1
^ ^
ECO
DELLE VALU VALDESI
Past. TACCIA Alberto
10060 ANGROGNA
Sellìmanale
della Chiesa Valdese
Anno 98 - N. 47
Una copia lire 50
ABBONAMENTI
Eco: L. 2.500 per rinlerno ' Spedizione in abbonamento postale . I Gruppo bis
L. 3.500 per l’estero
Cambio di indirizzo Lire 50
TORRE PELLICE - 29 Novembre 1968
.Ammin. Claudiana Torre Pellioe - C.CJ^. 2-17557
La contestazione dei giovani LA ' SCUOLA, OGGI
nelie chiese evangeliche
Dietrich Bonhoeffer, il celebre
teologo tedesco morto assassinato
dai nazisti alla fine della seconda
guerra mondiale, commentando il
passo: « Sorse fra loro una disputa su chi di loro fosse il maggiore » (Luca 9; 46), cosi si esprime
in « Gemeinsames Leben » (Kaiser
Verlag, Monaco 1961, p. 77): « Noi
sappiamo chi è che semina questo
pensiero nella comunità cristiana.
Ma forse non riflettiamo abbastanza sul fatto che nessuna comunità cristiana può riunirsi e
collaborare, senza che ben presto
questo pensiero non spunti e dia
il frutto della discordia. Appena
pili persone si ritrovano insieme,
ecco che esse devono cominciare
ad osservarsi reciprocamente, giudicarsi, classificarsi: ce nè abbastanza per rovinare la comunità ».
Chi semina è il Tentatore, quello stesso che suggerì a Gesù: « Ti
darò tutta quanta questa potenza
e la gloria di questi regni » (Luca 4: 6).
Nei limiti in cui la protesta dei
giovani intende denunciare le degenerazioni, le corruzioni del costume, additare i « detentori del
potere », più propriamente i « detentori del prestigio » (dal piccolo
prestigio nelle parrocchie, a quello più grande nella direzione delle chiese), è nostro dovere ascoltarla. Lo è anche quando la loro
protesta è diretta a scuotere tutti
noi dal conformismo, ad affrontare coraggiosamente innovazioni
benefiche, come per es. quella di
studiare e di discutere comunitariamente i problemi politici.
Ma i giovani, in massima parte,
intendono ben altro. I cartelli alzati in pieno sinodo valdese, con
le varie scritte fra cui: « Potere
decisionale! », erano T evidente
protesta contro una struttura ritenuta invecchiata ed antidemocratica della Chiesa valdese. Ora
qui ci sembra doveroso chiarirsi
bene le idee. Che i giovani siano
in fermento ovunque, in tutto il
mondo, è un fatto. Che nel fondo
di questo fatto ci sia una causa
comune, probabilmente molto profonda sebbene non facile da individuarsi e riconoscersi, sembra
evidente. Ma sarebbe un grave errore affermare che tutte le proteste giovanili si equivalgano. Nel
campo universitario e politico, altro significato ha la protesta a
Praga, altro a Parigi o a Torino.
Altro significato ha la protesta
nella chiesa cattolica, altro quella
nelle chiese evangeliche. Noi cominciamo ad essere seriamente
preoccupati del contenuto, con(.cltuale o ideale, della protesta
dei giovani nelle nostre chiese. Di
quale contenuto? Non può essere
quello dei fratelli cattolici della
parrocchia dellTsolotto a Firenze
o degli occupanti la cattedrale di
Parma, perchè nella chiesa cattolica il problema dell’autorità, e
quindi del potere, è qualitativamente diverso traendo ivi origine
niente meno che da un’infedeltà
-il carattere teologico. Non può
CV S M C quello della società civile,
ove una legislazione arretrata sancisce e mantiene ben determinati
privilegi, forse più di categoria
che propriamente di classe (si
pensi per es. alla legislazione universitaria ed ai privilegi dell’autorità accademica).
Ed allora? I giovani non ci dicono di quale infedeltà teologica
sia colpevole il protestantesimo
italiano, nè quale legislazione sancisca e mantenga determinati privilegi ecclesiastici. Francamente
ci sembra che essi si lascino un
po’ troppo influenzare da motivazioni esterne, non pertinenti alla
situazione evangelica italiana in
quanto tale, o almeno non congeniali ad essa. Temiamo nei nostri
giovani la carenza di personalità
c di originalità. Se pensiamo con
la nostra testa invece che con la
testa degli altri, dobbiamo pur
finire per convincerci che abbiamo problemi nostri, veramente
nostri, diversi dai problemi degli
altri. Nè noi vecchi potremmo seguire i giovani per la semplice ragione che sono giovani: chiediamo di poter essere convinti, perchè « tutto quello che non vien da
convinzione è peccato » (Romani 14: 23).
Detto questo, torniamo al principio e diciamo, come diremo sempre, che i giovani, se non esistessero, bisognerebbe inventarli.
Tullio Viola
I GIOVANI E LA CHIESA
IN U.R.S.S.
Parigi (soepi) - Mons. P. L’Huillier, rappresentante francese dell’esarca del patriarcato di Mosca in occidente, ha recentemente
dichiarato, dinnanzi agli informatori religiosi
a Parigi, che la propaganda antireligiosa in
IJ.R.S.S. a motivo del suo livello poco elevato,
otteneva a volte degli effetti contrari a quelli
desiderati. Secondo il prelato, da 40 a 60
milioni di russi sono più o meno praticanti.
II fatto importante è 1’« incontestabile »- aumento del numero dei giovani che vanno
in chiesa in relazione a quel che avveniva
cinque o sei anni or sono. Inoltre, si constatano maggiori vocazioni al sacerdozio, la
qual cosa permette una maggior selezione nei
seminari.
Per l’avvenire, egli ha parlato di un « ottimismo moderato », benché sia assai difficile
— ha precisato — frasi una idea esatta della
situazione attuale.
Per quanto riguarda i fatti cecoslovacchi,
mons. L’Huillier ha precisato che la quasi
unanimità dei russi era persuasa che l’intervento deirURSS era stato una buona cosa.
Il prof. Jouveiiitl* docente di storia e filosofia in nn
liceo classico torinese, vive da tempo dal di dentro la
problematica del movimento studentesco, sensibile alle
esigenze di rinnovamento che le strutture superate della
nostra scuola ormai impongono in modo improrogabile.
Gli siamo grati dilaverei dato questo suo scritto, ebe
sintetizza con felice chiarezza i moventi migliori e più
seri della contestazione studentesca, la quale dopo avere
scosso Funiversitìc lo scorso anno (e i lettori ricorderanno Fampia valutazione che di quella lotta aveva dato
sulle nostre coloune il prof. Tullio Viola), tocca quest’anno in un modo particolare gli istituti d’istruzione
media.
Ci sembra nioltd bello che un insegnante non certo
alle sue prime armi, e non condizionato da appartenenze partitiche, abbia per l’ansia giovanile di rinnovamento la sensibilità che traspare dalle righe che seguono: abbia la capacità, insonima, di vedere oltre una certa facciata e riconoscere la serietà, la genuinità delle
esigenze che i giovani osano porre, con un’irruenza e
una spregiudicatezza che lasciano tanti senza fiato (e infuriati o seccati di esserlo).
Eppure, anche in questo scritto, come in tante parole generose ed aperte che si sono pur udite qua e là,
da parte di educatori, non è dato di individuare qual
che vena di un certo ottimismo nel valutare l’uomo,
che non può non suscitare qualche riserva? Davvero
gli studenti di oggi sono tutti un tal fervore di volontà
d’imparare, di formarsi? Sono proprio così intimamente e profondamente diversi, nuovi? Si può veramente
guardare con questa fiducia alla possibilità di una co-gestione scolastica? (e, tra parentesi, si sarebbe disposti
ad accettare una parallela co-gestione familiare? sarebbe
giusta?). Il rapporto maestro-alunno dev’essere sostanzialmente annullato, e si può far l’economia di un certo
apprendistato della vita — anche da rendere il meno
penoso e coatto possibile? Non ha più senso alcuno
l’esigenza di una certa coercizione: siamo o non siamo
« inclini al male »? Che cosa ci dice in proposito FEvangelo? Sono tutte domande — e quante altre! — che
ci si presentano e che certo vanno oltre l’intento del
nostro collaboratore, ma che devono essere oggetto della nostra specifica riflessione cristiana, dato per scontato —, anche se per molti ancora scontato non è —. che
la protesta degli studenti e molte delle loro richieste. (non tutte) sono essenzialmente giuste.
Infatti, se l’ottimismo antropologico non va applicato con troppa generosità agli studenti, con tanto maggiore rigore dev’essere rifiutato nel considerare i loro
educatori.
La situazione
La situazione nelle scuole medie superiori si sta rapidsmente deteriorando: gli scioperi degli studenti si susseguono a ripetizione, alcuni presidi
si sono trovati i locali occupati, altri
hanno chiuso le loro scuole operando
una specie di « serrata » che, a modesto avviso del sottoscritto, è provvedimento viziato per lo meno da «eccesso di potere » se l’ordine non è venuto dall’alto. E' oerflno ravvisabile
il reato di « interazione di pubblico
servizio », perchè IspScuola chiusa non
può funzionare n«#U’^ :^r-^6p«lll che
di questo pubblico servizio* vogliano
usufruire. Naturalmente uguale reato
sarebbe ravvisabile a carico di quegli
studenti che impedissero le lezioni con
la violenza, cosa che per ora — almeno a mia conoscenza — non è avvenuto. Nessun reato invece cornmette
chi sciopera, ché, anzi, esercita un
diritto sancito dalla costituzione. Comunque, dicevamo, la situazione si va
rapidamente deteriorando e obbligherà
ciascuno di noi ad assumere le sue responsabilità e a prendere posizione.
Il movimento studentesco è qualche
cosa di troppo vasto e universalmente esteso per essere liquidato semplicisticamente come « manovrato » da
qualche agente più o meno segreto. E’
oggi uno dei poli dialettici attorno ai
quali viene catalizzandosi la realtà
storica: l’altro è la conservazione. Ma
di Roberto Jouvenai
questo polo dialettico è stato favorito dalla incuria e insensibilità delle
autorità costituite che mai e poi mai
hanno avuto il coraggio civico di
prontare qualche cosa di nuovo, di
più rispondente alle esigenze del mondo di oggi, sorto dalle ceneri di quel
mondo umanistico del Rinascimento
del quale ancora la scuola di oggi
sembra voler vivere.
Il movimento studentesco pone problemi non solo agli apparati governativi, ma agli stessi partiti per cui, in
un certo senso, è vero che, anziché essere manovrato da certi partiti, ha
fatto ad essi da costante stimolo.
Oggi, purtroppo, siamo giunti ad un
punto tale che la lotta nelle scuole si
iiiiiimmimiiiMiminiriimiiii’i
iiiiiimiiiiiiiiuiiifiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiii
iHuiimiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiimniuiiimiiiiiiiiiii
«
il
AGOSTINO BEA,
cardinale deirecumenismo»
Il 16 novembre scorso moriva a Roma. all’età di 87 anni, il cardinale
Agostino Bea, gesuita, noto si può
dire a tutto il mondo cristiano come
Presidente del Segretariato per l’Unione dei cristiani — carica affidatagli
nel I960 da papa Giovanni XXIII. Prima d’allora Bea era stato docente di
Antico Testamento e poi rettore del
Pontifìcio Istituto Biblico di Roma
ed è nel campo degli studi biblici che
Bea stabili i primi contatti col mondo
protestante: del resto il Pontificio
Istituto Biblico è noto per la sua
apertura al lavoro interconfessionale
sul piano delle scienze bibliche. Si può
aggiungere che in quegli anni Bea fu
anche consigliere e confessore di Pio
XII: da buon gesuita (come è noto il
primo comandamento di ogni gesuita
è l’obbedienza assoluta al pontefice romano), Bea è stato ugualmente vicino
ai tre ultimi papi, da Pio XII a Paolo
VI attraverso Giovanni XXIII, malgrado le diversità di indole e di orientamento che vi erano tra loro.
Nei numerosi articoli che gli sono
stati dedicati in occasione della morte
Bea viene soprattutto salutato come
« cardinale dell’ecumenismo », « apostolo dell’unione ». Questa valutazione
della sua figura e della sua opera sembra convalidata dal fatto che il suo
funerale è stato « ecumenico », in quanto vi hanno presenziato i rappresentanti di molte chiese e federazioni confessionali diverse dalla cattolica (tra
gli altri c’erano il past. W. A. Visser
’t Hooft per il Consiglio Ecumenico
delle Chiese, il past. C. Mau per la
Federazione Luterana Mondiale, il
past. N. Giampiccoli per l’Alleanza Riformata Mondiale, il past. M. Sbaffi
per la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia).
« Cardinale dell’ecumenismo », Bea,
in un senso, lo è stato realmente: l’ingresso ufficiale della Chiesa cattolica
nel movimento ecumenico e l’introduzione dell’istanza ecumenica in seno
al cattolicesimo sono in buona parte
frutto della sua opera. Con un lavoro
paziente, tenace e illuminato. Bea è
riuscito a convincere la Chiesa cattolica della necessità e opportunità di
inserirsi nel dialogo ecumenico, ormai
in corso da alcuni decenni, e d’altra
parte è riuscito a convincere ortodossi
e protestanti della sincerità delle intenzioni ecumeniche della Chiesa di
Roma. E’ insomma soprattutto sul
piano del « disgelo psicologico » tra la
Chiesa di Roma e le altre confessioni
cristiane che il contributo di Bea è
stato notevole. Peraltro, sul piano della riflessione ecumenica vera e propria, Bea non ha dato molto : egli non
fu, come ecumenista. uno spirito veramente creativo e. originale ; fu piuttosto, in ogni senso, un fedele e intelligente esecutore, (guanti lo hanno conosciuto e frequentato rendono testimonianza alla sua fondamentale lealtà, non disgiunta — si può aggiungere — da una abilità diplomatica di
prim’ordine, che gli ha consentito di
tessere una fìtta rete di rapporti interconfessionali, che costituiscono, in fin
dei conti, il suo retaggio maggiore come «cardinale deH’ecumenismo».
« Cardinale dell’ecumenismo » : ma
di quale ecumenismo? In un tempo
come il nostro in cui i termini « ecumenismo » ed « ecumenico » significano
ormai tutto e nulla, può non esser superfluo precisare che l'ecumenismo di
cui Bea fu il cardinale era l’ecumenismo com’è stato inteso e promosso
dal Concilio Vaticano II: non dunque
l’ecumenismo in genere, ma Quel particolare tipo di ecumenismo che è stato sancito dal Concilio e che Paolo VI
ha un giorno efficacemente descritto
come « ecumenismo romano », sul quale si devono avanzare, da un punto
di vista evangelico, riserve decisive.
Una almeno desideriamo formularla,
nei confronti di un’idea che, oltre a
costituire uno dei capisaldi della dottrina ecumenica, stava particolarmente a cuore al card. Bea, che Tha ripetuta infinite volte: l’idea secondo cui
l’unità cristiana è, anzitutto e fondamentalmente, un’unità nel battesimo:
siamo fratelli in Cristo in quanto siamo tutti battezzati. Ora, fondare l’unità cristiana sul battesimo significa
darle una base sacramentale, che è naturalmente in linea con la concezione cattolica della Chiesa, ma non è
compatibile con una concezione evangelica della Chiesa e della sua unità:
secondo quest’ultima l’unità cristiana
non è nel battesimo, ma nella fede,
che nasce non dal battesimo ma dall’Evangelo udito e ubbidito. Così, alla
base dell’unità non c’è un sacramento
ma la Parola di Dio. Del resto il fatto
stesso che il battesimo è inteso, vissuto e praticato in modi molto diversi dalle diverse chiese cristiane attesta quando sia illusorio credere che
esso possa costituire il fondamento
dell’unità cristiana.
Questi cenni sommari bastano a farci intuire quali divergenze sussistano
tra la Chiesa di Roma e le Chiese protestanti sul modo stesso di intendere
l’unità e quindi sul modo di intendere
l’ecumenismo. Cosi, pensando ad Agostino Bea, mentre ci rendiamo conto
della estrema importanza della sua
azione ecumenica per l’evoluzione interna del cattolicesimo, ci rendiamo
anche conto che egli è stato cardinale
di un ecumenismo che, decisamente,
non è il nostro.
Paolo Ricca
sta radicalizzando : se non oggi, al
massimo domani, non sarà più possibile essere su posizioni di benevolo
neutralismo o di terzaforzismo. La
scelta sarà molto semplice: o con o
contro gli studenti.
Com’è oggi la scuola.
A questo punto è bene prendere coscienza e fare il punto su due cose:
com’è oggi la scuola e che cosa vogliono gli studenti.
La scuola di oggi, si sia in grado di
riconoscerlo o no, è: a) classista, b)
autoritaria, c) selettiva.
'■■Eià sbùòla òggi è classista perchè, in
pratica, riescono bene al liceo classico
— ad esempio — solo quelli che provengono da determinati ambienti,
quelli che a casa parlano l’italiano e
non il dialetto, quelli che sono abituati a un certo modo di dialogare
(acquisito in famiglia) e quelli le cui
famiglie hanno i mezzi per far loro
impartire lezioni private. Il liceo classico è oggi la scuola della classe borghese, tanto è vero che è, oggi, inconcepibile per una famiglia borghese che
i propri figli non facciano il liceo.
La scuola, inoltre, è autoritaria, perchè in essa vige il caporalisme dei presidi che tutto decidono dall’alto, ignorando consiglio di presidenza e consiglio dei professori convocati solo per...
ratificare gli esoneri dalle tasse! Ed
è autoritaria perchè molti professori
esercitano attraverso la cattedra ed
il registro un certo tipo di potere che
consiste nel far lavorare gli allievi solo sotto la minaccia delle bocciature,
e tale potere viene giustificato con la
necessità di impartire coercitivamente
una disciplina nello studio. Ma, a mio
avviso, professori del genere sono insegnanti che hanno scambiato la funzione docente con quella giudicante!
Se c’è una ragione per la quale trovo
un senso, come ho sempre trovato, a
fare il professore è questa: il bisogno
di comunicare ad altri quanto andavo
faticosamente cercando ; il dovere di
interrogare e, soprattutto, valutare,
l’ho sempre sentito invece come un
oneroso dovere.
Infine la scuola è selettiva perchè
sottopone tutte le intelligenze (diverse
fra di loro) degli allievi al medesimo
metro quantitativo di misura (l’intelligenza, quando c’è, del professore), metro che poi è più o meno elastico a
seconda della massa recipiente della
classe. Chi con questo metro è respinto, non ha altra via che..... ritentare
sperando di trovare un metro più largo (ed è ciò che fa cambiando scuola)
oppure è abbandonato a se stesso,
senza sapere che cosa potrà fare di
sé, perchè nessuno gli ha indicato che
cosa sappia fare da sé.
Che cosa vogliono gli studenti
Non mi interessa qui che gli studenti, nell’entusiasmo facile dei loro
quindici-diciott’anni (e generosi per la
verde età) sognino una palingenesi
universale e perciò si confessino « rivoluzionari ». Mi interessa invece che
vogliono anche una scuola nuova.
Nuova nelle strutture, nei programmi
e nei metodi didattici. Vogliono una'
scuola media superiore unica fino ai
diciotto anni; vogliono l’abolizione degli esami di riparazione a settembre,
la discussione pubblica dei voti e l’abolizione degli esami di stato. La scuola
media superiore* unica eliminerebbe
(continua in 3“ pagina)
2
pag. 2
N. 47
29 novembre 1968
Il Piemonte e la Riforma
Furono la violenza e il terrore ad impedire ad
una parte del Piemonte di essere protestante
La diffusione delle idee dei riformatori fu rapidissima, ed ebbe dei
successi imprevisti in ogni parte d’Europa, come tutti sanno: solo la vlolen^ della repressione e le guerre di religione impedirono in molti luoghi raffermarsi del Protestantesimo, luterano
o calvinista, respinto o soffocato con
rabbiosa tenacia dalla Chiesa o dai
principi ad essa fedeli.
Cos'i anche il Piemonte non si sottrae a questo quadro storico, e possiamo dire con tutta tranquillità che esso non è diventato in buona parte protestante calvinista solo grazie alle misure repressive dell’Inquisizione, agli
editti di Emanuele Filiberto, ai roghi,
agli esili, alle confische, alle violenze
di ogni genere: ce lo confermano ricchi studi documentari, tra cui ricorderemo quelli dei Valdesi Jalla e Pascal, e dei cattolici Grosso - Mellano.
Fin dal 1523, Lutero scriveva una
lettera al duca di Savoia Carlo III,
bella ma inutile, perchè il principe
era negato a qualsiasi problematica
religiosa: ma l’abitudine di scrivere
e di affrontare i capi di stato e i sovrani, richiamandoli alla loro responsabilità religiosa, rimase a lungo una
nota tipica della Riforma, sia a livello
del suoi esponenti che della massa di fedeli e se le nuove idee potevano anche interessare, perchè comportavano
l’abolizione di decime e tributi ecclesiastici, non è men vero che esse
imputavano ai principi la terribile responsabilità dell’esempio da dare ai
sudditi, e li additavano con calvinistica severità al giudizio di Dio, se avessero tradito la Parola.
La Riforma pose piede comunque
in Piemonte, per i motivi che sono
stati tante volte esaminati: in primo
luogo la profonda e incredibile corruzione della Chiesa (leggasi tra l’altro la voluminosa documentazione di
Grosso - Mellano) e l’assenza di autorità religiosa valida ed efficiente; la
rapida diffusione della stampa protestante, tradotta in italiano, e smerciata ovunque: il contatto con le
truppe straniere protestanti, in un
periodico ricco di eventi bellici, di
guerre e di passaggi di eserciti. « Questa maledetta settaccia lutherana cominciò ad appiccarsi... e a poco a poco
crescendo, e sue pestilentiose fiamme
spargendo, ha involto gran parte di
quei populi nel suo errore e non è
dubbio che in breve non accenda il rimanente tutto... ». Così scrive il Duca
Emanuele Filiberto nel 1557.
Non dobbiamo però dimenticare che,
accanto ai fattori esterni certamente
validi, la Riforma trovò pure la sua
forza e la sua validità proprio nella
sete dì spiritualità e di religiosità, che
la gente troppo a lungo aveva dovuto
tenere inappagata: nella Chiesa costituita, tutta volta ai suoi interessi
mondani e poverissima di vita, non
c’era posto per un impegno e un interesse religioso che andasse al di là del
mero ossequio alle forme di culto. Ed
ecco che la Riforma fu per moltissimi
la riscoperta di questa possibilità, il
soddisfacimento delle latenti energie
spirituali dell’uomo, attraverso il sacerdozio universale, la lettura della
Bibbia, la preghiera c la meditazione.
Forse questo elemento spiega la fortuna straordinaria delle nuove idee, la
dimensione per noi inconsueta della
problematica religiosa, che si estende
allora a tutti i livelli, con il successo e
l’interesse che hanno nel mondo moderno i problemi politici o le passioni
sportive. Il priore di Luserna, Marco
Aurelio Rorengo, scriveva tutto scandalizzato, un secolo più tardi, che persino le lavandaie al fiume cantavano i
Salmi, e che i ciabattini discutevano
di religione : volendo gettare il disprezzo sulla «democratizzazione» della sensibilità religiosa e sulla desacralizzazione dei problemi prima riservati
al solo clero, quel prete sottolineava
inconsapevolmente proprio quello che
era stata la forza popolare della Riforma. « Nella pianura poi, scrivevano
nel 1559 i riformati di Busca, il numero dei fedeli è pure grande. Poiché in
questo paese non v’è città, non v’è
quasi alcun luogo nel quale non si
trovi una chiesa di Cristo, occulta o
palese, le quali, se non possono avere
dei ministri, almeno pregano e quelli
d’infra loro che sono letterati e più
saggi leggono le Sacre Scritture nelle
dimore private».
La Riforma in Piemonte si diffuse
in modo particolare nella regione ai
piedi delle Alpi, e basterebbe ricordare
le comunità di Torino, Chieri (la piccola Ginevra), Carignano, Savigliano,
Saluzzo, Cuneo, Verzuolo, Dronero,
Busca, Centallo, Demonte, Racconigi,
Pancalieri, Frossasco, Asti, Villafranca d’Asti, Vigone, ecc. per rendersi
conto dell’estensione del fenomeno,
senza contare naturalmente le Valli
Valdesi e le alte Valli del Po, della Varaita e della Maira, quasi compietamente protestanti.
L’attività riformatrice in Piemonte
durò purtroppo un mezzo secolo a malapena: il succedersi di patiboli, di roghi e di condanne, rincalzare degù
editti repressivi del Duca Emanuele
Filiberto fino a quello definitivo e applicato con somma severità nel 1565,
stroncarono lentamente le speranze di
un Piemonte riformato: molti ritornarono all’ovile, che intanto si andava
riorganizzando dopo il Concilio di
Trento, molti ancora alimentarono le
lunghe liste di esuli a Ginevra, e mol
ti ancora emigrarono in massa verso
il grosso e saldo nucleo delle Valli, dove ancora esistono i loro discendenti,
A questo punto sorge legittimo un
interrogativo : come mai appunto le
Valli non hanno costituito maggiormente un polo d’attrazione per i riformati piemontesi, e anche per quelli
italiani in genere? Due possono essere
le risposte : in primo luogo fino al
1555 i Valdesi non costruiscono i loro
templi, ed appaiono ancora pertanto
in una situazione fluida, di poco prestigio, in fase di assestamento e di ricerca; e in secondo luogo, per chi dovesse fuggire dall’Italia, o dal Piemonte, è chiaro che una completa sicurezza potevano darla solo le città svizzere completamente, protestanti, laddove la posizione di minoranza dei Vaidesi e le persecuzioni del 1560/61 non
potevano ispirare molta fiducia a chi
fosse deciso al gran passo dell’esilio.
Del resto non paia strano che fuori
del Piemonte i Valdesi non fossero
nemmeno conosciuti, e che solo quando giungevano in terra d’esilio gli italiani venivano a sapere dai Protestanti stranieri dell’esistenza di un nucleo
di riformati in Italia: ne è testimonianza uno scritto del riformatore
Betti, il quale esprime tutte le sue meraviglie e la sua gioia nello scoprire
che accanto alla « grande Babilonia »
esistevano pure nella terra del papato
dei fratelli in fede presenti li da alcuni secoli.
Notiamo ancora un altro aspetto di
debolezza della Riforma in Piemonte,
e cioè lo scarso interesse che essa suscitò tra i nobili, di cui pochissimi
aderirono alle nuove idee: mentre in
Francia gran parte della nobiltà si era
schierata tra gli Ugonotti, per motivi
in parte politici, ed aveva quindi dato
alla vita della Riforma una qualificazione. sociologicamente importante a
quel tempo, in Piemonte la classe nobiliare in genere non era contraria al
principe ed aveva anzi bisogno di trovare nei duchi di Savoia degli alleati
per il comune consolidamento delle
rispettive posizioni. Questa situazione
impedì, ovviamente il sorgere delle
guerre di religione in Piemonte, e lasciò lo spazio alle crociate anti-valdesi,
e in genere a tutte le misure repressive contro la parte eretica.
Vogliamo, terminando, ricordare i
grandi nomi della Riforma piemontese: Agostino Mainardo, ex frate agostiniano, divenuto poi pastore a Chiavenna; Celio Secondo Curione, famoso pubblicista, profugo specialmente a
Basilea; Alciati e Biandrata, che si fecero conoscere anche per le loro idee
particolari sulla Trinità e andarono a
finire in Polonia; e soprattutto Giovan Luigi Paschale„ di Cuneo, il ben
noto apostolo delle comunità valdesi di
Calabria, condannato e bruciato a Roma il 15 settembre 1560; e Giaffredo
Varaglia, di Busca, il pastore del Ciabas, condannato al rogo in Piazza Castello a Torino nel 1558.
Senza contare migliaia di altri, vittime del rogo o dell’esilio, questi nomi
da soli testimoniano di una sostanziale validità del moto riformatore in
Piemonte, e ci perméttono quel giudizio che abbiamo espresso all’inizio, e
cioè che furono la violenza e il terrore
ad impedire ad una parte del Piemonte di essere protestante.
Augusto Armand Hugon
La Bibbia sigillata
(Isaia 29; 9-14)
Siamo al tempo dei grandi re assiri, che si avviano a conquistare la Siria e la Palestina: Israele è già condannato, ma
Giuda non ancora; però nessuno ascolta la voce del profeta che
annuncia il disegno di Dio, i capi d’Israele preferiscono puntare
sulle soluzioni diplomatiche; l'alleanza con l'Egitto in una coalizione anti-assira. Perciò il profeta annuncia loro, come castigo di questo accecamento volontario, un accecamento più completo ancora (cfr. Rom. 1/28): Dio li punirà come ha colpito a
suo tempo il faraone d’Egitto.
Alla base di questo peccato di Israele c’è un profondo traviamento della fede, ridotta a pura tradizione umana (v. 13);
tanto che Dio hnirà per parlare al suo popolo mediante gli avvenimenti della storia esterna che si imporranno bene alla sua
attenzione (v. 14)
Questa invettiva del profeta può anche applicarsi alla chiesa
del nostro tempo: la nostra vita religiosa e morale è ricca di
formalismo, il piano di Dio per noi ci è ignoto come il contenuto
di un libro sigillato; la stessa sorte è subita dalla Bibbia che,
pur contenendo l’essenziale di quel piano, ci pare difficile da penetrare, o semplicemente non ci interessa. Incapaci di leggere il
piano di Dio, siamo incapaci anche di parlare agli uomini del nostro tempo: in questi anni la chiesa non ha saputo parlare con
autorità là dove invece dei gruppi di semplici intellettuali hanno
saputo dire una parola chiara.
Forse gli avvenimenti di questo secolo giungeranno addosso
a noi come un discorso negativo di Dio: egli mostrerà le sue
meraviglie intorno a noi, per costringerci ad un ravvedimento
di cui non sembriamo più capaci. Sappia la chiesa interrogare
i tempi, per discernervi quei se^ni che ci possono destare del
nostro torpore.
Giorgio Bouchard
tiiiiiiiimiiKiinmi
iiiMitiiKiimiiiiimiiiiiiiiiitifriiiiiiMiJiiimiimiiiii
A PROPOSITO DI UN QUESTIONARIO...
Non indispensabili ma alile, il Collegio Valdese
Il problema essenziale è la passione per l’educazione, che reagisca alla società dei consumi
Il numero 33/34 dell’Eco-Luce del 30
agosto 1968 dedicava una pagina intera al COLLEGIO VALDESE di Torre Penice. Nel suo articolo, che fuiigeva da introduzione all’argomento, il
Direttore esprimeva l’augurio che i
tre punti nei quali egli sintetizzava gli
argomenti pro o contro la chiusura
ventilata venissero ripresi da sostenitori ed oppositori per uno scambio
franco di opinioni. Se non vado errato si è ancora accennato al problema
nei due numeri successivi e poi si è
trattato. del Collegio in occasione di
fatti marginali, vedi scritte e simili.
In sostanza mi pare si possa però dire
che lo scambio di idee proposto dal
Direttore del giornale non si sia avuto.
E la cosa è davvero spiacevole, tanto più che il Sinodo nominava una
commissione ad referendum la quale
sta attivamente lavorando e credo sia
peccato che i lettori dell’Eco-Luce non
siano informati sulla sua attività. O
forse la commissione stessa vuole lavorare in silenzio, senza farsi troppo
notare. Certo si è che questa impressione si ricava da un questionario che
è stato dalla commissione stessa indirizzata «ai Pastori delle Chiese della
Federazione». Nessuno vuole negare
ad una commissione sinodale il diritto
di informarsi su quel che possono
pensare i pastori su questo o quel problema, ma che ci si indirizzi ai pastori
per «saggiare l’opinione del Protestantesimo italiano sul Collegio Valdese di
Torre Pellice » o su qualsiasi altro argomento ci sembra errato come procedimento. Ed errato non già per delle
ragioni di sensibilità o di rispetto per
i membri di chiesa che pastori non
sono, ma perchè ci sembra riflettere
una concezione della Chiesa che credevamo ormai scomparsa definitivar
mente dalla scena. C’è stato un tempo
infatti in cui i pastori governavano
la Chiesa e potevano fare il bello ed il
cattivo tempo, se mi si passa questa
espressione. Ma oggi credo veramente
che nessuno di noi possa più accettare
una impostazione del genere. Troppe
volte abbiamo detto e sentito dire che
i pastori non son la chiesa, ma questa
è costituita da tutti i membri del popolo di Dio. Quindi mi pare che se la
Commissione voleva veramente saggiare l’opinione del Protestantesimo italiano avrebbe dovuto indirizzare la
sua richiesta non già ai pastori, ma
alle chiese stesse.
E in realtà si tratta di un saggiare
l’opinione abbastanza relativo, perchè
dalla successione delle domande si ha
la netta impressione che per rispondere non avveritatamente si debba necessariamente interpellare almeno il
Consiglio di Chiesa. Vi si chiede tra
l’altro: «Quale quota (evidentemente
finanziaria) potrebbe assicurare il
vostro Consiglio di chiesa per i prossimi dieci anni?». Personalmente non
ho risposto al questionario perchè non
sapevo, essendo in fase di trasferimento, se la risposta riguardasse il
Consiglio di Chiesa nel quale avevo lavorato o quello nel quale stavo per
iniziare a lavorare. Ha un bel dire la
Commissione : « L vostra mancata
risposta sarà inte i {Retata, ovviamente, come una testiiionianza di disinteresse per questo problema », ma se
non riesco a captíl che cosa mi si
chiede esattamentf, come faccio a rispondere? I casi ^no due: o si riconosce che i pastori hanno nella chiesa
una funzione specifica, di indirizzo
teologico e di aiuto alle comunità per
la loro chiarificazione bibblica, sulla
base delle conoscenze acquisite nel
corso dei loro studi teologici, allora si
chiede il, loro parere su problemi teologici, di etica, ecc., oyjpure si ritiene
che il pastore sia Tamministratore delegato dei Consigli di Chiesa e delle
comunità ed allora da lui si può richiedere ogni cosa. Personalmente
non accetto questa seconda ipotesi e
non mi sento certo in grado di rispondere se il Consiglio di Chiesa che presiede « sarebbe, éventualmente, disposto ad assumersi una parte della copertura dell'attuale deficit, e per qu£u
le somma », come recita un’altra domanda del questionario. Almeno senza aver prima consultato il Consiglio
di Chiesa stesso e possibilmente la comunità nel suo insieme.
E qui mi permetterei di muovere
un altro appunto alla Comrnissione :
essa ha spedito il questionario in oggetto il 23 settembre e richiedeva che
tutte le risposte giungessero entro il
20 ottobre. Si lasciava quindi meno di
un mese di tempo per riflettere su
questo argomento e consultare gli organi competenti; Consiglio di Chiesa
ed Assemblea di Chiesa. E questo tanto più in un periodo critico per le nostre comunità che hanno l’abitudine
(criticabile fin che si vuole, ma che
intanto è quella che è!) di lare anch’esse le « ferie estive », cioè praticamente di sospendere le loro attività
(eccezion latta per il culto domeiiicale) dal mese di giugno al mese dì ottobre. Come lare a convocare un’assemblea di chiesa in tempo utile ed a
prospettare il problema nella sua com
Centro Evangelico « P- Andreettì »
S. Fedele Intelvi
Fede e testimooianza
Un convegno, il 14-15 dicembre
Gli evangelici della Lombardia settentrionale e (Iella Svizzera italiana — e tutti coloro che vorranno unirsi! sono invitati a
un convegno su « Fede e Icstimonianza ». Il
tema sarà introdotto dal past. Carlo Papacella di Vicosoprano, che presenterà il libro
di R. Adolfs, La tomba di Dio (ed. Bompiani). La discussione verterà su questi tre temi: 1) il problema: la chiesa e il mondo;
2) chiesa e civiltà secolare; 3) il futuro della chiesa.
Il Centro sarà aperto la sera di sabato 14
alle ore 18; cena alle 19.30; inizio dei lavori
alle 21. Prenotarsi al più presto e comunque entro lunedi 9 dicembre presso la direzione. Via T. Grossi 17. 22100 Como, tei.
(031)273.440. Prezzo: L. 1.500 a persona,
sconti per famiglie.
plessità e completezza? Credo che sarebbe assai utile se L’Eco-Luce volesse
pubblicare, d’intesa con la Commissione, il Questionario sulle sue colonne e saggiare cosi,, uscendo dalla ristretta cerchia dei pastori, la opinione
se non del protestantesimo italiano,
per lo meno della Chiesa Valdese.
Concluderò cercando di dare la mia
risposta a quella che mi pare essere la
domanda più importante tra le tante
poste dal questionario ; « Pensate che
questi istituti, e in particolare il Ginnasio-Liceo, abbiano una funzione indispensabile per il Protestantesimo
italiano o, almeno, per la vostra comunità? ». Credo proprio che gli istituti di istruzione secondaria non siano indispensabili al Protestantesimo
italiano. Prescindendo dalla considerazione che altre chiese evangeliche italiane hanno i loro istituti di istruzione, credo che la domanda sia formulata in maniera per lo meno frettolosa.
Di indispensabile per il Protestantesi-,
mo, italiano o no, non vi è che la grazia di Dio e la sua Parola. Tutto il resto, scuole, facoltà teologiche, pastori,
sinodi, concistori e chi più ne ha più
ne metta, sono cose accessorie. Possono essere utili, valide, convenienti,
adatte allo scopo o agli scopi particolari che la chiesa in un dato momento
può credere essere specifico della sua
testimonianza, ma mai indispensabili.
E in questa prospettiva allora penso
che il Collegio di Torre Pellice, insieme alla Scuola Latina di Pomaretto
possa ancora avere una funzione utile
non solo per quegli (troppo pochi!)
studenti che lo frequentano, ma in
quanto sarà sempre un punto di riferimento per tutto il protestantesimo
italiano e per lo meno per il valdisino.
Ritengo comunque che oltre al problema del Collegio di Torre Pellice la
Commissione dovrebbe esaminare con
particolare cura il problema del Convitto, dal quale pare che negli ultimi
anni ci sia stata una fuga generale dei
ragazzi oltre la terza media, il che certo non facilita la vita di un istituto di
provincia quale è il nostro. Solo se si
avrà un Convitto capace di ospitare e
di offrire un ambiente adatto anche
agli studenti ginnasio-liceali (e non
solo quando questi sono ormai inseriti
nell’ambiente provenendo dalle classi
inferiori) si potrà sperare di avere
una popolazione scolastica più numerosa.
Ed oltre al buon funzionamento dell’uno e dell’altro, credo che l’argomento di fondo sul quale dovremmo invitare le nostre Chiese a riflettere sia
quello dell’istruzione, o meglio del tipo
di istruzione che dovrebbe dare il tono
alle comunità protestanti. Si sente
spesso ripetere qua e là che il livello
medio della cultura delle Valli è in
spaventoso declino. Senza voler essere
pessimisti e riconoscendo che il numero di persone che dalle nostre Valli frequentano scuole medie superiori
è senza dubbio maggiore di quanto
non lo fosse per il passato, è pure doveroso riconoscere che il problema esiste. Oggi i Valdesi si adeguano alla
mentalità corrente e preferiscono alla
scuola cosiddetta « classica » altri tipi
di scuola. E se nella loro scelta fossero guidati da criteri di reale attitudine per cui chi ha una naturale disposizione agli studi tecnici sceglie un
istituto tecnico o chi ha una naturale
disposizione per l’arte sceglie il liceo
artistico non avremmo assolutamente da eccepire. Ciò significherebbe
semplicemente che nessuno ha più la
capacità innata di dedicarsi allo studio classico. Ma in realtà a determinare la scelta per un indirizzo piuttosto che per un altro sono ragioni diverse. In primo luogo si considera
quanto tempo occorre prima di possedere un diploma ed immediatamente
dopo quali possibilità di guadagno immediato offra quel diploma, ammesso
che non ci si arrenda prima e si cerchi una via anche più breve. E nel tipo di società nella quale viviamo, dove senza un pezzo di carta non si può
far nulla, è abbastanza ovvio che ci
si orienti in questo senso. La nostra
società cosiddetta dei consumi preme
su ogni individuo affinché questo
« consumi », cioè assorba i prodotti
delle grandi industrie che non lesinano certo i mezzi di persuasione (ove
ce ne sia ancora bisogno) per spingere
sempre più in questa direzione. Ed i
Valdesi stessi, senza alcuna capacità
di riflessione su questo fenomeno si lasciano prendere nell’ingranaggio dal
quale non riescono assolutamente ad
uscire. E non è solo questione di ragionamento: non serve a nulla che i
genitori o gli educatori o anche i pastori o comunque tutti quelli che sentono questo problema facciano opera
di persuasione. È il modello di vita
che noi offriamo ai giovani quello che
conta. Non basta dire che il denaro
non è tutto, che vi sono altre cose più
importanti, non basta ripetere che
« l’uomo non vive di solo pane », se poi
noi stessi per primi non facciamo altro che correre in questa direzione,
cercando in ogni modo possibile di
avere sempre qualcosa di più, la macchina più vistosa (e più costosa) di
quella del vicino, perchè sulla cilindra' ta della macchina si valuta oggi la dignità di un uomo. Come possiamo
chiedere che un giovane non desideri
a diciotto anni avere la patente ed
una macchina da guidare? Ed è chiaro che dopo il liceo classico devono
ancora passare molti anni prima che il
giovane possa guadagnare. E sono anche anni nei quali la famiglia deve
continuare a spendere. E spendere per
gli studi significa « non poter spendere » per altre cose. Questo mi sembra
essere il problema di fondo : per che
cosa siamo disposti a spendere il nostro denaro? Abbiamo veramente la
volontà di fare per i nostri giovani e
con loro dei sacrifici? In questo problema di educazione di cui tutta la
chiesa è nella sua totalità responsabile credo risieda il problema centrale dei nostri istituti di istruzione secondaria, e forse non di quelli soli,
ma di tutta la nostra chiesa.
Bruno Bellipn
3
29 novembre 1968 — N. 47
pag. 3
UN SONDAGGIO NELLEvCOMUNiTA’ DI BARI, TORINO E ¡TORRE jPELLlCE Jiaejhioa da scrivere cercasi
La Chiesa in tensione
Uopo la sessione sinodale, della quale più d’uno ci
ha rimproverato, senza però convincerci, d’aver dato
un’interpretazione troppo drammatica e allarmistica
(cc La chiesa in distretta »), il nostro comitato redazionale ha deciso di svolgere, con l’aiuto di corrispondenti
locali e sulla base di una lettera-questionario, un sondaggio in tre comunità - Torre Pellice, Torino, Bari nelle quali la contestazione non fosse sconosciuta, ma
d’altra parte non avesse raggiunto punte così accese da
determinare atteggiamenti e irrigidimenti passionali.
Notavamo, nella nostra lettera, che la contestazione
giovanile, ma non solo giovanile, era un fenomeno universale, anche all’interno delle chiese, ed esprimeva un
problema serio. E’ quanto abbiamo spesso detto, sulle
nostre colonne, negli ultimi mesi, e anche documentato
e valutato criticamente. Ma ci rendiamo conto che questa riflessione deve procedere, in comune, approfondciulosi. Non sappiamo che cosa quest’anno riserverà
alle nostre chiese, ma sappiamo che è nostro dovere discernere gli spiriti, senza chiuderci alle sollecitazioni
dello Spirito e senza lasciarci sballottare qua e là da
ogni vento di dottrina, senza una norma a cui riferirci.
E per avviare questa riflessione, nulla di meglio potevamo fare che cercare di sondare il pensiero di tanti
fratelli e sorelle: diversi per età, situazione sociale, im
pegno di lavoro, orientamenti, insieme un solo corpo in
Cristo, abbiamo chiesto loro di dirci, in riflessione di
fede, qual’è secondo loro la radice profonda delle tensioni, al limite delle divisioni che si profilano fra noi,
come mai si è giunti a questa situazione, quali prospettive si aprorw dinanzi a noi, quali possibilità, quali
rischi, quali speranze.
Le risposte sono andate molto al di là delle nostre
aspettative, in numero e in valore, ed esprimiamo la
nostra riconoscenza molto viva a tutti coloro che ci
hanno scritto un buon numero di lettori di Bari e di
Torino ci hanno scritto direttamente, mentre a Torre
Pellice un gruppo di giovani ha curato varie diecine di
interviste e si dispone a rielaborarne i dati. Abbiamo
l’intenzione di pubblicare un certo numero di questi
scritti, fra i più significativi e stimolanti, un po’ per
settimana, mentre degli altri — che comunque sono per
noi di molto interesse — la redazione darà una presentazione complessiva, stralciando i punti più vivi e originali. Il dossier che abbiamo così raccolto è di notevole
valore e ci ha molto rallegrato: speriamo di far cosa
utile e grata a tutti i lettori nel dar loro ampio resoconto di questa riflessione fraterna veramente corale.
E cominciamo con questa lettera di un sedicenne
catecumeno torinese, vivace e seria. red.
LA PROTESTA DI UN SEDICENNE
A rispondere alla vostra inchiesta
non è questa volta una persona direttamente interpellata nè un membro
della Chiesa Valdese di Torino. Soncs
un umile catecumeno di 16 anni, il
cui parere forse non interesserà troppo, ma sentendomi fortemente interessato alle questioni sollevate dall’inchiesta, mi permetto di prendere la
parola e di intervenire anche a nome
dei miei familiari. Per parlare con più
precisione mi permetto questo gesto a
nome e per incarico del fratello Nicola cui voi, gentilmente, avete indirizzato la circolare del 21 settembre.
Quella che ora va sotto il nome di
« contestazione giovanile » è penetrata
e ha diviso la mia famiglia in due parti nettamente distinte e contrapposte;
da un lato i genitori, ovvero l’autorità
educatrice rappresentata dal padre,
dall’altra i figli, sotto costante minaccia di espulsione da casa. È proprio
per questa minaccia, che sfiora quasi
il ricatto, che il primo dei due figli,
Nicola appunto, non ha potuto rispondere di propria mano alle vostre domande. Il ricatto di cui parlavo : « studia o fuori », non gli ha lasciato il
tempo materiale di farlo; e per motivi
abbastanza analoghi il secondo dei figli, cioè io, sta scrivendo in clima di
semiclandestinità. Ma questo non ha
interesse. Più interessante sarebbe
piuttosto vedere l’atteggiamento paterno anche perchè non è poi tanto
raro nelle nostre chiese, tra la precedente generazione. Il suo atteggiamento lo porta a considerare anche
« La Luce » come un giornale ambiguo e sinistroide, « Nuovi tempi » fazioso ed eretico e così via fino a « Gioventù evangelica ». Perchè per lui, non
avendo la fede bisogno di discussioni,
ogni discussione e critica all’interno
della chiesa (sia che si intenda per
essa chiesa ufdciale o comunità dei
credenti) è inutile, precaria e vana. Sì,
certo, va al culto, legge la Bibbia
(quando se ne ricorda), ma questo gli
basta, è il suo mondo, anzi, l’altro
mondo, quello che non ha niente in
comune con la realtà quotidiana. Ecco il motivo per cui sarà inutile attendere da lui una risposta al vostro sondaggio che non gli interessa minimamente, come non gli interessano « La
I;uce », la « contestazione giovanile »,
e la attualità della chiesa nel nostro
tempo, se non per le frange che collimano col suo pensiero precostituito.
Sugli aspetti reazionari di alcuni
membri della nostra chiesa comunque
si può parlare più a lungo e altrove.
Ora vorrei muovere un appunto al
metodo scelto per stimolare la riflessione nelle nostre comunità. Lo so,
fare un discorso sul metodo senza
considerare ciò che lo sottintende non
è molto esatto. Tuttavia la mia domanda è questa: i credenti si intervis'i ano? e comunque un’inchiesta di
qu'-sto genere è opportuna? Se la nostra chiesa è tanto muta e assente che
nel suo seno ha bisogno di essere stimolata e portata a discutere, vuol dire
che evidentemente ha smarrito la
strada del Vangelo e della testimonianza. In materia di fede, come in
questo caso, il cristiano dovrebbe interpellare lui i non credenti e non lasciarsi interpellare per sapere qual’è
il suo parere in proposito. E del resto
non vedo come un sondaggio d’opinio■ ii' possa ravvivare una voce fioca e
' '..rta, portare alla discussione chi
no' osa 0 non sa discutere. In un
mondo pieno di voci che si sovrappongono, proprio la nostra voce dev’essere quella che va stimolata, che va
tirata fuori da altri perchè si oda? Nè
come mezzo di provocazione, per scoprire e portare in pubblico l’altrui parere, un’inchiesta di questo tipo mi
pare la cosa più idonea. Inchieste se
ne fanno da tutte le parti, in più modi, per più Ani, ma assai difficilmente
essa svolge un ruolo creativo ed attivo
per chi risponde: l’inchiesta è un metodo statistico che si utilizza quando
occorrono dei dati precisi, delle cifre,
dei più o dei meno. Ad esempio serve
una inchiesta di tipo sociologico, di
tipo anagrafico, di tipo economico.
Un’inchiesta per chiedere il parere e
le idee in questioni cosli delicate e
complesse rimane facilmente equivoca
ed ambigua. Equivoco ed ambiguo è,
a mio parere, questo ciclostilato del1’« Eco-Luce » che ho di fronte, al quale non so da che parte cominciare a
rispondere. Non certo perchè mi manchino gli argomenti, chè ne avrei a volontà, ma appunto perchè gli argomenti su cui potrei parlare sono troppi e troppo vasti. Un conto sarebbe
spiegare quali le origini della tensione
esistente, degli attriti tra due generazioni, anche se una tale spiegazione
sarebbe di dubbio interesse ora che
tali attriti esistono; però chiedere anche « come mai si è giunti a questo,
quali prospettive si aprono davanti a
noi, quali possibilità, quali rischi, quali speranze » mi pare esagerare, attribuire ad un sondaggio compiti e fina^
lità non sue, che potrebbero essere
invece assolte da una serie di dibattiti, inchieste, ricerche, studi, svolti
collettivamente e non singolarmente,
in privato. Si dice « Ci riuniremo in
comitato redazionale e mediteremo su
quello che ci avete scritto », a me la
cosa sembra ardua nonché di scarso
effetto. Meditare su centinaia di pagine scritte, di pareri diversi e magari
contrastanti e poi trarne una conclusione... complimenti a chi ci riesce.
Chiusa la parentesi polemica, riassumendo, le domande di fondo mi
paiono due: una riguardante il passato, cioè l’origine dell’attuale antagonismo nelle chiese; l’altra riguardante
il futuro, cioè quali le strade e le possibilità che si aprono dinanzi a noi.
Probabilmente anche l’analisi delle
condizioni presenti è implicita in entrambe le domande. Tuttavia nel momento in cui ci si accinge ad esaminare lo scontro tra due forze opposte,
che ha avuto i suoi momenti più salienti nell’ultimo Sinodo Valdese, sorge spontaneo un dubbio. È proprio
vero che quello cui assistiamo è uno
scontro di generazioni? È vero che la
lotta è quella dei giovani contro i vecchi, delle idee nuove contro quelle antiquate? I due termini della lotta sono i figli da un lato e i padri daH’altro? Si, certo, una cosa è indubbia,
i giovani sono al centro delle polemiche e delle critiche, sono il tema di
scandalo e di paradosso per le tranquille abitudini dei « maturi » e degli
adulti. Dalle università alle chiese cristiane, essi sono la forza viva, l’impulso dinamico e prepotente che ha
sconvolto la nostra società. Dovunque
c’è scontro ci sono i giovani a portare
innanzi con forza e solerzia i loro temi e la loro bandiera. Questo l’aspetto macroscopico, vistoso della lotta in
corso. Eppure quella bandiera che i
giovani hanno preso su di sè è poi
tanto nuova? Io penso che quella bandiera, sebbene con forme nuove e contenuti diversi, sia la vecchia bandiera
degli sfruttati e dei travagliati e dei
perplessi. I giovani non possono costruire un mondo loro, una realtà fatta su loro misura e dalle loro mani.
Da soli non possono che distruggere,
ribellarsi; da soli non potranno trasformare e anche solamente conoscere
la realtà che vogliono negare. Per questo gli strumenti che usano sono quelli del marxismo, l’aiuto che cercano è
quello degli operai. Allora, sebbene a
lottare siano i giovani, essi combattono dall’altra parte della barricata, la
loro non è più lotta di generazioni,
ma lotta di classe, la solita, un po’
ammuffita ma sempre desta lotta di
classe. E se poi nelle nostre comunità
si vedono solo giovani che si agitano
non sarà forse perchè di operai non
se ne trovano più? Eppure quei pochi
che ci sono, sono con i giovani o, per
essere precisi, i giovani sono con loro.
* * «
C’ è stata una provocazione dall’esterno, uno stimolo che ha scosso i
giovani delle nostre chiese a interrogarsi e a interrogare le nostre comunità. Così quando il Movimento studentesco ha alzata la testa di fronte ad
un tipo di educazione, a certi valori
sociali e politici, anche i giovani protestanti che al M, S. hanno preso parte hanno scosso il capo ed hanno dubitato dinanzi a quei valori che riscontrano identici nella società e nelle
chiese , soprattutto dinanzi ad un’etica protestante densa di atteggiamenti, di concezioni «borghesi ». E qui le
chiese protestanti son rimaste sorprese, attonite, decisamente impreparate,
non hanno capito quali erano i termini del problema. !■ orse erano più preparate ad una do ta disputa sul Vangelo, ad una batí n,glia di citazioni e
di versetti che mettessero in evidenza
aspetti differenti t; contradditori della
Parola. Ma di fronte ad un discorso
molto pratico chi scaturiva da nuove
situazioni storiche, non han saputo
che esprimere la loro perplessità. Una
perplessità, che, secondo me, verifica
e convalida la fin? dì una concezione
etica e di un ruoio sociale. È inaccettabile che le nostre chiese, siano tuttora chiese «borghesi», che in gran
parte si radicano meora nel pietismo.
Questo poteva andare bene al tempo
in cui la borghesia assolveva la sua
funzione e compiva il suo ruolo storico. Voler mantenere quelle stesse posizioni significa condannarsi al silenzio, perdere il messaggio profetico.
Allo stesso modo come la scuola ha
mancato al suo compito educativo e
ha fallita la sua funzione pedagogica,
cosi anche noi rischiamo di venir meno alla nostra missione evangelica.
A questo punto si impone una considerazione. Questi giovani che riscoprono il valore della lotta di classe,'
che portano avanti una critica storici.'^tica e materialistica alle chiese, scoprendone la funzione sociale, l’atteggiamento politico mistificato, il loro
schieramento da una certa parte della
barricata, questi giovani fanno fino a
qui solo lavoro politico : perchè restano all’interno della chiesa? Potrebbero uscirne e impegnarsi più direttamente e più intensamente nei gruppi
o nei partiti di sinistra, dedicarsi solo
alla attività politica. Qualcuno ha
compiuta questa scelta, ha preferito
andarsene considerando ormai decaduta e finita la chiesa. Ma la maggior
parte ha fatto la scelta opposta: rimanere nella chiesa per portarvi il
fermento delle proprie idee. Ma per
riformarla, non per seminare lo scompiglio in un potenziale nemico politico. Anzi, oggi purtroppo bisogna dire
che se vi sono stati dei pur minimi
sospetti di rottura o perlomeno se vi
è stato disinteresse per l’altra parte
questo è venuto dai più reazionari,
dai più conformisti. I giovani hanno
accettato la stessa vocazione dei padri.
* * *
Questo è uno dei punti centrali, a
mio avviso, quando si guarda alla tensione delle nostre chiese. Esiste una
lotta, che schematicamente si può
porre in termini di lotta di classe, esistono situazioni diverse in cui la vocazione cristiana viene sentita e viene
vissuta, esiste insomma un condizionamento storico. Ma al di la di tutto
questo esiste una chiamata che è
upiale per figli e padri, per i cristiani
di oggi come per i cristiani del I secolo dopo Cristo. Al di là della storia,
al di là del peccato c’è il sacrificio
della croce, c’è una chiamata che può
essere accettata o rifiutata ma che è
sempre la stessa. Certo dinanzi alla
universalità di questa chiamata perdono di senso le differenze di questo
mondo, le scelte umane, gli atteggiamenti antagonisti. Però i giovani di
oggi, forse più che in altri tempi, sanno di esser stati chiamati come peccatori, di esser stati eletti quali uomini
del mondo per agire nel mondo. Questo non vuol dire accettare genericamente l’esistenza del peccato bensì
agire all’interno del peccato, cioè all’interno della storia, all’interno di
divisioni, di scelte, di condizioni particolari. Essere eletti in qualità di peccatori vuol dire usare metodi, criteri
di misura e di giudizio umani, ma
soprattutto vuol dire esser coscienti
che questi mezzi, i valori che portano avanti, la loro stessa predicazione
appartengono al peccato ed alla storia.
Significa non sacralizzare mai, nelle
proprie azioni, né questo o quel periodo storico, questa o quella parte politica, né il Vangelo stesso che è testimonianza della verità resa in condizioni storiche precise, scritta da uomini che usavano criteri e strumenti
del loro tempo nel loro tempo. Fare
l’opposto porterebbe a fare del Vangelo un’arma per i propri fini, per
seguire noi e non Dio ,per giustificarsi e non per lasciarsi giustificare. Ecco
che allora i giovani vengono accusati di parlare molto del mondo e poco
del Vangelo, di avere un discorso teologico scarso e insufficiente.
E’ vero se si vuole che essi, al pari
dei loro padri traggano dal Vangelo
altre norme, altri schemi, altre leggi.
Ma il credente è libero dalla legge. Ecco allora che i giovani all’interno di
altre scelte, in condizioni e momenti
diversi da quelli dei padri, non cercano nella Parola giustificazioni, ma
lasciano che dal didentro dalla loro
azione politica-sociale, la Parola li interroghi, anche e soprattutto su quelle scelte che hanno già compite per
condizioni politiche o morali o di fede. Ecco che riscoprono il Vangelo in
chiavi diverse per una chiesa che sia
effettivamente una comunità profetica, cioè che sappia cogliere il senso
del presente e i segni del tempo futuro. E’ una dimensione tutta nuova
che non è monopolio dei giovani, ma
che può vedere uniti giovani e meno
giovani, padroni e operai.
Qui il discorso potrebbe continuare,
ma non penso che ciò sia possibile in
una lettera di questo tipo. Anzi mi
scuso per la prolissità e per la poca
preparazione mia ad un simile problema.
Giuliano Massobrio
Per un detenuto di Porto Azzurro che mi
chiede una macchina da scrivere, usata, di
qualsiasi marca, sia d'uihcio che portatile,
purché scriva ancora bene.
« Nel luogo ove mi trovo - mi scrive - una
macchina da scrivere significa un tesoro, dato
che ci permettono di tenerla. Potrei non soltanto imparare ad essere un bravo dattilografo, ma pure guadagnarmi la giornata facendo da copista per i miei compagni, come pure
fare delle istanze o scrivere per gli analfabeti
delle lettere ».
C’è qualcuno fra i lettori dell’Eco-Luce che
abbia una macchina da scrivere vecchia, ma
ancora servibile, e sia disposto a darla, o a
cederla a prezzo ridottissimo? Lo pregherei di
scrivermi, ed io gli segnalerei il nome e l’indirizzo del richiedente per evitare una doppia spedizione.
Con l’occasione desidero ringraziare quanti,
in risposta alla mia Circolare, mi hanno mandato con generosità e prontezza i loro doni,
accompagnandoli da buone parole di incoraggiamento. Ringrazio in modo particolare, non
avendo potuto farlo direttamente, A. L. T. di
Pinerolo per il dono di L. 10.000; E. G. di
Sanremo (L. 5.000) e Giulietta Raima di
Parma (L. 2.000).
Ringrazio anche quanti mi hanno inviato
annate del Cenacolo. Per il momento ne ho
a sufficienza.
Tutto questo affluire di doni e di espressioni di simpatia e d’incoraggiamento è per me
una chiara indicazione a proseguire in questo
lavoro, sapendo che il Signore supplirà alla
mia debolezza.
Selma bongo
10066 Torre PelUce (Torino)
LUSERNA S. GIOVANNI
Asilo per i vecchi
Doni ricevuti fino al 20 novembre 1968 :
in memoria della Sig.ra G'orgina JahierDownie (2“ elenco): Comm. Gino Jahier e
fam. 500.000; Past. Gustavo Bert’n e Sig.ra
5.000; Dr. Enrico Peyrot e Sig.ra 10.000; in
mem. di Giovanni Falcombello: Famiglie
Falcombello e Paschetto 10.000; in mem. di
Emma Toggwiler-Pons : Marauda F.L.E.J.
10.000; in mem. di Virginia Pasquet: ; familiari 5.000; Edmondo e E. Beux, in memoria 10.000.
(N. B. . I doni non « in memoria » vengono pubblicati nella Relazione Annua).
Ridere
o piangere?
Un lettóre, da Torre Pellice:
A quanti per motivi diversi (opinioni politiche, snobismo culturale, paura d’invecchiare ecc.) sostengono i va.
ri a movimenti studenteschi », un uomo di scuola dedica alcune fra le richieste di gruppi di studenti medi di
Torino (v. « La Stampa » del 16 novembre): libertà dì riunirsi in assemblea neUe scuole (naturalmente anche
in ore di lezione), presenti giovani dì
qualsiasi istituto; interrogazioni con
preavviso e diritto di discussione e rifiuto del voto; suddivisione del trimestre in un periodo per le sole spiegazioni e un secondo per le sole inter.
rogazioni (quest’ultimo con presenza
non obbligatoria).
Di fronte a obiettivi di questo genere il primo impulso sarebbe di mettersi a rìdere, ma, riflettendo, c’è invece da piangere amaramente sulle
sorti della scuola del futuro e sul pericolo, non immaginario, che tali estremismi anarcoidi favoriscano l’avvento
di una nuova dittatura.
Adriano Donini
LA SCUOLA. OGGI
(segue dalla J“ pagina)
la scuola classista. Tutti frequenterebbero la medesima scuola nella quale
ci sarebbe un certo gruppo di materie
obbligatorie ed una larga possibilità
di scelta di materie opzionali. Durante l’anno gli allievi verrebbero qualificati esattamente come ora (salvo che
il voto dovrebbe essere discusso pubblicamente) con la differenza che una
qualifica insufficiente in una o più
materie alla fine di un anno scolastico
non comporterebbe nessun intralcio
al normale proseguimento del corso
degli studi fino ai diciotto anni.
Ottenuto il diploma di licenza media superiore (senza necessità di un
esame di stato) il giovane potrebbe
iscriversi alle facoltà universitarie per
le quali è stato nel diploma riconosciuto qualificato in base ai voti riportati
nel quinquennio. Per esempio: è chiaro che chi sul diploma non ha riportato una qualificazione almeno sufficiente in chimica o non ha scelto la
chimica fra le materie opzionabili, non
potrà iscriversi alla facoltà di chimica. Un sistema del genere eliminerebbe anche l’autoritarismo cattedra-banchi ed instaurerebbe un rapporto pedagogico diverso tra professori ed allievi, rapporto fondato su un aiuto che
l’insegnante dà all’allievo a trovare
le proprie attitudini, a conoscere se
stesso. Il fatto che il voto deciderebbe
del destino di un allievo solo alla fine
del quinquennio e non «in itinere»,
contribuirebbe a svelenire i rapporti
e a sincerare il giovane che la negatività di un giudizio non dipende dal
metro più o meno ristretto del professore, ma proprio da una sua non disposizione per la materia.
Naturalmente una scuola del genere
sarebbe più facile farla in teoria che
in pratica, oppure partendo dal nulla
e non da una situazione quale già abbiamo. E’ diffiefie in una medesima
scuola ipotizzare le possibilità di impartire insegnamenti che vadano dal
greco alla « concia delle pelli ». Si potrebbe però ovviare ammettendo una
larga possibilità di passaggio da un
tipo all’altro di scuola nel corso del
quinquennio, senza esami di passaggio e senza perdere il frutto degli studi già in parte compiuti. Così veramente la nuova scuola aiuterebbe a
reperire le proprie attitudini e non sarebbe soltanto una scuola brutalmente selettiva senza appello.
Un’ultima osservazione : non comprendo, sinceramente, la ritrosia delle
superiori autorità scolastiche a concedere agli studenti il diritto alle
« assemblee ». Ovverossia, lo capisco
fin troppo bene ! Ma, anche qui si tratta di mutare mentalità: di comprendere che la scuola è una comunità
nella quale i membri di essa (allievi,
bidelli, segretari e preside) sono tutti
membri di pari diritti e di pari doveri. Non c’è gerarchia, ma compiti
differenziati.
La scuola potrebbe benissimo essere
cogestita a tre: professori che insegnano, allievi che studiano e presidi
che amministrano (non che governano!). Il governo, cioè l’andamento disciplinare deve essere di competenza
dell’assemblea, la quale tutela da sé
il buon andamento ed il buon nome
della sua comunità. Perciò una vecchia proposta della Federazione degli
Insegnanti Scuola Media è ancora oggi attuale: si aboliscano i presidi
(espressione di un caporalisme deteriore che si iniziò nell’era in cui i caporali diventavano capi di governo!)
e venga il loro ufficio assunto a turno da un professore per un periodo
limitato. Per conto mio di una cosa
mi rallegro : i giovani che oggi si muovono sono la generazione nata dalla
Resistenza. Auguro loro di portare
avanti con successo ciò che ai loro
padri non riuscì di portare avanti dopo la Liberazione. Noi fummo frenati
da un rigurgito di conservatorismo e
di criptofascismo che impedì qualsiasi
serio cambiamento. Ma i nodi - tutti- vengono al pettine della storia. Ciò
che allora, negli anni 1945-50, non riuscì, riuscirà oggi o domani. La storia,
infatti, non si può fermare e fa ogni
giorno le cose nuove.
Il nostro dovere di educatori, oggi,
è di lavorare onestamente per i giovani, senza pretendere di volerli illuminare dall’alto della nostra sicurezza e
della nostra pietosa dottrina, ma formando costantemente in loro lo spirito critico onde non siamo né illusi
né strumentalizzati. Ma per riuscire
in questo dobbiamo, come prima cosa,
meritare la loro fiducia e questa loro
fiducia noi Tavremo nella misura in
cui li reputeremo degni di avere la
nostra.
Roberto Jouvenal
4
pag. 4
N. 47 — 29 novembre 1968
POMARETT
VILLAR^PELLICE
Contro la fame degli altri
Contadini
questioni
ed operai della faiola discotoiio le
politìcbe alla lece della loro fede
Una giovane ha presentato un breve studio frutto di un campo ad Agape su « fede
e politica » davanti ad un gruppo di fratelli
e sorelle della Faiola, in territorio di Pomaretto. Il testo classico era il cap. 13 della lettera al Romani e particolarmente i primi
versetti : « ogni persona sia sottoposta alle
autorità superiori perchè non v’è autorità
Se non da Dio e le autorità che esistono sono
ordinate da Dio... ».
Cosa voleva dire l’apostolo con queste di
chiarazioni? Innanzitutto è necessario vede
re il momento in cui egli scrive; Paolo aspet
tava il prossimo ritorno del Salvatore e per
ciò le autorità politiche l’interessavano poco
perchè ormai il Regno stava per venire. So
prattutto egli sa che la comunità cui egli
scrive è quella di Roma sotto il diretto con
trollo imperiale e perciò più facilmente espo
sta ai soprusi ed alle persecuzioni. Egli ve
de nell’impero e nella sua organizzazione
una possibilità di diffusione della Parola d
Dio tanto che egli stesso, quale cittadino ro
mano per ben tre volte si serve del suo di
ritto in situazioni difficili del suo ministero,
come a Filippi.
I Riformatori hanno dato interpretazioni
diverse a questo capitolo. Lutero ha affermato che ci sono due regni ambedue dipendenti da Dio; da una parte fl mondo dello
spirito sotto il controllo dei pastori e dall’altra il mondo diretto dai principi, magistrati ed autorità varie. Entrambi sono stati
posti da Dio e perciò non è pensabile la ribellione nè all’uno nè all’altro. Secondo Calvino invece, Dio pone l’autorità al fine di
migliorare la società, con l’impegno per ciascuno di compiere il proprio dovere; qualora invece l’autorità venga meno alla sua vocazione il popolo ha il dovere di contrapporvisi e sostituirla.
Orbene non è facile dare una interpretazione sicura alle parole dell’apostolo ma possiamo comunque ricordare che, come egli afferma in Efesini 1: 21, « Cristo è al disopra
di ogni principato, potestà, signoria e d’ogni
altro nome che si nomina non solo in questo mondo ma anche in quello avvenire ».
In sede di discussione i giovani, in modo
particolare, hanno ricordato come l’ubbidienza cieca a qualunque autorità abbia avuto
conseguenze deplorevoli; ne fa fede la scritta, non ancora cancellata, nonostante proteste rivolte al Consiglio Comunale che si legge all’ingresso del parco della rimembranza
di Pomaretto : « La patria li prese mortali e
li rese immortali » e « Fedeli fino alla raor
te essi vivono nella gloria ». Quindi la concez’one dell’autorità e della patria conduce
a queste spaventose conseguenze, cioè considerare la Patria come la dea che largisce
l’immortalità e la gloria mentre è scritto che
« Il Sovrano dei sovrani possiede solo l’immortalità » (I Tim. 6: 16).
Perciò, dicono i giovani nella discussione,
i Valdesi anziché ricordare con commemorazioni i morti di guerre atroci o continuare
ad erigere monumenti, ricordino la loro missione di far conoscere al popolo italiano la
Vera Autorità, cioè quella di Cristo che ha
vinto la morte, che ci dona ima vera Patria,
una vera Vita, un vero Regno, mediante
Gesù Cristo.
Elìana Bouchard
Nel corso delle ultime due settimane di
novembre abbiamo accompagnato al campo
dsll’ultimo riposo terreno le spoglie mortali
di: Rosina Gönnet nata Davit, di anni 80,
di S. Cristoforo; Maria Geymonat nata Cordin, di anni 78, del Meynet; Edoardo Montanari, di anni 70, del Teynaud-Bouissa. La
prima di queste sorelle ci ha lasciato dopo
un breve periodo di degenza all’ospedale, gli
altri due scomparsi dopo un lungo camminare insieme alla infermità ed alla sofferenza.
Ai familiari tutti di questi scomparsi la
Chiesa esprime la sua sineera, fraterna simpatia cristiana. « Dio —■ dice Gesù ■— non
è Un Dio di morti, ma di viventi, poiché
per lui vivono tutti » (Luca 20: 38).
La casa di Ernesto e Silvia Gönnet, del
Centro, è stata allietata dalla nascita della
piccola Lidia. Le porgiamo il nostro più
cordiale saluto di benvenuto ed ai suoi genitori presentiamo le nostre vive felicitazioni.
offerte pervenuteci in questa settimana e ringraziamo i sottoscrittori.
Si sta ormai rapidamente avvicinando il periodo delle « feste » e
vorremmo veramente che i nostri
lettori, prima di accingersi a fare
un regalo, sia « affettivo » che « utilitaristico » che, tante volte, dopo
breve tempo, viene del tutto obliato, pensassero con cosciente e cristiana responsabilità al gravissimo
problema della fame del mondo, impegnandosi con costanza e periodicità a questo riguardo.
Vi ricordiamo ancora che le offerte vanno possibilmente inviate al
conto corr. postale n. 2/39878 intestato a questo unico scopo a Roberto Peyrot, C.so Moncalieri 70 10133 Torino.
iiiiiiiimuiimiiMiiiiiliiKmimimMiiilMliliiiMmiiMiiimimimiiiiimiiiiiiiiiiiii
iiimiiitiiiiiniiiiiiiiimmimi
iiiiMimiiiiiuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiimiiiiiiiiiiiiiitiiiiimiimmiiimiiiiiMiiiMiiiiimmiiiiuiiiiiiimiiiiiimiiiiiMiiiKmimiiiiiimiiiiimii
Studenti di Torre Pellice nel Biellese
Una ventina di giovani di Torre Pellice,
dietro iniziativa del Movimento Cristiano
Studenti e del Movimento Studentesco del
Collegio, ha recato per una settimana il suo
aiuto alle zone alluvionate del Biellese.
In Valle Strona (la parte più colpita) il
gruppo s’è unito alle centinaia di volontari
che facevano capo al « Soccorso rosso », organizzazione creata dai quadri del Movimento
Studentesco affluiti da ogni parte d’Italia,
con l’intento di lavorare ■ in base a precise
scelte sociali e politiche. Gli studenti di Torre Pellice cioè, non si sono limitati a spalare per spalare, ma hanno ponderato bene
il peso e il contenuto della loro opera nel
quadro generale in cui essa avveniva. Una
cosa è, ad esempio, levare il fango dal garage
del proprietario di una Mereedes, un’altra
soccorrere i senza-tetto o aiutare a riattivare
una fabbrica.
Il Centro di coordinamento di Cessato ha
inviato i nostri a Simone, una frazione alluvionata di Valle Mosso. Oltre a dare il loro
contributo per liberare la strada dalle frane,
aggiustare l’acquedotto, ricostruire i muri
pericolanti, essi hanno preso contatti con la
popolazione, han girato per le case portando
medicinali, si sono interessati ai problemi
urgenti, cercando di affrettare l’intervento
del Comune con squadre specializzate, ruspe
e attrezzi. Lavoro positivo che sta ora dando i suoi frutti.
In seguito molti si son divisi nelle fabbriche danneggiate di Valle Mosso (in Valle
Strona le fabbriche interamente o parzialmente distrutte sono circa cento), spalando
fango e allacciando rapporti con gli operai.
Come si sa, le « Fasce rosse » (nome nato dal
distintivo che i volontari del Movimento
Studentesco portavano al braccio come lasciapassare per i blocchi stradali durante il coprifuoco nei tem|ri di emergenza), dopo la
prima settimana di soccorsi, incontrarono
difficoltà a entrari nelle fabbriche. Essi infatti non s'. limita\ ano a spalare, come i boy.
scouts e i membri della Pontificia Opera Assistenza, ma si interessavano ai problemi degli operai, discutevano con loro sul futuro,
stringevano legami di amicizia e a volte organizzavano incontri dopo il lavoro, anche
tra operai di fabi riche diverse. Questo non
è piaciuto ai padroni. Finché si aiuta, va bene, ma quando si paffa con gli operai della
loro situazione dìsastrósa e ci si informa se
vengono pagati e s:- in seguito non avverranno licenziamenti, ailora è meglio ritardare la
riattivazione delle industrie, piuttosto di correre :1 rischio di \ed«e un giorno gli studenti che spalavano appoggiare gli operai
nelle loro rivendicazioni.
Il gruppo di To're Pellice riuscì a infil
trarsi in un’azienda « inaccessibile » con i
boy-scouts e iniziò un’azione di contatto con
gli operai, facilitato anche dal fatto che non
essendo « sospetti », questi studenti potevano
1 beramente lavorare al loro fianco e pranzare con loro. Azione che ora è maturata e
si è estesa, al punto che più volte alla settimana avvengono assemblee generali di operai e studenti per decidere la linea di azione
comune da seguire. ^
I principali problemi di cui si discute sono: cassa integrazione (l’80% dei salari che
il Governo ha promesso), i premi di 800 lire
giornaliere concessi dai padroni a chi ha spa.
Iato fango per tre settimane e continua tuttora a farlo, assistenza, necessità di ricostruire le fabbriche sul luogo e rifiuto dei
licenziamenti futuri.
Oltre a questo intervento, aleune ragazze
hanno prestato il loro valido aiuto in infermeria e alla mensa, con lodevole capacità
di adattamento. Purtroppo la scuola ha richiamato indietro gli studenti. E anche quelli di Torre sono dovuti partire.
A Valle Mosso si è rimasti in pochi. Ma
il lavoro procede bene e andrà avanti finché
tutte le fabbriche non riprenderanno a funz'onare alle condizioni che gli operai con
l’aiuto degli studenti avranno ottenuto.
Erica Scroppo
Come certo i lettori ricorderanno,
abbiamo già versato la somma di
L. 1 milione c.a. per il Biafra, mentre ora stiamo accantonando una
nuova cifra per offrire la nostra contribuzione ad un’opera sociale. Nei
nostri conteggi, d’ora innanzi, non
terremo perciò più conto della suddetta cifra, ma di quanto effettivamente disponibile.
Da Torino: E. P. 10.000; Maria Bellina
Vicentini 500; fam. Ignazio Botta 2 000:
L. e G. C. 10.000.
Da Ferrerò: La Scuola domenicale 5.000.
Da Saranno: Bruno Martini 2.000.
Totale L. 29.500. In cassa L. 344.096.
Pubblichiamo qui sotto le nuove
PRAMOLLO
Il 12 ottobre u. s. si sono sposati BertaJot
Laura (Allieri) e Jayme Cesare (Pragelato)
ed il 16 novembre Bertalot Fulvia (Pellenchi) e Broglia Siro Paolo (Inverso Pinasca).
Rinnoviamo a questi sposi il nostro fraterno
augurio nel Signore.
Domenica pomeriggio 20 ottobre ha avuto
luogo il funerale della piccola Miriam Peyrot, tolta ai suoi genitori poco dopo aver
aperto gli occhi alla luce di questa esistenza.
Ai genitori ed ai familiari esprimiamo ancora la nostra cristiana simpatia.
Un gruppo deirUnione Femminile della
Chiesa di San Giovanni, guidato dalla sua
Presidente sig.na Alilo, è stato in mez? > a
noi domen'ca 27 ottobre. Dopo aver pariecipato con noi al culto, ci siamo ritrovati noi
pomeriggio nella sala delle attività per .ma
riunione fraterna. Mentre ringraziamo queste
sorelle ed il Pastore sig. Bogo per la loro vis ta ci auguriamo di rivederci quanto prima.
Il segno del battesimo è stato posto domenica 17 novembre su Balmas Elena Gisella
di Silvio e di Sappè Enrica (Ruata - Gondini). Il Signore accompagni con la sua grazia
questa bambina ed i suoi famìl'ari.
Il 21 novembre si sono svolti i funerali
della sorella Andrion Maddalena ved. Long
(Ciotti), di anni 88. Ai familiari rinnoviamo
Lespressione della nostra fraterna simpatia.
Sabato sera, 22 c. m„ i giovani deirUnione hanno accolto i giovani deH’Unione di
S. Secondo, accompagnati dal loro Pastore.
Ringraziamo questi amici e diciamo loro
« arrivederci ».
I LETTORI CI CjE SI > S C R I Y ONO
Testimonianza
Una lettrice, da Ivrea:
Caro direttore,
due parole circa il tempio di Villa» Perosa. Da molti interventi apparsi su « L’Eeo-Luce » ho captato
molte volte il termine « testimonianza ». Allora vorrei riflettere con i let.
tori sul valore di questa parola applicata alla costruzione di un tempio a
Villa». Si dice che lo si fa perchè
renderà testimonianza. A chi?
Ai cattolici villaresi od agli estranei che transitano sulla statale del
Sestrières in lussuose auto sportive
con gli sci sul tetto? Certo può essere
simpatico offrire a loro la vista di
una bella costruzione sacra, e forse,
visto il tipo di testimonianza, si giungerà a lasciar aperta la porta tutto il
g-orno affinchè lo si possa veder tutto
per bene, anche all’interno. Così si
testimonia della bellezza di una costruzione o della bravura dei nostri
architetti valdesi. Quindi, benissimo
il tempio, il più beUo (dentro e fuori)
possibile, il più caro possibile.
Oppure si vuole testimoniare alla
comunità? Quale migliore iesiimonianza di un sacrificio finanziarlo atto a far sorgere sì gran monumento
alla testimonianza? Ma per quanto la
comunità sia commossa da questa esigenza e partecipi, occorrono molti soldi. Quindi il procurarseli diventa anche testimonianza. Si va da chi li
possiede (inutile indagare sulle spalle
di chi se li è fatti), si fa in modo che
si sappia di questa grande esigenza,
si fa loro la corte, si canta e si suonano le trombe.
E si testimonia. Di che? a che cosa?
Al denaro, al prestigio, alla dignità, al non essere da meno degli altri.
Allora, benissimo il tempio.
Ma ss per testimonianza intendiamo testimonianza a Cristo, allora la
cosa cambia aspetto. Pensiamoci tutti
insieme. Perchè non è solo la comunità di Villa» che lo deve fare (o le
poche persone che vogliono il tempio) ma tutti noi, popolo valdese. Si
tratta della nostra testimonianza di
fronte al mondo, di un Cristo povero,
volutamente povero, che ci pone in
crisi ogni giorno.
Noi dobbiamo confrontare ogni
giorno le nostre scelte con il Cristo,
oppure smettere di dichiararci credenti e dire semplicemente di essere
persone che seguono una certa tradizione, una certa religione.
Anche a noi verrà chiesto : o che
cosa hai fatto per rendermi testimonianza? ». E non credo che potremo
semplicemente rispondere: «Un tempio ». Dì qualsiasi tipo esso sia.
Carla Beux Longo
C’è sempre
da imparare
Caro direttore,
il dibattito sulla opportunità o meno di costruire un Tempio a Villa»
Perosa è stato abbastanza ampio e prò.
babUmente c’è nulla o poco da aggiungere. Abbiamo letto di tutto :
dall’articolo iniziale nel quale alcune
considerazioni giuste nel fondo erano
maldestramente sciupate con un attacco personale violento e in molti
punti ingiusto verso il Pastore, a
schieramenti prò o contro con argomentazioni non sempre pertinenti, con
botte e risposte e battute di spirito a
volte di pessimo gusto, fino all’articolo
equilibrato, ragionevole, centrato del
Pastore SoneUi.
Mi pare che egli abbia riportato il
problema nei termini esatti nei quali
doveva essere posto, e che lo abbia fatto con chiarezza e soprattutto con
quel tono e con quello spirito fraterno al quale dovrebbero essere sempre
improntati i nostri dibattiti. Per questo desidero ringraziarlo sinceramente.
Giustamente egli ha detto che non
possiamo imporre alla comunità di
Villar Perosa una linea della quale
essa non è ancora convinta, e io sotto,
lineerei ancora che non glie la possiamo imporre anche perchè abbiamo
cattiva coscienza, in quanto questa linea non l'abbiamo imposta ad altre
comunità che, nel recente passato e
ancora in questi ultimi tempi, abbiamo dotate di Templi secondo lo stile
trad'z'onale. I membri della comunità
di Villar Perosa queste cose le sanno,
ed anche se non conoscono i motivi
particolari per cui, di volta in volta,
a seconda delle situazioni locali, la
Tavola ha dovuto procedere secondo
la linea tradizionale, non riescono a
capire perchè da questa via debba
scostarsi soltanto Villar Perosa, e questo proprio nel momento nel quale
vedono la possibilità di realizzare il
loro sogno senza essere di aggravio a
nessuno.
Quindi n'ents imposizione. Ma come dice il Pastore Sonelli. richiesta
fraterna di cogliere l’opportunità di
essere « segno e modello alle altre comunità » della via nuova che aneora
non è stata attuata, questo si. Orbene
questo è precisamente quanto la Tavola ha cercato di fare non solo con
richieste fraterne, ma anche con pressioni fraterne, al di là delle quali non
poteva andare. Ancora al principio
dell’estate .scorsa, due membri della
Tavola hanno presentato le loro argomentazioni a una assemblea di Chiesa di Villar Perosa, cercando di far
capire a quei fratelli la responsabilità
che si assumevano, ma la votaz’one
che ne segui, a schede segrete, li con.
vinse che essi erano determinati a seguire la loro via, certi di riuscire a
farsi non soltanto il Tempio, ma anche quel centro comunitario che sta
loro a cuore quanto a noi.
Stando le cose a questo punto, un
ripensamento non appare probabile. È
più probabile che il Tempio sarà costruito sulla loro responsabilità, ma
sotto la sorveglianza e il controllo della Tavola, la quale vigilerà a che non
si faccia una cattedrale (che non è
del resto nelle loro intenzioni), ma
una costruzione sobria, più adeguata
di quella di cui dispongono attualmente e più rispondente alle attività
già in atto in loco.
Questo non dovrebbe voler dire che
la chiarificazione avvenuta attraverso
Il dibattito sia stata assolutamente
inutile. È avvenuta un po’ in ritardo
per i fratelli di Villar Perosa, e cioè
quando essi vedono ormai il traguardo vic’no ed è per loro molto arduo
fermarsi, ma non sarà più in ritardo
per i progetti a venire. Le cose che
sono state scritte, quelle serie, meditate, quelle di fondo, non dovrebbero
essere dimenticate da nessuno.
Achille Deodato
VMIar Penosa
anno zero
La tormenta giornaUstica che da
qualche settimana si è abbattuta sulla comunità d| Villar Perosa non era
prevista. Nessuna meraviglia perciò
se ha recato qualche emozione a Chiesa e Pastore. Essi ne hanno seguito le
raffiche ricordando il detto Paolino :
« Tutte le cose cooperano al bene di
eoloro che amano Iddio » e, con questo spirito, chiedono ora licenza di
poter dire una parola di conclusione
all’ormai lungo dibattito.
Anzitutto: un r.ngraziamento a coloro che ci hanno sostenuti con la
loro solidarietà : al Concistoro, alla
Comunità locale e a tutti coloro che
hanno preso la penna per noi.
Quindi : un invito agli oppositori.
Nella quasi totalità (8 su 9) essi sono
estranei all’ambiente villarese e non
possono averne una piena comprensione. Li invitiamo a venirci a trovare : faremo loro toccar con mano ogni
cosa c al momento del commiato ci accorgeremo dalle due parti di poter
contare sopra un nuovo amico.
Una r.sposta fraterna a coloro i cui
scritti sono stati posti in particolare
rilievo dal Direttore dell'« Eco-Luce » :
All’amico Pastore Giorgio Toum.
Grazie per il tuo scritto sulla Chiesa
nel Deserto. Hai detto cose che condivìdiamo anche noi. L’unico rilievo
nostro concerne la parola « Deserto »
che si può intendere in modi diversi :
da noi, l’immensa fabbrica dove tremila uomini lavorano fianco a fianco,
come se fossero delle macchine, è
spesso un arido scottante deserto. Ma
i i « Deserto » può farsi talvolta ancora più squallido quando penetra nelle
comunità. Tu hai letto certamente il
resoconto deUa Conferenza Distrettuale di Sicilia in Adelfia (Eco-Luce 45).
Dopo il sunto di penose discussioni,
leggi questa conclusione : « La Conierenza terminò all’ora tale senza can.
'o e senza preghiera, come oggi si
lisa ». Non v’è forse un « Deserto »
qui?
Noi di Villar Perosa non ci illudiamo di poter combattere il « Deserto »
con la costruzione di un tempio, ma
oi studiamo di farlo predicando l’amore di Cristo. Abbiamo predicato
I amore tra le varie classi sociali e
[lerslno verso... i Tedeschi ed è stato
l'iìi difficile che costruire un tempio;
ma quando qualche volta ci siamo
riusciti, abbiamo fatto esperienze meravigliose : quando li abbiamo visti
insieme ed amici e abbiamo notato
al momento del commiato, delle lacrime sgorgare da una parte e dall’altra, abbiamo capito che quello era
Tincenso migliore per un tempio di
Dio.
All'amico Pastore Gino Conte. Pienamente d’accordo con la conclusione
del tuo scritto sul N. 46 dell’« EcoLuce », che parla del tempio come di
un semplice « strumento » per il servizio del Signore. Permettimi tuttavia
di invitarti — come Direttore del giornale che ci ha chiamati in causa —
a Villar Perosa in occasione del prossimo « Raduno Trombettieri ». Tu ci
offrirai una predicazione e noi ne offriremo una a te, mostrandoti i nostri strumenti dotati quasi tutti di
voci diverse che possono, quando suonano, ovvero produrre pietose stonature, ovvero edificanti armonie. E ti
diremo che un giornale può esser fonte di edificanti armonie, oppure di
battibecchi demolitori. È quasi come
un organo e il Direttore ha la respon.
sabilità di fungere da organista.
All’amico Pastore Alfredo Sonelli.
II tuo invito ad essere dei battistrada
per mostrare alla Chiesa tutta come
si possa predicare l’Evangelo in luoghi diversi da quelli tradizionali, ci
ha commossi e quasi inorgogliti. Abbi
però pazienza, se non possiamo farlo
nel modo proposto da te: nessuno meglio di noi può conoscere le nostre esigenze e noi ci comportiamo come ci
impongono dei motivi di forza maggiore. Siamo però pienamente concordi sul fatto che qualunque luogo dove
due o tre si riuniscono nel nome del
Signore sia un tempio e siamo sempre pront: a far le spese di simili
esperiment'. Ogni tanto, per questo o
quel motivo, celebriamo ancora adesso dei culti negli alberghi locali oppure presso famiglie private e diamo
anche, talvolta, la nostra testimonianza a centina’a di operai. Recentemente, abbiamo iniziato delle riunioni in
una bella stalla moderna, dove accanto a 15-20 mucche, possono riunirsi
quasi una cinquantina di persone, se- i
dute sulla paglia, sulle panche, su j
qualche sed a portata dai vicini. Il
risultato è stato soddisfacente, speriamo di tornarci ancora, e ci duole sol- [
tanto che in altri quartieri del Villar, j
non ci sia possibile di trovare neppure una stalla dove predicare, pregare ^
e cantare... Possiamo invitarti a venire una sera a predicare in questa
nostra stalla? Troverai un ambiente
ben diverso dal tuo splendido tempio
di Torre Pellice, ma ti convincerai
che in fondo siamo concordi e che
una medesima ans'età di servizio del
Signore palpita nei nostri cuori.
Anno zero...
Per quel che concerne la mia chiesa,
non posso accettare questa sentenza e
la respingo. Certo nessuna Chiesa è
perfetta, e neppure quella di Villar
Perosa, anche se io l’amo con tutto
il mio cuore. Tuttavia io sono testimone dinanzi a Dio che in essa vi
sono molte anime sincere, che si studiano di amare il Signore con tutto
il loro cuore e che mi sono di esempio. Per riguardo a queste anime non
si può e non si deve dire : « anno
zero ».
Per quel che mi concerne personalmente, invece, accetto la sentenza, anche se dura. Faccio mie quelle parole
con le quali Calvino prendeva commiato dai suoi colleghi, e che mi son
sempre apparse come un ideale di sincerità : « Ho avuto molte infermità
ed anche quello che ho fatto non è
servito a nulla... Tuttavia il timore
e l’amore del Signore furono nel mio
cuore... Mi si perdoni il male e se
qualche bene ho fatto, lo si imiti ». In
questo spirito ripeto anche per me le
parole consigliate da Gesù : « Sono
stato un servo disutile ».
Tutte le cose cooperano al bene...
Non so perchè, ma ho come il presentimento che dal patema d’animo
sofferto dalla mia Chiesa per sei settimane, debba nascere qualche grande benedizione. Voglia avere la bontà, il lettore, di consentirmi una parentesi quasi prosaica.
Il sottofondo del nostro problema —
come di tanti altri — è di natura economica. Si è temuto da molte parti
di essere coinvolti in una impresa catastrofica. Non è vero.
Il costo del nostro tempio sarà incredibilmente basso, perchè osserveremo una semplicità francescana e perchè, Architetto e Costruttore ci hanno generosamente promesso di intendere rinunziare a quasi tutto il loro
guadagno. Disponiamo già di qualche
milione raccoltoci da amici e facciamo assegnamento sul lascito di una
nostra cara Sorella in fede. Anche la
comunità locale farà ancora qualche
offerta e, se non succedono guai imprevisti, il nostro tempio dovrebbe
cosi ricevere quanto bisogna.
Rimane aperto il problema della
costruzione del presbiterio e dei locali
per le attività sociali. Qui, la Provvidenza divina ci ha offerto un terreno
ad hoc, splendido e centrale. Resta
solo più la preoccupazione di costruire e qui, pur facendo assegnamento
su un grande sforzo della nostra comunità, resta qualche preoccupazione.
Facevamo particolare assegnamento
sull'aiuto delle Società Gustavo Adolfo di Germania il cui Presidente, il
caro Dr. Oberkirchenrath Jungbluth
il giorno 14-9-1968, accompagnato da
35 collcghi, ci aveva promesso in Villar Perosa l’aiuto massiccio delle predette associazioni, non appena la Tavola ne avesse concesso il benestare.
Ora, son due mesi, nel corso di una
seduta, il Signore lo ha improvvisamente richiamato a Sè... Il colpo è
grave per noi, ma non dubitiamo che
un momento o l’altro le Soc. Gustavo
Adolfo di Germania manterranno ancora la sua promessa.
Dopo la tormenta...
Comunque il Signore ci aiuterà c
qui, ci sembra che dopo la « tormeii
ta » che si è abbattuta sul nostro capo ci sentiamo autorizzati a rivolgere
un appello a tutte le Chiese Valdesi
e a tutti i nostri Fratelli in Cristo affinchè, dopo aver risposto agli appelli
della Tavola e dopo aver soddisfatto
alle necessità delle proprie comunità,
vogliamo vedere se possono ancora
fare un p’ccolo sforzo per noi. Nel
mezzo della crisi attuale, sarebbe come un miracolo di liberalità. Ma la
Chiesa ha sempre saputo fare di questi miracoli e tutto quanto è stato
fatto tra noi fino a questo momento
è stato come una catena di miracoli
e di esaudimenti.
Sarebbe come una splendida conclusione alle pesanti polemiche dei
giorni scorsi.
Quanto a me, ed anche a nome del.
la mia Chiesa, prendo commiato, p”*
ora, dai cari Lettori e ringrazio tutti,
Amici ed Oppositori, di averci prestato un momento la loro attenzione
e, su tutti, invoco la benedizione del
Signore.
Enrico Geymet
d dispiace molto che, dopo tutto
quanto è stato scritto, il post. Geymet
non abbia compreso che il sottofondo
di tutta la questione NON è un problema economico. Comunque, chi ha
avuto orecchie, ha udito. Ora chiudiamo il dossier.
5
29 novembre 1900 — N
pag. 5
UNA PAGIISA POCO NOTA DELLA STORIA DELL'EVANGELIZZAZIOÌSE IN ITALIA
1818 - Il Cinquantenario della Chiesa Valdese di Trieste -1868
Le corrispondenze ed i Rapporti dei
pastori che per primi hanno lavorato
a Trieste, ci offrono un materiale di
prima in ano che ci trasporta in un
temp , d in una situazione particolaV. :! momento della transizione dal
; 'verno austriaco all’annessione all’Italia.
Bisogna anche tener conto della situazione dei protestaritesimo in quel
contesto storico e della particolare sensibilità in seno alla chiesa valdese.
Quando i valdesi si preparano ad inviare un pastore a Trieste, il protestantesimo era già ben noto in città:
la chiesa di confessione elvetica e quella luterana, ambedue di lingua tedesca, svolgevano la loro attività fin dalla metà del ’700. La chiesa anglicana
raggruppava le persone di lingua inglesi:. Dalla fine deH’800 è presente anche una chiesa di lingua italiana; la
chiesa metodista episcopale che dipendeva da una missione estera e lavorava intensamente nell’ambito della propria comunità.
Già molto tempo prima dell’annessione di Trieste all’Italia era stato
rivolto un appello al pastore Matteo
Prochet, presidente del Comitato di
Evangelizzazione, perchè la chiesa valdese fosse presente in quella città. Di
poi la pi d old iti evangelici
di lingua iiauai:;i. la previsione di spostamenti d one (funzionari,
commerciant ficava sempre
di più la p Ila sola chiesa
:r.-;ti>ge!ic ? si diceva in
(luci Irmpo.
L’idea di inviare, ai tini presto, un
pastore a Trieste e ratore Er
ncv .r, Giampiccoi perto alle
avventure della i I deve purtroppo limitarsi r re ndea: l’at
tende una missimie m America che lo
terrà impegnato per aiversi mesi.
Riceve l’invito a partire per Trieste
il pastore Francesco Rostan che risiedeva a Siena ed era membro della
Tavola Valdese. Egli ha il compito di
<; gettare le basi per una eventuale
r-nngregazione valdese ». Il Rostan non
parte a cuor leggero, sembra, anzi in
un primo tempo, non voler correre
a\ venture e non nasconde le sue pterpii ssTà in presenza di un compito
difìlciie e delicato: non crediamo di
errare affermando che proprio la coscienza dei suoi limiti, la serietà e
l’impegno nel lavoro, una chiara vocazione che lo sostiene e lo ispira, lo
aiuteranno a portare a buon fine l’opera che gli è stata affidata. Egli parte
per Trieste, all’età di 63 anni, sapendo
di dover affrontare un viaggio disastroso, in precarie condizioni di sarute,
con una situazione familiare molto
penosa. Egli scrive infatti « parto non
senza trepidazione. Si tratta di un lavoro completamente nuovo e di Qualche delicatezze... lascio mio figlio Emilio a Livorno a!)’ospedale ove si trova
da 5.5 giorni inchiodato nel letto e ne
avrà ancora per chissà quanto. Lunedi ebbe pure ii dolore di perdere la
sua giovane m<-glie »... A ragione il
vii .. -moderatore, parlando di lui, lo
definisce « l’uomo del sacrificio ».
Circostanze particolari fanno sì, che
il Rostan, ricevuto il mandato, venga
praticamente abbandonato a se stesso. Una sua corrispondenza lascia trasparire preoccupazione non disgiunta
da amarezza. Egli tuttavia si preoccupa subito di avere le informazioni del
t a.so che gli permettano in qualche
m-id ' d iniziare il suo lavoro. Entra
i" contatto con la sola famiglia di origine valdese stabilita in città: quella
del prof, Giosuè Vinay, originario delle Valli Valdesi, insegnante di lingua
italiana presso le scuole evangeliche
della città. Le sue prime lettere portano appunto l’indicazione « dal prof.
G. Vinay » che abitava in via Rossetti 20.
In data 11 dicembre 1918 così egli
scrive al vice-moderatore, Carlo Alberto Tron, per fargli una prima relazione sul lavoro già svolto ; « Dopo un
lungo viaggio faticosissimo e varie pe■ nelle quali non è il caso di en. . giunsi a Trieste venerdì dopopra VI B volgente mese. Aiutato dal
prof, Vinay, che merita tutta la nostra
riconoscenza, lunedt mattina mi misi
al lavoro andando di qua e di là a
visitare gli amici ed i simpatizzanti...
La mia prima visita a Trieste è stata
ai sig. Felice Dardi, pastore della chiesa metodista episcopale che mi fece
buona accoglienza, la seconda al pastore della chiesa svizzera il sig. Sca
laudek, il quale mise avanti l’idea che
rei potuto approfflttare del suo loca1; culto. In seguito alla manifestazi ; - ' :ìi questa idea parlai questa mattina gl vicecuratore della chiesa il
quale mi accolse gentilmente e dice
che presenterà la mia domanda ai
suoi copresbiteri. Credo che la risposta sarà affermativa. Il locale è in posizione centrale, a 5 minuti di distanza dalla chiesa di S. Giusto ma nella
parte vecchia di Trieste »...
Una seconda comunicazione al vice
moderatore, in data 20 dicembre, informa che gli svizzeri sono pronti a
mettere a disposizione gratuitamente
la loro chiesa: «il giorno di Natale
comincerò i culti alle 11 e così, per
tutte le domeniche seguenti».
Bisogna precisare che la Basilica di
S Silvestro era temporaneamente
chiusa perchè il pastore elvetico aveva anche assunto la cura della comunità luterana, privata improvvisamente del suo pastore e disorientata a causa degli eventi bellici. Il pastore Scalaudeck predicherà per alcuni anni
nella chiesa luterana di Piazza Evangelica per gli elvetici ed i luterani uniti nella celebrazione del culto domenicale. La Basilica di S. Silvestro essendo dunque disponibile, il pastore
elvetico, con spirito aperto ed ecumenico già in quel lontano 1918, la offriva al pastore valdese perchè venisse
« iniziata un’opera principalmente a
beneficio delle persone di lingua italiana ».
Cosi il pastore Rostan parla del primo culto : « ...presenti più di 60 uditori, quindici dei quali si avvicinarono
alla mensa del Signore. All’uscita si
fece una colletta di 45 corone che rappresenterebbero altrettante Lire italiane se la corona non fosse deprezzata ». La lettera continua con un
sentimento di riconoscenza a Giosuè
Vinay « che non ha fermato il sole come il suo illustre omonimo ma mi ha
accompagnato nella nebbia, nella pioggia e col vento nelle case dei suoi
ex allievi e dei suoi conoscenti. Il pastore Scalaudeck mi ha pure dato una
lista dei membri della sua chiesa che
conoscono poco il tedesco e preferiscono l’italiano. Egli ha pure annunziato
in chiesa la mia venuta ed ha invitato l’elemento italiano a venire da noi.
Meglio di così non avrebbe potuto fare
nell’interesse dell’avanzamento della
buona causa. D’ora innanzi egli si dedicherà unicamente all’elemento tedesco ».
Con la prima domenica di gennaio
il pastore Rostan iniziava pure la
Scuola Domenicale con una quindicina di bambini « senza innari e senza
N. Testamenti perchè i pacchi postali
dairitalia non si possono spedire per
Trieste ». Intanto, come era stato previsto, alcune famiglie valdesi giungono
a Trieste. Il capitano cappellano Eli
Bertalot, un soldato Revel di S. Germano di Chisone, l’ufficiale sig. Long,
un altro valdese della chiesa di Torre
Penice, un membro della chiesa di
Bari, un altro da Livorno e perfino
un funzionario della Prefettura. Dice
il Rostan « non facciamo miracoli ma,
con l’aiuto di Dio faremo qualcosa».
Dopo aver peregrinato in alcune
stanze d’affitto dove aveva sofferto il
freddo, il Rostan si stabilisce in via
-della Fontana 20 presso l’Home International (l’attuale Ospizio Cristiano
della chiesa Luterana) ove gli verrà
largita ogni premura e cortesia dalla
suora direttrice che metterà a sua disposizione il locale per iniziare gli studi biblici settimanali e le lezioni dì
catechismo.
In una lettera del 24 marzo al moderatore egli parla del tempo di
Pasqua: «Il giorno della domenica
delle Palme ricevetti 6 catecumeni;
una catecumena sarà ricevuta in settimana. E’ un’israelita alla quale, dopo un corso di istruzione, amministrai
il Battesimo assieme ai suoi due figlioli; sono già prenotati una quindicina e più di catecumeni ai quali si
aggiungeranno parecchie persone adulte, padri e madri di famiglia che frequentano i nostri culti e mi hanno
manifestato il desiderio dì unirsi alla
chiesa ».
Tuttavia il lavoro non era facile, già
allora l’ignoranza e l’indifferenza religiosa causavano non poche delusioni:
ad esempio parlando dei bambini egli
deve constatare che non sanno nulla
dei racconti biblici. Ad una sua domanda : « chi era Giovanni Battista? »,
un bimbo risponde : « un austriaco ».
Nelle sue visite si era sentito dichiarare da una signora: «vado solo in
chiesa nelle grandi circostanze » e il
pastore di rimando: «spero che verrà
anche nelle piccole ». Un’ altra dichiara di essere andata in chiesa tre volte
soltanto : il giorno del suo matrimonio e quando fece battezzare i suoi
due bambini!
Iniziata l’opera nelle condizioni che
abbiamo visto e con evidenti risultati
positivi, il pastore Rostan lascia Trieste verso la fine di aprile per rientrare
a Siena. Il suo successore, il pastore
Davide Revel, giunge il 20 aprile 1919
e si stabilisce anch’egli in via della
Fontana. Si fermerà a Trieste cinque
mesi.
In una lettera al suo predecessore
egli dice : « ho già potuto constatare
che ella nei mesi che è stato qui ha
compiuto un’opera buona ed ha posto
le fondamenta della nostra chiesa su
basi solide... ».
I mesi della sua permanenza sono
quelli dell’estate c il numero dei partecipanti al culto si era pertanto ridotto ad una trentina.
Egli si spinge anche fino a Fola
ove vede certe pi csibilità di testimonianza.
Si edifica ia conanità
Con il mese di t'i tobre del 1919 viene
inviato un giovane pastore di 30 anni
di origine abruzzese. Egli si fermerà
a Trieste per 29 inni e cioè fino alla
sua elezione a M adaratore nell’autunno del 1948. Il ppstore Guglielmo Del
Pesco è stato colui che, per un trentennio, ha edifici5" la comunità con
un’opera diuturni, paziente e perseverante. La sua multiforme attività nella
chiesa ed in citi à„ validamente coadiuvato dalla sua signora, ha lasciato
un ricordo ancora vivo in tutti coloro che lo hanno i onosciuto e ne hanno apprezzato il ministero.
I pastori Rostan e Revel fecero
un’opera di preparazione: Del Pesco
la consoliderà con un lavoro di ampio
respiro. .¿l
II primo problema da risolvere e che
giustamente lo pr^ccupa, è la riapertura delle scuole evangeliche. Si reca
ripetutamente dalle autorità, fa dei
sondaggi ovunque e finalmente può
scrivere al Moderatore in questi termini : « ai tedeschi evangelici come
agli slavi non sarà permesso la riapertura delle loro scuole private a meno
che non trasformino i loro programmi
in programmi prettamente italiani...
le autorità sono ben disposte verso di
noi, ma naturalmente ci concederanno l’autorizzazione ad aprire le scuole solo quando, ricevuta una nostra
domanda ufficiale in proposito, avranno preso visione del nostro programma, dell’elenco degli insegnanti, dello
stato dei locali, del materiale scolastico, del numero degli iscritti...».
Infatti nel 1918 le Scuole Evangeliche avevano chiuso la loro attività
con 275 alunni di cui 98 ragazzi e 177
ragazze che, dal punto di vista confessionale, si suddividevano come se
VUa Rvanqelica nnlla Trifístfí d’ngqi
Significato e valore delle tensioni
li tempo delia ripresa autunnale è stato
caratterizzato da uno spTito di ricerca nsll’impostare l'attività comunitaria liasandola
principalmente sull'opportunitá del dialojío
fra i credenti intorno ai problemi che oggi
ci preoccupano maggiormente: indifferenza
rel'giosa. contestazione giovanile, la fame nel
mondo, riforma del culto eoe.
Si è cercalo di promuovere alcune attività
nuove e, per quanto riguarda quelle già esistenti, allargarne la partecipazione ad una
più vasta cerchia di persone impegnate.
Al culto della ripresa, la domenica 13 ottobre, pre.sent; gli alunni della S.D. ed i catecnnienl, la lettura della Bibbia è stata affidata ad un alunno della S. D. e ad una
eateenmena. Si sono di poi susseguiti cinque
culti a carattere speciale nel corso dei quali
lutti i membri di chiesa sono stati invitati
a prendere la parola sia per un'elaborazione
comunitaria del testo comunicato in precedenza. sia per dare il proprio apporto sui vari
problemi della chiesa: tentativo, quest'ultimo. di sostituzione delle tradizionali assemblee di chiesa, sempre frequentate in modo
poco incoraggiante e che è stato senz’altro
giudicato positivo.
La sera del 15 novembre una tavola rotonda, organizzata su piano interdenominazionale, ed avente come tema : « il valore ed
il signifícalo delle tensioni e dei dissensi di
oggi » diede la possibilità a cinque membri
delle nostre comunità (due studenti universitari, una madre di famiglia, un professore
di università « uno delle scuole medie) di
presentare l'argomento secondo il proprio
punto di vista, mentre il pastore fungeva da
coordinatore. 1 vari interventi sono stati seguiti con viva attenzione dai partecipanti e
e si c quindi avuto uno scambio di idee proficuo e chiarificatore.
Partendo dalla conte-staziout- giovanile ed
in particolare da quella verilicalasi al Sinodo
valdese, mollo opportunamente è stato posto
l'accento sul vuoto teologico che sembra essere alla base del disorientamento e della
confusione che caratterizzano il nostro temJK). Si è parlato del silenzio ,|i Lio e ci si
è chiesto: silenzio di Dio o sordità umana?
Non è forse sordità umana l'indifferenza, ed
il conformismo di molti cristiani di nome
(genitori, padroni, insegnanti, operai ecc.)
che con il loro esempio non sono riusciti a
persuadere le giovani generazioni c ad essere
per loro una vivente testimonianza di fede?
E' stala tuttavia anche mollo opportuna
l'analisi dei condizionamenti, tecnologico' e
psicologico, elle sono alla base della nostra
alienazione e provocano pertanlo la contestazione globale nelle sue Svariate manifestazioni.
Che i membri delle nostre comunità siano
stati sensibilizzati nei confronti di tali problemi non è certo un fatto negativo.
Infine siamo stati richiamali ad uno sparito di carità nel confronti del prossimo, sia
egli giovane o anziano, progressista o conservatore, introverso od estroverso; spirito di
carità che ci illumina sulla realtà delle nostre verità sempre limitate e portando soggette a revisione, pronte anche esse a lasciar,
si contestare alla luce della verità di Cristo.
Dubbia c poco convincente è stata pertanto
definita la formula: dalla realtà alla verità.
Siamo particolarmente grati perchè questo
richiamo ci è venuto da un uomo di scienza.
L'incontro è certamente servito a sdrammatizzare la situazione delle nostre chiese e
aiutarci a vivere anche nel dissenso quando
esso proviene da una sincera ricerca di testimonianza della nostra fede.
gue: 114 augustani, 38 elvetici, 105 cattolici, 2 greci, 14 israeliti e 2 senza religione.
Dopo varie peripezie quelle scuole
potranno riaprirsi e compiere ancora,
per un certo numero di anni, un’attività molto apprezzata.
Il pastore Del Pesco intanto imposta
un preciso programma di lavoro : riorganizza le attività ecclesiastiche, fa
inserire annunzi speciali sui quotidiani, invita tutti alla collaborazione. Coi
primi di dicembre viene iniziato un
esercìzio di canto e gli studi biblici
settimanali in via della Fontana. La
suora direttrice dello Home International mette a disposizione « la sua
bella sala di riunione, il suo harmonium ed il suo gaz». La Scuola domenicale si apre il 4 dicembre con 25
iscritti, le lezione di catechismo hanno luogo in casa del pastore. I primi
incoraggiamenti non si fanno attendere: il 17 novembre in una sua corrispondenza parla dell’aumento degli
uditori ai culti e dell’ammontare delle
offerte. Entrambi rivelano un impulso nuovo: dai 26 uditori della domenica 5 ottobre ai 75 della domenica 16
novembre e le collette hanno triplicato. Il culto di Natale registrerà 120
presenti.
Del Pesco non si limita ad occuparsi di Trieste ma si reca anche a Piume
ed Abbazia per celebrarvi i primi culti in lingua italiana. Le comunità evangeliche di quelle città vivono un
tempo molto diflBcile.
Dopo aver ricevuto la visita del Moderatore la chiesa viene ufficialmente
costituita in data 20 giugno ed annovera 56 membri comunicanti. Il primo
Consiglio di chiesa, presieduto dal pastore è composto da Paolo Hermann,
anziano e tesoriere, Giosuè 'Vinay, anziano, Augusto Fischetti e Francesco
Loprieno, diaconi.
In data 6 dicembre 1921 la comunità è finalmente inserita neU’ordinamento valdese ed incorporata nel
II Distretto.
Il presbiterio elvetico aveva concesso ai valdesi l’uso gratuito della loro
Basilica fino alla prima domenica di
ottobre del 1923, quando cioè il pastore Scalaudeck, finita la sua missione
presso la chiesa luterana, sarebbe tornato a presiedere i culti nella sua
chiesa. Ma il pastore elvetico è ormai
anziano e deve limitare progressivamente la sua attività. Il pastore Del
Pesco lo coadiuva fino a quando, nella
primavera del 1925, sopravviene la fine, dopo più di 36 anni di ministero
a Trieste.
Si pone allora alla comunità elvetica il problema della successione pastorale. Perchè andare a cercare un
pastore lontano e difficile a trovarsi
dato che ormai dovrebbe essere di lingua italiana, quando il pastore valdese è già praticamente il pastore degli
elvetici? Egli è conosciuto ed apprezzato da tutti; «basta mettere in comune quello che abbiamo gli uni e gli
altri... » Infatti nel 1927 viene stipulata una Convenzione tra il presbiterio
elvetico e la Tavola nel senso che le
comunità restano distinte soltanto
dal punto di vista amministrativo. Ci
si avvia così, verso una più grande collaborazione sul piano comunitario con
i culti in comune, con riunioni congiunte dei responsabili, istruzione religiosa e catechistica non più disgiunte. Seguiranno quindi varie attività a
carattere sociale e di studio in comune.
« «
Se abbiamo ricordato il cinquantenario della fondazione della comunità
valdese di Trieste non è certamente
per attardarci sul passato; la chiesa
non può vivere di tradizioni. Però il
passato non può essere dimenticato.
Dimenticare il passato ci fa correre
il grave rischio di diventare schiavi del
presente, è stato detto autorevolmente. Il presente, sotto tanti aspetti, non
è molto glorioso per la chiesa: tempo
di secolarizzazione e di benessere, di
indifferenza per le cose dello spirito
e di ateismo. I grandi problemi del
nostro tempo sono Et dinanzi a noi,
spesso insoluti e con una forte carica
di preoccupazioni e di ansietà.
Che ne sarà dell’attuale generazione
di credenti?
Le chiese saranno chiamate a vivere
nella solitudine, con un numero sempre più ristretto di fedeli ma realmente impegnati e coerenti che saranno
come un lievito nella pasta, oppure
nuovi cataclismi si abbatteranno ancora sull’umanità per insegnare a tutti gli uomini la via del ravvedimento
e quindi della speranza?
Ci sembra che un nuovo impegno,
nella linea del passato di cui abbiamo parlato, debba essere preso da tutti i membri delle nostre comunità e
che è stato un impegno di solidarietà
fra alcune chiese evangeliche. La chiesa di confessione elvetica e la chiesa
luterana di Trieste hanno aiutato, con
la loro collaborazione fattiva, la dovane chiesa valdese a muovere i primi
passi; mezzo secolo fa questo non
avveniva frequentemente.
Il passato ci insegna come far rifiorire veramente « la comunione dei
santi» secondo le forme e le esigenze
del tempo in cui viviamo e ci permetterà, se siamo fedeli, di compiere «un
nuovo grande gesto di sfida verso il
futuro ».
Umberto Beri
CorneliD Rosati
Alcuni amici e fratelli in Cristo comunicano la sua dipartenza avvenuta a Tirrenia
il 4 settembre u. s. Credente impegnato e
consacrato ovunque possibile al servizio del
Signore e dei fratelli, lascia dietro a sè un
sincero cordoglio. Educato alla scuola del
padre, l’Anziano Evangelista Diodati Rosati,
uomo di forte cultura e di fede vivente, si
studiò fino all’ultimo di riprodurre nella sua
vita quello spirito di servizio e di disponibiJità che aveva imparato dal genitore.
Mandiamo alla sua memoria un saluto
fraterno domandando a Dio di voler susc'tare nella nostra Chiesa molte altre famiglie
simili a quella che ebbe come capostipite
l’Evangelista Diodati Rosati.
E. G.
RINGRAZIAMENTO
Le famiglie Jahier e Rochon sentitamente commosse per l’indimenticabile testimonianza di affetto e di
amicizia dimostrata in occasione della
dipartenza della loro Cara
Mad(dalena Arudrion
. Long
V
ringraziano tutti coloro i quali con
la presenza al funerale, scritti e parole di conforto presero parte alla luttuosa circostanza.
« Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa,
ho serbata la fede »
(II Timoteo 4:7)
Pramollo, 19 novembre 1968
PENSIONE TORINO di Renata JaUa
. Santa Margherita Ligure - 'Via
Gram.sci, 1 . Telefono 86.010. Posizione centrale, conforts, vicinissima al mare, trattamento familiare,
ottima cucina. Interpellateci.
OFFERTA SPECIALE a famìglie evangeliche del VERO OLIO D’OLIVA di ONEGLIA . Sconto di L. 50 a It. con scatola di
prova da 12 lattine dj 11. 0,900 caduna:
FIDOLIO (tipo magro) a lattina L. 720
EXTRA VERGINE (tipo grasso)
a lattina L. 820
Si possono ordinare lattine miste delle due
qualità. Trasporto e recipienti compresi nel
prezzo. Per informazioni e listino completo
di altre confezioni scrivere a : SCEVOLA
PAOLO . Casella Postale 426 - 18100 IMPERIA ONEGLIA.
6
'pag. 6
N. 47 — 29 novembre 196ft
Convegno AtCE
L’A.I.C.E. organizza per la domenica P
dicembre p. v., presso il presbiterio della
Chiesa Valdese di Luserna S. Giovarmi g. c.
(ore 15), rincontro autunnale per gli inse*
gnanti di scuole materne, elementari e medie delle Valli.
Il Comitato organizzatore prevede la presentazione :
1) di un dibattito sulla funzione concreta
deirinsegnante nella società contemporanea;
2) di alcune tecniche didattiche di base;
3) di materiale didattico, soprattutto per la
matematica moderna, la linguistica, le attività espressive e libere.
Verranno anche assegnate le borse di studio A.LC.E.
Il Comitato Naoionale
Fiori in memoria
di Velia Tron
per il Rilugio Carlo Alberto, Ida Coisson,
Torre Pellice L. 5.000; N. N., Luserna San
Giovanni 2.000.
Uninteruista del pust. W. à. Visser ‘t Hooft a Réforme
In un nniversn chiusn, la rivulta
Non
» X
c e
piu
Su uno dei suoi ultimi numeri Réforme ha
pubblicato un’intervista rilasciata dal pastore W. A. Visser 't Hooft, ex segretario generale e ora presidente onorario del Consiglio
ecumenico delle Chiese, a due collaboratori
del settimanale francese, Anouchka von
Heuer e Christian Roux-Pétel. La riprendiamo perche ci pare di vivo interesse, specie in
queste settimane di contestazione giovanile
sempre più generalizzata. red.
di Emma Gay
per il Rifugio Carlo Alberto, i cugini
L. 50.000.
di Seiffredo Colucci
per Villa Olanda, Silvia e Olga Cornelio,
Lucca L. 5.000; Clelia Barilano, Sansemo
1.500; Giuseppe e Esterina Giorgiolè, Livorno 5.000; G. C., Torino 5.000; I. E. Monti,
Pinerolo 3.000.
di EmanDeie Quattrini
per rOspedale Valdese di Pomaretto. Mario Quattrini L. 50.000; Franco e Mimma
Quattrini 50.000; Michele e Antonietta Novena 15.000; I. E. Monti, Pinerolo 3.000;
Carlo Pascal, Rodoretto 10.000; Edmondo
Pascal, Rodocettn 10.000; Gabriele Pascal, Rodoretto 10.000; Geraldo Mathieu e famiglia.
Torre PeUice 10.000; Teofilo, lima e Daniele
Pons, Pramollo 5.000; Giorgio e Lisa Peyrot,
Roma 10.000; Mariano e Ada Palmery 2.000;
Mario Cignoni e famiglia, Roma 10.000; Abele e Ida Ghigo, Torre Pellice 10.000; Fanny
e Ada Grill 5.000; sig.a Koch e famiglia
5.000.
per il Collegio Valdese, Mario Quattrini
L. 50.000; Franeo e Mimma Quattrini 50.000.
— Che cosa pensa degli avvenimenti
di maggio a Parigi?
— In maggio non ero a Parigi, mi
trovavo negli S. U. Occorre, mi pare, allargare subito la domanda: l’interesse di ciò che è avvenuto a Parigi sta appunto nel fatto che non si è
trattato di un fenomeno parigino, nè
francese soltanto. Avvenimenti analoghi si sono svolti in altri paesi; neppure si tratta di un fenomeno caratteristico del mondo capitalistico, poiché si sono verificati anche in paesi
sottoposti al regime comunista.
Si tratta di sapere qual’è la natura
di quest’esplosione che non è localizzata, ma generale. Del resto, questi vari
focolai rivoluzionari sono in stretta relazione fra loro. Sia qui al Consiglio
ecumenico, sia alla Conferenza di Upsala abbiamo potuto constatare che i
capi dei vari gruppi studenteschi rivoluzionari pensano secondo il medesimo orientamento.
Gli avvenimenti di maggio devono
essere considerati secondo tre prospettive. In primo luogo, vi è una crisi
a livello universitario e appaiono necessarie riforme profonde in questo
settore. Ma considerare soltanto il
problema universitario non risolve
tutto.
Gli avvenimenti indicano una contestazione su di un piano assai più
generale, che rimette in questione tutta l’organizzazione della società. E’
possibile riformare l’insegnamento senza trasformare in precedenza le struttura sociali?
Oltre questi due piani, mi pare necessario discernere un problema anche più profondo, di ordine filosofico,
anzi direi quasi religioso: quello del
senso della vita. I graffiti murali delle
giornate di maggio hanno espresso bene quest’angoscia ontologica, di fronte
all’esistenza stessa.
— Perchè questa angoscia è apparsa
proprio ora?
— Per varie ragioni. I rivoluzionari
di oggi appartengono alla prima gene
Echi della settimana
XUAN THUY POETA
« Avversario duro e tenace di Averell
Harriman. il sig. Xuan Thuy e, per il Vietnam, un poeta tenero e delicato. In quattordici quartine composte secondo la tradizione
classica, il capo della delegazione nord-vietnamita agli incontri di Parigi, ha espresso
(pubblicandole sul Nhan Dan. organo del
partito comunista) la gioia da lui provata all'annuncio della sospensione dei bombardamenti. Ecco la traduzione di alcuni suoi versi:
’’Una gioia indescrivibile m’invade.
Ogni essere umano abbraccia ogni altro essere umano. Fratelli ed amici dei cinque
continenti si stringono l’uno al cuore dell’altro.
L’edera allaccia affettuosamente la Senna.
Ecco la primavera nel mezzo dell’autunno!
Gli ultimi versi del diplomatico nord-vietnamita sono dedicati al Vietnam del Sud.
’’Là — egli scrive —
Il bambù, stroncato a mezzo fusto^ si raddrizza,
E l’albero di cocco, divorato dal fuoco, ricresce presto'.
Xuan Thuy aggiunge:
’'O mio fratello, tu comprendi certamente il
fondo del mio cuore.
lo so che tu non sei arrivato che a meta
cammino.
La metà che tu devi ancora percorrere 'e accarezzata dai venti e dalle rugiade.
Ma già son sicuro che un giorno noi saremo
riuniti. Quel giorno il sole caldo del mezzogiorno brillerà ai quattro punti cardinali” ».
CRIMINALI NAZISTI
IN LIBERTA'
Simon Wiesenthal, il famoso direttore
del « Centro di Documentazione Ebraica » a
a Vienna (il quale venne, anni fa. anche in
Italia, a tenervi delle conferenze), ha confermato quanto da lungo tempo si sospettava,
cioè che « Martin Bormann, uno dei principali collaboratori di Hitler, è tuttora vivo.
Egli si nasconde nell’America del Sud e si
sposta continuamente dal Paraguay al Cile,
alle regioni sud occidentali del Brasile, di
villaggio in villaggio ». Dispone d una squadra organizzatissima e fidatissima di guardie
del corpo, <t le quali segnalano immediatamente ed automaticamente, al capo nazista,
l'arrivo di qualche straniero, quando il capo
è presente in una colonia tedesca. Ciò rende
estremamente difficile avvicinarlo, agli agenti che gli stanno dando la caccia ».
Secondo il Wiesenthal, « Heinrich Müller
capo della Gestapo, Richard Glückes ispettore
generale dei campi di concentramento, e soprattutto Mengele, il medico-capo di Auschwitz, godono d’una totale impunità in America del Sud, ove essi dispongono di somme
considerevoli.
a cura di Tullio Viola
A causa delle misure di protezione di cui
questi ultimi si circondano, U loro arresto,
e soprattutto l’arresto di Bormann, potrebbe
esser ottenuto soltanto dalle autorità stesse
dei paesi nei quali si nascondono.
Il Wiesenthal ha d’altra parte dichiarato
d’aver delle buone ragioni per credere che
la Repubblica Federale ’’Germania Occidentale” non farebbe beneficiare questi nazisti
della prescrizione dei crimini di guerra, perche essa non vuol ’’correre verso il suicidio
politico” ed esporsi a veder ridotta a zero
la sua politica in direzione dell’Europa 0rientale. Il rifiuto della prescrizione permetterebbe l’uso di decine di tonnellate di documenti riguardanti i crimini di guerra, documenti posseduti dall’URSS e dai suoi alleati,
soprattutto dalla Germania Orientale.
Il Wiesenthal ritiene che anche nella Germania Orientale vivano dei criminali di guerra. Uno di questi è per es. Stefan Roick, che
diresse lo sterminio del ghetto di Lublino, in Polonia, ed è attualmente membro
del Parlamento della’. Germania Orientede.
Ma è estremamente difficile condurre delle
inchieste in quel paese ».
(Da « Le Monde » del 20-11-68)
RIFLESSIONI
SUL MAGGIO PARIGINO
Nel maggio c. a., come tutti ricordano, esplose a Parigi la grande rivolta degli
studenti. « Le Monde » del 26 c. raccoglie,
■sul memorabile avvenimento, le riflessioni
di numerosi autori, fra cui la seguente (or
ora pubblicata anche su « France-Forum »)
del filosofo cristiano Etienne Borne.
« Chi pub già oggi sapere {dato che le cose
son rimaste in sospeso) se l’episodio di maggio
è stato la prefigurazione d'un nuovo t'po di
rivoluzione, l’apparizione d’una specie di
modello inedito, ma d’ora in poi immutabile,
inventato dalla gioventù per ringiovanire il
mondo e pertanto destinato ad una grande
fortuna storica nei decenni a venire? Oppure
se, al contrario, quello stesso episodio, nutrito
di ricordi storici superati e di teorie inadatte al tempo presente, esplosione di romanticismo politico in un secolo d’efficientismo positivo. non fu altro che una falsa rivoluzione, una commedia che vuol ricordar:;, che
vuol fare la parodia di tragedie lontane ed
irripetibili? (...) La gioventù non ha sempre
ragione. I suoi deliri sono dei veri deliri,
gravidi di catastrofi vicine o lontane. Ma la
gioventù non può avere assolutamente torto,
e la sua rivolta denuncia, nelle nostre politiche, nelle nostre filosofie, nelle nostre religioni. una carenza d’anima e di passione.
Qutdl’anima e quella passione, senza le quali
la vita non è che un’eutanasia continuata
e resa permanente ».
razione che non ha conosciuto la lotta
contro certe ideologie. La nostra nemica, oggi, è la tecnologia.
In secondo luogo questa generazione
è terribilmente cosciente della minaccia di una guerra atomica, che incombe su di essa. Che cosa vi può essere
di più sconvolgente di questi giovani
che affermano che è inutile fare alcunché, dato che il mondo non ha avvenire?
In terzo luogo, vi è un problema
quantitativo. L’università, per il fatto
stesso di aprirsi gradualmente alle
masse, non offre più quella sicurezza
che un tempo vi trovava l’élite. Gli
studenti di oggi ignorano quale posto
potranno avere nella società.
Tuttavia l’apparizione di quest’angoscia in questo momento anziché in un
altro, il suo scoppio generalizzato rimangono un mistero. Lo stesso Marcuse, il maestro dei rivoluzionari, era
totalmente sconosciuto prima delle
sommosse. Oggi di lui parlano tutti.
Anche qui c’è un mistero.
— Pensa che questi avvenimenti
esprimono una rivolta della vita?
— Siamo di fronte alla contestazione di una società che si sviluppa
automaticamente e non più coscientemente. Si sviluppa automaticamente
nella misura in cui non offre più fini
chiaramente definiti. Si lascia portare
e trasformare dalle forze economiche
e tecnologiche. Lascia operare queste
forze, senza più controllarle. I tecnologi pensano che ciò che è possibile
dev’essere realizzato.
Ma non ci si domanda se la cosa è
buona o cattiva : è possibile andare
sulla Luna, quindi si deve andare sulla
Luna. Non si pensa che il denaro cosi
speso potrebbe essere utilizzato per
scopi utilitari urgenti. Ci lasciamo dominare dalle nostre possibilità tecnologiche, non ne siamo più padroni.
E tuttavia il problema che oggi domina tutti gli altri è quello della fame nel mondo... Il problema dell’ingiustizia sociale su scala internazionale è
di gran lunga il più grave. È deprimente constatare -che il fossato fra
paesi poveri e paesi ricchi si fa di giorno in giorno più profondo. Si utilizzano male le priorità. A Uppsala ho constatato che questo problema preoccupa
molti giovani.
Deploro soltanto che la gioventù introduca in questo campo un elemento
anarchico. Dichiamno che è inutile fare alcunché per i paesi poveri, finché
le strutture della nostra società non
saranno state trasformate. Ecco un assolutismo che mi è intollerabile.
— Questa rivoluzione non è stata in
primo luogo passionale e irrazionale?
— Passionale lo è stata, infatti. È
stata però guidata da tutto un sistema
di pensiero, miscuglio di marxismo e
d’anarchismo: assistiamo oggi a qualcosa di nuovo. L’anarchismo va di pari
passo con una certa utopia. Non è distruggendo l’ordine costituito che si
giungerà all’ordine ideale. Il primo
obiettivo dei rivoluzionari è la distruzione: non posso accettare un atteggiamento cosi Irresponsabile.
Mi pare che alla distruzione delle
strutture segue il caos. Gli studenti
possiedono oggi una forza straordinaria, non solo numerica ma anche politica e pratica: a Berlino hanno costretto il borgomastro alle dimissioni.
Nel Belgio è stato a causa degli studenti di Lovanio se è scoppiata la crisi
governativa che ha condotto a una
nuova politica linguistica. Negli Stati
Uniti pare evidente che la decisione di
Johnson di non riproporre la propria
candidatura alla presidenza fu dovuta
in gran parte all’azione della giovane
generazione. È peccato che questa forza non sia utilizzata con grande saggezza. Qui mi pare risiedere la tragedia
della situazione. Penso anche che
l’anarchia è fonte di sterilità.
— Quali saranno gli effetti di questa
rivoluzione?
— Dipende in gran parte dalla reazione dell’altra generazione. La repressione pura e semplice non può avere
che conseguenze penose : constato con
grande inquietudine una repressione
cieca. L’essenziale è che si avvìi un dialogo autentico, reso certo difficile dall’affrontarsi delle generazioni. In questo dialogo sta la nostra sola speranza.
Se esso non si verificherà, assisteremo
a serie esplosioni che non daranno alcun risultato positivo.
— Assisteremo alla morte di una
civiltà?
È troppo dire. Assistiamo a trasformazioni radicali. Del resto, ci si
può domandare se una civiltà muore
mai e se ogni nuova civiltà non prende
a prestito elementi della civiltà che
Tha preceduta. Si tratta di sapere quali sono gli aspetti della nostra civiltà
che meritano di essere salvaguardati.
Le trasformazioni formidabili alle quali assisteremo non porteranno, penso,
a una civiltà del tutto differente da
quella che abbiamo conosciuta
— Pensa che, di fronte alle atrocità
di questo mondo, i giovani scelgano di
volgere le spalle alla religione?
— Quando ci si chiede dov’è Dio, in
tutto questo, non si tratta di un rifiuto della religione, al contrario comincia una ricerca importante: si tratta
già di un problema religioso.
Sarebbe ben più pericoloso se i giovani non si ponessero questo problema. Constato nei giovani un grande
interesse per la religione. Penso alla
risonanza che un uomo come Martin
Luther King ha ancora oggi fra di
loro. Il fatto che essi siano venuti così
numerosi a Uppsala, anche per contestare, attesta il loro interesse per la
religione. Non entriamo in un’epoca
irreligiosa, ma in una fase di trasformazione religiosa.
— Andiamo verso una forma di religione più attiva?
— Andiamo verso una religione più
esistenziale, più presente mediante degli atti. Si produrrà un adattamento
religioso, dovuto all’attuale estendersi
del cristianesimo. Il movimento ecumenico ha assunto dimensioni mondiali. Oggi Asiatici e Africani hanno
diritto di cittadinanza nella Chiesa e
il loro contributo è immenso.
— Quale potrebbe essere il ruolo delle Chiese nel mondo di domani, o fin
da ora, nel nostro mondo in trasformazione?
— Il ruolo delle Chiese dev’essere,
mediante la testimonianza resa a Gesù Cristo, quello di rendere sensìbile,
quaggiù, il Dio rivelato e di affermare
l’immagine che Cristo ce ne ha data.
La Chiesa deve lottare per l’immagine
cristiana dell’uomo. Tale lotta diventerà sempre più difficile, e al tempo
stesso estremamente importante, poiché vi sono nel mondo un certo numero di forze economiche e tecnologiche
che minacciano l’integrità dell’uomo.
Gli specialisti di questa scienza nuova e curiosa, la «prospettiva», dichiarano che andiamo verso un mondo nel
quale soltanto un terzo degli uomini
lavorerà. Gli altri due terzi saranno
condannati a una inattività remunerata. Scoppieranno allora rivolte infinitamente più gravi di quelle alle quali
abbiamo appena assistito.
I tecnologi non si pongono nemmeno il problema di sapere che cosa questo stato di cose rappresenterà per
l’uomo. Nel campo della sociologia, della tecnologia, della biologia gli specialisti ci preparano un avvenire essenzialmente inumano. La Chiesa dev’essere l’avvocato di una vita essenzialmente umana. Il Consiglio ecumenico
ha deciso ultimamente che i prossiini
anni saranno dedicati a uno studio
dell’umano.
— Questi rivoltati rappresenterebbero dunque una reazione a un mondo
disumanizzato?
Personalmente sono convinto che
non possiamo difendere con efficacia
l’uomo se non nella misura in cui affermiamo che egli è l’immagine di Dio.
In quest’ottica fede cristiana e umanesimo sono strettamente legati. Dostoievski dice che l’uomo perde la sua
vera dignità quando perde la sua fede
in Dio.
— La civiltà è una cosa, la cultura
un’altra. Le civiltà passano, si susseguono. La cultura si trasmette, rappresenta il filo conduttore, non muore.
Ora, gli studenti hanno attaccato non
ia civiltà, ma quella che hanno chi^
mato la « cultura borghese ». Perche.
— Occorre considerare il punto di vista dei rivoluzionari, fortemente influenzati dal marxismo. Essi considerano che ogni forma di cultura rappresenta più o meno l’espressione di
una situazione economica. Non darò
loro interamente torto, senza però seguirli fino in fondo. L’economia è uno
degli elementi che plasmano la cultura, ma riconosco che vi è nella cultura
un elemento non-temporale che è oltre
le fluttuazioni delle civiltà.
Sarà pronta a giorni la seconda edizione, riveduta e ampliata, del
DIZIONARIO BIBLICO
a cura di Giovanni Miegge, Bruno Corsani, J. Alberto Soggin, Giorgio
Tourn. (Ed. Feltrinelli).
La Claudiana distribuisce in esclusiva l’edizione rilegata in similpelle con impressione in oro. Un volume di oltre 650 pagine, f.to 19x11,
al prezzo di L. 2.700 (l’edizione economica, in brossura, sarà in vendita
a L. 2.000).
A tutti coloro che avranno prenotato il volume rilegato entro il
20 Dicembre 1968, sarà praticato lo sconto del 10%. Inviare a mezzo
c.c. postale n. 2/21641 la somma di L. 2.400 -I- L. 200 per spese postali
( = L. 2.600 la copia).
Il volume sarà disponibile entro i primi di Dicembre.
EDITRICE CLAUDIANA - VIA PRINCIPE TOMMASO 1 - 10125 TORINO
giovane
né vecchio
« Giovani, vi scrivo perche
avete vinto il maligno ».
(I Giovanni 2; 13)
La giovinezza è un’età di tentazione. Ecco il perchè di queste parole. Colui che scrive è certamente
un illuminato che quando vede dei
giovani cristiani non può non pensare al significato tutto particolare
che ha per essi la fede : si sono bene
corazzati contro i dardi del maligno, essi che vi sono più esposti.
Da un punto di vista cristiane^
l’essere giovani non costituisce quindi un privilegio. Non sentiamo mai,
nella Bibbia, esaltare l’età della giovinezza. L’essere giovane non rende
meno attaccato ai beni di questo
mondo il ’giovane ricco’, nè rende
più scusabile il figliol prodigo della
parabola, che si mangia con le meretrici i soldi guadagnati dal padre.
E c’è un altro giovane che gli Atti
nominano e non fa davvero una bella figura, un giovane fanatico ai cui
piedi depongono le loro vesti i lapidatori di Stefano: un bell’ipocrita, che certamente ha aizzato gli altri alla violenza, ma personalmente
non ha voluto sporcarsi le mani.
Questo era il giovane Saulo.
In realtà nella concezione neotestamentaria dell’uomo l’essere giovani o vecchi non conta nulla: costituisce una di quelle contrapposizioni carnali e mondane, come l’essere giudei o greci, liberi o schiavi,
maschi o femmine, civili o barbari,
che vengono svalutate e superate
nella rivelazione di una più alta
realtà umana. Anche se non sta
scritto in nessun luogo, di coloro
che hanno creduto in Gesù Cristo si
può dire: qui non c’è nè giovane nè
vecchio.
Perchè quello che conta è un’altra cosa: è essere una nuova creatura.
Dobbiamo a Paolo l’incisiva qualificazione dell’uomo naturale come
’uomo vecchio’. Portiamo cioè tutti
il peso dell’umanità che ci precede,
con la sua eredità di peccato e di
corruzione, e l’essere giovani nou
offre alcun vantaggio rispetto all’essere vecchi, se non quello effimero
di avere i tessuti elastici, la pelle liscia, i capelli rigogliosi, o quello discutibile dell’estrema facilità di illudersi.
Nasciamo vecchi e tarati: ecco la
verità. E la bella carne della giovinezza è solo un idolo tra i tanti di
questa generazione pagana e decadente.
Anche i giovani dunque debbono
ravvedersi, e anch’essi debbono credere airevangelo. E fare questo è
per essi, dobbiamo riconoscerlo, cosa j)iù ardua che in qualsiasi altro
tempo. Perchè i giovani oggi vengono ingannati e si lasciano ingannare da questo mondo infrollito e
senza dignità che li circonda e li liscia, li coccola, li esalta. Beati i giovani, perchè di essi è il regno dei
cieli! Ecco la nuova bugiarda beatitudine.
Solo un coraggioso confronto con
la Parola di Cristo può aprire gli
occhi al giovane. Accettare che si è
’vecchi’ a diciotto o vent’anni è molto duro, come è duro consentire
nessun ’mondo nuovo’ è prevedibile
finché vive l’uomo vecchio. Ma questa è la verità.
Alla giovinezza della carne l’evangelo ne contrappone perentoriamente un’altra, molto più vera e duratura: quella dello Spirito. Ed ogni
illusione giovanile si infrange contro raffermazione che non si può
entrare nel Regno di Dio se non si
è nati di Spirito, se non si e nati di
nuovo.
Ugo Gastaldi
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
n. 175, 8-7-1960
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre Pellice (To')