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BILYCMNIS
Anno Vili. - Fasc. IV. ROMA - 15 APRILE 1919
Volume XIII. 4
Giovanni Marchi: Il “confiteor” dei giovani.
“QUI QUONDAM,,: Dopo-guerra nel clero.
GIOVANNI E. MEILLE: Psicologia di combattenti cristiani.
PAOLO Tucci: Uno scritto di M. Lutero: “Se la gente di guerra possa, anche essa, essere in ¡stato beato”.
EMMANUEL: La religione di un letterato.
RUBRICHE FISSE:
Per la cultura dell’anima - Enrico Ma-SINl : Epistola ai fratelli di buona volontà -Spigolature.
Note e commenti - Luisa Giulio Benso: La scuola femminile e le riforme.
I Cronache - G. Quadrotta : Note di politica Vaticana e azione cattolica.
Tra libri e riviste - Giov. Pioli: per il IV Centenario della Riforma (VI. I ) - GlOV. COSTA: Religioni del mondo classico (VII).
Notiziario - Dalla stampa.
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RII YCHNIS rivista mensile di studi religiosi
< < < < FONDATA NEL 1912 > > * >
CRITICA BIBLICA^ STOMA'DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI - PSICOLOGIA -> PEDAGOGIA FILOSOFIA RELIGIOSA ^MORALE > QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO - LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL’ESTERO SI PUBBLICA LA FINE DI OGNI MESE.
REDAZIONE: Prof. LODOVICO PASCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WHITTINGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del BabuinO, 107, Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. 7; Per l’Estero, L. IO; Un fascicolo, L. 1.
(Per gli Stali Unii! c per il Canada è autorizzato ad erigere gli abbonamenti il Rev. A. Di Domenica, B. D. Paitor, 1414 Carile Ave, Phlladelphla, Pa. (U. S. A.j).
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NOVITÀ
È uscito il 9° volume della Biblioteca di Studi Religiosi edita dal Dr. D. G. WHITTINGHILL /
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STUDIO STORICO CRITICO
. di PIETRO CHIMINELLI
autore del. voi. Il n 'Padrenostro 11 e il mondo moderno.
11 volume comprende i seguenti capitoli:
I. Il mondo al tempo della nascita di Gesù.
II. Il paese di Gesù.
ìli. La Madre di Gesù. <
IV. Gli anni silenziosi di Gesù.
V. La predicazione di Gesù.
VI. Le Parabole dì Gesù.
VII. I principali insegnaménti di Gesù.
Vili. Gli “ agrapha 99 o le parole di Gesù non registrate.
IX. I miracoli di Gesù.
X. Le riforme operate da Gesù.
XI. L’ultima settimana della vita di Gesù.
XII. Oltre la tomba.
Il voi. di oltre 500. pagine si vende al prezzo di L. 4.
Rivolgersi alla Libreria Ed. Bilychnis, Via Crescenzio, 2 - ROMA.
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Anno ottavo - Fasc. IV.’ Aprile 1919 (Vol. XIII. 4)
SOMMARIO:
Giovanni Marchi : Il « Confiteor » dei giovani ........ Pag. 254
Qui quondam: Dopo-guerra nel Clero.......... ... » 260
Giovanni E. Meille: Psicologia di combattenti cristiani .... > 272 Paolo TUCCI: Uno scritto di M. Lutero: < Se la gente di guerra
possa, anche essa, essere in istato beato » ........ »283
Emmanuel : La religione di un letterato .......... » 288
PER LA CULTURA DELL’ANIMA :
Enrico Masini : Epistola ai fratelli di buona volontà .......... » 290 Spigolature : Immortalità (Giuseppe Mazzini) ............... . 299
NOTE E COMMENTI :
Luisa Giulio Benso: La scuola femminile e le riforme .......... > 300
CRONACHE:
Guglielmo Quadrotta: Note di Politica Vaticana e azione cattolica: I cattolici dinanzi allo Stato - Il pensiero dei liberali - La chiesa e la nazione - Chiesa e democrazia - Dal « Patto Gentiioni » al programma di don Sturzo - Socialisti e cattolici - Il Vaticano e il P. P. I. - Le obbiezioni del Card. Gasparri - Anticlericalismo vecchio e nuovo - Religione e politica - Il significato del XX Settembre: le riserve dei cattolici - Un articolo di don Sturzo - Benedetto XV contro i Sionisti e i Protestanti - I « seminatori di oro e di errori ». » 303
TRA LIBRI E RIVISTE :
Giovanni Pioli: Per il Centenario della nascita della Riferma (VI,X) : Aspetti e conseguenze politiche della Riforma: i primi repubblicani francesi . ............. . . ........ ...... • 316
Giovanni Costa : Religioni del mondo classico (VII) : Amuleto magico -Bassorilievo mitico - Culto dei re divinizzati -• Culto dell’imperatore - Culti orientali nei padri della chiesa - Demone socratico - Bidone - Donna nel pensiero dei padri della chiesa greca del IV secolo - Eroi della mitologia greca - Giuliano l’Apostata - Menhir - Miti sulla creazione - Mitra - Offerte votive belliche - Passio sancii Fcli-ciani - Plutarco e la letteratura cristiana antica - Stoicismo e cristianesimo - ecc. ........... .............................
Notiziario ..................................... » 326?
Dalla Stampa . . . . ........................ . » 329
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IL “CONFITEOR,, DEI GIOVANI
I.
oi siamo dei vecchi, il sole della nostra giovinezza è tramontato avanti di sorgere; la guerra ci ha reso al paese più forti, più seri; ma non certo più giovani.
Noi cerchiamo affannosamente qualche cosa di nuovo da abbracciare, d’incognito da scoprire; qualche cosa che appaghi lo spirito smarrito, e non troviamo.
Siamo dei vinti, ci sembra almeno di essere dei vinti.
C’illudemmo sulla solidità e sul trionfo di certe idee che
al contatto della realtà svanirono come un castello incantato. E rimanemmo più delusi, più scoraggiati di prima.
Avevamo sete di cose nuove — cupiditfis veruni novarum — e la letteratura, l’arte, la politica, l’economia, tutto scandagliammo con la nostra avidità, che non conosceva nè limiti, nè riposo. Niente; niente al di fuori del calcolo quotidiano in cui la vita trascorre e si consuma, alimentata dal lucro di una professione più o meno onestamente praticata.
Noi non vogliamo essere calcolatori, non vogliamo guadagnare. La lotta per la vita la concepiamo come una lotta di affinamento spirituale; giudichiamo le azioni quotidiane dalle cause che le determinarono e non dai risultati a cui giungono. Siamo uomini, vogliamo essere uomini nel pieno significato della parola: uomini che pensano, che vogliono, e al pensare e al volere danno un'impronta personale di assoluto disinteresse.
Eppure brancoliamo sperduti nel buio, mentre tanto sole è fuori di noi; smarriamo la via mentre tutto il mondo è per i giovani una grande palestra.
Perchè? Che fare?
Siamo figli di una generazione fallita al suo compito. I nostri nonni, bene o male, fecero l’Italia; troppo modeste furono le loro sofferenze e sproporzionato il
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resultato che ne ottennero perchè i figli ne apprezzassero degnamente il valore. Sull’opera loro si adagiarono mollemente, pigramente. Ma il mondo procedeva, e con esso la storia, nonostante la loro inerzia.
Quello che essi non dettero, e avrebbero invece dovuto dare, fummo noi a pagarlo a prezzo moltiplicato. Redimemmo le nostre e le loro colpe: che fare potevamo di più?
A tutto eravamo stati educati, non certo al sacrificio. Oggi sentiamo nello smarrimento che c’invade" il peso di questa deficienza.
Non è tempo di recriminazioni nè di pianto; usciamo da una -ovina che ci assorbì gli anni migliori, è vero; ma quante cose non abbiamo imp rato, quante lacune non abbiamo colmato in questi anni?
Tutto sta nell’uscirne in piedi. Abbandonare una lotta, per iniziarne un’altra, forse più dura, forse più difficile.
Prima di tutto contro noi stessi. La realtà frantumò l’ideale, diciamo. Magra attenuante davvero. Avemmo mai un ideale? 0 non scambiammo per esso un evanescente atteggiamento estetico del tutto superficiale?
Dentro, nel profondo nostro che c’era? L'ideale è pensiero maturato dalla riflessione, provato all’azione; ma chi mai ci aveva spinto a riflettere e ad agire? Tanto bello era il mondo, e tanto facili le sue conquiste! Non c’era posto per lo spirito, grande spazio invece per gli atteggiamenti esteriori.
Recitiamo il confiteor, e cerchiamo. La guerra ci costrinse a spiare, sorprendere, cacciare il nemico. Dentro noi stessi c’>è pure un nemico, scopriamolo per fugarlo.
Rifacciamo la nostra giovinezza basandoci sull'esperienza tanto duramente pagata. Abbiamo bisogno di uomini nuovi; attingiamo al passato, a quello remoto, quanto ci è utile e indispensabile; aggiùngiamoci quanto di buono possedevamo e cominciamo daccapo.
Lavoreremo per gli altri, per quelli che verranno dopo di noi. Una generazione vive e si sviluppa in quanto sa ereditare dalla generazione precedente per continuarla. Prepariamo questa eredità: il nulla produce il nulla. Siamo stanchi di inerzia!
Procediamo dunque.
II.
Ci furono dei morti, c molti.
Migliaia e migliaia.
Li vediamo ancora, sappiamo contarli.
Non morirono per se stessi, ma per gli altri.
Per l'Italia, in quanto questa Italia era noi, era la nostra storia, il nostro avvenire. Raccogliemmo una forza nuova, là sui cadaveri, e nella commozione del momento mille e mille proponimenti si affacciarono al nostro spirito dolorante. C’era la guerra, e non potevamo attuarli. I morti rimanevano calmi sotto la nostra protezione, che era anche una promessa.
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Oggi non più. La guerra è terminata, e bisogna mantenere. Sarebbe un tradimento, una morte nuova che loro daremmo, se l'opera nostra non raccogliesse la potenza della loro dedizione.
Il positivismo ci avvelenò, lo sperimentalismo ci rese dubbiosi, il letteratu-rismo ci educò leggeri. Questi ismi furono la nostra rovina. Fortuna che siamo in tempo a salvarci.
E salvarci prima di ogni .altro male dal soggettivismo, figlio primogenito di quegli ismi non mai abbastanza deprecati. Ci esaurimmo in noi piuttosto che votare la nostra azione a qualche cosa che fosse al di sopra di noi. Anche i più generosi, i più idealisti!
L’« io » fu principio e fine a se stesso; c’era voluto il cristianesimo a distruggere la congrega multiforme degli idoli, e noi uno nuovo, potente quanto tutti quelli, innalzavamo alla nostra adorazione: il noi slessi. Volendo vivere la nostra vita non ponevamo mente che nulla può esserci di nostro se non in quanto sappiamo trasfonderci e realizzarci negli altri. Vero è che in costoro ben, poco trovammo di che nutrirci e c’illudemmo allora creare un ideale del tutto personale. Parola astratta davvero; eppure quanto entusiasmo non vi profondemmo, di quanto eroismo non fummo capaci? Tornammo a mani vuote, s’intende: entusiasmo ed eroismo non miravano ad un ideale, ma ad un nostro ideale. Ognuno di noi che falliva, falliva per sempre. Nessuno poteva aiutarci, in quanto ciascuno lavorava per sè e basta. E perchè invece questa concezione dell'ideale sia veramente proficua di bene, occorre dare al valore e alla qualità un’anima, perchè solo dando anima ad ogni nostro sentimento e ad ogni nostra azione ci sentiremo capaci di trasformare.
III.
Trasformiamo la scuola. I suoi mali sono i nostri, bisogna guarirci per guarirla. Gli attuali sistemi di educazione hanno fatto bancarotta; oggi possiamo parlarne senza rossore perchè la guerra ci ha purgati. L’umanitarismo che aveva predominato quale indirizzo educativo ci snervò, ci rese inermi. Fu necessario uno sforzo per riprenderei, fare appello alla nostra dignità per non sentirci meno degni; I senza scuola salvarono la patria, non per coscienza, per istinto. In noi la scuola aveva ucciso anche quello. L’internazionalismo tolstoiano aiutava la nostra pigrizia e nell’accordo di tutti gli uomini la nostra vigliaccheria trovava un comodo paludamento. Appunto per questo «.l'accordo» era irraggiungibile in quanto implica conoscenza del valore delle diverse nazioni; rispetto alla sforzo di ascesa di ognuna di esse; gara feconda per raggiungerle e sorpassarle.
L'umanitarismo ci rese stranieri a noi stessi; c’immerse in un sogno dorato da cui ci tolse bruscamente il cannone. La scuola deve essere nazionale, e a questo fine deve indirizzare tutta la sua opera.
Noi concepiamo il tutto in quanto la sua concezione rientra nella nostra comprensione, senza della quale cadiamo nel paradosso di presumere un effetto senza la
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causa determinante. Ubriachi di soggettivismo pretendevamo raggiungere il suo assurdo: l’umanitarismo. Contraddizione in termini, chè non si può coltivare un’idealità tanto estesa negandola nelle sue singole parti. L’umanitarismo fu un pugno di mosche; alla prima difficoltà inciampò e cadde, e la percossa dette fuoco alle polveri. Se avessimo avuto una buona educazione nazionale, ciascun popolo per suo conto, forse avremmo evitata la guerra.
Facciamo dunque la scuola nuova. Quella che fu e che abbiamo non serve: è un disagio che tutti sentono, ma a cui pochi pongono mente per evitare lo sforzo di rimediarvi. Noi siamo minacciati, soffocati anzi da un perverso spirito di utilitarismo che si riflette nella scuola sotto la forma di un mezzo adatto a guadagnare il pane con minore sforzo e più decoro e a dare un’ impulso di celerità alle nostre aspirazioni dell’impiego e della carriera. Per questo preferiamo un sistema di cultura estensiva, l’erudizionismo, che contrasta con tutta la tradizione del pensiero italiano. La così detta cultura generale è una truffa al sapere, perchè non mira ad essere una cultura veramente liberale ed umana; ma a scorazzare vertiginosamente per tutto lo scibile conosciuto. L’allievo ne res^a stordito: l’ideale sviluppato e nutrito da una simile erudizione finisce prima o pòi per materializzarsi. Predomina il concetto della necessità di immagazzinare, non quello di conoscere. Considera la grandezza del numero, non il suo valore, e pili quella si estende, e più l’abbaglio cresce.
. La nostra scuola deve darci invece una cultura viva e per essere tale, per essere consistente, dovrà essere una cultura nazionale. Il suo compito è quello di formare nell’alunno uno stato di personalità, sua in armonia con le personalità anteriori e con quelle che dovranno succedere. Studiare non significa solo apprendere: significa cercare, c cercare se stessi attraverso gli altri.
L’intellettualismo è spagnolismo; somiglia ai cavalieri con pennacchio e parrucca, vesti smaglianti e armi dorate, parole grosse e gesti minacciosi; ma in sostanza non certo cuor di leoni.
Creiamo una scuola tutta nostra. Bando alla democrazia nutrita di verbalismo rocambolesco, e bando anche all’umanitarismo nebuloso. L'educazione — scrisse uno straniero -— deve portarci alla libertà in un spirito di solidarietà, e alla solidarietà in uno spirito di libertà. Così si attuerà anche l’internazionalismo tra i popoli, e non altrimenti.
IV.
Diamo un senso religioso alla vita.
Nessun popolo quanto il nostro è più tenacemente attaccato alle forme della sua fede tradizionale; ma nessun popolo è anche meno religioso del nostro.
Sembra un paradosso, eppure è così. La fede è un atteggiamento estetico: si discute, s'accetta o si rigetta come una teoria filosofica qualunque. Lo scetticismo non è tanto originato dal dubbio tormentoso dello spirito, quanto dalla leggerezza con cui ci poniamo di fronte al problema religioso.
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Abbiamo troppa domestichezza con Dio.» per questo noi giovani l’abbiamo perduto. Alcuni anni fa era da forti parlarne con disprezzo; oggi invece preferiamo tacere. La guerra ha ripassato, riveduto, corretto tutto quello che fu. Ci ha sconvolti uno per uno, costretti a piegarci sul vuoto che domina il nostro spirito. Il pericolo quotidiano, con la morte insidiatrice ad ogni passo, la sofferenza che trova sfogo in se stessa, la nostalgia malinconica hanno contribuito a farci credere e ricredere.
C'è Dio dunque? C’è una religione alla cui dottrina possiamo attaccarci per sfuggire allo smarrimento che ci circonda?
Abbiamo cercato e non abbiamo trovato. Vero ancor questo. Ma che pretendevamo trovare? Le religioni tradizionali non potevano dirci nulla, perchè eravamo fuori dai loro dogmi, dalle loro teologie, dalla loro struttura giuridica. Esse limitano necessàriamente la libertà, e noi ci sentiamo invece giovani per un insaziabile desiderio di libertà.
Contentiamoci di meno, di molto meno. La guerra fu una continua tensione dello spirito verso l’alto; la famigliarità con la morte diminuì in noi l’importanza della vita. C’era qualche cosa più in su che non conoscevamo, ma a cui i nostri sforzi tendevano senza posa. Dio era in noi, nel sacrificio estremo che ognuno era disposto ad accogliere per la salvezza della patria della quale avevamo coscienza: come era in coloro che pure questa coscienza non avendo, dominati da un dovere che essi sentivano confusamente, accettavano rassegnati l’ultima renunzia.
È mai possibile che questo stato di animo col ritorno della pace si tramuti nel solito scetticismo di un tempo?
E allora come possiamo dirci giovani, chiamarci idealisti?
L’idea non è una nebulosa: è sostanza. Ecco quello che mancò ai nostri atti, alle nostre aspirazioni; ecco la fonte dei nostri scoraggiamenti e delle successive renunzie. Corriamo dietro alle chimere, e la nostra corsa dura finché l’inganno non è manifesto. Allora ci fermiamo; alcuni vanno verso la solita vita, altri attendono il passaggio di un’altra chimera che li sospinga a nuovo cammino. Con questi io sento di essere e a questi io parlo.
Dare una sostanza alla vita significa informarla di uno spirito religioso. La morale codificata nelle leggi o nelle tradizioni non ci appaga perchè è forma e non sostanza. È spesso una scuola di menzogna, non una manifestazione di sincerità. La società l’ha creata così per la sua conservazione, per il suo egoismo. È la morale dell'« io ». La viviamo, perchè dobbiamo vivere, ma intendiamo discuterla per compenetrarla delle nostre esigenze. Anche per questo desiderio di rinnovamento ci sentiamo giovani.
Pur nonostante si pensi da qualcuno il contrario, una morale occorre non come norma restrittiva ed opprimente della vita, ma come animatrice della vita stessa. Ora è possibile ottenerla senza che lo spirito sia mosso da un ideale?
Èd è possibile avere un’ideale che sia sostanza, e sostanza religiosa, senza spogliarci da tutte le passività soggettive che dominarono il nostro passato?
Siamo uomini di fede — dicono alcuni. Ma a che risolve avere la fede? Non è essa una manifestazione del tutto esteriore di certe pratiche 'che noi compiamo
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mirando più all’effetto ch’esse producono negli altri, che non al valore che dovreb bero assumere in noi? Non ci lasciano questi atti, il più delle volte intimamente freddi? Si ha spesso una fede, e non si ha una religione. La fede nasce con noi, ci accompagna nel nostro sviluppo senza dominarlo, gli sta a lato, non lo sovrasta.
Così fino alla morte.
Copriamo questo malessere permanente chiamandolo per eufemismo crisi dello spirilo. In verità non è una crisi, tanto è vero che il più delle volte si risolve in uno sterile ateismo.
Confessiamo anche questo e rinnoviamoci.
Uno dei nostri giovani eroi, spezzato avanti tempo dal piombo nemico, scriveva dalle trincee alla madre adorata: « Un fremito di vita più intenso corre sul « vento a sfiorare i prati su cui vola, contro il solito, una folla di farfalle alpine, « tutte piccole e svelte, con un non so che di nervoso e di affrettato nel volare e nel « bere ai fiori, che fà quasi pensare che esse temano di non poter sbrigare i loro « affari, prima che le vallate comincino a vomitare la nebbia su per i pendìi. «Tra i prati e i cespugli, il ruscello corre cantando, e la montagna serena vigila «enorme su questo brulichio di piccole vite, ciascuna delle quali splende sullo « stesso fondo oscuro di mistero, su cui ella campeggia. Con questi pensieri nella « testa, lavando la mia camicia, io mi sento più vicino a Dio ».
Laviamo anche noi la nostra camicia.
Sentiamoci anche noi nell’umiltà dell’opera più vicini a Dio. Confessiamoci.
E recitiamo avanti tutto e tutti il nostro confiteor.
Giovanni Marchi.
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DOPO-GUERRA NEL CLERO
LCUNi giornali hanno pubblicato una lettera anonima indirizzata al Papa da un gruppo di preti, reduci dal servizio militare — non precisano se come cappellani o come soldati — con la quale rendono di pubblica ragione che « mentre la sospirata pace risolleva gli animi alla speranza c fa rifiorire utili e benefiche le opere dell’uomo, essi, che con sentimento di devozione profonda han dato alla patria il tributo delle loro più valide energie adesso, tranquilli e sicuri nella loro cristiana coscienza, faranno
ritorno allo stato laicale ».
E motivando la loro risoluzione, seguono: «Sono indotti a ciò dal bisogno di risolvere onestamente la crisi profonda che li agita nella mente e nel cuore, e dalla necessità di provvedere più decorosamente, con il loro libero lavoro, all’esigenza sempre crescente della vita ».
Mandato poi un voto di plauso ai loro compagni, decisi-a rimaner preti, invocano per se un rispetto eguale, dacché, non altrimenti dai primi, essi ubbidiscono a un onesto impulso di coscienza, « senza lusingarsi di ottenere oggi una radicale riforma delle leggi disciplinari ecclesiastiche, — leggi umane e quindi discutibili e variabili col mutar dei tempi — le quali s’informino alla semplicità e purezza dell'antica vita cristiana ».
Infine conchiudono: «È giusto però che non si falsi la pubblica opinione, qualificandoci indegni e fedifraghi. Noi affronteremo la pubblica opinione con una vita più sincera di prima, con una vita cristiana onesta, e in mezzo al popolo sapremo tener spiegata la cristiana bandiera dell’apostolato per il bene». Si augurano infine, che l’autorità ecclesiastica li sciolga dai loro vincoli «contralti forse in seguilo ad una malintesa educazione » e non adotti per ciascuno una misura diversa, ma riconosca per loro tutti « i diritti che Iddio ha concessi, e i doveri che ha imposti ai figli suoi ».
La lettera finisce con la preghiera volta al Papa di non avere a sdegno il franco carattere della vita cristiana degli anonimi scrittori, e invocando per lui « chiarezza di vedute e coraggiosa iniziativa per i provvedimenti degni della cristiana sincerità che i nuovi tempi reclamano ».
Come si vede, la lettera è di una indiscutibile gravità. È scritta con molto calore, e basterebbe a mostrarlo il brusco, cambiamento di tono, dalla terza persona alla prima, che avviene a metà dello scritto.
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DOPO-GUERRA NEL CLERO
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Non teniamo conto di una certa oscillazione concettuale, dovuta anch’essa forse alla passione con cui la lettera è stata redatta e che salta agli occhi di tutti. Così, per esempio, prima non c’è lusinga che l’autorità ecclesiastica modifichi le sue leggi; poi, verso la fine, la lusinga stessa fa capolino, nella speranza che cotesta autorità rinunzi a procedere caso per caso e applichi a tutti un criterio solo, sciogliendo tulti indistintamente dai loro vincoli sacerdotali. Non teniamo conto di ciò, ed esaminiamo con lucida calma questo documento.
E innanzi tutto domandiamoci: quale relazione può esserci fra la guerra, il servizio militare di questi preti e la loro risoluzione? A primo aspetto non se ne vede nessuna. Come avviene del padre di famiglia, mettiamo, che non potrà pretestare la guerra e il servizio in trincea e sul campo, per sentirsi sciolto dai suoi impegni e doveri quale marito e quale padre, così pure dovrebbe avvenire del prete riguardo agl'impegni e ai doveri della sua speciale vocazione e posizione. Tuttavia una differenza c’è fra il prete e ogni altro ceto di persone. Il prete ha vincoli eccezionali, e oltre ad essere investito di un carattere, di un’autorità, di una missione singolarissimi, appartiene a una casta. Casta chiusa, assiepata di leggi, di restrizioni, di divieti, di concessioni, di privilegi, di vantaggi. Il prete cioè ha tutta una sua attività da spiegare fra gli uomini che appartengono alla confessione religiosa di cui egli rappresenta l’alta direttiva, ma la deve esplicare nell’ambito giuridico, storico e morale creato intorno alla sua personalità individua da uh codice complessissimo, rigidamente applicabile e applicato; da usi e consuetudini radicatisi nei secoli, e da gravissime promesse e da formidabili giuramenti pronunziati, o sottintesi, nell’atto di ricevere la sua sacerdotale ordinazione, piincipale fra questi il voto del celibato perpetuo.
Ora, che cosa è avvenuto con la guerra? Questo: che mentre fino a ieri molti giovani preti erano stati protetti dalle grosse mura della casta, ignorando molto della vita, moltissimo di sé stessi, d'improvviso il servizio militare ne li ha strappati fuori violentemente, gettandoli nel vortice della vita comune, a subirne tutti gli attriti, a sperimentarne tutte le allettative. L’autorità ecclesiastica ha ben potuto provvedere alle conseguenze di ciò con la istituzione del Vescovo di campo e della sua Curia ; ma già i preti soldati, proprio soldati di servizio militare, si sottraevano ineluttabilmente e quasi totalmente ad ogni vigilanza vescovile e curiale, e quelli stessi poi addetti al servizio sanitario e fin di cappellani, se per dieci capi sottostavano a' cotesta vigilanza, per novanta capi ne erano sottratti. Dico sottostavano ed erano sottratti, per non accennare al caso, senza dùbbio frequente, in cui il non sottostare e il sottrarsi non fu più una conseguenza inevitabile delle cose, ma una volontaria, abile, cavillosa trovata personale.
E anche senza tutto questo, quale autorità avrebbe, in ogni caso, potuto impedire che le condizioni di vita fatte ai preti soldati dal loro sei vizio militare agissero sul loro animo e sulle loro disposizioni? Essi non le subirono solo, ma non potevano non subirle e non provarne tutti gli effetti.
Messi così, per un verso o per l'altro, in contatto libero, e in massima parte invigilati, con la vita comune, molti preti, e bisogna aggiungere, giovani, sentirono prendersi come da una rapinosa corrente; aprirono gli occhi sulla loro condizione
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eccezionale in mezzo al mondo; paragonarono il loro stato di rinunzia a ciò che a tutti i non preti è lecito e buono con lo stato dei loro compagni liberi; tornarono indietro nella loro vita, e parve loro chiaro che i propositi, i giuramenti, i voti da cui si trovavano vincolati non erano stati che effetto di una malintesa educazione; giudicarono anacronismo il sussistere della casta a cui si erano ascritti in mezzo a una società già arrivata a negare ogni casta e in via di abolirne dal mondo ogni traccia; la maggior parte capirono e valutarono, come non mai prima avevano capito e valutato, che per loro da cotesta casta non venivano che triboli e spine; si sentirono forse come messi contemporaneamente al bando della casta che negava loro — dico per la maggiore, per la massima parte foise di loro — quello che accumulava di vantaggi onorifici ed economici in un ceto nella casta fortunato e privilegiato, e al bando della società laica che serbava per loro, con qualche lieve segno di venerazione, molta diffidenza e parecchio dispregio; per ultimò s’incontrarono facilmente, molto facilmente in qualche Beatrice beata che rinnovava con loro l'ardimento d'Èva; e conchiusero, come gli anonimi della lettera a Benedetto XV: noi faremo ritorno allo stato laicale. I solidali, ma non firmatari, di cotesta lettera non sono che un esponente, con tutta probabilità un piccolo esponente, d’un fatto abbastanza comune (l’esperienza personale dei miei trentadue lettori me ne può forse far fede).
Questo è avvenuto, questo doveva avvenire con la guerra.
L’essere gli animi sollevati alla speranza dalla sospirata pace non c’entra nulla; il rifiorire delle utili e benefiche opere dell'uomo non avrebbe impedito, o anzi avrebbe favorito anche il rifiorire della operosità sacerdotale nelle sue solite forme; al pari delle altre operosità umane. Le determinanti del fatto sono di tutt'altra natura, e tutte si riassumono in un complesso stato d’animo creato dalle circostanze straordinarie dei quattro anni trascorsi.
Qualcuno si maraviglierà che io abbia abbozzato di mio questo stato d’animo, mentre gli autori della lettera a Benedetto XV indicano chiara la motivazione del loro atto. Quadruplice motivazione: bisogno di risolvere una crisi di mente, bisogno di risolverne una di cuore, bisogno di lavoro retributivo per far fronte alle crescenti esigenze della vita, bisogno di sincerità. Ma questo ipotetico qualcuno vorrei pregarlo ad affidarsi un poco alla mia conoscenza del cuore umano, così in genere, e del cuore che batte sotto la tonaca in ¡specie. Massime per questa seconda conoscenza, io credo fermamente che, se non altro per molti, la determinante del loro atto di secessione dal clero è stata una sola: bisogno di risolvere una crisi di cuore.
Bisogno di lavoro retributivo? E chi vieta e può vietare al prete di lavorare onestamente e dignitosamente, restando prete, anche astrazion fatta dai larghi proventi di casta, per ipotesi, a lui negati? .
Bisogno di sincerità? Ma quanti ottimi preti son preti, quanti rimarranno preti, dopo il loro servizio militare, senza infingimenti e senza transazioni morbide di coscienza? 0 non dice in un certo punto là lettera a Benedetto XV: « Vada un nostro voto di plauso sincero a coloro, che, con rettitudine di propositi, vorranno far ritorno all alto Ministero, e che, alieni da farisaiche transazioni, con costumi veramente in-
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tegri e puri, sapranno attender e alla propria e all'altrui santificazione? » Rettitudine di propositi, orrore di farisaiche transazioni, dicono altro, sono altro, che sincerità?
Capisco: gli autori della lettera e quanti convengono con loro potrebbero rispondermi: ma quelli a cui mandiamo il nostro voto di plauso sincero non son passati, o non passano, per la crisi per cui noi passiamo, crisi di niente che a noi ha scoperto la verità, un sacco di verità, ignorate dai nostri compagni ritornanti all'alto Ministero. In tal caso, però, non si manda un voto di plauso sincero, ma si esprime una profonda commiserazione. Se chi vede non torna, chi torna non vede, è un cieco, e riabbracciando Vallo Ministero, non attenderà alla propria e altrui santificazione, ma sarà il coecus dux coecorum, di cui sta scritto: si coecus coecum ducit, ambo in foveam cadimi, che un poeta traduceva: Se awien che un cieco un altro ne conduca, Ambo cadranno nella stessa buca: e non s’è mai sentito che la santità propria e l’altrui santificazione' Siano una buca.
E poi: oltre quelli che ritornano all’aZfo Ministero, cè ne son tanti che non se ne sono mai mossi; possibile che tutti costoro siano o dei pagliacci o degli zucconi? Anzi, e chi scrive può asserirlo, molti di loro passarono per crisi mentali, si può scommettere, più serie e profonde degli autori della lettera, e se rimasero, fu, non per accomodamenti capziosi di coscienza, o per un loro chiuder gli occhi alla luce, ma perchè riuscirono con molta lealtà e amore della verità a superare il dibattito mentale che li agitò in un. dato momento, a volte ben lungo, della loro vita. Le crisi di mente assai di rado sono definitive. Quante volte avviene che dove non si vedeva che buio, si scopra, o improvvisamente, o a poco a poco, la luce? Ovvero, che dove si era piantata una serie di negazioni e di affermazioni, una più certa-e luminosa dell’altra, nuove indagini critiche, nuovi dati positivi, nuovi punti di vista, nuove idee, forzino a una revisione di conti, a un ritorno indietro, con la persuasione d’aver corso troppo e invano, negando e affermando?
In sostanza, tutto sommato, io rimango della mia opinione, che cioè tre dei motivi addotti dagli autori della lettera siano semplici conseguenze di uno solo, quello che essi hanno chiamato crisi di cuore. Quando il cuore parla, e parla sopra tutto e più forte, se alla sua voce di tenore o di basso si unisca una dolce vocina di soprano o di contralto, vien fuori l’affare della sincerità, l’impiccio delle esigenze crescenti della vita, e più di ogni altra cosa — pare impossibile! — si producono delle crisi inconciliabili di mente; tanto importa comporre a quel benedetto muscolo toracico un comodo guanciale di giustificazioni e di ragioni, su cui farlo riposare in pace!
Sbaglio, giovinetti?
Nè io son qui per giudicare e condannare; tutt’altro: son qui per trovare il bandolo della matassa; e il bandolo credo d’averlo nettamente trovato. Non la quadruplice motivazione degli autori della lettera, ma proprio quel complesso stato d’animo creato dalle circostanze straordinarie dei quattro anni trascorsi ha suggerito loro il passo che ora fanno. Di cotesto stato d’animo, la crisi di cuore può essere stata davvero, non la prima genesi, ma l’ultima conseguenza. Una volta alterata, dal rude contatto con la vita, tutta la psicologia di cotesti giovani preti, essi si trovavano da un momento all’altro col cuore aperto all’amore umano. L’amore
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giunse, ed essi dissero: eccoci. La quadruplice motivazione indica deficienza di analisi, anzi di autoanalisi, non altro. Ripeto: tre dei motivi addotti non sono che dei puntelli, dei barbacani ad un solo, e non sono, non possono essere stati generati dalla guerra; la guerra e il servizio militare c’entrano con essi meno ancora dei famosi cavoli a merenda.
Dopo tutto ciò, mi si permettano due riflessioni; una 1 ¡guardante il fatto particolare, l’altra d'indole generale.
La prima: che se i preti della lettera prenderanno moglie, intendendo con tale atto di dare il suo pieno significato alla loro rentrée nelle file del laicato, essi toglieranno tutto il valore, diciamo così, apologetico al passo compiuto. Essi sanno troppo bene che il Papa non farà che pochissimo caso — se ne farà alcuno — di cotesta lettera; la quale poi, anonima, e affidata alla pubblicità dei giornali, pare fatta apposta per non esser presa in considerazione in alto loco. Ma mentre sanno questo, sanno in pari tempo, e mostrano di sapere, che il pubblico, piccolo o grosso, più probabilmente piccolo, e perciò più pettegolo e maligno, che li conosce uno per uno, pronunzierà il suo verdetto circa il loro passo. Ma, pur troppo, se ci sarà, come ci sarà di certo, di mezzo una bella mogliettina, quel verdetto, quella sentenza, sarà di mezza tinta e piuttosto lieta, un sorriso; meno ancora: una strizzatina dei-rocchio sinistro; ma non per questo, verdetto e sentenza saranno meno inesorabili; e gli autori della lettera, non ostante tutte le loro proteste, spiegazioni e motivazioni, saranno bell'e serviti.
Sarà bene? Sarà male? Ho detto: purtroppo, e l'avverbio equivale a un giudizio. Ma il mio giudizio non vale nulla per cambiar le cose e il loro fatale andare.
Fra le quali cose fatalmente andate ci sarà in prima linea l'apostolato per il bene che gli autori della lettera promettono di continuare in mezzo al popolo. Il popolo, almeno il popolo italiano, ai preti spretati non ci crede nulla, proprio nulla; e nulla, proprio nulla, del loro apostolato lo arriva o lo muove. Guardate Murri, amici cari!
Ho da ripetere: purtroppo? Ripetiamolo pure, ma è così.
E allora?
Allora andare per la propria strada, senza lettere a nessun Papa e a nessun popolo. Si tratta d’un capriccio? Si riparerà; d’un passo falso? Si tornerà indietro; d’un’imposizione di coscienza? Dio la giudicherà; e il giudizio di Dio è l’unico giudizio che affidi e faccia tremare, infinitamente soave e infinitamente formidabile. Il resto, tutto il resto, è un pio desiderio.
E adesso la mia riflessione, o le mie riflessioni, d’indole generale.
Ecco qui dei preti che, in contatto con la vita comune, sentono il bisogno di rendere normale la loro esistenza. Non pensiamo più al fatto particolare e ai suoi moventi, ma al fatto in sè; che indica? Due cose: che la vita del clero è anormale, e che per conservarsi senza alterazione così, per lo meno in molti casi, è necessaria una, vorrei dire, manutenzione straordinaria, e appunto perchè straordinaria, malagevole.
E dunque, si domanderà, non ammettete che la straordinaria vocazione sacerdotale richieda, e quasi produca da sè, un genere di vita straordinario? Quella che voi chiamate anormalità non è altro che questa straordinarietà;
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Rispondo che ammetto con pienissimo assenso il concetto, ma che vedo la realtà corrispondergli assai poco.
Straordinaria vocazione — vita straordinaria ; ma i preti sono un nuvolo ; possibile che tutti siano straordinari? E lasciamo il possibile; nel fatto, vi paiono proprio tutti straordinari?
Dunque, prima di tutto, riduzione numerica del clero. Meno preti, perchè i pochi si possano supporre degni del loro ministero, per altezza di vocazione e per capacità di condurre una vita eccezionale, senza manutenzioni.
Ma bisognerebbe poi intendersi sul senso di questa frase: vita straordinaria. Che vuol dire, parlandosi di sacerdoti? Senza dubbio: grande spiritualità, sviluppato senso mistico e quindi profonda religiosità, passione di far del bene e, concretando, di spargere il Vangelo con una vita esemplarmente cristiana e con tutti i mezzi di apostolato a cui dà diritto la dignità di ministero. Arrivati qui, ci si.affaccia il punto più scabroso: il celibato. Il celibato è senz’altro la cosa più straordinaria nella vita straordinaria richiesta dal Clero cattolico. Si deve riguardare come elemento necessario per costituirla quale dev’essere?
Inutile nasconderlo o dissimularlo: a favore del celibato ecclesiastico stanno canoni, statuti, secoli di consuetudine e di storia. Ma nè canoni, nè statuti, nè secoli di storia possono cambiare l’essenza delle cose. Ora, l’essenza del sacerdozio cattolico risulta da due capi; primo: la sua istituzione; secondo: le sue note caratteristiche, in quanto è un sacerdozio.
Dalla sua istituzione nulla risulta in favore del celibato obbligatorio e perpetuo: Gesù elesse i. primi sacerdoti, gli apostoli, fra i coniugati, tutti, salvo uno solo.
Potrebbe bastare.
Infatti, il dato storico positivo è di tale chiarezza e importanza, che sempre si è ripetuto che il celibato è misura semplicemente disciplinare.
Escluso il celibato, quali sono le note caratteristiche del sacerdozio cattolico? Evidentemente quelle che entrano a formare il concetto puro di sacerdozio. Ora, ogni sacerdozio, così inteso, è costituito proprio essenzialmente da una sola caratteristica, fra quelle enumerate dianzi: la dignità di Ministero, che comprende l’autorevole apostolato. Il dato teorico non fa che confermare quello storico: il celibato non c’entra.
E allora, quali sono i titoli per esigerlo e conservarlo come condilio sine qua non del sacerdozio cattolico?
Tre principalmente, oltre la già notata secolare tradizione: i° la maggior libertà d’azione che lascia all’apostolo del Vangelo; 20 il maggior disinteresse di cui lo rende capace; 30 la. venerazione che ispira, nell’animo dei fedeli.
Non c’è che dire, i tre titoli sono uno più bello dell’altro in teoria; ma in pratica?
Dal punto di vista pratico, facciamo un pochino di conti, e vediamo.
Dunque, primo titolo: maggior libertà d’azione: il prete, libero del peso della famiglia può spiegare quanto zelo e attività vuole in mezzo ai fedeli; non avendo da pensare ad altro, lì spiegherà tutta la sua passione. Segue in realtà così?
Per una quantità di semplici preti tutta questa gran foga d’azione si riduce.
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a uno straccetto di Messa, e basta, salvo siano invitati a guadagnare un po’ di baiocchi in occasione di funerali. I canonici aggiungono alla derrata l’uffiziatura in comune, a cui nessuno dei fedeli prende parte; i parroci tutte le incombenze pastorali, che realmente non son poche, ma non superano niente affatto, mettiamo, le ore di ufficio d’un buon padre di famiglia, anzi ne restano parecchio al di sotto, e non sono spesso disimpegnate con maggiore intensità e passione. Positivamente, si possono contare i membri del Clero, a cui davvero competa il titolo di apostoli in mezzo alla plebs Christiana, e che siano apostoli con totale disinteresse.
Prima conclusione: la rinunzia a una propiia famiglia non produce nessun apostolato spettacoloso; mentre i-.Pastori protestanti, per esempio, emulano, e in molta parte vincono, il clero cattolico, in operosità apostolica, in patria e fin nelle missioni, pur avendo la loro famiglia. Dato di fatto, che si potrà nascondere fra noi, menomarlo, falsarlo, ma non mai distruggere.
Questo per il primo titolo.
Secondo titolo: il disinteresse. Si è ottenuto coll'interdire al Clero la.famiglia? Neppure.
Già anche i preti soli, rimasti soli pei' qualunque ragione, si mostrano in pratica interessatissimi. E si capisce. Chi pensa a loro? chi provvederebbe alla loro vecchiaia? Ed essi lavorano pensando alla loro desolata vita. Gli altri, i non soli, sta bene, non hanno da pensare alla moglie e ai figlioli, ma in compenso hanno da pensare, oltre il babbo e la mamma e i fratelli e le sorelle, alla famiglia e spesso alle-famiglie, dei nipoti e dei pronipoti. E ci pensano con una passione enorme, generalmente parlando, per uno di quei fenomeni che tocca agli psicologi e persino ai fisiologi di spiegare. 0 non è stato il nipotismo una piaga, una grossa piaga del clero cattolico? E questa poi ha serpeggiato, più o meno, secondo le epoche, ma senza che in nessun’epoca si sia mai riusciti a rimarginarla interamente, ed ha inquinato fin le alte cattedre episcopali e pontificali.
Seconda conclusione: il celibato non ha prodotto nessun disinteresse spettacoloso in mezzo al Clero. Il secondo titolo a favore del celibato, in pratica non è valso nulla e non vale nulla.
Terzo titolo: la venerazione incussa ai fedeli.
La venerazione non si nega, ma essa è ristretta a un ben piccolo numero di semplici, molto semplici, fedeli. Fuori di questa schiera, la venerazione si cambia spesso in sospetto, a dir poco, sospetto che tanto offende i sacerdoti rimasti fedeli ai loro impegni.
Il sospetto sulla vergine vita sacerdotale dipende, se è maligno, da deforme incapacità di gente che, impura per conto suo a planta pedís usque ad verticem capitis, non può supporre purezza in nessuno, da generalizzazioni grossolane, da insinuazioni malvage; se invece è benigno, da un’indulgente e un po’ fiacco giudizio sul valore di questo mondo e degli uomini (a Napoli alcune donne, fra cui correva una novella boccaccesca circa un giovane prete, riassumevano la loro impressione con queste testuali parole: povero zi' muonaco, e 'mbe?l). La straordinarietà della richiesta (celibato assoluto e perpetuo) fatta a uomini per nove decimi ordinari, genera l’incredulità dell'effetto corrispondente. Però, tanto nel primo caso quanto nel se-
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condo, il sospetto è pur troppo convalidato dalla esperienza abbastanza diffusa di mali esempi dati da membri del Clero, tutt’altro che modelli d’intemerata verginità.
E si vuole, in cosa di fatto, una riprova di fatto, che all’amore e all’osservanza del celibato ci*si crede poco? Si può avere senza uscire dall’ ambito ecclesiastico. L’autorità ecclesiastica sa benissimo che la verginità non splende, non arde, non vive che ad alta temperatura spirituale, e che l’alta temperatura non si può presumere in molti, in tutti: tant’è vero che moltiplica sorveglianze, provvidenze, cure, decreti di ogni genere per ripararla in mezzo al clero dai venti insidiosi che la investono da tutte le parti. A che riesca tutto ciò lo sanno tutti e l’autorità ecclesiastica prima di tutti. Troppi animi sono grossi, incolti, senza l’abito di quella disciplina che supplisce e supera la natura; troppe indoli sono prone a sensualità; troppe vite oziose ed esposte a contatti pericolosi spesso inevitabili.
Tutto sommato, anche il terzo titolo se ne va in fumo.
E allora? Negare che la eccezionale altezza e nobiltà della vita sacerdotale riceva la sua corona, non dal celibato, ripeto, ma dall’assoluta verginità?
Tutt’altro, tutt’altro!
Povero, angusto di mente e di cuore, chi si arrischia a tale negazione, inetto a misurare le altezze a cui può spingere un eroico sentimento e la grazia di Dio, e giungere un’anima eccezionalmente generosa e santa! Ma perchè tale corona conferisse davvero la suprema bellezza alla vita sacerdotale, bisognerebbe che la verginità fosse assolutamente libera, assolutamente elettiva. Allora dai pochi preti, dai pochi generosi volontari dell’apostolato cristiano, emergerebbero spontaneamente i pochissimi, pei quali l’assoluta verginità sarebbe un’altissima necessità della loro altissima vita spirituale. Questi sì sarebbero davvero la tanto vantata corona del sacerdozio cattolico. Sarebbero? Sono: perchè di tali anime elette anche ora, con le disposizioni vigenti, se ne contano in buon numero, gloria del sacerdozio, del cristianesimo, dell'umanità. Per questo lato, nulla ci sarebbe di cambiato e di alterato nella Chiesa.
Di cambiato ci sarebbe invece questo: che, una parte notevole del Clero rientrata nei ranghi comuni, i soli che le competano, si eliminerebbero di mezzo ad essa tre cose egualmente deplorevoli: la lotta tragica di molti disgraziati contro i loro istinti naturali e normali, lotta in cui si esauriscono sciupandosi una quantità, a volte, di preziose energie; l’occulto arrangiarsi di altri molti; gli scandali aperti d’una terza schiera. In pari tempo si sarebbe, in gran parte almeno, provveduto al ricupero della pubblica stima verso il Clero stesso.
E perchè fino gli eletti fra gli eletti potessero conservare tutta la fragranza della loro libera, voluta verginità, e aver sempre diritto pieno alla pubblica stima e ammirazione, escludendo da sè ogni ombra di sospetto, occorrerebbe si sapesse da tutti, e prima da loro, che in qualunque modo, in qualunque momento, per qualunque legittima e onesta circostanza (e sarebbe inopportuno, ora e qui, che mi addentrassi in analisi minute di tali modalità) o si sentissero diventare impari alla loro eccezionalità di vita, o semplicemente non volessero più continuarla, potrebbero tranquillamente, senza bisogno di nessun gesto straordinario da parte
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loro, senza pericolo di nessuna briga dà parte di nessuna autorità, rientrare, nelle fila comuni e nelle condizioni comuni.
Adesso invece che cosa avviene? Che il celibato perpetuo essendo obbligatorio per tutto il Clero, molti se ne trovano vincolati, senza saper bene come e perchè. Avviene cioè che, mentre ogni seminarista sa, così all’ingrosso e per cosa fuori di discussione, che non potrà mai prender moglie, per molti il celibato in pratica diventa una sorpresa, quando la natura, il mondo e il vento che vi spira li costringano a concretare il loro vaporoso concetto in realtà viva e personale.
Gli autori della lettera toccano questo punto, sottolineando le parole, quando invocano dall’autorità ecclesiastica la rescissione dei loro vincoli, contralti forse in seguito ad una malintesa educazione. E tuttavia riescono fin troppo blandi.
Forse! Ma per la maggior parte è così; benché poi, a furia di rappezzi, da molti si rimedi in qualche modo alla cattiva costruzione della barca.
Perchè l’educazione dei giovani candidati al sacerdozio rispondesse al suo scopo, dovrebb’esser tale da aprir loro gli occhi, da spalancarli anzi, sui doveri che li aspettano, sugli obblighi gravissimi imposti al clero, prima di ogni altro quello del celibato perpetuo; dovrebb’esser tale da permettere loro un confronto pieno, spassionato, lucido, senza false allucinazioni, nè per l’una parte, nè per l’altra, fra la vita clericale e secolare; dovrebb’esser tale da indurli a un esame lungo e acuto di sè medesimi, e della loro indole, e delle loro attitudini e ripugnanze, dei loro bisogni morali e fisiologici, per saper bene, quid /erre recuseni, quid valeanl humeri; dovrebb’esser tale che non li allettasse a entrare nello stato chiericale in una specie di dormiveglia, ma che piuttosto tendesse a spaventameli e ad allontanameli in tempo. Ci siamo col tipo di educazione adottato generalmente nei Seminari?
Gli occhi nè si aprono, nè si spalancano, si chiudono anzi, si addormentano, mettendo in evidenza della vita chiericale un monte di belle cose, di luccicanti cose, di serafiche cose, e tacendo o mettendo in penombra tutte quelle che si possono comprendere sotto il titolo rinunzie; e le aspre, le gravose, senza umana ricompensa, o ricompensate d'ordinario con la noncuranza dei superiori, e con l’ingratitudine e peggio del gregge fedele, senza parlare dell’infedele. Buio pesto poi sul celibato, la sua arduità per tutti, la quasi impossibilità, 0 la impossibilità senz’altro, per parecchi, per ragioni fisiologiche, di atavismo, ecc. ecc.
Per contrapposto, della vita secolare, che, fino a tirocinio compiuto, potrebb’es-sere quella scelta da loro in definitiva, o si tace, o si dicono cose da far venire la pelle d'oca. Quando si parla di mondo, quanti Seminaristi intendono altro che uomini che vivono nel mondo? E che terribile sbaglio! mentre in quello che Gesù chiamò così: mondo, c’entrano purtroppo tanti chierici, alti e altissimi, come bassi e bassissimi, e viceversa, nelle benedette schiere dei fedeli al proprio dovere, alla coscienza, al Vangelo, a Gesù, c’entrano tanti secolari ! Per lealtà, perchè la scelta del chiericato fosse fatta a ragion veduta, bisognerebbe si mettesse in eguale evidenza il bene e il male dell’una e dell’altra vita. Ripeto: ci siamo?
Di sè stessi i candidati al chiericato non hanno nè agio, nè tempo di fare esperienza. Abbondasse tutto, mancherebbe sempre l’opportuna maturità di riflessióne, mancherebbe il pieno sviluppo fisiologico, mancherebbe Yexperimenlum
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a contatto con l’acido corrosivo della vita, che scopre e spesso acuisce, senza che vi si possa far riparo, cèrte innate tendenze, di cui nessuno deve arrossire, e a cui è solo disonesto abbandonarsi senza frenarne l'impeto cieco, non già immetterle nell’alveo tranquillo delle normali condizioni dell’umana convivenza.
Importantissimo particolare quello dell'età! Generalmente l’obbligo del celibato è assunto dai chierici fra i 21 e i 23 anni. Chi può pensare sia questa un’età matura per assumere un obbligo così ■ eccezionalmente grave per giovani educati nel chiuso?
E non accenno al genere di cultura e ai metodi con cui la si inocula nelle menti dei candidati al sacerdozio; per venire alla conclusione, che è questa: senza un concorso felicissimo di qualità naturali e di straordinarie circostanze, l’educacazione dei chierici, quale generalmente parlando si impartisce nei Seminari, equivale a una dissimulata costrizione. Con questo effetto pratico: che non appena le septae seminaristiche si schiudono, e le nuove reclute sacerdotali si vengono a trovare all’aria aperta e comune, con la libertà di leggere ben altra carta stampata da quella dei soliti manuali ascetici; esposte a sentirsi investire dai pensieri correnti in questo mondo terrestre, così diverso da quello semilunare del Seminario; costrette a convivere con le creature di questo terrestre mondo, fra le quali di certo ce ne son tante noiose, birbac-cione, antipatiche, ma anche tante altre molto carine e simpatiche; la costrizione si rivela subito, o molto presto, le illusioni svaniscono, la realtà dapprima sgomenta, poi s’impone, finalmente rapisce, e una parte del clero non risponde affatto all’alta sua missione, prende tutto alla carlona, va avanti con la consuetudine e il formolario. Scossa nelle superficiali e blande convinzioni religiose radicate su vecchi terricci di vecchie teologie, da pensieri inattesi, da critiche formidabili, da obiezioni mai sospettate, o si affretta, senza nessuna prudenza, a buttar via tutto quanto aveva accumulato di religiosità sentimentale e di cuore, e di dottrina religiosa mentale, seguitando nella pratica del prète senza convinzione e senza fede; o si dibatte, senza veder la via d’uscita, fra dubbi e incertezze. Nell’un caso e nell'altro, questa patte di Clero si trova esposta, quando meno s’aspetti, a sentirsi attratta verso quello che è reale, tangibile, prossimo, allettante, blan-diente, e ad esserne presto e con tutta facilità trascinata e sedotta.
Riepilogando: La vita sacerdotale cattolica segue a voler mantenere il celibato perpetuo per tutti, mentre dovrebb’essere solo di alcuni eletti ; con questo la vita del Clero diviene anormale, benché a favore della legge del celibato non militi nessuna forte ragione, benché l’età in cui ne è imposto l’obbligo non sia idonea a valutarne il peso, e l’educazione chicricale che vi conduce tenda a falsare il giudizio teorico e l’apprezzamento pratico di chi lo deve portare: che maraviglia se la realtà della vita rimette le cose a posto?
Ed ecco il fatto dei preti soldati che scrivono la Ietterà a Benedétto XV dimostrarsi, come accennavo, un semplice e piccolo indice di uno stato di cose complesso e vasto, di cui la guerra dovrebbe dimostrare l’anacronisticità e l’in-congruenza. Quindi il bisogno di una riforma radicale, di cui, nessuno che non sia un superficiale e uno sciocco, può nascondersi le difficoltà.
Il primo passo verso tale riforma potrebb’essere quella riduzione numerica
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del clero di cui s’è parlato: meno i preti, meno gli strappati alla vita comune, meno gente comunale messa a fare la parte di gente straordinaria. Questo il primo passo verso la riforma. Come le prime considerazioni che dovrebbero consigliarla e renderla urgente son due: quella specie di tradimento che si fa ai giovani avviati al sacerdozio, e lo stato reale delle cose in mezzo al Clero.
Ma alla riforma di ogni cosa ci si avvicina anche senza considerazioni riflesse.
Prendete il celibato.
Bellezza teorica, tradizione, storia, va bene, ma ci si tiene come ci si tiene perchè è quasi il cemento dell’edificio chiesastico chiuso, l’alta muraglia della chiusa casta sacerdotale. Ma la democrazia a cui la guerra ha dato un nuovo enorme impulso sgretola cementi, atterra muraglie, nega e abolisce ogni casta. Non invaderà anche le trincee del Clero? Di certo, di certo. E ne sentirà l’urto, fra le prime cose, la legge del celibato perpetuo.
Sarebbe questo un male da deplorare^ o un progresso da benedire? Certo costituirebbe una nuova conquista democratica.
Sarebbe, costituirebbe...: siamo nel mondo delle ipotesi. La lettera dei preti ex soldati a Benedetto XV ci porta sul terreno dei fatti, delle realtà concrete.
Si può dubitare se il fatto gioverà o no ad affrettare una riforma generale. Il fatto che precede la legge ha sempre aspetto di disordine, e il disordine è scandalo, e lo scandalo disorienta i più. Il disordine, lo scandalo, il disorientamento dei più spaventano il legislatore; i fatti sporadici, sul genere di quello dei preti autori della lettera a Benedetto XV, più facilmente impediranno, per ora, di far prendere in considerazione uno stato di cose che la guerra ha, se non altro, contribuito a mettere in evidenza.
Ad ogni modo, verso la riforma si va.
Chi sono, quanti sono, gli scrittori della lettera? Non si sa. Un gruppo di sacerdoti ex soldati? Si fa presto a scrivere simili parole. Probabilmente son pochi, forse pochissimi, forse due, forse uno. Non importa; ma quanti sottoscriverebbero ! Nè i fatti accennati nella Lettera, nè la loro conseguenza son cose che si restringano a due o tre soli individui: e lo stato d’animo, quale io l’ho abbozzato in principio, si può, si deve supporre abbastanza diffuso in mezzo al giovine Clero, reduce comunque dal servizio militare. Uno stato d’animo di quel genere non si abolisce dall'oggi al domani, anzi tende a rafforzarsi, a radicarsi. Le forme democratiche di governo che prevarranno in Europa con la Società delle Nazioni, se tutto non torni indietro, se tanta vampa non si risolva in fumo, tenderanno a livellare tutto, e con il tutto, la Chiesa; diciamo: il clero. Il tipo americano del prete — cittadino in tutto e per tutto salvo e con di più una vita interiore più ricca della comune, e la sua dignità di ministero sacro e la sua missione evangelizzatrice -si renderà sempre più simpatico, accettabile, preferibile, desiderato, voluto. Come l’America riduce l’Europa, così la vita normale assorbirà la casta, così il civis ridurrà il clericus.
L’autorità ecclesiastica moltiplicherà leggi, preventive, repressive, punitive, e lamenti, e proteste di non licei e di non possumus. Poi, a mano a mano, cederà alla forza delle cose — ricordiamo che non si tratta di dogmi, ma di disciplina — finché la realtà, la trarrà con sè: fata trahunt.
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Pensiamo a ciò che accade in questo momento. Lasciamo star tutto, ma qualche ventina, qualche diecina d’anni fa, chi, professandosi cattolico senza riserve, avrebbe osato accedere al Parlamento italiano, con sede a Roma? E i fulmini del Vaticano si moltiplicavano sugli audaci che solo affacciavano la possibilità della cosa; e le argomentazioni più sottili, profonde e apodittiche della Civiltà Cattolica, dell’Unità Cattolica, dell’Osservatore Romano, dell’Osservatore Cattolico, oltre quelle di tutta la frittura minuta della stampa cattolica, dimostravano, fino all’evidenza, che il non expedit equivaleva al non licei, e non so se mancò qualche argomentatore più consequenziario che giungesse, su questo punto del cattolico parlamentare, all’altezza della Civiltà Cattolica, quando stampava, e no* dico altro, stampava, il potere temporale essere un fatto dogmatico, che poteva diventare, quando che fosse, un dogma, con tanto di sonagli. Ebbene, oggi, o per un verso, o per l'altro, ò con mostra di autonomia, o con realtà, il cattolico parlamentare, votante ed eletto, è un fatto compiuto.
Rata trahunt.
Fin d’ora, il sacerdote, trattenuto nei ranghi a furia di manutenzione, data la gravità e anormalità dei suoi obblighi; dominato da un potere che ne sindaca ogni atto, ne limita ogni libertà, ne può disporre tamquam cadaver, non coincide più coi concetti comuni di autonomia e di libertà per tutti. Per una curiosa incongruenza coincide con un criterio pratico assai comune: il Clero, si dice, dev’esser così.
Lasciamo passare qualche anno, qualche diecina forse, forse qualche ventina d’anni, e la logica avrà avuto ragione dell’incongruenza, dei concetti comuni, dei criteri pratici.
E se tutto avverrà sotto la mano della Provvidenza e per il bene della Chiesa e di tutti, benedetta anche la logica!
Qui quondam.
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PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
NOTE E DOCUMENTI
(Continuazione. Vedi BUvchnis di Febbraio 19x9, pag. xo6)
POESIA DELLA NATURA
Chi ha nutrito la sua mente collo studio, chi ha sviluppato colla cultura la propria intelligenza, chi è sensibile ai delicati godimenti della letteratura e dell’arte, proverà naturalmente queiraltro godimento — del pari delicato e forse più profondo — che, a chi l’intende, può dare la poesia della Natura. E questo estetismo — già spontaneo in chi a giusto titolo può chiamarsi un’« intellettuale» — s’intensificherà e si svilupperà allorquando la costante vita all’aperto dell’istruzione militare e della guerra metterà questo intellettuale in contatto più intimo e continuo coi monti, col piano, colle foreste, col mare.
« Questa fusione delle impressioni calme e soavi della campagna con dei cuori pieni di sacrifìcio — scrive il Barrès — (1) ci commuove sino al dolore. Quei soldatini risolvono il divario che s’era creduto di scorgere tra il culto della natura e il cristianesimo eroico. L’immolazione, lo spirito di sacrifìcio ci parevano inconciliabili coll'adorazione di quell’incanta-trice. Quanto facilmente invece questi combattenti sottopongono il grande Pan al divino Crocifisso! La bellezza del cielo, dei boschi e delle colline francesi procura loro motivi supplementari per compiere il proprio dovere d’uomini ».
Per il giovane A. A., abituato al clima freddo, tetro, nebbioso del Nord, gli splendori di luce e le fantasmagorie di colori del Mezzogiorno sono una vera rivelazione.
6 Gennaio 1915.
... Il paese è meraviglioso... ieri, sulla strada, il fresco mattutino era squisito ;
(x) Le famiglia spirituali della Francia, pag. 226.
quasi sempre la via era fiancheggiata da boschetti di pini ed io, smarrito nell’interminabile colonna delle reclute, godevo intensamente di quella natura così dolce...
Stamane, tempo più sereno ancora La parte alta del borgo e la chiesetta, visti dalla caserma, si profilavano nitidamente nella purezza assoluta dell’atmosfera. Quando siamo partiti, il cielo era cosparso di stelle che scintillavano con tutt’altro splendore che nei paesi nostri...
Ai suoi genitori:
io Gennaio 1915.
Fuggo dalla caserma, m'arrampico attraverso le pinete e gli oliveti, m’insedio al Sole sopra una groppa boscosa. Si sta così bene che due ore passano presto a leggere e a pensare. Riprendo la via alla ventura e scopro parecchi magnifici punti di vista. Per monti e per valli, sulle colline coperte di timo, passeggio a lungo, a lungo. Dopo il cortile brulicante della nostra fabbrica di ceramiche, com’è deliziosa la soli-tudine!, -, / ' .
Ad un amico:
28 Febbraio 1915.
Ti scrivo la sera d’una meravigliosa domenica. Questo dopopranzo ho fatto una lunga, magnifica e solitaria passeggiata tra i monti che circondano la nostra residenza. Ho saziato i miei sguardi
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colla fantasmagoria del Mezzogiorno: cielo idealmente azzurro, e, su tale sfondo, pini vigorosi, ulivi gracili, mandorli in fiore, fasci d’oro delle ginestre. Tutto parlava di vita, di purezza, di speranza. È una buona cosa contemplare un tale spettacolo prima dell’oirore del campo di battaglia. A Dio, mio caro... a Colui che dimora in eterno, checché succeda delle nostre persone e dei nostri sogni !...
Anche nella corrispondenza di Casalis sono frequentemente ricordate le impressioni che sull'animo suo sensibile vengono prodotte dai vari aspetti della natura. Così scrive dopo una marcia notturna:
28 Febbraio 1915.
Venerdì sera abbiamo avuto marcia e manovra notturna. Alle 19.10 adunata nel silenzio più assoluto, collo zaino affardellato. Alle 19.25 partenza. Fa fresco è si cammina presto. Alle 20.15 alt; il tempo è limpido, il cielo azzurro pallido, grigio all’orizzonte, gli alberi denudati sono impressionanti nel magnifico chiarore lunare. Abbiamo fatto zaino a terra e gli uomini seduti, a voce bassa parlano tra di loro; la scena fa pensare al « Sogno > di Détaille. Si riparte. In quel momento, intorno alla luna si forma un alone meraviglioso, il più bello ch’io abbia mai visto, e così grande che quasi tutta l’Orsa Maggiore ci sarebbe stata due volte.
E dopo una marcia di giorno :
25 Marzo 1915.
Ieri abbiamo fatto esercizi di tiro al bersaglio a Cordes. Sveglia alle 5. Alle 5.35, adunata nel cortile, collo zaino affardellato. Alle 6, partenza. Fa bel tempo, è fresco e si cammina bene. E proprio giunta la primavera. Le siepi di biancospino sono in fiore, e qua e
là pendono lunghi grappoli di eternatiti. Dovunque mammole, margheritine, ranuncoli d’oro. Gli uomini sono allegri e. canticchiano lungo tutta la strada.
Qualche giorno dopo, egli descrive la campagna negl’immediati dintorni dell’accantonamento :
Castel, 5 Aprite 1915.
Il canale, in primavera, è il solo spettacolo piacevole di Castel. Il cielo chiarissimo, d’un azzurro pallido, l’acqua tnoirée^ gli alberi che verdeggiano da ogni parte, il sole, i pantaloni rossi e i pesanti barconi, tutto ciò forma Un quadro molto pittoresco e riposante.
Un’altra volta ancora è colpito da simili violenti contrasti di colore:
Courcelles sur Aire, 20 Aprite 1915.
La riva del ruscello è il luogo più ricercato dai soldati. Scorre attraverso i prati, e sulle sue rive crescono per certi tratti dei cespugli e dei giunchi e per certi altri degli alberi più alti. Ci si sta veramente bene. Vi sono stato un momento fa per compiere la mia toilette... Sono molto pittoreschi i torsi nudi dei soldati sullo sfondo verde dei prati.
In un’altra occasione, alla gioia degli occhi si aggiunge un godimento musicale:
15 Aprite 1915.
Stamani ho fatto un giro sulle colline. Era davvero delizioso. Faceva un tempo dolce e caldo; tutta la valle era immersa in una nebbiolina azzurra, quasi trasparente, e i pioppi immobili sembravano grandi paggi sonnacchiosi sull’orlo della strada d’argento che serpeggia attraverso quel giardino di « Bella addormentata nel bosco». Altro non si sentiva che il canto delle allodole, gigli d’oro sul cielo di Francia, e il basso formidabile dei cannoni che oggi non hanno cessato di tuonare.
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Si può dire che Gustavo Escande ha goduto sino agli ultimi giorni il dolce conforto che solo può provare chi senta davvero le bellezze del Creato. Stralciamo dalle estreme pagine del suo diario: Courtemont, 21 Marzo 1915, ore 17.
Partenza della 2" e 3“ sezione mitragliatrici. Attraverso campi e boschi. Notte magn‘ ìca, luna e stelle splendide. Brezza fresca, calma impressionante. Sulle creste si vpdon da lungi dei razzi boches. All’orizzonte, la frontiera. I nostri cuori si stringono, ma palpitano di speranza.
Beauséjour, 22 Marzo 1915.
Tempo splendido, veduta magnifica e molto estesa sul cuore della Francia: a sinistra Verdun, a destra Reims. Vento lieve e profumato. Il pendio della collina è cosparso di pini. Ciò mi ricorda S. Raffaele, S. Aygulf e altri luoghi amati. Com’era dolce ¿’esservi insieme!
Tutta la mattinata i nostri aeroplani volano in ricognizione. Noi vagabondiamo. Di tempo in tempo qualche colpo di fucile. Dei cavalli e dei muli galoppano in libertà nella valle. Regione accidentata, intersecata di vallon-celli, dove scorrono torrenti, e seminata di colline di recente conquistate a prezzo di quante vite!...
• • ♦
Giovanni Klingebiel, il letterato, il musi' cista, il filosofo, è, lo s’indovina, un fervente ammiratore della Natura ; egli ne intuisce con finezza mirabile tutta la poesia:
Biarritz, 15 Novembre 1915.
Al mattino, col vento del sud, sono sceso sulla spiaggia.
— Come vivente e possente è la natura per nascere, nei mattini d’inverno, con una tale giovinezza!
— Sotto al giovane sole, l’azzurro del mare era puro. Il vento, a folate, passava sulle onde, di cui faceva volar la schiuma, e me ne portava l’odore.
— Sono risalito nel parco; ho seguito i viali puliti tra le agavi e i larici. Mi sono seduto sopra un banco di pietra, sotto un gruppo di pini, dove s’era conservata la frescura della notte.
— Ho seguito il viottolo che percorre il piccolo bosco, sulla collina, felice di udire il vento nei pini e di riceverne il fresco sul volto. All’estremità del viottolo ho rivisto il mare giulivo e festante.
Dai prati, in vetta alla collina, ho scoperto i monti dai profilo azzurro, disegnati perfettamente dal vento del sud. Ho visto le casette bianche che si staccavano sullo sfondo scuro dei monti.
E sono tornato con un ramoscello di rosmarino alla cintola, nell’odore del mare portatomi da! vento.
Che giovane, vivace e maravigliosa mattinata, quella d'oggi!
Il soffio di quel vento del sud assomiglia all’impeto dei miei desideri.
Sappiamo godere dei nostri desideri come di questo mattino di novembre: fermiamoci per assaporare il delizioso istante.
Ma non dimentichiamo che fra poco, condotta dal vento, la tempesta verrà sul inare, e certo, dopo di lei, verranno i giorni grigi di dicembre.
Tutta la giovane grazia e tutta la gioia di questa mattinata non ci fanno dimenticare che siamo degli uomini: alla gioia dei nostri desideri, noi mescoliamo le gioie più gravi del pensiero.
Sul mare già corre l’ombra delle nubi.
Ritorniamo al nostro compito d’ uomini, che è di creare, al disopra di ogni godimento, le gioie dello spirito.
• • *
Andrea Cornet Auquier, invece che in pagine di bello stile, nota le sue emozioni estetiche al contatto della Natura con brevi e 1 nervose note:
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15 Gennaio 1915.
... Questa notte è caduta in abbondanza la neve. Quale spettacolo grandioso! Quei magnifici abeti, carichi di neve, erano fantastici...
21 Gennaio 1915.
... Alla caduta di neve è successo un freddo intenso, dimodoché la neve regge. E uno spettacolo fantastico il vedere, di sera, la cima dei grandi abeti dorarsi leggermente, anche sotto il mite chiarore delle stelle, e ci si chiede perchè, allorquando la natura è così placida, gli uomini si fanno la guerra...
5 Febbraio 1915.
Ieri dopopranzo mi sono arrampicato a 872 metri, per esaminare di lassù l’assieme delle posizioni nemiche sopra un fronte di 8 chilometri. Non potete immaginarvi la bellezza del panorama. Era meraviglioso; le montagne d’Alsazia, le valli, i boschi, tutto ciò ricoperto ancora di neve, inondato di sole, che sembra respirare la pace e, in mezzo a quello spettacolo grandioso, piccole formiche umane che sparano il cannone o il fucile e cingono di filo di ferro dentato quelle placide foreste. Che bruto è l’uomo. Sales Boritesi
30 Maggio 1915.
Sono stato ieri sera a far visita al maggiore Barberot ed ho immensamente goduto di quella passeggiata al lume di luna. La temperatura era ideale, gli uccelli notturni lanciavano di tratto in tratto il loro strano grido. A intervalli si udivano colpi d’arma da fuoco, e il rombo cupo del cannone in lontananza, verso l’Alsazia. All’alba, la nebbia si strascicava néi bassi fondi, lasciando passare una luce scialba. Nulla v’è di più bello che gli abeti coi loro germogli nuovi color verde tenero che spicca sul verde nero e chedona all’insieme l’aspetto vellutato più squisito.
29 Agosto 1915.
Avendo bisogno d’un po’ di svago, ho fatto oggi, sotto una pioggia dirotta, una passeggiata a cavallo, solo nei boschi. Sono salito a più di .530 metri; i grandi boschi misteriosi, pieni d’ombra e di silenzio, erano impressionanti. E quella pioggia di tempesta che mi frustava in viso era per me deliziosa.
♦ * *
Ruggero Allier è il tipo perfetto dell’alpino, nel senso più brillante della parola, cioè del vero alpinista. È interessante, quasi commovente — nel leggere la sua biografia — assistere al sorgere e allo svilupparsi, prima del suo gusto, poi del suo amore, poi della sua passione per la montagna, passione che diventerà cosi intensa da sembrare escludere qualsiasi altra, salvo quella dei dovere.
Eccojin quadro della montagna in autunno :
' Grenoble, 16 Ottobre 1912.
... Non potete immaginarvi la bellezza della foresta in questa stagione. V’è una ricchezza di colori, una gradazione di sfumature impossibili a descriversi. Prendendo delle fotografie, avevamo il sentimento di commettere una vera profanazione. Verso l’una dopo pranzo siamo giunti alla nostra meta, il Grand palbert, mirabile belvedere dal quale la vista abbraccia tutte le catene dell’Oisans, del Vercors e delle Grandes Rousses. Quale scintillio di ghiacciai! Siamo scesi attraverso gole quasi inesplorate. La guida Jeanne consacra loro appena un rigo e sono vere meraviglie. Ho pensato a voi passando presso un lago tranquillo, circondato di abeti e nel quale si rispecchia il massiccio di Taillefer. Siamo rientrati a Grenoble dopo il calar del sole. Se soltanto la nostra retina potesse conservare quei mirabili clichès dai quali è stata impressionata!
Ed ecco ora la montagna d’inverno:
Grenoble, 27 Gennaio 1913.
...Siamo partiti per Uriage, facendo assegnamento sul chiaro di luna per
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guidarci attraverso i viottoli sinuosi coperti di neve. Per un pezzo attraversiamo dei pascoli deserti. Non vi si odono più, come in estate, le campane delle vacche. Tutto è morto. Mandriani e greggi sono scesi al piano. Una piccola luce ci guida. È la casa del guardia boschi, un ex alpino. Egli abita lassù colla moglie e i figlioli, sul ciglio della grande foresta demaniale di Prèmo!, una delle più belle foreste d’abeti di Francia. È altresì una delle più folte. Però, non ci siamo smarriti, mercè la luna che faceva scintillare nella neve miriadi di piccoli cristalli. Nulla è più bello, nulla dà più calma d’una gita in sky in piena notte. Ogni cosa giace in un tale silenzio! Noi stessi scivoliamo senza rumore sfiorando appena la neve. La foresta acquista una strana solennità. Tutta la natura sembra rappresa. In lontananza, verso sud, si profilano le cime delle strane forme del Dévoluy c del Vercors. Sotto il loro lenzuolo di neve, sembrano aridi e morti come- i monti della luna.
Una cosa sola ricorda la vita: lontano, nel fondo delle valli, brillano le piccole luci delle abitazioni umane...
Ancora la montagna, ma d’estate:
Annecy, l° Giugno 1913.
Sono ancora abbagliato dalla meravigliosa gita che abbiamo fatto venerdì scorso al Parmelan. Partiti alle due del mattino, siamo rientrati alle 17. Faceva un tempo splendido, ma un caldo!... Gli alpini erano carichi come muli.
Visto dalla valle il Parmelan sembra da ogni parte inaccessibile. Eugenio Sue, che abitava una villa presso il lago, lo paragona ad una fortezza costruita dai Titani. I suoi fianchi dai dolci pendìi sono coperti di foreste gigantesche; poi la vegetazione s’arresta, si oltrepassano dei pascoli e si giunge ai piedi d’una parete verticale. Qui si
sono fermati i nòstri cinquanta muli, mentre il battaglione iniziava la scalata delle roccie.
... La fila indiana era d’una lunghezza inverosimile; a perdita d’occhio, non eran che zaini e calzoni bianchi, serpeggianti nel sole sui pascoli color verde cupo o tra le roccie. Quando i primi sono giunti in vetta,, il grosso del battaglione zizzagava ancora tra gli scoscendimenti del «Grand Montoir», come un esercitò di piccole formiche affannate, aggrappantisi alle sporgenze delia roccia.
In due ore si raggiunge la cima di quel gigantesco zoccolo calcareo, e si scoprono due quadri d’una impressionante opposizione di forme e di colori ; da un lato, fino al Salève, valli verdeggianti, laghi d’un azzurro intenso, il lago di Ginevra, il lago d’Annécy, il lago di Bourget; dall’altro lato un mare di roccioni grigi, nudi, tormentati che formano la parte superiore del Parmelan; mare dalle onde immobili e coronate da una catena di ghiacciai.
In quel grande silenzio, i nostri sette corni da caccia hanno suonato le due arie favorite dei nostri alpini '.iNemrod* c «?Z Passo del Gran Cervo ». Non vi era un soffio nell’atmosfera e quella musica tranquilla, di cui la montagna ci rinviava l’eco, aveva qualcosa di celèste.
L’ultimo saluto ai monti:
Aime, 12 Agosto 1914.
Il tempo è sempre splendido. Ho fatto eseguire stamane ai miei mitraglieri una grande marcia in montagna. Da quando pii preparo ad affrontare la grande avventura, non potete immaginare l'intensità del bisogno che provo di compenetrarmi di tutto ciò che vedo; giammai la montagna m’è stata così cara, giammai la serenità d’un levar del sole m’è apparsa così grande. È con un vero amore che ho contemplato il
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Monte Bianco e Che ho detto «arrivederci ! » al Grand Assaly e ai ghiacciài del Ruitor. Sono miei amici; mi pare che parli con loro.
Se è facile capire la poesia delia montagna, la poesia della Natura non martoriata dalla guerra, più difficile ci sembra il comprendere la poesia della campagna devastata o dei villaggi distrutti. Eppure — quando si è poeti nell’animo e quando si può superare l’orrore — l’estetica riesce, anche fra le stragi, ad affermare i suoi diritti.
Nè una tale estetica costituisce una profanazione quando, come è il caso per Giovanni Massip, le emozioni artistiche sono un assillo all’adempimento del dovere.
25 Maggio 1917.
... Sulla sinistra, le belle rovine bianche del villaggio di A... rifrangono la luce cruda del sole. Sulla destra tronchi lacerati e scheletriti... Come ci si sente lungi da ogni vita, quasi sospesi tra cielo e terra, sulla soglia di tutti gli enigmi dell’universo... E vedete cos’è l’abitudine: non ci si bada e si rimane insensibili al dolore contenuto in tutte quelle cose, e se ne • vede soltanto la nobiltà e il valore estetico... D’altronde ogni cosa vale per ciò ch'essa diventa e la stessa sua personalità ha poca importanza. Villaggio, una volta in te albergavano bontà e virtù, vizi e odi, bellezza e laidume. Ma tutto ciò è scomparso nel sacrificio immortale di ciascuna delle tue càSe, e in te non rimane più nulla di quelle cose effimere che sono la bellezza e la virtù di ogni creatura. Invece, colla bellezza più nobile delle tue mura crollate, tu dici l’eterno valore del sacrificio e, nell'avvenire, sarai una di quelle sacre reliquie che ricorderanno alle generazioni smemorate l'angoscia sublime della grande guerra.
PUREZZA
Non è possibile leggere le biografie e le lettere dei nostri giovani combattenti cristiani senza rimanere colpiti da un fatto singolare: la straordinaria purézza, il mirabile candore di quelle anime. Certamente questa purezza, questo candore sono uno dei grandi motivi che valgono a spiegare la profonda spiritualità, la delicata bellezza di quelle simpatiche personalità giovanili.
Ci è parso dunque fosse prezzo dell’opera — non solo per mettere insieme un importante materiale psicologico, ma per fare del beile a noi stessi ed agli altri — raccogliere in questo paragrafo tutto quanto, in alcune biografie e raccolte di lettere, abbiamo potuto spigolare su questo argomento.
• » tr
ficco anzitutto Gustavo Escande. Egli ha la sincerità e l’ingenuità di un fanciullo, ma è un fanciullo forte perchè sa vincere e dominare se stesso.
... Ho da vincere molte e tremende tentazioni. Ma con Gesù si è vittoriosi, perciò mi confido interamente in lui.
... Se tu sapessi come l’immagine di quella giovane mi preserva dal soccombere alle tentazióni spaventevoli che mi assalgono! Quelle donne che mi accostano ad ogni momento nella strada! E un incubo per me. Ma Dio mi dà la forza di restar puro e il resistere mi appare sempre meno penoso perchè ricevo da Dio la forza che è davvero meravigliosa. Quelle donne, non le ho mai disprezzate, ho una grande pietà di loro; e quando i miei compagni si vantano delle loro orgie, dico loro chiaro e tondo che mi disgustano e eh'essi sono la causa per la quale simili donne cadono sempre più in basso.
... Quando vedo qui come i giovani sono abbandonati a loro stessi, senza ideale; quando vedo quanto poco, per non dir punto, la donna è rispettata, allora rivedo in pensiero i miei cari Attivisti, mentre, la mano nella mano, essi cercano di raggiungere il medesimo ideale senza che un pensiero impuro venga a macchiarli. È perchè la
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donna non è rispettata ch’io mi sento qui così orribilmente solo. Per fortuna ho degli amici che pregano per me; ciò mi sostiene molto.
Chi scriveva queste parole, preparandosi ad affrontare la morte, aveva vent’anni! Ed egli poteva esclamare con gioia e con fierezza al termine della sua istruzione militare:
Ho attraversato, durante questi tre mesi, il pantano della caserma senza, inzaccherarmi; Dio mi ha preservato da ogni male e lo farà ancora.
• • •
Il rispetto per se stesso e per la donna era, nel pensiero di Ruggero Allier, il segreto di molte rivelazioni d’ordine spirituale e, nello stesso tempo, la condizione della véra azione sociale. Egli era ansioso di far comprendere l’importanza di tali principi a coloro che considerano se stessi come riformatori sociali o come persone intellettuali e che, troppo spesso, manifestano per le questioni di moralità privata una indifferenza CÓlpevole. Era convinto che gli studenti cristiani devono essere all’avanguardia nella lotta contro un atteggiaménto che presso gli uni è indulgenza fuor di luogo e presso gli altri è colpevole apatia. Egli coglieva tutte le occasioni per proclamare davanti ai compagni la sua fede nella grandezza morale e nella funzione profonda d’una virtù di cui troppi uomini affettano di parlare soltanto sorridendo. Nel febbraio 19x0, sapendo che il Congresso della Federazione Studenti cristiani, raccolto a Pa-lavas, doveva discutere intorno all’«azione» della Federazione, ed essendo impedito di recarvisi, egli scrive a suo padre, che doveva esserne il presidente, questa lettera:
Non ho mai capito perchè, in un circolo di studenti cristiani ci si preoccupa così poco di moralità. E tempo di mettere i punti sugl'*. Bisogna far qualcosa in seno al circolo stesso prima di pensare ad agire sugli studenti del di fuori. Per questo ho persuaso il mio amico Schloesing a dire qualcosa al Congresso su tale questione.
Sarà questo un principio soltanto.
Egli è stato costretto a far ciò per iscritto, visto che ambedue rimaniamo a Parigi. Egli ha considerato la que
stione dai suo punto di vista di artista; ma, siccome la sua lettera porta anche la mia firma, desidero spiegarti esattamente, nella mia lingua, qual’è il nostro pensiero.
Constatiamo che, di fronte ai nostri compagni, il problema dev’essere considerato sotto un angolo speciale. Ogni epoca ha i suoi bisogni. Essi sono compenetrati dello spirito del giorno, che ha per caratteristica una reazione violenta contro ogni forma di ascetismo: si prende piacere nel confondere non solo la religione, ma la semplice disciplina morale, coll’odio per la natura: si vede in tale disciplina una diminuzione della personalità, che si vuoi sviluppare intensamente in ogni direzione.
Così stando le cose, con quale spirito dev’essere affrontata la questione della moralità individuale?
Adottando il punto di vista dei nostri contemporanei in ciò ch’esso contiene di giusto, collocandoci sul proprio loro terreno (perchè questo è il solo modo d’intendersi):. facendo loro vedere che la disciplina morale non è una diminuzione dell'essere umano, ma eli essa LO INNALZA. S’essi davvero cercano lo sviluppo della loro personalità, bisogna far loro vedere che s’ingannano allorquando credono di trovare tale sviluppo nel «diritto di vivere la propria vita ». La felicità vera non si raggiunge se non a prezzo d’una certa dose d’ascetismo.
Ti prego dunque, se vi sono dei con-tradittori, di far bene intendere il nostro pensiero. Abbiamo voluto dir questo : la Stella bianca ( 1 ) non deve spaventare quelli che non voglion saperne di ascetismo. Noi non siamo degli asceti. Pur non facendo alcuna concessione al « neo paganesimo • noi affermiamo (ponendoci sul terreno medesimo dei suoi
(1) Lega per la moralità pubblica e per la purezza personale.
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difensori) che la disciplina morale è la condizione indispensabile d’una vita intensa E BELLA.
Col suo amico Schloesing, il giovane Ruggero sognava altra cosa aU’infuon d’una manifestazione puramente teorica in favore di tali nobili principi. Egli propose al Segretario Generale della Federazione d’introdurre nel «Semeur» (1) un supplemento, specialmente consacrato all’«azione morale» e agli sforzi della «Stella bianca» tra gli studenti. Tale supplemento sarebbe poi stato pubblicato in «estratto» e largamente sparso nell’ambiente del Quartiere latino... Questa fu una delle tante buone iniziative interrotte dalla guerra.
Ma è particolarmente nel breve opuscolo dedicato alla memoria del capitano Andrea Comet-Auquier che possiamo cogliere tutte le manifestazioni e le conseguenze pratiche della fedeltà intransigente all’ideale della purezza.
Ecco anzitutto due dichiarazioni di professori suoi.
Dice il primo: «Tutti i suoi compagni si inchinavano con rispetto davanti alla lealtà della sua coscienza e al valore morale dei suoi sentimenti ».
E dice il secondo : « Giammai si potrà sostituire quel ragazzo al liceo per l’influenza morale ch’egli esercitava sui condiscepoli».
I genitori di Andrea — genitori «cristiani», afflitti ma non disperati"— scrivono:
« Il nostro figlio aveva orrore di tutto ciò eh’è impuro. Giammai lo si vide ridere d’una oscenità, anche detta con spirito. Pur dilettandosi molto a sentire e raccontare allegre storielle, egli le voleva sempre corrette e tali che potessero narrarsi anche in presenza di bambini. Egli aveva per la donna un santo rispetto e non ammetteva che si fosse severi per lei più che per l’uomo. Per lui non esistevano due morali ; perciò voleva conservarsi personalmente puro, come avrebbe pretesa pura la giovane alla quale avrebbe unito la propria vita. Alla vigilia d’un’ azione, egli ci scriveva :
Se sono ucciso, consegnerò a Dio il mio corpo, puro come l’ho ricevuto alla mia nascita.
A queste dichiarazioni fanno degno riscontro quelle del cappellano militare che, nel suo discorso còmmemorativo del giovane eroe, afferma :
<i) Rivista-bollettino della l'adorazione medesima. • •
« Alla sua pietà religiosa s’aggiungeva una grande purezza e nei suoi sentimenti e nella sua condotta. Scrupoloso nell’adempimento del dovere, egli conserva tutta la sua natu rale allegria. Nei periodi di riposo egli è, pei fratelli d’arme, un piacevole compagno, ma sempre corretto e puro. Nella sua conversazione, come nei suoi scritti, mai una nota volgare o triviale. L’anima sua rimane limpida e tale essa irradia al di fuori. Come altra volta lo studente, cosi l'ufficiale ha orrore di quanto può insozzare il pensiero o il corpo; cristiano convinto ei sa che il corpo è il santuario dell’anima e vuole che uomini e donne abbiano per guida della loro condotta le regole d’una morale unica. Parla talvolta dell’amore. ma lo raffigura sempre sotto l’aspetto d’una giovane innocente. Nutriva per la sua sorella maggiore, Margherita, modesta e coraggiosa infermiera della Croce rossa, decorata al valore, un vero culto: quello della purezza ».
Ma lasciamolo parlare lui, spigoliamo dalle sue lettere alcune « pagine vissute » le quali illumineranno la figura dell’Eroe «s'ans peur et sans reproche» sotto vari aspetti profondamente umani e veramente «di guerra».
Un incontro colla sorella
Ai suoi genitori :
25 Giugno 1915.
... Ho visto Margherita!... All’ingresso del villaggio di Kriith, un gruppo di cuffie bianche ci aspettava: Margherita e le sue colleghe! Ella si è precipitata verso di me colle braccia tese, battendo le mani, pàllida come un cencio. Sono saltato giù da cavallo e potete immaginarvi l’abbraccio. Poco dopo arriva il grosso del battaglione, le signore si portano al centro del villaggio per assistere alla sfilata...
... La popolazione tutta quanta, civile e militare, ci ha fatto un’accoglienza entusiastica. La musica suona. Arriviamo all'altezza del gruppo delle infermiere ; esse applaudono a più non posso, gridano: «Bravo! Viva la prima compagnia!» Credo che ho fatto loro, in quel momento, il più bel saluto di sciabola che mi sia mai riuscito in tutta la mia vita militare.
Chiusa la sfilata sono condotto all'ospedale dove incontro la marchesa
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di Loys-Chandieu. Le signore si fanno in quattro per servire, al maggiore e a me stesso, una cenetta fatta d’ogni sorta di cose. Signore e signorine fa-cevan cerchio intorno a noi che, sudici, fangosi, sudati, avevamo per quelle donne fresche, giovani, pulite, olezzanti di sapone e di disinfettante, l’incanto d’essere dei guerrieri autentici, di puzzare di trincea e di fumo, di melma e di polvere. Esse sono rapite: si sente ch’esse godono di vederci da vicino, di udire dalle .nostre labbra il racconto delle nostre prodezze, di sentirci parlare di carica, d'assalto alla baionetta, di granate che esplodono. Siamo i primi ch’esse vedono tornare dal fronte dopo avere realmente combattuto; noi respiriamo la battaglia, esse giubilano. Il maggiore è in vena, egli racconta le sue storielle con una verve inaudita, che provoca scoppi di risa così freschi, così allegri. È una cosa deliziosa.
In mezzo a tutto ciò, Margherita vicino a me, lieta e grave, sorridente ma ancora commossa, colla sua aria di santa e i suoi grandi occhi. Rimango con lei sino alle 23, poi vado a riposarmi.
Il reggimento parte l’indomani alle ore 4.30. Alle 4 Margherita è in piedi, ma siccome parto col maggiore in automobile mi posso fermare sino alle 6. Margherita ha visto tutta la compagnia, ha bevuto il caffè dei miei soldatini, è stata presentata ai miei ufficiali. Si vedeva eh'essa godeva tanto di partecipare un poco alla nostra vita. Il colonnello, il maggiore, il medico capo del reggimento: tutti erano per lei pieni di riguardi. Al momento della separazione, qualche lacrima ; ma siamo stati bravi..
Ed ecco tutto. Quale benedizione di esserci potuti ritrovare, proprio al fronte, per qualche ora!
Deliziose amicizie Ai suoi genitori :
21 Novembre 1914.
Ho passato due giorni, colla mia compagnia, in un piccolo villaggio, dove rappresentavo l'autorità militare : il sindaco era a mia disposizione, io firmavo, i lascia passare per la gente del paese, ero un personaggio importante ! Ero magnificamente alloggiato presso persone gentilissime: c’era anche una giovane di 19 annn molto dolce e di nome Teresa! Quel che l’ho fatta ridere, lei e la madre!!!
Che bella cosa riveder delle donne ed essere un poco < coccolato ». In un'esistenza come la nostra, vivere con donne e con ragazze per due giorni, è come' se fosse firmata la pace, o almeno come se ci fosse un armistizio. Si può riparlare della mamma, delle sorelle a persone che vi comprendono.
E poi sono tornato ragazzo, sono ringiovanito!
Ai suoi genitori:
17 Ottobre 1915.
... Ho fatto una nuova conquista: « Lucia >, una bèlla biondina di 4 anni e mezzo. Essa non parla più d’altro che di sposare « Cornet » tout court. Eppure, avevo per concorrente un bel tenente d’artiglieria, col quale essa era già .« fidanzata » e che le aveva dato un anello in alluminio. Ha esitato per un’ora tra l’uno e l’altro e voleva sposarci tutti e due ! Poi, malgrado tutte le arti di seduzione messe in opera dal mio rivale, ella gli ha detto : « Ti pianto per prendere Cornet»! Allora, egli le ha detto : « Ma sai ; si restituisce l’anello quando si rompe!» Immediatamente ella gli ha teso il suo minuscolo ditino perch'ei ritirasse l’anello. Delizioso, nev-vero? E il più divertente si è che questo « matrimonio » ha fatto istantaneamente
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di me il genero d’una signora di me più giovane e il nipote d’una signorina di 20 anni che chiamo « vecchia zia Maddalena >. Questo idillio avveniva, a pòca distanza dal nemico...
Il salvataggio d'un’amma. Ai suoi genitori:
4 e 17 Aprile 1915.
Sapete una cosa? In questa settimana santa ho salvato un'anima, o per lo meno ho impedito a un’anima di perdersi. E, cosa strana, ironia dei campi di battaglia, caso della vita militare: un’anima di ragazza! Una dolorosissima storia: il padre e la madre morti, il primo dopo aver rovinato l’intera famiglia; quattro figli: un fratello ucciso in guerra, uno invalido in seguito a ferita, una sorella maritata che si dà alla vita libera mentre il marito combatte ! Finalmente lei, la più giovane, di appena 20 anni. Volontà di ferro, moralità impeccabile, che lotta contro l’ambiente, ma che è preoccupata pei tranelli che le sono tesi e non sa più a chi rivolgersi; e graziosa per giunta... « Io so che non siete come gli altri, mi ha detto, volete consigliarmi, aiutarmi? Non ho più nessuno, il mio ultimo fratello sta morendo e non ho alcuna influenza sopra mia sorella ». Le ho risposto che le avrei dato volentieri qualche consiglio se essa era decisa a non seguire mai l’esempio di sua sorella...
Quale intuizione ha condotto verso di me quella ragazza? Ha dessa letto sul mio volto che io non vorrei farle alcun male? Mistero! Ma è ad un tempo pauroso e sublime, per un giovane ufficiale, di prendersi in tal modo la responsabilità d’un’anima. Povera piccola creatura abbandonata ! Che vita la sua ! Bisogna vedere ed udire tutto ciò da vicino: le lacrime e i singhiozzi di quella bimba di 20 anni appena, che implorava sua madre morta. Sempre questa frase : « Se la mamma mi vedesse, se la mamma fosse qui ! » Sono
stato con lei all’ospedale per vedére suo fratello che sta spegnendosi a poco a poco ; poi siamo stati al cimitero, e là, sulla tomba della madre, ella mi ha giurato di mantenersi per sempre onesta. Ma essa è stanca di questa vita e vorrebbe cambiare ambiente, respirare aria pura; mi ha detto: « Ho tanto bisogno di pace ! »
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Meno di un anno dopo, il 2 marzo 1916, quella giovane, strappata al male dal capitano Andrea Cornei-Auquier, si prostrava in lacrime ai piedi della sua bara. Ella depose sul feretro, in pegno della sua .gratitudine, un fascio di umili fiori di campo; e quei fiori furono certo fra i più graditi dallo spirito del purissimo Eroe...
Dopo aver salvato quell’anima di dopna francese, egli, il 21 aprile 1915, aveva scritto alla madre sua questo caratteristico e meraviglioso Inno alla patria:
... Devo essere dominato da un pensiero soltanto : quello della Patria. E che cos’è là Patria, se non tutto quanto ci è caro, tutto ciò a cui maggiormente ci sentiamo avvinti ? Tu, sei la patria ; il babbo è là patria; le mie brave sorelline sono la patria; i cari luoghi dove s’è amato e sofferto sono la patria... quella povera piccola anima abbandonata che per un miracolo ho Strappato poco fa alla gola del leone, è la patria ; tutte quelle giovani ragazze dei Vosgi, dallo sguardo azzurro, che, allorquando passiamo sfiniti sulle Strade, ci salutano con un sorriso, sono la patria. Che cos’è la parola Patria ? Che cosa c’è in questa parola? Nulla, se dietro ad essa non vengono ad affollarsi le immagini care ed i volti amati... Non muoiamq per delle astrazioni indefinite e per dei vocaboli vuoti di Senso, muoiamo per dei sentimenti, muoiamo per amore, per affetto, per tenerezza. Lascio dunque che il mio cuore attinga dov’esso deve le grandi energie ed i puri eroismi. Esso è libero dà qualsiasi impacciò, ma è forte per tutti gli affetti che contiene.
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BILYCHNIS
DUE PAROLE AI LETTORI
Siamo cosi giunti al termine della nostra, speriamo, non inutile fatica. Abbiamo lumeggiato del nostro meglio i vari aspetti delle figure prettamente «umane» dei nostri giovani eroi.
Forse qualche lettore avrà pensato: «Molte «delle pagine che precedono non meritano «d’essere riprodotte: sono cose banali, sono «pensieri e sentimenti che si possono ritro-« vare nella corrispondenza e negli appunti « di altre migliaia di combattenti, di àltre mi-« gliaia di giovani la cui vita s’ispirava ad « altre fedi, ed anche a nessuna fede. Questi « cristiani che cosa hanno pensato, che cosa « hanno detto, che cosa hanno fatto di straor-« dinario?»
Noi non intendiamo contestare questa obbiezione; ci limitiamo solo ad una riserva: volesse Iddio che tutti i giovani combattenti morti per la patria avessero avuto un ideale inorale così elevato come quello dei giovani di cui ci occupiamo ; volesse Iddio che a un tale ideale tutti i morti per la patria avessero conformato la propria esistenza, come essi ve l’hanno conformata.
Ma qui non sta la questione. Se i giovani cristiani di cui abbiamo parlato hanno pensato e detto e fatto, come noi fermamente crediamo, qualcosa di « straordinario » — tanto da poter essere considerati come caratteri « eletti », meritevoli di venir proposti come modello a tutti i giovani, di qualsiasi fede, e anche di nessuna fede, della nostra generazione — ciò è quanto vogliamo dimostrare in seguito, e nutriamo la speranza di riuscirvi.
Lo scopo invece di questo capitolo — e l’abbiamo detto incominciando — è appunto di persuadere chi legge che ci troviamo di fronte a uomini non eccezionali, cioè anormali, ma ad uomini della specie comune, ad uomini psichicamente e fisiologicamente simili a tutti gli altri. E l’esclamazione spontanea: « Afa queste son cose e parole banali » ci sarà preziosa per rinfacciarla più tardi a chi venisse fuori col dire : « Codesti giovani sono «caratteri d’eccezione; i giovani del tipo co-« mime non hanno bisogno (qualcuno forse « oserà persino dire . non devono) avere gli « ideali ch’essi hanno avuto, i giovani solili • non hanno bisogno di salire sulle vette dove «sono saliti loro».
— No, risponderemo allora, la legge morale riconosciuta e obbedita da quei giovani — superiori, sì, ma perfèttamente equilibrati — deve essere riconosciuta anche da voi perchè essi, in umanità, sono i perfètti vostri simili !
Ma un altro scopo abbiamo avuto nel nostro studio di oggi, un altro motivo ci ha sostenuti per spingere chi legge ad esclamare: « Queste son cose e parole banali ». Tale mira abbiamo avuta per potere poi mettere una mano sulla spalla del giovane che cosi pensa e per potergli dire, guardandolo negli occhi : Conservaci la tua simpatia, leggi quello che verrà in seguito e quando, vedendo quei giovani salire sulle vette, sarai tentato di dire: « Troppo alto, troppo difficile, quei giovani «sono creature privilegiate, sono tempera-« menti d’eccezione, sono caratteri fuori del «comune, io non posso salire dov’essi sono «saliti», quando sarai preso da questa tentazione, ricordati la tua esclamazione d’oggi: « Cose banali, parole banali, uomini banali ! »
Antico, o una cosa o l’altra!
Per poco che tu voglia essere non un cristiano, ma semplicemente un uomo, la prima condizione è che tu sia sincero con te stesso. E, se vuoi essere sincero, devi riconoscere che, colla tua constatazione d’oggi, tu stesso hai riconosciuto che quei giovani quanto te sono normali, che, tra quei giovani e te, nessuna differenza passa dal punto di vista della costituzione del vostro corpo, della vostra mente e del vostro cuore.
— Dunque?
— Dunque dorinnanzi non avrai più il diritto, non ti sarà più lecito di dire-: « Troppo « difficile, troppo eccezionale, troppo alto. Essi « hanno potuto, io non posso ».
Dimmi, che cosa ti manca per potere? Non hai tu forse la stessa loro intelligenza, la stessa loro cultura, la stessa loro immaginazione. la stessa loro volontà, la stessa loro sete di bontà, di bellézza, di verità? Non sei preso talvolta anche tu — negl’istanti che tu stesso riconosci pei tuoi momenti migliori — da un desiderio d’essere felice, dà un prepotente bisogno di salire, da, un’ispirazione insaziata verso la perfezione?
Sai qual’è Vunica differenza fra te e loro? Sai qual’è la sola cosa che a le manca?
Per salire, per raggiunger le vette, tu devi, come loro, non fare assegnamento su te solo, ma anche su Qualcun altro : su Qualcuno più forte di te, più intelligente di te, più buono e più puro di te, il quale, se soltanto tu lo cerchi e tu l’invochi,'ti verrà vicino, e ti prenderà per la mano, e sarà il tuo fratello e la tua guida e la tua forza...
Possa tu, leggendo le pagine che seguiranno, imparare a conoscerlo!
Avv. Giovanni E. Meille.
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UNO SCRITTO DI M. LUTERO
“ SE LA GENTE DI GUERRA POSSA, ANCHE ESSA, ESSERE IN ISTATO BEATO „
Iniziamo, con questo fascicolo, chiedendo venia ai lettori dello involontario ritardo, la pubblicazione della prima traduzione in italiano dell’ in'eressant: scritto di Martino Lutero apparso nel 1526 : « Ob Kriegslente auch ynn seligen stand seyn Kùnden » — Dr. Martin Luthers Werke — Kritische Gesammrausgabe — 19 Band-Weimar — Hermann Bóhlaus Machfolger 1897.
Dello importante documento, che è tra qucl’i che rivelano più direttamente l’intimo pensiero del grande Riformatore sul grave problema dei rapporti della individuale coscienza religiosa cristiana con la morale pratica del cittadino, « Btlychnis » pubblicò, nel fisci-colo del giugno 1918. l’acuta analisi introduttiva del nostro collaboratore Dr. Paolo Tucci, al quale è dovuta la presente traduzione, che starno lieti portare oggi a conoscenza degli studiosi.
LA NECESSITÀ DI UNA BUONA COSCIENZA
CRivo queste pagine per dare consiglio, per quanto è in mio potere, alle coscienze
deboli, timide e dubbiose, e per istruire meglio i perversi. Poiché colui il quale combatte sorretto da una buona ed istruita giacché coscienza può certamente combattere bene, avviene sempre che dove sia una buona coscienza siano pure buon coraggio ed un cuore ardito, ed ove il cuore sia ardito ed il coraggio sicuro ivi il pugno sia più forte, e tutte le cose riescono meglio e le varie imprese conducono alla vittoria, la quale, conseguentemente, è da Dio concessa.
Al contrario dove la coscienza è timida ed esitante nè pure il cuore può avere un giusto ardimento, perocché una cattiva coscienza rende codardi e paurosi, e allora accade che l’uomo sia pigro ed inetto e nessun disegno riesca e tutto, alla fine, soccomba.
.Così accade a quelle rozze e negligenti coscienze le quali si rinvengono in ogni compagnia e elle noi chiamiamo pazzi e tracotanti: con essi tutto procede temerariamente sia che si vinca sia che si perdaNessuna vittoria si consegue per virtù loro, giacché essi sono la buccia e non il nocciolo dell’armata. Conseguentemente io vi dò, in precedenza, questa istruzione in conformità della ispirazione che Iddio mi ha data, così che-'coloro i quali vogliono muovere una giusta guerra possano non perdere la grazia di
(m. d. r.)
Dio e la vita eterna, ma conoscano come debbano armarsi e come dirigere sé stessi.
L’UFFICIO E LA PERSONA
In primo luogo facciamo una distinzione, cioè, che l’ufficio e la persona, il fatto eù il fattore sono due cose differenti ; giacché un ufficio e un’opera possono essere buoni e convenevoli in sè stessi, ma cattivi ed ingiusti se la persona o il fattore non sono buoni e retti, o operano con animo perverso. L’ufficio del giudice è un prezioso e divino ufficio se esso venga compiuto da un provato giudice o esecutore. Ma se qualcuno io assume senza autorità, o chi abbia autorità lo compia per oro o favore l’ufficio cessa di essere buono e giusto. Cosi accade anche per lo stato del matrimonio: esso è prezioso e divino, tuttavia vi sono in esso molti furfanti e ribaldi. Così è per Io stato del soldato, ufficio o opera, il quale è in sè stesso giusto e divino. >
! In secondo luogo debbo dichiarare che io non intendo parlare adesso della giustizia che rende l’uomo accetto a Dio. Perciochè questa accettazione viene soltanto dalla fede in Gesù Cristo, senza alcun’opera o merito nostro, data e concessa dalla pura grazia di Dio; ma io parlo della giustizia esteriore, quale essa , è intesa nella connessione con gli uffici e le opere, cioè, per parlare chiaramente in proposito, io tratto qui la questione: se la fede cristiana, mercè la quale noi siamo stimai accetti a Dio, può permettere eh’ io sia soldato.
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muova guerra, uccida e ferisca, rubi e susciti in* cendi, cosi come si fa contro il proprio nemico secondo gli usi di guerra ; se tutto questo è pec, cato e ingiustizia e tocchi la nostra coscienza nei suoi doveri verso Dio : ovvero se un cristiano è obbligato a non far nulla di queste opere, ma soltanto seguire il bene e l’amore e non uccidere mai alcuno e mai nuocergli. Io penso che l’ufficio o l’opera del soldato, benché sia divina e retta in sé stessa, possa anche diventare ingiusta e cattiva se la persona che la compie sia ingiusta e cattiva.
In terzo luogo, finalmente, io non intendo qui di scrivere dell’opera e dell’ ufficio della guerra e confesso sia giusto e divino in sé stesso, giacché ho scritto ampiamente di ciò nei mio opuscolo « Su la Civile Autorità », e posso lietamente vantare che, sino dal tempo degli apostoli, la civile spada e l’autorità non sono state mai così chiaramente presentate e cosi bellamente elogiate come furono da me — e questo certamente i miei nemici devono riconoscere — per la qual cosa meritai la onesta ricompensa che la mia dottrina fosse ingiuriata e condannata come sediziosa ed ostile all’Autorità! ! Sia lodato Iddio! Imperocché essendo stata la spada istituita da Dio per punire il malvagio, proteggere il buono, e mantenere la pace, è sufficientemente provato che la guerra e la uccisione sono ordinate da da Dio, e tutto ciò che la guerra e la giustizia portano di conseguenza.
Che cosa altro è la guerra se non la punizione dell’ingiusto e del perverso? Perchè noi combattiamo se non per ottenere la pace e la sottomissione del nemicò ?
LA GUERRA È UN’ OPERA DI AMORE
Ora benché non sembri, in verità, che l’uccidere e il rubare possano essere una opera di amore, onde un semplice uomo può pensare che non siano un’opera cristiana e non convenga ad un cristiano compierla, tuttavia, in verità, quest’opera è, dopo tutto, un’opera di amore. Perciocché un buon medico, se la malattia è così profonda e virulenta che sia necessario tagliare e distruggere mano, piede, occhio o orecchio per salvare il corpo, ci sembra, quando consideriamo il membro che egli .taglia, un uomo terribile e spietato, ma, considerando il corpo che egli cosi tenta salvare, noi vediamo che egli è, in realtà, un eccellente e fedele uomo e compie un’opera buona e cristiana con tutta la sua abilità. Anche così mi appaiono le cose quand’io
considero l’opera della guerra. Questa, punendo il malvagio, uccidendo l’artefice d’ingiustizie e causando tanta miseria sembra essere un’opera assai anticristiana e direttamente contraria all’amore cristiano; ma quando io rifletto come essa protegga i buoni ed i pii, le donne e i fanciulli, le case, le proprietà e l’onore e le sostanze e preservi la pace, anche meglio allora mi appare quanto preziosa e divina sia l’opera della guerra, ed io vedo com’essa tagli un braccio o una gamba, è vero, ma salva l’intero corpo. Imperochè se la spada non mantenesse la pace e prevenisse il male, il disordine rovinerebbe, di necessità, ogni cosa nel mondo. Pertanto una tale guerra è niente altro che una piccola e breve breccia aperta nella pace per prevenire una lunga e sconfinata discordia, una piccola sventura per prevenirne una grande.
Tutto ciò che è stato detto e scritto intorno alla guerra, essere, cioè, essa una grande piaga è vero ; ma, al tempo stesso, l’uomo dovrebbe considerare come molto più grande è la piaga che è prevenuta dalla guerra. Siate certi che se il popolo fosse pio e volentieri conservasse la pace, le guerre sarebbero le più grandi piaghe della terra. Ma quale rimedio potete portare se il mondo è malvagio, e non vuole conservare la pace, ma rubare, rapinare, uccidere, abusare di donne e di fanciulli e togliere altrui onore e sostanze? Questa generale e universale violazione della pace, la quale non lascia scampo per nessun uomo, dev’essere frenata mediante la piccola violazione della pace che è chiamata guerra o spada, Perciò Dio onora la spada così altamente che egli la chiama la sua istituzione, e non vuole venga detto o pensato che gli uomini 1’ abbiano inventata o istituita. Poiché la mano che tratta la spada e con essa uccide non .è la mano dell’uomo, ma la mano di Dio, e non è l’uomo, ma Dio il' quale impicca, rompe, decapita, uccide e mena strage ; tutto è opera sua e giudizio suo.
In breve: noi dobbiamo non considerare nell’opera di guerra com’essa uccida, bruci, percuota e catturi ecc., perocché questo è ciò che fanno gli occhi semiaperti di fanciulli, i quali vedono nel medico soltanto come egli tagli la mano o seghi la gamba, ma non osservano che ciò è fatto per salvare l’intero corpo. Noi dobbiamo considerare l’opera della guerra o della spada con occhi aperti, meditando la ragione onde essa così uccida e compia le sue terribili imprese, e ci apparirà che essa è in sé stessa un ufficio divino e necessario ed utile al mondo.
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L’ABUSO DELL’UFFICIO E DELL’OPERA
Ma che alcuni abusino di tale ufficio, ed uccidano e percuotano senza causa, per inera cupidigia, non è colpa dell’ ufficio, ma delle persone. Giacché dove fu mai un ufficio o un’opera, o qualsiasi altra cosa, della quale l’uomo cupido non abusò? Gli uomini cupidi sono simili al medico forsennato, il quale può proporre di tagliare una mano sana, senza ragione, per mero trastullo.
Essi rappresentano quella violazione della pace, la quale deve essere prevenuta mediante le giuste guerre ; e devono essere obbligati a rispettare la pace, poiché, in verità, sempre accade ed è -accaduto che coloro i quali intraprendono una guerra senza giusta causa sono battuti e non possono sfuggire al giudizio di Dio, che é la sua spada; essa li raggiunge e li percuote finalmente.
E pensa ancora che se noi ammettessimo che la guerra fosse ingiusta in sé stessa, noi dovremmo, di necessità, tollerare ogni cosa e lasciare trionfare l’ingiusto, giacché se la spada fosse ingiusta nel combattere sarebbe pure ingiusta quando punisce il malfattore e conserva la pace. E in breve tutte le sue funzioni dovrebbero essere ingiuste, perocché che cosa altro è la giusta guerra se non la punizione dei malvagi e la difesa della pace?
Quando noi puniamo un ladro, un assassino o un adultero puniamo un singolo malfattore; ma in una giusta guerra noi puniamo tutta, in una volta, una intera grande accolta di malfattori, i quali fanno male in proporzione della rilevanza del loro numero. Ora se una funzione della spada è buona e giusta tutte le sue funzioni sono buone e giuste,, poiché la spada è, in verità, la spada e non una coda di volpe, e il suo nome è ira di Dio.
IL DOVERE CIVILE-LE DUE POTESTÀ E LE DUE GIUSTIZIE
a lla obiezione che viene fatta che i cri-Zk stiani non abbiano nessun ordine di combattere, e che gli esempi non sono baste-voli perchè contro di essi sta lo insegnamento del Cristo che i cristiani non devono resistere al male, ma sopportare ogni cosa, io ho dato sufficiente risposta nel mio opuscolo «Sulla Civile Autorità». I cristiani, in verità, non combattono nè hanno una civile autorità tra di loro, perciocché il loro governo è tutto spirituale, e, secondo lo Spirito, essi non sono
sottoposti ad altri che a Cristo. Ma tuttavia, per quanto riguarda i loro corpi e i loro beni, essi sono soggetti alla civile autorità e obbligati ad essere a questa obbedienti. Se quindi essi sono chiamati da tale autorità a combattere, debbono combattere per obbedienza, non come cristiani, ma come membri di un tutto e come sudditi obbedienti secondo il corpo e i beni temporali. Laonde quand’essi combattono non fanno ciò per sé stessi, nè per-loro conto, ma al servizio e sotto gli ordini delle autorità alla cui dipendenza sono posti ; cosi come S. Paolo scrive a Tito: «essi debbono essere ubbidienti all’autorità ». E questa è la summa summarum.
L’ufficio della spada è in sè stesso giusto. Esso è una divina e utile istituzione, la quale Dio non desidera vedere disprezzata, ma temuta, onorata e seguita, e non deve rimanere senza vendetta come scrive S. Paolo. Imperocché Egli ha ordinato due specie di governi fra gli uomini : uno spirituale,- da attuarsi per mezzo della parola e senza la spada, per il quale gli uomini possono diventare pii e giusti, cosicché mediante questa giustizia possono attingere la vita eterna, e questa giustizia è amministrata per mezzo della parola, la quale Egli ha confidata ai predicatori. L’altro è un civile governo da attuarsi mediante la spada, cosi che coloro i quali non sono disposti a diventare pii e giusti per la vita eterna a mezzo della parola, possono, tuttavia, essere obbligati da questo civile governo a rispettare la giustizia e la pietà innanzi al mondo, e questa sorte di giustizia Dio amministra a mezzo della spada. E benché Egli non si proponga di ricompensare questa specie di giustizia con la vita eterna, pure Egli desidera di attuarla, perchè vi possa èssere pace fra gli uomini e le assegna una ricompensa con i beni temporali. Perciò Egli concede all’autorità tanti beni, onori e potenza quanti essa ne possiede di diritto, sugli altri ; e tutto ciò le serve per amministrare la civile giustizia. Per ciò Dio stesso è il fondatore, signore, maestro, promotore e rimuneratore di entrambe le specie di giustìzia, di ambedue, la spirituale e la civile, e non vi è nessuna umana istituzione o umano potere intorno ad esse, ma la sostanza loro è tutta divina.
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DELLA CONDIZIONE DEI BELLIGERANTI FRA LORO
Ora parleremo della giustizia in guerra, ovvero del modo di fare la guerra per quanto riguarda le persone. In primo luogo è da considerare che la guerra può essere mossa in tre condizioni diverse per quanto riflette le persone: quando un uguale fa guerra ad un uguale, cioè quando nè Puna nè l’altra delle due parti si trova in condizione di dipendenza o di soggezione rispetto all’altra — a prescindere dal fatto se Puna sia così grande, nobile o potente come l’altra; quando un superiore fa guerra ad un inferiore; e, infine, quando un inferiore fa guerra ad un superiore.
IL DOVERE DI OBBEDIENZA ALL’AUTORITÀ
Esaminiamo, primieramente, il terzo caso.
Qui interviene la legge e dice che nessuno può contendere nè combattere contro il suo superiore, giacché noi dobbiamo tributare obbedienza, onore e rispetto all’autorità. E colui il quale percuote in alto riceve le scheggio sui suoi occhi, o, come dice Salomone, colui il quale getta pietre in aria se le vedrà cadere sulla testa. Questa è la legge, in breve, stabilita da Dio e accettata dagli uomini. Poiché non vi è nessuna possibilità di conciliazione dell’idea di obbedienza e di quella di opposizione, tra l’essere, cioè, un buon suddito e il rifiutare di tollerare un padrone. I pagani, non conoscendo niente di Dio, e non avvedendosi che il civile governo è istituito da Dio (perochè essi lo riguardavano come un’opera e un’utilità degli uomini), considerarono, non soltanto giusto, ma degno di lode il deporre, lo uccidere o lo espellere governanti inutili e malvagi. Di qui derivò il costume che i Greci, mediante pubblici decreti, offrissero gioielli e doni ai tirannicidi, cioè, a coloro i quali pugnalavano o deponevano un tiranno.
Ma tali esempi non possono avere autorità per noi. Giacché noi non cerchiamo qui di conoscere che cosa abbiano fatto i pagani, ma che cosa sia per noi giusto e retto fare, non soltanto, spiritualmente, innanzi a Dio, ma ancora nel divino esteriore ordinamento del civile governo. Perocché, ammettiamo pure che oggi o domani un popolo insorga e deponga e uccida il suo reggitore, questo può bene accadere, e i governanti devono aspettarselo quando Dio cosi voglia — ma da ciò non segue cae il fatto sia giusto e retto. Nessuna prova è mai venuta a mia conoscenza che ciò sia giusto nè ora mi riesce di pensante alcuna.
LA NECESSITÀ DI TOLLERARE I TIRANNI
È certamente giusto se un re, principe o reggitore sia colpito da demenza che egli sia deposto e preso in custodia, giacché un tale uomo non è da essere considerato più a lungo come un.essere umano da che la ragione lo ha abbandonato. Ma certo tu mi dirai che un brutale tiranno è aneli’esso un insano e deve essere riguardato come peggiore dello insano, perocché egli fa molto più male. Sembra che qui la risposta sia difficile. Giacché un tale argomento è assai plausibile e pare che la giustizia militi a suo favore. Tuttavia io sono del parere che un pazzo ed un tiranno sono due còse .differenti. Un pazzo non può fare o permettere qualche cosa ragionevole, e non vi è più nulla da sperare da lui, da che la luce della ragione è andata perduta. Ma un tiranno conosce quando fa il torto, ha coscienza ed intendimento, e vi è speranza che egli possa emendarsi, ricevere Consigli, imparare e seguire un insegnamento, la qual cosa non si verifica con il pazzo, che è simile ad un macigno ò ad una pietra. Ed oltre a ciò vi è la questione delle pericolose conseguenze ed esempi, cosicché se fosse giustificato lo uccidere o espellere i tiranni, la usanza sarebbe subito estesa e diverrebbe una generale temerità, e sarebbero chiamati tiranni coloro i quali tali non sono.
La storia di Roma ci mostra come quel popolo abbia ucciso alcuni eccellenti imperatori, soltanto perchè non lo seguivano nei suoi capricci e non si prestavano ai suoi voleri in guisa da lasciare che esso agisse a suo libito e considerasse il sovrano come il suo servo e il suo fantoccio. Così accadde con Galba, Pertinace, Gordiano, Alessandro ed altri.
Bisogna non accarezzare troppo la plebaglia, poiché essa è troppo appassionata della baldoria ; ed è meglio toglierle per dieci braccia che cederle per una spanna, e neanche per la larghezza di un dito, in simile caso. E’ meglio che i tiranni facciano torto alla plebaglia cento volte, che questa faccia torto ai tiranni una sola volta. Giacché se qualche torto è necessario sopportare è preferibile che esso sia sopportato dai sudditi e venga dalle autorità, piuttosto che sia sopportato dalle autorità e venga dai sudditi. Poiché la plebaglia non ha e non conosce alcuna moderazione e vi sono più di cinque tiranni dentro ciascuno di essa.
Qui tu, forse, dirai: «dunque bisognerà tollerare ogni malefìcio che ai tiranni piaccia commettere ? Tu usi loro troppa indulgenza è la
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loro iniquità diventerà soltanto più grande in virtù del tuo insegnamento. Sopporteremo noi che la sposa e il figliuolo, la persona e la proprietà di ciascuno siano in tale pericolo ed in tale ignominia? Chi intraprenderà qualcosa di buono se dobbiamo vivere cosi ?» A questo rispondo: « io non insegno a te che vuoi fare ciò che ti sembra e ciò che ti piace: va pure dietro al tuo desiderio ed uccidi i tuoi padroni e guarda.come ciò ti riesce ». lo insegno soltanto a coloro i quali realmente desiderano operare il giusto. Ad essi io dichiaro che le autorità non possono essere obbligate mediante il delitto e la sedizione come i Romani, i Greci, gli Svizzeri e i Danesi hanno fatto ; ma vi sono altre vie da seguire.
In primo luogo questa: quando tu vedi che il sovrano stima così poco la salvazione della sua anima che egli è brutale e commette ingiustizia, che cosa t’importa più se egli distrugge la proprietà, la persona, la moglie ed i figli tuoi ? Egli non può nuocere all’ anima tua, ed egli fa a sé stesso più male che a te.
poiché egli rovina la sua anima e deve seguirà la rovina della sua vita e della sua proprietà. Non pensi tu che questa sia una sufficiente vendetta ? Inoltre, che cosa faresti tu se questo sovrano fosse in guerra, nella quale non semplicemente la proprietà, la moglie e i figliuoli tuoi, ma tu stesso dovessi essere ferito, fatto prigione, bruciato, ucciso per il tuo sovrano? Vorresti tu uccidere il tuo. sovrano per questo? Quanti magnifici popoli l’imperatore Massimiliano ha e *duto in battaglia nel corso della sua vita pure nulla fu mai tentato contro di lui per questa ragione, benché niente di più provocante fosse stato udito che averli egli fatti uccidere arbitrariamente. Ed egli è la causa della loro morte, giacché solo per catisa sua essi furono uccisi. Ora che cos’altro rappresentano un tiranno ed un carnefice se non una pericolosa guerra nella quale molti belli, onesti, innocenti uomini rischiano la loro vita?
(Continua)
Traduzione di Paolo Tuccj.
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ew.til.WJL1 Lar.
LA RELIGIONE DI UN LETTERATO
Religió grammatici (La religione di un letterato), è il titolo di un discorso presidenziale tenuto da Gilbert Murray, il famoso ellenista di Oxford alla Associazione classica inglese.
Ne riferiamo alcuni brani salienti :
« Deve bene esservi qualche cosa che possa dirsi : Religione di un letterato..., ed io vi farò la mia professione di fede... La maggior parte della vita dell’uomo, non meno che degli animali, è confinata rigidamente entro il ciclo degli eventi che si susseguono di ora in ora, esposta ai colpi delle circostanze: e la corrente della coscienza resta incanalata dagli eventi e dall’entourage del momento. L’uomo è imprigionato nel presente del mondo esteriore : e ciò che noi chiamiamo la religione di un individuo è in gran parte ciò che gli offre il secreto e il mezzo permanente di sfuggire a quella prigionia, che abbatte le mura della prigione e lo lascia, naturalmente, sempre nel presente, ma in un presente così dilatato ed emancipato, che diviene non già una S’one, ma un libero mondo. La Religione, e intesa in senso ristretto, è sempre una ricerca della “Soteria”, della salvezza, dello scampo dal terrore dell’avvenire o della liberazione da questo “corpo mortale”.
« Gli uomini trovano questa salvezza in mille modi diversi e con differenti gradi di facilità e di certezza.
«Io ñon ho alcuna intenzione di lodare il mio talismano alie spese di altri talismani, quali la teologia, l’arte, affetti umani, il lenitivo di un assiduo lavoro, l’esercizio continuo dell’indagine intellettuale, volgarmente chiamato ricerca della verità; alcuni la trovano in illusioni d’una specie o dell’altra, accarezzate con cura, in fedi appassionate e pugnacità incessanti ; altri ancora trovano, credo, un sostituto, semplicemente rallegrandosi della loro prigionia, e vivendo furiosamente nel presente, bene o male.
« Un letterato conquista la sua libertà tenendosi sempre strettamente afferrato al passato e tesoreggiando ciò che di meglio esso può offrire, sì da potere, pur in un presènte che può essere iroso e sordido, rievocare ricordi di calma o di passioni elevate, e da potere, in un presente che richiede rassegnazione e coraggio, rievocare lo spirito con cui individui coraggiosi molto tempo indietro fronteggiarono gli stessi mali.
« Egli estrae dal passato pensieri alti ed emozioni grandiose, e la forza che viene dalla communione umana e dalla fratellanza... Cosi i salmi, benché tradotti in lingue estranee all’indole dell’originale, e perdendo nella traduzione spesso il loro significato originale, continuano a vivere e ad esercitare una influenza reale nella vita umana, influenza corroborante e quasi sempre nobilitante... Lo studioso che si rende conto di questa comunione si sente come un membro deila lunga processione di lampadofori, e raggiunge quello che è il più evidente desiderio di ogni essere umano, cioè un’attività che renda la vita degna di esser vissuta anche se non interrotta ma variata, dall’accidente della sua morte individuale.
«È in tal senso che io intendo la religione ».
Il Murray sviluppa la sua “ professione di fede”, e conclude con le parole:
«La religione dei seguaci delle scienze fisiche è cosa magnifica e vivificante. Anche essa fornisce all’uomo i mezzi di sfuggire al mondo che lo circonda : sfuggire dal rumoroso presente, nella regione dei fotti che sono ciò che sono e non già quello che degli sciocchi vorrebbero che fossero ; sfuggire dalla volgarità degli eventi quotidiani nel mondo remoto di un’alta e seriamente disciplinata fantasia; sfuggire alla mortalità in omaggio ad una finalità crescente e durevole: la progressiva scoperta della verità.
« Io posso ben comprendere ancora la re-
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LA RELIGIONE DI UN LETTERATO
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ligione dell’artista, del filantropo, e non meno quella di molte persone,, specie giovani, che rigettando insieme libri e microscopi, tavolozze e comitati, vivono godendo del presente concreto, attuale, ch’essi possono nobilitare coi solo amarlo.
« E la religione della democrazia ?.. La dottrina cardinale di essa è nel diritto di ogni anima umana a penetrare senza ostacoli, eccetto quella della limitazione delle sue stesse facoltà e desideri; nella piena eredità spirituale della razza.
« Tutti questi obbiettivi sono buoni, e coloro che li perseguono possono ben essere soldati della medesima armata, o pellegrini nella medesima eterna ricerca.
<< Se noi ci irritiamo e contendiamo e lottiamo l’uno contro l’altro al presente, gli è specialmente perchè noi siamo talmente soggetti al potere del nemico. Talvolta mi vien fatto di desiderare che noi uomini di lettere e di scienze potessimo essere tutti vincolati dà qualche voto di rinunzia o di povertà, come monaci medioevali, ma naturalmente non vi è rinunzia, per quanto ampia, che possa effettivamente salvarci da quel potere. Il nemico non ha un nome definito, benché tutti lo conosciamo più o meno. Esso è colui che mette sempre il corpo avanti allo spirito, ciò che è morto dinanzi a ciò che è vivo, il bisogno innanzi alla bellezza; che costruisce solo ciò che può esser venduto; che ha dimenticato esservi qualche cosa che si chiama verità, e misura il mondo dalla “ redame ” che si fa e dal danaro che vale ; che quotidianamente imbratta la bellezza che lo circonda e rende volgare la stessa tragedia; la cui religione intima è il culto della menzogna nell’anima propria. I) Filisteo, il volgare, il grande sofista, il falsario si trova intorno a nói dappertutto ; peggio: ha i suoi
avamposti entro di noi, perseguita la nostra pace, offusca la nostra vista, confonde i nostri valori, fa apparire all’individuo la propria grandezza maggiore di quella della razza, ed il presènte più importante dell’eterno. Da lui e dalla sua influenza noi troviamo scampo per mezzo della letteratura in quel mondo calmo in cui clamore e stridore sono dimenticati nell’antica quiete, in cui l’acciaio possente si è da lungo tempo irrugginito e le roccie di granito si sono frantumate e ridotte in polvere, ma le grandi realtà dello spirito umano splendono tuttora come stelle che segnano all’uomo la sua via verso il grande trionfo o la grande tragedia, e in cui anche le piccole cose, le amabili, tenere, comiche, famigliar! cose, accennano a noi attraverso abissi di morte e di trasformazione con una magica vivacità; quelle vecchie cose che i nostri defunti duci e antenati amavano, " tuttora vive e fatte più belle dal nostro desiderio”-“ viva adirne et desiderio pulchriora”.
« La religione della comunione con gli spiriti magni della storia, dell’armonia col bello artistico e morale, della adesione intellettuale al vero del mondo fisico e naturale, della fratellanza umana accolta dall’ànima dilatata, dell’attimo fuggente goduto, della 44 cosa bella, gioia sempiterna... ”, resteranno però analogie o frammenti di quella che è la religione, se l’anima vibrante e universalizzata nello spazio e nel tempo, non giunga a sentirsi espressione di una personalità più profonda e più vasta, e sovrumanamente buona, e ad avere fiducia in essa.
« Le religioni stanno a la religione come “la Cupola dai vetri di svariati colori sta alla bianca luce dell’eternità che essi macchiano ”» [Shelley).
Emmanuel.
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QAPO I.
SOPRASCRITTA E SALUTO - AZIONI DI GRAZIA E RICHIAMI ALL’ASCOLTO.
eofilo (i) il minimo di tutti i fratelli, ai fratelli di cuore puro e di buona volonà disseminati e dispersi in tutte le chiese, che invocano il nome di Cristo Gesù nostro Salvatore.
2. Grazia, misericordia e pace a Voi da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo.
3. È conveniente rendere grazie di Voi a Dio e ricordarvi nelle nostre orazioni, perciocché, sebbene siate un piccolo greggie nella dispersione, la vostra fede e la vostra carità
sono la luce del mondo.
4. Benedetto sia Dio Padre del nostro Signore Gesù Cristo che a ciascuno di Voi ha data la grazia di essere santificato e reputato degno del Regno di Dio, pel quale oggi soffrite, restando incrollabili nello spirito dell’Evangelo.
5. Non converrebbe a me, il minimo e più spregievole di tutti i fratelli, scrivere a Voi che siete i maggiori, i più degni e le colonne della fede, pure ascoltatemi, imperocché non mi vergogno dell’Evangelo di Cristo, che è la potenza di Dio Padre in salute a tutte le genti.
6. Se siete in afflizione e soffrite, io pure sono afflitto e soffro. Se siete consolati per la speranza della Fede, io pure lo sono perchè siamo uniti in una medesima mente e in un medesimo spirito della carità, che è in Cristo Gesù.
7. Se deliberai scrivervi, l’ho deliberato perchè, se non mi è possibile conoscervi ad uno ad uno, possa almeno essere consolato congiuntamente da Voi per la fede comune fra noi, vostra e mia, e procedere con Voi di pari consentimento nel bene.
8. Di per me stesso sono un nulla e so non essere capace di pensare alcunché.
(1) Il nome Teofilo è scelto pel suo significato etimologico.
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se non per la grazia del Signore, ma so pure che la vostra carità è sovrabbondante e sopporta ogni cosa. Sopportate dunque anche me, ed affinchè io non vi stia stretto, fatemi posto nei vostri cuori ed ascoltatemi. Non me però, ma l'amore del Nostro Signore Gesù Cristo, che opera in me per la Sua grazia, nella misura del dono che a Lui piacque.
CAPO II.
DIFFICOLTÀ E TRISTIZIA DEI TEMPI - LE GUERRE GIUSTIFICABILI.
, i. Or ben sapete, o fratelli, che viviamo in un mondo tenebroso, doppio di cuore ed instabile in tutte le sue vie, che ha occhi per vedere e non vede, orecchi per udire e non ode, affinchè sopporti gli effetti della sua malvagità e stoltezza.
2. Son venuti i tempi difficili dei quali Paolo scrisse a Timoteo (i).-« Gli uomini materiali e miscredenti che ritengono la verità in ingiustizia hanno abbandonate le vie dell'Evangelo o fingendosi pii hanno rinnegato quello, che costituisce la fòrza della giustizia, della carità e della fede ».
3. Alla conoscenza di Dio Padre e dell’uomo spirituale hanno preferito la conoscenza della materia e dell'uomo carnale e stimandosi savi sono divenuti pazzi.
4. Ripieni di ogni ingiustizia, malvagità, invidia, frode, o,dio. e vanagloria: egoisti, orgogliosi, spietati, sopraffattori dei deboli e senza fede nei patti.
5. Il loro lavoro è sete di ricchezza per soddisfacimento di ambizioni e di vizi e non opera d’amore a prò dei loro simili in spirito di propria temperanza.
6. La vita è divenuta per essi un turbine vorticoso di continuo affaccendamento per sùbiti guadagni; la loro società è una macina pesante e veloce per frangere le esistenze in farina di morte.
7. Con la scienza della materia perforarono e frantumarono i monti, congiunsero i mari, parlarono da un capo all’altro della terra; le loro navi navigarono nelle profondità delle acque, come squali e volarono nelle altezze dell’aria, come avvoltoi.
8. Ma la scienza della materia senza la sapienza dello spirito' è stata confusa. Le sue stesse glorie si mutarono in ordigni spietati di desolazione, di incendio, di rovina e di strage.
9. Le rivalità provocarono le discordie: le pazze ambizioni di dominio generarono gli odi c scatenarono le guerre. I fanciulli, le donne e i vecchi restarono nelle case della denutrizione. I giovani, i validi e i forti arrossarono i campi di sangue e poi li imbiancarono di teschi e d’ossa di morti.
io. Imperciocché gli Imperatori di questo secolo per cupidigia di ampliare i loro confini, per soprastare ai più deboli e per dominare sulle genti, rotta la fede dei patti giurati, coprirono la terra di stragi ed empirono il mare di naufragi e di morti innocenti.
11. Essi invocarono il loro vecchio Dio, l'idolo del Walhalla della forza brutale e della violenza, lo sterminatore della sinagoga di Satana ed al suo maglio cercarono unire con l’inganno, la scimitarra di Maometto e il pastorale di Pietro.
(1) Ep. H a Timoteo III, r, 6.
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12. Ma sta scritto da Giovanni (1), il discepolo che Gesù amava, che i figliuoli di Dio e i figliuoli del diavolo si riconoscono da questo: che chi non pratica la giustizia non viene da Dio.
13. Perciò furono cacciati da Gerusalemme, come i ladroni dal Tempio e stanno per essere annientati quando la misura dei loro misfatti sia colma.
14. Imperciocché, quando grideranno sicurezza di vittoria, l’ora loro verrà come un ladro di notte, conciossiachè sta scritto che i malvagi e gli ingannatori procederanno in peggio, seducendo e poi essendo sedotti.
15. Or meglio sarebbe che nel mondo non vi fossero guerre, ma poiché gli odi e le pazze ambizioni di dominio le provocano, quelle sole sono giustificabili per la tutela dei confini, che la Provvidenza divina assegnò alle genti.
16. Ed invero anche Gesù Cristo s'armò di flagello (2) per difendere i confini del Tempio e purificarli, imperocché a viva forza ne cacciò fuori i profanatori della giustizia, della carità e della fede. Ora queste tre cose appunto sono limite e giustificazione della guerra (3).
' 17. La giustizia: perchè esista la giusta causa di difendere il buon diritto violato, imperocché le guerre per sopraffazione dei deboli, per sete di tesoro, per ampliamento di terre e per ambizione di dominio nascono da cupidigia di preda e sono brigantaggio e grande latrocinio (4).
18. La carità: perchè non è lecito nuocere al nemico oltre il necessario, colpire i prigioni, i feriti, i malati, infierire contro vecchi, donne e fanciulli, provocare incendi, naufragi e rovine superflue, uccidere non combattenti è bestiale ferocia, che grida vendetta al cospetto di Dio.
19. La fede: perchè devesi fedeltà ai patti anche verso il nemico, perchè la legge morale non distingue tempo nè di pace nè di guerra e resti precetto immutabile serbare fede ai patti.
20. Ora gli uomini sopportano questi mali senza saperne la vera radice che non conoscono e non vedono, e sta a Voi, o fratelli, togliere dal mondo questa grande ignoranza, che credono grande saggezza.
21. Sta a voi, annunziare, non con eccellenza di parole e di scienza, ma con dolcezza e fermezza, la sapienza di Dio misteriosa ed occulta, che non è di questo secolo, nè dei principi di questo secolo,, ma dello spirito dell’Evangelo.
22. Imperciocché siete uomini spirituali che possedete il pensiero di Cristo, mentre gli altri negano Dio e lo credono malvagio ed ingiusto 0 pii in apparenza sono rinnegatori di ciò che costituisce l’essenza della verità.
23. Armatevi dunque dell’armatura di Cristo (5) ed unitevi impugnando la spada della parola per la salvezza di tutte le genti.
(1 Ep. I di S. Giov., Ili, io.
(2 Giov., II, 14-17; Matt., 12-13; Marco, XI, 15-18; Luca, XIX, 45-48.
(3 Matt., XXIII. 25: Luca, XI, 42.
(4 S. Agostino, Medit.
(5) Ep. agii Efies., VI, 14-17; I Tess., V, 8.
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PER LA CULTURA DELL’ANIMA 293
capo se®
LA RADICE DEI MALI E LA VERITÀ ETERNA.
•
i. Ora, la prima radice di tutti i mali è la mancanza della fede in Dio Padre e il vivere secondo là materia, perchè da questo nasce il desiderio di impadronirsi delle cose del vicino, di sopraffare con la violenza i deboli e di sostituire la forza al diritto, infrangendo la legge eterna del giusto c dell’onesto.
2. Forse che Dio non esiste? Ciò che si può conoscere di lui è manifesto nel mondo sino dalla sua creazione, perchè dalle cose visibili si vedono le invisibili, la sua potenza, sapienza, bontà e divinità.
3. Ma il mondo miscredente tiene gli occhi volti in basso alla natura inferiore, dove i pesci grossi mangiano i piccini, e dove il coltello che anatomizza il cadavere non trova la vita.
4. Alzate gli occhi in alto! Guardate la natura superiore dei corpi celesti, dove i soli ricchi di energia e di vita le elargiscono ai poveri pianeti e questi aiutano il loro sole a sostenersi e a muoversi con velocità vertiginosa nell’immensità celesti.
5. Imperciocché tutti obbediscono a leggi matematiche d’ordine, di armonia e di amore, imperanti nello spazio e nel tempo: ed anche i corpi- morti urtandosi rinascono in nuovi sistemi di energia e di luce.
6. Ora, poiché i moti dei corpi celesti sono della natura stessa dei moti del ragionamento di un’intelligenza matematica, è certo che una potenza intelligente governa l’universo con ima legge di coordinata armonia fi).
7. Forse che il caso può farsi fabbricatore di leggi matematiche coordinate? Forse che là natura può proporzionare i quadrati dei • tempi, ai cubi delle distanze? (2) Certo che no; ma la sapienza della Mente prima, che è Dio Padre benedetto in eterno.
8. Giustamente.! sapienti d’infra i gentili, prima di Cristo, dissero che Dio geometrizza. Chi ha data ad ogni minerale la sua forma geometrica? Il caso è caso; nè da esso può sorgere regolarità costante di forme, ma disordine e disarmonia.
9. Ora, se Dio Padre stabilì le leggi, che governano la immensità dello spazio e del tempo, Dio Padre è maggiore dell’infinito e dell'eternità.
io. E vi è un Dio solo. 0 non sapete Voi, che l'unità moltiplicata per l'unità riproduce l’unità? Lo imparaste a scuola da piccoli fanciulli ed io Vi dico che nella unità non può essere contraddizione, ma un solo ed immutabile spirito d'àmpie.
11. L'unità poi è essenza positiva. Da questo riconoscerete le leggi di Dio che sono tutte positive, perchè l’amore infinito non comporta negazione. Perciò ogni precetto negativo non è da Dio (3).
(1) Platone, Dette ¿egei.
(2) Terza legge astronomica di G. Keplero.
Matt., XXII, ^6-40: Marco. XII, 28-v.
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12. Forse che Dio è malvagio e ingiusto? Forse che non si preoccupa di noi? Certo che no. Creò l’uomo dandogli la libera volontà, perchè potesse assurgere fino a Lui, creatore dell’universo e delle leggi dello spirito e della materia.
13. Ora, la volontà libera è facoltà di elezione o di scelta. Se io ti metto davanti un solo frutto e ti dico: scegli, tu mi riderai sul viso dicendomi: come posso scegliere se il frutto è uno solo? Mettine duo e sceglierò. Dio quindi dando la libertà d’elezione mise davanti all’uomo due vie principali, quella dello spirito e quella della materia, quella dèi bene e quella del male.
14. E nella sua misericordia e sapienza dispose che anche il' male si mutasse in fonte di bene per gli uomini e con l'esperimento dei suoi effetti fosse correggi-tóre ed emendatóre dei malvagi.
15. Perciò è ragionevole che gli uomini avendo la libera volontà operino liberamente, ma è anche giusto che sopportino le conseguenze dell’opere loro.
16. Ed invero; so che il fuoco brucia. Se toccherò il fuoco e mi brucierò, dirò forse che Dio è ingiusto e malvagio? O riconoscendo la mia stoltezza mi guarderò dal toccarlo di nuovo?
17. Ora Dio Padre, infinitamente buono, lascia che le leggi, stabilite dalla Sua sapienza per il bene, operino, imperciocché l’immensa potenza di Dio si manifesta con la debolezza (1), cosicché con le cose deboli confonde le forti e con quelle che non sono quelle che sono.
18. Gli uomini invece, guidati dall'egoismo e invaniti di orgoglio, si sono fatti contradicenti: alla vita spirituale preferirono la materiale e nonostante la parola d’amore dell’Evangelo, rimase nei loro cuori l’idea dei pagani divinizzanti il viziò e la forza bestiale, imperciocché non seguirono la legge della carità, che è in Cristo Gesù.
19. I mattoni di un edifìzio, privi di intelligenza, si sostengono fra loro e l’edi-fizio sta in piè. Costoro, più stolti dei mattoni e invaniti della loro vanità, si contrastano e si demoliscono, e poi imprecano a Dio se il loro edifìzio frana.
20. Ognuno adoperi e prenda ciò che è suo e làsci stare le cose del suo simile, vivendo con esso in spirito d’amore, imperciocché dalla violazione di questo precetto vengano i disordini, gli odi, le guerre ed ogni male.
21. Se ho seminata zizzania invece di grano dirò forse che Dio è malvagio ed ingiusto perchè manco di pane?
22. Chi semina malo seme incolpi se stesso e non Dio, se raccoglie malo frutto, imperciocché quello che uno ha seminato quello pure debba mietere e chi nulla semina nulla raccoglie.
23. Del resto non basta astenersi dal male: occorre operare il bene. Se vedrò che altri ammazza 0 ruba e potendo impedirlo starò fermo, ho violato il precetto positivo d’amore.
24. Imperciocché la legge dell’amore di Dio e del prossimo è comandamento operante positivamente. Il non fare il male è norma che nulla opera e dà frutto di inerzia. Il fare il male poi è atto negativo che arreca mali effetti.
(1) Ep. II ai Cor., XII, 9.
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25. Ora Dio Padre è misericordioso e si preoccupa degli uomini perchè non li punisce, ma lascia che sopportino le conseguenze dell’opere loro, affinchè si correggano ed apparisca la sua benignità. Se così non fosse gli uomini sarebbero già sterminati.
VITA SECONDO LO SPIRITO E SECONDO LA MATERIA.
26. Ma non basta pensare che Dio esistè perchè anco i demoni lo pensano : ma è pure necessario vivere operando secondo lo spirito d’amore evangelizzato da (¿risto Gesù.
27. Il Signore ha cercato più volte di raccogliere le genti come la gallina raccoglie i suoi nati sotto le sue ali (i), ma esse non hanno voluto, imperciocché le tenebre non comprendono la luce per essere sempre più tenebrose.
' 28. E vissero e giudicarono secondo la materia e non riceverono le cose dello spirito di Dio, che per loro sono pazzia, nè l'intesero, perchè vanno giudicate spiritualmente.
29. Imperciocché sia impossibile servire a due padroni (2) se non seguendo l'uno e disprezzando l’altro e ninno può seguire la legge dell’amore e della carità e quella dell’egoismo e della sete di dominio.
30. Lo spirito dell’Evangelo è lungi dagli uomini. Anco coloro che dicono « Venga il tuo regno » non sanno quello che chiedono, imperciocché tutti si affannino ad accumulare tesori che la corruzione distrugge e sieno con febbrile ansietà solleciti di ciò che mungeranno, beveranno e vestiranno (3).
31. Dio Padre, se ci vuol vivi, sa quanto ci bisogna prima ancora che lo domandiamo e a coloro, che con cuore puro è buona volontà cercano il suo regno, tutto ciò è dato con larga misura premuta e scossa.
32. Ora il regno di Dio è in noi, imperciocché consiste nell’amore di Dio e del prossimo che si manifesta nell’operare il bene e nel lavorare per l'utile dei propri simili con spirito di temperanza per sé stessi.
33. A ciascun giorno basta la sua fatica e il- suo affanno e l’operaio è degno della sua mercede, ma chi brama accumulare tesori cade nel laccio dei desideri insensati e funesti, radice di ogni male e tribolazione.
34. Imperciocché le contese, fra chi ha e non vuol dare e chi non ha e vuole togliere, abbiano sovente insanguinata la terra, ma sempre con frutto di perverti mento e con ritardo del miglioramento umano.
35. Il mondo che vive secondo la materia ha per movente il dolore, che crede sfuggire accumulando tesori per soddisfare materiali desideri, ma chi vive secondo lo spirito ha per movente, l’amore e la carità di Cristo. Ora, guai ai mercanti, che profittano delle difficoltà presenti e fanno per sordido guadagno più aspra agli altri la vita, perchè saranno anatema a se stessi, ai nati dei nati, e quelli che da loro nasceranno, finché non sia espiata anco l’ultima lacrima spremuta per loro cupidigia dal cuore dei miseri.
(1) Matt., XXIII, 37-38.
(2) Lúea, XVI, 13.
(3) Matt., VI, 25-34; Lúea, XII, 22-31.
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36. È volontà del Padre che tutti si salvino. Ora non vi sono che due vie: o seguire la legge dell’amore o sottostare a quella del dolore, che con la lunga prova della sofferenza porta al ravvedimento.
37. Chi non vuole sopportare come schiavo la dura legge del dolore, segua da uomo libero quella dell'amore, imperciocché non invano il Signore abbia detto: « Seguitemi, perchè il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero » fi). Ora il giogo e il peso di Cristo è il precetto d’amore.
38. Ed ora a voi, o ricchi, dovrò io ripetervi le parole roventi dell'Epistola di Giacomo (2) e dirvi che il vostro oro e il vostro argento saranno in testimonianza contro di voi? 0 non sapete che il Primo Maggio è la festa di Giacomo? (3). Chi non lavora non mangi (4) ed il lavoratore che dura fatica sia il primo ad avere la sua parte dei frutti.
39. Ed a voi, o poveri, dovrò io forse dire che l’invidia, la violenza, la mal guadagnata mercede, la sete di benessere materiale generano malo frutto di miseria e di affanno fino alla quarta generazione? Se tutti ricchi, chi lavorerà? Se tutti poveri, chi darà la mercede? L’eguaglianza non è nella legge di natura, ma in quella dello spirito.
40. Meglio è insegnare ai ricchi ed ai poveri, che l’amore è la fonte del bene e che la carità di Cristo è paziente, piena di bontà, non invidiosa, non vanagloriosa, non si inasprisce con alcuno, ma spera ogni cosa e tutto sopporta perchè tutto raggiunge (5).
41. Se non volete sopportare il dolore osservale il Comandamento grande del Signore: « Questo è il Comandamento che vi amiate l’un l’altro come io ho amato voi. Voi siete miei amici se fate questo che io vi ordino » (6).
42. Credete voi che le guerre, le violenze, le stragi, le rovine e gli incendi, provengano da questo Comandamento del Signore? Certo che no.
43. Ma dagli uomini egoisti, amanti del denaro, vanitosi, arroganti, bugiardi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, irreligiosi, sleali, calunniatori, intemperanti, crudeli, nemici del bene, traditori, senza fede nei patti, ambiziosi, gonfi di orgoglio ed amanti di piaceri più che di Dio.
44. Essi si arruolarono volontari agli stipendi del dolore ed ora, si dolgono ed imprecano al soldo riscosso dal dolore per la loro volontaria milizia. Togliete dal mondo questa grande ignoranza.
45. Imperciocché l’esperimento del dolore spingerà i popoli ad associarsi per allontanare le violenze e le guerre, ma il lóro intento sarà deluso, se meglio che al materiale interesse, non si ispireranno alla Fede con lo spirito del Signore Gesù e non faranno dell'Altissimo la loro delizia, affinchè Egli dia ad essi quello che il loro .cuore desidera (7).
(0
(2)
(3
(4
(5
(6
(7
Matt., XI, 29-30.
Ep. di Giacomo, V, 1 e seguenti.
Calendario Romano: 1® maggio lesta degli apostoli Filipoo e Giacomo.
Ep. II ai Tess., Ili, io.
Ep.- I ai Cor., XX11I, 1 e seg.
Giov., XV, 12-14.
Salmo 37.
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CAPITOLO IV.
I MINISTRI DEI SACRI MISTERI.
1. Peggiori dei miseredenti e degli infedeli, ehe l’ignoranza può giustificare, sono coloro che pii in apparenza, si servono della fede per avvantaggiare se stessi, rinnegando l’essenza della sana dottrina.
2. Ed avviene che taluni di questi sepolcri imbiancati si trovino fra i ministri dei sacri misteri. Fuggite codesta razza di vipere. Costoro sono quei servi infedeli dei quali profetò il Signore (1).
3. Guai ai presbiteri, ai vescovi e agli altri governanti la chiesa, che mossi da cupidigia, da ambizione e da desiderio di beni terreni, parlano per piacere agli uomini e non a Dio: imperciocché essi serrano il regno dei cieli alla gente e non vi entrano, nè vi lasciano entrare.
4. Perchè agli interessi spirituali antepongono i materiali e a quelli delle anime quelli del vii guadagno e del pollaio e mercanteggiano le cose sacre e quelle per i fratelli defunti come il bestiame sul mercato; inquantochè, non per vocazione, ma per mestiere abbiano scelto il sacerdozio.
5. L’ignoranza, la venalità, la ghiottoneria, l’avarizia e la lussuria di taluni di costoro sono grande motivo di scandalo. Per essi il ministero divino è vituperato e spregiato con danno della fede, che dovrebbero conservare con l’esempio risplendente di buone opere. Per questo la maggior parte degli uomini, confondendo nell’ignoranza loro (difatti miscredenza non è intelligenza) la .indegnità dei ministri colla santità della fede, si allontanano dall’Evangelo.
6. Ma sugli ispettori delle chiese, che dal greco diconsi vescovi, grava maggior colpa perchè non impediscono questo scandalo e talvolta danno il malo esempio di cupidigia, di intemperanza e di vanagloria.
7. Reputate perciò degni di doppio onore i presbiteri e i vescovi, che con costanza, con carità e purità adempiono il loro ministero e sono vigilanti ed irreprensibili come si addice ai ministri di Dio: imperocché pascono il gregge sorvegliandolo non come obbligati, ma di buona voglia; non per amore di sordido guadagno, ma con zelo spontaneo; non da dominatori, ma come esempio di carità (2) e specialmente quelli, che come Cristo amò Gerusalemme, fino alle lacrime, amano la patria e con virile franchezza protestano contro ogni malvagità ed ingiustizia dèi potenti; imperciocché sono meritevoli del nome di angeli delle chiese (3).
8. Ma contro l’ipocrisia e l'indegnità degli altri, che si conducono come nemici della Croce di Cristo, gridate, come gridò Gesù contro gli scribi, i farisei e i profanatori del tempio, perchè preparano alla chiesa tempi di grandissima tribolazione, perchè esca mondata e torni alla semplicità e purità primitiva.
9. E non basta ora alla Chiesa universale il dire « pace, pace » ma si conviene alzare coraggiosamente la voce contro l’infamia e l'errore, senza riguardo a persone, perchè se è madre di tutti non però dei figli delle tenebre.
(1) Luca, XII, 45-48.
(2) Ep. I di Pietro, V, 2-3.
(3) Apoc. Il, 1.
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io. Del resto la pace del Signore, come egli affermò (1), non è la pace che dà il mondo. Ora la Chiesa senta la sua forza e gridi contro la frode, l’inganno, la violenza, la rapacità e il brigantaggio grande dei violatori dei patti giurati sul-l’Evangelo, dei distruttori delle chiese, degli uccisori di fanciulli, di donne e di inermi, di naufragatoli di pacifiche navi (2) e contro l'errore della salvazione, mediante una fede disgiunta dalle opere buone.
11. Ora, nell’errore della salvazione per fede senza le opere buone, sta la radice della violenza che opprime la giustizia e il diritto e alla chiesa universale di Cristo, meglio conviene confidare nella croce del Signore, che nella benevolenza dei principi di. questo secolo per speranza di terreno dominio.
12. Imperciocché Gesù abbia detto: « Io. non ho dove posare il capo » (3) e « il mio regno non è di questo mondo » (4) « e sia fuggito quando volevano farlo re »> (5). Deve forse la sposa contrastare al volere dello sposo?
13. Del resto la libertà di esercitare il sacro ministero non sta nella dominazione terrena, perchè dove è lo spirito del Signore, ivi è la vera libertà e Paolo abbia affermato che le sue catene contribuivano al progresso dell'Evangelo (6).
14. Deve forse il Signore tornare un’altra volta sulla via Appia per dire a Pietro: « Vo a Roma a farmi crocifiggere di nuovo »?
CAPO V.
ESORTAZIONI E SALUTI.
1. Guardate, fratelli, quale lettera vi ho scritto, e se dunque l’esortare in Cristo ha qualche efficacia, e la ha, se vi è una qualche virtù persuasiva nell’amore, e vi è, esaminate ogni cosa e ritenete il buono.
2. Non fate nulla per spirito di parte e per vanagloria, considerando il vostro interesse, ma per l’interesse altrui. Vói, che siete senza biasimo e in mezzo ad una generazione corrotta, risplendete come astri del mondo.
3. Ammaestrate, ammonite, confortate e sostenete ognuno nella fede del Signore e siate longanimi con tutti ed anche con me.
4. Siate sempre allegri nell'esortare gli altri a vivere secondo lo spirito, affinchè in virtù dell’esempio vostro trovino la via, la verità, la vita c non si vergognino dell’Evangelo di Cristo.
5. E Dio Padre adorato in spirito e verità li fortificherà e conserverà Voi irriprensibili nelle vie del Signore.
6. Salutate per me tutti i fratelli con un bacio santo. I fratelli d'Italia vi salutano.
7. La grazia del Signore Gesù Cristo sia con tutti voi.
Firenze, agosto 1918.
Enrico Masini.
Giov., XIV. 27.
(2 Questa epistola fu compilata nell’agosto dei 1018.
(3 Matt., Vili, 20; Luca, IX, 58.
Giov., XVltl, 36.
Giov., VI, 15.
Ep. ai Filipp., I, 12-14.
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SPIGOLATURE
IMMORTALITÀ
[Dalla rivista « Vita Britannica ». Lettera inedita di Giuseppe Mazzini al suo amico di Glasgow John M’Adam, datata dal 17 ott. 1857].
Mio caro signore, vi sono veramente grato per avermi scritto dei vostri dolori domestici ; io la considero come la più alta prova npn solo di simpatia politica, ma di sentiménti amichevoli. Sento la vostra perdita profondamente. Ho perduto ad uno ad uno e, quel che è peggio stando lontano, tutti coloro che amavo in Italia, tranne una sorella, e conosco il profondo, irreparabile, eterno dolore che simili perdite producono. Gli affetti famigliati, quando esistono, sono, io temo, i soli durevoli. Io non posso offrirvi altra parola di conforto eccetto quella che il vostro cuore ha già sussurrato: Immortalità. È quella che mi ha fatto sopravvivere a tutte le perdite e mi ha rafforzato a compiere il mio compito. Ogni morted’un essere amato ha costituito per me un obbligo nuovo di resistere e di non abbandonare il cammino che mi rese amato.
Credo nell’immortalità come credo nella vita ; la vita non può morire ; sarebbe lo stesso che Dio potesse morire.
Credo nell’Immortalità cosciente ; senza una coscienza d’identità essa sarebbe una menzogna e la coscienza dell’umanità non può dire menzogne.
Credo in una vita progressiva per l’individuo, come credo in una vita progressiva per l’umanità collettiva: la vita è una, e non ha
che una sola legge, sotto qualunque aspetto essa si manifesti.
Credo nello sviluppo progressivo dei nostri affetti, quando viviamo e moriamo in essi; essi sono la miglior parte della nostra vita e sono come il seme, l’iniziazione del fiore; l'affetto sboccia altrove, proprio come il fiore nato dentro la terra, si schiude in un altro elemento, l’aria.
Credo nell’unione di coloro che amano; senza di questa, l’affetto condiviso, una cosa di Dio, sarebbe nuli’altro che una ironia amara.
Io credo che l’unione sia un premio, il più alto forse che possiamo avere, insieme finito e progrediente, un premio concesso, prima alla costanza dell’amore, poi alla costanza con cui noi restiam fedeli al còmpito cui ci eravamo dedicati quando l’essere amato ci ha abbandonati, per un istante. Vi è tutta una fede e tutta una direttiva in questo ed io vivo e cammino, triste, ma composto e fermo, come se fossi circondato dai morti che amo, e come se ogni mutamento in me, ogni tentennamento, ogni arido ed egoistico dolore non soltanto li addolorasse, ma prolungasse la separazione. Ogni morte ha lasciato la sua impronta sulla mia anima ed ha cancellato un sorriso dal mio volto, perchè sono un uomo, qualunque cosa io creda e noi sentiamo gravemente anche una separazione temporanea da coloro che amiamo; ma ciò mi ha dato forza per l’adempimento di quello che credo il mio dovere ed ha tenuto lontano il freddo, duro, egoistico dolore. La vita non è altro che missione, perciò è un dolore, ma non senza una consolazione: l’immortalità dell’amore. Questi sentimenti sono anche i vostri, ne son sicuro, e perciò non ho altre parole da dirvi e debbo limitarmi a sentir con voi quel che voi sentite e a stringervi da qui la mano con simpatia, con „amicizia, a voi e alla signora M’Adam. Sempre affettuosamente vostro
Giuseppe Mazzini.
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LA SCUOLA FEMMINILE
E LE RIFORME
Giovanni Gentile, il ministro Berenini e molti altri professori delle nostre scuole medie e superiori, parlando e scrivendo di riforme negli istituti femminili, si sono limitati alle scuole normali, quasi che tutta la cultura e l'educazione femminile si formassero in tal luogo e, riformatolo, le giovani e le loro famiglie potessero dimostrarsi pienamente soddisfatte. Epurare, ampliare in certi punti, semplificare in altri l’abbondante e faragginoso insegnamento delle scuole normali è cosa buonissima, ma tra il gran numero delle fanciulle che vogliono istruirsi, moltissime non frequentano le scuole governative e sono iscritte od in collegi pareggiati o sono convittrici in istituti diretti da monache.
In un romanzo che fu molto letto, applaudito e criticato all’eccesso: l'ebreo errante di Eugenio Sue, v’è lumeggiato un collegio femminile, retto da suore, che erano legate per affinità religiose e per speranze di propaganda coi Gesuiti. Quando lessi il celebre romanzo, quelle descrizioni d’un istituto, in cui le fanciulle invece d’aver aperte le menti al vero ed al bello, d’essere educate alla sincerità, alla semplicità, erano come chiuse tra pesanti barriere, a cui il pensiero batteva inutilmente cercando un varco ; obbligate ad una religione tutta di forma, abituate inconsciamente all’ipocrisia, sperai che la mente del romanziere si fosse lasciata vincere dalla fervida fan
tasia e che le monache descritte e la loro casa fossero una geniale — ed un po’ forte — invenzione. Invece parlando con varie persone conoscenti ed amiche, le quali frequentarono dei collegi religiosi, ho compreso che in essi, in genere, l’educazione è sempre molto ristretta, artificiosa, esuberante di forme religiose non vivificate dall’ardore dello spirito, senza un preciso senso della vita, senza la visione sicura della missione che spetta alla donna nella società. Le educande entrano nel collegio a sei, sette anni quando nessuna idea del mondo ha potuto affermarsi nei loro cervelli, e vivono per mesi e mesi in quegli ambienti dóve la vita è diversissima da quella che s’agita poco lontano, con febbri, battaglie, speranze, fedi ed ideali' che sono perfettamente ignorati tra quelle mura.
Letteratura, storia, pedagogia, morale, religione vi sono insegnate in un modo tutto particolare. Certi autori come possono esser apprezzati da una suora? Il Carducci, ad esempio? Eìo stesso Dante con le sue sferzate al papato? La stòria come può essere insegnata nella sua ampiezza, nella sua severa logica, se in tante sue parti suona rampogna anche ai clero, che dimenticò sovente lo spirituale per il temporale? Come si può educare gradatamente una fanciulla alla sua missione di madre, insegnarle con semplicità le prime norme d’igiene, parlarle di quella famiglia che dovrà formare e che è la base vera della società, quando la monaca ignora tutto di questa nostra vita coi suoi dolori ed i suoi tragici amori, le sue passioni, le sue eleva-
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NOTE E COMMENTI
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zioni, i doveri ed i diritti che ci urgono e vogliono da noi una piena comprensione?
L’ambiente monacale è per sè stesso astratto, direi quasi staccato dal mondo in cui ci agitiamo e viviamo. Nessuna delle fervide speranze che ci assillano entrano in quei luoghi, dove la piccola vita d’ogni giorno si svolge a suon di campana, dove le preghiere sono contate ed obbligate, ed in cui V Imitazione di Cristo tiene il primo posto, senza esser capita nella sua profondità di rinunzia e di misticismo e senza pensare che, se fu adatta a tempi molto lontani da noi, non risponde che in minima parte ai bisogni presenti. L’anima femminile, proclive al sogno ed al sentimentalismo, fra quell’insegnamento, in quell’ambiente più di chiesa che di scienza, prende un’inclinazione particolare: si acutizzano le tendenze che definirò : passionali, e difettano quelle in cui la ragione e la praticità tengono il primo posto. E’ quindi naturale che una giovinetta appena uscita dal collegio monastico sogni ad occhi aperti; stimi il mondo od un’accolta di birbaccioni pronti ad insidiare la sua purità, od un luogo in cui vivono ancora di quei tali cavalieri delle antiche novelle, sospirosi, rugiadosi, arcadici, pronti a morire per un’occhiata della loro bella e più romanticiidel celebre protagonista del Romanzo d’un giovane povero. Al contatto della realtà queste anime femminili restano sempre deluse ; essa è tanto diversa dai loro sogni ! Ed allora o l’accettano con leggerezza, procurando di godere il meglio possibile il poco bene, facendo dei compromessi religiosi con la loro coscienza, prendendo come un fardello, da cui è dolce scaricarsi, i doveri, ed esaltando i diritti come taluni parlano a tutto spiano del libero arbitrio, confondendolo con la licenza. Altre tristi, piagnucolose, eternamente scontente, si confondono con la falange delle donne incomprese, sempre aspettanti l’uomo ideale, l’amore ideale, la vita ideale, in completa antitesi con l’esistenza d’ogni giorno un po’ grigia, un po’ monotona se si vuole, senza romanticismi, ma pur sovrabbondante di sane e sante opere, per chi desidera compirle e sa comprenderle.
Nei collegi monacali le finestre sono chiuse alla buona aria rinnovatrice, da secoli. Là si insegnano le pratiche ed il catechismo della religione cattolica, ma non si fa commentare il Vangelo. Si danno lezioni di musica, di pittura, di ricamo, ma non si dice mai alle convittrici che un giorno saranno madri, e che avranno dei difficili doveri da compiere, una missione da assolvere, che è forse la più importante nella società. L’educazione d’una
gran parte delia donna resta cosi monca, artificiosa, fallace e ne soffre la famiglia ed anche la cultura nazionale.
Ma non solo nei collegi di monache ed in quelli laici che ne seguono le orme ; non soltanto nelle scuole private di antico stampo, in cui le novelle del Soave o quelle dell’abate Schmit sono stimate le migliori di questo mondo, ma altresì nelle scuole governative, e temo anche in quelle rivedute, corrette e riformate, l’educazione femminile ha grandissime lacune. Le giovinette che frequentano le scuole normali sono martiri dello studio; le più diligenti hanno da lavorare dal mattino alle sette fino alla mezzanotte, mandando a memoria molte cose di cui si dimenticheranno prestissimo, confondendo nel loro cervello materie e materie come in un caleidoscopio i colori. Si disse che era necessario aggiungere alle molte lezioni di pura cultura qualche corso pratico, e che poteva anche stimarsi opportuno il coronare gli studi femminili con un po’ di scuola in un dispensario infantile. «Alla fin fine—avrà pensato qualche uomo di buon senso—queste giovani potranno anche maritarsi, e se la pedagogia, la storia, la letteratura, la matematica, il canto, il disegno sono cose utili per un’insegnante; utilissimo per una futura madre di famiglia sarà il conoscere come si allevano i bambini, quali cure si debbono prodigare nella loro infanzia, a quali malattie vanno soggetti e come si possono vincere. Avremo così delle donne che comprenderanno l’importanza della missione a cui sono chiamate; i figli che nasceranno da loro saranno ben curati e meglio custoditi e ne guadagnerà l’igiene, la famiglia e lo Stato».
Ma i ben pensanti furono pochi, ed anche loro, travolti dalla bufera che imperversò sul mondo, avranno cambiato parere. L’educazione femminile è restata più scientifica che pratica, non rispondendo che in parte ai bisogni dell’ora ed a quelli della generazione che ci seguirà.
Eppure, se riforma v’ha da essere nelle scuole per le fanciulle, questa non deve basarsi soltanto sulla cultura intellettuale, ma altresì sullo svolgersi della' vita che queste giovani dovranno condurre, quando saranno mogli e madri. Se rinnovamento dovrà effettuarsi, questo non sarà tutto per il cervello, staccando sempre’più la dònna dàlia casa, e dandole un concetto errato dei suoi doveri, ma vorrebbe una piena armonia, che contemperasse le aspirazioni dell’intelletto con le ma[21]
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tonalità dell’esistenza, che fondesse i diritti coi doveri, l’ideale col reale, ricordando sempre che la casa, la famiglia saranno il luogo dove dovranno crescere, svilupparsi, fiorire le speranze femminili, farsi più sicure le fedi, aver sante soddisfazioni gli affetti.
Una riforma di scuola femminile che dia soltanto all’Italia delle buone insegnanti, delle sapienti: dottoresse, chimiche, ragioniere, sarà una cosa monca. La famiglia ha bisogno di esser edificata su nuove basi; i figli devono trovare nella loro madre la vera guida, capace a lenire le loro sofferenze infantili e ad educare le loro menti ed i loro cuori. Per ora le giovani che vanno spose e diventano madri, si limitano a spaventarsi appena il loro bimbo piange un po’ più dèi solito per un liève mal di ventre, od ha un’indigestione per il troppo latte inghiottito; non sapranno più a che santo votarsi quando avrà un po’ di febbre o quando, fattosi grandicello, si buscherà dei solenni mal di gola per aver corso esagera
tamente o preso dei bagni alla loro insaputa ; ed il dottore non arriverà mai troppo presto a toglierle dall’angoscia, e nessuna medicina parrà loro abbastanza risolutiva per calmare le sofferenze del piccolo infermo. Tutto questo nella migliore delle ipotesi, quando la mamma è abbastanza istruita per comprendere almeno alla lontana i sintomi delle malattie infantili; ma quando l’ignoranza è somma e la sensibilità femminile è esagerata quanti errori si commettono ! Una gran parte della mortalità infantile la si deve alla mancanza d’igiene, e quindi alle madri che non sanno allevare i loro figli.
Diamo quindi alla donna una degna istruzione, che la renda nobile cómpagna dell’uomo, ispiratrice gentile delle sue opere, e madre conscia della sua altissima missione, la quale accompagna ed aiuta, progredendo armonicamente, il progresso morale ed ideale dell’umanità.
Luisa Giulio Benso.
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CRONACHE
POLITICA VATICANA E AZIONE CATTOLICA
I CATTOLICI ITALIANI DINANZI ALLO STATO
Se l’entrata del nuovo Partito Popolare lattano nella vita nazionale era stata considerata come un avvenimento di eccezionale importanza per il riconoscimento definitivo da parte dei cattolici organizzati della sovranità dello Stato, le prime manifestazioni politiche dei suoi rappresentanti hanno reso dubbiosi quelli stessi che nelle sue forze ricercavano ausilii e capacità utili per fronteggiare le manifestazioni rivoluzionarie di quel processo di rinnovazione politico-sociale verso il quale la Nazione si avvia decisamente, lasciando indietro quelle che erano e sono le sfere dirigenti la compagine statale.
L’accettazione della sovranità dello Stato da parte dei cattolici non è tuttavia cosi assoluta e incondizionata come ai liberali essa era apparsa ; il nuovo partito ha posto alcune riserve significative, dalle quali non si può prescindere senza snaturarne la fisionomia, senza adulterare il suo programma di azione, di cui quello emanato al suo sorgere non era che uno schema, privo necessariamente delle infinite possibilità di applicazione.
Due fatti sono venuti in breve volgere di tempo a integrare quel programma iniziale e a ristabilire il carattere del nuovo organismo politico aperto, in un primo momento, a tutti gli uomini « liberi e forti » : le dichiarazioni fatte il 2i febbraio 1919 da un suo rappresentante al Consiglio comunale di Roma sul significato del XX settèmbre — alle quali aderì con plauso la direzione del Partito adunata il 27 febbraio —; la partecipazione dei suoi dirigenti, oltre che dei suoi soci, al Convegno delle Giunte Diocesane e dell’Azione Cattolica (1).
(’) Don Sturzo ebbe parte principale al Convegno, essendo relatore dell’argomento più importante,- la scuola e la libertà d’insegnamento, cardine fondamentale del programma del P. P. I. Avendo il P. Gemelli chiesto la sospensiva per il rinviò allò studio di una commissione del grave problema, lo Sturzo si oppose desiderando « una affermazione del Convegno perchè ormai molto si e studiato » ; e venne approvato, infatti l’o. d-, g.
Le dichiarazioni di Egilberto Martire hanno rimessa sul tappeto della discussione politica la « Questione Romana », nella nuova forma, che chiameremo così, internazionalista: ed a ribadirla è intervenuto un articolo del segretario politico del Partito, Don Luigi Sturzo; la collaborazione con l’azione cattolica ufficiale, e perciò soggetta alla gerarchia ecclesiastica, ha mostrato l’identità di fini e la conseguente dipendenza anche delle organizzazioni aconfessionali da quelle autorità che il P. P. I., come tale, vorrebbe ignorare. Il che importa quel dissidio non soltanto formale, fra i vàri organismi che raccolgono i cattolici italiani, al quale già accennammo, e che l’esame dei fatti illustreranno via via.
Ma, raccolto nel fascicolo precedente, il pensiero dei vari esponenti del mondo cattolico italiano sul nuovo partito, occorre ora conoscere l’attitudine degli altri raggruppamenti politici nazionali di fronte ad esso : ed essendo questi pressoché morti all’azione, ritroveremo il loro pensiero attraverso i vani organi.
Nel complesso, il P. P. I. ha avuto una buona stampa: i liberali ed i nazionalisti lo hanno accolto con giubilo fraterno, ed una frase conclusiva di uno studio di Crispolto del relatore nel quale è detto: « I) Convegno riconosce l’urgente necessità e il dovere che, sia dai pubblici poteri, come dai rappresentanti degli Enti locali e delle private iniziative, venga promossa una larga riforma della scuola pubblica ».
Il Convegno si chiuse con l’invio di un telegramma al Pontefice che diceva:
« Rappresentanti Giunte Diocesane chiudendo lavori Convegno, commossi, entusiasti carità paterna, parola sapientissima Santo Padre benedicente propositi attività cattolica italiana incremento Unióne Popolare cristiana educazione gioventù rivendicazione morale economica classi lavoratrici riafferma promessa fedeltà operosa, umilia sentimenti profonda filiale gratitudine».
Il giorno stesso, 3 marzo. Benedetto XV riceveva i congressisti — Don Sturzo, il Martire ed altri membri autorevoli del P. P. I. non erano presènti — e teneva loro un discórso nel quale riesumava l’enciclica forum Novarum di Leone XIli. Ma di esso ci occuperemo altra volta.
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Crispoiti, che Io qualificava una « massa di manovra», ha avuto fortuna, giacché non pochi hanno pensato, probabilmente, senza dirlo apertamente, all’utilizzazione di tale importante riserva strategica nelle venture elezioni politiche.
Ma sarebbe ingiusto ritenere che solo per questo scopo eventuale, esso è stato esaltato ; i liberali hanno veduto nella sua costituzione una vittoria dello Stato liberale, e quindi la sua consolidazione per virtù delle nuove forze.
IL PENSIERO DEI LIBERALI
II più antico giornale liberale. La Perseveranza, lo ha dichiarato esplicitamente (22 gennaio 19x9): «Nessuno più di noi può essere lieto di ciò che oggi è un fatto compiuto: dell’autonomia, cioè, conseguita dai cattolici italiani politicamente militanti. Essi sì rivolgono a tutti gli uomini liberi e forti, che hanno cioè la pienezza di coscienza e di energia1, e l'appellativo di “cattolico” che dal punto di vista non religioso ma sociale poteva significare qualche residuo universalistico, sostituiscono con quello di “ italiano ”, che vuol dire “ nazionale ”. Negli “ uomini liberi e forti ” ai quali è rivolto l’appello del partito si suppone infatti la coscienza del dovere nazionale, il dovere, cioè di “ cooperare ai fini superiori della patria ”. Il partito cattolico non soltanto di fatto, ma anche per ufficiale collettiva dichiarazione, si è così completamente nazionalizzato. Il fatto segna indubbiamente nella storia dei partiti, nella storia stessa della nazione il principio di un nuovo ordine di cose: si tratta di una formidabile coalizione che entra oggi a bandiere spiegate nelle file dei partiti nazionali, con vasto ed organico programma, che vuol essere esplicato alla difesa, al rafforzamento, al consolidamento dell’autorità dello Stato. Non è possibile restare insensibili ad un simile fatto, come non è possibile negare l’importanza odierna, ma più, futura, del l’avvenimento. Se anche su certi punti dei programma gli uomini d’ordine del partito liberale non potessero trovarsi proprio completamente d’accordo, ciò non toglie affatto che fin da ora essi possono fare assegnamento sopra la nuova forza che è in vista per la difesa dell’ordine costituito ».
Il Giornale d’Italia esultava anch’esso: « Anche se l’avvenire dovrà trovarci in campi diversi — scriveva il 21 gennaio — oggi noi vogliamo mandare “ ex imo corde ” ai nuovo partito il saluto di liberi cittadini.
Il Partito Popolare Italiano segna il principio chiaro ed aperto di una nuova vita dei cattolici, come fu sperata dai liberali italiani.
Ricordate le teorie giobertiane, l’apostolato di Rosmini, il credo manzoniano, la formula di Camillo Cavour, le “ Confessioni di un missionario di Propaganda Fide ” di Terenzio Mamiani, i “ pamphlets ” del Minghetti e del Bonghi? Ma occorreva la guerra mondiale per disperdere gli ultimi timori, per spazzare i vecchi criteri del temporalismo, per aprir la via ai cattolici “ italiani ”.
Il fatto importante, stiamo per dire grande per la vita della nazione, è questo. Era dogma per non pochi sovrani, ministri, diplomatici e partiti politici stranieri che l’Italia non avrebbe mai potuto partecipare ad una guerra europea, perchè posta alla mercè del Papato. Bastava quindi — essi pensavano — impadronirsi dell’animo del Papa per esser padroni anche dell’Italia. In altri termini costoro giudicavano impossibile fra noi la formazione di un clero nazionale e di un partito cattolico nazionale, come hanno la Francia, il Belgio, ’la Germania e alcune nazionalità dell’ex-Au-stria.
La guerra mondiale fu la prova del fuoco per il clero e per i cattolici d’Italia. 'Èssere internazionalisti o italiani? Nonostante qualche incertezza e qualche deplorevole e ristretta eccezione, che del resto conferma la splendida regola, i cattolici seppero esser nobilmente e fieramente italiani, e compirono sul campo e in casa, esemplarmente, il loro dovere. Dieci secoli di ignominia politica furono cancellati il giorno nel quale si videro i figli dei liberali e i figli dei cattolici combattere insieme e vivere nella stessa trincea senza domandarsi se gli uni discendevano dai Guelfi e gli altri dai Ghibellini, sol pensando che tutti avevano una comune madre, per la quale era dolce soffrire, era dolce morire».
La 'tribuna, invece, accennava a qualche dubbio, senza mostrarsi entusiasta.
« Il programma del nuovo Partito Popolare Italiano ha suscitato, come era prevedibile, interesse, commenti e discussioni, scriveva il 25 gennaio. E data la vastità dei problemi toccati — dal voto alle donne, alla ricerca della paternità—e il pensiero “.cristiano" che il programma vuol avere, dettato com’è da un sacerdote (don Sturzo, segretario del Comitato del partito) e da uomini appartenenti alle organizzazioni cattoliche, è chiaro che tutti siano alla ricerca di chiarificazioni e di illustrazioni del programma stesso. Di più si aggiunge ora un atteggiamento che a molti sembra non chiaro te\V Osservatore Romano, il quale, commentando iersera la lettera del card. Gasparri al conte Dalla Torre, presidente dell’unione Popolare (lettera che invi-
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lava i cattolici a riunirsi attorno all’Unione Popolare per tre azioni precisate: la cura e l’istruzione dei fanciulli ; la protezione e il savio indirizzo degli operai; i consigli alle classi agiate per il buon uso della ricchezza e dell’autorità) ignora il nuovo partito.
Intanto numerose interviste di cattolici deputati, deputati cattolici, affini e degli stessi Componenti il Comitato, cercano di dare appunto quelle chiarificazioni che il pubblico attende, un po’ sbalordito daH’avvenimento, e ignaro delle pratiche,diremo “diplomatiche” che certamente lo hanno accompagnato, poiché si trattava in realtà della soluzione di un problema che prima della guerra poteva sembrare insolubile: quello che la Santa Sede potesse dare ai cattolici italiani una completa autonomia politica: insomma un’indipendenza assoluta nei riguardi dei problemi politici, economici e internazionali ».
LA CHIESA E LA NAZIONE
Mario Missiroli in un articolo del Tempo (2x gennaio) approfondiva l’esame nel campo ideale, evitando di trarne conclusioni assolute.
«Teoricamente, un partito cattolico è un assurdo nella stéssa enunciazione verbale. Su questo punto Pio X, come sempre, dimostrò una chiaroveggenza esemplare ed una logica inesorabile. La posizione logica di uh cattolico è essenzialmente anarchica, perchè il cattolicesimo, vivendo unicamente di un principio morale, tende a risolvere la politica nella morale. Per un cattolico coerente non esistono, e non possono esistere problemi politici nel senso ordinario e moderno di questa parola, ma solo problemi morali, che la coscienza, illuminata dalla rivelazione e dalia paròla de! Papà, risolve con una regola assoluta, eterna, immutabile. La formula “ cattolici deputati, non deputati cattolici ”, divulgata sotto il pontificato di Pio X, è l’estremo tentativo di una teocrazia spirituale, in. quanto presupponeva od imponeva, nella stessa coscienza dei cattolici, la subordinazione dello Stato alla fede religiosa, la negazione di ogni problema politico o nazionale nella morale cattolica, di sua natura universale. Il contrasto fra lo Stato e la Chiesa era eliminabile solo nella certezza che la Chiesa fosse la sola custode dell’idea inorale: la sola e infallibile maestra. Se lo Stato si trovava contro la Chiesa, si trovava contro la stessa verità, epperò, da quel momento, il cittadino cattolico si faceva giudice dello. Stato e nessun obbligo poteva vincolarlo ad accettarne l’errore.
Come programma, è troppo vasto perché sia facile giudicarlo : c’è troppo, perchè ci sia
qualcosa, che possa assumere carattere e valore politico. Più che un libro, è un dizionario, un Fanfani politico-sociale.
Ma il problema non è qui. Si tratta di vedere se i cattolici, non potendo, per necessità di vita, comune, del resto, a tutti i partiti, rinunziare ad un presupposto morale, lo ritroveranno nella loro stessa coscienza o lo chiederanno al Papa, che, essendo il custode della verità rivelata, ne è anche, necessariamente, l’interprete. Nel primo caso, si trasformeranno ipso facto in liberali, poiché il liberalismo non è altro che lo sforzo millenàrio di ridurre in teoremi razionali i dogmi della religione cristiana, che nessuna temerità filosofica è ancora riuscita a superare; nel secondo caso, ritorneranno nell’orbita clericale, dalla quale volevano uscire.
Non è difficile prevedere che la vita del nuovo partito non sarà facile ; ma irta di ostacoli e di aspre difficoltà. Lo vedremo alla prova. Il suo còmpito può essere notevole negli stessi riguardi della Chiesa; se saprà risolutamente ritornare alle sue origini democratiche.
La Chiesa si alleò con le monarchie durante la Riforma protestante per togliere qualunque pretesto politico alla formazione delle chiese nazionali nelle nazioni latine. Ciò salvò il cat-tolicismo e l’unità religiosa, ma la Chiesa perdette il suo carattere democratico ed il suo primato, condividendo tutte le responsabilità reazionarie delie monarchie. Così si oppose al primo sorgere della democrazia, che, affermatasi contro di essa, ne usurpò molti titoli e molti principi e crebbe irreligiosa, mentre nulla vietava lo svolgimento di una democrazia cristiana, allo stesso modo che cristiane erano state le monarchie sorte dalla dissoluzione degli ordini feudali ».
L’organo dei nazionalisti salutava nei P.P.I. il trionfo della coscienza italiana {Idea Nazionale, 22 gennaio):
« Con la costituzione ufficiale del Partito Popolare Italiano — scriveva — cade ogni pregiudiziale, finisce ogni equivoco intorno alla posizione dei cattolici nella vita politica italiana.
Noi salutiamo nel nuovo partito un trionfo dello Stato italiano ed un trionfo della coscienza italiana. I! nuovo partito ha valore per il fatto stesso delia sua costituzione come partito “ laico’’, anziché per quel che, nel suo programma, dice di voler rappresentare ed affermare nel paese. Il programma è il solito programma dei partiti che volendo correre il pallio elettorale, devono sacrificare la qualità alla quantità.
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Ora quel che preme rilevare è il fatto morale e politico del sorgere di questa, nuova forza nazionale.
Ora il dubbio che in Italia quel qualsiasi residuo di pretese temporalesche che si potevano riscontrare nelle formali riserve del Pontefice, potesse trovare appoggio in qualche elemento dell’opinione pubblica italiana, tradiva nella stessa opinione pubblica uno stato di precarietà che indeboliva realmente lo Stato.
Ora con la guerra vittoriosa lo Stato come si è rafforzato nella vita internazionale, cosi si è rafforzato nella sua vita interna, cioè nella coscienza dei suoi cittadini e la costituzione del nuovo partito .è appunto una manifestazione di tale rafforzamento spirituale dello Stato.
La costituzione del nuovo partito ha valore in quanto implica da parte del Pontefice il riconoscimento di un partito ‘’laico” in Italia, implica cioè la vittoria dello Stato italiano sulle ultime resistenze di un passato antiunitario, che, morto già da un pezzo, ritornava qualche volta sótto forma di fantasma a turbare la vita e la coscienza politica della nazione ».
Il giorno innanzi. Io stesso giornale aveva fatto questi rilievi:
<E notevole come il programma tratta la questione della Chiesa. La Chiesa cattolica in Italia avrebbe, secondo una disposizione statutaria ormai dimenticata, una posizione di privilegio. Si poteva immaginare che il partito formato dai cattolici si richiamasse a quella carta fondamentale del Regno d’Italia. Invece non è avvenuto così. Anzi la questione ecclesiastica è trattata alla pari delie altre e nella serie dei dodici punti che va dalla famiglia alla Società delle nazioni, essa occupa l’ottavo posto in seguito allo sviluppo logico degli argomenti. Anche la questione ecclesiastica dunque per il Partito Popolare entra nel quadro generale delle libertà civiche e non è considerata sotto specie di privilegio. Certo il programma parla della Chiesa cattolica e ignora le altre chiese. Ma i diritti che le attribuisce non hanno nessun significato di esclusione per le altre confessioni religiose.
I cattolici, dunque, entrando nella vita politica italiana, conservano bensì le loro convinzioni circa la sovreccellenza della Chiesa cattolica, ma accettano le posizioni degli Stati moderni circa la libertà dèi culto e della coscienza e la restrizione dell’attività della Chiesa al magistero spirituale. Anche delle questioni, che potremo chiamare storiche, tra la Chiesa e lo Stato in Italia, neanche una parola ». {Idea Nazionale, 21 gennaio).
È degno di nota il fatto che il Corriere della Sera, il più importante giornale liberale, si è limitato a riferire scarse notizie riguardanti il nuovo partito dei cattolici senza esprimere su di esso il suo pensiero, avendo cura di non riferire polemiche e giudizi.
CHIESA E DEMOCRAZIA
• Il Secolo pubblicò un ampio articolo di Romolo Murri, — 25 gennaio — nel quale erano indicati i nuovi còinpiti dello Stato e della democrazia.
« Bisognava che venissero la guerra e la partecipazione ad essa dell’Italia, dai capi del cattolicismo ufficiale italiano deprecata con tutte le forze, e la vittoria dell’Italia e dell’Intesa e l’incoercibile lealismo della parte più sana del paese, cattolici inclusi, verso la propria nazione in pericolo, e il trionfo del diritto delle nazioni e della democrazia e il tracollo di ogni superstite trepida speranza del Vaticano temporalista — egli scriveva — perchè questo togliesse dall’azióne politica dei cattolici italiani la sua ipoteca e li lasciasse liberi di agire e di organizzarsi come cittadini e di avere i loro rappresentanti alla Camera. La vittoria sull’Austria e la sparizione di questa è il definitivo consolidamento interno dello Stato italiano; per diritto di guerra esso ricupera oggi non solo gli irredenti che erano di là dal confine politico, ma questi altri irredenti dell’interno, cittadini, fino ad oggi, a metà. Per volontà della storia e con licenza dei superiori, essi diventano maggiorenni.
Dobbiamo esserne lieti un poco tutti. I contrasti ideali che dilaniarono tutto il nostro risorgimento e trassero dentro la religione nelle lotte per la libertà, per l’unità e la democrazia, e tanto indebolirono Io Stato sono oggi finiti. Lo Stato è unico Stato di tutti gli italiani, perchè la Chiesa non lo nega più sul sito stesso terreno. E si inaridisce una delle fonti nefaste di ipocrisia e di mercimonio politico, il traffico elettorale dei voti dei cattolici da parte di arrivisti d’ogni colore e dello Stato medesimo. La vita pubblica italiana guadagna grandemente di sincerità. Non soltanto i cattolici potranno ispirare direttamente la loro condotta politica e sociale ai propri convincimenti religiosi ; ma, per contrasto, tutti gli altri, e lo Stato medesimo, se vorrà difendersi, dovranno far rientrare nella politica un poco di anima e di serietà morale e di convincimenti ideali. Molti Girella, in Italia, debbono oggi essere un poco pensosi.
Così, famiglia, scuola e sindacato, questi tre grandi organi di azione sociale i cattolici
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cercano di prendere più efficacemente in mano, organizzandosi in partito politico. Ma lo dicono con tanta ingenua, grazia !
È il loro diritto, se agiscono come cittadini. Ognuno intende a suo modo la libertà e la lotta per la sua libertà. E vince chi nella sua libertà esprime e tutela più efficacemente la libertà dei molti.
Ma, se agiscono ancora e sempre come struménto di una Chiesa"che ha le sue idee, e tutti sanno quali sieno, sulle libertà modèrne e sui rapporti fra essa e lo Stato, la cosa cambia aspetto.
Qui appunto è la pietra angolare di tutto il nuovo edificio. E la pietra è... crinata. Perchè i fondatori del nuovo partito, uomini forse, a cominciare da D. Sturzo, troppo dediti alla politica., per occuparsi di faccende religiose, mostrano di ignorare che la “ libertà della co--scienza cristiana ” è apparsa a molti, ed in molte cose, in irreducibile contrasto con la libertà della Chiesa e l’uso che questa vuol fare e fa della sua libertà. Per non parlar d’altro, nel secolo scorso, lungo tutto il Risorgimento, l’influenza del cristianesimo sulla vita popolare italiana, privata e pubblica, non ebbe più grave e pericoloso nemico del modo come la Chiesa concepiva la sua libertà e cercava di difenderla ; e il nuovo partito può sorgere soltanto ora perchè soltanto ora—dopo la guerra — la Chiesa ha rinunziato, e permette ad essi di rinunziare, a certe pretese di libertà che erano incompatibili, fra l’altro, con la loro stessa libertà politica.
Questo accordo, che i cattolici presumono e dovrebbero provare e che la stessa lunga storia del tentativo ora finalmente riuscito nega ; questo dissenso vero e profondo e radicale che divide Chiesa e democrazia con un abisso sul quale essi oggi vogliono gettare il loro fragile ponte sarà, non ne abbiamo nessun dubbio, crudamente rivelato dàlia storia che oggi incomincia per l’Italia, contribuendovi efficacemente la stessa loro costituzione in partito polìtico, che obbliga tutti a prendere più nettamente la propria posizione e le proprie responsabilità nella lotta per le idee che dovranno governare la vita delle società e dello Stato.
E allora appariranno anche le molte reticenze, d'ordine non solo ideale, ma pratico, di questo programma con il quale i cattolici italiani si mettono in via, pretendendo di offrire essi nientemeno che il fondamento della sua vita di nazione al popolo italiano il quale sa e va imparando sempre meglio, da tre secoli, che questo fondamento lo spirito umano non ha bisogno di prenderlo in prestito dalla
Chiesa, sia pure attraverso il nuovo intermediario, ma lo possiede in sè stesso : senza di che non potrebbe mai aspirare a libertà ed autonomia, al governo di sè».
DAL “ PATTO GENTÍLONI „ AL PROGRAMMA DI DON STURZO
Epoca, liberale democratico, ha mosso qualche critica al nuovo partito.
« Prima della guerra noi già non avevamo più che clericali ed anticlericali, che socialisti ed antisociaiisti — essa ha scritto (21 gennaio 1919). Gli odi che si formavano in questa febbre, spesso personalistica, di distruzione, rendevano impossibile una qualunque collaborazione a scopi non astrattamente politici, e produceva la paralisi di tutta la nostra vita pubblica. Radicali e “ popolari ” all’ ultima moda, se non sono semplicemente massoni o direttori di ricreatori o di casse rurali, possono trovarsi d’accordo nell’azione e nel voto, ad esempio, per chiedere l’abolizione della coscrizione.
Questo della leva è, a nostro avviso, il particolare più interessante nel programma piuttosto banale che i clericali hanno messo insieme per i loro uomini incapaci di fame uno da loro nei comizi. Esso è “bourré,, di molti vecchi pregiudizi, e'di idee generali sfoggiate già dà partiti antichi e che mancheranno nei nuovi soltanto perchè, molto probabilmente, i programmi dei nuovi partiti saranno meno particolareggiati. Questo è il tipico programma elettorale, che si preoccupa persino dei canali e delle strade — don Sturzo ha dimenticato specificatamente le “ trazzere ”— e che, veduto il successo pratico del patto Gentiioni, ne pubblica gli elementi costitutivi dal punto di vista religioso e sociale. Siamo ancora alla difesa della famiglia contro ogni forma di dissoluzione, come se in casi determinati la mancanza in Italia dell’istituto del divorzio non conducesse ai peggiori mali nel campo morale e sociale e non rappresentasse dal punto di vista umano una ingiustizia fra le più dolorose; Siamo ancora alla libertà ed all’indipendenza della Chiesa nella piena applicazione del suo magistero spirituale, e al rispetto della coscienza cristiana. Ma nè l’una nè l’altra cosa sono in pericolo, e non si tratta qui di far assumere ai candidati, come nel Patto Gentiioni, un’impegno per eventualità che non si profilano nemmeno nell’avvenire.
Quanto al resto; ripetiamo, non c’è niènte di nuovo, se non un indice di tendenza che a nostro avviso caratterizzerà la lotta elettorale imminente ».
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SOCIALISTI E CATTOLICI
L’organo del Partito Socialista Italiano, V Avanti!, attende il «grande scontro» con le forze cattoliche organizzate.
« Il programma del nuovo partito —■ esso scrive, 20 gennaio — è mirabolante di promesse, naturalmente, e tende a conciliare tutto: la Chiesa e la libertà di pensiero, la democrazia e i santi principi del cristianesimo, il disarmo universale e la difesa nazionale.
Come si vede i cattolici rafforzano le loro organizzazioni. Noi facciamo altrettanto. Il nostro e il loro partito sono le forze reali del paese destinate al grande scontro quando fra poco tutti gli altri partiti saranno eliminati. I tempi maturano anche in Italia».
Un socialista riformista, il prof. Enrico Carrara, esaminando ad un tempo il tentativo di rinnovazione democratica dell’on. Ciraolo idi aii ci occupiamo appresso) e il valore morale e politico P. P. I. in un articolo del-V Azione Socialista, organo-dell’Unione Socialista Italiana (i marzo 1919), osservava:
« Un recente articolo dell’on. Ciraolo, diceva troppo poco, se'voleva concludere a maggiore elevatezza nella lotta contro il clericalismo, posto che gli argomenti volgari non si debbono usare ñon solo contro i clericali, ma neppure contro i conservatori o contro i soviettisti. Ovvero diceva troppo, Se voleva intendere che i partiti democratici potranno procedere d’accordo, in determinate questioni, con i partiti cattolici, visto che il Vaticano ha rinunciato a riprendersi Roma e che i cattolici hanno ben combattuto per l’Italia.
Noi non siamo punto di questo avviso.
L’errore dell’onorevole Ciraolo, consiste, mi sembra, nell’aver scambiato un problema storico con un problema politico. Che il papato non pensi, o i cattolici non pensino, alla ricostituzione del potere temporale sono persuaso anch’ io ; ma ciò è avvenuto da un pezzo, con la caduta del legittimismo francese* e con l’attenuarsi e con il crollo dell’ egemonia austriaca in Europa. Formalmente non è dichiarato ancora : ma è certo che le pretese temporali, quali che sieno le doverose dichiarazioni ufficiali, non costituiscono più un pericolo nazionale.
Il problema politico, invece, è dato dal-l’apparire in campo di un partito, che non osa chiamarsi cattolico, ma che raccoglie i suoi adepti nella loro qualità di cattolici in quanto dunque hanno questa religione : perciò d’ un partito politico che non può non essere una formazione religiosa. E come tale
in antitesi con la democrazia, che avversa la deformazione della fede in organo politico; in antitesi con la tradizione laica che è l’ideologia necessaria di ogni democrazia.
Dunque già per questo il nuovo partito, che untuosamente (secondo il costume) si chiama < popolare » deve essere rifiutato, combattuto, negato da noi. Ma poi c’è una ragione più modesta ma altrettanto persuasiva: ed è che i partiti cattolici sono appunto gli organi politici di quella concezione che la democrazia^ contrasta nel campo filosofico, e quindi si capisce che nel campo politico li debba — e solo quelli e non la fede dei loro adepti — avversare.
Là scuola potrà, si crede (or pare ne abbia poca voglia) combattere la teologia ; in politica noi ci poniamo di fronte agli organi politici — cioè ai partiti che fanno della religione il loro carattere differenziale e costitutivo, e che costituiscono appunto il pericolo — o almeno al problema politico che i partiti della democrazia debbono risolvere. E per quello che si è detto, risolvere non lo possono se non con un atteggiamento di risoluta opposizione. Se ci sono degli spiriti credenti, dei buoni osservanti, che pur sentono i tempi nuovi e là giustizia dei nòstri postulati democratici, vengano in nome di questi tra noi o accanto a noi; ma non tenendo in mano, in segnò di tesserà politica, il biglietto della comunione. Con quello vadano in sagrestia ».
IL VATICANO E IL P. P. I.
Ma qual’è il vero pensiero vaticano rispetto al nuovo partito? Secondo un informatore del , Resto del Carlino, che si assicura assai gradito alle sfere dirigenti la politica vaticana, verso di esso si nutrono dietro il portone di bronzo diffidenze non lievi. È interessante, a tale proposito, la corrispondenza che quel giornale riceveva da Roma il 26 gennaio. In essa era detto:
«Adirla schietta il P. P. I. non è riuscito di pieno gradimento dei supremi dicasteri ecclesiastici, dove crediamo di aver còlto serpeggiare qualche non tanto lieve corrente di malumore. Evidentemente gli organizzatori del nuovo partito non debbono essersi dissimulate in antecedenza le possibili obbiezioni che dall’alto sarebbero state sollevate contro le rivendicazioni più ardite, d’indole giuridica e d’indole sociale, che si volevano includere nel programma. E per prevenire spiacevoli trattative, si è posta la Santa Sede, bruscamente, di fronte al fatto compiuto. Una vera breccia cosi è stata aperta nelle mura che cingevano
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la costa ortodossa del programma politicò dei cattolici italiani.
Ora i padrini del nuovo partito debbono soggiacere, rassegnati, alle conseguenze immancabili del loro gesto audace. La Civiltà Cattolica, vestale incorruttibile ed arcigna della intransigenza che non piega, ha già destato l'allarme e ha espresso le sue brave riserve sulla perfetta correttezza ortodossa del programma che il partito ha lanciato. Le medesime riserve sono formulate, a quattr’occhi, nei circoli vaticani più elevati. Un eminentissimo, ad esempio, ci mostrava giorni or sono, nella benevola intimità di una cordiale conversazione, come l'aver incluso nel programma la ricerca della paternità sia stata, per i promotori del nuovo partito, una mossa incauta e alquanto inconsiderata».
LE OBBIEZIONI DEL CARD. GASPARRI
«il porporato con cui c’intrattenevamo — continuava il corrispondente — esponeva, con il garbo e l’erudita finezza che lo contrassegna, come il problema della ricerca della paternità è un problema d’indole strettamente giuridica, di cui non si vede affatto l’opportunità che figuri in un programma politico. Se le legislazioni moderne hanno ridotto di molto o soppresso addirittura i casi in cui è consentita la ricerca della paternità, la riduzione o la soppressione non sono state affatto determinate da principi avversi alla religione o al papato, che non c’entrano nè punto nè poco. Il codice francese (art. 340) ammette la ricerca della paternità solo nel caso in cui risulti avere il presunto padre rapito la madre del fanciullo in un’epoca che coincida con quella del concepimento. Il nostro codice civile vigente, che ha lievemente modificato in proposito il codice albertino, ammette (art. 189) le indagini sulla paternità solo nei casi di ratto ò di stupro violento, quando il tempo di essi risponda a quello del concepimento. Se in altri casi la ricerca della paternità è stata vietata, ciò è dipeso dalla legittima preoccupazione di non veder trasformate le aule dei tribunali in sedi di diffamazioni e di ricatti, ai danni del più innocente dei galantuomini. Che bisogno c’era di parlare di ricerca della paternità in un programma di partito?
Questo non è che /in esempio degli argomenti che si svolgono al di là del portone di bronzo contro il neonato partito. Simili diffidenze, simili recriminazioni, simili incertézze, come si tradurranno in pratica, e quale sarà l’atteggiamento del Vaticano di fronte ai can
didati del partito popolare alle imminenti elezioni? Questo, in fondo, è il quesito di maggiore importanza pratica. Il Vaticano, crediamo di poterlo garantire, intende ripagare il partito con la sua moneta. Ha egli finora del tutto ignorato il Vaticano? Il Vaticano, a sua volta. Io ignorerà, e lascierà che cuocia nei suo brodo, non eccessivamente rammaricato se questo brodo sarà languido e i risultati della campagna saranno scadenti. La Santa Sede, messa garbatamente da parte, intende di lasciare sul serio ai cattolici italiani il diritto illimitato di schierarsi con quel qualsiasi candidato riscuota le loro preferenze, militi esso o no nelle file del Partito Popolare. Essa si riserva di intervenire solo là dove la lotta si delinei fra due candidati ugualmente cattolici. E cose di questo genere non è escluso affatto che debbano verificarsi, ad accrescere la già non indifferente babele che contrassegnerà, è facile prevederlo, i prossimi scrutini».
Probabilmente l’informatore esagera un poco sull’attitudine del Vaticano: egli ha data una importanza sproporzionata a qualche sfogo confidenziale del cardinale segretario di Stato, il quale ha l’abitudine di parlare molto, c’è chi dice troppo. Che ne sarebbe dell’Italia, per es.,'se si fossero avverate le previsioni del card. Gasparri durante la guerra? Il corrispondente del Resto del Carlino dovrebbe saperne qualche cosa, crediamo...
ANTICLERICALISMO VECCHIO E NUOVO
Il nuovo partito nazionale aveva, avuto, dunque, un battesimo di prim’ordine, ed era atteso all’opera con benevolo irrteresse; l’indifferenza degli altri partiti dinanzi alle gravi responsabilità dell’ora, la loro incapacità ricostruttiva sul terreno politico-mòrale-sociale, l’aspirazione generale a nuove e più sane forme di competizione pubblica, l’asserita lealtà nazionale faceva convergere sul nuovo aggruppamento le simpatie anche di chi professando idee diametralmente opposte, vedeva in esso il conato di una azione politica più sincera.
Espressione di questo stato d’animo sono due avvenimenti non privi di valore: l’adesione dell’Unione Socialista Italiana, rappresentante delle varie correnti socialiste che furono per la guèrra, ad un comizio indetto a Roma dal P. P. I. per la riforma elettorale (1); una po(x) L'oratore designato dall’U. S. I., Virgilio Vercelloni, fece delle dichiarazioni che vennero considerate quasi come un atto di adesione al programma del P. P. I;, per il che si ebbero vivaci discussioni in seno alla Sezione romana dell’U. S. I.,
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lemica suscitata da un articolo dell’ex deputato Giovanni Ciraolo, apparso sul Messag gero (20 febbraio): Perchè il vecchio anticlericalismo tramonti. Lo scrittore sosteneva in esso che la politica della Chiesa verso lo Stato è sostanzialmente mutata. La Chiesa era, sino al papato di Pio X, la severa antitesi dello Stato. Il Pontefice si atteggiava a martire del Monarca, ed era il pretendente al trono ed ai territorio di Roma, l’accusatore della storia, del diritto, del destino dell’Italia libera ed una. La Chiesa ad ogni ricevimento pontificio chiamava a testimoni i cattòlici del mondo, perchè constatassero che il maggior Vicario era bersaglio delle persecuzioni di un liberalismo ateo e massonico. E se il Pontefice, perchè gli era vietato di regnare, si era interdetto di sortire dal Vaticano, i cattolici si erano interdetta la libertà di partecipare afta vita pubblica, ed opponevano al regime civile la resistenza passiva e la protesta muta.
Ora le cose sono mutate, soggiungeva il Ciraolo.
« La Chiesa non insiste più nella intransigenza verso il regime dello Stato, ed il Papato ha di fatto dimesso le aspirazioni temporali, in opposizione a Colui che detiene. Il Pontefice, nonostante alcuni suoi gravi errori politici, all'interno ed all’esterno, durante la guerra, ha colto risolutamente l’occasione per manifestare un suo atteggiamento di preparazione al ralliement. Lo Stato e la Chiesa volgono rapidamente e risolutamente verso il riconoscimento, ufficiale e diplomatico, dei loro rispettivi poteri.
E quanto ai cattolici, essi sono già costituiti in partito elettorale, parlamentare e di governo. La guerra nazionale, che ha disciplinato il sentimento unitario della nazione, ha servito anche ad avvicinare in forma più. decisa ed aperta i cattolici alla politica dello Statò, nonostante alcune note stridenti prima di Caporetto, in Vaticano e nelle parrocchie, note sensibilmente riarmonizzate dall'alto, dopo Caporetto.
Ed allora, il vecchio tipo di anticlericalismo, ormai deve tramontare nei ricordi politici di un’età superata.
Ecco perchè non esito ad affermare esser dovere della democrazia di gettar sopra un nuovo rogo, ai piedi di Bruno in Campo dei Fiori, la materia polemica di ieri ».
che approvò il 23 febbraio il seguente ordine dei giorno:
« L'assemblea della sezione romana dell’U. S. I., udite le dichiarazioni del compagno Vercelloni, invita la direzione a non voler stabilire contatti di sorta con il partito popolare italiano».
Venendo poscia a delineare l’ufficio del nuovo anticlericalismo, il Ciraolo scriveva:
« Bisogna dare alla difesa della civiltà laica, altre forme, altro contenuto, altra misura di espressione. Bisogna' liberarla' di ogni villania contro le persone e gli ordinamenti degli ecclesiastici ; bisogna distaccarla da ogni azione antireligiosa : ed invece bisogna farne un elemento dinamico di vera elevazione del popolo. In fondo, non v'è che un modo di arginare l’influenza politica della Chiesa sulle moltitudini : ed è quello di elevare la coscienza morale, l’educazione civile, la istruzione generale del popolo. È questo il còmpito fondamentale della battaglia democratica. La sola difesa laica efficace e meritevole non può essere costituita- che da una progressiva elevazione del tenor di vita e dei poteri di controllo mentale e morale del popolo dei credenti. Quanto più il cattolico ha una fede invece di una superstizione, tanto più égli rileverà da Dio e non dal suo ministro. Quanto più la coscienza delle folle si. eleva con l’esercizio civile di diritti e di doveri consapevoli, tanto meno avrà bisogno di apprendere la propria condotta, nelle responsabilità sociali, da consiglieri religiosi. Non vi è dunque che una difesa laica da fare, indiretta ma luminosa, ed è quella della moltiplicazione e della elevazione della cultura in alto, della istruzione in basso, della educazione morale in tutte le classi ».
RELIGIONE E POLITICA
Entrando in un’ordine d’idee, diremo così, filosofico, il Ciraolo scriveva: «Come noi deploriamo gli episodi delia politica e dell’elettoralismo che si avvolgono al fenomeno religioso, così dovremmo del pari deplorare i metodi e la tattica dèi partiti politici che tendessero a divulgare l’antireligiosità in sede di polemica politica. La religione, sentimento ed idea, sfugge alla politica. Nel secolo nostro produce un eguale fastidio di vederla o tormentatrice o tormentata. Vi è una disciplina che ha da regolare i conti con lei, ed è la filosofia: non la politica. Le democrazie lo ricordino. Nulla sarebbe più aberrante, di una propaganda laica compiuta dai partiti politici, la quale si dedicasse ad abbattere, non le deformazioni politiche della gerarchia ecclesiastica, o le invadenze temporali della Chiesa nello Stato, ma questo e quel dogma o questa e quella dottrina» (1).
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(1) Quest’ultimo brano, apparso nelle, edizioni di provincia del Mcssoggifo, venne soppresso nell’edizione del mattino che si pubblica in Roma.
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All’on. Ciraolo rispose sul Corriere d'Italia (21 febbraio), il direttore. Paolo Mat-tei Gentili, affermando che all’ infuori delle volgarità (e a questo sacrifìcio neppure credeva) ben poco il Ciraolo annullava del vecchio anticlericalismo, quando riaffermava la missione laica dello Stato nelle vecchie concezioni. Altre obbiezioni sorsero nel campo democratico, e chi scrive ebbe ad osservare nel Secolo (24 febbraio) che le argomentazioni del Ciraolo non sembravano tali da recare un contributo di chiarezza nella ricerca dei nuovo programma democratico.
«Che il Vaticano, abbia mutato il suo atteggiamento verso l’Italia — dicevamo — è vero solo in parte; poiché se manca nelle, sue proteste l’accenno tradizionale alla territorialità delle sue rivendicazioni, queste non sono meno pericolose quando attentano alla sovranità assoluta dello Stato e mirano a creare un potere internazionale nel cuore della nazione. Che dell’opera politica svolta dal Vaticano durante la guerra ci si possa sbrigare frettolosamente riconoscendo “alcuni suoi gravi errori politici ’’ compensati dalla preparazione al ralliement, ci sembra un metodo troppo semplicista per favorire la propria tési, ed essenzialmente antistorico. Il fatto che ministri del re d’Italia e legati pontifìci possano presto incontrarsi, non ci sembra una ragione sufficiente perchè la democrazia debba abbandonare le proprie idealità assecondando lo Stato nel rigetto dei suoi attributi.
Questo nel campo politico. In quello più propriamente spirituale per ogni uomo religioso e morale, non ci può essere nella coscienza una distinzione netta tra politica e religione. come afferma il Ciraolo. Come non si può essere amorali in politica e morali nella propria vita intima, così non si può essere acattolici in politica e cattolici al confessionale. « La religione — dice il Ciraolo — sfugge alla .politica. Vi è la filosofìa che ha da fare i conti con lei». Crocianesimo politico dunque? Distinzioni sottili, fuori della realtà. Non sono filosofi gl’ iscritti al nuovo partito cattolico nè lo vogliono essere; e lo stesso Ciraolo rileva poi, che i cattolici hanno un capo politico che è anche un capo religioso che può valersi di queste sue qualità. Perchè deve disarmare la democrazia, dunque?
Nello scritto dei Ciraolo non restano che le volgarità anticlericali da portare su un nuovo ' rogo a Campo dei Fiori. E siamo d’accordo. Ma qual partito le ha fatte mai sue ? Ed esse non decadono forse con un’opera di elevazione spirituale delle masse che è tra i principali còmpiti che la democrazia deve proporsi?»
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È la insufficienza ad assolvere questo compito, ed il suo misconoscimento, consapevole o meno, la ragione essenziale della crisi in cui si dibatte la democrazia, dalla quale essa non potrà uscire vittoriosa finché non avrà compreso l’assioma mazziniano: la’ democrazia sarà religiosa o non sarà. Ma l’on. Ciraolo si guarda bene dal rifarsi a Mazzini: anch’egli è troppo imbevuto del vecchio anticlericalismo materialista, dal quale non ci si libera d’un tratto con poche formule eleganti.
IL SIGNIFICATO DEL XX SETTEMBRE LE RISERVE DEI CATTOLICI
Era ancora viva la polemica sull’anticlericalismo, quando al Consiglio comunale di Roma, discutendosi della celebrazione del cinquantenario di Roma capitale, il consigliere di parte cattolica Egilberto Martire ebbe a fare alcune dichiarazioni di riserva sul significato storico e universale di quella data. Il consigliere Guadagnoli e, più esplicitamente/ Francesco Scaduto ne rilevarono il carattere ed il valore intemazionale. L’annessione di una città al Regno d’Italia — osservò il prof. Scaduto — avrebbe di per sé sola un carattere interno. Ma l’annessione di Roma ha carattere internazionale da un altro punto di vista, per l’abolizione del potere temporale dei Papi.
Per rispondere allo Scaduto prese la parola il Martire, il quale dopo aver manifestato il suo dissenso, disse :
«Parliamo, nell’anno di grazia 1919, che è ancora l’anno della Vittòria della Patria, l’anno della unità suggellata dal sangue cosi come mai era stata raggiunta nei secoli, perchè mai l’Italia aveva combattuto, pregato, vinto così, mai si era trovata tutta congiunta, non più solamente nella unità della espressione politica e geografica, ma''nella santità augusta del dolore, del sacrifizio, della conquista. Questa è l’unità sacra desiderata e mai raggiunta dai nostri padri, questo è il prodigio che noi abbiamo visto realizzato con i nostri occhi lacrimanti. Tutta P Italia, dalle Alpi al mare, s’è trovata ieri congiunta contro il nemico secolare non solo, ma anche a fianco degli amici vecchi e nuovi per il trionfo del diritto contro la forza brutale.
Dunque la celebrazione che il popolo italiano farà l’anno prossimo assumerà, non più per virtù di retori e di politicanti, ma per virtù di popolo, il significato che da 50 anni in qua non ebbe giammai. E questa significazione nuova sarebbe cosa vana e sacrilega oscurare con i cenci di propositi e di competizioni che ieri potevano forse avere un si-
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gnificato, ma che oggi non hanno*più eche, ove venissero rinnovati, costringerebbero l’Italia a retrocedere nel cammino della sua storia e della sua vita.
E in questo senso, si la significazione della ricongiunzione dell'Italia a Roma e di Roma all’Italia supera, come suggeriva il collega Scaduto, i confini della nazione nostra, perchè segna il crollo di un conflitto singolare che tendeva a far si che l’Italia fosse l’unico paese ai mondo che avesse la sua coscienza civile divisa dalla coscienza religiosa, l’Italia che aveva visto Legnano, Pontida e Canos«», l’Italia sola si trovava di fronte a sè stessa e di fronte al nemico, con l’anima dilaniata: ed in questo dilaniainento, che era il segreto ‘ angoscioso della nostra debolezza, gli austriaci da una parte e il nemico interno dall’altra, complice degno del nemico di fuori, speculavano turpemente sulla nostra timida giovinezza.
Internazionale,' dunque, il significato della nostra celebrazione; al cospetto del mondo l’Italia è finalmente unita, libera nello spirito e forte come nelle membra, e può guardare all’ America libera e religiosa, all’ America vittoriosa e cristiana, con l’orgoglio di una sorella minore e maggiore, al paese di oltre mare che ha saputo combattere e vincere nei nomi santi congiunti di Dio e della Patria !
Lo sappiano, dunque, i nemici di dentro e di fuori, io sappiano tutti i popoli, che l’Italia d’oggi è finalmente, nella realtà più profonda e più splendida, l’Italia voluta da chi per essa affrontò il capestro e la mitraglia, nell’amore del Focolare e dell’Altare.
Che se il consigliere Scaduto, intendesse indurre anche me a tornare su preoccupazioni e su problemi sorpassati, la contemplazione dei quali può costituire solo il bieco passatempo di vecchie cariatidi putride ed infrollite ; se egli vuole trovare, ancora dal punto di vista religioso, una significazione internazionale al XX Settembre, io cattolico ed italiano, questa significazione la trovo e la confesso qui, al cospetto del nostro popolo e della maestà di Roma: che, cioè, vano e miserabile fu il sogno di coloro che credevano di poter offendere e schiacciare l’idea religiosa attraverso la povera breccia di uh povero muro, perchè essi stessi possono ora con gli occhi smarriti constatare che oggi, più che cinquant’anni fa, l’idea religiosa è più alta e più potente di prima, più forte e più vittorioso il Papato! »
Come abbiamo già rilevato, il Martire riproponeva. con queste dichiarazioni, attraverso una sottile e fervida esaltazione del
l’Italia... cattolica, la questione della situazione del Pontefice « più forte e vittorioso », sotto lo specioso argomento del tentativo di schiacciamento dell’idea religiosa. Il professore Scaduto replicò subito per affermare che combattere il potere temporale non significa combattere la religione, perchè il potere temporale non è • dogma : ricordò come nel 1860 più di novemila preti mandassero una petizióne al Papa perchè rinunciasse ad esso.
Naturalmente le dichiarazioni del Martire sollevarono nuove discussioni nella stampa e negli ambienti politici e cattolici ; intervenne in esse P organo pontificio, che in una sua nota riaffermò le cosidette ragioni della sede apostolica ricordando ai cattolici il dovere di sostenerle.
« Rimane sempre vero — scrisse VOsservatore romano, 23 febbraio — che la situazióne creata alla Santa Sède dagli avvenimenti del 1870 non è quella che le conviene, quella cioè che alla sua divina ed universale missione garantisca libertà ed indipendenza, non solo reale, ma anche evidente per tutti i popoli della terra. Ciò non deve dimenticare chiunque gloriasi di essere cattolico ».
Sul Giornale d'Italia (25 febbraio) uno scrittore liberale, ma cattolico convinto, P o Molajoni, chiese all’ organo pontificio che « dicesse in termini poveri, semplici, accessibili agli umili mortali, che cosa occorra per garantire quella libertà e per farla essere evidente-»', ma V Osservatore fece, come è suo costume, orecchie da mercante.
UN ARTICOLO DI DON STURZO
Continuando tuttavia le polemiche, e mirando esse a far chiarire il pensiero dei dirigenti il P. P. I. sulla « questione romana >, intervenne il segretario politico del partito, Don Sturzo, il quale pubblicò un ampio articolo sul Corriere d'Italia e su gli altri giornali affini (14 marzo).
Lo scrittore espresse il suo stupore perchè, parlando dei suo partito, i giornali si ostinano a chiamarlo cattolico, e contro di ciò protestò vivacemente. La sua argomentazione è quésta: « Il Partito Popolare Italiano non è qn partito cattolico. Non siamo l’espressione di alcuna autorità ecclesiastica, non intendiamo rappresentare tutti i cattolici di Italia, come comunità di fedeli, e che sono anche al di fuori dei nostri quadri, ma la grande maggioranza del paese. Il persistere che fa il giornalismo liberale a chiamarci partito cattolico, non può che ingenerare equivoco e
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creare confusioni che intendiamo assolutamente dissipare ».
E soggiungeva subito : « Ciò non vuol dire che noi intendiamo rimanere estranei al fenomeno religioso, e che non ne sentiamo tutta l'importanza e tutta l’imponenza, nè vuol dire che possiamo o intendiamo prescindere dai rapporti necessari tra lo Stato, come organizzazione civile del paese, e la Chiesa, come organismo religioso. Tutt’altro: abbiamo impostata la questione dei nostri rapporti civili è statali colla società religiosa, ove ab-’ biamo detto nel programma : « libertà ed indipendènza della Chiesa, nella piena esplicazione della sua missione spirituale ».
Quindi lo Sturzo addentrandosi nell’esame dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia, sostiene, salvo qualche lieve variante nella forma, la tesi della Segreteria di Stato del Pontefice : < La questione romana — egli dice — esiste come problema storico, come problema religioso, come problema nazionale; nessun partito la può ignorare, nessun governo la sconosce, nessun cittadino si può sentire autorizzato a gridare all’antipatriottismo, se questo problema viene affermato e se si desidera che venga risolto. Il problema non va posto sotto la miserevole luce della « striscia al mare o della internaiizzazione della legge delle gua-rantige », cose ed idee sorpassate; nè sotto la falsa ipotesi di una tendenza a risolvere la questione « a maggior danno dell’Italia, perchè gli interessi dell’Italia sono in confiuto con quelli del papato », frasi banali e vuote di un anticlericalismo superato ».
Sembrerebbe quasi che il sacerdote Sturzo fosse d’accordo con noi nel rifiutare ogni attribuito politico al papato, riportandolo alla sua missione religiosa ; ma non è così : egli vuole un concordato, cóme quello che fu in Francia, e per ottenere il quale il card. Ga-sparri iniziò le famose «conversazioni».
E allora vien fatto di chiederci : In che differisce il pensièro di dòn Sturzo e del Martire da quello del cardinale Gasparri ? Non hanno gli uni e l’altro il medesimo intento, di riproporre la questione romana e risolverla favorevolmente ài Papa? Non si preoccupano essi di salvare la « grandezza e la potenza del papato », come si esprime don Sturzo ? E poiché è così, perchè don Sturzo si turba tanto quando dicono che il suo programma è quello di un partito cattolico? Da qual parte stanno gli equivoci ? E qui siamo su un terreno politico, perchè, dal punto di vista religioso e morale, noi ancora dobbiamo conoscere il pensiero del sacerdote Sturzo su questo semplice problema : come faccia egli a scindere
la sua coscienza di cattòlico (non diremo di sacerdote) da quella di politico, poiché è da supporre che le idealità morali non vengano lasciate in un canto dai cattolici, quando si gettano nell’ arringo politico.
Guido Aureli, sulla Tribuna (vj marzo), rilevava la singolare situazione in cui si trova D. Sturzo :
«Quando l’egregio scrittore dichiara che il Partito non è cattolico ma “ ciò non vuol dire che noi intendiamo rimanere estranei al fenomeno (!) religioso e che non ne sentiamo tutta l’importanza e tutta la imponenza ”, ci domandiamo — egli scriveva — se questo stile che potrebbe adottare un anticlericale serio ed onesto, possa fluire dalla penna di un sacerdote, e di un sacerdote così eminente come il futuro deputato di Caltagirone. Non ci si dica, che chi scrive quelle righe non è il sacerdote, ma il segretario politico di un partito politico ; nella nostra rudimentale cognizione di laici delle cose ecclesiastiche abbiamo sempre sentito dire che il sacerdote è sempre tale, così che fra mille e-sempi, non potrebbe condannare a morte come giurato perchè egli non cesserebbe mai di essere uomo di Chiesa.
Perciò quando un sacerdote ci parla di fenomeno religioso e fa dei gesti laici, non possiamo non scorgere attorno a noi dei gesti di diffidenza da parte del pubblico. E qui si tratta veramente di un equivoco di partito e non di persona, perchè prescindiamo affatto da quello che tanto apprezziamo nel Segretario politico del partito.
Ma l’equivoco peggiora quando si tratta della questione che più c’ importa cioè del contegno politico del Vaticano verso l’Italia. “ Volendo rispondere all’ * uomo politico , che nella Tribuna domandava, se in caso di conflitto dell’ Italia col Vaticano, questo partito sarà i ¿aliano, o altrimenti „ l’autore dell’articolo risponde : “ se per conflitto si sogna un’intesa della Chiesa con qualsiasi potenza estera sul terreno nazionale e politicò contro l’Italia, cinquantanni di storia e le finalità specifiche delia Chiesa, lo escludono, e noi non possiamo neppure ammettere tale ipotesi ,,. Dobbiamo constatare che questo è un modo elegante per evitare di rispondere, ma ciò non risolve la questione.
Cinquantanni di storia, dice don Sturzo, il quale occupatissimo com’è, non ha potuto evidentemente leggere il libro documentato di C. Crispolti e G. Aureli, sulla politica di Leone XIII.
Se avesse avuto tempo di farlo, don Sturzo avrebbe visto la fototipia di una lettera autografa del Card. Rampolla al nunzio Galim-
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berti perchè insistesse presso Bismarck contro l'entrata, voluta da questo, dell’Italia nell’alleanza che allora, senza dubbio, assicurò l’Italia contro minacele internazionali volute dalla politica vaticana di quel tempo. E quando Bismarck mostrò di non volere entrare in quelle viste vaticane, la Santa Sede si rivoltò bruscamente, come tutti sanno, verso la Francia e contro la Triplice, dal puro e semplice punto di vista anti-italiano. Tutto questo meno di cinquant’anni fa, giacché, se si dovesse tornare a mezzo secolo indietro, ci troveremmo ancora in quel periodo di Pio IX che riassunse vanamente gli estremi aneliti della reazione europea contro la giovinetta Italia. E questo ci basta, giacché il nostro solo scopo è quello di mostrare che chi pensa tutt’ora ad una situazione equivoca de! Partito Popolare Italiano, non voluta certamente dai suoi egregi uomini, ma insita fatalmente nella vita, può ben essere un serio ed onesto uomo convinto di fatti che nessuno ancora ha demolito ».
Ma anche Don Sturzo, imitando l’esempio •XeW Osservatore, alle molte obbiezioni mossegli da più parti ha preferito non rispondere.
BENEDETTO XV CONTRO I SIONISTI E I PROTESTANTI
Benedetto XV ha pronunciato il io marzo in Concistoro segreto, una allocuzione di intonazione religioso-politica riguardante la soluzione dei problemi dell’oriente, e segnata-mente la sistemazione dei Luoghi Santi. Escluso dalla Conferenza della pace, il Pontefice non rinunzia ad intervenire negli argomenti sui quali essa deve pronunziarsi, come non mancò di sottoporre, direttamente ed indirettamente, ai capi di Stato ed ai governi della Intesa ed associati, alcune sue vedute sulla Società delle Nazioni, alla quale desiderava prender parte. E in Vaticano ancora si spera che questa aspirazione abbia possibilità di realizzazione.
L’intervento pontificio per la questione di Oriente è giustificato in Vaticano dall’opera spesa dal Papa in favore dell’Armenia, della Siria e del Libano ; e, sopratuttto, dalla tutela religiosa che al Pontefice risale, dopo la liberazione dall'infedele, dei Luoghi Santi. E, da un punto di vista religioso, non si può contestare al Capo del cattolicesimo il suo interessamento: come la sua .letizia, manifestata per la liberazione, circondata dalle più minuziose cautele di una imparzialità politica, non sollevò risentimenti tra i belligeranti. Ma
oggi, là sistemazione della questione ¿’Oriente, rientra nel quadro generale della politica internazionale, ed è rimessa ai rappresentanti dei popoli vittoriósi. Essa coinvolge interessi delicati delle Nazioni, ed è oggetto di trattative laboriose, non ancora definite. Ad essa è connessa l’aspirazione dei Sionisti di tutto il mondo di ristabilire in Palestina la loro unità nazionale : è la soluzione non può non tenerne conto.
Pertanto., un voto del Pontefice, perchè i Luoghi Santi non vengano affidati a comunità israelitiche, apparirebbe equo, ragionevole ed adeguato alla missione spirituale del Capo del cattolicesimo. Sé non che, il Pontefice ha voluto, oltre a ciò, esprimere un giudizio vivace sull’opera che in Palestina viene esplicata dagli acattolici: e contro di essi ha espresso !’ accusa esplicita di corruttori, perchè col denaro insidiano la fede.
I-a genericità delia frase non consente di avere un’idea precisa di coloro che ne dovrebbero essere colpiti. I Luoghi Santi sono, infatti, affidati tuttavia ai Francescani, e sono oggetto di venerazione da parte delle autorità militari inglesi, sotto la cui giurisdizione si trovano. Per altro, le domande avanzate dalla missione sionistica al Consiglio dei Dieci, a Parigi, se contengono, come programma massimo, la costituzione di uno Stato ebraico, hanno tuttavia come programma minimo, un regime di garanzie particolari alle comunità israelitiche: e quest’ultimo sembra destinato all’attuazione. Nè l’uno; nè l’altro programma contengono ac cenni ai Luoghi Santi, essendo implicito che questi vengano affidati ai cristiani.
L’ « ansia » del Pontefice può, dunque, spiegarsi colle notizie giunte da Parigi, che la Palestina verrebbe affidata all’amministrazione dell’Inghilterra ; ed a questo Stato risalirebbero le accuse di corruzione, poiché non si riesce a pensare che essa possa essere compiuta da israeliti, in quanto il carattere cristiano non può essere tolto, nè da cristiani si può tornare ad essere israeliti. E d’altra parte, gli israeliti non sono considerati come acattolici dalla prassi cattolica.
I « SEMINATORI DI ORO E DI ERRORI „
Ha detto Benedetto XV testualmente, nella sua allocuzione :
« Sappiamo che stranieri acattolici, forniti abbondantemente di mezzi, profittando della grande miseria e rovina accumulata dalla guerra in Palestina, vi stanno dissemi-
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CRONACHE
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nando i loro errori (1). È davvero angoscioso e sconfortante il pensiero che tante anime, proprio là, perdendo la fede, corrono a dannazione, dove Gesù Cristo Signor nostro acquistò la vita eterna a prezzo di tutto il suo sangue. Sprovvisti di tutto, quei miseri ci stendono supplici le braccia, implorando, non solo viveri e indumenti, ma anche la riedificazione delle loro chiese, l’apertura delle scuole il ristabilimento delle missioni. A tale scopo, per parte nostra, abbiamo già destinata una certa somma, e ben volentieri assai più saremmo disposti a dare, se non ce lo impedissero le tristezze. in cui versa la Santa Sede. E’ però intenzione nostra di interessare tutti i vescovi dell’orbe cattolico, perchè prendano a cuore una causa cosi nobile e santa, suscitando in tutti i fedeli quel senso di fattiva carità che gli avi sempre nutrirono verso i fratelli ¿’Oriente >.
Sono, dunque, gli anglicani i «seminatori di oro e di errori » in Palestina. Sono coloro che, nel colloquio con Wilson, il Papa chiamò « fratelli protestanti», e contro i quali, all'inizio del suo pontificato, Benedetto XV ebbe invece, parole violente per la loro azione in Italia. E’ « l’odium theologicum », che ritrova nel pontefice la sua virulenza, e che non sarà giunto certamente gradito al fervente anglicano che rappresenta l’Inghilterra nel Consiglio dei Dieci, nè al convinto presbiteriano che rappresenta la grande Repubblica oltre
(1) Il Corriere d’Italia, anziché < errori * * aveva
• dottrine ». Noi togliamo la citazione dall’organo ufficiale, l’Osservatore Romano. È da notare che i giornali itahani non hanno riferito questo brano, ma un sunto dell’allocuzione uscito dalla Segreteria di Stato del Papa, nel quale era detto soltanto che il Pontefice faceva voti perchè > Luoghi Santi rimanessero in mano dei cristiani.
oceanica. Il pontefice, dunque, partendo da un’iniziale giusto motivo di sollecitudine cristiana, è caduto nella disputa politica cosi accetta al suo temperamento ; e la reazione che le sue rampogne solleveranno nelle comunità israelitiche e tra i popoli protestanti — specie dopo la sua adesione al movimento americano per l’unione delle chiese cristiane, e il suo interessamento per i popoli di altre religioni sottoposte ai giogo mussulmano, nella stessi? allocuzione rivendicati —- recherà un grave danno alla causa che gli sta a cuore, seminando dissensi religiosi proprio intorno ai delicati problemi, per la soluzione dei quali occorre fare appello ad un senso di superiore unità spirituale (2).
Potrebbe sembrare che Benedetto XV si fosse propósto di dimostrare di quali gravi inconvenienti sarebbe suscettibile úna sua attiva partecipazione alla Società delle Nazioni.
fíorna, aprile ¿9/9.
Guglielmo Quadrotta.
(2) Ci sembra interessante ricordare come nel maggio del 1918. in seguito alle polemiche suscitate in Inghilterra da alcune frasi dette dal cardinal Gasparri in una delle sue conversazioni, secondo le quali avrebbe espresso il suo rammarico perchè le truppe liberatrici di Gerusalemme non appartenevano a quelle che professavano la vera' fede, il cardinale segretario di Stato scrisse una lettera — resa pubblica — al primate d'Inghilterra cardinale Boumc, nella quale diceva di aver rilevato in parecchie occasioni « che l’Inghilterra, a preferenza di ogni altra potenza, ispira assoluta fiducia per la sua perfetta imparzialità, il suo pieno rispetto ai diritti dei terzi e il suo zelo per l’avvenire dei Luoghi Santi ». Ma, forse. Benedetto XV non aveva autorizzato il suo segretario a fare questa dichiarazione...
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PER IL IV CENTENARIO DELLA NASCITA DELLA uRIFORMA,, (31 OTTOBRE 1517 - 31 OTTOBRE 1917)
vi, i.
ASPETTI E CONSEGUENZE POLITICHE DELLA RIFORMA;
I PRIMI REPUBBLICANI FRANCESI
È un pregiudizio della media coltura, della quale l’on. Ribot si fece esponente e difensore in una seduta parlamentare in Francia nello scorso anno, quello che attribuisce ai filosofi francesi dell’Enciclopedia la paternità dei principi, che incarnati nella dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti, trionfarono poi nella dichiarazione dei diritti dell’uomo proclamata dalla Rivoluzione Francese,
Contro di questo errore storico, M. Larnande, decano della Facoltà di Diritto, scrive : « La idea di consacrare legislativamente i diritti inalienabili e inviolabili, i diritti naturali dell’individuo, non ha già un’origine politica bensì un’origine religiosa: Quello che finora sr credeva essere l'opera della Rivoluzione, non è in realtà che un prodotto della Riforma e delle lotte da essa generate ». Ecco perchè uno scrittore ha potuto anche dire che < la Riforma contiene in germe tutta la storia moderna e tutta la storia futura ».
È questo l’assunto che si propone di dimostrare John Viénot sulla Revue Chrétienne di nov.-dec. 1917 in un articolo sui « Primi repubblicani francesi».
« Sentiamo spesso ripetere — scrive l’A. — che la Riforma è stata un movimento religioso che ha potuto avere una certa impor
tanza dal punto di vista della liberazione dell’individuo, ma che non c’interessa dal pùnto di vista politico, non avendo essa esercitato alcuna reale influenza sullo sviluppo delle istituzioni liberali d’Europa.
«... Ora se Guizot che. non era un repubblicano aveva già visto nella Riforma “ un grande slancio di libertà dello spirito umano, un affrancamento di esso dal potere assoluto nell’ordine spirituale ”, lo Zeller nel suo “ Ulrich yon Utten ”, ha visto più integralmente che “ la Riforma è un affrancamento dello spirito secolare, laico, nella scienza, nello Stato e nella fede, contro lo spirito teocratico... Con uno stesso colpo lo spirito del libero esame è affrancato dal servaggio della teologia; il potere politico dal giogo del diritto divino, la coscienza dalla schiavitù della tradizione.... e il movimento che trascina verso la libertà gli spiriti nella rinascenza, gl’interessi nella politica, le coscienze nella fede, si esprimerà ormai con una sola parola che avrà un triplice significato letterario, politico, religioso: quella della Riforma».
Certo, bisogna convenire che i Riformatori non videro tutte le conseguenze dei principi da essi posti : nullameno essi posero dei principi, da cui le conseguenze dove vano derivare. « Il Cristiano è un uomo libero padrone di tutto e non sottomesso ad alcuno. Il Cristiano è un servo pieno di docilità ; egli si sottomette a tutti * : ma per amore. Conoscete voi un mezzo migliòre di
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preparare le trasformazioni sociali che questo , programma magnifico d’amore e di libertà? D'amore, perchè, come dice Michelet, Lutero «ebbe pietà del popolo»; di libertà, perchè reclamò la libertà della sua coscienza a rischio della vita, non solo dinanzi al papa, ma anche di fronte all’imperatore, che giunse a chiamare « la bestia tedesca », « l'usciere del Diavolo ».
Ma mi si dirà: « E Calvino? Potete voi annoverare nella lista dei liberatori del popolo l'uomo che ha a suo carico il dossier del processo e della condanna di Serveto ? »
Rispondo con un fatto non privo di valore. Davanti a Serveto, tutti i Riformati d’oggi sono unanimi. Tutti ripetono con Juriéu: «La morte di Serveto è un residuo di Cattolicismo ». Tutti disapprovano questo deplorevole errore, questo delitto contro la libertà e contro il Vangelo. E sono appunto i Riformati più fedeli a Calvino che hanno eretto in Champel il monumento espiatorio quale riprovazione ufficiale dell’errore del 1553. Ora, donde proviene questa unanimità di disapprovazione, se nel Calvinismo stesso non vi è un principio fondamentale,/una tendenza che permetta ai Calvinisti di giudicare Calvino stesso in nome di Calvino ? È un errore storico quello di mettere di fronte, da una parte l’inquisizione e le dragonate, e dall’altra Serveto, e poi dire: i due sistemi, cattolico e riformato, si equivalgono. Infatti, i Protestanti del sec. xvn, allorché si addita loro Serveto, dicono di già : è un residuo di Cattolicismo; noi disapproviamo questa incoerenza. E invece, riguardate il campo cattolico. Bossuet, che rimprovera a Calvino e ai Protestanti una quantità d’errori, non ha che una cosa che loro non rimproveri : cioè appunto l’esecuzione di Serveto. Infatti, all’Ugonotto Basvage che aveva approvato il motto di Jurieu : « La persecuzione contro Serveto fu un residuo di papismo », che cosa risponde Bossuet ? Ecco le sue parole : «Allora, sarà uno dei frutti della Riforma di lasciare impunita l’empietà e la bestemmia, di disarmare il magistrato contro i bestemmiatori e gli’empi ; si potrà sull’esempio di Serveto bestemmiare senza alcun timore, negare la divinità di Gesù Cristo... e preferire la dottrina di Maometto a quella dei Cristiani... Non resta più che gridare: Benedetta quella terra in cui l’eretico vive in pace non meno che l’ortodosso, e in cui si ha cura delle vipere non meno che delle colombe innocenti... Chi non ammirerà la clemenza dei Riformati... Dove la Riforma domina, l’eretico non ha più nulla da temere fosse anche un empio e un bestemmiatore come Serveto ». Bossuet non si
è troppo ingannato, se lo stesso cattolico Descartes doveva rifugiarsi in Olanda per ivi filosofare in pace : ed oggi noi raccogliamo la sua accusa a titolo d’onore, come la prova luminosa che il Protestantesimo è una scuola di libertà e un focolore di ogni libertà, la politica come tutte le altre, malgrado gli errori, gl’indietreggiamenti, le incoerenze dei Riformatori stessi.
I Riformatori hanno mirato in faccia il papa e discusso la sua autorità : ecco ora di quelli che guarderanno” in faccia i re ancora e inaugureranno la rovina dei loro poteri usurpati: cioè i primi repubblicani francesi.
Io chiamo repubblicano o democratico, colui che riflette e sentenzia: il re, il capo, il ministro, lo Stato, sono fatti per il popolo, e non il popolo per essi.
Ora è un fatto storico, che quelli che in Francia hanno proclamato ciò per i primi, con più autorità e portandone le ragioni, sono stati gli Ugonotti... Queste idee sortite dal nostro seno erano state già raccolte in Scozia... e Knox stesso le aveva esposte a Ginevra... Ma per 37 o 40 anni, i Riformati francesi erano rimasti nella maggioranza, malgrado le persecuzioni ed i supplizi, i sudditi più soggetti ai capricci dei loro re, fino al giorno in cui l’eccesso della vergogna e del dolore li spinse alfine ad esaminare le basi su cui poggiava questo diritto reale che loro era sì duro... Per vivere con sincerità e serietà conforme al Vangelo, durante più di trent’anni uomini, donne, vecchi, monaci, preti, magistrati, signori, sono stati arrestati, torturati, gettati nelle prigioni, bollati con ferro rovente, abbruciati dinanzi alle cattedrali o sui mercati. Tutti i crocicchi, tutte le pubbliche piazze di Parigi sono stati teatro di questi supplizi.
Ma questi supplizi, richiesti e ispirati dalla Chiesa, chi li ha eseguiti? Il re. Mai martiri sono semenza di nuovi cristiani... Il Protestantesimo guadagna aderenti sempre più numerosi, e allora... col duca di Guisa cominciano, a Vassy, i massacri in grande.
Per non lasciarsi distruggere, i Protestanti cui alcuna legge non protegge, prendono le armi contro il partito che tiene il re sotto tutela... ed ecco le guerre di religione... Ma piuttosto che accettare una parola che porrebbe fine a tutto: tolleranza, libertà, i detentori del potere, ispirati dal papa, spinti da un malignò vicino, Filippo II, che ha un interesse capitale all’abbassamento della Francia, ricorrono al peggiore espediente, a un colpo di forza, alla strage di S. Bartolomeo. Il sangue scorre per la Francia: 300 signori Ugonotti sono massacrati solo nel Louvre, la Senna
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trascina nel suo corso cadaveri: dappertutto saccheggi e assassini. Diecimila vittime, secondo alcuni ; trentamila secondo altri. Il massacro si estende alle province... Lo scandalo fu immenso in Francia e in Europa tutta. E allora vi fu qualcuno sfuggito al macello, che si domandò nel silenzio del suo gabinetto: Chi sono gli autori di tutti questi massacri? La Chiesa che contrassegna le vittime non ha il potere di giustiziarle. Sono i re i veri responsabili delle sofferenze dei loro popoli. E quali re! Francesco 1, Enrico II, Francesco II, Carlo IX e Caterina dei Medici...
Ed ecco che un anno dopo il delitto apparve un libro che portò un colpo terribile al principio monarchico, dal titolo la Gaule-Franque : libro calmo e solenne, in cui l’autore, il giureconsulto François Hotman, si domanda: Qual’è l'origine del potere capace di simili eccessi ? Sono le cose andate sempre così in Francia? Egli compulsa gli annali, e trova che ciò che in Francia è antico è non la tirannia, ma la libertà: che «allorché i Francesi si elessero dei re, non stabilirono sopra di sé dei tiranni o dei carnefici, ma dei guardiani, dei governatori, dei protettori della loro libertà... Ubbidire a un re non significa schiavitù...: ma quelli che quali pecore condotte al macello si sottopongono ai capricci del tiranno, all’assassino, al carnefice, quelli debbono essere appellati col nome dei più vili schiavi ! »
II principio fondamentale del libro riposa sul concetto che tra il popolo e il re vi è convenzione reciproca — più tardi si dirà contratto —, e che se questa convenzione non è rispettata, il popolo ha il diritto e il dovere di ribellarsi contro l’autorità del re. Per Hotman vi sono rivoluzioni giuste e necessarie... E il suo libro non è solo i’enunziato di teorie, ma un’azione sostenuta da sforzi per sollevare l’opinione pubblica, e ottenere da essa la deposizione dell’indegno Carlo IX... e lo stabilimento di un governo provvisorio fondato sulla sovranità del popolo... Gli scritti dello Hotman fecero profonda impressione sui contemporanei: ed egli stesso scriveva nel luglio ’575•’ «Tutti quelli che vengono dalla Francia affermano che il mio libro ha grande efficacia per lo stabilimento del diritto del popolo contro la tirannia ».
L’autore dell’articolo continua mettendo in evidenza un altro scritto del tempo, la « Servitude volontaire'», composto nel medesimo spirito, e continua :
« Il secolo xvi ha segnato 'il principio di una guerra che continua tutt’ora, e nella quale tutti i nostri interessi più cari sono in gioco.
Qual’è infatti il sogno di Guglielmo II? Non solo un sogno di conquiste materiali, ma anche di dominio universale, un piano d’assimilazione morale, a profitto dei due imperi che soli rappresentano oggi nel mondo il principio d’autorità. Ebbene, questo sogno data dal secolo xvi, con Carlo V risoluto ad annientare tutte le dissidenze a vantaggio dell’unità politica e religiosa. Questo progetto, sono dei dissidenti che l’hanno fatto svanire.... c gli Ugonotti sono stati i più attivi fra essi. Prendete tutta la loro letteratura politica: vi troverete tutte le idee senza di cui noi non potremmo vivere: libertà, tolleranza, rispetto dei diritti dell’individuo e dei popoli, sovranità del popolo, cosmopolitismo.
«Con Hotman e Languet gridano: il tiranno è degno di morte : libertà. Con Duplessis-Nor-nay, detestano- il nome di Ugonotti e di Papisti, e non vogliono ritenere che il nome di « buoni francesi » : tolleranza. Il re è fatto pel popolo, e non il popolo pel re: sovranità del popolo. E ancóra, cosmopolitismo : gli Ugonotti del secolo xvi si sentivano cittadini del mondo, e uno dei loro scritti è firmato cosi: Junius Brutos cosmopolita. Ciò che non impedisce loro d’amare anzitutto la patria, il cui nome, si raro altrove, ritorna a ogni istante sotto la loro penna: anzi il nome “ patriotti ” nel senso moderno, è adoperato, credo, da essi per la prima volta.
«Quando sono cacciati dalla dolce patria, essi ne conservano l’imperituro ricordo, come nei versi nostalgici dell’esule Teodoro da Beza: “ Adieu, France, adieu, — Qui êtes le lieu — Qui premièrement, — Au monde me vîtes, — Et premier ouïtes — Mon gémissement. — O mon pays doux — Je meurs loin de vous, — Voire et volontiers, — Puisqu’on vous, 6 France. — Font leur demeurance, —Des saints les meurtriers.— Adieu, cœurs unis, —- Des pauvres bannis, — Qui seuls, en ce temps, — Malgré toute envie, — Passez votre vie — Heureux et contents ”.
« Quando larevoca dell’editto di Nantes, per opera di Luigi XIV, che sospinto da un clero il quale nulla ha appreso, riprende il suo sogno di dominio universale e di unità imposta per mezzo della forza, getta 500.000 Protestanti sulla via dell’esilio e riduce tutti gli altri in schiavitù, un uomo si leva contro il gran re. Jurieu, il pastore francese rifugiato in terra di libertà e di rifugio, in Olanda... Nelle sue Lettere pastorali e nei Sospiri della Francia schiava, ecco i principi che egli espone: '* Il popolo forma i sovrani e dona loro la sovranità. La sovranità può ben essere delegata ad un solo, ma ciò non impedisce
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che la sovranità risieda nel popolo come nella sua sorgente. Se quindi il popolo è oppresso, specie se da un cattivo principe, può esercitare la sovranità da sè stesso Esso ha il diritto di giudicare i sovrani, di far loro guerra, di privarli della corona, di mutare l'ordine della successione e la forma stessa di governo. Giacché il governo poggia su di un contratto: ed è contro ragione che il popolo si affidi ad un sovrano senza alcun patto e senza condizioni : un tal trattato sarebbe di per sè nullo, essendo contro natura ridurre nn popolo in schiavitù, giacché i popoli sono naturalmente liberi ”.
« Egli approva anche in anticipo le nobili proteste degli Alsaziani, scrivendo le belle paróle : “ Non concepisco perchè la conquista che è senza violenza possa togliere ad un popolo il diritto di ricuperare la sua libertà non appena se ne offra l'occasione, per quanto sia lungo il possesso del vincitore tiranno ”.
« Quando le idee forgiate a poco a poco sotto il martello degli avvenimenti dei secolo XVI appaiono completamente formate, esse si chiameranno : libertà individuale, libertà religiosa, libertà politica, libertà sociale, pietà per il popolo, sovranità del popolo, amor di patria, giustizia e fratellanza fra le nazioni, cammino fiducioso e coraggioso verso un avvenire migliore in un regime d’ordine-e di progresso.
«Sono le idee della Rivoluzione francese queste, direte voi. Va bene: ma la Rivoluzione francese donde le ha apprese? Dai filosofi del secolo xvm: da Voltaire, Rousseau, Mably Raynal. Benissimo: ma e questi, donde le han prese? Dagli Inglesi e dagli Americani eredi dei Puritani di Scozia ed Inghilterra, e dei primi pellegrini del May-Jlower, che essi stessi le avevan ricevute dai pubblicisti Protestanti del secolo xvi.
« Se si vuol conoscere la Riforma nelle sue ultime conseguenze ” — scrive il Lanfrey nel suo Essai sur la Révolution — “ bisogna studiare l’Inghilterra: giacché è lì che essa produsse tutti i suoi frutti: essa ha creato il popolo inglese... È esatto dire che la Costituzione inglese fu un’ispirazione originale del genio anglo-sassone, ma senza la Riforma, essa non avrebbe mai raggiunto il suo pieno sviluppo ”.
« Mentre le idee di Hotman, Languet, Jurien, erano soffocate in Francia, esse trionfavano in Inghilterra e di lì poi ritornavano per mezzo di Montesquieu e di Voltaire, come tornavano da Ginevra per mezzo di Rousseau e dall’America per mezzo di La Fayette, e trionfavano infine sul suolo nazionale, grazie
a quel grande sforzo di liberazione e di giustizia che si chiama la Rivoluzione.
«Chi non sa ” — scrive lo stesso Lanfrey — “ che Voltaire, Montesquieu, Necker, De Lolme, Mounier, Lally, Barnave e la Costituente tutta quanto hanno preso a prestito dall’Inghilterra e dai suoi pubblicisti, e Rousseau da Calvino e da Locke; e con qual frutto Mably, Mirabeau, Brissot, Condorcet, Clavière e tanti altri studiarono le istituzioni olandesi, e sopratutto quelle d gli Stati Uniti, questa creazione sì geniale d< ó spirito Protestante e del genio dei tempi nuovi?... Dappertutto dove il Protestantesimo si stabilisce saldamente, impianta in qualche modo nel suolo la libertà. E dappertutto anche l’idea Cattolica è l’alleata non meno fedele dei poteri assoluti. Non si tratta forse che di un azzardo e di un accidente? Ma se non è permesso di concludere alla parentela nell’un caso come nell’altro, bisogna ben rinunziare ad ogni filosofia della storia...»
»* »
Su questo argomento della derivazione ultima dei principi proclamati dalla «dichiarazione dei diritti dell’uomo» dalla Riforma, troviamo un contributo valevole per la documentazione bibliografica a cui s’appoggia (specie dèlie opere del Roberty, del Doumer-gue, del Bourgeau, del Scippel, del Jellink), nell’opuscolo storico-critico di U. Janni ed E. Comba, dal titolo : « La Guerra e il Protestantesimo », Firenze, «La Luce», 1918.
Nella pag. 44 e seguente leggiamo: «I diritti dei cittadino furono studiati per la prima volta a fondo dai teologi Ugonotti, sotto la pressione degli ostacoli che s’oppónevano al diffondersi della Riforma... essi che avevano già liberamente discussa l’origine divina del potere ecclesiastico, furono tratti a discutere con eguale libertà le origini del potere regio. Dopo la strage di San Bartolomeo, Teodoro di Beza, sviluppando un principio proclamato da Dante, stabilisce nel suo Des droils des magistrats sur leurs su-jets che “ ...non ogni resistenza dei sudditi ai loro dirigenti è illegittima o sediziosa; poiché gli Stati sono superiori ai Re. 1 popoli a cui talenta di essere governati da un principe sono più antichi dèi loro magistrati ; perciò non il popolo esiste pei magistrati, ma viceversa, questi per il popolo Quest’idea trovò un rifugio presso i Puritani di Scozia, d’Inghilterra e d’America. É noto come i capi Puritani, scacciati dal loro paese sotto Enrico VII! e Maria Tudor, si recassero a Ginevra, dove subirono l’influenza delle idee
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calviniste. Tornati in patria, non si limitarono ad organizzare democraticamente le loro Chiese, ma lottarono per far penetrare gli stessi principi di democrazia nello Stato. Così fu che i Puritani in religione divennero in politica Indipendenti. Furono essi che proposero di sostituire al vecchio diritto pseudo-divino, una Costituzione scritta che il popolo darebbe a sé stesso, la quale, ne! loro progetto, terminava con una Dichiarazione di diritti: “ Noi dichiariamo di comune consenso che questi sono diritti di nascita, e che noi siamo decisi a mantenerli con tutte le nostre forze contro qualunque opposizione Tipo di siffatte Costituzioni scritte è quello dei “ Padri Pellegrini ”, piccolo gruppo di Puritani inglesi che si recarono a fondare una nuova colonia di là dall'Atlantico per viverci secondo il loro ideale religioso e politico. Fu redatta a bordo della nave May-Jlower l’n novembre 1620. Essa servì di modello a tutte le Costituzioni americane, nel senso che le Costituzioni particolari dei. vari Stati (Virginia, New-Jersey, New-Hampshire, ecc.) erano precedute o seguite da una Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino...
<< Fu dall’America che l’idea di tale Dichiarazione di Diritti venne in Francia. Ed ecco come. Nel 1778 una raccolta delle Costituzioni
americane, dedicata alla memoria di Calvino, fu pubblicata a Ginevra. Franklin, stabilito a Parigi, ne pubblicò un’altra nel 1780. La-fayelte, nella sua casa di Parigi teneva affisso un quadro delle Dichiarazioni americane, lasciando subito dopo un posto vuoto per la futura Dichiarazione francese. E il 14 giugno 17S9 fu Lafayette il primo a proporre di aggiungere alia Costituzione francese una Dichiarazione di Diritti. Di più, Lafayette stesso, in un passo delle sue Memorie, indica quale modello avesse di mira facendo la sua proposta: questo modello è i lìills of Rights che precedono le Costituzioni scritte degli Stati d’America.
« Qualche anno fa, confrontando i testi, il prof. Jellink dimostrò che la Dichiarazione francese del 1789 è mutuata, talvolta persino nella forma, dalle Dichiarazioni americane in cui era consacrata l’idea Puritana dei diritti individuali inalienabili... Nell’ idea puritana questi diritti emanano dalla persona umana e sono riguardati come aventi per sé stessi un valore sacro. La legge constata questi diritti o li organizza: non li crea. Essi preesistono. Essi vengono da Dio*.
(Continua).
Giovanni Pioli.
RELIGIONI DEL MONDO CLASSICO
VII
1. Della scoperta di un interessante amuleto magico dà notizia G. Calza in Noi. degli Scavi (1917. 326), sebbene essendo stato raccolto tra là terra di scarico n'on possa precisarne il luogo del trovamento. « Il dischetto a lamina sottile di bronzo con forellino di sospensione, è figurato su ambedue le facce. Sull’una campeggia una figura virile di profilo a destra, non però visibile, appoggiata ad un bastoncello che vien fuori da un vaso, quasi nell’atto di rimescolarne il contenuto. Sopra la figura corre la leggenda : Solomon. Sull’altra faccia campeggia la figura della triplice Hecate maga, riprodotta con tre teste e sei braccia; due mani tengono due lamedi lancia, due stringono delle torcie, due dei flagelli. Sotto i piedi due serpenti ». Segni magici diversi circondano le figure. Il più notevole però è la raffigurazione di Salomone.
Finora si conosceva il solo « Salomone-nim-bato in costume militare, a cavallo in atto di infiggere la lancia sopra una donna distesa a terra che rappresenta un demone: femminile, simbolizzante i mali che il filatterio deve scongiurare ». Gli amuleti bizantini usano ed abusano di tale raffigurazione, originata dal fatto che si credeva Salomone depositario del sigillo di Dio e quindi protettore degli uomini dai demoni. Ma qui non si à Salomone-Horus, « che servirà poi a impersonare il S. Giorgio cristiano», ma Salomone-mago per eccellenza, che rimescola in un vaso un intruglio qualsiasi ricco di proprietà magiche.
L’amuléto potrebbe essere ebraico d'origine, ma data la diffusione della credenza in Salomone-mago, nulla vieta a ritenerlo proveniente da altre mani.
2. Da una minuziosa descrizione fattane nelle Noi. degli Scavi (1917. 304) da G. Lugli, togliamo quanto può interessare sul bassori-
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lievo mitico di arte ellenistica scoperto in un colombario della via Po (precisamente nella proprietà Berlingieri e all’angolo tra via Po e via Gregorio Allegri). In un mare fluttuante < scorre ... un cocchio tiralo da quattro cavalli non marini, aggiogati ad una biga, il cui timone, ornato con protome leonina, sporge fra i colli delle due coppie. Uguale protome forma una specie di borchia sul mozzo della ruota visibile... Uno squamoso e robusto tritone, natante presso di essa, la spinge, quasi sollevandola verso la sponda, mentre col braccio sinistro guida a sicuro jx>rto i cavalli. ... Ma già i cavalli calcano la riva:... si impennano di fronte ad un ardimentoso giovane, che afferrate le briglie li assesta con gesto energico. ... Un secondo giovane situato alla sua sinistra forma l’unione e il passaggio alla seconda fase. ... Il corpo della figura doveva essere di prospetto ... (non si sa quel che facesse]. Il piede sinistro del giovane posa sulla terra, che, sabbiosa presso il mare, diventa poco dopo rocciosa e accidentata. Anzi la prima figura femminile che è alla sua sinistra, siede direttamente,, sulla roccia, alla quale appoggia le spalle e il braccio destro; è vestita con un chitone, allacciato molto alto .e ha una hbnalion al disopra che le copre anche il capo, segno questo che la donna è una sposa. Un’altra donna, di sembianze più delicate e giovanili, un poco distante da lei, ma non sappiamo sé a destra o a sinistra...; essa ha il petto nudo e il viso in un atteggiamento mesto, rivolto verso destra ; i capelli, bipartiti sulla fronte, sono annodati sopra la nuca in una guisa che ricorda molto da vicino quella deli’Apollo del Belvedere : chiude il fregio a sinistra un grosso tronco d’albero». Il Lugli dichiara molto difficile il concludere sulla raffigurazione del bassorilievo.
3. Interessante per lo studio del culto dèi re divinizzati è il saggio di inni e liturgie sumeriane che S. L(angdon) pubblica nel Afu-scuni Journ. (8, p. 165 segg.) dell’università di Filadelfia. Fra le tavolette di Nippur si sono trovati tre lunghi inni a Dungi, secondo re della dinastia dell’Ur, e primo che ebbe l’onore dell’apoteosi. Sembra che questi re siano stati identificati fino ad un certo punto con Tammuz, l’incarnazione della produttività, la quale ogni anno moriva e ritornava alla terra [v. in questo boli. n. 18]: uno di questi inni anzi dice che Dungi è venuto'a cacciare le disgrazie che sono cadute sul genere umano dopo che il diluvio pòse termine all’età felice. L’inno fu cantato probabilmente quando il re era ancor vivente: il suo culto appare dimenticato dopo la caduta della sua dinastia.
Le liturgie sumarie che provengono* da Nippur sembrano composte durante la dinastia di Isin. Una di esse ottimamente conservata contiene sei canti relativi al culto di Ishme-Dagan. Nel primo di essi si espone come Eulil adirato contro Nippur à mandato la desolazione su di essa? nel secondo il re divino appare e lamenta le sventure umane ; nel terzo è commentato il fato della città e si prevede che presto Eulil si riconcilierà con essa ; nel quarto Ishme-Dagan appare un’altra volta a dolersi col suo popolo; nel quinto il re intercede presso il dio della terra; e nel sesto Eulil dà termine alle calamità di Nippur e manda Ishme-Dagan a rendere la gioia al suo popolo.
All’incirca stillo stesso argomento — culto dell’imperatore in Babilonia — nel Journ. of thè Avi. Orioni. Soc. (1917, p. 360 segg.) S. A. B. Mercer dimostra che il determinativo indicante «dio» è prefisso ai nomi degli antichi re babilonesi, non solamente quando essi contengono nome di divinità come elementi della loro composizione, ma ánche quando sono nomi divini conosciuti. Talvolta il determinativo per « dio » è prefisso al nome di un re vivente ; più usualmente esso è usato dopo la morte del sovrano. Ma quei che si può maggiormente affermare sul culto degl’imperatori in Babilonia è che i monarchi babilonesi durante la loro vita erano onorati dal titolo di diugir o Uni che non può esser tradotto diversamente da «signore» o «re».
4. In alcune pagine del Classical Journal (13, 245) Gordon Laing prende in esame la posizione che si rileva verso i culti orientali nei padri della chiesa, sopratutto verso quelli di Iside, Cibele e Mitra e ne indica brevemente i tratti, venendo alle seguenti conclusioni. L’attacco che essi svolgono non è che superficiale: ignora le caratteristiche essenziali ed importanti di tali culti o si limita a particolari insignificanti e triviali. Quello che è notevole è che la critica loro è molto più debole verso i culti stranieri che non sia verso i vecchi culti romani. E la ragione di questo atteggiamento sta in ciò che nelle religioni orientali vi erano tali somiglianze con la religione cristiana che il meglio che si poteva fare era tacerne.'E ciò sopratutto per il Mitratemi) che fu uno dei più pericolosi rivali che il Cristianesimo abbia conosciuto.
5. Feci già conoscere ai lettori di questo bollettino i risultati della ricerca di F. KiESOw sul demone socratico [V. boli, iv, 5]. A complemento di tale ricerca segnalo l’altra che lo stesso A. pubblica nella Riv. di filosofia neo-scol. (x, 153) sull’interpretazione del dai tuo-
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nion socratico fatta da Senofonte. Senza entrare nei merito della nota, il che esorbita dai tini di questo bollettino, riferisco <¡ui testualmente le conclusioni del K.: «Con quanto fu esposto credo di aver sufficientemente chiarito la mia opinione rispetto al valore degli scritti di Senofonte per il problema del dai-monion socratico. Giungo alla conclusione che Senofonte non l'ha affatto compreso, e che il parere di Breitenbach, condiviso anche da altri, che non si trovi nulla in Platone che sia in contraddizione coi rapporti di Senofonte, è erroneo. Pai nenti non mi sembra soddisfacente neppu e l’opinione di Zuccanle, secondo la quale vi è tra Platone e Senofonte in generale Soltanto diversità, ma non contraddizione. I-a differenza tra i due rapporti riguardo al daintonion è cosi grande, che ogni tentativo di riconciliazione sarà sempre un lavoro ingrato».
6. XcW Alhenacum (v. 2S5) C. Pascal pubblica' un breve studio su Didone nella letteratura latina d'Africa, ora edito anche nell’introduzione del suo commento al C. iv dell’Eneide, da lui .curato per la collezione Sandron di Palermo (n. 4S). La ricerca tende a mettere in evidenza la forma epicoria della leggenda di Didone, che ne ha fatto un exem-pluvi caslilalis, di fronte a quella vergiliana che aveva contaminato la forma locale con un’altra già corrente al tempo di Nevio, come pare. La letteratura latina africana mette poi in modo speciale in evidenza la leggenda per cui Didone non avrebbe rotto fede alle ceneri di Bicheo con quel sentimento di resistenza indigena alle versioni straniere che si impongono sui miti patrii, la quale è caratteristica di tutti gli scrittori di una regione, sulla quale si afferma vittoriosa la geniale interpretazione e divulgazione di un mito popolare.
La breve memoria del Pascal è un complemento, anche bibliograficamente, della non povera letteratura sull’argomento, [per cui v. anche il nostro boli, vi, 5].
7. Sebbene non entri che molto relativamente nella sfera di questo bollettino, segnalo per i suoi rapporti colie religioni classiche e con le idee e le costumanze del tempo la memoria di A. Castiglioni in !-a scuola cattolica (xv, 28, 131, 212) sulla donna nel pensiero dei padri della chiesa greca del IV sec. Essa raccoglie un notevole' contributo di testimonianze, precedute da una breve ricerca sulla condizione della donna nell’antichità e sul valore che ebbe per le religioni e le opinioni degli antichi la verginità e la castità della donna. Il lavoro à semplice carattere di compilazione e non entra nello spirito dell’ar
gomento, tanto più che io pervade un ingiusto senso di scetticismo sulla posizione che ebbe la donna nell’antichità ed un esagerato senso di fiducia nella sua considerazione nel iv sec. Cionondimeno un discreto materiale vi è messo in luce e può permettere a menti più acute e più colte di servirsene per riesaminare con maggior compiutezza (’interessante soggetto.
8. A proposito dell’ipotesi accettata da molti scrittori d’antichità, fra cui G. De Sanctis, dell’origine degli eroi della mitologia greca da divinità decadute. R. Sciava naeum (vi, 1S9) fa alcune osservazioni di carattere generale per contrastare a questo indirizzo ch’egli dichiara ormai presso che abbandonato. Lo Sciava è piuttosto fautore dell’ipotesi novellistica delle leggende degii eroi, la quale, a vero dire, per lui si raccomanda più che le altre teorie. Egli scarta naturalmente il facile pregiudizio sull’anteriorità dei miti degli dei di fronte a quelli degli eroi; trova giustamente poco possibile che l’etimologia possa cogliere nel segno dell’origine divina e quindi possa raccomandarsi l’interpretazione naturalistica dei miti. Se si accetta invece l'ipotesi novellistica si viene ad escludere la provenienza" degli eroi dagli dei decaduti, perchè la novellistica non à bisogno di creare personaggi soprannaturali per rendere interessanti, i suoi racconti ; anzi à proprio il bisogno contrario. Naturalmente, p«*r quanto raccomandabile, questa tesi novellistica, lascia come un vuoto per i sostenitori delle origini tradizionali, in quanto che sembra renderne inutile o indegno lo studio. Essi guadagnano da un altro lato però, chi ben consideri, quel che perdono da questo. Aumenta cioè la loro importanza artistica, in quanto che «come opere d’arte, come prodotti della letteratura d’invenzione, le novelle greche sono in generale fra le più belle, le più antiche e le più ricche d’influenza sulla novellistica successiva; insomma un materiale tutt’altro che indegno e inutile, a studiare ».
9. Negli Allí della reale Aerad, delle scienze di Torino (53. 370) Italo Pizzi pubblica la. traduzione dal siriaco di uno scrittore anonimo di Edessa in Siria, del sec. vi, in cui si parla di Giuliano l’apostata, del quale egli è ferocemente nemico. L’A. parla del passaggio di Giuliano per Antiochia, prima di «portar guerra nel paese dei Caldei» e riferisce le feste fattegli dagli Antiocheni e la loro gioia per poter dimostrare apertamente il loro attaccamento all’antico culto. « Essi, frenetici tutti — egli dice — erano dediti ce-
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latamente all’insania del culto degl’idoli fin dal giorno del pio Costantino, ma temevano di far ciò apertamente per lo zelo di quel monarca cristiano».
Riferite le feste e leaccoglienz.ee i discorsi di Giuliano, l’A. accenna alla presenza di un cristiano tra la folla che mal sopportava tante sconci« dimostrazioni. « Uno però dei capitani eh’erano in sua compagnia, il cui nome era Elpidio, ma che nell’ordine militare face-vasi chiamare con altro nome, essendo cristiano di religione si teneva celato, e ciò per la ragione di essere egli della milizia». Egli fremeva nel suo interno, ma si tratteneva, sebbene Giuliano se ne fosse accorto per il fatto che egli si era, sia pur nascostamente, « confermato col segno della Croce ». Se non Che avendo il sacerdote di Giove dall’alto dell’ultimo gradino dell’ara, innalzata alla porta della città, spruzzato coll’olio sacro l’imperatore, avvenne che una goccia andò a cadere « sul lembo della tunica di Elpidio ». Se ne ebbe a male il cristiano e guardò torvo il sacerdote e balzato di sella «spinto dall’ardore della sua fede» uccise il proprio cavallo con un calcio nel ventre, sicché esso venne a cadere davanti al cavallo di Giuliano. Non potè trattenersi l’imperatore ed inveì contro di lui, al che avrebbe risposto Elpidio con un ben tornito discorso, attestante la sua fede e pieno di scherno per la religione diabolica del .sovrano.
Giuliano lo fa gettare in prigione, non volendo dargli la soddisfazione di mandarlo a morte.
Dopo una lacuna notevole assistiamo' alla decisione di Sapore di muover guerra a Giuliano ed alla descrizione biblica dell’esercito suo che avanza come « uno sciame di locuste e di cavallette».
I due eserciti si trovarono di fronte il 25 giugno dell’a. 674 secondo l’Era dei Greci [366 d. C.], « sulla sponda del Tigri uno di contro all'altro, dalla parte settentrionale di Ctesifonte». Nell’attesa di fissare d’accordo tra i sovrani il giorno della battaglia nella gran quiete venne loro dal cielo una voce che diceva : « Freccia di redenzione al campo dei Greci ! Tolta via di mezzo è l’iniquità perchè la pace regni fra gl’imperi!» Tutti rimasero colpiti da essa, tranne Giuliano che schernendo la ¡»aura fanciullesca dei soldati, gridò loro non esser quella voce di Dei, ma «di quel Nazareno che si è fatto chiamare Iddio ». E lo sfidò a provare tale sua divinità sicché tutti potessero credervi. Ed ecco che «una freccia volò per l’aria di là donde s’era intesa quella voce e colpì il malvagio sotto la mammolla consegnandolo alla morte ». Raccolse il morente con le mani di quel sangue della sua ferita e ne spruzzò verso il cielo dicendo con bestemmia: «Saziati o Gesù ! Saziati ora e riempiti! Ecco che ora ti è reso con la divinità anche il regno!» Quindi portato nell’accampamento egli raccomandò agli astanti di eleggere Gioviniano (eie) come il più idoneo all’impero ed a liberarlo dalla situazione in cui esso era. Dopo di che morì ricevendo « in quel punto il castigo che gli era serbato, l’inferno, dovuto a lui e a quelli tutti che come, lui avevano prevaricato».
10. C. De Giorgi in uno studio sui menhir della provincia di Lecce, con il quale non tende che a stabilirne l’esatta posizione topografica, descriverne i caratteri singoli e richiamare su di essi l’attenzione degli studiosi; studio pubblicato nella Riv. Stor. Sai. (n, 45) riferendo le opinioni dei maggiori archeologi sulla loro destinazione e concludendo che la opinione che raccoglie maggiori suffragi è quella che considera questi monoliti come monumenti di tipo religioso, aggiunge a questa ipotesi il contributo di una sua osservazione: «questo carattere religioso dei Menhir di T. d’O. che secondo Plinio furono solis numini dicalos, troverebbe secondo me, una conferma nella costante orientazione delle loro facce più larghe col piano del meridiano, sul quale avviene la culminazione del sole; ed anche nella loro posizione nei luoghi di incrocio di vie vicinali, e nei luoghi più elevati e scoperti della roccia affiorante».
11. Sulla creazione e sui relativi miti dell’umanità primordiale le università di Pennsylvania e di Filadelfia ci promettono nuovi contributi grazie alle tavolette di Nippur che esse posseggono. G. A. Barton sulIMm. Journ. of Theol. (21, 571) e ne’ Proceedings of thè Am. Phil. Soc. (36, 275) offre commenti e traduzioni che in maggior copia e con maggior precisione leggeremo presto in un volume di Miscellanea di testi religiosi che l’A. prepara per quel museo universitario. Le tavolette di Nippur provano che esisteva già nel terzo millennio a. Cr. un ciclo di miti sulla creazione. Una di queste, scoperta da Poebel, sembra esser stata la forma più antica e più breve dei miti che circolavano ne’ secoli più recenti: altre due ci svelano idee finora ignote agii studiosi di Babilonia. Esse sono dei veramente genuini frammenti del folklore babilonese.
12. Un nuovo bassorilievo di Mitra tauro-ctono è stato scoperto in Siria dalla spedizione americana dell’università di Princeton e ne discorre A. L. Frothingam neWAmer.
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Journ.of Archaeol. (22, 54). Egli crede di vedervi delle novità nella raffigurazione e ne propone la spiegazione : sopratutto lo colpisce il fatto che la coda del bue, invece che essere volta all’insù. come abitualmente, lo è al-l’ingiù e che il serpente invece di alzarsi verso la ferita, come per lo più, o bere nel vaso o serpeggiare sul terreno, succhia il pene del toro. Il bassorilievo dovrebbe essere datato dal primo sec. d. Cr. e se ciò fosse esso sarebbe il più antico dei monumenti congeneri, che appartengono per ¡0 più al 30 secolo. [Naturalmente il Fr. dà in forma dubitativa tanto le sue interpretazioni simbolistiche, sulle quali non à creduto sia il caso di insistere, quanto quelle artistiche, che abbisognano di esser condotte, com’egli stesso afferma, su altri elementi che egli in parte indica. Per parte.mia, in attesa di queste conclusioni che dovrebbero precedere ed avvalorare le prime, ritengo che a tali diversità in monumenti di simil genere per lo più si dia troppo peso e che esse, più che a motivi religiosi, debbano esser dovute a ragioni d’imperizia artistica. Dalla tavola che riproduce il bassorilievo io sarei indotto a classificarlo, più che tra gli arcaici, ai rustici di indeterminata età e derivati da copie più o meno buone].
13. A proposito delle offerte votive bèlliche contemporanee E. S. Me Cartney fa nel Classical Journal (13, 442) delle curiose comparazioni e raffronti con le simili àvaszjxaTa e donaría che nel mondo greco-romano erano usate per l’appunto in occasione delle guerre. Sotto questo aspetto la grande guerra che dovrebbe rinnovare tutto e cambiare ogni cosa non pare sia riuscita a vincere le antiche millenarie abitudini! Gli antichi offrivano come ex-voto elmetti, corazze, lance, giavellotti, spade e via dicendo : celebre è, per esempio, l’elmetto di bronzo che lerone ed i Siracusani offrirono ad Olimpia in commemorazione della loro vittoria sulle flotte riunite degli Etruschi e Cartaginesi nel 474 a. Cr. Non dissimilmente nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Napoli vi è tutto un museo di doni militari, accompagnati da fotografie e dediche con narrazioni del fatto che ha dato occasione al dono e del miracolo ottenuto. L’A. cita un certo numero di tali offerte in cui soldati ed ufficiali si mostrano allo stesso livello di fede. Come nell’antichità anche ora quelli che ànno avuto modo di esser esonerati dalla vita militare per ferite riportate od altre cause oneste, dedicano armi ed armature e scrivono dediche che non differiscono molto dagli antichi epigrammi anatematici.
Non mancano naturalmente gli ex-voto per
pericoli corsi in mare, sicché alI’A. non è difficile ricordare Cic. de nat. deor. 3, 37, 89 «nonne animadvertis ex tot tabulis pictis, quam multi votisvim tempestatiseffugiunt » ecc. a proposito, p. es., dell’offerta di un marinaio scampato dalla catastrofe della Benedetto Brin (si cfr. anche Verg. Aen., 12, 766 segg. e Hor., 1, 5, 13 segg.).
Ma la ricerca deli’A. non è limitata all'Italia. Anche nella Cattedrale di Bordeaux, St. Andrea, alla base del piedistallo della Statua di Giovanna d’Arco egli à trovato offerte di soldati e di amici di soldati con dediche più o meno corrette come a Napoli. L’unica distinzione che egli ritiene dover fare tra le due forme di pietà è questa : che mentre a Napoli sono i soldati stessi che presentano ricordi degl’incidenti che loro procurarono l’intervento della Madonna per loro salvezza, a Bordeaux la maggior parte delle dediche è fatta da parenti ed amici e per lo più per invocare la protezione o il ritorno felice dell'assente. La Francia è maggiormente impressionata degli orrori della guerra.
14. WAV Archivio per la storia ecclesiastica dell’Umbria (4, i37).Mons. M. Falori Puli-gnani si occupa della “ passio sancti Feli-ciani „ e del suo valore storico in un lungo studio, le cui conclusioni sono le seguenti: «Tale essendo il documento... non avendo trovato in esso alcun errore di storia, di cronologia, di geografia, di topografia, avendolo trovato nelle parole, nelle frasi, nelle cose conforme ai documenti istorici sicuri, che si riferiscono a quei tempi, ci sembra poter tranquillamente conchiudere che, sebbene non contemporaneo ai fatti die racconta, esso a un vero valore storico e merita piena fede. Esso può facilmente salire anche al iv secolo e sebbene-non possa precisarsi nè la sua epoca, nè il suo autore, nondimeno tutto ciò che esso ci racconta di S. Feliciano secondo noi è cosa storicamente sicura ». [Io mi permetto di dissentire da queste conclusioni e spero di poterlo dimostrare, pubblicando, prima che mi sarà possibile, le mie deduzioni sul valore storico degli accenni storici contenuti nella passio suddetta come appendice ai miei studi, non più recenti, su Gordiano e Decio].
15. E. Buonaiuti esamina n&V Alhenaeum (vi, 122) qualche punto di contatto esistente tra Plutarco e la letteratura cristiana antica, come contributo alla comprensione del linguaggio neotestamentario e di quello cristiano dei primi secoli. Per maggior chiarezza ripartisce il suo studio in tre parti: nella prima delle quali, in cui raccoglie alcuna parole del lessico phitarchiano che ci permettono di coni-
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prendere parole speciali degli scrittori testamentari, interpreta l’&xeoTaoia di II Tess. 2, 3 in senso politico, confrontando un passo della vita di Galba [c. 1 in fine], dal quale appunto vorrebbe rilevare per il passò paolino il significato di «sollevazione in massa». Quindi compare il in De Is. et Os. 46 attribuito a Mitra, mediatore tra Oromaze e Areimanio, al che in vari luoghi della, letteratura ■eotestamentaria (Ebr. 8, 6; 9, 15; 12, 24; I Tim., 2. 5) è applicato a Cristo, mediatore tra Dio e gli uomini. Ciò dimostrerebbe che il termine « aveva già un significato sacro e tecnico nella terminologia delle religioni mi-steriosofiche ». Infine I’$aaxavtv della lettera di Paolo ai Galati (c. iv, inizio) trova la sua spiegazione in Quaest. conv. 5, 7, ove il paoxovov ¿»Sakaóv = occhio affascinante, ci/fa comprendere come contro l’uso classico (mormorare, calunniare, diffamare) $croxaiv» abbia nel luogo citato il significato di ammaliare.
Nella seconda parte FA. segnala alcuni luoghi plutarchiani che chiariscono consuetudini che anno determinato concetti strani nel N. T. Il primo è in 1 Cor. 13, 3 in cui al-l’ormai universalmente accettato xauS^oouat (invece di x«vX£?opat) dà appoggio il fatto ricordato da Plut. v. Alex. 69 che i saggi indiani si assicuravano l’immortalità gettandosi in un rogo al termine della Joro vita. E il sepolcro di uno di questi saggi Paolo poteva aver veduto in Atene, come lo vide Plutarco. Il secondo passo è Atti 16, 16 segg., ove si parla di una servetta posseduta da uno spirito pitonico che seguiva Paolo e i suoi compagni. Paolo la guarisce. Ora nel de def. or. c. 9 Plutarco accenna alla credenza puerile che nei corpi degli indovini, altre volte detti ventriloqui e allora pitoni, si potesse nascondere Dio. Si trattava quindi di una ventriloqua, evidentemente. Il terzo passo di Plutarco ricordato in questa parte è ancor più interessante. Dice l’A. in de def. or. c. 18 che il grammatico Demetrio ebbe un giorno dagli abitanti di un’isola britannica in cui era sbarcato la spiegazione di strani fenomeni atmosferici che avevano messo in subbuglio la terra. Essi gli dissero che quel rivolgimento cosmico era dovuto al fatto della scomparsa di qualcuno più che umano: órt rwv zpi-.acóvw» tivó< •zXitót? yiyovtv. Questa spiegazione illustrata più ampiamente da Plutarco ci spiegherebbe la concordante affermazione dei sinottici su i fenomeni che accompagnarono la scomparsa di Gesù e sui quali gli esegeti discussero e discutono tanto.
Nella tèrza parte infine il Buonaiuti accenna a vari punti di contatto tra il de lib. educandis
attribuito a Plutarco e la lettera di Pelagio-(pseùdo-agostin. 17) in cui egli si congratula con la chiesa d’occidente per la monacazione di Demetriade nel 414. Alcuni passi sono presi alla lettera ed altri si potrebbero comparare con più attento studio ed esame.
16. G. Patroni in jVol. degli Scavi (1917, 272) pubblica l’iscrizione diocleziana al Sole che à dato motivo al mio studio « Giòve ed Ercole » prossimo ad esser pubblicato in questa rivista. Templum dei Solis iussu dd. nn. Diocletiani et Maximiani augg. T FI. Post. Titianus v. c. corr(ector) Ilalfiae) perfecit ac dedicavil curante Axilio luniore vfiro) ilarissimo) curatore c(ivitatis) CfOmensium). La dichiara «insigne documento storico della voga dei culti Orientali; l’epoca della costruzione e compimento del tempio del Sole non può essere anteriore al 285 nè posteriore al 305 d. C. ». Per queste conclusioni rimando-i lettori al mio studio suaccennato.
17. Basterà fare un cenno sommario dell’articolo della Biblical Review (11, 420) in cui E. G. Sihler si occupa di stoicismo e cri? stianesimo in un modo che a me sembra veramente superficiale. Basterà del rèsto premettere ad un cenno della sua ricerca, la sua confessione piuttosto pretensiosa di aver in una memoria precedente pubblicata nella stessa rivista, dato «an outline of classical civi-lization, in its spiritual respects, and I summed this up as failure ». Naturalmente non avendo detto abbastanza dello stoicismo si ripromette con le 25 pagine che vi dedica di «stroncarlo ». E si abbandona quindi alla gioia dell’esame «aforistico» dei maggiori stoici per mettere in evidenza le inferiorità della dottrina stoica di fronte alla cristiana.
[Ora io nè affermo, nè nego che questa sia superiore all’altra: io affermo che cosi non si può far nessun esame e nego che si possa venire a qualsiasi conclusione anche in buona fede oggettiva. Il materialismo, il panteismo,; l’etica degli stoici possono essere stroncati quanto si vuole: il puntò importante della questione è ben altro. Lo stoicismo à avuto un carattere decisivo nella storia del mondo-«** Come à esplicato i suoi principi e fino a qual punto essi anno servito al cristianesimo per esplicar l’opera sua? Questi sono i punti fondamentali che dei resto ànno avuto già illustratori e storici: le ricerche del genere di quelle dello Sihler sono accademia e non altro.
Non so poi se meriti la pena di tener conto di uno scrittore, studioso di storia del cristianesimo, il quale asserisca di aver provato che spiritualmente la civiltà classica à mancato»
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alla sua funzione. Si può esser futuristi e desiderare l’annientamento del passato in nome dell’avvenire; in ultima analisi il futurismo è il maggior assertore della grandezza della funzione storica del passato. Esser però distruttori del passato pur essendo « passatisti » è il colmo ed in moneta spicciola significa non solo non sentir questo passato, ma averne paura, poiché, naturalmente, non si distruggono le ombre, e si tenta di annientarle sol quando esse nella vita degl’individui e dei popoli sono e valgono più che persona viva].
18. 1. P. Petkrs nel Journ. of /¡ibi. /.il. (36, 100) espone alcune osservazioni personali sul significato primitivo dèi culto di Tammuz in Babilonia. Il culto sumeriano di Tammuz appartiene al mese che da questa divinità si denomina, dal 40 mese cioè, ossia da giugno. Quando i fiumi ànno invaso e coperto il paese e ne preparano la fertilità, sorge il mese di Tammuz, il vero figlio del grande abisso. Ma non era la concezione dello sviluppo della vegetazione, bensì quello del suo seppellimento che reggeva il culto. Il grano veniva chiuso in un recipiente e sepolto nel fondo del terreno sotto l’acqua come morto e pianto come tale: non diversamente ora la coltivazione è fatta nel fango che l’acqua lascia ritirandosi. E tale è l’origine dei giardini di Tammuz nel più recente rituale. Evidentemente fin dai primi tempi Tammuz era pianta come morta e quindi festeggiata come risorta ma non è altrettanto sicuro quale intervallo occorresse tra le due cerimonie.
Giovanni Costa.
PUBBLICAZIONI PERVENUTE ALLA REDAZIONE
Pierre Lasserre: Frédéric Mistral. Poète, moraliste, citoyen. Payot, Paris, 1918. Pag. 286. Prezzo franchi 4.50.
Daniel Halévy: Charles Péguv et les cahiers de la quinzaine. Payot, Paris, 1918. Pag. 256. Prezzo franchi 4,50.
Un Cappellano militare: La guerra e la riunione delle Chiese cristiane. « Ausonia », Roma, 1918. Pag. 67. L. 2.
Adone Mosari: Teo. Romanzo. Ed. Alfieri e Lacroix,/Milano, 1919. Pagine 285, con io tavole fuori testo. L. 6.
Diciassettesimo rapporto annuo (1917-1918) della Casa Italiana delle Diaconesse in Torino, Torino 1919.
Macchierò V.: Orphica, quesito di ermeneutica vascolare (estratto).
Macchierò V.: Dionvsiaca (estratto). Napoli, 1918.
Al Llceum Romano - Sezione insegnamento -si è svolta una serie di cinque conferenze in francese sul teina generale: <- La France contemporaine avant la guerre ». Ecco il programma: 19 mars: La Poésie, par M. Maurice Mignon, de l'Université de Lyon. — 26 mars: L’Opinion publique et le mouvement des idées, par M. Jean Carrère. — 2 avril: Le Théâtre, par M. Maurice Mignon, de l’Univcrsité de Lyon — 9 avril: La Musique, par M. Claude Del-vincourt. de l'Académie de France. (Avec auditions). — 16 avril: La Peinture, par M. Robert Pougheon, de l’Académie de France. (Avec projections).
La notizia della profanazione della tomba di Tolstoï da parte dei contadini russi risulta falsa. « Per un istante parve che i giovani contadini russi volessero affrancarsi da ogni debito di gratitudine verso il gran protettore degli umili, dividendo fra loro la proprietà rurale di Leone Tolstoï come quella degli altri ricchi borghesi della regione. Ma i vecchi protestarono e subito vinsero. Per dar poi alla decisione unanime di rispettare la casa dello scrittore una consacrazione ufficiale, il sindaco del paese annunziò un bel giorno alla contessa Tolstoï che i contadini sarebbero venuti a promettere solennemente sulla tomba del loro grande amico di rispettare ógni sua proprietà. E vennero ad uno ad uno. attraverso i sentieri dei boschi, innanzi all'umile tomba, le donne e le giovanetto vestite a festa, gli uomini coi loro abiti di
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Selli, guarniti di pellicce... E anche i solati bolsccvichi guardiani della casa bianca vennero, nella loro migliore uniforme, ad inchinarsi reverenti. Un coro intonò una specie di cantico solenne c commovente... ».
Un rapporto segreto sui massacri d’Armenia, redatto da J. Lepsius presidente della Deutsche Oricnt-Mission e della Società Germano-Armena, è stato pubblicato recentemente dall’editore Payot di Parigi. 11 rapporto, che non era destinato alla pubblicità, conferma in modo inconfutabile i dati delle inchieste compiute da vari stati dell’Intesa: sì che. purtroppo, debbono ritenersi vere le.notizie secondo le quali durante gli spaventevoli massacri e le deportazioni del 1915, circa un milione d’armeni trovarono la morte c centinaia di migliaia di donne c di fanciulli vennero ridotti in servaggio e costretti a farsi musulmani.
Le • Voci tragiche dalla Siria e dal Libano > giunte in Europa non appena l’armistizio mise le potenze occidentali in presenza delle miserie senza nome che la guerra e la barbarie del turco avevano accumulate nelle regioni un tempo le più fiorenti dell’Asia Minore, sono state raccolte in un supplemento al « Corriere d’Italia > ed in un elegante volumetto. Si fanno ascendere a 250 mila i morti di fame e di peste nel solo Libano. Il Pontefice ha elargito 100 mila lire per la Siria cristiana e io mila pel Libano.
Il clero cattolico francese ha dato anche esso un notevole contributo di sangue nella guerra per la difesa della libertà. Sii 22 mila membri del clero mobilitati, da 2200 a 2300 sono rimasti sul campo.
La Congregazione dii Riti nella sala del Concistoro in Vaticano, alla presenza del Pontefice, la mattina del iS marzo si è 1 adunata per la canonizzazione della Beata Giovanna D’Arco.
Una recente ordinanza del Cardinale Vicario ai Parroci, sujxniori c rettori delle chiese di Roma piescnvc che nelle messe lette che si celebrano con concorso di popolo, e specialmente in quelle ad ora fissa, nei gioì ni festivi - di precetto, il celebrante, letto il tratto del S. Vangelo della liturgia, si volga al popolo e a voce alta c distinta ne faccia lettura in italiano. Contemporaneamente a questo provvedimento della autorità ecclesiastica, la « Pia Società di S. Girolamo per la diffusione dei Santi Vangeli » ha iniziato la pubblicazione di
un foglietto domenicale da distribuirsi al popolo contenente il tratto evangelico con una breve spiegazione.
Il cardinale Francesco di Paola Cassetta è morto a Roma il 23 marzo. Fu elemosiniere del Papa. Uomo di buon cuore, di mente aperta c di sentimenti indipedenti.
Lo sviluppo del Cristianesimo in Cina è dimostrato dalla seguente nota: Robert Morisson fu il primo missionario protestante che sia penetrato nella Cina. Era il 1807, ed era solo. L’autorizzazione ufficiale del governo cinese per l’opera delle Società missionarie non s'ebbe che nel 1842. Oggi la Cina è evangelizzata da ¡08 società, o gruppi di azione missionaria, con 5338 pastori o evangelisti e 30.000 agenti indigeni.
La nuova traduzione in francese della Bibbia, detta « La Bible du centenaire • perchè se ne è iniziata la pubblicazione in occasione del centenario della Società Biblica di Parigi (54, ruc des Saints-Pères) col concorso di professori di tutte le Facoltà Teologiche protestanti della Francia, è provvista di introduzioni e di numerose note. Il prezzo di sottoscrizione è di 70 franchi da pagarsi in anticipo. L'opera, eh'è in-40 grande e su carta di lusso, si pubblica a fascicoli e consterà di quattro volumi..
Numerose sono le opere raccomandabili circa l’ammiraglio Coligny, il grande ugonotto francese, di cui è stato celebrato recentemente il 4® centenario della nascita: Jules Delaborde: «Gaspard de’Coligny, amirai de Franco ». 3 volumi in 8°-grande — Eugène Bersicr: • Coligny avant les gueries de religioni. 1 voi., in-8°—- Jules Tessier: « L'amiral Coligny. étude historique » — A. Olivet: e L’A mirai Coligny». 1 voi. in-16®, con 12 illustrazioni.
La Polonia, all’apogeo della sua storia, nei secoli XV e xvi prese parte attiva al movimento religioso di quell'epoca: tanto gli Ussiti quanto gli uomini della Riforma avevano degli eminenti rappresentanti in Polonia; anzi ci fu un momento in cui parve che tutta la Polonia, nella seconda metà del xvi secolo, stesse per abbracciare la Riforma. Oggi vi sono in Polonia 500.000 protestanti, tutti luterani, eccetto 10.000 riformati. L’attuale capo del governo, il generale Pilsudski, appartiene alla Chiesa luterana, come anche parecchie delle personalità più cospicue. I 500 mila protestanti non hanno che una sessantina
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di Pastori; ma accanto ad essi esplicano la loro attività numerosi predicatori laici, i quali radunano i gruppi di correligionari nelle sale delle adunanze, celebrano il culto, leggono sermoni e possono anche celebrare il battesimo. A Varsavia esiste una chiesa evangelica con cinquemila posti a sedere: è sempre affollata tutte le domeniche. D’ora innanzi i protestanti polacchi sperano di costituire una facoltà teologica a Varsavia per la preparazione dei Pastori. Sotto il regime russo i protestanti polacchi non furono molestati. Ricevevano anzi dallo Statò una sovvenzione, ma minima, giacché «essi provvedevano quasi interamente alle loro spese, come intendono fare anche nell’avvenire.
Notizie sulla propaganda evangelica a Roma ed in Italia vengono date dalla Rivista • La Scuola cattolica» del i° die. u. s. desumendole da « Les nouvelles Religieuses • del 15 agosto, 1-15 settembre e 15 ottobre io 18. Le notizie sono abbastanza esatte, sebbene incomplete. Oggi che il. nuovo Partito Popolare dei Cattolici italiani rivendica, nell’8° articolo del suo programma la « libertà della. Chiesa » e la « libertà e il rispetto della coscienza cristiana », non è fuori luogo rilevare la malinconia con cui quella cattolica rivista constata la libertà di cui godono gli evangelici in Italia: « Questa libertà di propaganda — essa scrive — i protestanti l’hanno appunto in forza delle conseguenze pratiche dedotte dalla tolleranza concessa nel primo articolo dello Statuto a tutti i culti non cattolici; per cui pi áticamente la condizione giuridica dei protestanti in Italia non differisce per niente da quella dei cattolici; anzi in certi punti può dirsi migliore...» Infatti mentre l’art. 28 dello Statuto • piescrive l’autorizzazione del vescovo per la pubblicazione delle Bibbie », i protestanti « possono stampare le loro Bibbie » liberamente. Bisognerebbe dunque correggere il i° articolo dello Statuto del Regno così: La Religione dello Stato è la Cattolica Romana, la quale gode piena libertà ed indipendenza; le altre religioni non sono tollerate. (Naturalmente nella grande Repubblica Americana, in grandissima maggioranza protestante, la Chiesa cattolica romana non solo non dovrà essere semplicemente tollerata, ma dovrà
continuare a godere — come ora — piena libertà ed indipendenza). E quanto all’alt. 28 relativo alle Bibbie, i cattolici dovrebbero/promuovete una campagna per l’abolizione di esso e per conquistare la medesima libertà dei protestanti nella diffusione della Bibbia... Ma è probabile che non otterrebbero il nulla osta delle loro superiori autorità per una simile campagna... Giacché non è lo Statuto che nega certe libertà...
Il governo ¿’Ucraina ha riconosciuto l’ebraico come lingua ufficiale dello Stato, insieme al russo ed al polacco. Il decreto che proclama il principio dell’autonomia personaìe degli Ebrei è stato pubblicato in ebraico.
Alla Conferenza sionistica di Londra ha preso parte in rappresentanza delia Federazione sionistica italiana il rabbino Dante Lattes» nostro collaboratore redattore delle interessanti « Nòte di vita e di pensièro ebraico ».
La « Pro Israele » associazione non israelitica per la difesa dei diritti del popolo ebreo, in accordo con una rappresentanza ebraica ha rimesso al Governo Italiano e alla Conferenza della pace le seguenti richieste:
i° Che la Conferenza della pace sulla base delle solenni dichiarazioni dei Governi delle maggiori Potenze Alleate promuova per parte della Conferenza stessa l’assegnazione al Popolo ebreo della Palestina con un assetto che assicuri alla Nazione d’Israele upo sviluppo libei o e indipendente.
20 Che l’uguaglianza civile e politica, compresa la religiosa e culturale, sia attuata legalmente e rispettata effettivamente presso tutti gli Stati della Lega delle Nazioni o in 1 apporto con essa.
3° Che la Lega delle Nazioni sancisca norme con le quali tutelare e garantire, le effettive osservanze di tale uguaglianza civile e politica, religiosa c culturale nell’oriente europeo. •
4° Che le Commissioni inviate dalla Conferenza della pace in Polonia. Russia e Galizia siano incaricate di eseguire una inchiesta relativa alle persecuzioni perpetrate nel periodo della guerra e sulla reale condizione in cui si trovano in quei paesi gli Ebrei nel momento presente.
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DA MAZZINI A WILSON
[Il Tempo, io gennaio 1919. « Da .Mazzini a Wilson » <h Giacomo Emilio Curatolo].
Nell’ottobre del 1865 Mazzini scriveva all’americano Conway:
« Una nazione è una' missione vivente: la sua vita non è sua proprietà, bensì una forza operante nell’universale disegno provvidenziale... Dopo che essa ha affermato ed assicurato il proprio essere: dopo che essa ha raccolto c mostrato a tutti la forza e l’idoneità che possiede per l’adempimento della sua missione, allora la Nazione sorge c si muove con nobili fatti, in armonia col disegno generale... Voi avete impresso nel cuore dell'Europa la convinzione che in Voi sta una possanza incalcolabile a servizio del progresso umano. Voi siete divenuti una Nazione-guida: e come tali dovete operare. Nella grande battaglia che si combatte su tutta la terra fra il bene e il male, fra la giustizia e l’arbitrio, fra l’uguaglianza e il privilegio, fra il .dovere e l’egoismo, fra la verità e la menzogna, fra Dio e gli Idoli, il vostro posto è segnato e dovete occuparlo degnamente. Operai dell’umanità, voi dovete sentire che il trarsi in disparte sarebbe colpa: che l’indifferenza, allorché il grido della cieatura di Dio vi chiama, sarebbe ateismo... Voi potete efficacemente animare c invigorire coloro che soffrono e sanguinano per la verità e per la giustizia. Questa è ìa vostra missione:
questa la gloria e la sicurezza vostra: Ìuesto il vostro avvenire. • (Scritti Ed.
ned. V,* XIV. pag. (59).
E nel dicembre dello stesso anno, dirigendosi «Ai nostri amici degli Stati Uniti ■:
«Voi dovete scendere in campo e prendere la vostra parte nella battaglia. È battaglia di Dio. Una Nazióne vive di-dóppia vita — interiore ed esterna — manifestazione dello stesso principio in due zone diverse. V'è un periodo — storicamente, il primo nella vita di un Popolo — durante il quale una Nazione deve di necessità pensare soltanto a costituirsi. 8uesto periodo per Voi è oggi compito...
n nuovo periodo comincia per Voi. Voi siete chiamati dall’ammirazione, dalle simpatie, dalle aspettative di tutta l’Europa progressiva, ad affermare l’essere vostro innazi a Re c Popoli, e a compiere un ufficio pel generale progresso dell’Uma-nità... ».
(Scritti Ed. ed Ined., V. XIV, pag. 169 e seg.).
In un lungo scritto pubblicato nel 1S35, in cui è tutta l'anima del genio divinatore si dice:
■ « Dio pone nel cuore di un popolo o sotto il cranio d’un individuo, potente per genio ed amore, un nuovo pensiero più vasto e fecondo di quello che va spegnendosi? il centro della fede inoltra di un passo, e solo gli uomini che si schierano intorno ad esso costituiscono il partito del futuro..... (Fede e Avvenire. Scritti
Ed. ed Ined., V, V. p. 145).
E un anno avanti aveva affermato:
«Una. sola vittoria, un solo popolo che raggiunga il vertice e spieghi dall’alto la bandiera universalmente invocata, può bastare a far che trionfino tutti i popoli >. (Ed. Naz. V, IV, pag. 161).
• ♦ ♦
Non è ancora trascorso un secolo e le parole profetiche di Mazzini si avverano e s’incarnano nell'Uomo e nel popolo da lui-divinati Woodrow Wilson e la Nazione americana.
Chiudiamo un istante gli occhi e pensiamo così raccolti; perchè oggi piò che mai la figura dei grande Italiano deve essere ricordata e venerata.
Che fu mai dunque quest’Uomo, la cui vita decisa da tre condanne capitali trascorsa tutta nell’esilio, s’inizia e si chiude fra due prigioni: Savona, Gaeta? Che nella caccia spietata che gli muovono tutte
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le polizie d’Europa, non ha quasi mai un palmo di terra dove vivere tranquillo e sicuro; che vive e muore nella perfetta euritmica del pensiero e dell’azione? Che ha momenti di sublime mistica esaltazione ed altri in cui la sua voce è ruggito di leone? Che, sereno davanti a tutte le bufere, sdegnoso di lode e non curante di biasimo, non piega mai un lembo della sua bandiera; che scrive con eguale impeto di amore c di fierezza agli umili, ai Re, ai Papi; che apostrofa i ministri del suo paese, di tutti i paesi, dicendo: • La mia-voce non cesserà, se non colla morte? »
Che fu mai dunque quqst’Uomo cui si contende persino di prostrarsi sulla sepoltura materna; che sacrifica gli affetti più cari per una Idea...?Egli fu un apostolo, nel yeiO senso della parola, e un genio. Del primo ebbe la nostalgia irrequieta dell’avvenire, la costanza nel perseguire, onde davanti al conflitto fra il suo ideale c la necessità dei tempi, soffre, geme, ma non piega. Del genio tutta l’aristocratica consapevolezza che gli fa dire: « Credo di avere nella mia coscienza qualche cosa di profetico... Porto come i cavalieri crociati il mio simbolo sul petto, c morrò con esso ».
Oggi più che mai la figura del Grande Ligure s'innalza alle più alte vette della gloria. Egli è il Precursore, il- Profeta dell’Epoca che sta per sorgere. La bandiera da lui agitata è la bandiera con la quale Woodrow Wilson e il popolo americano si gittarono nell’immane tragedia che insanguinò il modo...
* * * >
È ragione di legittimo orgoglio il pensare che quest’uomo ci appartiene; e il rileggere, nel l’ora che batte, le opere di lui. procura all’anima nostra, esultante per .la vittoria recente, un sentimento di intima soddisfazione; poiché in quegli scritti sono costantemente affermate tutte le alte idealità umane delle quali il Presidente degli Stati Uniti oggi si è fatto nobile campione; poiché in quegli scritti sono divinati i nuovi tempi.
L’abolizione del segreto diplomatico ebbe in Mazzini il più tenace propugnatore. Nel 1835. esule, pubblicava ne La Jeune Suisse un magistrale articolo intitolato: De la pubblicité des afjaires exsU-rieures. in seguito alla mozione presentata al Gran Consiglio di Berna da X. Stock-mar. Rilevando in esso la confusione in
buona o mala fede, che da alcuni si faceva fra Diritto delle genti e Diplomazia, affermava: « Il Diritto delle Genti è antico quanto il mondo: è l’espressione dei rapporti necessari che esistono fra una popolazione e un’altra, la conseguenza inevitabile della missione esterna dei popoli, missione che fa parte della loro nazionalità, e che dureià per ogni tempo... La Diplomazia davanti al Diritto, delle Genti è come l’ipocrisia davanti alia virtù. Tenta contraffarla, c la profana. La sua opera di corruzione, di avvilimento, immorale e dissolvente. Ha disfatto Nazioni e tolto nome c vita a intere genti. Ha smembrato la Polonia e spento Venezia. Ha organizzato l’inganno e formulato il tradimento. Sa per eccellenza con quanti denari, con quali parole melate possa comprarsi l’onore di un Popolo, e quanti baci di Giuda siano necessari per consegnare quel Popolo al suo carnefice... Ma squarciate il velo del segreto, fate che tutto si compia alla luce del sole; che l’ambasciatore del grande Governo si trovi di fronte non il debole e timido rappresentante di un piccolo .Governo, ma tutto un Popolo... Noi predichiamo la pubblicità degli affari che oggi si trattano nel mistero della Diplomazia; cioè a dire l'intervento del Popolo nelle cose che più vivamente l’interessano: intervento pacifico, ma esplicito: intervento che si ridurrà all’espressione della volontà nazionale ». (In Ed. Naz.. voi VI, pag. 376 e seg.j.
E in un altro articolo: La Diplomali« s’en va:
• ...I! compito della Diplomazia è finito il giorno in cui è incominciato quello del popolo... Le Cancellerie possono bensì sollazzarsi ancora per qualche tempo, a manipolar trattati di duplice triplice o quadruplice alleanza; possono contraffare la vita, ma la vera vita è altrove. È nelle campagne, nella bottega dell’operaio che si agita la grande questione... Si tolgono forse di mezzo le barricate coi protocolli? ». (In Ed. Naz., voi IV. pag. 349).
Nell’Atto di Fratellanza c nello Statuto della Giovine Europa non si contengono forse i principi enunciati da Wilson?
« ...Vogliamo l’unità, ma l’unità libera, spontanea, quale deve esistere in una Federazione regolare, quale deve emanare da uri Congresso europeo, a cui tutti i popoli convengano con patto d’eguaglianza, ciascuno recando la sua offerta, ciascuno
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Solendo stendere fieramente la mano al-altro... Crediamo all’Eguaglianza non solo dei Popolo, ma dei Popoli. Crediamo alla potenza d’azione esistente in grembo di ciascun popolo che vuole essere libero, alla missione che Dio ha affidato alle razze, alle famiglie dell’umanità... E così che noi intravediamo l’Europa avvenire. La credenza di noi tutti è.che ci approssimiamo ad una nuova manifestazione sociale, c che la Vecchia Europa si spegno; che, posti alla vigilia di un’epoca organica, dobbiamo aiutare con tutte le nostre forze la ricostituzione europea, l'avvenimento dell’Europa dei Popoli... ». (In Ed. Naz., voi. IV, pag. 35, e scg.).
E antivedendo il giorno sospirato con uno squarcio di mistica poesia scriveva l’Atto di Fede della Giovine Europa:
« Quando davanti alla Giovine Europa che sorge, tutti gli altari del vecchio mondo saranno caduti, due se ne innalzeranno su questo suolo fecondato dal Verbo divino; e il dito del popolo iniziatore scriverà sull’uno: Patria, e sull’altro: Umanità.
• Come figli di una stessa madre, come fratelli che si stringono insieme, i popoli si raccoglieranno tutti intorno a quei due altari e sagrificheranno nella pace e nell’amore. .
«E l’incenso del sacrificio salirà fino ài cielo su due colonne che si ravvicineranno l'una all’altra salendo, finché si confondano in un solo punto che è Dio. E qualunque volta, nel. salire, divergeranno, il fratricidio sarà sulla terra; le madri piangeranno sulla terra e gli angioli in Cielo ». (In Ed. Naz., voi. VI, pag. 350).
La voce di Giuseppe Mazzini è in quest’ora monito ai governanti; guardino intorno ed agiscano in conformità dell’ora che volge. L’appello da lui fatto ottanta-tré anni or sono ai popoli é pagina scritta oggi e non destinata ad essere inascoltata:
■ La vecchia Europa è morente... È tempo che respingendo illusioni e suggerimenti codardi, una voce si levi e dica: Su: destatevi! Non udite sotterra un rumore come di nave sfasciata dalla tempesta, un rumor di rovina imminente? E la vecchia Europa che crolla; è il tempo che rode Un’Epoca. E non udite sulla terra un fremito ignoto, un mormorio come di fermento segreto, un soffio misterioso che scote c passa come brezza sul mare, come quell’alito che sfiora le cime della foresta fra l’alba c il sorgere del sole? E la giovine Europa che sorge: è il nascere
d’un’Epoca: è il soffio di Dio annunziatore, del sole dellUmanità- ai popoli. Figli di Dio e dell’umanità, levatevi e movete!... ». (Dell'iniziativa rivoluzionaria in Europa — In Ed. Naz., voi. IV, pag. 176).
L’Italia onorando Woodrow Wilson ha onorato ('Apostolo dell’unità nazionale, il Profeta.
Mazzini voleva che l'Italia dovesse essere, sorgendo, iniziatrice di una nuova vita, di una nuova potente Unità, mezzo dell'Unità europea. E bene: il posto dell’Italia al prossimo Congresso della Pace è segnato; esso non può essere se non a fianco della nobile nazione americana, che incarna i nostri stessi principiò i nostri ideali...
WILSON E GIOBERTI
[II Giornale d’Italia, 4 gennaio 1919. « Wilson e Gioberti «di Antonio Bruers).
L’Italia può dimostrare che gli stessi fondatori della sua unità s'inspirarono a principi identici ai punti cardinali del nuovo assetto dei popoli proclamato da Wilson... I « punti » di Wilson ben si possono dire là riaffermazione moderna e universale del codice mazziniano della Giovane Europa... Mcn noto ai più è il fatto che pure nell’opera del medesimo insigne rivale di Mazzini, Vincenzo Gioberti, si possa agevolmente riconoscere la sostanza del pensiero che ha fatto di Wilson l’arbitro morale della presente guerra. Il Gioberti non vide il problema della Rivoluzione d’Italia scisso dai più vasto problema della Rivoluzione europea, anzi quella gli apparve, analogamente aì Mazzini come un atto del più vasto dramma coinvolgente tutta l’Europa, anzi il mondo intero.
Le finalità di questa mondiale rivoluzione erano dal Gioberti definite in tre punti:
« Tre idee e tre desideri invalgono oggi universalmente: « cioè la maggioranza del pensici o, la costituzione delle nazionalità e la redenzione delle plebi ». Egli caldeggia il rinnovamento europeo, che consiste nel « sostituire gli ordini razionali e naturali accordanti colla realtà delle cose agli ordini artificiali e- contrari a ragione e a natura, che furono introdotti od avvalorati dal Congresso di Vienna... il quale spense zo alterò le nazionalità europee introducendo un • ripartimcnto di Stato distrut-
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tivo o lesivo di quelle... Gli ordini di Vienna violando la natura non meno che la ragione, tanto iu lungi che riuscissero a quietare l'Europa, che anzi porsero esca e incentivo a nuovi e continui disordini ».
Caposaldo di una pace duratura apparve al Gioberti Id soluzione del problema delle nazionalità:
« Finché non si dà opera a una riforma sostanziale del giure europeo, vano è il confidarsi che le rivoluzioni sieno per aver fine... ». Ma il problema delle nazionalità non apparve al grande pensatore come un problema per sè stante, risolubile sulla semplice base di una materiale revisione della carta geografica. L’offesa al principio di nazionalità acutamente era da lui considerato come l’effetto di un vizio morale inerente ai sistemi intellettuali e politici dominanti, inspirati a un gretto conservatorismo spregiatore dei diritti del popolo.
« Negli ordini interni — egli scriveva — l’indole borghese partorisce il monopolio del governo, della cultura e degli altri beni sociali; ritirandoli dall’uso comune e facendone una prerogativa di pochi privilegiati •.
Nè fin d’allora sfuggirono alla mente di Gioberti i tralignamenti del regime parlamentare.
Rivolgendosi ai responsabili delle calamità politiche c sociali d’Europa lanciava loro questa tremenda apostrofe:
« Conservatori e principi, voi foste i padri e siete tuttavia i mantenitori della democrazia che vi uccide. Invece di gridar contro i popoli, doletevi solamente di voi... non meravigliatevi se il vostro regno è finito, c non vi ha più forza u-mana capace di ristorarlo ».
« La storia di ogni tempo attesta l’onnipotenza delle idee, e quella d’Europa in particolare ci mostra il progresso continuo. fatale, irrepugnabile delle classi inferiori e delle libere istituzioni. Il voto universale è oggi assai più specifico e determinato... particolarizzandosi nella triplice redenzione del pensiero, delle nazioni e delle plebi ».
Assai notevole poi è un altro passo nei quale Gioberti preconizzava la alleanza italo-franco-inglese:
« L’unione stabile delle due patrie (Francia e Italia) sarà forse un giorno il nocciolo e l’apparecchio di quella colleganza più ampia ¿'Occidente che contrappórrà' i popoli latini e meridionali del Mediterraneo, coll'aggiunta della normannica Bretagna, alla lega boreale e baltica delle genti slavotedesche ».
ROCCO POLESE, gerente responsabile.
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Milano. 1918. Pag. 468. - L. 6.
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... poiché in questo conflitto gli slavi stanno dallafparte della civiltà latina, è necessario che i latini conoscano i loro alleati... Nessuno in questa materia ha maggiore autorità del grande poeta slavo...
Sommario; Il MeMianiimo La tradizione - L’idea del dovere - Dell a proprietà -L'ideale della repubblica di Polonia - L'antipatia della chiesa per lo Spirito Nuovo -L'importanza della tradizione slava - Che cosa è la parola - Misteri della parola, ecc.
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In deposito presso la Libreria Editr. "Bilychnis"
Pietro Chiminelli: Il “ Padrenoslro* e il mondo moderno. Volume di pag. 200 con 8 disegni originali di P. Pacchetto . . . L. 3 —
Romolo Murri : Guerra e Religione :
Voi. I. Il Sangue e ('Altare. Pag. 178 . . 2 Voi. II. LTmpcrialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa. Pag. 118...... 2 —
***: La Bibbia e la critica (opera premiata).
Volume di pag. 150 .......... 2 —
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AI NUOVI ABBONATI si spedisce in DONO, franco di porto, il bel volume (4° della Biblioteca di Studi Religiosi):
“VERSO LA FEDE
guenti soggetti: Intorno al Divenire ed all'Assoluto nel sistema Hegeliano (Raffaele Mariano) - Idee intorno all'immortalità dell'anima (F. De Sarto) - La questione di autorità in materia di fede (E. Comba) - Il peccata (G. Arbanasich) - Di un concetto moderno del dogma (G. Luzzi) - È possibile il miracolo? (V. Tummolo) -Il Cristianesimo e la dignità umana (A. Crespi).