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BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
AnnoV :: Fasc. VII.
LUGLIO 1916
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 31 LUGLIO - 1916
DAL SOMMARIO: Felice Momigliano: 11 giudaismo di ieri e di domani - ROMOLO MURRI : La lotta per il diritto -G. Q. : Il Pontefice Romano e il Congresso delle Potenze (Giudizi di G. A. Borgese, F. Orestano, R. Munì, P. Molajoni, Silvio D'Amico, R. Ottolenghi, E. V. Banterle, E. Tovini, M. Ciriani) - GUGLIELMO QUADROTTA: Francesco Ruffini -m. : Rassegna di filosofia religiosa - E. RUTILI: Margherita di Foix e i Valdesi di Paesana - F. RUBBIANI: Un leggendario rito giudaico in Abruzzo - G. PIOLI : Crisi cristiana nelle Chiese inglesi ; Può un cristiano uccidere il suo prossimo ? ; L'amore per i nemici; Il fallimento delio Jehad.
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo # # Via Crescenzio, 2 - ROMA
D. G. Whittinghill, Th. D., Redattore per ¡'Estero
Via del Bah vino, 107 - ROMA AMMINISTRAZIONE
Via Crescenzio, 2 - ROMA
ABBONAMENTO ANNUO
Per F Italia L. 5. Per F Estero L. 8.
Un fascicolo L. 1.
Si pubblica il 15 di ogni mese in fascicoli di almeno 64 pagine,
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CRISTIANESIMO E GUERRA
Recentissime pubblicazioni in deposito presso la Libreria Ed. “ Bilychnis „
Via Crescenzio, 2 - ROMA.
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Louvre. Pagine 180 ......... .... » 2,50 PAUL StaPFER, Les leçons de la guerre. Pagine 180 . . . > 3,50 WlLFRED MONOD, Vers l’Évangile sous la nuée de guerre.
Courtes méditations pour commencer chaque semaine. Première et deuxième série. 2 volumi di 200 pp. ciascuno. . » 5,75 HENRY Barbier, L’Evangile et la Guerre....... » 0,50 E. DOUMERGUE, La Guerre, Dieu, la France. La France peutelle demander à Dieu la victoire? ........ » 0,30 H. BOIS, La Guerre et la Bonne Conscience...........» 0,65
Jean Lafon, Evangile et Patrie, Discours religieux. Il 1° vol.
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[Novità]. Il 3° volume di pag. 230 ...... .’ » 3,75 H. Monnier, W. Monod, C. Wagner, J.-E. Roberty, etc.,
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Foyer de l'âme à Paris. 13 volumetti di 100 pagine. Ciascuno. . . . . . $ . . . . . . . . . . > 1,25
LOUIS Trial, Sermons patriotiques prononcés pendant la guerre
1914-1915. (Vol. di pag. 100) ....... . . > 1,25 G. QUADROTTA, Il Papa, l’Italia e la Guerra.......>2 —
R. MüRRl, La Croce e la Spada.......... > 0,95 Ai TaGLIALATELA, I Sermoni della Guerra.............» 3,50
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BIÙCNNB
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R.M51À DI S1VDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLATEOLOGICA BATTISTA
• DI ROMASOMMARIO:
Felice Momigliano: Il giudaismo di ieri e di domani.pag. 5
Romolo Murri: La lotta per il diritto .......... > 19
G. Q. : Il Pontefice Romano e il Congresso delle Potenze per la Pace
- Un’inchiesta (Risposte di : Prof. G. A. Borgese - Prof. F. Ore-stano - On. Romolo Murri - Prof. Pio Molajoni - Silvio D’Amico - Avv. Raffaele Ottolenghi - Emilio V. Banterle - Il pensiero degli on. E. Tovini e M. Ciriani) ........... » 24
NOTE E COMMENTI:
Guglielmo Quadrotta: Francesco Ruffini ................ . .53
TRA LIBRI E RIVISTE:
m. : Rassegna ài filosofia religiosa. (Riformatori religiosi toscani del secolo xix - La teologia di Spinoza - Un pedagogista laico - Il positivismo di R. Ardigò - Positivismo pitagorico - Religione aria e religione semitica) » 46
Ernesto Rutili : Margherita di Foix ed i Valdesi di Paesana ....... ■ 52
Ferruccio Rubbiani: Un leggendario rito giudaico in Abruzzo ...... • 58
Paolo A. Paschetto: « Perdono» - « Liberazione»
(Due disegni) ..................... » 6r
LA GUERRA (Notizie, Voci, Documenti):
Giovanni Pioli: Crisi cristiana nelle Chiese inglesi ............ ■ 65
Può un crisiano uccidere il suo prossimo ? .............. » 73
L’amore per i nemici.................. ., ...... » 76
Il fallimento dello Jehad ............ ......... . . » 78
Càmbio colle Riviste .......................... » 65
Pubblicazioni pervenute alla Redazione ............... > 72
Croce Rossa Italiana ............. . . ......................... > 73
Libreria Editrice « Bilychnis » ....... i ........... . > 76
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Estratti dalia Rivista “Bilychnis”
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Salvatore Minocchi : I miti babilonesi e le origini della Gnosi...............0,60
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i suoi rapporti con la storia civile............0,301
Calogero Vitanza : Studi commodianei (I. Gli anticristi e l’anticristo nel Carmen apologelicum di Commodiano; IL Com-modiano doceta ?) . . . 0,30 ;
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Furio Lenzi: L’autocefalia
delia Chiesa di Salona (con 11 illustrazioni) . . 0,50 ;
F. Pomari: Inumazione e cremazione (con 6 illustrazioni)........ 0,30
C. Rostan : Le idee religiose di Pindaro . . . . . 0,30
C. Rostan: Lo stato delle anime dopo la morte, secondo il libro XI dell’<Odissea» ...... 0,30
C. Rostan : L'oltretomba nel libro VI dell’« Eneide» .......... 0,50
Alfredo Tagliatatela: Fu il Pascoli poeta cristiano ? (con ritratto e 4 disegni) ......... 0,30!
F. Biondolillo: La religiosità di Teofilo Folengo (con un disegno).... 0,301
F. Biondolillo: Per la religiosità di F. Petrarca (con 1 tavola)............0,30
Giosuè Salatiello: Il misticismo di Caterina da Siena \con 1 illustraz.). 0,25
Giosuè Salatiello: L’umanesimo di Caterina da Siena (con 1 illustraz.). 0,30
Calogero Vitanza: L’eresia di Dante...................0,30
Antonino De Stefano: Le origini dei Frati Gaudenti ......................1 —
A. W. Müller: Agostino Favoroni e la teologia
di Lutero....0.30
Arturo Pascal: Antonio Caracciolo, vescovo di Tro-yes .......... 0,80
Silvio Pons: Saggi Pasca-liani (I. Il pensiero politico e sociale del Pascal; IL Voltaire giudice dei « Pensieri » del Pascal ; III. Tre fedi: Montaigne. Pascal Alfred, di Vigny)
con 2 tavole...... 0,50 T. Neal: Maine de Biran, 0,30 F. Rubbiani : Mazzini e
Gioberti ........ 0,50 Paolo Orano: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita e ritratto) ...... . 0,40.
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Paolo Orano: La rinascita dell'anima ....... 0,30
Angelo Gambaro : Crisi contemporanea. . . . . 0,15
Giov. Sacchini: Il Vitalismo .......... 0,30
R. Murri : La religione nel-l’insegnamento pubblico in Italia ........ 0,40 .
Ed. Tagliatatela: Morale e
Religione ....... 1 — I
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A. Tagliatatela: Il sogno di Venerdì Santo e il sogno di Pasqua (con 5 disegni di P. Pàschetto) . . 0,20
G. Luzzi : L’opera Spence-riana.......... 0,15
M. Rosazza: La religione del Nulla (con 6 disegni). 0,30
R. Wigley: L’autorità del Cristo (Psicologia religiosa) . . ....... 0,50
James Orr: La Scienza e la Fede cristiana. . . . 0,25
T. Fallot: Sulla soglia. (I nostri morti) con una tavola .......... 0,30
G. E. Me ili e: Il cristiano nella vita pubblica. . . 0,30
F. Scaduto: Indipendenza dello Stato e libertà della Chiesa ......... 0,30
Guglielmo Quadrotta: Religione, Chiesa e Stato nel pensiero di Antonio Salandra. (Con ritratto ed una lettera di A. Salandra)......... 1 —
Mario Rossi: Razze, Religioni e Stato in Italia secondo un libro tedesco e secondo l’ultimo censimento ......... 0,60
D. G.: Verso il conclave. 0.15
E. Rutili : Vitalità e vita nel Cattolicismo (Cronache: 1913.1914) 3 fascicoli ................0,90
E. Rutili: La soppressione dei Gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi ......... 0,15
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Edoardo Giretti : Perchè sono per la guerra • . . 0,20
Romolo Murri: L'individuo e la Storia. (A proposito di cristianesimo e di guerra) ...... 0,40
Paolo Tucci : La guerra nelle grandi parole di Gesù.................1,00
Paolo Orano: Il Papa a Congresso ....... 0,50
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IL GIUDAISMO DI IERI E DI DOMANI
l problema ebraico è sempre di attualità: è di ieri non meno che d’oggi. Più volte millenario nella durata — gli ebrei si vantavano popolo eterno (’am ’olarn) — è poliedricamente multiforme: interessa teologhi, sociologhi, economisti, filosofi, antio-pologhi, appunto perchè lo spirito ebraico che è lo spirito di un popolo che si ostina a non voler morire, compenetrò nei secoli tutta la vita, in tutte le sue manifestazioni. Vero è che. per troppi contrassegni, nei paesi occidentali, questo spirito
tende a sminuire d’intensità. I sintomi di questo lento dileguarsi sono universalmente notati, e deplorati od esaltati, a seconda degli umori degli osservatori. S’è rimproverato agli Ebrei emancipati di mestrarsi sconoscenti verso la loro tradizione, grazie alla quale hanno potuto sussistere, uscendo incolumi per quanto spesso malconci, dalle bufere di sterminio che ne minacciavano la distruzione. Nessuno si sogni di restaurare il passato: la storia non si ripete. È più facile far risalire verso il Monviso le onde del Po, che costringere, come sognano taluni ma sempre più rari superstiti della mentalità del ghetto, gli Ebrei del secolo xx ad appagarsi della cultura pietistico-rituale anteriore all’epoca della libertà, risospingendo verso l’asia-tismo un popolo rinnovato dalle correnti nella cultura europea. Un popolo intelligente, avido di tutto imparare e di tutto comprendere, non si adatterebbe al novissimo supplizio di Tantalo, di respingere i pomi aurei della scienza c he si offrono a lui e di non dissetarsi alle limpide correnti e dell’arte.
Piuttosto si affaccia un’altra questione che s’infosca a dramma nell’anima ebraica contemporanea. L’ebreo, assimilando la cultura occidentale, può ancora conservare quei caratteri fondamentali del giudaismo che trionfarono di venti secoli di insidie e di martirio? Ecco il nuovo problema che è oggetto delle nostre indagini. Prima di rispondere alla paurosa domanda, occorre affrontare la presente que-
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stione pregiudiziale: Quali insegnamenti possiamo ricavare dalle condizioni attuali degli ebrei sparsi nel mondo occidentale? Se noi diamo uno sguardo all'ebraismo come si è atteggiato nei vari paesi dalla metà del sec. xvm ai giorni nostri, possiamo distinguere quattro classi tra i suoi seguaci.
Alla prima appartiene la grande massa degli ebrei la quale, attaccata tenacemente alla Legge che non è soltanto norma ma insegnamento vivente, continua la tradizione dei padri che tutti assorti nel libro divino non si accorgevano dei secoli che si succedevano e dei popoli che apparivano e sparivano sulla terra, e non si lascia contaminare dalla cultura profana. Questa vecchia guardia, che respinge vigorosamente ogni assalto dell’occidentalismo, è costituita dalle imponenti comunità degli ebrei russi, galiziani e polacchi (prevalentemente askenaziti) e degli ebrei turchi, bosniaci, bulgari, serbi e marocchini (se/ardili). Il linguaggio degli ebrei di questo primo gruppo è il Yiddish o Jargon, lingua barocca, bizarra e singolare parlata da circa otto milioni, composta dell’8o % di elementi tedeschi, del io % di elementi slavi (russo-polacchi) e del io % di elementi ebraici e scritta con caratteri ebraici (i); il linguaggio degli ebrei del secondo gruppo è il giudeo-spagnuolo a caratteri ebraici essenzialmente spagnuolo e con vocaboli di ceppo ebraico e con qualche contaminazione italiana. La loro esistenza si svolge fra la sinagoga, il héder (scuola elementare di carattere confessionale), le Jeshivolh (accademie di studi religiosi) e le occupazioni ordinarie per campare la vita. Appartengono quasi tutti alla classe povere (il proletariato ebraico è oltremodo numeroso ed in condizioni più squallide del proletariato di altri popoli) (2). Il tipo della famiglia ideale è quello di Giacobbe padre di dodici figli; la natalità oscilla da 8 a io per famiglia perchè il numero dei figli è misura della perfezione e della santità del matrimonio. Crescite et muUiplicamini (Perù urvù) è il comando divino che non tollera nessuna restrizione. L’ottimismo si annida nelle radici della stirpe: la vita per quanto travagliata da prove aspre è bene; Dio è Dio vivente, creatore e conservatore di vita: la vita merita d’essere vissuta. «Tutto ciò che Dio fa è benefico» (Bcrachód 60 b). Sono principi penetrati nella sostanza dell’anima ebraica e che spiegano la capacità di resistenza dei travagliati peregrinanti, il viatico ristoratore attraverso a martiri angosciosi. La sopravvivenza degli Ebrei attesta il loro ottimismo che si dispiegava per quanto riguarda le manifestazioni della mente, nello studio appassionato della loro liturgia; per quanto riguarda la vita emotiva nella tenacità degli affetti di famiglia, nella voluttà intima e profonda onde obbedivano alle prescrizioni bibliche e talmudiche; nell’amore inestinguibile per Gerusalemme, la patria lontana sempre vagheggiata con occhi pieni di visioni messianiche; per quanto riguarda la vita pratica nella loro abilità di commercianti, nella loro duttilità nel sapersi acconciare a tutti gli ambienti. Esprime bene ciò il proverbio in iyddish: Moieh versus Kojech (Il cervello contro la forza).
(1) L'organo socialista degli ebrei di Nuova York, Vorwàrts, è scritto in Yiddish ed ha una tiratura di 150.000 copie.
(2) Vedi il mio studio: 11 proletariato ebraico e il Sionismo, pubblicato in Nuova Antologia, i° ottobre 1903.
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IL GIUDAISMO DI IERI E DI DOMANI
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A questa prima classe appartiene circa la metà degli ebrei sparsi pel mondo e comprende la numerosa setta dei hassidim (pietisti) dell’Europa orientale.
La seconda classe si può paragonare a un albero che affonda bensì le sue radici nell’ZfMMMS ebraico, ma i cui rami e le cui foglie stormiscono all'aure del mondo circostante (galud}. Il maggior numero è zelante della fede, frequenta il tempio ed è osservatrice del sabato (S ornerà Sabalh). La scrupolosa osservanza del sabato secondo il rito, dall’una all’altra sera, ha contribuito poco meno della circoncisione alla conservazione delle caratteristiche fondamentali ebraiche e della vita stessa dei componenti del popolo. Il sabato per l’ebreo nelle epoche fosche (e badiamo che l’età fosca è durata due millenni, e per metà degli ebrei sparsi pel mondo non è finita ancora) è l’oasi settimanale dopo la fatica e l’ansia durata nel deserto degli altri sei giorni della settimana. Il vecchierello leopardiano scalzo, che per dirupi e fratte corre, anela, stramazza, risorge lasciando brandèlli di vesti e di carni fra dirupi e spine, è simbolo non eccessivamente aduggiato da pessimismo del popolo ebreo nella storia.
Là poesia di Heine La principessa Sabalh risuscita queirineffabile stato d’animo, d’intima serenità e di gioia raccolta, che provava il povero ebreo duramente temprato in tutti i modi per la lotta per resistenza a lui doppiamente aspra, quando tornando a casa il venerdì sera, dimenticava tutti i travagli, e si rifaceva uno spirito nuovo dinanzi alla lampada coi sette placidi lumicini diffondenti là luce sulla tovaglia nitida e candida e salutava il sabato intonando le preghiere di pace:
Nelle arabiche novelle
Veggiam prenci ammaliati Ripigliar di quando in quando Loro belle antiche forme.
Tale un principe è il soggetto Del mio canto. Egli si chiama Israele: e da una strega Fu in cane trasformato:
E pensier canini avendo
Va l’intera settimana Ruzzolando per il fango Della vita, berteggiato
Da' monelli. Ma la sera
D’ogni venerdì, al crepuscolo L’incantesimo cessa, e il cane Nuovamente Un uom diventa.
Uom che umani ha sentimenti Sollevato il capo e il core. Lindo, in abiti festivi, Nélla casa entra del padre:
• Del reai mio padre, salve Adorata casa! Tende Di Giacobbe, il vostro sacro Limitar mia bocca bacia ».
(Trad. Secco-Suardo).
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I) sabato è giorno di vita ideale in cui l’ebreo pregusta, a detta dei rabbini, la beatitudine del mondo futuro. Questo giorno non era solo destinato al riposo settimanale, o consacrato per intero al servizio divino, ma altresì allo studio della Legge: era permesso soltanto lo studio che concorreva a conservare a rendere vivente il valore spirituale del giudaismo. Le difficoltà innegabili che esigeva la rigida osservanza di quel giorno festivo rinsaldavano e rinsaldano l’anima ebraica. Con la decadenza dell’idealismo religioso e coll’aumento invece della tendenza al godimento, l'osservanza sabatica così scrupolosamente praticata per tanti secoli, si venne affievolendo. Comunque il sabato che rimane la pietra di paragone dell’ortodossia ebraica, attesta là fedeltà alle pratiche religiose e la continuazione di quella vita pietistica caratteristica degli ebrei che non scivolano nella via dell’assimilazione. Le famiglie di questa seconda classe sono circondate da prole numerosa, in misura peraltro alquanto minore di quella della prima classe; le condizioni economiche assai umili o tutt’al pili raggiungono una modesta agiatezza. Sono costituite dalle orde emigranti degli ebrei russi e galiziani che sono andate popolando, in questi ultimi decenni, la Gran Brettagna, l’America, oltreché dagli ebrei algerini, tunisini e degli Stati balcanici e delle classi povere degli ebrei olandesi e delle piccole comunità d’Ungheria, dell’Austria e dell’Alsazia e Lorena.
Allo scopo di mantenere compatto Israele disperso sotto la. sovranità religiosa della Thorà ed impedire che queste due classi che lo compongono si disgreghino, è sorta in Germania (1909-1910) l’organizzazione degli Ebrei ortodossi intitolata Aghidahl Israle (l’esercito d'Israele} allo scopo di porre « una siepe alla legge » organizzando la reazione alle tendenze riformiste.
L’opera sua è rivolta a rimettere in onore ed a rafforzare il tradizionalismo, restaurando gli studi sacri e riponendo il Sabato sul suo antico piedistallo.
Il distacco dalla seconda e dalla terza classe è molto più profondo di quello della seconda dalla prima. Le vestigia del mondo ebraico vanno scomparendo. Il rituale ebraico sopravvive come una reminiscenza che s’affievolisce ogni giorno più: l’educazione e l’istruzione della prole è data dalle scuole pubbliche. Il sabato è un giorno come gli altri: solo le grandi ricorrenze la Pasqua, il Capodanno, e il Giorno del perdono hanno virtù di risuscitare per breve ora un mondo lontano. In Germania i più radicali di questa classe sono contraddistinti col nome di Kipur- Juden (ebrei del giorno del perdono, perchè frequentano il tempio soltanto in quella solennità). Siamo nella società banearia-industriale-professionista dove non sono rari celibi. Il vecchio detto talmudico: « Non è uomo chi non ha moglie « rimane lettera morta. Nei tempi antichi i celibi tra gli ebrei erano così rari che il Talmud concede alle autorità la facoltà di costringere al matrimonio i giovani che avevano compiuto il ventesimo anno, senza aver condotto moglie. La media della prole è press’a poco analoga a quella della media borghesia, quindi scarsa. Molta parte degli ebrei tedeschi, inglesi, italiani, francesci, olandesi, americani, non meno di quelli delle grandi metropoli del l’Austria-Ungheria, (esclusi quelli della Galizia) entra nei quadri di questa classe.
Discendiamo a maggior pietà. La quarta classe ha spezzati decisamente i ponti •col giudaismo. È contraddistinta ancora come ebrea perchè è al di qua del batte-
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IL GIUDAISMO DI IERI E DI DOMANI
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simo, pur non respingendo i matrimoni misti, col battesimo s’intende dei figli. Di questo novo ambiente in cui i valori spirituali ebraici finiscono e non penetrano ancora i valori cristiani, s’è fatto interprete sagace in Italia il Castelnuovo nel suo romanzo / Mone alvo. Il dramma della famiglia ebraica, la lotta degli elementi sani della tradizione cogli elementi nuovi che traviano anime aride di idealità per correr dietro al denaro e al blasone, è rappresentato con molta schiettezza condita di umorismo bonario e di sobria commozione.
La conversione è o dovrebbe essere tragedia di anime; ma parecchie delle conversioni ebraiche più rumorose, se pur si deve giudicare dalle azioni anteriori e posteriori al gran passo dei catecumeni, paiono determinante dall’ansia tormentosa di primeggiare, di penetrare nelle aule vietate ai circoncisi. Questa quarta classe adunque comprende numerosi ebrei in vista per ricchezza e per aderenze; spiriti sedicenti forti che per aver scrollato dalle spalle il peso della tradizione ebraica che ostentano di ignorare, presumono avere il compito di illuminare il mondo coi moccoli spenti del materialismo: sicché il Salmista li collocherebbe volentieri fra «coloro che siedono nel banco dei derisori ». Non superano il milione ed offrono gli spunti meno infrequenti e meno immeritati alla letteratura antisemitica (i). Lo specchietto (v. pag. io) che ricavo dal libro del Ruppin, scritto originariamente in tedesco e di cui si è pubblicata recentemente (s'intende prima del cataclisma europeo che prepara una nuova storia) una traduzione inglese, permette di abbracciare in una rapida sinossi le quattro sezioni dell’ebraismo con le loro caratteristiche speciali (2).
II.
Come risulta chiaramente dal quadro, la maggior percentuale dei battezzati è fornita dagli ebrei della terza e quarta classe; sicché si constata questo ritmo che i figli degli ebrei della terza classe tendono passare nella quarta; i figli della quarta sono definitivamente perduti pel giudaismo. Con la coltura specifica ebraica finisce altresì la razza ebraica. Le ricerche dei più autorevoli antropologhi sono abbastanza concordi neH’ammettere che il nucleo ebraico con le sue caratteri stiche specifiche sia più che altro un prodotto culturale, un risultato di un persistente e tenace metodo razionale rivolto allo scopo di assicurargli una singolarità incancellabile così, da preservarlo da ogni altro gruppo etnico per modo da attuare il vaticinio di Isaja: « La loro prole sarà distinta fra le genti e i loro discendenti dai popoli circostanti ». Sia detto di passata: La razza non casca dal cielo come la neve nelle sue mirabili forme cristalline: non è un dato, ma un fatto; essa è un
(1) V. mio scritto Ebrei in Italia ed Ebrei in Russia in Coenobiuni, luglio-agosto 1908.
(2) Il Ruppin è sionista e di tendeze ortodosse. V. The Jews of To-day by Arthur Ruppin, London, 1913, p. 15. Le cifre sono approssimative, perchè la statistica ebraica non è sempre sicura. In Italia il numero degli ebrei è superiore a quello che è dato dalle cifre ufficiali, pei criteri adoperati nell’ultimo censimento. Non è dubbio che la 6;rcentuale di coloro che si sono dichiarati liberi pensatori è molto superiore fra gli brei che fra i Cristiani.
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quattro sezioni del Giudaismo Li |L h Condizioni economiche 1 Fede religiosa Educazione culturale 1 9 g g | £¡5 | 2 1 1 » *1 p Operai, artigiani, bot- Ortodossa Héder 30-40 0-2 0-2 tegai, avventizi poveri 0 di mestiere incerto. Artigiani, mercanti Liberale Scuole elementari 25-30 2-ro 2-5 con reddito mode- ebraica ebraiche. sto ma fisso. Agiatezza borghese. Liberi Scuole elementari 20-25 10-30 5-15 pensatori e secondarie cri- stiane. Borghesia danarosa * Agnostica Scuole pubbliche 14-20 to-<o xs-xo Alta banca. ed Università.
2 o Tipi rappresentativi 6 La grande massa demilioni gli Ebrei della Russia, della Polonia, della Gallizia. 3 Ebrei emigrati in In-milioni ghilterra e in America-Ebrei rumeni. 2 La massa degli Ebrei milioni tedeschi (francesi, inglesi ed italiani). « 1- - X W x 0 0 w milione di cultura universitaria.
! i 9 * 4> K O N 4* CO <« 2* Sezione 3“ Sezione * 4* Sezione
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IL GIUDAISMO DI IERI E DI DOMANI II
prodotto; si ottiene la così detta purezza perfezionando la materia prima la cui origine lasciamo ad altri scrutare (i). Non c’è dubbio che dal punto di vista antropologico l’Aowo judaeus, il cui sangue è vanamente mescolato di elementi siri, semitici ed indo-europei, è un tipo meticcio non meno di altre razze che ostentano una purezza discutibile, Agli ebrei peraltro è riuscito ad imprimere a questo miscuglio instabile una fissità straordinaria, mediante un frenetico partito preso di esclusivismo, mediante un ritualismo rigido ed indiscreto talvolta che assicura l’esclusione di incroci ulteriori, con la volontà risoluta di imporre quella rigorosissima disciplina endogenica prescritta dagli scribi e dai rabbini in nome di un ideale grandioso. La nazionalità perduta non si inabissò mediante l’armatura di una razza pura, per quanto artificiale pel carattere eterogeneo de’ suoi materiali.
È evidente che una tale persistenza non può essere mantenuta quando la selezione non sia effettuata dalla consanguineità. Trascurando queste precauzioni, l’ebreo resta inghiottito dal mare della popolazione circostante. Il Salaman nel suo studio Hcredity ami thè jew (2), riferisce che 136 incroci di nordici (inglesi) e di ebrei hanno dato un totale di 362 figli. Orbene, in 12 sopra 13 di costoro si presentava il tipo nordico. In altri termini il tipo nordico predominava e il tipo ebraico tendeva a scomparire. Sicché, conchiude il Salaman, per l’ebreo assimilazione equivale ad eliminazione. L’ebreo che vuole conservare il tipo ebraico deve evitare incroci; il suo tipo non è in grado di vincere la concorrenza dell’altro. Si è già perduto al contatto degli indigeni della costa del Malabar dove gli israeliti di ebraico hanno soltanto la religione; altrettanto si verifica tra gli ebrei cinesi e i falasha del-l’Abissinia.
Galud jajè: È bella la persecuzione, dicevano i vecchi talmudisti Che si rassegnavano volentieri alle interdizioni di cui la società civile gravava gli ebrei perchè ne assicuravano la continuità della stirpe, e rafforzavano la vita religiosa. Gli assertori della perennità della civiltà peculiare ebraica se non arrivano a considerare l’emancipazione come una piaga, ne deplorano peraltro le conseguenze e non si allegrano certo di una libertà che affretta l’estinzione dell’ebraismo.
Il Ruppin, che ha avvertito il rischio e si affanna in tutti i modi per correre al riparo, propone che,{superato oramai il doloroso momento storico che si è iniquamente prolungato nell'Europa orientale della segregazione locale forzata e coatta, si promuova una segregazione volontaria, rinsaldata da un’amministrazione indipendente politica ed economica, da una lingua nazionale ebraica, (il iyddish è frutto della dispersione) e dal sistema ebraico di educazione.
( 1 ) V. mio studio Gli Ebrei e la civiltà moderna in Rassegna Contemporanea, ottobre 1912.
(2) L’articolo del Salaman è stato pubblicato in 7'he Eugenie Review ed è riportato dallo Spir, Quelques Juifs (Paris, 1913), pag. 252 e seg. Occorre notare che il Salaman ha fatto oggetto di sue indagini gl’incroci nordici con ebrei del tipo aschenazita (tedesco e russo e più accentuato polacco); meno avvertibile è la scomparsa del tipo ebraico presso i popoli mediterranei, ove sono sparsi i sefarditi che conservano il tipo semitico più puro e sono di gran lunga più suscettibili alla penetrazione culturale di altri popoli, (V. il mio opuscolo Ebrei, Unione tipog. editrice 1904, pag. 3 e seg.).
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Una terra adunque che consenta il ritorno degli ebrei all’agricoltura, dalla quale furono violentemente allontanati per tanti secoli. Una comunità stabile ebraica può solo sussistere colà dove vi sono contadini ebrei. La lingua ebraica, la lingua santa rifiorisce nelle colonie della Palestina e non si adatta al clima dell’occidente, dove l’ebraico è completamente isolato fra le lingue europee e considerata come lingua morta ed ammessa come insegnamento di alta cultura nelle università.
Siamo qui di fronte a quel dissidio fra l’asiatismo e l’europeismo fra le cui morse il giudaismo si dibatte. Il Ruppin, benché non se ne renda chiara coscienza, non sa rinunziare al primo elemento; anzi lo accentua con compiacenza. Dov’è che lo spirito giudaico tradizionale (sequestrato aggiungiamo noi dalle correnti della cultura occidentale) vigoreggia di più? Nella Russia e nella Galizia. La Russia che in misura più grande ma con effetti analoghi, non si è ancora decisa a rivolgere la sua faccia verso l’Occidente per contemplarlo con occhi sereni, non è vicina ancora alla conversione, persisterà nel suo stato teocratico. Orbene, accanto ad uno stato teocratico se ne crea un altro. Se la Galizia non è russa e se non diventerà russa, soccorre un altro espediente: accrescere l’Austria scacchiera di razze separate di un gruppo etnico autonomo di più.
Soluzione che a me pare utopica quant’altra mai« Pur prescindendo dalle possibilità imprevidibili con cui sarà rimaneggiata la carta d’Europa al finire di questa guerra, questo conservatore-restauratore non tiene conto che lo spirito europeo è espansivo e non si arretra dinanzi all’asiatismo del blocco moscovita e della vagheggiata teocrazia ebraica.
La democrazia e l’ellenismo trasformeranno la Santa Russia e la Galizia, e l’immane cozzo dei popoli a cui assistiamo affretta quel giorno deprecato e scongiurato. Per tal modo l’isolotto ebraico attorniato dal mare infido della civiltà occidentale, sarebbe di bel nuovo ingoiato: nel conflitto delle due culture il giudaismo sarebbe vinto un’altra volta.
Rimane allora, intervengono i sionisti, il ritorno in Palestina. La coltivazione del sacro suolo dei padri restituirà vigore fisico e morale a molti ebrei un poco malconci dalla vita urbana. La nevrosi ebraica scomparirà con le salubri fatiche dei campi e coll’equilibrio tra l’esercizio dei muscoli e quello del cervello. La creazione di una nazione ebraica nell’antica patria farà rivivere ed intensificare la cultura ebraica. Sionne potrà diventare un centro politico e culturale e dare norme a tutti gli ebrei che intendono vivere ebraicamente sparsi pel mondo; sarà il centro unificatore della religione come è Roma pei cattolici e La Mecca pei maomettani. Il fine che si propone il Sionismo di costituire in Palestina una compatta popolazione ebraica la cui massa prevalente sia essenzialmente agricola, ed adotti l'ebraico come lingua nazionale, è certo diffìcile, ma possibile. La rinascita di una nazione esige sforzi eroici e sacrifici incalcolabili e deve mettere in valore tutta la forza latente del popolo ebraico. Non ultima delle benemerenze del Sionismo è stata quella di aver rinsaldati i vincoli di fratellanza fra gli ebrei occidentali e gli ebrei orientali, mettendo a pari a pari i sefarditi e gli aschenaziti. Sino alla vigilia del movimento sionista, le grandi associazioni ebraiche occidentali si atteggiavano a protettrici e benefattrici degli ebrei orientali, considerandoli come pupilli, senza apprezzare
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equamente i tesori spirituali dell’anima ebraica in Russia. Furono appunto gli asche-naziti russi, più oppressi e più tenaci nell'attaccamento alla tradizione, che espressero in forma mistico-idealista, l’ideale sionista.
Leone Pinsker nel suo opuscolo dal titolo Aulo- Emancipai ion scritto mentre infierivano le persecuzioni del 1881, riconosceva unica soluzione della questione ebraica la ricostituzione di un centro di vita nazionale. La,Palestina è un paese senza popolo; gli ebrei sono un popolo senza paese. • La nostra patria è la terra straniera; la nostra solidarietà è l’avversione universale; la nostra forza di resistenza la fuga; la nostra originalità l’adattamento; il nostro avvenire, il domani. Quale spregevole condizione per un popolo che pure ha avuto un tempo i suoi Maccabei! ».
Teodoro Hcrzl, il teorico del movimento, ha accolto lo scotitore messaggio del Pinsker, concretandone più realisticamente il programma nel suo celebre Judenstaal (1896). Egli illustra il principio che la vera causa deH’antisemitismo è la mancanza di una sede del popolo ebraico: quindi necessità d'una terra ovunque sia. Fu detto <? non senza ragione che il Judenstaal è piuttosto libro di testo del territorialisno che del sionismo. Ma ben presto, grazie all’influsso energico esercitato dai pionieri colonizzatori della Palestina, Herzl rivolse lo sguardo alla terra dei padri e dedicò tutte le sue energie per l'attuazione dell’ardito piano.
Le secolari aspirazioni degli Israeliti d’Oriente per la patria lontana che fino allora avevano trovata la loro espressione in forma di lirica patetica e gemebonda, o si esaurivano in omelie ed invettive, si atteggiavano nell’opuscolo del Herzl in desiderati pratici, di possibile attuazione: si indicavano i mezzi per raggiungere la meta. Nelle leggende ebraiche medievali, si parla di santi vegliardi, che sentendo prossima l’ora della morte, si avviavano verso la terra santa, per essere sepolti all’ombra dei cedri del Libano, e coperti dalla polvere di Sion. Ora non si doveva pensare alla Palestina per morire ma per vivere, per scuotere la polvere dell'esilio e vestire i panni del libero cittadino nella sua libera patria. L'idea era semplice: occorreva che l’asilo nazionale fosse garantito pubblicamente e giuridicamente.
Le due forze propulsive del sionismo, la spirituale e la politica, convergevano ad unico scopo. L’ebraismo tradizionale rappresentato da Achad Hàam (Asher Gimberg) poderoso filosofo ed apologeta, accentuava il sionismo che doveva consentire agli ebrei la possibilità di vivere liberamente ed ebraicamente sulla terra dove fiorì e si svolse il loro genio: Herzl era lo stratega, il politico, il diplomatico del movimento. Delle quattro correnti di attività nettamente delineate nel programma di Basilea, cioè la colonizzazione della Palestina, l’organizzazione del popolo ebraico, il rinvigorimento della coscienza nazionale e l'opera diplomatica intesa a conquistare la simpatia delle potenze, Herzl conforme al suo temperamento, dà maggiore importanza all’organizzazione e all’attività politica. Ma i tentativi del Herzl per ottenere una carta dei diritti ebraici che assicurasse le necessarie garanzie per l’emigrazione in Palestina, fallirono. Fu allora che per breve tempo il»programma massimo sionista parve attardarsi nel futuro, e Herzl cercò di ottenere l’autonomia in qualche altro territorio possibilmente alle porte della Terra d’Israele. La transa-
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¿ione esasperò sopratutto gli ebrei russi. Nel congresso di Basilea del 1903 scoppiarono applausi ironici a coloro che avevano saputo trovare Sion nell’Africa orientale, nell’Uganda. Gli intransigenti provenivano appunto dai paesi dove più infieriva la persecuzione. I teologhi cattolici hanno trovato la formula: paliens quia aelernus rispetto a Dio; gli ebrei se la sono data a sè stessi; popolo eterno perciò non ha fretta. Da tanti anni attendono la redenzione messianica e possono aspettare ancora. Essi dkono col Salmista: «Se io mi dimentico di te, o Gerusalemme, possa dimenticarmi della mia destra! » pure aggiùngendo: « Tu, ti leverai, tu avrai compassione di Sion; perocché è tempo di averne pietà; chè il termine è giunto. I tuoi servitori hanno affezione alle pietre di esfa e hanno pietà della sua polvere». (Salmo CTI, v. 14-15). L’unità ritornò al settimo congresso, quando il 27 luglio 1905, un anno appunto dopo la morte del Herzl, l'assemblea deliberò di rifiutare il territorio dell’Africa orientale. A capo dei territorialisti rimase il poeta e romanziere inglese Israele Zangwill fondatore dell’/Zo (Jewish Terrilorial Organisaliori) che si propone di procurare un territorio su qualunque parte del globo, e l'autonomia a quegli ebrei che non possono o non vogliono restare nel paese dove vivono attualmente. Idea filantropica, ma destituita di quell’aureola di poesia religiosa, nazionale, tradizionale che nobilita il sionismo. Vero è che l’intenzione umanitaria del Zangwill trascende l’opportunismo di una misura di carattere utilitario. Durante questi ultimi anni l'ito è riuscita ad organizzare l’emigrazione ed a proteggere il proletariato ebraico che arriva in America dallo sfruttamento inumano dello Swealing System, i cui caratteri fondamentali si possono ridurre ai seguenti:
i° Irregolarità del lavoro.
2° Numero eccessivo delle ore di lavoro.
3° Salario di fame.
4° Ambienti fetidi e malsani dove il lavoro viene eseguito.
L’opera filantropico-politica dell’ZZo non impaccia l’azione sionista. Per quanto pure alla vigilia della guerra, la prosperità delle colonie e il vigore della rinascita della vita ebraica in Palestina fosse notevole e foriera di progresso continuo, il sionismo riusciva impari a risolvere il problema degli ebrei oppressi. Troppo numerosi sono gli ebrei della Russia della Rumenia perchè la terra dei padri sia capace di riceverli.
Tenta quindi di prevalere l’idea informatrice del sionismo quale è svolta e predicata da Achad Ahàm di sgombrare gli sterpi e i pruni nella terra promessa, perchè diventi il centro o nido per lo spirito ebraico, di mostrare al mondo che l’ebreo può abbeverarsi alle sorgenti della cultura moderna, senza chè sia intaccata la nobiltà del suo spirito. Questo è il gran cimento è il bel rischio: le angoscie della guerra attuale temprano ed affinano gli animi perchè si preparino alla grande prova.
III.
La civiltà latina mediterranea prosegue l'opera sua di riduzione delle razze affratellandole assieme; invece in Germania e in Russia il numero molto più considerevole degli ebrei da una parte e dall'altra le resistenze etniche e politiche
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hanno invigorita l’energia conservatrice ebraica. L’ebraismo germanico è sorretto da una salda, ininterrotta tradizione culturale specifica onde si alimenta tanto l’ebraismo ortodosso, tradizionale, quanto l'ebraismo liberale erede della riforma del Men-delsohn che dalla Germania si propagò in Inghilterra e in America. Lo smisurato orgoglio etnico tedesco non permette che siano atterrate le barriere fra i due mondi. Chi voglia essere informato della disposizione degli spiriti tedeschi intorno al problema ebraico alla vigilia del conflitto, non ha che da consultare l’opera dèi Chamberlain La genesi del sec. XIX (1) ritenuta classica da ogni tentone ben pensante, cioè convinto che i due termini gern.anisi.mo e civiltà sono equivalenti e che gli ebrei al pari dei latini appartengono alle razze femmili destinate cioè ad essere messe in valore dai tedeschi. L’autore suggerisce ai tedeschi espedienti sottili e cautele callide per difendersi dal pericolo ebraico utilizzando i semiti ed asservendoli alle mire imperialistiche. Quanti giovani intellettuali ebrei tedeschi ed austriaci hanno provate le trafitture del dissidio tragico fra l’aspirazione di vivere pienamente con tutti i doveri e tutte le gioie, gl’ideali della patria in cui erano nati, e in cui avevano sentito ingrandirsi la loro coscienza culturale, e l’ostilità tenace dell’ambiente che li respingeva e li circondava di ombre, di sospetti e di diffidenza! Si è venuta svolgendo una ricca letteratura in proposito: notevoli a titolo di documentazione il Doclor Cohn, dramma di Max Nordau, e il romanzo Werther der Jude del Jakobowsky. Al mondo allucinante del Weininger che si sottrae volontario disertore a 23 anni alla sacra milizia dell’apostolato rinnovatore dell’anima ebraica, ha contribuito certo questa atmosfera torbida che grava sulla gioventù ebraica tedesca. Non è il bastone nè il sacco del peregrino errante la sventura peggiore per molta gioventù d'Israele, ma sì una esistenza che intristisce senza la luce d’un ideale che dia colore e valore alla vita.
L’antisemitismo dottrinario e scientifico tedesco ha ben poco a spartire con l'antisemitismo russo e rumeno che pesa sugli ebrei con interdizioni, limitazioni di diritti e persecuzioni. È appunto in queste miserabili città della dispersione che come si esprime il Bialik in una sua calda poesia, arde sempre il vecchio candelabro a sette braccia.
La civiltà occidentale ha ridotto l’ebraismo al comune denominatore delle altre religioni. Ma nelle comunità orientali la maggior parte degli ebrei fedeli alla massima « Ogni tua azione sia compiuta in nome del cielo », ritengono la religione, il centro della vita ebraica. Ciò spiega che mentre nei paesi latini il sionismo è per lo più collaborazione benevola ed attiva, per favorire l’emigrazione in Palestina di tutti quegli ebrei che non trovano nelle regioni dove attualmente accampano il modo di soddisfare alle loro'aspirazioni di persone libere, nei paesi orientali sia considerato come la redenzione non pure dell’inferiorità economica e sociale del popolo ebreo, ma altresì della sua degenerazione spirituale. L’antisemitismo tedesco e russo rinfocolò il sentimento nazionale del popolo che trovò la sua espressione nella letteratura.
(x) Leggere sopratutto il c. Ili della prima sezione, l’introduzione e i c. IV e V della seconda sezione e l’appendice.
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Le speranze messianiche si sono riaccese.
Qualcuno potrebbe domandare: Qual’è l’atteggiamento dell’ebraismo liberale rispetto al problema del sionismo? L’ebraismo liberale distingue gli ebrei emancipati dalla cultura europea dagli ebrei orientali, pur riconoscendone la fratellanza nella solidarietà del dolore e nel l’ereditarietà del martirio. Non è niente affatto contraddittorio l’interpretare la riedificazione del tempio il ritorno in Palestina come simbolo etico del giorno del Signore, del regno di Dio in terra, invocato ed affrettato mediante l’elevazione della coscienza morale e la penetrazione più intensa e più estesa dei valori spirituali nel mondo reale col riconoscimento della razionalità di questo movimento in quanto concorra a mantenere un popolo ed a creare un centro unitario.
Prima della guerra attuale si poteva immaginare fra un secolo od anche meno, quando la popolazione ebraica avesse raggiunto nel paese di origine il centuplo di quella attuale, la Palestina coltivata come un giardino e se non scorrente latte e miele secondo l’espressione biblica, rigenerata da coloro che trascinano una vita avvilente nella Russia e nella Rumenia, ed offrire rifugio ai fratelli oppressi e travagliati. Ma quali saranno gli effetti della guerra sull’avvenire dellaPalestina ebraica?
IV.
L’ora attuale non ci consente di trattare il problema che dal punto di vista spirituale è d’importanza massima, dell’evoluzione spirituale a cui deve soggiacere l’ebraismo liberale per appagare le esigenze delle anime che intendono conciliare la fede con la cultura, (i) Ho sostenuto altrove e ripeto anche qui che si impone la necessità d’un risveglio spirituale tra gli ebrei italiani. Sarebbe stato molto confortante il vedere gli ebrei italiani tra gli ultimi arrivati alla luce della libertà iniziare una revisione di valori religiosi, ereditati dai padri sopratutto di quelli che sono di tal metallo da non temere ruggine, come il profetismo ed il messianismo, e raggiungere una coscienza più lucida di sè stessi. Occorre sapersi liberare del vecchio che invecchia se si vuol conservare il vecchio che non invecchia mai. Anche in Italia il naturalismo e peggio il materialismo, che fu come la comune temperie culturale dopo il ’70, si attaccò, salvo poche eccezioni, agli ebrei intellettuali e forse con maggiore intensità che ai loro colleghi d’altra fede. Vero è che il risveglio ebraico promosso dal sionismo ha prodotto anche nella nuova generazione italiana benefici effetti. Per conto mio pur facendo le mie riserve riguardo alle idee di nazionalismo ebraico propugnate dai redattori <\e\\’Israel, il nuovo e coraggioso periodico ebraico, non posso negare il plauso a questi giovani idealisti che hanno saputo riscattarsi dall’ambiente chiuso e dalle viltà dei troppi ebrei rifatti, respirando a pieni polmoni l’aria profetica che impose loro l’apostolato di restituire agli ebrei d’Italia la coscienza dignitosa del loro essere reale. Saranno probabilmente i nostri avversari di domani, ad ogni modo avversari che meritano rispetto, perchè si pro(1) Mi propongo trattare questo argomento in tempi più riposati, in questa stessa rivista libera palestra alle battaglie d’idee purché si propongano vittorie ideali.
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pongono sia pure per vie diverse, una mèta ideale analoga alla nostra. Ma ora è tempo di concordia. C’è un programma di lavoro comune imperioso ed urgente. Per intanto è dovere immediato ragunare le forze perchè siano cancellate le leggi restrittive che pesano sugli ebrei della Russia e della Ruinenia.
A New York si pubblica una rivista The congr£$,anoche è l’orgautorevole non pure degli ebrei americani ed europei, ma altresì di tutti i seguaci delle idee liberali perchè al futuro congresso della pace che dovrà riordinare il soqquadrato mondo, sia rappresentato, perchè faccia valere i suoi diritti, il popolo ebraico.
La guerra attuale si è riversata sopra tutto nelle regioni dove la diaspora ha disseminato in numero maggiore la popolazione ebraica. In tredici milioni di ebrei dieci milioni sono travolti dal conflitto: se ne contano tre milioni in Polonia. Allo scoppio della guerra europea, le masse ebraiche diedero prove eloquenti di lealismo: gli ebrei russi dimenticarono le atroci persecuzioni ed offrirono all’esercito un contingente superiore alle altre popolazioni. Per un momento parve che si approssimasse l’inizio di una nuova storia e si accesero le più grandi speranze. Ma la gioia fu di corta durata: nulla fu mutato in Russia.
La fiera protesta della Duma contro l’antisemitismo governativo, che ha smentita la solenne dichiarazione che « nell’ora di prova siano dimenticate le lotte intestine » dimostra che la burocrazia russa continua nell’antico sistema. Mentre 700.000 ebrei russi nei vari teatri della guerra combattono per gli interessi della Russia, le persecuzioni più orrende di scatenano contro le loro famiglie. Le prescrizioni che interdicono agli ebrei di uscire dalla zona di abitazione (1) furono applicate con tale stupida ferocia, che alle famiglie si negò il permesso di visitare i loro cari ricoverati in ospedali fuori del territorio. C’è di peggio; molti soldati ebrei feriti furono sballottati da un ospedale all’altro, perchè non avevano il diritto di stanziarsi in villaggio fuori del territorio. Il celebre scrittore Leonida Andreieff ha reso popolare il tipo del soldato ebreo ferito che osa appena, facendosi piccino piccino, introdursi nell’ospedale dove i suoi-camerati sono ricevuti come eroi, e soffoca ogni gemito pel timore che qualche impiegato zelante lo obblighi a sloggiare, perchè non ha diritto di ricovero fuori dalla zona.
Verrà il giorno in cui si potrà documentare la terribile tragedia che ha decimato il popolo ebraico in questa guerra per l’inaudito trattamento del Governo russo: per ora ci accontentiamo di constatare che pubblicisti non ebrei e non avvezzi ad abbandonarsi a’ sentimentalismi assicurano che dopo la distruzione di Gerusalemme nessun flagello, nel corso di una storia millenaria di persecuzioni e eli lacrime, fu più terribile di questo. Migliaia di giovani ebrei davano il loro sangue alla patria mentre i loro parenti venivano decimati nei campi di concentrazione per opera del Governo russo.
Il popolo russo, noi lo sappiamo, non è antisemita; coloro che alimentano le dottrine, dell’odio vanno ricercati nell’oligarchia che governa l'impero, nella burocrazia che ne dipende e in alcuni popi ignoranti e fanatici.
(1) Sulle condizioni giuridiche degli ebrei della Russia vedi il mio articolo: La guerra e gli ebrei russi, pubblicato nel numero di Aprile 1915 di questa^rivista.
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Gl’intellettuali russi, tra cui Massimo Gorki ed il citato Andreieff, si sono messi a capo di una associazione russa per lo studio della vita ebraica, rivolta ad illuminare le masse, a dissipare pregiudizi e preparare la nuova legislazione. Nell’aprile del 1915 fu pubblicato il manifesto degli intellettuali russi che si chiude con queste parole « Noi comprendiamo che il benessere e la potenza della Russia, che la felicità e la libertà della razza russa seno indissolubilmente congiunti alla felicità e alla libertà di tutte le razze che compongono il grande impero russo. Comprendiamo bene questo per poterlo richiamare alla nostra ragione ed alla nostra coscienza, e stabiliamo come una delle condizioni essenziali all’edificazione del nostro stato, l’abbandono delle persecuzioni contro gli ebrei e la concessione agli israeliti della uguaglianza dei diritti ». Ma il problema ebraico trascende i confini della Russia. L’antisemitismo rumeno è parente prossimo di quello russo. L’articolo 44 del trattato di Berlino sanciva come condizione al riconoscimento dell’indipendenza rumena la perfetta eguaglianza di tutte le credenze, ma a poco a poco s’introdussero nella costituzione rumena tante e così maliziose modificazioni che quell’articolo rimase lettera morta. Gli ebrei in Rumania sono considerati stranieri col disconoscimento di ogni diritto di cittadini, con la possibilità di una immediata espulsione, con l’esclusione da ogni funzione politica e da quasi tutte le professioni, ma, con l’obbligo del servizio militare.
E la Polonia? e la Palestina? Gli ebrei occidentali e sopratutto gli ebrei italiani che sono meno sensibili al Sionismo nazionalista non devono dimenticare che il sionismo è legittimo per coloro a cui è negata una patria.
L’unione nazionale per i diritti in una solenne adunanza tenuta recentemente a Londra ha proposto ed approvato il seguente programma pratico che può accogliere l’assenso concorde degli ebrei di tutte le tendenze. Ecco le aspirazioni fondamentali per la cui attuazione sono chiamati gli uomini di buona volontà.
i° Eguaglianza di diritti civili e politici per tutti gli ebrei.
20 Autonomia comunale e culturale nelle terre dove tali diritti fossero ritenuti necessari.
3° Eguaglianza di diritti per gli ebrei della Palestina; facilitazioni alla colonizzazione ed immigrazione ebraica; privilegi municipali per le colonie e per le maggioranze ebraiche dei centri urbani, che rendano possibile la creazione d'una vita ebraica e d’un cèntro spirituale ebraico nella Terra dei padri.
La questione ebraica è questione europea. Questa guerra di rivendicazioni nazionali deve essere fedele al suo ideale assicurando la salvezza di una delle più antiche e più gloriose nazioni.
Felice Momigliano.
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'Europa che uscirà da una così grande guerra dovrà essere molto diversa da quella della vigilia. Un diritto nuovo sarà costituito, al posto dell’antico; e la pace non sarà che la sanzione giuridica della volontà vincitrice, il battesimo del diritto sulla conquista.
L’una e l’altra parte, quindi, lottano per il diritto; e, obliterato oramai l'antico, che si trattò di rovesciare o di difendere., lottano per un diritto nuovo, che risulti dalla vittoria. E c’è
chi vuole che in questo campo della lotta per il diritto i due gruppi contendenti sieno riconosciuti in parità di condizioni, diremo così, ideali. Poiché, dicono con sofisma specioso e insidioso questi signori, filosofi, giuristi e uomini politici, il diritto non è sanzione di una norma morale, di un dover essere ideale, ma è solo volontà che la forza e il concorso di circostanze favorevoli al dominio hanno tramutato in potènza. La legge, la posizione giuridica, la costituzione di uno Stato non sono fatti morali; tanto è vero che ci sono delle leggi, delle posizioni di dominio e sinanche degli Stati — esempio, per chi vuole, l’Austria vessatrice e soffocatrice di nazionalità — immorali. Esse sono semplicemente fatti imposti dalla potenza, accettati per necessità o per utilità, consolidati giuridicamente; quello che si aggiunge al puro fatto, alla volontà che lo investe e lo pone, non è un elemento etico che lo consacri, ma è la forza. In altre parole, lo Stato va inteso, si pone ed agisce come potenza. E il mondo del diritto culmina nello Stato; sopra di questo non c’è norma organizzata a potere. Lo Stato è arbitro e sovrano delle sue decisioni, solo giudice delle esigenze del suo sviluppo, delle condizioni di sicurezza che gli è duopo procurarsi, delle insidie che gli si tendono, delle offese che lo minacciano e dalle quali gli conviene guardarsi.
E, aggiungono, quando c’è la guerra, il diritto che essa nega è, per il fatto stesso della prova che gli è imposta, negato come diritto e ridotto a pura esigenza, in contrasto con altre esigenze, forse più forti; la volontà che lo rovescia agisce per organizsarsi, nel mondo della realtà e della storia, in modo nuovo, è attuale creazione di diritto. Se il vecchio diritto è il più forte, prevarrà, non perché era il diritto, ma perchè è anche la maggior potenza; e, prevalendo, sarà già un diritto nuovo, perchè le nuòve situazioni non rispecchiano mai esattamente le vecchie.
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Altri — e fra questi è chi scrive, e la democrazia e l'Italia come nazione, l'Italia mazziniana e garibaldina — non accettano questo criterio; essi non lottano solo per la potenza, ma lottano prima per il diritto; o, meglio, con essi, la potenza lotta per la giustizia. E ragionano a questo modo:
Non sappiamo e non vogliamo cercare se la legge e lo Stato sono, formalmente, in pura logica, nell’etichetta dialettica che ad essi compete, quello che voi dite. Anche se fosse, noi diciamo che il diritto formale, che lo Stato di diritto non è tutto; che oltre e sopra il diritto c’è la moralità, oltre e sopra gli Stati la coscienza, lo spirito che giudica. Noi sappiamo che la legge è volontà, che lo Stato è volontà, e che la volontà, quando agisce consapevolmente e rettamente, deve essere morale; deve attuare la giustizia, attuarsi come bontà. Noi diciamo che scopo dell'una e dell’altro è « la completa realizzazione dell’idea dell’uomo nel mondo »; e che lo Stato reale deve esser giustizia, in quanto in esso si rispecchia e si afferma la coscienza, giunta a un certo sviluppo morale; e in quanto un lungo processo storico di valutazioni e di conquiste morali (che è poi l’essenza stessa della vera cultura) è implicito nella volontà attuale che vuol porsi come diritto, come fatto razionale e come norma. La nostra volontà è la giustizia in guerra.
Dall’una parte e dall’altra, quindi, lotta per il diritto; ma dall’una parte per un diritto retrocesso, diremmo, alle sue oscure origini violente, alla forza, che vuol porsi ed imporsi come potenza bruta di uomini e di cannoni, in dispregio dei deboli; dall’altra parte per un diritto che tende ad adeguarsi con le esigenze ideali della volontà, che disciplina la forza nel nome di esigenze universalmente valide, che si afferma come potenza spirituale.
Ognuno vede la gravità di questo conflitto, e l’importanza che esso ha, oscuramente sentita da tutti; importanza la quale viene in primo luogo dal fatto che la concezione dello Stato-potenza è quella ufficialmente adottata dalla Germania all’apertura della guerra ed applicata alla violazione della neutralità belga, quando i più sacri trattati internazionali furono definiti dal governo imperiale pezzi di carta, ed è sostenuta in coro dai fautori della Germania; e l’altra, la concezione degli Stati-giustizia, è invece delle potenze dell’Intesa; le quali giudicano che Austria e Germania iniquamente aggredirono, iniquamente violarono i trattati, iniquamente minacciano l’autonomia di nazioni minori, iniquamente conducono la guerra; e che quindi la coalizione contro di esse è coalizione per la giustizia, per la difesa e l’ulteriore sviluppo del diritto delle.genti, per la libertà del mondo contro il tentativo criminoso di dominio del mondo da parte di un popolo ubriaco di potenza.
Giova quindi analizzare più da vicino gli opposti concetti; e, per maggiore chiarezza, darne una esposizione più dettagliata e precisa.
Desumeremo la concezione germanica da un filosofo che è fra i maggiori rappresentanti del pensiero tedesco e del quale si è spesso parlato nelle polemiche sulle ragioni ideali della guerra: da Hegel. Ma non senza ricordare prima, per dovere di esattezza, che Hegel fu anche il più potente assertore della concezione etica dello Stato, e che dai suoi principii due opposte correnti derivarono, delle quali l’una è rappresentata dalle applicazioni politiche che lo stesso Hegel fece della sua dot-
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trina, dalla destra hegeliana e dai continuatori diretti di lui fino al vivente Lasson, dell’università di Berlino, e a qualche noto filosofo nostrano.
Insegnava dunque il filosofo di Jena, specialmente nei suoi « Lineamenti di filosofia del diritto », questi punti fondamentali:
i. Solo lo Stato, questo Dio reale, incarnala razionalità, il pensiero che si fa storia; e solo in esso gli individui empirici, contingenza ed arbitrio, raggiungono la sostanzialità dello spirito oggettivo e trovano nelle istituzioni di Stato la loro coscienza essenziale.
2. Gli Stati sono, non solo praticamente, e per insufficiente sviluppo di organizzazione storica, ma anche idealmente, pienezza di autonomia e di sovranità; nella loro volontà sovrana, l’arbitrio coincide con la razionalità; facendo e accettando trattati, rispettando gli altri Stati, essi pongono alla loro volontà delle norme e dei limiti dei quali rimangono, in ultima istanza, giudici ed arbitri; e il loro atto, divinità operante, è la suprema sanzione.
3. Nella dialettica della storia, poiché non tutti gli Stati si trovano nello stesso grado di sviluppo e, d’altra parte, il massimo della razionalità attuale non può risiedere che nello Stato, uno di essi ce ne è, il quale, per peculiari condizioni storiche e geografiche, a un momento storico, incarna la razionalità e il diritto; ed esso è il popolo dominante. « Di fronte a questo suo diritto assoluto, di essere guida dell’attuale grado di sviluppo dello spirito universale, gli spiriti degli altri popoli sono senza diritto ed essi, come coloro la cui epoca è passata, non contano più nella storia universale ». Fil. del dir., § 347.
4. Dopo il mondo orientale e il mondo greco e il mondo romano (Italia, a te!) rappresentanti stadii superati nello sviluppo dello spirito, il mondo germanico è oggi il culmine dello spirito e il soggetto del diritto « assoluto ».
Ognuno vede il difetto radicale di questa dottrina; che è nell’aver costruito dialetticamente uno Stato-Dio, per il quale gli individui sono in ultima istanza spogliati della loro stessa personalità, e contro il quale non c’è appello nella storia, sopra il quale non c’è, propriamente parlando, coscienza umana. È il romanticismo, sequestrato a profitto dello Stato; il panteismo statale, del quale la Germania imperiale doveva divenire l’incarnazione.
Contro di esso insorse adunque l’individualismo democratico, che nega lo Stato così dialetticamente dedotto e divinizzato, e lo ricostruisce invece partendo dall'individuo e dalla sua autonomia, della quale lo Stato è solo il presidio e l’integrazione. In questa concezione, le norme etiche, le nozioni di giustizia e di dovere valgono per lo Stato come valgono prima per l’individuo; e sopra la legge e sopra lo Stato c’è una giustizia, una norma assoluta di bene, la quale si impone ad essi, li assoggetta ad una sovranità superiore, quella della coscienza, e li affatica verso il progresso morale, e, se è necessario, si pone contro di essi, in atteggiamento rivoluzionario.
Ma questa dottrina, se si chiude nella pura esaltazione dell’individuo, conduce alle esagerazioni dell’« unico » di Stirner e all’anarchia militante di Bakounin, (sinistra hegeliana) all’anarchia mistica di Tolstoi, alla teocrazia che condanna lo Stato come incarnazione del diavolo e gli pone sopra se stessa. Essa ha bisogno
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quindi di un correttivo e di una integrazione. E l'ha trovata, nella concezione storica insieme ed .ideale della nazione. Nella nazione, individuo e Stato si riconciliano.
Come rappresentante tipico di questo pensiero possiamo prendere un italiano, il Mazzini; e stabilire, desumendoli dai suoi scritti, i canoni fondamentali dello Stato-giustizia, in opposizione a quelli dello Stato-potenza, desunti da Hegel.
i. Suprema legge etica e storica della vita reale deH’individuo è l’associazione. la quale, muovendo dalla famiglia, si integra nella nazione e da questa si estende, idealmente, all’umanità. Sopra l’uomo e sopra ogni grado di associazione c’è una legge eterna e divina di giustizia, attuare progressivamente la quale è il compito dell'umanità.
2. Lo Stato ha in sè una logica immanente, la quale è insieme la sua ragione d’essere c il suo limite. Essa è integrazione delle autonomie e delle attività individuali nella nazione; il suo dovere è di tendere a coincidere con la nazione, sia interiormente, per l’attuarsi della sovranità popolare, sia quanto ai suoi limiti esterni, definiti dal territorio, dalla lingua, dalla tradizione, dall’unità spirituale nelle creazioni giuridiche.
3. Ciascuna nazione-Stato, per le stesse ragioni ideali per le quali riconosce ed afferma se stessa, deve riconoscere ed accettare le altre nazioni e il loro diritto e la coesistenza pacifica con esse, regolata da criterii universalmente validi e sancita dalla magistratura suprema delle nazioni libere coalizzantisi contro i despoti.
4. Ciascuna nazione, nei limiti assegnatile dalla natura e dalla storia, deve accettare una missione e compiere un proprio dovere nell’incivilimento; missione che è di servizio e non di dominio, di assistenza delle nazioni mature alla libertà per la conquista di essa, di pedagogico governo dei popoli inferiori verso l’autonomia, di opere di cultura e di elevazione spirituale concorrenti al progresso comune.
Non è difficile riconoscere in questa sommaria definizione il pensiero animatore della guerra dell’Intesa contro l’aggressione germanica.
Ciascuna di queste due antitetiche concezioni ha rivelato, nella applicazione storica a grandi linee che ne hanno fatto il germanesimo e le democrazie occidentali, debolezze e difetti. L’una tendeva a signoreggiare i contrasti interni, a subordinare intieramente e militarmente l’individuo allo Stato, ad esaltare questo nel concetto della sua onnipotenza, ad esasperarne la sensibilità nazionale, a creare un cumulo di forza compatta che si sarebbe poi rovesciato al di fuori, in forma di distruzione e di conquista. L’altra invece tendeva ad accentuare i contrasti interni (concetto etico, laico o clericale, dello Stato, conquista del potere per farne strumento del proprio programma, diminuita sensibilità nazionale, debolezza e impreparazione militare, eccessiva fiducia nella giustizia, come cosa che si realizzasse per virtù propria, indipendentemente dalla potenza ministra).
Ma, se bene si osserva, nell’un caso le applicazioni erronee e mostruose discendono logicamente da un vizio radicale che è nella dottrina; nell’altro sono piuttosto unilateralità dipendente da inadequata comprensione. Ciò è tanto vero che nella guerra le democrazie hanno ritrovato se stesse, la disciplina spontanea, la virtù della potenza, il fervore di una lotta che si eleva all'altezza di motivi ideali e da
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LA LOTTA PER IL DIRITTO
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essi attinge le sue forze migliori; mentre l’imperialismo statale, nella guerra, ha smarrito se stesso e tende ora a mascherarsi, a simulare giustizia, e recita ipocritamente l’atto del suo pentimento.
Ma la differenza fondamentale resta, ed è divenuta più chiara nello spirito del mondo — che è davvero, in questo caso, il giudizio del mondo — e condanna l'una dottrina come iniqua e inumana ed esalta l’altra come rivendicatrice e rinnovatrice del diritto che è giustizia e che fa la giustizia.
E dalla vittoria noi ci ripromettiamo una Europa diversa, in cui gli Stati coincidano, quanto è oggi storicamente possibile, con le nazioni e sopra le nazioni stia un diritto comune, capace di fondare la societas gentium; così che esse escano dallo stato di natura in cui la vendetta e il diritto sono rimessi all’arbitrio singolo, e sugli arbitrii tentati stia, supremo pretore, la coalizione dei liberi contro J
il prepotente,
E per questo, non ostante la terribile veemenza del conflitto immane e la gravezza dei sacrifici! che esso ci chiede, noi possiamo dire come Socrate sulla soglia della morte e della conquista dell’immortalità nell’idea:
bella è la lotta e la speranza è grande.
Romolo Murri.
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IL PONTEFICE ROMANO
E IL CONGRESSO DELLE POTENZE PER LA PACE
L’INCHIESTA NAZIONALE (,)
Mi pare che in tutto il questionario la domanda più importante sia l’ottava. E mi pare fuori di dubbio che l’Italia abbia motivi politici per ritenere dannosa la presenza dèi Pontéfice a un Congresso di Potenze. Nessuno, d’altronde, sa oggi immaginare quest’eventualità disgiunta dall’ipotesi di una vittoria degli Imperi Centrali.
Essersi comportato in modo da accreditare le voci di una tendenza germanofila o almeno di una frigida e cauta neutralità; aver chiuso gli occhi davanti alla sostanza cristiana e cattolica e sto per dire guelfa delle nazioni occidentali combattenti contro quella mostruosa furia ghibellina; aver premeditato un atteggiamento su calcoli di forze anziché su contrasti d’idee: tutto questo costituisce forse il più grande errore del papato moderno.
Se la Germania pèrde, i vincitori potranno dire di avere avuto confortò dall’idea cristiana, non dalla Chiesa. Se la Germania vincesse e facesse ammettere il papato al Congresso, non mancherebbe in tutto di giustificazioni apparenti il settario che sostenesse essere stata la Chiesa uno strumento del pagano titanismo germanico non diversamente dal Califfato.
Pio X non sarebbe forse stato così « abile ».
Prof. G. A. BORGESE deir Università di Roma.
(*)¥• nei fascicoli precedenti di Bilychnis il questionario di Guglielmo Quadrotta e le risposte di P. Blaserna, A. Chiappelli, M. Mazziotti, G. De Lorenzo, I- Bonomi, A. Bussi, P. Cogliolo, A. Solmi, G. Cimbali, G. Arangio-Ruiz, U. G. Mondolfo. U. Janni, G. Pioli, L. A. Villari, A. Cervesa*o, E. Faelli, O. Raimondo, F. Crispolti, A. Loria, M. Siotto-Pintor, A. Groppali, A. Levi, M. Puglisi. La pubblicazione delle risposte all’inchiesta continuerà nel prossimo fascicolo; esse verranno poi raccolte in volume.
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IL PONTEFICE ROMANO E IL CONGRESSO DELLE POTENZE PER LA PACE 25
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I. Un Congresso di potenze non è mai Un’Accademia, e il prossimo Congresso avrà cura di limitare al minimo possibile le questioni e le discussioni. Naturalmente ciascuna potenza prenderà, nelle poche questioni esplicitamente trattate, una posizione rispondente ai propri interessi integrali, espressi e sottintesi.
II e III. Nè gli Stati neutrali, nè i rappresentanti delle Chiese universali e nazionali vi potranno essere ammessi.
Certo il vecchio concetto di neutralità, fondato sulla possibilità di fatto, oltreché di diritto, di limitare gli effetti della guerra ai soli belligeranti, non ha oggi più base alcuna. Ma è pure certo Che un principio di strettissima economia presiederà alle ammissioni al Congresso, se questo dovrà condurre a conclusioni rapide e precise e non degenerare in una Accademia inesauribile.
A maggior ragione ne saranno esclusi tutti i rappresentanti di Chiese, poiché la religione non ha nulla che vedere con la materia dell’odierno conflitto, ch’è tutta, o prevalentemente, economica.
IV. L’intervento di sovrani che sono anche Capi di Chiese nazionali non autorizza l’intervento del Pontefice, perchè quelli saranno ammessi al Congresso non in quanto Capi di Chiese, ma in quanto sovrani politici e territoriali.
V. Nè il Pontefice ha titoli specifici per intervenire al Congresso, che non sarà neppure un Concilio, nè avrà questioni religiose da risolvere. La questione romana è' una questione circoscritta ai rapporti interni e diretti fra l’Italia e il Papato, e dev’essere risolta dallo Stato Italiano e dallo Stato Pontificio di accordo, mediante un trattato conchiuso da potenza a potenza. Qualunque altra ingerenza nella questione menomerebbe i diritti sovrani tanto dell’Italia, quanto del Sommo Pontefice.
Prof. Francesco Orestano
dell’Università di Palermo
Segretario dell'Unione Gen. degl' Insegnanti
■per la Guerra Nazionale.
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Dirò solo che a me sembra esservi un'intima contraddizione fra la neutralità pontificia e la pretesa del Vaticano di intervenire al futuro Congresso per là pace.
Il papa ha voluto trar fuori gli interessi della Chiesa, come organismo terreno, politico, dagli interessi in conflitto nella presente guerra; ha voluto ignorare questi, non giudicare fra i contendenti, rimanere estraneo alle loro pretese e recriminazioni. Come mai può proporsi di rientrare, quando si tratta di concludere tutta questa contesa, di trarre le somme, di imporre ai vinti la volontà del vincitore, là di dove si era volontariamente e tenacemente appartato? Il Vaticano ha infatti bisogno di farsi una sua speciale idea di questo congresso; di considerare la guerra, che esso nega, come negata anche dai fatti, come fallita.
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senza vincitori nè vinti, come una aberrazione passeggera e un inutile sciupìo di beni e di vite; e quindi la sopravveniente conferenza come una specie di cattolicità neutrale, estranea anche essa e superiore alla guerra, che si aduni per distribuire pesi e premi e ridividere il mondo con soddisfazione di tutti, con una pace neutra.
Si direbbe che tale non può essere il punto di vista di nessuno dei contendenti; i quali combattono appunto per imporre la loro volontà, per abbattere l'avversario, e quindi per fare che il Congresso non sia se non la sanzione definitiva del successo delle armi; nel qual caso il Vaticano dovrebbe esso stesso, in forza de’ prineipii che gli ha imposto la neutralità, astenersi dall’intervenire.
Ora, come va che l’Intesa è appunto di questo parere, mentre gli Imperi Centrali sembrano avere aderito al desiderio del Vaticano? La spiegazione è forse semplice. Questi Imperi ritengono che l’influenza del Vaticano al Congresso non possa esplicarsi se non in senso favorevole ad essi. O, nel primo periodo della guerra, quando credevano dì aver vinto, essi consideravano il desiderio del Vaticano come una accettazione della loro vittoria?
Taluni dicono, in sostanza: Il Congresso per la pace sarà una semplice conversazione fra volontà di potenza, fra forze misuratesi nelle armi, se, con il Vaticano, non interviene quasi la rappresentanza di un principio più alto, di morale e di giustizia, un potere puramente spirituale. Ma le potenze dell’Intesa sostengono, unanimemente, di aver tratto la spada per la vittoria del diritto e della giustizia; di questo, che è la più nobile ed alta ragione della loro guerra, non possono, senza smentirsi ed umiliarsi, cedere la rappresentanza ad altri. E se il Vaticano rappresentava veramente la causa più alta dell’umanità e della giustizia e della bontà, chi riesce ad intendere che esso non abbia avuto modo di compiere questo suo divino ufficio durante la guerra, e che solo una conferenza di diplomatici sia il luogo adatto per l’intervento del rappresentante di S. M. Iddio, fra — poniamo — quelli di re Pietro o di Maometto V?
Per questo, anche, l’analogia del caso di Stati neutri che potranno intervenire con i loro delegati al Congresso, non regge. Poiché, quali che sieno state le cause della loro neutralità, potrà convenire ai rappresentanti dell’Europa, in cerca di un nuovo e più efficace sistema di equilibrio, occuparsi anche degli interessi e della posizione giuridica loro. Essi non rappresenteranno, quindi che se stessi; più che deliberare saranno oggetto di deliberazione. Sotto tale aspetto, il Vaticano non potrebbe intervenire che come un piccolo Stato neutro da ricostituire, come un pretendente.
La posizione delle Chiese, dopo la guerra, sarà ben altra. Esse dovranno legittimare, agli occhi del mondo, i loro titoli alla pretesa di una direzione spirituale dell’umanità, ciascuna dentro i suoi limiti e mostrare di sapere e voler prender parte, disinteressatamente ed efficacemente, alla ricerca di quella unità spirituale che sarà, e dovrebbe essere, il più ardente desiderio dei popoli usciti dalla guerra.
Romolo Murri
Ex deputalo al Parlamento.
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La questione dell'intervento pontificio al Congresso per la Pace è stata portala alla Camera dei Deputati durante la discussione intorno alle dichiarazioni palle dal-Von. Boselli al Parlamento presentando il Ministero Nazionale, il 28 giugno 1916. Ad essa hanno accennato varii deputati, Giacomo Ferri, Arnaldo Agnelli, Napoleone Colajanni; ma più particolarmente l'hanno trattala due deputati cattolici, il Tovini ed il Ciriani, sostenendo due punti di vista avversi: il primo in favore dell’intervento, il secondo contro di esso.
Ci sembra utile riprodurre qui, dal resoconto stenografico ufficiale, apparso negli Alti Parlamentari del 30 giugno 1916, la parte di quei discorsi riflettente Voggetto di questa inchiesta, tanto più che nelle pagine che seguono le argomentazioni e le lesi dei cattolici sono minuziosamente esposte anche da due pubblicisti che professano apertamente la loro origine e il loro carattere di cattolici, il Molajoni e il D’Amico; e ad esse si associa sostanzialmente un israelita, l’Oltolenghi. Cosi tulle le tendenze del pensiero cattolico sono qui raccolte, anche se nessun personaggio ecclesiastico od ufficiale obbedendo ad un ordine ricevuto, abbia preso parte ali inchiesta da noi promossa.
Per la storia, è utile rilevare come l’on. Ciriani riportasse alla Camera dei Deputati quel che si usa chiamare un «grande successo parlamentare», ricevendo anche le congratulazioni dei ministri Bissolati, Bianchi. Fera, Comandici. Ma al suo discorso segui la sconfessione dell’organo pontificio.
¿/Osservatore romano è di quei giornali cattolici — come il Corriere d’Italia e i suoi affini, già inspirali e diretti dall'on. Meda — che fino a quel giorno avevano considerato l’on. Ciriani come appartenente al gruppo parlamentare formalo dai cattolici, alla cui testa era l’on. Meda: il discorso del Ciriani costituì per quei deputati e quei giornali un disinganno Che si rivela nelle interruzioni dell’on. Cameroni e negli, amari commenti.
Il resoconto stenografico è uno specchio fedele dell'accoglienza che la Camera fece ai discorsi degli on. Tovini e Ciriani: sorpresa, diffidenza in generale e scarsi consensi a destra per il primo; consenso più largo in ogni settore per il secondo, specialmente a sinistra. La stampa cattolica si è sforzata, allo scopo di svalutare il discorso dell’on. Ciriani, di mettere in luce il plàuso dei « massoni » al deputalo democratico-cristiano; ma oltre al Jatto che anche molti deputali di destra, della sinistra e dell’estrema che consentirono nelle idee dell’on. Ciriani non sono massoni, come non è tale l’on. Bissolati, vi è un documento singolare e interessante che illumina i rapporti dell’on. Ciriani con i suoi colleghi massoni. Lo troviamo nell’Azione (Cesena, 9 luglio 1916), organo della Lega Democratica Cristiana, della quale il Ciriani è socio; in un articolo di impressioni su quel discorso, in cui si risponde alla stampa clericale, Eligio Cacciaguerra scrive:
« Ad ogni buon fine sarà bene ricordare le parole scherzose ma non senza una punta di verità e d’ironia che l’on. Ciriani rivolse con la schiettezza semplice e bonaria che gli è abituale ai deputati notoriamente massoni che si congratularono con lui: « Piano piano, cari colleghi. Sappiate che io non sono un anticlericale. Sono un cattolico, apostolico, romano. Vado a messa tutte le domeniche
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ricevo spesso i sacramenti, e non mangio carne il venerdì, ecc. Pensate dunque bene a quel che fate... ». E ai sorrisi di compiacimento per la sua schiettezza, alle proteste dei massoni che dicevano: « A noi non importano le tue convinzioni religiose, importa di prendere atto delle cose dette, della tua franchezza e del tuo coraggio ». « E allora accetto » rispondeva sorridendo l’oratore. E il « successo massonico » è tutto qui ».
Questo episodio dà maggiore risalto alle idee esposte e al successo conseguilo dal deputato di Spilimbergo. Non ci è apparso fuori di posto segnalare qui il discorso suo e quello dell’on. Tovini. & $
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«...E poiché l’onorevole Boselli volle che alla costituzione del Ministero nazionale presiedesse un criterio di alta imparzialità, così mi si conceda un’ultima parola sul problema di pacificazione sociale, che di ora in ora diventa più assillante.
L’onorevole ambasciatore Tittoni in un discorso pronunciato recentemente alla Sorbona, e che ebbe larga eco nella pubblica opinione, si proponeva il problema dicendo: « Non dobbiamo dimenticare che c’è anche da ricostituire un altro edificio che è miseramente crollato e che ha nome: il diritto e la giustizia internazionale. È forse possibile che l’Europa, quale era prima della guerra, l’Europa della pace armata, della concorrenza pazza e della corsa febbrile agli armamenti, sia ancora l’Europa di dopo la guerra? Che cosa rimarrebbe mai del progresso civile ed economico, per le riforme sociali, per tutto ciò che costituisce il cammino della civiltà? Si ingannerebbe a partito chi pensasse che le nazioni potrebbero rassegnarsi ad un tale stato di cose che creerebbe dappertutto gravi situazioni interne e provocherebbe le collere dei popoli: secondo me nòn vi è che una via per facilitare la soluzione di questi problemi: ed è fare in modo che abbiano a porsi a noi nella forma la meno grave possibile ».
Ora sono convinto che la soluzione proposta sia insufficiente se non si tien conto di un fattore di pacificazione umana, che mai come in questa guerra mondiale si è avvicinato al cuore di tutti i popoli, fattore che nessuno può respingere senza affrontare una grande responsabilità: mi riferisco all’influenza spirituale che viene dalla suprema autorità del mondo cattolico (Oh! oh! Commenti) che regge 300 milioni di coscienze, che fa udire la sua voce in ogni angolo della terra ed è il più autorevole rappresentante di un principio morale e il più convinto e libero apostolo di una definitiva sistemazione dei popoli sulla base della giustizia e del diritto (Commenti).
Non mi farete l’ingiuria di credere che io prospetti la'quistione sotto un punto di vista che non sia eminentemente italiano e parlamentare.
Ma riterrei pernicioso agli interessi italiani il pregiudicare comunque codesta opera di pacificazione mondiale che trascende le ragioni stesse della guerra, e che concorre a riedificare il crollato edificio del diritto e della giustizia internazionale; così, come considererei antiumanitario ogni ostacolo frapposto alla sua opera mediatrice, benedetta da tante madri, per il sollievo dei combattenti e dei prigionieri
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nostri fratelli italiani, belgi e francesi. Alludo alla voce corsa che si sia sconsigliato di far ricorso alla suprema autorità spirituale, che è certo la più indicata per compiere un’opera umanitaria a favore di quegli infelici.
Nessun interesse deve mai prevalere sopra l’interesse della pace e dell'umanità.
La questione io l’ho posta. E questa riguarda non solo il nostro popolo, ma l'avvenire stesso della storia e della civiltà, che mai segnerebbe la prima pagina del domani trascurando fattori morali che dopo la guerra conquisteranno un'importanza preminente. Poiché non è chi non veda come dopo la guerra ci troveremo di fronte a questioni gravissime, che ci obbligheranno a continuare in un certo senso il criterio di abnegazione individuale che costituisce oggi la ragion d’essere e la forza morale del presente Ministero nazionale.
Ho la convinzione che i concetti su espressi siano profondamente uniti alla fortuna dell’espansione italiana nel mondo, non solo, ma siano profondamente sentiti da numerosi uomini di azione e di opposto pensiero politico; gli uni guardando il problema dalle alte vette dei supremi interessi dello Stato; gli altri intendendolo come una profonda espressione della coscienza popolare.
L’onorevole Presidente del Consiglio ha già affermato come, dopo cinquantanni di storia italiana, ora che si sta per raggiungere la pienezza del nostro risorgimento, sia giusto esaudire con sicurezza d’animo il voto per una maggiore libertà amministrativa.
Orbene spingiamo il nostro sguardo più in alto e più lontano con illimitata fiducia nel nostro popolo che, mentre non tollererebbe mai la minima offesa agli indistruttibili diritti consacrati nelle patrie leggi costituzionali, sente tutto il grande valore di pacificazione umana e civile che proviene dalla più alta autorità spirituale del mondo. (Commenti — Interruzioni).
Dal discorso dell’On. Aw. Livio Tovini
(Atti Parlamentari, 30 giugno 1916).
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« ... Ha detto l'on. Boselli che la nuova combinazione parlamentare ha dato modo di rappresentanza a tutte le tendenze, a tutti i partiti. Io mi augurerei che ciò fosse vero, specialmente nei riguardi dell’on. Meda e (perchè no?) anche del-l’on. Comandini.
L’onorevole Meda proviene da quella schiera di cattolici, organizzati clericalmente, i quali - (Interruzioni) ...nel periodo della nostra neutralità... (Interruzione del deputato Cameroni).
Non sono io che maltratto l’onorevole Meda, ma lei, onorévole Cameroni, e se lei presterà attenzione al mio dire, se ne persuaderà!
Io non ho la pretesa di dire grandi cose, ma, siccome su questo argomento c’è grande confusione —- quasi una partenza per tutte le linee — ho piacere di delineare bene il mio pensiero.
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L’onorevole Meda adunque che proviene da quella schiera di cattolici, organizzati clericalmente, che nel periodo della nostra neutralità erano contrari alla guerra, non ostante le molto platoniche tenerezze per il Belgio... (Interruzioni).
Ripeto: l’onorevole Meda non lo maltratto io, lo maltrattate voi, di quella parte della Camera, come risulterà in appresso, se resisterete a sentirmi...
Cameroni. Prima di tutto non maltrattare la verità ! La nostra era neutralità condizionata.
Presidente. Onorevole Cameroni, non interrompa.
Ciriani. Se l’onorevole Cameroni fosse «la bocca della verità» potrebbe valerne la pena, ma...
E, proseguendo, dirò adunque che l’onorevole Meda è di quei cattolici che, a guerra dichiarata, si affrettarono a proclamare ai quattro venti, e non soltanto d’Italia, che subivano la guerra quali cittadini ossequienti alle istituzioni, preoccupati forse, per quanto accenna ora l’onorevole Cappa, come i socialisti ufficiali, della politica interna più che della situazione internazionale dell’Italia durante e dopo, special-mente dopo la guerra.
L’onorevole Meda forse, anzi di certo, non ha appartenuto però a quei cattolici, che potrebbero esistere ancora, i quali, accettando la guerra, pretendono di scindere la responsabilità, distinguendo fra quella di chi ha dichiarato e quella, ben più grave a mio avviso, di chi ha voluto la guerra, e della guerra non assumono tutte le conseguenze, facendo un giuoco o inscenando un comodo equivoco che si può definire l’ultima trasformazione del neutralismo larvato ed una comoda via d’uscita.
L’onorevole Meda, e ciò vada a suo onore, salendo a far parte del Governo, e di un Governo che si è voluto per la guerra, tronca ogni dubbio sul proprio conto, ed offre prova coraggiosa di retto sentire, perchè l’onorévole Meda non può aver accettato di essere consigliere della Corona facendo uso di restrizioni mentali. (Bravo!).
Non può l’onorevole Meda, che conosco molto da vicino, avere accettato, se non con animo di perfetto italiano, la grande causa, per la quale si combatte.
L’onorevole Meda offre per primo la prova nel Parlamento Che i cattolici agirebbero assai meglio se si decidessero ad essere, con sincerità ed anche per questa, autonomi nel campo politico-sociale, sempre rimanendo fermi ed ossequienti, senza pretesa di discussioni, a quanto è dogma, è tema di religione e di morale cattolica.
Non è il caso di domandarsi se e chi l’onorevole Meda rappresenti nella multicolore compagine del nuovo Gabinetto, dopo tutto quanto fu scritto di lui, nei più dispaiati sensi, con le più divergenti intenzioni, al suo ingresso nel Gabinetto per la guerra fino alla vittoria, dai giornali clericali, semi-clericali o cattolici.
Non torna indispensabile, anche perchè lo stesso dubbio forse potrebbe sorgere nei riguardi dell'onorevole Comandini, che, come hanno detto i suoi compagni di fede in una recente riunione, è andato al Governo per conto suo, non in rappresentanza del partito repubblicano, anzi per iniziativa personale!
La composizione del Gabinetto affida perchè in esso si trovano in prevalenza quegli uomini che più apertamente vollero la guerra, che ne furono assertori coscienti, che hanno parlato come pensavano ed hanno agito come parlavano.
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Leonida Bissolati, il primo! Egli che, vinto dalla forza degli avvenimenti e del suo stesso atteggiamento, della sua provvida opera, non è giunto al Governo perchè vi si fosse avviato, ma per dovere di coscienza e con innegabile sacrificio.
Vi sono uomini che sapranno condurre la guerra senza debolezze, senza rinunzie, ed anche tenere in giusto valore le note cause che hanno concorso a determinare la crisi — molteplici cause — quantunque nel discorso dell’onorevole Presidente del Consiglio di queste punto si sia parlato, spero per brevità!
Non turba la mia coscienza o quella di coloro che, soltanto fuori di qui, mi sono compagni di fede politica, la presenza nel Ministero di uomini, i quali furono, come accennai, dei convertiti.
Nè mi preoccupa questa constatazione, perchè io penso che di costoro il più rappresentativo, se non rappresentante autorizzato, l’onorevole Meda, non potrà e non vorrà, e non dovrà, portare nel Gabinetto, altro che il suo equilibrato e valido concorso a risolvere gli ardui problemi dell’ora con animo di perfetto italiano. Non sarà l’onorevole Meda quello che si farà eco di questioni che nella stampa clericale si sono agitate unicamente per far rivivere attriti infecondi fra la Chiesa e lo Stato! (Vive approvazioni a sinistra).
Ed a me corre l’obbligo in questo momento, obbligo di coscienza, il dichiarare il pensiero mio quale uomo che, perchè sente, perchè vive intensamente ed è osservante della religione del cattolicismo, appunto per questo non può condividere quegli atteggiamenti politici che deprimono e viziano la stessa vitalità cristiana.
Lo Stato italiano, in una legge, ha garantito alla Chiesa la piena libertà del suo ministero religioso e Le ha fatto una posizione privilegiata, consona però — come doveva — all'importanza sua storica, nella nostra tradizione nazionale.
Orbene: quanto si viene chiedendo in più, rappresenta — siamo franchi! —• un tentativo di mal celata rivendicazione giuridica di posizioni storiche, di privilegio e di dominio, morte nella coscienza del paese. (Applausi a sinistra).
Se la Chiesa anela a conquistare, come può, una influenza maggiore nella storia, cioè nella vita e quindi nella vita politica e sociale, la deve conquistare con quei mezzi Che nessuna potenza della terra mai potrà toglierle, e cioè con la santità, con l’apostolato, con il martirio dei suoi fedeli, vivendo lealmente nella vita moderna che è fatta di democrazia, rifuggendo da quanto si sustanzia in protezionismo religioso. (Approvazioni).
Alcuni colleghi hanno accennato alla questione dell’intervento del Pontefice nel Congresso della pace, ed io, per motivi ben diversi da quelli che pur conducono ad identica conclusione, non esito ad affermare che la presenza e permanenza dell'onorevole Meda al Governo non può, nè potrà significare alcun compromésso in argomento.
L’on. Tovini, anzi — e vada lode a lui per la sua schiettezza — ha posto nettamente la questione della partecipazione del Papa al Congresso della pace. Ed ha ancor affermato che sarà questo un problema che farà parte delle questioni costituzionali.
Io lodo la franchezza del pensiero del collega Tovini — dissento apertamente dal concetto informatore dell’affermazione sua — così come non posso accettare la... dilazione a pronuncia in argomento per essere ora — disse ad un giornale di Roma l’onorevole Meda — unico il problema: la vittoria!
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No, onorevoli colleghi! La dilazione sarebbe possibile soltanto se fosse da escludersi che sarà argomento dei preliminari alle trattative di pace, mentre sono così manifesti i propositi contrari. Si lavora — e da tempo — a procurare questa partecipazione!
Ove all’Austria e alla Germania piacesse, per mettere impacci allo Stato italiano, e con questo unico scopo — non certo per tenerezza di tutela della religione cattolica, — dato l’esempio, delle premeditate carneficine — avanzare la richiesta dell’intervento del Pontefice nel Congresso per la pace, si potrà in serena coscienza, tranquillamente, dichiarare di non aderire.
Certo è però che, se fosse attuabile la partecipazione del Capo della Chiesa cattolica soltanto sotto l’unico e grande, affascinante aspetto di forza morale universale, di Padre dei Cristiani, di assertore dei più sublimi principi di giustizia e di bontà, verrebbero meno tutte le evidenti ragioni che non giustificano, non spiegano, non richiedono — oggi — la partecipazione sua nella elaborazione di quella pace che darà una Europa civile, fondata sul principio di nazionalità. Come tale infatti, il Gioberti ripetutamente lo affermò ed invocò arbitro nei conflitti internazionali. Tanto più ora, se consideriamo la dichiarazione della Santa Sede che si è affermata neutrale, mentre ciascuno di noi rileva la differenza che passa fra neutralità ed imparzialità, e se non dimentichiamo che c’è, per obbrobrio del mondo civile, un regnante insensibile, impietrito dal delitto. Che, oltraggiando il cattolicesimo, passa ancora per maestà cattolicissima. (Bravo! — Applausi}.
Dal discorso dell'On. Aw. Marco Ciriani (AIli Parlamentari, 30 giugno 1916).
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I giornali clericali si adirano perchè da parte nostra, di quanti cioè non siamo con loro, si parla di ammettere o di non ammettere il Papa alla conferenza, quasi che egli implorasse a destra e a manca un tale favore, mentre nessuna parola ebbe mai a pronunziare in proposito: d'accordo su questo, ma la colpa è proprio di quei giornali che oggi, come nel 1899, non fanno che tener viva la questione con ogni mezzo; e che per non essere usi a parlare senza i dovuti permessi, scoprono troppo la corona, e rendono un pessimo servizio alla causa che vogliono patrocinare. In ogni modo su questo punto siamo d’accordo, pure partendo da opposte premesse; la questione va considerata per l’utile o il danno che può arrecare alla causa della pace, agli interessi generali della umanità, e a quelli particolari dell’Italia e dei suoi alleati. È chiaro che se il Pontefice, invocasse l’invito nel proprio interesse, la questione non andrebbe nemmeno posta.
Inutile ritengo poi l’indagine scientifica sugli argomenti giuridici circa il diritto del Papa ad essere considerato come sovrano effettivo con tutti gli attributi della sovranità, o soltanto come equiparato ad un monarca per legge interna dello Stato Italiano, poiché in una questione esclusivamente politica, non hanno alcun valore simili argomentazioni: non si tratta ora di risolvere un caso di diritto costituzionale od un quesito di araldica; si tratta di tutelare interessi nazionali di vitale importanza, interessi anzi di un gruppo di potenze alleate.
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dalla discussione dei quali dovrà uscire un assetto nuovo dell’Europa. Un esame di natura giuridica, sarebbe fuori di luogo come se si volesse discutere ora delle legittimità di una casa regnante, di un ramo piuttosto che di un altro di una dinastia; questioni di araldica ripeto, indagini di studiosi, nulla di più. A ciò si aggiunga che alla conferenza parteciperanno verosimilmente le sole potenze belligeranti e quindi l’essere, o no, il Papa sovrano come gli altri, non ha alcuna conseguenza, poiché in ogni caso non è esso una potenza belligerante, anzi è il neutrale per eccellenza; da questo punto di vista, adunque, se non intervengono i capitani reggenti della republica di S. Marino o il vescovo di Urgel in rappresentanza della Repubblica di Andorra, o il Re di Svezia o quello... di Grecia, nessuna ragione avrebbe il Papa d'intervenire.
La motivazione avanzata da altri, che cioè il Papa debba prendere parte alla conferenza, come capo della Chiesa Cattolica per tutelare gl’interessi religiosi dei cattolici nel futuro assetto europeo, non ha alcuna consistenza per molte ragioni, non meno semplici e chiare: gl’interessi religiosi dei popoli, non possono essere un fattore determinante sulla circoscrizione territoriale dei vari Stati, circoscrizione che dovrà essere fatta innanzi tutto in base al criterio delle nazionalità, e in secondo luogo in base alla sicurezza delle frontiere. Dopo ristabilito l’equilibrio e assicurata la pace, gl’interessi religiosi troveranno come prima, oltre che nei governi civili, nell’episcopato e nei rappresentanti del Papa il loro presidio e la loro difesa. In occasione dell'assetto politico, da dare agli Stati belligeranti questo elemento non può avere che un peso secondario; se così non fosse, sarebbe logico ammettere anche le rappresentanze delle altre religioni di cui gl’interessi sono pur gravi; basterebbe accennare agli ebrei la condizione dei quali in Russia ed in Austria chiederebbe una efficace tutela. Tanto più che per essi non varrebbe la ragione avanzata per altre religioni — Anglicana, Ortodossa-scismatica, Islamitica — di cui il capo supremo è lo stesso sovrano: gli ebrei non avrebbero alcun rappresentante diretto.
Ciò premesso non sembri strano'che io ritenga con profondo convincimento che il Papa potrebbe essere il presidente del Congresso per la pace, che ne sarebbe anzi il presidente ideale.
È un paradosso? Non credo. Le difficoltà infatti di trovare un Presidente che possa essere accettato da tutti i belligeranti sarà enorme, poiché, a qualunque Stato appartenesse il designato difficilmente potrebbe essere estraneo in modo assoluto agli interessi di un gruppo o dell’altro; anche se disinteressato alla ripartizione dei territori europei o coloniali avrebbe verosimilmente qualche altro interesse politico o commerciale, diretto o indiretto. Il presidente degli Stati Uniti, il Re di Spagna o la Regina d’Olanda. non potrebbero davvero considerarsi in tutto e per tutto disinteressati in così grave questione. Emergerà quindi la necessità di offrire la presidenza del Congresso ad una personalità estranea a tutte le competizioni nè capo di alcuno Stato nè — se fosse possibile suddito di alcun governo: personalità che avesse anche tale posizione sociale da farlo essere scrupolosissimo di non comprometterla; un uomo in altri termini — per dirla con frase commerciale — che avesse molto da perdere.
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Nè si dica che il Papa, per il suo conflitto teorico con l'Italia potrebbe essere a questa sospetto.
Più che le dichiarazioni officiose di personaggi autorizzati, più che quelle officiali del Cardinale Gasparri, che dichiaravano questione interna i rapporti tra l’Italia eia Chiesa, lo stato dei fatti dalla morte di Leone XIII ad oggi è tale, che qualunque uomo di buona fede non può elevare il più ragionevole dubbio in proposito. Ri-, mangono ancora da vincere alcune questioni di forma, rimane una rinunzia esplicita che nessun Papa potrà mai fare; ma Io stesso intervento là dove sarà il rappresentante dell’Italia, costituirebbe la più solenne, ancorché tacita, rinunzia. Potrebbe un ingenuo obbiettare il timore di qualche sorpresa, ma è ben chiaro che se, per ipotesi assurda, in un momento d’inconcepibile follia, il Pontefice volesse sollevare una sua questione, il rimedio sarebbe semplicissimo. Il rappresentante dell'Italia si assenterebbe immediatamente dalla conferenza, seguito naturalmente dai rappresentanti delle potenze alleate, giusta i preventivi indispensabili accordi. Non è serio fare simili ipotesi.
Quanto alla scelta del Papa piuttosto che di un altro Capo religioso, la ragione è ovvia: le giuste, ragioni esposte da Ernesto Nathan per escluderlo dalla conferenza come parte deliberante, non valgono per la tesi della presidenza, poiché è chiaro che l’Autorità morale del Pontefice Romano è, senza possibilità di confronti, superiore a quella del Gran Rabbino e del Gran Llama. Anche i sindaci d’Italia sono tutti uguali dinanzi alla legge, ma il giorno in cui si volle nominare il presidente di un importante giurì d’onore, si scelse il sindaco di Roma — Ernesto Nathan — e non si scelse il sindaco di Rocca Canterano. Esaminare le differenze è perfettamente inutile, le comprende anche un bambino.
Ho parlato deliberatamente del Papa e non di un rappresentante; è infatti la sua persona, per l’Uflìcio che riveste, per la maestà di cui si circonda, per l’importanza che tutti i governi gli riconoscono, che potrebbe ispirare deferenza e rispetto; è lui che in caso di errori, avrebbe molto da perdere; un suo rappresentante non avrebbe alcuno dei requisiti necessari; anzi avrebbe appunto Paria di rappreseli-, tare qualche interesse, analogo a quello degli altri, cosa che si esclude a priori. Si aggiunga da ultimo che al Papa attuale non mancano le condizioni tecniche necessarie: cultura, conoscenza di lingue, tradizione diplomatica, per presiedere un’assemblea di così grande importanza: per tutte le ragioni esposte credo inutile aggiungere, perchè ne consegue logicamente, che il Presidente non dovrebbe aver voto deliberativo nelle decisioni del congrèsso.
Quanto al luogo della riunione, se questo fosse scelto fuori d’Italia, tanto meglio;sarebbe l’occasione più propizia per porre un termine dignitoso a quella... come chiamarla?... a quella condizione di cose che taluni chiamarono la prigionia del Papa.
Non sarà questo il pensiero dei futuri congressisti? Vedremo allora chi troveranno per dirigere le loro discussioni. Intanto una còsa preme di stabilire, che 1 Italia non è forse quella cui converrebbe opporsi alla Presidenza del Papa.
ProJ. Pio Molajoni
Redattore del Giornale d’Italia di Roma.
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I. Credo che nessuno oggi possa sapere, tranne forse Barbanera o madame de Thèbes, se {quesito I) il futuro Congresso delle Potenze limiterà la sua opera a fissare le condizioni della pace, o affronterà anche altre questioni. Ma basta tener per certo, come tutti teniamo, che il Congresso si incaricherà di dare almeno un sommario assetto all’Europa dopo la guerra, perchè il Papa abbia un legittimo interesse a parteciparvi.
Dico il Papa, e non dico « i delegati delle altre chiese universali (che non esistono) e nazionali »; che il questionario {quesito II) crede opportuno di ricordare, certo per indicarci una delle vie di giustificazione o di esclusione dell’intervento pontificio.. Mi pare che questo quesito, come del resto gli altri, sia stato posto con predominante preoccupazione giuridica, legale e formalistica; mentre invece il problema dell’intervento del Papa al Congresso è anzitutto un problema storico e politico.
In verità qualunque politico che non sia l’onorevole Luzzattio il gran maestro Nathan, può convincersi senza bisogno di molto studio che nè il Gran Rabbino nè il Gran Lama, nè alcun altro capo (quando esista) di religioni, ha mai assunto nella storia degli ultimi due millenni un’importanza politica paragonabile a quella che ha rivestito e riveste il Pontefice Romano, nè ha mai ottenuto il riconoscimento pratico di tale importanza dalle Potenze nelle forme che queste usano verso il Papa, mantenendo presso la Santa Sede, anche dopo la caduta del potere temporale, ambascia-tori e plenipotenziari secondo gli usi diplomatici.
E un fatto, non dirò essenziale e necessario in'eterno alla funzione del Papato, ma un fatto storico e positivo, che attualmente, come per tanta parte del passato, la Santa Sede esplica la sua missione nel mondo in queste forme. Un tal fatto non può esser negato o ignorato dall’uomo politico: che pertanto di fronte alla Santa Sede si trova davanti a una figura di carattere singolarissimo, sui generis, unica nella storia, irreducibile a qualsiasi altra figura. Quindi gli Stati, per regolare i loro rapporti con essa, si vedono nella necessità di foggiare (come han sempre foggiato) apposite norme, le quali soltanto per imperfetta analogia possono più o meno ravvicinarsi a quelle che regolano materie più o meno affini.
Quando si sia riconosciuto, come è impossibile non riconoscere, tutto ciò, le preoccupazioni sui titoli ed attributi giuridicidel Papa pel suo intervento al Congresso {quesiti P e VI), e s’egli con questo venga o non venga a rivestire il carattere di sovrano politico {quesito IX), o se la sua presenza nel Congresso contrasti col carattere fondamentale (quale?) degli Stati moderni {quesito III), non hanno più ragione di esistere. Il problema pratico è questo: « Converrà o non converrà invitare al Congresso delle Potenze — vi siano o non vi siano rappresentati i Neutri — il rappresentante di questo singolare ente storico che è la Santa Sede? » E, distintamente: «Converrà al Papa? Converrà alle Potenze? Converrà all’Italia?»
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Se il suo intervento appaia conveniente, le vie di attuarlo, date appunto le forine diplomatiche dei rapporti che gli Stati han mantenuto con lui e gli onori sovrani che gli tributano, non mancano davvero. Basterebbe, per esempio, affidargli a suo tempo l’incarico, confacente a lui come a nessun altro, di mediatore per la pace.
II. Che al Papa convenga di intervenire al Congresso, non par dubbio.
Sebbene nè la Santa Sede nè i suoi organi ufficiali o ufficiosi abbiano mai provocato una tal questione, che anzi è stata agitata e trattata le prime volte dagli anticlericali, gli scrittori cattolici hanno subito risposto concordi difendendo la tesi dell’intervento. Infatti è naturale che, date le condizioni storiche in cui oggi la Santa Sede esplica le sue funzioni, un invito degli Stati a partecipare al Congresso significherebbe un riconoscimento del suo prestigio e un incremento della sua potenza morale nel mondo.
D’altra parte, interessi pratici del Cattolicismo da tutelare al Congresso ve ne son molti. Basti pensare alla probabile annessione dell’Armenia alla Russia; alla sperata costituzione della Polonia in regno più o meno autonomo; alla desiderata unione di tanti slavi cattolici alla Serbia; senza parlare delle innumerevoli questioni secondarie, di indole filantropica e umanitaria, che potranno sorgere.
Ora se quasi tutti i Governi—dal piccolo Belgio che deve al rispetto della Germania pel Papa la sopravvivenza nel suo territorio di un organismo gerarchico nazionale, quello del clero e dell’episcopato, il quale ne difenda tuttora i diritti; alla grande Inghilterra che certo non ha mandato qui nè sir Howard nè Asquith a perder tempo, e s’è ben valsa dei vescovi irlandesi per la pacificazione dell’ultima insurrezione; dalla Serbia, che poco prima della guerra aveva creato, si sa con quali scopi, la sua legazione in Vaticano; alla Russia, che promette ai Polacchi la libertà religiosa; — se, dico, quasi tutti i Governi si sono giovati dell’opera del Papa, perchè s'ha da credere che il Papa non possa e non debba esserne legittimamente compensato, col riconoscimento dei legittimi interessi cattolici — che non sono già gl’interessi dei cattolici {quesito IV) — nel futuro assetto europeo? E in qual modo più semplice e più naturale e più ovvio, che invitandolo a partecipare al Congresso? Tanto più che, come è stato detto da altri, gl’interessi anglicani, luterani, ortodossi, maomettani, ecc. vi saranno automaticamente tutelati da quei capi di Stato che sono anche (di fatto, se non sempre canonicamente) capi della loro religione nazionale; mentre nessun capo di stato cattolico potrebbe rivestire un analogo mandato per gli interessi della Chiesa Romana. Quale sovrano cattolico potrebbe infatti tutelare gl’interessi cattolici in Polonia o in Armenia ?
HI. Dunque il Papa ha i suoi buoni motivi per intervenire. Ma e avranno le Potenze i loro motivi per invitarlo o per accoglierlo?
E perchè no?
Intanto, se è vero che esse si son comunque giovate o si stanno giovando dell’opera sua durante la guerra, ecco un primo motivo: do ut des. Ce ne sarebbe poi ancor uno, più alto, che riguarda gl’interessi dei popoli; i quali nei grandi momenti storici hanno pur sempre, qualunque fosse la loro fede politica o religiosa.
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guardato a Roma e alla sua autorità spirituale, per la dichiarazione e o il ribadimento delle eterne leggi della Giustizia o del Diritto. Non han richiesto essi anche oggi, tutti, anticlericali compresi, la sentenza del Papa contro la violazione del Belgio? E non la pronunciò egli nel Concistoro del gennaio 1915?
Ora c’è chi dal Congresso non s’aspetta che la nuda sanzione dei fatti compiuti: l’attribuzione dei territori e dei diritti a chi nella guerra si sarà rivelato il più forte: e basta. È la teoria nazionalista pura; per cui il fatto compiuto trova la propria giustificazione in sè stesso, la storia è divina, la sola legge morale d’una nazione è il suo interesse, ecc. Ma i cattolici, i liberali e i democratici, credono invece all’esistenza di leggi immutabili ed eterne, di Giustizia e di Diritto, a cui anche le nazioni debban sottostare. Ai cattolici, queste leggi le propone la Chiesa, che le ha avute da Dio; liberali e democratici le attingono dalla propria ideologia. Logica conseguenza di tutto ciò: i nazionalisti dovrebbero, per questo riguardo, ritenere almeno superfluo l'intervento al Congresso di un’Autorità Spirituale; mentre cattòlici, liberali e democratici, dovrebbero invocarne la presenza, perchè essa porti il suo contributo morale alla realizzazione di una pace il più possibile conforme ai principi del Diritto e della Giustizia.
C’è poi ancora, fra i vari punti di vista donde può contemplarsi la questione, uno da cui tutti gl'italiani, e i nazionalisti per primi, dovrebbero riconoscere concordi l’interesse dei popoli latini all’intervento del Papa. Chè il conflitto attuale, sebbene scatenato da contrasti nazionali, assume anche, presso i popoli dell’Europa occidentale, il carattere d’un conflitto spirituale fra l’idea latina e quella germanica. Ora cosa esiste al mondo di più latino che il Papato? E da chi meglio che dal Papa, potrebbe attendersi nel Congresso la tutela ideale del nostro spirito latino? Senza dire che domani, nel Congresso stesso, noi vedremo apparire, per opera di altri popoli, minacce non meno gravi di quelle che ora stiamo rintuzzando nel sangue: s’affaccerà il pericolo slavo: e come arginare l’avanzata degli ortodossi meglio che con la barriera cattolica? Ecco ancora un punto dove gl’interessi cattolici coincideranno, come sempre del resto, con quelli latini. È cosa delicata toccare oggi questo pùnto: ma chi vi rifletta, vedrà che molti problemi di cui si preoccupa la Santa Sede, son pure gli stessi che premono a noi.
IV. Invece, di fronte alla «latinità» del Papato, i nazionalisti paion restare tuttora perplessi; e quanto alla sua autorità spirituale, i democratici si ricordano prima di essere anticlericali che umanitari.
Di fatto sono stati essi, gli anticlericali, a iniziare la campagna contro l’intervento pontificio alla futura conferenza per la Pace; tirandosi dietro, come sempre, i cautelosi liberali. Lo spauracchio del pericolo che avrebbe costituito per l’Italia la presenza del Papa al Congresso (quesito Vili), è stato fatto precedere e seguire da una lunga e metodica diffamazione di tutti gli atti compiuti dal Papa durante la guerra. Fossero questi atti in prò del trattamento ai prigionieri, o in favore dello scambio degli invalidi, fossero per ottener grazia ai condannati o per deplorare le violazioni del Diritto, fossero per mantenere in buoni rapporti due nazioni o per iniziare un’opera di pacificazione fra due belligeranti, tutti sono stati circondati dal sospetto eh’essi favorissero gli Imperi Centrali. Fino il neutralismo
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germanofilo professato da tanti borghesi cattolici in quanto borghesi, e quello panciafichista professato da tanti contadini cattolici in quanto contadini, sono stati gabellati per austrofilia imposta dal Vaticano.
Cosicché anche i liberali e i moderati si sono bene allarmati alla minaccia che il Papa potesse approfittare della sua ammissione al Congresso, per riproporvi la questione della così detta libertà della Santa Sede. E di questo pericolo s’è voluta veder la riprova nella protesta che il Papa levò a proposito della partenza degli Ambasciatori Austro-Tedeschi, nel Concistoro del 6 dicembre 1915.
Certo quella protesta allora sorprese dolorosamente gli stessi cattolici. Se-nonchè, inquadrandola a mente calma nelle circostanze storiche in cui si produsse, risultò poi chiaro agli osservatori che il Papa, il quale non l'aveva sollevata allorché gli Ambasciatori partirono, v’era stato in certo senso costretto sei mesi dopo, dal discorso del ministro Orlando a Palermo; dove s’era vantato il perfetto funzionamento della legge delle Guarentigie, proprio nell’occasione in cui era stato necessario il concorde buon volere del governo c del Valicano per supplire a una. sia pure inevitabile e non rimediabile, deficienza della legge stessa.
Ma contro le apparenze di queste formule ufficiali — forse ancora per molto tempo storicamente necessarie alla Santa Sede, che le va tuttavia sempre più affievolendo — restano altre più esplicite dichiarazioni, e sopratutto altri fatti. Resta che questo Papa, pel primo, non ha più pronunciato parola dei famosi « diritti imprescrittibili » della S. Sede su Roma, con le solite rivendicazioni di carattere territoriale. Resta la solenne dichiarazione del cardinale segretario di Stato al Corriere d’Italia, che la S. Sede attende la conveniente sistemazione della sua situazione in Italia non dall’intervento^straniero (dunque, niente « internazionalizzazione » delle Guarentigie). Resta che il Papa non ha, potendolo, nè nell’occasione della partenza degli Ambasciatori nè in altre, creato imbarazzi di nessun genere all’Italia. Resta che egli ha largamente permesso l’entusiastica partecipazione del clero italiano, dei cattolici italiani e dei loro giornali alla guerra contro l’Austria: fatto storico nuovo, d'importanza enorme. E restano sopra tutto le assicurazioni formali contenute nell’articolo editoriale apparso sui giornali cattolici ufficiosi del 14 gennaio 1916; e nell’articolo del march. Filippo Crispolti, amico e consigliere del Papa, apparso su gli stessi giornali in data 17 gennaio 1916: i quali tutti respingono sdegnosamente il sospetto che il Papa voglia portare al Congresso la temuta questione, anzi affermano che la sua presenza costituisca la garanzia che tale questione non sarà posta.
Di fatto, se il Papa volesse rimetter sul tappeto il problema, non gli occorrerebbe la presenza di un suo delegato. Basterebbe incaricarne una potenza nemica o tiepida amica dell'Italia, cattolica o anche non cattolica. Chè la S. Sede, appunto perchè è questo il momento di sistemare molti interessi della Chiesa presso quasi tutte le Potenze, potrebbe non difficilmente ottenere, in cambio di concessioni sue, notevoli concessioni sulla pericolosa materia da queste Potenze, ancorché, mio Dio! nostre alleate. Senza dire del naturale interesse che gl'imperi Centrali, i quali hanno effettivamente sofferto della partenza dei loro ambasciatori, avranno di sollevare la questione. La sola garanzia dell’Italia contro spiacevoli sorprese, potrebbe
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essere costituita da una formale convenzione tra essa e il Vaticano, per la quale l'Italia si impegnasse a non ostacolare l’intervento del Papa al Congresso, e il Valicano si impegnasse a non porre e a non lasciar porre comunque la temuta questione. In tal caso, quand’anche il rappresentante d’uno Stato qualsiasi si levasse a proporla, chi potrebbe prenderla in esame se il rappresentante del Papa dichiarasse di non ritenerla opportuna in quella sede?
Ma v’è di più. La presenza di un delegato pontificio a fianco di un delegato italiano, potrebbe significare il riconoscimento dello Stato Italiano da parte della S. Sede; e viceversa. Ciò potrebbe offrire finalmente il modo — forse l’unico — di uscire dall’assurda situazione creatasi fra Stato e Chiesa in Italia dal 1870 in qua. Niente ha lacerato l’Italia e l'ha lasciata in balìa della disorganizzazione spirituale e politica, come l'interno dissidio religioso, che in momenti difficilissimi ha privato lo Stato dell'ausilio della Chiesa nel raggiungimento dei comuni fini sociali ed etici; niente ha nociuto alla Chiesa e alla fede cattolica come l’ostilità dello Stato'Italiano. E il colmo dell’assurdo è stato dato dall’applicazione idiota del puro principio liberale, per cui Stato e Chiesa, vivendo l’uno accanto all’altra, legiferando l'uno in materia dell’altra, intromettendosi l’uno negli affari dell’altra, hanno continuato e continuano a ignorare, reciprocamente, la rispettiva esistenza. Cosicché quello stesso Stato che quando legifera sugl'interessi dei ferrovieri o dei postelegrafici, suol prima trattare coi rappresentanti della loro classe, quando legifera in materia di chiesa, di clero, di interessi cattolici, ignora che in Roma esiste, non dirò un rappresentante, ma il Capo della Chiesa. Tutto questo potrà far gongolare l’anti clericalismo locale; ma deve far sorridere pietosamente l’uomo politico, che non può non auspicare l’uscita da una simile situazione.
Per tutte queste ragioni, con le quali mi pare d’aver risposto a tutti i quesiti, il Governo Italiano dovrebbe — dietro le necessarie, esplicite garanzie di cui Si è detto — non ostacolare ma favorire l’intervento del Papa al Congresso. Ivi la presenza della più alta Autorità spirituale che la storia conosca, oltre al chiudere tacitamente la più importante questione interna italiana, si risolverebbe in un supremo bene per la Chiesa, pei popoli, per lo spirito latino, per l’affermazione dei principi di Giustizia e di Diritto nel mondo.
Silvio D’Amico.
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I. L’esperienza storica non induce a previsioni ottimistiche. Ogni guerra solleva sempre una infinità di problemi, che niun Congresso ha mai osato risolvere nella loro intierezza.- Le necessità impellenti della pace obbligarono sempre gli Stati a restringere quanto più è possibile il campo delle loro deliberazioni, lasciando all’avvenire di risolvere il resto. E le stanchezze che seguono alle guerre non rappresentano uno stato psicologico adatto alle deliberazioni lungimiranti.
II. Le considerazioni del primo quesito conducono a risolvere il secondo. I belligeranti porranno ogni cura a escludere dal Congresso i neutri, come membri
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deliberanti. Può darsi che siano chiamati alcuni di essi come arbitri in questioni singole.
III. Rappresentanti religiosi sembra che dovranno essere chiamati a presentare l’espressione dei desiderii e de’ voti dei fedeli da cui saranno designati. Il carattere fondamentale degli Stati moderni non contrasta con la partecipazione di rappresentanti religiosi. Anzi, si nota in questi ultimi anni una tendenza sempre maggiore degli Stati a mischiarsi nelle questioni religiose... La separazione non fu che formalistica.
IV. Lo Czar e il Re d’Inghilterra sono certamente i capi della Chiese nazionali. Ma questo non ha nulla a che fare colla guerra presente. Essi non si occuperanno affatto di questioni teologiche riguardanti l’Ortodossia Russa o l’Anglicanismo, che non sono in causa. Se si dovranno trattare questioni attinenti alle religioni, questi riguarderanno certamente i Cattolici d’Irlanda o gli ebrei di Russia. Ora avviene appunto che sì gli uni che gli altri trovano nei rispettivi monarchi piuttosto i loro nemici che i loro rappresentanti. Per gli Ebrei — pur troppo — non si può parlare di un loro rappresentante ufficiale che abbia veste per esser chiamato al Congresso. Penso che saranno sentiti alcuni fiduciarii per averne lume sulle misure che si dovranno prendere per la sistemazione della loro situazione tragica in Lituania e in Polonia. Sembra che l’Inghilterra abbia dati affidamenti su questo punto limitato della questione ebrea.
Ma per i Cattolici d’Irlanda — e più per quelli di Polonia — l’intervento di un rappresentante del Pontefice mi pare indispensabile.
È troppo chiaro che i Cattolici — come tutte le minoranze — non si possono sentire legittimamente rappresentati dai capi degli Stati che dirigono le religioni avverse a essi. Così i Cattolici dell’impero turco non possono sentirsi del tutto tranquilli affidando i loro interessi al Sultano.
V. Pure escludendosi rappresentanti d’altre Chiese, è chiaro che il Pontefice Romano ha una situazione speciale per la quale può essere invitato con enorme peso sulle deliberazioni al Congresso. Ma sempre con voto consultivo esclusivamente. La quale limitazione non gl’impedirà di esercitare una grande azione direttiva.
VI. Su questo punto niun dubbio è possibile. Il Pontefice possiede tutti gli attributi della sovranità.
VII. La esclusione non costituirebbe un attentato alla libertà del Pontefice, ma certo suonerebbe una ingiusta e inopportuna negazione della sua grande autorità morale.
Vili. Lo Stato italiano non ha motivi politici per ritenere dannoso l’intervento del Pontefice, se ha uomini politici che abbiano la concezione delle grandi esigenze dei tempi, e il coraggio di affermare apertamente ciò che tutti i Governi in Italia attuano più o meno di nascosto: cioè sotto l’influenza indiretta delle autorità ecclesiastiche. Io che ritengo sempre preferibile la sincerità all’equivoco, penso che le relazioni dello Stato colla Chiesa andrebbero regolate giuridicamente. Disgraziatamente dopo il 1870 — dopo i Governi dei moderati — niun uomo politico ha più avuto il coraggio di affrontare i problemi posti innanzi da Visconti Venosta e da Ruggero Bonghi, e da essi portati davanti al Parlamento.
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A onta delle promesse solenni, contenute nella Legge delle Guarentigie, non si è mai addivenuti alla sistemazione della proprietà ecclesiastica.
Ne deriva che i Governi che si succedono riparano con abborracciamenti al disordine, e si accaparrano le condiscendenze della Chiesa sottoponendo a essa nel segreto i poteri pubblici.
Basti dire a conferma di ciò che esposi dianzi, che, all’infuori delle regioni d’Italia in cui fu pubblicato il Decreto Napoleonico, la figura giuridica del Parroco non è determinata nella nostra Legislazione. Nella mia Diocesi di Acqui, su cento Parrocchie, solo in quelle di Ovada e finitime, il Decreto Napoleonico è in vigore. Ne segue che le nostre Cassazioni — al servizio della Chiesa — hanno dato al Parroco facoltà enormi e illimitate. Egli può esigere somme e crediti senza controllo: e, se per sentenze successive è condannato a restituire, può opporre di avere esatto come privato, e non avendo prestato garanzie, di investimenti, può apparire insolvibile.
Inoltre — nella confusione e ignoranza fra Diritto Civile e Canonico — le nostre Corti applicano come legge le Encicliche Papali. In una lite intentata contro me da un Parroco, mi vidi applicata, a deroga del Diritto Comune, una Enciclica del Papa Benedetto XIV del 1700!
Questo riferisco a documento, fra mille, che la separazione della Chiesa dallo Stato non è che un’affermazione vuota di senso. La Chiesa investe lo Stato in ogni parte delle sue attività. E in questa stessa guerra, la Chiesa rese allo Stato servizi immensi, mettendo a disposizione di esso la organizzazione millenaria dei suoi Ospedali dei suoi edilìzi, e dei suoi Ordini monastici Ospedalieri: senza dei quali la cura dei soldati feriti sarebbe stata impossibile a attuarsi.
IX. Una partecipazione del Pontefice con voto consultivo al Congresso non può avere nulla di comune col problema circoscritto del dominio temporale. Ma se uscissero dal Congresso norme sistematici della situazione del Papato nei riguardi delle Potenze d’Europa, non ci vedrei alcun danno per l’Italia. Tutt’altro. Sarebbe da desiderarsi da ogni Italiano che la situazione del Pontefice fosse ben chiarita. E l'Italia non ha nessun motivo per considerarsi in riguardo al Pontefice in una situazione diversa da quella di ogni altra Nazione cattolica.
Si intende che queste mie considerazioni si riferiscono allo stato di cose quale attualmente regola le relazioni internazionali in Europa, e all’infuori di ogni mia aspirazione personale per riguardo a profonde possibili mutazioni radicali delle situazioni.
/Iw. Raffaele Ottolenghi.
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Per poter rispondere meno male al questionario, bisogna prima di tutto prevedere chi dei belligeranti sarà il vincitore.
Ammesso — come è nostra fede doverosa — che la vittoria arrida all’Intesa, le risposte si possono riassumere così:
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I e II. Nelle condizioni della pace Europea, tutti hanno un interesse diretto 0 indiretto, e siccome l’Intesa ha combattuto pel diritto di libertà e di civiltà, in coerenza a questo principio deve ammettere al congresso tutti gli Stati ed anche i delegati delle chiese universali e nazionali, e affrontare e risolvere tutte le questioni suscitate dalla guerra e preesistenti ad essa.
I delegati delle Chiese non devono essere i rappresentanti di una fede religiosa, ma i fattori di quel sentimento di umanità che illumina col cuore la mente della ragione disposta a concludere la pace basata sul reciproco amore, affermando in tal modo la più bella utopia tradotta in concreta realtà.
III . La Religione nel significato sociale, ha un carattere eminentemente morale e politico, e perciò non contrasta col carattere fondamentale degli Stati che non abbacinano la coscienza.
IV e V. Il Pontefice Romano non ha interesse nè titoli superiori alle altre Chiese, quando tutte le Religioni si considerino teosoficamente come espressioni della Sapienza divina.
VI-VII-VIII-IX. Il rispondere a queste domande rimpicciolisce l'inchiesta.
Se l’uomo non è all’altezza di accogliere queste risposte, si rassegni a vivere ancora la vita della forza brutale.
Emilio V. Banterle, teosofo.
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UN “CANONISTA” AL GOVERNO
FRANCESCO RUFFINI
Francesco Ruffini d il primo « canonista » che sale al Governo d’Italia dopo il .1870. Stefano Castagnola, ministro di grazia e giustizia e dei culti nel-Ministero I.anza. che collaborò con il Lanza, il Visconti-Venosta e il Bonghi a quella legge delle guarentigie che doveva regolare per sì lungo tempo i rapporti fra lo Stato e la Chiesa in Italia, resistendo, al di là delle previsioni dei suoi autori, mediante una » più larga interpretazione » — come disse il ministro on. Orlando — anche durante la Ìuerra europea, non fu un puro canonista, ricaricato dell’insegnamento del diritto ecclesiastico all’ Università di Genova, il Castagnola era però docente di storia del diritto, ed il suo volume, pubblicato nel 1880, sulle relazioni giuridiche fra lo Stato e la Chiesa non ha una importanza rilevante.
Il Ruffini, invece, è nel campo del diritto ecclesiastico, che professa da oltre venticinque anni, un maestro. Egli ha dato all’Italia in questa disciplina contributi originali, che formano una base solida ed un corpo di dottrina, al quale la legislazione e la giurisprudenza hanno attinto con profitto più volte.
Il fatto che un cultore del diritto ecclesiastico sia stato chiamato ad assumere la responsabilità di un importante e delicato dicastero nel Ministero nazionale, ha suscitato dubbi e apprezzamenti varii, non ultima l’accusa che si trattasse di un tem
poralista o di un clericale. Non è mancato chi ha affermato come la nomina del Ruffini a ministro abbia prodotto in Vaticano migliore impressione di quella dell’onorevole Meda ! E’ deplorevole che l’opera quasi trentennale di uno scrittore che ha contribuito a formare una corrente di studi e che ha avuto incarichi altissimi nel mondo accademico, sia sconosciuta in ambienti che si presumono colti ; ed è ormai un giudizio volgare che dev’essere superato quello di attribuire un carattere confessionale o clericale a chi dedica i suoi studi all’esame dei rapporti fra Chiesa e Stato, esame che la concezione e lo sviluppo degli Stati moderni rende sempre piu necessario e che gli avvenimenti internazionali presentano spesso come urgente.
Una rassegna rapidissima dell’opera di Francesco Ruffini appare utile a meglio delincare—dopo quel che si è detto, spesso con inesattezze non lievi nella stampa politica — la figura intellettuale e le idee del neo-ministro della pubblica istruzione.
E prima di tutto occorre sfatare un’accusa rivolta all’on. Ruffini : quella di essere favorevole all'intervento del Pontefice alla Conferenza europea che detterà le condizioni della pace. Se l’opera sua non fosse sufficiente, come lo è, a far intendere chiaramente il suo pensiero, basta questo fatto che a noi risulta in modo indubbio: che egli ha approvato e condiviso le conclu-
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sioni alle quali giunse l’on. Tomaso Mosca nel suo noto articolo sulla Nuova Antologia, in cui era riassunto il pensiero liberale sulla dibattuta questione, e la necessità dell'esclusione del Pontefice dalla Conferenza era affermata nettamente. Il Ministero nazionale ò, dunque —come sappiamo fosse il precedente — nonostante la presenza in esso dell’on. Meda, cattolico, benché indipendente dalle organizzazioni ufficiali, contrario a consentire una qualsiasi restituzione di potere e d’influenza politica al Pontificato romano: e l’on. Ruffini non potrà che portare nuove dimostrazioni storiche e giuridiche a sostegno dell’atteggiamento del Governo, ove pure vi è un giurista insigne come l’on. Orlando e non mancano altre alte competenze giuridiche e politiche.
Copiosissima è l’opera di Francesco Ruffini; essa ebbe inizio con la pubblicazione della sua tesi di laurea, elaborata e ampliata, apparsa nel 1889, sull'ztilio spolii, studio storico-giuridico, grosso volume di circa 500 pagine che gli procurò la libera docenza in diritto ecclesiastico all’ Università di Torino, ove si era laureato qualche anno prima. Approfondi quindi i suoi studi con una storia della teoria canonistica : La buona fede in materia di prescrizione, pubblicata nel 1892, ove erano esposti i rapporti fra il diritto canonico e il diritto civile con un esame dell’influenza del primo sul secondo. Affrontò più tardi la spinosa questione delle tasse speciali in rapporto a quelle ecclesiastiche, risolvendola nel senso liberale, e le sue conclusioni furono poi accolte dalla giurisprudenza. Il suo lavoro del 1894: Sulla natura giuridica delle cosidette tasse di rivendicazione c di svincolo dei benefizi i e delle cappellani soppressi, è definitivo in materia. 11 Ruffini vi sosteneva che quelle tasse ecclesiastiche sono vere e proprie tasse, c quindi vanno regolate come le altre: e così fu fatto. Un importante studio storico è quello sulla Storia del diritto matrimoniale, 1894, contributo notevolissimo alla storia del matrimonio in Europa c in Italia durante il Medio Evo.
Un’altra grave questione esaminata in una apposita pubblicazione dal Ruffini è quella < ella rappresentanza giuridica delle parrocciie: in un libro del 1896 egli tratta della facoltà che ha il parroco di rappresentare giuridicamente non solo il beneficio parrocchiale e la chiesa, ma anche gli
interessi dei parrocchiani, se privi di rappresentanza speciale, come in queste condizioni il sindaco ha facoltà di rappresentare gl’interessi dei cittadini. Eguale questione esaminò per i vescovi. Studiando la classificazione delle persone giuridiche in Sinibaldo dei Fieschi. 1898. il Ruffini ha preso in esame lo svolgimento e il concetto di persona morale nelle sue varie figure, facendo un raffronto fra il Medio Evo e le classificazioni moderne.
Ma l’opera centrale del Ruffini, oltre alla notissima traduzione del Trattato del diritto ecclesiastico del Friedberg, alla quale egli aggiunse abbondanti note di riferimento al diritto italiano, è La libertà religiosa : storia dell’idea, apparsa nel 1901, tradotta poi in inglese con aggiunte. Si tratta di un lavoro fondamentale, originale, sulle fonti. Di tutti i paesi di Europa e d’America. il Ruffini ha studiato la genesi dell’idea della libertà religiosa, in tutte le epoche, con una documentazione esauriente. Egli dimostra come la teoria della libertà di coscienza ebbe il suo massimo sviluppo in Italia, particolarmente per mezzo del filosofo Socino, che dalla scuola di lui si trasportò all’estero ed in Isvizzera ove ebbe maggiore diffusione c profondità, così che la tradizione se ne conservò fino all’epoca della giovinezza di Cavour, il quale ebbe relazioni con gli ultimi sociniani di Ginevra.
Alle leggi contro le congregazioni religiose in Francia il Ruffini dedicò, nel 1902, una pubblicazione per stabilire se ed in quanto la lotta della Francia eccedeva i limiti del rispetto alla libertà di coscienza. Dedicò anche un lavoro alla difesa della legge 14 luglio 1S77 abolitrice delle decime sacramentali in tutto il Regno, sostenendo che dovessero ritenersi abolite anche quelle costituite in dote dei benefizi : questa tesi venne accettata dalla giurisprudenza. A proposito delle spese di culto delle opere pie, dimostrò come la Chiesa abbia fatto trasformazione di opere di culto in opere di beneficenza e che quindi la trasformazione disposta con la legge del 1890 non è contraria alla tradizione canonica.
L’ultima sua opera, d’indole teoretica, fondamentale per la conoscenza del pensiero del Ruffini, é La libertà religiosa e separazione fra Stalo e Chiesa, apparsa nel 1913. In essa egli sintetizza l’idea della libertà di coscienza in rapporto al concetto del separatismo, fissando quelli che a lui sembrano i limiti della separazione. Il Ruffini afferma la possibilità, in regime sepa-
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NOTE E COMMENTI
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ratistico, di un trattamento particolare ad un singolo culto. Lo Scaduto, discutendo il pensiero del Ruffini, nega questa possibilità da un punto di vista razionale, riconoscendo la sua possibilità in linea politica.
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Questi cenni sono sufficienti a dare una idea della mole dell’opera di Francesco Ruffini. Sul carattere di essa molto si è discusso: il Ruffini è un liberale, continuatore e rinnovatore della tradizione della Destra storica; la dottrina liberale della supremazia dello Stato di fronte alla Chiesa lo ha fra i più dotti e sicuri sostenitori; la libertà religiosa e di coscienza è il cardine della sua dottrina. Egli tuttavia si differenzia da un altro maestro del diritto ecclesiastico, Francesco Scaduto, se non nel diritto positivo, in quello razionale, nel metodo seguito nell’intento comune alle due scuole di liberare il diritto dalle leggi interne della Chiesa che il diritto pubblico considera ormai sorpassate c morte, e nel fissare i limiti fra la storia e il diritto. E’ il metodo scientifico che divide talora i due maestri e che li conduce a conclusioni diverse; certo il Ruffini è il rappresentante della corrente liberale-conservatrice, pur non rifuggendo da applicazioni innovatrici e audaci, quali quelle dell’abolizione delle decime sacramentali e delle tasse ecclesiastiche, mentre lo Scaduto è il capo-scuola della corrente liberale-democratica; ma un’antitesi assoluta fra di essi non esiste. 1 problemi di politica ecclesiastica attinenti alla guerra trova i due maestri concordi nella loro soluzione.
Storico acuto, scrittore elegante, il Ruffini ha rivolto in questi ultimi anni la sua attività di studioso nella rievocazione, su documenti inediti, della vita e del pensiero del conte di Cavour. Ciò gli ha procurato una fama più larga nel pubblico che ignorava il « canonista », Potendo consultare l’archivio della casa Visconti-Venosta, ove sono conservati documenti importantissimi del grande politico, il Ruffini ha potuto ricostruire alcuni aspetti ignoti del Cavour, ha potuto rivelare il suo pensiero intorno a questioni speciali, quale quella di Oriente.
I suoi volumi sulla Giovinezza del conte di Cavour, 1910; Il conte di Cavour. VAccademia di Torino e la Scienza, 1910; Un errore famigliare e un errore politico del conte di Cavour nel ¡840 per la questione ¿'Oriente. 1910; Camillo di Cavour e Melarne Wandor, 1914; formano dei saggi storici di alto valore nazionale, ai quali la penetrazione dello storico e la virtù dello scrittore aggiungono una vera suggestione all’argomento attraentissimo.
E’ la conoscenza profonda del pensiero di Cavour, non ancora compiutamente rivelata a noi in qualche libro di pura dottrina politica, che fece di Francesco Ruffini uno dei più convinti fautori dell’intervento dell’Italia nella guerra fin dallo inizio del conflitto europeo. Nel Ministero nazionale egli dunque si trova al suo posto; e anche il dicastero dell’istruzione si gioverà della sua attività inesauribile.
Francesco Ruffini, infatti, conosce profondamente i problemi della scuola. Nominato libero docente a 'forino, due anni dopo essersi laureato, egli passò straordinario a Pavia : in quel concorso un vecchio professore di diritto gli fece colpa di essere affetto di >1 lue teutonica perchè era fra i pochi che conoscevano anche il diritto straniero ed in particolare tedesco; tornato a Torino ad insegnare storia del diritto succedendo al Nani, del quale pubblicò il Manuale, dopo la morte del Castellani ricoprì la cattedra di diritto ecclesiastico, tenuta fino ad oggi. E’ stato preside della Facoltà di giurisprudenza e rettore dcl-l’Università di Torino, alla quale ha dedicato anche uno studio storico. Membro del Consiglio supcriore dell’ istruzione pubblica, ha fatto parte della Giunta per le scuole medie. Fu già all’istruzione « coadiutore » — titolo creato per lui — del ministro Boschi. che oggi lo ha chiamato a dirigere 3uel dicastero. E’ membro di varie accaernie e da due anni senatore. La sua esperienza di maestro, il suo fervore sempre rinnovantesi, l'alta coscienza, il puro disinteresse, il profondo patriottismo, dànno sicuro affidamento che Francesco Ruffini offrirà all’Italia un contributo di pensiero e di opere dal quale la vita e la scuola nazionale trarranno sicuro giovamento.
Roma, giugno 1916.
Guglielmo Quadrotta.
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RASSEGNA DI FILOSOFIA RELIGIOSA
V.
RIFORMATORI RELIGIOSI TOSCANI DEL SECOLO XIX
Nella Critica, dal i° gennaio 1916, Giovanni Gentile, continuando a collaborarc agli « appunti per la storia della cultura in Italia nella seconda metà del secolo xix » inizia una serie di articoli sulla cultura toscana: e, discorrendo del Capponi, e delle idee religiose le quali ebbero tanta parte nel suo spirito o nella sua opera, si incontra subito con l'abate Lambru-schini, genovese, agricoltore ed educatore, stabilitosi in Toscana, il cui pensiero sul Capponi e sui Ricasoli e su altri toscani ebbe una profonda influenza. - È peccato, scrive il G-, che dopo la morte dell’abate Lambruschini abbia egli (Capponi) voluto dare alle fiamme una corrispondenza avuta con questo suo amico... intorno a un argomento, su cui molto si travagliarono entrambi: de' modi cioè di una riforma desiderabile del cattolicismo, senza eresie nè scismi, come recentemente hanno inteso di fare i modernisti. I quali al C. e al L. avrebbero dovuto guardare come a precursori, se di quella corrispondenza non fossero sopravanzati altro che scarsissimi frammenti. (Pubblicati, e non lutti, dal Tabarrini: G. Capponi, Firenze, Barbera, 1879).
• Ma già pubblicamente nel '53... il C. espresse molto nettamente uno dei concetti fondamentali della dottrina moder
nista dello sviluppo dei donimi cattolici; perchè, riassumendo i punti principali della sua propria dottrina, da lui ritenuta strettamente cattolica, egli allora disse: » A rimuovere l’obietto che le definizioni della Chiesa sieno un inceppamento dell'intelletto vago di esaminare, io dopo aver dimostrato che nelle verità soprannaturali non può l'intelletto umano trovare un concetto chiaro e determinato, e che perciò è assurdo il cercarvelo; sostenevo che le definizioni dommatiche, condannando l'eresia, allontanano il circoscritto pensiero dell'uomo che vuol.sostituirsi all’idea infinita di Dio; e con una formola maravigliosamente adatta a congiungere la scienza umana con la inaccessibile verità soprannaturale, custodiscono l’integrità e l'ampiezza del domina incomprensibile; e mantengono così alla fede la sola libertà che le può competere; cioè la libertà di spaziare in un obbietto arcano ed infinito, non già scrutando, ma contemplando, amando, adorando ». Le definizioni sono, pertanto, meramente negative: escludono l'errore, ma non ci dicono qual sia la verità; perchè non si tratta di verità da conoscere, ma di spirito a cui unirsi con l'amore.
• Di ciò avean discusso nel '34 col Capponi. Al quale aveva anche più chiaramente scritto: « In certi miei appunti ho notato quel che panni essere stato e dover essere l’ufficio della Chiesa, nel custodire i dommi; e come le definizioni non sieno una spiegazione del mistero, ma una ne-
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gazione delle spiegazioni eretiche. Di guisa che (ecco la gran conseguenza pratica) basti per l’unità cattòlica accettare i dommi nella loro indeterminata oscurità, come esercizio di fede, non come oggetto di cognizione, e rigettare le eresie ». Il L. anzi era d’avviso che la salute del cristianesimo verrebbe dallo sfrondare la sem-Slice dottrina del Vangelo da tutte le efinizioni dei teologi; di modo che il C. non sapeva consentire con l’amico fino a quell’idea estrema e radicale » (Critica, 20 gennaio, pag. 53-55)E pure questa idea radicale, cui non par neanche giunto il Le Roy che nei suoi celebri studi sulla natura del domma riprende la tesi del L., è eminentemente logica; poiché se i dommi sono definizioni negative, antitetiche a date eresie, tutto il loro edificio è labile e cessa di avere interesse via via che queste si estinguono; è, nel suo insieme, la traccia di uno sviluppo storico, e- diviene un ingombro sempre più grave.
L’articolo secondo del G.- (Critica, 20 marzo) è specialmente dedicato alle idee religiose del L.; e nel terzo e quarto (Critica, 20 màggio, 20 luglio) si parla del Ricasoli, altro amico intimo del L., c col quale le idee religiose del gruppo entrano anche in un campo di formulazioni e realizzazioni politiche.
Il lettore vede l'importanza di questo studio del G.; non tanto, forse, per quel che riguarda il modernismo, che ha poi percorso, in pochi anni, così lungo cammino, e che pure — chi voglia bene comprenderlo — deve essere riavvicinato a questi suoi precedenti storici, che gli assegnano le sue origini e il suo posto nella storia della cultura, quanto per l’intendimento della storia civile e religiosa dell’Italia nel secolo scorso. Gli studi del Gentile documentano, per la Toscana, resistenza di una vigorosa corrente di pensiero e di riflessione esercitantesi sulla vita e coscienza cattolica del tempo, come intima esigenza di una profonda rinnovazione; e l’esame si potrebbe estendere, con quasi pari profitto, ad altre regioni d’Italia. Come è che di tutti quei moti non è rimasto poi nulla? La Chiesa di Roma li ha combattuti e soffocati, simbolo quel carteggio Capponi-Lambruschini dato alle fiamme. Ma si poteva sperare che, secondo le idee e i propositi di B. Ricasoli, lo Stato incoraggiasse i liberi studii e le tendenze riformatrici. E non ne è
stato nulla. La legge delle guarentigie fu, anzi, come l'epigrafe funebre degli studii religiosi liberi in Italia; perchè Stato e Chiesa si divisero la società in una specie di zone di influenza, e la zona dello spirito religioso passò alla Chièsa e da essa lo Stato ritirò tutti i suoi emissari ed agenti, e si vietò risolutamente non solo di incoraggiare tendenze modernistiche, ma di mostrare un qualsiasi suo criterio proprio in materia ecclesiastica, anche dal punto di vista della cultura generale e della moralità pubblica.
Di quella legge il Ricasoli scrisse, con mirabile intuito, che, con essa la libertà religiosa nasceva « morta » in Italia.
LA TEOLOGIA DI SPINOZA
Di y. Delbos, l’acuto studioso di Spinoza, che ci aveva già dato un interessante volume, esaurito, su « II problema morale nella filosofia di S. », è stato pubblicato un corso sullo stesso filosofo, tenuto alla Sorbona nell’anno scolastico 1912-13 (Le spinozisme, Paris, Società d’imprimerie et de librairie, 1915) (1). Nel VI capitolo egli studia la teologia di S.
E noto quale fosse l’idea fondamentale della filosofia di S.; la riduzione di tutte le sostanze finite ad un’unica sostanza, della quale le altre non sono che modi; modi finiti nel loro essere contingente e concreto, manifestazione dei modi infiniti che la sostanza realizza, e dei quali due eterni, paralleli, intimamente associati e pure radicalmente distinti nella nostra esperienza, sono la mente ed il corpo, la materia c lo spirito. Non dunque opposizione di carne ed anima: « la vita eterna si esprime direttamente, riassume il 'Delbos, nella vita presente e ne riassume tutto Snello che vi si produce di realtà positiva, i potenza certa, di gioia durevole » (p. 148). L’uomo è quindi un modo passeggero di Dio: ma, partecipazione ed attuazione della sostanza infinita di lui, nella quale ogni suo momento ed aspetto trova la propria ineluttabile ragione di essere, quando lo si consideri nell’insieme, sub specie aeternitalis, egli può con la propria mente assorgere alla contemplazione della mente divina, quietarsi in
(x) Mentre rivediamo le bozze ci giunge la notizia della morte del chiaro professore di filosofia alla Sorbona. Avremo occasione di riparlare di lui in una prossima rassegna.
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questa ragione sufficiente di tutte le cose, accettandola e volendola con amore intellettuale.
Si può dare al Dio di S. il carattere di un Dio personale? Questo è il problema più importante, dal punto di vista religioso. V. Brochare! ha voluto mostrare che si: V. Delbos, contro di lui, sostiene e dimostra che no. Il mondo è in Dio e non viceversa; c’è in Dio una idea della sua essenza così come di ciò che la segue necessariamente: e ogni cosa è un pensiero di Dio, attuato, come è un momento, definito, della estensione divina. Ma questi e gli altri attributi di Dio sono infinitamente equivalenti: la personalità, che dovrebbe essere in lui autocoscienza di puro pensiero, è quindi estranea all'« uno » di questi modi infiniti e finiti; « se egli è, sotto un certo aspetto, il pensiero in sé, non è primitivamente il pensiero a sè ■ (pag. 75).
Tuttavia, dice il D., qualche cosa della lesi del Brochard è da ritenere. I modi infiniti ed immanenti sembrano essere, nel pensiero di S., al di fuori dei modi finiti e prima di essi. C'è in Dio una idea di sè, non avanti ogni modificazione, ma innanzi che egli produca modi od esseri finiti. Poiché Dio è dunque concepito come pensante ed amante, all'infuori dei suoi modi finiti e, se si può dirlo, senza aver bisogno di essi, il vincolo fra lui e il mondo, fra la natura nalurans e la natura naturala, si rallenta, l’equazione iniziale: Deus sive natura, pèrde della sua rigidità. Il mondo non si deduce con una stretta logica interna da Dio. La produzione di esso, benché necessaria, è subordinata, in fondo, alla incomprensibile ragione la quale fa che la sostanza, in luogo di racchiudere in sè tutta la sua potenza produttrice, la manifesti e sviluppi mediante i modi finiti. « Pure rigettando l’idea di un creazionismo assoluto. S. è tuttavia costretto a conservare, a sua insaputa, qualche cosa della incomprensibilità e soggettività che questa idea suppone » (p. 175).
C’è quindi un legame mistico c ultroneo, libero, di amore intellettuale fra Dio e l’uomo, suo modo, del quale non si mostra la necessità c l'eccellenza morale se non introducendo nelle premesse qualche cosa di più di quello che il sistema comporti. Così, se la salvazione dell’uomo mediante l’amore non è una necessità, una deduzione geometrica, essa diviene un fine ulteriore, voluto da un Dio salvatore: e il regno dei fini rientra nello spinozismo.
Diremo adunque col D. (p. 177) che c’è nello spinozismo un finalismo latente; una virtualità di sviluppo c dei postulati impliciti che gli vietano di fissarsi definitivamente nella forma che S. gli ha dato.
UN PEDAGOGISTA LAICO
La Rivista pedagogica dedica il numero luglio-agosto del 1915 alla commemorazione, con scritti di Luigi Credaro, Raffaele Resta ed altri, di un pedagogista insigne. Nicola Fornelli; del quale è opportuno far qui un cenno perchè più consapevolmente che ogni altro della sua generazione in Italia giunse al concetto di educazione come di formazione religiosa e studiò e valutò i rapporti dei fondamentali criteri pedagogici con lo sviluppo della coscienza religiosa con temporanea; così da giungere ad una specie di modernismo che lo indusse a mostrare anche in altri modi le sue simpatie per questo vivace movimento religioso.
Il Fornelli era nato in Puglia il 23 maggio 1843. Uscito dalla scuola normale di Bari fu maestro elementare per più anni; nel 1871, per una disposizione abolita poi nel 1906, ottenne l’abilitazione all’insegnamento di italiano c di storia e geografia nelle scuole tecniche; nel 1875 quello airi ns. di storia e geografia nei licei. Dopo aver insegnato in vari licei e conseguito Ser titoli la libera docenza di storia del Í. E. a Padova, nel 1886 vinse per concorso la cattedra di pedagogia all’Univer-sità di Bologna e poco dopo fu chiamato, alla morte dell’Angiulli, ad occupare questa stessa cattedra a Napoli; e la tenne, studioso infaticabile e maestro véro, sino al 27 maggio 1915. data della sua morte.
I primi suoi lavori furono di storia, specialmente religiosa, del M. E.; poi si volse alla pedagogia e, negli ultimi anni, agli aspetti religiosi dell’educazione e ai rapporti dell’ambiente religioso contemporáneo con l'istituto della scuola. Il suo ultimo scritto sono Note di psicologia religiosa, pubblicate negli Alti della R. Ac-demia di scienze morali e politiche di Napoli. Egli vi conclude che • l’individualismo religioso che va sorgendo, mentre è un effetto dell’abuso dell’impero sulle anime, è poi alla sua volta una condizione indispensabile per laicizzare la società civile ». Questa laicità fu in cima ai suoi pensieri, nell’ultimo periodo; essa era, per lui, non lotta contro la religione ma.
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anzi, tendènza a ricondurre questa nella sua sede vera, che è quella della interiorità e della libertà; pensiero il quale gli apparve perspicuo negli scritti di taluno dei modernisti, ed al quale egli dava nuove e vivaci espressioni; come può vedersi nel breve saggio dedicato a N. F. modernista da uno dei suoi allievi, G. Pinnarò (Bemporad, Firenze).
La filosofìa del F. è un contemperamento, non sempre dialetticamente solido, ma fecondo, di un iniziale punto di partenza giobertiano e rosminiano con la teoria e ipotesi dell’evoluzione; e lo indusse a fare la debita parte ai due momenti indivisibili della vita dello spirito e della educazione: l’originarietà e l’ambiente storico. Per lui, scrive il Resta, lo spirito umano è un procedere per gestazione intima, solidale, spontanea, originale, di tutti gli elementi di vita. L’originalità dell'individuo inerisce a tutto il processo; ma domina poi questo un principio di relatività storica, variabile, individuale'».
Fermine logico di questo processo è l’autonomia dello spirito e deirindividuo; la quale, in quanto è presa di possesso e celebrazione consapevole delle ragioni supreme della vita, si conclude e culmina nella religione; religione che la scuola assume come elemento storico, dato, di autorità; ma che converte via via in interiorità e libertà, annullandola nella critica, per giungere a crearla di nuovo come si-fillo di vera autonomia. Quindi, per il ., le forme religiose in cui la dottrina si consolida nell’autorità fatta fine a se stessa e nella eteronomia gelosamente difesa sono antieducative; e ambiente necessario della scuola, dal punto di vista religioso, è la laicità, non come esclusione dommatica, ma come posizione di esigenza spirituale, e la libertà.
Così il pensiero pedagogico del F. attende il suo ulteriore svolgimento, i continuatori.
IL POSITIVISMO DI R. ARDIGÒ
Segnaliamo, per chi voglia avere quasi in sintesi il positivismo di Roberto Ardigò, un diffuso studio (50 pag.) che questi pubblica, compiendo l’anno suo ottantotte-simo, nella Rivista, di filosofia, numero Sjennaio-febbraio 1916. Lo scritto è po-emico; l’Ardigò, riassumendo le sue dottrine fondamentali, con grande chiarezza e con vigore davvero ammirabile, le di
fende dalle obiezioni di quella che egli chiama « filosofia vagabonda » — e questa dà il titolo all’articolo — vagabonda perchè, invece di posare sul solido terreno dei fatti e dell’esperienza, vaga per le vie aeree della metafìsica o della imaginazione filosofica.
t Noi non negheremo alla filosofia dell’Ardigò un solido costrutto di osservazione sperimentale. Poiché l’uomo è quello che è, pensiero e volontà che si manifestano in un organismo fisico vivo, lo studio bio-genetico e psico-genetico dei fatti dello spirito ha tanta parte nella scienza quanto lo studio di qualsiasi altro grado e manifestazione della natura. E in quanto la Erecedente filosofia introdusse talora su-reptiziamente delle entità astratte e dei processi indefinibili per spiegare l'origine del pensiero dalla sensazione, il positivismo ha molto spesso l'aspetto di una revisione critica; e la polemica dell’Ardigò coglie nel segno.
Ma c’è una concezione filosofica che in questo, come negli altri scritti dell’Ardigò, rimane radicalmente fuori del punto di vista dell’A., e con la quale quindi egli non polemizza, perchè manca qualche cosa di comunemente accettato e certo, da cui partire. I filosofi i quali muovono dalla originaria priorità dello spirito non negano la coerenza delle osservazioni dall’A. raccolte in sistema e la rispondenza di esse all’indagine sperimentale ed alle introspezione;' essi pongono allato alla genesi empirica una genesi ideale, che inverte le, successioni e 1 valori, ma in un’altra sfera; mostrano una attività del pensiero che, comunque apparisca, reca con sè il suo essere e le sue leggi, e su queste tesse la trama dell’indagine scientifica; la quale ha quindi, per così dire, una duplice corrispondenza: con i sensibili, dei quali è quel sapere, e con il pensiero stesso che colora quei sensibili della sua propria necessità interiore ed universalità.
Prendiamo un esempio. A pag. 44 l’A. scrive: « A caso è il succedere rispetto alla nostra comprensione, che non può abbracciare l’infinità dell’essere e quindi tutti i coefficienti reali delle causazioni delle cose, ma non effettivamente, essendo tutto preordinato nella disposizione intima assolutamente imperante di ciò che esiste, essendo sempre esistito ». Ecco, un brevissimo tratto, il quale riassume bensì una lunga ed accurata osservazione sperimentale dell’A.; ma in esso noi troviamo al(4|
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meno quattro nozioni che non possono essergli venute dalla esperienza, e che egli invece ha portato nell’esperienza, sicché poi questa ha assunto nel suo pensiero le forme che ha assunto; concetti che non sono isteresi, o residui, di alcuna sensazione, perché nessuna sensazione li contiene e nessuna somma o associazione di sensazioni li dà. Osservi il lettore: infinità, essere, assolutamente, sempre. Ciascuna di queste parole è un contributo, un apporto, originario ed irreducibile del pensiero, un mondo più vasto di ogni complesso di sensibili, più intimo di ogni residuo di sensazioni, più remoto, e pur più vicino, di ogni conclusione induttiva. Poiché il mondo dei sensi, ci dà esseri, cose, frammenti, qualità, impressioni, non l’essere, l’unità attuale, la sintesi del reale e del possibile, deH'esistente e del razionalmente valido; nè alcuna somma di sensibili può essere infinità, ma anzi ripugna, come somma, all’infinità, è definita o definibile molteplicità: nè la nozione di assoluto, di una « disposizione intima assolutamente operante » può anche essa venire da alcuna serie, per quanto vasta, di osservazioni empiriche, sempre relative a un Siccolo mondo e a un fragile soggetto, i esperienza: nè, infine, per guanto volgiate e rivolgiate le successioni delle cose, potrete di esse affermare, voi effimeri fra effimere parvenze, V eternità, 1'« essendo sempre esistito », se non come esigenza interiore ed a priori del vostro spirito, della vostra pensante attività.
Tutto il sistema deH’Ardigò non si sottrae quindi, per quanto ricalcitri, ad una ulteriore analisi ed indagine filosofica. Suesto è il vostro mondo, sta bene. Ma
quali elementi lo avete costruito? Che cosà ci avete portato di vostro? Questo pensiero che apparisce in esso a un certo momento dell'ingranaggio, non c’era già Prima, ab inizio, non è esso, per avventura, intima sostanza di tutto? Quando parlate di natura che predispone l’intelligenza non state forse facendo appunto il rovescio, e disponendo, con la vostra intelligenza, la natura?
E potremmo continuare, ma basta per il nostro scopo il quale era soltanto di esporre in breve lo stato della questione fra positivismo e criticismo; i due poli, e forse i due momenti essenziali della filosofìa, verso l’uno dei quali non si va se non per far risorgere più forte l’esigenza dell'altro.
POSITIVISMO PITAGORICO
Il prof. Enrico Caporali, che ci aveva fià dato un volume su « la natura secondo 'itagora », ce ne presenta ora un altro col titolo: L’uomo secondo Pitagora (Casa ed. Atanor, Todi, 1915). Chi sente un filosofo che vuol far capo a Pitagora pensa subito a sottili, e certo interessanti, disquisizioni di logica matematica sui numeri in generale, sulla validità dei concetti matematici, sui processi ricorrenti di pensiero, su l’infinitesimo e l’infinito. Il Caporali non si occupa di logica matematica, nè, comunque, di logica. Nelle sue variazioni bio-fisio-psicologiche egli ripete spesso la parola « numero », con varii aggettivi i quali le dànno, a un di presso, il significato di uno-nei-molti, di ordine o armonia, di sintesi. Ma il suo ordine è, in fondo, esterno al pensiero; è evoluzione, aggiunta, serie, associazione, processo naturale. Il C. è sostanzialmente nell’orbita del positivismo empirico.
La nozione di numero, per sè, non aggiunge nulla alle cose; sono i sottilissimi Ì>rocessi dialettici intorno ai numeri, nella oro vuota astrattezza, che sollevano interessanti problemi di logica ed hanno offerto a taluni la via per una indagine tentatrice e rischiosa sulla validità di un sistema filosofico fondato sulla unità dei molti e sull’infinito in atto. Ma a voler considerare questa astrazione filosofica, questo trascendentale che sono i numeri come principio reale dell’essere — e questo dovrebbe fare chi volesse rinnovare la filosofia dei pitagorici, per quel poco che ce ne è noto verrebbe ad incontrarsi in una filosofia che il C. vuole escludere, ed urterebbe subito nel fondamentale problema metafisico: l’idea come atto del reale. La filosofia è quello che è e non ha che un metodo: il pensiero del pensiero, l’autocoscienza.
RELIGIONE ARIA E RELIGIONE SEMITICA
Il volume di Raffaele Ottolenghi: Farisei antichi e moderni (Firenze, Libreria editrice la Voce, 1916) va piuttosto collocato nella categoria della storia che della filosofìa religiosa; e merita che, sotto quell'aspetto, altri se ne occupi più diffusamente in queste pagine. Noi noteremo l’opposizione che 1'0. istituisce fra due tipi di religiosità: la semitica e l’aria; e il suo concetto
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del cristianesimo storico — non di quello del Cristo — come di uno svisamento del pensiero giudaico in ambiente ellenico e romano; ario, insomma.
La differenza sostanziale è in questo: che il semitismo, col suo concetto severamente monoteistico, colloca la divinità immensamente al disopra di ogni cosa umana, ammette senza discutere che le vie di essa si giustificano, da sè, nel consiglio eterno di Dio, e debbono essere accettate e adorate docilmente; e la vera religione è collocarsi, contemplando, nel cospetto di questo Dio inaccessibile, eseguirne gli ordini noti e certi e, se mai, ambire all'attuazione dei suoi piani nella storia, imperscrutabili nelle loro occulte ragioni, ma che si rivelano mediante la Sotenza e i segni profetici della chiamata ivina. Questa religione, anche oggi, dice 1’0., seguono non tanto gli ebrei euro-Seizzati, quanto i genuini rappresentanti ella tradizione semitica, arabi e mussulmani, in Oriente ed in Africa.
La religiosità aria, invece, tende ad avvicinare a sè Dio, sogna discese ed incarnazioni ed espressioni scolpite o viventi di lui, si illude di essere a parte del disegno di Dio e pretende di farsi non esecutrice docile ma ministra consapevole e quasi arbitra dei suoi piani; e così finisce, non solo col farsi della religiosità una figurazione estetica e rituale che, umanizzando il divino, lo travisa, ma col mescolare la religione alla politica e all’arte e alle vicende storiche in ibridi connubi, i quali conducono poi alle peggiori aberrazioni.
Non è compito nostro indagare se questa divisione radicale di due tipi di religiosità, ario e semitico, regga storicamente, e se 1'0-, con la diffusa dimostrazione che ne tenta, con larga cultura ma incerto me
todo, raggiunga la prova. A ogni modo, non potrebbe trattarsi che di una divisione a grandi linee; è notevole, p. es., che in Lutero, tedesco e cristiano — e quindi ario due volte — si avverta, come mi par che esservi lo stesso O., un quasi violento ritorno a una concezione semitica di Dio e della storia; mentre un ebreo olandese, scomunicato bensì dalla sua sinagoga ed eretico, lo Spinoza, fu da taluni presentato come tipo di un misticismo essenzialmente ario, per la radicale identificazione dell’umano e del divino.
Noi crediamo quindi si tratti piuttosto di differenze di cultura, non ancora fuse da una sufficiente miscela storica; come proverebbe anche il presente contrasto, nel seno dello stesso ebraismo, fra una tendenza rigidamente conservatrice, orientalizzante, della quale 1’0. si costituisce campione, e una tendenza modernistica, fortemente intrisa di immanentismo, quale apparisce in taluni scritti del rabbino francese Levy.
Ma, astrattamente, i due tipi di religiosità si possono bene distinguere: quello mistico, che tende a perdersi in Dio, come rifugiandosi dal vano regno delle apparenze nella sola vera realtà, e quello fortemente realistico che procede con Dio a base di trattati di alleanza. Io venera inaccessibile, e lo conduce poi un poco dove vuole o lo colloca nei suoi santuari!. Senonchè, si rischia poi di incorrere in gravi inesattezze, indentificando l’uno o l’altro tipo con l’una o con l’altra religione storica.
A ogni modo il libro dell’O. pone, con singolare fervore di passione e con larga cultura, problemi di viva importanza religiosa e ne dà soluzioni, originali spesso, talora paradossali, che meritano di esser discusse.
w.
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BILYCHNIS
MARGHERITA DI FOIX ED I VALDESI DI PAESANA
La storia delle persecuzioni religiose in Italia, del paese cioè dove più forte e più violenta doveva essere la reazione contro le novità e contro i tentativi di una fede meno cattedratica e tradizionalistica ma più viva, sincera e personale, deve essere ancora scritta o, almeno, non vi è stato finora tra noi, se si eccettua il Cantù ai suoi tempi, chi di proposito e con intento critico si sia curato di tentare di raccogliere in un quadro unico la memoria delle lotte e delle vicende dei moti di riforma in Italia.
Eppure tal compito, certamente grave, sarebbe assai facilitato dal non piccolo cumulo dì monografie illustranti le varie vicende accadute in questa o quella regione, in questo o quel luogo, le quali monografie, particolarmente le più recenti, sono frutto spesso di studio amoroso e di sana critica. A dir ciò ci ha porto occasione un diffuso ed interessantissimo articolo, che qui vogliamo riassumere, di Arturo Pascal, pubblicato suWAlheiiaeum (n. del gennaio 1916), che ha per oggetto le persecuzioni subite dagli abitanti dell’alta valle del Po, detta vai di Paesana, durante il governo di Margherita di Foix reggente il marchesato di Saluzzo, come tutrice del figlioletto Michel Antonio.
Di un moto dissidente in Val Paesana si hanno notizie confuse sin da tempi remotissimi, ed è verosimile che esso nella sua origine e nel suo sviluppo si ricolleghi alle vicende religiose delle altre terre piemontesi contigue a Val Paesana, ed a quelle del Delfinato e della Provenza, con cui Saluzzo ebbe continui rapporti commerciali. Ciò fa arguire che l’eresia fosse da principio catara; più tardi certo essa fu valdese, perchè gli elementi delle prossime terre dovettero influirvi ed avervi alfine la prevalenza.
Nella prima metà del sec. xiv si ha un primo episodio della attenzione prestata dall’inquisizione ai valligiani di Paesana, ma si trattò di cosa passeggera, come pure non gravi effetti ebbero nel secolo successivo le mene di due inquisitori zelanti, che vollero indurre Valeriane, governatore del Marchesato, a soffocare violentemente ogni moto ereticale nel Saluzzese. Cosi, mentre
nelle prossime terre di Pinerolo, Asti, Cuneo, verzuolo ed in Saluzzo stessa i roghi ardevano di continuo, in Paesana se non v'era pace assoluta vi era almeno un tranquillità relativa, e gli eretici invece che diminuirvi vi si moltiplicavano, cercandovi rifugio quelli delle valli vicine dove l’inquisizione rabbiosamente imperversava.
Ma agli inizi del secolo xvi fu la volta di Paesana a subii* le ire degli inquisitori. Una tradizione, volentieri raccolta dai cattolici, narra che sui primi del 500 gli eretici avessero usurpato le terre migliori, spadroneggiassero in alcuni villaggi, ed opprimessero ed angariassero i cattolici, spogliati dei loro beni: onde questi ne mossero vive lagnanze a Margherita di Foix, sorella di Gastone di Foix e vedova di Lug dovico II di Saluzzo, la quale per questo fatto avrebbe promosso la crociata contro i Valdesi di Val di Paesana. Che litigi di tal fatta, a cagione della proprietà dei pascoli alpestri, fossero possibili, è naturale. Ma che i Valdesi avessero usurpato proprietà dei cattolici e li avessero violentemente privati dei loro beni, non vi è prova alcuna nè alcun indizio che lo confermi. Il Pascal osserva giustamente che la proprietà delle terre e dei pascoli se era pervenuta in mano ai Valdesi, lo si doveva ad un processo naturale di cose, per la diffusione cioè delle nuove credenze nei valligiani, dimodoché affermatasi la setta valdese in tutta la parte più alta della valle, le terre montane ed i pascoli alpini fossero ormai in mano di Valdesi. E’ facile pertanto che ciò abbia irritato i cattolici e che questi abbiano tacciato, forse appoggiandosi a qualche fatto singolo, di tiranni e di usurpatori gli eretici, nel tempo stesso per odio religioso e per bramosia di aver le terre in proprio dominio.
In ogni caso tale fatto non può essere stato che una causa occasionale della persecuzione. Che poi esso non rispondesse a verità è grande indizio il silenzio di Giovanni Andrea Saluzzo-Castellar, uno dei padroni di quelle terre che si dicevano usurpate, che fu spettatore ed attore della crociata antiereticale e che in un suo Char-nelo notò diligentemente le sue impressioni
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c le cronache del Marchesato per lunga serie di anni (1482-1528), .11 Pascal ritiene che • la vera causa della crociata è piuttosto da ricercarsi nell'ingordigia degli inquisi-sitori, della marchesa e della sua corte, e nelle tristi condizioni materiali del governo e della chiesa: condizioni, che, ponendo d’accordo il potere laico con quello ecclesiastico, suggerivano ad entrambi, come comodo mezzo per rinsanguarsi, la distruzione degli eretici e la confisca dei loro beni ». A confortar questo parere, il Pascal cita il predetto Giov. Andrea-Sa-luzzo-Castellar, il quale di Margherita e della sua corte ci ha lasciata questa triste descrizione: « Capricciosa e tiranna, tutta del papa essa erasi circondata di decaduti gentil uomini francesi, specialmente guasconi, banditi e dissipatori, giunti quasi nudi alla corte, e che non pensavano che a riempiersi i fianchi di danaro alle spese del signore del paese », degni in questo del vicario marchionale mons. Francesco Chia-vazza e di mons. Pietro Vacha, uomini tirannissimi che non avevano rispetto a disfare il paese nè le chiese nè gli ospedali, nè usavano riguardo a vedove e pupilli pur di spillar denaro. Certo si è che Margherita speculò sulla crociata comprando dal vescovo e dall’inquisitore tutti i diritti loro spettanti pei beni degli eretici, ed assumendosi le spese dell’impresa.
La crociata scoppiò, secondo il Pascal, appoggiandosi anche in questo al cronista ripetutamente ricordato, verso la fine del 1509. L’inquisitore generale del Marchesato, frate Angelo Ricciardino dei Domenicani, si recò nella valle« cominciò, non avendo elementi certi, a predicare e ad esortare gli eretici a ritrattarsi e far penitenza, ed incitando gli altri a denunziare tutti i sospetti ed i rei. Nessuno però si dette per inteso. Allora cominciò l'opera sottile e minuziosa di pedinamenti e spionaggi, non offrendo gli eretici alcuna difformità nella vita religiosa esteriore dagli altri cattolici, per misura prudenziale, cosicché intervenivano alle cerimonie del culto, alla messa, prendevan parte ai sacramenti, ecc., con insospettabile zelo.
Il primo ad essere arrestato, uno dei più sospetti, certo Pietro de’ Giuliani, onde aver salva la vita e i beni, confessò ampiamente attestando che gli abitanti di Praviglielmo, Bioletto, Bietoletto ed Onci no erano tutti Valdesi. Ma non gli si prestò fede anche perchè la sua condotta non testimoniava a suo favore. Si riuscì
ad arrestare un secondo individuo, il quale confermò la denunzia del primo, e forni forse una lista di nomi di altri eretici. Pochi giorni dopo, nella ricorrenza della festa di S. Caterina (25 novembre 1509) celebrata con particolare solennità nella valle, frate Angelo mandò i birri a sorprendere in chiesa a Praviglielmo e borgate vicine, alcuni Valdesi, ma non riuscirono ad agguantarne che due, poiché gli eretici, ormai messi in sospetto, facevan buona guardia ai loro villaggi. Anche i due nuovi arrestati, deposero come i primi. Ormai quindi l’inquisitore non aveva più da esitare e lanciò birri e fanti per la valle con l'ordine di arrestare quanti eretici fosse possibile. Il Castellar, nel suo Charneto narra anche di una schiera di duecento fanti, che, per ordine della Marchesa e dei Signori della valle, presero a saccheggiare tutti i villaggi e le case. Sembra che ciò accadesse verso il marzo del 1510.
Nella razzia vari altri Valdesi caddero fra le unghie dell'inquisizione, e furono tradotti nelle carceri inquisitoriaii di Sant-Front, per esservi processati. Dei loro beni ciò che non andò distrutto fu confiscato.
Alcuni degli inquisiti furono la vigilia della domenica delle Palme (24 marzo 1510) condannati al rogo. Forse ragione della condanna fu la loro reticenza di fronte all’inquisitore o la voluttà di questi di dare un esempio. Il supplizio doveva aver luogo lo stesso giorno e s’era già approntato il rogo presso Croesio, di fronte alla casa d’uno dei condannati, quando un’improvvisa bufera di neve mandò all’aria... la festa, che dovette essere rinviata al lunedì successivo. Però avvenne che per loro fortuna i disgraziati che dovevano esser bruciati vivi riuscirono nella notte della domenica a romper le sbarre della prigione, servendosi di una trave, ed a fuggirsene con tutti i ceppi e le catene, lasciando con un palmo di naso il sacro inquisitore che li pregustava arrostiti, e che montò su tutte le furie quando ne apprese l’evasione. Per vendicarsi, frate Ricciardino, venendo meno alla solenne promessa fatta di far loro salva la vita, prese tre degli altri infelici detenuti, Gienet Giuliano, Gienet Maria, Balangier Lanfrè, e li dannò al rogo in vece dei fuggitivi. La mancanza della, parola data fu stimmatizzata dallo stesso procuratore della fede mons. Francesco Arnaudi e dai Signori della valle, che però non osarono opporsi alla infamia del frate. Ecco come il Ca-
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stellar ci dà notizia del supplizio e dei commenti che esso suscitò: ■... a torni II de mayo ne fu brussato Ire in Paisana in le gra-vere (greto) del Po, aii auai hera stato perdonato la vita dicendo la verità, chorno diseno, ma perchè li altri fusiteno (erano fuggiti) volseno pura fare qualche instici a e gli fu rota per lo inquisitore la fede et per Francesco Arnaudo che se disia proqurore de la fede et fu malfato a manchargli a la promessa da poi che aviano chonfessato liberamente... ». Poco dopo altri due eretici di Monbracco, Nicolino Ros e suo fratello, subirono lo stesso supplizio. Verso gli altri eretici si usò maggior mitezza:furono fustigati od esiliati.
Il terrore aveva prodotto i suoi effetti: il grosso degli eretici se ne fuggì: dei restanti alcuni si rifugiarono sulle alte montagne, altri fecero atto di completa sottomissione alla fede cattolica. La crociata sembrò finita e si provvide a dividersene le spoglie.
Rallentata la vigilanza, parecchi dei Valdesi rimasti e molti dei fuorusciti, ritornati alla spicciolata nelle loro terre ripresero segretamente nelle più alte borgate della valle l’esercizio del loro culto, radunandosi in una casa di Bioletto, che il cronista dice fatta a forma di labirinto. Le precauzioni però non giovarono a nulla. Margherita sollecitamente avvertita e richiesta di nuovo del braccio secolare, nel 23 giugno 1510 emanò un secondo bando di crociata contro i Valdesi di Paesana, dando incarico di condurla a termine a quello stesso Giovan Andrea Saluzzo-Ca-stellar autore della cronaca o Chámelo ri-fetutamente ricordato. Nel suo studio il ascal riporta, pubblicandolo per la prima volta, questo editto, che prima d’ora sembra fosse sfuggito alle ricerche degli storici. Il bando suona così:
« Margarita de Fuxo Marchionissa Sa-• lutiarum Arci Magnifico Militi Domino • Johanni Andreae de Salutiis Condomino • Paesanae et Castellarti fideli Vassallo no-- stro Magistro hospitii et Consiliario caris-<■ simo salutem.
• Informali quod quamplures personae de « Marchionalu nostro habitantes in loco vc-0 stro Paysanae et specialiter in ruatis seti • foreslis Praviglielmi, Bioleti et Bietoneti, • Valdensium heresim evadanl infectae, et « aberrantes a via verae doctrinae, sub plu-« ribus falsis erroribus involutae permaneanl, cspernenles sanctorum Dei cultum et va-« riis blasphemis Ecclesiae praecepta conte-" mnenles cum detrimento eorumsalutis et alio-" rum pernicie, Nos tantum crimen repellere
« cupientcs, de vestra integritate admodum « confidentes, Vobis per praescntes commit-• timus et mandamus qualenus cum assiti stenlia fiscalis nostri marchionalis ad dieta « loca vos Iransferalis et criminaliter a vestro 0 Castaido procedere faciatis contra reos et « infectos in dicto crimine dogmatizantes. a cómplices, adhaerentes et fautores eorum 0 lam in dicto loco commorantes et domici-• lium habentes, quam contra quoscumque » extráñeos, vagos aul suspectos ibi quo-• cumque modo in culpa ipsa connexos: « circa quae vobis omnimodum facultatem « et potestalem concedimus providendi, or-« dinandi omnia et singula quae vobis vide-« buntur opportuna et necessaria, poenas « corporales et pecuniarias ad libitum impo-« nendi, deelarandi, exequendi, mandantes « Sindicis, Consiliariis nominibusque dicti « loci Paysanae ordinationibus vestris in « praemissis et dependentibus parere debeant • et, omni dificúltate remota, cfficaciler et « manu armata, si opus fuerit, resistere et a adimplere: quia sic jubemus has nostro si-* gillo munitas in leslimonium concedenles.
« Dalae Salutiis die vigésima terlia Junii »anno millesimo quingentésimo decimo (1).
Gambavdi
(1) Eccone la traduzione: • Margherita di Foix Marchesa di Saluzzo all'arcimagnifico soldato Signor Giovanni Andrea di Saluzzo, condomino di Paesana e di Castellar, nostro fedele vassallo e consigliere carissimo, salute.
« Avendo appreso che parecchie persone del nostro Marchesato dimoranti nel vostro possesso di Paesana e particolarmente nei villaggi di Praviglielmo, Biolcto e Bietoneto, sono infette dall’eresia dei Valdesi, e, abbandonata la via della vera dottrina, si sono ingolfate in molti falsi errori, sprezzando il culto dei santi di Dio, ed offendendo con varie bestemmie i precetti della chiesa con detrimento della loro salute e con pericolo degli altri, Noi desiderosi di reprimere un cosi grave delitto, confidando molto nella vostra integrità, col presente decreto vi affidiamo e comandiamo di portarvi, assistito dal nostro fisca lemarchionale, nei detti luoghi e che facciate procedere criminalmente dal vostro Castaido contro i rei e gli infetti di tal delitto, contro i loro complici, aderenti e fautori sia che abbiano stabile dimora in detto luogo, sia contro qualsiasi estraneo, girovago o sospetto ivi implicato in qualunque modo nella stessa colpa. Su ciò vi conferiamo ogni facoltà e potestà di provvedere e di ordinare quanto in genere ed in ¡specie vi parrà opportuno e necessario, d'imporre ad arbitrio pene corporali e pecuniarie, di sentenziare e di eseguire, comandando ai sindaci.
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Dell’incarico affidatogli dovette essere certo materialmente soddisfatto il Castellar. il quale pose bene attenzione a ripetere il terzo netto da ogni spesa, dei beni confiscati ai Valdesi, ciò che lo tenne occupato negli ultimi mesi del 1510 e per tutto il 1511. Ma sembra che moralmente abbia compreso la vergogna di fare il satellite dei persecutori, poiché su questa seconda fase della crociata egli sorvola affatto nella sua cronaca.
Gli effetti di questa ripresa di persecuzione furono assai funesti. Essa, v'è ragione a ritenerlo, fu condotta con pari violenza che la prima, e non cessò che dopo la cacciata di tutti gli eretici ostinati e colla distruzione del luogo dove essi si radunavano secretamente per il culto, cioè il tempio o labirinto di Bioletto, raso al suolo il 13 luglio 1510. Alcuni degli eretici, sebbene fossero venuti a penitenza, furono fustigati e banditi o morirono in prigione.
Gli espulsi dalle loro case e dalle loro terre e rifugiatisi in vai di Luserna, dove trovarono cordiale accoglienza ed ospitalità presso i confratelli di Lusema, Rorà, Bobbio ed Angrogna, vollero vendicarsi dell’onta subita. Onde nel 1512 presero le armi ed elettosi un duce, piombarono all'improvviso nella' valle e fecero scorrerie nelle principali borgate, da Oncino a Paesana, cacciarono i cattolici che eransi insediati nelle loro case, ne uccisero o predarono gli armenti, incendiarono case e fienili, travolgendo tutto nella loro furia. Poi, carichi di bottino, si ritrassero di nuovo in vai di Lusema, donde di tanto in tanto ridiscendevano a riempire di devastazione e di terrore la valle natia..
Malgrado però le raccapriccianti descrizioni di carneficine e di violenze che certo per spirito di parte furono prodotte da antichi scrittori cattolici (1) e che poconsiglicri ed uomini tutti del detto luogo Paesana che debbano obbedire ai vostri ordini, nelle pre-inesc c nelle conseguenze (cioè in ogni stadio della procedura), e senza difficoltà alcuna efficacemente e, se sarà necessario, a mano armata, osservarli e metterli in atto, perchè tale è il nostro volere, dicui è prova questo decreto munito del nostro sigillo.
« Saluzzo, 23 giugno 1910 ».
(1) Ad esempio il Rorexgo nelle sue Memorie sloriche dell’introduxione dell’eresìa in Piemonte (Torino, 1649) pretende dimostrare da questi fatti che i Valdesi estesero sempre e dovunque la loro setta con la violenza.- E I’Axonimo della Vèritable Histetterò essere accreditate per uno stupido orgoglio di razza anche dal Gilles, il più antico storico valdese, il solito cronista Castellar, che avrebbe dovuto avere interesse piuttosto ad esagerare che a sminuire gli inevitabili atti di violenza avvenuti nelle scorrerie, afferma esplicitamente che in tutto non vi furono che cinque uomini uccisi: « Si feseno — egli dice —- a Oncino assai chorcrie et qussì in Paesana et amasareno cinche hpmini et più de cento bestie. Questo in più volte et brusareno asai Chase et tedi et peneri (cataste di legne) per la campagna ».
La risolutezza dei Valdesi indusse alfine a più miti consigli i cattolici della valle, i signorotti e la stessa Margherita, poiché nel bando degli eretici si vide una causa perenne di tumulto e di pericolo. Onde la Marchesa stessa si rivolse al papa Leone X ed ottenne da questi per gli eretici di Paesana un’assoluzione generale, della quale il cronista non ha registrato le clausole. Gravi certo furono le condizioni materiali imposte da Margherita, che non intendeva perder tutto il mal acquisito e pagar per di più le spese della crociata, e che impose per questo ai Valdesi la cosidetta ■ pena del sangue» in quattromilaquattrocento ducati. Buon numero di Valdesi tornarono alle loro case, ma allo scader del termine fissato pel pagamento, dato l’impoverimento delle terre, non poterono far fronte al loro impegno. La marchesa, indignata, promulgò un nuovo bando nel 14 aprile 1514, con cui impone vasi lo sfratto entro tre giorni a tutti i valdesi della valle. Ma contro tale spietata ordinanza si sollevarono tutti, tanto che parecchi tra gli uomini più autorevoli del Marchesato credettero doveroso intercedere spontaneamente presso la Marchesa, la quale si piegò alle loro rimostranze. Si addivenne ad un nuovo concordato con cui i Valdesi si obbligarono a pagare alla Corte, per risarcimento dei suoi diritti di confisca, seicento ducati una volta tanto, ed un tributo annuo perpetuo di quaranta ducati.
Anche i Signori della valle finirono col reintegrare gli eretici nei loro beni, a patto che questi pagassero loro ogni anno, nel giorno di S. Martino, dieci ducati, tenesloirc des Vandois (Mss. nella Biblioteca del Re in Torino) afferma che i banditi non risparmiarono nè uomini nè bestie, perche passarono Mio a fil di spada... Uccisero le donne, » fanciulli e le bestie stesse ».
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sero in ordine il mulino di Paesana e rifornissero la loro mensa di lepri, pernici e sparvieri..
Cosi finì la crociata. I Valdesi godettero qualche lustro di pace sino a che contro di essi non si riaccese l’odio religioso, che prese occasione dal diffondersi della Riforma Protestante in vai Paesana e nelle altre località del Piemonte, per perseguitare, furiosamente per quasi un secolo (1530-1620) gli evangelici, i quali però eroicamente resistettero e vinsero anche il nuovo più terribile cimento.
* • •
Alle dottrine degli eretici di Paesana è dedicata la seconda parte dello interessante studio del Pascal, il quale dimostra che esse erano valdesi, con un esame minuto ed attento di un documento autentico di grande valore, fin qui inedito, intitolato: Errore Valdensium in Paesana commorantium. che contiene una lista di 63 articoli imputati agli eretici di Paesana. Tale documento il Pascal opina sia stato mandato ai Signori di Paesana insieme al bando della crociata ed a giustificazione della medesima. Esso è certo di provenienza inquisitoriale; forse la conclusione di molti interrogatori dell’inquisitore Ric-ciardino. Malgrado ciò, se si eccettua un solo articolo (art. 56) evidentemente estorto con violenza da qualche imputato o volutamente alterato, gli Errores rispecchiano nel loro complesso fedelmente le teorie di carattere dogmatico o di vanto apostolico dell’eresia valdese nella forma a cui erano giunte sulla fine del xv secolo e come erano professate nelle vicine valli dei Pel-lice e del Chisone.
Di catarismo non vi è nessuna traccia sicura. Non v'è neppure lontanamente accennata nessuna delle dottrine che furono Kculiari dei catari, come il principio dua-tico del bene e del male, la metempsicosi, il divieto assoluto del matrimonio, il • consolamentum », l’endura, ecc.
L’autore dell’articolo, passati sommariamente in rassegna gli articoli degli Errores. che non necessitano di particolare menzione, si ferma a considerarne alcuni che offrono qualche peculiarità degna d’essere rilevata. Innanzi tutto gli articoli n, 12 *3 c 59, i quali trattano della confessione. Dal loro contenuto par che gli eretici di Paesana avessero avuto due specie di confessione, una generale o comune, l’altra privata o individuale. La prima celebravasi
una sol vòlta all’anno nella riunione dei fedeli il giorno della Passione, l’altra poteva praticarsi sempre e dovunque e poteva essere ascoltata sia da uomini che da donne. La confessione più solenne doveva essere fatta ai barbi o maestri in religione. Quanto all'assoluzione essa spettava in modo speciale ai barbi, ma poteva essere data anche dai laici, specialmente dagli uomini ammogliati. Da ciò il Pascal deduce che il carattere laico dell’eresia Valdese crasi assai più diffuso in vai di Paesana che nelle limitrofe del Pellice e del Chisone, dove, come si rileva da documenti sincroni, l’udir le confessioni e l'assolvere rimase una prerogativa assai più esclusiva dei barbi. E lo scrittore si spiega questo fatto con la supposizione chei barbi non avessero stabile dimora nella valle del Po o vi scarseggiassero, cosicché a poco a poco parecchie delle loro attribuzioni passarono ai laici. Ma questa, secondo me, non è una ipotesi che possa resistere alla critica. Per ciò ritengo più volentieri, ciò che soggiunge il Pascal, che la laicizzazione della confessione e dell’assoluzione (in fondo l’una Sne sempre l’altra e perciò ritengo su-0 insistere nella distinzione) fosse una conseguenza logica della dottrina Valdese del merito, sostituita a qpella cattolica del-l’Ordinc, e del concetto e dello scopo altissimo, ma più umano, che i valdesi attribuivano a questa cerimonia.
L’altro articolo esaminato è il 56, di cui dicemmo più sopra che risente evidentemente della sua origine inquisitoriale. Esso contiene l’accusa di corruzione, ed è così redatto:
« Quod osculum mulieris est peccalum, quia ad hoc natura non inclinai; itamisceri non est peccalum. quia ad hoc naturali ter homo inclinai ».
Tale imputazione di turpitudine non è cosa nuova « giacché — scrive il Pascal -non c’é quasi nessun processo, nessuna pseudo-confessione valdese, che non la metta in voluttuosa evidenza. Era assai naturale che, per vendicarsi degli eretici, i quali rinfacciavano al clero il più scandaloso concubinàggio, gli inquisitori rigettassero la stessa turpe ed obbrobriosa accusa contro i loro detrattori. Di tal putridume i critici più moderni e più sereni hanno riconosciuto immuni gli eretici. L’articolo in parola pertanto non presenta nulla di singolare all’infuori del paragone instauratovi tra il bacio considerato come peccato, perchè innaturale ed il coito considerato cosa lecita, perchè secondo na-
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tura. Solo un inquisitore poteva ricorrere a tale sottigliezza! A meno che Vimmisceri non abbia voluto intendere l’unione matrimoniale. Anche in tal supposizione però la malizia dell’inquisitore appare manifesta nel redigere in modo dubbio tale capo di accusa, da prestarsi alla interpretazione la più infamante. Sia quel che si voglia, se l’accusa turpe avesse avuto anche il menomo fondamento, non sarebbe stata certo dimenticata nell’editto di Margherita di Foix che non avrebbe mancato di lanciarla contro gli eretici da lei perse-seguitati.
Infine v’è un articolo, l’ultimo, che riferendosi ad una profezia corrente allora tra i Valdesi, accenna al programma sociale ed alle rivendicazioni umane da essi sostenute. L’articolo 630 dice infatti così: « Dicono che verrà un re di Boemia, fa-« cente parte della loro setta, che con un < grande esercito soggiogherà città e luo-• ghi, distruggerà le chiese, ucciderà tutti «gli ecclesiastici, abolirà i dominii tempo-« rali e toglierà i pedaggi, rimuoverà tutte « le angherie, imporrà solo il tributo di un « grosso per persona, istituirà il comuniSmo - dei beni, ed ogni cosa sottoporrà alle sue • leggi ’■
Questo comuniSmo, questo sogno di pace e di giustizia, questo desiderio di un tempo in cui tutti abbiano a sentirsi uguali e fratelli, sono veramente nobili aspirazioni. A renderle più vive e più ardenti in quell’epoca contribuivano senza dubbio il duro governo a cui gli eretici erano sottoposti.
Circa il curioso accenno al re di Boemia liberatore ed instauratorc del regime di giustizia e di eguaglianza, il Pascal lo riattacca ad una tradizione più antica, esistente presso i Valdesi del Piemonte, secondo la quale Valdo, dopo la sua scomunica, evangelizzata la Francia e la Germania, sarebbe passato in Boemia, dove alla sua morte avrebbe lasciato un forte nu
cleo di seguaci, cresciuti presto a grande potenza.
Da questa tradizione ravvivata e confermata si formò in molti il convincimento che la Boemia fosse la vera culla della loro eresia e che dalla Boemia dovesse irradiarsi a tutto il mondo. Ciò era tanto più credibile al principio del secolo xvi, quando era vivo il ricordo della recente missione boema venuta in Italia nel 1498 per ravvivare i dispersi nuclei dei loro confratelli e per stringere tra loro più intime relazioni.
« Non sappiamo — conclude il Pascal — se i due barbi boemi siansi spinti fin nelle Alpi tra i Valdesi del Pel lice c del Chisone. Questi ad ogni modo ebbero indubbiamente sentore della loro missione e delle lettere che essi, partendo d’Italia, portavano al re Ladislao; e direttamente o indirettamente seppero del martirio di Girolamo da Praga e di Giovanni Huss; appresero le vicissitudini eroiche dei loro discepoli e la diffusione crescente della loro setta. Forse qualche vago accenno alla tolleranza e mitezza del re di Boemia potè, passando di bocca in bocca, trasformarsi in prova certa della sua eresia ed effettiva partecipazione alla setta.
« Non ci volle di più, perchè i poveri Valdesi di Paesana, sbigottiti dalla persecuzione, volgessero con ansia il loro sguardo dalla terra natia alla lontana Boemia, culla e baluardo della loro eresia, confor-tessero le calamità del presente colla visione di un prossimo trionfo, rispondessero alle rappresaglie cattoliche con la minaccia di future vendette e proclamassero in Ladislao od in un suo successore il loro vendicatore, capitano e messia ».
Non fu re Ladislao o un re boemo ad attuare rapidamente molte delle loro forti aspirazioni, ma fu Lutero, che dava in parte realtà all’ardita profezia dei poveri di Leone della vai di Paesana..
E. Rutili.
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UN LEGGENDARIO RITO
Pansa Giovanni, Il rito giudaico della profanazione dell’ostia e il ciclo della « Passione » in Abruzzo. (Archivio storico per lo provincie napoletane, Napoli, 1915).
Studiare il contenuto delle leggende che si sono andate creando intorno agli ebrei nelle varie parti d'Italia, a seconda della maggiore o minore importanza della loro immigrazione, e il loro legame col ciclo storico da cui furono originate, non solo è opera di profìcui risultati nel campo degli studi religiosi, ma da un particolare Sunto di vista è opera di vera umanità.
erchè neppure oggi in ambienti incolti e popolari è del tutto scomparsa la credenza a certi riti di terrore e di abominio ai quali gli ebrei si abbandonerebbero. Basterebbe una maggiore cura e con risultati più ampi occuparsi di studi folkloristici per convincersi come certi atteggiamenti anche delle classi colte trovino il loro substrato di consistenza e la loro parziale spiegazione in Ìnello che — pur disprezzandole—mutuano alle piccole popolazioni di borghi e di villaggi. E’ noto come dalla presenza degli ebrei nei primordi del medioevo derivò fra le popolazioni fanatiche ed ignoranti una vaga leggenda di terrore, fondata in gran parte sui pretesi riti magici e tenebrosi, in modo singolare sul voluto assassinio rituale dei fanciulli. La letteratura in proposito è ricca ed abbondante per accusarli e scagionarli. Ma forse dopo gli studi dell’ Hubert, dell’Hamburgher, dello Strack, dell’Hastings, del Guisetti, la conclusione più scientificamente accettabile è quella dubbiosa dell’Hubert: < Il serait imprudent de l’en disculper a priori; mais on peut dire que ces sacriSces sont un des thèmes habituels de la legende qui voile les cultes secrets, les religions vaincues et les héré-sies». Evidentemente il campo è ancora aperto alla investigazione, ond’è che acquista notevole importanza lo studio che Giovanni Pansa pubblica nei? Archivio storico per le provincie napoletane, nel quale con sicura conoscenza è studiato un rito giudaico e collegato a un ciclo particolare di
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leggende da cui presumibilmente può essere derivato.
Intanto conviene tener ben distinto il rito sanguinario che si diceva praticato secondo la cabala sabeista e le tradizioni talmudiche, prosalute animar unì, con quello della profanazione rituale dell’ostia sacramentata, oppure dell’effigie di Gesù Cristo, che si presumeva fatto in contempli et vi-lipendium lesu. Questo, secondo l’accusa, mirava senz’altro ad insultare la Passione di Gesù Cristo e consisteva in un’odiosa parodia di essa, che aveva luogo in occasione della festa di Purim, la quale si celebrava nella Sinagoga in mezzo ad una specie di orgia e di tripudio. Sul rito si è venuto a poco a poco formando un com-Slesso di tradizioni che, a loro volta, hanno et ermi nata la formazione di un ciclo leggendàrio sotto il nome di «ciclo del san-fue», o più esattamente di «ciclo della assione ». Poiché a questo ciclo sono connessi tanti episodi miracolosi che interessano sopratutto lo sviluppo della credenza religiosa nel medioevo, per questo lo studio del Pansa è di particolare importanza.
Che l’Abruzzo abbia contribuito in gran parte alla creazione di siffatto ciclo non è da meravigliarsi se si pensa all’esistenza di immense colonie giudaiche e alle tradizioni piovute dall’oriente con la venuta dei monaci di rito greco e specialmente dei Basi-liani. La spiegazione più semplice del rito in parola era basata sull’avversione e il dispregio che gli Ebrei dovevano nutrire per la passione di Cristo. Ma il Pansa prospetta delle origini ben diverse e ben lontane dal rispecchiare una parodia dell’episodio cristiano. Il concetto di una parodia sorse più tardi, nel secolo iv, e se ne rin-, vengono le tracce nell'editto Teodosiano dell’anno 408, con cui s’ interdice l’uso della croce nella celebrazione della festa di Purim. Per sé il rito di crocifìggere e di bruciare Haman è essenzialmente espiatorio e non è neppure autoctono fra gli Ebrei, ma probabilmente di origine assira o babilonese: ha certi punti di contatto con la Passione di Cristo e la colpa non è certo
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degli Ebrei. Perciò, la supposizione del Pansa non mi pare priva di fondamento. Comunque ò certo cne per tutto il medioevo, radicatasi frale masse ignoranti l’accusa contro gli Ebrei festeggianti la festa di Purim che essi profanassero intenzionalmente e a fine di sacrilegio l'immagine di Cristo, vi determinò la costituzione d’un ciclo leggendario, ricco di episodi e miracoli dei quali si hanno testimonianze non indifferenti.
Il Pansa, per quanto riguarda l'Abruzzo, documenta abbondantemente, riferendosi a quanto avveniva anche altrove.
La doppia versione d’un fatto miracoloso se non è sufficiente argomento per metterne in dubbio la fondamentale verità, certo legittima la mutua dipendenza a stabilire la quale vale l’esame attento e minuto di tutte le circostanze di fatto affermate nonché dell’ambiente dal quale le due versioni sono sorte; ma legittima ancora la supposizione d’una fonte comune dalla quale gli autori posteriori abbiano senza sapere l'un dell’altro, attinto. Ora se noi troviamo due racconti miracolosi per legittimare ad una chiesa il possesso di una determinata reliquia, non dobbiamo per questo dire chelo scrittore sacro o il popolo abbia li per lì inventato, ma dobbiamo proporci di ricercare se altrove non ci siano gli elementi per la ricostruzione. Fra le reliquie possedute dalle chiese cristiane una delle Siù venerate e delle più famose è quella el sangue di Cristo. Essa ha degli stretti rapporti con l’accusa mossa agli ebrei di profanare la Passione di Cristo. Bisogna dunque stabilire donde abbiano origine le istorie che parlano della reliquia e se e quanto i rapporti che si riscontrano con la accusa agli ebrei siano legittimi. Senza alcun dubbio gli autori delle leggende posteriori conoscevano la celebre relazione miracolosa di Berito registrata nel Martirologio romano e riportata dal Baronio ai 6 novembre dell’anno 765 e rimandata da alcuni — forse erroneamente — all’opera di S. Anastasio, vescovo di Alessandria, il Sale viveva nel 340. In essa gli elementi e troviamo in seguito si riscontrano già ben delineati e se teniamo conto del lunghissimo lasso di tempo necessario perchè una leggenda si vada formando e consolidando, da essa possiamo arguire che una certa diffidenza morbosa verso l’elemento giudaico avesse ben presto preso possesso della società cristiana. La leggenda di Berito narra come alcuni giudei raccolti nella Sinagoga riproducessero la scena della cro
ci fissione sull’immagine del Salvatore, e come dalle ferite inferte al costato uscisse tanto sangue che «tutte le chiese dell’O-riente e dell’occidente ne furono largamente provviste ». Il Pansa annota: « Espressione figurata che sta a dinotare come la notizia si diffuse per tutto il mondo ». Ora a me pare che si possano sollevare dei dubbi se quella espressione debba intendersi veramente figurala. O per lo meno potrebbe vedersi se l’interpretazione che ne hanno data in seguito fosse consona alle intenzioni dell’autore. Da Berito e da Edcssa provennero nell’oriente greco gli episodi più notevoli, relativi alla Passione.
Nella leggenda di Berito c’erano tutti gli elementi e per la giustificazione dell’esistenza e del possesso della reliquia del sangue di Cristo e per l’accusa che il più delle volte, non sempre, tale esistenza e tale E ossesso portano seco contro gli Ebrei.
onviene dunque tener distinto in essa ciò che può essere filo conduttore per giungere a fissare l’origine della reliquia del sangue del Salvatore che è venerata in tante Chiese cristiane da ciò che è precedente senza dubbio diretto dello strano miscuglio di accuse verso gli ebrei che forma, diciamo così, l’abbellimento delle redazioni posteriori.
Se non che il Pansa non si era proposto un cómpito così vasto. Egli ha localizzato il suo studio e volendo spiegare l’esistenza nell’Abruzzo di simili leggende-accuse, ha utilizzato da signore il materiale che gli studi agiografici e di storia religiosa gli fornivano. Ond’è che il suo lavoro se non è sempre organico è pieno di dottrina e di ammaestramenti. Coi fatti che egli ha raccolto è possibile procedere ad una più sintetica e complessiva interpretazione d’ un culto che si giustifica nella sua sostanza, ma lascia dei dubbi sulle sue varie forme e le sue diverse manifestazioni. Io ho appena accennato qui a tale lavoro. Così noi studiosi del fatto religioso cristiano non possiamo certo accontentarci della spiegazione che del miracolo di Bolsena dà il Pais nella sua Storia critica di Roma. I raccostamenti che il Pansa fa delle numerose leggende del genere con le altre su la profanazione violenta per parte degli ebrei potrebbero essere guida per una interpretazione più soddisfacente. Se la leggenda ha subito l’influenza delle preoccupazioni del momento e dell’ambiente nei quali fu creata è naturale che essa anche finisca e si esaurisca con queste. Alla lotta contro
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Eli Ebrei, succeduta la lotta contro il dub-io che nella società cristiana avevano lasciato certe dispute del secolo xin sul sangue di Cristo, la fantasia popolare dovette rivestire di nuove forme la sua singolare apologetica. Abbiamo il racconto del miracolo di cui l’abate Pacichelli parla nelle Memorie dei viaggi per l’Europa Cristiana e il Boterò, nelle sue Relazioni nniversali, registra il miracolo di Bolsena, la leggenda del Saint-Graal, l’altra dell’Abadiadu Bec. Per 2uanto il fatto dell’apparizione di Gesù risto nell'ostia consacrata fosse un tema assai comune nell'antichissima agiografia.
per la necessità stessa che aveva il popolo di ottenere una prova tangibile della sua fede eucaristica, esso non spiega completamente la forma assunta nelle leggende del secolo xm. Non è così se noi guardiamo alla capacità delle ostie violate di spargere il sangue di Cristo affermata nelle leggende sui riti profanatori degli Ebrei, leggende di poco precedenti, alcune anzi coeve alle altre di cui è parola.
La mutuazione della forma è, a mio vedere, certa, mentre è senza dubbio ¡denlo scopo : 1’ affermazione della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.
Rubbiani Ferruccio.
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DUE DOMANDE
DEL “ PADRENOSTRO ”
— “ Perdono ”
— “ Liberazione ”
Disegni di PAOLO A. PaSCHETFO (dal Volume di PIETRO CH1MINELL1: Il 1 Padrenotlro* e II Mondo Moderno)
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' ... PERDONA I NOSTRI PECCATI COME NOI ANCORA PERDONIAMO LE OFFESE Al NOSTRI OFFENSORI... '
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... LIBERACI..."
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L’unico gioiello che una donna o una fanciulla italiana possano oggi portare senza rimorso è lo scudetto dei soci della Croce Rossa.
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CRISI CRISTIANA NELLE CHIESE INGLESI
Il Rev. Townsend, pastore Battista, chiudendo un indirizzo all’associazione battista del Lancashirc e Cheshire, pronunziava con voce commossa queste parole: « Per me, non so quasi concepire una tragedia maggiore di quella, che la Chiesa dovesse divenire una reietta dalla società. Eppure non c’è uomo con gli occhi in fronte che non sia spettatore del fatto che una fede più ricca, una religione più vitale, un idealismo più nobile è coltivato al di fuori delle Chiese che al di dentro. Ebbene, che Dio affretti tale opera! Ma non è tempo che anche noi rimettiamo in ordine la casa nostra? »
Molti pastori si fanno questa domanda, e la coscienza cristiana delle Chiese passa attraverso una delle più dolorose gestazioni della storia, mentre la guerra è lì, fatto reale, e che impone un atteggiamento immediato e pratico a chiunque non vuole, più vile d’ogni altro, tacere e assentarsi, e seppellire il suo talento per timore di perdere la sua anima.
Fare un breve resoconto delle opinioni espresse su tale questione dominante del dovere delle Chiese nel momento presente nei principali congressi annui delle Chiese Inglesi, tenuti negli ultimi mesi, equivarrà a dare un saggio delle linee generali della crisi, e dello stato d’animo dominante nelle maggioranze e nelle minoranze.
L’adunanza dei « Congregazionalisti •, dello scorso maggio, discusse il tema: «la guerra e l’Etica cristianas, con prevalenza delle opinioni conciliatoriste, espresse nel discorso presidenziale con le parole di un pacifista cristiano: « L.a sola giustificazione che un cristiano può avere per partecipare ad una guerra, è che essa abbia per scopo la redenzioine dell’umanità ». Anche il noto oratore R. J. Campbell, di City Tempie, riconobbe che l’apparente impossibilità di conciliare il Cristianesimo con l’uso della forza armata dilaniava
Athenaeum, Pavia. Anno IV, fase. Ili, luglio 1916. Edmondo Solmi: « Concetto e fine della filosofia secondo gli autografi inediti di Vincenzo Gioberti » - Paolo Lorenzetti: « Riflessi del pensiero italiano nell’' Heptaméron ’ di Margherita di Navarra » - Carlo Pascal: «Un verso di Cicerone • - Ferruccio Ferri: « Per una supposta traduzione di Omero del Fonzio » - Camillo Morelli: « La fortuna dell’opuscolo ‘ de fìnibus metrorum ’ » - Olindo Ferrari: «Il mondo degl'inferi in Claudiano » Giovanni Pesenti : « Ancora dell’epigramma ps. Empedocle? » - Remigio Sabbadini: « Cicerone giureconsulto » -Notizie di pubblicazioni.
Rivista di Filosofia. Genova-Torino, anno Vili, fase. Ili: màggio-giugno 1916.— P. Martinetti : « La dottrina della conoscenza e del metodo nella filosofia di B. Spinoza » -G. Rensi : « La morale dell’ 'attuazione dell’ Io’ » - E. Di Carlo: « La dialettica engelsiana » -C. Pulcini : « L’ora presente e la filosofia nella scuola » - P. Nicoli: «La funzione del tirocinio nelle scuole normali » - Recensioni - Appunti bibliografici, ecc.
Il Conciliatore. Torino, anno II, fase. 3-4, 16 giugno 1916. G. Toffanin: « Un poeta del-l’Ottocento » - A. Pompeàti: « Il caso Aleardi » - Recensioni di letteratura italiana - S. Fi-iippon : « Ferme e spiriti in Maurizio Maeterlinck » - Recensioni di letterature straniere - G. Rensi: « L’cmpirio-razio-nalismo in etica » - P. Cara-bellese : « La realtà dei fatti storici ■ - L. Salvatorelli : « Studi religiosi» (recensioni) ecc.
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Rivista giuridica d‘ Italia, Napoli. Anno II, fase. 3-4, marzo-aprile 1916. Mario Gian-turco: • La condizione internazionale del Sómmo Pontefice • - Giurisprudenza - Vittorio Polacco: « Giacomo\Ve-nezian » - Giuseppe Cimbali: « Un’intesa scientifica internazionale per la dichiarazione dei diritti dei popoli ■ - Rassegna bibliografica - Cronaca - Massimari.
La Rassegna Nazionale. Firenze, anno XXXVIII, i<* giugno 1916. Cami’lo Antona-Tra-versa : « Bricciche foscoliane » - Fernanda Gentili : « Un giovane amico di Pio IX » - Francesco Aquilanti : « Risposta al-l’avv. Seassaro » - Francesco Picco : « Epigrammi vecchi e nuovi » - Cesare degli Occhi: •< Ancora una parola • - L. F. Tibertelli De Pisis: Un’interessante scultura in legno del xh secolo ■ - Mario Pratesi : « Gastone Lurini » - Rassegna politica - Libri e Riviste estere - Note e notizie - In memoria di Augusto Conti.
— r6 giugno 1916. Raffaello Mazzei : Solenne inaugurazione del ricordo ad Augusto Conti » - Carlo Meda : « Un grande assertore del papato : Nel VI I centenario della morte di Innocenzo III » - Gaetano Rocchi: • Visioni serene » (Nei dintorni di Losanna) - Gius. Loschi : « Scene russe : Il ritorno del Reggimento» - Rassegna politica- Libri e Riviste estere, ecc.
La nuova rassegna. Roma, anno I, n. 6; 20 giugno 1916. Nota della quindicina. Ivanoe Bonomi: «Il socialismo italiano e la guerra • - Arturo Labriola : o Controllo parlamentare e democrazia » - Gius- Paratore: « Per lo sviluppo delle nostre industrie » - Paolo Orano: « Mercier » - Il porto di Ge • nova - Note in margine - Vita estera - Vita nazionale, ecc.
la coscienza di molti membri delle loro chiese: e confessò che, personalmente, egli nutriva somma simpatia per i pacifisti e il massimo rispetto per il principio a cui aderivano. Aggiunse che nessun motivo umano aveva parte in questa opposizione dei pacifisti conoscendo egli stesso molti membri della società dei « Friends » che si sono offerti per la pericolosa impresa di spazzare le mine nel Mare del Nord e nello stretto dei Dardanelli. Un membro della sua congregazione di City Tempie gli disse un giorno: « Io sento che debbo combattere per la mia patria, ma non sento meno, che facendo questo non agisco da cristiano ». Però nel suo discorso, il Campbell cercò di mostrare che il Vangelo, se interpretato alla luce costante della tradizione cristiana che ammise sempre nello Stato il diritto di usare la forza per difendere il diritto, non è contrario ad una guerra giusta. « L’ideale cristiano è, per fermo, la pace universale: ma in un mondo cosi poco ' ideale ’ quale è il nostro, bisogna riconoscere che il cristiano, lungo il suo cammino -verso la pace, è stato costretto a brandire la spada ».
La risoluzione redatta dal Consiglio direttivo, e approvata unanimemente dall’assemblea, aveva queste espressioni: « Questo congresso della Unione congrega -zionalista d’Inghilterra desidera di esprimere il suo profondo rincrescimento e la sua tristezza per la presente guerra calamitosa, e crede che le sofferenze terribili causate dalla guerra e l’eroismo da essa suscitato costituiscono una grande sfida lanciata a tutte le Chiese, perchè si riconsacrino all’impresa di scoprire ed annunziare la volontà di Cristo riguardo alla società umana, riconoscendo che su tutti coloro che portano il Suo nome, pesa la responsabilità di trasformare, per mezzo del Suo spirito, i rapporti fra individui e nazioni. Benché in mezzo a noi vi siano individui, per la sincerità delle cui convinzioni noi nutriamo pieno rispetto, i quali credono che la guerra non possa mai giustificarsi alla lucè del Cristianesimo, pure la nostra Assemblea, nell’insieme, crede che in presenza della situazione politica nota, altro partito non restava che si accordasse con l’onestà nazionale, che quello preso dal Governo di Sua Maestà, ecc. ».
I rappresentanti delle Chiese della Scozia, dell’Ir-landa, dell’india, dell’Australia, e di altre parti dell’impero mostrarono di aderire ai sentimenti della maggioranza dei loro fratelli inglesi.
Fra i diversi congressi annuali delle vàrie divisioni della grande Chiesa Metodista, presentò speciale interesse, in rapporto al nostro argomento, il congresso dei ministri Wesleiani tenuto a Birmingham negli ultimi giorni del luglio dell’anno passato. Seguendo lo spirito tradizionale di dare la prevalenza all’aspetto morale della vita religiosa delle masse, si discussero proposte pratiche relative alle condizioni della popolazione, create dalla guerra e ai problemi ingentissimi
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che sorgeranno l’indomani della guerra, quando tre o quattro milioni di uomini si precipiteranno sulla società per la quale hanno esposto la vita, e le chiederanno il sostentamento. « Che ne sarà di essi — domandò il rev. Keeble —se la nazione, anche nei periodi di maggiore prosperità, non ha saputo risolvere la questione del come sottrarre all’inedia in permanenza due milioni e mezzo di persone? >> E osservò a tale proposti©, che « una nazione la quale sta spendendo da un anno 75 milioni al giorno, (circa 30 miliardi in un anno), per condurre la guerra, avrebbe potuto, come nazione, abolire la miseria in qualunque momento lo avesse voluto, sol che la Chiesa avesse posseduto una conoscenza e una coscienza degna della sua missione ».
Una viva discussione fu provocata da una proposta del Rev. Scott, di formare un corpo di volontari nel collegio di Kingswood, (che educa esclusivamente figli di pastori metodisti) tra i cui ex allievi si contano di già 300 volontari nell’armata. La discussione che ne seguì trascese il carattere particolare della proposta, per assorgere alla questione generale dei rapporti fra Cristianesimo e guerra: e il suo valore venne dal fatto sintomatico, che la proposta del Rev. Scott fy rigettata da una forte maggioranza del congresso lei Pastori. Notevole il discorso del Rev. Brailsford, il quale, dopo aver fatto notare che il collegio di Kingswood, essendo di istituzione ecclesiastica, l’indirizzo di esso doveva essere in armonia con lo spirito del Cristianesimo, disse che, senza affermare che la presente proposta fosse contraria a quello spirito, egli non esitava di osservare che non era certo tale da promuovere lo spirito di amore e di riconciliazione. Invitò i congressisti a considerare che se essi avessero volto a quella gioventù un appello militare, si sarebbero indirizzati all’aspetto più cavalleresco del carattere giovanile; e così, la proposta avrebbe introdotto nella scuola un livello morale e un ideale di pensiero tale, che egli, da sua parte, persuaso che vi siano ideali di vita ancora più eroici di quelli forniti dall’ideale militare, osava dire essere pericoloso presentare a giovinetti il cui cuore si apriva allora allora ad aspirazioni e a suggerimenti che avrebbero foggiato la loro vita avvenire. Giacché, nella virilità, essi avrebbero agito in conformità all’ideale che li avesse sedotti nella loro fanciullezza: cd egli avrebbe certo preferito che il suo figlio entrasse nella vita tenendo innanzi agli occhi come modello il « Discorso del Monte » intessuto prima nel suo cuore, anziché un programma da Von Bernhardi. Alla radice del Prus-sianismo vi era appunto un'educazione militaristica nella prima età. Egli sapeva bene che alla base della proposta relativa al Collegio di Kingswood vi era il desiderio di rispondere, in quanto Chiesa, alla domanda che tutti si fanno: « Che cosa posso io fare per la patria ». Ma... gli fosse lecito dire che, come Chiesa, — giacché come individui, essi, e i loro figli e le loro figlie avevano compiuto e compievano il
Conferenze e prolusioni. Roma, anno XI, n. n ; i° giugno 1916. Gino Borgatta: «La guerra e la politica commerciale » - Mario Pittaluga : « La Sismologia dei testimoni » - Gol-redo Bellonci : « Domenico Gnoli e la poesia italiana. » ecc.
— n. 12; lógiugno 1916. Paolo Orano: • La Francia che noi amiamo » - Giovanni Rosadi : « In memoria del battaglione universitario combattente a Curtatone e Montanara » ecc.
Nuovo convito, Roma-Pescara. Anno I, n. 5, maggio X916. Maria Del Vasto Celano: « Calendimaggio » - G. Sergi: • Gl’istinti gregari nell’uomo e il popolo tedesco »- M. Serao: « Nuove lettere di una viaggiatrice» - A. Renda: «Il passato • - !.. Gamberale: « La condanna di Wittoria Corom-bona di Webster • - Marion Butler: « Lettere da Londra » - Commenti conviviali - Illustrazioni di: T. Patini-G. Ami-sani - P. Nomellini - P. Pa-schetto - V. Bonanni - G. Spellani - A. Rossetti.
L'Eroica, La Spezia. Anno V fase. VIII-X, giugno 1916. Fascicolo dedicato all'Armenia (Prezzo L. 5).
— Copertina, disegno di Charles Doudelet - Ettore Cozzani: « I Romani d'Orien-te » - Constant Zarian: • Tre canti per dire i dolori della terra e i dolori dei cieli » (Poema tradotto dall’armeno da Alessandro Rosso con LI! iniziali e finali di A. Bartoli e XII frontespizi di E. Pram-polini) - Lorenzo Viani: « Sulla porta della chiesa », Una casa di poveri (due tavole fuori testo - xilografie originali e dirette) - Emilio Mantelli: « Carità e bellezza » (xilografia originale e diretta) -Il veliere: Le fiammole: Alla vedetta: La sentina.
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La nostra scuola. Milano, anno III, n. 9; 25 giugno 1916. G. Santini : « Speranze » - R. Murri : « La scuola nazionale ■ - A. Calderara: « Il congresso dei maestri di scuola a Bologna » - M. S. : « Scuola e reli-T'one ■ - C. : « La guerra » Dewey: • Il fanciullo e i programmi » - R. Bologna : « Educazione morale« - Recensioni, ecc.
Ultra, Roma. Anno X, n. 3, 30 giugno 1916. A. Agabiti: « Moloch divoratore » - O. Calvari: « Il nostro lavoro di domani » - V. Walter: « Il monaco di Amalfi > - Rinnovamento spiritualista - Per le ricerche psichiche - I fenomeni
Luce c ombra, Roma. Anno XVI. fase. 6, giugno 1916. V. Cavalli: « La marcia dello spiritismo « - N. Licò: « Il lato utilitario delle Scienze occulte • - R. C.: « La Pietra filosofale A. Bruers: «Questioni spiritualiste ■ - A. Ti-berti: « Il mio anticremazio-nismo ■ - Per la ricerca psichica - Per la storia dello spiritismo - I libri.
Coenobium, Lugano. AnnoX, fase. III-IV; marzo-aprile 1916 Adolphe Ferrière: « L'Europe en guerre • - Amedeo Gazzolo: « I breviari» dei belligeranti ■ - A. P. Scéra: « Le Christ his-torique ■ - Bassano Gabba: « Cristo, il Papa e la pace > -Ed. Platzhoff-Lejeune: « Apho-risme de guerre » - Dr. Scié-Ton-Fa: ■ Le mouvement ré-Eublicain chinois » - Giov.
anzalone: • Il mio testamento spirituale » - Pagine da meditare - Guerra alla guerra! -Rassegna bibliografica - Rivista delle Riviste - Tribuna del • Coenobium » - Note a fascio.
loro dovere — anziché alimentare le fiamme dell’ambizione c dell’ardore militare, essi dovevano sforzarsi di soffiare su di esse lo spirito del Cristo. Essi avevano Sià abbastanza da fare per impedire che la giusta in-ignazione della nazione degenerasse in un odio infernale, e per predicare a! loro popolo il ravvedimento. Si andava dicendo che la Germania doveva essere costretta a piegar le ginocchia: ma egli pregava il Congresso di riflettere a ciò che avverrebbe, se la loro stessa Inghilterra che essi tanto amavano con tutte le sue macchie potesse indursi a piegar le ginocchia. Non sentivano essi che il Figlio dell’Uomo stava battendo alla porta della loro nazione e che la nazione si ricusava di aprire la porta?
Il congresso elei Pastori, come ho detto, rigettò la proposta del Rev. Scott. Con questa notevole testimonianza al carattere pacifista dell’educazione della gioventù, ricollego ciò che nello scorso agosto, il .Primate della Chiesa inglese, insieme con l’arcivescovo di York scrivevano a tutti i vescovi d’Inghilterra, relativamente al modo migliore con cui il clero può servire la patria nella presente congiuntura. Dopo aver indicato che l’opera del clero a beneficio del popolo nelle loro parrocchie è un servizio ■ nazionale •• nel più alto significato della parola, essi conchiudono: « Noi ancora riteniamo che è sconveniente che il clero serva la patria in qualità di combattente, e crediamo che nella presente congiuntura il lavoro parrocchiale è per lo meno altrettanto necessario quanto qualunque altro ' lavoro necessario ’ che scusa coloro che in esso sono occupati dal servizio militare. Il lavoro compiuto dal clero è tale, quale nessun altro può compiere in vece loro. Che si comprenda bene questo, e siamo certi che molte perplessità cesseranno in mezzo al nostro clero ».
La riforma italiana, Firenze. Anno V, n. 6, 15 giugno 1916. R. Murri: « Il cardinale MerRiferimmo altra volta, come in seno alla Chiesa Presbiteriana i due atteggiamenti pro e contra la partecipazione della Chiesa alla guerra si fossero polarizzati in maniera acuta. Recentemente, un’espressione notevole del movimento di opposizione è apparsa nelle dimissioni dall’ufficio di pastore, date e mantenute, non ostante le insistenti premure della sua congregazione, dal Rev. R. Roberts, pastore nella Chiesa presbiteriana di Crouch Hill in Londra. Esse furono motivate dal suo • disgusto nel vedere gli organi ecclesiastici favorevoli alla guerra ». Mentre egli riconosce che la partecipazione dell’Inghilterra alla guerra può giustificarsi dal punto di vista di un’etica, a cosi dire, laica, e come inevitabile, ciò non dà diritto alla Chiesa di presentare la guerra come giusta: giacché la guerra, per la Chiesa, non può essere mai giusta, e il sancirla è un’infedeltà alla sua missione spirituale. La Chiesa deve dare il suo testimonio ai principii che mai non cambiano, in un mondo in perenne cangiamento. Nel corso del suo discorso d’addio ai membri della stia Chiesa, egli disse queste parole: • Gesù Cristo
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domanda da noi, o tutto o nulla; o il primo posto nella nostra vita, o nessun posto. La Legge morale è la stessa, sia nella vita sociale che negli affari, nella politica, nei rapporti internazionali. In teoria, questo noi lo crediamo, ma nella pratica, generalmente ne mitighiamo l’austerità. Il ' discorso del Monte ' noi lo riguardiamo come l’espressione di un idealismo inesorabile, non già come norma di politica pratica. E va bene! I pratici uomini di Stato hanno fatto a loro modo, e non sono riusciti a darci altro di meglio, che il terribile rivolgimento in mezzo a cui viviamo. Non sarebbe ormai tempo di lasciare che Gesù Cristo mostri di che cosa egli sia capace? Per lo meno, non E>trebbe derivarne un male maggiore del presente.
robabilmente, ciò implicherebbe per molti di noi una rivoluzione nell’ordine delle idee e nella pratica della vita. Ma d’altra parte, non vi sembra che qualunque altra risorsa abbia oggidì fatto fallimento? Perchè non fare questo tentativo? Dopo la vittoria della Croce, non si può più parlare d’impotenza e d'insuccesso, per chi vuol seguir Lui ».
Il medesimo Rev. Roberto, parlando nella recente novantanovesima adunanza annua della « Società della Pace » in I.ondra. spiegava così il suo pensiero: « La guerra è la conseguenza di un certo sistema di vita: e protestare contro la guerra, significa protestare contro questo sistema di vita che ha reso là guerra inevitabile, e contro quelle circostanze che furono l’esponente di una vita immorale. La guerra è anti-etica, epperciò non può avere risultati etici: ed io, come cristiano, non potrò mai riguardarla come giusta. Quando si è detto questo, mi sembra che sia stato detto praticamente tutto quello che vi è da dire su questo punto. E non basta predicare contro la guerra, e lavorare per l’adozione dell’arbitrato e per le convenzioni dell’Aja. Ciò che dobbiamo colpire, è quello spirito nazionale che crea le condizioni che causano la guerra: e in nessun modo potremmo meglio lavorare Ser la pace, che lavorando per diffondere il principio i cooperazione internazionale, che può solo dare un assestamento di ordine mondiale, e eliminare dal mondo la guerra... Quello che gettava nella disperazione Omar Khayyam, cioè l’impossibilità di ' afferrare il triste schema universale della realtà, e rimodellarlo, più vicino ai desideri del cuore ’ è ciò appunto che i Cristiani possono fare, sol che essi ne abbiano la volontà: ed è ciò la sola cosa veramente degna di divenire (’obbiettivo di una volontà cristiana. Ancora, non dobbiamo dimenticare, che il significato pieno del Cristianesimo è dato dalla parola 'redenzione’; e non bisogna dimenticarlo ora, in cui tante cose perdono la consueta chiarezza. Per esempio, l’affondamento del Lusitania ha suscitato nel cuore di molte buone persone la più veemente passione di vendetta. Credono che l’unica cosa che possa fare bene alla Germania sia il farle del male. Ora, ciò che noi vogliamo non è certamente la distruzione della Germania, bensì la sua conversione: ed è precisamente
cier » - La R. I.: «L’esame nazionale » - C. Serono, G. L., un socio: « L’industria » - P. Gagliano: « La nuova Riforma» - E. Vitali: « Opere sociali e dignità umana », ecc. - L. Giulio Benso: « Corriere femminile
Fatti e commenti.
Vita e Pensiero, Milano. Anno II, fase. 8, io giugno 1916. Francesco Olgiati: « L’eloquenza d'un cardinale » Ettore Brevetta: « Le armi da trincea » - Cesare Nava: • Impressioni di Francia » -Filippo Meda: « L'invasione tedesca nel Belgio: il terzo libro grigio » - Agostino Gemelli: « Un errore psicologico: l’anticipo dell’ora legale, ecc. ».
— Fase. 9, 30 giugno 1916. <1 La questione armena » -Mario Brusadeìli: ■ Inghilterra e Germania: una parola franca » - Benedetto Galbiati : « Per il centenario di Guglielmo Shakespeare » - Giovanni Mussio: « Giosuè Borsi poeta • - Giulio De Rossi: « Filippo Meda » - Ernesto Vercesi: • Il pacifismo di Romain Rollane!, ecc. ».
Foi et vie, Paris. Anno XIX, n. ¡0; 1 giugno 1916. P. Dou-mergue: « Lettre 'ouverte ’ qui demande une réponse ' fermée ’ » - F.: «Un commentaire de l’Evangile par nos blessés » - P. D.: « Les ou-vroirs de ' Foi et vie ’ » -H. B.: « Contraste: Achilléion-Vido » - Mlle Chaptal: « Les Ouvroirs pendant la guerre » - E. Doumergue: « Propos de guerre » - B. C.: « Livres ».
— Cahier B.: Camille Jul-lian: « L’effort français ».
— N. 11, 16 giugno 1916. G. Ador: « La Suisse et son action charitable pendant la guerre » - Emile Doumergue: « Monographies d’œuvres » -Fr. Christel: « Notre rapatriement des régions envahies » -
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G. Riou: « Notre ripatriement d’AHemagne »-Ch. Hennebois • Le merveilleux retour ».
The Biblical world, Chicago. Vol. XLVII, n. 6; giugno 19x6. A. Williams Anthony: «The Berson of Jesus Christ •» -;. Sprengling: « America, Arabic, and Islam » - G. H. Richardson: «The value of biblical archaeology » - Arthur E. Holf: «The church in the country • - Henry Kingman: • The faith of a middleaged man (VI) » - T. Gerald Soares: «The preaching task of the modern minister (V) » - Herbert L. Willett: « The religious and social ideals of Israel (IX) ».
The modern churchman, London. Vol. VI, n. 3, giugno 1916 ;. M. Wilson: «Preparation or the national mission • -« The mass and the masses ■ -C. F. Russell: « Summer time: an analogy ■ - John Gamble: «The conscience» - W. A. Cunningham Graig: «Theoutfit of a modern churchman • (VI), - ecc.
Record of Christian work. East Northfield, Mass. Vol. XXXV, n. 6, giugno 1916. J. Stuart Holden: « Faith’s alternative » - Francis E. Clark: « Banyan tree religion », - ecc.
The exbosilor, London. Anno XLII, n. 66, giugno 1916. J. H. Bernard: « Ihe gates of Hades» - James Moffatt: « St. Augustine's advice to an army officer » - H. F. Moule: ■ The greek text of Erasmus » - F. M. Colson: « The divorce exception in st. Matthew » -H. A. A. Kennedy: «The regulative value for the pauline theology of the conception of Christian sonship » - Bernard H. Tower: « St. Paul’s epistle to the Galatians. A paraphrase ».
questo che non è possibile ottenere per mezzo di rappresaglie. Non so se la guerra possa avere un’efficacia redentiva: ma quello che so è, che nulla di ciò che noi possiamo fare è tale da indurre la Germania al pentimento, eccetto una politica di magnanimità... Mi sembra che mentre gli altri sono liberi di pensare come loro Eiace su questo punto, noi ed io che ci chiamiamo ristiani non siamo liberi di giudicare della presente situazione in altri termini che in quelli dello spirito del Vangelo, che, prima ancora di essere Vangelo di Pace, è un Vangelo di Redenzione ».
Nel medesimo congresso, altri Cristiani espressero vedute originali sul problema del momento.
La signorina Maude Royden ricordò, che le prime volte in cui essa parlò in pubblici comizi su argomenti di coltura superiore, fu interrogata se essa fosse cristiana. • Quello che m’impressionò assai allora, e poi, fu che nessuno si accorgeva che io fossi cristiana a meno che io non lo confessassi, e che aH’udirlo, se ne maravigliavano. Così è. Alcuni sono cristiani, come altri sono vegetariani, ed altri degli eccentrici: cioè, a meno che essi non lo dicano nessuno se ne Suo accorgere. Ciò significa, che in me, nella mia conotta, nulla vi era che tradisse la cristiana. Ora che la guerra è cominciata, mi sembra che riesco a comprendere questa incorrispondenza. Nelle discussioni sulla guerra, voi v’incontrate ad ogni passo in persone che si dànno per cristiane, pur adottando criteri di vita e di condotta assolutamente pagani. Non ho detto che, per questo, siano criteri immorali, ma certo non sono superiori a quelli dei migliori fra i pagani. Leggevo poco fa un libro sulla questione della non-resistenza, il cui autore diceva che era perfettamente giusto, ragionevole e cristiano, di mostrarsi buoni con quelli che accettano la bontà come legge della vita, ma che mostrarsi tali con assassini codardi, con ribaldi rivoluzionari, ecc., era un suicidio morale, debole e codardo. Eppure mi sembra, che la differenza tra l’insegnamento di Cristo e quello di altre religioni cada precisamente su questo punto: e che la reazione contro ciò che è malvagio e vile, deve, in un cristiano, essere un maggiore amore, una più squisita simpatia, una persuasione che fare il male è infinitamente peggio che ricever male. Nel caso del Lusilania, ad esempio, e dell'uso di gas velenosi, la reazione cristiana non dovrebbe consistere nel proposito di fare rappresaglie, ma nel senso che l’avere affondato il Lusitania è cosa infinitamente peggiore che l’essere andati a fondo con essa; e che l’avere sofferto pei gas micidiali è meno funesto che l’averli usati».
«Se non è questa la nostra reazione, in che cosa allora differiam noi dagli 'altri’? Si dice che, non ostante tutta la buona volontà, si può essere forzati a fare la guerra. No, se si è una nazione cristiana. Non c’è necessità di dover fare ciò che si crede sia male, perchè altri hanno fatto quello che anch’essi credono sia male. L’espressione suprema del Cristianesimo è nel grido: • Padre, perdonali, perchè non sanno quel che si
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fanno ’...., Ma la gente non esita a domandarvi: ' E che cosa volevate dunque che si facesse? Non dovevamo dunque accorrere per salvare il Belgio? E vi era forse altro modo di farlo? Pensare che si possa parlare così di fronte all’attuale condizione del Belgio! Essi credono in buona fede di aver ' salvato ’ il Belgio, e non possono neppure immaginare che cosa voi intendiate di dire, quando protestate, che è precisa-mente perchè l’agonia del Belgio è per voi uno spettacolo in tollerabile, che voi condannate la guerra, cioè tutte le guerre. Ed ora ci si dice che, sempre per salvare il Belgio, dobbiamo infliggere a quello sventurato paese una nuova agonia, imprendendo una campagna per la sua conquista, che è da prevedersi sarà tanto più micidiale, perchè tutto il paese è stato trasformato in una fortezza. Dopo fagonia fulminea, verrà l’agonia lenta. Miglio per miglio, metro per metro, centimetro per centimetro, dovranno riconquistare il Belgio. E questo è quanto la forza materiale sa fare di meglio!...
« Io sono persuasa che noi cristiani abbiamo più che ogni altro tradito il nostro Maestro, mostrando di non credere alla potenza dello spirito. Un uomo mi disse l’altro giorno: ' Se io adottassi a norma pratica della mia condotta, quella che convengo essere la dottrina di Cristo riguardo al modo di contenersi di fronte al male, sentirei vergogna di me stesso per tutta la vita ’. ' Certamente — gli risposi — non avete compreso la dottrina di Cristo: altrimenti, potreste odiarla, crocifiggerla, ma non professarla e disprezzarla. Essa ha fatto su tutti, amici e nemici, l’impressione di una enorme, tremenda forza spirituale... ’»
« Credo che noi dobbiamo avere una gran fede, che questa grande, invincibile forza, è ancora in attesa di chi se ne serva: che migliaia, milioni di persone, nella nostra nazione non solo, ma anche in Germania, desiderano la pace, e non vorrebbero che trovarne la via. I«a più grande infedeltà alla dottrina che professiamo, sareboe di credere che quell’idealismo di cui noi siamo capaci, sia troppo sublime per gli altri, e che, se noi possiamo credere alla forza spirituale, la gente comune non può arrivarci.... ».
Dal discorso del Rev. Orchard estraggo anche alcuni passi: «...Si è detto che noi combattiamo per la nostra stessa esistenza nazionale. Io non credo che sia possibile distruggere l’Inghilterra. Si tratta di cosa troppo grande per essere cancellata dall’Europa da una nazione così ' piccola ’ quale la Germania. L’Inghilterra ha prodotto Shakespeare, ed altre due o tre cose che costituiranno per sempre l’eredità del genere umano. E se anche l’Inghilterra dovesse perire in questo conflitto — e non è assurdo che la sapienza inscrutabile di Dio contempli questo nel suo Íiiano — non per questo il suo nome sarà deprezzato ra le nazioni: anzi, esso risplcnderà più luminoso di quello della Grecia e di Roma.
■ Ma dopo il motivo della 'Salvezza del Belgio’ e della * difesa dell’Inghilterra ’ hanno cavato fuori
The Hibbert Journal, London. Vol. XIV, n. 4, luglio 1916. Stopford A. Brooke: • A discourse on war » - Harold Begbie: « The spiritual alliance of Russia and England » - A. Shadwell: « German war sermons » - Alexander Darrock: « Education and humanism » - J. A. R. Ma-riott: « The educational opportunity » - W. B. Selbie: « The problème of conscience » - Alfred E. Gawie: « The Christian ideal and its realisation • - Ambrose W. Vernon: > A modern confession of faith on Jesus Christ » - W. Macneile Dixon: « Shakespeare, the en-glishman » - C. G. Montefiore: « The perfection of Christianity » - J. H. Hertz: « Jewish mysticism. An historical survey » - Hugh Elliot: « A defence of scientific materialism » - ecc.
The constructive quarterly, Oxford. Vol. IV. n. 14, giugno 1916. David S. Schaff: « The movement towards church unity • - W. B. Selbie: « The war. revival and reunion » - Leonid Turkevich: « The church and the choir » - Gilbert Reid: « Appreciation of another’s faith » - N. R. Best: « The free church viewpoint • - Georges Michelet: « The war and the moral crisis » - W. C. Gorgas: « Sanitation and morality » - George Wobbermjn: « Theology from the viewpoint of the science of religion» - Bishop John E. Mercer: « The churches and secularist democrats » - George W. Richards: « Kantian philosophy and Christian theology » -Lester Leake Riley: « Social Worship » - Newman Smyth: « John Dury ».
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Pubblicazioni pervenute alla Redazione
Francesco Orestano: La conflagrazione spirituale. Estratto dagli Atti della Società Italiana per il progresso delle Scienze. Vili riunione. Roma, marzo 1916.
Litterio Butti: XI Salmi. Noci, 1916.
A A A
Eugène Ménégoz: Publications diverses sur le fidéisme et son application à l'enseignement chrétien traditionnel. Quatrième vol. Paris, Fischbacher 1916. Pag. 264. In Italia L. 6.
A A A
Celestino Pulcini: L’ora presente c la filosofia nella scuola. (Estratto dalla Rivista di filosofia), 1916; Libri buoni e libri cattivi. Conferenza letta agli ergastolani della Rocca di Spoleto. Atri, 1914; L’antiaristotelismo e la filosofia della natura nel ’600. (Estratto dalla Rivista di filosofia neoscolastica). 1915.
Charles Bost : La plainte et le devoir. Sermons prêchés dans le temple de l’Eglise Réformée du Havre en 1914 et 1915. — Paris, Fischbacher 1916. Pagine 2x5. Prezzo L. 3.80.
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Charles Wagner :- Réception des catéchumènes. Première communion. Paris, Fischbacher 1916. Pag. 35. L. 0.50
A A A
Luigi Bietti: Per l'onore d'Italia. Nel primo anniversario
quello della ' punizione della Germania ’: noi dovremo essere, cioè, gli esecutori della giustizia. Ho incontrato questa settimana un mio amico e collega nel pastorato, che ha quasi rinunziatp al suo ministero per compiere l’ufficio di capitano arruolatore di volontari. E vi assicuro che il suo lavoro è assai più facile del mio, in questo momento, e che vorrei poterlo seguire. Mi parlò di ' vendetta ’: ‘ Se tu avessi visto quello che io ho visto in Belgio — mi disse — anche tu faresti ora il mio mestiere ’. * Non conosci forse un certo comando che suona: ‘ Mia è la vendetta, ed io castigherò ’ dice il Signore, - gli dissi io. * Sì, mi rispose, ma gl’istrumenti del Signore siamo appunto noi ’. * Se è così, mi dispiace assai, ma la è finita per la nostra nazione. Ogni volta che nella Scrittura leggiamo che Dio si è servito di una nazione per castigare un’altra, vediamo anche che egli si è dato una cura scrupolosa di spezzare lo strumento delle sue vendette, non appena non ne avesse più bisogno. Poveri noi se noi siamo gli strumenti della vendetta di Dio sulla Germania! Eppure vi dirò che in me c’è ancora troppo del vecchio Adamo per non desiderare che la Germania soffra qualche cosa per tutto quello che ha fatto soffrire. Però non conosco altre vie possibili di ottenerlo, che quella di renderla una nazione migliore. Allora sì Che essa espierà col rimorso il malfatto. So bene che non è questa generalmente la pratica; ma io non posso concepire mezzo più efficace di far riconoscere ad un uomo il suo peccato e di fargliene provare una sofferenza indelebile, che renderlo un essere migliore. »
«Fino a che voi ed io faremo assegnamento sull’efficacia degli scioperi e della polizia, della flotta e dell’esercito, non avremo mai immaginazione abbastanza per adottare un altro sistema, o fede nell’efficacia di esso. Io credo che il mondo non si persuaderà mai della potenza dello spirito fino a che io e voi non ci affideremo pienamente a Dio, dopo aver prima tolto dalla tasca il nostro revolver. Fino a che voi avrete in serbo l’ultimo argomento della forza, non vi trovere mai nelle migliori disposizioni. Non si ha interesse a tentare di scoprire la nobiltà latente nascosta nell’animo del prossimo, fino a che si ha pronta l’altra carta da giocare nel caso che la prima non riesca. E perciò inutile che noi c’impegnamo nella causa della pace, fino a che non abbiamo dato al mondo la prova, che noi, nella nostra vita personale, sociale, ecclesiastica siamo disposti a camminare, senza fare assegnamento su altra forza che su quella spirituale... ».
La risoluzione presentata dal Rev. Roberts, e che il Congresso approvò all’unanimità, meno due voti, suonava così:
« Questo congresso annuale della Società della Pace riconferma la sua incrollabile persuasione, che ogni guerra è assolutamente incompatibile con lo spirito e col significato del Vangelo di Cristo; e che nessun pretesto di necessità, o di motivi politici, per quanto pressanti e particolari, può valere a dispensare sia
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individui che nazioni, che professino ii Suo nome, dal dovere di un’opposizione radicale ad ogni guerra: ed è fermamente convinto, che nelle mani di Dio e a disposizione degli uomini, sono tutte le risorse — e nell’ubbidienza al Suo divino volere tutte le condizioni per una Pace permanente e universale ».
PUÒ UN CRISTIANO UCCIDERE IL SUO PROSSIMO?
della guerra. Saronno, Tip. del-l’Orfanotrofio, 1916. Pagine 31, cent. 50.
a a a
Enrico Melchiori : La lolla per l'italianità delle terre irredente (i797-I9>5)- Firenze, Bcm-porad, 1916. Pag. 196. Prezzo Lire 2.
a a a
Giosuè Salatiello: Intimavaria. (Poesie latine). Cagliari, Tip. Falconiana, 1916.
Ancora una volta il • Christian Commonwealth • cerca di raccogliere più luce intorno a questa questione cruciale che tortura tante migliaia di anime inglesi che han preso il Cristianesimo sul serio. « Naturalmente —- esso dice — la convinzione che sia nostro dovere di uccidere quanti più tedeschi ci riesce è basata su di una persuasione anteriore, cioè che nel Prussianismo moderno trova la sua espressione un elemento sinistro della natura umana che deve essere combattuto e distrutto al possibile... Tuttavia, ciò non ostante, resta nelle menti di molti il sentimento radicato che l’uccidere è un atto diametralmente opposto allo spirito di Gesù, c perciò vietato quasi più che ogni altra cosa ai suoi fedeli discepoli. Nè il problema riceve alcuna luce dal fatto che nel corso della storia della Chiesa, la guerra è Stata spesso sancita ed anche promossa dalla Chiesa stessa; giacché è facile opporre che in tali casi la Chiesa ha agito come istituto politico e per scopi politici o per interessi di corpo. È vero che pochi sono i membri di Chiese cristiane che oggi brandirebbero le armi per difendere la Chiesa in quanto corporazione e istituzione: ma la questione che oggi si pone non è ecclesiastica, bensì di un ideale spirituale che risiede nel cuore stesso dei cristiani. La questione non è se un membro della Chiesa possa uccidere, bensì se un cristiano lo possa...»
« Questa perplessità non è punto legata ad una concezione ortodossa della persona di Gesù: essa è divisa da persone che seguono la teoria escatologica, per le quali l’etica di Gesù, intesa per un mondo destinato a perire, non può applicarsi direttamente a qualunque condizione sociale in qualunque fase di sviluppo e ad un mondo diverso da quello da Gesù considerato. Essa è divisa perfino da quelli che non ammettono la storicità della persona di Gesù nel senso comune della parola, ma la cui vita religiosa e morale si concentra tutta attorno a un Cristo immanente, o a un Uomo-Ideale, del quale Gesù sarebbe solo un simbolo drammatico. Per questi ultimi, la questione si presenta sotto questo aspetto: A parte la realtà storica dei dettami e dell’esempio di Gesù, è l'atto di uccidere compatibile con la fedeltà al principio spirituale della
CROCE ROSSA
FRA LE ROVINE.
Nelle grandi sventure nazionali, mentre l'opera ferve e tutta l'attenzione si converge all’opera di soccorso, nessuno pensa, e nessuno poi ricorda, quale difficile, perigliosa, pietosissima opera compie la Croce Rossa.
Non mai forse le cifre della statistica sono così vive di senso commovente come quando nella loro semplice e buona realtà mostrano l’attiva opera della Cróce Rossa.
Nel 1905 la Croce Rossa, accorsa prima in Calabria fra le macerie dei paesi devastati dal terremoto, vi portò molti ufficiali, 120 militi, 108 grandi tende, ospedali da campo, enorme quantità di medicinali, per sentieri di montagna, per vie rovinate, con sacrifici enormi, ma enorme beneficio delle popolazioni col-
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K'te. Là dove la solitudine e morte occupavano i cuori e i villaggi, passava con i militi della Croce Rossa la fiamma viva e alta della carità fraterna, e meglio d’ogni atto di Governo, quella misericordia, fatta di silenzioso sacrifizio e di possente amore, valse a portare ai popoli umili e buoni della montagna un sentimento di patria e di umanità. Esso vedevano i fratelli, sentivano che il dolore non ha limite di orizzonte, provavano la dolcezza del conforto oltre la casa sotto le grandi ali della misericordia.
Ma a più vasta e faticosa opera di soccorso doveva in quelle stesse terre accorrere più tardi la Croce Rossa il 28 dicembre 1908, il giorno stesso del disastro e verso le rovine fumanti di Messina e Reggio, partivano da Roma, da Palermo e da Napoli, le armate sante della Croce Rossa. E fu iniziata, nella più vasta rovina che ricordi la storia, la lotta muta e sacra per la salvezza dei sepolti. Fra le mura crollanti, fra l’insidia aspra della terra malsicura, fra lo scompiglio degli elementi e lo spettacolo della morte, i militi della Croce Rossa compivano miracoli di abnegazione.
Era un esercito: 252 ufficiali, 781 militi e 320 infermiere volontarie, portavano io ospedali da guerra, io ambulanze da montagna, 60 infermerie attendate, due treni ospedali, una nave ospedale, tende, baracche, copertoni, ecc. Il lavoro fatto risulta dalle cifre del consumo del materiale sanitario: l’associazione aveva inviato a sue spese sul luogo del disastro io tonnellate di cotone, 54 mila metri di garza, 60 mila bende, mille letti, 12.760 vestiti completi, 36 mila effetti di vestiario, io vagoni di legname, ecc. E la Croce Rossa stessa s’in* divina umanità ’ in cui si contiene l’augusto significato della mia personalità? Può un Uomo-Cristo uccidere un altr’uomo?... >
• Vi sono alcuni che, pur ammettendo la serietà della minaccia del Prussianismo contro la libertà e la vita spirituale dell'umanità, non vorrebbero che gli si opponesse una resistenza sanguinosa, e ragionano così: ' Lasciamo che i Tedeschi ci soverchino, ci riducano ad una potenza di second’ordine, e divengano i nostri dominatori politici : che importa questo, dopotutto? Un cambiamento di governo e di amministrazione, che non avrebbe nessuna influenza sulla nostra vita spirituale. Lasciamo che si prendano quello a cui agognano, e che cessino di agognare qualche altra parte dei nostri beni. E noi concentriamoci invece su quei beni che giacciono a profondità tali, dove le vicende politiche non possono giungere, neppure quelle più radicali. Pilato può mettere Gesù a morte, ma il Galileo conquisterà egualmente i beni reali, le cose che hanno un valore eterno... ’ Questo argomento ha certo radici profonde, ma non è probabile che esso giunga mai a convertirci: sia perchè esso è troppo orientale per la nostra psicologia, e forse anche per la nostra fisiologia, sia perchè esso presuppone una forza e uno sviluppo di vita spirituale raggiunto solo da pochi individui, e non certo da alcuna nazione... Inoltre ci sembra, che le nazioni occidentali si trovino in uno stadio tale di civiltà, che per poter evocare tutte le energie superiori latenti esse abbisognano di fare appello all’atteggiamento della resistenza; che, per esempio, l’esperienza di un anno di guerra con tutte le sue difficoltà, ansietà, sacrifizi, ha di già sollevato in modo notevole le qualità morali e spirituali della nostra vita nazionale. Non è mica vero che una vita spirituale può sottoporsi all’imposizione di forze non spirituali senza risentirne danno. La inimicizia tra lo spirito e la forza bruta non è un’illusione, ma una realtà. Se lo sviluppo del Prussianismo ha prodotto effetti sì funesti sull’anima e sull’intelligenza della Germania che in essa non possiamo più riconoscere la Germania di Goethe e di Schiller, è probabile che il predominio del Prussianismo e dei suoi ideali politici e sociali soffocherebbe ugualmente e corromperebbe la vita spirituale di quelle nazioni che da esso fossero sottomesse...»
« Noi conveniamo che la vita spirituale di un popolo non può essere distrutta in modo permanente dall’imposizione brutale della volontà materiale del più forte: possiamo anche immaginare che una nazione E ossa giungere a un possesso cosi pieno e sicuro del-anima propria, da essere in grado di riguardare con indifferenza a tali minacce; ma fino a che questo tempo non arrivi, ci sembra che alla resistenza attiva a queste minacce sia affidato il compito di fare sviluppare gli elementi più profondi della vita nazionale e far render loro i più magnifici frutti. Noi crediamo che l’istinto nazionale di auto-preservazione ad ogni costo sia un istinto sano e vitale, e-che nell’alternativa fra
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¡’uccisione di un nemico nazionale e l’imposizione del suo dominio, noi dovremmo con la coscienza più tranquilla scegliere il primo partito... - Ma cosi facendo il Cristiano può rimanere fedele al suo ideale religioso?. Tre sono le risposte che ci occorrono al pensiero. Anzitutto, il conflitto internazionale di due principii incompatibili può essere la via per uno sviluppo ulteriore dell’anima propria... Non è improbabile che l’avvenire sarà plasmato piuttosto dall'uomo che soffre e sopporta la contradizione entro di sé e si sforza di vivere attraverso ad essa, che da colui che non si sente stretto dalle sue morse. E se egli sente che il brandire le armi è un discendere dalle altezze de) genuino discepolo di Gesù, può essere che questa umiliazione sia per lui la via di sobbarcarsi al peso che grava sull’umanità: giacché se guerra deve esservi, é meglio che essa sia condotta da quelli che portano con sé nell’arena un qualche idealismo — quell’idealismo che in ultimo finirà per por termine a tutte le guerre. Portare con sé i propri ideali giù nel fondo, e vivere attraverso un’umile esperienza pur restando fedeli a quella visione spirituale di cui viviamo, ci sembra il mezzo principale per redimere gli strati inferiori della vita stessa. La discesa di spiriti superiori a livelli inferiori, l’abbassamento che tutto può risollevare, sembra la via regia per la redenzione del mondo; eppure sono precisamente questi esseri superiori che in questo movimento di discesa sentono piu la,contradizione dilacerante e non cercano di salvare l’anima loro, che pongono il problema nella fase sua più acuta... »
«Secondariamente... il copiare fedelmente e semplicemente il modello di Gesù è, dopo tutto, una forma inferiore di vita religiosa: tutto al più, una forma provvisoria... Se la coincidenza convergente del sentimento, della ragione, dell'istinto, del senso del nostro dovere immediato e pratico, ci spinge a brandire le armi nella crisi presente e combattere, noi crediamo che Gesù sarebbe lieto anziché offeso nel vederci abbandonare un atteggiamento di discepoli pedissequi, ed agire coraggiosamente conforme alla coscienza che ci siamo formati di ciò che è giusto. Se la via dell’imitazione di Cristo non riesce a renderci padroni della nostr’anima, guide della nostra vita, spiriti liberi capaci di un'azione intrepida sulla base del nostro giudizio più elevato, bisogna dire che essa non é la via della vera vita».
'i In terzo luogo, é possibile impegnarsi in un conflitto materiale pur restando dominati dalla coscienza di una inviolabile unità tra noi e i nostri nemici: in tal caso, la guerra stessa può avere risultati spirituali e promuovere il progresso della razza umana verso i beni eterni. Nè è questo un gioco di parole. La differenza, ad esempio, che v’è tra amore e lussuria, è che il primo è dominato dalla coscienza dell’unità e la seconda dalla coscienza della dualità. Dipende dalla qualità della coscienza che si dischiude in ogni atto, che questo sia deforme e bello, carnale o spirituale.
teressò a raccogliere i profughi, a curare 1 feriti, a far funzionare gli ospedali. Quanto sangue stagnato in quei giorni e quante lagrime rasciugate dalla Croce Rossa, mentre l’Italia in ginocchio piangeva sulla sventura delle città distrutte.
E appena ieri, prima della guerra, pel terremoto della Marsica, si rinnovava lo slancio di carità, di amore della Croce Rossa.
Ma cosa abbiamo fatto noi a ricompensare tanta e cosi alta spesa; cosa abbiamo fatto per la Croce Rossa se ancora alla benemerita associazione manca il valevole aiuto della gran massa dei cittadini? Noi trascuriamo un’ associazione, che oltre ad aver molto reso di beneficenza, strappa con sacrifizi oscuri e con fervore tenace i nostri fratelli più sacri alla morte.
Doveri verso la Patria e doveri verso l'umanità ci spingono a dare tutta la nostra cooperazione alla Croce Rossa. Noi dobbiamo alla Patria conservare i combattenti, noi dobbiamo all’umanità risparmiare il dolore, mitigare il dolore. E la Croce Rossa può curare e salvare i feriti, può sola nelle ore dello sconforto e dei tormenti portare con la benda il sorriso, e fasciando le ferite del corpo, curare le interne ferite dell’anima con l’amore.
Nessuno, perciò, venga meno ad un dovere che costa tanto poco: associarsi alla Croce Rossa. Nessun gravame viene al socio, oltre che quello sopportabile dal più umile operaio: la quota annua di lire 5.
Per associarsi alla Croce Rossa basta rivolgersi al Comitato locale o inviare le L. 5 al Comitato Centrale in Roma, via Nazionale 149.
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BILYCHN’IS
LIBRERIA EDITRICE “BILYCHMS ”
Via Crescenzio 2, ROMA
(Novità] Frank Thomas: Les heureux. Etudes pratiques des Béatitudes. Pag. 181; prezzo L. 3,25.
Sommario: Heureux! - Les humbles - Les affligés - I.es doux - Affamés, altères de justice - Les miséricordieux -Les purs-Les pacifiques- Les persécutés - Le soleil levant.
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[Novità] J.-E. Roberty: Pour l’Evangile cl pour la France. Pag. 132, L. 2,65.
Sommario: Les tourments de la guerre - Les prières non exaucées - Heureux les morts! - La marche en avant - Le désir de mourir - Le'patriotisme de Jeanne d’Arc - La recherche de Dieu - Le doute -L’amour vient de Dieu.
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(Novità] Pendant laguerre. (Discorsi religiosi). Volumetto 12® di pagine 100, L. 1,25 Sommario: Qui est digne de Lui? (di N. Weiss) - La vitalité française (di J. Viénot) -Le prix du sang (w. Monod) -Heureux quand même: (J. Calas) - Luther et l’Allemagne contemporaine (Ch. Mcned’Au-bigné) - L’anniversaire de la mobilisation (W. Monod).
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Pendant la guerre. Volumetto 13® di pag. 100, L. 1,25.
Sommario: Rendez à César (J.-E. Roberty) - Pour les découragés (J.-E. Roberty) -Les causes ultimes: IV. Nobles et justes causes (L. Monod) - L’Oubli des morts (J. Viénot) - L’attente (E. Soulier) - Jusqu’au bout(L-E. Neel).
degradante o creativo. Fino a che la guerra è inevitabile, la situazione è salvata da coloro che riescono a condurla con la intatta coscienza dell’unità fra essi e il nemico. È questa coscienza appunto che costi; tuisceil Cristo del nostro cuore.. Nel Cristo-uomo vi è come una parte che mai può consentire alla guerra, ma che pure si avvantaggia dell’esperienza a cui si rassegna quando essa gli venga imposta: anche combattendo in guerra, il Cristo-uomo conserva nel sacrario del suo spirito una regione inviolabile di amore e di eguaglianza dalla quale l’anima si protende in attesa dell’unità e riconciliazione di tutte le cose... ».
L’AMORE PER I NEMICI
Nella Gazzetta di Francoforte, il prof. Troeltzsch condanna l'eccitamento sistematico all’odio di cui si è fatto organo il giornalismo di tutti i paesi, e mentre riconosce che le Chiese sarebbero in grado di proclamare alta l’idea internazionale e umanitaria e preparare e mantenere l’unione spirituale delle anime sulla base del rispetto reciproco e dell’amore, salvandola dal naufragio universale, dichiara anche che le Chiese avrebbero potuto fare più di quello che effettivamente han fatto. « Di fronte ad una letteratura guerrafondaia; di fronte alle esitazioni della stampa cristiana su tutte le gravi questioni morali sollevate dalla guerra, i corpi ecclesiastici di Germania avrebbero dovuto unirsi per dare un’interpretazione comune del comando dell’amore pei nemici... Le Chiese avrebbero contribuito a calmare l’odio, ad arrestare le invettive disordinate, a confortare molte coscienze... ».
■ Il dovere immediato di ogni cristiano » è espresso dal Visconte Bryce neW ¡nquirer con queste parole: < ...Noi potremo far sempre del nostro meglio oer mettere in pratica il Vangelo dell’amore e dell’oblio di sé... per evitare l’ira e l’amarezza; per invitare i nostri connazionali a trattare con giustizia e rispetto gl’innocenti che appartengono a nazioni ostili, e ora si trovano tra noi. Se costretti ad usare contro i nemici armi materiali, non dobbiamo mai dimenticare... che le vittorie più vere e durature sono quelle che si ottengono con la forza morale, e che l’odio e la vendetta non solo sono indegne di una nazione grande e cristiana, ma falliscono i loro scopi, perpetuando quelle miserie appunto delle quali oggi il mondo soffre... »
La Semaine littéraire di Ginevra pubblicava un anno fa una lettera di Romain Rolland in cui il
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forte e buono campione della bontà, nell'arte come nella vita, dichiarava di ritirarsi momentaneamente dalla regione degli odi e delle passioni che invano ha tentato di purificare. Ecco alcune delle sue parole di congedo: « Da un anno, io ho sagrificato il mio riposo, il mio successo, le mie amicizie allo scopo di combattere l’irragioncvolezza e l’odio. Io ho tentato di far sentire ad ambedue i popoli nemici — e specialmente al mio popolo — che 1 suoi avversari sono uomini, i quali soffrono non meno di lui. Io ho cercato, non senza difficoltà, nella Germania attuale, manifestazioni di pensiero che possano svegliare nei cuori francesi un’eco simpatica: parole libere e giuste che siano come un ponte gettato sull’abisso dei malintesi scavati fra nazioni. Ogni mio articolo invece mi ha procurato gli oltraggi di ambedue i paesi: io mi sono urtato alla stessa incapacità di comprendermi, da ambo le parti. Gli oltraggi non mi commuovono, ma l’incomprensione ha finito per disarmarmi... Ciascuno dei combattendo non sa ascoltare che la propria passione e ripetere a squarciagola i propri argomenti, senza cercare la maniera di renderli, poco a poco, accessibili agli avversari. Io ho tentato di farlo in vece loro, ma ho tentato l'impossibile. Non me ne pento fer questo: era mio dovere tentarlo; ma sento bene inutilità di persistere, pel momento. E mi ritiro nell’arte. rifugio inviolato, in attesa che la follia umana passi... •.
• • •
Col titolo: La conversione d'un cattolico germanofilo il Johannet ha edito a Parigi la risposta vigorosa data da Emilio Prtìm capo del partito cattolico nel Lussemburgo e noto fino alla vigilia della guerra pei suoi sentimenti antifrancesi, al deputato Mattia Erzberger, uno dei capi del Centro cattolico al Reichstag. L’Erz-berger pubblicò sul Tag nel principio di quest’anno, un articolo feroce, in cui insistendo sulla necessità di eliminare dalla guerra presente ogni sentimentalismo, dichiarava: « In guerra la più grande assenza di scrii-Sali coincide col più genuino sentimento umanitario.
e siamo in grado di distruggere Londra con qualunque procedimento, il farlo sarà più umano che lasciare uno solo dei nostri fratelli tedeschi perdere il suo sangue sul campo di battaglia, poiché una cura radicale di quel genere condurrà ad una pace più sollecita. Evitare e temporeggiare, mostrarsi sensibili e nutrire dei riguardi, sono altrettante manifestazioni di debolezza imperdonabile. Un’azione decisa e priva di scrupoli: ecco dov’è la forza: la vittoria seguirà fatalmente ». A questi sentimenti ai quali han fatto eco non pochi altri deputati del Centro cattolico, il Prum inorridito ha contrapposto gl’ideali c i propositi che presiedettero alla formazione al primo sviluppo del Centro cattolico: mettendo a nudo la selvaggia filosofia che sta alla base del pangermanesimo e rinfacciandola a quei deputati stessi del « Centro ■ che pochi anni prima facevano gli scandalizzati per la
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[Novità] Paul Stapfer: Ce qui est vrai toujours, di pag. 38, L. 1.
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(Novità) Avec le Christ à travers la tourmente. Sermons d’un pasteur brancardier. Pag. 127, L. 2,30.
Sommario: Prière - Comment expliquer la douleur humaine - La présence du Christ - Pour ne pas fléchir -Mon Royaume n’est pas de ce monde - Noël 1915 - Aimez vos ennemis - Prière.
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(Novità) J.-E. Roberty: Nos raison d’espérer. Deux sermons, L. 0,60.
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[Novità] G. Boissonnas: La foi mise à l'épreuve. Pendant la guerre 1915. Discorsi religiosi. Pag. 223. L. 3,75.
Sommario: L'homme, un soldat - Comment souffrir - Où est ton Dieu? - La foi disparaîtra-t-elle de la terre? - J’ai gardé la foi - Les neutres et la conscience - Lé rôle de la vérité - Le monde haï et vaincu - Aimer c'est vivre - La fatalité dans l’Evangile - Aux sans-abri -Contre le découragement - En souvenir des infirmières mortes au service de la France - Noël 1915000
(Novità] Lanoë-Villène: Principes généraux de la symbolique des religions. Pag. 293. ' Prezzo L. 4.
Sommario: I. Introduction: 1. Les origines. 2. L’évhémérisme. - XI. Exposé des principes généraux de la symbolique 1. La Trimourti et son symbole, l’Arc-en-ciel. La Trinité. 2. La lune. L’Ambroisée. Le Purgatoire lunaire. III. L'Inde.
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i. Le Rig-Veda. 2. Les deux Trimourtis védiques. 3. La Trinité. 4. L’Arani, les Açwins. IV. L’Egypte. - 1. Les monuments, le livre des morts. - 2. La vache Hathor. Le Sycomore, Set et Horns. - 3. La Trinité. -V. L’Assyrie. - i. L’Assyrie. — 2. La déesse assyrienne de Lucien. - 3. La Perse. - VI. Les Scandinaves et les Celtes. - 1. Les Scandinaves. - 2. Les Celtes - 3. Les Etrusques. -VII. Les Chinois et les Américains précolombiens. - 1. La Chine primitive. - 2. Le Mexique. - 3. Le Pérou. - VIII. Grèce (première partie). 1. Les Titans. - 2. La première Trimourti: Jupiter, Neptune, Plouton. Junon épouse de Jupiter. La deuxième Trimourti: Vulcain, Vénus, Mars. Le bouclier d’Achille. - 3. La triade Latone, Apollon, Artémis. - 4. Mercure. - 5. Minerve. La Trinité au troisième terme collectif. - IX. Grèce (deuxième partie). 1. Vie de Bacchus. Cadmus. Voyages et conquêtes de Bacchus. L’Inde. La prédication a Thèbes; mort de Penthée; mort de Bacchus. - 2. Fête de Bacchus. - 3. Noms et épithètes de Bacchus. X. Grèce (troisième partie). - 1. Bacchus né de la cuisse de Jupiter. -2. Le Mythe de Zagreus. - 2. Les attributs de Bacchus. - 4. Couleurs symboliques de la Trinité. - 5. Le Dionysisme et le pouvoir civil. - 6. Morale du dionysisme. - 7. Cérès, Thémis, Iris. XI Les juifs et les chrétiens. 1. L’esotérisme de la Bible. - 2. La Trimourti, la Trinité au troisième terme collectif, la pierre. - 3. L’Eau et le vin. -4. Melchissédec.
politica anti-congregazionalista del Governo francese. Questa vigorosa confutazione, corredata di nuovi documenti, fra cui la pastorale del Vescovo di Namur coi suoi particolari raccapriccianti sulle devastazioni commesse dalle soldatesche germaniche nella sua diocesi, ha provocato delle rappresaglie contro il coraggioso capo del partito cattolico Lussemburghese, ed ora si annunzia il suo arresto e si parla di pratiche delle autorità cattoliche per implorare l’intervento del Papa in difesa dell’eminente personaggio.
Chi scrive ricorda di aver preso parte a Berlino, nell’autunno 1908, a un congresso promosso dai deputati del Centro cattolico, in cui, dopo che il provinciale dei domenicani ebbe con elaoorato discorso inculcata la necessità pei cattolici dell’unione docile e affettuosa al « successore di Pietro », sorse un de-Sutato a battere alla cassa, chiedendo l’obolo di m Pietro per il prigioniero del Vaticano, e, dopo questo proemio, passò a giustificare la propria opera — che in quei giorni aveva suscitato un putiferio politico — di opposizione al bilancio imperiale di « espansione » coloniale (spese militari) nell’Africa centrale.
Questo deputato cattolico sì tenero per l’autorità della S. Sede e sì poco tenero per l’imperialismo conquistatore prussiano, era quello stesso che ora predica « l’assenza di tutti gli scrupoli • nella presente guerra, in contrasto con la parola, pur sì moderatamente e timidamente cristiana, del « successore di Pietro »: egli era il deputato Mattia Erzberger del Centro cattolico...
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(Novità) John Viénot: Paroles Françaises prononcées à moratoire du Louvre.
Sommario: La France nouvelle - Les « bons Français » -L’Allemagne et le Protestan IL FALLIMENTO DELLO JEHAD (Guerra santa)
Il tentativo di dare un carattere religioso alla presente guerra, non è solo stato soffocato dal ridicolo nelle nazioni che professano la figliolanza comune di uno stesso Padre, rivelato dal comune Signore e Cristo, ma, ciò che ha maggiore importanza, esso è fallito puranco in quella religione-armata, quale il Maomettismo, che per più di dodici secoli aveva proclamato la scimitarra il più alto strumento di proselitismo, e aveva fatto della distruzione dei « miscredenti »l’atto più eroico e meritorio di religione. La proclamazione dello Jehad, o « Guerra santa » ha miserabilmente fallito il suo scopo, non ostante che il fanatismo religioso. fosse alimentato da ruscelli di oro tedesco, c dalla prospettiva della riunione di tutto il mondo musulmano, emancipato dalla dominazione inglese, francese e russa, sotto un grande impero d’Oriente, parallelo al grande impero tedesco d’occidente.
Lo Sceik-ul Islam e i capi religiosi proclamarono nelle consuete forme lo • Jehad Sherif • (La « Guerra
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santa • della religione): i giornali pubblicarono dettagliati articoli sensazionali annunziando l’effettiva rivolta di tutto il mondo musulmano (circa 250 milioni). « I musulmani dell’india erano in rivolta per scuotere l’odiato e tirannico giogo inglese; il Caucaso intiero era in rivolta; gli Arabi dell’Africa del Nord e dell’Egitto avevano inalberata la bandiera verde emblema della guerra santa.. Ma tutti questi espedienti non riuscirono a suscitare l’entusiamo atteso. Come scrive sul New York World un corrispondente da Costantinopoli, « fatta eccezione degli assassini commessi nelle provincie da popolazioni fanatiche contro i nativi cristiani, nessuno segno si manifestò di fanatismo religioso. È da notare che la proclamazione dello « Jehad », anzitutto, significa la guerra contro tutti i Giauri, compresi naturalmente i sudditi tedeschi ed austriaci e i cristiani nativi, e la distinzione che un secondo « Fetva » dovè fare, tra Cristiani sudditi dell’Inghilterra, Francia e Russia e quelli sudditi degli imperi centrali ingiungendo di risparmiare questi ultimi, raffreddò più che della metà il fervore musulmano per il « Jehad ». Inoltre, la genuina • guerra santa » musulmana dei primi Secoli importava che ogni fedele maomettano dovesse uccidere anzitutto le sue mogli e i suoi figli, dar fuoco alla sua casa e alle sue proprietà, e quindi prendere le armi per la causa della religione, giacché la vittoria o la morte gli procurerebbero nuove mogli, nuove case, nuova ricchezza. Invece il presente « Jehad », per dirla con un qualunque turco di Pera, non è il « Jehad tradizionale dei nostri padri, ma semplicemente un Jehad a la Franca ■ (secondo i costumi francesi, cioè europèi). * E shouker Allah » (Dio sia ringraziato) che questo è o un Jehad a la Franca: giacché quando sentii che stava per essere proclamata la ‘guerra santa’ io semplicemente mi diedi a tremare, perchè non avrei mai potuto metter le mani su mia moglie e i miei figli ».
« I Musulmani — continua il corrispondente del New York World — compresero che la nazione era in guerra con nazioni grandi e potenti, ma non poterono indovinare le ragioni di una guerra religiosa universale. Turchi che avevano viaggiato in Egitto e in altre terre popolate da Musulmani, avevano riportato la notizia che i loro correligionari in questi paesi godevano di tutti i benefizi della civiltà e del progresso ed erano senza dubbio più ricchi dei Turchi stessi nella Turchia; che vi erano Musulmani milionari a ventine nel Caucaso, in Russia, in Egitto, in India ed altrove, mentre non vene è neppure uno in Turchia. I Turchi rispettano gl’Inghesi, amano i Francesi e hanno paura dei Russi: perchè dovrebbero dunque combatterli? Il Comitato aveva dichiarato la guerra, ma essa non poteva essere una guerra popolare... Un segno evidente che lo ’Jehad’ non fece alcuna impressione in Turchia, è che i giornali turchi pubblicati in Costantinopoli in questi ultimi mesi hanno cessato di pur menzionare la guerra santa. Oltre ai Turchi, si aspettava che anche
tisme - « Il faut opiniâtrer » -La Vitalité française - L’oubli des Morts - « La race élue, la nation sainte »
Vol. di pp. 180. In Italia: L. 2,50.
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(Novità). Paul Stapfer: Les leçons de la guerre.
Fins de mondes - Ère nouvelle - Le Dieu de l'AUemaf 'ne - La liberté humaine révélée parla guerre-Question de conscience -Sincérité - Mon dernier petit sermon de guerre -L’origine du mot ■ boche • — Sois bon.
Vol. di pp. 180. In Italia: L. 3,50.
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[Novità] Giulio Urbini: Arte Umbra. Vol. di pagg. vin-255 con numerose il lustrazioni . Prezzo L. 3.
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[Novità] Michelangelo Billia: Le ceneri di Lovanio e la filosofia di Tamerlano. Pag.
Sommario: Perchè - Dopo settantanni - A Rodolph Euken (4 agosto) - Dedica - Le ceneri di Lovanio e la filosofia di Tamerlano (6 novembre 1914) -Dovere, io, coscienza - La guerra all’Austria non è inevitabile (i marzo 1915) - Noi facciamo la guerra alla Germania (giugno 1915) - Austria troppo vii nemico fi luglio 1915).
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[Novità] Charles Bost: La plainte et le devoir. Sermons frêchés dans le temple de
Eglise Réformée du Havre en 1914 et 1915. Pagine 215. Lire 3.80.
Sommario: Le chant funebre de David sur Saül et Jonathan - La plainte suprême di Jésus - « Un autre te ceindra » -Luther et Calvin - « Achetez
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une épée » - La > Mystique » de la Souffrance - ...Jusqu'à ce que la calamité soit passée - Donne-moi celui que tu aimes - ■ Ces os pourront-ils revivre ? » - « Passons à l’autre rive ! »
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(Novità) Charles Wagner: Réception des catéchumènes. Première communion. Pag. 35. Prezzo cent. 50.
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(Novità] H. Nazariantz: L'Armenia. Il suo martirio e le sue rivendicazioni. Vol. di pag 80. L. 1,25.
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( Novità] Alfred Loisy: Guerre et religion. Vol. di pag. 200. !.. 3.
gli Arabi, che sono preponderanti nell’impero ottomano, e i Curdi si levassero per lo 'Jehad’. Invece l’antagonismo degli Arabi contro il Governo si manifestò cosi chiaramente, che un gran numero di essi furono impiccati in Béirut, in Daines, e in altre località della Siria, e vi fu una rivolta di dieci mila soldati arabi nei Dardanelli, che dovettero essere attaccati, disarmati, e rinviati nell’Anatolia. Se alcuni sceicchi e alcune tribù arabe si sono, tuttavia, congiunte all’armata turca che si oppone all’avanzata inglese nella Mesopotamia, ciò è dovuto interamente alla prodigalità dell’oro prussiano e non a motivi religiosi.
■ Recentemente Enver Pascià disse all’ambasciatore americano sig. Morgenthan che i Curdi di Dersim avevano attaccato la gendarmeria turca che scortava alcuni Armeni deportati, e dopo averne uccisi 17, aveva preso gli Armeni sotto la loro protezione... e si erano dati a saccheggiare i vicini villaggi musulmani...«.
In conclusione, guerra atroce, sterminatrice, « diabolica» se si vuole, ma non più, e mai più «guerra santa ».
Giovanni Pioli.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma - Tipografìa dcll'Unione Editrice, Via Federico Cesi, 45.
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BILYCHNI
RIVISTA MENSILE ILLUSTRATA
DI STUDI RELIGIOSI ® ® ®
VOLUME VII.
ANNO 1916 - I. SEMESTRE
(Gennaio-Giugno. Fascicoli I-VI)
ROMA
VIA CRESCENZIO, 2
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INDICE PER RUBRICHE
INDICE DEGLI ARTICOLI.
A. G. e Giovanni Pioli: Intorno ad una I anima e ad un’esperienza religiosa. In memoria di Giulio Vitali, p. 361.
Breitenstein J.: La santità di Gesù, p. 298, Costa Giovanni: L’Austria luterana e la Dalmazia italiana, p. 126.
Falchi Mario: Affinchè essi non siano morti invano, p. 41.
De Stefano Antonino: I Tedeschi nell'opinione pubblica medievale, p. 109.
Id.: 1 Tedeschi e l’eresia medievale in Italia, p. 429.
Janni Ugo: Il Cristianesimo e la nostra , guerra, p. 349.
lìle Ego: Il « modernismo • che non muore, p. 225.
Liabooka Ivan: L’adommatismo russo 1 e il rinnovellamento religioso del Cristia- I nesimo, p. 287.
Luzzi Giovanni: La versione Diodati n a della Bibbia e i suoi ritocchi, p. 310.
Meille Giovanni E.: Lo sterminio di un popolo (con introduzione di Corrado Corradini), p. 181.
Murri Romolo: Cristianesimo e Storia (Ad A. Ghignoni), p. 58.
Orano Paolo: Il Papa a congresso, p. 116. : Pioli Giovanni: Un episodio romantico j e tragico della « Repubblica Romana », i p. 220.
Quadrotta Guglielmo: Religione, Chiesa I c Stato nel pensiero di Antonio Sa- i landra, p. 5.
Id.: Il Pontefice romano e il Congresso i delle Potenze per la Pace. Un’inchiesta nazionale, p. 269, 375.
Rossi Mario: Praga, la «città d’oro», al- 1 l’alba dell’ussitismo, p. 93.
Id.: Razze, religioni e Stato in Italia se- j condo un libro tedesco e secondo l’ul- ' timo censimento, p. 131.
Rutili Ernesto: Pro e contra l'intervento del Papa al Congresso della Pace (Sunto dei principali scritti comparsi sul soggetto in riviste e giornali italiani), P 249. 329.
Id.: Vitalità e vita nel cattolicismo (XI), p. 449.
Rubbiani Ferruccio: Padre Gazzola, p. 53, Tagliatatela Eduardo: Morale e religione.
p. 28.
Id.: L’insegnamento religioso secondo odierni pedagogisti italiani, p. 354.
Tucci Paolo: La guerra nelle grandi parole di Gesù, p. 197.
Wagner Carlo: L’evangelo e gl’intellettuali, p. 444.
PER LA CULTURA DELL’ANIMA.
Chiminelli Pietro: Il « Padrenostro», p.387.
INTERMEZZO.
Fratello Pace (p. G.): Visione di Natale, P- 233.
Paschetto Paolo A.: I. «... Quando pregate... ». IL «Padre nostro...». III. « ...Il tuo regno venga... ». (Tre disegni). Tavole tra le pagg. 316 e 317.
NOTE E COMMENTI.
Gàrdiner Roberto H. : Verso l’unione delle Chiese - Una conferenza mondiale, p. 149.
Lettera di Antonio Salandra (G. A), p. 144.
Orano Paolo: Lutero n ateo e materia-lista »? Una risposta, p. 147.
Pioli Giovanni: Lutero « ateo e materia-lista ? », p. 67.
Pioli Giovanni: Intorno al valóre pratico della presenza del Papa al Congresso, p. 148.
Rubbiani Ferruccio: La - Rivista di Scienza delle Religioni » condannata!, p. 480.
Whittinghill D. G.: Augurii, p. 65.
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IV
BILYCHNIS
TRA LIBRI E RIVISTE.
/I) I libri.
Asioli Luigi: Vita di Gesù (S. Bridget), p. 407.
Aufhauser I. B.: Antike Jesus - Zeugnisse, | p. 326.
Baudrillart A.: Saint Paulin évêque de ; Noie (A. D. S), p. 405.
Bazin René: Pages religieuses (S. Bridget) !
P- 247Beaufreton M.: S.te Claire d’Assise (A. D. ; S.), p. 405.
Benetti-Brunelli Valeria: 1 valori del- , l'educazione (S. Bridget), p. 248.
Bousset W.: Die Religion des Judentums im Neutestamentlichen Zeitalter, p. 246. ;
Id.: Kyrios - Christos, p. 245.
Buller: Wilhelm Gesemus* hebräisches ' und aramäisces Handwörterbuch über । das Alte Testament, p. 472.
Buttenwieser M.: The prophets of Israel ; from the eight to the fifth century: , their faith and their message, p. 324.
Causse A.: Les prophètes d’Israël et les ' religions de I’Orient, p. 324.
Cellini A.: L’ultima crisi biblica, p. 240.
Charles R. H.: The Apocrypha and Pseudo-epigrafa of the Old Testament, p. 467. !
Clemen C.: Der Einfluss der Mysterien- j religionen auf das älteste Christentum, P- 244Clerc C.: Les Théories relatives au culte des Images chez les auteurs grecs du II«“« siècle après J. C. (Giovanni Costal, I cXiifë. H.: La cultura dell’antico Israele
P- 242> ... .iDebrunner A.: Friedich Blass’s Grammatik des neutestamentlichen Griechisch, ' P- 472De Unamuno Miguel: Del sentimento tra- ! gico della vita (m.), p. 478.
De Wulf: Storia della filosofia medievale (m.). p. 473.
Driver S.: The ideals of the Prophets, P- 325Faber G.: Buddhistische und Neutesta- ; mendiche Erzählungen, p. 326.
Fouard G.: Vita di Nostro Signore Gesù ' Cristo, p. 328.
Foucart P.: Les Mystères d'Eleusis, p. 244. :
Garten P.: The Ephesian Gospel, p. 246.
Gautier L.: Introduction à l’Ancien Testament, p. 466.
Gianola Alberto: Il sodalizio pitagorico i di Crotone (Arnaldo Cervesato), p. 152. [
Gunkel Hermann: Saggi sull’A. Testamento, p. 24 T.
Hamilton King Harriet Eleanor: La religione di G. Mazzini in rapporto alla Chiesa cattolica (S. Bridget), p. 406.
Harnack A.: Die Entstehung des Neuen Testament und die wichtigsten Folgen des neuen Schöpfung, p. 467.
Hehn G.: Die bilische und babylonische Gottesidee, p. .323.
Heitmüller XV.: Jesus, p. 327.
Hölscher F.: Die Propheten, p. 323.
Jastrow M.: The civilization of Babylonia and Assyria, p. 322.
Jeremias A.: Handbuch der altorientalischen Geistes Kultur, p. 323.
Jones M.: The New Testament in the twentieth century, p. 467.
Keller Ludwig: Le basi spirituali della Massoneria e la vita pubblica (m.), p. 479 Kennedy H.: St. Paul and the Mystery-Religions, p. 245.
Kent Charles: The life and theaching of Jesus according the earliest records, P- 32 7Kittel Rudolf: Biblia Hebraica, p. 243.
Lagrange M. J.: Mélanges d’histoire re-hgieuse (Giov. Costa), p. 465.
Macalister S. : The Philistines, their History and Civilization, p. 468.
Mains G.: Divine Inspiration, p. 240.
Marti Karl: Studien zur semitischen Philologie und Religions geschiche, p. 243. Mignot mgr. E.: Confiance en Dieu, Lettre Pastorale 'S. Bridget), p. 406.
Missiroli Mario: Il Papa in guerra (To-satti Quinto), p. 402.
Murri Romolo: La Croce e la spada (Ferruccio Rubbiani), p. 157.
Id.: Il Sangue e l’Altare (Bridget S.), p. 404. ......
Naldi Bruno: Opuscoli e testi scelti di S. Tomaso d’Aquino (S. Bridget), p. 247.
Naville Ed.: Archaeology of the Old Testament, p. 323.
Oesterley W.: The books of the Apocrypha, their origin, theaching and contents, p. 467.
Pctazzi G. M. S. J.: Gesù vivente nella Compagnia di Gesù, p. 248.
Puukko A: Das Deuteronomium, p. 243.
Rinieri p. Ilario: Le origini cristiane (S. Bridget), p. 406.
Robertson A. T.: Studies in the New Testament, p. 467.
Salvatorelli Luigi ed Hühn E.: La Bibbia: introduzione all’Antico e al Nuovo Testamento, p. 466.
-------¿A.
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•------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------INDICE
Schweitzer A.: Geschichtc der Leben -Jesu Forschung, p. ¿25.
The International Bible Enclyclopaedia, p. 473Thorburn: Jesus thè Christ: Historical or Mythical?, p. 325.
Tilgher Adriano: Pragmatismo trascendentale (m.), p. 477.
B) Le riviste.
Alliotta A.: Il nuovo Realismo, p. 320.
Aristotele nel Medio Evo (m.), p. 47^.
Balbino Giuliano: Il valore degli ideali (m.), p. 397.
Brown Jonn Richard: Il carattere di Gesù.
P- 328. . .
Buonaiuti E.j L’ ■ Ottavio » di Minucio j
Felice e il culto d'Iside in Roma (Giov. 1 Costa), p. 464.
Cantarelli L.: Sul mitreo sotto la basilica j di S. Clemente, p. 464.
Cesarini Sforza Widar: Religione e politica nel pensiero di Gioberti (m). p. 394- I
Clcrc C.: Les théories relatives au cuite des !
Images chez les auteurs grecs du II.me | siècle après J. C., (G. Costa), p. 463.
Columba G. M. e Pace B.: Ricerche sul . nome « Egeo ■ (Giov. Costa), p. 462.
Croce Benedetto: Il modernismo di Gio- । berti (mO, P- 394- . . . .
Cultrera G. : Gh ■ Apollinis parasiti ■ (Giov. Costa), p. 462.
Cumont Fr.: Gh Angeli del paganesimo (Giovanni Costa), p. 461.
Deonna: Sul culto del dio Sole (Giov. Costa) P- 4<>4- . . oa
Dobschutz (prof, v.): La rinuncia all’idea > canonica per la Scrittura Sacra, p. 468. j Fornari F.: I) rito della cena alla water
Lanini nel culto degli Arvali (Giov. Costa), p. 462.
Giannelli G.: L’iniziazione dei maggiori : uomini romani ai misteri eleusini, p. 464. !
Hébert Marcel: Renan e l’immortalità • (m.), p. 399.
La filosofìa nel Belgio (m.), p. 473.
Le mariage Gould-Castellane, p. 407.
L’Etica di B. Croce (m.), p. 475.
Lugli G.: Il culto e i santuari di Ercole vincitore in Roma (Giov. Costa), p. 463. !
Maggiore G.: La religione di Fichte, p. 321. ,
Meyer E.: Sul dio Rediculus e sul dio Tutanus (G. Costa), p. 464.
Péladan: La faillite du Christianisme e« Allemagne (S. Bridget), p. 407.
Sciava R.: Il mito di Procri. Cefalo e l’Aurora, p. 464.
Saintyves P.: L’origine dell'infissione dei chiodi su statue (Giov. Costa), p. 462.
Salvatorelli Luigi: Storia del domma c Storia dei donimi, p. 318.
Sitting E.: Un nuovo appellativo di Zeus, p. 465.
Tarozzi Giuseppe: Morale e religione negl’italiani (m.). p. 395.
Turchi Nicola: Il culto degli Arvali (Giov. Costa), p. 462.
Varisco Bernardino: Scuola e Religione, p. 319.
LA GUERRA.
Notizie - Voci — Documenti.
pp. 69 - 161 - 338 - 409 - 481.
ILLUSTRAZIONI.
Antonio Salandra (ritratto), Tav. tra le pp. 4 c 5.
La Cattedrale di Trento (Disegno di Paolo A. Paschetto), p. 68.
Tessera per la mostra d’arte di Sarzana (Disegno di Emilio Mantelli), p. 79.
Vedute della città di Praga. 7 illustrazioni tra le pp. 93 e 109.
Carta topografica dell’Armenia, p. 185.
Il prof. Thumaian imprigionato e condannato a morte dai turchi, p. 1S9.
Orfanelli armeni dei dintorni di Van. Tav. tra le pp. 192 e 193.
Visione di Natale (Disegni di Paolo A. Paschetto), p. 233.
Il Padrenostro (Tre disegni di Paolo A. Paschetto), Tav. tra le pp. 316 e 317.
La Chiesa di S. Apollinare a Trento (Disegno di Paolo A. Paschetto), p. 408.
Il trionfo dello Zeppelin - I bambini dei « Lusitania • (Disegni di Raemaekers), Tavole tra le pp. 416 e 417.
I bambini del Belgio - Le vedove del Belgio (Disegni di Raemaekers), tavole tra le pp. 488 e 489.
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INDICE GENERALE
Adommatismo: L’A. russo e il rinovella-mento religioso del Cristianesimo, p. 287.
Alliotta A., p. 320.
Angeli: Gli A. nel paganesimo, p. 462.
Apollinis parafili, p. 462.
Apparizioni: A. di Cornigli©, p. 458.
Arangio Ruiz Gaetano, p. 280.
Aristotele: A. nel Medioevo, p. 474.
Armenia: Lo sterminio di un popolo, p. 181.
Arnaldismo, p. 429.
Arvali: Culto degli A., p. 462.
Asioli Luigi, p. 406.
Aufhauser J. B., p. 326.
Austria: L’A. luterana e la Dalmazia italiana. p. T26.
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90
yin
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Puukko A., p. 243.
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Rasmussen (dott.), p. 302.
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Rediculus (Dio), p. 464.
Religione: R., Chiesa e Stato nel pensiero di Antonio Salandra, p. 5 ; Morale e R„ p. 28; Razze, Religioni e Stato in Italia secondo un tedesco e secondo l'ultimo censimento, p. 131; R. e guerra, p. 157; Scuola e R., p. 3x9; La R. di Fichte, p. 321; Morale e R. negli italiani, p. 395; Religioni del mondo classico, p. 461.
Renan Ernesto: R. e l’immortalità, p. 399. Repubblica Romana: Un episodio romantico e tragico della R. R., p. 220.
Rinieri p. I lario, p. 406.
Ritsch, p. 296.
Rivista di Scienza delle Religioni, p. 455.
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Rossi Mario, p. 93, 131.
Rubbiani Ferruccio, p. 41, 157. 480.
Rutili Ernesto, p. 249, 329, 449.
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Saintyves P., p. 462.
Salandra Antonio: Religione, Chiesa e Stato nel pensiero di A. S., p. 5 : Ietterà di A. S., p. 144.
Salette: I secreti della S., p. 457.
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Sciava R.. p. 464.
Sellin (prof.), p. 469.
Siotto Pintor Manfredi, p. 379.
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Sederini Edoardo, p. 257.
Sole: Culto del S., p. 464.
Solmi Arrigo, p. 276.
Stato: Religione, Chiesa e S. nel pensiero di Antonio Salandra, p. 5; Razze, Religioni e S. in Italia secondo un libro tedesco e secondo l’ultimo censimento, P-. 131. ...
Storia: Cristianesimo e S.. p. 58; S., del Domma e filosofìa del Domma, p. 318 (V. anche: Storia del Cristianesimo).
Storia del Cristianesimo: Praga, la « città d’oro », all’alba dell’ussitismo, p. 93; I tedeschi e l’eresia medievale in Italia, p. 429 (V. anche: Cattolicismo, Religione, Papa, Lutero, ecc.).
Taft William Howard, p. 481. Tagliatatela Eduardo, p. 28, 354.
Tarozzi Giuseppe, p. 395.
Thorburn (dr), p. 325.
Tilgher Adriano, p. 477.
Tosatti Quinto, p. 400.
Troeltsch (prof.), p. 486.
Tucci Paolo, p. 197.
Turchi Nicola, p. 462.
Tutanus (Dio), p. 464.
Unamuno (de) Miguel, p. 478.
Ussitismo: Praga, la « città d’oro » all'alba dell'U., p. 93.
Valli Eugenio, p. 334.
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Varisco Bernardino, p. 319.
Vigouroux F., p. 247.
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Vitali Giulio: Intorno ad un’anima e ad un’esperienza religiosa. In memoria di G. V„ p. 36X.
Wagner Carlo, p. 449.
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Winkler Hugo, p. 323.
Wundt Wilhelm, p. 488.
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