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F
Anno 127 - n. 7
15 febbraio 1991
L. 1.200
Sped. abbonamento postale
Gruppo II A/70
In caso di mancato recapito rispedire
a: casella postale - 10066 Torre Pellice
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
APERTA LA VII ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO ECUMENICO
Israele: la guerra è anche questo, i bambini girano per le strade
portandosi a tracolla la maschera antigas.
Siamo il popolo
della speranza
La sofferenza del nostro mondo e la gloria di quello che viene - Il
culto inaugurale e la relazione introduttiva del segretario Castro
dal nostro inviato
CANBERRA — All’ingresso
'della grande tenda, drizzata nel
parco deirUniversità, un gruppo
di aborigeni australiani canta e
danza una nenia antica, ritmando
il tempo con due pezzi di legno;
hanno acceso un fuoco sul quale
bruciano foglie di eucalipto. Chi
entra nella tenda deve passare attraverso il fumo, simbolo di purificazione: una sorta di battesimo
che affonda le sue radici in antichi riti tribali.
La tenda è ricca di colori e di
luce, piena all’inverosimile di gente d’ogni razza, venula da tutte le
parti del mondo, unita nella preghiera e nel canto, nell’ascolto della Parola e nell’impegno per la
vita.
I rumori angosciosi della guerra
del Golfo sono lontani; incredibili
in questa splendida giornata di
estate australe, fatta di un cielo
terso, di una natura meravigliosa,
di una folla multicolore e festosa.
Eppure la guerra non è assente
dal pensiero di tutti e dall’esperienza di molti: « Nell’incertezza
del nostro tempo vogliamo operare con saggezza, ma siamo pervasi da una profonda inquietudine
— dice, nella predicazione inaugurale, sir Paul Reeves, già governatore generale della Nuova Zelanda, oggi arcivescovo anglicano —Mentre la gloria appartiene
al mondo che viene, la sofferenza
è la nostra parte qui e ora. Qual
è il senso di questa sofferenza?
Giobbe non ha mai trovato una
risposta a questa domanda; ma,
soffrendo e lottando, ha incontrato Dio. Forse è quanto anche noi
dobbiamo sperimentare ».
« Paolo — ha aggiunto Reeves
— nel brano dell’epistola che abbiamo letto (Rom. 8: 19) dice che
la creazione attende con impazienza la manifestazione dei figli
di Dio; e poco più avanti, la creazione intera geme ora nei dolori
del travaglio. La creazione geme
ogni volta che noi usiamo male
l’economia, ogni volta che saccheggiamo l’ambiente, o che neghiamo i diritti politici fondamentali (...). Gli esseri umani costituiscono la specie attraverso la
quale il mondo vivente giunge alla
conoscenza di sé. Lo spirito divino, la vita che viene da Dio è presente in ogni cosa e la nostra trasformazione sarà un segno di
quanto deve avvenire al resto della creazione. Noi, dice ancora Paolo, attendiamo la liberazione del
nostro corpo. Non possiamo sottrarci alla lotta,. ma scopriremo
che vale la pena di impegnarsi.
Dio è fedele alle sue promesse, e
la nostra speranza è solidamente
ancorata in questo Dio nel quale
crediamo. Così la speranza ci fa
intravvedere le possibilità di un
L’ASSEMBLEA E LA GUERRA
E’ ancora
il tempo della pace
Siamo di fronte a una vera e propria guerra
mondiale - Auspicata un’iniziativa deH’ONU
futuro che va molto al di là della
situazione presente, sinonimo per
tanti esseri umani di privazioni ed
ingiustizie. Essa scaturisce dal più
profondo della nostra convinzione che Dio è all’opera in questo
mondo e che egli si identifica con
gli umiliati; i sofferenti, gli esclusi ».
« Chi siamo noi dunque — si è
domandato sir Reeves —; noi, qui
riuniti per questa assemblea? Siamo il popolo della speranza (...),
persone soggette ai brutali contrasti della vita e della morte che regnano nella creazione di Dio. Ma
Luciano Deodato
(continua a pag. 12)
CANBERRA — Sul tema della
guerra nel Golfo si è svolta una
importante conferenza stampa
con la partecipazione dell’arcivescovo della Chiesa ortodossa armena del Libano, Keshishian, e
dell’ arcivescovo Edmond Lee
Browning, presidente della Chiesa episcopale degli Stati Uniti
(chiesa alla quale appartiene il
presidente Bush). Per Keshishian
quello attualmente in corso in
Medio Oriente è un conflitto mondiale. « Sia ben chiaro — ha detto — che questa non è la guerra
del Golfo, è la guerra di una
grande potenza mondiale com
tro una potenza regionale emergente. Il fatto che in essa
siano implicate quasi trenta nazioni la configura di per sé già
come una guerra mondiale. Le
sue conseguenze, dunque, non
mancheranno di essere avvertite
nel mondo intero ». Keshishian
ha poi del tutto escluso che si
possa parlare di una componente
religiosa in Questa guerra, « anche se in futuro potrebbe anche
caricarsi di elementi religiosi ».
Una drammatica
testimonianza
Drammatica la testimonianza
dell’arcivescovo Browning che nel
dicembre scorso, allo scopo di
XVII FEBBRAIO
Le lezioni deWEterno
« Ogni luogo che la pianta del vostro piede
calcherà, sarà vostro» (Deuteronomio 11: 24).
Da 143 anni in tutta Italia e in Sud America un
/piccolo popolo di credenti, con i suoi amici e con
quelli che gli si sono liberamente associati, si
riunisce nelle sue chiese il XVII febbraio per fare
un bilancio della sua situazione negli spazi nuovi
che gli sono stati aperti nel 1848, e indagare sulle
prospettive che gli .stanno davanti.
Talvolta questo bilancio è stato un po’ trionfalistico o comunque incoraggiante: « Ce l’abbiamo fatta » ci dicevamo l'un l’altro con un sospiro di sollievo. Quest’anno sarà seni altro più difficile, compresi come siamo dei pencoli della guerra, e soprattutto delle pesanti responsabilità che
la società occidentale, di cui facciamo parte, porta
per il solco di odio che divide il mondo. E allora
che fare? Coprirci il capo di cenere e rifugiarci
nel nostro consueto autolesionismo. Anche questa sarebbe una via sbagliata. La via giusta può
essere una sola: interrogare le Scritture, ascoltarle senza prevenzioni.
Il capitolo 11 del Deuteronomio si presta benissimo a questo esercizio spirituale. Rivolto a una
generazione di credenti adulti, il profeta dice: Voi
(non i vostri figli) avete veduto le lezioni dell’Eterno; credenti adulti sono quelli che sanno discernere nella loro storia ciò che Dio ha voluto loro
insegnare. ,
La suprema «lezione dell Eterno »e riassunta
nei versetti 10-12: mentre la civiltà egiziana dipende dal lavoro organizzato (v 10) la terra promessa dipende interamente dalla « piogpa che viene
dal cielo » (v. 11). ed è un « paese del quale l’Eter
no, il tuo Dio, ha cura, e sul quale stanno del continuo gli occhi deH’Eterno » (v. 12). In altri termini: I.sraele vive solo per grazia. Questa è anche per
noi la suprema « lezione » della storia: solo per
grazia abbiamo potuto sopravvivere, solo per grazia abbiamo potuto essere talvolta creativi, e solo
per grazia viviamo e operiamo oggi.
Sulla base di questa grazia riconosciuta e accettata, il capitolo è. pieno di promesse: se saprete vivere per grazia, « amando PEtemo, il vostro
Dio» (v, 22), riuscirete vittoriosi nel confronto
con potenze molto pnù grandi di voi (v. 23) e i
vostri successi non saranno effimeri: « Ogni luogo
che la pianta del vostro piede calcherà, sarà vostro » (v. 24). Il nostro inserimento nella realtà
dell’Italia, del Rio de la Piata, del mondo moderno non è dunque reversibile, perché l’Eterno ci
ha dato la grazia di durare.
Fragile e contraddittoria, la nostra comunità di
credenti non è però effimera; gli occhi dell’Eterno sono costantemente su di lei, le provvedono
fede e ravvedimento, vita e rinnovamento. Il capitolo contiene una chiara promessa di vittoria
e perciò, al suo centro, v’è l’ammonizione'. « Osservate dunque tutti i comandamenti che oggi vi
do affinché siate forti» (v. 8).
I comandamenti di Dio — noi diremmo: le
parole del Sermone sul monte — quando sono osservati .sono una fonte infinita di energia: non servono a salvarci (lo ha già fatto Gesù); servono'a
liberare l’infinita potenza creativa che lo Spirito
ha posto in noi. Ben sapendo che questa potenza
non ci è stata data la sera del XVII febbraio,
ma la mattina di Pasqua.
Giorgio Bouchard
evitare la guerra, si recò in visita
con una delegazione di altre personalità religiose nelle capitali
del Medio Oriente ed addirittura
a Baghdad. Al ritorno fu ricevuto
da Bush al quale disse, senza
mezzi termini, che la guerra poteva e doveva essere evitata.
Bush fece vedere a Browning il
rapporto di Amnesty sulle malefatte irachene in Kuwait. « Dissi
a Bush che era terribile, ma gli
feci osservare che in analoghi casi di violazione dei diritti umani
egli non aveva ritenuto di dover
intervenire e che, comunque, l’intervento programmato era sproporzionato alle violazioni commesse ».
Bush non volle ascoltare l'arcivescovo Browning, il quale si trovò così nel gruppo dei pacifisti
che dimostravano davanti alla
Casa Bianca nei giorni precedenti lo scadere dell’ultimatum. In
quel periodo cercò più volte di
avvicinare il presidente. Gli parlò
per telefono, dicendogli che riteneva necessario pregare con lui.
Ma Bush disse di non avere tempo. Riuscì a smuovere solo Baker, con il quale ottenne di pregare per telefono (!). ma dopo
l’inizio delle operazioni belliche.
Alla domanda di un giornalista
su chi siano i consiglieri religiosi
della Casa Bianca, Browning ha
risposto che Bush ne ascolta
molti, e tra questi ha fatto il nome di Billy Graham.
La tradizione
dei santuari
Browning ha anche detto che le
chiese degli Stati Uniti hanno lanciato un appello perché si aprano
dei santuari dove accogliere
quanti si rifiutano di partire per
la guerra; le chiese riscoprono così un’ antica tradizione, quella
cioè di essere un rifugio inviolabile per quanti fuggono dall'oppressione.
Browning ha ancora affermato
che è vero che una gran parte di
famiglie americane prega per la
guerra, ma perché finisca al più
presto: « Sono le madri, sono i
figli, le mogli, che pregano perché
i loro cari ritornino al più presto. Grava su questa guerra una
rigida censura. Ci vogliono far
credere che essa .sia indolore, diversa da quella del Vietnam. E’
una cosa alla quale noi non possiamo credere ».
Sia Keshishian che Browning
hanno auspicato un’iniziativa delrONU per un cessate il fuoco immediato e per un ritiro delle forze irachene dal Kuwait.
« E’ sempre il tempo della pace; basta volerla », ha detto
Keshishian.
Per questo è bene che emerga
da questa assemblea del CEC una
parola forte e coraggiosa; è importante per la causa della pace
non solo nell’area del Golfo, mà
in tutto il mondo.
L. D.
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guerra nel Golfo
15 febbraio 1991
MEDIO ORIENTE
La parola deU’ONU
deve valere per tutti
L'Organizzazione per la liberazione della Palestina chiede una conferenza internazionale sui problemi della regione: le aspettative
LE CHIESE EVANGELICHE E LA GUERRA
Prese di posizione
Non esistono guerre giuste - Un coordinamento
per organizzare le iniziative del 1° Distretto
Pubblichiamo un’intervista telefonica avuta venerdì 8 febbraio
con Jamil Halil, membro del Consiglio nazionale palestinese e direttore del Dipartimento informazione deU’OLP, con sede a Tunisi.
— Assistiamo a una svolta critica della stampa nei confronti dell’Olp, della sua posizione sul conflitto. Ci vuole delineare brevemente la posizione delVOlp sulla
crisi del Golfo e la guerra, a partire dall’agosto scorso?
— Fin dalla riunione della Lega degli stati arabi al Cairo, due
giorni dopo l’inizio della crisi,
rOlp si è pronunciata per una
soluzione politica, per la necessità di una soluzione araba, perché il problema è un problema
arabo. In se^ito, quando gli Stati Uniti cominciarono a mandare
un’armata nel Golfo, l’Olp chiese
un negoziato, sotto patrocinio internazionale, sulla base della legalità intemazionale e del fatto
che essa è indivisibile e va applicata secondo i medesimi criteri e
non selettivamente. Questo implica naturalmente un collegamento
tra tutti i problemi dell’area, il
più importante dei quali è il problema palestinese.
Come sapete questa proposta
fu respinta ”in toto”, con l’argomento che la situazione nel Golfo è diversa dal problema palestinese, anche se Israele occupa
il nostro paese da oltre 23 anni e
anche se, come è noto, sulla questione il Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite ha fatto numerose risoluzioni, che Israele si
è rifiutato di osservare anche se
erano appoggiate dagli Stati Uniti, come le risoluzioni 242 e 338.
Noi chiedevamo che la legalità
internazionale venisse osservata
nella sua totalità, altrimenti si
hanno due pesi e due misure, ma
questa posizione non fu capita,
non fu presa sul serio.
E’ una posizione che l’Olp ha
mantenuto in seguito, e mantiene anche ora, recependo naturalmente i nuovi elementi della situazione.
No alle ipotesi
militari
— L’Olp resta così dell’opinione che il problema dell’occupazione, o invasione, del Kuwait vada affrontato nel contesto degli
stati arabi, con un eventuale "ombrello” internazionale, e non con
il tipo di intervento militare che
si è poi avuto?
— Sì. Questa era la nostra posizione prima che la guerra iniziasse. La posizione oggi è che
questa è una guerra ingiusta,
un’aggressione contro uno stato
arabo: vengono distrutti centri
educativi, culturali, storici dell’Iraq e naturalmente aree abitate, provocando un gran numero
di morti e feriti tra la popolazione civile. Noi riteniamo che per
prima cosa questa guerra ingiusta vada fermata e vadano aperte
le strade per una soluzione politica, con l’obiettivo di una pace e
stal5ilità durevoli per tutta la regione affrontando tutti i problemi nel contesto di una conferenza
internazionale di pace.
— E in questo includereste la
situazione del Libano?
— Naturalmente. Parte del Libano, come il sud, è occupala; le
alture del Golan sono occupate.
Tutti i problemi conflittuali della
regione devono essere affrontati
sulla stessa base, quella della legalità internazionale. Il problema
palestinese è quello centrale, e va
risolto su una base giusta, che
tenga in considerazione la lotta
dei palestinesi come nazione, per
avere il proprio stato indipendente.
Per una soluzione
politica
— Secondo molta stampa la posizione dell’Olp nei confronti dell’iniziativa irachena, dell’invasione irachena, comunque la si voglia chiamare, mette l’Olp dalla
parte di Saddam. La posizione
che ha l’Olp è di grandissima importanza. Questo non significa che
l’Olp debba dire quello che gli
europei i gli americani vogliono
che diciate; si tratta di rispondere a questa critica. Voi dite che
la soluzione deve essere: fermare
la guerra... ma poi la domanda è:
e le truppe irachene nel Kuwait?
— La soluzione politica deve affrontare questo problema. Noi affermiamo che questo problema
esige una assoluta coerenza. Agli
Stati Uniti e ai paesi europei noi
diciamo: siate coerenti; okay, volete applicare le risoluzioni internazionali, la legalità internazionale al caso del Kuwait... bene,
che problema c’è, che difficoltà
c’è ad applicare le stesse risoluzioni, votate dagli stessi organismi, alla situazione palestinese, e
passare agli altri problemi?
Noi siamo preoccupati per il
nostro problema come siamo
preoccupati per i problemi di altri. Ma sono i palestinesi ad avere più di tutti bisogno di pace,
perché sono stati soggetti a molte guerre, hanno subito dispersione e occupazione e bombardamenti e ogni sorta di ingiustizia.
Vogliamo pace, vogliamo giustizia, alla quale aspiriamo come un
popolo che al pari di ogni altro
ha diritto all’indipendenza, ad un
suo stato sulla sua terra. Su questo vogliamo richiamare l’attenzione di tutti.
Per noi lo scopo degli Stati Uniti e delle forze alleate non è di
liberare il Kuwait. Lo scopo reale è di distruggere l’Iraq, che gli
Stati Uniti mirino a sottomettere
la struttura, la situazione nella
regione perché è nel loro interesse che è specialmente il controllo del petrolio e delle altre risorse, e la volontà di assumere un
ruolo di gendarme del mondo. Ed
è per questo che molta gente qui,
non solo i palestinesi ma gli arabi in generale, vedono questa
guerra come una nuova crociata,
con connotati razzisti; questo finirà col causare profonde ferite,
che non so come potranno essere sanate in futuro.
Questa è la situazione, e non
scorgiamo nessun segno di interesse per ciò che sta accadendo
al nostro popolo nei territori occupati.
— Ancora una domanda politica. La posizione dell’Olp per la
soluzione del conflitto palestinese-israeliano è sempre quella decisa dal Consiglio nazionale nel
novembre del 1988?
— L’Olp è sempre legata all’iniziativa di pace avanzata alla fine
del 1988, che è una soluzione basata su due stati, con l’instaurazione di uno stato palestinese nella
West Bank, a Gerusalemme e nella Striscia di Gaza. Questa è la
posizione dell’Olp. Abbiamo an
Dalla Liguria
che suggerito, come meccanismo
per questa soluzione, una conferenza internazionale di pace
con la partecipazione di tutte le
parti interessate, su basi di eguaglianza, inclusa naturalmente
l’Olp come unico rappresentante
dei palestinesi. Siamo ancora legati a questa iniziativa anche se
essa è stata ignorata dagli Stati
Uniti e, sfortunatamente, non è
stata usata dall’Europa per fare
pressioni su Israele e sugli USA.
E’ una soluzione giusta, che tiene
conto degli interessi di tutte le
parti, e può procurare la stabilità e la pace necessarie nella regione: cosa di grande importanza
per l’Europa, vicino prossimo del
Medio Oriente e del mondo arabo, con tutti i rapporti storici,
culturali ed economici che legano
le due regioni. Ma come sapete
questa iniziativa è stata rifiutata
o ignorata o messa da parte, e decisamente osteggiata da Shamir
e da altri, che ovviamente ignorano totalmente i diritti del nostro
popolo all’indipendenza e all’autodeterminazione. Tutto con l’aiuto e l’incoraggiamento degli Stati Uniti alla destra del governo
israeliano che si serve della massiccia immigrazione dall’Unione
Sovietica per mostrarsi sempre
più intransigente.
La sicurezza
reciproca
— La domanda di molti è: l’iniziativa di pace dell’Olp significa
che alla fine ci saranno due stati
che si riconoscono a vicenda entro confini chiaramente definiti,
con sicurezza per entrambi? Non
sicurezza per gli uni a spese dell’indipendenza degli altri, naturalmente.
— Questi saranno i problemi
da discutere alla conferenza internazionale. Quello che vi dico
fin d’ora è questo: noi, come
stato palestinese appena nato,
avremo bisogno di sicurezza più
che non lo stato d’Israele che è
armato fino ai denti, mentre noi,
come stato palestinese, avremo il
nostro da fare a metterci in piedi
dal nulla, a edificare la nostra
economia, la nostra società. Per
questo insistiamo su una conferenza internazionale di pace: perché vogliamo che la nostra sicurezza sia garantita.
— E ora, per finire, la situazione nei territori palestinesi occupati.
— La situazione, temo, è molto
grave. Alla popolazione è stato
imposto un coprifuoco praticamente totale, fin dal prinio giorno di guerra: la gente non può
andare a lavorare, manca il cibo,
mancano medicine, l’economia lo-’
cale, cioè la nostra economia nazionale viene distrutta, la gente
in pratica è agli arresti domiciliari. L’attenzione generale è rivolta al Golfo, e questo significa
che veniamo dimenticati. Ci appelliamo alla comunità mondiale
e spetialmente all’Europa perché
ponga mente alle gravissime condizioni del nostro popolo e al pericolo di un trasferimento collettivo della nostra gente dalla sua
terra, come è nel programma dichiarato del nuovo membro di
estrema destra del governo israeliano. Tutto questo significa che
la comunità internazionale deve
muoversi, e in maniera concreta.
intervista a cura di
Sandro Sarti
Il Consiglio della Federazione
GEL, il Consiglio del V Circuito
delle Chiese valdesi e metodiste, il Coordinamento delle Chiese battiste della Liguria, la giunta FGEL, riuniti nella seduta
congiunta del 22 gennaio 1991
affermano che non esistono
guerre giuste, perché non c’è
giustizia in ogni atto di violenza che l’uomo compie;
negano l’esistenza di una qualsiasi giustificazione, sia teologica sia etica, alla guerra in
quanto essa rappresenta il peccato dell’uomo contro l’uomo;
prendono atto della logica economica che ha animato questa guerra in cui i paesi industrializzati hanno, dapprima, fornito armi e strumenti d’oppressione al Sud del mondo e che
ora, per tutelare la propria ricchezza e il proprio benessere,
spendono sangue per il petrolio dimenticando che « è meglio
un tozzo di pan secco con la
pace, che una casa piena di carni con la discordia » (Prov. 17:
1);
ricordano che il creato, e
quindi anche l’essere umano, appartiene a Dio e che l’essere
umano è stato posto in posizione dominante rispetto al resto
delle altre creature avendone però responsabilità dinanzi a Dio;
esprimono preoccupazione per
le tensioni razziste che l’attuale
stato di guerra alimenta nei confronti dello straniero;
si rammaricano perché non
sia stato tentato tutto quanto
fosse possibile per scongiurare
la guerra e del fatto che potenti
e chiese non abbiano espresso
sufficientemente, anche al governo italiano, il proprio dissenso
alla guerra e all’« intervento di
polizia internazionale » nel Golfo;
confidano nella misericordia
dell’Eterno per il grave peccato
dell’essere umano e annunziando
l’amore di Gesù Cristo lo pregano affinché lo Spirito Santo
Illumini il cuore degli esseri umani.
Solidarietà
con gli ebrei
MILANO — Nel corso della
seduta congiunta delle assemblee delle chiese valdese, metodista e della comunità battista
di via J. da Tradate, tenutasi
nei nostri locali domenica 27
gennaio e dedicata all’esame dell’attività, delle prospettive e dei
bilanci del Centro culturale protestante, è stato approvato il seguente ordine del giorno rivolto alla Comunità ebraica di Milano:
« In questi giorni abbiamo vissuto con molta sofferenza gli avvenimenti che stanno sconvolgendo il nostro mondo. Noi non
vogliamo che gli spettri del passato risorgano ad essere realtà
di oggi.
Ci sentiamo solidali con tutti
gli uomini e le donne, i vecchi
e i bambini, costretti a vivere
l’esperienza della guerra, la più
dura e travolgente, personale e
per l’umanità, anche se da loro
non voluta né auspicata.
Ai fratelli e alle sorelle della
Comunità ebraica di Milano in
particolare vogliamo ricordare
che siamo loro vicini nella sofferenza, nell’ansia, nel timore,
ma anche nella speranza per un
futuro di pace e di giustizia per
il popolo di Israele.
Ricordiamo che, per noi, pregare è anche chiamare Dio in
causa, perché egli parli con la
sua autorità, con il suo amore,
per creare le ’’cose nuove” anche nel nuovo modo di vivere
a cui egli può impegnare le nostre persone.
Perciò siamo vicini e solidali
con voi, nell’ansia e nella tristezza, ma altrettanto fiduciosi
per la promessa di Dio ».
Dal 1® Distretto
Gli avvenimenti drammatici
legati alla guerra nel Golfo Persico turbano le nostre coscienze;
siamo consapevoli delle nostre
numerose infedeltà, e vorremmo
tuttavia che il Signore ci rendesse capaci di una testimonianza chiara del suo Evangelo.
Noi tutti credenti in Gesù Cristo, chiamati ad essere « coloro che si adoperano per la pace », ci siamo forse spesso comportati « come gli ipocriti »
(Matteo 6: 5). Molti dei nostri
atti sinodali dell’ultimo decennio, contro « Taberrante politica
degli armamenti », per una educazione « alla pace, alla nonviolenza, alla verità e all’amore per
la giustizia » (74/SI/82), l’adesione ufficiale alle iniziative del progetto « pace, giustizia, salvaguardia del creato », la costituzione
di una Commissione distrettuale per la pace ed altre iniziative analoghe, al di là dell’impegno personale di pochi, hanno
di fatto lasciato nell’indifferenza
molti concistori e molte chiese.
Con la consapevolezza che mai
come in questa occasione una
preghiera collettiva e individuale
di confessione sincera dei nostri peccati sia stata e continui
ad essere necessaria, i membri
della Commissione esecutiva
chiedono di condividere con voi
queste prime riflessioni.
Ci sembra inoltre che, come
organo esecutivo, potrebbe essere utile una nostra azione di
coordinamento e informazione
sulle iniziative che le varie chiese intendono prendere. Ci sono
al nostro interno diverse prese
di posizione contro la guerra in
generale e sul coinvolgimento in
essa del nostro paese. Specialmente in vista del XVII febbraio,
ci è sembrato che potrebbe essere opportuno stabilire alcune
linee in comune.
Spettano comunque ai concistori, nel rispetto di tutti, le decisioni sul modo di svolgere le
attività di quella giornata, con
la consapevolezza che il mondo
ci guarda e giudica. Quindi, anche in questa occasione, il nostro agire deve essere testimonianza di Gesù Cristo, ricordando che il XVII è innanzitutto
una riflessione sul come vivere
la nostra libertà, ed è stato anche nella nostra storia un momento di riconciliazione.
Ecco un primo elenco di idee
emerse all’interno di alcuni concistori per la sera del 16 e la
giornata del 17 febbraio:
— approfondire le tematiche
su giustizia, pace...;
— spiegare, durante i falò,
qual è la nostra posizione sulla
guerra e i conflitti in generale,
alla luce anche degli o.d.g. sinodali;
— cantare e/o esprimere con
atti simbolici il proprio dissenso (gettando magari nel fuoco
armi in cartone o armi giocattolo procurate per l’occasione);
— nelle comunità in cui si
svolge ancora il tradizionale corteo, mettere in evidenza versetti biblici; lo stesso si può fare
nei locali dove si svolgono i
pranzi;
— un’altra forma di confessione di peccato che alcune comunità hanno deciso di effettuare è il digiuno, svolto in forma
comunitaria dopo il culto, una
volta al mese, fino al termine
della guerra in atto.
In occasione della Giornata
mondiale di preghiera, che si
terrà nei locali della Chiesa valdese di Pomaretto il 3 marzo,
abbiamo chiesto alle Unioni
femminili di allargare a tutti i
mernbri di chiesa rincontro-dibattito sul tema della pace organizzato per il pomeriggio a
partire dalle ore 15. Vi invitiamo a partecipare numerosi.
La Commissione esecutiva
del I Distretto
3
15 febbraio 1991
commenti e dibattiti
1 VALDESI DI FRONTE ALLA GUERRA, TRECENTO ANNI FA
La guerra è nostra, Dio è Altro
E possibile un raffronto con la situazione che stiamo vivendo oggi? Esistono delle analogie nel modo di rapportarsi alla morte e alla distruzione? - L’unica certezza è che il nostro sentire è, appunto, nostro e non di Dio
« Risultando tuttora essere la
mano di Dio adirata contro la
sua chiesa nel colpirla con il -flagello della guerra che si abbatte
duramente in molti luoghi della
cristianità ed è accompagnata da
deplorevoli avvenimenti che trascinano i popoli in pesanti situazioni di miseria e desolazione; e
da questo essendo chiaro che
l’impenitenza dei popoli continua
a provocare l’ira dell’Iddio vivente che ha. iniziato il suo giudizio
tra quelli di casa sua; valutando
i pastori di queste valli quali siano le considerazioni che si conviene fare nel tempo presente ed
i mezzi più. adatti a renderci Dio
favorevole, e mettere fine alla
sua collera contro il suo popolo
ravvisandoli ad un pentimento
sincero e a un’ardente preghiera,
uniti al ringraziamento per le
grazie che alla sua divina bóittà
è piaciuto accordarci nell’accoglierci misericordiosamente nelle
nostre antiche chiese dai diversi
luoghi della terra dove ci aveva
cacciato la tempesta delle persecuzioni; ritengono conveniente e
necessario indire un solenne digiuno da celebrarsi in tutte le
chiese delle nostre valli la prima
domenica del prossimo maggio,
cioè il giorno 4 del suddetto mese.
Tutti sono esortati a prepararsi, in modo da trarre così salutare profitto dalle sante esortazioni che saranno loro rivolte dai
pastori, in modo che si possa così fermare la collera divina e ottenere la benedizione di Dio sugli
eserciti di SAR nostro sovrano, e
delle altre potenze che si sono
unite a lui contro il comune nemico, e così ottenere, dalla sua
paterna bontà, quiete e pace per
la sua chiesa in generale, e in particolar modo per il resto del nostro popolo e delle nostre chiese,
quella pace a cui da così lungo
tempo agognano. Così sia».'
(dagli atti di una Assemblea di
pastori tenutasi ai Conpieri di
Torre TU gennaio 1692).
Sarà frutto di indubbia deformazione storicista questo andare a rileggere testi antichi, questo immediato riportarsi a ieri,
per offrire spunti di riflessione
per il prossimo XVII febbraio,
storicismo inattuale in un tempo
in cui tutti sono proiettati verso
il domani, ma è difficile sfuggire
alTimpatto di questo testo. Lo
ha redatto ed approvato un Sinodo di 300 anni fa, modesto
e breve, tenutosi ai Coppieri di
Torre Pellice TU gennaio 1692,
per dare una sistemazione provvisoria alle chiese delle valli.
Sono radunati in quelToccasione i sopravvissuti alle carceri
del 1689, all’esilio, al rimpatrio,
credenti che hanno portato ai
limiti della sopportazione il loro
impegno di fede, che hanno perso tutto, a questo punto forse
anche la speranza. Ed è Tunica
decisione che as.sumono in quel
loro primo Sinodo, oltre alle
nomine amministrative dei loro
pastori e della Tavola ed ai messaggi di riconoscenza e di informazione inviati ai fratelli d'Europa che li hanno sorretti.
Quali riflessioni suggerisce?
La prima, evidente, immediata,
è il raffronto con la situazione
attuale, Timpatto della guerra
sulle nostre coscienze cristiane,
i nostri pronunciamenti, le nostre inquietudini, il nostro cercare un senso e una soluzione
agli interrogativi che ci pone la
storia; riflessioni che non possono essere allontanate dalla
mente nel momento in cui si
le.ege questo documento.
Anche quelli erano tempi di
guerra e non di guerra lontana,
udita o vista sullo schermo televisivo, ma vissuta, guerreggiata;
‘JJiWìIStiZ- -tip: -P<7r^ìùMSÈSIÌi!àÌliiifÌ!i!Ìi.
Un’immagine che documenta l’episodio delle Pasque piemontesi.
gli eserciti del Re Sole e quelli
del duca di Savoia si contendono la valle a suon di cannonate, avanzano e ripiegano, conquistano e perdono terreno e
sempre distruggono; quasi nulla
resta ormai in piedi del poco
che si era costruito durante gli
anni dell’esilio e nulla si può
ricostruire. Gli uomini sono sui
monti, nelle bande armate, e la
popolazione senza riparo e senza
cibo implora misericordia presso
la Corte, come 'documenta il
laconico ma esplicito documento
del governatore (vederne il testo
sull’ultimo Bollettino della Società di studi valdesi), stile rapporti della Croce Rossa: nome,
cognome, famiglia...
La seconda riflessione è molto
più complessa e nasce dalla radicate diversità di linguaggi e di
riferimenti fra quel testo e
quelli odierni. Come è possibile,
se è possibile, riprendere a
proprio carico un pronunciamento di questo tipo? E’ possibile
sintonizzare la nostra fede su
quella che emerge da questo testo? Che cosa abbiamo in comune
con i credenti che Thanno redatto e si sono riconosciuti in
esso? Il riferimento a Gesù
Cristo, a Dio, alle realtà profonde della fede evangelica; ma riferimenti così lontani, così infiniti da risTiltare evanescenti.
E le formulazioni invece precise,
massicce, categoriche con cui
non ci possiamo identificare. E
sono per lo meno tre.
La prima è che il flagello della guerra sia un giudizio, oserei
dire un castigo, un ammonimento divino sull’umanità ed in
particolare sulla chiesa. La seconda è che al giudizio non si possa
contrapporre se non il pentimento e la preghiera, l’implorazione
e il digiuno. La terza è la prospettiva di vittoria degli eserciti del duca di Savoia che si
assomma alTinvocazione e al
ringraziamento. Si fermi la collera divina e ceda il passo alla
benedizione di Dio per la quiete
ed il riposo delle sue pecore.
Ciò detto, si apre il dibattito,
perché non si tratta solo di leggere e vagliare una dichiarazione ma di lasciarsi interrogare,
interrogare naturalmente alla
luce della Scrittura, della rivelazione e della fede. L’atto n. 3 di
quel lontano Sinodo non e un
fossile storico, un relitto, ma e
vita della chiesa, è la nostra vita
stessa, non sono parole di altn,
di estranei ma di fratelli in
fede; ed il dibattito verte pr<>
prio sulla domanda di
che fede era mai quella ene
faceva dire cose così lontane
dal nostro linguaggio e ciana
nostra sensibilità? Radicalizzando la domanda: chi ha ragione,
chi coglie in modo più pertinente il messaggio, chi sa «dire cui
che va detto, i nostri padri o noi.
Perché è evidente che nessuno
di noi sottoscriverebbe oggi una
tale dichiarazione, e i tre punti
chiave del ragionamento sono
all’opposto di ciò che noi sentiamo oggi essere la realtà che
la Parola definisce nel nostro
presente.
La collera di Dio che prende
forma nell’avanzata degli eserciti, nel furore della guerra, nel
rombo dei cannoni, una collera
che colpisce i popoli, ed in particolare la chiesa (perché il giudizio inizia sempre dalla casa
di Dio) nel nome di una giustizia
assoluta ma indefinita, lontana,
astratta. Quando mai nelle settimane che abbiamo vissuto con
tanta lacerazione abbiamo fatto
riferimento a un concetto di
questo tipo, a una categoria teologica del genere? L’equazione
che sorregge tutta la nostra riflessione, il nostro ragionamento
e la nostra testimonianza è
Dio = amore, compassione infinita, che è quella che si esprime
nella rivelazione e dunque in
Cristo. La categoria fondamentale della nostra riflessione è la
pace, lo shalom.
Il nostro sentire Dio prossimo,
compartecipe del soffrire umano,
un Dio sofferente con noi, amico
nel dolore e nella solitudine, un
Dio in passione perenne nella
carne lacerata dell’umanità susciterebbe probabilmente nei
fratelli del Sinodo dei Coppieri
la stessa reazione di estraneità,
di lontananza, di inaccettabilità
che suscitano in noi i loro concetti di collera divina, di minaccia.
Per noi la guerra è solo catastrofe, crollo, disfacimento, morte, fatto privo di senso, rovesciamento della vita, dell’essere, del
vero; è falsità e menzogna, dice
e fa ciò che è contrario all’essere.
Su questo erano indubbiamente
incile allora ma è anche
afflizione, prova, ha un suo lin^aggio: parla di ciò che non
dovrebbe essere e invece è; e
ciò che non dovrebbe essere
non è tanto' la guerra quanto il
peccato. La guerra è frutto del1 impenitenza, del non pentimento, della condizione di peccato
m cui vive la chiesa e l’uomo.
E’ questo l’unico punto su cui
Si trova una totale intesa con i
fratelli del 1692: il peccato.
Non abbiamo ripetuto a iosa, in
tutte le forme e con tutte le variazioni possibili che la guerra
e frutto del peccato? Non abbiamo anche noi espresso nelle no
sire veglie di preghiera invocazione per la fine della prova e
pentimento per il peccato?
Chi può dire cosa sente e pensa un uomo a distanza di secoli?
M intuire, ¡a malapena.
Ma il dubbio viene che si dicano
cose diverse usando le stesse parole. Il peccato per noi è Taver
fabbricato e venduto armi a chi
non dovevamo, è il non aver
tenuto conto di situazioni culturali determinanti, è l’interesse
economico, è molto; ma è spesso
1 altro, il principio, l’astratto;
la colpa è universale, globale e
si configura in categorie economico - politiche. Tutto esatto,
senza dubbio, e perfettamente
rispondente alle esigenze della
nostra vdsione della vita, troppo
rispondente per non lasciare
perplessi.
Che cosa volevano fare ed intendevano fare qriei fratelli con
la loro domenica di digiuno solenne, con questa concentrazione
di pensieri e di attenzione rivolta alle « sante esortazioni » dei
pastori? E se noi bandissimo un
giorno di solenne digiuno diremmo le stesse cose, esprimeremmo
la stessa coscienza cristiana? Che
relazione esiste fra il rifiuto categorico, assoluto della guerra ed
il pentimento, la confessione di
peccato, la coscienza del peccato?
E le armi di Sua Altezza, come
le mettiamo nel giorno di digiuno? Si può vivere il pentimento
associandolo alle due espressioni di vita apparentemente estranee della gioia, della riconoscenza e della vittoria? E si tratta
della vittoria delle proprie forze
alleate, la vittoria delle potenze
(e ricoidiamo che in quelle guerre le vallate limitrofe del Queyras sono state devastate, rese inabitabili). La politica del proprio
stato non è affine al pentimento!
Si parte dalla collera divina per
finire con la vittoria militare che
è preludio alla pace ed alla quiete per la chiesa, doni della bontà
paterna di Dio.
Non ho trovato risposte a tutti
questi interrogativi; beato chi
le ha. Non posso risolvermi a
pensare che quei lontani fratelli
avessero costruito la loro fede e
la loro pietà su presupposti inte
ramente erronei, che non avessero percepito nulla del messaggio
di Gesù Cristo e che invece la
mia generazione abbia lei, per
prima, scoperto le coordinate
entro cui collocare e la vita e la
storia. E non potendo risolvere
il problema in questo modo non
posso che considerare con estrema attenzione la mia stessa professione di fede. E Tunica conclusione a cui giungo è che la
guerra è un fatto di cultura come tutti, grave, massiccio e
schiacciante, ma nostro. E’ frutto della nostra storia e di conseguenza tutto ciò che in essa si
muove ed agita è nostro, non di
Dio.
Il pacifismo è nostro, non di
Dio; è espressione naturale, conseguente, condizionata storicamente dalla nostra situazione
storica, è espressione della nostra
cultura di uomini bianchi, è frutto del cristianesimo e delTIlluminismo, del Sermone sul monte e
del progetto di pace perpetua di
Kant, e nei suoi atteggiamenti di
militanza pacifista la chiesa è vicina alTEvangelo e nello stesso
tempo ne è altrettanto lontana
quanto il Sinodo del 1692.
Ed allora che si fa? Si sta zitti
perché tutti hanno ragione ed an- ,
che torto e nessuno saprà mai
cosa deve fare? Non sarebbe una
soluzione; facciamo quello che la
nostra fede e la nostra coscienza
(la Scrittura dice « il tuo cuore »)
dice di fare ma ricordandoci che
Dio è in cielo e noi siamo sulla
terra, non identificando cioè la
Parola con quello che è in ultima analisi solo cultura nostra.
Giorgio Tourn
L’OPUSCOLO DEL XVII FEBBRAIO
Giosuè
Nella tradizione popolare valdese Giosuè Gianavello (16171690) occupa certamente un posto di rilievo. Alla sua figura è
dedicato quest’anno il tradizionale opuscolo ' che la Società
di studi valdesi pubblica in occasione del XVII febbraio di
ogni anno.
Ferruccio dalla, in poco più di
40 pagine, tratteggia un ritratto
efficace di questo contadino, abbastanza ricco per l’epoca, che
nel 1655 con altri sette contadini difende efficacemente una prima volta la piccola comunità
valdese di Rorà dall’assalto di
500 soldati del marchese di Pianezza e, successivamente, con altri 18 contadini « armati di fucile, pistole e coltellacci » e di
6 fìonde mette in fuga altri 600
soldati « scelti ».
La tattica militare di Gianavello e dei suoi compagni era
quella della guerriglia che si dimostrava molto efficace. Per aver ragione della resistenza dei
rorenghi capeggiati da Gianavello il marchese di Pianezza fu
costretto ad inviare contro di
loro un vero e proprio esercito
forte di 8.000 soldati regolari e
2.000 uomini delle milizie. Rorà
fu dunque espugnata, Gianavello
e i suoi 18 uomini si rifugiarono nel Queyras.
Ma Gianavello ritornò un mese dopo e, insieme con l’altro
capitano valdese Bartolomeo
Jahier, dette vita ad una formazione di 800 uomini che con la
tattica della guerriglia gettò lo
scompiglio nell’esercito nemico.
Gianavello fu ferito in questa 'Vicenda. Ma era già entrato nella
leggenda per i valdesi.
Gii avvenimenti successivi (la
guerra dei banditi, 1663-1664) consacrano la fama del capitano
Gianavello. Costretto poi all’esi
lio per 26 anni a Ginevra, Gianavello rifiutò, nonostante le difficoltà economiche, le collette in
suo favore che gli arrivavano
dalle valli. DalT86 al ’90, non potendosi più impegnare in prima
persona, dà istruzioni e esortazioni ai suoi compagni per le
spedizioni del rimpatrio.
Le Istruzioni di Gianavello
non sono solo un manuale di
tecnica militare ma sono soprattutto un’indicazione di fede: sappiano i combattenti per la libertà « qu’il n’y ait rien de plus
fort que votre foi en Dieu » (non
ci sia niente più forte che la
vostra fede in Dio).
Un volumetto che narra l’itinerario di un agricoltore, uomo
di fede, capitano e ribelle per
amor di giustizia, morto a Ginevra il 15 marzo 1690, trecento
anni fa.
G. G.
' Ferruccio JALLA, Giosuè Gianavello (1617-1690), Torre Pellice. Società
di studi valdesi. 1991. s.i.p.
4
4 vita delle chiese
15 febbraio 1991
XVII FEBBRAIO
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Apre il Sinodo rioplatense Un xvii per la pace
Un iniziativa pubblica dedicata alle celebrazioni della « scoperta »
dell America - Sarà presente una delegazione cattolica uruguayana
Con un culto presieduto dal
pastore David Baret al Parque
XVII de Febrero, si aprirà il 17
febbraio prossimo a Vaidense
(Uruguay) il XXVII Sinodo delle Chiese valdesi del Rio de la
Piata. Secondo le procedure adottate anche dal Sinodo delle
Chiese italiane, il Sinodo procederà, nella stessa domenica, alle elezioni del seggio dopodiché
i deputati e i pastori ascolteranno la relazione della Commissione d’esame sull’operato della
Mesa vaidense e della Commissione amministrativa. Nella serata di domenica 17 febbraio vi
sarà un dibattito pubblico dedicato alle celebrazioni del V centenario della scoperta dell’America.
Il Sinodo proseguirà i suoi lavori fino a giovedì 21 febbraio,
ed il culto di ogni mattina sarà presieduto dal past. Rodolfo
Reinich, presidente della Chiesa
evangelica del Rio de la Piata,
chiesa con la quale le chiese vaidesi sudamericane hanno avviato un intenso programma di collaborazione. Le serate del lunedì e del martedì saranno pubbliche e saranno dedicate al canto, alla musica e alla discussione delle esperienze ecumeniche.
La mattinata del giovedì inve
II XVII febbraio, ricorrenza di libertà e di festa per i valdesi
italiani, è un momento di lavoro per il Sinodo rioplatense.
ce si terranno le elezioni della
Mesa e delle varie Commissioni
sinodali. Un culto con santa cena alle ore 12 del 21 febbraio
concluderà il Sinodo.
Numerosi gli ospiti del Sinodo provenienti dalle chiese protestanti argentine e uruguaiane.
Quest’anno, per la prima volta,
è stata invitata ufficialmente al
Sinodo anche una delegazione
della commissione per l’ecumenismo della Chiesa cattolica in
Uruguay.
G. G.
DIBATTITO
Religione e li
nelle scuole
SIENA — Con il patrocinio
'dell’amministrazione provinciale
e l’adesione della chiesa valdese si è svolto nei giorni scorsi
un dibattito sul tema: «Religione e libertà fra presente e passato ». L’associazione « Carta
’90 », a cui la nostra chiesa ha
aderito, ha organizzato il dibattito basandosi su dichiarazioni
che ci sentiamo di condividere.
« Carta ’90 » si rivolge infatti a
tutti coloro che ritengono che
la scuola pubblica debba garantire una formazione laica e pluralista « aperta al confronto e
rispettosa di ogni diversità » e
« invita tutti coloro che non intendono seguire l’insegnamento
della religione cattolica a non
esprimere alcuna opzione alternativa ».
La sentenza n. 13 del 14.1.’91
della Corte Costituzionale ha risolto la questione dichiarando
che i ragazzi che non intendono
seguire l’ora di religione non sono obbligati a rimanere a scuola
ma possono andare a casa.
Questo dibattito ha voluto però dimostrare che molti problemi rimangono ancora aperti. Da
parte nostra abbiamo invitato il
prof. Nicola Pagano della Chiesa valdese di Napoli, autore del
libro Religione e libertà nella scuola. Pagano ha posto in
evidenza con particolare forza e
chiarezza l’introduzione dell’insegnamento cattolico nella scuola materna ed i pericoli che esso rappresenta per bambini in
età evolutiva che non hanno ancora strumenti critici da usare
nei confronti di un insegnamento unilaterale, e l’ambiguità della posizione degli insegnanti di
religione che devono sottostare
alle leggi dello stato e, nel contempo, essere obbedienti alle
leggi del diritto canonico.
Bruna Talluri, insegnante di
storia e filosofia a Siena, è riuscita a mantenere vivo il nostro
interesse « lungo 15 secoli di storia » (vedi « La Nazione » del 24
gennaio ’91), durante i quali la
Chiesa cattolica ha ribadito co
Appuntamenti
15-17 febbraio — CASA CARES (Reggello, Fi): Si svolge la consultazione
fra amici dedicata a « Casa Cares e
l'ecologia ». La sera del 16, falò con
partecipazione del past. Gino Conte
che parla sul tema « Creati per la
speranza: cristianeslmo/ecologla ».
23-24 febbraio — LA SPEZIA: Presso la Chiesa metodista si svolge un
collettivo teologico dedicato ai problemi dell’immigrazione.
Sabato 16 febbraio — RIESI: La
Chiesa valdese organizza un dibattito
su ■ Don Bosco e i valdesi » presso
la Sala consiliare del Distretto scolastico n. 11 ,v. Rossini, 1). Partecipa
Michele Straniero, autore di alcune
opere su don Bosco.
Giovedì 21 febbraio — CINISELLO
B.,(Mi): Alle ore 21, presso il Centro • Jacopo Lombardini » si svolge un
incontro sul tema « Sinistra e governo delle Città » (v. Monte Grappa, 62/b,
IV p.). Per informazioni tei. 02/6180826.
Giovedì 21 febbraio — MILANO:
Alle ore 21, nella sala attigua alla
Libreria Claudiana (v. Sforza, 12/a), si
tiene una tavola rotonda sul tema:
« Incontrarsi tra ebrei e cristiani: significato e prospettive ». Partecipano il
prof. Daniele Garrone, il prof. Paolo
De Benedetti e il dott. Mino Chamla.
Sabato 23 febbraio — SALERNO: Il
Centro comunitario « Aurelio Cappello » organizza alle ore 18, nella propria sede (v, Manzella, 27-29) un incontro dal titolo « L’IsIam e le prospettive di pace ». Introdurrà il dibattito il prof. Giancarlo Rinaldi deM'Università di Napoli.
Venerdì 1" marzo — ASTI: Per il
ciclo di dibattiti sul tema « Differenza
e pregiudizio », organizzato dal Centro culturale protestante, alle ore 21,
presso l’ex sala consiliare del Palazzo civico, la prof.ssa Adriana Luciano,
sociologa, parla su « I rapporti interetnici nei loro aspetti sociologici Il mercato del lavoro ».
28 marzo-2 aprile — AGAPE: Il campo di Pasqua è dedicato alla Assemblea di Canberra (7-20 febbraio) del
Consiglio ecumenico. Per iscrizioni tei.
0121/807514.
stantemente l’originé divina del
potere, giudicando qualsiasi opposizione come opposizione a
Dio. Anche la Chiesa cattolica,
come le altre chiese cristiane,
dovrebbe servirsi delle sue chiese e dei suoi conventi per l’insegnamento della religione. Nella nostra storia si è fatta strada comunque anche un’altra cultura: quella del pensiero laico
e della libertà di coscienza.
Gianni Címbalo, docente di diritto ecclesiastico aH’università
di Firenze, ha approfondito altre questioni giuridiche concludendo che è molto probabile
che la Corte Costituzionale debba ancora pronunciarsi su questo argomento. Il dibattito che
è seguito agli interventi degli oratori è stato vivace e sentito:
insegnanti e genitori, giunti anche dai comuni dei dintorni di
Siena, hanno raccontato le loro
esperienze evidenziando concretamente quanto ci sia ancora da
fare in tale ambito.
Siamo riconoscenti per aver
potuto confrontarci su un argomento vitale, soprattutto per le
giovani generazioni che devono
essere educate alla libertà di coscienza.
Purtroppo il confronto è stato un po’ a senso unico, mancando voci diverse. Ma speriarno che, nel rispetto reciproco,
ci si possa aprire sempre più
al confronto con l’altro.
Giovanna Pons
PINEROLO — Qual è la posizione della Chiesa valdese sul
tema della guerra? Quali iniziative concrete intraprendere per
la pace? Questi due interrogativi hanno alimentato una importante assemblea di chiesa « straordinaria », che si è svolta domenica 10 febbraio. Un’assemblea dominata dagli interventi di
donne, pur non essendo le donne maggioritarie nell’assemblea,
a testimonianza di quanto il tema dell’opposizione alla guerra
sia sentito dalla componente
femminile della chiesa.
L’imminenza delle celebrazioni
del XVII febbraio (cosa fare in
questo tempo che certo non è
di gioia?) ha dato concretezza al dibattito.
Graziella Tron ha ricordato la
discussione avvenuta nella Commissione distrettuale del I distretto, la proposta di trasformare il falò in un momento di
riflessione e di preghiera per la
pace, ad esempio bruciando —
come avverrà a Pomaretto — i
giocattoli di guerra.
Alberta Revel e il pastore Bruno Tron hanno raccontato l’impegno di molti valdesi pinerolesi nel coordinamento per la pace.
La discussione si è però subito fatta intensa sulla proposta
di avere, come valdesi, una iniziativa pubblica la sera del 16
febbraio. Una riunione di preghiera e di riflessione in chiesa,
una fiaccolata per le vie cittadine da proporre a tutti. Alla fine
l’assemblea ha deciso di organizzare alle ore 18 di sabato una
fiaccolata in città; poi chi vorrà
potrà partecipare ad un momento di riflessione, di preghiera e
di canto in chiesa. La partenza
della fiaccolata sarà davanti al
tempio.
I falò si terranno egualmente
(con l’esclusione di quello dell’Abbadia) e al termine, come
d’abitudine, si terrà un momento di preghiera e di canto.
Ma la riflessione sulla guerra
e sulla testimonianza cristiana
per la pace non si fermerà alla
fiaccolata di sabato. Continuerà
in altri momenti a partire dal
17 febbraio. Dopo l’agape fraterna (prenotazioni al n. 0121/71597,
Vera Long) sarà dibattuto il problema dell’obiezione fiscale alle
spese militari.
Intanto i giovani della Fgei
continuano la raccolta di firme su
una petizione per il ritiro delle
truppe italiane dal Golfo e distribuiscono una cartolina « signornò » da inviare al presidente della Repubblica. I giovani
hanno anche proposto in assemblea che il Concistoro devolva
un milione di lire alle iniziative
di documentazione per la pace
che il coordinamento cittadino
sta organizzando. Di questo si
discuterà ancora.
VILLASECCA — Nella nostra
valle si è discusso molto se il
XVII febbraio quest’anno potesse avere il carattere di festa.
Nella chiesa di Villasecca è nata la proposta di dedicare i falò
alla pace. I falò del XVII febbraio 1848 sono stati accesi per
comunicare e per ringraziare
per la libertà dei valdesi e l’uguaglianza e la pace fra tutti i
cittadini. Così sono dei segni positivi per la libertà, la giustizia
e la pace e lo possono ancora
croci ugonotte in oro e argento
oreficeria - orologeria - argei
orn
di tesi & delmai
via trieste 24, tei. t93U7
pinerolo
essere in questa disperata situazione di guerra nel Golfo
Persico. All’accensione dei falò
nelle varie borgate può essere
letto il Salmo 46 che dice: « L’Eterno fa cessare le guerre fino
ai confini della terra; spezza
l’arco e frantuma la lancia, dà
alle fiamme i carri di guerra ».
I falò così esprimono la nostra
speranza di pace. Ed i bambini
canteranno: « Stanotte ho fatto
un sogno che non avevo fatto
mai: sognavo che gli uomini
non combattevano più'. Intanto
per le strade si ballava intorno
ai falò, nel fuoco si bruciavano
divise, armi e cannoni ».
SAN GERMANO — Durante
l’ultima riunione il concistoro
ha dedicato alcuni momenti ad
una seria e approfondita riflessione sull’opportunità o meno di
sospendere l’accensione dei falò
la sera del 16 a causa del conflitto in cui anche il nostro paese è coinvolto. Siccome, è stato
detto, i falò non sono un « carnevale valdese », né una semplice festa campagnola, ma stanno a ricordare la libertà che è
stata data al nostro popolo, si
accendano pure i tradizionali
fuochi, pensando a coloro che
nel mondo intero lottano per la
libertà, chiedendo a Dio di darci
la forza per essere facitori di
pace sempre e ovunque.
E’ stato anche deciso di avere una riunione, la sera di mercoledì 20 (ore 20.30) per dibattere fraternamente il tema della guerra del Golfo, e di organizzare, in data da stabilirsi, una
serata per avvicinarci, con l’aiuto di esperti, all’ebraismo e all’Islam.
• Il 24 gennaio una folla veramente imponente si è raccolta attorno alle famiglie Costabel
e Plavan per circondarle del suo
affetto e udire le consolanti parole dell’Evangelo, in occasione
del funerale di GUda Bouchard
ved. Costabel, spentasi a 86 anni dopo un lungo periodo di sofferenza. Alle famiglie in lutto
giunga la simpatia fraterna della comunità.
Culto in francese
BOBBIO PELLICE — Dome
nica 24 febbraio il culto, alle ore
10.30 nella sala unionista, sarà
in francese.
® Sabato 23, alle ore 21, sarà
presentata la replica della commedia presentata dalla filodrammatica in occasione del XVII.
Di fronte ai figli
TORRE PELLICE — Venerdì
15 febbraio, alle ore 20.45, presso la Casa unionista, si svolgerà un incontro sul tema : « Come rispondere alle domande dei
nostri figli »; interverrà il pedagogista Franco Calvetti.
• L’assemblea di chiesa riunita domenica scorsa ha proceduto all’elezione dei deputati al
Sinodo e alla Conferenza distrettuale: sono stati nominati rispettivamente Roberto Charbonnier e Piervaldo Rostan (suppl.
Luciano Panerò e Maria Tamietti) e Maria Tamietti, Mirella
Bein, Cristina Ricca (suppl. Sergio Franzese).
Sono stati inoltre confermati
i revisori dei conti nelle persone di Romano Puy, Luciano Panerò e Bruno Cesan.
L’assemblea ha pure udito le
relazioni di due commissioni su
diaconia e migranti.
Sabato 23 febbraio
□ CONVEGNO MONITORI
1“ DISTRETTO
TORRE PELLICE — Alla Casa unionista, alle ore 16.30, si incontrano le
monitrici e i monitori delle scuole domenicali della vai Pellice per esaminare la sequenza del Nuovo Testamento.
5
15 febbraio 1991
vita delle chiese 5
L’ATTIVITA’ DELLE CHIESE
SETTIMANA PER L’UNITA’
Napoli ripudia la guerra iniziative dei iuterani
Serate di preghiera, volantinaggi, veglie in piazza: si sono così rapidamente moltiplicate le iniziative di protesta contro la guerra
Alla vigilia della scadenza delFultimatum anche le chiese evangeliche napoletane si sono ritrovate per manifestare il loro no
alla guerra. Nel tempio valdese
di via dei Cimbri si è tenuta una
serata di preghiera e lettura di
brani biblici con il canto di alcuni inni, che è stata presieduta
dalla past. M. Adelaide Rinaldi.
Vi hanno partecipato fratelli e
sorelle non solo della Chiesa di
via dei Cimbri e della Chiesa cristiana del Vomero ma anche alcune diaconesse dell’ospedale evangelico « Villa Betania », il pastore battista Nicola Leila, che è
anche esponente del Comitato
ecumenico per il disarmo e presidente del Consiglio delle comunità evangeliche e membri della
Chiesa metodista di Portici e dell’Esercito della Salvezza. La riunione è riuscita molto bene per
il contributo dato dagli intervenuti in termini di letture e commenti.
Infatti, annunciando la riunione, si era chiesto a ciascuno una
riflessione, o la lettura di un brano biblico o anche solo un inno.
Si è arrivati a tenere questa serata per le richieste espresse
nelle chiese di testimoniare insieme, e soprattutto di pregare, contro la guerra.
Nelle chiese c’è stato anche
chi, giustamente, ha rimarcato
che non ci saremmo dovuti rivolgere al Signore solo all’ultimo
momento, ma che sin dall’inizio
della crisi avremmo dovuto dire
collettivamente una parola di
pace.
Oltre questa serata bisogna ricordare le prese di posizione delle chiese battiste, espresse in documenti e volantini, iniziative delle chiese napoletane che si sono
inserite in una situazione cittadina di mobilitazione. Si è tenuta
il 14 gennaio una veglia in piazza
S. Domenico Maggiore, il giorno
dopo c’è stato un incontro in un
teatro tenda di artisti contro la
guerra, cortei di studenti di tutte
le scuole e università. Anche il
mondo cattolico ha organizzato
veglie (come la comunità in
Ascensione a Ghiaia) o marce come quella dei giovani dell’Azione
cattolica.
Non si contano poi le numerose iniziative spontanee nelle Facoltà di lettere, di architettura o
airOrientale con assemblee, raccolte di firme e altro ancora.
Subito dopo l’inizio della guerra sono partite attività di informazione e documentazione, incentrate specialmente sulla obiezione di coscienza, a cura del Comitato giuristi democratici contro la guerra. Sul tema dell’obiezione lavora anche il camper di
piazza S. Domenico Maggiore. Il
camper è gestito da pacifisti di
varia estrazione politica, sociale
e religiosa, che si sono dati una
singolare firma: « Quelli del camper ».
Si vuole così avere un punto
visibile, reale, aperto dalla mattina alla sera, di informazione e
iniziativa tra la gente, e nello
stesso tempo svolgere un ruolo
di raccordo per il movimento
pacifista napoletano come suscitatore di azioni.
Se da un lato si registra un fervore di attività (in città si stanno riunendo anche le « donne in
nero ») si sente che c’è un limite
forte che condiziona il movimento.
Esso è formato da studenti e
associazioni della società civile
mentre i partiti e i sindacati che
storicamente erano pacifisti sono
rimasti sostanzialmente a guardare firmando solo manifesti e
volantini. Solo alctmi militanti
sindacali e di partito, a titolo
personale, si sono impegnati nel
movimento.
Eppure è diffuso il desiderio
tra i lavoratori di un’entrata in
campo più forte, per esempio, del
sindacato. Quale sarebbe la posizione del governo sulla guerra
di fronte ad uno sciopero generale per la pace?
E’ auspicabile che si formi un
movimento pacifista che non si
limiti a protestare contro la guerra ma ^he, anzi, sappia partire da
essa per imporre una politica di
pace e cooperazione nel mondo.
Peppe Cancello
CORRISPONDENZE
L’importanza del culto
PISA — Durante il mese di
dicembre i culti sono stati tenuti alternativamente dal pastore e dai nostri fratelli predicatori laici. Il culto è un momento impiortante della nostra vita
comunitaria, anzi, è il più importante e molti di noi si impegnano a presenziarlo, anche se
questo può costare disagi. Ma,
purtroppo, molti posti sono vuoti perché i fratelli più anziani
non possono intervenire se non
in rare occasioni, aiutati e sostenuti dalla comunità che rivolge sempre a loro un pensiero
fraterno e commosso.
C’è però anche un folto gruppo di giovani che frequentano il
catechismo e il pre-catechismo,
partecipano regolarmente e qualche volta hanno predicato portando una nuova freschezza e
movimento al culto.
• A Natale i bambini della
scuola domenicale hanno presentato un recital sul tema del tutto particolare « Gesù nasce nel
2000 ». Si può dire di un lavoro
che è gaio e nel contempo molto serio e critico sulla nostra
realtà presente? Questo lo è stato, ed è stato seguito e apprezzato dai molti intervenuti.
L’anno si è chiuso così in fraterna serenità, anche se certo
non mancano problemi individuali e generali, speranze, attese, timori.
• Il nuovo anno, aH’improvviso, ha aperto un nuovo tragico capitolo nella nostra storia
di uomini, di italiani e di cristiani: la guerra fra l’ONU e
l’Iraq ha portato in ciascuno dolore, inquietudine, angustie. Tutto questo è stato espresso nelle preghiere che insieme al gruppo ecumenico della nostra chiesa sono state rivolte al Signore
dai tanti presenti all’incontro
del 25 gennaio nel contesto delle attività per la settimana per
l’unità.
• Molte persone partecipano
agli incontri quindicinali di studio biblico e di riflessione teologica ai quali si accompagna
una attività periodica pubblica
mediante conferenze e incontri
di preghiera nelle chiese cattoliche, nella chiesa avventista e
nella nostra.
• Il 23 gennaio abbiamo avuto fra noi la sorella Febe Cavazzutti che come già due anni
fa ci ha portato, attraverso le
sue parole e le diapositive, nel
lontano Sud Africa, dove vige la
violenza della repressione a causa dell’apartheid. Le foto dei
molti luoghi da lei visitati ci
hanno mostrato una realtà di
miseria morale e materiale tragica e deprimente e ci siamo
accorti quanto, veramente, dovremmo aiutare questi popoli
così lontani e cosi malridotti.
• Il 27 gennaio le scuole domenicali di Pisa e Carrara si sono unite a quella di La Spezia,
in un incontro gioioso e fraterno. Il culto è stato celebrato dal
pastore Ceteroni coadiuvato dalla sorella Forma che, utilizzando un bel racconto di Gianni
Rodari, ha trattato il tema « I
ragazzi e la mania della videodipendenza ».
Così, in modo discorsivo, sono saltati fuori i guai che essa
produce, l’indifferenza ai bisogni
degli altri, la solitudine della
mente e dello spirito, la fuga
dai problemi reali oltre al danno visivo. Nel pomeriggio i bimbi hanno presentato il loro recital con molto garbo, fra i consensi e gli applausi dei presenti.
Gaetano Naso
RIESI — « L’Eterno è il mio
pastore, nulla mai mi mancherà... ». Con le parole di questo
salmo, mercoledì 6 febbraio, il
pastore Platone ha salutato, nel
tempio valdese di via Pa-raoi, il
fratello Gaetano Naso che il
gnore ha chiamato a se, all età
di 76 anni, due giorni prima.
Uomo di fede, di impegno, di
serietà evangelica, il fratello Naso lascia sicuramente un grande vuoto nella comunità dove,
per molti anni, è stato anche
cassiere e presidente del Consiglio di chiesa, proprio nel periodo in cui la comunità era sprov
vista di un pastore titolare. Tutti ne ricordiamo l’esempio, la
coerenza, l’apporto di diversa
natura, unitamente alla cordiale battuta ironica con cui era
capace di richiamare l’attenzione degli altri ai problemi della
fede.
Alla sorella Sarina Dierna,
compagna e consorte serena, ad
Adriana, figliuola affettuosa, a
Francesca, Angelica, al pastore
Liborio Naso ed a quanti l’hanno avuto caro, esprimiamo la
nostra fraterna solidarietà, certi
nella risurrezione di chi ha fatto e fa ogni cosa nuova.
Collaborazioni
SAVONA — Tra novembre e
febbraio il consiglio di chiesa di
Savona ha anche avviato una serie di incontri con le altre chiese evangeliche della zona.
Con la Chiesa battista di Albisola esiste già da decenni una
collaborazione nella predicazione e nella intercomunicazione.
Con la Chiesa avventista di
Savona, grazie all’amicizia tra alcune famiglie, si è instaurata
una fraterna relazione che consentirà nei prossimi mesi uno
scambio di pulpito e di studio
biblico.
Con la Comunità cristiana di
Finale Ligure è emersa la necessità di aiutarli nella predicazione domenicale e di offrire loro spazio nella scuola domenicale per i loro bambini.
Purtroppo gli incontri con i
Fratelli ed i pentecostali non
hanno avuto finora alcun seguito in qualche collegamento o comunicazione.
Nuovo anziano
CISTERNINO — Il nostro
gruppo ha come anziano il fratello Nicola Granaldi, che è stato votato all’unanimità. Il fratello Granaldi è di provenienza
cattolica. Tutti i presenti Thanno circondato per esternargli il
loro amore.
Il Concistoro ha appreso con
grande sorpresa e soddisfazione
che durante la settimana di preghiera per l’unità le chiese della CELI sono state luogo di prediche, preghiere e discussioni vivaci.
A Venezia l’apertura ha avuto luogo con un incontro cristiano-ebraico (relatore: prof. Amos
Luzzato) e con un culto domenicale in presenza del vicario generale Visentin.
A Trieste si è svolto un culto
serale e agape con la comunità
cattolica di lingua tedesca; il
past. Poggioli ha inoltre predicato in occasione del culto per
la pace della comunità valdeseelvetica e, su espresso desiderio
del vescovo Belloni, ha partecipato alla tradizionale cerimonia ecumenica nella Chiesa ortodossa
che si concludeva con una cena
in comune.
A Bolzano, durante il culto nella Chiesa luterana, ha predicato
il decano cattolico della città. Il
past. Schuttlòffel ha inoltre partecipato — anche come predicatore — a culti ecumenici a Trento, Rovereto e Bolzano; per il
16 febbraio è previsto un culto
ecumenico in vai di Fiemme
(luogo dei campionati mondiali
di sci nordico).
A Milano il past. Banse ha
avuto la possibilità di partecipare attivamente a culti in lingua italiana nell’ambito della settimana ecumenica.
A Varese il past. Schirrmacher
ha tenuto tre lezioni bibliche
(olandese, italiano, tedesco), un
culto per i giovani e un culto
per tutti i cinque gruppi linguistici appartenenti a questa comunità ecumenica.
A Genova la predica del cardinale Canestri nella Chiesa luterana, il 17 gennaio, è stata un
segno promettente; il past. Wellmann ha potuto salutare in quell’occasione anche il past. valdese Cortés.
A Napoli, il past. Diekmann è
stato invitato a Capri, alla facoltà San Tommaso, nella cappella ecumenica della Riconciliazione, nella Basilica (predica del
past. battista, Leila) e ha predicato presso i frati francesca
ni a Sarno e durante la messa
domenicale a Ghiaia. Particolarmente emozionante è stato un
culto di giovani a Portici sul tema: « Nessuna identità cristiana
senza l’Antico Testamento » (Romani 11), al quale hanno partecipato anche il past. Leuzzi, il
prof. Porte, i pastori Leila (battista) e Squittiari (Chiesa del
Nazareno).
A Roma, il decano Philippi ha
partecipato alla dimostrazione
della Federazione e alla preghiera per la pace (13 gennaio) nel
tempio valdese, ha dato interviste alla televisione regionale (16
gennaio) e alla Radio vaticana;
si è poi incontrato con la scuola biblica della Chiesa pentecostale nonché con il cardinale
Willebrands e il suo successore
mons. Cassidy (25 gennaio) facendo loro proposte per una forma più ecumenica — culto di
parola — in luogo di una messa durante il culto finlandese
e la messa papale a S. Paolo
fuori Le Mura.
Il culto domenicale nella Chiesa luterana è stato luogo d’incontro ecumenico con il « Germanicum». Durante il pomeriggio il decano ha incontrato, in
compagnia del prof. Ricca e di
mons. Riva, le suore francescane e alla sera ha partecipato alla preghiera per la pace nella
Facoltà valdese.
A Firenze (13 gennaio), la comunità si è spostata per condividere paure e speranze con la
comunità confinante di S. Lucia. Il past. Kleemann, elogiato
dal vescovo di Pistoia in occasione di una tavola rotonda sul
tema della situazione ecumenica, ha predicato insieme ai pastori Marziale (battista), Salerno (avventista), Koman (ortodosso) in presenza del consigliere comunale Mazzei e del cardinale Piovanelli e altri, durante la preghiera per la pace alla
SS. Annunziata. Sono seguite una discussione ecumenica molto
animata nella sala delle riunioni
della comunità luterana e la
predica nella cattedrale di Lugano durante il culto ecumenico
per la pace (27.1.’91).
Jiirg Kleemann
PEROSA ARGENTINA
Un solo spirito
Siamo ormai al quarto anno
di incontri in occasione della
settimana di preghiera. Cattolici delle comunità di Perosa e
Pomaretto e valdesi del III circuito si sono incontrati nella cappella dell’Qratorio di Perosa e
hanno pregato e cantato insieme. Questa serata, come ogni
anno, è stata preceduta da un
incontro di responsabili e del
parroco di Perosa con il consiglio del 111 circuito. Ci è sembrato importante meditare sul
tema comune Lodate il Signore,
popoli lutti ma si è anche voluto sottolineare il fatto che tutti
i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza del messaggio ricevuto. Non basta lodare
Dio nella sua casa ma dobbiamo
trasformare la lode in testimonianza, dobbiamo far opera di
evangelizzazione.
Ecco quindi che si è pensato
di presentare all’assemblea i vari
ministeri nel loro lato pratico.
Nelle parole dei due commentatori, don Luciano, parroco di
Pomaretto e Claudio Tron, predicatore locale, è emerso il concetto che ogni credente può essere chiamato da Dio per essere
suo messaggero, come Isaia è
stato chiamato alla missione di
profeta. Qgnuno di noi può ricevere il carisma, cioè un dono di
Dio che dobbiamo mettere al
servizio della comunità.
Nella chiesa esistono diversi
carismi che ci permettono di
fare qualcosa per gli altri. E’
necessario pregare affinché questo avvenga; ma dobbiamo anche
agire in modo che la nostra vita
stessa, i nostri atti, le nostre
parole diventino la testimonianza vivente del comandamento
di Cristo: « Perciò andate, fate
diventare miei discepoli tutti
gli uomini del mondo... » (Matteo 28: 19). Anche attraverso le
parole dei canti, guidati da
membri delle corali, valdese di
Pomaretto e cattolica di Perosa,
si è voluto sottolineare la lode
a Dio, creatore del mondo e la
chiamata al servizio di Dio, come
umili servi e allegri testimoni
di colui che ha dato la sua vita
per noi.
Nel momento dedicato alle
preghiere spontanee è salita alle
labbra di molti la preoccupazione e l’ansia di questa guerra, che
nessuno vuole accettare, ma di
cui tutti ci sentiamo responsabili. Come credenti, forse, non abbiamo fatto tutto il possibile
perché fosse evitata; non abbiamo saputo dire: « Beati i costruttori di pace » (Matteo 5: 9).
Attraverso la preghiera comune
ci sentiamo più uniti, ci sembra
di poter lottare uniti per la venuta del Regno di Dio: « Ascoltaci, Signore ».
La colletta è stata fatta a
favore dei terremotati della Sicilia orientale: in mezzo a scene
strazianti di guerra, non dimentichiamo chi ha perduto tutto
a causa del terremoto.
P. R. R.
6
6 prospettive bìbliche
15 febbraio 1991
ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA
LA PREGHIERA,
LUOGO DI RESISTENZA
« Alleluia.
Lodate Iddio nel suo santuario, lodatelo
nella distesa ove risplende la sua potenza.
Lodatelo per le sue gesta, lodatelo secondo la sua somma grandezza.
Lodatelo col suon della tromba, lodatelo
col saltèro e la cetra.
Lodatelo col timpano e le danze, lodatelo con gli strumenti a corda e col flauto.
Lodatelo con cembali risonanti, lodatelo
con cembali squillanti.
Ogni cosa che respira lodi l’Eterno.
Alleluia ».
(Salmo 150)
Nel protestantesimo si prega molto. La
preghiera è parte costitutiva del culto e ne
scandisce i vari momenti. E’ preghiera di
invocazione, di adorazione, lode, confessione di peccato sia individuale che collettiva, è preghiera di intercessione, è ripetizione collettiva del Padre Nostro. Anche il singolo prega, in modo spontaneo e
personale, seguendo in questo il comandamento di Gesù: « Ma tu, quando preghi,
entra nella tua cameretta, e serratone l’uscio
fa’ orazione al Padre tuo che è nel segreto;
e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne
darà la ricompensa» (Matteo 6: 6). Difficile, dunque, entrare in questo « segreto »,
questo dialogo confidenziale del singolo credente col Padre. E’ uno spazio molto personale che il credente si ritaglia nel turbinio della giornata; violarlo sarebbe come
compiere una violenza al singolo, in un
momento di rara autenticità davanti al suo
Signore.
La fonte limpida, cristallina, la fonte inesauribile alla quale attinge il credente nella
sua preghiera quotidiana è il libro dei salmi. Su quel libro si sono plasmate le nostre parole; quel libro ci ha insegnato il vocabolario della fede, l’abc del dialogo con
Dio. Dai salmi abbiamo imparato a interpellare Dio e ad essere da lui interpellati;
dai salmi abbiamo imparato a parlare a Dio
dei nostri problemi; da quel libro abbiamo imparato a udire le risposte di Dio. I
salmi ci hanno insegnato ad aprire il nostro
cuore al Signore, a domandargli smarriti,
pieni di angoscia: « Fino a quando, Signore,
te ne starai muto?... Fino a quando. Signore, il malvagio trionferà?... Fammi ragione,
difendi la mia causa, liberami... Come la
cerva agogna i rivi delle acque, così l’anima
mia agogna a te, o Dio... ».
Nelle chiese nate dalla Riforma, e in particolare in quelle dell’area francofona, i salmi sono stati musicati ed hanno costituito
l’innario, l’unico innario, in uso nelle chiese durante alcuni secoli.
Tutti i salmi
finiscono in gloria
Nella Bibbia ebraica il libro dei salmi è
indicato col nome « Tehillim », i canti di
lode. Nella nostra cultura cristiana occidentale gira il proverbio « tutti i salmi finiscono in gloria ». Ebbene, sì, è vero: tutti i
salmi finiscono in gloria, e l’ultimo dei salmi, il salmo 150, proposto alla nostra attenzione questa sera, è un salmo di lode; unicamente, in modo monotono, parossistico.
Pubblichiamo il testo di una predicazione tenuta a Torino, nel tempio di corso Vittorio Emanuele, il 25 gennaio scorso, in occasione della
settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Essa si inserisce, peraltro, nel contesto drammatico delle vicende della guerra e chiarisce il
senso che ha, in simili frangenti, la preghiera dei credenti, (red.)
centrato sulla lode. Se è lecito, direi che ha
un andamento simile al « Bolero » di Ravel. L’unico tema, la lode, viene man mano cantato e suonato da un numero crescente di voci e strumenti, fino ad esplodere nell’invito finale: « Ogni cosa che respira lodi l’Eterno », e l’Alleluia conclusivo è il grido che prorompe dal creato
intero, da tutte le creature viventi, animali
e piante, ruscelli e fiumi, mari e deserti e,
forse, anche le galassie lontane.
Perché i salmi, che contengono tante invocazioni di soccorso, e gli echi di drammi individuali e collettivi (oltre beninteso
a canti di gioia e di lode) si chiudono con
questo salmo 150? Cioè, com’è possibile
che, alla fine, tutto il dolore della persona
umana, la ricerca faticosa di Dio, la solitudine del credente, la sofferenza del singolo
e del popolo, tutto questo si sciolga nel
canto finale di lode, dove non si trova più
alcuna ombra, ma tutto è divenuto pura
luce? Dunque è vero che i salmi finiscono
in gloria e che la fine dei salmi è pura gloria! Ma, ripeto, com’è possibile tutto questo?
Preghiera ed esaudimento
Qui, mi pare, tocchiamo il segreto della
preghiera, il suo mistero più profondo, cioè
il rapporto tra preghiera ed esaudimento.
Ciò che ci spinge a pregare è la speranza
dell’ascolto, la ricerca di una risposta da
parte di Dio; ciò che ci trattiene dal pregare è la paura del silenzio, del vuoto.
Ma quando parliamo di preghiera è inevitabile fare riferimento a Gesù, in quanto
lui ha insegnato ai suoi discepoli a pregare.
In tutte le chiese cristiane il Padre Nostro è ripetuto in ogni celebrazione o culto. Da noi è l’unica preghiera conosciuta a
memoria da tutti. Non ne abbiamo altre.
Anche se la liturgia del culto domenicale
contiene delle preghiere, ci sentiamo molto
liberi di « inventare », secondo il momento, la nostra preghiera, perché ci sembra
di dare ad essa un carattere maggiormente
spontaneo ed autentico. Forse sbagliamo,
forse perdiamo dei tesori; forse pecchiamo di eccessivo individualismo, non so.
Questa d’altra parte è la nostra situazione.
Ma vediamo brevemente che cos’è il Padre Nostro.
Preghiera, tensione
verso il Regno
Intanto poniamoci la domanda: che cosa
ha insegnato Gesù ai suoi discepoli? Una
formula da ripetere ritualmente? Non lo
penso proprio. Un modello al quale attenersi? Non mi pare neppure. Ho invece l’impressione che col Padre Nostro Gesù abbia
insegnato ai suoi discepoli che ogni preghie
ra, sia che si tratti di una preghiera di
lode e adorazione, sia che si tratti di una
preghiera di intercessione e supplica,
deve avere il centro nella questione del
Regno di Dio. Il « nome » e la « volontà »
di Dio, infatti, sono un altro modo per
esprimere il «regno». Ma anche il «pane », il « perdono », la « liberazione » sono
un modo per indicare la realtà del Regno
operante in mezzo a noi, vissuta personalmente e collettivamente nell’insieme dei nostri rapporti e nella totalità della nostra esistenza. Dunque, al centro della preghiera
sta il Regno, la sua manifestazione piena,
sia a livello universale e sia nella dimensione personale e privata. D’altronde Gesù non
avrebbe potuto insegnare altro ai suoi discepoli, lui che del Regno aveva fatto lo
scopo della propria vita, il centro del suo
annuncio.
Arriviamo così a comprendere che la
preghiera, sia quella così varia e multiforme dei salmi, sia quella stereotipa e povera che noi facciamo, ha e deve avere il
suo centro nel Regno.
Anzi, si potrebbe dire che la preghiera
è lo spazio in cui m’è dato oggi di vivere
in anticipo la luminosità e la gioia del
Regno. La mia preghiera sarà piena
di tutta la mia debolezza, di tutte le
mie angosce, di tutti i miei dubbi; sarà,
più raramente, l’espressione gioiosa della
mia riconoscenza: ma tutto questo trae la
sua motivazione dal Regno. Il Regno invocato e atteso, così come lo sentiamo nel
grido per la giustizia del misero, dell’oppresso, o nell’invocazione della chiesa:
« Vieni, Signor Gesù »; il Regno come speranza di liberazione e di vita, di riconciliazione e di pace. Ma il Regno anche come
già presente nella dimensione della fede. In
altri termini chiedo a Dio ciò che egli mi
ha già dato in Cristo! « In verità, in verità
vi dico che quel che chiederete al Padre,
egli ve lo darà nel nome mio » (Gv. 16: 23).
Nel nome di Gesù
Normalmente un protestante termina la
sua preghiera con la « formula » : « nel
nome di Gesù, amen ». E’ invece estraneo
alla sua sensibilità dire: « Ascoltaci, Signore! ». Il Signore ascolta il nostro grido,
mentre non è sempre vero il contrario. Per
questo lo « sh'^mà Israel », la confessione
di fede di Israele, ripresa da Gesù, inizia
con le parole «Ascolta, Israele». Non
siamo noi ad avere una parola da dire a
Dio, ma è Dio che ha una parola per noi.
La formula « nel nome di Gesù » vuol dire
che noi siamo certi dell’ascolto, e che il Signore ha già fatto tutto ciò che gli chiediamo. « Quante sono le promesse di Dio,
tutte hanno in lui [cioè in Cristo] il loro
sì» (II Cor. 1: 20).
Noi parliamo del Regno venturo, perché
in Cristo è già venuto; parliamo della libe
razione, perché in Cristo siamo già stati
liberati; della guarigione, perché in Cristo
siamo già stati guariti; della riconciliazione,
perché in Cristo siamo già stati riconciliati; della pace, perché Cristo è la nostra pace
e in lui vediamo le nazioni e i popoli oggi
in guerra vivere nella pace con giustizia.
La preghiera in Cristo è il modo in cui
vivo nel presente il non ancora del Regno
che, in Cristo, è però già compiuto. Ecco
perché le preghiere che troviamo nella Bibbia, sia nel Nuovo che nell’Antico Testamento, hanno spesso i tempi al passato. Dice Maria nel « Magnificat » : « Egli ha operato potentemente col suo braccio, ha disperso quelli che erano superbi nei cuor loro,
ha tratto giù dai troni i potenti, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni i famelici, ha rimandato a vuoto i ricchi... » (Luca
1: 51 ss.). Eppure Gesù deve ancora nascere!
La preghiera,
opera dello Spirito
La preghiera non è opera mia. Come potrei vivere la tensione del Regno? Tutto intorno a me e dentro di me nega Tevangelo
del Regno. In questi giorni, con particolare evidenza, il mondo celebra il trionfo della morte. Il mondo che ci sembrava avviarsi
verso un avvenire di pace e di giustizia è
improvvisamente precipitato nel baratro
della barbarie, che le moderne tecnologie
rendono ancora più allucinante e devastante. Noi ci rifiutiamo di credere che questa
situazione complessiva sia la verità; ci rifiutiamo di credere alla sua fatalità; ci rifiutiamo di credere che questa sia l’unica realtà possibile. Per esprimerci nel paradosso del
mito, comprendiamo che le forze del male
stanno conducendo il più grave attacco di
tutti i tempi contro la vita del mondo. La
paura che ci attanaglia è che questo conflitto sia l’inizio della terza guerra mondiale. Dopo, se vi sarà un dopo, come ebbe a dire Einstein, la quarta guerra sarà
combattuta a colpi di pietra.
Le chiese si sono rifugiate in questo frangente nella preghiera. E’ una fuga dal mondo? Certamente no; anzi è un assumere i
problemi del mondo e mantenere ferma in
noi la consapevolezza che è necessario opporsi alle forze della distruzione, negatrici
della vita e della giustizia e generatrici di
odio e di divisione in nome di Gesù Cristo.
« Noi — dice l’apostolo Paolo — non
sappiamo pregare come si conviene; ma lo
Spirito intercede egli stesso per noi con
sospiri ineffabili... » (Rom. 8; 26). La preghiera, dunque, non è opera mia, ma dello
Spirito Santo, il quale tiene desta in noi la
speranza del Regno, risveglia la nostra fede,
ci dà la forza della testimonianza.
Per questo tutti i salmi finiscono in gloria, e per questo il salmo 150, l’ultimo dei
salmi, è un grande inno di lode del creato
intero, riconciliato e in pace. Dirlo oggi significa contestare alla radice la potenza distruttrice della morte e annunciare la resurrezione e la vita, il mondo nuovo di Cristo che per noi non è utopia del domani, ma
realtà presente ed operante.
Luciano Deodato
7
15 febbraio 1991
obiettivo aperto
BILANCI E PROSPETTIVE DI UN IMPEGNO CHE NON PUÒ’ CONOSCERE SOSTE
La droga: una guerra perduta?
Malgrado l’impegno di vari paesi per stroncare
la produzione e il traffico della droga, la situazione
odierna risulta addirittura peggiorata^ La circolazione e il consumo delle droghe più diverse stanno aumentando dappertutto; certi prezzi sono diventati più
accessibili; violenza e morte hanno subito un ulteriore incremento. In una parola la «guerra» alla
droga si sta rivelando un grosso insuccesso, con ben
poche probabilità di cambiare la situazione. Sulla
scorta di notizie e di dati apparsi su quotidiani, su
periodici medici italiani e sulla base di un servizio
pubblicato da « Le Monde Diplomatique» dello scorso dicembre, cerchiamo di fornire un aggiornamento
— sia pure incompleto — per una ulteriore conoscenza e riflessione dei nostri lettori.
In Italia
In collaborazione coi ministeri della Sanità, della Giustizia, della Difesa e della
Pubblica Istruzione, gli esperti dell’« Osservatorio permanente sul fenomeno droga » del ministero dell’Interno hanno condotto uno studio sulle tossicodipendenze
in Italia: negli ultimi çei anni questo triste fenomeno si
è esteso a macchia d’olio. "l
tossicodipendenti sono aumentati in progressione geometrica, quelli in cura sono
più che raddoppiati, i morti
sono quadruplicati (1145 l’anno scorso), mentre il numero
dei malati di Aids fra i drogati è aumentato di otto volte.
E’ impossibile dire con
esattezza quanti sono oggi i
tossicodipendenti nel nostro
paese: stime approssimative
parlano di almeno 350 mila,
più un paio di milioni di consumatori di droghe leggere.
Una cosa certa è che l’età media dei morti per droga si è
elevata dai 24 anni per le
femmine e 25 per i maschi
degli anni scorsi ai 28 e 29
anni del 1990: il rischio di
cadere vittime degli stupefacenti si sta spostando verso
fasce d’età più elevate. L'incremento dei morti, ri.«petto
al 1989, è stato del 17 per
cento; per quanto riguarda il
tipo di droga più consumato,
il primato spetta sempre di
gran lunga all’eroina. Circa
la correlazione droga/Aids,
viene rilevato che 40 persone
su 100 che si presentano ai
servizi contro le tossicodipendenze ne sono infette,
mentre il 70 per cento dei
malati italiani di Aids è tossicodipendente.
Nello scorso giugno è stata
varata una nuova legge antidroga, maggiormente punitiva, in cui il « buco » o il « tiro » di spinello, trasformato
in un reato, avrebbe dovuto
costituire un primo colpo di
piccone al flagello droga. Parallelamente, però, non sono
state approntate tutte quelle
strutture e quei programmi
di prevenzione e recupero
previsti dalla legge stessa.
Anche la definizione dei valori relativi alla cosiddetta
« dose media giornaliera »,
che avrebbe dovuto costituire la grande discriminante fra consumatori e spacciatori, è finora vanificata dalla
mancanza di centri che analizzino e valutino i principi
attivi delle sostanze stupefacenti. Grava inoltre su questa
legge un’accusa di incostituzionalità in quanto essa ha
creato una quantità di piccoli spacciatori che, giocando
appunto sulla « dose giornaliera », subiscono le stesse
sanzioni — prima ammini
strative e poi penali — dei
consumatori.
Per quanto concerne l’aspetto della prevenzione, è
prevista la costituzione di
attività informative nell’ambito delle varie discipline scolastiche, ma solo ora il ministero della Sanità si accinge
a varare un piano che — coi
ben noti tempi lunghi della
burocrazia — non si sa quando potrà venir realizzato. E’
indubbio che una educazione
capillare in ogni ordine di
scuola, che evidenzi le gravissime conseguenze a cui
può portare il consumo delle
droghe, può dare dei risultati
ma è anche vero che occorre
scindere in modo radicale la
figura del tossicodipendente
malato da quella del tossicodipendente criminale, considerato il più delle volte un
escluso, un reietto, un immaturo. Forse non molte persone sanno che metà degli asserviti alla droga frequenta
l’università o gli studi medi
superiori, uno su tre è sposato, uno su cinque vive in
un normale nucleo familiare.
Nel mondo
Allargando ora l’orizzonte,
il fenomeno droga si sta sempre più massicciamente sviluppando dappertutto: all'Est come all’Ovest, nei paesi sviluppati come nel Terzo
Mondo. Si calcola che vi siano oltre quattro milioni e
mezzo di eroinomani nel
mondo, di cui 700 mila in Europa. Altrettanti sono probabilmente i consumatori di cocaina e del più economico
« crack ». I fumatori di droghe cosiddette «leggere» (sovente anticamera di quelle
pesanti) si contano a decine
di milioni solo in Europa e
negli Stati Uniti.
Sono note a tutti le implicazioni sociali — oltre a
quelle sanitarie — che comporta l’uso della droga, il cui
circolo vizioso e sovente inesorabile può essere così sintetizzato: droga-proibizionecriminalità-repressione-destabilizzazione sociale. Anche la
repressione nei confronti dei
trafficanti, al di là di certi
« spettacolari » sequestri di
droghe varie e di qualche arresto, ottiene effetti addirittura opposti a quelli mirati:
il prodotto rincara, la criminalità aumenta e cresce quindi l’insicurezza. Anche a livello mondiale l’interdipendenza fra eroinomani e Aids
è piuttosto elevata: un buon
terzo è sieropositivo.
Per quanto poi concerne la
politica dei vari paesi nei
confronti della droga le misure repressive — ormai m
vigore da parecchi anni
non hanno dato risultati positivi e numerose sono le persone che vorrebbero dei cam
biamenti radicali, sino a
giungere all’abbandono puro
e semplice della proibizione:
fra costoro si annoverano
giuristi, criminologi, giudici,
medici, psicologi, rappresentanti delle forze dell’ordine,
politici e altri. Del resto, anche in Italia una parte del1 opinione pubblica è favorevole alla legalizzazione delle
droghe.
Pro e contro
Le argomentazioni degli
antiproibizionisti sono chiare, anche se opinabili; la droga è un prodotto come gli altri che deve entrare, al pari
di altre droghe come il tabacco e 1 alcol, nel libero gioco
della domanda e dell’offerta,
in cui il consumatore non ha
da essere giudicato dallo stato e tanto meno penalizzato.
Gli effetti dovrebbero — essi
dicono — essere immediati.
Innanzitutto, la fine del traffico e degli enormi profitti
dei produttori - spacciatori,
poi una caduta della delinquenza provocata dalla proibizione. Infine, la legalizzazione provocherebbe un miglioramento delle condizioni
sanitarie con una regressione
in modo particolaré dell’Aids.
A dimostrazione di tutto ciò
viene ricordata la disastrosa
esperienza americana relativa al periodo del proibizionismo dell’alcol che ha incrementato potenza maliosa,
corruzione politica, criminalità e repressione poliziesca.
Ma, in effetti, la legalizzazione della droga non avrebbe senso se non fosse accettata a livello mondiale. In
questo caso però vi sarebbe
il rischio evidente di un’esplosione dei consumi presso quelle persone che oggi ne
sono tenute lontane dalla
proibizione. Inoltre, potrebbero impiantarsi dei mercati
paralleli per soddisfare la domanda che il mercato ufficiale esclude, sia in ragione del1 età del consumatore (minorenne), sia per il prezzo (inaccessibile ai più poveri) e sia
anche per il comportamento
del consumatore di droghe
pesanti per il quale il rischio
e la proibizione sono una
componente essenziale.
Alcol e tabacco
Altrettanto fondate paiono
le osservazioni degli antiproibizionisti quando rilevano le
contraddizioni e la duplicità
delle politiche antidroga nei
confronti, ad esempio, di alcol e tabacco.
Queste due sostanze sono
incontestabilmente delle droghe, sia in senso scientifico
sia in senso sanitario, suscettibili di causare seri danni
tanto nel campo della salute
quanto in quello sociale. Ve
Uno spacciatore di droga sorpreso dalla polizia negli USA. La lotta
agli stupefacenti deve assumere più che mai dimensioni internazionali; essa non può d’altra parte limitarsi alla sola repressione, ma
deve venire incontro al disagio reale di ogni individuo coinvolto.
diamo così che le multinazionali dell’alcol e del tabacco
inondano i paesi del Sud con
le loro droghe « lecite » fino a
distribuire dei campioni di
sigarette (specie dopo la diminuzione dei consumi nei
paesi industrializzati) all’uscita delle scuole nelle zone
che non conoscevano l’uso
del tabacco.
Tornando all’Italia, per
quanto concerne l’alcol, il
suo abuso causa la mortalità
di circa 30 mila persone all’anno. All’alcol vengono attribuiti, secondo uno studio
dell’Istat, il 25 per cento degli omicidi, il 20 per cento
dei suicidi, il 50 per cento degli incidenti sul lavoro, il 33
per cento degli incidenti stradali.
A sua volta, il tabacco provoca oltre 80 mila morti all’anno , senza tener conto dei
fumatori passivi, vale a dire
coloro che sono costretti a
respirare il fumo altrui in locali chiusi.
Che fare?
Tornando al problema delle tossicodipendenze, uno dei
pilastri del programma politico del presidente statunitense Bush era « la guerra
mondiale alla droga, nemico
pubblico numero uno dell'umanità » (discorso del 5 settembre 1989). Forti in effetti
sono state le pressioni ed anche gli interventi armati nelle regioni dei produttori:
Turchia, Thailandia, Bolivia,
Colombia, senza peraltro
preoccuparsi troppo degli effetti sociali ed economici destabilizzanti di tali azioni, e
senza porre in opera e finanziare — in accordo coi paesi
interessati — programmi alternativi di colture e di sviluppo. Questi programmi sono stati praticamente abbandonati (forse anche a causa
di altra guerra in corso...)
mentre si sta dando priorità
alla lotta contro il traffico.
I risultati sono quelli che
sono, come possiamo constatare anche nelle nostre città
e nei più piccoli paesi. Nessun luogo del pianeta è risparmiato: milioni di esseri
umani incappano in questa
trappola mortale. Questa dovrebbe essere una « guerra »
veramente degna di venir
combattuta e non certo con
le armi che sparano. Innanzitutto con la reale e tenace volontà di debellare il fenomeno (volontà indebolita dai
troppi interessi in gioco), con
lo stanziamento di adeguati
fondi per la prevenzione, l’assistenza ed il recupero, con
la solidarietà e non con la
criminalizzazione verso i consumatori.
Ma, prima ancora di tutto
questo, con una maggior mobilitazione a livello di comunità e di famiglie per un nuovo stile di vita contro il permissivismo e il consumismo,
pericolosi veicoli di un malinteso concetto della libertà.
pagina a cura di
Roberto Peyrot
per la stampa di
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8
8 fede e cultura
15 febbraio 1991
UNA NUOVA TRADUZIONE DELLE EPISTOLE
Paolo restituito
alia gente comune
Un pensiero teologico che continua ad essere affascinante - Poco
rilievo per la storia dell’interpretazione successiva alla Riforma
Una nuova traduzione delle epistole di Paolo è di per sé un
avvenimento degno di rilievo;
quando poi si aggiunge che sia
il traduttore che la casa editrice non sono confessionali l’avvenimento diventa ancora più interessante e ci si domanda che
cosa ciò significhi
Due cose, essenzialmente, mi
pare di poter dire. Anzitutto che
il pensiero di Paolo continua ad
affascinare, ed anche uomini del
nostro tempo ne rimangono colpiti. Non altrimenti spiegherei
questo fenomeno. Inoltre Paolo,
finalmente anche da noi in Italia (sia pure con un grosso ritardo rispetto ad altri paesi europei, e penso al Romerbrief di
Karl Barth, del ’19, tradotto da
Giovanni Miegge nel ’49, e pubblicato da Feltrinelli solo nel
’62! ), viene ricuperato pel: cosi dire alla laicità; cessa di essere
un fatto meramente « ecclesiale », per entrare invece nella
« mondanità ». Paolo viene fatto
scendere dagli altari, e restituito alla gente comune. Non c’è
che da rallegrarsi, e da sperare
che questa tendenza prosegua.
L’opera compare nella collana
« I millenni », una bella edizione della prestigiosa casa editrice Einaudi. Il volume è arricchito da riproduzioni di affreschi, mosaici, codici, ecc. attinenti alla vita di Paolo.
Il discorso paolino
visto da un laico
Precede la traduzione una doppia introduzione: la prima, ad
opera di Mario Luzi « sul discorso paolino ». Interessante per vedere come un laico può intendere, sia pure solo come fatto
culturale, il messaggio di Paolo. La seconda, dello stesso Carena, situa Paolo nel suo tempo e traccia la storia delle epistole e della loro accoglienza
nella riflessione della chiesa antica.
Ogni epistola, poi, è introdotta in modo sintetico ma preciso ed esauriente; un discprso
fatto con rara competenza, segno di uno studio approfondito.
Insomma, si tratta in sostanza di un’opera veramente bella. La traduzione ha a fronte il
testo greco (secondo l’edizione
del Merk, nella revisione del
card. C. M. Martini, Roma,
1984 '") con brevi note o riferimenti biblici a piè di pagina.
Per quanto riguarda la traduzione che, ovviamente, riveste
molta più importanza dei dettagli sopra descritti, bisogna dire
che il Carena è riuscito a darci
una versione che non tradisce
né l’italiano, né il testo greco.
E’ però inevitabile che un protestante, leggendo con particolare attenzione questo testo, non
possa fare a meno di notare alcune questioni. Cominciando dall’introduzione, si rimane con
la sensazione che, dopo san Girolamo e sant’Agostino, le epistole paoliniche siano rimaste ai
margini della storia della Chiesa d’Occidente. Infatti nella sua
breve storia dell’interpretazione
il Carena arriva fino alle soglie
dell’Umanesimo, e lì si ferma,
aggiungendo poi, in modo lapidario: « lo scenario nell’età moderna muta radicalmente » (p.
XL). E qui si deve intendere,
probabilmente, il feiiomeno della Riforma e poi, in questo secolo, la lettura di Karl Barth.
Sia l’uno che l’altra sono poi citati, sia pure di sfuggita, nell’introduzione all’epistola ai Romani. Capisco che non si poteva,
a meno di non raddoppiare l’introduzione, addentrarsi nel periodo che va dal XV-XVI secolo fino ad oggi. Ma il lettore che
per ventura non sapesse nulla
dell’impatto profondo, sconvolgente, che la lettura delle epistole ha avuto nella storia moderna dell’Occidente rischia di
restare con la sensazione che dopo i grandi nomi di Girolamo
ed Agostino non ci sia stato più
nulla di rilevante.
Una traduzione
fedele al testo
Una seconda osservazione riguarda la traduzione. Premetto
che non è questa la sede per
addentrarsi in un suo studio critico. Ribadisco, anzi, che essa è
bella e fedele al testo originale.
Tuttavia alcune soluzioni, che cito a titolo esemplificativo, non
mi soddisfano del tutto. Perché
il termine greco « ekklesìa » è
UN ROMANZO DI JEREMIAS GOTTHELF
Il ragno nero
Un’ambientazione contadina e romantica per
una vicenda caratterizzata da una grande fede
stato reso con « comunità », anziché come sembrerebbe più logico con « chiesa »? Quale ragione dogmatica ha influito su questa scelta? Oppure, perché l’espressione di Romani 12: 1, la
famosa « logikè latréia » (letteralmente: «l’adorazione logica»),
è stata resa con « culto del vostro spirito »? Una locuzione
che, fra l’altro, si presta a più
di un fraintendimento. Un’espressione oscura rimane ancora più oscura nella traduzione.
Sempre nello stesso ambito il
termine greco « harpagmòs », di
Pilippesi 2: 6, che la Riveduta
traduce in modo incomprensibile con « rapina », rimane non risolto anche nella traduzione del
Carena (« ..non stimò una rapina l’uguaglianza con Dio »).
Si potrebbe continuare a lungo in questa esemplificazione di
soluzioni, o non soluzioni, discutibili. Ma quale traduzione non
presenta elementi di discussione?
Una collocazione
"cattolica”
In conclusione si può forse
osservare che questa traduzione
per quanto « laica » essa sia, e
quindi come tale fresca e liberante, si colloca tuttavia in un
contesto culturale profondamente segnato dal cattolicesimo, con
tutti i pregi e i difetti che ciò
comporta.
Quella del C'arena è comunque un’opera fondamentale per
chi, profano o no, voglia accingersi allo studio di Paolo. Sappiamo che è intenzione del Carena far scoprire all’uomo moderno altri tesori del pensiero
dell’antichità cristiana. Nell’augurargli un profìcuo proseguimento in questo cammino, ci
piacerebbe trovare altre traduzioni degli scritti del Nuovo Testamento (penso per esempio all’Evangelo di Giovanni) in edizioni belle come questa curata
dall’Einaudi.
Luciano Deodato
' San Paolo. Le Lettere. A cura di
Carlo Carena con una prefazione di
Mario Luzi, Torino, Einaudi, 1990, pp.
I-XLI, 327, Lire 70.000,
Jeremias Gotthelf ( « Dio t’aiuti », pseudonimo di Albert Bitzius) era un pastore protestante
originario del cantone svizzero
di Friburgo; all’attività pastorale affiancò quella di « commissario » nelle scuole, e in terzo
luogo anche quella letteraria.
Ouest’ultima si inserisce a buon
diritto nell’atmosfera romantica
dell’Ottocento e ne ricava alcuni caratteri e tipologie.
Il ragno nero romanzo breve, è probabilmente il risultato
più alto da lui raggiunto.
La trama è presto detta: un
gruppo di contadini è sottoposto alle vessazioni di una sorta
di « casta » dei cavalieri, che
impongono loro una serie di
tributi e di prestazioni di lavoro
di tipo feudale. La sola, insperata occasione di ribellione e
di riscatto viene offerta da im
personaggio misterioso, un cacciatore verde (« sul berretto baldanzoso oscillava una penna
rossa, nel viso oscuro fiammeggiava una barbetta rossa... »).
Egli si offre di risolvere il problema deH’espianto di un gran
numero di faggi da collocare
lungo l’accesso al castello, secondo la pretesa dei « signori ».
La contropartita è al tempo
stesso irreale e obbrobriosa; il
diavolo, sotto le spoglie del cacciatore verde, pretende un bambino non ancora battezzato. Una
ragazza, Cristina, glielo prometterà e quando, a lavoro compiuto, non ottempererà all’atroce
richiesta, dalla sua guancia inizierà a manifestarsi quel ragno
mostruoso che mieterà numerose vittime nel villaggio. Sarà a
due riprese necessario il sacrificio di una donna e di un uomo
per rinchiudere il ragno in una
parete della casa, ostruendo il
foro con un cavicchio, perché
tutto torni come prima.
A prima vista ce n’è abbastanza per pensarci di fronte al tradizionale repertorio di allegorie
e diavolerie che ammantano di
fiabesco e di tetro molti racconti romantici. C’è un profondo
senso della natura e del paesaggio (« S'alzava il sole sui monti,
chiaro e maestoso, penetrava
col suo splendore in un’amena ma
stretta valle, e vi risvegliava le
creature all'allegria della vita »),
ci sono le leggende popolari, le
superstizioni.... e tuttavia c’è un
elemento di fede che diventa
determinante. Scrive Massimo
Mila, il compianto musicologo
che del Ragno nero ha curato
la traduzione e la prefazione;
« Gotthelf ha non pochi numeri
per passare come il De Amicis
protestante della Svizzera, con
il socialismo in meno e la ferma
fede evangelica in più » e c’è
del vero.
Tutto il materiale preesistente, dalle tradizioni alle romanticherie più di maniera, alla
stessa vicenda, servono all’autore per esprimere la sua profonda convinzione nella ' fede.
Il pericolo a cui va incontro
la comunità è dovuto alla perdita del timore di Dio, ad una
condotta morale che non è più
quella di una volta; « Giocare
con la vita eterna — dice una
vecchia — significa scordarsi di
Dio ». E solo da lui può venire
il soccorso che mette fine alla
tragedia, a patto che non venga
poi dimenticato in favore del
vitello d'oro.
In questo senso II ragno nero
può essere anche visto come
opera « apologetica », e a tratti
moralistica, ma sarebbe ingeneroso. Gotthelf aveva forse una
visione ristretta: dalla comunità locale, da alcune tradizioni
popolari, scrive come se raccontasse una novella (peraltro
di gran gusto, probabilmente
assecondato dalla traduzione di
Mila che è stilisticamente bellissima): ma scrive sapendo ciò
che fa; e sapendo che con lui
lo sa tutta una comunità. Quanto vasta, probabilmente non
importa. E’ un popolo di credenti, roccioso e perseverante (almeno al tempo che corrisponde
alla « cornice » della narrazione; per artificio è un nonno a
raccontare tutta la vicenda e a
tirarne poi le file) come l’ambiente in cui vive. Sembra, nella
descrizione che ne fa l’autore,
di giungere dopo un valico in
una valle dove tutto è diverso,
dove « si respira una certa
aria », dove tutti sanno perfettamente quel che si sta facendo.
« Non per nulla risplendevano,
nella purezza dei loro ornamenti,
la terra edificata dalla mano di
Dio e la casa edificata dalla mano dell'uomo... ».
Un po’ come alcuni film hanno
idealizzato i villaggi quaccheri o
degli « amish ». Essendo una
sorta di apologo però il racconto
può avere valore universale: sta
a noi fare i passi successivi, capire se ci discostiamo dalla fede
e trarne le conseguenze.
Alberto Corsani
1 J. Gotthelf, Il ragno nero, Trieste, ed. Studio Tesi. 1987.
Anche quest’anno il collettivo
culturale della Chiesa metodista
di La Spezia ha ripreso la sua
attività, il 18 gennaio scorso, con
una conferenza-dibattito sul tema « Risorgimento e protestanti » che ha ottenuto im buon successo di pubblico, richiamato, oltre che dall’interesse sull’argomento, dal noto e brillante oratore prof. Giorgio Spini, docente
di storia dell’Europa occidentale
presso l’Università di Firenze,
autore di numerosi ed importanti testi storici, in particolare del
volume Risorgimento e protestanti, pubblicato dal Saggiatore (Milano 1989).
LA SPEZIA
Risorgimento e protestanti
La speranza di una rivoluzione religiosa che in Italia era mancata
nel XVI secolo - L’emancipazione valdese e i principi della libertà
Giorgio Spini, in una lucida e
puntuale analisi del Risorgimento italiano dai suoi albori fino al
1870, ha messo in particolare evidenza il rapporto tra Risorgimento italiano e protestantesimo, tratteggiando la persona e
l’opera del Sismondi, riformato,
che, nella sua Storia della Repubblica italiana, ha formulato
la prima dottrina teorica del Risorgimento, appuntando la sua
polemica contro Napoleone prima e il Congresso di Vienna poi.
La grandezza dell’Italia che, se
condo il Sismondi, risiede prevalentemente nell’epoca dei Comuni, è stata uccisa dalle invasioni
straniere e daH’intolleranza papale, che ne ha infiacchito i costumi.
Gli italiani potranno però risorgere attraverso una rivoluzione religiosa, che è loro mancata
nel XVI secolo. Dopo aver messo
in luce la posizione del cattolicesimo liberale attraverso il pensiero di Alessandro Manzoni ne
Le osservazioni sulla morale
cattolica e della sinistra democratica attraverso il Mazzini (per
il quale il protestantesimo, anzi,
tutto il cristianesimo ha esaurito la sua funzione, in quanto è il
Dio del progresso che guida la
storia) l’oratore si è soffermato
sull’incontro degli esuli italiani,
dopo il fallimento dei moti del
1820-21, con il mondo protestante, in prevalenza inglese, a sua
volta in evoluzione. In esso infatti era penetrato il Risveglio che,
nato nel ’700 e fiorito neH’SOO romantico, poneva al centro del
suo messaggio la necessità della
conversione personale da una
parte e della Scrittura dall’altra.
Rotta in questo modo l’antica
unità tra popolo e chiesa, gli
evangelici del Risveglio avvertono quindi con estremo rigore la
separazione tra chiesa e stato."
E’ appunto a questo tipo di protestantesimo che molte personalità del Risorgimento quali Rica
soli, Lambruschini e Vieusseux
si richiamano, così come « Il
Conciliatore », 1’« Antologia » sono espressione di questi nuovi
fermenti di idee.
Il 1848 e l’esperienza della Repubblica romana segnano un
momento drammatico nel Risorgimento italiano; l’avvenire dell’Italia sembra essere solo nella
distruzione della sede papale,
idea che circola insistentemente
anche in Inghilterra dove, nel
momento critico dell’indipendenza italiana, c’è appunto una vasta parte di opinione pubblica
che ha applaudito al Risorgimento italiano considerandolo l’avvio
di nuovi tempi.
La presenza valdese in Italia
conforta questa ipotesi ; era diffusa infatti l’opinione che i valdesi fossero un povero resto della
primitiva cristianità, lasciato da
Dio per accendere gli animi al
nuovo corso risorgimentale della
storia.
Il prof. Spini, dopo aver fatto riferimento all’emancipazione
valdese del 1848 e alle difficoltà
che questa, come le altre minoranze in Italia, ha avuto per affermare praticamente i principi
di libertà religiosa, genericamente teorizzati, è passato poi a delineare il clima post-unitario, nel
quale nascono in Italia numerose
chiese evangeliche, in cui confluiscono ex mazziniani delusi
che avevano dato appunto il loro apporto alla realizzazione dell’unità nazionale.
Nel frattempo si consumava la
tragedia dell’ipotesi liberale del
Risorgimento, in cui poco spazio
si apre per l’Italia evangelica, posta tra un anticlericalismo di sinistra deista, o ateo, e un cattolicesimo intransigente che, con il
dogma deH’infallibilità papale ed
il Sillabo, assume atteggiamenti
sempre più intolleranti.
Elisabetta Senesi
9
15 febbraio 1991
valli valdesi
9
PEROSA ARGENTINA
REGIONE PIEMONTE
Quattro linee di sviluppo Prevenzione AIDS
Un primo documento scaturito dai rapporti italo-francesi - Ce poco
da aspettarsi da parte statale, occorre guardare alle direttive CEE
La Comunità economica europea (CEE) con la comunicazione n. 1.562 del 1990, denominata programma Interreg, prevede
il finanziamento di programmi
di sviluppo per le zone frontaliere, progetti da presentare da
organismi statali transfrontalieri entro il prossimo 28 febbraio.
Di questa possibilità 1’« Associazione paesi del Monviso » ha discusso, e ha presentato la propria proposta in una conferenza pubblica a Perosa, l’8 febbraio, presso la sede della Comunità montana valli Chisone e
Germanasca.
L’ing. Facciotto ha illustrato
il contenuto tecnico del programma, che deve rispondere ad
esigenze di sviluppo e cooperazione tra le valli italiane e francesi.
Dai rapporti italo-francesi è
nato un documento, ancora abbastanza generico, che focalizza
e sintetizza in cinque schede il
programma di lavoro. Se ci sarà finanziamento avremo modo
di discutere ancora a livello locale del suo impegno.
E’ richiesto un finanziamento
per la creazione di una struttura di coordinamento e di gestione dei progetti; un secondo
finanziamento per la realizzazione di circuiti turistici di alta
quota, legati alla valorizzazione
delle risorse paesistiche e culturali con istituzione di « Centri
di promozione economica e sociale »; un terzo ancora per progetti di scambio di esperienze
e cooperazione tra le zone frontaliere, di fatto per una struttura a carattere informativo. Il
quarto riguarda lo sviluppo delle zone rurali e la valorizzazione delle produzioni forestali, agricole e zootecniche, uno strumento per dare sbocco commerciale e qualità alle attività locali; l’ultimo progetto è finalizzato al miglioramento delle
strutture ricettive e commercia
li, sostanzialmente rivolto all’ambito alberghiero. Il tutto
prevede un finanziamento di circa 18 miliardi, suddiviso nel modo seguente: CEE (50%), Italia
(25%), Francia (25%).
Della gestione politica dell’operazione ha parlato il presidente dell’« Associazione paesi del
Monviso », Eressi, anche presidente della Comunità montana
vai Maira, il quale ha sottolineato lo sforzo fatto per una
collaborazione di intenti che accomuni realtà italiane e francesi, valli della provincia di Torino e valli di quella di Cuneo.
Le Comunità montane come
« parenti povere » delle istituzioni italiane si sono attivate per
dare respiro alle nostre zone
montane marginalizzate. Se da
un lato, non senza difficoltà, si
è iniziato un lavoro comune con
la realtà francese, dall’altro è
insufficiente l’interesse della nostra Regione. Il presidente Eressi ritiene necessario che « la Regione Piemonte, in futuro, si attrezzi meglio per quanto riguarda i rapporti transfrontalieri ».
Questo tema è stato ripreso e
sottolineato dall’assessore Sola
della Comunità montana valli
Chisone e Germanasca, che lamenta l’assenza della Regione
come « fatto emblematico ».
Se c’è poco da aspettarsi sul
piano statale, la necessità di rapporti a livello europeo viene ribadita a tutti i livelli. Il presidente della Comunità montana
valle Stura, Quaranta, nel suo
intervento ha affermato senza
mezzi termini: « Non guardiamo
più né a Torino né a Roma,
l’ultima speranza che rimane è
quella di guardàre alle direttive CEE o ad iniziative specifiche ».
Mentre le Comunità montane,
con la nuova legge sulle autonomie locali, vengono riconosciute enti locali, dal decreto
legge del 12.1.’91 si apprende
LUSERNA SAN GIOVANNI
Il Comune per la pace
Anche il consiglio comunale di
Luserna San Giovanni ha approvato un ordine del giorno sulla
questione della guerra nel Golfo; il testo, che ricalca quasi interamente un documento analogo approvato alcune settimane
or sono in Regione con i voti
delle sinistre, chiede l’applicazione di tutte le risoluzioni delrONU sul Medio Oriente, ricorda che la Costituzione italiana
ripudia la guerra come strumento di risoluzione di controversie internazionali, chiede il cessate il fuoco e l’indizione di una
conferenza di pace internazionale per affrontare i problemi dell’intera area, e dunque anche la
questione palestinese. Il dibattito che ha preceduto la votazione ha evidenziato un’unanimità
di consensi sul documento preparato, con sottolineature di volta in volta sulla volontà di essere accanto a chi soffre le conseguenze della guerra, la necessità di passare al confronto e al
dialogo, al problema ecologico,
alle migliaia di morti anche fra
i civili.
Prima dell’approvazione dell’odg sul Golfo il sindaco Longo
ha fornito alcune notizie circa
i trasporti: col mese di marzo
sarà avviato il servizio di collegamento con i servizi sociosanitari (in particolare l’ospedale) mediante autolinee interne;
le FS hanno verificato la fattibilità per la costruzione di uno
snodo ferroviario per la zona industriale; l’Unione industriale
produrrà ora un progetto di
riordino dell’area alla luce di
questa possibilità.
Il consiglio è poi stato impegnato nelle .variazioni al bilancio preventivo per l’anno in corso; tra le novità un aumento
del 30% della tassa raccolta e
smaltimento rifiuti, determinato
in gran parte dal consistente aumento richiesto dall’ACEA per
la discarica di Pinerolo.
La discussione del consiglio si
è poi incentrata sulla gestione
degli impianti sportivi: convenzioni e metodi gestionali andavano aggiornati; pur tenendo
conto della necessità di offrire
un servizio alle fascte giovanili
e dunque della valenza sociale
degli impianti, è stata evidenziata la necessità di non gravare
sulle casse comunali con i costi
di gestione e di recuperare sui
costi nelle ore di utilizzo extrascolastico.
E’ per altro evidente che l’attività sportiva, se per taluni va
legata alla gestione del tempo
libero, rappresenta in molti casi promozione e prevenzione.
Infine il consiglio ha adottato il regolamento comunale per
la protezione civile; una precisa mappa del territorio è stata
fatta, evidenziando aree utilizzabili per il pronto intervento, risorse anche umane su cui appoggiarsi: Luserna dovrà rappresentare un punto di riferimento per tutta la vai Pellice
in caso di calamità per la facr
lità di collegamenti sia stradali
che radio.
O. N.
che i relativi stanziamenti saranno ridotti del 50%. Le Comunità montane del cuneese, il
13 febbraio, hanno manifestato
la loro disapprovazione, le nove
sedi di Comunità hanno chiuso
gli uffici unendosi alla protesta,
tutti i sindaci hanno sfilato con
la popolazione minacciando di
consegnare al prefetto la chiave
del municipio qualora non vengano presi validi provvedimenti.
Quando passeremo, nelle nostre
valli, dai piagnistei alla decisione di far udire la nostra voce?
I paesi del Monviso saranno
in grado di proporre idee nuove per l’assetto territoriale delle nuove province, o continueranno ad essere appendice degli
interessi dei grandi centri urbani?
Mauro Meytre
Nel 1990 i morti per droga in
Italia sono stati 1.147, ben il
15% in più dell’anno precedente.
Per quanto riguarda la diffusione dell’Aids, l’Italia in campo europeo è al secondo posto
dopo la Francia con 6.000 casi
registrati nell’anno da poco concluso e 15.000 casi previsti entro il 1992.
Per quanto riguarda il Piemonte, fino al mese di settembre 1990 i casi di Aids conclamato erano 516, mentre il 64,7%
delle persone interessate dal virus sono individui che fanno o
che hanno fatto uso di sostanze stupefacenti per via endovenosa.
La necessità di avviare iniziative che interrompano con urgenza l’uso multiplo di siringhe
fra i tossicodipendenti, come misura necessaria per l’arresto della diffusione dell’Aids, è uno dei
motivi che hanno spinto un nutrito gruppo di consiglieri regionali a presentare una mozione
che prevede la distribuzione controllata di siringhe monouso autobloccanti alle persone tossicodipendenti e la predisposizione
di un piano per l’apertura di
centri di accoglienza 24 ore su
24 per chi fa uso di sostanze
stupefacenti. La mozione è stata approvata alTunanimità da
tutti i gruppi politici presenti in
Consiglio, lo scorso 29 gennaio,
dopo l’esame di alcuni emendamenti presentati dagli stessi firmatari: viene chiesta anche la
verifica della fattibilità ' di un
progetto per la raccolta di siringhe e medicine usate presso
farmacie, ospedali, ambulatori
pubblici.
Su 300.000 tossicodipendenti
registrati in Italia soltanto 60
mila sono seguiti costantemente
dai servizi. Questa iniziativa potrebbe dunque favorire il contatto con la popolazione che fa
uso di sostanze stupefacenti.
Al CONSIGLIERI
DI TORRE PELLICE
Il vostro ordine del giorno sulla
guerra del Golfo (29 gennaio 1991)
tocca un argomento troppo tragico e
dibattuto perché si possa tacere su
alcune affermazioni che in parte condividiamo e in parte, e radicalmente,
no.
Condividiamo il richiamo all'alt. 11
della nostra Costituzione: « L'Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali » con il quale la nostra presenza
militare è in evidente contraddizione.
Condividiamo l'appello alle autorità
del paese perché <■ si cerchino le vie
per la cessazione della guerra » e ,« si
giunga alla convocazione di una conferenza internazionale di pace nel Medio Oriente che affronti e risolva i
problemi dell'area mediorientale sulla
base di tutte le risoluzioni dell'ONU »,
e sottolineiamo quel « tutte » perché
devono essere incluse quelle da decenni disattese sulla Palestina.
Siamo invece fortemente critici perché pare che il Consiglio comunale,
nell elencare I motivi per cui si dichiara « allarmato », non si renda conto
che:
1) dal 16 gennaio, oltre ai missili
su Tel Aviv sono state scaraventate
su Iraq e Kuwait centinaia di migliaia
di tonnellate di bombe, quasi quante
sganciate sulla Germania in cinque an
ni di guerra: siamo ormai ai bombardamenti a tappeto, quelli con I B-52
(con i quali la « precisione chirurgica »,
se mai è esistita, è andata a farsi
benedire), e a un numero di vittime
civili su cui vergognosamente, ma non
a caso, si tace;
2) le convenzioni di Ginevra, oltre ai prigionieri di guerra citati dall'ordine del giorno, riguardano le popolazioni sottoposte a occupazione militare straniera: anch'esse sono da decenni sistematicamente violate (lo ha
più volte ribadito l'ONU) in Cisgiordania. Gaza e Gerusalemme; ne è un
ultimo esempio il coprifuoco in vigore
dall'inizio del conflitto.
Tutto questo non « allarma » il Consiglio comunale di Torre Pellice? E'
amaro il dirlo ma l'ordine del giorno
appare di una cecità unilaterale e pericolosa: i danni, i feriti, i morti li
contiamo e deploriamo solo quando sono dei .« nostri »?
E gli « altri » non contano, sono stracci al vento? E chi sono i « nostri »?
Per noi, tutti sono « I nostri ». Per
questo non abbiamo voluto e fermamente non vogliamo questa guerra; essa non è né giusta né ingiusta, né
tantomeno necessaria: è soltanto un
massacro, indiscriminato e feroce.
Questo almeno avremmo voluto sentirci dire da un Consiglio comunale della valle.
Daniele Rostan, Andrea Salasso,
Sandro Sarti, Torre Pellice
Cinema
TORRE PELLICE — Continuano le
proiezioni di film di Spazio giovani,
presso i locali di via Angrogna 18;
martedì 19: « La piccola ladra », martedì 26, « Zelig », martedì 5 marzo,
« Ho fatto splash ». Ogni appuntamento è per le ore 17.30.
TORRE PELLICE — Il cinema Trento
ha in programma: venerdì 15, ore 21.15,
« Mio caro dottor Grasler »; sabato 16
(ore 20 e 22.10) e domenica 17 (ore
16, 18, 20 e 22.10) " Vacanze di Natale '90 ».
Teatro
POMARETTO — Sabato 16 febbraio,
ore 21, presso il cinema Edelweiss,
per la serie di appuntamenti teatrali,
i cabarettisti Scapecchi, Bianco, Piron
e Vodani presenteranno ■■ Grand Guignol ».
Amnesty International
TORRE PELLICE — Venerdì 15 febbraio, ore 16,45, avrà luogo nella sede
in via della Repubblica 3, Il piano,
una riunione con il seguente odg: a)
appelli per l'insegnante Habib Ben Malek, prigioniero d'opinione in Marocco;
b) lettere per il vietnamita John Nghi
(caso di investigazione); c) Amnesty
e la guerra del Golfo; d) rinnovi delle
quote e nuove iscrizioni.
TORRE PEU.IC6 - TORINO
orario ferroviario valido fPiio al -i* ■19H
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C : ii Pinerolo p Torre Pcllite : autobus
prosegue. p<r To Stura
10
10 valli valdesi
15 febbraio 1991
Dopo
VO. d. g.
COMUNITÀ’ MONTANA VAL PELLICE
Quasi tutti i comuni, nel corso
delle ultime settimane, hanno votato degli ordini del giorno a sostegno dell’agricoltura in crisi.
Crisi di addetti, crisi di ipotesi di
sviluppo su cui si è puntato senza che oggi si raccolgano frutti
apprezzabili, crisi legata alla politica internazionale nel settore.
Poche volte come in questo caso si è registrata unanimità di
consensi al di là del colore delle
amministrazioni, delle maggioranze o delle minoranze.
E' sperabile che- gli enti locali
che hanno dato il loro sostegno
all’ordine del giorno non si limitino ad un atto formale, dovuto,
davanti ai mille problemi di una
categoria che, anche alla luce
della riforma previdenziale che
per le nostre zone montane significherà il raddoppio dei contributi, rischia di scomparire.
Come i comuni vorranno tener
conto ’’del ruolo vitale” che l’agricoltura esercita sia sul piano produttivo che rispetto al territorio
e all’ambiente?
Probabilmente le risposte saranno più d’una.
Qualcuno proporrà magari di
rinunciare agli oneri di urbanizzazione nel caso in cui sia un
agricoltore a riattare una baita o
un fienile, altri danno già oggi a
titolo gratuito il legname per il
tetto, altri ancora si preoccuperanno di aprire nuove piste o di portare l’elettricità alle borgate che
ne siano ancora prive; tutto questo però non pare essere sufficiente visto che ci sono nelle valli case dignitose, dotate di acqua
potabile e luce, servite da strada
eppure abbandonate...
Confrontando i dati degli scorsi censimenti sulla popolazione,
ad esempio di Torre Pellice, si
vede in modo evidente come la
quota dell’antropizzazione sta
scendendo progressivamente; case ancora abitate dieci o vent’anni fa sono oggi deserte o dimora
di ultrasettantenni.
E allora?
Si è fatto in questi anni un
gran parlare del rilancio delVagricoltura montana, si sono fatti
piani di settore, carne o latte, ma
quasi sempre si considera solo
l’aspetto dell’allevamento e per
di più solo relativamente agli
alpeggi.
Ma la zona più disastrata sta
fra i 600 ed i 1000-1200 metri;
quante superaci catastalmente
ancora classificate come vigneto
o seminativo oggi sono coperte
di rovi o di bosco incolto? E i
danni da incendi non sono stati
particolarmente gravi proprio in
quest’area? Gli effetti dell’abbandono della montagna si fanno
sentire in modo drammatico proprio lì.
Eppure, parlando del problema, si continua a fare l’equazione agricoltura = allevamento. La
coltivazione di prodotti vegetali,
frutta o verdura, al limite con
serre, non fa parte della nostra
cultura — si obietterà — eppure
determinati terreni potrebbero
prestarsi alla coltivazione, valida anche dal punto di vista qualitativo. Qualche giovane ci ha
provato, magari legandosi ad attività agrituristiche e con discreti risultati. Forse occorrerà ancora pensarci, ma anche provarci;
altrimenti, se mai a qualcuno venisse in mente di usare per esempio nelle mense pubbliche (scuole, ospedali, centri per anziani)
almeno una parte di prodotti locali, si continuerà a rispondere
in modo negativo.
Piervaldo Rostan
E ora, al lavoro...
Finalmente eletto l’esecutivo, sono tanti i problemi di cui dovrà
occuparsi l’amministrazione - Occorrono veri momenti di dibattito
« Come ho già avuto modo di
fare altre due volte — ha detto il
capogruppo della sinistra unitaria Mario Garnero — propongo
come presidente della coalizione
di sinistra l’avv. Giorgio Cotta Morandini »; così nel corso della seduta del consiglio della Comunità montana vai Pellice del 5 febbraio si riproponeva per la terza
volta la formazione della nuova
giunta che prevede anche, come
vicepresidente. Marco Bellion e
come assessori Ezio Borgarello,
Remo Dalmas, Dario Gelso, Livio
Gobello, Claudio Girando. Era
l’atto conclusivo di una vicenda
molto, troppo lunga che lascia,
almeno per il momento, evidenti
lacerazioni fra le forze politiche.
Come ormai abitudine in questo periodo il capogruppo DC Bonansea ha tentato di sollevare anche per questa seduta una questione di procedura circa la convocazione; in realtà già la scorsa
■assemblea sarebbe stata legittimata — così ha sancito il
Co.Re.Co. — a nominare la nuova
giunta, se non che l’allontanamento dall’aula del gruppo DC e
degli autonomi di Bobbio aveva
fatto mancare il numero di consiglieri indispensabili per reiezione in prima convocazione.
Bonansea, nel riassumere la
lunga storia delle trattative, ricordava come il gruppo di sinistra, costituitosi nel dopo elezioni, avesse fin dall’inizio rivendicato la presidenza dell’ente ed al
PSI rimproverava di aver avuto
atteggiamenti ambigui e contrastanti nel volgere di poche settimane: « La scelta della giunta
DC-PSI era cosa fatta, con la presidenza ad Aldo Charbonnier poi,
di colpo, cambiava la proposta
del PSI ».
Rispondeva Gobello (PSI) precisando che « siamo sempre stati
favorevoli ad un esecutivo di tipo
unitario. Rispetto all’accordo con
la DC è stata sentita la base degli
iscritti della valle ed è stata ribadita l’opzione per la giunta unitaria, ma visto che la DC aveva
espresso il suo dissenso, non senza sofferenza, si è approvata la
giunta di sinistra ».
Anche Borgarello (Sinistra unita), dopo aver constatato che con
il suo atteggiamento la DC ha
impedito di lavorare sui problemi anche gravi della valle, ha ricordato che il suo gruppo, nel
presentare ipotesi di candidature per la presidenza e la P'iunta,
aveva anche posto sul tavolo delle trattative un programma per
l’ente, cosa che altri gruppi all’inizio non avevano fatto.
Il sindaco di Bobbio, « di fronte all’esclusione della maggioranza di Bobbio dall’esecutivo », leggeva il comunicato redatto dagli
amministratori del comune dell’alta valle in cui si invitavano i
propri rappresentanti a costituirsi in gruppo autonomo, con capogruppo Cesare Gay e portavoce Aldo Charbonnier il quale precisava di non aver mai avuto intenzione di iscriversi alla DC, come qualcuno andrebbe dicendo,
ma di ritenersi uomo di sinistra
e concludeva con una battuta:
« Potrei iscrivermi al partito dei
taglialegna... ».
Ulteriore motivo di polemica
veniva quando, per la vicepresidenza, il sindaco di Bobbio proponeva Gay, appoggiato dal capogruppo DC Bonansea; risultato: Bellion 15 voti, come gli altri
colleglli dell’esecutivo. Gay 9, una
bianca.
Chiusa la lunga fase dell’elezione della giunta, venivano nominati i revisori dei conti (Piero
Garnero, Giorgio Odetto ed Enrico Pollo) e veniva adottato dalla
Comunità montana il progetto
preliminare variante n. 5 al piano regolatore di valle relativamente al comune di Torre Pellice.
Ed ora alla giunta resta un ampio terreno su cui recuperare; i
lunghi mesi della crisi hanno, da
un lato, radicalizzato le rispettive
posizioni dei gruppi, dall’altro
hanno lasciato senza risposte i
problemi della valle, alcuni dei
quali necessitano di un serio dibattito e confronto; è quanto
più volte hanno chiesto anche i
due gruppi di minoranza.
Piervaldo Rostan
PRAROSTINO
Un anno dopo
Alle valli un anno fa: il vento fomenta in breve le fiamme.
E’ passato esattamente un anno da quando, il 15 febbraio ’90,
l’enorme incendio segnava in
modo drammatico il comune di
Prarostino; si può dunque tentare un bilancio, soprattutto nei
confronti di tutti quelli che hanno voluto sostenere la ricostruzione con iavoro o contributi.
Il comitato nominato per l’occasione ha iniziato il suo lavoro
cercando di raccogliere tutte le
informazioni possibili affinché
ogni risorsa fosse distribuita equamente: la cifra raccolta dal
comitato è stata di circa 300 milioni, mentre il concistoro della
chiesa valdese ha raccolto più
di 80 milioni.
Solo una piccola parte di questi fondi provengono da enti
pubblici e banche; 15 milioni dal
comune di Prarostino che si è
accollato anche le spese di progettazione e direzione lavori per
la ricostruzione delle prime case, oltre al condono degli oneri
di urbanizzazione; 30 milioni sono arrivati dalla Cassa di Risparmio di Torino, 5 milioni dall’Istituto S. Paolo, ma la restante parte è interamente frutto di
piccoie somme date dalla gente
attraverso sottoscrizioni promosse dalle chiese, dalla Commissione esecutiva distrettuale
delle chiese delle valli, dal nostro giornale.
Con questi aiuti sono state
ricostruite tutte le case dei re
Ten-emoto
E’ stata avvertita anche in tutto il Pinerolese la scossa di terremoto che, con epicentro le
montagne fra l’alta vai Susa e
la regione di Briançon, ha colpito il Piemonte sud occidentale
con una magnitudo valutata in
4,5 gradi della scala Richter; nessun danno è stato rilevato.
Treno: no alla
sospensione
TORRE PELLICE — Vista
l’intenzione del Compartimento
ferroviario di Torino di sospendere il servizio sulla linea Pinerolo Torre Pellice per 9 mesi per
l’effettuazione di lavori che non
toccano direttamente la sede ferroviaria, anche i pendolari hanno deciso una ulteriore azione
di mobilitazione.
Una raccolta di firme è partita in questi giorni sui treni per
esprimere il proprio dissenso
verso la soluzione adottata visto
che altrove i lavori avverranno
senza sospensione del servizio e
che in passato analoghi interventi sono stati effettuati sul
tratto Pinerolo-Torino senza alcuna sospensione del servizio.
« Riteniamo — scrivono i pendolari — che le richieste di soppressione del servizio ferroviario non appaiano tecnicamente
motivate e siano finalizzate al
recupero di manodopera, dopo i
recenti prepensionamenti ».
Venerdì 15 febbraio, durante il
mercato, all’angolo fra via Arnaud e via Garibaldi, verrà istituito un tavolino per la raccolta firme.
Assemblea
della Pro Loco
sidenti, i fienili e le tettoie; restano da distribuire una cinquantina di milioni, ma si attende di
vedere cosa faranno gli enti pubblici preposti, soprattutto verso
le aziende agricole che hanno
perso quasi tutto: viti, alberi da
frutto, boschi.
Resta grave la situazione per
le seconde case, che in molti casi rappresentavano l’unico bene
immobile: l’amministrazione sta
comunque seguendo puntualmente ogni via per avere o sperare di avere gli aiuti necessari.
Nel mese di gennaio la Croce
rossa italiana è venuta a Prarostino con una delegazione ed
ha distribuito 94.500.000 L. con
fondi CEE ai titolari di prime
case; analogo criterio era stato
tenuto per i 25 milioni inviati
dalla Prefettura.
Evidentemente non è possibile citare tutti quelli che hanno
contribuito alla ricostruzione,
tuttavia un grazie di cuore da
parte dei prarostinesi va a tutti, con l’augurio di non essere
dimenticati dagli enti pubblici,
ma non dimenticando nemmeno
le famiglie siciliane che poche
settimane or sono oltre ai cari
hanno anche perduto le case, e
che i gravi eventi di queste settimane hanno di fatto cancellato dai mass media nazionali e
di conseguenza dalla memoria di
tutti.
Valdo Plavan
TORRE PELLICE — L’assem
blea generale annuale ordinaria
dei soci è convocata presso la
sala consiliare del comune di
Torre Pellice per giovedì 21 febbraio 1991, alle ore 21, per deliberare su un ordine del giorno che prevede; approvazione
relazione morale e finanziaria
anno 1990; approvazione bilancio preventivo anno 1991; rinnovo consiglio d’amministrazione.
Chi fosse interessato a candidarsi per il rinnovo del consiglio
di amministrazione può dare la
propria adesione presso la sede,
via Repubblica 3, Palazzo comunale, nell’orario di apertura dell’ufficio, oppure la sera delTassemblea, dalle ore 20 alle ore 21.
PINEROLO
Sabato 16 febbraio
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11
rr-’
15 febbraio 1991
lettere 11
UN ARTICOLO
A SENSO UNICO
Dopo aver letto l’articolo del sig.
Deodato, in prima pagina nel n. del 18.1,
ho provato il forte desiderio di replicare, in spirito di democratico scambio di idee.
Personalmente ritengo che tale articolo è a senso unico, poiché si sa
dove porta, ma non si sa da dove
parte. Porta al pacifismo, cioè quel
movimento che pone la pace innanzi
ad ogni cosa, facendone un assoluto.
Non condivido il pacifismo, che per
me è un terribile « qui pro quo ». Infatti l'unico valore assoluto in cui credo è Dio. Non credo nella nonvlolenza. Non credo a buona parte di coloro che hanno la verità facile, che
si dichiarano pacifisti e nonviolenti davanti alla storia. Per cominciare scartiamo i « pacifisti di comodo », ossia
coloro che sono tali solo per il fatto
di esser nati in Italia e non nel Kuwait. Poi ci sono i pacifisti in buona
fede, tra i quali intravedo il sig. Deodato. Egli scrive che si scoprì pacifista sulle macerie dell’Europa del ’45,
e spero che non appartenga anche alla schiera di coloro che, prima del ’45,
in nome della pace, regalavano l’Austria e la Cecoslovacchia ad Hitler
mentre I nazisti bruciavano gli ebrei.
E’ una storia orribile, ma vera: gli
americani che sbarcarono in Europa
nella II guerra mondiale non vennero per il petrolio, e sono morti a migliaia senza volere la guerra. Ed è
proprio per merito loro se oggi io ed
il sig. Deodato possiamo confrontare
liberamente i nostri pensieri su una
pubblicazione indipendente.
Il pacifismo oggi è comodo, ed anche facile. Ma è molto più difficile
costruire e far rispettare un diritto
mondiale, se non gli si dà potere. E
le risoluzioni deli’ONU sono state votate dalla comunità mondiale.
Il sig. Deodato approva chi brucia
la cartolina di precetto, ossia la disobbedienza civile. Eppure non mi pare che Cristo incoraggiasse i centurioni alla diserzione. I nonviolenti, o quelli tra loro che hanno il dono della
coerenza, dovrebbero essere contro la
polizia, i carabinieri, in quanto forze
armate nel vero senso della parola.
Poiché se qualcuno ruba od ammazza,
ammettendo che esista un ente superiore di origine umana che giudichi
ed imponga giustizia, ci vuole una giustizia imposta con le armi dalla comunità. Oppure lasciamo liberi gli assassìni, anche quelli che agiscono sulla scena internazionale.
Ai nonviolenti dico ancora; se io
incontro <■ l’uomo nero » per strada e
luì mi tira uno schiaffo, gli porgo anche l’altra guancia, finché sono abbastanza cristiano per farlo. Ma se vedo « l’uomo nero » che prende a schiaffi un bambino o violenta una donna,
io come cristiano ho II dovere di intervenire, anche con la forza, quando questa è l'unica possibilità. Dunque siamo veramente certi di fare del
pacifismo o della nonviolenza un principio assoluto? Stiamo dunque attenti a non schierarci con troppa sicurezza da una parte o dall'altra, lo credo che II pacifismo non sia per la
democrazia. Chi brucia le cartoline di
precetto non è per la democrazia.
Per finire, ho sentito un tale pregare;
“ Signore, fa’ che con I nostri mezzi
democratici cambiamo I nostri governanti, che hanno deciso di andare in
guerra ». Ci siamo forse dimenticati
che questi governanti sono già stati
votati ed eletti democraticamente dal
paese?
E’ facile schierarsi con una corrente o con l’altra. E chi non si lascia
etichettare viene comunque etichettato.
Chi non è pacifista è per la guerra. Forse. Ma io seguo la mia testa
e la mia coscienza, che soffre per il
popolo iracheno e per quello kuwaitiano.
Distinti saluti
Mario Basile, Trieste
INSEGNARE
L’INGLESE'
Egregio Direttore,
una lettera del nostro giornale del
4.1.'91, a proposito del «Francese nelle Valli », termina con l'angosciato interrogativo: « Come correre ai ripari? ».
Semplice: insegnare 1’inglesel
L'inglese si parla sempre più nel
mondo ed il francese sempre meno.
Da un recente articolo ne « La Repubblica »: « Gli italiani escono male (da
un confronto europeo) sia per l’inglese che per II francese definitivamente soppiantato negli ultimi 20 anni dalla lingua degli anglosassoni » e, secondo una statistica dell’Università di
Venezia, la richiesta d’inglese nella
scuola italiana sale al 96% mentre
(Jeiie valli valdesi
settimanale delle chiese valdesi e metodiste
Direttore: Giorgio Gardioi
Vicedirettore: Luciano Deodato
Redattori; Alberto Corsani, Adriano Longo, Jean-Jacques Peyronel, Piervaldo Rostan.
Stampa; Coop. Tipografica Subalpina - via Arnaud. 23 - 10066 Torre
Pellice - telefono 0121/91334
Registrazione: Tribunale dì Pinerolo n. 175. Respons. Franco Giampiccoli
REDAZIONE e AMMINISTRAZIONE: via Pio V, 15 - 10125 Torino ■ telefono
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INSERZIONI
Pubblicità commerciale; L. 28.000 per modulo mm. 49 x 53
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Ricerche lavoro; gratuite. Se ripetute, dalla seconda L. 500 ogni parola
Finanziari, legali, sentenze: L. 800 ogni parola
Prezzi non comprensivi dell’IVA
ABBONAIWENTI 1991
Italia Estero
Ordinario annuale L. 46.000 Ordinario annuale 80.000
Semestrale L. 25.000 Ordinario (via aerea) L. 140.000
Costo reale L. 70.000 Sostenitore L. 150.000
Sostenitore annuale L. 85.000 Semestrale L. 45.000
Da versare sul c.c.p. n. 20936100 Intestato a A.I.P. - via Pio V, 15 ■
10125 Torino
FONDO DI SOLIDARIETÀ': c.c.p. n, 11234101 intestato a La Luce, via
Pio V, 15 - 10125 Torino
Amministrazione del fondo: Maria Luisa Barberis, Renato Coisson, Roberto Peyrot
EDITORE: A.I.P. - via Pio V, 15 - 10125 Torino - c.c.p. 20936100
Consiglio di amministrazione: Costante Costantino (presidente). Paolo
Gay, Roberto Peyrot, Silvio ReveI, Franco Rivoira (membri)
Registro nazionale della stampa: n. 00961 voi. 10 foglio .481
Il n. 6/’91 è stato consegnato agli Uffici postali di Torino e a quelli
delle valli valdesi II 7 febbraio.
Hanno collaborato a questo numero; Marcella Barsotti, Giorgina Giacone. Sauro Gottardi, Francesco G. L’Abbate, Paola ReveI Ribet, Antonio
Russo. Ludwig Schneider.
quella del francese è ridotta all’1,4%.
Se ciò accade è sì perché il mondo anglosassone si è imposto (come
quello latino a suo tempo) con una
forza propria, ma anche perché l'inglese, almeno in fase iniziale, è facile ed ha una grammatica elementare, quel che ci vuole, insomma, per
farsi capire, per comunicare! E oggi,
specialmente i giovani, non cercano
altro: c’è sempre tempo per approfondire.
Il francese è complicato e... sciocco! Anzitutto il francese non esiste:
ne esistono due, uno parlato e uno
scritto, che poco hanno in comune.
Esempio: le tre vocali e-a-u scritte
insieme si pronunciano « o », cioè un’altra vocale che significa acqua. Troppo semplice scrivere « o » come farebbero l’italiano e lo spagnolol
Complicato e sciocco perché delle
tre lingue principali derivate dal latino è Tunica non fonetica; da ciò le
aberranti differenze fra scritto e parlato. Inoltre è Tunica che abbia conservato la numerazione latina con la
conseguenza che non si può dire
« huitante » (da « huit ») per 80, né
« nonante-sept » per 97 come, più intelligentemente, si dice in Svizzera,
Belgio e Canada ma, rispettivamente,
« quatre-vingt » (latino quadra-viginti)
per 80 e « quatre-vingt-dix-sept » per
97 II che, oltre ad essere lunghissimo,
fa disperare la povera stenografa che,
dal 4 iniziale, deve saltare al successivo 80 ed infine al 971
Ai miei tempi si insegnava il francese essere una lingua molto ricca.
Errerei L'italiano (per non parlare dello spagnolo) lo è molto di più! Esempio: la parola « tour » si traduce in
italiano con torre, giro, tornio, turno,
tiro, tamburo (in architettura), circonferenza (di un albero), perimetro (dì
una stanza), girello (nella cella del monastero) 0 passavivande ed altri me
ne sfuggono di certo. Cioè: dove il
francese ha una sola parola per esprimere cose diverse l’italiano ha una
parola per ognuna di quelle cose, il
che fa del francese una lingua da « calembours » ma non una lingua ricca.
So bene che anche il contrario è
vero ma per ora sto largamente vincendo una sfida con un amico francese linguista a chi trovava il maggior numero di versioni dalTuna all’altra lingua.
Anche l'inglese non è fonetico ed
è « due’ lingue » ma è fuori causa non
derivando dal latino. E poi con quelle divertenti paroline monosillabe esprime in una pagina quello che il
francese esprime in tre. Ed anche questo non è un vantaggio trascurabile!
Cordialmente
Massimo Pulejo, Bruxelles
A CHE PUNTO SONO
GLI STATUTI
COMUNALI?
Caro Direttore,
ì mesi passano e poco si sa degli
Statuti comunali. A che punto siamo?
Non sono affari privati degli amministratori. Si critica il pubblico che
non partecipa. Troppo sovente la partecipazione è stata sentita come ricerca di consenso. Ora c’è un’occasione di partecipazione attiva che non
viene colta e preparata.
La gente non sa neanche quali sono i termini del problema. La legge
142/90 sarà cattiva. Ci si orientano
gli amministratori? Occorre fare luce,
magari con un bollettino o quid simile. E negli Statuti dovrebbe rientrare anche la partecipazione attiva
dei cittadini.
Dal 23 al 25 novembre si è tenuto
ad Alghero un convegno sulla « Riforma dagli Enti locali e loro ruolo
per le minoranze linguistiche d’Italia ».
La grande maggioranza dei partecipanti erano amministratori comunali,
provinciali e regionali provenienti da
quasi tutte le minoranze, e sono tante.
Stralcio dal materiale che è stato poi
diffuso e che credo chiunque possa
chiedere scrivendo al Comune di Alghero (Ss).
Dalia Risoluzione dei primo gruppo
di lavoro sulla riforma degli Enti locali: « L’uso della lingua locale sia
consentito in tutte le manifestazioni
pubbliche che coinvolgono l'Ente locale ed in particolare all’Interno degli organismi rappresentativi e delle
strutture burocratiche dell’Ente nel
rapporto con i cittadini »; e oltre:
« aprire ogni utile collaborazione con
le autorità e gli organismi rappresentativi della scuola, al fine di sug
gerire alla programmazione e alla prassi didattica, anche in assenza di esplicite norme di riconoscimento, un’attenzione privilegiata ecc. ». Infine: « Esprimono... il loro assenso ad eventuali progetti miranti a dare autonomia amministrativa di livello sovraordinato al Comuni (Comunità montane.
Province, ecc,) a realtà territoriali che
comprendano nuclei sociali di parlanti una medesima lingua minoritaria,
ecc. ».
Nella discussione il sindaco di Fasto in Puglia aveva proposto (cito dalla sintesi) per gli insegnanti ,« una riserva di posti ai parlanti la lingua locale, così come dovrebbe essere consentita una riserva anche per ì funzionari dei pubblici uffici ». E il valvaraitino avv. Giampiero Boschero (id.):
« prevedere norme che consentano il ricorso alla giustizia amministrativa da
parte del cittadino qualora gli amministratori non rispettino le prescrizioni statutarie ».
Il secondo gruppo di lavoro ha ristretto la sua attenzione alla promozione, valorizzazione ed insegnamento scolastico della lingua e della cultura minoritaria. Quel ohe vale per
una lingua e una cultura può valere
anche per due. Non slamo i soli ad
avere due lingue minoritarie. Ma allora quali sono le lingue minoritarie
per cui prendere dei provvedimenti?
Mi pare che uno debba potersi esprimere anche in groenlandese se vuole, ma che per ora nelle nostre Valli
sian presi provvedimenti solo per il
francese e l'occitano in Statuti e regolamenti che debbono essere aperti,
esplicitamente suscettibili di modifiche
e aggiunte, su questi come su altri
argomenti.
Quel che non dovrebbe prestarsi a
molta discussione è definire II proprio
Comune come appartenente all’area ocoltana, o alTarea occitana alpina. Definire questa può esser fatto in altra
sede.
Per finire. Diverse persone incontrandomi mi dicono: hai ragione. Vorrei che scrivessero anche loro quel
che pensano, per non sentirmi solo
a portare avanti questa battaglia. E
ohe leggessero le documentazioni.
Con i miei saluti
Gustavo Malan, Torre Pellice
RINUNCIAMO
A QUALCOSA!
Caro Direttore,
la manifestazione pacifista di domenica 20 gennaio a Torre Pellice mi
ha suggerito alcune considerazioni,
nulla togliendo agli indiscutibili valori
della pace e della fratellanza fra i
popoli di diverse razze e. religioni.
Vi sono delle posizioni, come la
mia che, in quanto radicale, è molto
sofferta. Abbiamo sempre denunciato i
soprusi, le violazioni del diritto, della
legalità, la disinformazione, il commercio delle armi e ci siamo battuti
per una giustizia giusta.
Siamo per il pieno riconoscimento
di tutte le entità etniche, culturali e
per un federalismo mondiale, non limitando l’azione politica ad uno stato, non chiudendoci nelle frontiere.
Cerco di capire, anche se non le condivido, le posizioni di chi nel Gruppo
federalista europeo ecologista e nel
Gruppo verde ha votato a favore dell’intervento nel Golfo Persico.
L’invasione del Kuwait, da parte dell’Iraq, è stata una violazione del diritto di quel popolo; qualunque sia la
posizione politica di uno stato aggressore.
La risoluzione delTONU (criticabile,
visto che molte volte i veti incrociati
delle due maggiori potenze hanno sempre impedito che risoluzioni chieste
da nazioni più deboli venissero fatte
osservare: vedi risoluzione ONU nei
confronti di Israele) era pur sempre
una risoluzione, che se non rispettata rischiava una volta di più di inficiare le Nazioni Unite. Purtroppo però si è pigiato il pulsante della guerra.
Ma occorre anche controllare posizioni pacifiste « tout court » a senso
unico: una conferenza sul Medio Oriente è stata più volte chiesta dal GFEE;
ma non volta a legittimare le dittature e i despoti ma a risolvere i problemi di quei popoli.
Il dittatore di Baghdad Tabbiamo
creato noi, con il nostro sfrenato egoismo e consumismo, così come il problema palestinese.
La mìa posizione di evangelico nonviolento mi fa essere contrario a tut
te le guerre, agli armamenti e agli
eserciti così come sono concepiti.
Vorrei concludere augurandomi che
questa grande coalizione pacifista nata sull’emozione della guerra in corso
serva a creare nell'opinione pubblica
una costante vigilanza e un avvicinamento delle posizioni così da potere
« se si vuole la pace preparare la pace » e non come ci è sempre stato
detto: « se vuoi la pace prepara la
guerra ».
Perciò, anziché cercare i punti di
divisione e di attrito (ce ne sarebbero molti) cerchiamo i punti di collaborazione per cui le ingiustizie, le sopraffazioni, lo sfruttamento, la fame
nel mondo e il divario Nord-Sud vengano debellati dal nostro pianeta.
Dobbiamo impegnarci sempre, e imparare a rinunciare a qualcosa interrogandoci se il nostro modello di sviluppo permette anche al popolo arabo, 0 musulmano, o nero, o indiano,
0 asiatico di mantenere la propria identità e cultura o se invece non li opprime con la scusa che la nostra civiltà è quella « giusta ».
Attilio Sibille, Torre Pellice
Carlo e Adelina Malan, con la loro famiglia, partecipano al lutto di Ivo e
della famiglia Di Francesco per la
scomparsa di
Beatrice Malan Di Francesco
Luserna S. Giovanni^ 15 febbraio 1991.
RINGRAZIAMENTO
« Nel mondo avrete tribolazione;
ma fatevi animo, io ho vinto U
mondo »
(Giov. 16: 33)
I figli della cara
Maddalena Bertin ved. Odin
ringraziano di cuore tutti coloro che
con presenza, scritti e fiori hanno
preso parte al loro dolore. Un ringraziamento particolare alla dott.ssa Paola Grand, ai pastori Rostagno e Marchetti e a tutti i vicini di casa.
Torre Pellice, 15 febbraio 1991.
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Notturna, prefestiva, festiva: Tel*
tono 2331 (Ospedale Civile).
Ambulanza :
Croce Verde Pinerolo: Tel. 22664
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SERVIZIO ATTIVO INFERMIERISTICO: ore 8-17, presso I distretti.
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12
12 VII Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese
15 febbraio 1991
Siamo il popolo della speranza
INIZIATIVE E CONTRIBUTI
(segue da pag. 1)
abbiamo deciso che è preferibile
amare il nostro prossimo, prenderci cura di lui, sacrificarci per lui,
piuttosto che essere risparmiati
dalla sofferenza ».
« Vieni, Spirito santo, rinnova
tutto il creato: il tema della nostra assemblea è una preghiera. La
pronunciamo nella sofferenza e nel
timore, noti per noi soltanto,
ma per tutto ciò che dipende da
Dio; scaturisce dai nostri bisogni,
dalla nostra sensibilità; parole imperfette. Ma Paolo stesso ci incoraggia, quando dice che lo Spirito
viene in aiuto alla nostra debolezza, perché noi non sappiamo
pregare come si conviene, ma lo
Spirito stesso intercede per noi ».
Mentre sto scrivendo queste note, l’assemblea è appena cominciata. Dopo i preliminari sono state
accolte nella comunione ecumenica altre nuove chiese: la Chiesa
episcopale delle Filippine, la Chiesa evangelica luterana della Bolivia, l’Associazione battista del Salvador, il Sinodo luterano del Salvador e la Chiesa delle missioni
pentecostali libere del Cile, portando a 316 le chiese che si riconoscono nel CEC. Ma quello che'
mi pare più importante è l’area
spirituale dalla quale esse provengono: segno di una eapacità di aggregazione del CEC che non viene
meno. Fuori del centro in cui si
svolgono le sedute staziona un
drappello di fondamentalisti, con
cartelli in cui accusano il CEC di
aver dimenticato Cristo, di essere
pervaso da un’ideologia marxista
e di voler consegnare le chiese
protestanti, ortodosse, anglicane al
Vaticano. Mai protesta del genere
mi è apparsa più insulsa e priva
di prospettive. Anche questa assemblea si preannuncia ricca di
spunti, di vitalità, vogliosa di rispondere alle sfide del mondo con
passione ed equilibrio.
La relazione
Introduttiva
« Ultimamente, un gruppo di
giornalisti mi ha posto questa domanda; come si fa a parlare di
un’assemblea che ha per tema centrale una preghiera allo Spirito
Santo? Quando il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) pubblica dichiarazioni su problemi come il razzismo, o su questioni sociali o politiche, o si pronuncia su
problemi quali quello della liberazione delle donne, sappiamo come fare a ’’passarli” alla stampa.
Ma lo Spirito... questo va al di là
di quelle che sono le nostre possibilità; si deve passare ad un linguaggio diverso, di cui il nostro
pubblico non saprebbe che fare ».
E’ un brano della relazione introduttiva del segretario generale del
CEC, Emilio Castro, tenuta nella
giornata inaugurale della VII assemblea mondiale del CEC.
Come si fa, effettivamente, a
parlare oggi dello Spirito, quando
ci troviamo di fronte a problemi
estremamente gravi ed urgenti?
Non si dà forse l’impressione di
cercare di sfuggire alle urgenze del
momento, rifugiandosi appunto in
una sfera « spirituale » e quindi
ben poco concreta?
In realtà questo deriva, come
ha dimostrato Castro nel suo intervento, da un malinteso di fondo. Quando si parla dello Spirito
non si parla di una realtà « superiore » ma del nostro mondo, della
creazione, atto della volontà divina (Gen. 1, 2; Giobbe 26; Salmo
104 ecc,). « Le energie — ha osato affermare Castro — che fanno
vivere l’universo sono una manifestazione dello Spirito », aggiungendo subito dopo che l’apostolo
Paolo parla della ereazione che
attende con impazienza la liberazione futura (Rom. 8: 19). L’atte
sa non è qualcosa di passivo, ma
di attivo. Non solo ma, secondo
la promessa di Gesù, lo Spirito
assiste i credenti nella diffieile
ora del processo davanti ai tribunali (Marco 13: 11); è lo Spirito
che muove la chiesa all’azione nel
giorno della Pentecoste; la giustizia e la pace, realtà del tutto « terrene », sono proprie dell’azione
dello Spirito Santo (Rom. 14: 17);
perfino il corpo è, secondo l’espressione paolina, tempio dello
Spirito Santo (I Cor. 6: 19).
Anche le immagini che troviamo nella Bibbia per esprimere lo
Spirito Santo sono immagini ehe,
ha detto Castro, «esprimono l’azione, il movimento, la lotta. Lo Spirito è soffio, è vento, colomba, fuoco, dito di Dio. Lo Spirito ci conduce perfino nel deserto, come
Gesù, là dove noi scopriamo che
tutte le nostre riserve si sono esaurite. Conducendoci lontano dalla
nostra ossessione del possedere,
attraverso il deserto che è lo spogliamento di sé, lo Spirito ci aiuta
a dire ”no” alle tentazioni sia religiose che economiche e politiche ».
E’ dunque necessario ricuperare
il senso di una teologia dello Spirito che è, dopo tutto, una teologia
dell’azione. « Lo Spirito ci obbliga
ad essere solidali con gli oppressi,
a proclamare la pace, a difendere
i diritti della persona umana,, a
contestare ogni realtà storica che
sembra andare contro la visione
del regno ».
Lo Spirito Santo
e la libertà
Castro ha preso in considerazione alcune tematiche specifiche:
anzitutto il collegamento che esiste tra Spirito e libertà: « Lo Spirito Santo ci apre gli occhi sull’ingiustizia presente nel mondo e ci
incita ad affrontarla con coraggio.
Lo Spirito ci aiuta a riconoscere
la natura peccaminosa dell’oppressione (...). Nel conflitto che in questo momento lacera la regione del
Golfo, assistiamo a molteplici tentativi di demonizzare l’avversario,
e di fare di quella che è la nostra
causa la causa di Dio. In Paolo
(cfr. l’epistola agli Efesini) nulla
giustifica l’appello alla guerra santa , alla guerra giusta. Egli non si
riferisce alle ’’autorità” e ai ”po
teri” per gettare l’anatema contro
i suoi avversari storici, ma per riconoscere che in ogni conflitto sono contemporaneamente presenti
la manifestazione del peccato umano e il bisogno di attingere a risorse spirituali per potervi resistere, per sopportarlo e vincerlo ».
Lo Spirito, inoltre, è Spirito di
speranza: « Noi speriamo contro
speranza ». « Il nostro fine — afferma Castro ■— non è quello della distruzione dell’avversario ma
la sua trasformazione, è sperare la
sua redenzione ». Lo Spirito, quindi, ci mette in grado di umanizzare la nostra lotta.
Ma se si parla in questi termini
dello Spirito è fatale porsi anche il
problema della sua traccia nella
storia, in particolare nelle lotte di
liberazione. Non dimentichiamo
che Castro è latino-americano, sensibile quindi alle istanze della
teologia della liberazione. C’è
evidentemente un rischio che deve
essere corso: di qui la necessità
del discernimento, perché non
ogni liberazione è automaticamente liberazione dello Spirito; ma
non può neppure essere negata in
modo aprioristico la presenza dello Spirito. Lo Spirito è spirito di
comunione, crea la comunione, la
solidarietà, fonda la comunità.
A questo punto Castro ha anche
toccato il tema dell’unità della
chiesa: un problema che riguarda
sia le chiese che fanno parte del
CEC sia la questione travagliata
dei rapporti con la Chiesa cattolica che sembrano vivere una situazione di stallo. « Non possiamo
rinunciare all’unità che ci è stata
data in Cristo (...). Il passato non
deve avanzare dei diritti sul presente: non possiamo continuare a
restare prigionieri della storia delle nostre divisioni ».
Una relazione, insomma, densa
di contenuti e di spunti, coraggiosa e chiara. Si ricava l’impressione di essere solo all’inizio di una
riflessione che rimette in discussione tutto: dalla nostra comprensione di noi stessi, alla storia che
viviamo, ai rapporti con le altre
religioni, all’approccio con la natura. Se l’assemblea saprà recepire gli spunti offerti, questa VII
assemblea potrà segnare una svolta fondamentale nella vita del
Consiglio ecumenico e in quella
delle singole chiese.
Luciano Deodato
Qui Canberra
I canti africani, elemento coinvolgente - Le
tematiche specifiche e la teologia femminista
Un’assemblea del Consiglio ecumenico è fatta di tante cose;
intorno al nucleo centrale, rappresentato dal lavoro vero e proprio dei delegati delle chiese che
in gruppi e sottogruppi elaborano le tematiche per giungere alla redazione di un testo finale,
fiorisce tutta una serie di iniziative e di attività che arricchiscono i contenuti dell’assemblea. Questa, insomma, è un avvenimento complesso, che non
può essere ridotto semplicemente alla mezza dozzina di documenti che, alla fine, saranno approvati.
I culti
Vanno, in primo luogo, segnalati i culti. Ce ne sono vari, ogni
giorno; ma quello che è maggiormente frequentato si svolge
ogni mattina sotto la grande
tenda. Non so dire il numero
esatto delle persone che vi prendono parte; di certo sono alcune migliaia. La liturgia è molto
ben curata: una commissione
del CEC vi ha lavorato a lungo,
badando a mettere insieme gli
elementi propri di ogni tradizione liturgica. Si ritrovano così
gli elementi delle chiese riformate e luterane nei corali gravi e
solenni del XVI secolo, le antiche melodie delle chiese ortodosse, l’intensa spiritualità del monte Athos, il gusto dei paramenti
della comunione anglicana.
Ma quello che anima realmente l’assemblea sono i canti africani. Allora tutti cantano con
tutto il corpo, anche i preti ortodossi compassati dietro le loro barbe e nelle loro tuniche
nere. Particolarmente suggestivo
è stato il culto di domenica 10.
Incredibilmente lungo (almeno
due ore), ma per nulla faticoso
per la grande partecipazione dell’assemblea che ha saputo creare. Per la prima volta è stata
usata la cosiddetta « liturgia di
Lima », che cerca cioè di tradurre il famoso BEM, il documento che dovrebbe segnare raccordo dottrinale delle diverse
chiese facenti parte del CEC.
Certo, bisogna dire che la ricchezza liturgica fa pensare alla
messa cattolica; ma si tratta di
una analogia formale, più che so
LE TAPPE DEL CONSIGLIO ECUMENICO
Da Amsterdam a Canberra
Questa settima assemblea del
Consiglio ecumenico delle chiese
si svolge in un’ora densa di nubi
minacciose. Ma quando mai non
è stato così? Vale la pena di ricordarlo: la fondazione del Consiglio ecumenico avrebbe dovuto
aver luogo nell’immediato anteguerra. Non fu possibile a causa
del precipitare della situazione.
Quando, nel ’48, ebbe luogo la prima assemblea ad Amsterdam, la
maggior parte dei paesi europei
erano stati distrutti dalla guerra.
Ma la speranza di un progetto di
Dio nel mezzo stesso del disordine
dell’uomo ha permesso alle chiese
di affermare la propria fede nel
Dio creatore in un contesto di disperazione. « Ordine di Dio, disordine dell’uomo » fu il tema
scelto allora come risposta dei credenti.
Anche ad Evanston, nel ’54, il
mondo si trovava in un clima di
disperazione, lacerato dalla guerra
fredda. La risposta delle chiese fu
« Cristo, sola speranza del mondo ».
Nel ’61 a Nuova Delhi, nell’immenso continente asiatico e in In
dia, culla di religioni, la terza assemblea afferma la luce che dissipa le tenebre e rivela nuove dimensioni della vita: « Gesù Cristo, luce del mondo ».
La quarta assemblea si tiene ad
Uppsala nel ’68. La dimensione
del razzismo e l’ingiustizia crescente nelle relazioni economiche
preoccupano vivamente le chiese.
I credenti aspirano ad un ordine
nuovo: « Ecco, io faccio ogni cosa
nuova ».
Poi l’assemblea si sposta in Africa, a Nairobi nel ’75. Sono gli anni difficili, combattuti, delle guerre di liberazione. « Gesù Cristo libera ed unisce» è la fede delle
chiese, spesso impegnate in prima
linea.
Arriviamo infine a Vancouver,
nell’83. Qvunque i credenti, e non
solo loro, sono impegnati contro
i processi di riarmo, preludio alla
guerra di oggi nel Golfo. «Gesù
Cristo, vita del mondo » è il tema
dall’incontro e il messaggio lanciato al mondo. Sulla scia di quella
assemblea avviene poi l’incontro
di Seoul (marzo ’90), con l’impegno di tutte le chiese per la giusti
zia, la pace, la salvaguardia del
creato, l’abolizione di ogni forma
di razzismo.
E giungiamo così a questa settima assemblea: la prima a porre
al centro della riflessione l’opera
dello Spirito. Anche in questo caso
un tema adeguato alla sfida quanto mai preoccupante in quest’ora
tragica: mentre le forze della distruzione sono all’opera, i credenti
guardano allo Spirito, la forza di
vita del Dio creatore, all’opera nel
creato, colui che mantiene la speranza di una creazione interamente
rinnovata.
Difficile dire come questa intera
tematica sarà sviluppata nel corso
di questa assemblea. Ai giornalisti
che nel corso della prima conferenza stampa chiedevano ad Emilio Castro, segretario generale uscente, che cosa diranno le chiese,
questi ha sottolineato che l’assemblea è sovrana. Certo, il Consiglio
ecumenico si è intensamente adoperato in questi mesi per evitare
l’esplosione del conflitto; ma invano. E’ probabile che l’assemblea
esprimerà una parola forte, su
questo come su altri problemi.
stanziale. E’ stata celebrata anche la Cena, in un’atmosfera di
profonda commozione e raccoglimento. Gli ortodossi vi hanno partecipato, ed anche molti
cattolici lo hanno fatto. « Ti ringraziamo, Signore, per questo
segno del banchetto nel tuo Regno... », viene detto nella preghiera conclusiva. E così è stato. La gente che sfilava per prendere il pane e il vino proveniva
da ogni parte della terra ed era
di ogni condizione sociale e di
ogni età, ma insieme formava
un corpo solo. Mentre in questa
atmosfera di gioia e di raccoglimento si celebrava la Cena,
fuori della tenda i soliti fondamentalisti di Mcintire si schieravano con cartelli denuncianti le
malefatte del CEC. Uno, fra gli
altri, diceva: « Dialogue is sin »
(dialogo è peccato). All’interno
della tenda, però, non tutti hanno partecipato alla Cena. Molti
cattolici presenti non l’hanno
fatto, per non rompere la comunione con la propria chiesa;
e così anche alcuni ortodossi.
La predicazione, molto impressiva, è stata tenuta da una pastora della Chiesa metodista episcopale africana, Jacqueline
Grant, che ha strappato applausi e consensi dal pubblico. Impossibile non essere coinvolti
dalla sua comunicativa.
Cristiani cinesi
Nuove prospettive si aprono
nei rapporti con le chiese della
Cina popolare. E’ presente a questa assemblea il vescovo Ting in
qualità di ospite. Infatti le chiese cristiane della Cina popolare,
che nel 1948 furono tra i membri fondatori del CEC, dovettero ritirarsi negli anni ’50 in seguito all’attacco americano nella Corea del sud. In tutti questi anni, poi, la partecipazione
del « Consiglio delle chiese cristiane in Cina » fu ostacolata
dalla questione di Taiwan, dove
la Chiesa presbiteriana rappresentava in un certo senso la Cina aH’interno del CEC. In questi anni si sono normalizzati i
rapporti tra le chiese cinesi e
quelle di Taiwan, per cui è probabile (ed anche auspicabile)
che ben presto le chiese cinesi
entrino a pieno titolo nel CEC.
Le donne
Molto attive sono le donne in
questa assemblea. Non soltanto
hanno tenuto alcune delle relazioni principali, come per esempio la teologa coreana Chung
Hyun Kyung che ha tentato di
stabilire un collegamento tra la
spiritualità di tipo orientale e
quella cristiana, o Marga Biihrig
che ha riportato in questa assemblea i risultàti di quella di Seoul
su pace, giustizia, ambiente; le
donne sono presenti a più livelli nel canto, nella partecipazione alle discussioni e in particolare con un’iniziativa permanente: la tenda nella quale ogni giorno dibattono tematiche specifiche come pace e violenza, salute e benessere, il rinnovamento
della creazione, donne e sviluppo e così via dicendo, secondo
una prospettiva femminista.
L. D.
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