est vivre - La fatalité dans l’Evangile - Aux sans-abri -Contre le découragement - En souvenir des infirmières mortes au service de la France - Noël i9>5000
(Novità] Lanoë-Villène: Principes généraux de la symbolique des religions. Pag. 293. Sommario: I. Introduction:
1. Les origines. 2. L’évhémérisme. - IL Exposé des brinci pes généraux de la symbolique 1. La Trimourti et son symbole, l’Arc-en-ciel. La Trinité. 2. La lune. L’Ambroisée. Le Purgatoire lunaire. III. L’Inde.
1. Le Rig-Veda. 2. Les deux Trimourtis védiques. 3. I.a Trinité. 4. L’Arani, les Açwins. IV. L’Egypte. — 1. Les monuments, le livre des morts. - 2. La vache Hathor. Le Sycomore, Set et Horns. - 3. La Trinité. -V. L’Assyrie. — 1. L’Assyrie. — 2. La déesse assyrienne de Lucien. - 3. La Perse. - VI. Les Scandinaves et les Celtes. — 1. Les Scandinaves. - 2. Les Celtes - 3. Les Etrusques. -VII. Les Chinois et les Américains précolombiens. - 1. La Chine primitive. - 2. Le Mexi-Jue. - 3. Le Pérou. - VIII.
rèce (première partie). 1. Les Titans. - 2. La première Trimourti: Jupiter, Neptune, Plouton. Junon épouse de Ju-«iter. La deuxième Trimourti:
ulcain, Vénus, Mars.VLe bouclier d’Achille. - 3. I^a triade Latone, Apollon, Artémis. - 4. Mercure. - 5. Minerve. La
« animisti » semipagani; mentre al contrario parecchi milioni, specie nell’Egitto, nell’india e nella Turchia, hanno del tutto abbandonato la fede tradizionale dell’IsIam e correrò velocemente verso l’agnosticismo e la miscredenza: e che d’altra parte i loro progressi nel Brasile, nell’Abissinia e sopratutto nel Sud-Africa, sono impressionanti. Egli descrive la crisi sociale e intellettuale del mondo Islamitico, seguito dalla crisi politica non ancora terminata, che ha fatto perdere il prestigio alla Chiesa di Stato. L’urto contro l’Occi-dente per mezzo del commercio, della diplomazia e dell’istruzione, ha mutato intieramente le vecchie regole sociali, i costumi, gl’ideali: e il lievito del Cristianesimo ha cominciato a operare facendo sentire a molti degli stessi Islamiti le vere condizioni della loro civiltà. Sono i figli stessi dell’IsIam a denunziare l’immoralità della sua vita privata. Khuda Buksh dice nei suoi saggi: « I fanciulli Musulmani sono allevati in un’atmosfera velenosa. La Poligamia distrugge insieme la pace domestica e la purezza sociale ». Più solenne ancora, e quasi profetica, è la condanna della degradazione e disintegrazione dell’IsIam fatta dà un giovane Sceicco, già professore nell’università di E1 Azhar, nel suo recente opuscolo: Dove è l’IsIam?
« Ho ricercato l’IsIam nella Mecca, la più illustre città: non vi ho trovato che vino, adulterio, malvagità... Ho cercato l’IsIam a Medina, la inclita, ma non vi ho trovato che una popolazione miserabile che si lamenta della sua fame e nudità. Ho cercato l’IsIam sotto il governo della Sublime Porta, e vi ho trovato soltanto divisioni e partiti, con nomi e gradi innumerevoli, che evidentemente non erano che nomi e gradi diversi della stessa vanità e menzogna... Ho cercato l'IsIam nell’università di Azhar e vi ho trovato per capi e maestri coloro che professano inimicizie, odi, oppressioni: e nessuno è fra essi dotato di giustizia o equità... Ho cercato l’IsIam nelle Moschee, e ho trovato che la maggior parte di quelli che pregavano ivi, rubavano i sandali dei loro compagni di culto... Ho cercato l’IsIam nel cuore dei Sufis e dei seguaci della « Via » (mistici) e sperai contro ogni speranza di poterlo trovare almeno lì. Ma anche lì, tutto era in disgregazione e rovina. Trovai degli individui che prendevano hashish e narcotici, e tutta la cui presunta devozione si riduceva ad inganni ed a frodi... Ho cercato l'IsIam in tutte le parti del mondo, dall’oriente all’occidente e dal Nord al Sud, e non l’ho trovato... ».
Il Dr. Zwemcr aggiunge che «fra tutte le classi dell'IsIam e dovunque si ritrova un atteggiamento nuovo di fronte al Cristianesimo e alla Bibbia. Invece della passata arroganza e fanatismo, si trova buona volontà di ascoltare e di investigare: l’avvenire è pieno di speranze ».
Gli ultimi eventi e quelli forse anche più decisivi che si preparano anche per il mondo musulmano sem-, brano indicare che « i tempi non sono ancora pieni > e che, anziché di crisi dell'IsIam o del Cristianesimo, bisogna parlare di crisi dell’umanità.
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[Libreria] 495
A FASCIO
Il soldato che prega.
Il sig. Giuseppe Donati scrive, in una lettera alla illustre scrittrice Antonietta Giacomelli riportata <lal-V Azione « ...nelle eterne notti rigide... a neanche trenta metri dalle vedette avversarie, vigiliamo e resistiamo con una tensione nervosa che ha del sovrumano. Per non cedere al sonno e alla stanchezza, i miei soldati pregano. L’altra notte ho aiutato una vedetta a ricordarsi il Pater. Si scusava dicendo: — Me lo insegnò la mia mamma da piccino, ma morì troppo presto, e non l’avevo ben fissato nella memoria... — e piangeva, ed io ho pianto con lui.
« Il soldato che prega è più sensibile alla voce del dovere, intende e penetra di più le ragioni del sacrificio. — Badate — dicevo alle vedette... - che dalla nostra vigilanza dipendono l’onore della bandiera e la salvezza dei compagni che riposano aggiù in prima linea, alle nostre spalle. Guai ad esser sorpresi... — Mi rispondevano:—Tei ci conosce, signor tenente, noi vigileremo come se fossimo comandati da Dio... » E per questa forza spirituale noi ridurremo l’Austria a cedere... Vorrei, almeno in quel giorno (di Natale) poter tendere una mano fraterna a tutti quelli che vigilano contro di noi di là dal breve vallo conteso. Non potendo farlo, pregherò per tutti... Sento che una struggente brama d’amore mi prende tutto lo spirito... >.
Miliardi per la guerra e soldi per la pace.
«Al presente» — scrive Bruce Wallace sul Bro~ therhood di gennaio — • l’Inghilterra spende per la guerra circa 125 milioni (di lire) al giorno (quasi 4 miliardi al mese). Ciò significa per ogni sterlina di entrata, Ì(undici scellini, cioè i tre quarti dell’intera rendita ella nazione. Ora chi non ricorda quanto fosse arduo, prima della guerra, strappare anche solo un paio di soldi su ogni sterlina di reddito per salvare vite umane e migliorare le condizioni sociali? Se una generazione fa noi fossimo stati disposti a spendere solo la decima parte di quello che ora dobbiamo spendere per distruggere i nostri nemici per un’opera di ricostruzione sociale, quale magnifico livello avremmo raggiunto di civiltà, e quali splendidi tipi di uomini e di donne non avremmo ottenuto!
« Se i cleri di quasi tutte le Chiese che ora uniscono i loro sforzi per il reclutamento di giovani disposti ad immolarsi sull’altare del patriottismo, avessero con uguale zelo reclutato soldati per l’armata del Fratello e Signore universale; se le virtualità latenti di eroismo fossero state accaparrate a vantaggio degli ideali cristiani; e il fióre dell’impero e delle sue risorse fosse stato mobilizzato per l’esecuzione del programma di Gesù per la salute delle anime e dei corpi, non saremmo mai arrivati, come nazione, al punto in cui ora ci troTrinité au troisième terme collectif. - IX. Grèce (deuxième partie). 1. Vie de Bacchus. Cad mus. Voyages et conquêtes de Bacchus. L’Inde. La prédication a Thèbes; mort de Penthée; mort de Bacchus. - 2. Fête de Bacchus. - 3. Noms et épithètes de Bacchus. X. Grèce (troisième partie). - 1. Bacchus né de la cuisse de Jupiter. -2. Le Mythe de Zagreus. - 2. Les attributs de Bacchus. - 4. Couleurs symboliques de la Trinité. - 5. Le Dionysisme et le pouvoir civil. - 6. Morale du dionysisme. - 7. Cérès, Thémis, Iris. XI Les juifs et les chrétiens. 1. L’esotérisme de la Bible. - 2. La Trimourti, la Trinité au troisième terme collectif, la pierre. - 3. L’Eau et le vin. -4. Melchissédec.
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[NovitâJ John Viénot: Paroles Françaises prononcées à 1’0-ratoire du Louvre.
Sommario: La France nouvelle - Les « bons Français ■ -L’Allemagne et le Protestantisme - « Il faut opiniâtrer » -La Vitalité française - L'oubli des Morts - « La race élue, la nation sainte •
Vol: di pp. 180. In Italia: L. 2,50.
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[NovitâJ. Paul Stapfer: Les leçons de la guerre.
Fins de mondes - Ère nouvelle - Le Dieu de F Allemagne - La liberté humaine révélée parla guerre-Question de conscience - Sincérité - Mon dernier petit sermon de guerre -L’origine du mot « boche • -Sois bon.
Vol. di pp. 180. In Italia: L. 3,50.
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[NovitâJ Giulio ürbini: Arte Umbra. Vol. di pagg. vm-255 con numerose illustraziom. Prezzo L. 3.
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BILYCHNIS
O O O (Novità] H. Nazariantz: L‘Armenia. Il suo martirio e le sue rivendicazioni. Vol. di pag So. L. 1,25.
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(Novità] Romolo Murri: Camillo Cavour. Volumetto di pag. 87, rilegato. L. 1.
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(Novità] Jean Lafon: Evangile et Patrie. Discours religieux. Ili serie. Voi. di pag. 230. L. 3.75Sommario: Un capitaine (Lue. VII, 1-10) - Où est ton Dieu? -Guérison - Notre vie - Pour notre bien - La fuite en hiver -Les cheveux de notre tête -A quoi bon cette perte ? -Lamma Sibachthani ? - Les forces invisibles - La prière discrète - Humilité - Regarder en avant.
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(Novità] Mario Rossi: Giovanni Huss, l’eroe della nazione boema nel secolo xv (Conferenza) L. 0,40.
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(Novità) Alfred Loisy: Guerre et religion. Voi. di pag. 200. I - 3000
(Novità] Michelangelo Billia:
Le ceneri di Lovanio e la ■ filosofia dì Tamerlano. Pag.
Sommario: Perchè - Dopo settantanni - A Rodolph Euken S. agosto) - Dedica - Le ceneri
i Lovanio e la filosofia di Ta-merlano (6 novembre 1914) -Dovere, io, coscienza - La guerra all’Austria non è inevitabile (1 marzo 1915) - Noi facciamo la guerra alla Germania (giugno 1915) - Austria troppo vii nemico (1 luglio 1915)viam >, nel dilemma, o di una vittoria o di una sconfitta selvaggia — in ambedue i casi a prezzo spaventoso...
« La nota che più insistente risuona anche nelle nostre chiese è: « Signore, ti ringraziamo di non essere come altre nazioni ». ...Quanto sarebbe meglio se dalia nostra bocca risuonasse la preghiera: «Signore, abbi misericordia di noi, nazione ed impero colpevole, che abbiamo lasciato molti dei nostri figli implorare il pane, e le cui vesti non sono del tutto monde del sangue dei nostri fratelli —gialli, bruni, rossi e neri — da noi uccisi e che ora espiamo le nostre colpe... •.
Neutralità di ménte e di cuore;
Nella sua visita alle principali città degli Stati Uniti, il Presidente Wilson ha avuto occasione più volte di chiarire la sua politica di neutralità, ma mai forse meglio di quel che fece nel discorso rivolto ad un numeroso uditorio di ministri di diverse Chiese di New York, sotto gli auspici della Clerical Conference. Ai suoi circa mille uditori ecclesiastici, il Presidente Wilson dichiarò quale sia la sua posizione morale nella questione, dicendo che la neutralità è per lui affare di persuasione e di cuore. « io non posso trovare » — egli disse — «altro fondamento alla causa della pace che quello che si basa sulla giustizia senza spirito aggressivo. La più grande forza nel Mondo è il carattere, ed io credo che sia possibile mostrare questa forza sopra urta scala nazionale ». Egli soggiunse che parecchi pensatori americani sono stati presi da un senso di profondo scoraggiamento alla vista dei sintomi di una recrudescenza di antagonismo religioso: « Questo è sommamente pericoloso» — egli disse — «e attenta le radici stesse dello spirito americano. 'Come è possibile che persone che non si amano a vicenda possano amare la pace? Questi sono giorni di grandi responsabilità. In un’atmosfera cosi tesa come è possibile che una persona non dica altro che la verità? Noi qui siamo Spiritual-mente tutti uniti di mente e di cuore, e va qui formandosi una gran famiglia, la quale, credo nel mio cuore, darà esempio al Mondo di quei valori che elevano, purificano *e rinvigoriscono il genere umano».
Istinto di salvare la vita.
Il Brotherhood riferisce di un soldato in un esercito degli alleati, che mentre si trovava a guardia di alcuni prigionieri tedeschi in una trincea fu all’improvviso per il crollo di una porzione di questa, sopraffatto dalle macerie e sepolto vivo. E allora si videro i suoi prigionieri e nemici dimenticare i loro rapporti convenzionali, e ascoltando solo i loro istinti umanitari scavare la terra eoi soli strumenti che avessero, le loro mani e le loro unghie, e salvare la vita al loro « prochain l’ennemi ».
Giovanni Pioli.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma - Tipografia dell’Unione Editrice, Via Federico Ceai, 45.
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