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BILYO1NIS
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
.Anno X. - Fasc. VI
ROMA - GIUGNO 1921
Volume XVII. 6
SOMMARIO
E. Lo GATTO: La Russia e il suo problema religioso ....... p. 373
V. MACCHI ORO: Monoteismo e zoroastrismo . ....................................382
G. LEVI-DELLA V1DA: Ebraismo e Cristianesimo (Discussione) . . . . . 394
Per la cultura dell’anima:
C. WAGNER: Saper aspettare Saper soffrire . . 400
Note e Commenti:
G. CÒSTA : La " Stòria di Cristo ’ e la critica lette-raria- • ..... . . . . .403
M. DELL ISOLA : In memoriam ...... Rassegne :
M. PUGLISI : Cristianesimo moderno e contemporaneo (li) Rivista delle riviste :
Riviste Italiane .
* • • • •
Recensioni :
Le d“e Rome dopo il 1870 - Tagore - Cina -Socialismo cristiano - Sopravvivenza - Cottoli-cismo francese - Protestantesimo Unione delie Chiese cristiane. . •.
Cose nostre.....................
Letture ed appunti . . . .
Bollettino bibliogràfico :
Pubblicazioni pervenute alla Redazione - Opuscoli ed estratti ....
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rii YCHNIS rivista mensile di studi religiosi D1U 1 Vili < FONDATA NEL 1912 > > » *
CRITICA BIBLICA STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA, PEDAGOGIA, FILOSOFIA RELIGIOSE MORALE - QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO LA V,TA RELIGI0SA W ITALIA E ALL'ESTERO CRONACHE RIVISTA DELLE RIVISTE " BIBLIOGRAFIA
REDAZIONE: Prof. LODOVICO PASCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma. D. G. WHITTINGH1LL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuiho, 107, Roma.
Corrispondenti e collaboratori sono pregati d’indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista “ BILYCHNIS ” - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gli articoli firmati, vincolano unicamente l'opinione dei loro autori.
/ manoscritti non si restituiscono.
I collaboratori sono pregati nel restituire le prime bozze di far conoscere il numero degli estratti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della carta e della mano d’opera la Rivista non dà gratuitamente alcun estratto.
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i 6 fascicoli bimestrali dei Quaderni di Bilychnis, eleganti volumetti in-8° piccolo di pag. 64 (o, se raggruppati, multipli di 64), illustrati, formanti un’insieme di 384 pagine annue.
Gli abbonati potranno inoltre ottenere a prezzo ridotto:
l’abbonamento cumulativo col “TESTIMONIO”, rivista mensile delle chiese battiste italiane;
il bel volume del CHIMINELLi, “ Il Padre nostro „ e il mondo moderno ;
l’interessante opera da noi edita, La Chiesa e i nuoci tempi.
CONDIZIONI: IN ITALIA PER 1 ANNO | PER 6 MESI ESTERO PER 1 ANNO
“ BILYCHNIS ” e i Quaderni . . . L 16 — 9 — 30 —
“ BILYCHNIS ”, i Quaderni e “ IL TESTIMONIO” . ....... » 18,50 10,50 40 —
“BILYCHNIS”, Quaderni, “IL TESTIMONIO ” e i due volumi suindicati » 24 — 16 — 45,50
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
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A tutti i nostri lettori
che ci hanno inviato l’importo dell’ abbonamento alla Rivista pel 1921, abbiamo spedito in questi giorni il
2° Quaderno di “Bilychnis”
A^ZMùller.
UNAFONTEIGN© TADEL SISTE-MA DI LUTERO (IL BEATO FIDATI DA CA= SCIA E LA SUA TEOLOGIA)
Presto inizieremo la spedizione del 3° e 4” Quaderno:
------A. SEVERINO:
Il Sentimento religioso di F. Amiel.
------• R. NAZZARI :
La dialettica di Proclo e il sopravvento della filosofia cristiana.
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Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell'Ass. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20).
Il TESTIMONIO RIVISTA mensile delle chie-il i co i un uni v $E battiste- - anno xxxviii -Si pubblica in fascicoli di 36 pagine elegantemente fregiate ed illustrate * Pubblica articoli di. propaganda e di informazione sul cristianesimo in genere e sui movimento battista in ¡specie - Rubriche speciali: Rubrica dello spirito. Vita ecclesiastica, La pagina dei piccoli. Si propone di fornire ai pastori argomenti per meditazioni e sermoni e di essere largo di notizie-sulle chiese battiste d’Italia. .
:: :: DIREZIONE: ARISTARCO FASULO - Via Cassiodoro, 1 - ROMA 33 AMMINISTRAZIONE: BENIAMINO FODERA - Via Crescenzio. 2 - ROMA 33 Abbonamento per l’ Italia, annuo L. 5. - Semestrale L. 3
Per FEstero, L. 10 - Un fascicolo separato L. 0,60
Libreria Editrice BILYCHN.iS - Via Crescenzio 2 - ROMA, 33
PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
CULTURA DELL’ANIMA
Borsari R. : Guardando il sole • 2 —
Burt W.: Sermoni e allocuzioni . . . . . .. . . . . 2 — GRATRY A. : Le sorgenti, con prefazione di G. Semeria 5,40 Monod W.: L’Evangile du Royaume ....... ro— — Délivrant ?s . . . .io — —- Il régnera .....io — — I! vit . ....... io — — Silence et prière . . . io — Vienot J. : Paroles françaises
Cénoncées a 1’ oratoire du uvre ....... 3,50 Wagner C.: L'ami . . . 12 — — Justice ...... io — Rivista Propheia (Unica annata 1914) .......5 —
FILOSOFIA
BLONDEL M.: “L’Azione”, [ Saggio di una critica della I vita e di una scienza della ì pratica (voi. I e II) .28 —
Della Seta U.: G. Mazzini pensatore ...... 15 —
Della Seta U. : Filosofia morale (Voi. I e II). . 15 —
I Eucken : La vi ione della vita nei grandi pensatori (2a ediz.)
36 —
Ferretti G.: L’Alfabeto e i fanciulli . . . . .... 2 —
Lombardo Radice G. Clericali e massoni di fronte al pro-1 blema della scuola. . . 2 —
Losacco M.: Razionalismo e
Intuizionismo . . . 1 —
Momigliano F. : Vita dello spi-, rito ed eroi dello spirito 8 —
Ncal TH : Vico e l’immanenza | r ’ r—I
— Giovanni Vailati . . . 1 — |
Papini G.: Il’ tragico quotidiano ....... 5,501 — Chiudiamo le scuole 1 — — La Toscana e la filosofia
italiana ........ 1 —
Rensi G.: Sic; et non (meta- ì fisica e poesia) . . ._ 3,501
SempriniG : La mora’e mistica j dell* Imitazione di Cristo•5 —• :
Tagliatatela E.: Giovanni Locke ! educatore, (per la prima vol ta , tradotto in italiano) . . 4 —
Tilgher A.: Filosofi antichi
io — 1
’ Tilgher A. : Voci del tempo (profili di "etterati e filosofi ■contemporanei) . . . 8.50
¡GUERRA E ATTUALITÀ
Brauzzi U.: La questione sociale .........J 1 — Kolpinska A.: 1 precursori della rivoluzione "russa 6 — Murri R. : L' anticlericalismo (origini, natura, metodo e scopi pratici) .... 1,25
MURRI R. : Guerra e religione, Voi. I. Il sangue e l’altare 2 —
MURRI R. : Guerra e religione. Voi. lì. L’imperialismo eccle-' siastico e la democrazia religiosa . . ...... 2 —
-•» Dalla democrazia cristiana al partito popolare ital. 5 —
ZANOTTI-BIANCO e CAFFI A.: La pace di Versailles, note e documenti (con 20 carte etnografiche; e politiche) io -La Chiesa e i nuovi tempi 3,50
Raccolta di scrini originali di Giovanni Pioli - Romolo Murri -Giovanni E. Metile - Ugo Ianni - Mario balchi - Mario Rossi -“ Qui Quondam „ - Antonino De Stefano - Alfredo Tagliatatela.
5
— ni —
Libreria Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
LETTERATURA
Arcar! P.: Amie! .... 2—■ Brauzzi U.: I Luciferi . 5 — Bonavìa C.: La tenda c la notte .....................3-5°
Chini M. : F. Mistral . . 2 —
Croce B. : La poesia di Dante :5»5O
Della Seta U.: Morale, Diritto e Politica internazionale nella mente di G. Mazzini.
1,50
Dell’Isola M.: Etudes sur Montaigne .................2,50
F. Momigliano: Scintille del Roveto di Stagliene . io —
Gallarati Scotti T.: La vita di
A. Fogazzaro.........12 —
Jahier 1'.: Ragazzo . •. 3,50 Lanzillo A.: Giorgio Sorel, x — Papini G.: Esperienza futurista 3.50
Papini G.:, Cento pagine di poesia . . . . . . . .5 —
Sheldon : Che farebbe Gesù ? 2— Soffici A.: Scoperte e massacri (Scritti sull’arte) 5 —
Vitanza C.: Spiriti e forme del divino nelja poesia di M. Ra-pisardi (conferenze). 1,50
%
RELIGIONE E STORIA
Buonaiuti E.: S. Girolamo 2 —
Caracciolo L: Bagliori di comuniSmo nella Riforma. La guerra dei contadini . 6 —
Carpenter J. E-: Il posto del C istiancsimo f a le religioni (Traduzionedi G. Conte - prefazione di M. Puglisi) 2 —
CHIMINELLI P. : Gesù di Nazareth 2* Ediz. ... 6 —
II Padrenostro e il mondo moderno ..................3 —
Bibliografia della Storia della Riforma religiosa in Italia
5 —
I Costa G. : Diocleziano . 3 — (Profili) Ediz. Formfgginh
I — Politica e religione nell’impero romano.............2 —
' Cumont F.: Le religioni orientali nel paganesimo romano ........ 6,50 Di Soragna A.: Profezie di Isaia, figlio di Amos. 7,50
Doellinger I.: Il papato dalle origini fino al 1870 . 30 —
! Fasulo A- : Dalle indulgenze alla d età di Worms . 0,50
I Janni U.: Il dogma dell’Eucari-stia e la ragione cristiana 1,25 Labanca B. : La riforma del scc. XVI ed il celibato chieI ’ sastico..............' 1 —
i LOISY A.: La paixdes nations 1,50 PETTAZZONI R. : La religione primitiva in Sardegna 6 — — La. Religione di Zarathustra ........ 15 — Salvatorelli L.: Introduzione bibliografica alla scienza delle Religioni...... 5 —
| — « La Bibbia» Introduzione al-l’Antico e Nuovo Testamento .......... 20 —
— Il significato di « Nazareno » ............ . 1,50
| Schurè E.: - I grandi iniziati 16,50
- Santuari d’Oriente . 12.50
TYRREL G. : Autobiografìa e Biografìa (per cura di M. D. Petre) ...... 15 —
Tyrrel G. : Lettera confidenziale ad un professore d’antropologia ..........■ . 0,50
Vitanza C.: La leggenda del < Descensus Ghristi ad in-feros ■ . ...... 1,50
Wenck F.: Spirito e spiriti • nel Nuovo Testamento. 0,75
X. La Bibbia e la Critica. 2 — X. Lettere di un prete mo dentista ...... 3,50
| Il Nuovo Testamento (Edizio-pe Fides et Amor) . . 5 — I Vangeli (Edizione Fides et
Amor)........ .1.80
La 'Bibbia (Vers. Diodati Edizione 1919).........3,50
Nuovo Testamento e Salmi ad uso dei vecchi . . . . . 2 —
I Salmi (Edizione Fides et Amor) . . . . . .• 1,80 Giobbe, tradotto da G. Luzzi 1,80
Tagliatatela E.: L’educazione nella Chiesa dei primi secoli 3/5<>
Taylor G. B.: Il Battesimo 0,50
VARIA
Almanacco dei ragazzi . 5,50 Beatrice E. : Origini filosofiche ed economiche dell’attuale letta di classe . . . . 4,80
Bar Jona.: Ite missa est 5 — Carletti A. : Con quali sentimenti soni tornato -dalla guerra ....... . 1,50
Del Vecchio G.: Effetti morali del terremoto in Calabria secondo F. M. Pagano . 2 —Inni sacri (320), senza musica
1.50
Majer Rizzoli E: Fratelli e sorelle (Libro di guerra 1915-»9x8) .......... 4,50
Niccolini E.: I contadini e la terra ......... 2,50
Fanzini A. : Il libro di lettu a per le scuole p< polari . 2 —
Pioli G.: Educhiamo i nostri padroni ......». 2.50
NOVITÀ
RAPINI G.
STORIA di CRISTO
680 pagine L. 17 —
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-1V-20).
6
- IV —
ESTRATTI. DELLA RIVISTA “
BILYCHNIS „
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ita!. 15-IV-20).
—Ov
Il «Serie
| 21. Nuzzari Rinaldo: Intelletto o ragione. 1919, p. 15 ......... 1 —
22. Ferretti Gino: Lo iodi, lo ideo c la condotta. 1919, p. 50 ... 2 —
23. Cento Vincenzo: L’Essenza del Modernismo. 1920, p. 52 .. 3 —
21. Miuocchl Salvatore: Un disinganno della scienza biblica? (/ papiri aramaici di Rlefanlina), 1920, p. 11 ................ 1 —
25. Corso Raffaele: La rinascita della superstizione nell ultima guerra. 1920, p. 20.......... 1,50
26. Colonna di Ccsarè G. A.: La guerra europea dal punto di vista spirituale, 1920, p. 15 ......1,50
27. Arcar! 1'.: Atteggiamenti della pittura religiosa di Eugenio Bur-uand. 1920, p. 14 (con tavole) 1,50
28. Luzzi G.: A uno studente del sec. xx è egli ancora possibile d’es-sere cristiano? 1920, p. 12.. I —
29. Momigliano F.: I momenti cd pensiero italiano (balla Scolastica alla Rinascenza). 1920, p. 12 1,50
30. Thompson Fr.: Il - veltro del cielo (Versione di M. Praz). 1920, pagine $ .................... 1,50
31. Tucci G.: A proposito dei rapporti fra Cristianesimo U Buddismo. 1920. p. 12.:-........ 1.50
32. Muvller V* A.: G. Pcrbz di Va-'lenza O. t>. A. vescovo «li Chrysopoli o In teologia di Lutero. 1920,1 pagine 15 ............*... ■ 1,50
33. Troubetzkoi E.: L'utopia bol-j sccvica ed 11 movimento religioso in Russia. 1920, p. 15 .... 1.50
34. Momigliano F.: l/vducazionc religiosa di O. Mazzini. 1920. p. 10
1.50
35. Formichi C.: La dottrina idealistica delle • Uigtnlshad ». 1920. pagine .16 ............... 2 —
36. Corso Raffaele: Folklore Biblico. 1920, p. 16........... 2 —
37. Persi Guglielmo: La religione della terra. 1920, p. Il .... 1,50
38. Arcar! Paolo: Rappresentazioni ed intuiti del divino In G. Pro-viatl. 1920, p. 14 (con 8 tavole) 2,50
39. N’azzarl Rinaldo: L’esistenza di Dio c il problema del male. 1920, pagine 12.................... 1,50
40. Giulio Benso Luisa: Solia Risi Albini. 1920, p. 15 (con ta v.). 1,50
41. Sotcr: Giosuè Borsi c il Cardinale Malli. 1920, p. 15 (con tav.) 2 —
42. Tilgher Adriano: Il tempo e l’eternità. 1920. p. 10 .... 1,8©
43. Salvatorelli Luigi : Il pensiero .del Cristianesimo antico intorno allo Stato, dagli Apologeti ad Ori-gene. 1920, p. 40 ........... 3,50
I. Fattori Agostino: Poneiori dell’ora (Leggendo il Colloquio con Renalo Serra di Vincenzo Cento). 19)9, p. 13 ........«...... 0.50
2. Di Rubba Domenico: La fede religiosa di Woodrow Wilson. 1919. p. 29................' 0,50
3- Fra Masse« da Pratoverde: Intermezzo sacramentale (A proposito di Unione dello Chioso Cristiano). 1919. p. 17....... 0.75
4. Dell’Isola M. o Provcuzal Dino: ù’ò una spiegazione logica della rito? 1919. p. 12.......... 0,60
5. Blllia Michelangelo: Il vero uomo. 1919, p. 7........... 0,50
6. Rossi Mario: Religione o religioni in Italia secondo l’ultimo censimento. 1919. p. 13 ... 0.50
7. Cadorna Carla: 1 ritrovi spirituali di Viterbo nel 1541. 1919. p. 7 ...................... 0,50
8. Masini Enrico: Epistola ai fratelli di buona volontà. 1919, pagine Il .................. 0,50
9. Marchi Giovanni: Il Confiteor del giovani. 1919. p. 8.... 0,50
10. Qui Quoudain: Dopo-guerra nel cloro. 1919, p. 14 ......... 0.60
11. Tuccl Paolo: La guerra o la paco nel pensiero di Lutero.' 1919, p. 31 ......................1.50
12. Pavolini Paolo Emilio: Poesia religiosa polacca. 1919. p. 8. 0.50
13. Pioli Giovanni: In memoria del P. .Pietro Gazzola. 1919, pagine 15.................... 1,50
II. Provenza! Dino:. Ascensione eroica. 1919. p. 14 0,80
15. Reusi Giuseppe: Metafisica o lirica. 1919. p. 15............ 1—
16. Falchi Marie: C’è una spiegazione logica della vita! 1919.
p. 8 ........:............ 0,40
17. Costa Giovanni: Giove ed Ercole (contributi allo studio della religione romana nell’impero), con quattro tavolo. 1919. pa* Bino 27.................... 2 — ’
18- (•••) Mancanze di garanzie nello Schema o nel nuovo Codice di diritto canonico c saggio su le fonti. 1920, p. 52........... 3 —
19. Della Seta Ugo: La visiono morale della vita in Leonardo da
Vinci. 1919, p. 31........ 2 —
20. Losca Giuseppe: Sensi o pensieri religiosi nella poesia di Arturo Graf (con due tavole). 1914-1919, p. 40 ............... 2 —
44. Renda Antonio: La teoria psicologica dei valori. 1920. p. 4 3.50
45. Formichi C.: Paul Dcussen. 1920, P. 15.............. 3 —
46. Raglisi M.: Misteri pagani o mistero cristiano. 1920, p. 19 . . 3,50
47. Do Burlo F.: Ernesto Ilucckcl.
1921, p. 11. ....... ... 2,50
48. Pioli G.: L'«Etica (lolla Simpatia» nella « Teoria dei sentimenti morali* di Adamo Smlth.l920,p. 73 5 —
49. Grubher O.: Un mistico 0 il suo amore. 1921, p. 8 ....... 1,50
50. Latte» D.: Cristianesimo cd Ebraismo. 1921, p. 14. .... 2,50
51 Rossi Mario:.Che cosa è la Comunione c il Corpo di Cristo? (con una tavola) 1921 p. 19 . . . 2 —
52. Ualderini Aristide: Sacerdozi e sacerdoti nell’Egitto degli Antonini. 1921, p. 14........ 2 —
QUADERNI di BILYCHNIS
Si pubblicheranno. entro il primo semestre 1921 i seguenti Quaderni.
1. D. Provenzal-: Úna vittima del dubbio (Leonida Andreici) con tin'appéndiCC bibliografica a cura di E. Lo Gatto cd una traduzione di alcune scene inedite dell' Anatema di Andreief,a cura dello stesso.
2. V. A. MOllek; Una fonte ignota del sistema di Lutero (il beato Fidati da Cascia e c la sua teologia).
3. Agostino Severino: Il sentimento religioso di Fed. Amici, con una scelta di pensieri sulla religione tratti dal Journal e tradotti i>cr la prima volta in italiano.
Ciascun volumetto in-8° di pag. 70 circa, illustrato da uh ritratto dell’autore Studiato, viene inviato gratis agli abbonati di Bilychnis; per 1 non abbonati alla rivista si vende al prezzo di . . . . L. 4~
Abbonaiuento annuo alla, Ri vista e ai Quaderni di Bilychnis per l’Italia ? . . L. 16 — per i’Estero . .... L. 30—Direzione c Amministrazione: Via Crescenzio, 2 - ROMA, 33
7
— Casa Editrice “BILYCHN1S” ——
ROMA (33) - Via Crescenzio, 2 - ROMA (33)
Di prossima pubblicazione :
■...PIERO CHIMINELLI =====
LA FORTUNA DI DANTE
NELLA CRISTIANITÀ RIFORMATA
(Con speciale riferimento all’Italia)
l’arte Prima
Dante e i Riformati italiani •
I. Michelangiolo Buonarroti - IL B. Pianciatichi, A. degli Albizi e F. S.ocino - III. F. P. Morato, Panfilo Sassi e L. Ca-stelyetro - IV. Matteo Flacio e P. P. Vergerlo - V. L. Dome-nielli, G. Fiorio e N. Cziangulo - VI. Ugo Foscolo - VII. Gabriele Rossetti - Vili. Giovanni Gaspero Ordii - IX. I dantisti prote-I stanti del periodo del Risorgimento italiano - X. Arnaldo della : Torre, Sidney Sonnino e altri minori.
Seconda
Dante e i Riformati Esteri
I. La fortuna di Dante nella Riforma francese - IL La fortuna di Dante nella Riforma tedesca - III. La fortuna di Dante nella Riforma svizzera - IV. La fortuna di Dante nella Riforma inglese 7 V. La fortuna di Dante nella.. Riforma americana -VI. i La fortuna di Dante nella Riforma di Svezia, Ungheria e Olanda.
KES£~-
8
VI
---- Casa Editrice “ BILYCHNIS” —
ROMA (33) - Via Crescenzio, 2 - ROMA (33)
NOVITÀ : ■ jl'
GIOVANNI E. MEILLE
PSICOLOGIA DI
COMBATTENTI CRISTIANI
(Estratto dalla Rivista “BILYCHNIS”)
Dall’ Indice:
I. Profili.
il. Gli Uomini. (I combattenti cristiani sono giovani normali -Amóre per la vita - Affetti famigliar! - Allegria - Amicizie - Intellettualità - Letteratura - Arte - Poesia della natura - Purezza).
Ili» I Combattenti. (Sensibilità, modestia, prestigio - Testimonianza cristiana tra i compagni - Ore grigie e pace interiore - Entusiasmo - Coraggio - Nella mischia: orrore, sensibilità, pietà -Il problema tragico e le sue soluzioni - Patriottismo - Rinunzia-mento e consacrazione - Devozione alla patria e ideali civili -Fede nell’umanità e convinzioni cristiane).
IV.. I Cristiani. (La Federazióne Studenti - La Bibbia - La preghiera - L’Al di là Sviluppo e approfondimento della vita spirituale - L’Ansia sociale - Fraternità interconfessionale - Religiosità moderna - Valore della vita presente - Concetto della felicità - Problemi del dopo guerra - Vette morali e spirituali).
Bel volume (adorno di suggestiva copertina simbolica di P. PASCHETTO) di XII-144 pagine grandia due colonne.
; ===== Prezzo L. IO - Estero frs. IO -
9
— VII —
Libri raccomandati della Casa Editrice “ BILYCHNIS ” Via Crescenzio, 2 - ROMA, 33
Il “Padrenostro” ed il mondo moderno
di PIERO CHIMINELLI
Bel volume di pag. IX-200, con 7 tavole disegnate dal pittore Paolo Pacchetto
Per l’Italia L. 3.50 :: Per l’Estero 5 —
— - La Chiesa e i nuovi tempi ==
Scritti originali di vari autori sui seguenti soggetti: Chiosa e Chiese • Chiesa e Stato - Chiesa e questione sociale - Chiesa e filosofia - Chiesa e Scienza -Chiesa e. critica - Chiesa e sacerdozio, - Chiesa ed eresia ■ Chiesa e morale.Volumi di pag. XXXI-3Q7. Per l’Italia L. 4— :• Per'l’Estero L. 6—
GESÙ di NAZARETH
Studio Critico-storico di PIERO CHIMINELLI
Di questo bel volume la cui prima edizione fu esaurita in pochi mesi è uscita, ora una 2* edizione riveduta ed arricchita di numerosissime note archeologiche e filologiche e di dodici ampie bibliografìe. — Eccone i capitoli:
II mondo al tempo della nascita di Gesù - Il Paese di Gesù - La madre di Gesù • Gli anni silenziosi di Gesù - La predicazione di Gesù - -Le parabole di Gesù - Gl’insegnamenti di Gesù - I miracoli di Gesù • Le riforme operate da Gesù - L’ultima settimana di Gesù - Oltre la tomba ! .. .
Il volume di pag. XV-483 costa per l’Italia L. 6— :: Per l’Estero L. 10 —
Bibliografia della storia della Riforma religiosa in Italia ài PIERO CHIMINELLI
Libro unico nel suo genere, esso risale alle fonti della storia della Riforma evangelica italiana e ne segue lo fortune, con rigoroso metodo bibliografico, dai precursori ai tempi nostri. Esso riporta circa 3000 riferente bibliografiche.
Il volume fregiato d’artistica. copertina dell’artista P. Pasohetto, di complessive pagine IX-260, èjn vendita al prezzo di
Per l’Italia L. 5— :: Per l’Estero L. 8 —
10
— Vili —
CASA EDITRICE “BILYCHNIS” I
ROMA (33) - Via Crescenzio, 2 - ROMA (33)
NOVITÀ
GUGLIELMO QUADROTTA:
LA CHIESA CATTOLICA
NELLA CRISI UNIVERSALE
Con particolare riguardo ai rapporti fra Chièsa e Stato in Italia. - Volume di pag. CLxxix-178.
Prezzo in Italia L. 10 - Estero L. 15
Il volume tratta argomenti di grande importanza, quali : La posizione della Chiesa Cattolica nel mondo e la necessità della revisione dei suoi rapporti con l'Italia - Il Cristianesimo, la Chiesa e la guerra - La neutralità pontifìcia - Da Pio X a Benedetto XV -• Chiesa e Stato in Italia -La politica anti-Italiana del Pontificato - La Gran Bretagna e la Chiesa cattolica, ecc.
. Uno dei pregi del volume è nella ricca raccolta di documenti che esso contiene, che valgono, a mettere in luce l'atteggiamento e l'azione del Papato allo scòppio e durante il lungo periodo della-’grande guerra.
•
È un attacco frontale a quella leggerezza italiana che in momenti come Fattuale costituisce un tradimento verso la Nazione.
La conclusione è che questo è il momento storico per affrontare decisamente il grave problema, che finché rimarrà insoluto, sarà causa di profondo turbamento nella | vita nazionale.
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Anno X - Fasc. VI.
BILYCHNIS
rivista di sTvdi religiosi
E DITA DALLA FACOLTA- DELLA SCVOL A SS»KTEOLOGICA BATTISTA-DI-ROMA
ROMA - GIUGNO 1921
Vol. XVII. 6
LÀ RUSSIA E IL SUO PROBLEMA RELIGIOSO SECONDO DOSTOIEVSKII (,)
L problema religioso nella sua più semplice e precisa espressione, e cioè come problema di fede, è alla base di tutta la vita e di tutta la storia deljpopolo russo. Dalle sue origini sino ai giorni nostri questo problema ha attraversato, come un filone costante, tutta l’esistenza di questo popolo. E quasi sempre, sopratutto, come problema. La manifestazione più evidente che la fede si
presentava al popolo russo come un problema, cui fosse necessario dare una soluzione e non come qualche cosa di cui non si sappia nè origine nè fini, è data dal fenomeno delle sette religiose, così caratteristico della vita russa. È vero che la
chiesa ortodossa, con tutti gli elementi ereditati da Bisanzio, si presentava come qualche cosa di ben solidamente costruito, di cui non fosse possibile toccare pietra senza pericolo di esserne per sempre fuori e perciò, ufficialmente, senza fede ; ma è vero altresì che da questa stessa rigidità nasceva il problema assillante della verità assoluta in cui bisognava aver fede, che la stessa chiesa ortodossa non. seppe- mantener viva nel fedele. Da qui derivò la formazione della setta dei « vecchi credenti » ; i quali, del resto, più che formare una setta, nel senso di gruppo di dissidenti, in mezzo alla massa dei fedeli ufficiali, formavano e formano una
(i) Dimitri Meresckowskii, Russland. in Die nette Rundschau, novembre 1919; Theophile von Bonisco. Das religiose Problem bei Dostojewski in Deutsche Rundschau, marzo 1921, aprile 1921.
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parte abbastanza considerevole di tutto il popolo russo. Usciti dalla chiesa ortodossa per rigidità di fede, quando la chiesta ortodossa, con le riforme di Nicone, era venuta meno al suo principio fondamentale di incrollabile rigidezza, i «vecchi credenti » si facevano anarchici e diventavano perciò i perpetui cercatori di ciò che avevano voluto serbare e avevano invece perduto’ per sempre: la certezza della verità assoluta. Si può dire che da allora, e son secoli, la religione non abbia più cessato di essere un problema per la coscienza del popolo russo. È problema che abbraccia tanta parte dell’esistenza, che questa non può esserne considerata separata. Tanto vero che quando Bielinskii (x), insorto contro la conversione di Gogol, gli indirizzò la famosa lettera, per la quale Dostoievskii doveva conoscere l’agonia del condannato a morte, non potè evitare di cadere nell’eccesso contrario a quello dell’autore della « Corrispondenza con gli amici » e scrisse: « Guardate più profondamente e vedrete che la natura di questo popolo è profondamente ateistica ». Quello stesso popolo, che Gogol e Dostoievskii dicevano « portatore di Dio », e consideravano il popolo cristiano per eccellenza.
Il Meresckovski, esaminando le condizioni, o meglio, lo stato spirituale del popolo russo, specialmente dal punto di vista religioso, subito dopo il colpo di stato bolscevico, dopo aver osservati gli eccessi a cui contadini e soldati si erano abbandonati, conclude: «Agiudicare da ciò che noi viviamo oggi, non Gogol nè Dostoievskii hanno ragione, ma Bielinskii ». E riporta a conferma della sua osservazione le parole di Rosanof (nell’ « Apocàlissi dell’età nostra ») : « Se c’è un paese in cui, per la morte di qualcuno, mancano oggi la croce e la preghiera, questo è certamente la Russia. Per tutta la vita i russi hanno pregato e si sono fatti il segno della croce — è venuta improvvisa la morte ed essi hanno gettata via la croce. Il passaggio a questo completo ateismo si è compiuto nei contadini e nei soldati con la stessa facilità, con cui essi vanno in un bagno e si aspergono di acqua fresca ».
È mai possibile che questi due grandi conoscitori del proprio popolo, che avevano essi stessi celebrato come il più puro e profondo rappresentante della fede di Cristo, non abbiano veduto e compreso il significato transitorio, ma d’altra parte, da un più largo punto di vista, «russamente» religioso di questa ateistica rivolta?
Il Meresckovskii parte nel suo esame dalla stessa distinzione, ormai famosa, del Berdiaief (2) tra eccessiva femminilità e deficiente carattere virile del popolo russo. L’eccessiva femminilità è per il Meresckovskii una « malattia religiosa » e precisamente la malattia religiosa da cui è affetto il popolo russo. È evidente lo scopo di propaganda che ha di mira il Meresckovskii quando scrive: « mali) Cfr. la sua lettera a GogoÌ, in Russia. rivista di letteratura, storia e filosofia diretta da E. Lo Gatto, anno I, fase. I.
(2) Berdiaief, L’anima della Russia, estratto dalla Voce dei popoli, 1918. Ne ha parlato m Bilychnis Ivan iLiabooka, luglio 1915.
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latita della Russia è cattiva femminilità, mentre quella della Germania cattiva virilità », distinzione che deve portare a dimostrare che la femminilità del popolo russo, nella sua piti evidente manifestazione, quella religiosa, come lo portava a piegarsi, in quanto massa, davanti allo zar come davanti a Dio, e in quanto « in-telligentia » davanti al popolo, anche come davanti a Dio, lo porta oggi a piegarsi davanti a coloro che del primo Dio, autocratico, hanno preso il posto, conservandone il carattere, mutate sole le persone. Qui ci pare che il Meresckovskii trascuri un elemento essenziale. Egli scrive: « L’autocrazia dello zar e una piramide con la punta in alto: lo zar domina il popolo, uno — tutti, ¿’autocrazia del popolo è la stessa piramide, solo con la punta in giù : è l’uno che è soggiogato da tutti, la personalità dalla massa. La forza dell’oppressione, il peso della schiavitù è in tutti e due i casi lo stesso ». E si domanda : « Si sta ora peggio che sotto lo zar? Non, non peggio. Solo che ora è stato svelato ciò che allora era nascosto. Perciò ora sembra peggio, più spaventoso, più deprimente, più repugnante. Dunque non c’era bisogno di abbattere lo zar? Ma si. Sotto lo zar andavamo verso la rovina lentamente e non avremmo trovata salvezza alcuna. Oggi possiamo salvarci. Andremo rapidamente in rovina o rapidamente ci salveremo. La piramide non può stare a lungo sulla sua punta ». A noi pare che il problema sopratutto com’è enunciato nella prima parte, sarebbe giustamente posto ove, veramente al potere in Russia, in luogo dello zar, fosse salito il popolo. Ma in Russia al potere autocratico dell’uno, si è sostituito egualmente quello di un uno o almeno di una minima minoranza, il che non muta per nulla la situazione del popolo, considerato nella sua massa. Tutt’al più l’accusa di femminilità potrà continuare ad aver consistenza nel senso che la supina passività è continuata, come di fronte allo zar, così di fronte a coloro che, chiamandosi rappresentanti del popolo (come quello ne era il ^rappresentante davanti a Dio, di cui assumeva, per. esercitare il potere terreno, parte degli attributi) hanno continuato a tenerlo nella sua schiavitù. Ma come allora conciliare questa femminilità, che è la malattia religiosa del popolo russo, con l’improvviso irrompere di ateismo, che molti hanno detto essere stato caratteristico del primo stadio della rivoluzione russa? Per eliminare questa designazione di «caratteristico», basterebbe richiamarsi alla rivoluzione francese, ma saprebbe di luogo comune. Non sarebbe piuttosto l’irrompere di ateismo il superamento della malattia religiosa, della femminilità? La conclusione è un’altra, e il Meresckovskii, ci arriva egualmente, ad onta della via traversa. Prima di tutto non è vero che la rivoluzione abbia avuto carattere ateistico per il popolo russo. Il ritorno al sentimento religioso, alla fede, è confermato unanimemente. E diciamo ritorno per tener conto anche di quelle rivolte di apparente carattere antireligioso, che ci sono state, anche nella rivoluzione russa. Ma basta pensare che anche tutte le rivolte precedenti^ da cui erano nate le sette, le rivolte di coloro che vedevano nello zar l’Anticristo, sono state dette anti-religiose, per capire subito il loro vero carattere. Il Meresckovskii riporta un racconto di Dostoievskii, dal « Giornale di uno scrittore ». È un vecchio monaco che racconta: « Vedo un
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contadino che si trascina in ginocchio verso di me. Già dalla finestra l'ho visto trascinarsi per terra. La sua prima parola fu: — Non c’è salvezza per me, sono dannato! Qualunque cosa tu possa dire, sono dannato!,... — Io lo tranquillizzai alla meglio: vedo— egli si. è trascinato per cercar la sofferenza; da lontano.— Ci siamo riuniti nel villaggio, alcuni giovanotti — cominciò egli a raccontare — ci siamo messi a discutere chi avrebbe saputo commettere il più grave degli oltraggi. Io mi offrii, per orgoglio, avanti a tutti. Un'altro mi prende da parte e mi dice a quattr'occhi : — Non è possibile che tu faccia come dici. Ti vanti. — Io giurai. — No, aspetta, giurami sulla tua salute all'altro mondo che farai come ti dico io. Io giurai. — Presto sarà quaresima — dice — preparati alla comunione. Quando andrai a far la comunione prendi l'ostia, ma non ingoiarla. Poi quando andrai via, prendila nella mano e conservala. Poi fi dirò che devi fare. — Così feci. Direttamente dalla chiesa egli mi portò nell’orto. Prese una pertica, la fissò in terra e disse: — Méttila qui. Io misi l'ostia sulla pertica. — Adesso, dice, pòrta il fucile. — Lo portai. — Caricalo. — Lo caricai. — Alza e spara. — Io alzai il braccio e mirai. Ed ecco, non mancava che sparare, e ad un tratto davanti a me apparve la croce e sulla croce il Crocefisso. Qui caddi senza sensi, trascinando con me il fucile ».
Il popolo russo — aggiunge il Meresckovskii — nella sua attuale follia ateistica, non somigliava a questo contadino ?
Ma avrebbe mai, si può domandare — avrebbe mai il contadino russo, che si accingeva a sparare contro l'ostia consacrata, veduta l'immagine del Crocefisso se il suo animo non fosse stato già di Cristo? È da questa profonda appartenenza che nasce la possibilità della salvezza.
E il Meresckovskii dice, secondo noi, la stessa cosa quando afferma che lo pseudo-socialismo russo (ed egli si riferisce - alle forme governative) può essere vinto solo dal vero socialismo universale. E questo è « il regno di Dio sulla terra, la dottrina di Cristo». Il problema sociale è dunque legato col problema religioso? Rispondere a questa domanda, dite il Meresckovskii, significa rispondere alla domanda sulla premessa religiosa della rinascita nazionale della Russia. Quando il popolo russo dimostrerà di non essersi chiamato invano il popolo cristiano par exceltence, allora la Russia mostrerà qual'è il suo compito universale nella vita dei popoli. I russi hanno dimenticato Cristo, conclude il Meresckovskii. Ma quando si ricorderanno di Cristo e in suo nome diranno « La Russia sia », la Russia sarà.
Ma come dovrà il popolo russo dare questa prova? Con una rivolta che butti giù l’usurpatore? È questa la risposta del Meresckovskii, se non formulata, certo chiara tra le righe del suo scritto. Per far questo è necessario un impeto virile che vinca l’eccessiva femminilità e dia al popolo russo l'equilibrio tra i due principi, il femminile e il virile, della propria esistenza. Quel che il Berdiàief si aspettava dalla guerra contro la Germania, il Meresckovskii si aspetta dalla lotta contro i bolscevichi. Ed è qui l’equivoco, l’errore.
Basta richiamarsi a certe parole di Dostoievskii, citate dallo stesso Mere-
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sckovskii, per capire che ben altra è la via che seguirà il, popolo russo per liberarsi dal giogo, se non vuol venir meno alla sua missione cristiana universale, che è quella che il Meresckovskii stèsso ha celebrato in lui. Scriveva Dostoievskii: « Io credo che il più profondo bisogno spirituale del popolo russo sia il bisogno di una continua, incessante sofferenza. È di questa sete di sofferenza che esso soffre da secoli.,; È come se il popolo russo godesse della sua sofferenza ».
Perchè vuole il Meresckovskii mettere in dubbio che Dostoievskii abbia con queste parole messi a nudo i più profondi abissi dell’elemento religioso popolare? Perchè dubitare che il cristianesimo sia la religione della sofferenza, della sofferenza come sintesi universale?
È b en qui la forza del popolo russo, nei suoi elementi puramente russi: in questa accettazione della sofferenza. È vero, il Figlio si rivolge al Padre, passivamente: « Avvenga la tua, non la mia volontà » e si rivolge al mondo attivamente, eroicamente, visibilmente: « Io ho vinto il mondo ». Ma non dimentica forse il Meresckovskii che il mondo fu vinto dal Figlio appunto perchè fu fatta la volontà del Padre? È in questa accettazione del dolore, della sofferenza; il vero carattere virile del popolo russo, quel carattere che potrà dargli l’equilibrio con quella femminilità accentuata nella vita politica, ma che è un errore chiamare malattia religiosa, se — come grida il Meresckovskii stesso — è il ritorno a Cristo che deve salvare la Russia.
Questo ritorno a Cristo, come salvezza non soltanto della Russia, ma di tutta l'umanità, è il carattere fondamentale del pensiero di Dostoievskii.
Comunque, si voglia e si possa interpretare, nei particolari, la sua dottrina, essa ha questa base granitica su cui si muove: la religione di Cristo è la religione che con l’accettazione virile della sofferenza dà la possibilità di riunire in un popolo solo tutta l’umanità, e perciò è la vera religione; ed il popolo che sente questa possibilità come proprio compito, è il popolo eletto, quello che dovrà realizzare l'unione di tutta l’umanità. Che essa possa interpretarsi anche come lo sfòrzo verso la nuova religione, la religione della terza persona, dello spirito santo, come interpreta il Meresckovskii, non toglie che essa sia essenzialmente la religione della seconda persona, della personalità umana-divina. E tutte le opere di Dostoievskii stanno a provarlo, sia nel loro complesso, sia singolarmente. E giustamente il von Bodisco, che studia tali opere dal punto di vista religioso, insiste su questo concetto. Il terzo regno, di cui parla Meresckovskii, come regno della comunità umana, come riunione di tutti gli uomini, corrisponderebbe in realtà alla religione di Dostoievskii; è infatti questo il sogno di avvenire dello scrittore che considera il divenire spirituale dell’uomo come futura esperienza dell’umanità. Ma il pensiero sociale fuso con la religione dell’avvenire, nel senso in cui lo concepisce il Meresckovskii non è stato mai nelle mente di Dostoievskii. Per lui le due grandi linee dell'umanità — l'esperienza religiosa e l'esperienza sociale — corrono l'una a fianco all'altra senza fondersi. Può sembrare questa una contrad-
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dizione del pensiero di Dostoievskii, ma volerne trovare la conciliazione, come fa il Meresckovskii, potrebbe condurre ad una falsa valutazione delle sue premesse.
Il pensièro religióso di Dostoievskii dev'essere considerato essenzialmente come pensiero religioso. Il valore morale e conseguentemente sociale di esso, viene dall’inevitabile incontro con la vita sociale in cui là vita religiósa ha la sua esplicazione, ma in quanto problema esso sarebbe falsamente valutato e interpretato, se gli si attribuissero dei fini immediatamente pratici.
Il von Bodisco, che dedica al problema religioso in Dostoievskii uno dei più ampi studia che, dopo la seconda parte dell’opera di Meresckovskii: «Tolstoï è Dostoïevski », siano stati scritti sull’ argomento, segue precisamente questo punto di vista. ì.‘autore non si nasconde le difficoltà del suo tema, ma l’affronta con profonda conoscenza della materia. E il sistema di esposizióne da lui seguito è veramente efficace. Le figure messe in rilievo, staccate dai soggetti dei romanzi, riescono a dare all’oceano turbinoso di pensieri e di sentimenti di cui è intessuta l'opera di Dostoievskii, una notevolissima coerenza di esposizione. Nel mondo delle sue figure, Dostoievskii ci mostra le due grandi vie che seguono gli uomini nella vita reale, da cui le figure sono tratte: la via che porta a Dio-Umanità e quella che porta all' Uomo-Divinità. Sulla prima vanno quelli che credono in Dio, sulla seconda gli atei, i superbi di pensiero. Esse sono ben distinte, ma tra gli ultimi c’è a sua volta una distinzione molto importante per Dostoievskii e che il Bodisco assai bene caratterizza nell’analisi di alcuni personaggi dei singoli romanzi. Non tutti gli atei sono condannati definitivamente. Gli atei, come nemici di Dio, finiscono nel solipsismo, nella banalità, come si esprime il Bodisco (suicidio, anarchia), gli altri, gli atei Che lottano per Dio, possono finire tragicamente ma possono anche essere salvati definitivamente alla fede. Sulla via che Jx>rta all'uomo-di-vinità sono per es. il nichilista Kirìllof, del romanzo « Gli indemoniati », Ivàn Karamàsof de «I fratelli Karamasof», Raskolnikof di «Delitto e castigo»; sull’altra via, quella che porta a Dio-umanità, Sossi ma de « I fratelli Karamàsof » e il principe Misckin de « L'idiota ».
È evidente, prescindendo qui dalla dibattuta questione se si debba giudicare dell’opera di Dostoievskii dal sólo puro punto di vista estetico, che, trattandosi di creature d’uno stesso creatore, tutte quante sono vedute attraverso il prisma della sua natura, e perciò risentono delle sue esperienze e delle sue concezióni.
Kirillof è l’ateo che vuol liberare l'umanità dalla sua grande pazzesca illusione: Dio. Egli ritiene che ogni sventura derivi dal fatto che l’umanità si è costruita una vana immagine di Dio, davanti alla quale trema, invasa da un vero timore di schiava: « L’uomo non ha fatto altro che inventare Dio nelle forme più diverse, per poter vivere, per non uccidersi ». Egli che solo non ha voluto inventarsi un Dio, dimostrerà la propria libertà, uccidendosi. Si sacrificherà per liberare l'umanità dalla sua angoscia. Ivan Karamàsof è il teorico {amletico che vuol tutto penetrare con la forza della ragione e di fronte al quale ogni soluzione di problema è un nuoVo problema, all’infinito. Ma il problema di Dio non è
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posto da lui come da Kirìllof. Non si tratta più di sapere se Dio abbia inventato gli uomini o gli uomini Dio. Egli trova anzi strano che un pensiero come quello dell’immortalità di Dio sia venuto in testa ad un’« animale così selvaggio e malvagio, come l’uomo ». Egli accetta dunque Dio, la sua omniscienza e i suoi scopi ignoti a tutti gli uomini: « Io credo alla legge e al senso della vita —- dice egli — io credo anche all'armonia eterna nella quale tutti andremo ». Potrebbe quindi sembrare che Ivan sia sulla via della fede, ma è qui ch'egli si dimostra un ribelle. « Te lo dirò in due parole: è il risultato di questo mondo di Dio che io non- accetto, ed anche se esso mondo esiste, non riconosco che esso esiste. Non è Dio che non accetto, intendiamoci bene, è il mondo da lui creato che non accetto e non posso accettare ». La lotta di Ivàn è già un gradino più su di quella di Kirìllof. Questi nega positivamente, accusa gli uomini di pazzia, ma crea in se stesso quel Dio che distrugge per gli altri. Ivàn ammette Dio, ne riconosce l'esistenza e l'immortalità, ma lo distrugge in sè perchè non ne vuole accettare la creazione. Le disannonie che egli vede in questa creazione sono quelle che lo fanno ribelle. « Il mondo è basato sull'assurdo! — dice egli. — Che esseri sono questi che hanno mangiato il frutto proibito e rubato il fuoco al cièlo, sapendo che in questo modo sarebbero stati infelici? » Egli non comprende perchè gli uomini debbano essere così discordi in sé stessi, da ribellarsi e deificarsi e nello stesso tempo da desiderare di porsi sotto un Dio, a loro superiore. È questo ciò che lo fa ribelle. Nietzsche dice che il nichilista non sopporta questo mondo, perchè non gli è dato di negarlo. Di Ivàn, Dostoievskii dice: «Un pellegrino solitario, cercatore, pieno di grandi speranze, che però non sa in che cosa spera, che si aspetta tanto dalla vita, ma non sa egli stesso precisare in che consistano le sue grandi speranze e i suoi desideri infiniti ».
Accettando l'opinione del Bodisco — e del rèsto come non accettarla? — che in Ivàn, Dostoievskii abbia versati, nel modo più appassionato e più chiaro, i propri tormenti spirituali e i propri dubbi religiosi, noi comprendiamo come per Dostoievskii il problema della fede dovesse essere il problema capitale dell’esistenza umana.
Ma non è in Ivàn che il problema trova la sua soluzione, come non la trova in Raskòlnikof, anch’egli ribelle, che vuol mostrare agli uomini il loro diritto di varcare tutti i limiti, e si rivolta anche alla parola di Dio, senza però sapere di farlo, perchè, ad Onta della sua rivolta, egli crede di avere conservato in sè Dio e il diritto di pregarlo. È questo ciò che lo distingue e lo distanzia da Ivàn Karamà-sof. Ma in lui è la possibilità di salvezza. Proprio perchè non c’è in lui quella forza distruttrice capace di spezzare l’ultimo filo tra lui e Dio, egli rappresenta il materiale, da cui, nel pensiero di Dostoievskii, si dovrebbe formare l’uomo nuovo. Molto giusta è a questo proposito l'osservazione del Bodisco che qui riportiamo: « Il pericolò che un individuo varcasse i limiti segnati e violasse così i diritti del prossimo, era assai fortemente sentito da Dostoievskii. L'inclinazione alla deificazione dell'uomo, l'isolamento, sono per lui non soltanto peccato, ma morte dell'uomo. Potrebbe perciò sembrare che egli mettesse tanta passionalità per convin-
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380 cere se stesso. Tutte le sue grandi opere sono scritte in un tono di passione e sono per così dire delle discussioni con sé stesso »
Di fronte a Kirìllof, ad Ivan Karamàsof, a Raskòlnikof, sono il «santo vegliardo », Sossima, e il « Don Chiosciotte in Cristo », il principe Misckin.
Il vecchio Sossima incarna il popolo russo, e la sua necessità di credere in Did. È l’incarnazione, che già Scatof preannunciava negli « Indemoniati »: « L’unico fine di tutto il movimento di un popolo, ogni fine particolare, in ogni particolare momento della sua storia, è sempre e soltanto la ricerca di Dio, l’impulso-a Dio — al proprio Dio — così come la fede in questo Dio, considerata come l’unica vera, diventa simbolo di tutto il popolo. Se i popoli si confondono, si confondono anche gli dei, ed i popoli muoiono con i loro dèi. Quanto più forte e grande è un popolo, tanto più gli appartiene il suo Dio. Non c’è stato mai un popolo senza religione, non c’è stato mai un popolo senza il Bene ed il Male ».
E Sossima incarna il popolo russo, il popolo « portatore di Dio » che salverà e rinnoverà il mondo. E Dio è Cristo, è l’amore. L’uomo del futuro, dice il vecchio Sossima, non vedrà nell’uomo altro che l'uomo. Solo con l'immagine di Cristo davanti agli occhi potrà compiersi la riunione di tutti gli uomini. Ma l’eguaglianza, la fratellanza degli uomini, non è un concetto che abbia una corrispondenza pratica, in qualche cosa di già bello e fatto, in cui gli uomini entrando diventeranno eguali, fratelli; « l’eguaglianza degli uomini potrà realizzarsi solo quando tutti riconosceranno di essere veramente, interiormente fratelli », « quando vi saranno dei fratelli, vi sarà anche una fratellanza, prima essi non divideranno nulla fra di loro ». È veramente straordinario questo grido d’amore che invade tutto il libro, il capolavoro del grande scrittore. «Che cos’è l’inferno? domanda il vecchio Sossima. Io credo che esso sia il dolore di non poter amare ». È un’espressione indimenticabile. « L’amore umile è una forza terribile — dice egli ancora — è la più grande delle forze, non ce, n’è un’altra eguale. Non per caso o per un momento si deve amare, ma continuamente, eternamente. Per caso può amare chiunque, perfino il malvagio. Ma solo colui che torna a Cristo, può amare sempre, può lavorare alla riunione di tutta l’umanità». La dottrina di Cristo è portata alle sue estreme conseguenze: la dottrina dell’unione di tutti gli uomini, si fonde con la dottrina della colpa universale: «Fatti responsabili dei peccati del mondo. Se tufi fai sinceramente responsabile per tutti e per tutto, vedrai che in realtà è così, che tu sei il colpevole di fronte a tutti ». Da questo sentimento di colpa universale però il russo ricava un concetto della colpa diverso da quello europeo. È una verità ripetutamente espressa da Dostoievskii, che uno può essere profondamente colpevole mentre la sua anima rimane innocente, immune da colpa.
È questo un tratto caratteristicamente russo. Come è caratteristicamente russo di chiamare infelici i delinquenti. E questo si spiega con quel profondo sentimento del russo che nel delitto, nel grande, profondo delitto che abbraccia tutta la vita dell'individuo, c'è qualche cosa che manca nella piccola colpa calcolata, cerebrale: il destino. Ed insieme la possibilità di tornare a Dio, la possibilità della
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salvezza. Perciò Dostoievskii combatteva gli sforzi di coloro che vogliono ricondurre il delitto a motivi puramente fisici e d'ambiente, allo scopo di diminuire la pena. Bisogna lasciare che il colpevole segua tutta la via del martirio, conseguenza della sua colpa, perchè, se essa conduce alle piti amare sofferenze, sono queste che poi conducono a Dio.
Il von Bodisco mette assai bene in rilievo questo particolare carattere dell’amore in Dostoievskii, di quest'amore fatto di umiltà, di accettazione del dolore, che è poi caratteristica del popolo russo. Ed un breve confronto tra la vita-martirio di Dostoievskii, e la vita-martirio del popolo russo, ci conferma ancora più profondamente nel concetto che la vera religione del popolo russo è quella della seconda persona, la religione del Figlio, e non quella dello Spirito Santo, come interpreta il Meresckovskii. Le violenze ateistiche, cui durante i periodi critici della rivoluzione si è abbandonata una parte del popolo russo e che del resto non possono neppure essere considerate come sintomo di un totale rivolgimento di concezione spirituale, hanno dato luogo sempre a una reazione di accettazione cristiana della volontà divina. Quel che nel popolo russo esiste, profondo, radicato fin negli abissi ultimi della coscienza, è questo bisogno della sofferenza, che, accettata volontariamente e con puro spirito, rappresenta senza dubbio una vera forza creatrice, redentrice. Essa non può perciò essere impiegata a scopi puramente politici, transitori, perchè ha un compito assai più alto, quello di richiamare gli uomini alle fonti più pure della loro vita: la realizzazione dell’amore universale attraverso l’universale accettazione della sofferenza. Chè in questo si compendia e si risolve il problema religioso che Dostoievskii ha trovato nel popolo russo e fatto suo.
Ettore Lo Gatto.
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diante e non ostante queste deviazioni il monoteismo avesse progredito: così come si può ammettere che la storia del cristianesimo sia tutta intera una serie di deviazioni dal pensiero di Gesù, ma si deve riconoscere che questo pensiero si è venuto sempre più affermando mediante e nonostante queste deviazioni. Una storia tutta negativa come la pensa il Pettazzoni non può essere. Non vi sono condizioni politiche o sociali tali da neutralizzare un'idea vera e valida: la storia del giudaismo e del cristianesimo stessi lo dimostrano.
Ora, si potrà dire col Pettazzoni che il monoteismo si .perdette perchè la religione di Zoroastro dovette ripudiare il proprio universalismo per diventar religione nazionale, e che solo a questo patto esso potè esercitare in Persia la sua funzione politica: ma come va che il cristianesimo, per dirla col Pettazzoni, « quel carattere universalistico che portava in sè dalla nascita non lo smentì mai » (p. 99), e pure non divenne mai una di quelle « religioni universali travolgitrici di popoli e di nazioni » (p. 231) che il Pettazzoni ravvisa non so ben dove; tanto è vero che esercitò una funzione politica di prim'ordine da prima con l'impero romano, poi con la chiesa romana in Italia e con la chiesa ortodossa in Russia e infine con la chiesa anglicana in Inghilterra e colla chiesa luterana in Germania,. per omettere altri esempi minori? In conclusione, il Pettazzoni, per aver voluto troppo innalzare il zoroastrismo ha finito coll'abbatterlo: cioè per aver voluto porlo come religione monoteistica accanto al giudaismo, ha dovuto concludere che esso fu un perpetuo fallimento di quella medesima idea che invece trionfò nel giudaismo, e ha finito perciò con affermare la sua immensa inferiorità di fronte al giudaismo.
Invece, se consideriamo il zoroastrismo per quel che fu veramente, cioè per la potente realizzazione mitica dell'immanente dualismo del nostro spirito, e della permanente antitesi della vita, noi troveremo che non solo esso ebbe piena attuazióne, ma che in questa attuazione portò Una profondità degna di altissima ammirazione, inferiore sempre al monoteismo giudaico-cristiano, che è superamento spirituale di questo dualismo, ma non fallimento perpetuo, nè conato permanentemente sterile.
II.
Questa Credenza così ferma nel monoteismo zoroastrico poggia nel Pettazzoni su una interpretazione del dualismo alla quale non possiamo consentire. Secondo l’egregio dotto il dualismo non è negazione del monoteismo, anzi è « il monoteismo stesso in due aspetti opposti e contrari » (p. 96). « Nel dualismo sono tutti presenti quegli elementi divini che il monoteismo nega e rinnega, ma presenti in quella forma che è la sola compatibile con l'idea, anch'essa presente, del dio unico: è la fórma stessa dell'unicità che dalla sfera dèi divino passa ad applicarsi al complesso degli elementi antidivini: onde questi riescono unificati, mentre pur sono negati come divini » (ivi).
Tutto ciò è oscuro e detto oscuramente. Ma certo è che il dualismo non si può ridurre, còme par che egli pensi, a una semplice trascrizione del contenuto del
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MONOTEISMO E ZOROASTRISMO
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monoteismo, quasi come farebbe chi invece di pensare acqua pensasse ossigeno e idrogeno. Il monoteismo è più antitetico al dualismo di quel che il Pettazzoni pensa. Perchè questo è in fondo una forma di politeismo dove il processo di creazione mitica si è arrestato o si è ridotto a due sole divinità. •
Il monoteismo non conosce elementi anlidivini, ma solo non divini', non realizza Dio in due o più aspetti contrari c opposti, ma solo in aspetti e momenti diversi, la cui unità è ih Dio stesso. La fonte dell’esperienza religiosa monoteistica è sempre una; per quanto le esperienze possano avere contenuto diverso e anche opposto, il monoteismo non fa risalire questa opposizione fino a Dio.
Il Dio monoteistico non è bène e male, luce è tenebra, ma è solo bene e solo lucè: il male e la tenebra non stanno in lui ma nell’opposizione a lui, nel distaccò da lui, sia questo distacco umano o satanico. Invece nel dualismo è la fonte stessa delia esperienza religiósa che è duplice: il bene è Dio, come il male è Dio: ma sono due dei diversi in sè e per sè, non due aspetti diversi del medesimo Dio. Da ciò la differenza fondamentale, che nel dualismo esiste un male divino cioè assoluto, non superabile, mentre nel monoteismo un male assoluto non c’è, perchè è sempre superabile. La vera e propria rassegnazione, concepita non come accettazione inerte di un fatto, ma come accettazione di un volere imperscrutabile, è un prodotto del monoteismo, ma non può esistere nel dualismo dove il male non è mai superabile nè riducibile a un bene superiore e incomprensibile.
Si obbietterà che il zoroastrismo ammette il trionfo finale di Ahura Mazda su Ahriman, del Bène sul Male e che perciò solo esso assume la posizione monoteistica, poiché in realtà l’unico vero Dio finalmente trionfante gli è Ahura Mazda; ma si può rispondere che questo trionfo non è voluto da Dio, non è opera di Dio, avviene perchè deve avvenire, e non è perciò una manifestazione dell’onnipotenza di Dio (1). Il zoroastrismo non è un monoteismo; è un dualismo in cui l'uno de’ due dei finisce con restar solo.
Ma lasciando questi argoménti, vi è l’argomento più grave che al Pettazzoni non sarebbe dovuto sfuggire, derivando esso direttamente dall’Avesta. Nel monoteismo vi è un solo Dio creatore: nel dualismo gli dei creatori sono due: nel zoroastrismo Ahriman ha infatti poteri creativi eguali a quelli di Ahura Mazda. « Noi preghiamo — è détto nell’Avesta (Yasna LX-5) — per resistere, per cacciare Agramainyu che è provveduto di creazione, di c a tt i v a creazione» (2): e infatti nel racconto che fa Ahura Mazda della creazione a Zoroastro èdetto come ad ogni luogo da lui creato Agramainyu creò una « opposizione» : ad Airy-ana-vaèja oppone un grande
(1) Questa è la ragione per cui il Moulton pur ammettendo un monoteismo zo-roastrico riconosce che la dottrina del male limita l’onnipotenza della divinità e finisce con ammettere il dualismo (Early Zoroaslrianisni, Londra 1913, pp. 94, 125-126, 155).
(2) Traduco dalla versione tedesca di Spiegel, Avesta (Lipsia. 1852-63). Il Darme-ste ter traduce : « Pour combattre et pour detruire Angramainyn avec sa creation mauvaise». (Darmesteter, Le Zendavesta, Annalesdu Mus. Guim., XXII-XXIV. Parigi, 1892-93). Il Wolff traduce: c Zu unterdrücken und fortzuschaffen samt seiner Schöpfung den Anra Mainyar, (des) Geschöpfe übelsind • (Avesta, Strassburg 1910 (p. 85).
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giudica per nulla il concetto monoteistico, tanto se si concepisce la Trinità come la coesistenza di tre persone in una, quanto se la si spiega come tre atti o momenti della stessa persona. A qualunque delle tre persone il cristiano si rivolga egli incontra sempre il medesimo Dio: l’esperienza religiosa non distingue l'una dall'altra le tre persone: chi prega Cristo prega Dio, se è cristiano.
Invece nel dualismo zoroastrico non vi è un solo e unico Dio, del quale i due spiriti avversi sieno parte o manifestazione: il parsi prega certamente soltanto Ahuramazda, ma non già perchè in lui si esaurisca l’idea di Dio, ma per la semplice e pràtica ragione che solo da esso egli può aspettarsi dei beni. Invocare l'altro Dio del binomio, cioè Ahriman, sia pure per tenerlo lontano, sarebbe tanto assurdo per un mazdeico quanto per un cristiano pregar Satana che si tenga lontano. Gli è certo che nè l'uno nè l’altro potrebbero e vorrebbero ascoltarvi. Infatti, nonostante che Satana abbia tanta parte nel cristianesimo specialmente medievale, noi non troviamo in tutta la liturgia e la poesia cristiana un solo inno, una sola invocazione a Satana tranne qualche scongiuro nel quale è semplicemente espressa la volontà umana di fuggire il male.
IV. f
Noi non troviamo dunque nel zoroastrismo la minima traccia di un qualsiasi monoteismo. E pure il Péttazzoni su questo immaginario fondamento non solo costruisce l’intera storia del zoroastrismo, il quale appare perciò come la progressiva decadenza di un'idea inesistente, ma afferma una profonda ed essenziale affinità tra il giudaismo e la religione di Zoroastro: una affinità che sarebbe quasi identità. « Certo è che il nonoteismo javistico ed esso solo in tutta la storia religiosa dell'oriente antico offre un sorprendente riscontro al monoteismo etico e spirituale di Zarathustra » dice il Péttazzoni (p. 80) per confortar la sua congettura, già da altri espressa (i) che il monoteismo zoroastrico fosse derivato dal giudaismo portato in Persia da Ebrei.
E qui entriamole! vivo della questione, nella parte che meno facilmente si può accettare, perchè riguarda i fondamenti di dottrina e credenze essenziali per la fede cristiana. Perchè ripeto che questo porre così senz’altro accanto al monoteismo giudaico, come spiritualmente ed eticamente eguale, un altro monoteismo, porta alla negazione del valore eccezionale e unico del giudaismo e della sua funzione nella preparazione del cristianesimo, secondo quel che pensano concordemente la scienza e la fede. E questo è grave specialmente per la fede. Perchè se vi fu, sia pure uscita dal giudaismo, un'altra religione monoteistica di contenuto etico e spirituale non inferiore ad esso, allora non è più il cristianesimo l’unico depositario e continuatore del giudaismo, non è più Gesù colui nel quale il pensiero giudaico si universalizzò e si spiritualizzò: Cristo, insomma, non è più il Messia.
(i) Pizzi in Bessarione, VII (4). 1899-00, p. 467 s. Gaster, Parsisi» in judaism, in Hastings, Enc. of rei., IX, p. 638. '
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Conseguenze gravi, che però converrebbe accettare se fossero dimostrate. Ma non sono tali.
Il prof. Pettazzoni non si offenda se gli dico che alcune volte egli usa parole la quali probabilmente vanno al di là del suo pensiero, e cèrtamente al di là della verità; Monoteismo etico? Ma se è proprio il mondo etico che il zoroastrismo divide in due scindendo il Bene dal Male e incontrando ciascuno di essi in'un diverso Dio. Monoteismo spirituale? Ma se è proprio il mondo spirituale che è diviso in due nella religione di Zoroastro non solo perchè tutto l’universo, come fatto, è opera di due spiriti opposti, ma perchè questa opposizione si propaga nello spirito stesso dell’uomo! Tutto al più si potrebbe parlare, ove il monoteismo postulato dal Pettazzoni fosse vero, di un monoteismo rituale cioè di una prassi inonolatrica, -che nulla ha che vedere col monoteismo giudaico.
Mi consenta l’egregio autore di esprimere il dubbio che egli non ha abbastanza meditato il rapporto tra le due religioni, e, nella ricerca di un fondaménto storico alla sua tesi monoteistica, ha dato troppo peso a fatti che in realtà non hanno rapporto necessario con la vita dello spirito.
Le connessioni tra giudaismo e zoroastrismo alle quali egli si riferisce (p. 79) sono innegabili, ma conviene saperle valutare da un punto di vista religioso. E perciò avremmo voluto vederle discusse proprio come fallò religioso, per vedere se questi nessi riguardano o no ciò che è propriamente lo spirito monoteistico giudaico, e il suo passaggio nell’Iran. Questa ricerca non importerà a chi, considerando il zoroastrismo come una religione dualistica, lo stacca dal gran tronco giudaico-cri-stiano, ma è un dovere per chi, come il Pettazzoni, non solo connètte strettamente il zoroastrismo al giudaismo, ma pone quello quasi alla stessa altezza spirituale di questo.
Questa indagine manca nel libro del Pettazzoni. Egli ricorda l’idea dello Spiegel che Zarathustra si incontrasse con Abramo in Haran, ricorda l'idea dell’abate Foucher che il riformatore iranico fosse discepolo dei profeti, ricorda la tradizione araba conservata da Voltaire e da vari storici dei secoli ix-xnr che Zoroastro fosse stato alunno di Geremia: giustifica con le condizioni storiche la possibilità del passaggio del monoteismo dal giudaismo al zoroastrismo, conclude che dovette avvenire mediante il contatto tra il grande riformatore e taluni ebrei deportati in Media (p. 83): ma non sfiora nemmeno il quesito, quale contenuto avessero questi rapporti religiosi giudaico-cristiani.
Or che cosa importa sapere se essi consistettero in conversazioni con deportati o piuttosto in letture di libri sacri, e dove e come e quando questi contatti avvennero se prima non affermiamo la realtà religiosa di questi rapporti, cioè se prima non sappiamo se e in che misura lo spirito monoteistico giudaico passò nel zoa-strismo?
Io ritengo che se l’egregio dotto avesse voluto tentar questa indagine, punto nuova del resto, il risultato sarebbe stato contrario alla sua tesi: perchè egli avrebbe constatato che le derivazioni giudaiche nel zoroastrismo
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riguardarono la materia mitica ed epica ma non la dottrina religiosa, che ci 3 è dall’ima all’altra religione passò la forma ma non il contenuto, la natura ma non lo spirito. A dimostrar ciò occorrerebbe un volume: noi qui accenniamo soltanto.
L’unica testimonianza antica che entri nel nocciolo del quesito è quella di Celso che il Pettazzoni cita (i): ebbene, Celso parla solo di una derivazione giudaica dalla cosmogonia persiana, cioè di una derivazione mitica, e non accenna punto a una derivazione persiana di contenuto spirituale dal giudaismo. E osserviamo il pensiero dei dotti che hanno investigato i rapporti tra le due religioni e che debbono pur avere per noi della autorità. Lo Spiegel ha impostato i suoi raffronti giudaico-ira-nici esclusivamente su basi mitiche: le quattro età del mondo, la genesi, l’eden, il diluvio (2); il Darmesteter afferma nettamente che l’influenza ebraica si manifestò non nella dottrina, ma nella forma, e la indaga nella creazione del mondo, nella discendenza dell'umanità da una prima coppia, .nel peccato originale, nella divisione della terra tra i tre figli di Noè che risponde alla divisione tra i tre figli di Thraetaona, nell’annunzio di Mosè dato dai tre patriarchi che risponde alla profezia di Yivanhao, Ath-wya e Thrita (3): il Gaster tratta di tre categorie di fatti, l'escatologia, l’angelologia, la demonologia, ed accentua anche quel che per lui è un fatto fondamentale, e cioè che questi rapporti tra le due religioni non riguardano per nulla il contenuto spirituale o dommatico delle due religioni (4); il Moulton, dopo aver esposto tutta una sèrie di raffronti tra le due religioni, (conclude che le analogie propriamente religiose e spirituali si debbono al caso, e che le vere derivazioni vanno limitate appunto alla angelologia, alla demonologia e alla escatologia (5); e il Pettazzoni stesso (p. 80) avverte che questi rapporti riguardano questa complessa materia mitica. Nè la ricca letteratura sull’argomento che il Pettazzoni cita (p. 105-6, note 52-54) riguarda altra cosa fuor che il mito 0 l'epos che dir si voglia.
Or tutte queste concordanze hanno tanto poco valore per il problema dell’origine giudaica del monoteismo zoroastrico quanto ne hanno per giudicare dei rapporti spirituali tra paganesimo e cristianesimo i noti confronti mitici ed epici tra Dioniso oppure Osiride e il Cristo. Quel che invece occorre è sapere se oltre e sotto queste eventuali concordanze mitiche ci fosse 0 no una concordanza spirituale. E allora noi vediamo in talune particolari dottrine un tale enorme divario, una concezione così essenzial(l) CELS, ap. Orig. C. Ccls. VI, 41, p. 609: Ì0UÒ4Ù01... 4Ù3t ri rr<p? svpavoù SÓyy.a cito* >.t-pvGCi ikV... /.ai Iltpoac;
(2) Spiegel, Eran (Berlino, 1863). V. la critica di M. Müller in Essais sur l'hisl. des rei. Pàr. 1872, p. 2026.
(3) Darmesteter, Zendavesta, III (Ann. Mus. Guim, XXIV), p. xli.
(4) Gaster, Parsism in judaism. in Hastings, Enc. of rei.,IV, 638.
(5) Moulton, Early Zoroastrianism. IX, p. 323 s. e p. 316, cfr. p. 296.
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MONOTEISMO E ZOROASTRISMO 391
mente diversa, da farci capire che, non ostante talune somiglianze mitiche, le due religioni erano assolutamente diverse.
Così, per esempio, la fine del mondo avviene in tutte e due le religioni mediante il fuoco: ma nel mazdeismo gli è un fuoco naturistico prodotto dalla caduta di un bolide il cui calore fonde i metalli della terra; mentre nel giudaismo gli è un fuoco sovranaturale, mandato da Dio; il mazdeismo insegna che il castigo dei malvagi è temporaneo, perchè dura tre giorni ed è seguito dalla beatitudine finale di tutta l’umanità, mentre secondo il giuda smo la péna è eterna; nel mazdeismo la resurrezione è universale, invece nel giudaismo risorgono solo i giusti, (i). Dunque entro i confini comuni del mito escatologico noi vediamo come non solo nell'origine del cataclisma ma anche nelle sue conseguenze le due religioni mostrino spirito completamente diverso. La concordanza riguarda fine a un certo punto la materia mitica: ma l’essenza resta .diversa.
Un altro esempio di quel che stiamo dicendo è dato dalle due figure di Ahriman e di Satana che sono apparse similissime a molti e anche al nostro autore (p. 80). Nonostante le somiglianze mitiche il fatto è che tra le due divinità c'è un divario enorme: Satana è creato da Dio, e Ahriman non è creato da alcuno e coesiste con Ahura-mazda: Satana è uno spirito distruttore e Ahriman è un dio creatore: l'uno opera per rancore verso Dio, l’altro perchè la necessità ve lo porta. Satana non è punto quel principio antagonistico e antitetico, indipendente dall’altro principio, che è Ahriman: è un angelo ribelle e niente altro. Al di sopra di lui c’è sempre Dio: invece al di sopra di Ahriman non c’è nulla. Per questo, mentre il parsi si difende da sè con i riti e le preghiere contro Ahriman il cristiano vien difeso da Dio contro Satana: Ahuramazda può fare il bene ma non può impedire il male: Dio invece può fare l’una come l’altra cosa. È questa la profonda differenza tra monoteismo e dualismo. Perchè nel primo vi può esser sì un principio antitetico al Bene, cioè a Dio, ma questo principio deve esser in ultima analisi derivato o creato da Dio, e può operare solo entro Dio anche se contro Dio: nel secondo il principio antitetico al Bene è autonomo, ha vita propria, è contro Dio e insieme fuori di Dio. Nel zoroastrismo il principio fondamentale è « la lotta incessante che si combatte per il regno del bene e il regno del male nei quali rispettivamente si ripartiscono tutte le creature » (p. 19), nel giudaismo vi è solo la ribellione di Satana che Dio permette per i suoi fini: e tutte le creature sono in Dio.
Tra Satana e Ahriman vi è sì dunque una generica concordanza mitica, (2) ma insieme il più profondo disaccordo spirituale.
Ma vi è di più. Anche ammesso che i rapporti tra le due religioni avessero quel contenuto propriamente religioso che il Pettazzoni suppone, chi gli dice che
(1) V. per tutti questi confronti specialmente Söderblom, La vie future d’après le mazdéisme {Ann. Mus. Guim., Bibl. d’études, IX, Paris, 1901), p. 230 s.» p. 281 s.
(2) Weiss, Die Predigt Jesus von Reiche Gottes. Gottingen, 1900, p. 32 s.: Soderblo in Revue hist, des rei. 48 (1903), p. 37.
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fosse proprio il parsismo a prendere dal giudaismo, e non viceversa? Quali sono le prove che le relazioni tra le due religioni non soltanto fossero intime e profonde già al tempo di Zoroastro, ma che avvenissero nel senso che il nostro egregio studioso suppone? Di relazioni e derivazioni tra parsismo e giudaismo molto si è discusso prò e contro; ma tutti hanno ammesso che queste derivazioni avvenissero in età tarda e in senso inverso a quel che il Pettazzoni pensa, e cioè che fosse il giudaismo a desumere dai parsismo: questo è appunto il pensiero del massimo campione di questi studi, il Bousset (i); quésto pensano il Gaster (2) e il Moul-ton (3) ; questo pensano altri dotti per il mito di Satana. La tesi del Pettazzoni viene dunque a urtare i fondamenti della scienza per due ragioni: prima perchè ammette tra parsismo e giudaismo delle derivazioni in età molto più antica di quello che la critica suole ammettere; e poi perchè concepisce queste derivazioni inversamente da quel che la scienza pensa.
La tesi dei Pettazzoni ci sembra dunque errata. Il zoroastrismo non fu mai una religione monoteistica e non fu una propaggine, riuscita o fallita, del monoteismo giudaico-cristiano: esso fu una riduzione, o semplificazione che dir si voglia, del politeismo, con mescolanza di elementi mitici giudaici, distinta dalle altre religioni naturistiche per un forte accento morale datole da Zoroastro. Religione grandissima certo fra tutte le religioni naturistiche, ma enormemente inferiore al monoteismo giudaico-cristiano.
Per comprendere questa inferiorità, e cioè per collocare il zoroastrismo, come qualsiasi altra religione, nel suo esatto punto occorre avere spirito religioso, essere cioè capaci di rivivere quella tal religione.
Or questo spirito religioso manca nel libro del Pettazzoni, che soffre tutto intero di un difetto fondamentale: lo storicis'mo eccessivo, la incapacità a ricostruire il fatto spirituale, la tendenza a fermarsi al fenomeno politico o sociale. La storia è certo svolgimento, come dice fautore, ma svolgimento di fatti interiori, perpetua creazione da dentro a fuori: chi non coglie questa vita interiore che è nella storia, costruisce uno schema storico, dietro al quale la vita dello spirito è scorsa forse in modo del tutto diverso da quel che noi pensiamo.
Or il prof. Pettazzoni mi scusi se gli dico che nel suo libro, benché solidamente costruito, noi troviamo la storia politica del zoroastrismo, ma non il zoroastrismo. Il lettore vi apprende come e dove Zoroastro avrà potuto vivere o operare e trova impostate e risolute con -acume e con ingegno le più piccole quistioni, ma non apprende dove sta la vera grandezza di Zoroastro, perchè egli fu profeta e come tale va considerato. Noi non apprendiamo una sola parola intorno alla escatologia, alla liturgia, alla morale del zoroastrismo, di tutto ciò insomma che costituì la vita e
(1) Bousset, Die Religion d. ludentums ini neulcstani. Zeitaltcr (Berliuo 1906), Spec.
§ Gaster, Parsism in judaism.
Moulton, Early Zoroastrianism, p. 322.
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MONOTEISMO E ZOROASTRISMO 393
la coscienza religiosa di un gran popolo lungo tanti secoli e attraverso tante vicende. Or questo è difetto gravissimo non tanto per ciò che riguarda il zoroastrismo in particolare quanto piuttosto in relazione a quella Storia delle religioni che il Pettazzoni ha iniziato e di cui questo volume rappresenta un anello. Noi ci chiediamo infatti assai perplessi quale efficacia potrà avere sulla nostra cultura questa iniziativa — prima in Italia — ove essa si ispiri a questa assenza completa di teoreticità e di spiritualità.
Ai di sopra di tutti i quesiti storici e cronologici vi è un più alto e grave problema. Il valoroso dotto lo ha sentito, e lo ha anche adombrato: «se quel rinnovamento religioso che si produsse nel giro d i p o c h i s e c o 1 i tra gli Ebrei con i profeti, tra gli frani con Zarathustra, tra i greci con l’orfismo, tra gli Indi con Buddha, tra i Cinesi con Laotse (e per riflesso con Confucio), sia effetto di altrettante evoluzioni indipendenti e convergenti, oppure di una irradiazione molteplice da un unico centro sconosciuto » (p. xvm). In altri termini, il problema è se la storia delle religioni (e tutta quanta la storia) debba considerarsi come natura oppure come spirito: se cioè quell’immenso processo che si chiama religione, e con esso tutto quanto il processo storico deli-umanità, è conseguenza dell’urto casuale di forze cieche e contingenti, oppure se è esso stesso creazione necessaria, volontà, ragione: se insomma questo centro sconosciuto esiste fuori di noi nella natura, o dentro di noi, nello spirito.
Napoli, aprile 1021.
Vittorio Macchioro.
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EBRAISMO E CRISTIANESIMO
ONO rimasto a ¡ungo dubbioso se prender parte nella discussione su « Ebraismo e Cristianesimo » sollevata dalla profonda e appassionata interrogazione rivolta dalla Signorina Ohlsen ai lettori e agli amici di Bilychnis (XVII, 37-8). Il mio dubbio era fondato specialmente sul carattere pratico della discussione, al quale io, egualmente lontano dalle due chiese e studioso dei
loro aspetti tipici da un punto di vista esclusivamente storico, mi sento estraneo, sì da
non essere in grado di portare nessun contributo efficace ai problemi che quella discussione suscita. I due scritti che Bilychnis ha pubblicati fin qui (XVII, 91-102,254-61), ambedue interessanti sotto più di un riguardo, ambedue nutriti di sòda dottrina e animati da uno spirito di fede interna, si riducono all’apologià dell'una e dell’altra fede e alla condanna implicita, se anche non affermata apertamente, della fede avversaria. Per D. Lattes la conciliazione tra Giudaismo e Cristianesimo può aver luogo soltanto col riconoscimento, da parte del secondo, della sua dipendenza dal primo; per G. Rodio il Giudaismo è una forma inferiore di religione, che il Cristianesimo ha rinnegata nell’atto di superarla e che, avendo assistito con sdegno impotente al trionfo del rivale, si sforza invano di sostituirsi ad esso trasformando il proprio contenuto a imitazione del deismo razionalistico e sociale sorto, in opposizione al Cristianesimo, sullo scorcio del sec. xvm e sopravvissuto nelle dottrine dall’umanitarismo democratico fino ai nostri giorni.
Impostata la discussione in questi termini (e non è possibile porne di diversi, quando si consideri la questione da un punto di vista confessionale), essa può proseguire all'infinito senza progredire di un passo; minacciando anzi di terminare su per giù al modo dell’indimenticabile « Disputation » heiniana... D'altra parte l'intervento dell’opinione di uno studioso aconfessionale non risolverebbe il problema, ma lo annullerebbe, poiché egli ne stabilirebbe i termini in modo del tutto differente.
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EBRAISMO E CRISTIANESIMO
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Mi sarei quindi astenuto dal prender la parola nel dibattito, pur seguendolo con simpatia, se non fossi stato tirato in ballo, molto involontariamente, da un accenno di Bilychnis (XVII, 300-1) a una mia conferenza sulla religione d’Israele che mi ha valso l’onore di alcune critiche, estremamente cortesi nella forma ma acerbe nella sostanza, da parte del Sig. I. S. nel periodico sionista Israd. Nel riportare il sunto delle mie parole quale lo ha disteso I. S.» Bilychnis ha dato ad esse una divulgazione che ¡ni riesce oltremodo lusinghiera, ma che riferisce inesattamente il mio pensiero, il quale non è stato colto nel suo significato preciso dal cortese critico di Israd: questi, preoccupato di dimostrare una contraddizione tra certe mie affermazioni che gli parvero di ammirazione verso la religione d’Israele e certe altre che ritenne disconoscessero il valore attuale di essa, ha riferito alcuni punti isolati del mio ragionamento, senza coglierne il nesso e senza tener conto della dichiarazione colla quale io avevo esordito: che cioè, mentre riconoscevo e apprezzavo 1 immenso valore del fenomeno religioso nello svolgimento dello spirito umano, tuttavia nel giudicarlo mi collocavo su un terreno esclusivamente storico (1).
Anche su questo terreno, tuttavia, il giudizio della scienza coincide con quello della fede neH’affermare il carattere essenziale che distingue e distacca il Cristianesimo dal Giudaismo: esso sta tutto intero nella breve formula che U. Janni (Bilychnis XVII, 262) ha assunta, con piena ragione, quale depressione fondamentale dell’essenza del Cristianesimo: la coscienza religiosa di Gesù. Oltre questa, non vi è altra « essenza del Cristianesimo », così come, del resto, nella coscienza religiosa del fondatore sta tutta 1’« essenza » (ossia il carattere specificamente originale) delle religioni individuali: Buddismo, Islamismo, Par-sismo (?) ecc. (2). Tutto il rimanente è in esse, come nelle religioni di carattere nazionale, prodotto di un processo storico che ha mutuato, sviluppato e assorbito infiniti elementi di provenienza e di indole disparate, sia trasformandoli e adattandoli armonicamente al proprio contenuto primitivo, sia accogliendoli tali e quali e superandone l’eterogenesi coi procedimenti irrazionali ben noti agli studiosi di storia della religione.
Ma la coscienza religiosa di Gesù può essere considerata come un dato storico nel senso stretto della parola? Certamente no; poiché la scienza storica, dopo averne affermato resistenza, non è in grado di meglio determinarne il carattere.
(1) Rimando chi desiderasse saperne di più al testo della mia conferenza che sarà pubblicata prossimamente dalla « Libreria di Cultura ■ di F. Lenzi col titolo: Lo svolgimento dell’idea di Dio nell'antico Israele- In essa d I resto, ai rapporti tra Giudaismo e Cristianesimo, si accennava soltanto di volo, sulla fine, senza entrare in particolari che avrebbero richiesto una trattazione a sè.
(2) II punto interrogativo è dovuto ad alcuni miei dubbi intorno al caràttere storico della figura di Zqroastro, non ancora del tutto tolti neppure dalle erudite e ingegnose argomentazioni di R. Pettazzoni nel suo bel volume La religione di Zarathustra (Bologna, Zanichelli, 1921). Cfr. anche Bilychnis XVI, 177-95. e la mia recensione in Rivista di Cultura, 15 a; rile 1921.
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MONOTEISMO E ZOROASTRISMO
(a proposito di un libro recente)
ell’opinione comune di dotti e indotti il zoroastrismo è la religione tipica del dualismo, che è cosa diversa tanto dal monoteismo quanto dal politeismo, perchè ammette non un solo dio nè parecchi dei, ma due sole divinità, impersonanti la antitesi cosmica del bene e del male, della vita e della morte-Solo alcuni dotti hanno voluto affermare cjie il zoroastrismo
fosse una religione monoteistica (i), ma senza trovar gran seguito. Questa idea monoteistica è stata rimessa in vigore recentemente da un valoroso e reputato studioso di storia delle religioni, Raffaele Pettazzoni, il quale di essa ha fatto il centro di una sua personale visione del zoroastrismo e della storia di questo, e della sua posizione nella storia delle religioni (2).
Secondo il Pettazzoni il zoroastrismo sarebbe stato in origine monoteistico, e questa dottrina monoteistica, derivata dal giudaismo, sarebbe stata gradatamente soffocata dal dualismo nazionale, così da uscirne profondamente modificata: e tutta la storia del zoroastrismo consisterebbe in questo progressivo processo di deviazione dall'originario pensiero monoteistico. Stando al Pettazzoni, dunque, noi dovremmo non solo reputar errata la concezione tradizionale dualistica del zoroastrismo, ma anche connettere questa religione con la corrente monoteistica giudaica, di cui sarebbe propaggine, abbandonando la credenza* universalmente diffusa che non riconosce altro filone monoteistico fuori che quello della gran corrente giudaico-cristiana.
Ora, se la prima tesi intorno al zoroastrismo è in fondo una opinione storica che non può aver ripercussione fuori di quei pochi che si occupano di zoroastrismo,
(1) Spesso per servire a una particolare tendenza. P. es.. il Jeremías (Allgem. Reti-gionsgesch . Monaco. 1918. p. 122) cede forse alla sua visione pa babilonica affermando che »1 zoroastrismo non è dualistico nè metafisicamente nè relig osamente. Religiosamente lo è di certo. Tutto al più si può afferma re (come. p. es., Oldenbf.rg, Die iranische Religión (inHiNNBERG. Die Kultur der Gegencoarl, I, III. 1 Berlino. 1906] p. 82) che nel zoroastrismo vi è un forte tratto monoteistico. il che è vero. Cosisi spiega che i Parsi odierni negano che la dottrina zoroastnca sia dualista: V. Menant in Hastings, Encycl. of rei and elntcs, IX. p. 649. e Casarteli.ì. ivi. Vili.
(2) R. Pettazzoni, La religione di Zarathustra nella storia religiosa dell'Iran (Bologna, Zanichelli. 1920). ■
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MONOTEISMO E ZOROASTRISMO
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e che anche da altri è affermata, non è così della seconda che, per quanto so, e pensiero originale del Pettazzoni, e che tende a infirmare ciò che è cardine e base della fede cristiana. Non si può infatti ammettere che fuori dal monoteismo giudaico uscisse una qualsiasi corrente monoteistica, la quale non fu capace di affermarsi e di vincere, senza perdere un poco di fiducia in quella universalità e assoluta va lidità che il credente attribuisce al monoteismo giudaico-cristiano, e che per lui ha il valore di uria rivelazione.
La portata della tesi del Pettazzoni è dunque assai grande, sia pure fuori della sua volontà: e come avremmo applaudito di gran cuore se essa risultasse provata, così ci sentiamo il dovere di dire le molte ragioni, per le quali essa ci appare inaccettabile, pur rispettando le solide qualità di studioso che tutti riconoscono al Pettazzoni e che appaiono diffuse in tutto il suo libro.
ì.
fi Pettazzoni non dubita affatto del primitivo monoteismo zoroastrico. « Del zoroastrismo è caratteristica la credenza in un Dio solo: Ahura Mazda (Ortnazd). L’oppositore di Ahura Mazda il principio del male, Anramanya {Ahriman) non è un dio: è l’antidio, l’antitesi dualistica del dio vero e sommo» (p. 1). « lidio di Zarathustra è un dio unico. E’ questo un concetto che non solo è estraneo a tutta la tradizione iranica, ma contrasta con essa in modo assoluto. Per esso Zarathustra inaugura un’epoca nuova nella storia delle genti iraniche » (p. 55). « Fuori di questa grande via maestra (il giudaismo e il cristianesimo) rimane, in tutta l’antichità, una sola formazione monoteistica veramente tale, e che veramente risulti vitale e duratura: quella appunto del Zoroastrismo » (p. 78).
Da questa dottrina nettamente monoteistica il zoroastrismo sarebbe deviato, uscendo dal suo universalismo^ per diventare religione nazionale: « la storia del zoroastrismo si svolse in modo che il monoteismo intransigente delle origini fu poi temperato con il riconoscimento e l’adorazione degli antichi iddii» (p. 74); così che questa religione « per non aver vinto la sua vittoria e non aver vissuto la sua vera vita di religione fondata e ultranazionale, influì poi sempre in senso perturbatore su tutto lo svolgimento successivo del pensiero e della vita religiosa persiana» (p. 189).
Tutta intera la storia del zoroastrismo consisterebbe dunque in una progressiva deviazione, prodotta dalle condizioni politiche, dalla idea monoteistica, la quale, in conclusione, non si sarebbe attuata mai, non sarebbe diventata vera storia, sarebbe rimasta sempre allo stato potenziale.
Or è possibile questo? E’ possibile una storia, la quale consista in un perpetuo deviamento da una idea che non riesce a realizzarsi? Questo è possibile in un solo caso: che quella idea sia un errore; allora la conquista graduale della verità appare come una deviazione da quella idea: ma è deviazione che non è però decadenza. Ora noi potremmo consentire col Pettazzoni che l’intera storia del zoroastrismo possa apparire come una deviazione dal monoteismo a condizione che, me-
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Quella coscienza è presente nella formazione e nell'elaborazione dèlia tradizióne evangelica, sussiste, in un certo senso, in tutto lo svolgimento ulteriore del Cristianesimo fino ai nostri giorni (è questa la tesi « cattolica » sostenuta con vigorosa genialità dal Loisy in L'Évangile et l'Église, che rimane, a dispetto della condanna, la migliore apologia della Chiesa che sia stata mai scritta); ma è, fin dalle sue origini, qualche cosa di inafferrabile e di intraducibile coi mezzi dell’indagine storica, e rimane, così per la scienza come per la fede, un mistero.
Che la predicazione di Gesù non presenti nel suo aspetto materiale (per così dire) quasi nessun elemento che non si riscontri nella tradizione del Giudaismo è stato rilevato opportunamente, dopo altri, dal Lattes; ma ciò di cui egli non ha tenuto conto è che la conversione del mondo antico al Cristianesimo (a cominciare dagli stessi Apostoli e dai primi discepoli) non avvenne sulla base della adesione alla teologia o alla morale di Gesù, ma su quella della fede nella personalità di lui. Il Lattes, essendogli sfuggito il carattere personale del Cristianesimo (del quale pure sono testimonio non solo i quattro Vangeli, ma tutto lo spirito che pervade l’apostolato di S. Paolo), non sa rendersi conto del come quelle stesse massime di morale purissima, di spirito religioso elevatissimo, che egli ha riscontrate attraverso il Talmud, non abbiano convertito il mondo finche furono diffuse sotto la specie de? Giudaismo, mentre lo hanno convertito quando furono proclamate nel nome di Gesù: in realtà l'elemento decisivo del successo di tutti i movimenti spirituali, e di quelli religiosi in ¡specie, non sta nell’originalità del loro contenuto intellettuale o morale, ma nell’energia del loro impulso emotivo.
D'altra parte il Cristianesimo si differenzia nettamente dal Giudaismo in quanto ha definitivamente infranto l’esclusivismo nazionale di questo ed ha accolto in misura infinitamente più larga elementi della vita religiosa del paganesimo semitico e classico. Il Cristianesimo può considerarsi, dal punto di vista dello sviluppo storico (e così viene infatti considerato da molti, e perfino nell’ultima edizione del manuale di storia della religione di Tiele-Soderblom, non certo sospetto di « agnosticismo »!), quale il punto di arrivo di quel processo di sincretismo orientale-ellenico al quale è dovuta la formazione della coscienza religiosa moderna. Tendenze a un compromesso tra nazionalismo e universalismo si riscontrano, è vero, anche nel Giudaismo (Filone e il proselitismo « noachico » ne sono l'espressione più tipica); ma anche in questo caso ciò che conta -non è già la presenza di determinate tendenze in seno a un movimento spirituale (tutti contengono in sè elementi antagonistici), bensì il prevalere di esse sulle tendenze opposte. Nessuno può dire che cosa sarebbe avvenuto del Giudaismo se la tendenza profetica e universalistica avesse prevalso su quella legalistica e nazionalistica, nè del Cristianesimo se nella controversia tra Paolo e Giacomo questi fosse riuscito a persuadere quello; ma il fatto è che il Cristianesimo divenite religione universale, e il Giudaismo andò sempre più accentuando il suo carattere esclusivistico; anche nella formula «modernistica» che il Lattes propugna, seguendo l'impulso di E. Benamozegh (una delle figure più originali del Giudaismo del sec. xix), il con-
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trasto tra Israele e i Gentili è attenuato; ma non soppresso: Israele continua a rappresentare, nell'ideale società religiosa sognata dal I-attes, un’accolta di eletti, un’« aristocrazia » che si colloca al centro, e al disopra, del rimanente dell'umanità. Conosce il Cristianesimo alcunché di simile?
Che il Cristianesimo sia « figlio » del Giudaismo è un truismo storico che nessuno penserebbe seriamente a contestare ; ma appunto questo processo di figliazione segna la fine del Giudaismo come movimento spirituale autonomo. Poiché, essendo quanto di vitale era nel Giudaismo passato nel Cristianesimo e incorporatosi in esso, venne a perdere ogni carattere specificamente giudaico, e alla religione madre rimasero come patrimonio proprio soltanto gli elementi formali meno fecondi. Israele si esaurisce nel Cristianesimo, come ogni processo spirituale si esaurisce in quello che gli tien dietro e lo sviluppa: riconoscere questa fatalità storica non significa punto rinnegare il valore di chi è stato precursore, ma anzi attribuirgliene uno del grado più alto possibile.
Che i credenti nella religione d’Israele non sappiano adattarsi all’isterilimento della fede avita è troppo naturale e legittimo perchè possa loro muoversene rimprovero. Ed è altrettanto naturale che quelli di essi i quali sentono intensamente i nuovi problemi e le nuove esigenze spirituali dell’età moderna credano alla presenza nel Giudaismo di principi e di tendenze atti a risolvere quei problemi e a rispondere a quelle esigenze, e ritengano invece il Cristianesimo incapace di tale funzione. Si spiega così il formarsi di un « Neo-ebraismo », che potrebbe chiamarsi aconfessionale » in quanto rinunzia alle forme del culto tradizionale e ravvisa il centro della religiosità ebraica nell’aspettazione del regno messianico, che viene identificato col progresso indefinito della società umana quale era postulato dal-l’ottimism^ borghese-democratico del sec. xix (i) .Questo Neo-ebraismo sorse in Francia, che è appunto il paese d’origine di quella concezione borghese-democratica, nella seconda metà del secolo scorso (coincidendo, per un’inevitabile reazione, coll’apparire dell'antisemitismo di contenuto non religioso, ma economico e sociale), e venne adottato, con più o meno calore di convinzione, da quel numeroso stuolo di Ebrei nei quali il contatto coll’alta società cristiana e colla cultura moderna aveva spento l’abitudine delle pratiche cultuali e la fede nei dogmi positivi del Giudaismo, ma che non sapevano rinunziare allo « spirito di razza », al sentimento orgoglioso di essere il « popolo eletto », destinato a restaurare e perfezionare la felicità terrena del genere umano.
Senonchè questo estremo tentativo di rinnovàre il contenuto del Giudaismo e di salvarne l’originalità e l’attualità (il quale costituisce uno dei poli del movimento sionistico: l’altro è dato dall'anelito tragicamente commovente dei nuclei giudaici dell’Europa orientale verso una patria che abbiano il diritto di chiamare
(i) Si veda la descrizione di questo, condotta con indagine sottile e con vivace sentimento dello svolgimento spirituale della società borghese del sec. xix, in vari punti di La crisi mondiale del mio amico A. Tilgiier (Bologna, Zanichelli, 1921), specialmente nei cap. VI e XV.
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serpente e l’inverno; a Gàu oppone una vespa che uccide gli animali e desola i campi, a Mouru oppone le calunnie, e Via dicendo (Vendidad. Farg. I 5 s.) : tutto ciò che nel mondo è male fisico o spirituale è creazione di Agramainyu. Ora, nel monoteismo non esiste creazione fuori di Dio: il male .è solo una conseguenza del cattivo uso di ciò che Dio ha creato, ma non è esso stesso creazione. Satana può distruggere, ma non potrà mai creare.
Proprio in questa anticreazione malefica, che si oppone alla creazione benefica, sta l’essenza del dualismo. Perchè per essa l’universo si divide in due creazioni, la buona e la cattiva: e la prassi consiste nel ridurre, neutralizzare, superare comunque questa creazione cattiva che circonda o minaccia l’uomo in tutti i momenti. Tutta la attività rituale e culturale ha quest’unico scopo di unire l’uomo a Dio in questa lotta contro il male, di combattere il male dovunque si manifesta. Zoroastro chiede ad Ahura Mazda: « Come devo purificare il fuoco, come l’acqua, come la terra, come il bestiame, come l’uomo puro, come la donna pura, come le stelle, come la luna, come il sole, come le luci senza principio, come tutti i beni che Ahura Mazda ha creato, che hanno una origine pura? » E Ahura Mazda insegna le varie preghiere, la cui formula finale dice: « Io ti combatto, o cattivo Agra-mainyus via dalla casa, dal fuoco, dall’acqua, dalla terra, dal bestiame, dall’uomo puro, dalla donna pura, dalle stelle, dalla luna, dalla luce senza principio, da tutti i beni che Ahura ha creato e hanno una origine pura » (Vendidad, Farg. XI 32).
Tutto questo non avrebbe senso nel monoteismo. La prassi monoteistica non ha lo scopo di combattere il male, ma di realizzare il bene: non respinge Satana ma cerca Dio. Non vi è una parte dell’universo che sia specifica creazione e dominio particolare del Maligno: egli può. entrare e dominare da per tutto, ma per cacciarlo non vi è altro mezzo che ricorrere a Dio.
La antitesi tra le due forme di coscienza è dunque profonda e irriducibile. E' vero che « quel dualismo antagonistico fra un principio del bene e un principio del male, ch’è dottrina capitale e caratteristica del Zoroastrismo solo nelle parti meno antiche dell’Avesta ci appare nella piena formulazione » (p. 7): ma non so intendere come il Pettazzoni non veda che non si tratta di quantità cioè di più o meno dualismo, ma di qualità cioè di d u a 1 i sm o sì o dualismo no. Riducete il dualismo, andando a ritroso nel tempo, quanto volete, non arriverete mai al monoteismo senza far un salto enorme dall’una all'altra posizione. Limitate la materia quanto volete, riducetela a una molècola o a un atomo, sarà sempre la antitesi del nulla.
III.,
Ora io mi chiedo come mai l'egregio autore abbia potuto trovare nelle Gatha, che sono il documento più antico e più autentico del zoroastrismo, la conferma della sua concezione monoteistica.
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MONOTEISMO E ZOROASTRISMO
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Nelle Gatha, secóndo il Pettazzoni, c’è un monoteismo «rigoroso e intransigente » (p. 58), « non ancora sostanzialmente intaccato dall’incipiente dualismo » (p. 57). A me questo non pare. Io trovo nelle Gatha, come quasi tutti, il più deciso e preciso dualismo. « Questi due celesti esseri - vi leggiamo (Yasna XXX, 3), - i gemelli, si accordarono su ambedue le cose, il bene e il male, in pensieri, parole e azioni. Quando questi due esseri celesti si incontrarono per primamente creare la vita e la morte e come da ultimo il mondo debba essere: il cattivo per i cattivi, e i puri lo spirito òttimo. Di questi due celesti scelse le cose cattive il cattivo agendo, le cose pure lo spirito santissimo ». E altrove (Yasna XLIV, 2): « Ora io voglio annunciare: i due celesti dal principio del mondo - di questi due parlò il santo così al malvagio: Non i nostri spiriti, non le nostre dottrine, non il nostro intelletto, non i nostri desideri, non i nostri discorsi, non le nostre opere, non le anime si riuniscono ». Io non so come in questi passi si possa riconoscere non dico un monoteismo rigoroso e intransigente, ma addirittura il più piccolo barlume di monoteismo. Converrebbe a ciò che questi due spiriti opposti fossero immaginati quali creature di un più elevato principio universale: ma nelle Gatha questo non è detto: e vi è detto invece che essi sono primordiali e increati. Noi troviamo sì questa dottrina nel zervanismo che immaginò Ahura Mazda e Ahriman figli di Zervan, il tempo increato, e che probabilmente si appoggiava a questo testo delle Gatha (1), ma la dottrina zervanica fiorì solo nel v secolo dopo Cristo: e di essa nel zoroastrismo primitivo non vi è traccia. Non è dunque possibile ammettere che nelle Gatha sia espresso un qualsiasi monoteismo.
Vero è che a una lettura superficiale esse vi danno quello che definirei come « impressione monoteistica », tanta e così continua è la esaltazione di Ahura Mazda come creatore e datore di ogni bene: ed è forse questa impressione che ha fuorviato il Pettazzoni. Ma ciò è naturale, perchè l’uomo invoca e loda solo quel Dio da cui può sperare del bene, e non quel dio dal quale può solo aspettarsi del male: questo cercherà di placarlo o respingerlo, ma non lo esalterà con le lodi. E’ ovvio dunque che nelle Gatha si esalti solo Ahura Mazda; ma questo non è monoteismo, e solo « monolatria del dio buono ». E non ha impedito ai dotti di riconoscere nella Gatha proprio il più puro e schietto dualismo (2).
Forse fu questa impressione mónoteistica che indusse il Pettazzoni a dire che «da questo dualismo viene all’idea monoteistica mazdea forse minor jattura di quella che talvolta parve venire al monoteismo cristiano dal dogma della Trinità » (p. 2). Mi duo! di dover dire al Petazzoni che qui egli prescinde un po’ troppo dalla esperienza religiosa, senza la quale non è possibile giudicar di simili problemi perchè questo modo direi quasi aritmetico di ragionare, è contrario allo spirito stesso del cristianesimo. La verità è che il dogma della Trinità non preir) Darmesteter, Zendavcsia I, p. 221 nota.
(2) Spiegel. Commentar über das Avesta (Vienna, 1868), II, p. 180. Per Darmesteter (o. c. p. I, p. 218) questi versi contengono una esposizione del princìpio del dualismo.
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propria) dimentica che quell'aspirazione messianica che esso pone come patrimonio esclusivo dell'anima ebraica, pur essendo veramente ebraica nelle sue origini, non è ormai più nè ebraica nè cristiana, ma è divenuta « umana » nel senso più ampio della parola. Agli impulsi spirituali l’umanità, una volta fattili suoi, non riconosce «diritti di autore», e come il pensiero filosofico non è più retaggio esclusivo dei Greci, così gl'ideali che Israele ha propagati nel mondo — il monoteismo e il messianismo — non gli appartengono più in proprio, ma sono comuni a tutti.
Io non penso certo a negare al Giudaismo contemporaneo un valore attuale di religiosità: il solo fatto che alcuni milioni di individui trovano in esso il soddisfacimento dei loro bisogni spirituali basta a conferirgli il diritto all’esistenza. Ma eguale diritto conviene riconoscere a ogni credenza religiosa, alta o bassa, ricca o povera di seguaci che sia, in quanto adempie adeguatamente alle esigenze di quelle anime che ne traggono motivi di conforto e di speranza. Ciò che non mi sembra potersi riconoscere al Giudaismo è un valore -mondiale, è la capacità di essere tuttora un fattore importante dello sviluppo religioso dell'umanità. Potrebbe discutersi, se mai, se tale capacità sussista ancora nel Cristianesimo, q se anche per esso sia già iniziata la fase discendente e stia per sorgere, o già sia sorta, una nuova forma religiosa che sarà rispetto al Cristianesimo negli stessi rapporti di questo col Giudaismo, essendone la continuatrice e al tempo stesso la rinnegatrice. ¡Potrebbe discutersi, dico; ma sarebbe discussione oziosa, perchè soltanto il trionfo della futura religione (se e quando sarà) darà, col fatto, la risposta al nostro dubbio.
Da quanto ho detto fin qui, sforzandomi di esporre il mio pensiero con chia- • rezza e sopra tutto con una franchezza che non vorrei fosse riuscita penosa, contro ogni mia intenzione, ai fedeli di qualsiasi credo, risulta che io nutro scarsa fiducia nella possibilità di un'intesa tra Giudaismo e Cristianesimo quale la auspica il Lattes, quale sembra vagheggiarla implicitamente (con polarizzazione opposta, s'intende) la stessa Signorina Ohlsen nella sua lettera introduttiva. L’impossibilità di tale intesa mi sembra dipendere non tanto da ciò che le due religioni hanno di diverso e di opposto, quanto proprio da ciò che hanno di comune e che a ciascuna delle due sembra essere di suo esclusivo dominio. Due religioni che aspirano l’una e l’altra a divenire la religione del mondo intero non possono mai trovare un termine medio di accordo: i sincretismi avvengono tra religioni particolaristiche (esempio tipico quelle dell’antichità greco-romana), non mai tra religioni universalistiche, tanto meno tra due che, avendo origine comune e presentando somiglianze di contenuto, non possono essere se non rivali irreconciliabili. Come tra Giudaismo e Cristianesimo, così è impensabile un compromesso tra una di queste due fèdi e l'IsIàm, benché questo non sia, in fondo, se non una setta giudeo-cristiana, anzi appunto perchè è tale. Dal seno dell'IsIam sono sorti, è vero, svariati tentativi di unione tra le tre fedi monoteistiche derivate dalla fonte comune della religione d’Israele; ma tutti questi tentativi — l’ultimo, il Babismo nella sua più recente fase behaista, sta acquistando proseliti numerosi in America e in Europa — in quanto oltrepassano la cerchia dell’esclusivismo dell'IsIam, sono completamente fuori di esso, e devono
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EBRAISMO E CRISTIANESIMO
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considerarsi propriamente religioni nuove piuttosto che rifórme della religione musulmana.
La riconciliazione può aversi, anzi si ha già, ma non sul terreno delle formulazioni dogmatiche, bensì su quello delle relazioni individuali tra credenti delle singole chiese, e sempre più si accentuerà se il sentimento di tolleranza non verrà travolto dall’imperversare di tendenze opposte che sembrano guadagnar favore nell’attuale momento storico; ma le religioni in quanto edilìzio teologico-cultuale e aggregato sociale non possono non essere se non intolleranti. Ed è bene clic siano tali: tolleranza significa, nel campo teoretico, riconoscimento dell’inadequazione della conoscenza alla realtà piena di mistero che ci circonda, significa collocamento di un limite che nè la ragione nè l’intuito possono varcare. La considerazione storica è tollerante in quanto riconosce di non essere in grado di risolvere se non i problemi che cadono sotto il suo dominio e non presume di assumere nel proprio ambito la totalità dell’essere. Appunto per questo essa ci aiuta a comprendere, ma non ad agire: l’azione può essere stimolata soltanto dalla fede che non conosce limiti nè ostacoli, che risponde, al difuori e al disopra della ragione, a tutte le domande che lo spirito le rivolge per i fini pratici del proprio svolgimento. « Scandalo pei Giudei, follia pei Greci », ma strumento necessario dcll’operare, condizione indispensabile del vivere.
Giorgio Levi Della Vida.
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PER* LACVLTüRA k I DELL'ANIMA* a
SAPER ASPETTARE
Strane confusioni governano la mente c turbano spesse volte il giudizio dei più intelligenti. Prendete la parola pazienza. Che cosa s’intende per essa se non una virtù di second’ordine, praticata specialmente dai deboli? Si vede soltanto l’ima-gine della schiena curva sotto le sferzate; tutta una serie, insomma, d’atteggiamenti passivi. Sembra esularne l’idea stessa di azione...
Eppure, se v’è una forza nel mondo, questa è la pazienza.
Le manifestazioni abituali dell’energia implicano movimento, rapidità, rumore. La pazienza sta tutta in lentezza c in silenzio. Sonvi ore in cui il chiasso non giova, in cui la somma saggezza consiste ncl-l’aspettare piuttosto che nel buttarsi avanti, in cui si va più presto c con maggiore sicurezza co) saper moderare la marcia piuttostochè coll’aftrettarla. I*a pazienza, ponderata e risoluta, che sa contenersi, stare in riserva pur essendo pronta a fare senza debolezza il passo che occorre compiere, quella pazienza è una qualità d’ordine superiore; i forti solo ne sono capaci; cieco è chi ne misconosce il valore.
Rimpiango che la cultura d’una virtù sì rara sia caduta in disuso. Oggi tutti hanno fretta; aver fretta è cosa in voga; ciò rivela uno spirito vivace; non essere abitualmente trepidante equivale a classificàre se stesso fra gli esseri inferiori della creazione. Un vertebrato che si rispetta ha per andatura normale il galoppo.
Un certo numero di bellissime invenzioni hanno contribuito a favorire l'impazienza nell’uomo civilizzato. Un po’ dovunque, nell'attività moderna, la preferenza è data ai procedimenti accelerati; tutti vogliono essere serviti subito; si va avanti a spintoni. C'è una domanda: occorre la risposta subito; se il tempo di riflettere fosse con
cesso a chi risponde, la risposta forse ci guadagnerebbe: ma questo non è il parere generale: la migliore risposta è la più rapida.
In altri tempi, allorquando s’eran scritte delle lettere, bisognava fare il conto -colle distanze per ricevere notizie dai propri corrispondenti. Al telefono, se si aspetta due minuti si pestano i piedi, se il ritardo aumenta gli abbonati diventano furiosi. Una suoneria elettrica messa in azione da dita febbricitanti, ecco il simbolo del nostro stato d’animo. Ne ricaviamo noi un grande giovamento? Temo di no. Coll’impazienza si fa cattivò lavoro, cattiva politica, cattive relazioni sociali e familiali, educazione deplorevole c felicità assai dubbia.
La natura, madre degli esseri, è paziente. Compenetrata della grande saggezza ili cui si riposa l’universo, essa altresì ha la medesima magnifica ponderazione. S’ella sconvolge la mente colla rapidità del lampo e del raggio di sole, essa pur nullameno possiede il secreto delle incubazioni lente, delle evoluzioni a lunga scadenza. Non appena la natura ci appare nel campo della vita, l’azione sua si fa più raccolta: la vita è il capolavoro della pazienza.
E noi vorremmo introdurci i nostri procedimenti semplicisti, la nostra meccanicità sommaria, la brutalità del nostro metodo « a serie »! L’impazienza sprigionata in quella sfera d’azióne è simile al cinghiale in un giardino, al bue in un palazzo di cristallo. Per le grandi opere occorrono le lunghe pazienze! Il tempo rispetta quello soltanto che ha prodótto. Ñon considerate questo vecchio adagio della sapienza dei popoli come uno di quegli aforismi da vecchioni, che se ne vanno, scrollando il capo, a seminare il loro pessimismo sotto i passi risoluti delle giovani generazioni. Il tempo rispetta quello soltanto che ha prodotto', è un
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PER LA CULTURA DELL’ANIMA
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principio sicuro che ha fatto le sue prove nel crogiolo dell’esperienza.
Costruite una casa, o costruite la città: piantate alberi o coltivate istituzioni; scolpite il marmo o scolpite i caratteri: occorre tempo per costituire ciò che deve durare. Occorre tempo alle piante ■ per crescere, alle semine per trasformarsi in messi, al cercatore, per fare le sue scoperte, ai fan
ciulli per diventare uomini: occorre tempo alle ferite per cicatrizzarsi, ai malati per guarire, ai dolori per attenuarsi.
Non sapere aspettare, è non conoscere della scienza della vita uno de’ secreti primi. Ed è anche un condannarsi, presto o tardi, ad essere infranti contro il veto formidabile di fronte al quale tutte le impazienze sono eguali nella loro vanità.
SAPER SOFFRIRE
I-a sofferenza non è — come si sarebbe tentati di crederlo — un accidente sopr.'g-giunto nel gran fenomeno della vita, e che si potrebbe quindi sopprimere.
Uno dei caratteri essenziali della vita è la sensibilità <• chi dice sensibilità dice facoltà di ricevere impressioni di ogni genere, liete o meste, piacevoli o penose: il dolore è dunque inseparabile dalla vita.
In pari tempo, il dolore porta in sè delle caratteristiche le quali ci eccitano involontariamente a fuggirlo, a preservarcene con diversi mezzi. Una delle sue funzioni è d'essere il guardiano della vita. Se non ci fosse il dolore, l’uomo, per ignoranza, capriccio, curiosità o desiderio illimitato di godere, distruggerebbe sin dall’infanzia sè stesso. Non sono i genitori nostri che ci fanno le inibizioni più severe: è il dolore: ad ogni istante esso ci agguanta, ci brucia, ci urta. Nessuna autorità di educatore dice con tanta fermezza: alto là! E questa funzione adempiuta nei riguardi del fanciullo; il dolore l’adempie più tardi nei riguardi dell’uomo. Nè questo fenomeno si verifica nella sfera individuale soltanto; il dolore è stato, in ogni tempo, l'educatore principale dell’umanità. A lui dobbiamo il meglio dei nostri progressi, le più pure nostre creazioni nelle scienze e nelle arti, la parte più confortatrice del nostro pensiero filosofico e della nostra fede religiosa.
E quand’anche tutto ciò si volesse contestare, rimarrebbe pur sempre il tatto del dolore, fatto concomitante colla vita e che durerà quanto essa. Bisognerà dunque sempre fare i conti col dolore; nessuno potrà evitare di affrontarlo: esso è il grande problema di tutti e di ognuno, lo è sempre, stato, lo sarà sempre. Che cosa possiamo noi fare di meglio per la sua soluzione?
Possiamo imparare a soffrire.
Però intendiamoci. I miei non vogliono essere consigli fatalistici. Dire: il dolore esiste, esso è inevitabile, nessuno può sfuggirgli, dunque bisogna accetterlo e sopportarlo con passività muta — ciò non è comprenderlo, ciò è misconoscerlo di primo acchito.
Il-dolore non ancora ci ha toccato eh’esso già si rivela come un pungiglione. Tutto quanto esso contiene d’incisivo ci penetra n^lla carne o nell’anima a guisa di,agente eccitatore. Il dolore inocula in noi un germe di azione piuttosto che un bacillo d’inerzia; esso, piuttosto che un. narcotico, è uno stimolante. Lungi dall’essere una fine la sofferenza è un principio e tale essa diventa se è compresa e trattata come si deve. Prendiamo dunque il nostro dolore, quale esso sia, come una materia prima che occorre saper manipolare: dà noi dipende di sciuparla o di trarne profitto.
Ma per utilizzare il dolore bisogna incominciare col prenderlo quale esso è; ciò non implica una rassegnazione passiva : è la constatazione d’un fatto. Negare il fatto, ribellarsi contro la sua esistenza non serve a nulla. Non bisogna dire: no, la cosa non è accaduta, non sono stato toccato. non voglio aver avuto questa noia, questa disgrazia; bisogna dire: è successo, ed ora che cosa resta da fare?
Perchè sarebbe nefasto dire: non c’è più nulla da fare. Vi son sempre da fare parecchie cose- buone o parecchie cattive; la Siore di tutte è di dire: non c’è più
1 da fare. Gli accidenti parziali possono essere limitati o attenuati, gli accidenti definitivi, come le mutilazioni, la morte stessa, cambiano affatto carattere a seconda di Ciò che se ne pensa. Se dunque la
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402 materialità dei fatti è irriducibile, rimane da elaborare l’effetto interiore ch’essi producono su di noi. Per un essere organizzato come l’uomo, il lavoro su se stesso è il più importante e il più fruttuoso di tutti.
Saper soffrire significa dunque di primo acchito, dopo i primi sintomi d’un male Ìualsiasi, l’organizzazione di una lotta, erto non basta lottare: si può bene orari? combattere; ma l’essenziale è di lottare. E lottando s’impara a conoscere meglio il dolore. Come tanti altri avversari nostri, il dolore ci guadagnaci esser conosciuto. É un nemico da certi lati soltanto; sapendo fare, si arriva ad esser verso di lui debitori per le sue lezioni: le fa pagare, ma valgono il loro prezzo. Una nemica che .vi fortifica è preferibile ad un’amica che v’infiacchisce. Il dolore dall’aspetto terribile si rivela spesso come una persona di benefica compagnia e non è raro il caso che, una volta partito, esso ci lasci dei buoni ricordi. Questa non è una delle minori sorprese di questo lungo allenamento ch’è la nostra esistenza.
Qualunque sia il genere del dolore che ci colpisce, ciò che in esso v’è di più funesto è il turbamento e lo sconvolgimento arrecato nelle anime nostre e nella nostra vita.
Esso ci fa dapprima l’effetto d’una belva che abbia fatto irruzione nella casa, terrorizzando gli abitanti, seminando «vunque la strage. Quando la si conosce meglio, ella si addomestica ed anche si presta a render qualche servizio. Occorre imparare a vivere col proprio dolore e aiutarlo a passare dal campo delle oscure e sconcertanti fatalità in quello delle forze familiari e soccorritrici.
D’altronde che può dirsi e pensarsi in quell’immensità ch’è il dolore? Ad alcuni è parso che, davanti a quella sfinge, il silenzio soltanto fosse permesso, poiché basta parlare per urtare o ferire un fra:
tello che soffre in modo diverso da quello che ci sforziamo di lumeggiare. E, per quanta dimestichezza si abbia col tema, si corre il rischio di passarci accanto. Ahimè! tutto del continuo ci riconduce ad esso. I nostri avi hanno conosciuto il dolore e nonostante tutti i cambiamenti avvenuti nei costumi, nelle idee, nel modo di vivere, a dispetto di tutti i progressi, esso rimarrà l’eterno compagno dell'uomo. Sono anzi sorte dagli stessi nostri progressi forme nuove di dolore. Non occorre esser profeti per predire che i nostri discendenti conosceranno senza dubbio sofferenze sin qui ignorate e vedranno comparire forme inedite del dolore.
Ma ciò non cambierà nulla a quanto noi affermiamo: che bisognerà sempre saper soffrire. Sempre, vecchia o nuova, allorquando toccherà il cuore degli uomini, questa potenza antica e del continuo rinascente gli farà sentire la sua cocente realtà. Invano essi cercheranno di uscire dai limiti del suo impero. E se qualche sapienza lentamente sta maturando in cuore all’umanità bella di tante bellezze diverse, ma bella sopratutto del suo dolore, sarà la sapienza che ci fa ricercare ed apprezzare la scienza di soffrire.
Saper soffrire è la grande risorsa per quel pellegrino ch’è l’uomo di tutti i tempi, esposto tutti i giorni ad incontrare il dolore sul suo cammino. Saper soffrire insegna a comprendere il dolore degli altri, a fraternizzare con loro in ciò che l’uomo possiede di più intimo e di più sacro. Saper soffrire addestra a soccorrere, consolare e spesso guarire i nostri fratelli. Non bisogna poi mai dimenticare che il dolore dai lineamenti austeri ha dato alla luce quei bei figlioli che chiamansi la Pietà e... la Speranza.
Carlo Wagner.
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5 NOTE E ¿ COMMENTI
LA “ STORIA DI CRISTO ” E LA CRITICA LETTERARIA
Se non siamo male informati, ormai la critica abbandona la « Storia di Cristo » e si volge ad altro: l’ultima eco si diffonde nelle riviste più o meno letterarie ed in qualche giornale ritardatario, onde dopo questo ragguaglio i lettori potranno fare a meno di questa cronaca, doverosa da parte nostra per dare al pubblico che si occupa di cose e spiriti religiosi, un’adeguata idea di quello che, si voglia o no, è stato un avvenimento di non piccola importanza.
Naturalmente, alcuni tendono a negarlo e nel loro feroce accanimento antipapi-niano non si sono accorti che la violenza con cui hanno investito l’autore e l’opera sua è proprio la prova maggiore di quel valore che le hanno voluto negare anche come documento spirituale.
Dopo le poche parole feroci che gli ha dedicate la Rivista di Milano, il gior-nale più accanito in questa critica, che ha tentato di essere distruggitricc, è stato il Popolo ardito di Milano, che più volte ha preso in esame il lavoro ed i giudizi su di esso emessi, per abbatterlo. Enrico Cardile, che ha pubblicato lo stesso articolo nel Popolo ardito e nel Giornale (MI'Isola letterario di Catania, ha negato all’opera ogni sorta di valori, asserendo che in essa il Cristo è « una seconda volta martoriato e crocifisso ». Non possiamo naturalmente seguirlo nei suoi giudizi, che sono più che altro invettive, basterà che riportiamo ! tuesto periodo che li riassume tutti in orma abbastanza corretta: « Non è storia, non è esegesi, non è fantasia. Dunque, che è? E niente. È una perdita di tempo destinata a far perdere del tempo ».
In un altro numero del Popolo un tale
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/. se la prende con alcuni critici ‘ del ibro, per es. col Ianni del Corriere della Sera che. come abbiamo già visto, crede che la « Storia di Cristo a venga presto o tardi messa all’indice, ed afferma che questo è il « Vorace desiderio » del Papini. La qual asserzione credo dimostri come il critico non abbia compreso nulla nè dell’opera, nè della « conversione » del suo autore. Forse g. I. ha più ragione quando contrappone alcune sue osservazioni... molto energiche ad una critica dell’Or-dine nuovo, organo, com’è noto, comunista, che dedicava un articolo elogiativo all*A. a firma di tal p. g., in cui accanto a note buone vi sono indubbiamente delle frasi che si prestano ad essere torte e contorte da un critico d’ingegno che voglia fare l’ardito come fa g. I. Effettivamente p. g. ha ragione quando dice che Papini è stato sempre uno spirito « religioso » e che è stato sempre « cattolico >: naturalmente se g. I. vuol confondere la religiosità pa-piniana con quella di Verlaine o prende un granchio o vuol fare della scherma, fuori luogo. Siamo tutti d’accordo che questa è « piu profonda, più umana, più intensamente artistica ». Ma vuol egli che tutte le religiosità siano d’un sol colore? Anche Bossuet è religioso e non è certo Verlaine. Non bisogna dimenticare per l’appunto che il critico àeU’Ordine nuovo dice che Papini fu sempre • cattolico ■; ora sia pur nella forma cattolico anche il Verlaine, nella sostanza non lo è. La religiosità dei cattolici non è fatta di semplicità e di amore; è fatta di forza e violenza. È biblica, in una parola, ma non tanto per influsso biblico, quanto per quello spirito
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di romanità che ha trasformato il cristianesimo in una religione distinta, che non è cristianesimo, ma cattolicismo.
Ma lasciamo l’arditismo critico che può essere simpatico nella sua espressione, anche se sia poco convincente, e spesso volgaruccio nella sua intima essenza, e vediamo qualche altro... malcontento. Per es. Filippo Surico, il quale ha l’aria di non essere contento più che altro perché la transumanazionc del Cristo che il Rapini ha voluto non entra hel suo ordine di idee. Nelle Lettere difatti fa questa premessa, ma poi apprezza l’opera d’arte, pur facendo riserve giustissime, sul modo di trattare la storia, sul martirio di Cristo, che illumina i martini di altri pensatori e di santi, sul nessun senso archeologico, starei per dire, che il Papini ha dell’antichità e via dicendo.
I«a critica però che oggettivamente è stata più giustiziera nei particolari,' non nella base fondamentale del lavoro, è stata quella del Formichi che nella nuova rivista del Tucci Alle fonti delle religioni ha distrutto molti dei punti più importanti, se non anche capitali, dell’opera. Ammessone il valore ed il pregio artistico, letterario, linguistico, il Formichi ha battuto l’A. per alcuni suoi difetti, primo quello del paradosso che gli fa scrivere con esagerazione evidente contro Mammona, i banchièri e via dicendo, ciò che invece praticamente non potrebbe sostenere. ■ Per es.. dice il Formichi, che il Papini dalle sue oneste vigilie spese a comporre questa Storia di Cristo abbia a trarre oltre che gloria letteraria anche un bel gruzzolo, é cosa giusta e desiderabile e della quale egli certo non si dorrà come di un castigo ». Il che é giustissimo e va posto in relazione con quella falsa impostatura che ha la Storia di Cristo, come osservai altra volta, fondata sull’assolutismo. cristiano e deviata forzatamente verso il relativismo cattolico.
Il Formichi rimprovera poi al Papini la volgarità, la mancanza di rispetto »a chi di rispetto è degnissimo • e cita i superficiali giudizi del P. su Socrate, Orazio, i volterriani, Renan, Cesare e via dicendo, attribuendo questi suoi giudizi alla « cultura superficiale » dell’A., la quale cosa può essere in parte vera, sebbene, a mio modo di vedere, sia più esatto sostenere che in questa posizione assunta dal I apmi vi è il falso atteggiamento dell'apologeta — si noti che, come già dissi.
questo e un luogo comune del l’apologetica cattolica — che vuoi elevare la civiltà cristiana contro quella pagana e che a chi abbia un briciolo di buon senso fa l’effetto di chi elevando la voce crede di aver ragione sul proprio avversario Che con maniera calma gli oppone argomenti più solidi.
Da par suo poi il Formici» critica il P. Ser la sua ignoranza di cose orientali, elle quali il P. naturalmente non doveva Sarlare perché non si può certo approfon-ire le dipendenze ideali o storiche del cristianesimo con le dottrine buddistiche o cinesi, facendo la storia primitiva del messaggio del Cristo con i quattro van geli c con sette od otto libri intorno, come confessa d'averla fatta il P. Quindi, dopo aver dichiarato che « non senza ragione diceva che dal punto di vista scientifico il valore di questo libro del Papini è meno che nullo », il Formichi si domanda se il Papini vuol farci ritornare a Cristo risospingendoci nelle tenebre del medio Evo anziché, come sarebbe da attendersi, adattando la. mentalità moderna alia dottrine dal grande Capovolgitore.
• • •
Senonchè la critica delle Riviste, per sua natura piuttosto letteraria e quindi superficiale, non ha, in genere, approfondito il valore dell’opera anche in uno solo dei suoi molteplici aspetti e ne son venute fuori divagazioni pietistiche, lodi o chiacchiere sull’A., che non hanno bisogno di essere ricordate. All’incirca di questo genere sono gli articoli di Noi e il Mondo. di Tutto, della Vita giovanile di Vicenza, della Luce di Torre Pellice, il cui recensente (T. Longo) evidentemente non ha ben afferrato il senso intimo dell’opera, sebbene sulla sua povertà « evangelica » abbia fatto qua e là delle giuste riserve ed osservazioni; della Cultura socialista, alla quale è pure sfuggito il lato pratico del libro, che per un socialista doveva consistere nel suo carattere polemico contro la società attuale; del Trifalco, che si è letterariamente perduto in quisquilie, quando non ha avuto delle trovate... piuttosto strane, come quella che P. « ci presenta la vita di Cristo sotto un aspetto più che altro spirituale j>; delle Ascensioni umane che ha tirato in ballo Bovio e ha colto l’occasione per battere eruditi e storici e critici, bastonando Schurè, Renan e quelli che usano il compasso di Broca e cose
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simili! Avrebbero fatto meglio questi periodici se avessero imitato V Avanti! che con non so quanta opportunità politica, ricordando Tolstoi, ha riportato la pagina, ormai nota a tutti, in cui Papini invita ad offrire, secondo l’evangelo, la guancia sinistra. E vero che penso che iMiran/t/ l’abbia fatto all’incirca c me l’ha fatto il Papini stesso, il quale ha propugnato la non resistenza, salvo a proclamare poco più giù la guerra, naturalmente Siusta, proprio come quel fraticello che opo essere stato schiaffeggiato offri la guancia sinistra, ma, ricevuto che n’ebbe un altro schiaffo, si diè a menar le mani sul malcapitato, urlandogli: ma il vangelo non dice quel che si debba fare dopo!
* • *
Qualche ri vista cattolica, come la giovanile Rivista. dei giovani di Torino, che ha pur non di rado qualche sano scatto di impeto Eiovanile, non atrofizzato o cristallizzato, a creduto bene di affidare la critica ad un teologo, al Padre Giovanni Giovannozzi che già ne\V Italia aveva fatto i suoi ap-6unti dottrinali, non molto felicemente.
e è venuta naturalmente una serie di punzecchiature che fanno pietà e che quindi non meritano la pena di uno sguardo, se non per notarne la povertà di spirito e qualche preziosa confessione che rivela il disagio in cui si sentono i teologi di fronte alla prassi cristiana, da essi non di rado mis onosciuta. Il Giovannozzi trova il P. inesperto « dell’alto linguaggio dei maestri di divinità (sic} e ne trova le espressioni « teologicamente insostenibili » e lo riconosce mancante di « così alte nozioni ». Naturalmente mi dispenso dal citare i gravi erróri di cui per tal modo il P. si rende colpevole e preferisco raccogliere dalla bocca del G. questa preziosa confessione che assume un carattere generale per quanti sentono purtroppo quanto di lettera e non di spinto vi sia nel cattolicismo: « dobbiamo riconoscere che talora, anche noi maestri è guidatori d’anime diamo prevalente importanza alla prima (se. fede), mirando se fòsse possibile, a fare dei nostri pupilli altrettanti teologi, e meno cercando di ben fondare la loro vita morale » (il corsivo è naturalmente mio).
Incerte, esitanti appaiono invece altre recensioni cóme quella di G. M. Monti nelVA zione che, pur facendo delle riserve, finisce col trovare il libro buono per tutti e per tutto, come un manuale del perfetto
NOTE E COMMENTI
cuoco; e come quella stessa di G. S. Gargàno nel Marzocco, il quale ha però una osservazione preziosa quando accenna all’opera del Cristo: « E noi siamo messi davanti a lui in questa condizione, o di accettare di compiere oggi la sua opera — poiché essa non è compiuta ancora — di rovesciare, cioè, tutto ciò in cui ci impigliamo e che forma ancora la nostra vita, o di ergerci davanti a lui e di rigettare tutto il suo insegnamento.
« Poiché è anche quest’ultima la conclusione che possiamo trarre dal libro. E non so quanto esso possa essere ortodosso, per i cristianelli annacquati del nostro tempo.
° Per uno spirito che non ami i mezzi termini, come non li ama Giovanni Papini, può sussistere ancora '• l’ateismo rigoroso e perfetto, non quello ipocrite e monco dei pusilli scettici d'oggi,,.
Questo vuol dire, in parole povere, mettere il dito sulla piaga: il guaio è che, cosi come è ora, l’opera del Papini è proprio per i cristianelli annacquati del Gargàno e per i pusilli scettici d'oggi del Papini stesso, non per gli altri, e ne fari fede le recensioni teologali, gli osanna per le frasi ortodosse, il giubilo per il ritorno del figliol prodigo, invece che per il contributo alla ricostruzione dell’opera del divino Padre.
• • •
Alla fin fine un amaro senso di disgusto produce in chi legge questo omaggio critico manifestatosi il più delle volte vuoto, oscillante, senza direttiva, addimostratosi quasi sempre privo di penetrazione e privo di profondità. Lo potrebbe riassumere per la mancanza di una visione netta la conclusione che un G. F. pone alla sua recensione nel Risorgimento di Milano: « È mirabile tracciare sui nostri sconvolti tempi l’immagine del cristianesimo integrale evangelico; ma dovremo ritornare ad esso necessariamente, o può esistere un cristianesimo interpretato dalla Chiesa, con la sua autorità e la sua dottrina, consentaneo alle forme di vita sociale oggi raggiunte? Giovanni Papini, nel suo ardore di neofita, è per la prima alternativa, se pure non ci dice quali saranno le vie del ritorno, ovvero della rinunzia alla civiltà attuale per l’instaurazione della società cristiana ».
Proprio l’opposto di quel che predica Papini e proprio «»quello che vorrebbe il distruttore che scrive queste linee! A quésta stregua si capisce meglio la nota che la Democrazia cristiana apponeva ad una
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non profonda critica di Carla Cadorna, tentando di togliere il Papini agli ortodossi Kr incasellarlo nel suo archivietto. Paride della lettera al Tempo in cui il Papini rivelava il suo atteggiamento cattolico la N. d. R. di quella Rivista dichiarava: « Un atteggiamento che rivendicava a se stesso, pur nel cattolicismo, la propria libertà e l’autonomia del proprio pensiero. Se è così nè la Civiltà Cattolica, nè i giornali del trust clericale hanno nulla a che fare colla personalità di Papini. Soltanto potrebbero aver qualche cosa di comune con lui i democratici cristiani, l’unico gruppo di cattolici che intendano l’educazione cristiana come formazione di anime non per via di sola autorità e di semplice disciplina, ma per via di convinzione salda é profonda ».
E sia pure ! Il fatto è che l’opera di
Papini, come il fatto stesso della sua « conversione » che l’ha determinata è stata così ma’? impostata e così poco avvedutamente considerata dalla critica che ognuno ha tentato tirarla verso il suo mulino senza riuscirvi. Èssa sta invece isolata e minacciosa in mezzo al deserto spirituale di questo momento: l'A. stesso, che ha tentato poggiarla alla roccia del dominio imperiale di Roma, non si accorge che o essa se ne distaccherà per rimaner salda a sfidare il cielo e il tempo e per essere d’ammonimento e di guida a quelli che verranno e vorranno instaurare in Christouna nuova civiltà, o piegherà per saldarsi alla roccia a cui l’ha puntellata FA. e crollerà travolgendo nella sua rovina l'A., la sua opera intera e, quel che è più, l’idea a cui ha tentato di affidarsi con disperato abbandono. Sic transit gloria mundi !
Giovanni Costa.
IN MEMORIAM
Scomparve in questi giorni un uomo che ni tra i migliori della sua generazione: Lino Ferriani. Egli non isterilì il cuor • nell’automatico adempimento delle pratiche professionali, non giudicò di avere assolto il suo compito colla precisa esecuzione del suo dovere di magistrato-coll’esempio quoditiano di una vita spesa a beneficio degli altri: apostolo di redenzione, egli si adoprò a sanare una terribile piaga, la più tremenda, forse, di quante minaccino l’esistenza collettiva, se la società vuol vivere ancora.
■. Trentacinqu’anni or sono una sua pubblicazione, bella per le pagine spigliate che s’imposero al gran pubblico, profondamente umanitaria pel concetto informatore che invitava alla riflessione i pensatori d’ogni paese, trattava La delinquenza dei fanciulli nel Codice Penale e nella vita sociale. Dico: i pensatori d’ogni paese, perchè legislatori stranieri vennero infatti ad ispirarsi a quella fonte viva d’amore ch’era l’opera del Ferriani, chiedendole consiglio per salvare gli infelici che si gettano al delitto prima ancora di conoscere la vita. Un altro studio sui Minorenni delinquenti', le tragicomiche scene prese dall’esperienza dei processi che intitolò L’amore in tribunale; le osservazioni scientifiche intorno ai Delinquenti scaltri e fortunati, sono titoli di gloria per il grande scomparso, che provano due cose a suo riguardo: la prima, ch’egli si occupò della delinquenza, e
sopra tutto della delinquenza infantile, con ammirabile intelletto d’amore; la seconda (imparino da lui gli. scienziati ed i dotti!) che si può scrivere di qualunque astrusa materia con penna attraente d’artista.
Oggi è morto, questo Italiano che seppe scrivere c che fu capace dì pensare. Come quasi tufi i pili d gni ebbe nella sua vita ' amar? sofferenze, e gli ultimi suoi anni furono di dolore. Oggi riposa nel cimitero di campagna ove i parenti e gli amici andranno a ricercarlo nelle ore troppo gravi di cordoglio. Ma una coincidenza fatidica sembra volerne confortare il dolore: nel medesimo giorno in cui la salma benedetta lasciava la dimora terrestre per la zolla fiorita del camposanto prescélto, in un altro paesetto di campagna dei dintorni di Milano s’inaugurava V Istituto per la redenzione del minorenne.
Il suo germe fruttifica. Egli fu pioniere della redenzione, ma non la vide,, poiché a lui pure toccò la sorte del profeta e del precursore: morire al cospetto della Terra promessa. Eppure il suo nome è legato indissolubilmente a quello di Cesare Beccaria e merita di esser pronunciato con riverenza da tutte le persone di cuore. Che l’avvenire conceda di sentirlo invocato1 e benedetto da molti redenti! Io credo che questa Sia la preghiera preferita dalla grande anima, e qui la trascrivo per Lei.
M. dELL’ISOLA.
Pavia, 6 giugno 1921.
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CRISTIANESIMO MODERNO E CONTEMPORANEO
n.
Bibliotheca Missionum. — Si è pubblicato il primo volume di quest’opera veramente indispensabile per coloro che si occupano della storia delle missioni. Esso contiene uno studio generale sulle missioni. (Grundlegender una allgemeiner Teil, Mün-ster, Aschendorff, 1916; un voi. di pp. 877) e notizie bibliografiche che vanno dal 1502 al 1910. Tre indici facilitano l’utilizzazione di questo ricchissimo repertorio. Vi è qualche inesattezza, ma non di molta importanza. L’A. non mancherà certamente di correggerla in una seconda edizione. Come quasi tutte le opere bibliografiche di una certa estensione, anche questo repertorio va man mano arricchito.
Storia del Sentimento religioso in Francia. — Un’altra opera di non comune importanza, della quale diamo qui solo notizia, riserbandoci parlarne diffusamente quando ne sarà ultimata la pubblicazione, è l’His-Coìre Littéraire du Sentiment religieux en France depuis la fin des guerres de religion jusqu’à nos jours (Paris, Bloud). Almeno quattro volumi saranno dedicati al secolo xvii, ma per ora ne abbiamo soltanto due: L’Humanisme dévot (1580-1680) e L’Invasion Mystique (1590-1626), Paris, Bloud, 1919. Sono due volumi di complessivamente 1188 pagine. La prima parte del S rimo volume comprende: S. Francesco i Sales, le origini è lé tendenze dell’U-manismo devoto, Luigi Richeome, i Maestri Salesiani, Stefano Binet, J.-P. Camus. La seconda parte comprende: Il progresso e le manifestazioni diverse dell’umanismo
devoto, gli alti studi religiosi, vita di santi, enciclopedie devote, il romanzo devoto ccc. La terza parte: Ives di Parigi (l’Uma-nesimo contro il giansenismo). Il secondo volume comprende il secolo xvi, la tradizione e le riserve del misticismo francese. Maria di Valenza, il Padre Coton, Benedetto di Caufeld, il Padre Giuseppe e la tradizione serafica, ecc. È questa un’opera di gran mole e di grande erudizione che solo uno studioso del valore di H. Bremont poteva senza titubanza affrontare.
Santa Teresa. — D’indole e di valore diverso delle ope e surriferite è il libro che su la vita di Santa Teresa à scritto Edmondo Cazal (Paris, P. Offender , . un voi. di pp. 313). Ad una ricca letteratura à dato luògo la vita e la morte della carmelitana Teresa di Gesù, o Santa Teresa, Vergine di Avila, o, come altri l’à chiamata, vergine serafica e sposa di Gesù : ma pochi ànno scritto della famosa mistica da un punto di vista obbiettivo o, se si preferisce, scientifico. Non è Gazai un religioso, ma uno scrittore che à in animo di mettere in rilievo sopratutto la verità storica; è uno storico che si occupa di psicologia religiosa, che vuole intendere il senso del misterioso e del miracoloso alla luce delle leggi così dette naturali. Egli non si perde in controversie, ma va diritto al suo scopo, cerca la verità con calma e vuol esser sovratutto esatto, completo, imparziale. Le pagine più interessanti di questo libro sono quelle su la psicologia dell’amore. L’A. à messo in luce l’aspetto sessuale del misticismo. Ma è una luce un po’ troppo forte che altera
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l'imagine reale della estatica riformatrice del Carmelo. Non vi à dubbio che la vita religiosa s’interseca a volte con la pseudo-religiosità, e qhe in questa zona è da porsi quella mistica affetta da psicopatia sessuale; non vi à dubbio che la psicoanalisi (l’A. però non tien conto di queste ricerche) abbia portato un valido contributo alla comprensione di molti atteggiamenti che non vanno confusi con la vera mistica; ma occorre molta delicatezza di tatto e fine discernimento per trattare alcuni argomenti, e non posso affermare che l’A. ne abbia sempre dato prova. Il volume è fornito di una buona notizia bibliografica su-Sli scritti di Santa Teresa e i suoi biografi.
•uesta notizia, ricca per le opere spagnuole e francesi, è però manchevole per quelle tedesche, inglesi ecc. Delle opere inglesi se ne rammenta solo una, quella di H. H. Collvill, e nessuna delle tedesche (i).
Anime generose. — Con questo titolo pubblica il gesuita L. Capelle un grosso volume (Les Ames Généreuses, leur rôle, leurs récompenses - Paris, Ch. Beauch sne. 1920), scritto con criteri e con obietto ben diversi da quelli di E. Cazal, del quale abbiamo or ora discorso. E’ un libro scritto per credenti ma che può riuscire utile anche a coloro che non credono, se si interessano della psicologia religiosa del dolore. Non vi è nulla di nuovo in questo libro, ma abbondante messe di documenti tolti alle vite di santi e di anime mistiche. Una ricca bibliografia, in principio al volume, dà notizia delle opere principali dalle quali sono tolti molti passi citati, che costituiscono più una crestomazia mistica che un’opera sistemàtica. Quali sono le anime generose? Quelle che danno più di ciò che devono, quelle cioè che sacrificano se stesse ed i beni che loro offre la vita in uno slàncio di amore divino. Esse ànno cosi le migliori ricompense, e tanto più sono meritorie, quanto maggiore è stato 10 sforzo e il dolore. In questo senso dovrebbe spiegarsi il motto che à posto l’A. in cima al suo . libro: Pourquoi Veffort? pourquoi la souffrance? L’esèmpio delle sofferenze del Cristo serve alle anime generose di incitamento e di guida, onde si abbandonano con gioia alle sofferenze e sono anzi tur(x) L’opera è stata messa all’indice con decreto della Congregazione del S. Ufficio 22 aprile 1921 < hac praecipue ratione ne fideles ex fittilo in crrorem fòrte inducantur ■ (Z). d. D.).
bate al pensiero che il loro dolore abbia fine. L’A. trova così occasione di citare molti esempi interessanti non solo per i credenti, ma anche per gli studiosi.
Gallicanismo e Riforma cattolica.
Victor Martin, dopo avere consultato molti testi inediti in archivi francesi e vaticani espone in un volume (Le gallicanismo ella Réfonne catholique - Paris, Picard, 1919. pp. xxvn-415) le difficoltà che si opposero in Francia alla pubblicazione ufficiale dei Decreti del Concilio di Trento sino al 1615, anno nel quale il clero risolse di pubblicarli anche contro il parere delle autorità civili. V. Martin si pone dal punto di vista antigallicano e quindi non vede che le decisioni trentine erano per quelle autorità politiche troppo accentratrici, e destavano timore circa le conseguenze antinazionali dell’uitramontanismo. Ad onta del suo antigallicanismo però l’A. non trova in realtà che da fare una poco energica opposizione alla ingerenza di un governo straniero in Francia- Egli sostiene là separazione del potere civile da quello ecclesiastico.
Galileo e la sua condanna. — L’intenzione di Mons. Rodolfo Malocchi (Galileo e la sua condanna - Milano, Soc. Ed. Vita c Pensiero. 1919; un voi. di pp. 224) è evidente. Egli vuol giustificare la chiesa romana per la condanna di Galileo, giustificarla, attenuandone la gravità e la portata. Il metodo seguito dall’A. è però poco efficace. Se può riescire a mettere in evidenza alcuni aspetti poco simpatici della vita e del carattere del grande scienziato non arriva a mostrarne la colpabilità; e se può dimostrare che la Chiesa non aveva ragione di ritener contrario alla Bibbia il sistema Galileiano, non perviene a persua'-dere che il Santo Uffizio sia stato allora di ben altro parere. Ri orderò qualche particolare. Dopo un rapidissimo accenno ai nemici di Galileo, che furono, come si sa, i frati domenicani e poi i gesuiti, si ferma l’A. ad esporre lungamente quanto aveva scritto contro Galileo un certo Martino Horky, figlio di un pastore evangelico boemo, e quanto ne scrisse uno studioso fiorentino, F. Sizzi. Ma essendo Horky figlio di un pastore evangelico le sue accuse non giunsero sino al Santo Uffizio e la questióne rimase sin qui nel campo, diremo così scientifico. Quando la questione scivolò nel campo teologico, la severità di Roma non
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si fece attendere. A mettere in chiaro i motivi della condanna (che non possono esser giustificati come vorrebbe FA. dai terfugia di Galileo'e dei suoi amici per diffondere le opere incriminate) basta la dichiarazione alla quale fu costretto l’accusato dinanzi al Santo Uffizio, inginocchiato e con la mano sul Vangelo, dichiarazione che dice « falsa la opinione che ilsole sia centro del mondo e eh n nsimov . e chela terra non sia il centro del móndo e che si muove. Dottrina falsa questa, contraria alla Sacra Scrittura ». Non si possono d‘al ra parte negare alcune delle torture fìsiche — quantunque si sia in queste alquanto esagerato, — e altre morali, più gravi di tutte, in un vecchio settantenne, infermo e quasi cieco. La tesi sostenuta dall’A. che la Chiesa abbia condannato in Galileo un « tentativo audace di sconvolgere le credenze religiose e non la scienza » (pag. 222) ci sembra, se non altro, oziosa, perchè nessuno può dire ragionevolmente che la Chiesa abbia mai avuto intenzione di condannar tentativi di sconvolgere la scienza come tale, ma solo quelli ene reputa contraria ai suoi insegnamenti. Ed è appunto qui che bisogna cercare il motivo —del resto ormai noto — della condanna di Galileo.
La Religione di J.-J. Rousseau. — Un’opera in tre volumi à scritto P. M. Masson su Le Religión de J. J. Rousseau (Paris, Hachette, 1916) il primo dei quali {La for-malion rcligieuse de Rousseau) ci offre una analisi dettagliata dell’evoluzione religiosa del filosofo ginevrino, dal 1728 al 1766. Il secondo volume riguarda principalmente la dottrina religiosa di Rousseau,* cogl come è stata da lui esposta, nella Pro-fession de Foi du Vicair Savoyard. Nel terzo volume troviamo l'esame del significato storico della professione di fede preparatrice del Génie du Christianisnie. Il materiale qui esaminato dall’A. è ricco, la disposizione ordinata, gli aspetti più importanti e Caratteristici della religiosità e della concezione religiosa di Rousseau sono messi bene in chiaro, e la conclusione che ne ricava FA. ci sembra anche giusta Eccola: Rousseau è uno dei principali precursori, se non il principale, del movimento cattolico del secolo xix. L’opera personale di lui e la sua influenza risposero a un bi-. sogno dei tempi e fu opera ristoratrice del senso religioso e morale contro l’arido filosofare, indice di quei tentativi di riforme cristiane che dovevano avere però un successo superficiale e transitorio.
Da Pascal a Chateaubriand. — Cominciando da questo, segnaliano qui alcuni, volumi che stanno a testificare l’interesse che si à attualmente in Francia per la storia della religiosità e del pensiero religioso del mondo moderno e contemporaneo. De Pascal à Chateaubriand, les défenseurs français du christianisme — 1670-1802 (Paris, Alcan, 1916: un vol. di pp. 607) è il titolo di un’opera erudita di A. Monod. L’A. à distribuito in buon ordine cronologico e logico l’abbondante materia e sa trarre quei frutti che giovano a dare un Suadro d’insieme ben designato e colorito, orse alcuni particolari sono un po’ pesanti, forse Feiiminazione di numerosi dettagli avrebbero reso il libro più interessante, forse alcuni giudizi sono poco ponderati (così p. es. a pag. 508, dove si discorre delle cause della frivolezza attuale in Francia), ma- nell’insieme quest’opera può leggersi con profitto.
Il Catto!teismo in Francia nel secolo scorso. — L’Abate F- Dclerue à scritto quattro saggi biografici e li à raccolti in un volume dal titolo: A u Service de V Eglise et de la France (Paris, Bloud e Gay, 1920; n voi. di pp. 316). Sono quattro biografie dei maggiori rappresentanti del cattolicismo in Francia nel secolo scorso: De Monta-lembert (X810-1870), V uil ot (1813-1883). Oznnam (1813-1853) Ghesnelong (1820-1899). Una breve prefazione del vescovo di Versailles, precede questi saggi e segue una tavola analitica abbastanza detta* Ì iata delle materie. Sono quattro biogra-e capaci di farci conoscere i più perspicui atteggiamenti dèi pensiero laico francese nelle gravi questioni che agitavano la chiesa nel tempo in cui vissero. Monta-lembert è per i francesi un campione delia libertà, sopratutto della libertà d’insegnamento; ma rimase nell’ambito angusto dei suoi tempi quando si faceva accanito sostenitore del potere temporale dei papi, e quando ammoniva i francesi dei pericoli che avrebbero potuto derivare ad essi da un’Italia grande e forte. L'abate F. Delarue non trova una parola per disapprovare questo atteggiamento. Veuillot ñon fu certamente tenero per l’Italia, che conobbe forse meglio di Montaleinbert, rude lottatore e appassionato giornalista. L’A. avrebbe potuto rammentare alcuni romanzi di V. che sono fra i migliori della letteratura cattolica francese.Ozanam è più vicino a noi, tutti conoscono i suoi studi sì» Dante. Nel volume che qui esa-
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miniamo viene giustamente rammentato specialmente come un apostolo della carità. Egli dedicò infatti, come è noto, gran parte delle sue attività al sollievo degli infelici, c mostrò, col suo esempio, che gli atti, forse più delle parole, fanno gustare i benefìci della religione. Viene infine Che-snelong che lottò intrepidamente contro gli assalti degli increduli e che conobbe le sconfitte ma non lo smarrimento.
Veuillot et Brunetière. — Ciò che non à fatto l’abate Dclarue per Veuillot, loia André Bolloso*, in un volume di Étudeset Fi-gures. (Par? • Bloud e Gay, 1921; un voi. di pp.285). È'questa una raccolta di saggi letterari, due dei quali dedicati a Veuillot, e uno a F. Brunetière. Un fine studio psicologico troviamo nelle pagine su la •conversione di Veuillot ed una bella pagina di critica letteraria sul suo romanzo cattolico. La conversione di Veuillot non fu, secondo l’A., la rivoluzione di un’anima che balza dall’ateismo alla fede, perchè V. non era mai stato un nemico di Dio; ma è il passaggio da uno stato crepuscolare alla luce dell’evidenza. Altro saggio che interessa e riguarda il pensiero religioso contemporaneo in Francia è quello scritto a proposito d’un monumento a F. Brunetière. Ma questo non vale i due or ora menzionati sul focoso giornalista cattolico, Louis Veuillot.
Giacinto Loyson. — Non accade di frequente leggere un libro come questo di Albert Houtin, Le Pere Hyacinte dans rEglisc Romaine (Paris, E. Lcroux, 1920; un voi. di pp. 396) che dal principio incatena l'attenzione del lettore sino alla fine; un libro così ricco di precise notizie, lumeggianti la storia del cattolicismo e la vita religiosa del secolo scorso. Passano dinanzi ai nostri occhi, esposte con semplicità e verità, la figure di Pio IX, dell’arcivescovo Darboy, del futuro vescovo Annecy, di Baudry, di Montalembert, del vescovo Dupanlou, ecc. Chi conosce però A. Houtin, il valente autore della Crisi del clero, tradotta anche in italiano, della Questione Biblica nel secolo XIX e XX. Americanismo e della Storia del Modernismo cattolico, non poteva attendersi di meno.
L’A.. com’è sua abitudine, si è posto al lavoro quando à avuto a disposizione una grande quantità di documenti e di memorie, efficacissimi strumenti nelle sue sapienti mani di storico. Questo volume inoltre (è il primo dei due che A. Houtin si propone di
pubblicare su Padre Giacinto), mostra come l’A. disponendo di una profonda e fine conoscenza dell'anima religiosa del suo Srande amico defunto, sa coglierne i palpiti el cuore, penetrarne le pieghe più riposte del pensiero, comprenderne i dolori e le ambasce, le amarezze delle frustrate speranze di riformare il cattolicismo, rimanendo dentro la chiesa. Delle delusioni avute per averla voluta riformare dal di fuori, tratterà il secondo volume. Un periodo storico interessantissimo e ricco di eventi è questo; di eventi che si ripercuotono nell’anima moderna, sensibilissima e profondamente religiosa del discepolo spirituale di Rosmini, del valente oratore di Notre Dame,’che sognò sopra tutto di essere un santo, poi un pensatore e infine un oratore. Ed è per questo che la crisi religiosa di Loyson riesce sommamente interessante: essa non si abbatte sopra un’anima arida nella quale è estinto ogni germe di religiosità prima che divenga cosciente dell’enorme contraddizione, tra la fede che dice di professare c quella che realmente professa; masi abbatte sopra una anima delicata che vibra ai più lievi tocchi della tormenta e ne rimane infine sconvolta, perchè della fede essa vive e della religione, come della verità è fatta la sua stessa vita, tutta se stessa.
Il volume, arricchito di un bel ritratto di G. Loyson, e di un’appendice con molte interessanti lettere di illustri personaggi, lumeggianti la crisi religiosa del Padre Giacinto, è fornito altresì di un indice alfabetico. Questo volume di A. Houtin è di forte impulso ad imitare la bontà e la semplicità di Padre Giacinto e ad amarne la fede.
Ch. Guignebert sulla Francia religiosa contemporanea. —- Ci limitiamo a segnalare qui un interessante studio pubblicato in Scientia (febbraio-marzo 1921) su La Queslion Religieftse dans la Franco contem-poraine. riserbandoci di riassumerlo ampiamente in altra parte della rivista (v. p. 116). L’A. è convinto che dal 1870-71 si accentua una grande decadenza nello spirito religioso della Francia, ivi più apparente che reale. L’ultima guerra fornisce all’A. documenti dell’effimero risveglio religioso e della decrescente forza che il cattolicismo esercita sullo spirito delle masse popolari. Il grande numero di lettori che trovano P. Bourget, De Voguet, Bergson, ecc., non può essere considerato come un segno derisveglio religioso; nè lo mostra il cattolicismo, al quale poi si circoscrive la quel.
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stione religiosa in Francia. Ciò che. Secondo l’A., ha fatto parlare di risveglio cattolico, non è che una maggiore affluenza di pellegrinaggi alle cappelle miracolose, una maggiore ricerca di amuleti, cose tutte queste che non dovrebbero essere incoraggiate dalla chiesa, che pur si professa osservatrice della tradizione. L’A. fa anche un esame dell’attuale crisi del clero in Francia, riferendosi alla nota opera di A. Houtin, e conclude che non è possibile un rinnovamento religioso dentro i quadri del romanismo. Non è estinta in Francia la religiosità, egli dice, ma essa è un desiderio ardente di vita spirituale e di azione morale che, lungi dal provare la vitalità dell’ortodossia, ne mostra l’esaurimento.
Cristianesimo e cultura. —C. A.Bernou-illi compila con le carte inedite de) defunto autore di Christentum und Kultur (Basel, B. Schvabc, 1919, un voi. di pp. 300), Franz Overbeck, il volume che qui esaminiamo. F. O verbeck pensava scrivere una storiaprofana della Chiesa, da un punto di vista, cioè, in cui la chiesa appare come ogni altra istituzione umana, concatenata causalmente con tutti gli altri eventi umani che l’hanno fatta nascere e sviluppare. Una storia perciò che non ha bisogno di ricorrere alla ipotesi di un soprannaturale intervento che abbia tenuta lontana la chiesa da contaminazioni e corruzioni esteriori. È parso perciò opportuno ad A. Bernouilli di scrivere una introduzione a questo libro che valesse ad illustrare e valutare una tale concezione della storia della chiesa. Egli paragona questo volume per la sua importanza ai pensieri di Pascal, ai Wolfenbuttler Fragmenten, ai più importanti scritti di Lessing, di Lichtenberg, di Burckhardt. Questo giudizio, pur non disconoscendo i meriti di Overbeck, ci sembra esagerato. La tesi da lui sostenuta durante la sua lunga vita, e che riappare in questo libro, è che « il cristianesimo durante i duemila anni della sua esistenza non è stato capace di una storica realizzazione, ma di una realizzazione puramente individuale; e che è divenuto importante per il suo appassionato contrasto col mondo, nelle culture dei diversi popoli in cui è vissuto. Da questa sua importanza il cristianesimo sarebbe man mano disceso essendosi man mano attenuata l’originaria sua negazione del mondo ». F. Overbeck non risparmia in questo volume il suo severo giudizio alla teologia modèrna, giudizio già da lui altre
volte espresso e che lo fecero apparire ingiusto e antiquato, e che gli alienò molte simpatie. Il libro che qui esaminiamo può sembrare, ,a prima vista, scrittodauno spirito scettico, ma a guardar bene esso manifesta in ogni pagina l’affermante certezza e l’entusiasmo. Amico di Nietzsche, non seguì il suo esempio nel combattere il cristianesimo e diresse i suoi attacchi contro i teologi che chiamava i becchini della religione. Ebbe parole amare per mistici e idealisti, e simpatie pei- gli scettici, ciò che contribuì a far credere che anch’egli lo fosse; ma l'opera sua di profondo conoscitore del cristianesimo è una difesa della religione c un riconoscimento dei suoi eterni valori.
Il volume, diviso in sei capitoli, tratta: i° dei rapporti tra storia, teologia e storia antica: 2® del cristianesimo primitivo c della sua letteratura; 3® del cristianesimo medio-evale; 4® del cristianesimo del secolo xvm e xix; 5® del cristianesimo del secolo xix 6® della cultura moderna edella vita umana. Non sono esposizioni storiche e sistematiche, ma appunti, note, pensieri su diversi argomenti che rientrano in questi diversi periodi della storia ecclesiastica. Di particolare interesse riescono i capitoli su storiografia e teologia (una questione assai dibattuta e recentemente rimessa in esame da E. W. Schmidt e da W. Bruhn in Zeit-schrift fiir Theologie und Kirche)-, su la persona di Gesù; sul valore storico e filosofico del cristianesimo: su l’essenza della chiesa; sul cristianesimo germanico; su cristianesimo e protestantesimo; su Pascal; su la filosofia religiosa di Kant; sul concetto di moderno e su la cultura presente. Come ho detto, in tutti questi argomenti Overbeck non trascura, quando se ne presenta l’occasione, di mostrare la suà avversione contro la teologia ed in ¡specie contro la teologia moderna; e non si potrebbe dargli torto quando ne condanna le sottigliezze, quasi sempre più di nocumento anziché di giovamento alla religione. Ma quando oppone la religione alla teologia, pare a me che egli si sia messo da un punto di vista dal quale gli sfugge l’essenza stessa della religione che ha un contenuto teologico. Non è infatti concepibile una religione che non riposi sopra un sistema, per quanto rudimentale, di teologia, ed egli stesso non sa liberarsene. • Quando riconosce nel cristianesimo moderno anche solo un valore escatologico e lo assimila alla sapienza della morte, egli ne ha già riconosciuto non solo
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il valore morale e religioso, ma anche il fondamento teologico. Così pur ritengo ingiusto mettere, come egli fa, i moderni teologi accanto a Epicuro, cd erroneo chiamare il sentimento di assoluta dipendenza (in cui Schleiermachcr riconobbe l’essenza della religione) una sofistica forma sublimata di quella concezione epicurea. Overbeck è più vicino alla scuola ritscheliana che, in opposizione a Schleiermachcr, considera la religione come un dominio degli uomini sul mondo, ma ritiene d’altro canto che a questa scuola si debba il nuovo gesuitismo infiltratosi nella compagine del protestantesimo.
Eccessivi giudizi, questi, mentre equilibrato fu in altre occasioni. «La scienza, egli dice (pp. 121-22), mi ha liberato da ogni confessionalismo. Non ho nulla da fare col cattolicismo, e nulla con quel protestantesimo che vede in esso il regno dell'anticristo. Il mio supremo desiderio è di esser giusto con gli uni e con gli altri e mi riconosco in contatto spirituale con entrambi. In questo senso voglio essere storico della chiesa, e stimo sopratutto in essa la sua impareggiabile facoltà di secondare l’adempimento di quel desiderio ».
Frammassoneria, Cattolicismo e Associazione rosacrociana. — Con questo titolo pubblica Max Heindel l'autore di parecchie altre opere congeneri, un libro (Free-tnasanry and calholietsm. London, L. N. Fowler; un voi. di pp. 98) in cui si propone di chiarire alcuni aspetti dell'associazione della croce rosa sorta come società segreta nel secolo xvn e distintasi per la sua pretesa di conoscere tutti i misteri della natura, di trasformare i metalli, di esercitare una potenza sugli spiriti così detti elementari e per altre cose sorprendenti. Da principio la Società, che si professò seguace di Gesù, mirava a una forma religiosa da estendersi a tutto il mondo e si esercitava, principalmente nella cura gratuita dei malati. Oggi vi è in California una Associazione ben organizzata (The Rosicrucian Fellowsship, Ocean-side San Diego Co. California) cd il fondatore di essa. Max Heindel vuol diffondere una definita e logica dottrina riguardo la origine, l’evoluzione e lo sviluppo futuro del mondo e dell’uomo. Per mezzo di un insegnamento spirituale, del quale il volume sopraindicate è un esempio. Max Heindel si propone di condurre gli uomini alla credenza della supremazia delle leggi spirituali e ad una vita fraterna. L’A.
chiama cristiana la sua filosofia, perchè tende a fare della religione un fattore vivente, e vuol ricondurre a Cristo coloro che non possono raggiungerlo per mezzo della sola fede. Ma in realtà egli propone una massoneria mistica. La sua maneznza di idee ben definite arri va al punto da fargli riconoscere il cattolicismo come divino (pag. 5) e sebbene si professi tutt’altro che cattolico, mette alla pari il cattolicismo con la sua massoneria mistica. Non disconosce le profonde divergenze che passano tra cattolicismo e massoneria mistica, e vuole rimuoverle e mostrare l'ufficio che esse hanno nel mondo; nondimeno, al contrario di ciò che sembrerebbe una conseguenza di queste affermazioni, l’A. non vuol esser massone di fatto, ma solo di sentimenti. Alla stessa guisa egli dichiara non essere un nemico di fatto, ma spirituale del cattolicismo (pag. 5) e si augura che, per il bene dell’umanità, nella lotta tra cattolicismo e massoneria, la vittoria rimanga alla prima. Non possiamo seguire FA. nella storia che egli fa del movimento cattolico e massonico-mistico. Le sue dimostrazioni, sono fondate su interpretazioni esoteriche di passi biblici e di libri sacri. Eccone un esempio: Jahveh creò Èva, un essere umano Dall'unione di questa con Lucifero nacque un figlio semi divino, Caino. Questi fu il serpente della sapienza. Allora Jahveh. creò Adamo. Da Adamo ed Èva nacque Abele che fu ucciso da Caino, ed a questi seguì Seth, l’ideale femminile, il prototipo della Vergine Maria, ecc. Alla croce rosa fu dato il mandato, dai figli di Caino, di ottenere la salvezza per mezzo del fuoco purificante e di costruire il tempio dell’anima in attesa del secondo avvento del Cristo che governò il mondo con le leggi del cuore. E mi pare che basti.
Quacherismo. — Due pubblicazioni sul quacherismo dobbiamo qui menzionare: la prima dovuta a Th. Sippell (Zur Vor-geschichte des Qudkerlums, Giessen, Tòpel-mann, 1920; un opusc. di pp. xin, 56) è una storia dei suoi precedenti; la seconda dovuta a Elizabeth Fox Howard (Comment les Quakers ont servi pendantla guerre, Paris,. Soc. Chrétienne des Amis, 1920; un opusc. di pp. 48) è una esposizione della sua attività sociale durante l’ultima grande guerra. Th. Sippell, noto in Germania come uno dei migliori conoscitori del movimento cristiano del secolo xvn, ha esposto in quest’opùscolo alcune sue idee originali
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che saranno lette con vivo interesse. Egli vuol rintracciare le fonti del quacherismo, non solo nel secherismo (o sètta dei cercatori, in olandese Zoekers) ma anche del tattismo. I secheri e i ranteri sono qui considerati nei loro rapporti col tattismo (p. 44) e coi quacheri. Brcreley sarebbe stato originariamente un luterano, un seguace scrupoloso della dottrina luterana della giustificazione, ed anche Eaton sarebbe stato luterano. Come si vede è qui aperta una nuova via a ricerche intorno allo sviluppo del luteranesimo in Inghilterra durante il xvii secolo. Peccato che lo stile pesante dell’A. non renda facile la lettura di quest’opuscolo, e che egli abbia abusato del metodo induttivo nelle ricerche storiche. I frammenti delle fonti originali qui riprodotti, saranno assai graditi agli studiosi dei movimenti religiosi inglesi al tèmpo di Cromwell.
Si ripete da molti che il Cristianesimo, non avendo saputo impedire la guerra sia da considerarsi come fallito, ma Elizabeth F. Howard, nell’opuscolo or ora rammentato, dice che in questo senso avrebbe potuto considerarsi fallito anche prima della guerra, perchè non aveva più presa sulla società che la preparava. Nondimeno chi guarda l’opera delle chiese cristiane, e non solo di esse, durante il periodo della guerra e dopo, non può non riconoscere l’efficacia di un’opera illuminata dalla fede per lenire ogni specie di sofferenza sorta da quella. Fra queste opere di filantropia cristiana va annoverata quella della Società degli Amici, o quacheri, che questo opuscolo descrive, dando anche notizie storiche di essa e dei suoi scopi. La Società Cristiana degli Amici non è un gruppo semplicemente pacifista, e l'A. vuol mettere precisamente in rilievo l’errore di coloro che affermano le ambizioni negative e distruttive dei quacheri, negando il suo aspetto positivo. La Società degli Amici si oppone al clericalismo, al sacramentalismo ecclesiastico, ai giuramenti e alla guerra e vuol fare opera di costruzione religiosa e morale. L'A. mostra che la Società degli Amici può considerarsi come una delle migliori organizzazioni per i servizi internazionali di carità cristiana, ed è precisamente questo che essa ha saputo dimostrare durante e dopo la guerra. Il suo merito principale consiste nell'essersi la sua azione estesa a tutti i paesi, anche nemici, riannodando con essi legami di reciproca simpatia. L’opuscolo di E. F. Howard ha scopo di propaganda, ma riesce
altresì a mettere in chiaro il valore etico di questa istituzione animata da spirito cristiano.
Meditazioni e preghiere. — La Women’s Affianca of All Souls Church pubblica un volume di meditazioni e preghiere che ci sembra uno dei migliori e più utili, per l’educazione dello spirito religioso, venuti alla luce negli ultimi anni. L'A. è Thomas Roberts Slicer, nato nel 1'847 e morto nel 1916. Egli è noto non solo per le sue opere sulla religione, sulla fede liberale, sulla via alla felicità, ecc., ma anche per la grande bontà e religiosità sua, della quale questo volume (Méditalions, a Message for all Souls, N. Y., 1919; un elegante voi. di 220 pp.) è testimonio. Il manoscritto fu compiuto dallo stesso Slicer prima della sua morte, nel maggio del 1916, e mani pietose lo hanno dato ora alle stampe. La nota dominante in questo libro è uno spirituale elevamento verso l'unità, verso una sfera sopramondana dell’essere, un’attesa del bene che viene dal Dio dell'universo e dell’uomo. Slicer dice che la vera essenza di Dio è l'amore; convinto ottimista egli afferma che il mondo è ricco di bontà e di amore e che nella natura umana vi è un inesauribile elemento di gentilezza, di dignità, di simpatia, di lealtà, e che fin dal suo apparire su le scene della storia questo elemento è cresciuto in successive vittorie sull'ereditario istinto animale, sui vizi barbarici, su le falsità sociali, su le falsificazioni industriali. Egli erede, come avverte Ch. W. Eliot nella prefazione che premette a questo libro, in un graduale trionfo del bene sul male nella società umana, e nella formazione del caràttere individuale, praticando il bene, ed escludendo, sia pure, il pensiero del male. Il messaggio di Slicer è di gioia e speranza. Sono nove serie di meditazioni precedute da nove preghiere di adorazione, di ringraziamento, per remissione, per domandar assistenza divina, ispirazióne, comprensione, comunione, fede e puri desideri.
Le presenti condizioni religióse in Polonia. — Maurice Pernot ha voluto studiare le principali questioni che interessano-la vita nazionale e intellettuale della nuova Polonia, prendendo in esame i rapporti tra Stato polacco ed Europa, i problemi della v:ta politica interna, l’organizzazione economica industriale e commerciale, l’agricoltura, le cooperative, le banche, la
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questione sociale, la vita intellettuale, uni-ve-sitaria e, infine, ciò che qui particola--mente ci interessa, alcuni aspetti della vita religiosa polacca. Questo libro (L’Epreuve de la Pologne Paris, 1 ibrairie Plon, 1921, un voi. di pp. 307) lascia intravedere la Saca simpatia che l’autore ha per l’in-uenza tedesca su le Università polacche, influenza che l’A. vorrebbe sostituita con Juella francese. Egli ha ragione. quando ice che la religione in Polonia è indissolubilmente legata al patriottismo, ma non trae, da quelle premesse, le conseguenze che logicamente dovrebbe trarre, ossia che le simpatie polacche dovrebbero essere allora per tutti quei popoli che professano la medesima religione. Lo studio del problema ebraico in Polonia lo porta a disapprovare, e con ragione, ogni tentativo di trasformazione di autonoma, di religione ' costumi, di usanze e lingua in indipendenza giuridica, ciò che porterebbe alla costituzione di uno Stato entro un altro Stato. Ma forse per l’oblio degli interessi tedeschi l’A. non tien conto delle condizioni oggi assai difficili di quei protestanti in Polonia. Egli anzi non tien conto affatto del protestantesimo nel nuovo regno polacco. Questo è, come si sa, un regno cattolico, e si compre «de che non guardi con sim-pati una invasione di luterani tedeschi, ma non si comprende come l’A., che vuol avvicinare la Polonia alla Russia, non riconosca lo stesso diritto da parte ortodossa. Se è vero che la religione in Polonia è una potenza politica (il suo clero è a capo del movimento nazionalistico) si intende perchè l’autorità politica sia disposta anche alle più ardite concessioni di ordine interno purché rimanga intatto il connubio del nazionalismo col cattolicismo romano. Il difetto principale di questo volume sembra a me la mancanza di penetrazione nel-l’animadel popolo polacco. È questa la sorte di ogni straniero che, conoscendo geograficamente il paese, crede conoscerne la storia; e conoscendone alcuni uomini rappresentativi, ed alcuni anèddoti civili e religiosi, crede conoscerne lo spirito. Per approfondire la conoscenza dell’anima d’un popolo, non bastano i segni esteriori (feste, discorsi occasionali, interviste con prelati, ecc.) ma occorre penetrare nella vita del popolo, nella sua interiore vita religiosa, occorre conoscere la forza che sui costumi esercita, non l’abitudine o la tradizione, ma la fede.
La nuova situazione religiosa in Asia. — Delle condizioni del cristianesimo dopo la Suerra nel Giappone, in Cina e in India, elle immigrazioni asiatiche, dell’IsIam e del Sionismo, si occupa Edwyn Bevan in The InternationalReview of Vissi on (*. ol IV. N. 35 ) Nel Giappone il cristianesimo viene subordinato agli interessi nazionali e stimato quindi solo in quanto si ritiene fossa favorirli. Il nazionale egoismo, dice A., impedisce qui il progresso del cristianesimo. La questione politica della Corea rende difficili le condizioni dei missionari in quel paese desideroso di libertà e non Son perciò rare, ivi, le persecuzioni giapponesi contro i cristiani. La politica rende anche i cristiani giapponesi nemici di quelli cinesi e americani. Le condizioni attuali in Cina non sono più facili che nel Giap-Sone. Ma qui sono visibili alcuni buoni inizi, e i torbidi politici non hanno molta ripercussione sulla religione. Scossa la fiducia nella tradizione, il cinese è oggi più disposto a prestar orecchio al missionario cristiano, e sempre più si estende in Cina l’opinione che il cristianesimo possa salvarla dalla rovina e infonderle una nuova vita
Quanto a!l’ìndia, la tendenza anticristiana, dopo la guerra, può dirsi attenuata. Più che il cambiamento di Governo, è notevole in India il cambiamento dello spirito. Vi è un movimento nazionalista che somiglia a quello proletario europeo, e l’A. consiglia i missionari ad avvicinarsi ai lavoratori per il benessere dell’india. Ma il problema grave da risolvere è precisamente d sapere sino a qual punto i missionari possono partecipare agli sforzi che hanno un carattere politico. In India, come in Corea, il missionario non può prendere una via tale da mettere in imbarazzo i rispettivi governi, e ciò non per debolezza, ma per evitare maggiori mali al paese nel quale vuole esercitare un’azione benefica.
Una questione della quale i missionari in Asia non possono disinteressarsi, è l’immigrazione di asiatici nei paesi governati ed abitati da bianchi, così p. es. l’immigrazione d<i G appenesi in America, nelle Isole del Pacifico e in altri luoghi. L’op-posiricne contro queste immigrazioni non .è effetto d’ignoranza, o di pregiudizio, ma dell’istinto di conservare le proprie tradizioni e del desiderio di non veder turbata la vita economica del paese. £ vero che il cristianesimo non può elevar
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barriere fra uomini che devono essere considerati come fratelli, ma si può adottare una limitazione temporanea alla libertà di immigrazione, se quella limitazione agevola il progresso civile e giova a conservare la pace.,
La posizione dell’IsIam è profondamente cambiata colla caduta dell’impero ottomano. Il maomettanismo può tuttavia conservare la sua potenza come religione, anche se il suo potere terreno sia fiaccato. L’A. osserva che le chiese cristiane, incluse ■nell’impero Romano, si reggono con straordinaria tenacia da secoli pur vivendo in condizioni politicamente umilianti. L’Islam si mantiene rigidamente fermo, ai suoi antichi dogmi, e il movimento riformista, iniziatosi nel secolo xix, associatosi al nome di Syed Ahmed, ha preso per motto « torniamo al Corano >». Esso non giunge sino ad accettare la verbale ispirazione del sacro libro, ma salta a pié pari tu ta la tradizione. Ora è sperabil che nuovi movimenti religiosi mettano in armonia il vecchio maomettanismo con le
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concezioni moderne della vita- I cristiani guardano con interesse questi moviment islamici riconoscendo che nell’IsIam sono contenute le medesime eterne verità, sebbene in forma meno completa che nel cristianesimo.
Circa al ionismo in Palestina, è da notare che, per quanto giusta possa apparire la creazione di uno Stato giudaico nell’antico paese d’Israele, pur esso è destinato ad incontrare non lievi difficoltà per il fatto che in Palestina la maggioranza della popolazione è costituita da musulmani e cristiani. Occorre a questo proposito chiarire anzitutto se qui si tratta, dice l’A., di uno Stato politico o di una comunità religiosa. Non sarebbe una concezione moderna quella di uno Stato che obbligasse i suoi membri ad abbracciare una religione: ma se gli ebrei possono essere anche cristiani o musulmani, senza incorrere in difficoltà civili e politiche, il carattere ebraico religioso ne soffrirebbe. L’A. non vede altra via d’uscita.
M. Puglisj.
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RIVISTE ITALIANE
La questione religiosa nella Francia contemporanea.—Nella prima parte dello studio che sotto questo titolo pubblica Ch. Guignebert in Scientia (febbraio 1921) pone come caposaldo che la questione religiosa è in Francia questione cattolica, poiché non esiste una questióne protestante e nemmeno una questione giudaica. Ora il catto-licismo s’identifica con la Chiesa, e la Chiesa — che è in Francia più che altrove il pontefice medesimo — ha una concezione dello Stato c delle sue istituzioni diametralmente opposta a quella laica: quella ha dominato per 14 secoli, questa vive dalla rivoluzione, in poi. In questa opposizione v’è tutta una contrarietà di principi sulla famiglia, sulla proprietà, sulla educazione, su ogni forma di vivere civile. La Chiesa fa di tutto per opporsi alle concezioni laiche, per combatterle e per avvicinarsi agli ideali cui essa tende, che ostacolano quella forma di progresso che la società attualmente vagheggia. La ragione di questa inadattabilità della Chiesa alle forme moderne sta in ciò: « Tendendo fin dalle basi tutte le molle della sua dogmatica e della sua disciplina per resistere alla Riforma al tempo del Concilio di Trento, la Chiesa, guidata allora dal fanatismo mistico dei Gesuiti, ha commesso l’imprudenza mortale di solidificare la sua dottrina metafisica con la forma che le aveva impresso S. Tommaso d* Aquino, e di far suo definitivamente un sistema intellettuale, evidentemente collegato strettamente con questa dottrina, ma già caduto in desuetudine al xvi secolo. Per conseguenza si è trovata costretta
ad opporsi ad ogni cambiamento, ad ogni adattamento nel dominio teologico ed ha preso nel dominio intellettuale, per quanto-riflette la libertà di ricerca, di esame e di pensiero, per quanto riflette la scienza e la critica,- un'attitudine ostile ed astiosa che l’ha méssa in una posizione di contraddizione permanente a tutte le tendenze dello spirito moderno. La grande crisi modernista recente ha provato che Roma non voleva affatto transigere con le esigenze della vita. Però i suoi rigori, come neppur le sue scomuniche, non hanno in nulla cambiato il fatto che il sistema intellettuale della Chiesa cattolica e il suo sistema dottrinale, per quanto dipende dà quello intellettuale, son divenuti inaccettabili e veramente impensabili per un uomo istruito-dei giorno d’oggi ».
Da tutto ciò consegue che se la verità cattolica è la verità per eccellenza, la verità contraria non può sussistere, onde è necessario vedere chi e quanti in Francia siano quelli che accettano la prima e se aumentano o diminuiscono. L’esame che di questo problema fa molto sagacemente il G. lo conduce alla conclusione che contrariamente alle tesi cattoliche che sostengono il risorgimento religioso francese, il quale è più apparènte che reale, più formale che effettivo, la Francia è un paese-per abitudine e non per sincera e fattiva fede cattolico, onde è una leggenda puerile che esso sia dominato da una piccola minoranza di settari e che sia una nazione profóndamente cattolica.
La seconda parte di quest’ interes-
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RIVISTA DELLE RIVISTE
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santissimo articolo (Scientia, i° marzo) mette .dapprima in evidenza la grande povertà di vero sentimento religioso nella Francia cattolica contemporanea. Il risveglio letterario cattolico dell’anteguerra non fu che della letteratura, e nella migliore ipotesi non intaccò l'epidermide della folla, perchè il popolo fu completamente assente da questo preteso risveglio. Quello della guerra e del dopo guerra non fu meno una delusione, perchè sostanzialmente non fu che un effetto di fenomeni emotivi di corta durata. Si deve dunque negare che il popolo francese sia religioso, a meno che con questo aggettivo non si intenda per tale ogni sentimento grave che vuol oprare per il bene ed il vero, del quale però non è luogo in questo studio, perchè evidentemente si ricerca ben altro.
Ñon parliamo poi — dice il G. — di conoscenza religiosa in Francia. I cattolici seguono i loro curati, aderiscono ai dogmi, ina non sentono, non vivono la religione loro, onde la Chiesa non fa che assecondare quella superstizione naturale meccanica che dispensa dalla meditazione, dal sentimento, dal pensiero e che sfrutta il vecchio fondo pagano su cui il cristianesimo occidentale si è sovrapposto. Del resto alla Chiesa non importa che la religione viva, perchè vivere è trasformarsi e adattarsi, mentre essa domanda l'immobilizzazione e la cristallizzazione nella sua Verità, nella rigidezza delle sue formule, ciò che però non porta ad una religione dello spirito, ma —sono le parole di un cattolico « conosciuto » (L. Chaine) :— «ad una vera cultura dell'anima animale, ossia proprio al contràrio di ciò che ha voluto lo spirito della religione e la religione dello spirito ».
Non parliamo poi, continua il G.,del reclutamento e dell'istruzione del clero, che non è nè scelto per natura, nè colto per istruzione. Il seminario, secondo un prelato, Mgr. Fèvre, ha per metodo di educazione intellettuale il « metodo dell’incre-tinimento ». Si creano delle greggi docili, si vieta loro la cultura profana, si abbassano le curiosità e le intelligenze migliori. Le eccezioni non fanno che confermare la regola e il senso di fermento religioso che si determina negli strati più profondi del clero può dimostrare che il cattolicismo è ancora vitale, ma che per vivere dovrà trasformarsi in modo che non avrà nulla di comune con l'ortodossia romana d’oggi se non forse il nome.
In queste condizioni la Chiesa non può trovare un appoggio reale se non nello
Stato: priva dell’unico sostegno che la renderebbe capace di una vita a sè, la Chiesa domanda di riunirsi allo Stato per essere un'altra volta un’istituzione pubblica. Ecco perchè i suoi avversari cercano di impedire questo accordo: essi sanno bene • che, una volta circoscritta nei suoi credenti e costretta dalle sue formule ad opporsi al mondo moderno, sarebbe irrimediabilmente destinata a morire.
La validità della religione. — Un lungo studio di A. Renda in Gnosis (1,1) si propone la soluzione di questo problema indiscutibilmente interessante dal punto di vista filosofico. L’A. esamina dapprima la religione come fatto e come valore, dimostrando cioè l'esistenza di un'attività religiosa e definendone per effetto della ricerca psicologica, la sua potenzialità di valore. Esaminate quindi a parte le negazioni del valore della religione e scartatele, il R. è in grado già di intravedere molte ragioni che fanno dubitare se la religione sia un valore conoscitivo. Cionondimeno questa indagine egli la compie a parte, ponendo molto giustamente per base il principio che « non già se la religione è una funzione conoscitiva le è assicurato il diritto di esistere, ma all'opposto se da essa si distingue per un valore suo proprio ». Criticando perciò la teoricità dell’esperienza religiosa — ossia {'attribuirle il compito di soddisfare un'esigenza costitutiva dello spirito — l’A. giunge alla conclusione che la religione include certamente il pensiero, per cui ridurla a sentimento o volontà è un errore. Con ciò in ogni modo non si decide del valore. Difatti il pensiero insito nell'esperienza religiosa è pensiero religioso, cioè ne à i caratteri e la funzione dell'esperienza stessa, e poiché gli si convengono i predicati di vero e falso nella sua astrazione non si ricava che l’attività religiosa sia valida o no. E giacché il R. include la teoricità, naturalmente, nel concetto che l’attività dello spirito è essenzialmente pensiero e che quindi l’attività religiosa rientra- per conseguenza in una concezione generale di tipo idealistico, ne deriva la conseguenza vera per qualsiasi attività teoricamente o moralmente valida, che ciò non conduce ad ammettere il suo valore nel vero o nel bene. «La religione, considerata in se stessa e in rapporto a un’idea sistematica della vita spirituale, non è riducibile a una funzione teorica: essa non esiste per soddisfare la esigenza del conoscere ».
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11 culto degli spiriti e i sacrifizi nella Tran-giordania. — Da un sunto latto calla li ¡vista Internazionale di Scienze Sociali del marzo 1921 di due interessanti articoli pubblicati dall'ab. P. Salmen nell” Alma-srig di Beyruth (1920, n. 8 c 1921 h. 2) riportiamo questi particolari che saranno indubbiamente graditi ai nostri lettori:
L’A. nel primo articolo espone largamente le credenze e le superstizioni sugli strani esseri soprannaturali che gli Arabi chiamano Ginn.
«Sin dall'etimologia del nome appare il loro carattere misterioso e losco; e dicono i grammatici che il termine derivi dalla voce ganin, o feto embrionale, nascosto nel seno materno, perchè l'essere quasi sempre invisibile è la prima caratteristica di queste divinità malefiche. Altra loro proprietà è il potersi trasmutare e trasfigurare in ogni forma. Nati dalla fiamma ' senza fumò ’, sono- da alcuni divisi in due, da altri in tre classi, secondo l’elemento abitato e i loro speciali attributi. Chi li accomuna in origine agli angeli, da cui li diversificò il peccato; chi infine, senza tante distinzioni, li dice spiriti occulti che di tanto in tanto fan loro comparsa quasi sempre a scopo di male. Gli è perciò che gli abitanti del deserto temono e venerano questi mali geni assai più che i puri spiriti; e lì, giti superstizioni, còme quella della civetta che sta sulla tomba di un ucciso a chiederne vendetta, o quella che attribuisce ai ginn il fenomeno dell’eco. E amuleti, e preservativi, specialmente adoperati per i fanciulli, ad allontanare e annullare il male influsso spiritico. L’Islam fece opera distruggitricc su queste come su tutte le altre credenze ed usi del vecchio mondo; ma non è riuscito a sradicare da quelle anime semplici e fantasiose la ferma fede dei loro padri. Ancor oggi, come attcsta l’A., gli arabi esitano a frequentare i luoghi che ritengono preferita dimora dei geni, come le rovine e le caverne; e narrano di visioni spettrali capitate a malcauti viaggiatori; venerano sopratutto, alcuni fra i corsi d’acqua, che dicono abitati dagli spiriti, come Callirohé, la famosa stazione dei bagni cara ad Erode, e Macheronte, dove cadde reciso il capo del Precursore, oltre a moltissime correnti e polle meno famose.
Altra presente e venerata sede di spiriti sono gli alberi, il cui culto è antichissimo fra gli arabi, sin dai tempi lontani, in cui si adorava,la palma Sacra alla dea Uzzah; culto che, del resto, trova riscontro nella venerazione degli israeliti per gli alberi, sia isolati, sia aggruppati, e per le cime boscose cui essi venerano; onde i terribili moniti dei profeti. Tutte queste piante sacre, tra cui in special modo il terebinto c la quercia, sono naturalmente custodite con ogni rispetto da manomissioni c danni; che anzi il loro carattere sacro si estende al punto da rendere inviolabili gli uccelli e le bestie cacciati, che sotto i loro rami o sulle loro foglie trovin riparo.
Altra sede venerata dei geni sono le caverne e le ruine, abbondantissime nel paese del Giordano, sia per i residui di antiche città e castelli distrutti, sia per naturale formazione. E parimenti sacri sono, naturalmente, i tempietti o delubri, in cui vengono depositati gli arnesi da lavoro dei contadini, durante la notte, nella sicurezza della loro inviolabilità.
Cosa degna di nota è infine il culto singolare delle pietre; perchè, osserva giustamente l’A., da esse gli arabi non ricavano nessuno di quei vantaggi che off ron loro gli alberi c le correnti d'acqua; tranneché non le considerino come materia e germe donde si derivano le mirabili opere della scultura. Diverse sono le forme che i geni prendono nell’appariré all’uomo; Si trasfigurano spesso in bestie feroci, c, pur restando lor tempo preferito la notte, spesso compaiono all’aurora è al mezzogiorno. Nella credenza beduina occorrono numerosi sacrifizi propiziatori per attenuare 0 annullare la loro malefica azione ».
Nel secondo articolo l’A. premette un breve cenno sui sacrifizi dell’età preislamica: in piena idolatria, si comprende come nessuno scrupolo impedisse il sacrifizio di vittime umane, di cui S. Nilo cita una che, fatta prigioniera in un romitaggio, stava per essere sgozzata in onore del pianeta Venere: particolare poi tra le vittime animali l’uccisione di una caramella sulla tomba di un morto, con una sella al collo, perchè il defunto la potesse cavalcare il dì del giudizio. Venendo poi ai tempi nostri, si dividono i sacrifizi in incruenti e cruenti. Dei primi, si ha un esempio nel fior di latte che i buoni beduini offrono alle chiese e ai luoghi santi in riconoscenza per la prospera stagione.
Più diffuse sono invece le offerte in cui si sparge il sangue; moltissime sono le occasioni e le circostanze in cui è di rito il sacrifizio. Anzitutto alla nascita di un figlio
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maschio, accolto con gran gioia dai genitori c da tutta la tribù, si sgozza una pecora bianca, del cui sangue il padre unge la fronte del neonato. Giunto ai 3 o 4 anni, si compie la cerimonia della circoncisione, con l'offerta ugualmente di una pecora, e con grandi giochi e gare e veglie. Gran quantità di poveri animali lasciano la vita nelle cerimonie per il fidanzamento c lo sposalizio, in cui i maggiorenti si recano dal padre della giovane a chiederla in ¡sposa, quando anche non sia fidanzata sin dalla culla. L’adornamento della giovane’ che va a nozze richiede un sacrifìcio detto «il sacrificio delle hiuna » dal nome dell’essenza di che le compagne aspergono il corpo della promessa. Importantissimo è il sacrificio del matrimonio vero e proprio, senza del quale l’unione è ritenuta illecita; il rito sono sette pecore Che si immolano in onore degli ospiti gratulanti.
Purtroppo non sempre dura la felicità coniugale, spesso spezzata dal ripudio con cui il marito caccia la donna di casa; ma anche qui, una volta tornato a migliori consigli l'uomo per rinnovato affetto 0 per imbarazzi creatigli dalla sua posizione, il sangue di una vittima risuggella la unione fra gli sposi.
La casa nuova, fondata dal giovane capo di famiglia, la tenda beduina, è naturalmente oggetto della più viva venerazione; ed è consacrata al solito dal sacrifizio, come pure col sacrifizio si inaugurano le soglie delle costruzioni in pietra.
I sacrifizi, che hanno accompagnato l’arabo in tutta la sua vita, si chiudono co) finire di questa. Quando, riusciti vani i voti e le offerte pei- la sua guarigione, il beduino scende nella tomba, si immola per lui la bianca caramella di rito, munita di una bisaccia con provvigioni, di cui l’anima dell’estinto si servirà nel suo viaggio nell’eterno. Alle volte invece il sacrificio è anticipato, e l’uomo ancor vivo e sano sgozza la vittima in pro dell’anftna sua; del sangue sparso si bagna una gran pietra, destinata «a far traboccare la bilancia divina per le buone opere sulle cattive ».
Oltre a vari altri sacrifizi propiziatori, come quello dopo la raccolta, quello per ottenere le pioggie benefiche, l’offerta del primo nato del gregge, è in grande importanza e praticato anche dai cristiani quello in onore e in difesa del cavallo, gloria e vanto degli arabi del deserto. La nascita di un puledro è una festa per tutti:
del sangue della pecora subito immolata si asperge il ventre della madre e del nato,, le zampe, i fianchi, la candida macc della fronte.
Dinanzi alle terribili epidemie di peste c vaiolo scompare la fierezza e il coraggio indomito del beduino per dar luogo alla più grande disperazione, e anche alla più grande vigliaccheria; abbandona la tenda diletta, abbandonati i parenti, i vicini, stesi sul letto di morte, fugge smarrito e solo cerca con offerte e olocausti di placare e propiziare gli spiriti avversi ».
Su la patria e la famiglia di S. Girolamo fa nella Civiltà Cattolica del 15 marzo delle assennate osservazioni uno scrittore anonimo, contestando le troppo facilmente accettate conclusioni del Bulich che vogliono vedere in Grata» vo, sul confine tra Bosnia, Dalmazia e Croazia, la Stri-donc nella quale sarebbe nato il fiero e grande dalmata. Scalzando l’argomento archeologico che è assolutamente dubbio perchè fondato sull’apografo di un’iscrizione, malamente trascritta e peggio interpretata, l’anonimo stabilisce con molta probabilità,, di su l’epistolario geronimiano, la vicinanza della patria dello scrittore della Chiesa nella regione di Aquileia, e poiché Gerolamo stesso dice che Stridono «oppidum a Gotta8 eversum Dalmatiae quondam Panno-niaeque confìnium fuit » e fu per tutti dalmata, Stridono deve porsi nei confine meridionale della Carniola moderna. Se questo anche possa esser dubbio, è certo per lo meno che la critica negativa dell’A. è definitiva.
Qualche notizia sulla famiglia l’A. stesso desume dalle opere di Gerolamo, rigettando la tesi di coloro che lo volevano slavo... due secoli prima che gli Slavi giungessero in Dalmazia. Poche notizie del resto ci rimangono sulla famiglia c sugli amici suoi.
Il tatuaggio e il Santo Sepolcro. — Secondo alcune notizie pubblicate nel Cham-bers's Journal del i° gennaio (che noi rileviamo da Minerva del i° marzo) uno scrittore che pubblicò nel 1846 i suoi appunti di viaggio, M. A. Titmarsh, faceva rilevare come i pellegrini portassero per ricordo da Gerusalemme un tatuaggio consistente in cinque croci, l’impronta di Gerusalemme, il nome della città in lettere ebraiche e la data della visita. Tale tatuaggio e i rosari che i pellegrini portavano-
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dalla città santa furono per molti secoli le cose più caratteristiche che attestavano il viaggio. Di tatuaggio vi è già ricordo anche nel 1612. Alcuni vi facevano incidere anche altri simboli personali e non di rado questo tatuaggio si prestava a frodi e imposture.
S. Pietro in Italia. — In un articolo del Marzocco del 20 marzo, A. Taramelli, dopo molte quanto inutili osservazioni sulla fede e sulla critica, e sulla Germania e sulle scuole negatrici e via dicendo (nello stesso numero v’è un interessante articolo di M. Lato che dimostra proprio il contrario a proposito della leggendaformatasisu Luca Cambraso) dà le seguenti notizie sugli scavi che à fatto Peleo Bacci a Grado sulla costa maremmana dove la leggenda à collocato l’arrivo di S. Pietro ed il M. E. à portato tutto il contributo della sua fede ingenua.
« Egli ha trovato — dice il Taramelli —le mura della vecchia casa romana i cui schiavi accolsero il grande apostolo nell’agape fraterna, trovò le traccie della chiesa costantiniana che sorse subito dopo la pace sul posto dell’antica casa di cui si utilizzarono tutti i materiali; trovò i segni di nna pietà fervida ma di pochi mezzi, qua-l’era quella dei poveri primi cristiani, ricchi solo di fede e di tenacia, e di ardire di martiri e di assertori, trovò infine le prove dell'ubicazione originaria della lapide mi-liaria che indicava il lito di Grado sul corso della via consolare romana, sempre battuta e sempre rinnovata dai successivi imperatori. Nel proseguire le indagini interrogando il suolo, sotto l'altare quattrocentesco, si dovranno trovare l’antica mensa e i frammenti del ciborio e delle transenne: e si vincerà la bella battaglia, di fede e di gloria ».
E sta bene: ma finora non vediamo ancora questa prova dell’arrivo dell’Aposto-lo. Verrà? ce l’auguriamo perchè le vittorie della fede sono sempre le più belle e le più feconde; se non che finora, ripetiamo, nulla parla o vince se non proprio l’odiata e calunniata critica!
Progresso 0 milleranismo? — E. Buo-naiuti in un articolo dell'Orione del 12 febbraio, recensendo il volume di J. B. Bury sulla genesi e lo sviluppo dell’idea di progresso si domanda se non debbano vedersi nelle aspirazioni moderne verso la giustizia sociale una certa persistenza di motivi messianici che sembrano ricongiungerle alle concezioni del vecchio cristianesimo millenarista.
« E’ vero — egli scrive — che le teorie moderne del progresso poggiano sul riconoscimento di forze positive, dalla cui ferrea dialettica sgorga, necessariamente, il miglioramento umano: mentre il cristianesimo attende solo da Dio la rivelazione e l'au-. mento del bene. Il Regno dei cieli è una luminosa epifania della misericordia paterna di Dio e gli uomini sono radicalmente impotenti a meritarla, con virtù che non siano, unicamente, quelle della fede semplice e dell’infantile abbandono. Ma proprio qui forse, in questa consapevole rinuncia ad ogni assegnamento sulle forze umane per il trionfo della bontà e della giustizia, risiede la superiorità, anche sociale, della capacità risanatrice della speranza cristiana. Nei suoi elementi centrali, la teoria del progresso non sarebbe per caso la trasposizione teorica e pseudo-scientifica di un Regno di Dio, strappato da ogni contatto con la spiritualità e con l’eterno? Non rappresenterebbe essa pertanto la contaminazione innaturale e caduca di due attitudini spirituali radicalmente eterogenee: la fede religiosa nel bene e nella giustizia assoluta, che sono sinonimi di Dio; e l’aspirazione sodiale al pieno e universale benessere sulla terra, dove invece fa pompa di sè, spavaldamente, il dominio di Satana? »
Il vero araldo del progresso non sarebbe quindi per il Buonaiuti il filosofo o il sociologo, ma il profeta religioso che registra, nell’angoscia, tutto il male per annunciare l’avvento della redenzione.
Teseo e Tristano. — M. Maffi nella Rivista di Roma del gennaio-marzo 1921, esaminando i miti di Teseo e Tristano e mettendone in luce la somiglianza delle forme e la diversità dello spirito che li informa, afferma la necessità che gli studiosi dei problemi che i miti stessi impongono (storia, etnografia, glottologia, ecc.) ne facciano oggetto delle loro ricerche e risolvano la difficoltà che essi presentano: il passaggio di un mito ellenico non favorito dalla romanità e quindi non assimilato e non trasmesso da essa, dopo una naturale elaborazione, a razze e tempi che l'anno assunto come espressione suprema dèlia loro spiritualità, però capovolgendone addirittura l’elemento sostanziale. Non si tratta perciò di un'elaborazione dotta e letteraria, ma di un procedimento rinnovatore di popoli e di razze che bisogna assoluta-mente mettere in evidenza.
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Il numero di febbraio di Fede e Vita è in gran parte dedicato ad un articolo del Prof. V. Macchierò ad illustrare quanto fa la Federazione degli studenti per la cultura religiosa nelle sue conversazioni religiose, rilevandone l’importanza grandissima.
In tali conversazioni, reagendo ad altre attività culturali della stessa Federazione, si ha la preoccupazione che esse siano religiose non già quanto all'argomento soltanto, bensì quanto allo spirito cd alla volontà, onde non restino un semplice scambio di idee che' potrebbero dirsi con riguardo all'argomento religiose, ma che in realtà non sarebbero punto religiose, pur restando sempre istruttive.
I giovani della Federazione colle loro « conversazioni > non vogliono solo parlare di Dio — sia affermandolo sia negandolo — restando indifferenti, parlandone cioè naturalisticamente come si parlerebbe dU.qua-lunque altro oggetto; essi, nelle «conversazioni », sentono a priori che il loro discorso intorno a Dio li potrà portare, li porterà ad una posizione di fede o di scetticismo o di negazione che influirà profondamente sul loro spirito. Fatte cosi, le « conversazioni » non possono che essere serie e benefiche per la classe studentesca.
Di Nicolò Tómmaseo e del suo amore per l'Italia e delle sue benemerenze per la nostra letteratura e per la nostra politica nei momenti in cui far della politica equivaleva a mettere in repentaglio la pace e la vita, à scritto da par suo F. Momigliano nell’yfzùw« del 2 febbraio a proposito della ristampa della sua opera Dell’Italia il cui programma à grande affinità con quello mazziniano e giobertiano. Per la conoscenza della figura del Tommaseo, che a molti italiani appare come un volgare clericale, citiamo questa parte dell’articolo che lo rivela in una forma sconosciuta alla maggior parte delle persone colte. Il Momigliano parla dell’opera e delle sue caratteristiche. «Naturalmente — dice il M. — è assai fosco il quadro tracciato dello stato di Europa e segnatamente dell’Italia. Il Piemonte rappresentato da un fedifrago imbelle ed ipocrita ha smarrita ogni traccia dell’antica virtù militare; nel Mezzodì stride il contrasto di poche menti elette sperdute tra turbe di cafoni semi selvaggi. In mezzo alle idee nuove, difeso dall'oziosa infingardaggine, il pontefice si abbietta a servile strumento di prepotenze altrui.
« Le infocate invettive del Lamennais, il personaggio regnante dell’epoca, contro la chiesa reazionaria riecheggiano nelle pagine del Tommaseo il quale peraltro professandosi profondamente cattolico, si guarda bene dal proporre innovazioni dogmatiche. Amico ed ammiratore del Rosmini, e memore del gran Alighieri, mette a nudo le piaghe d'ordine disciplinare e temporale che deturpano la Chiesa. Questo è il linguaggio del papa ai sudditi.“ Voi per me pagate; io prego per voi. Le spese crescono; ma rallegratevi, io prego *'. Non dice: io soffro; pregate. Dice: “ Io prego, soffrite... ” « Oh pèn grate saliranno le tue preghiere, povero vecchio, di te che, la pecora smarrita trovando, non la imponi già sulle tue spalle con gioia, ma la commetti al mercenario che la trascini, al soldato che al cospetto dello Straniero la uccida ».
Il capitolo « Il Papa » si chiudeva cosi: « Se un governo si abbietto, sì lebbroso di ogni male, fosse da stimare intangibile, Dio non sarebbe ».
Concludendo sul sentimento che à dettato l’opera, il M. finisce cosi il suo articolo:
« E’ un amore sostanziato di fede e sollecito, anzi trepido, del rinnovamento spirituale degli Italiani senza il quale le rivoluzioni e le avventure fortunate non danno frutto. Negli albori del nostro Risorgimento i veri e più grandi apostoli di libertà e di indipendenza politica sentono l'esigenza di rinnovare le anime con una rinascita religiosa che dà troppi secoli mancava all’Italia. E contrappongono al materialismo gesuitico che aveva inaridito il eattolieismo nostrano, i valori spirituali di un cristianesimo che si conciliasse con la democrezia.
« Gioberti, Tommaseo, Rosmini e Mazzini sarebbero stupiti di trovarsi avvicinati da un ideale comune eppure scrivevano combattevano e pregavano animati dallo stesso spirito. La loro riconciliazione sostanziale è voluta dalla giustizia storica. Anche se troppi non la intendono. »
— G. Ortolani, parlando nel Marzocco del 3 aprile del carteggio Tommaseo-Cap-poni e ricostruendo la vita e il pensiero del grande dalmata, fa sul carattere e sulla religiosità sue le seguenti osservazioni:
« La religiosità del Tommaseo fu paragonata a quella di Tertulliano e di Calvino; la stessa intolleranza ritrovò alcuno in Tolstoi. Certo ai contemporanei pareva che la sua natura partecipasse un po’ dell’istrice. “ Eretto, inflessibile davanti a
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uomini e cose, come avesse sempre in vista un gran dovere da compiere ” parve al Politco e apparirà ai posteri. La^sua stessa figura aveva qualche cosa, dice Isidoro Del Lungo, “ tra di asceta c di apostolo e di tribuno Giorgio Politco fu degno di comprenderlo, di amarlo e di rappresentarlo con parole che vincono il tempo: „ Atleta del pensiero nel cospetto di Dio, impermaliva qiàsi d’ogni plauso che gli venisse di quaggiù e ricco di promesse immortali sembrava ormai immune da quanto è caduco e mortale nell’uomo:.. Oggi vittorioso, domani indulgente c compassionevole ai vinti: ombratile c sdegnoso eppur ingenuo e espansivo nella corrispondenza degli affetti; tipo veramente singolare e mirabile, discorde molte volte* dagli uomini e dai partiti per serbarsi integro c concorde a sè stesso ”.
Carlo Peguy. — A. Franci nel Resto del Carlino del 26 marzo, rilevando alcune interessanti notizie su Carlo Pcguy da un volume di R. Johannct, riferisce questi particolari molto notevoli sulla religione di Carlo Peguy.
« La sua religiosità consiste, più che altro, ncU’opcrar bene. I suoi figli non furono battezzati, la moglie non è praticante» egli sfesso fu aconfessionale e non andava mai alla messa. Tornato alla fede, gli ripugnò sempre il titolo di convertito, pur tuttavia incaricò formalmente Jacques Maritain — verso l’agosto del 1907 — d’andare all'isola di Wight ad annunziare a don Baillet, un vecchio compagno della scuola normale, il suo ritorno alla fede.
« Sorel ha recentemente concluso, su questi dati di fatto, che il cattolicismo di Peguy consiste, forse, in una varietà del cristianesimo, ma del cristianesimo senza messa e senza sacramento.
«Questa conclusione non è priva d’acume ma non so quanto può essere esatta.
« D’altra parte, lo stesso Peguy un giorno in presenza di Psichari e di Massis ebbe a dire con una sorta di violènza triste: “ Non vo mai alla messa, non potrò mai assistere alla messa, al sacrificio della messa. Ciò sarebbe troppo violento per me, non potrei, mi troverei'male. Entro in chiesa, in una chiesa per pregare, ma sempre prima della messa, prima dell’ora della messa ”.
«E a questa dolorosa confessione va unita l’altra che riporta il Maritain: Mólte volte m’ha detto che la messa e la comunione era troppo forte per un peccatore,
per un uomo costituito come lui nello stato di peccatore.
«Ma pregava, e con grandi consolazioni spirituali, davanti a una croce di pietra, sulla strada di Saint-Clair a Orsay, per esempio.
«E tutta l’opera sua è un’aspirazione verso l’alto, un grido di fede come uno dei suoi grandi desideri era di diventare un autore cattolico, bandito dal pulpito, raccomandato dal clero cattolico.
« Professandosi maestro di Bergson ed esagerandone la dottrina, sdegnò la teologia: " I teologi non servono .a niente. Dopo tutto, chi è che ha sfondato Spencer? Non San Tomaso, ma Bergson ”.
« È da credere che non gli capitasse mài tra mano un esemplare della Somma se un giorno ebbe a dire a Monsignor Battitoi: " San Tomaso! è un uomo come Bou-■iroux0. ■
Nella Rassegna Nazionale (fascicolo del Io gennaio) è notevole ùnò scritto di « Fulvio » « Cattolicismo e Comunismo nel pensiero di Cesare Seassaro ». Il Scassar© (un avvocato socialista ben noto, col pseudonimo di « Caesar », ai lettori del-V Avanti e dell’Ordine Nuovo) ha lavorato assai per contrapporre il riformismo, dottrina edonistica e materialista, al bolscevismo da lui offerto (al di sopra delle degenerazioni pratiche e degli orrori inevitabili in cui la idea è caduta) come dottrina idealista e spiritualista. E fin qui non esproprio nulla a dire. Dove invece il Seassaro è paradossale si è nel voler alleare la sua idea al pensiero cattolico-romano. Se egli avesse riavvicinato il comunismo al cristianesimo primitivo (che pure fu an-ch’esso ai suoi tempi una dottrina ritenuta pericolosa ed antisociale); se, come va facendo,« Dominicus » in Fede e Vita, avesse voluto mostrare che quanto c’è di buono nel pensiero social-comunista è in fondo cristianesimo, egli avrebbe avuto ragioni da vendere. Ma il suo attaccamento al cattolicismo romano (con la conseguente sua apostrofe all’indirizzo di Podrccca) non ha proprio nulla di serio.:, se non gli può servire di scusa l’aver scambiato il pensiero cristiano con il vaticanismo-gesuitico che oggi domina incontestabilmente il cattolicismo. Attendiamo le sue « Epistole di un bolscevico ai cattolici » di prossima pubblicazione; ma probabilmente anch’esse saranno impostate sul medesimo equivoco.
B.
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LE DUE ROME
DOPO IL 1870
Un utilissimo materiale per lo storico che sappia leggere raccolgono le Memorie di Giuseppe Manfroni, pubblicate a cura del figlio prof. Camillo ed edite dallo Zanichelli in grossi eleganti volumi dei quali sono stati pubblicati i due primi.
Il Manfroni ebbe la felice abitudine di confidare a una specie di diario ricordi impressioni giudizii personali sui fatti che si svolgevano odei quali egli era parte; cioè sui contatti molteplici e delicati che la convivenza nella stessa città imponeva al Vaticano e al nuovo Stato; una autorità , spodestata bensì, il primo, ma che conservava, entro i confini di un immenso pa-azzo, una vera per quanto indefinibile sovranità civile, della quale molti cittadini si ritenevano sudditi e perla quale complottavano, pur mólto bonariamente e accademicamente.
E questi rapporti, che erano spesso di attrito e spesso di collaborazione, caratterizzati da un cruccio timoroso, dall’ima parte, e da un diffidente e dispettoso ossequio dell’altra, non regolati da norme fisse, davano terribilmente da fare al povero commissario di Borgo; il quale, tuttavia, se la cavava felicemente, con molto buon senso e con sufficiente perspicacia, portato dai suoi convincimenti di buon cattolico e di buon cittadino, nei quali la conciliazione era di fatto avvenuta, a non inasprirli mai, ma anzi a stemperarli e addolcirli con ogni sorta di risorse, sapendo che di qua e di là dal portone di bronzo non si desiderava, in sostanza, che di evitare fastidii grossi, rimettendo gli uni alla Provvidenza divina e gli altri a quella provvidenza laica che è il tempo la soluzione dell’allora inestricabile imbroglio.
Eia cosa, fra uomini piccoli e piccoli even
ti, avrebbe avuto assai poca importanza e sarebbe apparsa, come spesso apparisce nelle cronache del Manfroni, commedia di un piccolo mondo, se non ci fossero stati gli occhi di innumerevoli cattolici fissi su Roma e sul papa prigioniero e sui camerieri e monsignori; e se non avessero vigilato le diplomazie di tre o quattro Stati, attentissime su quel che avveniva fra Vaticano e Palazzo Braschi, per trarne opportunità di far dispetto al nuovo Stato o di costringerlo, con minaccie o lusinghe, a servire al proprio giuoco.
Ma il diplomatico pili abile e più efficace in tutta questa faccenda, che durò decenni!, fu il commissario di Borgo con quella sua astuta bonarietà, la quale seppe spesso evitare che le piccole cose diventassero cose grosse ed impedì così, più efficacemente che non facessero i presidenti del Consiglio o i diplomatici della Consulta, che le relazioni fra la Chiesa e il nuovo Stato italiano, inopportunamente drammatizzate, scatenassero o ingrandissero conflitti religiosi e civili.
La buona volontà di un intelligente c solerte Commissario di P. S. non faceva, tuttavia, che secondare la storia. Il potere temporale dei papi, crollato il XX settèmbre 1870, lo vediamo in queste pagine esaurirsi e morire negli animi, vuoto oramai di ogni serio contenuto ideale e storico, nei crucciosi dispetti e nelle sterili proteste di una autorità spirituale che sente oramai di diminuire se stessa accanendosi a rivendicarlo e che soprattutto per ragioni economiche e fiscali —- l’obolo di S. Pietro — cerca di mantenere nelle coscienze cattoliche la fede nella necessità di quel potere, la protesta contro l’unità italiana e la pietà per l’augusto prigioniero.
M.
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TAGORE
Glimpses of Bengal, sclccted from thc Lettera of Sir Rabindranath Tagore. London Mac Millan, 1921, p. vm-166, sh. 7, 6.
Il premio di Stokolma, che non riesci gradito a R. Tagore, perchè gli toglieva quasi lo scudo a difesa (< they have taken away my shelterl» — scrisse il poeta, turbato dalla pubblicità che ormai faccvasi intorno al suo nome), gli ha però immensamente ampliata la -cerchia dei lettori, tanto che da sette anni in qua egli è io scrittore più ricercato non pure nellTnghiiterra ma nell’Europa intiera. E sarà letto c gustato assai anche questo recentissimo suo volume di visioni Dentatine, sebbene non sia che una selezione delle lettere che egli scrisse agli amici nel primo periodo della sua attività letteraria, dal 1885 al 1895.
Un uomo candido come il Tagore si esprime, quando parli ad amici, col più generoso abbandono: ed ecco la prima ragione per la quale si leggeranno con interesse vivissimo le lettere del vate .di Bengal.
Un altro lor pregio consiste nell’essere state via via dettate mentre l’Auto re concepiva e stendeva alcuni de’ suoi primi ca-pilavori, si che la lettura di quelle lèttere è più valido ausilio alla intelligenza dei poemi, rivelandocene la genesi, lo sviluppo, l’intimo travaglio della elaborazione.
Un terzo pregio, tutto intrinseco, è nel contenuto spesse volte geniale e profondo e nella forma sempre squisitamente artistica, sia nell’aneddoto piacevole, sia nella severa riflessione filosofica.
In una delle ultime lettere leggiamo:
« La religione che ci vien solo dalle esterne Scritture non diventa mai nostra propria; l’unico nostro vincolo con essa è quello della consuetudine. Conseguir la religione interiore è il grande còmpito di tutta la vita umana. Nell’estremità della sofferenza deve essa nascere; nel sangue stesso dell’uomo, nel suo sangue vitale dcv’cssa vivere; e poi, .venga o no la felicità, la giornata dell'uomo .culminerà nella gioia della pienezza. Di rado ci accorgiamo quanto sia falso per noi quello che udiamo dalle labbra altrui o custodiamo ripetendo con le nostre proprie labbra, mentre il Tempio della Verità va di continuo edificandosi dentro di noi, pietra su pietra, giorno per giorno. Noi non riusciamo a comprendere il mistero di questo eterno edificare quando consideriamo staccate a parte a parte le nostre gioie ed angosce.
in mezzo al fluire del tempo; proprio come una frase diviene inintelligibile se la si debba pronunciare staccando sillaba da sillaba ».
In questa raccolta di lettere, come nelle sue opere filosofiche e poetiche, il Tagore ci si mostra sempre nella sua mistica ma non ascetica interpretazione della vita. Se pur sognante, egli non dorme; se pur amante, non pecca; canta e si ciba; lavora e gioisce; vola con ali spante ed è comtempiativo. Egli vede la natura con la limpidezza dell’occhio delle prime genti; la comprende come creatura elementare; la conquista come elemento di vita immortale; e con la natura vede, comprende conquista l’universo nella unità dello spirito eterno, nella unità dell’eternc forze, nella unità del perenne rinnovellarsi della bellezza con il perenne manifestarsi delle immutabili leggi. In lui l’arte è semplice vita; è la rivelazione melodiosa dell’anima.
Eduardo Taglialatela.
CINA
J. J. M. De Groot, Universismus. Die Grundlage der Religion und Ethik, des Staatswesens und der Wissenschaften Chinas. Berlin, Reimer, 1920. p. vili, 404. È la ristampa, alquanto migliorata ed ampliata, di un altro volume dello stèsso titolo pubblicato nel 1903 a Londra. L’autore del l’enorme Religious System of China non abbandona il suo vecchio sistema: raccoglie un prezioso materiale dalle fonti indigene, ma trascura un po’ troppo gli ultimi risultati delle ricerche occidentali sulla letteratura e sulla filologia cinese. Ed è cosi che egli basa alcune sue argomentazióni su passi dello 'Shu King quasi fossero autentici, mentre dopo gli studi del Legge, dello Chavannes, del Pelliot è assodato in maniera sicura che si tratta di luoghi mistificati. Nè si preoccupa — e la cosa sarebbe stata necessaria dato il genere delle sue ricerche — di stabilire la cronologia di singoli appendici dello Yi King che la tradizione, evidentemente a torto, attribuisce a Confucio.
La stessa evoluzioe del pensiero filosofico cinese che il De Groot ci presenta risponde piuttosto ad una sua ricostruzione soggettiva che ad un reale sviluppo che possa sicuramente documentarsi.
Egli sostiene che i più antichi pensatori cinesi dall’osservazione dei fenomeni na-
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RECENSIONI
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turali giungessero prestissimo al concetto di un ordine cosmico universale, che chiamarono Tao, una legge assoluta che tutto governa o che si manifesta sotto due aspetti fondamentali: lo YingeloYang, i quali corrispondono ad una serie di concetti opposti, femmina maschio, caldo freddo, pari dispari.
In questo ordine cosmico che nell’uomo diventa legge morale si plasma la vita sociale, la quale in ogni singolo atto dell’individuo o della collettività deve modellarsi su quello. Ne deriva quindi l’utilità, anzi la necessità di vivere secondo il Tao, che noi dobbiamo realizzare in noi stessi, e il ben noto cerimonialismo di tutta la civiltà cinese perchè ogni offesa al Tao è causa inevitabile di jatturc per l'individuo e la società. Questa è la parte dello studio del De Groot che più si presta alla critica: egli ci presenta ben ordinata e fissa nei quadri immutabili di un sistema il risultato di una secolare elaborazione. Nello Yi-King ad es. — i cui singoli capitoli rimontano del resto ad età disparatissime — non si ha ancora un chiaro concetto di quel monismo che per la prima volta ritroviamo rigorosamente formulato in Lao-tze. I passi in cui nello Yi-King si parla del Tai-yi o grande unità sono certamente tardi e probabilmente influenzati dalle credenze taoiste. Per quanto Confucianesimo e taoismo derivino direttamente da uno stesso tronco, presto si differenziarono più di quanto il De Groot non lasci supporre. Il Tap infatti nella scuola confuciana antica è semplicemente ordine cosmico e legge morale cui bisogna adattare la nostra condotta} morale e gli stessi ordinamenti della ' vita sociale: mentre il taoismo congiunge all’idea di legge e di forza quella di materia. Per Lao-tze il Tao è energia e sostanza hell’istesso tempo, quell’ens realissimum che per una forza in lui stesso immanente sviluppa e trae da sè medesimo il mondo della realtà sensibile. Inoltre le due correnti di pensiero, la confuciana e la taoista, sono opposte per la concezione che hanno della vita: la società è tutto per Confucio, per il taoismo invece l’uomo deve straniarsi dal mondo e annullarsi e confondersi nella grande energia cosmica, il Tao.
La seconda parte del libro del De Groot dedicato al culto confuciano, sacrifici imperiali e culto degli antenati, alla chiesa taoista e soprattutto alla geomanticà ed alla mantica in generale è quella che maggiormente interessa, costituendo una delle
migliori esposizioni delle varie superstizioni e della pratica religiosa del popolo cinese.
G. Tvcci.
SOCIALISMO CRISTIANO
Kral Josef, Der christliche Sozialismus? Die Versöhnung von Christenthum und Sozialismus. System einer Gesclìschajtsreform nach Naturrecht und Sittengesetz. 2® Auflage. Dillingen, Keller, 1920, 8°, pp. vni-xS-j.
Alla domanda contenuta neH'interrogativo del titolo, l'Autore risponde affermativamente, sostenendo e dimostrando lungamente che, si, può e deve esservi un socialismo cristiano, un socialismo, cioè, che ponga a base della riforma sociale la legge morale e il diritto naturale, di cui la Chiesa cattolica è la sola depositaria, si che, rovesciata la società. dgoistico-capitalistica, se ne edifichi al suo posto un’altra solidaristico-socialistica. Questa profonda rivoluzione non può essere effetto che di una nuova educazione che rinnovi l'uomo dal di dentro. In conformità di questa concezione religioso-pedagogica della questione sociale, l'A. traccia un quadro delle più importanti riforme da attuare nel dominio della cultura (tra esse, lo studio obbligatorio dell’esperanto per tutti), della politica estera (e qui un ampio programma pacifista o internazionalista) c della politica economica (conciliazione dell'ordine sociale e della libertà individuale sulla base di una economia solidaristica: produzione corrispondente al bisogno; lotta contro la plutocrazia; diritto al lavoro; doveri sociali della proprietà; sussistenza agl’incapaci di lavorò; protezione del lavoro; limitazione e soppressione dell'eredità; socializzazione dei rami monopolistici della produzione, delle funzioni igieniche, giuridiche, dei mezzi di trasporto, degli istituti bancari, ritorno all’agricoltura, socializzazione del latifondo, ma promozione della piccola proprietà, ecc.).
Libro chiaro, bene informato e utile a conoscere le direttive di un partito politico che ha già grande importanza in Germania ed accenna ad averne anche da noi. A. T.
SOPRAVVIVENZA
I.. Chevreuil, On ne mcurl pas. Preuves scientifi-ques de la Survie. Paris, Jouvc, 1920, p. 3x6. Frs. 5
Ecco un libro che è in se stesso un saggio ant cipato di quello che potrà essere la .teologia-'d domani. Alcuni anni or sono Fr. W. Muers, ne suo volume Human Personality (voi. II, p. 287) avea scritto, nel bel mezzo delle sue esperienze sulla sopravvivenza: • Frattanto io arrischio una ardita proposizione predicendo che, appunto per queste nuove conquiste, fra cento anni tutti gli uomini ragionevoli crederanno alla Risurrezione
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di Cristo... ». L. Chevreuil lancia, con pari animo, in questo suo libro premiato dali’Accademia delle Scienze, il grido d’esultanza liberatrice: « J/ors, ianua vilae! ».
In esso è la Scienza che con un cumulo di documentazioni scrupolose si sforza di portare una valida giustificazione aH'affermazione della fede cristiana nell’immortalità. Credo in vitam aelernam! Perchè dovrebbe la teologia rifiutare questo poderoso ausilio'che disinteressatamente le si offre? Audaci esploratori gettano lo scandaglio nel gran mare dell’essere c studiano la vita anche oltre i ristretti limiti delle sue apparenze fenomeniche. Dovrebbe il r. -ultato delle loro indagini andare disperso? Assóutamente no. Ed ecco allora perchè va fatto gran calcolo di ogni libro che, di rincontro alle teorie della materia sovrana, dischiude avanti vasti orizzonti di ulteriori possibilità psichiche.
Libri scientifici, intendiamoci, libri che nulla hanno a vedere con i giuochi della superstizione, con le pratiche spiritiche — goffa parodia del mistero — e con le diffondentisi mediumnopatie e mediumnomanie della nevrosi spiritica di tanti decadenti. Piero Chiminelli.
APOLOGETICA CRISTIANA
J. R. Hanno, Freies Christentùm. Fur Denkende undSuchende kurz dargestellt. Wissenschaftlicher Verlag W. Gente, Hamburg 8, 1921, p. 176.
Questo libro,- tenue di mole, ma ricco di contenuto, espone le verità fondamentali della religione cristiana, dal punto di vista del protestantesimo liberale. Si rivolge in modo speciale alle persone colte che si sono staccate dalla forma tradizionale, dogmatica del Cristianesimo e ritengono che il Cristianesimo stesso abbia oramai fatto il suo tempo e sia incompatibile col progresso moderno. Lo scopo di questo libro è di mostrare l’attualità e la vitalità del Cristianesimo, e il tema fondamentale è cosi formulato: • La fede cristiana, come Gesù l’ha proclamata, ci mostra la via che conduce alla vera felicità e rende l’esistenza umana degna di esser vissuta ».
Nello svolgimento della sua tesi l'A. demolisce senza esitazione i dogmi considerati come fondamentali dell'ortodossia (Trinità, Divinità di Gesù Cristo). Gesù di Nazaret è, per lui, l'incarnazione dell'idea dell’uomo, creatura morale e religiosa, quale Die lo ha voluto. A proposito della vita di Gesù, oltrepassando anche là linea media della teologia critica, si dubita che Gesù si sia dichiarato il Messia. Tuttavia, anche nelle parti negative, la critica è sempre elevata e rispettosa degli argomenti che tratta.
L'A., che senza dubbio possiede una solida coltura scientifica e teologica, si muove tra tutti i
problemi che sorgono dall’esposizione della dottrina cristiana, con piena padronanza della svariata materia. In ogni problema, evitando astratte c prolisse disquisizioni, egli dà quel tanto che occorre per permettere un giusto orientamento, scoprendo sotto alla speculazione il nucleo religioso che importa alla vita.
Sarebbe certamente fuor di luogo e troppo lungo indugiarsi ad indicare o discutere quei punti nei quali non condividiamo le idee dcll’A. Preferiamo riconoscere che, data la sua posizione teologica, e i lettori in vista dei quali egli ha scritto. Io scopo ch'egli si è proposto è magistralmente raggiunto. Non soltanto: ma aggiungeremo che, per chi non si attacchi a punti speciali, ma consideri serenamente la trattazione nel suo complesso, l’impressione benefica la vince di gran lunga sulle riserve parziali. Nelle questioni essenziali, in cui la fede si contrappone all'incredulità, questo libro offre preziosi materiali per l'apologetica, e merita di esser raccomandato e diffuso.
T. L.
CATTOLICISMO FRANCESE
Fernand Jamin, Conseils auz jeunes gens de Frante apris la vieloire. Paris, Pcrrins, 192 x, p. 267. Frs. 7- *
Il libro di F. Jamin, pur non uscendo d’un millimetro dalle più rigide direttive del Risorgente cattolicismo francese, mira ad una opera di ri generazione, affidata come un dovere di onore alla gioventù di Francia. In un certo senso, anzi, vuole essere come il vadc mecum e il programma normativo di questa ri costruzione. Esso delinca, da prima, i doveri individuali e poi procede ai doveri sociali. E questi doveri li enuncia sotto forma, elementare talvolta, di consigli. Consigli riguardanti i corpi, cioè la mortificazione, l'igiene, l’esercizio fisico e la castità. E consigli riguardanti l’anima nella sua triplice facoltà intellettiva, volitiva ed affettiva. Nella seconda parte enumera i suoi consigli ne’ riguardi del giovane con la società, e cioè verso la famiglia, il comune, la provincia, lo Stato c la Chiesa. C’è del buono in questo libro, ma c’è molto del comune, del sorpassato e del pedestre.
Piero Chiminelli.
PROTESTANTESIMO
Carmelo Rapicavoli, Liberalismo e Protestantesimo. Studi sul rinnovamento spirituale d'Italia. Roma, « La Speranza », p. 97. L. 3.
Intento dell*A. è di additare al nostro Paese, dopo la sua vittoria politica nella grande guerra, la necessità della costituzione di un'nuovo ordine di cose, l’edificazione di un Nuovo Tempio spiri-
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tualc e una rinascita dell’ideale a mezzo d'una purificazione della mentalità delle masse, chiaramente affermando che il problema del momento è essenzialmente religioso. Siffatta necessità dei valori religiosi sorge, quasi istintivamente, dai diritti dell’anima individuale, diritti che le dure esigenze delle istituzioni collettive tendono pericolósamente a sopprimere. Nell’affermazione dei diritti dell’individuo consiste ciò che si chiama liberalismo. Però l’idea liberale — germinata dalla Rivoluzione, figlia della Riforma religiosa — fu in realtà soverchiata, in politica col germane-simo, in religione coll’ecclesiasticismo e nel campo sociale col comuniSmo bolscevico del pari assorbitore arbitrario delle attività individuali. Causa di tale soverchiamento de' diritti dello spirito fu la falsa e tutt’esteriore concezione della libertà e il conscguente silenzio della coscienza, disabituandosi ad obbedire all’autorità interiore. Caduta per tal modo l’idea liberale, a evitare la vera tragedia nazionale, si delinca la necessità di lasciare ora resperimento allo spirito: «Tutto ci dice che questa è un’età in cui l'uomo si deve sviluppare non più in superficie, ma al dire di Bergson in profondità; età ¡9 cui l’uomo deve entrare in quelle regioni più intime della coscienza che sembrano risentire delle vibrazioni di ciò che Tcn-nyson, nei suoi versi immortali, chiamò V Infinite One; età in cui l’uomo deve ascoltare il palpito di quell’organo profondo di cui Pascal ebbe adire: Le coeur a ses raisons que ¡a raison ne. connaît pas. Tutto ci dice con Alfredo Oriani che l’anima posta avanti all’infinito.non mente mai a se medesima» (pag- 47). A questo punto l’A. passa alla seconda parte del suo studio nella quale, di rincontro alla caduta idea liberale, il Rapicavoli affaccia la sua tesi della sostituzione del Protestantesimo da lui descritto come « una grande riforma religiosa di larga azione sull’anima popolare » della quale, mai come oggi, è, nel nostro Paese, tanto vivamente sentita la mancanza. Diciamo subito che questa seconda parte ricostruttiva, in cui viene prospettata al lettore la soluzione protestante, per l’inorganicità e per l’incompletezza della trattazione importantissima, ci lascia un po’ disillusi. L’autore accenna quivi, anzi, e più esattamente, sfiora soltanto una folla di questioni vitali, come il fallimento della Riforma italiana nel Cinquecento; le attitudini spirituali dell’anima nazionale; le tradizioni del nostro riformismo e il modo onde ricollegarsi adesse; l’italianità della nostra Riforma; il programma nazionale della medesima con là necessaria coordinazione di tutte le energie evangeliche italiane; la necessità d’uno studio profondo della storia e dell’azione dell’eterodossia italiana nel quadro del Protestantesimo mondiale e il modo onde soddisfare al compito che la storia odierna provvidenzialmente affida a questo stesso'
Protestantesimo italiano... Queste sono appena alcune delle tante questioni che l’A. si pone, enuncia fuggevolmente e poi lascia in sospeso. Da tutta questa seconda parte del libro, da tutti questi germi d’idee largamente seminate, invano si raccoglie l’appassionante risposta illuminatrice, persuaditrice c definitiva. Cosicché dall’A. — giovane c ben preparato — è più che legittimo riprometterci un altro — il vero — studio che fecondi e sviluppi le idee, a pena accennate, con le ragionate soluzioni di tutti que’ problemi che questo fervido dopo guerra impone anche alla responsabilità del vivente manipolo de’ protestanti italiani. Come una nuova opportunità e come una suprema prova per i medesimi.
Piero Chiminelu.
UNIONE DELLE CHIESE CRISTIANE
Frank Thcodorc, Lambeth and Reunion. London, Society for promoting Christian Knowledge; New York, The Macmillan Company, 1921, p. 115.
La storica conferenza di Lambeth, che ogni dicci anni raccoglie le forze mondiali della Chiesa anglicana, ha dedicato in modo speciale le sue molte sedute del 1920 al problema della Unione delle Chiese Cristiane di tutto il mondo. Il risultato di questo celebre Concilio fu 1’« Appello a tutto il popolo cristiano» che porta il titolo: «La Riunione del Cristianesimo». Questa enciclica dei Vescovi anglicani è qui interamente riportata, insieme colla storia delle varie conferenze di Lambeth, a cui segue un ampio commentario pratico e dottrinale del pensiero dell’enciclica, fatto dal Vescovo Woods (Segretario della Conferenza stessa) coi!'assistenza di due altri Vescovi'.
Dalla enciclica, e più chiaramente ancora da questo libro, appare che la base fondamentale della proposta unione è l’adozione di un credo comune ed ufficiale fra tutte le Chiese (quello Apostolico o quello Niceno); insieme con l’adozione da parte di tutte le Chiese, in vista di scopi collettivi cd interecclcsiastici, di una certa forma di episcopato democratizzato, che sia riconosciuta da tutte le Chiese; pur lasciando piena autonomia ad ogni singolo corpo ecclesiastico mondiale per tutto quello che riguarda i punti distintivi delle sue dottrine e le forme particolari del suo culto. Anche la Chiesa cattolica ò compresa in questo piano. Le Chiese dissidenti sono finalmente riconosciute ufficialmente in questa carta solenne come «esponenti di ricchi elementi di verità, di libertà e di vita che altrimenti sarebbero stati oscurati o negletti ». Non foss'altro che per giungere a questo grande risultato la Conferenza di Lambeth non ha faticato invano.
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dover T. R., The Frec Churehes and Re-Union. Cambridge, W. Hefler and Sons, Ltd., X92X. Sb. 2/6, p. 56.
Questo studio espone il punto di vista delle Chiese libere della Gran Brettagna di fronte alle proposte anglicane della conferenza di Lambeth per la riunione delle Chiese. Chi ha potuto seguire la battaglia delle idee nei periodici inglesi sopra questo soggetto s’accorge presto che l’A. é un fedele interprete dei sentimenti e della fede delle moltitudini delle Chiese libere. Il dott. Clifford, in una sua lettera all’A., dice che egli è « certo chequesto libro è una espressione esatta delle convinzioni e delle esperienze dei Battisti della Gran Brettagna c di moltitudini nelle altre Chiese libere, nonché delle diecine di milioni dei Battisti degli Stati Uniti, del Canada e dell’Australia; convinzioni fermamente c tenacemente possedute ed esperienze abbondantemente provate come ricche di frutti nel Regno di Dio. Esse dicono ai nostri amici della Chiesa anglicana quello che hanno bisogno di sapere a nostro riguardo ».
Dal punto di vista polemico l’A., pur rallegrandosi della nuova attitudine della Chiesa anglicana di fronte alle Chiese libere, critica l’esegesi fatta a Lambeth del passo dell'Evangelo di S. Giovanni nella preghiera di Gesù, sopra l’unione di quelli che avrebbero creduto nel suo nome, non essendo l’unione sinonimo di uniformità e di organizzazione unica; cosi pure critica la proposta della Conferenza sopra la ordinazione dei Pastori delle Chiese libere per parte dei Vescovi della Chiesa anglicana, ed espone anche le difficoltà contenute nella proposta fatta alle Chiese libere di riconoscere per le loro Chiese il sacerdozio della Chiesa anglicana. Vi sono quindi differenze essenziali nel concetto della Chiesa, del ministerio e dei sacramenti; c se le teorie delle Chiese libere sulla Chiesa, sul ministerio e sui sacramenti sono una espressione più fedele del Nuovo Testamento, allora le Chiese libere non possono tradire la causa della verità, per amore della carità. « Forse una più fedele lealtà a Cristo, un più forte senso di gentilezza e una più chiara proclamazione della verità potranno condurre alla nostra visione quelli che hanno vedute diverse, e il far questo è più grande carità che il lasciar loro credere quello che noi riteniamo essere un errore.
«La più comune (ovolgare) attitudine,dicel’A., di fronte alla Conferenza di Lambeth è questa: Dal momento che essi sono venuti incontro a voi fino a questo punto, fin dove andrete voi per incontrarli? Questa attitudine è più appropriata al campo del commercio che a quello della religione... Se uno dicesse che tre per quattro fanno otto, e poi, per ottenere una intésa, portasse quella
somma a dieci, allora non è mancanza di carità il sostenere che tre per quattro fanno dodici ».
La Chiesa anglicana ha già avuto motivi gravi per riconsiderare la sua posizione di fronte alle Chiese libere; forse dichiarazióni di questo genere, per parte di uomini rappresentativi come il Glover ed il Clifford, potranno ottenere risultati ancora più pratici di quelli che si sono avuti fino ad ora.
J. R. Cohu, Addresses on thè Lambeth Conference, London, Skcffington and Son, 1920, p. 12S. Sh. 5.
Fino ad ora il tema della Unione delle Chiese, che ha reso celebre e storica l'ultima Conferenza di Lambeth, aveva quasi esclusivamente assorbito la attenzione, non solamente del pubblico in generale, ma anche degli studiosi, a scapito degli altri problemi, pure importantissimi, che la Conferenza di Lambeth aveva discusso e cercato di risolvere. Il libro risponde appunto al bisogno fortemente sentito di un resoconto più generale e più completo sui lavori del Congresso.
Esso comprende nove conferenze, di cui la prima è dedicata alla origine sfonda ed alle finalità della Conferenza di Lambeth, la quale, pur non essendo-un Congresso ufficiale della Chiesa anglicana, raccoglie tuttavia nel suo seno la maestà del numero-e delle forze intellettuali della Chiesa anglicana, cosicché le sue decisioni possono egualmente diventare norme direttive per la comunione anglicana che è sparsa nel mondo.
Il secondo capitolo é dedicato al problema de • La Riunione delle Chiese ». Questa conferenza ha il merito speciale di metter in vista le difficoltà interne di cui il Congresso dovette tenere conto per giungere tuttavia a quelle conclusioni e concessioni che a molti sono parse ancora povere e unilaterali.
Il terzo capitolo è dedicato alla questione de «Il Ministerio Femminile nella Chiesa». Il Congresso con una lealtà che è apprezzabile ha affrontato il problema dei diritti della donna nei nuovi tempi, anche nel campo religioso, ed ha deciso di istituire l’ordine delle Diaconesse con incarichi ben definiti, non escluso quello della predicazione, che però è stato posto in parentesi, essendo stato votato solamente da 1x7 Vescovi contro 81. Questo capitolo è uno studio esegetico nuovo e critico sulla posizione ecclesiastica della donna nella Chiesa del Nuovo Testamento, e mi pare la parte più nuova e più importante di tutto il libro.
Il capitolo su • La Lega delle Nazioni » condanna l’odio che e rimasto ancora dopo la guerra ed invoca la fratellanza delle Nazioni. Sul «Capitale e il Lavoro » la Conferenza di Lambeth ha evitato dettagli, che sarebbero usciti fuori dei limiti de!
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suo compito, e si è limitata ad un appello a tutti gli investitori della ricchezza del denaro, del cervello e dei muscoli per un ideale di cooperazione in cui il bene collettivo trovi, come conseguenza, il bene degli individui nei legami dell’amore e della pace.
Più importanti invece sono le decisioni sul • Divorzio » che sono restrittive. Lo stesso divorzio per adulterio, già generalmente ammesso, viene ora lasciato alla decisione delle singole Chiese nazionali per tutte quelle garenzic che saranno stimate necessarie. Ad onta di questo, lo studio critico che l’A. fa del divorzio dal punto di vista del Nuovo Testamento, è esso pure degno di nota, sia per la parte biblica, che Agostino stesso chiamava « latebrosissima », sia per la parte storica. Notevole specialmente lo studio dell'inciso di Matteo sull’adulterio, come pure quello del passo diS. Paolo nella I Corinti (VII, 15) in cui l’Apostolo considera alt re cause, oltre l’adulterio, come motivo sufficiente a dividere ciò che Dio ha unito. E l’A. ci fa sapere che la Conferenza di I.ambeth fu ostacolata fortemente su questo punto della larga influenza cattolicizzante di molti dei Vescovi presenti, e il suo studio supplisce appunto alla deficiente direttiva delle decisioni prese dalla Conferenza.
Il libro è chiuso da tre conferenze magistrali sugli altri temi : «Le Nuove Religioni» e la «Teosofia », nonché sullo spiritismo e sulla Scienza cri
stiana. Questi tre capitoli sono sufficienti a far ricercare questo libro da una moltitudine enorme di lettori. Disgraziatamente queste pubblicazioni possono essere lette solamente da quelli che conoscono la lingua inglese, e fino ad ora manca ancora da noi, che io sappia, una guida sicura su qùesti nuovi problèmi della cultura religiosa. 11 capitolo su « La Scienza cristiana » è la più esatta esposizione di questa nuova dottrina ed è anche la più forte confutazione che io abbia letta di questo cristianesimo anticristiano e di questa scienza che odia la scienza e il metodo scientifico, e che pure si è diffusa cosi ampiamente in altri paesi.
Tuttavia la Conferenza di Lambeth ha ragione di riconoscere che « i cristiani di oggi sono troppo lenti a cercare se non vi siano ancora altre potenze di Dio che fino ad ora non sono state usate •; ed ha ragione di manifestare il suo stupore, perchè «le Chiese di oggi sono cosi lente a credere che esse medesime potrebbero anche oggi ricevere quelle stesse benedizioni che furono date alla fede entusiasta e forte della Chiesa apostolica. E cóme risultato di questo, gli uomini e le donne di oggi formano nuove società per poter fare liberamente fuori della Chiesa, quello che essi dovrebbero avere la opportunità di fare (e anche di far meglio) dentro la Chiesa stessa » (pag. 85).
Ignazio Rivera.
— Nel prossimo fascicolo daremo notizia dell’esito del nostro Concorso artistico pel Centenario Dantesco.
— A tutti i nostri abbonati Che sono in regola colla Amministrazione abbiamo spedito in questi giorni il 2° Quaderno di « Bilychnis » :
A. V. Müller: Una fónte ignota del sistema di Lutero (Il beato Fidati da Cascia e la sua Teok>gia) - (con due tavole fuori testo).
Presto inizieremo la spedizione del 30 e del 4° Quaderno:
A. Severino : 11 sentimento religioso di F. Amiel.
R. Nazzari: La dialettica di Proclo e il sopravvento della Filosofia cristiana.
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Emilio Faguet à lasciato, indirizzandole a Giovanni Finot, alcune buste contenenti alcuni suoi scritti inediti, che la Revue Mondiale promette di pubblicare quanto prima. La maggior parte di questi studi sonò interessanti anche per i nostri lettori, ragione per cui ne facciamo conoscere il titolo riservandoci a suo tempo di farne conoscere l’argomento ed il modo di svolgimento: Pascal ammalato - Il libro di Giobbe - Il Cristo del secondo secolo - Contro Nietzsche - La fede - La sincerità e la menzogna.
. li Cristo di Velasquez. — Con questo titolo, secondo una notizia che ricaviamo dal Mercare de Franco del i° aprile, Miguel de Unamuno avrebbe pubblicato una sua nuova opera di esegesi idealistica simile a quella già nota di commento al Don Chisciotte. In essa il grande scrittore con forza e pazienza si abbandona a meditazioni linche e teologiche sulle varie parti del Dio Crocifisso. « Tra la sensualità académica pagana del quadro e l’ardore mistico del poeta vi è una feroce contraddizione. Ma U- amuno è l'uomo dalle contraddizioni e dallo strazio interno per cui nasce quello ch'egli chiama '• il sentimento tragico della vita
Folklore. — Riceviamo il i° fascicolo del 1921 (anno VII) di questa benemerita rivista che, già denominata « Folklore calabrese, » esce ora con programma ampliato. Il nuovo fascicolo contiene, tra l’altro, una nota di R. Corso sulla parola Folklore, un articolo di G. Amalfi sulla leggenda vesuviana, un appunto di R. Vivaldi sul rex nemorensis a proposite» del
recente lavoro del Frazer, canti d’amore popolari, fiabe, novelline, ecc., oltre ad una copiosa bibliografia.
Le Chrlstianisme social à consacrato il suo fascicolo di febbraio-marzo alla gioventù francese sotto il titolo « la rinnovazione dei costumi > e dedicandovi una serie di articoli interessantissimi sulla purificazione dell’amore (vita pura, castità, disciplina dell’amore, vita interiore e amore) e sulle campagne da intraprendere contro la pornografia, la prostituzione, la depopulazione, l’immoralità sociale nonché sull’opera che possono spiegare in loro prò i pastori, completando queste notizie con altre di bibliografia, di opere di azione, sulla liturgia, la preghiera e via dicendo. Raccomandiamo il.bel fascicolo anche ai nostri giovani che ne potranno ricevere un giovamento al loro indirizzo spirituale teorico e pratico.
.La Gasa Editrice « Israel ■ — La neocostituita Società editoriale, ha fatto conoscere il programma delle sue pubblicazioni, le quali si svolgeranno in sette serie, ciascuna d He quali sarà composta di volumi per lo più di eguale formato e distinti da una veste esteriore particolare che servirà a individuare appunto ciascuna raccolta. Le serie sono:
Serie I: Bibbia. Si comporrà di tanti Eiccoli volumi quanti sono i libri della ibbia, nuovamente tradotti in lingua italiana e forniti di nuovo commento sulla base della moderna scienza biblica, ma in forma accessibile e piana, col corredo di illustrazioni degli antichi monumenti scoperti nei recenti scavi, e di carte geografiche.
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Serie II: Letteratura intermedia (fra la letteratura biblica e quella moderna -principi dell’800). Comprenderà: Antologia mishnica; Antologia talmudica: Antologia midrashica (traduzoni con commento e illustrazioni); Saggi di opere della filosofia ebraica medioeyale; Cronache; Raccolte di poesia ebraica medioevale; Leg-5endc popolari; Raccolte di massime;
iaggiatori ebrei dei tempi di mezzo.
Serie III: Scrittori moderni. Spazierà in tutti i campi della svariatissima produzione letteraria ebraica moderna (Teodoro Herzl, Pinsker, Bialik).
Serie IV: Storia. Storia generale d’Israele dalle origini ad oggi: Storia della letteratura;' Storia della filosofia; Storia del costume; Monografie sulla vita degli ebrei in Italia; Atlante geografico di corredo alla storia generale d’Israele.
Serie V: Linguistica. «Grammatica teorico-pratica »' del Dott. E. S. Artom; « Vocabolario » del Klausner-Grasowski; « Metodo per lo studio dell’ebraico senza maestro ».
Serie VI: Problemi d'oggi. Un saggio rappresentativo per ognuna delle correnti della moderna vita ebraica.
Serie VII: Collezione scolastica e libri per ragazzi. Libri illustrati di novelle, cominciando probabilmente con la traduzione dall’inglese della « Cena degli Uccelli ».
Di tutti i libri sarà curato con amore ¡speciale l’aspetto estetico in modo da po
tere gareggiare con quanto di meglio, sotto questo punto di vista, il mercato librario presenta.
Nuove riviste. — Abbiamo già annunziato la prossima pubblicazione della rivista diretta dal nostro chiaro collaboratore dott. G. Tucci Alle fonti delle religioni e ne abbiamo esposto il programma. Abbiamo ora sott’occhio il primo fascicolo edito in bella veste tipografica dal Signoroni e ricco di importanti ed interessanti articoli di L. Luzzatti, Paolo Orano, P. E. Pavolini, C. Formichi e G. Tucci. Della maggior parte di essi pubblicheremo un sunto nella nostra « Rivista delle riviste »; qui. ripetendo gli auguri di vita attiva e fattiva alla nuova rassegna, e-orliamo i lettori a concederle tutto l’appog; 80 che merita (Amministrazione: via degli
rfani, 88, Roma).
»** È uscita pure un’altra rivista mensile « di politica e cultura » la Rassegna moderna, diretta da V. Gugino. Il fascicolo di maggio, che è il primo, promette molto bene, contenendo scritti del direttore stesso (« motivi dell’anima nuova »), del professore Fovel dell’università di Bologna sulla « crisi d’orientamento del partito socialista »: di A. Chiappelli, di C. Pascal, S. Naidenoff, E. Paresce, oltre a rassegne politiche, letterarie e bibliografiche. Auguri anche a questa consorella (Palermo: via P. Granateli, 18).
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BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
Pubblicazioni pervenute alla Redazione.
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G. Sottochiesa, Noi Italian!. Parma, La Stamps Nazionale, 1921, p. 85. L. 6.
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J. Calvin, Traité des reliques, Introd. et notes' de E. Levesque. - Paris, Bossard, 1921, p. 24x. Frs. 12.
De Maintenon, Lettres à d’Aubigné et à M.mc des Ursins, Introd. et notes de G. Truc. Paris, Bossard, X921, p. 303- Frs. X2.
Ch. Maurras, Le chemin de Paradis, contes philosophiques. Paris, E. De Boccard, 1921, p. xci-275. Frs. 6,75P. Kropotkinc, Autour d’une vie. Mémoires. Paris, Lib. P. V. Stock, 1921, vol. 2®, p. xxi-536. Frs. xo.
J. M. Vargas Vita, Los divinos y los humanos. Barcelona, Ramon Sopeña, 1921, p. xxi-232. P.tas 3.
G. S. Hitchcock, Ten Laws of religious evolution. London, Hendersons, 192X, p. x6. Sb. x.
J. M. Vargas Vita, La república romana. Barcelona, Ramon Sopeña, 1921, p. xvii-243- P.tas 3.
Th. Torrance, The Beatitudes and the Decalogue. London, Skeffington et Son, 1921, p. x-128. Sh. 3/«.
Ch. Boyer, Christianisme et néo-platonisme dans la formation de St. Augustin. Paris, Beau-chesne, 1920, p. 233. Frs. X2.
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BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
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Ch. Boyer, L'idie de virili dans la Philosophie de St. Augustin. Paris, G. Beauchesne, 1921, p. 272. Frs. x6.
L. Ayarragaray, La Iglesia en América y la dominación Española. Estudio de la época colonial. Buenos Aires, J. Lajouane e C.ia, 1920, p. 32X. \
A. Memminger, Das Erbe der Druiden, Würzburg, Geb. Memminger, 1921, p. 296. Mk. 7.
Fr. Mautbner, Der Atheismus u. seine Geschichte im Abendlande. Stuttgart, Deutsche Verlags. Anstalt, 1921, voi. x, p. 658. mk. 70; voi. II, p. 593- mk- 75, A. Neuburger, Die Technik des Altertums. Leipzig, R. Voigtländer, 1921, p. xvm-570. Mk. 65.
J. Hempel, Untersuchungen z. Überlieferung von Apollonius von Tyana. Stockholm, A. Bonnier, 1921, p. 86. Mk. 15. *
E. Lo Gatto, I problemi della letteratura russa. Napoli, R. Ricciardi, 1921, p. X111-X32. L. 5.
Die deutsche Philosophie der Gegenwart in selbst-darstellung mit einer Einf. her. von R. Schmidt. Leipzig, F. Meiner, 1921, voi. 2. Mk. 60.
W. Bruhn, Der Vernunftcharakter der Religion. Leipzig, F. Meiner, X921, p. 283. Mk. 30.
OPUSCOLI ED ESTRATTI
Alta, Liberti, igaliti, fratiniti, < Revue Contemporaine », Paris.
Per comprendere l’argomento di queste tre -conferenze è sufficiente citare la conclusione della terza che l’A. à posto dopo l’affermazione che al cristianesimo manca la sua divisa originale: libertà, eguaglianza, fratellanza: « sorga un pontefice che metta al museo degli invalidi tutto il -dogmatismo dèi teologi e dei concili!, per ricondurci al cristianesimo originale delle epistole apostoliche di S. Paolo ed io prométto a questo cristianesimo la conquista delle democrazie moderne come fece un tempo quella del vecchio impero romàno. La pace del mondo è a questo prezzo ».
Bernardo di Clairvaux, Gottcsliebe übers, u. erk von dr. Joh. Honnef. Elberfeld, Wuppertaler Dr.
È la traduzione, accompagnata da una intro-■duzione, d*l famoso opuscolo di S. Bernardo, il maggiore Spirito religioso del secolo XII, sull’amore di Dio. L’editore lo crede adattatissimo ad essere letto ed apprezzato anche dà lettori moderni, pur per l’infiammato genio di amore umano che ha animato il santo. L’opuscolo pubblicato ih edizione manuale potrebbe trovare difatti un pubblico amoroso di apprezzatoci.
Billia M., Per la storia vera della npstra guerra, Tip. Ed. Italia, Roma.
Contributo alla Storia della nostra guerra, sostenendo il punto di vista, diciamo cosi, di Cadorna. L’opuscolo può ora esser confrontato e studiato alla luce dell’opera del Cadorna stesso.
Billia M., Il malinteso della psicologia sperimentale. Stab. Poi. Riuniti, Bologna.
Negazione della psicologia scientifica nel senso materialistico della parola, e identificazione della psicologia con la filosofia, « coscienza più profonda, più alta e più educata, eppcrciò vera sapienza e non soltanto speculazione ».
Bisseker and Mathews, Christian Fellowship. The Epwort Press, London.
L’A. vi ha posto il sottotitolo: « Una via ad una nuova vita ». Egli tenta trarre dalle inesaurìbili profondità cristiane un’esperienza religiosa che vada al di là delle forme positive e rigeneri e rinnovi la vita.
Bräunlich W., Der Sieg des Guten als Grundlage und Ziel der göttlichen Weltordnung. Deutsche zuknuft. Gera.
Anche questo è un opuscolo per là chiamata a raccolta di tutte le forze spirituali per ottenere la vittoria del bene come fine e senso intimo di tutto lo sviluppo mondiale. Auguriamoci che la fede dell’A. vi riesca... ma!...
Büchner, A. Judas Ischarioth in der deutschen Dichtung. Freiburg in B. E,. Guenthcr.
Anche il Papini nella sua Storia dì Cristo à avuto per Giuda delle parole se non di simpatia, per lo meno di compatimento e di meraviglia sul mistero della sua sorte. Giuda à preoccupato tutta l’umanità, e questo interessante opuscolo che ce lo mostra nelle varie forme che assume nella poesia tedesca è un buon contributo all’interessante problema che à tanto affaticato lo spirito umano.
Bulferetti D., Dante nei secoli. « Il 'risveglio », Torino.
Discorso tenuto in Torino nel Teatro Alfieri il 6 marzo u. s. « Dante, dice l’A., nei secoli mi apparisce come ideal fuoco nel quale convergono i raggi delle antiche civiltà e dal quale s’irradiano sino a noi ». E sviluppa questa sua concezione non solo per il passato, ma anche per l’avvenire. L’A. pare divida col Croce l'opinione che Dante si deve leggere in raccogliménto e dando il bando ai ret-toricumi... Ma allora perchè non lo segue?
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Calder ini A., Rapporti di coltura fra Italia ed Egitto. Scuola Tipo-Lit., Milano.
L’infaticabile prof. Calderini non limita le sue benemerenze alla papirologia, ma fa quel che dovrebbe fare ogni studioso di cose antiche: ne vivifica la conoscenza con le loro relazioni con la vita recente ed attuale. Cosi è nata quest’intcres-sant'e prolusione che raccomandiamo ad ogni genere di lettori.
Carnovale, L. Esortazione per commemorare negli S. U. d‘A. il VI centenario Dantesco. Chicago 1921.
Invito ai giornali Italo-americani e agli .emigrati di formare un Comitato per festeggiare il VI centenario dantesco in modo... pratico, con il dono di un bronzo raffigurante il Poeta e delle sue opere alle principali università americane. Ecco un modo pratico e poco retorico...
Del Vecchio G., Sui principi generali del diritto. Soc. Tip. Modenese, Modena.
Con un’ampia, ma sintetica visione, nei limiti di una prolusione, il D. V. à passato in esame ■ le funzioni ca alteristiche dei principi generali del diritto, in quanto appartengono ad un concreto organismo giuridico », affermando per il giurista la necessità assoluta di considerare l’intrinseco fondamento delle leggi e non la loro forma. Ora • la particolarità delle leggi rimanda alla universalità del diritto e il pensiero dell’universale è filosofia ». Per cui il D. V. conclude con Cicerone che «dall’intima filosofia devesi attingere la disciplina del diritto ».
Del Greco F.» Il ■ momento» nella genesi delle nostre azioni. Stab. Poi. Riuniti, Bologna.
L’A. studia sulla scorta di un aforisma di Napoleone il « momento ■ nella genesi delle nostre azioni, • L'uomo opera quasi mai per impulso del suo carattere, ma piuttosto per una segreta passione del momento, rifugiata e nascosta, nelle più profonde pieghe del cuore ».
Del Greco F., Il »Carattere» nelle astenie psichiche di guerra. Estr. « Riv. It. di Neuropatologia ed Elettroterapia ».
Interessante studio sulle astenie psichiche di guerra e sulle loro relazioni col « carattere • fondamentale dell'individuo e le sue deviazioni.
Di RubbaD., Il Cattolicismo e il Cristianesimo di fronte alla democrazia nuova. S. Maria C. V. « La Fiaccola ».
Buone osservazioni critiche contro il cattolicismo, ottime conclusioni sul senso religioso che deve animar le folle perchè possa essere coor
dinato l'individuale con l’universale. Ma... grandii illusioni sulla superiorità morale delle democrazie americana, inglese, ecc. Bisogna che anch’esse rifacciano il loro spirito come le nostre democrazie europee.
•
Gentile G., Il concetto moderno della scienza e problema universitario. Lib. di cultura, Roma.
Discorso d'inaugurazione dell’anno scolastico 1920-21 scritto, ma non letto per uno dei soliti tumulti studenteschi. L’A. propugna un ordinamento universitario che corrisponda al cambiamento totale del concetto della scienza che è stato ormai attuato daglistudiosi grazie all’affermazione della soggettività del sapere.
Gestri R. Rivoluzione ! Pistoia, Fracali
Sane parole di un figlio del popolo, maestro elementare e studente di medicina ad un tempo, il che lo rende doppiamente simpatico. Egli vuole la rivoluzione, ma contro l’ignoranza, una rivoluzione che sia rinnovazione, fatta da una gioventù ricca di fede, di amore e soprattutto ricca di anima. « Fratelli operai, avanti c coraggio: istruzione, educazione e lavoro sono i tre fattori indiscutibili del nostro progresso, del nostro trionfo». Ahimè... vox clamanti^ in deserto!
Göller E., Die Periodisirung d. Kirchengeschichte u. die epochale Stellung d. Mittelalters zwischen d. christlichen Altertums. u. die Neuzeit, Guenter, Freiburg i B.
L’A. espone non con vedute proprie, se si vuole, ma con molta perspicuità e precisione la posizione storica caratteristica che assume il M. E. nella Storia della Chiesa tra l’antichità (fino a Gregorio* Magno) e il periodo moderno (dalla Riforma in giù). Il discorso è velato di tristezza patriottica.
Harz C.. Soziale Religion (Gcbr-Harz. Altona-Ottensen). Aus dem Zusammenbruche ins Paradies! Gebr-Hrz. Altona-Ottensen).
Opuscoli di propaganda per una ricostruzione sociale a base religiosa fondata sulla ragione e sull’amore: una delle solite pie utopie dei momenti! di sconvolgimento spirituale e materiale come il presente.
La Via V., La realtà spirituale e la psicologia scientifica. Tip. Un. Ed., Roma.
E un esame delle conclusioni cui è giunto il nostro Renda nel suo articolo pubblicato nei fascicoli di ottobre e novembre 1920 Sul compito della psicologia scientifica, la quale costituirebbe un-termine medio fra la fisiologia e la sola legittima psicologia, la filosofia moderna, termine medio che l’A. ritiene assurdo ammettere.
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Luzzatti L.» Commemora sionc di Angelo Afesse-doglia. Tip. della Camera. Roma.
Il titolo dice l’argomento dell’opuscolo. Lo spirito che lo anima è quello ben noto dell’illustre A. che à in esso, pur’egli, portato la sua voce contro la sovranità della religione della scienza e in prò di un po’ più di bontà nelle opere e di coscienza nelle azioni.
Luzzatti L.» Conferenza inaugurale. Tip. Senato, Roma.
È la Conferenza inaugurale del Circoio universitario di studi storico-religiosi, della quale già demmo a suo tempo un ampio sunto.
Meille G. E. Le A. C. D. G. e l'odierno fermento sociale. A. C. D. G. Torre Pellico.
Relazione di G. E. Meille al Congresso delle Associazioni Cristiane della Gioventù di Venezia, che sintetizza l’opera proficua deH’A. C. D. G. nella parola che dice tutto: • Evangelizzazione ».
Mignosi P-, II mito di Socrate E. Prìulla. Palermo.
È un saggio, secondo l’A. stesso, o un tentativo di studiare il mito di Socrate ed elevarlo a mito dello spirito greco. L’A. forse esagera in questa visiere della filosofìa socratica sia pur veduta attraverso Senofonte, perchè anche serza bestemmiar Socrate, come fa il Papini, ad elevarlo a mito dello spirito greco ce ne vuole... assai! Vedremo il seguito, se l’A. ce lo darà.
Navarra Crimi G., La pace Ira i popoli nella dottrina e nel momento politico attuale. La Verità, Noto.
Interessante manifestazione ed affermazione contro la guerra e contro la formazione delle società attuali su fondamenta false e antiumane. L’A. à perfettamente ragione: à solo torto forse quando spera nella Lega delle Nazioni.
Navarca Crimi G., Disciplina civile e disciplina militare. La Verità, Noto.
Contributo alla resistenza morale dopo Capo-retto, pubblicato perchè non si sperdessero i documenti della - prima guerra del Risorgimento morale dell’umanità». Altro che risoigimenti morale, professore! È vero che anch’ella si è in parte convinto ormai del contrario!
Navarra Crimi G.» La scuola per la guerra e per la pace. Soc. Tip. Modena.
La scuola copie fattore di ogni lotta ideale così per la guerra come per la pace: discorso tenuto il 20 dicembre 1919 per l’inaugurazione di una lapide a studenti morti in guerra.
Padovani C. Il problema fondamentale nella filosofia di Spinoza. Il problema morale. Estr. < Riv. Filosofia neo-scolastica », Milano.
E’ la prima parte dì uno studio sulla filosofìa di Spinoza, e comincia naturalmente dal problema morale che è il problema fondamentale. La conclusione deH’A. è che Spinoza à costruito una metafisica unicamente in vista dell’elica. Grazie ad essa egli ha costruito una morale a base di convinzione razionale e non nomistica.
Provenzal G., Il cinquantennio. « Agave », Roma.
In poche pagine G. Provenzal ha illustrato la nostra penleeontelia, che va dal 1870 al 1920, dalla presa di Roma al... trattato di Rapallo, che non è perfettamente una gloria. Sono gloriose però le tappe, in compenso!
Ruggenini A., Studio psicologico sull’ode "Alle Font: del Clitunno » di G. Carducci. Federico Ardia, Napoli.
Non si può dir male di questo studio, se lo si esamina con i criteri interpretativi comuni: è una buona illustrazione della famosa ode Carducciana. Non si deve dimenticare però che il senso che il Carducci aveva del Cristianesimo e dell’antichità era ben superficiale!
Ruggenini A., Il sogno della vita c la realtà della morte. Casa Ed. A. Manuzio, Mantova.
Studio letterario sulla concezione che della vita e della morte ebbero soprattutto Dante e Leopardi e alcuni dei maggiori nostri lirici. Vi si notano alcune interessanti osservazioni.
Talgas M., G. Papini (a proposito della sua conversione). Soc. Ed. Il Seminatore, Pavia.
Opuscolo di speculazione... I brevissimi quanto incolori conni della vita di Papini sono stati am-manniti in dieci paginette approfittando della sua conversione per farle pagare ai lettori unaliretta e senza dir su di essa nulla che valesse la pena di leggere!
Tedesco G., La missione del popolo ebreo. Libreria Ed. Int., Ancona.
Affermazione della continuità storica e della missione d’Israele non interrotta o incompiuta dal Cristianesimo perchè l’essenza di questo si identificherebbe con l'essenza del giudaismo. Prova anche questa della tendenza attuale ebraica a vedere il mondo moderno con occhi liberi da pregiudizio. del che gli va data ampia lode.
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Thomae Aquinatis, de Essenlia et potentiis animac in gen., ed. et adn. D. Gejer. Bonn. P.» Hannstcin.
Edizione crìtica con introduzione e note dell’o-puscolo di S. Tommaso ■ De cssentia et potentiis animac in generali » che l’A. à curato a scopo scolastico, all’intento di dotare gli studi tomistici di un sussidio di più, secondale disposizioni pontificie.
Tommaseo N., La Dalmazia e l'Italia. « Il Solco». Città di Castello.
Uno dei tanti lavori di buona volontà in prò’ dell'italianità dalmatica cosi atrocemente conculcata, i quali però, quando non hanno lasciatosi tempo che trovarono, hanno fatto più male che bene. Altri uomini ci volevano .per salvare la Dalmazia e in Dalmazia e in Italia, ecco tutto, e senza incom-modar Tommaseo!
Tucci G., Arte indiana. Estr. « Riv. Studi Orientali », Roma.
Recensione di un’edizione del testo con la relativa traduzione in tedesco di una delle quattro opere sanscrite non buddistiche che interessano le arti plastiche (questa sulla pittura) e che furono conservate in tibetano.
Vidoni G., A proposito della « Redenzione dei condannati» mediante la guerra. Bocca, Torino.
Pubblicazione del 1917, in cui si studiano i
modi di « sfruttare » i criminali nell’esercito durant e le guerre, eia questione della loro « riabilitazione ».
X. Y., Pourquoi je suis Protestanti Pujolas-Mé-jan, Nimes.
Mette in luce i capisaldi del protestantesimo di fronte al tralignamcnto cristiano fatto dal cattolicesimo e dimostra la profonda difficoltà di essere veramente cristiani, di praticar cioè l'amore verso il prossimo.
X. Y., Le Bref « Dominusac Rcdemptor ». Ed. et. Libr.. Paris.
L'opuscolo riportando il testo e la traduzione integrali del celebre breve di Clemente XIV, con cui veniva soppressa la Compagnia di Gesù, tende ad illuminare i cristiani sulle falsificazioni e sugli adattamenti che ne hanno fatto gli storici della Chiesa più gesuitofili, nell’interesse cella verità. Il testo è preceduto da un’introduzióne e accompagnato da note.
X. Y., Vers la fraterniti par la viriti. Com. Nat. des U. G. J. G., Paris.
Uno dei tanti documenti sulla vexata quaestio dell’« obbrobrio nero » nei paesi renani, un’esposizione oggettiva della quale ci porterebbe molto lontano, essendo sovrani, disgraziatamente, anche là dove il Cristo solo dovrebbe regnare, gli amori e gli odii degli uomini'. Giudicheranno se mai i posteri.
ROCCO POLESE, gerente responsabile.
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X Brescia - Cap. II. Arnaldo da Brescia e l’ambiente ecclesiastico - Cap. III. Arnaldo da Brescia e l’ambiente sociale e politico - Cap. IV. Arnaldo da Brescia e le origini del Comune e del Senato di Roma - Cap. V. Gli
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