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Anno 127 - n. 49
20 dicembre 1991
L. 1.200
Ultimo numero del 1991
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Gruppo II A/70
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delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
EST E OVEST
Le due
Europe
Il recente Consiglio europeo
tenutosi nella città olandese di
Maastricht, che ha sancito D futuro, graduale passaggio dal vecchio Mercato comune alla più
complessa Unione europea, è
stato ampiamente illustrato dai
mass media. Al di fuori delle
questioni più « tecniche », non si
possono non sottolinearne gli
aspetti più contrastati, relativi
alla moneta comune, all’evoluzione in senso federale ed alla politica sociale.
Anche nel campo della cosiddetta « difesa » armata, pur essendo prevista per il futuro una
politica comune, verranno rispettati gli obblighi assunti verso la
NATO, sancendo così una volta
di più la subordinazione verso
gli Stati Uniti.
Per quanto concerne l’Italia, i
nostri governanti si sono ufficialmente dimostrati soddisfatti e
persino entusiasti: sarà interessante vedere con quale impegno,
con quale serietà la nostra classe politica si adopererà a realizzare quel risanamento economico, finanziario ed istituzionale
(ma il punto di partenza non
può che avere un’istanza profondamente morale) che consenta
al paese in cui viviamo una
compartecipazione dignitosa.
Parallelamente a questo incontro, non particolarmente felice
od esaltante, non si può non
pensare per contro alla tragica
situazione deU’« altra » Europa
(o delle «altre» Europe), con
una Jugoslavia che continua a
dissanguarsi, con un’Albania che
è alla fame e con una ex Unione Sovietica che, procedendo nel
suo dissolvimento, sembra votata ad un frazionamento addirittura foriero di scontri armati:
quelli già avvenuti in Moldavia
ne possono costituire le prime
avvisaglie (ma si tratta di lotte
fra diversi nazionalismi o fra
gruppi di potere?). A tal proposito, che fine faranno quei 30.000
ordigni nucleari disseminati su
quel frantumato, immenso territorio? Oltre all’eventuale uso che
potrebbe venirne fatto localmente, come escludere che gli ordigni più « semplici » (mine, bombe, proiettili atomici) possano
venir rubati o ceduti a qualche
folle dittatore, per non parlare
di possibili terroristi internazionali?
Il sogno di Gorbaciov di creare una nuova Unione di stati
federati sembra definitivamente
tramontare e, con esso, lo stesso Gorbaciov. All’uscita di questo numero ne sapremo forse di
più. Si tratta in ogni caso di
un ben triste destino per un uomo che, pur fra mille difficoltà
e contraddizioni, aveva saputo
imporsi all’attenzione mondiale
con la sua politica della perestrojka.
Un quadro ben poco roseo
dunque, nel quale la neonata
Unione europea (occidentale) pare più che altro avviarsi verso
la costituzione di un’area di mercato dominata dal denaro (altro
che Europa dall’Atlantico^ agli
Urali!) senza essere sufficientemente portatrice di una fattiva
solidarietà verso l’Est in distretta.
« ...ora, in quella stessa regione,
vi erano dei pastori che
stavano nei campi
e facevano di notte
la guardia al loro gregge.
E un angelo del Signore si presentò
ad essi, e la gloria del Signore
rifulse intorno a loro
e furono presi da grande timore.
Ma l’angelo disse loro:
’’Non temete,
perché ecco, vi reco il buon annunzio
di una grande allegrezza
che tutto il popolo avrà: oggi,
nella città di Davide, v’è nato
un Salvatore che è Cristo,
il Signore.
E questo vi servirà di segno:
troverete un bambino fasciato
e coricato in una mangiatoia” »
|i' .'il,
J' ■
^ -iC' /'li.'
(Luca 2: 8-12).
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NATALE
Vi servirà un segno
i
Roberto Peyrot
Sarebbe interessante una galleria di
disegni sul Natale. La gran parte di essi certo rappresenterebbe i nostri sogni,
la nostra voglia di superfluo o, tutt’al
più, qualche immagine serena di vita
familiare. Il disegno dell’evangelista
Matteo mostrerebbe invece dei pagani,
in grado — loro soli — di veder sorgere la stella del vero Re; quello dell’Evangelo di Luca sembra più facile da
capire, con questa scena del bimbo povero tra poveri pastori. Povertà ce nè,
indubbiamente; è vero che all’epoca (e
purtroppo non solo allora) abitavano
in promiscuità con animali anche persone non proprio in miseria, ma qua
e là i particolari dei vari racconti parlano chiaro: « Non v’era posto per loro nell’albergo » (v. 7c; c’è da scommettere che gente benestante un posto
l’avrebbe trovato anche allora...); il sacrificio di due tortore o piccioni (2: 24),
che è appunto quello dei poveri, e si
potrebbe continuare. Ma la scena di
Luca ha anche un altro carattere: i pastori — di cui ammiriamo la povertà
’’evangelica”, umile e disponibile —
erano all’epoca persone non solo povere, ma anche disprezzate perché ritenute incapaci di adempiere gli obblighi della Legge, impure in forza del
loro stesso mestiere - (un mestieraccio,
che la gente per bene non doveva insegnare ai suoi figli); potenzialmente, per
qualcuno era colpa loro se Dio indugiava a mandar giù il Messia. Per Luca,
chiamati a incontrare il Signore sono
proprio loro, i ’’meno adatti” (e Luca
non è il solo a pensarla così: tra gli
antenati di Gesù, Matteo mette straniere e prostitute). Sarebbe interessante vedere come ognuno di noi disegnerebbe questa scena con persone di oggi.' Comunque, nella loro situazione, i
pastori sono liberi di sperare, sono capaci di stupirsi e di credere alle meraviglie di Dio; comincia quello che per
Gesù sarà un filo conduttore dell’esistenza: la gente da poco, o quella che
si riconosce tale per il suo bisogno di
perdono, gli offrirà amicizia e lo accetterà per maestro, mentre la sua buona
notizia rimarrà nascosta sia ai saggi sia
ai potenti, che sanno già come Dio debba muoversi e rifiutano un Dio "spaventoso” che gli strappa i loro privilegi.
E’ un discorso pericoloso, questo, che
potrebbe facilmente diventare l’elogio
della povertà rassegnata, o della miseria morale che giustifica se stessa col
pretesto dell’umiltà; e invece no. Nelle
stesse parole dell’angelo, che ha annunciato la nascita della redenzione, senza nemmeno esortare a una condotta
più degna, è implicito un richiamo: «Vi
servirà di segno », segno per cercare,
non solo per riconoscere; infatti i pastori scordano per un attimo il loro
gregge prezioso, camminano nella notte, senza la guida della stella — come i
magi di Matteo — ma seguendo questo
annuncio di gioia della voce misteriosa:
il Redentore è nato. Alzarsi dalla propria inerzia, saper abbandonare il proprio angolo di sicurezza, camminare
alla ricerca: è così che si incontra colui che un giorno dichiarerà beato chi
è povero, chi è affamato e assetato di
giustizia.
Gesù annuncerà tutte le sue beatitudini pensando a concrete situazioni di
povertà e ricchezza, di fame e sazietà, di
sofferenza e autoassoluzione. Il Regno,
la conoscenza di Dio, saranno un dono
promesso innanzi tutto a chi è straniero fra la sua gente, a chi è oppresso
e indifeso, a chi sceglie di lottare per la
giustizia; per chi ormai si è fatto largo
nel mondo così com’è, carpire tale dono
sarà più difficile che « per un cammello passare per la cruna di un ago ».
Anche il rimprovero del Signore:
« Lasciate quei bambini, non impedite
che vengano a me, perché di chi è come
loro è il Regno dei cieli », che tanto ha
fatto sognare di innocenza e docilità, è
l’annuncio della buona notizia a chi è
disprezzato e messo all’ultimo posto
(magari in attesa che cresca, che capisca, che prenda il suo posto nel mondo...). Bambini, poveri, malati, stranieri, donne, nella cultura giudaica dell’epoca non erano persone di pieno diritto. Forse questo ci urta nella nostra
sensibilità, ma è un modo di pensare
ben attestato.
Come loro, come i bambini, come i
pastori, è la gente debole, insignificante,
che non conta quella a cui Dio Padre
ha voluto rivelarsi e nella quale incontriamo Cristo stesso.
Qui non c’è distinzione fra la povertà dell’innocente, benedetta da Dio, e la
miseria morale o materiale di cui si è
responsabili col proprio peccato. I due
aspetti sono spesso intrecciati, e nel
nostro mondo ingiusto è ben difficile
che ognuno paghi per i peccati propri;
ma il bambino di Betlemme non è venuto a condividere la nostra vita e la
nostra morte per scindere le responsabilità, bensì a realizz.are la salvezza
ovunque una qualche miseria svilisca le
creature di Dio.
Tutta la Bibbia è come solcata da due
grandi linee solo apparentemente contrapposte: l’universale volontà di salvezza da parte di Dio e la preferenza
accordata al povero, al debole, al peccatore, aU’ultimo. Libertà e gratuità
non scatenano l’economia del capriccio,
la preferenza di Dio per gli ultimi ha
sempre sullo sfondo tutte le creature;
tutti infatti siamo chiamati a renderci
’’ultimi” nella dipendenza da Dio e nel
servizio fraterno; il povero che rivendica i suoi diritti, alla luce dell’Evangelo mi chiama a conversione, e quindi in
Carlo Chiecchi
Teodora Tosatti
(continua a pag. 6)
2
racconto
20 dicembre 1991
IL SENSO NASCOSTO DELLA FESTA
Quasi un Natale (anzi, lo era)
Lo spiazzo era troppo breve per
una comoda manovra, così il bus disegnò un cerchio stretto e voltò il
muso per imboccare il deposito poco
lontano. Era l’ultima fermata, per
quel giorno il lungo viaggiò dalla popolosa città più a sud era finito. Lungo il percorso il bus si era via via
sfoltito seminando i passeggeri che
già non erano molti fin dalla partenza (adesso le sottili furberie governative li chiamano clienti e subito
sono fiorite le battute critiche: da
passeggeri si viaggiava meglio a un
prezzo ragionevole, da clienti si viaggia peggio a un prezzo irragionevole).
Da un’ora era rimasto il solo a bordo e ora si salutavano con l’autista
come vecchi amici, quasi si fossero
fatti coraggio a vicenda nel solitario
tratto finale. Erano le quattro di un
pomeriggio grigio, freddo, piovoso,
nella sua tristezza molto simile agli
ingrati inverni padani che conosceva così bene. Raccattò il suo vasto
e sparso bagaglio, la valigia troppo
piena, la cartella con le cose di uso
minuto da cui non si separava mai,
mise su il cappottane, la sciarpona, il
cappellone, i guantoni... che fatica
muoversi in inverno con i mezzi pubblici! Controllò di non dimenticare
nulla (gli succedeva ogni tanto), infine scese: — ’Sera, lan —, smozzicò
all’autista. Ormai si chiamavano cosi,
confidenzialmente, anzi. Big lan, gli
disse egli stesso che così veniva chiamato a causa della sua mole imponente. lan il Grosso gli rifece il ver. so: — ’Sera, Marzio —. Ma non pronunciava bene il suo nome insolito
(dove l’avevano pescato, lui per
quanto ne sapeva non era nato di
marzo) e quindi una puntura di gelo
in più si insinuò in lui, il gelo di chi
si sente straniero, o è ritenuto tale, o
sernplicemente lo è.
Perse lo sguardo intorno, un po’
smarrito come sempre gli accadeva
in posti sconosciuti, cercando la casa
che l’avrebbe ospitato alcuni giorni.
Nessuno sembrava circolare nel minuscolo abitato, il tempo delle vacanze era finito da un pezzo, l’ufficio turistico chiuso, né ce n’era bisogno.
Lo soccorse Big lan da lontano col
dito puntato verso una stradina da
nulla. Ringraziò con un cenno e si
avviò.
La mente altrove, era
invaso dalla nostalgia...
La signora Rankine lo accolse con
un sorriso e il discorsetto di prammatica, breve ed esauriente, bene arrivato, ha fatto buon viaggio, si accomodi prego, si senta a casa sua, si
sistemi e scenda alle sei, la cena sarà
pronta. L’accompagnò di sopra nella
stanza preparata e per fortuna ben
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riscaldata, poi tornò alle sue faccende. Più tardi, trangugiando il pasto, Marzio la sbirciava, la mente altrove e gli occhi che senza motivo
sempre cadevano sull’orologio. Era
una piccola donna sui sessanta, che
si muoveva silenziosa e lenta — e si
sarebbe detto con curiosa circospezione — fra gli oggetti della casa. Osservandola, e pur senza ricordare in
quel momento nessuna persona cara,
si sentì invadere dalla nostalgia. Cos’era venuto a fare quassù, si disse
con furore, angolo fuori da ogni
flusso di visitatori che non fossero
gente che lo conosceva e lo amava,
o che ci capitava per caso o, più raro,
che sapeva del suo bel paesaggio. Il
periodo era il peggiore, vento, nebbia, neve. E poi a giorni sarebbe stato Natale... Natale, misericordia, lontano da casa, dove pure viveva solo,
ma la casa era la casa... con le sue
tranquille ovvietà, il senso del rifugio, della sicurezza... Ma quale Natale, quale casa... non aveva sempre
sofferto il sentimentalismo delle « feste »? Di più, non pativa continuamente. l’inguaribile smania del giramondo mai sazio e perciò sempre
frustrato? D’accordo, si può girare
tutto il mondo senza capirlo e capirlo senza girarlo, aveva letto tanti anni prima, e che stando fermi si conoscono cose sconosciute a chi viaggia... eppure non era forse arrivato
qui per la frenesia di indagare una
paginetta di storia locale che ignorava? Oh, al diavolo i viaggi, le storie e tutto il resto. Passerò qua il più
desolato dei Natali ma subito dopo
ripartirò per fare l’allegro Capodanno
con i soliti amici. Dài, non perdiamo
tempo, mettiamoci sotto a toglierci
il pallino di quella vecchia faida da
cortile...
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Una veduta di Glencoe Village.
La vecchia faida e
un caso di ingiustizia
La vecchia faida era un modesto
affare di ordinaria sonerchieria. Nella valle abitavano i MacDonalds che
avevano rifiutato di giurare obbedienza a Guglielmo d’Orange e un
manipolo di sgherri era stato mandato sul posto per regolare la Questione. Li comandava un Campbell,
di un’altra valle. Erano alloggiati
nelle case dei fieri ma ospitali Mac
Donalds. Ospitalità imposta? certo
trappola sanguinaria. Infatti nella,livida alba di due settimane dopo giunse la consegna di « estirpare quel
branco di ladri ». Molti riuscirono a
scampare, ma solo per morire assiderati sulle algide colline intorno. Era
il 13 febbraio 1692.
Nel villaggio di Glencoe (così si
chiama il posto dove Marzio si trovava) c’era poi il memorial di una
vicenda opposta, minore se si vuole,
e posteriore di ottant’anni. Un certo
James era stato accusato ingiustamente di avere sparato al fattore Colin Campbell che passava a riscuotere le tasse per conto del padrone.
L’assassino non fu mai scoperto (probabilmente un’uccisione per rapina)
ma James venne impiccato e tuttora
la cronachetta locale afferma che « il
mistero è irrisolto ». Certo ne è passata di acqua sotto i ponti e adesso i
due clan dei Campbell e dei MacDonalds vivono gomito a gomito in totale armonia e forse non sanno nulla
di questi precedenti se non leggendo
le pagine della loro piccola storia.
Un piccolo universo,
tanti piccoli universi
Ma l’episodio del 13 febbraio 1692
aveva acceso la fantasia di Marzio,
in preda a un impulso irrazionale.
Aveva accostato il 1692 della Glencoe
a un episodio diverso, la vicenda valdese di un quarant’anni prima: da
una parte, un inverno, dall’altra una
Pasqua, ma in entrambi i casi una
valle (o più di una), una coabitazione
forzata con l’identico disegno di sterminio... inoltre quel James impiccato
a torto, come oltre Atlantico sarebbe
accaduto a un oscuro personaggio
che l’immaginario collettivo trasformò in leggendario eroe celebrandolo
in una ballata popolare, erigendolo a
simbolo dell’ingiustizia programmata, in una terra di generosa acco
glienza per esuli di varia estrazione
ma anche patria di squilibri giudiziari, uguali sotto ogni latitudine...
Fu come una folgorazione: Marzio
leggeva in trasparenza i fatterelli di
un piccolo universo avvicinandolo
ad altri piccoli universi, ognuno con
la sua gente minuta ma resa epica
perché schiacciata. Un esame acuto
avrebbe forse smascherato l’ingenuità di quella lettura in filigrana, però
sul momento nessuna critica avrebbe
smorzato l’esaltazione che gli avvampava dentro. Si accorse di pensare a mezza voce: sì, valeva la pena
di fare questa bambinata, venire fin
qui per un minuscolo frammento di
umanità e poi scoprirla in fondo gemella o parallela ad altre umanità...
Nel cuore non avvertì più la stilettata che l’estraneità gli aveva inferto
aH’arrivo. Non si sentì più solo.
Un affetto un po’ aspro
che lo imbacuccava
Qualche giorno dopo fu Natale. Andò in chiesa con la signora Rankine,
rivide Big lan, conobbe la sua famiglia, altre famiglie. Benché non capisse tutto, la predicazione gli piacque, probabilmente più per propria
disposizione soggettiva che per efficacia oggettiva, culto lungo e solenne, più fastoso che festoso, ridondante di canti, preghiere e letture bibliche, toghe, tuniche, cappe multicolori. Non lo infastidì, al contrario lo divertì lo squittio dei saluti che si intrecciavano e degli auguri che si sprecavano, fra baci femminili e abbracci ostacolati da cappelli, cuffie, copricapi vari, e le vigorose strette di mano maschili con qualche pacca sulle
spalle. Lo imbacuccarono in un affetto un po’ aspro pari al loro ruvido
carattere (noi scozzesi siamo così, gli
dissero, e anche molto nazionalisti).
Sembrava proprio (?) Natale. Che lo
fosse davvero? Intanto era senza dubbio uno dei periodi per molti versi
più felici della sua vita.
Lo condussero nei dintorni. Con infinito stupore seppe che un certo pianoro si chiamava, incredibile, « Riposati-e-sii-riconoscente »! La sua gioia
fu immensa, mai nome gli parve più
consono al suo stato d’animo, gli fece ricordare una vecchia poesia evangelica, forse un inno, di quattro
sestine, ciascuna delle quali cominciava «Be stili my soul», calmati, anima mia: il nome del pianoro aderiva
perfettamente al Salmo 62 e alla
condizione interiore di Marzio. Prolungò il soggiorno dalla signora Rankine, nel frattempo divenuta semplicemente Betty: il Capodanno allegro con i soliti amici poteva aspettare, ce ne sarebbero stati altri, chissà.
Finalmente chiese a Big lan il biglietto del bus per tornare alla grande città da dove sarebbe giunto a
casa dopo un lungo viaggio. Su quello spiazzo troppo breve il bus stava
già girato dalla parte giusta, il motore ronfava. Era mattina presto, tuttavia stavolta un piccolo drappello
era venuto a salutarlo sbracciandosi
e baciandolo, ciao, torna, toma. Qualcun altro lo avrebbe accompagnato
per un tratto. Marzio e Betty deglutivano la commozione. Big lan rideva
fragoroso.
Renzo Turinetto
3
20 dicembre 1991
commenti e dibattiti
CONFERENZA ATTO SECONDO
Pace in Palestina
Oltre un mese e mezzo
fa era partita, tra molte
speranze, e molte chiacchiere, la Conferenza di pace per il Medio Oriente.
Arabi e israeliani finalmente allo stesso tavolo, si
diceva, con lodi a Bush
« invincibile Achille della
guerra del Golfo e ora della pace », e generali elogi
a una prontamente definita « nuova dirigenza palestinese » debitamente anglofona, moderata, saldamente di ceto medio e qua
e là pure cristiana. Un
trionfo.
A metà dicembre di tanto fumo è rimasto ben poco, e non c’è traccia di arrosto. Gli israeliani, tra un
pretesto e l’altro, la tirano in lungo (a gennaio scadono i quattro mesi di
« slittamento » delle garanzie americane a un prestito a Tel Aviv di dieci miliardi di dollari, e bisogna
in qualche modo arrivarci...), l’occupazione militare straniera sulla schiena
di un popolo che intende
vivere libero e in pace —
come il suo vicino e con
il suo vicino — continua,
e con essa continuano gli
arbitrari passaggi di mano
di terre, case, risorse idriche, la repressione che li
accompagna e protegge, la
resistenza popolare, le sofferenze, i lutti.
Se non intervengono drastiche novità proseguirà
indisturbata verso il suo
approdo la pluridecennale
politica di giungere a presentare come irreversibili
alcuni basilari fatti compiuti, acquisiti sul terreno
non in forza di un diritto
fondato e internazionalmente riconosciuto ma a
rimorchio di un funesto e
non eterno diritto della
forza. Essi significano semplicemente la colonizzazione forzata della Cisgiordania, di Gaza, il cui inevitabile risvolto — e necessaria condizione — è la riduzione della popolazione
palestinese a sacche di
gente dispersa e disperata,
privata d’ogni risorsa propria e finanche del diritto
al nome.
La posizione e le manovre negoziali israeliane sono, a tutt’oggi, rigida espressione di questa politica: la ventilata « autonomia limitata » degli « arabi residenti in Giudea e
Samaria » è incollata all’incrollabile postulato che
Israele non mollerà i territori, che le truppe resteranno, che gli insediamenti continueranno. E che
tutto questo non è negoziabile. « In cambio della
pace offro la pace », cioè
niente, dice Shamir. Azmi
Bishara, deH’Università palestinese di Bir Zeit, traduce: « E così, in cambio
della nostra accettazione
dell’occupazione non otterremo nient’altro che l’occupazione ».
La politica della attuale
delegazione palestinese,
sorta con esplicito avallo
dell’Olp, è chiaramente
quella di uscire da questa
stretta, un’operazione di
drammatica difficoltà e carica di rischi.
Sandro Sarti
DONNE E GIUSTIZIA
Patty Bowman
Quanti, tra qualche mese ma forse anche tra qualche giorno, si ricorderanno
di Patty Bowman? Probabilmente pochi e forse nessuno. Eppure di lei, del
suo corpo, delle sue abitudini e dei suoi incontri si
è detto e si è scritto moltissimo in questi ultimi
tempi. Patty Bowman, poco più di trent’anni, americana, non è stata solo la
protagonista di un processo-spèttacolo che la vedeva
nella veste di accusatrice
di uno dei giovani che, oltre ad un nome importante, ha ereditato anche un
po’ della storia d’Arnerica
dalla sua famiglia; è stata anche una donna coraggiosa, capace di sfidare il
clan Kennedy, ma soprattutto in grado di sopportare, oltre alla violenza già
subita, la seconda e penosa prova degli interrogato
ri e delle testimonianze
sostenute e rese durante
il processo che ha coinvolto milioni e milioni di
persone, e non solo americani.
Ora che tutto è finito e
che il nome di Patty
Bowman sta per essere inghiottito di nuovo dall’anonimato, se a qualcuno non
verrà in mente di fare della sua storia la trama di
un film o di un libro, non
resta che porsi ancora una
volta l’interrogativo che
più di altri ha lasciato
tutti senza risposta. I giurati, sei donne e due uomini, gli accusatori e i difensori, il pubblico presente al processo e i tanti
che lo hanno seguito attraverso giornali, radio e
televisioni, non sapranno
forse mai perché Patty
Bowman ha denunciato per
violenza carnale William
Smith Kennedy, quando
secondo il verdetto finale
della corte tale misfatto
non è accaduto. Ma allora, perché lo ha fatto? Perché ha accettato che di
quei tragici momenti di
quasi un anno fa si parlasse così tanto? Perché ha
accettato che avvocati, medici, giornalisti si occupassero delle sue mutandine
di pizzo, delle sue calze,
dei suoi genitali? Secondo
il difensore del giovane
Kennedy la tesi è una sola: Patty Bowman ha inventato tutto, nella villa
lussuosa dei Kennedy ci
è andata ma non c'è stata violenza, Patty era consenziente e tutto quello
che è avvenuto è stato deciso da entrambi. Secondo
Moira Lasch, che ha assistito Patty Bowman e accusato Kennedy la violenza c’è stata, proprio così
come è stato raccontato.
11 processo ha riconosciuto come valida la prima
tesi, ma i dubbi restano.
Alla fine, da questa vicenda non ne sono usciti vincenti solo i Kennedy, ma
tutti quelli che pensano
che se una donna se ne
va in giro di notte con uno
sconosciuto perde ogni diritto di reclamare e pretendere giustizia. La giustizia umana ha dato torto
a una qualunque Patty
Bowman allo stesso modo
in cui qualche tempo fa
Ila lasciato nella disperazione una famiglia e ha
proclamato innocente un
re senza corona.
Carmelina Maurizio
UNA RIFLESSIONE
Natale 1991
In occasione di questo Natale, vorrei parlarvi
di un uomo che nacque in una stalla,
un uomo che ha sofferto,
un uomo che non ha mai posseduto nulla,
un uomo che ha detto la verità,
un uomo che, dicendo la verità, ha dato
[fastidio ai potenti,
un uomo che, per mezzo della verità, ha
[turbato le coscienze,
un uomo che, per causa della verità, è stato
[condannato a morte.
Mi dicono che, in tempo di Natale, si deve parlare di Dio. Ed è bello parlare di Dio.
Quando si parla di Dio, non si disturba nessuno! In tempo di Natale, le persone perbene vogliono che si parli soltanto di Dio. Ma
io vorrei parlarvi dell’essere umano, di quest’essere misterioso che nessuno ha potuto
mai veramente conoscere e che Dio ha voluto rivelarci nella persona di Gesù Cristo.
Vorrei dire che, per conoscere Dio, si deve cominciare col conoscere l’uomo, perché
Gesù era un uomo.
Nel cap. Il della Genesi, si racconta la
'storia della torre di Babele. La gente di tutte
le razze e di tutte le lingue aveva trovato il
modo di fare un grosso accordo internazionale. Erano riusciti a mettersi d’accordo per
costruire una torre alta fino al cielo. C’era
stato anche un grande progresso nel campo
della scienza e della tecnica. Avevano fatto
delle scoperte che oggi possono sembrarci ridicole: usare mattoni al posto di pietre e bitume invece di calce. Ma puesto era bastato
per metterli tutti d’accordo: volevano salire
in cielo per diventare importanti.
Sappiamo tutti che la storia della torre
di Babele finì con un fiasco clamoroso. Però
la gente del nostro tempo ragiona ancora allo stesso modo. Più in alto salgono e più si
sentono importanti e più si sentono vicini
a Dio.
Che bello salire in alto! Che hello diventare ricchi, potenti e superuomini. Viviamo
in mezzo a superuomini che credono di aver
toccato il cielo col dito. E più salgono in alto e più diventano inumani.
La via di Natale è diversa. Qui non ci sono esseri umani che cercano di salire in alto
per diventare delle false divinità. C’è invece l’unico vero Dio che si fece uomo. Vorrei pertanto dirvi quanto segue:
Voi, gente perbene,
voi che siete nati in una clinica di lusso,
voi che abitate in case riscaldate e ville e
[palazzi,
voi che avete le mani profumate e vellutate,
voi non sapete più che Gesù aveva le mani
[del figlio di Giuseppe, il falegname.
Voi, 'gente perbene,
voi che viaggiate in automobile,
voi che avete il pane assicurato per domani,
voi che avete tutti i conforti della vita
[moderna
e tutti gli onori della società civile,
voi non sapete più che il Figlio deH’Uomo
non aveva neppure una pietra dove posare
[il capo.
Voi, gente perbene,
voi non conoscete più la verità sull’essere
[umano,
perché, in Gesù Cristo, voi non cercate altro
[che la verità su Dio.
Ma io voglio parlarvi dell’uomo, di questa carne che Dio fece sua in Gesù Cristo. Lo
hanno disprezzato così come molti di voi disprezzano i pezzenti. Ma era il Figlio di Dio
che si fece uomo. E nessuno potrà mai trovare Dio se non comincia col cercarlo proprio in quell’uomo.
Samuele Giambarresi
UNA LETTERA
AUGURI
Il disagio
delle CdB
Riceviamo e volentieri
pubblichiamo:
Poche volte, negli ultimi
anni, sono stato così amareggiato nel constatare la
difficoltà di dialogo tra le
Comunità cristiane di base
e la Chiesa valdese. Avevamo previsto momenti dj
caduta nel dialogo, di ripensamento, di scelte che
rimarcavano vieppiù le
differenze.
Ciò che non avevo previsto era la paura di dialogare, l’angoscia di sentirsi porre domande scomode.
E allora vorrei capire, essere aiutato a comprendere.
Quest’estate, per la prima volta, la presidenza del
Sinodo non ha risposto al
saluto inviatole dalla mia
comunità.
Semplice dimenticanza?
Lettere inviate a persone
che ricoprono incarichi
precisi nella Chiesa valdese, in cui chiedevamo momenti di dialogo fraterno
ed esprimevamo il desiderio di fare piccoli passi di
collaborazione, non hanno
avuto risposta.
Semplice dimenticanza
di persone gravate di molti carichi di lavoro?
Inviti rivolti a esponenti valdesi per organizzare
la presentazione dell’ultimo libro delle CdB italiane, su Gesù di Nazareth,
vengono glissati.
Medesimo atteggiamento
viene messo in atto di fronte alla proposta di aprire un confronto sui rispettivi percorsi di ricerca oristologica.
Semplice dimenticanza?
Veniamo invitati all’assemblea della FCEI per
portare un saluto e non
siamo invitati al confronto ecumenico organizzato
a fine novembre a Pinerolo.
Semplice dimenticanza?
Comincio a pensare di
no.
Nel 1977, a Milano, durante un incontro, Giorgio
Bouchard, con i toni a lui
consueti, profetava a Fran
Co Barbero e al sottoscritto, presenti per conto delle
CdB, che tempo dieci anni
saremmo confluiti nella
Chiesa valdese, o saremmo morti.
Dopo quattordici anni,
la penna scorre a tracciare
questa lettera: non siamo
morti, né siamo valdesi.
E' vero, la realtà italiana delle CdB è molto più
piccola di allora, ma vive,
e qualche settimana fa i
giovani delle CdB hanno
tenuto il loro primo convegno nazionale.
In questi anni, con le
nostre fragilità, abbiamo
costruito una rete di collegamenti tra CdB in 12
paesi europei.
E’ vero, però, ciò che osservava fraternamente Luciano Deodato su questo
giornale nel 1987, dopo il
3° Convegno europeo delle CdB: siamo un arcipelago variegato e frastagliatissimo.
Ma le difficoltà di dialogo iniziano quando inizia al vostro interno il dibattito sull’8 per mille.
Belle figure di donne e
uomini credenti si autocensurano o attendono il dibattito sinodale per esprimere il proprio pensiero,
per paura di aprire conflitti nelle rispettive comunità.
Altre figure motivano la
loro adesione al sistema
perché le pietre di cui sono
responsabili hanno da essere ristrutturate.
... Mi sovviene dì un
parroco cattolico il quale,
due anni or sono, mi diceva: ’’Già, bella forza voi
laici, tante parole ma poi,
quando la chiesa deve essere terminata e i debiti
sono da pagare, ve la squagliate e rimango solo io".
E infatti in quella parrocchia la gente non ricerca
più attorno alla figura di
Gesù, attorno all’utopia del
Regno che viene, al rapporto tra la mia vita quotidiana e la parola di Dio
lodata insieme ogni settimana. Ma per i battesimi,
matrimoni e funerali, tutti in chiesa, in quella chiesona che ha pure il riscaldamento sotto il pavimento. E il prete è contento,
ché riesce a pagare i debiti non coperti dal contributo dello stato...
E’ casuale la coincidenza
dei tempi per l’attuale difficoltà di dialogo?
Paolo Barrai
della CdB di Pinerolo
PREGHIERA
Redattori, collaboratori e tipografi augurano
un buon Natale e un felice anno nuovo ai lettori.
Dopo questo numero (l’ultimo dell’anno) usciremo nuovamente il 3 gennaio prossimo.
Buon Natale
E’ difficile dire buon Natale
quando un bambino nasce cieco.
E' difficile dire buon Natale
quando un bambino viene picchiato, martirizzato.
E' difficile dire buon Natale
quando un bambino viene sfruttato, costretto a
[prostituirsi.
E' difficile dire buon Natale
quando un bambino ha fame - sete - freddo
Sì, Dio nostro,
è difficile dire buon Natale
quando sappiamo che tuo Figlio,
il bambino Gesù della stalla di Betlemme,
sarà crocifìsso trentatré anni dopo.
Sì, Signore,
è difficile dire buon Natale
e credere che in quella nascita
che si concluderà in tragedia
risiede il cuore della tua speranza.
Allora, Signore, allora
dacci la forza di dire,
con la stessa fede dell'Uomo del Monte degli Ulivi:
« La tua volontà sia fatta e non la nostra ».
Così, può esistere un Natale di gioia su questa terra.
E soltanto così.
(da "Prier”, 1986)
4
4 attualità
20 dicembre 1991
L’ITALIA DEI REFERENDUM
Cinque milioni di firme per...
Fino al 14 gennaio prossimo potremo firmare uno o più dei 10'^quesiti referendari che una serie di comitati sta raccogliendo nelle segreterie dei Comuni, nelle cancellerie
di tribunali e preture, negli studi di notai, sulle piazze, agli stadi,
in fabbrica e negli uffici.
Da due mesi circa si è infatti
messa in moto una complessa macchina per la raccolta di almeno 5 milioni di firme per promuovere 10 referendum popolari per l’abrogazione
di altrettante norme legislative.
Come è noto, la nostra Costituzione prevede tre forme di referendum
attraverso le quali il popolo esercita
in modo diretto le sue prerogative di
sovranità: a) il referendum diretto
all’abrogazione di una legge; b) il
referendum diretto all’approvazione
di una legge costituzionale; c) referendum diretto all’approvazione di
leggi relative a modifiche territoriali
di regioni, province, comuni.
Nel nostro caso si tratta della
prima ipotesi. L’art. 75 della Costituzione prevede il referendum quando almeno 500.000 cittadini elettori
(o 5 Consigli regionali) sottoscrivano la relativa proposta. Il referendum non può riguardare le leggi
tributarie, di bilancio, di amnistia
0 di indulto, di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali.
Una volta raccolte, le firme vengono consegnate alla Corte di Cassazione la quale ne controlla il numero. Se questo è sufficiente la proposta viene passata alla Corte costituzionale la quale decide circa l’ammissibilità del quesito referendario.
La Corte costituzionale, con una
sentenza del ’78, ha esteso l’ambito
entro il quale il referendum deve essere considerato inammissibile affermando che non possono essere ac
colte le proposte di referendum che
riguardano materie eterogenee o
leggi che si rivolgano a norme di
contenuto costituzionalmente vincolante (come ad esempio le leggi derivanti dal Concordato).
Se il quesito passa il controllo di
ammissibilità della Corte, e se non
intervengono modifiche legislative
che vanno nel senso indicato dai proponenti l’abrogazione, il quesito è
sottoposto a votazione popolare.
La proposta di referendum si intende approvata se alla votazione ha
partecipato la maggioranza degli
aventi diritto e se su di essa si è raggiunta la maggioranza dei voti validi.
Nel nostro caso, se tutti gli scogli
saranno superati, potremo essere
chiamati a votare nella primavera
del ’92. Ma vediamo di quali proposte si tratta.
I referendum “Segni
II
Tre quesiti referendari riguardano il sistema elettorale italiano. Sono i quesiti del « Comitato
Segni », un comitato « per la riforma elettorale » che vede tra i
suoi esponenti di primo piano
Mario Segni (DC), Barbera, Bordon. Rodano (PDS), Bannella, Negri, Calderisi (radicali). Butto e
De Matteo (AGLI) oltre che, a titolo personale, alcuni liberali.
Questo comitato ritiene che « i
referendum sono rimasti l’unica
strada per smuovere il nostro sistema e muovere i meccanismi
che sono alla base della partitocrazia. Abbiamo visto che il Parlamento, a cui questo compito
spetterebbe, non ci riesce ».
Due di questi referendum riguardano il sistema elettorale
del Senato. Può sembrare strano
che uno stesso comitato proponga due referendum sulla stessa
materia, ma occorre ricordare
che la Corte costituzionale non
aveva ammesso in precedenza un
quesito sulla medesima materia
perché non chiaro. E i promotori si cautelano, nell’intendimento di modificare l’attuale sistema elettorale per il Senato della
Repubblica in senso nominale.
Attualmente i senatori sono
eletti con un sistema che solo apparentemente è uninominale. Vi
sono 238 collegi elettorali, ma
sono eletti 315 senatori secondo
un triplice sistema di assegnazione dei seggi: a) candidati che superano il 65% dei voti nel collegio; b) proporzionale corretta
(metodo D’Hondt) sulla base della somma dei voti restanti; c)
qualora non si sia potuto procedere all’assegnazione del seggio
in un collegio, si applica un terzo
criterio che è quello di assegnare
il seggio al candidato che abbia
avuto la maggioranza relativa dei
voti validi.
Il sistema elettorale del Senato
dovrebbe essere più correttamente definito come un sistema a preferenza bloccata. Infatti, a parte
i pochi collegi in cui il seggio è
assegnato al candidato col 65%
dei voti, la stragrande maggioranza dei seggi viene assegnata dopo
aver fatto una ripartizione in base ai voti dei seggi di ogni partito
e, all’interno di ciascuno di essi,
si fa una graduatoria tra i candidati dei vari collegi sulla base
della percentuale ottenuta da
ognuno, calcolata sui votanti.
La competizione avviene tra i
candidati dello stesso partito per
arrivare prima dell’altro nella
graduatoria regionale e non tra i
candidati dei vari partiti nel collegio.
Il Comitato Segni ha presentato due quesiti per ottenere
che le elezioni del Senato si facciano col sistema uninominale.
1) Quesito Galeotti (è stato
formulato dal prof. S. Galeotti). Se questo referendum passasse si avrebbe come risultato
che in ognuno dei 238 collegi passa il candidato che ottiene il maggior numero dei voti; quindi,
scartati i suoi voti, gli altri, regione per regione, servono per la
distribuzione dei 77 seggi restanti. E’ un sistema simile a quello
inglese.
Il suo effetto principale è audio di cambiare la logica della
competizione tra i partiti. Spinge
a concentrare i voti sui candidati più forti di ogni collegio.
2) Quesito Chimenti (è stato
formulato dal prof. Chimenti). Se
questo referendum passasse vi
sarebbero tre livelli di proclamazione: quello dove un candidato
raggiunge il 65% dei voti, quello
dei candidati a maggioranza relativa e quello del recupero nroporzionale. Rispetto al precedente si salva il criterio del 65%, ma
i voti dei vincenti contano per il
ricupero proporzionale. Questo
sistema favorisce le due coalizioni più forti e penalizza le forze
non aggregate in un polo.
Il Comitato Segni vuo^e modificare anche il sistema elettorale
dei Comuni. Attualmente ci sono
due sistemi: uno maggioritario
per i Comuni al di sotto di 5 000
abitanti, in cui si ha la possibilità
di dare preferenze a candidati di
liste diverse (il cosiddetto ”panachage”); un altro proporzionale
su liste di partito con preferenze
multiple solo aH'in^erno’ de'la
stessa lista (metodo D’Hondt)
per i Comuni che hanno più di
5.000 abitanti.
Il quesito, se approvato, estende a tutti i Comuni il metodo
maggioritario. Il risultato sarebbe che la lista che arriva prima
avrebbe tre quarti dei seggi, la seconda il rimanente quarto. Questo sistema spingerebbe i partiti
a coalizzarsi tra loro.
Comitato «Giannini»
Togliere le banche ai partiti:
è questo lo scopo di uno dei
referendum promossi dal Corid
(il Comitato per la riforma democratica presieduto dal prof.
Massimo Severo Giannini).
Non da tutte le banche perché il quesito referendario riguarda solo le Casse di Risparmio e le Banche del Monte, le
cui nomine sono in mano agli
enti locali.
Il quesito referendario riguarda la legge bancaria del 1938 che
attribuisce al capo del governo
il potere di nominare con propri decreti il presidente e i vicepresidenti delle Casse di Risparmio. Oggi il potere non è
più del capo del governo, ma
del ministro del Tesoro.
Il referendum riguarda 82 istituti di credito, che hanno 76.000
dipendenti, 4.500 sportelli ed una
raccolta di 185.700 miliardi di
lire (il 27% dell’intero Sistema
bancario italiano). Se il referendum passasse il potere di nomina tornerebbe alle assemblee
degli azionisti o al Consiglio di
amministrazione. Il potere di
controllo dello stato rimarrebbe,
ma le nomine sarebbero decentralizzate con meno possibilità
di lottizzazione tra i partiti di
governo.
Finirla con l’intervento straordinario nel Mezzogiorno. E’ l’obiettivo di un altro dei referendum del Comitato Giannini. Il
quesito referendario propone di
I referendum promossi
dal Partito radicale
I radicali, che più di tutti gli
altri hanno fatto dei referendum
un importante strumento di battaglia politica, presentano questa volta due proposte di referendum.
II primo riguarda l’abolizione
del Í; oanziamento pubblico dei
partiti.
Attualmente lo stato versa ai
partiti 83 miliardi suddivisi in
base alla loro rappresentanza
parlamentare. La proposta è
quella di abolire il finanziamento, sostenendo che essendo l’attività di partito un’attività di tipo associativo, devono essere i
singoli aderenti a pagarla.
Su questa proposta si è già
svolta una consultazione referendaria che è stata respinta dal
popolo.
Successivamente DP aveva raccolto un numero insufficiente di
firme per risottoporla al voto.
Quella dei radicali è dunque la
terza raccolta di firme in materia.
Il secondo riguarda la punibilità dei tossicodipendenti.
In gioco sono alcune norme
della nuova legge sulla droga che
riguardano le sanzioni penali per
chi si droga, il concetto di dose
media giornaliera e Tobbligo di
denuncia dello stato di tossicodipendenza da parte del medico
curante.
Se il referendum passasse i
tossicodipendenti avrebbero più
possibilità di evitare le pene
previste in caso di recidiva.
Il referendum non riguarda gli
spacciatori e il commercio delle droghe, ma unicamente la punibilità di chi ne fa uso. Si ispira al principio « educare, non
punire » e all’antiproibizionismo.
abrogare le norme della legge
64/86 che regola gli interventi
dello stato nel Mezzogiorno che
riguardano le opere pubbliche
straordinarie, gli enti post-terremoto, proroghe e concessioni finanziarie di vario genere.
Se il referendum passasse l’intervento nel Mezzogiorno sarà
limitato solo al sostegno dello
sviluppo economico, non potranno più essere prorogati fondi e
tempi di esecuzione dei lavori,
si avrà un maggior controllo sugli investimenti.
Abolire il ministero delle Partecipazioni statali. Questo referendum del Comitato Giannini
è addirittura sostenuto dal presidente della Repubblica Cossiga
e dal presidente del Consiglio,
Andreotti, che ha già presentato un disegno di legge in materia.
Il ministero che il quesito referendario vuole abolire è un gigante che controlla circa 1.000
aziende pubbliche. Creato nel
1956 per volere di Antonio Segni, Fanfani e Andreotti, il ministero — sostengono quelli del
Corid — ha immesso i partiti
nella gestione degli enti pubblici. I presidenti degli enti (definiti « boiardi di stato ») trattano direttamente col potere politico di cui sono emanazione.
Se il referendum passa si otterrà una riorganizzazione ed una
riforma delle imprese statali.
Controlli ambientali
e USSL
L’associazione ambientalista
Amici della terra propone poi
un referendum sui controlli ambientali delle USSL. Oggi la legge di riforma sanitaria affida alle USSL numerosi compiti di
controllo ambientale (inquinamenti, rumore, nocività nei luoghi di lavoro, salubrità degli alimenti, ecc.). Nella maggioranza
dei casi le USSL non sono messe in grado di effettuarli (o non
vogliono) per carenze di strumentazione e di personale qua
lificato. I promotori del referendum si propongono di togliere le
competenze alle USSL.
Se il referendum passa alcune competenze passeranno alle
Province, ma altre dovranno essere attribuite da una nuova legge ad altri organismi. Si crea
cioè un vuoto legislativo, che
non potrà rimanere tale perché
l’Italia ha degli obblighi derivanti dai vari regolamenti CEE sull’ambiente.
Condizioni
della carcerazione
Anche il PRI, tramite suoi
esponenti, ha elaliorato una proposta di referendum. Riguarda la
cosiddetta legge « Gozzini » sulla carcerazione. I promotori vogliono sopprimere quelle parti
della legge ritenute troppo permissive che riguardano la concessione degli arresti domiciliari, il lavoro esterno e i permessi
dei detenuti.
Se il referendum passasse que
ste cose non sarebbero più possibili e il carcere rimarrebbe
l’unica realtà per coloro che sono condannati per aver commesso reati penali.
Si vuole in questo modo contrastare la tendenza all’incremento della piccola delinquenza
perché « tanto non si rischia
niente ».
A cura di Giorgio Gardioi
5
:
20 dicembre 1991
attualità
SINODO DELLA CHIESA EVANGELICA
Quale futuro per la Germania?
Lo stato riunificato sconta i problemi derivati dalle diseguaglianze economiche e sociali: la strada della condivisione e i rischi di crisi del sentimento di appartenenza alla chiesa - Le indagini sui servizi segreti della DDR
Dal 3 all’8 novembre 1991 si è riunito a Bad Wildungen
(Assia) il Sinodo della EKD, (Chiesa evangelica in Germania). E stato il primo Sinodo della EKD dopo la riunificazione delle due Germanie e quindi il primo Sinodo al quale
le chiese territoriali dell’ex DDR hanno partecipato come
chiese membro a pieno titolo. Di fronte ai grandi problemi
economici, politici e sociali che la Germania riunificata deve
affrontare in questo momento, il tema centrale di questo
Sinodo è stato la questione della capacità da parte dell’economia di creare futuro.
La situazione sociale
La situazione attuale della
Germania è caratterizzata dal fatto che la frontiera che per 40 anni divideva il paese e molte famiglie non esiste più; c’è però
ora una frattura che, oggi più
che mai, divide i tedeschi della
parte Est dai tedeschi della parte
Ovest. Questa frattura è fatta di
disuguaglianze a livello dell’occupazione, delle possibilità economiche, dei servizi sociali, delle
infrastrutture; questa frattura indica chiaramente che non si può
riunificare facilmente e in poco
tempo ciò che quarant’anni di
storia dividono. Questo problema
si ripercuote naturalmente anche
sulla EKD riunificata, nella quale si incontrano ora due tipi di
chiese, non separate dalla loro
confessione di fede ma separate
da quarant’anni di esperienze in
due sistemi politici molto diversi tra di loro; si incontrano Quindi le chiese privilegiate e protette
della Germania Qvest e le chiese
sospettate, a volte emarginate
della Germania Est, di conseguenza chiese ricche e chiese povere. Le discussioni del Sinodo
della EKD di Quest’autunno sono un chiaro indizio che la EKD
come organizzazione nazionale intende accettare questa sfida e fare tutto ciò ohe le è possibile per
superare la disuguaglianza tra
Est e Qvest.
Il Sinodo della EKD ha cercato
di non dimenticare i vari legami
che esistono tra i problemi interni della Germania (problema
Est/Qvest, problema dell’immigrazione, neonazismo) e la prospettiva dell’Europa unita da un
lato e il grande problema dell’economia mondiale dall’altro. Questa visione più ampia è molto importante, perché ricorda che ormai il tempo delle soluzioni nazionali dei problemi è passato.
Nel fenomeno dell’immigrazione
abbiamo continuamente davanti
agli occhi che i grandi problemi
del mondo non rispettano le frontiere, e che noi non risolviamo
nulla cercando di proteggerci costruendo frontiere e nazionalismi,
ma solo iniziando a pensare in
Questa prosipettiva più ampia. Il
Sinodo della EKD colloca la sua
riflessione in questa prospettiva
allargata, succede però facilmente che poi i problemi davanti alla
propria porta oscurano in una
certa misura la visione più ampia.
Quale economia?
In questa prospettiva il Sinodo
della EKD ha discusso in quale
modo la politica economica possa e debba essere impegnata per
giustizia e pace.
In particolare la discussione si è concentrata sul sistema dell’economia sociale di mercato (Soziale Marktwirtschaft)
che caratterizza l’economia della
Repubblica federale tedesca. Günter Brakelmann, professore di
etica sociale e di teologia pratica
all’Università di Bochum, ha sottolineato nel suo intervento il
contributo del protestantesimo
all’idea e alla realizzazione dello
stato sociale, e conferma che una
riflessione approfondita con lo
scopo di aggiornare questo modello economico politico alla situazione cambiata è di conseguenza un compito specifico del
protestantesimo.
Gli interventi introduttivi erano tenuti da Manfred Smìnp ’^residente della regione Brandeburgo, un politico socialdemocratico,
da Werner Meyer, presidente della federazione dei sindacati, e da
Birgit Bretiel, presidente dell’organizzazione incaricata di districare i problemi di vecchi e nuovi
proprietari dei beni confisr-ati
dallo stato nel territorio dell’ex
DDR, cioè parlavano persone del
Naturalmente non tutta la popolazione della Germania, in particolare dell’Gvest. vede questa
situazione così. Molti non sono
disposti a condividere. Visto che
contro la soprattassa sull’IRPEF
chiesa. In alcune città della parte occidentale della Germania il
numero di questi casi è ultimamente raddoppiato. Questo fatto
indica chiaramente che per molti
l’appartenenza alla chiesa è diventata una cosa di cui si può
fare a meno, e il primo punto
dove di fronte aH’aumento delle
imposte si vede una possibilità di
risparmio è la tassa ecclesiastica,
che è volontaria.
Questo è un fenomeno sempre
presente in una chiesa di massa,
dove esiste una larga periferia di
membri di chiesa che non hanno
più nessun legame personale con
la loro chiesa. Non stupisce che
queste persone, di fronte alla solidarietà obbligatoria con la parte Est, risparmino sulla tassa
ecclesiastica per far quadrare i
loro bilanci privati. Di fatto la
EKD non sembra particolarmente preoccupata, anche se queste
cancellazioni abbassano le entrate delle chiese. Nella visione di
questo problema il presidente
uscente del Consiglio della EKD,
Martin Kruse, vescovo della chiesa di Berlino e Brandeburgo, e il
nuovo presidente, Klaus Engelhardt, vescovo della chiesa del
Baden, sono d’accordo. Nella nostra cultura occidentale, il messaggio della fede in Gesù Cristo
non si trasmette più automaticamente da una generazione all’altra, le persone sono molto più
sradicate e individualiste; la fede
è quindi meno una questione di
tradizione ma molto più che una
volta una scelta personale. Per
questo la chiesa deve diventare
più missionaria e questo significa
più viva, più aperta e più convincente. La chiesa dev’essere in
grado di spiegare perché vale la
pena impegnarsi nella chiesa; non
può più basarsi sul dato di fatto di
essere un fattore indispensabile
della cultura occidentale. 'Di conseguenza la chiesa deve continuare a considerare anche quelle persone che hanno lasciato la chiesa come potenziali interlocutori.
E’ questo un aspetto della vita
ecclesiastica che le chiese dell’Qvest devono imparare dalle
chièse dell’Est, che già da alcuni
decenni vivono in un ambiente
ateo.
Cambio di presidente
Anche il cambio del presidente
del Consiglio della EKD è una
conseguenza della riunificazione
della Germania. Martin Kruse
non ha più accettato la rielezione perché ritiene che il suo compito come vescovo della chiesa di
Berlino e Brandeburgo sia sufficientemente oneroso. Infatti la
sua chiesa è l’unica chiesa territoriale che deve realizzare al suo
interno la riunifìcazione, visto
che la nuova chiesa territoriale
comprende Berlino Qvest, che faceva parte della Germania federale, e Berlino Est e Brandeburgo
che facevano parte della DDR.
Kruse ritiene che, anche limitandosi al lavoro nella sua chiesa
territoriale, egli possa fare un
ottimo lavoro per l’organizzazione
nazionale della EKD. E così il suo
incarico passa a Klaus Engelhardt, vescovo della chiesa del
Baden, perché, come dice Kruse,
anche con la riunificazione la
chiesa del Wùrttemberg rimane
la chiesa del Wùrttemberg, e
quella della Sassonia rimane la
chiesa della Sassonia, la sua
chiesa è invece da riunificare.
mondo della politica e non della
chiesa. In tutti e tre gli interventi
veniva evidenziato che ormai è
arrivato il tempo in cui si deve
riflettere sull’aggettivo « sociale »
nel sistema economico della Germania. Per evitare che l’economia del libero mercato crei sempre maggiore disuguaglianza e ingiustizia c’è bisogno di cambiare
prospettiva. I più privilegiati devono condividere con i meno privilegiati; i più privilegiati devono abituarsi all’idea della ridistribuzione dei loro privilegi; deve nascere un senso di solidarietà che
si esprima concretamente e materialmente. Un esempio concreto
è la soprattassa sull’IRPEF in so.
lidarietà con la parte oriéntale
della Germania, che i tedeschi
dell’Qvest devono pagare in questo momento. Anche la EKD stessa cerca di liberare dei fondi per
creare uguaglianza tra le chiese
dell’Est e quelle dell’Gvest, in
primo luogo per creare uguaglianza tra gli stipendi dei dipendenti delle chiese, in secondo
luogo per aiutare a risanare gli
edifici ecclesiastici. Questo non è
un piccolo intervento nel contesto Est-Qvest in Germania. Ricordiamoci che le chiese in Germania (compresa la diaconia) sono un datore di lavoro non indifferente.
Da sinistra il nuovo presidente della EKD, Klaus Engelhardt con il
vicepresidente Johannes Hempel, vescovo luterano di Dresda.
Il peso del passato
Crisi fiscale delle chiese
in solidarietà con l’Est non possono fare nulla, perché è leggQ
dello stato, hanno pensato di ri.sparmiare almeno la tassa ecclesiastica e hanno chiesto la cancellazione da membro della loro
Un’altra ombra che la riunifìcazione butta sulle chiese è data dalle indagini sul coinvolgimento
delle persone, nel passato, nei servizi segreti dello stato della DDR.
Inglobando il territorio della
DDR, la Repubblica federale tedesca ha ereditato anche l’archivio dei servizi segreti della DDR,
e da allora si scava in questo archivio. A mio avviso questo scavare nell’archivio dei servizi segreti dell’ex stato della DDR è, insieme ai processi contro i soldati di
leva che dovevano fare servizio
alla frontiera tra le due Germ^
nie e avevano la sfortuna di dover fermare un fuggiasco, uno
stato che aveva bisogno di fare
spionaggio nella Germania federale non esiste più. Se invece
non possiamo controllare la nostra curiosità e dobbiamo rivangare il passato delle persone, allora manifestiamo soltanto che la
riunificazione non è stata riunificazione, ma conquista, la rivincita del sistema occidentale su
quello della Germania dell’Est.
Purtroppo questa questione coinvolge anche la EKD e le chiese
della parte orientale della Germania, perché la proposta di
legge riguardante le indagini
sul passato delle persone prevede anche indagini sui funzionari
ecclesiastici e su persone che
hanno accettato incarichi volontari nell’ambito della chiesa di
una certa importanza, come ad
esempio essere membro del Sinodo della EKD. Il Sinodo della
EKD ha reagito prontamente proponendo la formazione di una
commissione riconosciuta dallo
stato che si frapponga tra gli organi statali incaricati delle indagini ed il singolo. Questa commissione dovrà esaminare, all’interno della chiesa, se sospetti ed
accuse contro persone nella chiesa sono fondati. Suppongo che
questa commissione debba servire sia per difendere le persone
nella chiesa, sia per difendere la
chiesa contro il sospetto di essere
rifugio di ex agenti dei servizi
segreti della DDR.
Non è stato un Sinodo di grandi vittorie, ma piuttosto del
prendere visione di vari problemi. La situazione attuale in Gerrnania ha pesato sul lavoro del
Sinodo della EKD, del resto non
può e 'non deve essere altrimenti.
Al tempo stesso il grande realismo nell’analisi della situazione
attuale da parte del Sinodo e le
proposte concrete per affrontare
i vari problemi mi sembrano segni incoraggianti per un impegno
serio da parte delle chiese tedesche e per la capacità del protestantesimo tedesco di dare un
contributo significativo di fronte
ai problemi della Germania riunificata, anche nella prospettiva dell’Europa unita, da realizzare nei
prossimi anni.
Klaus Langeneck
dei capitoli più squallidi della
storia della riunificazione. A volle avrei desiderato’ che quando è
crollato il muro di Berlino questo archivio fosse crollato insieme. e molti in Germania, stufi di
sentire ogni sera al telegiornale
altre notizie sul coinvolgimento
di qualcuno nei servizi segreti,
hanno lo stesso desiderio. Se celebriamo la riunifìcazione, se siamo
contenti che quell’infame frontiera non esista più, se non vogliamo far finta che quarant’anni di
storia della DDR erano soltanto
un errore che finalmente viene
corretto, allora distruggiamo questo archivio senza leggerlo. Lo
TEMPO DI
ABBONAMENTO
Tra le scadenze di dicembre vi è anche quella dell’abbonamento al nostro settimanale. Per la redazione l’arrivo dei conti correnti è un
incoraggiamento a far meglio.
Ricordiamo che si può rinnovare l’abbonamento versando la somma sul ccp 20936100
intestato a AIP, via San Pio
V n. 15, 10125 TORINO e Scegliendo tra le seguenti tariffe;
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Ordinario (via aerea) L. 150,000
Sostenitore L. 170.000
Semestrale L. 45.000
6
fede e cultura
20 dicembre 1991
’STUDI DI TEOLOGIA”
UOMO E AMBIENTE
La salvezza ieri e oggi
Un numero monografico della rivista cerca di rispondere agli interrogativi sull evangelizzazione e sull’essere missionari oggigiorno
Un pizzico
di fiducia in
■ ^
piu
La rivista Studi di teologia (1)
si è conquistata ormai uno spazio ben preciso nell’ambito degli studi teologici, se è vero che
pubblicazioni specializzate non
esitano a far riferimento ad essa per documentare un modo
ben preciso di porsi di fronte
alla verità biblica (2).
L’ultimo numero è, come di
solito, monografico e si occupa
del tema della salvezza (3) con
una serie di contributi di aree
teologiche diverse. In appendice
vengono riportate le conclusioni del Colloquio di Willowbank
(Bermude, incontro fra esponenti fondamentalisti, 1989) sul
problema della salvezza del popolo ebraico.
Ma « ha ancora senso parlare
di evangelizzazione e di missione? — si domanda neil’introduzione Pietro Bolognesi —. Non
c'è forse una vera parola di Dio
anche nei libri sacri delle altre
religioni? Gesù non agisce forse anche fuori delle chiese cristiane? Non si può essere missionari anche senza Cristo? E’
possibile ammettere dei momenti di grazia anche in seno ad
altre religioni? Sono veramente
perdute le persone senza Cristo? » (p. 143). In definitiva «il
tema della salvezza o della perdizione non è più di moda. Esso
è ormai per molti una di quelle
questioni anacronistiche che sopravvivono solo per pochi nostalgici » (p. 143).
A questi dubbi, a questo scetticismo dilagante e a questi interrogativi intende rispondere
appunto questo numero della rivista. Dopo una iniziale indagine, ampiamente documentata,
sulla « Via della salvezza nell'Antico Testamento » (Pietro Bolognesi, area fondamentalista) ed
una altrettanto valida, chiara ed
esauriente esposizione circa la
dottrina della salvezza nel Nuovo Testamento (Bruno Corsani,
docente di Nuovo Testamento
e di greco alla Facoltà valdese
di Roma), viene esaminato da
Paolo Castellina (pastore della
Chiesa evangelica riformata svizzera) il tema della « salvezza di
Israele, cosi come prospettato
in Rom. 9-11 ». Ma il punto nodale della discussione — quello
cioè della dannazione eterna di
coloro che non sono in Cristo — viene affrontato nei saggi
di Bauckham {« Uno sguardo storico sull'universalismo » e di
Packer (« Gli evangelici e la via
della salvezza»).
Le scuole di pensiero’ presenti in campo sono sostanzialmente tre: il biblicismo fondamentalista che tende a distinguere
nettamente fra salvati e perduti, nella convinzione che la salvezza sia riservata soltanto ai
credenti cristiani (« Neghiamo
che una fede non cristiana possa, come tale, condurre alla vita
eterna con Dio ») (4); l'universalismo — o apocatastasi o restitutio — come salvezza finale di
tutti, salvati o dannati, che risale in parte a Clemente Alessandrino e soprattutto a Origene;
il condizionalismo — o annichilimento dei reprobi — sostenuto dai testimoni di Geova, dagli
avventisti e dalla Chiesa universale di Dio di Armstrong (p. 240,
n. 12).
L'universalismo ebbe come teorici nel secolo scorso lo Schleiermacher e, nel nostro, Robinson
e Hick. Quanto a Barth e Brunner né l’uno né l’altro possono
considerarsi universalisti in senso stretto, anche se « entrambi
(...) hanno considerato la salvezza finale come una possibilità
che non può essere negata (sebbene non la si possa asserire
dogmaticamente) » (p. 218). Secondo Robinson invece il N.T.
contiene due miti escatologici:
la restaurazione universale (universalismo o salvezza per tutti)
e la divisione finale in salvati
e perduti.
Ma dove Brunner dà ad entrambi la stessa importanza,
Robinson asserisce che essi rappresentano « i due lati della verità che è in Gesù. Sebbene entrambi siano verità, [la restaurazione universale] è la verità come è per Dio e come è per la
fede dopo il momento della decisione; l'altra [paradiso e inferno] è la verità come deve essere davanti al soggetto che sta
di fronte alla decisione» (p. 221).
Il saggio di Packer prende in
considerazione, e confuta con abbondanza di citazioni bibliche,
sia l’universalismo sia il condizionalismo per sostenere la tesi
tradizionale della dannazione
eterna degli "esclusi”.
In definitiva, nell’attuale dibattito fra esclusivisti e inclusivisti
(5), gli ’’evangelici’’ si collocano
fra i primi: tenendo conto comunque che, secondo la classificazione proposta dal prof. Bolognesi, per "evangelici" si dovrebbero intendere solo i gruppi fondamentalisti (evangelicals), chiaramente distinti e distinguibili
dai "protestanti riformati”, cioè
dalle "chiese classiche” della
Riforma ("magisterial reformation”: calvinisti, luterani, chie^
se evangeliche riformate, valdesi, metodisti ecc.).
Numero tutto da leggere, da
meditare e da discutere p>er la
ricchezza della documentazione
bibliografica e per l’obiettiva ricostruzione delle diverse tesi: e
sarebbe grave e imperdonabile
peccato di omissione non dare
il dovuto peso a una pubblicazione del genere. Proprio in vista
di ima più intensa promozione
di rapporti e di scambi interdenominazionali occorrerà infatti
cercare di caratterizzare l’attività dei "protestanti” di oggi con
aperture verso problematiche legate ai gruppi e alle chiese che
intendono richiamarsi all’Evangelo e ai principi scritturali della Riforma.
Paolo T. Angeleri
Un libro (dal tono ’’controcorrente” - La specie umana vista come un esperimento recente
‘ Pubblicazione semestreile. Direttore: Pietro Bolognesi. Direzione e amministrazione: via J. delia Quercia 81,
35134 Padova. Abbonamento annuo L.
16.000.
^ Si veda il Dizionario di teologia
fondamentale, Assisi, Cittadeila, 1990;
l'articolo sulla « verità » cita un saggio apparso in Studi di teologia.
’ « La salvezza ieri ed oggi », n. s.,
3 (1991), n. 2, pp. 143-269, L. 9.000.
* Dichiarazione di Wiiiowbank, art.
1.7 (p. 253).
* Cfr. Enrico Peyretti, « il cristianesimo e ie altre religioni », in La Luce,
15 nov. 1991, p. 16.
La riflessione ecologica è spesso accusata di catastroflsmo e
i suoi profeti di essere soltanto
profeti di sventura. Questo libro ' è, invece, gaio, ottimista,
fiducioso sulla possibilità della
specie umana di imparare a convivere in modo sano e coerente
con il pianeta che la ospita.
L’autrice è una scienziata « anomala » o eccentrica, dato che
ha abbandonato il lavoro accademico per proseguire la sua ricerca in un luogo incantevole della Grecia, tra una foresta e il
mare. Così come è da considerarsi « anomalo » ed eccentrico
J. E. Lovelock, il fondatore della « teoria di Gaia », perché vive e lavora nella campagna del
Devonshire, lontano dalle università e dalle grandi organizzazioni di ricerca. In questo quadro
non istituzionale è nata e sta
maturando la teoria secondo cui
il nostro pianeta e le sue creature costituiscono un unico sistema autoregolantesi cioè, di
fatto, un grande essere vivente,
un organismo a cui è stato dato da questi scienziati un nome
che, riprendendo quello della dea
della Terra nell’antica Grecia,
suona per noi augurale: Gaia.
In questo organismo la specie
umana è un esperimento recente. Infatti, se potessimo comprimere i quattro miliardi e mezzo di anni di esistenza della Terra in sole ventiquattro ore, troveremmo gli esseri umani solo
nell’ultimo minuto, e soltanto
nell’ultimo secondo le loro società stanziali. In fondo, abbiamo
appena incominciato a diventare umani, siamo un’umanità
bambina o, forse, già nella fase
dell’adolescenza, e magari proprio per questo siamo ancora
immaturi, divisi tra pulsioni di
morte e di vita, tra istinti di
competizione e desiderio di cooperazione. Oggi non possiamo
affermare con certezza se sopravviveremo o se Gaia dovrà fare
a meno di noi, ma è certo che
oggi possiamo fare una scelta
decisiva per il nostro futuro:
Vi servirà un segno
(segue da pag. 1)
realtà mi trasmette la speranza e mi
dona qualcosa di sé.
Non basta; al Dio della Bibbia non
interessa una giustizia esteriore, fatta
di buona condotta e in cui ciascuno ha
quello che si merita: gli interessa la salvezza a tutti i livelli, ed è libero di realizzarla dove secondo noi non varrebbe
la pena, dove non vediamo più neppure un barlume di speranza, libero di
cercare per tutto il creato tutte le sue
creature. Dalla sua libertà dobbiamo
sempre aspettarci delle sorprese, sapendo che il suo amore gratuito non ci
abbandona alla passività, ma esige come primo passo la ricerca della giustizia, senza la quale la fraternità è ipocrisia e la pace è oppressione.
Per i discepoli di Cristo non si tratta
dunque di un impegno facoltativo, per
il tempo libero; si tratta prima di tutto
di accogliere il dono dell'amore di Dio
e in secondo luogo di essere solidali coi
fratelli che egli predilige; soprattutto
nei nostri paesi, dove la ricerca del superfluo e della sicurezza economica
sembra giustificare qualunque forma
di disinteresse per i più deboli, per un
cristiano è indispensabile scegliere una
vita povera.
La miseria e il dolore ci sfidano ad
andare al fondo della nostra vocazione
cristiana. Un Dio incarnato, e incarnato
in un bambino del popolo, ci mostra la
realtà di quello che tanto spesso proclamiamo in teoria: non c’è amore di
Dio senza amore del prossimo, e viceversa.
Non ci viene chiesto di rinunciare a
pensare, di occuparci solo di povertà
materiale, abbandonando quella tradizione di cultura e di riflessione che è
stata essenziale alle chiese nate dalla
Riforma; anzi, proprio oggi, bisogna insistere su questo amore per la ricerca,
per poter agire in maniera efficace; altrimenti si finisce col ripiegarsi sulla nostalgia o si cede alle soluzioni autoritarie o semplicistiche che ci vengono propinate da tutte le parti.
Si tratta però di riflettere e studiare
riportando la cultura religiosa al livello
dei più poveri, restituendo la passione
per la ricerca a tante nostre comunità,
che ormai non sanno leggere la parola
di Dio per la loro vita di tutti i giorni
e si accontentano di formule; e non bisogna fermarsi alla riflessione; occorre mobilitare la nostra fantasia e le nostre risorse, spesso superiori a quanto
non si creda; possiamo davvero parlare
di un mondo nuovo se abbiamo perso
ogni speranza di risolvere nella nostra
città i problemi dei barboni, o dei malati di mente, o dei...?
Come dice G. Gutiérrez: « Preoccuparsi di dove dormiranno i poveri ci
mostrerà come in effetti non sia possibile separare l’amore per Dio e l’amore
per il prossimo, cosa significhi vivere
i due aspetti intrecciati l’uno con l’altro.
Vivere le cose alla radice ci aiuterà a
comprendere come l’unità della nostra
vita non consista in una bella ed equilibrata formulazione di nozioni, ma nel
metterci in cammino per realizzare
l’amore per Dio e per il prossimo in
uno stesso atto. Questo soltanto ci condurrà alla vita » (*).
« Vi servirà di segno », promette l’angelo. Per riconoscere cosa? Chissà quanti bambini — e tutti in fasce — si trovavano nelle varie stalle usate per abitazione umana! Ma questo è il segno da
cui si riconosce l’azione del vero Dio,
che invita i primi a mettersi all’ultimo
posto ma per invitare con questa tutti
gli ultimi ad alzarsi, camminare, incontrarlo, per diventare testimoni della
nuova nascita, alla festa del suo Regno.
scegliere di provvedere a noi
stessi cooperando con le altre
strutture viventi di Gaia perché
anch’esse possano provvedere,
in ecosistemi sempre più ampi,
a se stesse. « Provvedere ai nostri interessi richiede che conosciamo gli interessi del nostro
intero ambiente, che significa il
nostro intero pianeta vivente. Le
nostre libere scelte, per servire
ad ampio raggio i nostri interessi, devono servire a quelli delle altre specie, perché il comportamento etico naturale è quello
che contribuisce alla salute dell’intero sistema gaiano » (p. 231).
Perché considerazioni così evidenti non si traducono in comportamenti pratici? Perché, come nel Rinascimento si resistette alla necessità di accettare
l’idea eliocentrica perché significava non considerarsi più « al
centro » deH’universo, così oggi
non possiamo accettare di non
essere al vertice dell’evoluzione,
« i cervelli » del nostro pianeta,
la specie adatta a regolare tutto
con la propria tecnologia. E pensare che non dominiamo neppure il nostro corpo, che funziona in grandissima parte con
meccanismi autoregolantesi, che
prescindono cioè dalle nostre
scelte e decisioni!
Le responsabilità
delle religioni
Per E. Sahtouris, le autorità
religiose dell’Occidente hanno
una grande responsàbilità di
questa visione deH’umanità perché non hanno saputo guidarla,
nella sua crescita dall’infanzia
all’adolescenza, in un rapporto
etico con la natura. Ma responsabile è pure la « sfacciataggine infantile» di un certo umanesimo arrogante che ha creduto
« che non vi fosse nulla di più
grande e intelligente in tutto
l’universo che noi stessi ». La
sua proposta è riconoscere « un
essere ispiratore ben più grande e più saggio di noi; un essere che ci ha nutrito e che può
guidarci verso un modo migliore di vita, non un genitore perfetto e sovrumano, ma un imperfetto, meraviglioso pianeta,
pieno di risorse di cui noi siamo parte, e che può essere esso stesso parte di un essere molto più grande» (p. 232). Una
proposta che ci sembra condivisibile solo nella misura in cui
non sia intesa religiosamente,
ma laicamente; non come una
nuova teologia naturale, ma come necessità forte e urgente di
ritrovare le nostre radici creaturali e planetarie. Saremo abbastanza maturi da raccogliere
questo richiamo vitale? Questo
libro ci aiuta a farlo con un pizzico in più di fiducia.
Eugenio Bernardini
(*) Il Dio della vita, di prossima pubblicazione in italiano.
Carlo Chiecchi
Teodora Tosatti
' ELISABET SAHTOURIS, La danza
della vita. Gaia, dal caos al cosmo,
Torino, Scholé Futuro, 1991, pp. 254,
L, 24.000.
Appuntamenti
Martedì 7 gennaio — CIN'ISELLO
BALSAMO: Alle ore 21, presso il centro • J. Lombardini », ultimo incontro
sul tema La vita comune. Introduce il
past. Alfredo Berlendis.
Domenica 12 gennaio — ROMA: Per
il corso organizzato dal SAE su ■ Testimonianza dei credenti e diaconia poiitica », si tiene presso le suore francescane missionarie di Maria (v. Giusti, 12) una lezione dal titolo 11 movimento ecumenico e il coinvolgimento
delle chiese nell'Impegno sociale; relatori il past. battista Gioele Fuligno
e il prof. Stefano Cavallotto. Inizio alle ore 16.
7
'r
20 dicembre 1991
fede e cultura
PROSPETTIVE PER UNA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
Che cosa annunciare?
E come?
I cristiani stanno perdendo la capacità di esprimere una confessione di fede? - La Scrittura ci può liberare dal peso monoculturale
IN LIBRERIA
Il pensiero
della Riforma
Un libro che mancava, rigoroso nell’affrontare la materia, ma allo stesso tempo piacevole
Si parla di nuova evangelizzazione in questo momento di novità storiche dall'esito ancora incerto. Un convegno molto partecipato su questo tema si è tenuto il 23 novembre, organizzato
dalla redazione de II foglio (nell’occasione dei suoi vent'anni di
vita) e dalla ormai lunga collaborazione culturale tra il Centro
evangelico di cultura, il Centro
teologico e gli altri gruppi evangelici e cattolici da tempo collegati. Hanno impostato il dibattito Sergio Quinzio (saggista cattolico, scrive su « La Stampa », vive
a Roma), Paolo Ricca (valdese,
docente di storia del cristianesimo a Roma), Tullio Citririi (cattolico, docente dì teologia^ a Milanoh II foglio (via Assietta 13/A,
10128 Torino) pubblicherà il testo dei loro interventi.
Quinzio (La sopravvivenza del
vangelo all’usura della cristianità) ha fatto un quadro drammatico: quella sopravvivenza è difficile. Il fatto è che la chiesa (in
Italia quella cattolica), hello
smarrimento nichilista dell’etica
laica, ha assunto il ruolo di guida
etica della società secolarizzata
ed ha messo del tutto in ombra i
grandi temi teologici e salvifici.
In luogo della professione di
fede c’è un umanesimo genericamente cristiano, c’è il pur grande fenomeno del volontariato sociale. In reazione a ciò, vediamo
un cattolicesimo sacrale e mistico, o Un neoromanticismo religioso, tutto miti e simboli, che
fugge dall’oggi. L’orizzonte delle
fedi storiche è in disfacimento.
La fede cristiana sembra aver
consumato le sue possibilità sul
piano storico. Il problema non
è una riconquista, ma la sopravvivenza.
Questa relazione ha provocato
alcune repliche: la vera fede non
è proprio quella che si realizza in
opere d’amore per gli altri? In
fondo, l’impegno etico non è segno di conversione? Quinzio risiponde che non nega il rapporto
delle opere con la fede, ma si
chiede: cosa diciamo al dolore
irreparabile? Abbiamo ancora la
forza di dire la risurrezione? La
salvezza di Cristo è tutta in questo aiutarci tra noi?
Il problema che Quinzio pone
mi pare innegabile. E’ vero che
« Non chi dice Signore, Signore,
ma chi fa la volontà del padre
mio... »; eppure la consapevolezza e la Parola sono indispensabili
alla coscienza cristiana. Ci sono
comunità che avvertono questa
carenza nella catechesi dei ragazzi come degli adulti e tornano a riflettere sul credo cristiano.
Perché ogni credente non prova
sempre di più, nelle chiese, ad
esprimere la propria fede, per
confrontarla con i fratelli nella
comunione attuale e, attraverso i
tempi, con chi ci ha preceduto
fino alla fonte testimoniata dalle
Scritture?
La testimonianza della carità
(quella che in Matteo 25 è tutta
la salvezza, indipendentemente
dalla fede) può oggi essere un
ponte verso le altre religioni,
come lo è tra le chiese cristiane
nel processo conciliare per la pace, la giustizia, la custodia della
natura. Questo stesso dialogo interconfessionale e interreligioso
ha pure bisogno che ognuno vi
partecipi confessando la propria
identità di fede.
Centralità della Scrittura e
molteplicità delle culture era il
tema di Paolo Ricco, che ha esaminato quale posizione ha la
Scrittura oggi nelle diverse chiese cristiane concludendo che, pur
in presenza di vari elementi po
sitivi, una centralità effettiva non
c’è, neppure nel protestantesimo.
Nelle missioni, poi, spesso i libri sacri locali prendono il posto
del primo Testamento come preparazione al Nuovo, e l’unità della Scrittura ebraico-cristiana è
messa in discussione.
Peccato, perché la Scrittura intera è specchio e risultato di
molte culture (cananea, babilonese, ellenistica), al cui contatto
la fede biblica si è arricchita di
contenuti. Questa fede può essere
di molte culture, non di una sola,
perché nella Bibbia ci sono più
culture che nella chiesa.
La Scrittura è culturalmente
ecumenica più di quanto si pensi.
In essa l’ecumenismo culturale va
di pari passo con l’intransigenza
intidolatrica. Pur nella lotta agli
idoli, non c’è paura né reazione
difensiva di fronte alle culture.
Perciò, mettere la Scrittura al
centro nella chiesa è una liberazione dalle monoculture.
Sappiamo intendere ed esprimere questo valore della Scrittura nella circolazione culturale o
la teniamo dentro i recinti e i dialetti ecclesiastici? E’ un aspetto
essenziale dell’ evangelizzazione.
Trovo utile la metafora di Hans
Kùng: ■ le grandi religioni sono
come fiumi che attraversano diversi terreni, ne sono plasmate e
plasmano paesaggi. Non è possibile tenerle dentro i paradigmi
di una sola cultura o di culture
tramontate.
Forse il compito più difficile lo
aveva Citrini: Annunciare la risurrezione oggi. Annunciare come, con quale linguaggio? e che
cosa? Il vangelo escatologico non
è per la curiosità (come avverrà?
come saremo?-), ma per la conversione. Oggi si è svagati, senza
interesse per questo annuncio.
D’altra parte il presupposto che
sta nel pensare che risorgere sia
cosa buona, oggi, è ben presente
mentre ñon lo era nella cultura
ellenistica, in cui era sperabile
che non si risorgesse nel corpo.
Nel disincanto di oggi occorre un
nuovo incanto per sperare: è lo
Spirito che sostiene la speranza,
la quale peraltro acquista contenuti solo per allusioni, a partire
dalle nostre speranze.
La fede ha un’autorità che chiede obbedienza, ma evidentemente
non può essere imposta con la
prepotenza o forme di pubblicità; ha l’autorità di Dio, nonostante la crisi dell’autorità delle chiese. L’annuncio della risurrezione
diventa possibile solo dopo quello della croce dì Gesù, condannato perché troppo benevolo e filantropo, anche fuori dalle leggi.
La risurrezione non è un concetto
generico; noi risorgeremo in Cristo risorto. Una immagine o definizione di Dio può essere: colui che ha resuscitato Gesù dai
morti. Solo così possiamo annunciare la risurrezione.
Alla domanda: « Cosa intendono i teologi parlando di risurrezione di Cristo? », Citrini risponde che non lo sanno. Il Nuovo
Testamento lo dice in diverse maniere, tutte imbarazzate nel dare
dei contenuti. Certo dice la presenza, la libertà, l’identificazione
di Gesù coi poveri e perseguitati.
In sostanza, l’evangelizzazione
da rifare sempre, dentro e oltre
le chiese, non può essere una pura ripetizione né tanto meno
un’amplificazione più potente o la
ricostruzione di scenari passati,
ma un nuovo pensare, esprimere,
vivere la fede in Cristo salvatore.
Enrico Peyretti
E’ stato pubblicato, a metà
del ’91, dalla Claudiana, un libro che avrebbe meritato una
più tempestiva presentazione
nel nostro giornale: Il pensiero
della Riforma di Alister Me
Grath. La Riforma (quella protestante e quella che le fu contrapposta, la Riforma o Controriforma cattolica) viene frettolosamente sbrigata nelle nostre
scuole medie. E il pensiero della Riforma è visto come una
« selva oscura » dove è meglio
non addentrarsi.
Del resto, è stato detto, se
Cristo si è fermato a Eboli, Lutero è stato fermato a Trento.
E’ una rimozione che scontiamo
nella cultura del quotidiano, un
complesso di inferiorità che ogni
tanto malignamente riemerge.
Prendiamo i giornali: quando
parlano della necessità di ricostruire ì nostri sbalestrati e corrotti rceccanismi della vita pubblica molti cronisti politici
astraggono dai concreti aggiustamenti (e non ci riescono) e
scrivono: Riforma (così, impudicamente, con la erre maiuscola).
Alister McGrath è inglese,
docente di storia della teologia
e sistematica ad Oxford e, da
buon specialista inglese, gli riesce magnificamente di coniugare rigore scientifico e chiarezza
espositiva, brillantezza di comunicazione.
Questo è un libro che mancava, che si raccomanda alle scuole. Lo leggeranno e capiranno
cosa è stata, cosa ha detto veramente la Riforma protestante, cosa di essa è vitale gli studenti e (absit iniuria verbo!)
gli insegnanti.
McGrath comincia col fare
giustizia di un concetto eccessivamente semplificato, di un luogo comune. La Riforma non fu
un fenomeno « tedesco ». O me
UN LIBRO DI ’’STORIA DELLE IDEE’
I conti con il passato
Una riflessione articolata sull’uso che facciamo della memoria, del
ricordo - Molte le implicazioni relative al problema delle identità
Una serie di approcci che possono coinvolgere chi fa politica,
chi si occupa dei problemi delle identità, chi studia determinati aspetti della teologia protestante: l’ultimo libro di Paolo
Rossi, storico della filosofia
presso l’Università di Firenze
(1), non mancherà di essere stimolante per studiosi di discipline diverse.
I sei capitoli del volume affrontano l’arte di esercitare la
memoria nei tempi antichi, la
’’mnemotecnica”, ma anche gli
studi neurologici condotti da
Qliver Sacks, il ricordo dello
sterminio degli ebrei, Pico della Mirandola e Giordatìo Brano.
Fra l’altro, per venire non già
ad un'impossibile esposizione lineare, ma a quelle sollecitazioni che ci riguardano più da vicino, possiamo citare l’uso delle
immagini ai tini della memoria.
Secondo psicologi e neurologi
tale uso sarebbe stato, nel mondo antico, as.sai più presente
che non oggi; ora, l’ipotesi dcll’aulore, che sarebbe interessante approfondire, è che all’origine della crisi di questo ’’primato della vista”, negli anni che
segnano il passaggio all’età moderna, ci sarebbe anche (sebbene non come causa unica) « la
polemica dei protestanti contro
le immagini sacre » (p. 51).
Lasciando da parte il discorso relativo alle tecniche, ciò che
più mi pare interessante nel libro è Tinteresse per l’uso del
passato: assistiamo oggi ad una
« forte richiesta di passato » (ed
è per questo che abbondano le
attenzioni per la memoria), che
si esprime su « temi che erano
apparsi superati o marginali sia
ai teorici delTonnipervasività
della tecnica nel mondo moderno, sia ai teorici del superamento del capitalismo e della rivoluzione mondiale: il localismo,
il nazionale, il regionale (...), le
minoranze, i gruppi, le loro culture, ecc. L’omogeneità nazionale — prosegue Rossi — è oggi
(...) quasi un'eccezione». Insomma « tribalismi, nazionalismi, irredentismi sono passati dai margini al centro della storia del
mondo» (p. 21). Il che, naturalmente, è ben lungi dall’aver
risolto i problemi: Rossi cita
A. D. Smith, che già dieci anni
fa scriveva che il conflitto interetnico « è diventato più intenso e endemico nel XX secolo rispetto a qualsiasi altro periodo della storia» (ibid.). (Il
rischio quindi è quello del ’’tutti contro tutti”, a cui stiamo assistendo, impotenti, in Jugoslavia, dove il regime comunista
ha soffocato contrasti e odii
vecchi di secoli, che ora riesplo
dono).
A questo punto Rossi accenna all'opera di un filosofo della storia, David Lowenthal, il quale introduce una giusta distinzione che potrebbe essere presa a linea-guida del lavoro storiografico: la storia sarebbe, secondo Lowenthal, più e meno
del passato, e sarebbe possibile
« contrapporre la storia, che è
interpretazione e presa di distanza critica dal passato, alla
memoria che implica sempre
una partecipazione emotiva ad
esso » (p. 23). In ogni modo,
conclude l’autore, « dietro le mode si nascondono spesso motivazioni molto serie: l’attuale, quasi spasmodico interesse per la
memoria e per l’oblio è legato
al terrore che abbiamo per
l’amnesia, alle sempre nuove
difficoltà che si frappongono ai
nostri tentativi di connettere insieme, in un qualche accettabile modo, il passato, il presente
e il futuro » (p. 24). La sfida,
anche per i protestanti, consiste nel mettere in relazione il
passato con il futuro, prospettiva che oggi in altri ambiti
viene negata.
Alberto Corsani
glio ebbe inizio, luogo, esplose
nella Germania settentrionale e
in Svizzera ma era un frutto
« italiano », del Rinascimento
italiano. Scaturì dalTalveo di
queU’umanesimo rinascimentale
che aveva visto il rifiorire degli
studi classici, della filologia sui
testi classici. Dall’Italia, l’umanesimo si diffuse in Europa, e
nel Nord Europa, sotto l’infiusso decisivo di un umanista « universale » come Erasmo da Rotterdam, che alimentò lo spirito
della Riforma.
Il riferimento che i riformatori facevano alle Scritture, alla Bibbia, come espressioni letterarie di una lunga storia di
fede e di relazioni tra il popolo dei credenti e Dio, contro l’autorità della tradizione e della
scolastica teologica della chiesa
romana nasceva da questo « ritorno alle fonti » che era il programma letterario e culturale
dell’umanesimo.
Con eccezionale capacità di
sintesi, semplicità affascinante di
spiegazione, McGrath illustra
tutti i concetti, tutte le ideeforza di questa grande tempesta di pensiero e di azione che
ha segnato il passaggio dal Medioevo al mondo moderno e ancora oggi orientata, molto al
di là del fatto religioso, il dibattito contemporaneo. Me
Grath colloca questa avventura
della fede e dello spirito cristiano nel suo contesto storico-ideologico, ne ripercorre i filoni principali, la dialettica interna, mette a fuoco le diverse personalità dei riformatori.
La teologia riformatrice di Lutero si collocava nel contesto accademico. Lutero era ancora un
uomo del Medioevo, la « parola
scatenata » che egli scagliò contro la chiesa di Roma, la sua
Riforma riguardavano soprattutto la dottrina, spiega McGrath.
Il programma della Riforma
svizzera fu invece interamente
umanistico. Certo gli « svizzeri »
si interessarono di teologia, ma
la preoccupazione di Calvino, di
Zwingli, di Bucero fu soprattutto la riforma morale e civile, il
rinnovamento cristiano della vita e dei costumi della chiesa,
delle comunità cittadine, dello
stato. E per questo essi hanno
lasciato un’impronta forte sul
mondo occidentale, sulla sua
evoluzione socio-politica.
La dottrina della giustificazione per grazia, la teologia della
croce, il rapporto tra la sovranità di Dio e la predestinazione,
le dottrine della chiesa e dei sacramenti, tutte le questioni teologiche e di fede del pensiero
della Riforma sono spiegate da
Alister McGrath con una levità, un’efficacia didattica rare,
che lo studioso inglese deriva
da un’esperienza pluriennale di
insegnamento tra gli studenti di
Oxford. Un glossario dei termini teologici e storico, una serie
di utilissime appendici completano le 200 pagine di questo libro. Tanto dense di informazione e di cultura quanto scorrevoli, accessibili e di piacevole
lettura.
N. Sergio Turtulici
’ P. ROSSI, Il passato, la memoria,
l'oblio. Bologna, Il Mulino, 1991, pp.
208, L. 20.000.
A NATALE
REGALATEVI IL LIBRO
Osvaldo Coisson
I nomi
di famiglia delle
Valli valdesi
per conoscere le vostre
origini
LIBRERIA CLAUDIANA
8
o obiettivo aperto
20 dicembre 1991
ROMA: 29-30 NOVEMBRE
Un'eredità da coltivare:
Giovanni Miegge e Valdo Vinay
Il convegno ha accomunato i due professori che con Vittorio Subilia fecero della Facoltà di teologia una sede di
studio di livello europeo - L’attività multiforme di Miegge e la dimensione ecumenica dell’insegnamento di Vinay
« Sia fatta la tua volontà anche in terra, come è fatta nei
cieli» (Matt. 6: 10).
— Non, qui, l’eroismo passivo dell’agonia in Getzemane: ma
l’impeto di conquista del messianismo cristiano, nel nome della tua volontà, Dio santo, mio
Re, mio Signore, che sola incondizionatamente deve essere, contro ogni vile acquiescenza al fatto compiuto, all’essere di questo mondo di peccato, nella profetica certezza che dò che deve
essere, che già è nello splendore
ideale dei cieli, anche in terra,
per l’irresistibile tuo agire, sarà.' — (da Un sermone).
Giovanni Miegge
Torre Pellice, 9 settembre 1926.
Questo brano, trascritto da Giovanni Miegge sull’ "album dei
ricordi” di Giovanni Rostagno,
esposto insieme alle tesi di
Licenza teologica sua e di Valdo
Vinay nell'aula magna della Facoltà di teologia, era uno dei
bocconi ghiotti del convegno in
ricordo dei due maestri, del 29
e 30 novembre scorso.
Il ricordo di Valdo Vinay è
ancora fresco, a un anno dalla
sua morte, mentre quello di Giovanni Miegge, dopo trent’anni
che non è più tra noi, è vivo
Solo nella generazione che ha
più di cinquant’anni. Era tuttavia giusto ricordarli insieme —
dopo aver ricordato l’anno scorso
Vittorio Subilia — perché si tratta dei tre maestri che hanno fatto nel nostro secolo della Facoltà valdese di teologia una facoltà universitaria di livello europeo, da piccola scuola di formazione pastorale quale era stata
in precedenza.
La loro eredità, tuttavia, non
sta solo nel livello scientifico
a cui hanno portato la Facoltà,ma anche nella sostanza della
loro riflessione e delle loro ricerche.
Giorgio Spini ha aperto i lavori ricordando quali erano i
tempi e l’ambiente culturale e
politico in cui iniziarono a operare Miegge e Vinay: anni immediatamente successivi alla marcia su Roma, minacciosi per
Il prof. Valdo Vinay.
ogni espressione di libertà e in
particolare per la piccola minoranza protestante italiana. Il
protestantesimo italiano aveva a
lungo sperato che il Risorgimento potesse esser la porta attraverso la quale sarebbe stato rinnovato non solo il paese, ma anche la sua coscienza religiosa,
attraverso la penetrazione della
Riforma. La prima guerra mondiale rappresenta una grande delusione perché vede contrapposte due potenze dove la presenza protestante ha un grosso peso: Inghilterra e Germania.
L’avvento del fascismo e la sua
alleanza con Roma toglie tutte
le speranze e i protestanti italiani subiscono una grossa tentazione di chiusura difensiva.
Miegge e il suo gruppo sono tra
i pochi a contrastare questa tentazione, già con la collaborazione a "Conscientia”, la rivista di
Gangale; poi, soprattutto, con
"Gioventù cristiana” e con le
"Giornate teologiche del Ciabàs”.
In quest’attività, più che "dalla
riscoperta di Dio all’impegno
nella società”, si va dall’impegno nella società alla riscoperta di Dio. La valutazione positiva della Società delle nazioni
e dei suoi obiettivi di pace ne è
una dimostrazione.
Giovanni Miegge
teologo
geniale e versatile
Passando a esaminare singolarmente l’opera dei due teologi ha
iniziato Sergio Rostagno, presentando la "linea teologica’’
Gangale-Miegge. All’inizio del secolo il protestantesimo italiano
era ben unito sulla necessità di
opporsi alla chiesa romana, ma
era diviso quasi su tutto il resto. Una delle divisioni più rilevanti a livello teologico era
la valutazione della coscienza.
Mentre per i vecchi professori
della Facoltà (Geymonat, Luzzi)
la coscienza umana era assunta
come criterio e fondamento del
credere e poneva il credente in
comunione con Dio ("cum Deo”),
per Gangale e per Miegge va
assumendo un’importanza progressiva la sottomissione della
coscienza alla rivelazione. La
predicazione diventa predicazione di un Dio straniero di fronte
al quale si può solo stare « in
presenza » ("coram Deo”) ma
non in dialogo omogeneo.
Gangale e Miegge assumono
questa linea in polemica con la
teologia tomistica dell’Università cattolica di Milano, e trovano la propria matrice nella linea platonica, agostiniana, francescana e occamistica a cui già
si era rifatto Lutero, come ben
mette in evidenza Miegge nel
suo studio sul riformatore.
Questa linea teologica è già
per Gangale (in Rivoluzione
protestante), poi anche per
Miegge, una proposta riformatrice non solo del pensiero ecclesiastico, ma anche della cultura e della società.
A Paolo Ricca, Giorgio Tourn
e Claudio Tron è poi toccata
rillustrazione di alcuni aspetti
particolari dell’opera di Miegge.
Il primo ha trattato AeW’ecumenismo di Giovanni Miegge. Si
tratta di un ecumenismo di lunga durata, presente in scritti
che vanno dal 1925 al 1961. Le
idee chiave sono la necessità di
una riqualificazione teologica e
culturale del protestantesimo;
l’appartenenza del protestantesi
mo al cristianesimo storico e
quindi la necessità di amare quest’ultimo nella varietà delle sue
espressioni e non solo in quelle
che ci sono più congeniali, pur
serbando fedeltà alla propria
confessione; la critica al pancristianesimo di Ugo Janni sulla
base della constatazione che
l’ecumenismo è un movimento
concreto che si fa tra chiese reali e non tra idee di chiesa. Le
linee di marcia di questo ecumenismo sono tre; è necessaria
un’azione non solo di risposta
alle proposte altrui, ma di proposta; è necessario un ecumenismo in movimento che accetti
quello che Dio vuol fare di noi;
è necessario non avere paura
deH’unità, nemmeno con Roma,
a condizione che essa cessi di
voler integrare la restante cristianità ma accetti anche di lasciarsi integrare in tutto quello
che di vivo e vitale hanno prodotto le confessioni cristiane attraverso i secoli.
Giorgio Toum ha tratteggiato con la consueta vivacità un
ritratto di Giovanni Miegge pastore alle valli valdesi, cioè a
Massello, dal 1924 al 1930. Egli
arrivava da una duplice esperienza: la malattia e rincontro
con la cultura. Da questa esperienza Miegge si trova improvvisamente ribaltato nei problemi che ogni pastore incontra
in una comunità normale: il rifacimento dei balconi, il linguaggio da usare coi bambini, coi
catecumeni, coi vecchi; la mentalità contadina che dopo un
anno « accetta il pastore come
accetta la natura », ritenendo che
tutto si svolgerà secondo i cicli
ricorrenti delle stagioni; la "presa di cappello” della famiglia
della comunità vicina, offesa per
l’invito a far tenere un funerale
dall’anziano (secondo la più tradizionale usanza valdese); l’inaugurazione del "pronto soccorso”,
piccolo deposito di medicinali di
pronto intervento, piazzato a
Massello come in altre località
nella casa pastorale... Problemi
vari e multiformi, che non sempre si inseriscono nell’immagine
che un giovane pastore si fa
del suo ministero. Poi, quelli più
propri di quest’ultimo: predicare il risveglio in un tempo
postrisvegliato, come esigenza
di rilancio non settario, non individualistico, della necessità perenne di risveglio della fede; la
lotta contro sregolatezze della
condotta individuale vissute nei
balli e nelle osterie; la prospettiva di quella che sarà la vocazione propria di Miegge: l’insegnamento teologico.
Infine a Claudio Tron è toccato fare un bilancio del lascito
di Giovanni Miegge, cioè della
Sua eredità teologica. Questa è
stata vista in un metodo che,
partendo dagli studi biblici, si
preoccupa di ascoltare l’altro
per dialogare con lui; in secondo luogo in una teologia che
non si cristallizza sulle sue posizioni, ma si preoccupa sempre
di un movimento "da" "a” (dalla riscoperta di Dio alla rivalutazione delle cose create; dalla crociata al dialogo nei rapporti tra
chiesa e comunismo e nel dialogo ecumenico ecc.); infine in
un’attenzione globale a tutti i
problemi della teologia e a quelli dei rapporti tra teologia e altre discipline, senza mai settorializzare la ricerca.
Dobbiamo, comunque, evitare
di attribuire all’eredità di Giovanni Miegge, come a quella di
qualsiasi altro "padre della chiesa”, quelle che sono le nostre
idee personali.
Valdo Vinay,
storico della chiesa,
teologo ecumenico
Di Valdo Vinay è stato ricordato il lavoro storico, innanzitutto da Kurt V. Selge, di Berlino, che ne ha presentato gli
studi sulla Riforma e la Chiesa
evangelica in Italia.
Per Vinay la storia del cristianesimo va intesa in un arco
cronologico che va dall’epoca
apostolica a oggi. Ma nelle sue
ricerche ha privilegiato soprattutto l’epoca medievale ,e quella
deH’evangelizzazione in Italia negli ultimi centocinquant’anni. In
questi studi si notano tre caratteristiche. Innanzitutto una
grande sobrietà che si limita
spesso a presentare i dati documentati negli archivi, lasciando al lettore le interpretazioni;
in secondo luogo un’unità di tematica consistente nei riflessi
della predicazione evangelica
nella storia e nella società; infine una ricerca finalizzata alla
chiarificazione teologica, senza
strumentalizzare i dati per fini
ecclesiastici. Compito impegnativo che ha creato anche dei
problemi di non facile soluzione,
a cominciare dall’adozione cauta,
ma pur presente, della formula
"prima e seconda riforma”, mutuata da Buonaiuti e da Miegge.
Formula per certi aspetti seducente, ma discutibile, perché se
per "prima riforma” si intende
quella medievale valdo-hussita.
occorrerebbe includervi anche i
movimenti monastici contemporanei. Ma allora salta l’idea di
"prima riforma” come movimento anticostantiniano.
Lorenza Giorgi era incaricata
di trattare un asipetto più specifico delle ricerche storiche di
Valdo Vinay: quelle sul modernismo e su Ernesto Buonaiuti.
Il modernismo, come movimento di riforma sia pure interno
alla Chiesa cattolica, suscitò notevoli simpatie tra i protestanti,
che accolsero con sgomento
l’enciclica di condanna, la ”Pascendi” di Pio X, del 1907. Naturalmente i teologi barthiani, ccr
me Miegge e Vinay, nei decenni
successivi non ebbero difficoltà
a 'percepire le grosse differenze
tra modernismo e protestantesimo. La biografia di Lutero,
curata da Buonaiuti, non lasciava dubbi al riguardo, anche se
non servì a riconciliarlo con
Roma.
Vinay è il primo biografo globale di Buonaiuti e usa sobriamente la sua autobiografia, verificando sempré accuratamente
le informazioni ivi contenute nel
confronto con altre fonti. Ne
viene fuori il ritratto di un ”intellectus spiritualis”, libero e
difficilmente incasellabile nella
disciplina di una qualsiasi ortodos.sia (romana, greco-ortodossa,
protestante). La volontà tenace
del Buonaiuti di restare comunque cattolico fu per lui e per
i suoi amici fonte di non poche
sofferenze.
Il padre Ma^us Lohrer ha
presentato l’attività ecumenica
di Valdo Vinay "vista dall’Aventino”, sede dell’Ateneo di S. Anseimo, dove per più di dieci
anni, nel quadro delle attività di
quella Facoltà cattolica, ha tenuto corsi di storia della Riforma
protestante. I giudizi su questi
erano sempre molto positivi e
la diversità di confessione era
ampiamente compensata dalla
serietà del lavoro e dall’apertura
ecumenica di Valdo Vinay. Si
è spesso sentito in lui una sorta di esponente di un "partito
trasversale” che è presente in
tutte le chiese e che pone in prima istanza non la polemica con
le altre confessioni, ma la vita
coerente con Tinsegnamento di
Cristo. Un cattolico si può sentire più vicino a un esponente
di questo "partito trasversale”,
pur di altra confessione, che a
un altro cattolico, chiuso e insensibile a esigenze di rinnovamento evangelico.
’’Una dimensione
trasversale”
Varie testimonianze di presenti al convegno, provenienti dalla
comunità cattolica di S. Egidio,
dal Segretariato attività ecumeniche o da convertiti al protestantesimo dalla predicazione di
Valdo Vinay, hanno sottolineato, con accenti diversi, la stessa
dimensione ecumenica "trasversale” del suo insegnamento e
della sua predicazione. Particolarmente commovente la lettura
di una sua pagina in cui racconta un "sogno”, negli ultimi tempi della sua sofferenza, di vocazione alla predicazione deH’Evangelo fino all’ultimo soffio.
Infine Renato Coi'sson ha ricordato l’attività di Valdo Vinay
in quanto maestro di pastori e
di predicatori. Come professore
di teologia pi’atica Vinay si è
ricordato costantemente della
sua precedente attività pastorale,
in particolare a Fiume, Abbazia
e Fola. Per questo il suo insegnamento è stato sempre molto
concreto e legato all’attività in
cui lanciava gli studenti, in Ciociaria. Capisaldi di questo inse
gnamento erano innanzitutto
l’importanza data alla singola
persona, di cui Vinay si manifestava come fratello indipendentemente dalla sua condizione sociale; in secondo luogo
il senso della comunità, che si
rifletteva nello sforzo costante
per stimolare la valorizzazione
e la partecipazione di tutti anche alla liturgia; in terzo luogo
la sensibilità nei confronti del
compito della predicazione, intesa non come discorso su Dio,
ma come stimmento del discorso
di Dio, rivolto all’uomo di oggi.
Dopo questo insegnamento gli
studenti avevano a volte la sensazione di essere lasciati un po’
a sé, quando si scontravano coi
compiti quotidiani del ministero
pastorale. Ma era in un certo
senso un segnale — forse intenzionale da parte del professore
di teologia pratica — che a un
certo punto è necessario nuotare con le proprie forze.
Oggi il protestantesimo italiano deve nuotare senza le forze
di Miegge e di Vinay. La loro
eredità resta un aiuto di grande
peso in questo compito difficile
e entusiasmante al tempo stesso.
Claudio Tron
9
20 dicembre 1991
obiettivo aperto
SAVONA, 6-7 DICEMBRE
Giovanni Miegge: un pensiero anticipatore
Due giornate dense di ricordi e insegnamenti: in risalto la capacità del teologo valdese di aprirsi al dialogo
con altre posizioni - Un pensiero in equilibrio tra rispetto della tradizione e nuove frontiere del cristianesimo
Parlare di Giovanni Miegge, a
trent’anni dalla morte, significa
riallacciarsi senza sforzo a un
pensiero che resta attuale sia
per i problemi che ha affrontato, sia per il modo di affrontarli. A Giovanni Miegge, nato a
Savona all’inizio del secolo, la
Chiesa metodista di Savona ha
dedicato due giornate di studio
il 6 e 7 dicembre, nell’accogliente Ridotto del teatro Chiabrera.
La città ha così scoperto di avere un grande figlio, e ha risposto con l’intervento del sindaco
e dell’assessore alla Cultura, e
con una partecipazione significativa. L’anima dell’iniziativa è stato Massimo Rocchi, giovane filosofo ligure e protestante combattivo, a cui Gianni Rostan,
presidente del Centro culturale
valdese, ha espresso aprendo il
convegno un ringraziamento più
che meritato.
Accenti ’’familiari”
e analitici
Le due giornate hanno avuto,
pur nell’unità dell’impostazione,
un accento diverso: più familiare e affettuosa la prima, più analitica e riflessiva la seconda.
Ascoltare, da una registrazione
fatta nel 1960 ad Agape, la viva
voce di Miegge ha permesso forse di cogliere o ricordare in modo immediato qualche aspetto
della personalità. Quella personalità così ben descritta da Giorgio Spini e Giorgio Tourn nelle
due relazioni del venerdì mattina. Comincia Spini ricordando
che Miegge nel 1924 inizia la sua
collaborazione alla rivista « Conscientia », su cui scrivevano tra
gli altri Gobetti, Banfi, Basso,
in un periodo di agonia della
libertà in Italia. L’impegno nella società è presente fin dal primo momento (è del 1925 un articolo su « La luce » sulla Società delle nazioni). A un severo
ripensamento teologico Miegge
approda dopo il fallimento della battaglia per la democrazia
e le libertà civili; ma non, perderà mai l’apertura, la capacità di dialogo con altre posizioni, che non avevano in ugual
misura altri uomini pur di primo piano del mondo valdese,
come Giovanni Luzzi, Ugo Janni, Giovanni Rostagno, Ernesto
Comba, « avvezzi a parlare in
chiesa ». E’ così che le iniziative che negli anni Trenta, da vero promotore, egli riesce a mettere in piedi, in particolare la
rivista « Gioventù cristiana » e le
« Giornate teologiche » del Ciabàs, con le aperture a personalità anticonformiste come Buonaiuti. Basso, Tiigher, Rensi,
Bauer, contrastano la tentazione
dell’evangelismo italiano a rinchiudersi, in un momento dei
più bui, in cui le prospettive
della libertà sembrano allontanarsi definitivamente, con il
trionfo del fascismo, raffermarsi dello stalinismo e del nazismo,
la crisi economica.
Quattro luoghi
simbolici
Delineare un ritratto di Miegge è il compito affidato a Giorgio Tourn, che ne riconosce subito la difficoltà, perché, per
nulla protagonista, Miegge non
lascia testimonianze autobiografiche. Tourn si affida allora alle
tracce che si possono ritrovare
nei quattro « luoghi simbolici »
di cui parla Massimo Rocchi
nella presentazione del convegno: Massello, rincontro con la
realtà dei contadini-minatori, in
cui la fede riformata è forza
profonda che sostiene il ritmo
regolare della vita. Roma, cioè
l’insegnamento e la ricerca teologica, la vera vocazione di Miegge, sempre ostacolata dalla ma
lattia. Torre Pellice dove, con
l’amorevole e fermo controllo
della moglie Lina Pons, esce vincente dalla malattia, riuscendo
a dispiegare un’attività in più
direzioni: la battaglia di « Gioventù cristiana », le « Giornate
teologiche », la direzione de « La
luce », il lavoro con gli studenti
del Collegio. Lo studio, infine,
il tavolo di lavoro, con il fiuto
infallibile per ciò che è veramente importante nella massa delle pubblicazioni, con la stupefacente ampiezza di un’informazione a livello europeo: non solo Barth, ma anche gli esegeti
e gli storici che rinnovano la
comprensione delle tradizioni bibliche e della Riforma; non solo Barth, ma oltre Barth, in un
confronto coraggioso con le questioni reali poste dal liberalismo.
Ne esce un ritratto in chiaroscuro. Chi era Miegge? Un riformato rigoroso come un teologo
del ’600, ma anche un teologo
senza scuola, intellettuale organico e non organico, meditativo loquace, solitario affabile. Dietro l’affabilità, non la solitudine, ma l’atteggiamento di chi
colloquia nascondendo se stesso, vigile e attento Custode della sua interiorità. Il capitano
della « Ronda di notte » di Rembrandt, conclude Tourn; figura
solitaria, ma anche intimamente legata alle persone e vicende
che la circondano.
Ricordi di
prima mano
Al ritratto di Tourn si aggiungono, nella discussione, le pennellate di altri discepoli e amici di cui, come noterà Giorgio
Bouchard, urge raccogliere le
testimonianze di prima mano.
Vengono via via evocati il grande dibattito teologico intorno al
problema della teologia naturale e della conoscenza di Dio, la
resistenza al fascismo, la battaglia delle organizzazioni giovanili nel mondo valdese, tra i due
estremi dell’irenismo e della
chiusura parrocchiale, la riflessione sul rapporto tra chiesa e
stato avviata ancora prima della fine della guerra da un uomo
che, come osserva Giorgio Peyrot, « sapeva capire con anticipo di 6-8 mesi quale sarebbe
stato il tema di cui si sarebbe
parlato l’anno dopo ».
Fra tutte queste testimonianze, Mario Miegge riesce a dare,
nell’intervento più bello del convegno, alcuni spunti biografici
del tutto inediti e di grande interesse. Primo, rinfluenza del socialismo religioso svizzero, che
Giovanni Miegge può aver ricevuto fin dalla giovinezza e per
via diretta nel contatto con persone a cui il padre, che aveva
studiato ingegneria a Zurigo, era
legato da un’amicizia familiare.
Poi il matrimonio, la forte unione di due esistenze segnate da
destini familiari simili (« rincontro di due sradicati », lo definisce Mario), in cui la partecipazione si estende con naturalezza
al lavoro teologico; Ellen legge
ciò che scrive Nino e discute,
nasce un intenso dibattito familiare che, per citare un caso,
non è estraneo alla posizione
favorevole che Miegge prenderà
sulla questione del pastorato
femminile. Poi ancora un’osservazione sul ruolo della malattia
nella maturazione della persona:
la gioia, la serenità, la tranquillità del Miegge maturo sono anche il segno di un cambiamento nel carattere portato da una
salute nuovamente ricevuta. Forse la conquistata serenità, che
faceva della casa di Torre Pellice una casa ospitale, aperta ai
militanti che stavano battendosi
per la libertà, ha una sua profonda connessione con quel geniale superamento dei fronti
rappresentato dall’Agape di Tullio Vinay.
Un’immagine
di Giovanni
Miegge.
LA TAVOLA ROTONDA
Una testimonianza di fede
in forma di dialogo
La battaglia per la libertà e quella per la giustizia sociale - Il
rapporto con il cattolicesimo - Un’esistenza alla presenza di Dio
L'indagine sul pensiero di Giovanni Miegge, preparata dalle relazioni e interventi a carattere
biografico, ha davanti a sé un
compito impegnativo: rendere ragione dell’ampiezza di interessi
del teologo, trovare un motivo
unificante nell’attività feconda in
tante direzioni. Forse questo motivo sta nella capacità di dialogo,
che non era, però, rinuncia a
scelte precise.
Claudio Tron mette in rilievo
la coerenza tra scelte teologiche
e impegno nella società italiana.
Durante l’opposizione al fascismo
la battaglia è quella della libertà;
nel dopoguerra diventerà quella
della giustizia sociale. La libertà
è diventata la bandiera della
classe al potere, e allora la scelta
di campo, tra due bandiere in
astratto ugualmente valide, è a
favore delle forze di opposizione
e di minoranza. Si tratta di una
scelta simile, per ispirazione, a
quella operata nel ventennio, ma
adeguata alla nuova situazione.
Silvana Nitti si concentra sul
Nell'anno che si sta
ormai concludendo
sono state diverse le
iniziative che hanno
riguardato la figura e
il pensiero di Giovanni
Miegge.
Alla vigilia del Sinodo,
a Torre Pellice si è
avuto un dibattito
con Gino Conte
e Enrico Rambaldi.
L’editrice Claudiana
ha poi dato alle stampe
una nuova edizione di
’’Per una fede”,
corredata da una
introduzione di Giorgio
Tourn che spiega
come quel testo possa
essere significativo
anche per la cultura di
oggi. Si tratta di una
riproposta senz'altro
stimolante per tutti.
periodo creativo di « Gioventù
cristiana » e spiega perché quel
discorso è ancora attuale; Miegge
ha risposto a istanze profonde
che si agitavano in fronti contrapposti come quello deU’ACDG
da un lato e di « Gioventù valdese » dall'altro; lo ha fatto dando senza complessi la priorità al
lavoro culturale, necessità vitale
per una minoranza, e ritrovando
con forza le ragioni deH’identità
confessionale riformata (la FGV
di Bosio guardava ad Arnaud,
« Gioventù cristiana » guardava a
Chanforan).
Gianpiero Bof, parlando del
dialogo con il cattolico Igino
Giordani, è in realtà interessato a
trarre daU’atteggiamento di Miegge un insegnamento per il presente, e lo individua nell’interesse
per il fondamento dell’etica, che
è anche il terreno su cui si pone
oggi l’incontro tra credenti e non
credenti, dove la rivalutazione del
finito e il riconoscimento del valore etico del Regno di Dio, un
tema caro ai liberali, hanno più
da dire che non le tematiche del1’« analogia entis » e della teologia naturale. Ma è lo stesso Bof a
ricordare un dato fondamentale:
per Miegge nel ’42 la teologia dialettica è un dato acquisito; chiedo: lo è ancora oggi? Non è grazie a quel radicamento che Miegge, in contrasto con Buonaiuti
che, pur più aperto di Giordani,
resta legato all’idea della superiorità della civiltà mediterranea
e quindi incapace di comprendere il vero significato del protestantesimo, troverà con lui, come
documenta Lorenza Giorgi, un
terreno d’intesa nel comune interesse per la Prima Riforma e
l’escatologia?
11 centro del pensiero di Miegge, secondo Emidio Campi, si situa tra il bisogno di collegarsi alla grande tradizione del pensiero
riformato e lo sforzo verso un
rinnovarsi della coscienza cristiana nell’epoca dell’ecumenismo.
L’identità forte gli dà la libertà
per esporsi nel dialogo. Di qui
l’impronta indubbiamente ecumenica delle sue opere maggiori. Nel
Lutero può presentare il riformatore nella sua grandezza senza
far ricorso alle parole d’ordine
anticattoliche, e può fornire così
una risposta alla rilettura che da
parte cattolica si vien facendo
della Confroriforma come « riforma dalTinterno ». In La Vergine Maria può dedicarsi allo studio dei dogmi, non per distruggerli, ma per comprenderli.
Il termine « apologetica » e l’esempio del Per una fede, tema
della tavola rotonda conclusiva,
si prestano forse per definire questo atteggiamento fatto di apertura al dialogo e di volontà di testimonianza. Tuttavia Sergio
Quinzio insiste sull’unilateralità
del messaggio biblico e rimprovera a Miegge una certa indecisione tra l’estremo della fede più
radicale e l’esigenza liberale, che
Giovanni Moretto rivendica fortemente, come un tendere all’universalità del discorso religioso. E’
d’altra parte il metodo dell’analogia a interessare Giulio Giorello, nella prospettiva di una scienza non dimentica delle premesse
galileiane e aperta all’incontro.
Ciò che per Enrico Rambaldi
rende accettabile l’apologetica di
Miegge è il rispetto dell’interlocutore nella coscienza della complessità del reale, per cui l’apologetica diventa rivendicazione serena di ciò che non è scalfibile
nella propria posizione. Contro
la pretesa delle curie di dettare
direttive in base a verità assolute
da un lato, e alla tentazione del
silenzio dall’altro, resta per Sergio Rostagno la necessità del discorso teologico che nella reciproca illuminazione degli elementi che lo compongono, rende praticabile un’esistenza « coram
Deo », davanti e in presenza di
Dio.
Pagina a cura di
Bruno Rostagno
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vita delle chiese
20 dicembre 1991
IL VILLAGGIO CARACCIOLO NELLA NAPOLI DEL TERREMOTO
Lemergenza infinita
Il 23 novembre 1980 un forte terremoto ha
colpito l’Irpinia e Napoli. C’è stata in quell’occasione una grande solidarietà sia a livello nazionale che internazionale. Frutto di questa solidarietà è stata anche la costruzione a Ponticelli, un quartiere di Napoli, del villaggio
« Galeazzo Caracciolo » (60 abitazioni monofamiliari prefabbricate) a cui ha fatto seguito
l’apertura del centro « Emilio Nitti ». Dal 1983
le chiese evangeliche napoletane, con l’apporto finanziario della FCEI, hanno organizzato
in primo luogo per gli abitanti del villaggio
ma anche per l’intero quartiere un lavoro sociale e culturale. In questa pagina vogliamo
presentare le problematiche che sono connesse
a questo impegno diaconale.
Dopo undici anni dal terremoto, a Ponticelli, un quartiere alla
periferia della città di Napoli, sono ben visibili i segni della trasformazione, dove gran parte del
programma di ricostruzione (28
mila alloggi previsti dalla legge
219/81) è stato realizzato.
Cinquanta chilometri di nuove
strade a tre corsie collegano i nuovi rioni sorti intorno al vecchio;
la popolazione è passata da 45.000
abitanti (censimento ’81) agli attuali 90.000 circa. Ma il numero
è destinato ad aumentare, una volta completato il piano di ricostruzione.
In mezzo a tante case molte
sono le infrastrutture previste e
realizzate dal programma commissariale: scuole, strutture sanitarie,
complessi sportivi, parchi, aree attrezzate a verde per il tempo libero. Ma tutti questi servizi, ad eccezione delle scuole, rischiano di
non essere mai utilizzati dai ponticellesi, perché il comune di Napoli è stato finora incapace di
prenderli in consegna (come prevede la legge) e farli funzionare.
Servizi per la collettività rischiano così di rimanere monumenti
all’incapacità di governo e allo
spreco di denaro pubblico da parte di tutta una classe dirigente.
E’ mai possibile che burocrazia
e malgoverno in questo paese debbano negare al cittadino quelli che
sono i suoi diritti? Hanno già
tutti dimenticato quei giorni, e la
sofferenza della gente, le famiglie
distrutte dal dolore per la perdita
della casa o la morte di un familiare, quando venivano sistemate
in alberghi, scuole, navi, case di
vacanza requisite, mentre si approntavano sistemazioni in campi
formati da container o si cercavano altre soluzioni provvisorie?
Furono giorni drammatici. Napoli, dal sisma, aveva ricavato un
trauma non solo fìsico (di danni a
fabbricati e alle opere civili), ma
sociale estremamente rilevante. Si
promise, allora, di essere molto rapidi nell’opera di ricostruzione,
anche a costo di andare incontro
agli inconvenienti che la fretta
produce. Perché bisognava escogitare tante deroghe al sistema normale dei diritti/doveri? La parola
utilizzata, allora, per descrivere
sistematicamente le ragioni di que
sta impostazione era « emergenza ».
Ma dopo undici anni si può ancora parlare di emergenza? Purtroppo sembra proprio di sì. Il
quadro reale che si ha davanti in
questi giorni è quello di una grande opera incompiuta, senza avere
la certezza che possa essere portata a compimento. Si dovranno
attendere altri dieci, undici anni?
O forse si dovrà aspettare un altro
terrernoto, per vedere realizzata la
fine della ricostruzione, perché
un’altra pioggia di miliardi scenda
sulla città? Quella che doveva
essere la nuova speranza, promessa dallo stato ai cittadini colpiti
dal sisma, e che aveva come
obiettivo la rinascita dello sviluppo economico ed il miglioramento
della qualità della vita, resterà solo un sogno? Lo stato di queste
cose, la situazione politica e le
responsabilità di chi governa la
città meriterebbero un’analisi attenta. Del resto, poi, tutti conosciamo questa situazione, perché
essa non è che lo specchio di quella nazionale.
L’evasione scolastica a Ponticelli, secondo gli ultimi rilevamenti, ha raggiunto il trenta per
cento, su una popolazione di diecimila studenti: il tasso più alto in
tutta l’Europa! Una parte dei ragazzi che evadono l’obbligo scolastico impara un mestiere; ma purtroppo è costretta ad accettare rhisere offerte, senza assistenza né garanzie per il futuro. Il resto, e si
tratta della maggioranza, trascorre il suo tempo per la strada, inventandosi passatempi e giochi
pericolosi che il più delle volte si
trasformano in atti di vandalismo
e prendono di mira i beni pubblici. Ed ecco che, di eonseguenza,
la camorra rozza e selvaggia, che
in Ponticelli è dietro l’angolo, è
diventata oggi per i ragazzi sbandati una efficace educatrice con
una presa immediata.
In questa situazione di degrado
sociale e culturale nascono e crescono bambini scomodi per il
quartiere, ed intere schiere di ragazzi imparano a muoversi e a
campare negli interstizi della società.
Quale speranza c’è per questo
piccolo esercito di ragazzi che evade la scuola, che non sa giocare
(g. g.)
ma vuole divertirsi, ed è tenuto a
distanza da tutti? C’è qualcuno disposto a tendere loro una mano?
Un pugno di case bianche con i
tetti rossi è ben visibile davanti
alle file dei palazzoni che compongono uno dei nuovi rioni di
Ponticelli. E’ il villaggio Caracciolo, costruito dopo il sisma dell’80
dalla Federazione delle chiese
evangeliche per i terremotati di
Napoli. Sin dalla sua inaugurazione (1983) vi opera il « Centro culturale Emilio Nitti », una struttura che ha impostato il proprio intervento di testimonianza evangeliea nel sociale, ponendosi come
obiettivo quello di contribuire ad
una crescita culturale del quartiere.
Una panoramica sul quartiere dominato, sullo sfondo, dal Vesuvio.
ALLA RICERCA Di UN TESSUTO SOCIALE
Una semina difficile
Salvatore Corttni
In che cosa consiste il lavoro
nel villaggio Caracciolo? Per darne un'idea vorrei raccontare questo piccolo episodio. Dovevo parlare con Mena Gioia che, insieme
al marito Salvatore, gestisce il
Centro culturale. Sulla soglia
dell’ufficio sono bloccato da un
alterco che si svolge all’interno.
Aspetto, insieme ad un gruppo
di bambine in tutù che attendono l’insegnante per la lezione di
danza. Dopo un po’ esce dall’uf
Un’immagine di vita quotidiana al Villaggio.
Il Villaggio Caracciolo all’interno di Ponticelli.
SCHEDA
Il centro G. Caracciolo
Il Centro si estende su una
superficie di circa 7.000 mq e
comprende 60 case prefabbricate, monofamUiari, di 64 mq
ciascuna. Attualmente risiede
una popolazione intorno alle
320 persone. Le case, costruite dalla FCEI, grazie alla solidarietà ecumenica, sono state assegnate dal Comune alle famìglie terremotate. Inoltre v’è la casa degli operatori sociali (Salvatore e Mena
Cortini), quella per i volontà^
ri che può accogliere piccoli
gruppi, il « Centro culturale
E. Nitti » e gli impianti sportivi.
Le attività che il Centro
svolge sono il doposcuola ( dal
lunedì al venerdì), un corso
di danza (2 volte alla settimana), un corso di musica
(2 volte alla settimana), attività sportive (2 volte alla settimana), attività manuali (1
volta alla settimana), attività
di animazione di gruppo (1
volta alla settimana).
Queste attività raccolgono
circa 80 bambini, con una
frequenza media giornaliera
di 25-30. Inoltre il Centro organizza incontri di medicina
preventiva (frequenza media
15 persone) e corsi di taglio
e cucito (per 15-20 persone).
Il Centro mantiene contatti
con gli assistenti sociali delle strutture pubbliche per l’inserimento nelle attività del
Centro stesso di minori segnalati dagli enti locali (non
esistono centri sociali pubblici operanti nella zona), con
il Distretto scolastico per un
lavoro di sensibilizzazione dei
genitori e la lotta contro
l’evasione scolastica, con la
USL per i problemi della salute e con la Circoscrizione
e il Commissariato straordinario del governo per i problemi della ricostruzione.
Il Centro ospita occasionalmente incontri e convegni di
evangelici federati e non, ed
è la sede del Coordinamento
migranti campano (COREI).
La spesa globale annua,
comprendente le varie attività e lo stipendio dell’assistente sociale, iscritta nei ruoli
diaconali, è di circa 50 milioni. Le entrate sono date da
piccole quote di partecipazione alle attività e da donazioni.
fido una donna, capelli ossigenati, che si allontana con l’andatura di una gallina arrabbiata. Poi
esce l’insegnante di danza: faccia
tesa,, sull’orlo di una crisi. Entro
e trovo Mena sconvolta. Motivo
della litigata, in coloriti termini
dialettali, 10 mila lire che la signora ossigenata rifiutava di pagare come quota mensile per la
partecipazione della figlia al corso di danza.
Il ’’Villaggio” è nato come risposta immediata al problema
del terremoto; è stato costruito
in tempi rapidi; offre una sistemazione dignitosa a famiglie senza casa; il Comune si è caricato
dei costi di gestione. Ma l’intervento caritativo, nelle intenzioni
della Federazione, doveva servire per costruire un tessuto sociale degno di questo nome. Gli
abitanti del Villaggio erano stati
costituiti in comitato, per provvedere insieme alle necessità comuni (luce, gas, acqua, ecc.) nel
tentativo di educare famiglie che
vivevano ai margini della società
e, anche, al di fuori della legge,
alla democrazia. Ma su questo
terreno è difficile procedere.
« Hanno un loro concetto di democrazia —: dice Mena — che significa avere tutto e gratis. Per
noi, invece, significa solidarietà
degli uni con gli altri, senso della
responsabilità comune, creare
condizioni di vivibilità per tutti.
Invece il napoletano è imprevedibile: ti segue solo se può avere
un proprio tornaconto. Il terremoto ha incrementato una mentalità perversa, per cui tutto mi
è dovuto, mentre io non devo
nulla all’altro ».
Se non tutto, certo molto è stato dato alla gente del Villaggio:
i bambini sono stati mandati nei
centri estivi, tutte le madri hanno potuto usufruire di controlli
ginecologici, le famiglie sono state aiutate a far studiare i figli sapendo quanto l’istruzione sia importante per evitare un futuro di
emarginazione. Insomma, si è fatto e si sta facendo di tutto per la
promozione sociale e culturale.
Ma, paradossalmente, mentre la
risposta da parie degli abitanti
del Villaggio tarda a venire o è
inesistente, la realtà intorno s’è
messa in movimento. Gli. abitanti
degli enormi palazzi circostanti
hanno scoperto il Centro ed usufruiscono volentieri dei suoi servizi (senza protestare se devono
pagare qualcosa); anche la parrocchia cattolica s’è mossa con
tutta una serie di iniziative importanti. Il Centro, insomma, è
diventato un punto di riferimento
e di stimolo per un’area ben più
vasta dei suoi 7.000 metri quadrati.
La semina dunque c'è stata, anche se non nel solco programmato. « Se ne va piangendo colui che
porta il seme da spargere, ma tornerà con canti di gioia quando
porterà i suoi covoni » (Salmo
126: 6).
Luciano Deodato
11
20 dicembre 1991
vita delle chiese 11
LA TAVOLA INFORMA
CORRISPONDENZE
La «casetta» di Bari
Le sedute, su cui ha gravato la preoccupazione finanziaria, si sono svolte nel capoluogo pugliese in un’atmosfera di vera fraternità
Presenza in città
Con larga e piacevolissima
ospitalità le Chiese valdese e
battista di Bari hanno accolto la
Tavola che nei giorni 30 novembre, 1“ e 2 dicembre ha tenuto
le sue sedute di fine anno nel
capoluogo pugliese. In particolare rincontro con fa realtà locale è avvenuto al culto della prima domenica di Avvento nel locale di corso Vittorio Emanuele, con la partecipazione anche
di diversi membri della comunità battista e nell’agape che ha
avuto luogo all’aperto, sul terreno che circonda la « casetta di
Bari », organizzata dalle due comunità. La Tavola ha così avuto
modo di conoscere quest’ultima
acquisizione — un piccolo immobile di un piano circondato
da un uliveto, donato da un
membro di chiesa — che serve
sia all’opera di accoglienza in
collegamento con la Federazione
(attualmente ospita due famiglie
di albanesi), sia ad attività delle
chiese pugliesi. Nel pomeriggio
la Tavola ha anche incontrato
ring. Roberto Pantaleo che sta
predisponendo rilievi e progetti
per rendere più agibile la proprietà.
La tassa
suirinflazione
Le sedute della Tavola sono
state dominate da un’opprimente preoccupazione finanziaria,
che ha respinto in secondo piano la normale preoccupazione
per l’andamento dell’esercizio in
corso: l’imposta sull’incremento
di valore degli immobili (INVIMI, che ogni 10 anni colpisce
le persone giuridiche proprietarie di immobili (con l’esclusione
degli edifici adibiti al funzionamento dell’ente, nel nostro caso
degli edifici di culto e pertinenze). Già sentita come ingiusta in
sé (non pochi mettono in dubbio la costituzionalità di questa
« tassa suirinflazione »), l’imposta appare oggi particolarmente
oppressiva per il fatto che il governo ha deciso un anticipo di
2 anni sul decennio (si tratta di
un’imposta straordinaria) e l’applicazione di nuove rendite catastali che per i privati scatteranno solo nel ’93, cancellando
con il voto di fiducia qualsiasi
proposta di riduzione o agevolazione. 11 risultato di questa
mannaia è un taglio di alcune
centinaia di milioni nel patrimonio immobiliare della Tavola,
dell’OPCEMI, dei concistori delle chiese autonome. La Tavola
per parte sua ha passato in rassegna il quadro generale predisposto daH’ufflcio tecnico; ha
espresso opinione contraria riguardo all’eventuale richiesta di
estensione del privilegio che il
concordato riconosce alla Chiesa cattolica (esenzione totale anche degli immobili di reddito di
proprietà degli Istituti diocesani
per il sostentamento del clero);
ha deciso di avviare — sollecitando in questo senso le altre
confessioni evangeliche — la richiesta di un aumento dell’aliquota di esenzione già prevista
per legge per gli enti non commerciali (ora al 50%) nella linea dell’esenzione totale che per
gli enti non commerciali aveva
proposto la Commissione finanze della Camera. Le probabilità
di ottenere qualcosa prima della scadenza del 20 dicembre sono minime, ma non per questo
è minore l’impegno volto ad ottenere una maggiore giustizia in
campo tributario.
Rapporti con
lo stato
La Tavola ha anche ratificato
i passi avanti compiuti sul terreno dell’attuazione di 36/SI/91:
“Are we glad
to hear that
you don't
know where
you’ll get the
money you
need. For a
minute there
we were
afraid you
wanted to get
it from us.”
Siamo contenti di sentire che non sa dove prenderà quei soldi di cui
ha bisogno. Poco fa per un momento abbiamo avuto paura che intendesse chiederli a noi (da Presbyterian Survey: The Magazine for
Presbyterians, ottobre 1991).
è stata inviata la richiesta al
presidente del Consiglio di riapertura della trattativa con lo
stato in ordine ai rapporti finanziari (defiscalizzazione e 8 per
mille); è stata nominata la delegazione che per conto della Tavola condurrà la trattativa con
10 stato (Giorgio Spini, Franco
Becchino, Paolo Ricca, Piero
Trotta); è stata nominata la
« commissione larga » che affiancherà l’azione della delegazione durante la trattativa, riferendo via via alla Tavola e sottoponendole le proposte in merito alle decisioni da prendere. La
commissione, che è presieduta
da un membro della Tavola, il
pastore Aurelio Sbaifi, ha avuto
per il 9 dicembre la sua prima
riunione.
Tre atti
notarili
Di grande peso sono tre atti
notarili che nel giro di un paio
di mesi il moderatore avrà sottoscritto in rappresentanza della Tavola, e che questa ha discusso nelle sue ultime sedute.
All’inizio di novembre, in attuazione di 47/SI/91, la Tavola
ha partecipato insieme alla CIOV
alla creazione del Centro servizi di Torre Pellice e in attuazione di H/AS/90 ha partecipato
insieme all’OPCEMI e all’UCEBI
alla costituzione della Società
edizioni protestanti, SEP, che
sarà l’editrice di « Vita protestante », il settimanale battista,
metodista e valdese che sostituirà « Il testimonio » e « La luce ». A fine dicembre, in attuazione di 50/SI/91, la Tavola parteciperà con il seggio della Società di studi valdesi alla costituzione della Fondazione Centro
culturale valdese.
Il Centro servizi segna per
molte delle nostre opere la svolta di un coordinamento che le
rafforzerà, il salto di qualità di
una impostazione professionale,
la possibilità di un risparmio,
per un tempo in cui non è più
possibile gestire opere in modo
dilettantesco e in cui l’isolamento non è più difesa e garanzia
di autonomia.
Con la struttura che costituirà
11 supporto di « Vita protestante », ci disponiamo a compiere
un notevole sforzo per uscire
dal guscio denominazionale e in
gran parte regionale in cui i nostri periodici si sono fin qui ristretti.
Erigere il Centro culturale
valdese in fondazione, secondo
il progetto elaborato fin dalla
sua costituzione nel 1989, significa dotare il CCV degli strumenti giuridici e organizzativi che
gli consentano di operare con
piena funzionalità. Il CCV potrà
così aggiungersi a pieno titolo
come « terza punta », accanto alla Facoltà di teologia e alla
Claudiana, nella formazione che
affronta sul piano nazionale una
delle maggiori sfide, quella culturale, che la nostra chiesa incontra oggi.
Gli « atti notarili » non sono
ovviamente che il momento iniziale. Ad essi deve far seguito
uno sforzo corale di collaborazione, pazienza, impegno non
esente da sacrifici, lungimiranza,
portato non solo da quanti sono direttamente responsabili di
organismi ma anche dalle chiese, dalle opere, dai singoli membri di chiesa. Solo così i cambiamenti che si prospettano saranno utili per la testimonianza e il servizio della chiesa e
per il suo sviluppo.
Nuove
direzioni
Nell’ambito delle opere, la Tavola ha approvato due atti che
segnano la conclusione di due
progetti di avvicendamento a
cui, insieme ai rispettivi comitati, lavorava da tempo.
Per il Centro diaconale La Noce di Palermo, la Tavola ha nominato direttore il diacono Marco Jourdan che succederà al pastore Sergio Aquilante il 1” luglio dell’anno prossimo. Per il
periodo gennaio-giugno la Tavola ha chiesto ad Aquilante e
Jourdan, mediante periodiche visite a Palermo di quest’ultimo,
di accordarsi per un progressivo inserimento del nuovo direttore e un adeguato passaggio di
consegne. Per il pastore Aquilante si prevede successivamente un periodo sabbatico e un
trasferimento nell’area napoletana.
Per la Casa valdese di Roma
la Tavola ha nominato diretto
re il diacono Aldo Visco Gilar
di che succederà a Marco Jour
dan ugualmente il 1” luglio ’92
Aldo Visco Gilardi disporrà di
un congedo di aggiornamento all’estero (Berlino) per prepararsi
al nuovo incarico nel periodo
gennaio-marzo. Nel trimestre
aprile-giugno ’92 sarà possibile
attuare un periodo di completa
compresenza alla Casa valdese
che faciliterà l’assunzione della
nuova responsabilità da parte
del nuovo direttore. La Tavola,
che non intende rinunciare completamente al prezioso apporto
di Aldo Visco Gilardi, si è riservata di riprendere il discorso di una sua collaborazione parziale con la Tavola quando egli
sarà sufficientemente rodato nel
suo nuovo incarico.
IVREA — Nella settimana dal
16 al 22 novembre, in una sala
comunale del centro cittadino,
circa 500 studenti e forse 400-500
persone sono entrati in contatto con la realtà protestante e
con il nostro modo di essere
chiesa.
Alla spicciolata o in gruppi,
hanno partecipato all’inaugurazione della mostra, hanno visitato la mostra soffermandosi a
lungo davanti ai 12 pannelli storici suddivisi in tre periodi (Medioevo, Riforma e ’800) e ai 4
pannelli sull’attualità protestante in Italia e nel mondo e sulla
situazione locale (Ivrea e diaspora).
Diverse considerazioni lusinghiere sulla mostra sono rimaste nel registro dei visitatori.
Mercoledì 20, nella serata,
un’ottantina di persone ha seguito la predicazione pubblica
del pastore Genre sulla libertà.
Alcune letture bibliche importanti per il tema trattato hanno
preceduto la meditazione, ricca
di spunti di riflessione: libertà
dalla religione, libertà da se stessi e nuova libertà di rapporti
umani.
Quattro canti, presentati dalla
nostra corale, hanno sottolineato i diversi momenti della serata, che si è conclusa con il
canto deH’inno valdese per eccellenza, il Giuro di Sibaud.
Venerdì sera, a conclusione
della settimana, il pastore Giorgio Tourn ha presentato con
grande schiettezza e grande incisività alcuni pensieri sull’identità protestante oggi.
Partendo dall’origine di tale
identità, la Riforma del XVI secolo, il pastore Tourn ha ripercorso le diverse tappe della storia dell’identità protestante dopo
i riformatori del ’500 (rivoluzione puritana, nascita del pietismo,
predicazione del metodismo inglese e cristianesimo sociale) e
ha sintetizzato l’identità protestante oggi in tre parole chiave: fede, libertà e laicità.
Un pubblico numeroso e attento ha seguito con interesse la sua
esposizione e ha posto alla fine
diverse domande che hanno dato luogo ad un ampio dibattito.
Scuola domenicale
e catechismo
VENEZIA — Domenica 3 novembre il culto a Mestre è stato particolarmente dedicato all’apertura della scuola domenicale e del catechismo, peraltro
già iniziati. Erano presenti in
buon numero bambini e ragazzi, venuti anche dalla provincia
di Treviso. I più grandi hanno
partecipato con letture.
• Il 9 e il 10 novembre ha
avuto luògo a Venezia, presso
la Foresteria, il convegno FGEI
sulla preghiera, che ha avuto
come tema di riflessione il brano di Romani 8: 18-27.
• Ormai da un pezzo sono
iniziati i consueti incontri di studio durante la settimana, per
giovani e per adulti, nelle varie
località. Quest’anno una novità
è rappresentata da un solo studio in comune fra Venezia e Mestre, tenuto a Mestre. L’argomento trattato è il documento suggerito dalla Tavola, « Verso una
comprensione comune della chiesa », sul dialogo fra riformati
e cattolici. Un certo numero di
cattolici del gruppo ecumenico
partecipa regolarmente a questi
incontri.
• Alla fine di settembre la giovane sorella Nelly Donini, di Treviso, si è sposata con Ivan Seremin; agli sposi vanno gli auguri
di tutta la comunità.
Collaborazione
territoriale
SAN BENEDETTO DEI MAR
SI — Il BMV c’era tutto ed anche di più. Uno degli aspetti
della collaborazione territoriale
del BMV ha avuto inizio, ancora una volta in Abruzzo, tra le
piccole comunità di Villa San
Sebastiano e San Benedetto dei
Marsi domenica 24 novembre
con il culto presieduto dal past.
Enos Mannelli (metodista e responsabile del circuito del Molise ed Abruzzo).
E’ stato insediato il past. Thomas Elser (tedesco e proveniente da una chiesa luterana « un
po’ riformata », che svolge il suo
ministerio presso la Chiesa valdese). Alla cerimonia hanno preso parte, oltre a numerose sorelle e fratelli delle chiese vicine (Pescara, Isola Liri, Ariccia
e Villa San Sebastiano), anche
Rossana Di Passa Pallagrosi in
rappresentanza del CE/UCEBI e
il past. B. Colombu, segretario
dell’ACEBLA.
L’ACEBLA ha avuto dal CE/
UCEBI l’incarico di curare la
comunità battista di San Benedetto per circa otto mesi ed è
stato un impegno preso con senso di responsabilità da parte di
tutte le chiese battista dell’Associazione, tanto da dare alla piccola comunità marsicana un concreto segno della solidarietà tra
tutti i battisti delle due regioni,
ma è stato anche un buon incentivo per la comunità a impegnarsi maggiormente nella testimonianza e in una più costruttiva presenza.
Vogliamo esprimere tutta la
nostra simpatia e il nostro sostegno al past. Elser per questo
nuovo impegno neH’annimcio dell’E vangelo.
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12
12 vita delle chiese
20 dicembre 1991
ASSEMBLEA DEL XVI CIRCUITO
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Essere giovani in Sicilia verso Natale
Oltre alla questione giovanile, al centro dell’assemblea anche il
problema del confronto con la cultura islamica - Una nuova nomina
Il Centro palermitano « La Noce » ha ospitato, sabato e domenica 7-8 dicembre, l’asssmblea
del 16° circuito, con la partecipazione dei delegati delle chiese
di Palermo, Trapani, Marsala,
Catania, Scicli, Pachino, Agrigento, Grotte, Riesi e Vittoria.
Il dibattito si è incentrato soprattutto sulla situazione giovanile che, anche a Palermo, sembra attraversare momenti di crisi. Soluzioni preconfezionate non
ne esistono; ora il Consiglio di
circuito, con la giunta FGEI regionale, tenterà di analizzare le
ragioni di un’assenza che rappresenta un impoverimento per
la vita delle nostre chiese. Proseguirà la riflessione anche sui
temi del Mezzogiorno, letti nella prospettiva dell’unità europea,
in una serie di analisi periodiche aperte non solo al corpo pastorale ma a tutti i laici interessati, nella prospettiva di sviluppare una nuova strategia di
presenza e di impegno in mezzo
alle difficoltà in cui si dibatte
il Sud. Importanti sono state anche le informazioni che il pastore Mauro Pons ha dato nel corso dell’assemblea sul progetto di
ricostruzione del centro giovanile di Adelfia, visto come luogo
di formazione e di confronto.
Occorre che tutte le comunità
siciliane facciano il massimo
sforzo economico per sostenere
un’iniziativa che avrà, soprattutto sul fronte giovanile, una ricaduta positiva. E’ stata, inoltre,
accolta con gioia la notizia che
gli studenti della Facoltà di teologia, guidati dal professor Genre, visiteranno (e discuteranno),
a fine aprile, le realtà diaconali
dell’isola.
Ma non si è parlato solo delle nostre questioni interne. C’è
stato anche modo, pur nella concentrazione di poche ore, di
ascoltare e dibattere temi che
hanno permesso di alzare lo
sguardo dalla realtà regionale. Il
pastore La Torre ha introdotto,
con ricchezza di dati e analisi,
il tema dell’Islam: i pregiudizi.
Palermo. Un’immagine dell’opera del Centro diaconale "La Noce”.
le strumentalizzazioni e l’ignoranza occidentale verso una civiltà. L’esposizione di La Torre,
frutto anche di anni di ricerca
e di studio, ha innescato un vivace dibattito nel quale il sociologo arabo Hassan Slama, che
da 17 anni vive a Palermo, ha
portato un contributo di chiarezza proprio sui temi più controversi: la guerra santa, il ruolo della donna, il rapporto con
il cristianesimo.
La riflessione sull’Islam non
cadeva dall’alto. Il centro diaconale « La Noce », tra i suoi vari
programmi, registra anche un
grosso lavoro, coordinato da Alfonso Manocchio, di accoglienza ed assistenza legale che vede
ogni giorno transitare decine di
immigrati. Ma non tutti sono
musulmani. Al culto nel tempio
della centralissima via Spezio abbiamo incontrato molte facce di
colore che hanno trovato in questa calda comunità palermitana
un prezioso punto di riferimento. La pastora Paola Benecchi
ha riflettuto nella predicazione
sull’incontro di Maria ed Elisabetta: il tempo dell’Avvento come tempo di accoglienza e di
speranza fondato sulla gioia profonda.
La Comunità evangelica
riformata
di Locamo e dintorni
cerca
per il 1“ settembre 1992 (ev. data da .convenire ) un/una
pastore/a
Ci aspettiamo:
— persona di madre lingua italiana, con sufficiente conoscenza
delle lingue francese e tedesca ;
— disponibilità a collaborare con altri colleghi;
— voglia di lavorare in modo indipendente per sviluppare la
comunità di lingua italiana e francese.
Compiti principali:
— culti e funzioni in italiano;
— insegnamento nelle scuole;
— visite negli ospedali e nelle case di riposo.
t)ffriamo :
—- casa parrocchiale spaziosa con Chiesa e Centro comunitario
annessi, a Muralto.
Gli interessati possono annunciarsi (entro la fine di gennaio 1992) al presidente della commissione per reiezione di
un nuovo pastore, sig. Jean François Montandon (via Lusciago 15 - CH 6616 Lesone, tei. 0041 93 352894). Per eventuali informazioni ci si può rivolgere anche al pastore Franco Scopacasa (via ai Grotti 2 - CH 6616 Lesone, tei. 0041 93 355357).
Spiace che non ci sia stato
tempo di discutere a fondo la
chiara relazione di Marco Jourdan sulla riforma dei circuiti e
dsi distretti e quella dell’antonomia delle chiese. Anche il tema
dell’ecumenismo non ha potuto
essere affrontato come meritava.
Infine l’assemblea ha nominato, al posto della diacona Karola Stobaeus che è entrata mesi
fa nella Commissione esecutiva
del IV distretto, come nuovo
membro del Consiglio di circuito
Giuseppe Ficara di Riesi, candidato al ministero pastorale. In
sostanza si è trattato di un incontro ricco e anche ben organizzato, approfittando dell’accogliente struttura de « La Noce ».
Peccato che le grandi distanze
non consentano maggiori occasioni di incontro e scambio di
informazioni sul lavoro nella diaspora siciliana. Bisognerà aspettare il prossimo mese di maggio
per avere un’altra assemblea.
Anche in questo l’Italia ecclesiastica viaggia a due velocità.
Giuseppe Platone
ANGROGNA — Domenica 22
dicembre la scuola domenicale
offrirà alla comunità un culto
« particolare » sul Natale. Questo
culto, che si terrà alle ore 10,30
presso la Sala unionista del capoluogo, consisterà nella recita
di un testo dal titolo « Daniele
e la profezia del Regno di Dio »,
tratto dal capitolo 2 del libro di
Daniele.
Seguirà poi, alle ore 12,30, un
pranzo comunitario per i bambini e le bambine della scuola
domenicale e per le loro famiglie.
Sempre nella Sala unionista,
dalle 14,30 alle 17 circa, vivremo
un pomeriggio di festa attorno
all’albero di Natale, con canti,
l’apparizione di Papà Natale e
uno spettacolo di magia « Fantamagic », fraternamente offerto
ai bambini e ai grandi presenti
dal Mago Smith.
• Ecco il calendario dei culti
del periodo di Natale:
martedì 24 dicembre alle ore
20,30: culto della vigilia di Natale nel tempio di Pradeltorno, con
l’intervento della corale di Angrogna;
mercoledì 25 dicembre alle ore
10: culto di Natale nel tempio
del capoluogo, con la corale e
il coretto della scuola domenicale;
domenica 29 dicembre alle ore
10,30: culto nella scuola grande
del capoluogo;
martedì 31 dicembre alle ore
21: culto di fine d’anno nel tempio del Serre.
SAN GERMANO — Si terrà
sabato 21 dicembre, con inizio
alle ore 20,45, presso il tempio,
il concerto natalizio della Corale valdese di San Germano Chisone. Era da alcuni anni che la
Corale non rinnovava questo appuntamento, tanto più gradito è
dunque questo ritorno. Sempre
a cura della Corale sarà presto
diffusa una cassetta contenente
una meditazione pier l’Avvento
ed una per il Natale, unitamente a canti e preghiere: un piccolo momento di culto pensato
in modo particolare per gli an
JUGOSLAVIA; UN APPELLO DELLA EGEI
Per le vittime della guerra
Cari fratelli e sorelle,
mentre a Carlentini, il 23 novembre scorso, si inauguravano
tre belle case prefabbricate, messe in posa ed attrezzate grazie
alla generosità di voi tutti e a
un dono di chiese sorelle della
Germania, la Federazione rifletteva, consultando gli esecutivi
delle chiese membro, su quante
altre sofferenze vecchie e nuove
emergono nello sconvolto paesaggio mondiale di questi ultimi
tempi. Tragedie come il ciclone
delle Filippine dell'ottobre scorso, troppo « lontano » per rimanere più di qualche giorno sui
nostri giornali nonostante abbia
lasciato 5.000 morti c 16.000 senzatetto. E tragedie v'cine, come
l’Albania, dove peraltro la FCEI
sta per attuare un intervento, col
sostegno del CEC c in collegamento con la Federazione battista europea che sta aprendo una
sede sul posto; e come la Jugoslavia, dove il triste bi'ancm quotidiano di morti, di città assediate e ridotte alla fame, di profughi ci lascia ogni gionio increduli, prima ancora che sconvolti,
come di fronte al ritorno di un
pa.ssato che ci illudevamo di aver
definitivamente consegnato alla
storia.
Ed ecco che prima ancora che
maturasse la decisione di fare
appello alla vostra solidarietà —
esitanti per lo scrupolo di non
abusarne — qualcuno ha bussato alla nostra porta. La Chiesa
metodista di Trieste ha ricevuto
un drammatico appello dalla
Chiesa pentecostale di Fola, città dove si contano già 13.000 profughi e se ne prevedono a breve scadenza almeno 30.000. Chiedono materiale vario, cibo per
bambini, coperte e medicinali.
Gli evangelici triestini sono pronti ad attivare immediatamente
contatti diretti e spedizioni, in
collaborazione con l’Esercito della Salvezza che ha già programmato l’invio di autocarri.
Con il vostro aiuto, la FCEI
vorrebbe dare dimensioni e continuità adeguate a questo canale
diretto di aiuti, tanto più che il
Consiglio ecumenico, da noi consultato sull’opportunità di convogliare attraverso Ginevra eventuali sottoscrizioni, non è riuscito ad aprire canali propri e ci
incoraggia a fare noi stessi direttamente tutto quello che ci è
possibile.
In un momento in cui il tenore di vita anche nel nostro paese appare minacciato da venti di
recessione, licenziamenti, cassa
integrazione, il nostro aiuto a
uomini, donne e bambini che soffrono appena oltre frontiera acquista tanto più il valore di un
atto di fede, poiché molti non
daranno del superfluo. Del resto,
non ricordiamo proprio in questi giorni un altro dono, quello
di Dio per noi, il dono del .suo
figliolo Gesù Cristo? Possa questo dono ispirare i nostri e colmare la nostra vita.
Giorgio Bouchard
presidente
ziani e gli isolati. Il titolo della
cassetta è Dall’alto dei cieli 1991.
• Si è aperta sabato 14 dicembre presso l’Asilo dei vecchi la
bella mostra-mercato « Arte giovane », proposte di artigianato
artistico. Un gruppetto di giovani, in massima parte non professionisti, espone le sue opere:
ceramiche, disegni su legno, su
carta, su tela e su seta, intaglio
del legno. Ogni piccolo stand è
una sorpresa e una tentazione.
Ma soprattutto è un’occasione
per andare a trovare gli ospiti
dell’Asilo.
• Sempre all’Asilo, ricordiamo
il culto natalizio di venerdì 20,
alle ore 15. Mentre la comunità
di San Germano si ritroverà domenica 22 per il culto tenuto
dalla scuola domenicale ed il 25
per il culto natalizio con la celebrazione della Cena del Signore.
TORRE PELLICE — Sabato 21
dicembre con inizio alle 14,30
avrà luogo alla Foresteria la festa di Natale della scuola domenicale.
• Domenica 22, insieme ai catecumeni, i bambini della scuola domenicale parteciperanno al
culto del mattino. Alle ore 15,
nel tempio del centro, un pomeriggio musicale sarà offerto da
corale, coretto e gruppo flauti.
• Nella certezza della resurrezione la comunità è vicina alle
famiglie di Enrico Malan, Rosa
Cendola ved. Alunni, Laura Rivoira e Gabriele Geymonat che
ci hanno lasciato recentemente.
Assemblea di chiesa
BOBBIO PELLICE — Las
semblea di chiesa del 15 dicembre ha deciso di aumentare di
una unità il numero degli anziani del Concistoro, che risulta
essere composto di 14 membri;
ha confermato per il secondo
quinquennio i membri del Concistoro Jolpnda Catalin e Italo
Gönnet, eleggendo quali nuovi
membri Giovanna Charbonnier
ved. Re, Speranza Mondon ved.
Puy, Katia Catalin. Vivissimo apprezzamento per il servizio svolto con impegno e fedeltà è stato espresso ai 2 membri uscenti per compiuto quindicennio:
Giovanni Luigi Negrin e Dario
Geymonat.
• La nostra comunità si è profondamente rallegrata nel Signore per la nascita della secondogenita Sonia Charbonnier, di
Erich e Germana Rosani.
• Circa 40 persone, compreso
un gruppo di giovani, hanno trascorso alcune ore in un piacevole e fraterno incontro che ha
avuto luogo, la sera del 14 dicembre, nella scuoletta del quartiere Campi. A nome di tutti i
partecipanti vogliamo ringraziare quanti hanno collaborato alla preparazione dell’ottima cena,
seguita da canti e dalla visione
di un filmato sulla presenza valdese a Guardia Piemontese, significativamente rappresentata
oggi anche dal Centro culturale
Giovanni Luigi Pascale.
• Questo è il calendario del
periodo natalizio:
domenica 22, ore 10, nel tempio: culto condotto dai bambini
della scuola domenicale; ore
12,15, nella sala: agape;
mercoledì 25, ore 10, nel tempio: culto di Natale con Cena
del Signore;
domenica 29, ore 10,30: culto
di fine anno;
domenica 5 gennaio ’92, ore
10,30: culto di Capodanno con
Cena del Signore. Insediamento
dei nuovi anziani con partecipazione della Corale.
Solidarietà
POMARETTO — E’ deceduta
a Cannes, in Francia, la nostra
sorella Alice Pastre, di 83 anni;
residente all’estero, era rimasta
membro della nostra comunità.
Ai familiari in lutto giunga
l’espressione della simpatia cristiana della comunità tutta.
13
20 dicembre 1991
llalli valdesi 13
Alie vaili
A4 oggi
TURISMO INVERNALE
Morire a
17 anni
Se gli avvenimenti tragici servono a far riflettere e se per
molti sono il momento, in cui
ci si accorge che gli altri esistono e che i problemi ci sono,
è questo probabilmente il caso
della morte di una giovanissima
abitante di Torre Pellice.
Di lei, della sua famiglia e
della sua breve e assai travagliata vita sono tutti o quasi a conoscenza, né sarebbe necessario
parlarne ancora, tuttavia se di
L. e della sua tragica sorte scriviamo è per riflettere insieme
e per porre degli interrogativi
che probabilmente non avranno
risposta.
In questi giorni prenatalizi,
quando tutto si confonde nelle
luci e nei colori della festa, è
difficile mettersi a pensare che
L., 17 anni, non festeggerà mai
più il Natale. Ma forse è ancora più difficile provare a pensare che la sua morte, avvenuta in una notte come tante per
lei che era ormai abituata a
star fuori fino a tardi in balia
di divertimenti effimeri e di fughe balorde dalla realtà, ha a
che fare con ciascuno di noi in
maniera ben più significativa di
quello che viene da credere.
E’ possibile accettare con
rassegnazione o indifferenza
che una ragazza diciassettenne
muoia in un incidente stradale
nel cuore della notte, mentre si
trovava in compagnia della sorella e di altri amici, uno dei
quali era alla guida di un’auto
di grossa cilindrata? E soprattutto, viene da chiedersi, non si
poteva far nulla perché L. e
tanti altri come lei arrivassero
al punto in cui della vita si è
conosciuto soprattutto il lato
peggiore?
Il fatto è che questa volta
per gli abitanti della vai Pellice
non si tratta della morte di una
sconosciuta, una morte di chi
è facile ignorare perché se ne
è scritto su un giornale o se
ne è parlato in televisione. Di
L., delle amicizie che frequentava di giorno e soprattutto di
notte, erano a conoscenza un
po’ tutti. Ma in molti non hanno
fatto niente.
Sarebbe forse bello illudersi
che Torre Pellice sia. un’isola di
serenità e di pace dove la droga,
la tossicodipendenza giovanile,
Tahhandono scolastico, la disoccupazione non esistono. Ma cosi
non è e lo si sa. L. è morta, ma
a tanti altri come lei, tanti che
anche qui nelle nostre belle valli smarriscono la strada, si perdono e si sbandano negli anni
migliori della vita occorrerà forse prestare maggiore altenz.ione.
E sono in tanti a poterlo e doverlo fare con amore, passione,
spirito cristiano, competenza e
professionalità, laddove è necessario.
Carmelina Maurizio
Prali aspetta la neve
La nuova società, costituitasi da un anno e mezzo, è decisa, fra
l’altro, a promuovere una politica di differenziazione dei prezzi
A ormai più di 30 anni dall'inaugurazione della seggiovia di Prali,
inaugurazione ufficiale avvenuta
nel gennaio '60, la Società Seggiovie 13 Laghi spa, proprietaria degli impianti di risalita, ha ultimamente visto mutare in modo radicale i propri assetti interni. In
seguito alla decisione della Società Talco e Grafite di vendere le
proprie partecipazioni azionarie
nella « Seggiovie 13 Laghi », si è
costituita a Frali, nel luglio del
1990, la società semplice « Pral
uni’ », quest’ultima ha poi acquistato a settembre dello stesso anno le azioni messe in vendita dalla Società vai Chisone. La società semplice « Pnal uni’ » raggruppa un’ottantina di soci, in
prevalenza pralini, come espressamente dispone una apposita clausola dell’atto costitutivo, che hanno sottoscritto quote di importo
variabile da uno a dieci milioni.
Acquistando la quota ex Società
-vai Chisone, 33% circa del capitale sociale della « Seggiovie 13 Laghi », la società « -Pral uni’ » è
diventata azionista di riferimento e, in concreto, anche in connessione con le azioni possedute
a titolo individuale dai singoli
soci, ha raggiunto la maggioranza di controllo dell’assemblea.
Nell’autunno del 1990 Tassemblea straordinaria della « Seggiovie 13 Laghi » ha deliberato un
aumento di capitale che, pur non
raggiungendo il livello sperato di
450 milioni, si è concluso nella
primavera di quest’anno con una
sottoscrizione di 325 milioni, portando in totale il capitale della
soc'età a lire 625 milioni, interamente versati.
Con l’assemblea ordinaria 1991,
tenutasi nel mese di ottobre, la
modifica degli assetti societari si
è completata. Il Consiglio di amministrazione, che era alla scadenza del suo triennio di carica,
è stato interamente rinnovato ed
il numero dei suoi componenti
portato da 9 a IL Attualmente
tutti i membri del Consiglio di
’ amministrazione sono soci della
« Pral uni’ ». La sede della società è stata trasferita da Pinerolo
a Frali, alla partenza degli impianti di risalita. -Come ci ha
detto Danilo Peyrot, attuale amministratore delegato della « Seggiovie 13 Laghi », quest’ultima misura in particolare « vuole essere un segno tangibile della
centralità del collegamento con
la realtà di Prali ».
Su un piano operativo, in questi ultimi due anni, la società ha
iniziato un primo intervento sull’innevamento programmato di
alcune piste, acauistando inoltre
un nuovo battipista per la preparazione delle stesse per cercare di
competere con una concorrenza
senz’altro dotata di maggiori
mezzi finanziari. In particolare
quest’anno è stato deciso di sviluppare una politica di contenimento e di differenziazione ragionata dei prezzi.
« Proprio l’aspetto del turismo
infrasettimanale che deve essere
una occasione di rilancio per una
stazione che si qualifica essenzialmente per l’assenza di una
mondanità eccessiva e per la qualità familiare del servizio » afferma Romano Grill, attuale membro del -Consiglio di amministràzione e albergatore. « La situazione economica di Prali non è attualmente problematica sotto il
profilo dell’occupazione; bene o
male tutti hanno un lavoro, nelle
attività collegate al turismo, impianti, ristoranti e alberghi, pulizia alloggi, o in altre produzioni
in loco, miniera, costruzioni, mobilificio, ma un freno non indifferente allo sviluppo è rappresentato dalla scarsa ricettività alberghiera: 150 posti escluso il centro
di Agape. Questo limite condiziona la possibilità di organizzare il
soggiorno di gruppi numerosi nella formula delle "settimane bianche" e di superare la concentrazione degli sciatori nei fine settimana ».
Nel breve periodo comunque le
maggiori incertezze rimangono
legate al tempo; senza un buon
innevamento che garantisca una
lunga stagione sciistica tutto diventerà più difficile: il raggiungimento di buoni risultati di gestione che permettano nuovi investimenti in impianti e piste,
l'incremento o anche la sola conservazione della clientela abituale. Nei giorni scorsi alcune piste
sono già state aperte, è indubbio
però che solo successive abbondanti nevicate potranno portare
la stazione di Prali ad un’attività
a pieno regime che permetta in
primo luogo la copertura degli
ingenti costi di gestione.
A trent’anni dall’inizio dell’attività e con la prospettiva -minima di un altro trentennio di funzionamento, la concessione amministrativa sulle strutture della
seggiovia è stata recentemente
rinnovata, ma la stazione sciistica
di Frali, e con essa il paese stesso,
si trova purtroppo a dipendere in
modo ancora accentuato dalla
meteorologia, una scommessa
non indifferente.
Danilo Massel
DOPO LE ACCUSE DELLA REGIONE
Replica l’USSL 43
L’USSL 43 è nel mirino del-'
l’assessore regionale Maccari?
Dopo la denuncia che il coordinatore sanitario delTUSSL, Giovarmi Fissone, avrebbe percepito
indebitamente 116 milioni dalla
Regione, sono arrivate altre notizie negative sull’USSL della
vai Pellice.
Costi -pro-capite fra i più elevati della Regione, parco macchine di notevoli dimensioni, rapporto fra impiegati amministrativi
e operatori sanitari assai -elevati.
« L’USSL 43 — secondo la Regione — ha ottenuto dallo stato il
ripiano del disavanzo percentualmente superiore a quello effettuato in qualsiasi altra USSL del
Piemonte: a fronte di un’assegnazione di 18 miliardi e 691 milioni rUSSL ha chiesto ed ottenuto un ulteriore finanziamento di
7 miliardi e 25 milioni con un
incremento rispetto allo stanziamento iniziale del 37% ». Ci sono dunque, come affermano all’assessorato regionale alla Sanità, « vistosi snrechi e incongruenze gestionali? ».
In un recente documento il Co
Esposizione
dei prodotti
mitato dei garant' dell’USSL 43
passa al contrattacco. « Si tratta di una campagna di stampa
scorretta e inaccettabile — afferma — che non chiarisce che i
fatti ritenuti dall’assessore meritevoli di linciaggio non .sono da
addebitare al Comitato di gestione ed all’amministratore straordinario succedutisi presso l’USSL
43 nell’anno in corso e pretende
di anticipare giudizi che spettano esclusivamente alla Corte dei
conti, del resto già investita del
problema prima che ci pensasse
l’assessore.
Secondo il Comitato di gestione non si tratta di uso « implorale ed illegale del pubblico denaro, bensì di realizzazione di
pubblici servizi ritenuti, dalle
amministrazioni che si sono succedute presso questa ComunitàUSSL, rispondenti alle esigenze
di una popolazione montana e tali da prevenire, soprattutto mediante l’assistenza domiciliare integrata, il ricorso a interventi,
come i ricoveri ospedalieri, ben
più dispendiosi ».
P.V.R.
PINEROLO — Il Centro socioterapeutico di viale della Rimembranza organizza, dal 16 si
23 dicembre, nei locali di palazzo Vittone, una mostra espositiva dsi propri prodotti. Si tratta
di oggetti in ceramica, terracotta e tessitura, creati ed elaborati nel corso dell’anno dai ragazzi del Centro.
Orario di apertura dal martedì al sabato ore 15,30-18 e domenica ore 10,30-12, 15,30-18.
Niente accordo
fra i partiti
PINEROLO — Niente da fare
per la nomina del sindaco e della giunta. Non si è raggiunto
l’accordo tra i partiti. Per ora
sono d’accordo a costituire la
nuova giunta solo DC, PSI, PSDI.
Al primo consiglio dopo le elezioni non è stato possibile far
altro che convalidare gli eletti.
Il consiglio ha tempo fino al
23 gennaio per esprimere il sindaco, se questo non avvenisse il
consiglio sarà sciolto dal Prefetto.
Ferrovia: a febbraio
incontro pubblico
TORRE PELLICE — L’ipotesi
che la gestione della linea ferroviaria Torino-Torre Pellice
passi in futuro alla Satti ha
allarmato i pendolari della valle, preoccupati di uno scadimento del servizio. La regionalizzazione della rete ferroviaria locale è probabile, ma tempi e modi sono ancora allo studio; questo emerge da ambienti regionali e provinciali. Sabato 1° febbraio dovrebbe svolgersi un incontro pubblico con la partecipazione del direttore compartimentale di Torino sul tema;
« Riprende il servizio ferroviario: quale sviluppo per la linea
Torino-Torre Pellice? ».
Uno spazio per
il mercatino
PINEROLO — Domenica 22
dicembre i Verdi torneranno a
chiedere uno spazio per l’agricoltura biologica. Dalle 15 alle
19 in via Buniva, angolo piazza
Barbieri, presenteranno una petizione ai cittadini in tal senso,
oltre all’esposizione di prodotti
biologici.
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14
14 valli valdesi
20 dicembre 1991
CONTRO I TUMORI
Cambiare
le abitudini di vita
Una battaglia da vincere tramite la prevenzione, con la collaborazione del cittadino: sarà questo uno dei fronti di maggior impegno
Molte persone si trovano e si
sono trovate di fronte alla morte a causa di un tumore, una
malattia che si presenta come
una condanna. Se è vero che la
scienza riesce oggi a dare qualche risposta, la battaglia non
può essere vinta se non vi è la
collaborazione attiva di prevenzione del cittadino. Alla morte
non possiamo associare il fato,
spiegazione consolatoria, ma la
conoscenza più profonda del fenomeno può produrre qualche
risposta all’inquietante problema. Abbiamo posto alcune domande in merito al dott. Maina, primario dell’Ospedale valdese di Pomaretto.
La patologia tumorale nelrUSSL 42 è stata scelta come
argomento in occasione della
giornata dell’ospedale: quali i
motivi?
« A partire dalla ricerca e dal
lavoro svolto presso l’ospedale,
tre sono i dati che ci hanno impressionato: il primo è stato il
notevole incremento della patologia neoplastica legata alle problematiche dell’apparato respiratorio polmonare e laringe e a
carico della parte alta dell’apparato digerente.
Il secondo aspetto è l’incidenza su fasce di età relativamente
giovani, per esempio si riscontra nei maschi una percentuale
del tumore polmonare attorno al
15,3 ogni 100.000 abitanti nella
fascia tra i 45 e 54 anni.
Un terzo aspetto è legato al
fatto che buona parte dei casi
giungono all’osservazione in stato avanzato della malattia con
impossibilità di una cura radicale (chirurgica).
Dall’ottobre ’90 all’ottobre ’91,
per quanto riguarda il tumore
polmonare abbiamo constatato
che solo un 25% era in fase
iniziale, contro un 69% in stato
avanzato ed un 6% non valutabile. Per le neoplasie della laringe e dell’esofago il 100% era
allo stato avanzato, per quanto
riguarda la neoplasia gastrica
un 45% in stato avanzato, il 37%
non valutabile e solamente il
18% iniziale.
Riscontriamo tassi di incidenza elevati per le neoplasie dello
stomaco, in confronto ai dati
della stessa provincia di Torino,
un tumore che in tutte le parti del mondo è in diminuzione
tranne che in Giappone. Dagli
studi fatti non emerge per il
territorio delTOBSL 42, in rapporto ai casi registrati, una relazione di maggior incidenza in
alcune zone o borgate del territorio ».
Quali sono le cause individuabili di queste patologie?
« Per quanto riguarda il tumore del polmone, della laringe
e dell’esofago abbiamo constatato che determinanti sono il fumo e l’alcol. Nella neoplasia esofagea il 60% dei casi riguarda
individui con un consumo superiore a 50 grammi di alcol al
giorno e solamente il 20% di ca
PER IL NATALE 1991
un regalo gradito è
il calendario 1992
VILLE E
CASE PADRONALI
IN VAL PELLICE
di ANDREA NISBET
in vendita in vai Pellice,
Pinerolese e Torino
TUMORI PER APPARATO
si in individui non fumatori e
non consumatori di alcol.
Tra i fattori di rischio nel tumore dello stomaco è da evidenziare l’uso di cibi affumicati o
il consumo di cibi non conservati con la refrigerazione ma
con conservanti quali i nitrati.
Si tratta di un forte incremento di patologie legate alle abitudini di vita della popolazione,
un’azione di tipo correttivo-educativo sicuramente influirebbe in
modo determinante per un calo di queste malattie ».
Quale ruolo l’ospedale ha e si
auspica che assuma nell’ambito
della prevenzione?
« Nel caso dei tumori indotti
da fumo e alcol l’unica prevenzione efficace è quella primaria,
che è soprattutto di competenza deiruSSL rispetto al territorio. L’ospedale, nei casi di tumore della laringe, dell’esofago e
polmoni, strettamente correlati
al fumo e all’alcol, si pone come struttura di osservazione
epidemiologica, che segnala alTUSSL e alla comunità il fatto
che c’è un rischio, legato a fattori su cui si può intervenire
attraverso l’educazione sanitaria.
Si tenga conto che si tratta di
un rischio che non potrà essere
corretto se non entro dieci anni, chi ha bevuto e chi ha fumato necessita di una particolare attenzione del proprio medi
co curante; questo è l’intervallo
di tempo di permanenza dei fattori di rischio per i tumori dei
polmoni, esofago e stomaco.
L’ospedale si pone anche come organo di proposte e di intervento su questi fattori, con
la più ampia disponibilità di collaborazione nella campagna di
educazione sanitaria con l’USSL.
Per quanto riguarda certi tumori, soprattutto quelli dell’apparato digerente che sono quelli in
cui si può attuare una prevenzione di tipo secondario, è importante un’attenzione ed una
relazione più intensa con i medici di base per segnalare i soggetti a rischio. Ricordo una proposta già attuata nel PAS (piano di attività e spesa) di un
’’monitoraggio” sui tumori del
colon, e l’azione di prevenzione
primaria inducendo la popolazione a modificare le abitudini dietetiche, con l’incremento del consumo di fibre e la riduzione di
grassi animali, inoltre i controlli di prevenzione secondaria con
indagini mirate sulla popolazione a rischio. Per quanto concerne i tumori femminili esiste una
collaborazione con i consultori;
l’ospedale svolge un ruolo nella
lettura degli esami citologici.
In conclusione l’aspetto della
prevenzione dovrà essere nel futuro una delle azioni qualificanti dell’ospedale ».
Mauro Meytre
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USSL 42
Le cause delle morti
Un aspetto non secondario
dell’attività sanitaria consiste
nello studio delle cause di morte,
con finalità di conoscenza delle
malattie che la provocano per
meglio poter attuare delle misure di prevenzione, quando possibili.
In occasione della giornata
dell’Ospedale valdese di Pomaretto il dottor Paolo Laurenti,
coordinatore sanitario dell’USSL
42, ha esposto i dati relativi all'analisi della mortalità nel territorio dell’USSL negli anni dal
1987 al 1991, con particolare riferimento alla mortalità per tumori.
I grafici sulla mortalità per
fasce di età evidenziano che la
popolazione dell’USSL 42 muore per lo più in età anziana.
Ciò vale in particolare per il
sesso femminile, nel quale l’età
media di morte si è alzata, negli ultimi cinque anni, dai 73
ai 79 anni di età.
La popolazione maschile ha
invece, rispetto alla popolazione
femminile, una mortalità più alta nella fascia d’età tra i 31 e i
60 anni. L’età media di morte
per il sesso maschile è di 72
anni.
Tanto per i maschi che per
le femmine, i tumori rappresen
tano la causa più importante di
morte prima dei sessant’anni di
età. Solo' oltre i sessant’anni
passano al primo posto le malattie del sistema cardiovascolare, in relazione al processo di
invecchiamento del nostro organismo.
Un accento particolare è stato posto dal relatore sulla mortalità per cause accidentali, quelle cioè dovute ai vari incidenti:
su questo fronte il sesso femminile si mostra meno coinvolto,
come anche è minore il numero
di suicidi tra le donne.
Per quanto riguarda in particolare i tumori, nella divisione
fra apparati si nota la netta rilevanza dei tumori degli apparati digerente e respiratorio, che
da soli rappresentano più della
metà delle cause di morte tumorali. Questi tumori, in particolare quelli dell’apparato respiratorio, colpiscono in prevalenza
il sesso maschile.
I tumori più rilevanti nel
sesso femminile sono quelli dell’utero e della mammella.
Nell’illustrare i dati il relatore ha fatto notare le possibili
correlazioni tra l’insorgenza di
tumori e determinate abitudini
di vita, quali il fumo e l’alcol.
P. C.
PERRERO
Arriva il metano?
La possibilità di far giungere
il metano anche in vai Germanasca e in particolar modo nel
capoluogo del Comune di Ferrerò è stata discussa in una seduta pubblica, lunedì 9 dicembre.
I tecnici dell’ACEA (Azienda
consorziale energia ambiente) di
Pinerolo hanno illustrato i vantaggi della metanizzazione, che
sarebbe resa più agevole dai finanziamenti previsti dalla legge
finanziaria.
I vantaggi dell’uso del gas naturale rispetto agli altri prodotti petroliferi sono ben noti (energia pulita, costo inferiore a quello del gasolio, facilità di installazione, sicurezza di un approvvigionamento che al 40% è garantito da risorse nazionali); la
proposta delTACEA riguardava
soltanto il modo di far arrivare
il metano a Ferrerò.
Calcolando i tempi lunghi di
attuazione di un progetto complessivo, con una tubazione da
Fomaretto a Frali, si prevede di
fornire almeno all’abitato di Ferrerò un’erogazione di gas per
mezzo di bomboloni da sistemare fuori dal paese. La tubazio
ne di distribuzione e le derivazioni d’utenza sarebbero predisposte per la sostituzione con
la conduttura di futura costruzione.
Questa soluzione taglierebbe
fuori le borgate, ma si ritiene
che almeno le abitazioni situate
lungo la provinciale potrebbero
in seguito usufruire dello stesso
servizio.
I tecnici hanno ancora precisato che il ricorso ai bomboloni non è conveniente per l’azienda e che si tratterebbe quindi
di una soluzione del tutto provvisoria, per favorire soprattutto
le abitazioni che non avendo impianti centralizzati, troverebbero
maggior facilità adoperando il
metano che si adatta a soluzioni differenziate.
Si è parlato anche di restituire in qualche modo il favore
mandando a valle acqua potabile destinata ai Comuni della pianura, unificando i lavori e riducendo i costi.
In una seduta successiva alla
consultazione degli utenti, il
Consiglio comunale si è dichiarato favorevole al progetto.
L. V.
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MUNICIPIO
PIAZZA pinerolo:
15
r
20 dicembre 1991
lettere 15
ESSERE CREDENTI
IN URSS
Caro Direttore,
ho letto la lettera di M. Craveri, e
vorrei mettere in luce alcuni temi da
lui trattati.
E’ vero quello che tu dici, della
strana alleanza di laici e clericali, segnatamente il papa (vedi la « Centesimus »), contro il « comunismo » russo.
Ma se è vero che tutto questo provoca un non piccolo fastidio, ammetterai che le cose nell'URSS per i semplici credenti e predicatori non erano certamente facili. La cosa più triste è
vedere tali verità strumentalizzate da
questo tipo di laici e clericali.
Dici che il comunismo è fondamentalmente ateo ma nello stesso tempo
esso lascia libertà di scelta al credente di frequentare il culto e lo stato dava un sostentamento ai predicatori. Vedi, nel caso russo che tu citi
mi sembra che si tratti di una forma
di controllo della predicazione stessa.
Prova ad immaginare: un pastore che
dava voce alle proteste popolari che
fine avrebbe fatto? Oppure ricordi le
famose chiese patriottiche, non altro
che megafoni di regime; o il creare
ogni sorta di ostacoli ad una libera
evangelizzazione di chi sentiva il bisogno di incontrare un Dio meno iconografico della Chiesa ortodossa, oppure
il lavoro di ateismo svolto per anni dalle università, che propagandavano a
piene mani tra i giovani questo tipo di
menzogna: vero ateo, cioè ateo nell'abituale significato della parola, non
è perciò colui che nega Dio, il soggetto, ma colui che nega gli attributi
dell'essere divino, quali l'amore, la sapienza, la giustizia: nota la finezza del
concetto.
Sono d'accordo con te che questo
tipo di campagna fa un uso strumentale di Dio per fini puramente di speculazione nei confronti delle classi subalterne e progressiste che nell'ottobre sovietico hanno visto il loro riscatto dalla sopraffazione capitalista.
Credimi, la cosa che più mi crea fastidio è vedere Iddio usato come pa
ravento per queste cose. Ma anche il
trattare i credenti come stupidi e traditori della patria e quindi mandarli
nei gulag non può far piacere. Solo
per il fatto che essi facevano testimonianza a Dio predicando il senso di
giustizia per i più deboli, l'amore, e
la libertà in Dio come autentica forza
motrice verso il prossimo. D'accordo
con te che Wojtyla non ha le carte
in regola per poter giudicare, dal momento che la Chiesa di Roma è stata
ed è pilastro di diversi regimi oppressori avvalorando la tesi di Dio come
oppio dei popoli.
Un'ultima cosa; ma Rifondazione ambisce veramente a rinnovare il comunismo, cosa a me grata, oppure a rifondare lo stalinismo?
Vista la perentorietà con cui termini la lettera: tutti i buoni da una parte
ed i cattivi dall'altra. Perdonatemi per
il dilungamento.
Fraterni saluti.
Lettera firmata
DOVE E’ FINITO
IL PACIFISMO?
Caro Direttore,
vorrei farle una domanda, certo impertinente: dove è andato a finire il
pacifismo del giornale e delle nostre
chiese? Assistiamo ad un conflitto crudele, alle porte di casa nostra; da
qualche nostra città si sentono quasi
gli scoppi delle granate; centinaia di
civili innocenti, donne, bambini, vengono massacrati: ma il giornale e le
nostre chiese tacciono.
Sembra quasi che il nostro disinteresse sia dovuto al fatto che le parti
in lotta sono prevalentemente cattolici da una parte ed ortodossi dall'altra. Oppure non se ne parla perché
è una guerra che non rientra nei nostri schemi tipici: poveri contro ricchi, Sud contro Nord; o magari perché non è possibile, in nessun modo,
attribuirne la responsabilità all'America!
Non dico certamente che sia facile
affrontare un discorso su questo stra
reco
delle valli valdesi
settimanale delle chiese valdesi e metodiste
Redattori: Alberto Corsani, Luciano Deodato (vicedirettore), Giorgio Gardiol (direttore). Carmelina Maurizio, Jean-Jacques Peyronel, Piervaldo Rostan.
Comitato editoriale: Paolo T. Angelerl, Mirella Argentieri Bein, Claudio
Bo Alberto Bragaglia, Franco Carri, Rosanna Ciappa Nitti, Piera Egidi,
Adriano Longo, Emmanuele Paschetto, Roberto Peyrot, Sergio Ribet,
Mirella Scorsonelll. ....
Collaboratori; Daniela Actis (segreteria), Mitzi Menusan (amministrazione), Stello Armand-Hugon, Mariella Taglierò (revisione editoriale),
Loris Bertot (spedizione).
Stampa: Coop. Tipografica Subalpina - via Arnaud, 23 • 10066 Torre
Pellice - telefono 0121/91334
ReglatrazIoM; Tribunale di PInerolo n. 175. Respons. Franco Giampiccoll
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Registro nazionale della stampa; n. 00961 voi. 10 fòglio 481________________
EDIT^E: aTp^ - via Pio V, 15 - 10125 Torino - c.c.p. 6100
Consiglio di amministrazione: Roberto Peyrot tPTes’dente), Silv^ Reyel
(vicepresidente). Paolo Gay, Marco Malan, Franco Rivoira (membri).
ABBONAMENTI 1992
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no, e sotto certi aspetti immotivato
conflitto, ma mi sembra che dopo averlo biasimato, potremmo almeno rivolgere la nostra preghiera al Signore
perché abbia misericordia di tanti innocenti tribolati ed illumini le menti
ed i cuori di quanti sono, in qualsiasi maniera, in grado di far cessare
questi massacri.
Cordialmente.
Reto Bonifazi, Terni
LA NUOVA GESTIONE
DELLA FERROVIA
Con viva sorpresa ho letto sul giornale del 29.11.'91 la «deflagrante » notizia che la SATTl acquisirebbe fra
poco la gestione del servizio sulla linea ferroviaria Torino-Torre Pellice.
Sono altresì colpito dal fatto che il
giornale ha dato un'interpretazione tutto sommato favorevole del progetto.
Come pendolare di questa linea ferroviaria mi permetto di essere assolutamente contrario agli intenti della
SATTl, vista l'attuale gestione di questo ente, non solo sulle linee ferroviarie del Canavese, ma anche sulle
linee automobilistiche, come ad esempio la Torino-Piossasco-Pinerolo.
Per me aumenterebbero soltanto le
tariffe, a fronte di un servizio decisamente peggiore di quello attualmente
svolto dalle FFSS. Non lasciamoci ammaliare dagli slogan che piccolo (cioè
SATTl) è bello: provate un po' ad andare a fare qualche intervista ai pendolari delle linee (ferroviarie e autobus) già da loro gestite. Provare per
credere!
Distinti saluti.
Pietro Ledda, Luserna San Giovanni
I CATARI: UDITORI
E PERFETTI
In una nota della sua recensione di
due nuovi libri sui catari (Oldenbourg
e Brenon: n. del 29.11.'91), Aldo Ribet
dice che i termini di « perfetti e
« perfette » non sono « autoqualificazioni datesi dai catari per indicare uno
stato di raggiunta perfezione », ed aggiunge che « sarà l'Inquisizione a dire
"perfetto” e "perfetta" nel senso di
eretico compiuto, completo, buono da
abbandonare al braccio secolare nella
prospettiva del rogo ».
Le cose non stanno così. Ribet non
fa che ripetere una frase di Anne
Brenon, autrice del bel volume Le vrai
visage du catharisme (Portet-sur-Garonne, Editions Loubatières, 1988, p. 312),
da me ampiamente recensito su questo settimanale nel n. del 30.9.1988. In
esso la Brenon non dice che quei termini siano stati coniati dall'Inquisizione, ma solo che l'Inquisizione li interpreterà come eretici « compiuti »,
cioè pronti ad essere consegnati al
braccio secolare. Come era già successo per il termine di « valdese », ironicamente fatto derivare dal fatto che
abitavano in « valli dense di errori »,
così nel caso nostro gli inquisitori, e
con essi i polemisti, ricorrevano ad
un plateale gioco di parole nell'intento, per fortuna non sempre riuscito, di
screditare l'avversario.
Di fatto, nelle chiese catare, c'erano
solo due categorie di fedeli: da una
parte gli « uditori » e i « credenti »,
dall'altra i « perfetti » (uomini e donne),
cioè coloro che erano stati « consolati » (avendo ricevuto il battesimo spirituale detto « consolamentum »), e con
ciò s'impegnavano totalmente al servizio delle comunità assumendo le varie funzioni di presbiteri, o diaconi, o
episcopi, ma con la restrizione che
quei gradi (sempre di « primi inter pares ») erano inibiti alle « perfette ». Su
tutta questa materia, cfr. Raoul Manselli. L'eresia del male, Napoli 1963,
e Jean Duvernoy, La religión des cathares, Toulouse 1976, rispettivamente
alle pagine 230 e 265.
In quanto poi alle « differenze » fra
catari e valdesi, rimando senz'altro al
mio articolo apparso nel n. deH'8.10.'90,
dove mettevo in evidenza anche le
analogie tra gli uni e gli altri.
Giovanni Gönnet, Roma
LAICO E
CONFESSIONALE
La lèttera sul Collegio valdese di
Torre Pellice, pubblicata sul numero
del 13.12.'91 del nostro settimanale,
mi ha aiutata a rendermi conto di
come sia difficile capirci, anche tra
fratelli che hanno le medesime convinzioni di fondo, perché spesso attribuiamo ad una stessa parola significati diversi e talora opposti. La signora Beux dice: « Confessionalismo
può anche essere tradotto con testimonianza ». Per me invece, e credo
anche per il sindaco di Torre Pellice,
confessionalismo significa totale accettazione di un principio e di una
struttura, per cui ci sentiamo autorizzati ad imporre agli altri le nostre
idee, convinti di possedere la verità.
E mi conforta in questa interpretazione il leggere su un vocabolario come
il Devoto-Oli: « Confessionale = strettamente dipendente, succubo nei confronti di una gerarchia ecclesiastica:
Confessionalismo = angusta faziosità
nelle questioni che riguardano la religione sul piano morale o politico ».
Siamo quindi ben lontani dal valore di
un altro termine che pure ha la stessa radice: « Confessione=pubblica o
solenne professione di fede religiosa
o politica ». Laicità invece mi pare indichi l'atteggiamento di chi, credente,
agnostico o ateo, intende testimoniare la sua fede o le sue convinzioni,
tenendosi ugualmente lontano dal dogmatismo e dalle esasperazioni polemiche di certo laicismo anticlericale, nel
pieno rispetto della libertà di tutti.
Tanto per fare un esempio spicciolo, confessionale mi pare, in un ospedale retto da religiosi, l'imporre con
l'altoparlante in tutte le camere la
funzione vespertina, laica la suorina
di quel medesimo ospedale che, alle
dieci di sera, stanca morta dopo tante
ore di lavoro senza risparmio di forze,
ti confida allegramente; « E adesso
vado dieci minuti in cappella a ringraziare nostro Signore di questa giornata, e poi a nanna! ».
Così, dopo aver trascorso circa mezzo secolo, prima come scolara e poi
come insegnante, nella scuola di stato, che ho talvolta sentito pesantemente confessionale, ho scelto di lasciarla per un liceo « laico », come
lo sono, del resto, ospedali, istituti o
centri come Agape e Riesi, nati dalla fede dei fondatori, gestiti da evangelici ed in cui operano dei credenti
che cercano di rendere la loro testimonianza (esattamente come, al di fuori di questi, fanno tanti altri), in un
quadro libero da condizionamenti confessionali, al servizio di persone che
possano sentirsi altrettanto libere di
essere fedeli alle proprie convinzioni.
Cara signora Beux, credo che le nostre idee siano sostanzialmente abbastanza simili, anche se espresse in
termini differenti.
Marcella Gay, Pinerolo
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terminato la sua lunga esistenza terrena
Luisa Dahò ved. Vola
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i figli Carlo, Clara, Enrico e Giorgio
con le loro famiglie.
Ringraziano sentitamente il pastore
Bellion e tutti coloro che hanno preso
parte al loro dolore.
Milano, 11 dicembre 1991.
RINGRAZIAMENTO
La figlia e i familiari tutti deUa
cara
Silvia Jahier ved. Beux
ringraziano tutti coloro che con presenza, fiori, scritti e parole di conforto hanno preso parte al loro dolore. Un
ringraziamento particolare al pastore
Vinti, al dottor Broue, al sig. Osvaldo
Perrot e èolleghe.
Pramollo, 20 dicembre 1991.
« Il dono di Dio è la vita
eterna in Cristo Gesù »
(Romani 6: 23)
Nella fede in cui è vissuta si è serenamente spenta a Napoli lo scorso 3 dicembre 1991
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ecumenismo
20 dicembre 1991
UNA CONVENZIONE PER I LAVORATORI MIGRANTI
Persone da tutelare
Il testo, già approvato dalle Nazioni Unite, dovrà essere ratificato da 20 stati per essere valido - Il possibile ruolo delle chiese
Echi dal mondo
cristiano
Stabilire per i lavoratori migranti e per le loro famiglie delle
norme minime di protezione universalmente riconosciute. Questo
è l'impegno preso nel redigere la
Convenzione internazionale approvata nel dicembre 1990 dall’Assemblea generale delle Nazioni
Unite. Il Comitato delle chiese
per i migranti in Europa (GEME)
e il segretariato per le migrazioni del Consiglio ecumenico delle
chiese (in relazione con l’agenzia
quacchera presso le Nazioni Unite) hanno diffuso alle chiese un
fascicolo che illustra come si sia
giunti a questo testo e quali siano le sue caratteristiche.
L’approvazione della Convenzione, che per entrare in vigore
dovrà essere ratificata da almeno
venti nazioni, è definita da Shirley
Fiume, dell’ufficio quacchero a
New York, « logico completamento degli sforzi fatti dalla comunità internazionale per estendere
i diritti umani ». Nel 1975 tm rapporto del Consiglio economico e
sociale (ECOSOC) sullo « sfruttamento della manodopera tramite
traffici illegali e clandestini » ha
dato l’avvio a un’azione volta a
tutelare questi lavoratori nel
mondo. Quattro anni dopo l’Assemblea deU’ONU decise di creare un apposito gruppo di lavoro.
aperto agli stati membro, per predisporre un testo adatto allo scopo, che stabilisse dei principi « di
minima » applicabili dagli stati
membro ma armonizzabili con
le legislazioni nazionali in vigore
nei singoli stati.
Secondo Shirley Hume tratti
qualificanti del testo sono, fra
l’altro, il fatto di definire a livello
internazionale i lavoratori migranti e le loro famiglie, di considerarli « soggetti sociali » anziché solo « soggetti economici »,
di estendere questi diritti a tutti
loro, in possesso o meno di documenti. Insomma, un testo che
« tende a prevenire e eliminare lo
sfruttamento dei lavoratori migranti (...) e a metter fine ai movimenti illegali di clandestini e
alle situazioni irregolari ».
Infatti, dice l’art. 2 che sono
da considerarsi lavoratori migranti « le versone che stanno
per esercitare, esercitano o hanno esercitato un’attività remunerata in uno stato di cui non siano cittadini residenti ».
11 testo distingue poi le varie
tipologie dei lavoratori: stagionali, frontalieri, impegnati a presane lavoro in mare o in installazioni sul mare, dipendenti o autonomi, ecc. Inoltre, punto particolarmente importante, uomini e
dojine sono compresi nella defi
nizione generale senza distinzione di sesso, come lavoratori migranti tout court.
Non mancano le garanzie per
gli stati d’accoglienza: essi hanno
il diritto di determinare chi, e a
quali condizioni, sia da ammettere sul territorio; inoltre le legislazioni nazionali possono, per
conto loro, andare « oltre » la
Convenzione stessa nei diritti da
accordare ai migranti, posto che
gli stati non sono tenuti a concederne loro più che agli autoctoni.
Jan Niessen, segretario generale del GEME, scrive che « l’azione delle chiese può essere capitale quando si tratta di intraprendere o accelerare l’elaborazione
di convenzioni internazionali ».
Affinché gli stati ratifichino il
testo, alle chiese locali si chiede
di parlare del testo, di diffónderlo
in parziali riproduzioni e/o traduzioni, di organizzare pubblici dibattiti, di scrivere alle autorità
locali e agli organi di stampa, di
indirizzare ai governi e ai parlamentari lettere sull’argomento.
Alle chiese nazionali si chiede fra
l’altro di formare delle delegazioni che possano incontrare, magari con altri gruppi, le autorità
Dolitiche.
Alberto Corsani
DAL DOCUMENTO DI SANTIAGO DE COMPOSTELA
Vivere ramore di Dio
L’evangelizzazione per l’Europa di oggi deve essere pensata in un
quadro di carità fraterna - Una chiamata a cui dobbiamo rispondere
L’incontro ecumenico di Santiago de Compostela — di cui abbiamo riferito sul n. 46 di questo settimanale — si è concluso con
un lungo resoconto stilato dai due presidenti dell’assemblea, il decano anglicano John Arnold e il cardinale Carlo Maria Martini. Pubblichiamo l’ultimo capitolo del documento che contiene gli impegni
per una testimonianza comune di tutte le chiese cristiane in Europa.
Al termine del nostro 5“ incontro ecumenico europeo, esprimiamo la nostra gratitudine a
Dio per ciò che abbiamo potuto vivere e condividere insieme
finora in quanto chiese cristiane
in Europa, impegnate nei molteplici scambi di una comunione
che sta crescendo; esprimiamo
anche a Dio la speranza di potere testimoniare insieme sul
nostro continente.
Se la parola chiave di Riva
del Garda (1984) era ”la fede”
e quella di Erfurt (1988) ”la speranza”, la parola chiave del nostro incontro di Santiago de
Compostela, quella che riassume
tutte le altre e le fonda, è la
parola "amore”. Ciò significa,
ad esempio: no alla competizione, sì alla cooperazione. Infatti,
l’Europa in via di unificazione
e le chiese che cercano di esprimere meglio l’unità che esse confessabo di ricevere da Gesù Cristo devono affrontare numerose tensioni e numerosi conflitti,
in parte ereditati dal passato, in
parte nuovi.
La nostra speranza — che è
anche il nostro imp>egno comune — è che le chiese diventino
le une per le altre e tutte insieme, all’interno dell’Europa attuale, quel che non sempre sono
state in passato e non sempre
.sono ancora oggi, cioè focolari
di carità in cui l’amore di Dio,
del prossimo e del nemico si
mescolino e si stimolino reciprocamente. E’ in questo quadro e
in questo clima di amore e di
resistenza al male che deve essere situata l’evangelizzazione
in Europa oggi. Tale evangelizzazione avrebbe quindi il se
guente aspetto, che raccomandiamo in quanto presidenti:
— Le nostre chiese si impegnano a rinunciare ad ogni evangelizzazione competitiva che sarebbe l’espressione di uno spirito di
concorrenza tra di loro.
— La pace ecumenica è tanto
più urgente in un tempo in cui il
fattore religioso rischia di alimentare o di radicalizzare dei
conflitti di altra natura, anziché
contribuire a calmarli.
— La creazione in ogni paese
d’Europa di un « Consiglio delle
chiese cristiane », a livello nazionale e anche locale, potrebbe essere uno strumento importante al
servizio della pace ecumenica.
Laddove tali Consigli non esistano ancora, invitiamo le chiese a
intraprendere i passi necessari
per creare una simile struttura
permanente di dialogo e di cooperazione.
— A livello locale, una coopcrazione ecumenica è già possibile
oggi nella missione e nell’evangelizzazione: traduzione, diffusione,
studio della Bibbia in comune;
impegno ecumenico per la giustizia, la pace e la salvaguardia del
creato; testimonianza comune nei
mass media; collaborazione in
varie forme di diaconia. Incoraggiamo vivamente le chiese locali
ad impegnarsi in una tale cooperazione laddove non esista ancora.
Di fronte alla nuova situazione
di pluralismo religioso in Europa
le chiese dovrebbero ripensare insieme il legame tra evangelizzazione e dialogo interreligioso.
— Per continuare ad approfondire il rapporto vitale e decisivo
tra missione e evangelizzazione
in Europa, le chiese potrebbero
decidere la creazione di un programma comune di studio e di
formazione, onde assumere meglio le loro responsabilità all’interno della « casa comune europea » in piena evoluzione.
— La preghiera essendo l’alfa e
l’omega della vita cristiana e dell’ecumenismo, proponiamo di aggiungere alla preghiera universale, laddove ciò non esista, un’intercessione di ogni chiesa per tutte le altre e per il nostro continente.
— La nostra visione dell’avvenire deve abbracciare il mondo
intero e permetterci di sperare
che la nostra vocazione specifica
di chiese europee implichi di « dimostrare che è possibile vivere
in una società altamente tecnologica e sociologicamente secolarizzata non solo .senza rinnegare la
fede cristiana, ma scoprendo tutto il suo significato e tutto il suo
valore nella situazione attuale ».
Questa fedeltà alla nostra vocazione può essere uno dei nostri
contributi aH’avvenire del cristianesimo nel mondo.
— La nostra visione dell’avvenire va anche al di là di questo
mondo e si pone su Colui che è
già il nostro avvenire e che ci invita con la sua parola, con la sua
promessa: « Ecco, io faccio ogni
co.sa nuova! » (Apoc. 21: 5). (...)
Di fronte alle promesse e ai
grandi cambiamenti in atto nell’Etiropa attuale, saremo esploratori timorosi o animatori dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, come Giosuè e Caleb (Numeri 13: .30)?
Tocca a noi, con la grazia di
Dio, rispondere!
John Arnold
decano
Carlo Maria Martini
cardinale
Una decisione
contrastata
Il « Foreign Mission Board »
della Convenzione battista del
sud degli Stati Uniti ha deciso
di trasferire 365.000 dollari destinati al seminario battista di
Riischlikon (Svizzera) per assegnarli a programmi di formazione teologica nell’Europa dell’est.
L’amministrazione del seminario
e la Federazione battista europea hanno vivamente protestato,
dichiarando che il « Foreign
Mission Board » aveva accettato,
nel 1988, di continuare a versare il proprio contributo fino al
1992. Il presidente uscente deila
Federazione battista europea,
Peter Barber, si è lamentato:
« Vedere il nostro bilancio ridotto del 40% con un preavviso di
meno di due mesi è un colpo
crudele ». Il segretario generale
della Federazione, Karl-Heinz
Walter, ha dichiarato: «Questa
decisione distrugge la fiducia per
il futuro dei rapporti con i battisti del sud ».
Secondo un articolo pubblicato in « Religious News Service »,
i responsabili della Convenzione
battista del sud hanno manifestato le loro preoccupazioni di
fronte alla teologia « liberale »
seguita dai battisti europei. In
particolare sono preoccupati del
fatto che lo storico americano
E. Glenn Hinson, docente presso il seminario battista di Louisville (Kentucky), insegni a
Riischlikon durante il suo anno
sabbatico. Hinson, membro della Commissione « Fede e costituzione » del CEC, aveva criticato apertamente i responsabili
« fondamentalisti » della Convenzione battista del sud.
L’EPER a favore
deirUngheria
L’EPER, servizio di aiuto delle chiese protestanti svizzere, ha
deciso di sostenere l’azione intrapresa dal Consiglio ecumenico delle chiese di Ungheria in
favore di circa 8.000 famiglie di
profughi croati e serbi che, dall’agosto scorso, si sono rifugiati
nei pressi della frontiera sud
dell’Ungheria, nella regione di
Nagykanizsa, a circa 8 chilometri dalla frontiera jugoslava.
Vengono distribuiti 3.500 pasti
caldi al giorno, vestiti, scarpe,
medicine, sapone, ecc... La maggior parte delle famiglie sono
ospitate da parrocchie protestanti ungheresi. Si tratta soprattutto di donne, bambini e anziani.
L’aiuto a questi profughi da parte dell’EPER ammonta a 40.000
franchi svizzeri.
Le chiese
del Pacifico
Dal 26 agosto al 6 settembre
1991 si è tenuta la VI Assemblea
della PCC a Vanautu (isole Ebridi).
Apertura ecumenica, ricerca di
impegni concreti, territorialità:
queste sono le impressioni che
un osservatore può cogliere assistendo ad una assemblea della
PCC.
Ecumenica, la PCC lo è senz’altro, sia sul piano confessionale (essa riunisce chiese molto diverse tra di loro: la Chiesa cattolica, gli anglicani, i presbiteriani, i metodisti, ecc...) che
sul piano delle scelte: si è appena dotata di un presidente
cattolico nella persona di mons.
Patelisio Finau, vescovo di Tonga, che lavorerà col segretario
generale, pastore Dick Avi della Chiesa unita di Cristo in Papuasia - Nuova Guinea.
Impegnata, tramite il Comitato giustizia, pace e sviluppo che
ha saputo affrontare concreta
mente i grossi problemi che si
pongono alle nazioni del Pacifico e, pertanto, ai cristiani di
quei paesi: un’educazione adeguata alla loro realtà, im miglior
sistema di comunicazione, la militarizzazione crescente del Pacifico, non solo da parte di potenze straniere ma anche da parte di alcuni stati della regione.
La crisi dell’isola di Bougainville (Australia), i diritti degli
aborigeni e dei maori, l’indipendenza dell’isola di Timor orientale (Indonesia), la situazione in
Nuova Caledonia, gli esperimenti nucleari francesi in Polinesia
e, in generale, le crisi sollevate
dalle minacce sull’ambiente e la
trasformazione della società tradizionale sono stati oggetto di
studio attento da parte dei 250
delegati delle chiese del Pacifico nel corso di quelle due settimane.
Territoriale, questo è forse il
rimprovero che si può azzardare nei confronti della PCC. Il
Pacifico è, giustamente, inquieto
e la sua popolazione si sente minacciata. Di conseguenza, è tentata di ripiegarsi su se stessa
senza cercare di situare le sue
problematiche nel contesto mondiale, dove, in realtà, tutto viene deciso. Gli invitati all’Assemblea non sono riusciti a portare la discussione su un piano
più generale, non sono riusciti
a suscitare nei delegati delle
chiese del Pacifico lo stimolo a
confrontarsi con altre situazioni in altre parti del mondo che
si trovano attualmente a misurarsi con minacce altrettanto
gravi di quelle che incombono
sul « continente liquido ».
E’ quindi importante restare
in contatto con le chiese del Pacifico. Non spetta a loro soltanto risolvere i problemi legati a conflitti fra progresso e tradizione, ambiente, annuncio dell’Evangelo a un mondo che cambia troppo in fretta, rispetto della giustizia, difesa della pace.
Visite fra chiese, gruppi o istituzioni, corrispondenza; ecco,
tra molti altri, qualche mezzo
per creare o ravvivare l’interesse comune.
Per la CEVAA ha partecipato
all’Assemblea della PCC il past.
Roland Revet, membro della segreteria.
Verso la doppia
appartenenza?
Nel cantone svizzero di Zurigo, donne della Chiesa evangelica riformata e della Chiesa
cattolica romana hanno lanciato
due iniziative parallele che riguardano le loro due chiese: in
ognuna delle chiese si chiede
che venga permessa la doppia
appartenenza ecclesiastica, cioè
l’appartenenza sia alla Chiesa
cattolica sia a quella protestante.
« Una doppia appartenenza
non significa per niente uno scioglimento delle due confessioni,
anzi le due dottrine potranno arricchirsi vicendevolmente », afferma un membro del comitato
riformato che ha lanciato l’iniziativa, « questa possibilità non
è altro che uno degli elementi
che ha per scopo la realizzazione di un rinnovamento globale
delle chiese ».
In un comunicato i promotori
delle iniziative dichiarano che
tante persone non considerano
più le differenze confessionali
come fattore di separazione. In
primo piano c’è la coscienza di
un’identità cristiana comune.
C’è davvero da chiedersi se le
chiese sono già tanto avanzate
in campo ecumenico che non c’è
più nulla cjie le separi tanto da
non poter far parte di ambedue,
o se forse non converrebbe impegnarsi nella propria chiesa affinché questa realtà si verifichi
nel futuro...