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BILYCHNIS
Anno Vili. - Fasc. I. ROMA - 31 GENNAIO 1919 Volume XIII. i
M. A. S. : A Woodrou) Wilson (Ode).
AGOSTINO Fattori: Pensieri dell’ora '(Leggendo il "Colloquio con Renato Serra" di V. Cento).
DOMENICO DI RUBBA: La fede religiosa di Woodrou) Wilson (Con ritratto - silografia di PAOLO PASCHETTO).
GlOV. E. MeiLLE: Psicologia di combattenti cristiani (Note e documenti).
FRA M ASSEO DA Pratoverde : Intermezzo sacramentale (A proposito d’Unione delle Chiese cristiane).
RUBRICHE FISSE:
Per la cultura dell’anima - C. WAGNER: \ Vaso e Vasellaio (Sermone) - Spigolature, Cronache - G. Quadrotta: Note di politica Vaticana e azione cattolica.
Note e Commenti - A. FASULO: Wilson e Benedetto XV - V. FABR1ZI DE’BlANI: Osservazioni sulle ’ Previsióni 1 di qui quondam.
Tra libri e riviste r r. e p. : Cronaca Biblica (VII) -GIOVANNI COSTA: Religioni del mondo classico (Vi).
Dalla Stampa Notiziario Cose nostre.
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BILYCHNIS
RIVISTA MENSILE Di STUDI RELIGIOSI
< < 4 < FONDATA NEL 1912 > > > ►
CRITICA BIBLICA STORI Ai DEL CRISTIANESIMO £ DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA PEDAGOGIA
FILOSOFIA RELIGIOSA MORALE •> QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO, LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL'ESTERO SI PUBBLICA LA FINg^Dl_ OGNI. MESE. REDAZIONE: Prof. LODOVICO PaSCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WHITTINGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. 7; Per l’Estero, L. 10x;.Un fascicolo, L. I. (Per gli Stali Uniti e per,il Canadà è autorizzato ad erigere gli abbonamenti il Rev. A. Di Domenica, B. D. Paitor, 1414 Casde Ave, Phlladelphla, Pa. (U. S. A.)].
COSA POSSONO FARE
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3. Favorirci indirizzi di possibili abbonati ai quali manderemo copia di saggio della rivista;
4. Spedirci copia del giornale della città o della provincia in cui sia un articolo, un pensiero, una notizia degni d’essere rilevati. — Tutti i nostri lettori possono così collaborare nelle rubriche : 11 Spigolature 11 — 11 Dalla stampa 11 — 11 Notiziario 11 — I più solerti ed assidui riceveranno un premio in libri.
CHI VUOL FARE, FACCIA SUBITO ! I
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BILYCHNIS
RIVISTA 'MENSILE ILLUSTRATA DI STUDI RELIGIOSI • • •
VOLUME XDI.
ANNO 1919 - I. SEMESTRE
(Gennaio-Giugno. Fascicoli l-Vl)
ROMA
VIA CRESCENZIO, 2
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INDICE PER RUBRICHE
ARTICOLI.
Cadorna Carla: I ritrovi spirituali di Viterbo nel 154I, p. 196.
C’è una spiegazione logica della vita? (Redazione : « Giuoco fatto ». - M. del-l’Isola: Giuoco da farsi. Lettera aperta al sig. Dino Provenzal. - Dino Pro-venzal: Alla signora M. dell’isola), p. 116 e seg.
Da Pratoyerde fra Masseo: Intermezzo sacramentale (ri proposito dell’Unione delle Chiese cristiane), p. 35, 98.
Di Rubba Domenico: La fede religiosa di Wodrow Wilson, p. 15.
Emmanuel: L’etere e il suo possibile valore psichico, p. 209.
Id.: La religione di un letterato, p. 288.
Falchi Mario: Una visita all'ingegnere Kba. - Un'ora nella vita e nella storia dell’Antico Egitto, p. 201.
Id.: Le condizioni religiose della « Società delle Nazioni », p. 335;.
Id.: C’è una spiegazione logica della vita?, P- 445Fattori Agostino: Pensieri dell’ora (Leggendo il « Colloquio con Renato Serra » di Vincenzo Cento), p. 4.
Giulio Benso Luisa: Il voto alla donna, p. 211.
M. A. G.: A Woodrow Wilson (Ode), p. 2.
♦ * * : Mancanze di garanzie nello « schema » e nel nuovo Codice di Diritto canonico, p. 181, 369.
Marchi Giovanni: Il « confiteor » dei giovani, p. 254.
Mei Ile Giovanni E.: Psicologia di combàttenti cristiani. Note e documenti, p. 24, xo6, 272.
Murri Romolo: Il nuovo partito dei cattolici italiani (La tesi e l’ipotesi. - La politica del papato. - I precedenti storici. -La reazione di Pio X. - La guerra e la vittòria dell’Intesa. - Il programma del partito), p. 82.
Pavolini Paolo Emilio : Poesia religiosa polacca, p. 363.
Pioli Giovanni: La < ricostruzione industriale» e i cristiani, p. 91.
Id.: In memoria del p. Pietro Gazzola, P- 350.
Id.: Una lettera inedita del p. Giorgio Tyrrell a mi gruppo di modernisti italiani, p. 439.
Provenzal Dino: Ascensione eroica, p. 427.
« Qui quondam ■: Dopo-guerra nel Clero, p. 260.
Rensi Giuseppe: Metafisica e lirica, p. 414.
Rossi Mario: Religione e religioni in Italia secondo l’ultimo censimento, p. 170.
'Cucci Paolo: Uno scritto di Martin Lutero: « Se la gente di guerra possa, an-ch’essa, essere in istato beato », p. 283,3S3.
NOTE E COMMENTI.
Conte Vincenzo: A proposito del < Colloquio con R. Serra ». Fatto personale, P- 394-
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BILYCHNIS
Fabrizi de’ Biani Vittoria : Osservazioni sulle « Previsioni » di Qui quondam, p. 56.
Fasulo Aristarco: Wilson e Benedetto XV (A proposito di due articoli di Mario Missiroli), p. 53.
Giulio Benso Luisa: La scuola femminile e le riforme, p. 300.
Id.: Una cattedra' necessaria. - Il novello Carroccio, p. 456.
Murri Romolo: Per un fatto... quasi personale, p. 396.
« Qui quondam •: Ancora a proposito di « Previsioni o, p. 238.
Tucci Paolo: Per uno scritto di'M. Lutero, p. 460.
PER LA CULTURA DELL’ANIMA.
Billia Michelangelo: Il vero uomo, p. 126.
Fasulo Aristarco: La forza che ha vinto, p. 220.
Luzzi Giovanni: Della conoscenza cristiana, p. 388.
Masini Enrico: Epistola ai fratelli di buona volontà, p. 290.
Spigolature: p. 46, 131, 223, 299, 392.
Wagner Carlo: Vaso e vasellaio (Sermone), p. 42.
Id.: Nulla di nuovo sotto il sole? (Sermone), p. 215.
Id.: Odiare padre e madre?, p. 451.
CRONACHE E COMMENTARI.
Quadrotta Guglielmo: Note di politica vaticana e di azione cattolica, p. 49. x33. 225, 303. 461.
Rutili Ernesto: Forme di degenerazione religiosa in tempo di guerra (Note e documenti). p. 141.
TRA LIBRI E RIVISTE.
I libri.
Arvidson J. M.: The language of Titus and Vespasian ór thè destruction of Jérusalem, p. 157.
| Beliucci Giuseppe: I chiodi nell’etnografia antica e contemporanea, p. 488.
Bersano Begey Maria: Vita e pensiero di Andrea Towianski, p. 240.
I Bousset Wilhelm: Kyrios-Cbristos, p. 59.
Id.: Jesus der Herr (Gesù il Signore), p. 6t.
Chiminelli Pietro: Gesù di Nazaret, p. r6o, 242.
Codice di Diritto canonico, p. 63, 181, 369.
Corpus scriptorum latinorum paravianum, p. 405.
De Hoyos y Vinent A.: El honche que vendió su cuerpo al diablo, p. 490.
I Dentice di Accadia Cecilia: Schleier-macher, p. 397.
De Sarlo Francesco: Psicologia e filosofia, p. 399ì Diels H.: 11 I libro di Filodemo sugli dei, p. 66.
ì Dussand R.: 11 sacrificio israelitico e fenicio, p. 155.
Gambaro Angelo: Primi scritti religiosi di Raffaele Lambruschini, p. 243.
j Gemelli Agostino: Principio di nazionalità e amor di patria nella dottrina catto-। lica, p. 478.
| Gentile Giovanni: I fondamenti della filosofia del diritto, p. 476.
1 Girard Victor: Un grand français: Albert De Mun, p. 491.
ì Goyau Georges: Les Catholiques Allemands et l’Empiré évangélique, p. 245.
I Id.: Le cardinal Mercier, p. 491.
Handcock P.: The Archaeology of the Holy Land (L’archeologia della Terra Santa), p. 58.
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INDICE PER RUBRICHE
V
Husband Riccardo: The Prosecution of Jesus (Il Processo di Gesù), p. 59.
Janni Ugo e Comba Ernesto: La Guerra ed il Protestantesimo, p. 246, 319.
Knight A. S.: Amentet, p. 63.
LanzillO Agostino: I.a disfatta del socialismo, p. 146.
buzzi Giovanni: I Salmi tradotti dallo ebraico e corredati d’introduzione c di note, p. 157.
Id.: Giobbe, tradotto dall’ebraico ed annotato, p. 159.
Maggiore Giuseppe: Il diritto e il suo processo ideale, p. 475.
Mangano Antonio: Sons of Italy (I figli d’Italia), p. 404.
Meynier Enrico: La Riforma Protestante, . ossia il Cristianesimo evangelico, p. 246.
Pagot du Vanroux (ingr.J: Guerre et patriotisme, p. 493,
Pansa Giovanni: S. Maria d’Arabona e le Are sacrificali alla « Bona Dea », p. 490.
Kidgeway W.: TI drama e le danze dra-matiche dei popoli non europei, p. 68.
Sabatier Paul: Vie de S. François d'Assise. -Edition de guerre, p. 63.
Sartorio Enrico C.: Social and religious life of Italians in America, p. 404.
Schaeffer Enrico: The Social Legislation of the Primitive Semites (La legislazione sociale dei Semiti primitivi), p. 58.
Strong (signora): Apotheosis and after life (L'Apoteosi e la vita dell'al di là), p. 64.
Tavenner E.: Studies in Magic from latin literature, p. 152.
Ursino Giuseppe: L'idea religiósa e lo Stato, p. 492.
Warde Fowler W.: Roman ideas of deity in the last century before the Christian Era, p. 66.
Le riviste.
| Althaus (prof.): Nostro Signore Gesù, p. 60. Barton G. A.: I miti sulla creazione, p. 323. Buonaiuti Ernesto: Plutarco e la letteratura cristiana antica, p. 324.
Calza G.: La scoperta di un amuleto magico, p. 320.
I Castiglioni A.: La donna nel pensiero dei padri della Chiesa greca del iv secolo, p. 323I De Fabrizio A.: Il fondo antico ed alcune propaggini moderne del Mito di Poli-femo, p. 488.
De Giorgi C.: I « menhir » della provincia di Lecce, p. 323.
i Diels H.: Un frammento di Epicuro sul rispetto agli dei, p. 66.
Faloci Pulignani Michele: La' « passio sancti Feliciani », p. 324.
Frothingam A. L.: Un nuovo bassorilievo di Mitra autoctono, p. 323.
1 Garrone Giuseppe ed Eugenio: Ascensione eroica. lettere dei fratelli G. ed E. Garrone, p. 427.
Gentile Giovanni: Che cosa è il liberalismo, P- 477Guilloux Pierre: S. Agostino e la guerra, p. 247.
Harnack A.: L’opera di Porfiro contro i cristiani, p. 154.
Heitinuller (prof.): Gesù e Paolo, p. 61.
Iminiseli O.: L’anima considerata come farfalla, p. 64.
Kem O.: Le sette orfiche nell'isola di Creta, p. 154.
Kiesow F.: 11 demone socratico, p. 321.
Kòhlcr (Pasto?): Kyrios Gesù nei vangeli, p. 61.
Kretschmer P.: L’origine del nome Adone, p. 63.
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BILYCHNIS
Laing Gordon: I culti orientali nei padri della Chiesa, p. 321.
Lake Kirsopp: La teologia degli Atti degli Apostoli, p. 61.
Langdon S.: Il culto dei re divinizzati, p. 321.
Lodge sir Oliver: Etere e materia, p. 209.
Lugli G.: Il bassorilievo mitico scoperto in via Po a Roma’, p. 320.
Me Cartney E. S.: Le offerte votive belliche contemporanee, p. 324.
Mercer S. A. B.: Il culto dell’imperatore, p. 321. .
Missiroli Mario: Che cosa è il liberalismo,
P- 477Olgiati Francesco: Marxismo e idealismo, P- »45Otto U. F.: Il lustmm sotto l'aspetto religioso, politico, linguistico, p. 152.
Pascal Carlo : Didone. p. 322.
Patroni G.: L'iscrizione diocleziana al Sole, p. 325.
Peters I. P.: Il significato primitivo del culto di Tammuz in Babilonia, p. 326.
Philippson R.: Della conoscenza che gli Epicurei avevano degli dei, p. 66.
Pizzi Italo: Giuliano ¡’Apostata, p. 322.
Pohlenz M.: Zeus, Cronos e i Titani, p. 157.
Pratt I. B.: Ancora, che cosa è il cristianesimo?, p. 150.
Reitzenstein: Il nome di « martire », p. 153.
Robert: Il ramo d’oro sui sarcofagi romani, p. 155.'
Robertson A. T.: Il primato di Giuda?, p. 62.
Schaff David S.: Martin Lutero e Giovanni Calvino riformatori della Chiesa, p. 480.
Schwering W.: Il ‘significato di divus e deus, p. 68.
Sciava R.: Gli eroi della mitologia greca, p. 322.
Sihler E. G.: Stoicismo e cristianesimo, P- 325Scott Burton: lì processo di Gesù, p. 59. Terzaghi N.: L'inno orfico ad Iside, p. 154. Id.: Il mito di Prometeo prima di Esiodo, P- »55Id.: La continuità delle concezioni religiose dell’Egitto, p. 156.
Thompson I. M.: Christian faith, p. 149.
Tolkiehn I.: Didone Elissa, p. 66.
Viénot John: Primi repubblicani francesi, p. 316.
Vos G.: La controversia su Kyrios-Christos, p. 61.
Wernle prof.: Gesù e Paolo, p. 61.
Wigand R.: Il monumento di Ercole Sa-xanus, p. 154.
Wright A.: Il primato di Giuda?, p. 61.
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INDICE GENERALE
Adami G., p. 247.
Adone: L’origine del nome A., p. 63.
Agostino (Santo): Sant’A. e l’imperialismo, p. 247.
Allier Ruggero, p. 27, 32, 275, 278.
Althaus (prof.), pag. 60.
Amuleti: Studio degli dei, degli A., e degli scarabei degli antichi Egiziani, p. 63; Amuleto magico, p. 320.
Anima: L'A. considerata come farfalla, p. 64; Il concetto di A. nella psicologia contemporanea, p. 401; Natura e realtà dell’A., p. 402; Origine e destino ultimo dell’A., p. 402.
Antichità: A. ebraiche, p. 58.
Apoteosi: L’A. e la vita dell’al di là, p. 64.
Ara: Are rustiche, p. 490.
Arvidson J. M., p. 157.
Aureli Guido, p. 313.
Balsamo Crivelli Gustavo, p. 406.
Barton G. A., p. 323.
Beliucci Giuseppe, p. 488.
Benedetto XV: B. contro i Sionisti e i Protestanti, p. 314; Leone XIII e B., P- 473Bersano Begey Maria, p. 241.
Bibbia: Cronaca biblica, p. 58, 157.
Billia Michelangelo, p. 126.
Buonaiuti Ernesto, p. 77, 324.
Bousset Guglielmo, p. 59.
Cadorna Carla, p. 196.
I Calza G., p. 320.
I Calvino Giovanni, p. 480.
Castiglioni A., p. 322.
Cattolicismo : Germanesimo. C. e Protestantesimo, p. 245.
Cento Vincenzo, p. 4, 394.
Cervesato Arnaldo, p. 72.
Chiesa: C. e Stato in conflitto sul terreno etico, p. 147; La C. e la Nazióne, p. 305; C. e Democrazia, p. 306.
Chiminelli Pietro, p. 160, 242, 404.
Clero: Dopo-guerra nel C., p. 260.
Codice: Mancanza di garanzie nel. nuovo C. di diritto canonico, p. 181, 369.
Comba Ernesto, p. 246.
Cornei Auquier Andrea, p. 25, 29, 31, 247. 279.
Corso Raffaele, p. 488.
Costa Giovanni, p. 63, 152, 320, 405.
Cristianesimo: La fede cristiana, p. 149;
Che cosa è il C., p. 150; Stoicismo e C.»
P- 325Croce Benedetto, p. 406.
Cronos: Zeus, C. e i Titani, p. 157.
Crookes William, p. 406.
Culto: Il C. di Mitra, p. 154; XI C. dei re divinizzati, p. 321; Il C. dell’imperatore, p. 321; I C. orientali nei padri della chiesa, p. 321; Il significato primitivo del C. di Tammuz, p. 326.
Curatolo Giacomo Emilio, p. 329.
Da Pratoverde Masseo (fra), p. 35, 98.
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Vili
B1LYCHNIS
De Cesare Raffaele, p. 75.
De Fabrizio A.. p. 488.
De Giorgi G.. p. 323.
De Hoyos y Vinent A., p. 490.
Dell'Isola M.» p. 117.
Democrazia: Chiesa e D., p. 306.
Demone: Il D. socratico, p. 321.
De Mun Albert, p. 491.
Dentice di Accadia Cecilia, p. 397De Sarto Francesco, p. 399Dibelius M„ p. 154.
Didone: D. Elissa, p. 66: D. nella letteratura latina d’Africa, p. 322.
Diels H., p. 66.
Diritto Canonico: La Bibbia e il nuovo codice di D. C., p. 61; Mancanze di garanzie nel nuovo Codice di D. C., p. 181, 369.
Di Rubba Domenico, p. 15.
Divinità: I-e D. secondo gli Epicurei, p. 66; Le idee romane sulla D., p. 66.
Donna: Il voto alla D.» p. 211; La D. nel pensiero dei padri greci del iv secolo, p. 322.
Dopo-guerra: Osservazioni sulle « Previsioni » di qui quondam, p. 56: Ancora a proposito di « Previsioni », p. 238; Dopoguerra nel clero, p. 260.
Drama: Il D. e le danze dramatiche, p. 68.
Dussaud R., p. 155.
Egitto: Studio degli dei, degli amuleti e degli .scarabei degli antichi Egiziani, p. 63; Una visita all’ingegnere Kha: un'ora nella vita e nella storia dell’Antico Egitto, p. 201.
Epicurei: Le divinità secondo gli E., p. 66.
Ercole Saxanus, p. 154.
Eroi: Gli E. della mitologia greca, p. 322. Escande Gustavo, p. 26. 27, 274, 277. . Etere: L’E. e il suo possibile valore psichico, p. 209.
| Etnografia: E. e religioni primitive (Vili), p. 488. •
Fabrizi De Biani Vittoria, p. 56.
Falcili .Mario, p. 201/335, 445.
Faloci Pulignani Michele, p. 324.
। Farfalla: L’anima considerata come F., p. 64.
| Fasulo Aristarco, p. 53.
| Fattori Agostino, p. 4.
| Fede: La F. cristiana, p. 149.
' Filosofia: Rassegna di F. religiosa (Marxismo e idealismo - La religione del Sindacalismo - Chiesa e Stato in conflitto sul terreno etico - La fede cristiana -Che cosa è il cristianesimo?), p. i45; Rassegna di F. politica (Ideologie - I miti - Il diritto come processo - La categoria giuridica - Che cosa è il liberalismo? - La nazione e i cattolici - Idealismo e politica), p. 473: L’etere e il suo possibile valore psichico, p. 209 ; Storia e psicologia religiosa (Federico Schleier-macher - In che consiste il metodo di S. - La natura della religiosità secondo S. - Le religióni positive e là Chiesa secondo S. - Metafìsica e religióne - Nuovi studi di psicologia e filosofia - Il metodo negli studi di psicologia; Il concetto di anima nella psicologia contemporanea - Natura e realtà dell’anima Origine e destino ultimo dell’anima), p. 3971 Metafisica e lirica, p. 414.
Francesco d* Assisi: San F. e la Bibbia, P- 63- x
Frothingam A. L., p. 323.
Galletti Alfredo, p. 69.
Gambaro Angelo, p. 243.
Garrone Giuseppe ed Eugenio, p. 428.
Gazzola Pietro, p. 350.
Gemelli Agostino, p. 478.
Gentile Giovanni, p. 477.
Germanesimo: G., Cattolicismo e Protestantesimo, p. 245.
Gesù: Il processo di G., p. 59; La vita di G., p. 160, 242.
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INDICE GENERALE
IX
Giobbe: Il libro di G.. p. 157.
Gioberti Vincenzo: Wilson e G., p. 331.
Girard Victor, p. 491.
Giuda Iscariota: Il primato di G.?, p. 61.
Giuliano F Apostata, p. 322.
Giulio Benso Luisa, p. 2ri, 300, 456.
Gorki Massimo, p. 223.
Goyau Georges, p. 245, 491.
Guilloux Pietro, p. 247.
Handcock P;, p. 58.
Harnack Adolph, p. 154.
Heitmüller (prof.), p. 61.
Husband Riccardo, p. 59.
Idealismo: Marxismo e I., p. 145.
Immisch O., p. 64.
Immortalità, p. 299.
Imperialismo: S. Agostino e FI., p. 247.
Iside: L’inno orfico ad I., p. 154.
Janni Ugo, p. 246. 392.
Kern O., p. 154Kiesow F., p. 321.
Klingebiel Giovanni, p. 26, 31, 274.
Knight A. S.. p. 63.
Köhler (Pastor), p. 61.
Kretschmer P., p. 63.
Laing Gordon, p. 321.
Lake Kirsopp, p. 61.
Lambruschini Raffaello, p. 224, 243.
Langdon S„ p. 321.
Lanzillo Agostino, p. 146.
Larnande M., p. 316.
Lau rana Francesco, p. 76.
Leone XIII: L. XIII e Benedetto XV, p. 461.
Lodge Oliver, p. 209.
Longo Teodoro, p. 47.
Lubin Davide, p. 75.
Lugli G.» p. 320.
1 Lustrum: Il L. sotto l’aspetto religioso, politico e linguistico, p. 152.
I Lutero Martino, p. 283, 383, 396, 460, 480.
Luzzi Giovanni, p. 157, 159, 241, 388.
Maggiore Giuseppe, p. 476.
Magia: La M. nella letteratura latina, p. 152.
I Mangano Antonio, p. 404.
Marchi Giovanni, p. 254*.
Mariani Mario, p. 393.
Martire: Il nome di M., p. 153.
Martire Egilberto, p. 73.
Marxismo: M. e idealismo, p. 145.
Masini Enrico, p. 290.
Massip. Giovanni, p. 277.
| Mazzini Giuseppe, p. 299: Da M. a Wilson, p- 329.
i Me Cartney E. S., p. 324.
Meille Giovanni E., p. 24, 106, 272.
Menhir: I. M. nella provincia di Lecce, P- 323Mercer S. A. B„ p. 321.
Mercier Desiderato, p. 491.
Meynier Enrico, p. 246.
Miraglio A., p. 392.
Missiroli Mario, p. 52, 305, 477.
Misteri: I M. ellenistici, p. 153.
Mito: Il M. di Prometèo prima di Esiodo, p. 155; Bassorilievo mitico, p. 320; Gli eroi della mitologia greca, p. 322; I miti sulla creazione, p. 323; Il M. di Poli-femo, p. 488.
Mitra (Culto di), p. 154; Un nuovo basso-rilievo di M., p. 323.
Modernismo: Una lettera inedita del p. Giorgio Tyrrell a un gruppo di modernisti italiani, p. 439.
Morgan (prof.), p. 61.
Murray Gilbert, p. 288.
Murri Romolo, p. 82, 396.
Nazione: La Chiesa e la N.» p. 305.
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X
BILYCHNIS
Olgiati Francesco, p. 144.
Otto W. F., p. 152.
Offerte votive: O. votive belliche contem- • poranee, p. 324.
Pagot du Vanroux (mgr.), p. 492.
Pansa Giovanni, p. 490.
Parrot A„ p. 407.
Pascal Carlo, p. 322.
Patroni G.» p. 325.
Pavolini Paolo Emilio, p. 363.
Pedagogia: La scuola femminile e le riforme, p. 300.
Peters I. P„ p. 326.
Petrone Igino, p. 131.
Philippson R., p. 66’
Pioli Giovanni, p. 91. 245. 3x6, 350, 439, 480.
Pizzi Italo, p. 322.
Plutarco: P. e la letteratura cristiana antica, p. 324.
Poesia: P. religiosa polacca, p. 350.
Pohlenz M., p. 157.
Polifemo: Il mito di P., p. 48S.
Politica: P. Vaticana e Azione cattolica, p. 48, 133, 225, 303, 461; Il nuovo partito dei cattolici italiani, p. 82; Il voto alla donna, p. 211; (Vedi anche: Filosofia (Rassegna di Filosofia politica).
Pontoppidan Morten, p. 392.
Porfiro: L'opera di P. contro i cristiani.
P- L54Pratt I. B., p. 150.
Prometeo- Il mito di P. prima di Esiodo, P- L55Protestantesimo: Germanesimo, Cattoli-cismo e P„ p. 245; Benedetto XV contro i Sionisti e i Protestanti, p. 314.
Provenzal Dino, p. 117, 427.
Psicologia: P. di combattenti cristiani, p. 24. 106, 272; L’etere e il suo possibile valore psichico, p. 209; Nuovi studi di P. e filosofia, p. 399; Il metodo negli studi di P„ p. 401; Il concetto di anima nella P. moderna, p. 40t.
Puglisi Mario, p. 397Quadrotta Guglielmo, p. 49. X33. 225, 303» 4<>i.
Ramo: Il R. d’oro sui sarcofago romani, P- *55Rayaud Ernest, p. 406.
Reitzenstein, p. 153.
Religione: Forine di degenerazione religiosa in tempo di guerra, p. 141; Rassegna di filosofia religiosa, p. 145; La R. del sindacalismo, p. 146; R. e religioni in Italia secondo l'ultimo censimento, p. 170; Le condizióni religiose della « Società delle Nazioni », p. 335; R. e Stato, p. 492.
Rensi Giuseppe, p. 414.
Ridgeway W„ p. 68.
Robert (prof.), p. 155.
Robertson A. T., p. 62.
Rossi Mario, p. 170.
Rosta nd Edmond, p. 75.
Rutili Ernesto, p. 141.
Sabatier Paul, p. 63.
Sacrificio: II S. israelitico e fenicio, p. 155.
Salmi: Il libro dei S., p. 157.
Sartorio Enrico C„ p. 404.
Scarabei: Studio degli dei, degli amuleti e degli S. degli antichi Egiziani, p. 63.
Schaeffer Enrico, p. 58.
Schaff David S„ p. 480.
Schiavetti Fernando, p. 411.
Schleiermacher Federico, p. 397.
Schwering W., p. 68.
Sciava R„ p. 322.
Scott Burton, p. 59.
Scuola: La S. femminile e le riforme, p. 300.
Serra Renato, p. 4.
Sette: Le S. orfiche nell'isola di Creta, P- x.54Signore: Circa il nome S., p. 59.
Sihler E. G„ p. 325.
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INDICE GENERALE
XI
Sindacalismo: La religione del S., p. 146.
Sole: L’iscrizione diocleziana al S., p. 325.
Sommi Picenardi Gabriella, p. 393;
Sorani Aldo, p. 71, 132.
Stato: Chiesa e S. in conflitto sul terreno etico, p. 147.
Stoicismo: S. e cristianesimo, p. 325.
Storia de 1 Cristianesimo: I ritrovi spirituali di Viterbo nel 1541, p. 196.
Storia delle Religioni: Religioni del mondo classico, p. 63, 152, 320.
Strong A., p. 64.
Sturzo Luigi, p. 303 e seg. (v. Politica italiana e Azione cattolica e II nuovo partito dei cattolici italiani, sotto la voce Politica).
Tammuz: Il significato primitivo del culto di T„ p. 326.
Tavenner E., p. 152.
Terzaghi N„ p. 154, 155, 156.
Thompson I. M., p. 149.
Titani: Zeus, Cronos e i T., p. 157.
Tolkiehn I., p. 66.
Towianski Andrea, p. 241.
Tucci Paolo, p. 283-, 383, 460.
Tyrrell Giorgio: Una lettera inedita del p. G. T. a un gruppo di modernisti italiani, p. 439.
Orsino Giuseppe, p. 492.
Viénot John, p. 317.
Vos G., p. 61.
Wagner Carlo, p. 42, 215, 451.
Warde Fowler W„ p. 66.
Wernle (prof.), pag. 60.
Wigand R., p. 154.
Wilson Wodrow: A. W. W. (ode), p. 2;
La fede religiosa di W. W., p. 15; W. e Benedetto XV, p. 53; W. in Italia, p. 69 Politica e azione vaticana, p. 133; Da Mazzini a W., p. 329; W. e Gioberti, p. 33X.
Wright A., p. 61.
Zeus: Z., Cronos e i Titani, p. 157.
15
BILÍCHNI5
RJV151Ä DI SlVDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLA TEOLOGICA BATTISTA - DI ROMAAnno ottavo - Fasc. I.
Gennaio 1919 (Vol. XIII. i)
SOMMARIO:
M. A. G. : A Woodrow Wilson (Ode) ........... Pag. 2 Agostino Fattori : Pensieri dell’ora (Leggendo' il « Colloquio con
Renato Serra) di Vincenzo Cento ....... 4
Domenico Di Rubba: La Fede religiosa di Woodrow Wilson. . . » 15
[Con ritratto di Wilson - Silografia di Paolo Paschetto, pag. 17].
Giovanni E. Meille : Psicologia di combattenti cristiani. Note e documenti. II. Gli uomini. (In continuazióne) . . . . . ... » 24
Fra Masseo da Pratoverde : Intermezzo sacramentale (A proposito d Unione delle Chiese cristiane) . ...................» 35
PER LA CULTURA DELL’ANIMA:
Carlo Wagner: Vaso e vasellaio (Sermóne) ......... .....' 42
Spigolature..................... ...... ....... » 4$
CRONACHE:
Guglielmo Quadrotta: Note di politica vaticana ed azione catto1 tea: Un disegno distrutto - Risposta ai «nemici» - Apologetica politica - Messaggi e preghiere - Potenza morale o politica ? - Tentativi di conciliazione - Il nuovo partito cattolico .................. ■ 49
NÖTE E COMMENTI :
Aristarco Fasulo : Wilson e Benedetto XV (A proposito di due articoli di Mario Missiroli) ....... . '.................. » 53
Vittoria Fabrizi de’ Biani : Osservazioni sulle « Previsioni » di qui quondam » 56
TRA LIBRI E RIVISTE :
r. ep.: Cronaca bìblica (VII): Antichità ebraiche - Il processo di Gesù -Circa il nome « Signore » - Il primato di Giuda ? - La Bibbia e il nuovo Codice di diritto canonico - S. Francesco e la Bibbia ........ » 58 ■
Giovanni Costa: Religioni del m^ndo classico (VI): 1. Adone-2. Amentet3. Anima-farfalla - 4. Apoteosi e vita dell’«/ di là - 5. Didone-Elissa 6. Delle divinità secondo gli Epicurei - 7. Idee romàne sulla divinità
-8. Il significato di divus e deus - 9. Drama e le danze dramatiche . • * 63
Dalla Stampa: Wilson in Italia (da II Secolo, Il Corriere della Sera, Il Messaggero, L'Epoca, Il Tempo, Il Marzocco, La Tribuna, Il Corriere d'Italia) » 69
Notiziario .......................... .............. . . »
Cose nostre .......... 4 ... ................................... ,
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A WOODROW WILSON
DIO salvi dalle ultime insidie di guerra la Nave ammiraglia dalla multistellata bandiera, che non un Cesare porta, ma l’Uomo della libertà: porta l’Uomo della libertà, dalla Terra ove la Libertà è iddia,. al vecchio Mondo che per quattro anni (o quattro secoli?) temè di vedere spento per sempre l’inebriante sorriso della Libertà.
Lo Spirito cammina, dunque, ancora sulle acquei. S’accendono come stelle, al suo passaggio, le anime di coloro che nei gorghi oceanici furono gittati col tradimento e la frode corsara. Questo popolo di anime Ti segue e Ti accompagna, Uomo della Libertà, Cittadino della Libertà, Principe della Libertà.
Ben vieni, o Liberatore, sili campi di Europa ove il nuovo Attila, più laido e atroce del suo progenitore, con raffinato sistema di distruzione e di morte, fece deserto, cancellando le mille gioconde apparenze . che fanno divino lo splendore del mondo, quando per tutti eguale, materna regna la-Libertà.
Ora anche il nuovo Attila è una spoglia di museo. Chi lo ha vinto? Gli ardenti soldati di Francia lo hanno vinto, i fieri soldati dell’onore belga lo hanno vinto, i superbi, improvvisati eserciti della Grande Bretagna lo hanno vinto, e gli eserciti non meno supèrbi e improvvisati della Repubblica nord-americana lo hanno vinto;
Ma esso era già statò battuto, o Wilson, dalla tua parola : dàlia tua parola di Giustizia e di Libertà.
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A WOODROW WILSON 3
’ Dalla tua sola e nuda parola, che è di semenza incorruttibile.
Che sgorga dal cuore dell’Eternità.
Che nasce con la Luce e 1* Armonia.
Però che nè i filosofi, nè i retori, nè i diplomatici sanno così parlare. Così sanno e possono parlare soltanto i Profeti sotto l'afflato di Dio.
Soltanto Mazzini, Ezechiele d'Italia, avrebbe saputo parlare come hai parlato Tu, Ezechiele del mondo. Araldo della Libertà.
L* « Uomo bianco » doveva così parlare, per essere vero Vicedio ; ma egli volle essere troppo umanamente imparziale e non chiese conto a Caino del sangue di Abele.
Brandire ei doveva, come Cristo, i flagelli contro gl'immiti mercatori, che nella casa del Padre e invocando il nome del Padre, tradivano e sgozzavano i fratelli;
invece, ai màrtiri egli rese.il servigio che rese Pilato a Cristo e si lavò le mani nel catino di una inaudita neutralità...
Le «chiavi d'oro» passano, per diritto, nelle tue mani, o Wilson: le chiavi d’oro della Giustizia e della Libertà.
Ben vieni, o Uomo che dàlia Casa Bianca alto hai levato il tuo grido in difesa dei popoli oppressi, Tu, Profeta e Giudice, che al mondo redento nel proprio sangue hai dato le tàvole della nuova Legge, la quale farà di tutti i popoli una sola società, una sola famiglia.
Ben vieni ! E sii dottore d’ogni ateneo, sacerdote d’ogni chiesa, pontefice dèli’Umanità, cui resta ora soltanto di ripetere dal Campidòglio di Roma il tuo vangelo di universale Amóre e di Libertà.
Novembre, 19/ 8
M. A. G.
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PENSIERI DELL’ORA
LEGGENDO IL “ COLLOQUIO CON RENATO SERRA „ DI VINCENZO CENTO (?)
ogliamo discorrere pacatamente, un poco, da buoni amici ? La guerra è finita, ora? e se le conseguenze dureranno per tutta la generazione nostra almeno, lo spargimento di sangue è cessato.
È uno scritto curioso il tuo: è sentito? o è esercitazione letteraria? L’esitazione non è impossibile per chi conosca . gli altri tuoi scritti solidi, ferrei e, soprattutto, logici. Qui sostieni cose che è duro sostenere con le premésse che
poni: arrivi fino ad accusare il Padre di quel che di buono c’è in noi. Leggiamo il lavoro insieme e commentiamolo un po’: sarà utile anche per i lettori di questa Rassegna, penso.
Preludio. « Nessuna cosa cambia la guerra ». Cosa intendi dire? Mi par che la guerra stia cambiando non solo forme di governo o aggruppamenti di popoli, ma anche qualche cosa nelle nostre coscienze. Ti pare che i combattenti tornino dalle trincee con l’animo di quando ci sono andati? o che quelli rimasti in Patria tutti, chi più chi meno, si trovino come prima? Questa guerra sorta da un’idea, che si chiude generando o, meglio, sviluppando altre idee, lascia un solco facilmente visibile. . - \
(1) I lettori bisogna che abbiano la compiacenza, leggendo queste pagine, di aver sott’occhio il testo del Colloquio, stampato in questa stessa Rivista nel fascicolo del giugno 1918. [Del Colloquio è in vendita l’estratto presso la Libreria Ed. Btlychnis, Via Crescenzio, 2 - Roma» al prèzzo di L. 0.60].
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PENSIERI DELL’ORA
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Le idee solo cambiano il mondo, e tu lo riconosci quando scrivi: « da due millenni, il mondo gravita dalla vetta del Golgota ». Vedi, dunque, che un cristiano, cristiano nel senso completo della parola, e un romano o un greco della età aurea sono diversi; e son diversi perchè pensano diversamente. Certo l’uomo, per quel che è parte bruta, seguiterà a nascere vivere e morire come prima; nè capisco la tua meraviglia che la terra — guerra o pace — sia sempre tenera di verde a primavera, o ricca di pomi l’autunno. E la rondine torni a marzo e il passero pigoli nel solitario inverno, sotto il pallido cielo.
« Che vale il nostro dolore o il nostro amore? » Ma valgono per noi, mio caro amico, prima di tutto: lo spirito nostro del dolore ha bisogno per affinarsi, come l’oro del fuocn; l’amore, poi, è l’ala per volare al Padre e ai fratelli.
Il Padre vive negli spiriti, è vero? Tu ammetti il Padre, tu ammetti gli spiriti; poiché ammetti spirito e corpo, ammetterai uno mortale, ma l'altro immortale, chè il Padre, immortale, non può esser solo padre di cose mortali, altrimenti dovrebbe esser mortale anche Lui. Ora le anime, o gli spiriti come tu scrivi, sono immortali: e se pur legate al corpo nella vita, se ne liberano poi e non muoiono quando il corpo muore. Dove tornano le anime? Ma donde sono scese. Ricordi Dante?
Esce, di mano a Lui che la vagheggia l’anima semplicetta...
Tornerà, dopo l’esperienza della vita (amore e dolore) non più « semplicetta »: e questa esperienza (ecco il valore della vita singola) è buona o cattiva per sé ed è di esempio buono o cattivo alle altre. Porta con sé la gioia o la pena, ma lascia dietro sé e spande attorno a sè come un alone: l’esempio.
Lo Spirito di Gesù è del Padre vivranno nella terra fino all'ultimo uomo: l’ultimo uomo chiuderà gli occhi e il Padre regnerà ancora sugli spiriti immortali non sappiamo dove, nè come, perchè è mistero, ma la cosa è logica, è certa.
Ma Dio non vive solo negli spiriti, è presente dappertutto. Ricordi la Bibbia? « E lo spirito di Dio passava nelle acque », l’uomo non c’era ancora. Dice un grande Poeta, che tu ed io amiamo:
nel paziente grano del campo T’adoran gli occhi miei.
Quando l’uomo sarà sparito, quando la terra sarà tornata «inanis et vàcua» cóme al principio, nascerà un ordine nuovo,L — Certo, nell’abbandono del primo momento, tutti lasciammo le nostre case, le nostre cose, i nostri pensieri quasi — specie quelli che vivevano di pensiero — per gettarci a capofitto nell’azione, trascinati dall’ebbrezza e dall’entusiasmo. Perchè? Perchè si credeva là guerra una corsa, facile o difficile, un superamento continuo d’ostacoli, un volo, sia pur tra sangue e incendi, di vetta in vetta, sino alla mèta che pareva prossima: Poi venne la realtà, la trincea, la stabilità, la lunga attesa, le veglie lunghe, i giorni lunghissimi nell’inazione. Non si può —
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è vero? — sopprimere nè il pensiero nè le-esigenze dell’anima per quattro anni: ed ecco che si facevano sentire a poco a poco, quasi timidamente; poi — a mano a manó che il tempo passava — prepotentemente quasi. Ed ecco ci giungevano le voci e le notizie dei nostri cari, del mondo con cui avevamo voluto rompere ogni rapporto per esser più liberi. Comprendemmo, insomma, che si, poteva combattere o adempiere il duro dovere di guerra senza trascurare — o almeno non interrompendo del tutto — le nostre consuetudini spirituali. Riannodammo a poco a poco le nostre fila col mondo lontano, con la pazienza e con l’adattamento di cui solo l’uomo è capace, e tanto più capace quanto più sa; e quando la bufera ce le spezzava, le ricomponevamo con la stessa pazienza di prima, mai stanchi, come il ragno che tesse e ritesse la sua tela quante volte gli viene strappata dalla stridula scopa. Così c’è stato modo non solo di leggere il libro preferito, non solo di non tralasciare la propria’ corrispondenza espistolare, ma di scrivere novelle e romanzi, elucubrazioni filosofiche, musica, dipingere quadri, scolpir statue.
Era la vita, amico mio,, la vita che persisteva nella distruzione e nella rovina, la piccola favilla che r nessun vento può spegnere, sfida immortale alla morte.
II. Or dunque, in senso assoluto nè è vero che «la guerra è mia »nè che «io (son) della guerra». Infatti, nè l’uomo singolo può comprendere pienamente e dirigere la guerra, nè la guerra può sopprimere completamente la mente del singolo.
Nè la storia è «il mio spirito» come tu scrivi. Che cosa è la storia? È l’insieme dei fatti umani? Ma tu scrivi « tutti i fatti umani sboccano nel mio spirito »; dunque ammeti l’esistenza dei «fatti umani», cioè della storia, fuori dello spirito. Al quale tutto — o -parte del tutto — confluisce, che tutto — o parte del tutto — comprende e armonizza come l’oceano i rivoli (l’imagine molto giusta è tua); ma appunto e rivoli e mare sono due cose distinte benché concatenate: e oltre ai rivoli è ai fiumi ci sono i colli e i monti, donde quei rivoli scendono, che il mare non sa.
Come lo spirito non tutto sa, nè di tutto quel che accade sa il valore esatto, altrimenti e Ponzio Pilato’ avrebbe compreso Gesù, e Augusto avrebbe cercato in oriente la stella dei Magi.
C'è nei fatti singoli, come nella storia dei popoli, l’imponderabile, la cosa cui non s’era pensato, che non si sapeva, che è quella che suscita cose nuove, atteggiamenti imprevisti, soluzioni o complicazioni improvvise, cui l'animo è impreparato. Golia a tutto pensava fuor cho411a fionda di Davide: Cesare a tutto, fuorché al pugnale di Bruto.
HI. Nulla è inutile, nel mondo: nè il sangue d’un uomo versato per una causa giusta, nè la foglia dell’albero che cade nell'autunno giallastro. Tutto ha valore, ma ha un valore che non è misurabile: solo l’anima sente, in certe circostanze, il valore d’un verso di Dante, il significato d’uno degli eroi michelangioléschi, il senso di un accordo verdiano, il perchè della morte di Faà di’ Bruno a
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PENSIERI DELL’ORA
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Lissa o dei Cinquecento a Dogali. Non è invano tutta la storia del nostro risorgi-mento se ha dato la fiamma ideale a questa guerra.
Ma il fatto, in sè, non ti darà la fede; benché tu sappia che Gesù è morto in croce, non- diventi cristiano per questo. Bisogna che il fatto sia accolto nell’anima e divenga idea: e non basta ancora, chè bisogna che divenga sentimento. Come? ci è ignòto. Ma solo così l’anima si rinnova.
Nè è esatto dire che non c’è « l’ora d'Italia ». Accade alle nazioni quel che accade agli individui: per tre, quattro anni tutto ti va a rovescio, tutti ti gettano addosso uri carico di dolore, e tu, pur fremendo, procedi. Un bel giorno sei stanco, non ne puoi più, insorgi, gridi: Basta! deliberato di non portar più oltre un peso che non Sentì di portar più: questa è l’ora tua.
Oppure, improvvisamente, non sai per quali stelle benigne, si schiara il cielo, la via si fa piana, tu cammini più spedito senza gli ostacoli che ti s’inframmettevano prima: questa è la tua ora. Non ti pare — tu che sai la storia e la filosofia della storia — che sia così anche per le nazioni? che sia stato così anche per l’Italia nostra? ——
Ma è inutile indagare quel che sarà l’Italia tra mille anni; guai se fosse come ora. Vorrebbe dire che è fossilizzata, vecchia, morta. Ora le nazioni — come tu m’insegni — sono organismi vivi che naturalmente si evolvono. L’uomo a un anno, a trenta, a novanta è sempre lo stesso ed è diverso: l’Italia di Virgilio, di Dante, del Mazzini è là stessa ed è diversa.
Or la via che seguiamo è la vera? è l’unica? Qual’è la missione precisa della Patria nostra? Questo mi pare il punto, che tuttavia non è risòlutale.
Ogni popolo, ogni età s’illude d’aver trovato là via vera e s’incammina per quella, poi a poco a poco si vede che non tutto va bene, taglia di qua, togli di là, aumenta, diminuisci, sostituisci, si cambiano le cose, nel corso dei millenni, insensibilmente, a poco a poco. Quando? Non si sa, si vede dopo, voltandosi indietro/
Oppure, tutto in una volta, per una improvvisa intuizione si dice: abbiamo sbagliato strada, voltiamo a destra o a sinistra; e tutti s'incamminano per là. Finché dopo centinaia d’anni ci si accorge che la felicità promessa non arriva e si cambia sempre, si cambia ancora, con la stessa illusione, con la stessa speranza. Le nazioni si cambiano, i popoli muoiono. Che resta di loro? Più che i monumenti o i segni dell’opera, più che i fatti restano le idee, i segni dei grandi pensieri. Il seme che non perisce è quello caduto dall’anima, seminato nell'anima.
Le piramidi egiziane sono « crani ghignanti d’un’epoca », ma Platone è vivo.
IV. — La strada su cui vogliamo e dovremmo camminare —- popoli o uomo singolo — non è quella tracciata dalla logica fredda del calcolo o dell’astrazione, è una cosa viva, continuamente modificantesi,per l’incrocio, di altre vie; per l’urto della realtà. Sì che anche la mente ne è modificata e cambia e modifica e adatta la strada, se non cambia addirittura la meta.
Non t’è mai accaduto di Stabilire e fissare un programma per una gita in montagna? Vedi, dalla pianura, un cocuzzolo; studi o ad occhio o sulla carta o su in-
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BILYCHNIS
dicazioni orali e stabilisci l’itinerario e la meta. Ed ecco, che, salendo, trovi che la via è, sì, su per giù quella, ma un po’ diversa: c’è qualche ostacolo che non sapevi, c’è qualche impedimento improvviso. Giungi in alto e trovi che dietro quel cocuzzolo ce n’è un altro, non visto prima; e modifichi la tua gita, e sali su quello per scoprir di più, per saper di più. Ora la vita è appunto questo equilibrio continuamente rinnovantesi tra la logica ferrea del calcolo fissato prima e la realtà della cosa; e tanto è più agile e retta la mente quanto più è, pronta a provvedere subito agli incidenti continui, avendo sempre presente la meta, non dimenticando le leggi morali che guidano l’anima. Tra questi due poli, uno esterno, l'altro — di gran lunga più importante — interno si muove sia la vita individuale sia la vita dei popoli.
Tu che credi nel Padre, come affermi in principio, non puoi chiederti « che vale l’onta nostra? od il valore? ». Siamo qui per elevarci, ci sono due forze in noi delle quali una ci tira in basso, l’altra ci inalza: sviluppare la seconda per indebolire (od annullare) la prima, E tutto questo, che è difficilissimo compito di tutti i giorni,, di tutte le ore, attraverso dolori e gioie ignorate. Chè non siamo qui per recitare la commedia agli altri, per comparire agli altri, per parere, ma per essere', e per essere l’anima ha solo per testimoni se stessa e Dio. Può, sì, essere d’esempio agli altri, ma come seconda cosa: la prima è il perfezionamento di noi stessi.
E allora — ma questa per il filosofo è considerazione tuttavia secondaria — può l’uomo rimanere anche nella storia: Francesco Ferruccio, Silvio Pellico, Luciano Manara. Nulla nel mondo è inutile, nè il peccato nè l’azione meritoria; s'intende Che l’eco ha un’azione limitata all'importanza dell’atto che si compie, e di chi lo compie;
Ti duoli di non poter peccare in modo da far commuovere l’Universo. Che intendi? Non si possono compiere grandi azioni (generalizzo la cosa in tutti i sensi) andando a cercarle col lanternino, e quando si sia poi offerta l’occasione manca l’animo. Abbi prima l’animo grande, e lascerai dietro di te grande orma: benché non bisogna esaltare troppo questo nostro io piccolettó.
Ma se per « toccare l’Universo » intendi lasciare perennemente un segno tangibile, non importa se buono o cattivo, eh! no, amico mio: la più nefanda azione dell’uomo potrà toccare, o distruggere,, opere umane (le quali con l'andar dei secoli o si sorpassano o si sarebbero distrutte a poco a poco ugualmente. Quell’Erostrato che distrusse il tempio di Diana che ha fatto? che se ti piace la fama sua puoi domani andare alla Vaticana e sfregiare — o distruggere — la Trasfigurazione), ma l'universo non può esser « toccato » dall'azióne degli uomini in modo duraturo, perchè non è opera dell’uojno, e l'uomo su lui nulla, o pochissimo, può. Nè spostare un monte, nè far biondeggiare di spighe le nevi del polo.
Puoi riconoscere — ma è una constatazione trimillenaria per lo meno — che la mente dell'uomo è limitata, che la potenza dell’uomo è anche più limitata, puoi dolertene anche, ma disperarti addirittura poi...
V. — Ma nè la guerra, nè la pace, nè la ricchezza, nè la povertà, nè la prosperità, nè l’infelicità possono darci quel che tu chiami « la giovinezza d’un sogno »
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PENSIERI DELL’ORA
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o « aprirci un destino ». Come possono le cose esterne, di qualunque specie esse siano, tracciare una via, imporre una volontà (esse, senza volontà, inerti, morte) alla nostra volontà? ' .
Dall’alma origin solo han le... opre.
0 siamo, forse, come gli avventurieri che sperano dai grandi cataclismi di emergere o di ingrandire? Ma essi hanno già ben fissa la loro volontà, come un cuneo, nell’anima: gli avvenimenti potranno essere prosperi o avversi, ma la loro via è fissa già. 0 tu credi che i martiri cristiani aspettassero le persecuzioni di Nerone per sentire e proclamare la loro fede?
Non le cose dominano su noi, noi dobbiamo dominare le cose. La meta che vogliamo raggiungere deve scaturire dalle forze multiple dell’anima, cosciente di se, che sa dove può Arrivare, che sa di quali energie dispone. Riuscirà? Sì o no poco importa: necessario è che tutti gli atti, tutti i pensieri escano segnati dall’interno fuòco.
VI. — L’esempio di Fauro è ben chiaro e dimostra — senza che sembri te ne sia accorto — questa verità.
Come! Non costruisce una nazione? Ogni nazione ha i -suoi caratteri speciali, non è vero? La ricerca della diversità’ dei quali ci porterebbe troppo per le lunghe e non è neanche necessària. Ma che differenza etnica sostanziale ci sia tra i Russi e noi, per esempio, o tra i Giapponesi e gli Spagnuoli non vorrai negare. Ogni nazione, ogni aggruppamento omogeneo di popoli crea, e crea cose tanto più difficilmente periture quanto più grande è l'idea che rappresentano o che le ha generate, di cui son calde.
La Divina Commedia, la Cappella Sistina, la Messa di papa Marcello, il Dialogo dei massimi sistemi, i Diritti dell’uomo, il Cantico delle creature sono costruzioni italiane, immortali: altrove non potevano avvenire. 0 non ti pare che Francesco d’Assisi (lo puoi pensare tedesco? o cinese?) predicando la fraternità tra tutte le creature, suora morte corporale compresa/ abbia costruito un edificio perituro?
Questo costruisce la nazione, per. questo ha diritto alla vita ed alla libertà; E l’umanità guarda a queste torri e procede nel suo cammino misterioso. Sono come fari; il Cardùcci chiama appunto l’idea « ai secoli affluenti faro ». Quésta rimane : gli uomini passano.
Ogni nazione, dunque, costruisce torri più o meno alte, fari più o meno lucenti: l’umanità a tutti guarda, da tutti trae forza e consiglio e guida, armonizzando il glorioso passato — patrimonio comune — perchè il cammino sia rischiarato^ da una luce sola, perchè si sappia e si veda e Si speri e si creda che come ci furono indicibili aurore sul móndo, così ci saranno ancora.
Ora, l’aurora è data per riprendere il cammino al canto rinvigorito degli uccelli, Còri rinnovata lena. •
Jk
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IO
BILYCHNIS
Intermezzo. — Veramente è misterioso il nostro cammino: « dove ci conduci. Signore? » Ma sappiamo che ci condurrà a luminoso fine, se non ci opponiamo alla Sua mano. La « cocente ansietà di ricerca » che ci travaglia è uno dei segni .della anima eletta, senza dubbio;- ma bisogna che si sappia quel ¿he si vuol cercare, che si segua la strada o se ne trovi una che ci conduca a quel fine: errare di dubbio in dubbio o di incertezza in incertezza non è dilettantismo piacevole, e non è giusto incolparne il Signóre. /
Ma che cosa è il peccato? È la trasgressione — sentita; come rimorso di coscienza — di una lègge morale che si riconosce e si accetta. »Ora, se non riconosci la legge non hai il peccato. Chè se riconósci la legge, tu .ti metti fuori della legge trasgredendola; e se nella legge è Dio tu lo perdi, o perdi la Sua grazia cheè tutt’uno, peccando. Non è così?
Non è vero, dunque, che il Signore vive nel nostro peccato, che è bestemmia, nè che è nella nostra tenebra. San Giovanni dice: « lux in tenebris lucet et tenebrae eam non comprehenderunt ». Credi nel Signore? credi anche all’Evangelista.
La luce è là via diritta, quella che ci fa vedere gli ostacoli, che ci aiuta a camminare: lì è Dio, che ci dà la forza per proseguire, infatti è scritto: «pulsate et ape-rietur vobisxFunesta è l'ómbra a chi tenta le vie del cielo. •
Se tu brancoli nel-buio può essere per due ragioni, o che tu non vedi la luce o non la'vuoi vedere. In tutt’e due i casi bisogna cercarla, umilmente, e non senza fatica. E bisogna bussare. Non si può stare come il pigro Belacqua a guardare pigramente se stessi, in attesa di qualche cosa, non si sa poi che; bisogna cercare la strada, perchè è anche scritto: « il regno dei cieli è dei violenti », di quelli, cioè, che lottano contro se stessi per liberarsi d’ogni impaccio carnale ed apprendere e salire. Allora sotto i tuoi passi sentirai il terreno fermo e la luce nella tua strada quando l'anima si sarà'definitivamente liberata dalle sottili insidie dei pensieri e dai vincoli molteplici dei sensi.
« Ora il Signore è Spirito: e dove è lo Spirito del Signore è libertà ». Chi è libero, mio caro amico, è sicuro, è il solo sicuro. Sorge, canta e cammina. Ed è libero chi trova la legge e le si sottomette volonteroso.
Nell’obbedire libero mi sento
canta il Maestro; e altrove:
Cèrcati in cor la legge: alta, severa, sóla, ella rompe l’ombra della vita.
Piega, o mortale, al peso uman le spalle giù, tra i fratelli, a migliorarti intento; e del mistèro avrai l'alta parola.
Sarai com’alber pósto nella vallé riparato dall’impeto del vento: e al piè gli s’apre l'ùmile viola.
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PENSIERI DELL’ORA
II
VII. — «Il dovere, che risuona nell’animo con fragore di tuono. Obbedire tremando, imprecando — guai al sacrilego che denudi l'inaccessibile Sacrario». Ma no: tu intendi il dovere come qualche cosa di imposto? Sei ancora — no, non voglio farti questo torto, ma vedi dove ti conduce, la fantasia — alla mentalità del contadino che impreca contro il Governo quando è chiamato alle armi o deve pagare le tasse? Si capisce allora che si. obbedisce male, ed è solo obbedienza esterna, questa; infida, che. ha bisogno di questurini o di carabinieri, che fa le ribellioni o le diserzioni o Caporetto.
No, no: il dovere deve sorgere in noi, non venire da fuori « con fragore di tuono ». È l’anima che si sceglie la sua legge, o, se non ha la scelta, che riconosce la necessità e là ragionevolezza della legge che le è imposta, e si assoggetta liberamente ai carichi che la legge impone. E questo è il dovere.
Che se non riconosce la legge c ome giusta sarà suo dovere trovarne, o seguirne, un'altra in opposizione; e allora sa che andrà incontro, per quel dovere che s'è liberamente impósto, a dolori d'ogni sorta, ma è preparata e non imprecherà.
Possiamo, in ogni caso, da uomini coscienti, a guardare in noi il senso e la qualità del dovere e la via che seguiamo; « l’iddio inesorato» è tutt’altro che velato. E poiché è scelto, è tutt’altro che inesorato, come tu non chiamerai sacrifici penosi quelli che compi per la tua Selvaggetta, che hai liberamente scelta, o per Pupetta, il fiorellino di casa tua. lugum smave est et onus leve.
Prometeo non si ribellò al dovere, ma brucia per il dovere più alto che si impone, nè si lamenta. 0 se si lamenta in Eschilo non è da uomo prometeico, ma epimeteico; egli sapeva, infatti, contro chi aveva da lottare e che comandamento trasgrediva. Nè Ciro Menotti, nè Enrico Tazzoli, nè Giuseppe Mazzini si lagnarono della loro sorte.
Nè Cristo si lagnò della Croce.
VIII-IX. — Vedi, dunque? Tu confessi: « l’Italia è la realtà che mi plasma e in cui respiro; da cui trassi il sangue e succhiai il pensiero ». Dunque la nazione costruisce; costruisce il signor tal dei tali, che sarà Leonardo, o Giulio Cesare, o Giuseppe Verdi, o Shakespeare, o Withman; i quali tutti si eleveranno, sissignore, dal gregge, usciranno dal formicaio come un fiore esce, dalle erbe basse del prato. Per uscir dal formicaio non basta il desiderio, ma ci vuole potenza d’ànimo superbo, fede assoluta in sè e nelle proprie forze e nella missione da compiere. 11 volo viene da sè.
Che se le formiche contemporanee nonri conoscono l'opera del genio, questa sarà conosciuta dalle altre formiche che verranno: l’esempio di Dante insegna.
X. — Ma bisogna una buona volta esser certi di questo: che la giustizia e il diritto nè sono parole nè son l’impeto di vivere oltre la vita. Sorgono dalla nostra coscienza, sono la nostra coscienza stessa, sono l’espressione delle leggi non scritte, quelle di Antigone contro Creonte, immortali, insopprimibili. Per questo il «povero
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Faust tedesco » come tu lo chiami, è caduto: ha creduto che bastasse la forza bruta per domare il mondo.
Ei dal delitto svolge il diritto .e dal misfatto il fato,
o, come tu scrivi, « l’artiglio scrive la legge ». E non è vero. L’artiglio può sbranare, versar sangue, uccidere, non può sopprimere la voce della coscienza. E, se non ti bastasse la storia della guerra attuale, guarda la storia del nostro risorgimento.
Lotta contro Dio, anche se ogni momento Lo invochi, chi dimentica o viola queste leggi immortali: gli altri no. E non puoi accomunare le vittime coi carnefici e mettere tutti e due sulla stessa bilancia; d’altra parte (e sia detto tra parentesi) se riconosci che lottare contro Dio è inutile perchè tenti la lotta?
Perchè desideri imprecare? Imprecare contro Dio come, secondo te, farebbero i poveri di spirito? Ma i poveri di spirito, amico mio, sono quelli che non presumono di sè, che chinano la testa umili, nel cammino della vita, e, dimenticati e non conosciuti, sonò il sale del mondo. Ti laipenti che il Signore t'abbia dato « troppo fonda anima per sì piccole cose », ma, mio Dio, se l'anima è veramente profonda, se ha conosciuto che le cose sono veramente piccole, le apprezza solo nel loro giusto valore, non ci si attacca, le supera e cerca altro. Se non crede in Dio speculerà disperato come il Leopardi, il quale dovrà, alla fine, dare anima al tutto e accusare la Natura dell'infelicità umana, come se la Natura fosse un essere preesistente al mondo e l’abbia creato. Ma ehi erede in Dio, eon l’anima profonda Lo cerca e sale, attraverso le cose, a Lui. Nè lo bestemmia imputandogli a delitto quello che è appunto il Suo più gran dono, col quale possiamo trascendere il carcere angusto dei sensi e spaziare nell'infinito.
Ma tu del tuo mal l’accagioni, nè pensi che audace la legge eterna, l'arcano Dover che il cielo e la terra corregge, spregiasti con folle pensier.
- XI-XII.— Gli ultimi due capi ripetono, su per giù,-sotto altra forma idée espresse prima, cui almeno mi pare d’aver risposto.
E concludiamo, che mi par ora.
Ho scritto queste cose non da filosofo come tu. sei, ma alla buona e chissà che non abbia errato nell’interpretazione di qualche passo; nel qual caso* avrei caro Che tu me 10 facessi notare.
Ma tu potresti obbiettarmi: « ecco l'errore della tua critica, amico. Hai scambiato per teoria politica o filosofica un lavoro che vuol solo rendere un travaglio spirituale, essere un'opera d’arte, comunicare una vibrazione estetica nell'animo del lettore ». Senonchè puoi ammettere che ci sia opera d'arte senza consistenza di pensiero logico? e logicò anche nel dubbio? Quella che fu chiamata l’arte per
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l’arte, facile pretesto per bizantineggiare e far sì che i novissimi artisti sciorinassero al pubblico quattro cose insincere con otto paròle astruse, in forma sibillina, con grande ammirazione dei giornalisti ignoranti e della cricca incensiera, dev’essere seppellita per sempre. Fare il tisico e lo scostumato in poesia e l’onesto e sano padre di fa'miglia nella vita di tutti i giorni, o viceversa vivere da dissoluto e scrivere da cenobita, potè parer bello ai nostri nonni, o ai nostri padri : a noi non piace.
L’uomo deve, quando vuol far dell’arte, esprimere quel che è e sente, non mettersi una casacca varia secondo la moda. Ma già l’arte non si può « voler » fare; viene da sè come l’acqua di vena, e la mente, che genera il pensiero, che fa fiorir l'opera d’arte, che si traccia una regola di morale, cui conformare la vita pratica, è e deve essere una sola.
La domanda del Leopardi: « Luna, che fai tu, in ciel? » ci fa fremere, perchè vediamo il cupo della sua anima, e non troviamo strano il suo stato psichico, anche se dissentiamo dalle sue idee. Ma tutta la sua ode ci sembrerebbe assurda — e sarebbe — se egli confessasse Dio. Per questo, il tuo stato d’animo è, come dissi in principio, curioso; e non mi par travaglio o^ tragedia, ma piuttosto — perdonami la parola — pigrizia, sia pure intellettuale, perchè non vuoi con volontà deliberata andare a fondo dei problemi che poni e che senti di dover, in qualche modo, risolvere.
Ora questo ammettere Dio fino a un certo punto, cioè non riconoscendo l’opera Sua nel mondo, non adorandoLo, non seguendo i precetti che pur ci son dati da Lui abbastanza chiari nella Bibbia, nel Vangelo e nelle Lettere Apostoliche, o, se non credi ai Libri, nella retta coscienza che ci testimonia entro del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto; questo continuo giocherellare — non parlo, s’intende, per te — con le idee più grandi ed auguste come se fossero balocchi, così, tanto per mostrare una certa spregiudicatezza morale che piace tanto alle signore isteriche e agli anfibi; tutto questo è un pessimo e reo vizio mentale che ci ha portato danni infiniti nel passato e che ce ne porterà nel futuro.
Non è per te questo, nè mi sarebbe lecito dirtelo: tu hai mostrato, in scritti densi di pensiero è perspicui di forma, e con la tua opera di educatore e di maestro d’essere ben diverso. E m’è caro renderti giustizia... dopo d’averti un po’ malmenato. Ma la mala genia di costoro, continuamente oscillanti, che non aderiscono mai loto corde a nulla, che han sempre e, in fondo alla loro coscienza e ai loro discorsi, un cantuccio per accogliere le idee contrarie, non è finita ancora: mezze coscienze che. han tentato di distruggere quel che di buono c’era in noi. Così fu lecito ridere della fede\della patria, del dovere, deH’amor. coniugale, di tutto: cosa rimase d’inviolato a quéstrnovissimi superuomini?
Basta con le capriole buffonesche: è necessario inculcare in tutti il concetto chiaro, imperativo del dovere, cui non ci si può sottrarre. Il quale deve — e non nella scuola soltanto — essere come una strada solida, tracciata da noi nel campo incolto, ricinta di siepe alta dalle due parti; al piede non dev’esser dato adito di far scorribande dove più gli piaccia: la via è una sola, quella che la coscienza illuminata liberamente traccia, per il bene proprio e degli altri.
Ora tanto sangue s’è versato non certo per poca terra o per sete d’oro; e Tinse-
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gnamento è tremendo e bisogna che sia raccolto. Non si può — e sarebbe delitto — seguitare a fare i don Abbondi o, come i sofisti antichi,, inculcare'nei giovani che tutto è parola, astuzia e gioco di spirito.
Bisogna ricostruire: e nessuno può farlo meglio di noi che siamo a contattò con anime aperte e belle. Sappiano, i giovani da noi che la vita è ferrea, che non si può girovagare pei giardini di Armida, che non si può e non si deve .cercare il lucro disonesto, che il dovere c’è per tutti, senza scampo, in alto e in basso, che a una legge morale — che è poi ordine, negli uomini e nelle cose '— bisogna ubbidire, che il più bel sorriso viene dopo un giorno di lavoro, che solo allora l'anima è paga quando la fronte s’è abbellita di sudore operoso. E anche un’altra cosa bisogna che sappiano: che non devono cercare il plauso degli altri nel duro lavoro di tutti i giorni, che devono solo guardare alla loro coscienza e, diciamolo pure alto, che non è vergogna, all’occhio di Dio.
Solo così si faranno gli Italiani, e la'patria potrà dire al mondo la parola di vera giustizia umana che lei sola può dire.
Ma per far questo bisogna che, prima, queste idee siano radicate profondamente in noi. Cercarle con pazienza umile, ritrovarle,-seguirle e far violenza a quel che in noi è vecchio e repugna al rinnovamento necessario.
Soltanto con l’esempio di una vita austera daremo valore alle nostre parole educative.
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Modena, novembre-dicembre, 1918Agostino Fattori.
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LA FEDE RELIGIOSA
DI WOODROW WILSON
Wilson è un cristiano evangelico.
illuminato da quella sincera fede che lo conduce ogni domenica al tempio ad elevare le sue preghiere a Dio; fortificato e sorretto costantemente dall’educazione evangelica, efficace e sicura plasmatrice di caratteri fermi e rettilinei, egli ha levato sul turbine devastatore la voce più giusta e umana, più armoniosa e ardita che durante la guerra, e anche prima, sia stata mai udita. Non sentite tutto il simbolico contrasto tra il rappresentante del più vecchio edilizio dell'umanità, trincerato dietro la più impassibile neutralità, e questo atleta del pensiero audacemente rinnovatore, rappresentante del più giovane popolo che ascende vittoriosamente versola glòria più grande? Ogni atto di Wilson è un canto; ogni messaggio una apoteosi dell’idea che, purificata nel fuoco della prova, risorgerà dominatrice sull’umanità rinnovata di domani.
Ecco come Wilson parla di quell’eterno codice della vita che è la Bibbia:
La convinzione che la Bibbia produce in me — non solo per l’insegnamento che ricevetti da fanciullo, ma anche per ogni esperienza della mia vita — è eh’essa è la sola e suprema fonte di rivelazione: rivelazione del significato della vita, della
natura spirituale e dei bisogni dell’uomo. E’ sola guida che conduca veramente lo spirito nella via della pace e della salvezza. Se possiamo indurre gli uòmini a conoscerla intimamente, avremo assicurato la rigenerazione dell’individuo e della società.
Ed ancora in un fulgido messaggio ai soldati americani:
La Bibbia è il Libro della Vita.
Vi invito a leggerlo ed a farne l'esperienza da poi stessi. Leggetene non solo dei piccoli brani or qui or là, mia lunghi capitoli e cosine comprenderete l’intimo significato. Esso vi metterà dinanzi l’esempio di veri uomini e di vere donne. Più lo leggerete e sempre mèglio vi diverrà chiaro quali siano le cose che importano nella vita. Imparerete a conoscere che le cose che resero felici quegli uomini e quelle donne sono: la lealtà, la buona condotta, il parlare veracemente, la prontezza a tutto sacrificare nell'adempimento di ciò che credevano loro dovere, epiù ancora l'intenso desiderio della piena approvazione del Cristo, che tutto si dette per loro; e, per contrasto, troverete che le cose che rendono infelici sono:, l'egoismo, la viltà, la cupidigia e tutto ciò che è basso e volgare.
Quando avrete così letto la Bibbia, espe-rimenterete che essa è la Parola di Dio: essa diverrà la chiave del vostro cuore, vi mostrerà il vostro dovere e vi condurrà alla felicità.
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Raccogliamo la bellissima preghiera dettata dal Presidente in occasione del primo anniversario dell' intervento in guerra della sua grande nazione, affinchè tutti i cittadini americani la recitassero :
Padre nostro, che sei nei cieli, ascolta la preghiera di cento milioni di creature. Dacci la forza di resistere alla minaccia che incombe su tutta l'umanità. Dacci l’aiuto della potenza per vendicare le donne -e i fanciulli messi a morte, gl'innocenti martirizzali e mutilati, le città ruínale, le case distrutte, i campi devastati, le popolazioni depredale.
Rendi i nostri cuori fermi e le nostre volontà incrollabili, o Dio, per combattere sino all’ultimo soldato, sino all’ultimo dollaro, sino all'ultimo palpito del nostro cuore, se è necessario, affinchè questa indegna Germania sia schiacciata come essa ha schiacciato il mondo.
Sostieni il nostro proposito sacro di salvare la democrazia nel mondo. Mostra ai nostri valorosi figli il cammino della vittoria nella lotta, perchè da questa guerra sorga prontamente una pace durevole. Metti la tua alla potenza al servizio della libertà e della giustizia.
In nome del Principe della Pace che Tu hai mandato quaggiù per la salvezza del mondo, aiutaci a stabilire la pace su la terra e la buona volontà fra gli uomini. Rendici umili nella vittoria, umili nel trionfo. Ma, o Dio, facci anche, te ne preghiamo, forti per renderci giustizia e inflessibili nella vendetta. Proteggi, noi te ne preghiamo, i nostri bravi soldati e marinai. Ricevi con tenerezza e misericordiosamente nel tuo seno coloro che dovranno sacrificare la loro vita. Dà la saggezza a coloro che ci governano e a-coloro che gui-dano le nostre armi.
Concedi all’America e ai suoi nobili alleati, noi tè ne preghiamo, di essere liberati dall’insidia nemica.
E sentite qual forza d’ispirazione religiosa in quest’altrq messaggio diretto da. Wilson agli Americani nel «giorno di ringraziamento a Dio » :
Da lungo tempo è stata sacra l’abitudine del nostro popolo di volgers i, alla fine dell'autunno fertile, verso Dio potentissimo per lodarlo e ringraziarlo delle innu- f meri benedizioni e grazie eh'Egli ci accorda come Nazione. Noi possiamo tener fede a questo costume anche ora, nel mezzo della tragedia d'un mondo squassato dalla guerra e da un disastro incommensurabile, in mezzo a tristezze e pericoli enormi, poiché anche tra le tenebre che si sono accumulate sopra di noi, possiamo vedere le grandi benedizioni che Dio ci ha accordate; benedizioni che valgono più della semplice pace dello spirito e la prosperità delle imprese. Iddio ci ha fornito l’opportunità di servire l'umanità (nella stessa guisa che noi- una volta servimmo, noi- stessi, nel gran giorno della nostra dichiarazione d’indipendenza} prendendo le armi contro una tirannia che minacciava di conquistare e di abbassare dappertutto l’umanità, ed unendoci a popoli liberi per domandare, per tutte le nazioni- della terra, ciò che noi abbiamo allora domandalo ed ottenuto per noi. In questo giorno della rivelazione del nostro dovere, non solamente di difendere i nostri diritti nazionali, ma di difendere anche i diritti degli uomini liberi in tutto il mondo, Dio ci ha accordato, completa ed inspirata, l’idea e la risoluzione dell'unità di azione.
Noi siamo stati condotti a non avere che un solo pensiero, ed un solo fine. Un vigore nuovo per la comunanza del pensiero e della azione ci è stato rivelato. Noi dobbiamo anche specialmente render grazie a Dio di ciò che, in queste circostanze, nel mezzo della più grandiosa impresa che abbia mai tentato lo spirito degli uomini, noi abbiamo, se praticheremo un'economia pratica e ragionevole, un’abbondanza che
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(Silografia di Paolo PASCusrro)
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ci permette di soddisfare ai bisogni di quelli che ci sono associati ed ai nostri propri.. Una luce nuova si spande sopra di noi. I grandi doveri del nuovo giorno svegliano in noi uno spirito nazionale nuovo e più grande. Noi non saremo più giammai divisi, noi non chiederemo più giammai di chi noi siamo composti.
E mentre noi Gli rendiamo grazie per queste cose, preghiamo anche Dio potentissimo, in tutta umiltà di spirito, che ci guidi affinchè ci manteniamo costantemente in ispirilo ed in alto al Suo servizio, che i nostri spiriti siano sempre diretti ed il nostro braccio rafforzato dalla Sua grazia; e che alla Sua ora Egli accordi a tutte le Nazioni della terra la libertà, la sicurezza, la pace, la fraternità e la giustizia.
Ma, senza fare- del sentimentalismo, dove il Wilson ha mostrato di possedere uno spirito superiore, un’anima eletta pervasa da un senso mistico purissimo è in questo che potremmo chiamare l’ultimo arco di luce spirituale solcante i campi fumanti della guerra, l’ultimo inno dall’incendio devastatore elevato a Dio, Dopo la strepitosa e schiacciante vittoria, che recherà nel mondo il trionfo del Diritto e l’estinzione del militarismo, mentre tutti i governanti nella gioia legittima si preoccupavano di tenere discorsi altisonanti e ricevimenti pomposi, il Presidente degli Stati Uniti d'America, emanava un nuovo, fulgido proclama per esortare il suo popolo ad innalzare a Dio ringraziamenti e preghiere per la fine vittoriosa della guerra, e designava il 28 novembre come giorno festivo, perchè in esso si compiesse il sacro dovere verso l’Onnipotente :
E nostra consuetudine rivolgere in autunno preghiere e ringraziamenti all’Altissimo per tutte le benedizioni e le grazie di cui Egli ha colmalo durante l’anno la nostra nazione.
Quest’anno abbiamo ragioni eccezionali che ci spingono alla riconoscenza e alla gioia. Dio si è degnato concederci la pace e questo non vuol dire soltanto l’aver cessato di combattere, ma significa' la fine della tragica tensione che a causa della guerra incombeva sopra di noi. Splende su noi un nuovo giorno, entra nei nostri cuori vai nuovo coraggio davanti alle nostre rinnovate speranze, sorgono nuovi e maggiori doveri.
Mentre rendiamo grazie per tutto ciò non dimentichiamo d'invocare l'aiuto divino nell’adempimento di questi doveri e il divino perdono per tutti gli errori che abbiamo commessi negli atti e nei pensieri; e preghiamo perchè dall’azione nostra risulti un consolidamento dei vincoli di amicizia e di mutuo rispetto che debbono servir di base al nuovo edificio della pace e alla vp-lontà di Dio fra le Nazioni.
Perciò io, Woodrow Wilson, Presidente degli Stati Uniti d’America, ho designalo e designo giovedì 28 di novembre prossimo come giorno di ringraziamento e di preghiera e invito la popolazione di tutti gli Stati Uniti a sospendere durante quel giorno le loro ordinarie occupazioni e a rivolgere nelle loro abitazioni .e nei luoghi del pubblico culto ringraziamenti a Dio, che dirige le sorti di tutte le Nazioni.
Woodrow WilSon parla parole di cielo, sempre permeate di vivida fede e di speranza incrollabile. Ad ogni passo del suo dire egli risale con intimo piacere e soddisfazione ai supremi postulati etici del cristianesimo, tanto che i suoi discorsi e messaggi appaiono più spesso frutto d’una meditazione religiosa che politica. Perciò è stato giustamente detto che il suo umanesimo ha per sostrato, non già solo un vagò sentimento religioso misto a dottrine sociologiche e filosofiche, ma l’Evangelo stesso di Cristo. Le sue idealità politiche, già nobili e umanitarie per se stesse, ricevono
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dalla viva e. profonda comprensione delle verità cristiane evangeliche una così grande e fulgida luce d’incomparabile elevatezza di sentimenti, che bene a ragione la sua personalità sta da -nói assumendo l'aspetto d’una figura leggendaria, quasi mistica. Wilson appartiene alla grande razza di quegli eroici affer-malori dell’invisibile, da cui sono usciti, da Paolo di Tarso a Lutero e a Mazzini, i più grandi apostoli dell'ideale religioso : le pietre miliari di Dio. Wilson segna una nuova data nel risveglio cristiano.
Dai suoi proclami traspare subito come la sua retta coscienza religiosa sia plasmata da una fede cristiana evangelica positiva e sincera, e come egli sia animato da uno spirito di preghiera vivo e sentito.
Il fatto è dei più meravigliosi in questa ultima storia moderna, che ha visto spostarsi i centri della suprema autorità scientifica e avvilupparsi le più ardite correnti del pensiero nei modi più imprevedibili. Pareva oramai che tutta la sapienza dello scibile si fosse cristallizzata in poche dommatiche, assiomatiche verità scientifiche indistruttibili: nella negazione delle credenze antiche e nella spiegazione continua dell'uomo moderno — il nuovo idolo.
Chi osava alzar la voce?
Uomini di Stato, governanti, ministri non osavano invocare le benedizioni di Dio sui loro popoli. Sarebbero stati derisi. Nè nelle università i professori dicevano alcuna cosa in prò della religione. Era per lo meno un'offesa alla grande verità scientifica! Ma ecco Woo-drow Wilson, presidente della Repubblica degli Stati Uniti d'America, già professore universitario, che inverte i termini della vita, e dice: «Il fondo dell’affare è diverso: bisogna ritornare a Gesù »; ed ha schiuso ai liberi orizzonti le fonti pure del sentimento, inaridite
dalla concezione materialistica della vita, e se sarà inteso e seguito, come l’esempio più fulgente dei nuovi tempi, egli avrà indubbiamente aperto la tomba al materialismo ateo. Ecco perchè il linguaggio di questo grand’uomo di Stato è apparso al mondo profano del tutto nuovo. Ecco perchè l’evangelismo mondiale è così fièro e sicuro della sua missione nel mondo rinnovato e purificato dalla guerra: perchè annovera quale suo vessillifero il maggiore uomo politico dei tempi contemporanei.
Di contro alla manièra dei cattolici romani, che nella maggior parte dei casi solo perchè figli di cattolici si chiamano cattolici, ma che di fatto ñon sono di nessuna religione, Wilson è un fedele e costante cristiano evangelico, non solo perchè figlio, di evangelici — è noto infatti che il presidente Wilson è figlio di un pastore presbiteriano, di origine scozzese, che diresse per lungo tempo una Chiesa evangelica ad Augusta in Georgia, — ma perchè si interessa personalmente di continuo del problema religioso e dell’incremento dell'opera evangelica. Sentite il seguente nobile discorso, riportato dal Watchman Examiner del 13 luglio 1916, che egli pronunziò in un’adunanza tenuta a Washington in occasione del centenario della Società Biblica Americana:
Io mi sento sinceramente confuso al pensiero dell’importante tema che si offre alla nostra discussione in questo pomeriggio, tanto più se penso alla mia insufficienza in proposito. Ma ho anche sentito che la rappresentanza della nazione — che è stata in special modo benedetta per la diffusione della Parola di Dio — aveva l’obbligo di essere .presente in una occasione simile a questa e di prendere parte alla celebrazione cui noi partecipiamo. Deve essere ragione di viva gioia per tutti
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il partecipare alla celebrazione di ogni lavoro che, simile a questo, è una testimonianza di tenace ed altruistico sforzo. Questo è ciò che dà dignità, nobiltà e sicurezza alla vita.
È una interessantissima circostanza forse io dovrei, aggiungere un'amara circostanza — che il mondo si sia svegliato ai suoi obblighi rispetto alla diffusione delle Scritture. Noi stiamo celebrando il primo centenario della Società Biblica Americana (e vi sono altre Società bibliche più antiche di essa). Ma cento anni sono veramente una ben piccola parte della storia del Cristianesimo; e questa grande Bibbia è il principale veicolo della cristianità. La propaganda, gli sforzi sistemàtici missionàri sono anche recenti rispetto alla storia, ed è con emozione che noi assistiamo al principio di* quanto può compiersi con questi mezzi.
Coloro che intrecciano insieme il pensiero, gli ideali e le concezioni del genere umano, intrecciano anche insieme le loro azioni. Essi controllano le forze motrici dell'umanità se possono controllare questi sentimenti. Una ragione, quasi la sola ragione, che separa le razze e nazioni di uomini l'una dall'altra è la differenza di pensiero, di punto di vista, di tradizioni, di esperienze, di istruzione. Se tutto il mondo avesse una letteratura comune, se tutto il mondo si fosse abbeverato alle stesse sorgenti di ispirazione, molte linee di divisione non sarebbero mai state tracciate, e molte sarebbero adesso scomparse .
Orbene, coloro che diffondono le Scritture lavorano, per così dire, a trascinare il i móndo insieme sotto l’incanto di un corpo di letteratura (la Bibbia), che non appartiene a nessuna razza, a nessuna civiltà, a nessun tempo della storia del mondo, ma il cui appello è universale, perchè scruta e illumina i cuori tutti ugualmente. Nella proporzione in cui gli uomini si abbandonano alla benevola luce [ del
Vangelo, essi sono uniti insieme da legami di mutua comprensione e di sicura pace. Perciò si può facilmente accendere il proprio entusiasmo alla fiamma che brucia sull'altare di una società come questa.
Noi lavoriamo, diffondendo il Vangelo, a condurre tutte le nazioni del mondo ad una medesima mente, ad una identica luce, ad una stessa aspirazione. Potete voi concepire una impresa più grande di questa?
Il lavoro delle Società bibliche del mondo costituisce una grande impresa missionaria non-denominazionale. Le linee di divisione delle diverse denominazioni devono essere messe da parte di fronte al compito di portare attraverso la terra, a tutti gli uomini, l’opportunità di attingere direttamente alle sorgenti della divina ispirazione, senza troppi interventi ed interpretazioni, acciocché gli uomini possano ricevere direttamente dalla Parola di Dio l'ispirazione che essa immancabilmente produce sullo spirito umano senza distinzione di luoghi.
Io amo raffigurarmi i colportori e gli agenti lutti delle Società bibliche — che viaggiano attraverso le contrade con ogni sorta di veicoli, carichi dei loro libri contenenti la Parola di Dio — come delle spole di un grande telaio, che tessono insieme gli spiriti degli uomini.
Cento anni non possono compiere questo miracolo; cento anni non possono realizzare questa visione; ma se i tessitori perseverano, se la luce continua ad essere diffusa, se gli uomini non si perdono d’animo in questa grande impresa, verrà il giorno in cui la luce splenderà sulla terra, sulla quale gli uomini potranno camminare dirittamente.
• * *
Se anche l'atto magnanimo del presidente Wilson, col quale lanciava nella mischia orrenda il popolo degli Stati
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Uniti, può far spuntare il sofisma che egli non sia un cristiano rigidamente inteso — qual’era per certi aspetti ih Tolstoi, — tale asserto dev’essere subito scartato nella considerazione che egli ha inteso di essere ed è stato l'apostolo armato della giustizia umana e della libertà per tutte le genti. Tale è stato Wilson, e lo afferma e ribadisce egli stesso continuamente, esplicitamente quando dice di non voler nulla oltre il trionfo della giustizia, che la grande repubblica è entrata in guerra non per interessi materiali, ma per ragioni ideali: per la tutela dei supremi principi etici della vita delle nazioni. Ecco perchè il suo programma — il programma dei quattordici punti — è apparso un programma sociale e umano, più che politico e bellico, ed è considerato giustamente come il più alto e fulgido monumento di sapienza civile che la storia registri. Wilson, abbattendo col suo programma imparziale imperialismi d’ogni dove e d’ogni colorito, ha fatto la guerra alla guerra, ed avrà realmente uccisa la guerra, se gli alleati si conformeranno al suo illuminato programma, al suo sentire sublime. E questo non è rinnegare o fraintendere alcun principio cristiano, ma è la reintegrazione del principio stesso di Gesù che il giusto non deve -perire. Non era questa l’ora delle inerti affermazioni e degli atteggiamenti contemplativi. Gesù non sarebbe stato neutrale, spettatore inerte dinanzi alla strage immane di milioni e milioni di vite. Non percosse Egli forse i mercanti sulla soglia del Tempio?
Ma Gesù era contro la guerra.
Noi non possiamo nemmeno tentare di negarlo: sarebbe voler negare l’idea fondamentale della immensa rivoluzione morale compiuta dal mite Rabbi Nazareno, dal Salvatore dolce di Galilea. Ma in questa guerra, che era divenuta una
furibonda corsa alla morte; ma in quest’epoca, che la vacuità andava concentrando nel vuoto, Gesù non sarebbe restato indifferente, no. Ed ha parlato per bocca di Wilson. Il quale ha bandito la crociata per il trionfo del diritto umano e per la pace definitiva del mondo con un motto che resterà nella storia: « Il diritto è più prezioso della pace ».
* * *
Negli Stati Uniti d’America è tradizione-bella e commovente che vorremmo un giorno vedere trapiantata in tutti gli Stati del mondo — che il Presidente nell’atto di assumere la suprema autorità federale presta giuramento sul Libro de’ Libri, con facoltà anche di scegliere e leggere un versetto che egìi assume e considera come la luce spirituale e ispiratrice dalla quale promette di mai dipartirsi nell’ardua impresa del suo ministero civile. Il rito è austero, alto e significativo. Gl’immediati predecessori di Wilson, Róose-_velt e Taft, lessero in tale circostanza versetti bellissimi e opportuni. Ma quello scélto dal presidente Wilson non può non assumere, oggi, per noi che abbiamo avuto il privilegio di poter assistere all’opera da lui svolta durante l’immane conflitto, tutta la forza fatidica d’una profezia. Egli aprì la Bibbia e lesse in uno dei Salmi più belli nel quale il poeta di Dio esclama: « Lucerna ai miei passi è la tua parola, e Luce sulla mia via! » (Sai. 119, 105).
Così, proprio così! Chi non ha notato durante la guerra nei suoi Messaggi i frequenti immancabili richiami alla volontà del Padre? Quei richiami incessanti e continui sono l’espressione d’un bisogno intimo e necessario dell’ànimo temprato alla preghiera quotidiana, rivelano una dedizione fiduciosa nella legge, nella volontà, nel perdono del-
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l’invisibile. I .quattordici punti sono stati redatti indubbiamente sotto la guida di quel versetto, di quella Lucerna, di quella Luce. Ecco perchè quel programma può considerarsi come la prima via aperta finora per raggiungere una pace veramente, cristiana, la prima pietra dell'edifizio divino sulla terra —-del Regno di Dio. Ecco perchè giustamente Wilson può chiamarsi l’uomo nuovo dèi mondo nuovo.
Mi piace riportare qui ciò che di lui ha scritto il Pettavel: « La sua vita tutta è compenetrata ad un tempo dal pensiero religioso cristiano e dall’idealismo democratico. Pare vi sia nella sua persona come nei suoi ascendenti una duplice tradizione, una duplice inspirazione: l’una religiosa, l’altra pratica. Pare vi siano in lui due uomini: da un lato un uomo d’azione, uno statista perspicace che-paria un linguaggio sciolto e rapido, un uomo che cerca ciò che è vero e non lo cerca se non per metterlo in opera — dall'altro lato un conduttore di popoli, un uomo sacerdotale che, nel rivolgersi alle masse, parla un linguaggio solenne, tutto compenetrato di passi biblici. In Woodrow Wilson l’ispirazione religiosa nobilita, innalza il pensiero politico e l’ispirazione politica sviluppa, allarga l’ispirazione religiosa ».
Ai suoi studenti che, finiti gli studi, stavano per lasciare l’Università per lanciarsi nella vita, egli dava un breve e affettuoso ricordo, che voleva essere un ammonimento profondo e perenne, e ricordava loro le parole che l’apostolo Paolo rivolgeva ai Romani: « Non conformatevi al presente secolo, ma siate trasformati col rinnovamento della vostra mente, affinchè voi facciate l’esperienza che la volontà di Dio è buona, piacevole, perfetta» (Cap. 12, v. 2). E commentava: « Non conformatevi
al mondo; siate voi stessi, nella conformità della vostra coscienza superiore, affinchè dopo aver rinnovato le vostre menti, voi possiate rinnovare la patria e il mondo».
Ma dove il presidente Wilson ha dato ancora una prova luminosa di essere un vero, sincero, fervido è costante evangelico è stato qui, in questa nostra vecchia Europa, ove abbiamo avuto il segno tangibile, là rivelazione lampante e vivente di quello che egli pensa ed è. Venuto in Europa, la prima domenica trascorsa a Parigi, 15 dicembre 1918, il Presidente volle recarsi con la sua signóra alla chiesa americana per un ufficiò religioso. È ieri, quattro gennaio, venuto a Roma, fra tanta luce di forza e tanta glòria di vita, egli pensò ai suoi correligionari che mi piace chiamare umili; egli pensò alla chiesa protestante che mi piace qualificare oscura, e si recò, non senza meraviglia delle nostre mediocrità politiche, alla Chiesa episcopale americana di Via Nazionale, ove ricevette le rappresentanze delle diverse denominazioni dèlia Chiesa protestante italiana. In quella riunione cordiale, solenne e molto significativa, ove il Presidente sentiva di respirare un'aria tutta sua, egli disse — semplice e chiaro, senz'ómbra di posa e pompa di stile — che soltanto nella fede cristiana aveva attinto le energie di cui aveva bisogno per assolvere l’arduo còmpito assegnatogli dalla Provvidenza, e che perchè la pace sia giusta, deve essere pace cristiana.
Le idealità moderne di Wilson sono, ed è questo quello che importa, la pratica dimostrazione, di possibile effettuazione di quelle che furono le ideologie ed i sogni di Mazzini, di Kant, di Alberico Gentili, di Ugo Grozio, e per certi aspetti anche di Dante. Tuttavia l'idealismo wilsoniano, tutto permeato di
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uno spirito profondamente evangelico e profondamente umano, è apparso senza precedenti. E non poteva essere altrimenti. Religione e politica, specie in Europa, erano oramai divenuti due principi antagonistici. Wilson ha invertito i termini della vita, ha abbattuto tradizione e storia, gli ultimi capitoli della storia moderna, ed ha impostato il problema della ricostruzione sull’ideale cristiano.
Ecco tutta la sua originalità ed il segreto del suo successo meraviglioso.
Wilson ha proclamata la nuova indefettibile libertà sulla base della libertà religiosa, che è la chiave di volta di tutte le libertà. Quando egli ha detto che tutte le cose procedono da Dio, ha voluto dire che la stessa libertà è concessione divina, che il cristianesimo è liberazione. Ha proclamato il trionfo della Vita sulla Morte, più che per virtù di forza, per forza d’idee. Sulla statica della materia la dinamica dello spirito. Ed ha invitata la grande famiglia umana a una revisione critica del suo passato, a far l’esame di se stessa e a incanalarsi per il cammino fecondo delle pacifiche conquiste del suo destino. Perchè Wilson, in sì profonda trasformazione di valori umani e sociali, vede nel fondo della società presente un sostrato fe
condo e promettente di vita. E giustamente durante la guerra disse che'questo era « un mondo nuovo, che combatte sotto vecchie leggi ». Questo suo giudizio ci spiega come egli abbia un sì alto ideale della nuova democrazia, e come riponga in essa tanta fede.
Il tempo gli darà ragione.
La democrazia sarà religiosa o non sarà.
•Uscito dalla calma olimpica della vita di studio per lanciarsi nella corrente turbinosa della vita politica, Woodrow Wilson s’è' avvicinato al battesimo della prova con l’ardore dei catecumeni, ed ha bandito il verbo della fratellanza con la fede degli apostoli. Dinanzi all’altare della storia che eternando scolpisce, egli si è presentato quale latore d'un nuovo e sovrumano messaggio.
Una nuova èra incomincia.
Wilson ha spezzata la spada ed ha innalzata la Croce.
Sull'impero del silenzio l’epifania del fuoco.
Il destino batte col suo martello d'oro alle parte dell’umanità e chiama la coscienza sul cammino d'una seconda vita.
Per Lui.
Gennaio, Z919.
Domenico Di Rubra.
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NOTE E DOCUMENTI
(Continmziono. Vedi BilycJinit di settembre-ottobre 1918, pag. 114).
II. — GLI UOMINI
I combattenti cristiani sono giovani normali - Amore per la vita - Affetti famigliar! - Allegria - Amicizie e testimonianze di amici - Letteratura, Arte, Intellettualità -Poesia della Natura - I combattenti, giovani normali, sono cristiani - Il culto della Purezza - Due parole ai lettori.
Mantenendo l’impegno preso iniziando questo nostro lavoro (1), noi studieremo le manifestazioni del pensiero e del carattere di alcuni giovani cristiani — e precisamente di quelli di cui già abbiamo narrato la breve e nobile esistenza — in modo, non osiamo dire «assolutamente», ma «per quanto ci sarà possibile» obbiettivo.
E, per far questo, cercheremo di ragionare e di arzigogolare il meno possibile, anzi faremo in modo addirittura di non parlare, e lasceremo eh’«« parlino. Non occorre che facciamo conoscere quei giovani: si presenteranno da se stessi.
L’opera nostra si limiterà dunque, volontariamente, ad un lavoro di semplice compilazione, a un tentativo di prospettare i vari lati del carattere di quei giovani, ad uno sforzo per raggruppare ed ordinare in alcune rubriche i loro pensieri più notevoli, ora sparsi in numerose lettere e su molti foglietti di quaderni d’appunti. Abolite dunque le «considerazioni», aboliti i « commenti », o per lo meno limitati allo stretto necessario per legare insieme le varie citazioni.
In questo lavoro di ordinamento e di esposizione c’è però — nè intendiamo nascónderla, anzi desideriamo chiaramente enunciarla — c’è un’idea maestra, c’è la volontà di rag(r) Vedi Bifyefinis, numero di settembre-ottobre 1918.
giungere uno scopo. E l’idea, lo scopo è questo. Troppo spesso, anche oggi, si sente dire che chi è religioso è necessariamente un semplice di spirito', o una persona incolta. Se poi si deve riconoscere che un tale individuo religioso dà prove manifeste d’intelligenza e di cultura, allora vengono fuori i paroioni pseudó scientifici e quell’individuo è definito uno psicopatico, un anormale.
Orbene, questo è lo scopo a cui mira la parte del nostro studio che presentiamo questa, volta ai lettori : Dimostrare, semplicemente, non con parole, ma con fatti; dimostrare, mettendo sotto gli occhi degli avversari della religiosità parecchie fotografie d'individui che hanno veramente vissuto in questo principio del secolo ventesimo; dimostrare che i giovani religiosi d’oggi sono giovani come tutti gli altri, perfettamente sani di mente e di corpo, assolutamente equilibrati : giovani che amano la vita, questa vita terrena, che godono degli affetti domestici, che'sanno essere allegri, che coltivano preziosamente l’amicizia, che s’appassionano per la letteratura e per l’arte, che sentono profondamente la poesia della natura. Giovani un po’ diversi dal solito sopra un punto soltanto; ma questa differenza è tutta à loro onore, essa non esiste a scapito della loro umanità, ma permette anzi all’umanità vera e profonda di sbocciare in essi e di dare i suoi fiori più belli, più coloriti e più profumati: il culto, la passione per la purezza.
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L’AMORE PER LA VITA
Se i giovani di cui ci occupiamo sono sani di mente e di corpo, sono equilibrati, sono normali, in loro non deve far difetto, anzi deve esistere prepotente, e manifestarsi talvolta con violenza, il sentimento umano più profondo che esista, quel sentiménto che nelle specie inferióri chiamasi « istinto di conservazione » e che, senza disonorare affatto l’uomo — il quale lo controlla e per una giusta causalo domina — ha la sua sede nelle nostre più intime fibre e si chiama l’attaccamento alla vita, l’amore per la vita.
Tali sono appunto i nostri giovani. Se sono cristiani, il loro cristianesimo non è un ascetismo mutilatore dell’esistenza ; èssi sono persuasi di seguire le orme del Maestro pur godendo la vita : èssi la godono appunto perchè la considerano come un dono di Dio.
• ‘ **«
La breve esistenza di Andrea Cornet Au-quicr fu ben riempita. Di natura ardente e sana, egli ha largamente e sanamente goduto la gioia di vivere. Educato in un ambiente cristiano, circondato da una calda atmosfera di tenero e vigilante affetto, egli ha conosciuto la dolcezza della vita sino all’ora della mobilitazione, seguita dalla sofferenza e dall’orrore.
Egli scrive, il giorno di capodanno:
ixGennaio 1915.
... Anch’io ho dei momenti d’impazienza, anch’io, quando mi sento così pieno di gioventù e di forza, quando rifletto a tutto ciò che ho abbandonato in fatto di lavoro e di speranze, a tutto quell’avvenire che mi sorrideva, vorrei che la guerra fosse finita. Ma pensavo stamane: che cos’è la vita d’un individuo al confronto della pace generale di tutte le nazioni europee? — Nulla!... Domando tutti i giorni a Dio di staccarmi sempre più dalle cose di questo mondo. So bene che ciò è molto duro, molto difficile; la carne si ribella all’idea della morte... Ma insomma altri son morti, i quali pure erano amati dai loro genitori, dalla loro moglie, dai loro figlioli!...
Due settimane dopo egli ritorna sull’argomento :
15 Gennàio 191$.
Quelli che scamperanno da questa guerra saranno individui davvero ben piàntati. Avreste mai pensato che si possa giungere al punto di vivere nella melma, nel freddo, nella neve, e nemmeno fare uno starnuto? Che splendido allenamento! Ci si sente traboccanti di vita e di salute. Quali colpi di forchetta all’ora dei pasti! Quale cura contro la nevrastenia! Che bella cosa è vivete!
E pensare che da un minuto all'altro si può rimanere uccisi sul colpo da una malvagia pallottola! Che bella vita, ma quale vita!...
E di nuovo, un mese più tardi:
24 Febbraio, 1915Senza dubbio vi sono ore in cui si vorrebbe vivere, aver figlioli, educarli nella via dell’onore, farne degli uomini e approfittare, per da loro educazione, di tutte le esperienze acquistate. Ma nessuno è necessario, nè indispensabile in questo mondo.
* * *
Il giovane A. A. — che anche lui morrà per la Francia — sul punto di lasciare'il deposito di Aubagne, passeggia in una domenica del febbraio 1915 nelle pinete e negli uliveti sotto al sole e mormora:'
E’ così duro di rassegnarsi alla morte a vent’anni ! mi occorre contemplare senza tregua le grandi idee per le quali devo combattere, mi occorre apprezzare il valore dell’ideale che in noi è più grande di noi, mi occorre paragonare il prezzo d’una personalità meschina e impura a quello dei principi morali che sono la gloria della nostra razza umana. • (Lettera al fratello).
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E ai genitori egli scrive, qualche mese più tardi :
Non vi prometto di tornare intatto. Vi assicuro soltanto che non farò imprudenze, nè inutili spavalderie. Amò troppo la vita, la vita di cui m’avete così bene insegnato a comprendere il prezzo e l'inestimabile incanto.
Però non è la vita in sé che è da lui apprezzata. • Non ama la vita per goderla egoisticamente, ma per utilizzarla al servizio di qualche causa nobile e grande:
Con tutta semplicità di cuore penso che, se esco immune dalla mischia, la mia vita potrà essere di qualche utilità nel campo del pensiero, della fede e della scienza. (Medesima lettera).
***
Certo, quando si è giovani, anche se si è cristiani — anzi appunto perchè tali — ci si sente poderosamente legati all'esistenza!
Il volontario Paolo Guieysse (caduto poi in battaglia) confida all’amico che io accompagna al Distretto dove va a presentarsi:
Amo talmente la vita che, se non avessi una fede intera nell’immortalità dell’anima, esiterei forse ad arruolarmi.
Gustavo Escande scrive, prima di salire alle trincee:
Mi preparo ad andare al fuoco. E’ un tempo molto serio per me; ho dovuto passare per una violenta crisi interiore per accettare il sacrificio della mia vita al servizio della Francia, della civiltà, dell’umanità 1 Vado incontro a sofferenze tremende, alla morte forse. Non importa; purché la Giustizia e il Diritto trionfino sulla forza bruta.
Ed ancora egli scrive dalla trincea ad un suo collega:
... Questo fango nel quale guazzo mi dispera e aspiro al buon sole. T’assicuro che, se Dio mi dà la gioia di tornare a Ginevra, saprò godere la vital
Qui non si vive perchè siamo come bestie; mi rallegro che questa guerra finisca prima che i Boches m’abbiano demolito... Per ora sto benissimo e sono altrettanto entusiasta come all'inizio. Vogliamo vincere e vinceremo.
* * »
Occorrono altri documenti per dimostrare quanto l’amore per la vita — per questa vita terrena — sia potente nei nostri giovani eroi ?
Ecco una pagina delicata di Giovanni Klin-gebiel. E’ un fresco, graziosissimo quadretto di genere. Vi si sente la letizia giovanile, la completa serenità dell’anima; la gioia profonda di sentirsi in piena salute, al .sole, tra i fiori :
Sénard, 13 Giugno 1916.
Ho dormito stanotte in un vero letto. La mia finestra s’apre sopra un bel prato e, tra due piante di melo, scorgo il ciglio della foresta dell’Argonne.
Occupo una grande camera alla contadina: impiantito di mattonelle rosse, lavate e pulite, soffitto a travi, armadi in legno cerato. Vi sono lenzuola nel letto e tendine alle finestre.
La casa è modesta e graziosa; la circonda un giardino, rialzato sul piano della strada, fiorito di gerani e di margherite. ìl tetto sporge sui muri bassi ; dei peri e delle viti incorniciano le finestre dai vetri piccoli. Davanti alla porta di casa, in mezzo ai fiori del giardino, c’è il pozzo, coperto alla moda del paese con una tettoia a forma di piramide fatta con assi grigie.
La mia padrona di casa è una buona vecchia che porta una cuffia bianca la domenica e la cuffia nera durante la settimana; essa sarebbe stata ben contenta di non ricevermi, perchè i vecchietti non amano essere disturbati nelle loro abitudini; ma poiché ci sono, ella m'accoglie cori buona grazia. D’altronde non facciamo, moltb chiasso nè l'uno nè l’altro. Ella occupa, accanto alla mia
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camera, una vasta stanza dove ha il suo letto, il suo fuoco, la sua sedia vicino alla finestra. Quivi lavora accanto ai suoi vasi di fiori e al suo gatto. Ai muri sonò appesi alla rinfusa dei calendari, dei ritratti e un diploma di medaglia del 1870.
14 Giugno.
V’è un po’ di sole sull’orto e sul giardino di casa nostra. Le campane suonano. Tra poco mi porrò al lavoro al mio tavolo, davanti alla finestra aperta.
Qui si rinasce alle gioie della vita normale.
La mia padrona di casa è davvero una buona vecchietta. Ho. trovato ieri le pianelle rosse di camera mia accuratamente lavate e un tappeto sotto al mio tavolo.
Siamo ormai, lei ed io, buoni amici: — «La casa è tranquilla con voi, si-«gnor mio, e quando cantate la mat-«tina alzandovi, fa proprio piacere di « sentirvi ».
GLI AFFETTI FAMiGLIARI
In un animo ben nato, in un cuore ben fatto devono albergare potenti gli affetti domestici. L’istituzióne della famiglia è stata sottoposta da parte di mólti sociologni moderni alle più aspre critiche, non tutte infondate. Èssa rimane però ferma e salda come il principio - cardine di qualsiasi organizzazione statale.
Anche nel pensièro dei gióvani l’idea di famiglia subisce talvolta una critica demolitrice; e della crisi per la quale sono passate tutte le autorità, non è stata immune l’autorità dei genitori. Ma la famiglia rimane pur sempre, per ogni uomo, l’asilo di conforto e di pace, il porto sicuro dove si trova un rifugio contro tutte le procelle della vita.
I nostri giovani combattenti cristiani si dimostrano figli quanto mai devoti, delicati, premurosi, affezionati.
** *
Ruggero Allier aveva la passione della vita di famiglia. La sua grande gioia era di insediarsi coi suoi in un cantuccio e di poter dire: «Siamo in un piccolo nido». La nonna avrebbe voluto arredargli nel suo appartamento, al disopra di quello dei genitori, una sala da studio; ma egli aveva cortesemente rifiutato dichiarando: «Allora ci si potrebbe vedere e chiacchierare solo più a tavola». Egli desiderava con ciò continuare il suo lavoro nello studio del padre, come aveva fatto sin dall'infanzia. Padre e figlio fondevano Spesse volte insieme le loro ricerche e le loro meditazioni. La loro intimità era completa... E la medesima intimità esisteva- tra.Ruggero e sua madre. La sera, quand’era solo con lei, egli incominciava le ' lunghe confidenze sui suoi progetti d’avvenire. Non ci si ricorda ch’egli sia tornato una volta sola a casa senza chiedere appena entrato: « C’è la mamma?... E il babbo?...» Ei non-voleva perdere un minuto solo della vita di famiglia. Anche dopo il suo servizio militare non occorreva spingerlo molto perchè passasse delle ore a giuo-care col fratellino a far muovere una ferrovia meccanica, a metter su sapienti combinazioni di rotaie e di scambi attraverso varie camere dell’appartamento della nonna.
* * *
I medesimi sentimenti ritroviamo in Gustavo Escande.
Egli faceva la sua istruzione militare a Tolone dal mese di settembre 1914, quando sua madre lo raggiunse il 18 novembre per passare
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con lui gli ultimi giorni; questi giorni diventarono settimane e le lettere del giovane soldato fanno sentire tutta la gioia ch’egli provava:
Mamma lavora enormemente alla caserma. Così la posso vedere spesso nel corso della giornata. Ella mi vede partire per l’esercizio e ritornare zaino in spalla e fucile a tracolla. Prima di salire in camerata, presto scappo nel laboratorio della Croce Rossa e vado ad abbracciarla.
Alle 17 m’awio con gioia verso l’appartamentino della mamma, dove ritrovo un ambiente tranquillo. Approfitto quanto posso di quei dolci momenti, perchè laggiù, al fronte, non ci sarà da star molto allegri.
L’ambiente dove vivo è corrotto e areligioso, perciò le ore passate in casa mia, colla mamma, sono assai dolci, e quando dovrò lasciare Tolone, quel ricordo mi sosterrà nelle prove che dovrò subire.
Venne il giorno della partenza. La domenica 3 gennaio 1915 Escande fece gli addii ai suoi amici. Lasciava loro sua madre. In tale occasione scriveva ad un suo intimo':
La mia povera mamma! Fórse rimarrà sóla per sempre. Ti sembro pessimista; ma, quando ci si prepara ad andare ài fuoco, la cosa non è allegra. Queste separazióni sono orribilmente commoventi.
Ed alla mamma diceva :
Sarà una ben dura cosa lasciarti, ma vedi, io Sento che devo andare in trincea.
Dal fronte egli scrive alla madre lettere riboccanti del più tenero aflètto : *
Virginy, 9 Gennaio 1915.
... Da ieri sera sono sulla linea del fuoco; gli skrapnels tedeschi scoppiano intorno alla trincea. Cara mamma, non farti per me troppe preoccupazioni. Sii coraggiosa, come mi piace pensarti. Sai come t’amo! Ora il passato è dietro di noi; siamone riconoscenti, guardiamo l’avvenire in faccia e prepariamoci. T’ho
affidata a Dio, sono tranquillo, so che sei in buone mani. Non esser triste. Ho fatto il sacrificio della mia vita : Dio farà ogni cosa pel nostro bene.
Un’altra volta:
... Non posso abbastanza ringraziare Iddio per il privilegio d’aver genitori simili ai miei. Per questo sono orgoglioso d’essere al fronte per difenderli. Coraggio! la vittòria è certa.
Qualche giorno dopo:
... Sii serena, mammina cara ; io voglio esserlo e lo sarò. Faccio il mio dovere dove Iddio m’ha posto, e perciò m’abbandono in Lui con piena fiducia. Non rimpiango d’esser rimasto francese, sebbene mi sia stato assai duro di lasciarti.., (1).
E verso la fine di febbraio:
... Ho davanti agli occhi il tuo ritratto. Mammina mia, quando saremo di nuovo insieme? Attraversiamo una dura prova, ma essa porterà i suoi frutti : c’insegna a vivere in comunione più intima l’uno coll’altro; più la separazione sarà lunga, più sarà dolce il rivederci. Tu sai il posto che hai nelle mie preghiere. In Dio siamo riuniti, e quindi possiamo essere lieti.
* **
Anche A. A. aveva vivissimo il culto della famiglia. Ei si rendeva conto di quanto doveva ai suoi cari.
Ai suoi genitori :
io Gennaio 1915.
Vengo dà voi col pensiero ài termine di questa prima domenica passata nell’accantonamento. Se sapeste quanto, ad ogni minuto della mia esistenza, siete vicini a me, quante volte al giorno cavo dal portafoglio le vostre fotografie o le vostre lettere ! Sapevo ch’eran forti e potenti quei vincoli di gratitudine e di tenerezza che m’uniscono a voi, ma
(1) Escande, prima dei vent’anni, avrebbe potuto optare per la nazionalità svizzera.
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giammai come oggi avevo sentito quel che sono realmente. Di giorno in giorno, nel corso delle mie solitarie meditazioni, apprezzo maggiormente quello che avete fatto per me e più ardentemente vi benedico per ciò che m'avete dato: la vita e, più di questo, ciò che fa la bellezza della vita: il culto del dovere e l’amore delle anime umane.
25 Maggio 1915.
... E con questo vi lascio ; vi abbraccio con un ardore infinitamente più grande che mai ; ripasso nel mio cuore le ore così dolci trascorse insieme nel passato, la comunione d’anime così straordinaria c.he ci unisce in quest’ora, le speranze gloriose che in comune nutriamo per l’avvenire...
» * »
E lo stesso possiamo dire di Casalis.
Dopo una malattia aveva potuto godere di una breve licenza. Senza saperlo egli aveva dettò .addio per sempre alla casa paterna. Appena tornato all’accantonamento, egli scriveva ai genitori:
Castelsarrasin, 15 Marzo 1915.
La partenza da casa è stata difficile ; ma all’ultimo momento la mamma e il babbo erano così calmi, così fiduciosi che tutto è diventato facile e si sarebbe creduto d’assistere ad una partenza abituale. Specialmente quando abbiamo pregato insieme, tutto s’è illuminato ed abbiamo avuto la certezza assoluta che non si trattava che di un « arrivederci » temporaneo, poiché siamo attesi...
E’ certamente la fede comune che costituisce per Casalis il vincolo più potente che lo unisce ai suoi cari. Poco prima, di partire pel fronte egli scrive alla famiglia :
7 Aprile 1915.
Parto contento, fiducioso, tranquillo. Vi ringrazio, babbo, e tu, mammina cara, per tutto ciò che mi avete dato di tenerézza e d’amore, per tutta la fi
ducia nella Vita e per tutta la speranza nel nostro Signore che voi mi avete infusa. Vi abbraccio tutti con tutto il mio amore.
» * *
Ecco óra Fontaine Vive.
Quanta tenerezza, quanto entusiasmo in questa lettera ch’egli scrive pel compleanno della nonna:
Io vengo a voi, nonnetta, colle mani vuote; che importa quel che getto ai vostri piedi come dono di lieto anniversario? Un pezzetto del mio futuro gallone di sottotenente, un po’ della mia allegria, molto della mia fiducia e tutto il grande amore di due vostri cari piccini. E poi, una zolla di terra: la mia parte nella quotidiana riconquista della vostra cara Alsazia. Molta della mia fiducia, oh! sì, molta, nonnetta cara. Francesi di Francia, cugini miei, voi nonna della Francia rubata, ascoltate un po' il grido di speranza e di valore che sale dai piani della Wcevre, dove ottomila tombe dicono abbastanza chiaramente che abbiamo saputo vincere e acconsentito a morire... Ditelo' intórno a voi, nonna mia.
Pieno d’affetto pei suoi cari, Andrea Cornei Auquier coltivava con cura i più delicati affetti famigliar!. La sua felicità completa consisteva nel tornare «a casa» eh’ei rallegrava coi suoi canti e colle sue liete risate. Uno dei suoi piaceri prediletti era di sdraiarsi ai piedi di sua madre, colla testa sulle ginocchia di lei, come allorquando era bimbo, e di discorrere così coi suoi diletti.
E di tali conversazioni egli ha la nostalgia anche sul campo di battaglia:
29 Settembre 1914.
La mammina mi scrive eh’essa vorrebbe tanto porre la mia testa stanca sul suo cuore. Ed io dunque'? Sono talvolta così spossato, specialmente da quando ho la responsabilità della compagnia.
I suoi sentimenti di legittima fierezza militare li trasforma in gioie domestiche:
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21 Novembre 1914..
Oggi sono passato al riposo colla mia compagnia e quando, dall’alto del mio cavallo, io la vedevo, quella bella compagnia di 270 uomini, ho provato un senso di* fierezza che m’è parso nuovo. Sapete che ho bell'aspetto sul mio grande cavallo, in tenuta di guerra, colla sciabola al fianco, la coperta da campo arrotolata dietro la sella; e sempre io mi dico: < S’essi mi vedessero, come sarebbero contenti ! » Essiy siete voi! E mi rappresento voi tutti, gli uni dopo gli altri, e mi par d’udire le vostre riflessioni, vedere il babbo cogli occhi lucidi, un po' commosso e in fondo tutto fiero! Vero,, mio vecchio papà? E poi la mamma, che mi raccomanda d’èsser prudente colla mia cavalcatura. Povera bestia, è una prigioniera, una giumenta tedesca catturata e non so come battezzarla; gli uomini la chiamano « Boche >, ma io preferisco chiamarla <Daisy>.
Ho dimenticato di ringraziare la buona Lucia per le sue conserve che ci siamo già in parte godute. Grazie di tutto cuore, mia buona vecchia.
I medesimi sentimenti si manifestano in un’altra occasione. Il 31 maggio 1915, egli aveva comunicato ai suoi cari la sua nomina a capitano. Il 5 giugno scrive a tale proposito:
... Ho ricevuto ieri le buone lettere nelle quali esprimete la vostra gioia per la mia promozióne. Sapevo bene che la scenetta si .svolgerebbe press’a poco nel modo in cui me la descrivete. Pensavo davvero che il babbo proverebbe in tale occasione una delle più grandi gioie che si possan sentire nelle circostanze attuali. V’assicuro che, se sono stato felice per me, lo sono stato specialmente per vo.i.
... Vi stringo sul mio cuore e vi bacio molto teneramente, raccomandandovi a
Dio, il quale fa sentire la sua presenza ovunque. Votre grand fini.
La delicatezza dei suoi sentimenti per la madre appare leggiadramente in questo principio di lettera :
23 Maggio 1915.
Mia carissima mammina... ho ricevuto oggi tre lettere tue, e delle rose, dèlie rose di Chalon, che sono giunte sfogliate, salvo le due bianche, le quali s’eran conservate fresche sotto i tuoi baci. Ho raccolto i petali ' profumati delle rose rosse e li ho messi sopra l’acqua in un vasetto, dove imbalsamano l’aria tutto intorno...
Finalmente, ecco uno squarciò graziosissimo dove appaiono, tra le righe, tutti i più vari e dolci affetti di famiglia:
7 Agosto 1915.
... Credo che fra non molto verrò a vedérci. Metto a questa mia visita un certo numero di condizioni: i° Prima del mio arrivo, non si farà alcun dolce, che non possa essere conservato; quando avrò annunziata la mia venuta, si aspetterà con pazienza il mio arrivo, e non si andrà dodici volte al giórno alla stazione per ritornarne ogni volta con un viso più lungo; 2° Durante il mio soggiorno, non mi si passeggera per le strade che un giorno su tre e non mi si chiederà il mio parere nè sulla fine della guerra, nè sulla ritirata dei Russi o la presa di Varsavia; 30 Dopo la mia partenza, si sarà ragionevoli e fiduciosi. Siamo intesi? Con queste assicurazioni da parte vostra, verrò, con immenso diletto, a vedervi e abbracciarvi...
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L’ALLEGRIA
Un altro sentimento, un’altra disposizione d’animo profondamente umana e nello stesso tempo prettamente giovanile è l’allegria, che è appunto la manifestazione migliore e più schietta' della gioia di vivere.
E’ stato dettò pur troppo, ed anche insegnato, che il Cristianesimo soffoca ogni manifestazione di letizia, che la religione di Gesù è tetra, che il vero cristiano dev’esser mesto, ch’egli non deve attaccarsi ai « beni di questo mondo» perchè essi non sono il suo vero Bene, e tale interpretazione del Cristianesimo, che va per la maggiore, è stata scambiata pel Cristianesimo autentico anche dal più grande nostro poeta moderno che ha invocato in Satana là gioia, la bellezza e la ragione ed ha vituperato il « martire cruciato che crucia gli uomini».
Ma da tempo è in pieno corso una sana reazione contro tale modo di concepire l’insegnamento di Gesù. E chi ha letto il Vangelo ha capito che, se rimane nel suo pieno vigore la raccomandazione apostolica di non fare dei godimenti materiali Io scopo supremo dell’esistenza, non v’è d’altra parte alcun ordine che vieti al cristiano di godere nella giusta misura di. tutti i doni di Dio e di coltivare la serenità non solo, ma anche là piena letizia del corpo, della mente e del cuore. Non per nulla il discepolo che più d’ogni altro ha meditato sul pensiero del Maestro raccomandava ai primi cristiani, anche in mezzo alle persecuzióni: «Siate sempre allegri ! »
Ora se v’è qualcosa che conforta, che riempie di letizia chi studia la vita dei giovani di cui ci occupiamo» e medita sulle loro parole, ciò è appunto l’allegria di cui sonò ripieni. Ah no ! questi cristiani non sono tetri, o musoni, sono i soldati più allegri che esistano e di questa sana e perenne allegria cercano di far partecipi i loro compagni di lotta.
* •*
Uno degli aspetti più notevoli del carattere di Klingebiel — per esempio — era una tendenza marcata alla riflessione, ciò che non escludeva la gaiezza più disinvolta e più vivace. Quest’allegria era del resto il naturale e necessario sfogo dei nervi dopo le ore di fatica intellettuale. Egli sapeva far rendere le <X>ré di studio al loro massimo grado: il lavoro per lui era il lavoro, e ciò era una condizione perchè la ricreazione fosse poi più
completa. « Durante i nostri giochi —esclama un suo compagno di liceo — quale allegria la sua! quali sonore risate che dimostravano la salute dell’anima e la gioventù del cuore ! C’era dell’ordine, dell’armonia in quella ricca natura. Quella lega di serietà e di gaiezza, che non lasciava posto per alcuna affettazione, dava alla sua personalità qualcosa di veramente cristiano». Quelli che lo hanno ben conosciuto dicono che, vedendolo percorrere a grandi passi le vie della sua città natale, si riconosceva l’andatura di un uomo che sapeva dove andava e perchè vi andava.
Anche Andrea Cornet Auquier amava le storie da.far ridere; ne aveva un’intera collezione, che sapeva narrare con una «verve» e un talento straordinari. La sua gaiezza di buona lega e il suo «entrain» perpetuojion hanno poco contribuito a creare l’influenza morale ch’egli esercitava intorno a sè. Egli provava col suo esempio che si può essere un allegro compagno e « boute-entrain » di prim’ordine pur essendo un giovane morale non solo, ma anche religioso.
La vigilia di Natale 1914 egli scrive:
Siamo sempre nelle montagne e nelle nòstre foreste di abeti. Manchiamo di ogni comodo, ma siamo di buona pasta e troviamo il modo di far delle belle-risate. Non vi dico altro.
Questa allegria si manifesta colle più matte e originali trovate: 26 Gennaio 1915.
L'altro giorno abbiamo scoperto, tra le rovine d’un cascinale bruciate), e abbandonato, una vecchia « tuba », moda del 1830, e in quale stato! Me la son messa in testa ed ho fatto l’operaio inglese vestito a festa e brillo! Credo che mai li ho fatti rider tanto. Il maggiore e il capitano Cornier ne erano addirittura malati. Facevo fìnta di non poter nemmeno più accendere la sigaretta ed ho consumato in tal modo mezza scatola di cerini d’un collega. La conversazione avveniva per metà in francese parlato come lo parla un inglese,
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e bisognava sentirli. Il maggiore ha detto che non ha mai riso tanto quanto dall’inizio della campagna. Vedete dunque che, per. ora . almeno, non siamo da compiangere.
Un'altra trovata che fa il paio colla precedente :
25 Febbraio .1915.
Ho rappresentato ier sera, davanti ai colleghi, la scena del mio arrivo fra i Boches se fossi fatto prigioniero ; il mio interrogatorio da parte di un ufficiale tedesco : domande e risposte. Facevo l’idiota. Si rotolavan tutti dalle risa. Credo che, se non ci fossi, non si riderebbe più al battaglione; li rianimo tutti quanti. Eppure vi assicuro che vi sono certe ore in cui occorre tutta la propria energia per rianimare se stesso.
Ed eccone ancora una:
23 Maggio 1915.
... Il tempo è idealmente bello e caldo. Credo già di avervi scritto che ho fatto impiantare una vasca da nuoto presso il mio posto di comando. Per mezzo d’una canalizzazione ingegnosa vi si conduce l’acqua di un ruscello, la si lascia scaldare al sole e gli uomini possono in tal modo bagnarsi. Questa novità ci ha naturalmente assai divertiti. Era una cosa nuova ! E poi era acqua, e l’acqua è divertentissima pei grandi ragazzoni, anche quando sono sottotenenti e magari tenenti comandanti di compagnia. Abbiamo poi scoperto una pompa da incendio proprio carina e naturalmente non abbiamo mancato di servircene per annaffiarci copiosamente gli uni gli altri.
**•
Il più grande piacere di Ruggero Allier — allorquando interrompeva il suo lavoro — era di sedersi accanto alla madre, di raccontarle delle storie della Facoltà, di farle vedere le fotografie riportate dal servizio militare,
e spesso, al ricordo d’una «buona storia», egli scoppiava in rumorose risate in cui si sentiva risuonare una gioia senza limiti e vibrare un’ànima senza preoccupazioni. Quelle risate contagiose, e d’una freschezza quasi infantile, interrompevano del continuo le sue lunghe conversazioni colle sue sorelle e col suo fratellino.
Egli amava infinitamente lo spirito, ed uno scherzo fine lo rendeva allegro per un pezzo, specie quando proviene da lina vanità più o meno incosciente. Un dono naturale d’imitazione, unito alla percezione rapida del lato piccino dei vari caratteri, avrebbe potuto sviluppare in lui una certa vena satirica. Ma l’ironia, gli dava noia assai presto. Gli è che in essa sentiva, non appena diventa un'abitudine, una debolezza peggiore di tutte le altre, e come un vizio dello spirito, una specie di mania pretensiosa che suppone, in coloro che la coltivano, la suprema soddisfazione di se stessi ed una disposizione, talvolta malvagia, a tutto abbassare.
Appassionato della montagna com’era Allier, è naturale che l’approssimarsi del periodo delle grandi escursioni alpine dovesse riempire il suo cuore di gioia. Egli scrive difatti da Albertville ai suoi genitori il 18 e il 30 giugno 1912 :
Siamo tutti lieti di partire. Da una settimana contiamo i giorni. Ci rallegriamo di dormire sulla paglia, di respirare l’aria pura e forte della montagna e .di bere il latte appena munto. Cinque o sei giorni fa i nostri vicini della 6a compagnia ci hanno lasciati per salire al Fréjus. Sono partiti alle 4 del mattino. Tutta notte sono stati insopportabili. Invece di riposarsi hanno fatto la lotta, hanno organizzato gare di capriole, di salti pericolosi, hanno giocato all’orso. Altri facevano, in camicia, della ginnastica col fucile e della scherma colla baionetta. In un’altra camerata si èrano tutti ravvòlti nei loro lenzuoli e, radunati intorno al letto del caporale, cantavano all’unisono la messa dei morti...
* * •
D’una gaiezza trascinante — dicdho coloro che l’hanno conosciuto — Gustavo Escande era pei suoi amici un compagno leale, sempre
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PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
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pronto a render servizio, un po’ «blagueur» forse, ma pure così profondamente serio sotto la sua apparente spensieratezza.
La gaiezza del suo temperamento s’è appena lasciata intaccare dalle brutture che, alia caserma e al fronte, lo circondarono e l’assalirono talvolta. Nonostante la piega di serietà che prendevano naturalmente i suoi pensieri, le lettere ai suoi amici fanno rivedere il compagno allegro, l’amico sincero e devoto.
... Ah ! incomincio ad averne le tasche piene dei boches, non vedo l’ora di vederli scappare! Ma i prigionieri boches dicono che ne hanno le tasche piène più ancora di noi!...
Povero collega mio! Ci rallegravamo tanto di pattinare insième quest’inverno! E poi le nostre corse in bicicletta! Io sto pattinando nel fango e nella neve. Per fortuna, colle mie scarpette da ballo, la va abbastanza bene.
... Non è certo un pensiero allegro quello che ad ogni secondo ci si può fare impallinare. Quando arriva ' una « pentola » (granata) si direbbe una locomotiva, colle valvole aperte che s’en viene a tutta forza. Bisogna buttarsi a terra... e aspettare... Quando scoppia, è un fracasso d’inferno, la terra trema, si è soffocati dal puzzo della polvere e dei gaz, si è coperti di terra e dei rami d’albero troncati dalle scheggio. Ciò malgrado il buon umore non cessa e, quando il bombardamento è finito, ci si mette a dormire tranquillamente, finché ricominci.
E ai suoi cari:
Non siate in pensiero a mio riguardo: sarò allegro se so i miei parenti felici.
Ancora, quattro giorni prima di morire:
Beauséjour, 22. Marzo, ore n.
Minestra in brodo, lesso, patate e fagioli. La nostra sezione è di riserva; perciò non c’è turno di guardia. Non andremo in trincea, salvo casi imprevisti. Sono allegro, pieno di salute, per quanto un po’ dimagrito.
Gasalxs è un pittore impressionista di pri-m’ordine. Coglie sul vivo certe scenette con tale precisione e le racconta con tanta « verve » che si direbbe di guardare allo stereoscopio delle istantanee. Eccone alcune:
La vestizione.
Castelsarrasin, 15 Gennaio 1915.
A Montauban sono stato arruolato nell’ii° fanteria. Il mercoledì 6, alle nove del mattino, mi sono presentato in caserma; Un’ora dopo ero diventato uno dei più schifosi fantaccini di Francia e di Navarra.
Anzitutto, tosato, raso come un forzato, poi rivestito d’una divisa tanto sporca quanto una divisa può esserlo. Il pastrano, scucito in vari punti, porta una grande bruciatura circolare in fondo alla schiena: o è l’effetto d’una scheggia di granata, o il proprietario precedente si è seduto sulla sua sigaretta accesa! Inoltre, in detto pastrano, io potrei far starne un altro insieme a me.
La giubba, invece, m’è troppo piccola e le maniche, troppo corte, sono state rammendate e ricucite, una con filo bianco, l’altra con filo rosso. Finalmente ¡.calzoni troppo corti hanno evidentemente raccolto tutto l’unto di tutte le gavette della squadra.
A ciò potete aggiungere che non mi sono raso da otto giorni. Tutto ciò che posso fare è di tenermi pulito. A parte ciò, sono grazioso da mangiarsi .vivo.
Il cosidetto < silenzio » in camerata.
17 Gennaio 1915.
Nulla è più difficile che. di addormentarsi nella nostra camerata. Sui 50 « poilus » che vi alloggiano, vi sono circa 20 contadini della Corrèze, .tutti alloggiati nel medesimo angolo del granaio. Disperati di doversi mettere a letto e di non più poter ballare la mon-ferrina, fischiano il motivo a più non
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posso. Dalla parte mia ci sono dei giovanotti d.i Bordeaux. Per fare il chiasso dànno dei punti a quelli della Corrèze, di cui sono del resto grandi rivali. Finalmente, verso le io */a incomincia-un po’ di silenzio. Ma dura poco, perchè non sono ancora addormentati che già russano come tamburi, tanto Correziani che Bordolesi.
Il tiro a segno.
25 Marzo 1915.
Arriviamo al campo di tiro verso le 8-‘/a- Dalle 9 a mezzogiorno gli spari si succedono senza interruzione, mentre, a 250 metri di distanza, le sagome indifferènti appaiono e scompaiono tigni dieci secondi.
Bisogna tirare piuttosto rapidamente... Ho quasi fatto come un tipo il quale
diceva : « Tenente, ci vedo doppio, e disgraziatamenté io tiro sempre sulla seconda- immagine ! »
La prigione al campo.
Courcelles, 20 Aprile 1915. '
Il carcere è qualcosa davvero originale. Normalmente, i prigionieri del battaglione sono tenuti al corpo di guardia, cioè in un locale chiuso. Ma, siccome in questo momento sono numerosi — < per causa del vino > — i carcerati sono rinchiusi in un quadrato che il capoposto ha tracciato colla baionetta sul suolo. Ai quattro angoli di quella cella originale sì pongono sentinelle baionetta in canna e un caporale è nominato capo-guardiano.
• (Continua).
Giovanni E. Meille.
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[A proposito d’ Unione delle Chiese Cristiane]
INTERMEZZO SACRAMENTALE
FRA BERNARDO DA QU1ÑTAVALLE ■ TÓTO CORDE •
A sera del primo giovedì santo, poco dopo il tramonto del sole, (i) il Maestro e i suoi discepoli si trovavano in una casa di Gerusalemme. Nella stanza dov’eran convenuti per il pasto d" addio’, gli strapunti, come s’usava in tutte le case orientali, erano stesi in giro per terra, e sugli strapunti stavano adagiate le persone, tre per strapunto. Il Maestro stava nel mezzo; accanto a lui, il discepolo che gli era caro; presso Giovanni, Pietro, il più anziano; gli- altri non si sa come fossero
collocati. Davanti al Maestro e ai discepoli era una mensa con sopra delle coppe, una delle'quali picqa di vino; (2) e, presso le còppe, una galletta larga, sottile, la galletta pasquale di pane non lievitato (3). — Tale la scena, nel momento solenne
^in cui il Maestro, ‘ preso il pane, rese grazie, lo spezzò; e, nell’atto di darlo ai discepoli, disse: 'Questo è il mio corpo, il quale è dato per voi; fate questo in memoria di me Parimente, offrendo loro il calice: * Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, il quale è sparso peiyvoi ’ (4).
Che volle egli dire con queste parole? 11 4 corpo ’ era un’espressione ebraica, che si usava a significare l’identità di una persona o di una cusa. * Il corpo* dei cieli ’ (5) voleva dire 4 i cieli veri e propri ’; ' il corpo del giorno 4 (6), il giorno vero e proprio; 4 il corpo d’un uomo 1" uomo, tutto l’uomo, nella pienezza dello sue forze ’. L’espressione 4 il mio corpo ’ significava quindi -Gesù, tutto Gesù, la
(1) Vedi Luca 22.20. Il deipnon dei Greci era il pasto che si faceva la sera; per solito, dopo il tramonto. La ccena dei Romani non si faceva così tardi, ma sempre nel pomeriggio.
(2) Secondo Luca 22.17, Gesù, dopo, aver 'preso la coppa,’ pòrtagli probabilmente da uno de’ discepoli, avrebbe detto: 'Prendete questa e distribuitela fra voi.’ La ' di-stribbzionc ’ può essere stata fatta nell'uno o nell’altro di questi due modi: o bevendo ognuno dalla coppa comune, o versando il vino di cotesta coppa nelle loro Coppe individuali. Il termine greco (diamerisate) s’adatta meglio a quest’ultimo modo.
(3) Il pane, nella istituzióne originale, era una specie di galletta, di largo biscotto,-tondo e sottile. L’espressione spezzare il pane (laica 24.35; Atti 2, -I1 2 3 4 5 6) diventa cosi naturale, e si capisce perfettamente.
(4) Luca 22, 19, 20.
(5) Esodo 24, io.
(6) Genesi 17; 23, 26.
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sua persona, il suo carattere puro, immacolato, le sue qualità morali, profondamente umane e al tempo stesso ineffabilmente divine. — Così del sangue. Una ferita produce effusione di sangue, e il sangue suscita l’idea del dolore. L’espressione * il mio sangue ’ doveva appunto significare le sofferenze dell’' Uomo del dolore che s’immolava per la redenzione del mondo. — ‘ Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue ’, disse Gesù. Non disse: ' Questo calice è il mio sangue ma ‘ il nuovo patto nel mio sangue ’. Gli Arabi antichi solevano firmare i loro patti con del sangue, che si estraevano dalle vene. Il patto che Dio ha stretto con l’umanità, patto nuovo perché, a differenza dell’antico, è patto d’amore, di perdono, di riconciliazione, di pace, Gesù, in nome di Dio, l’ha firmato col proprio sangue, col sangue sparso sulla croce del Golgota.
Questa istituzione del Maestro non era che l’antico pasto della Pasqua israelitica. Gesù, anche qui, come fece sempre, non annullò l’antico, ma lo semplificò, lo trasformò, lo fe’ più spirituale. Soppresse l’agnello, le erbe amare e altri elementi; del rito antico non conservò che la benedizione, il canto de’ Salmi (i), il pane e il vino. Fondò la istituzione alla fine d’una cena, per indicare che la sua religione doveva esser parte integrale della vita ordinaria, e le dette un carattere tutto simbolico e profondamente spirituale. Essa dovea servire di ricordanza. Tutte le volte che i discépoli avrebbero assieme mangiato il pane e bevuto il vino della istituzione, il Maestro sarebbe rivissuto nella loro mente e nel loro cuore; e quel che il pane e il vino sono per la vita fisica, lo Spirito suo sarebbe stato per lo spirito loro. — Tale la promessa del Maestro, tale la parola di conforto di cui i discepoli aveano appunto bisogno in quell’ora grave, angosciosa.
Il triste momento della separazione giunse; e l’ultima parola che il Maestro lasciò ai suoi discepoli, fu questa: * Andate ad ammaestrare tutti i pòpoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figliuolo è dello Spirito Santo, e insegnando loro a osservare tutte quante le cose che v’ho comandate ’ (2). Era un ordine: e tale, da sgomentare quel, pugno di poveri e illetterati pescatori galilei; ma il Maestro aggiungeva: ' Io son con voi tutti i giorni ’ e ' a me è stata data ogni potestà in cielo e sulla terra ’ (3). — Con quest’ordine Gesù istituiva il battesimo, che veniva così ad aggiungersi all’altra istituzione della eucaristia (4).
Gesù non creò'il battesimo ; lo prese di fra i riti giudaici e, si potrebbe dire, di fra i costumi orientali. Fra tutti que’ riti, fra tutti que’ costumi, scelse il più semplice; il più naturale, il più universale. Non scelse il nazireato, per esempio, non la circoncisione, non uno de’ riti d’iniziazione ai sacri misteri dell’antico Egitto.
(1) Confr. Matt. 26, 30 e Marco 14,26. Gli Israeliti, durante il pasto pasquale, cantavano i Salmi 113 e 114; dopo il pasto, i Salmi 115-118.
(2) Matt. 28, 19.
(3) Matt. 28, 18.
(4) Eucaristia è parola greca che significa 'ringraziamento.' Con questo termine, già ne' primissimi tempi della Chiesa (vedi, per esempio, la Didachè e le Epistole di S. Ignazio)-, si usò designare la commemorazione della Cena del Signore: commemorazione, che per i cristiani primitivi era un sacrifizio spirituale di azioni di grazie.
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INTERMEZZO SACRAMENTALE 37
o de’ Greci, ma scelse il battesimo, la immersione completa del corpo del neofito nell’acqua, e lo volle accompagnato dalla benedizione nel 'nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Con questa sua istituzione Gesù volle significare tre cose. L’acqua dovea dire che il cristiano ha da esser puro nello spirito e nel corpo. L’immersione completa del corpo nell’acqua e il risorger di nuovo da quella tomba momentanea doveano dire che il cristianesimo è |a morte del vecchio io e la risurrezione d’un io nuovo. La benedizione che accompagnava l’atto dovea dire che il miracolo di quella morte al peccato e di quella risurrezione a una vita nuova non poteva avvenire che per l’amore del Padre, per l’opera che Gesù era venuto a compiere nel mondo, e per l’azione vivificante dello Spirito eterno nelle coscienze e nei cuori. Per quest’ultimo elemento, l’uso orientale, che con Giovanni era già divenuto rito giudaico profondamente religioso, diventava ora, con Gesù, rito essenzialmente cristiano.
• * •
Il giorno della Pentecoste, nella sala superiore della casa di Gerusalemme dove i centoventi si trovavano radunati, nacque la Chiesa cristiana. Concepita dallo Spirito Santo, nacque in grembo al giudaismo. — Nata che fu la Chiesa, che avvenne delle due istituzioni del Maestro? Ecco quello che avvenne.
Gli apostoli, com’era naturale, cominciarono la loro opera missionaria annunziando il Vangelo prima di tutto ai Giudei. E il loro annunzio consisteva in questo-nel narrare semplicemente le cose che avean vedute fare dal Maestro, nel ripetere le parole che aveano udite da lui, e nel raccontare l’effetto che le cose vedute .e le parole udite avean prodotto in loro. A quell’annunzio, ‘ ogni anima ’, dice lo storico sacro, ' rimaneva profondamente impressionata ’ (i); e, ‘ compunta nel cuore chiedeva agli apostoli: ‘ Fratelli, che dobbiam fare? ’ (2) E gli apostoli: Ravvedetevi, e ciascun di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per ottenere la remissione de’ vostri peccati; poi riceverete il dono dello Spirito Santo ’ (3). E ‘ quelli i quali accettavano la parola degli apostoli, erano battezzati ’ (4). Quelli, cioè, che si ravvedevano e accettavano Gesù Cristo come loro Salvatore, erano battezzati nel nome di Gesù. Con questo rito d’iniziazione, entravano a far parte della nuova società cristiana; abbandonavano le antiche superstizioni, tutte le restrizioni giudaiche, e cominciavano a respirare le aure di fede pura e di libertà spirituale del cristianesimo; si. professavano decisi a morire al peccato per rivivere alla giustizia e alla santità, fidando nell’aiuto di Colui nel nome del quale venivan battezzati. Il battesimo, ossia l'intera, momentanea immersione del neo-fito nell’acqua, era il simbolo eloquente di quella morte e di quella risurrezione. ' Noi siamo seppelliti con Cristo mediante il battesimo nella sua morte, affinchè, come Cristo è risuscitato dai morti mediante la gloriosa potenza del Padre, così
(1) Atti 2. 43.
(2) Att 2, 37.
(3) Att. -2, 38.
(4) Att 2. 41.
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3»
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anche noi viviamo d’una vita nuova ’ (i). L’apostolo, l’evangelista, il diacono o anche il semplice fedele, incaricato di compiere il rito (2), domandava al neofita di confessare la sua fede. Il neofita attestava di credere nel Signor Gesù Cristo (3), e-riceveva il battesimo. Da quell’istante diventava membro della Chiesa, e parteci-* pava senz’altro; insieme ai fratelli e alle sorelle, alla eucaristia; vale a dire, ai simboli della sua redenzione.
E qui giova mettere in rilievo un fatta importante. Net secolo apostolico, la ‘ confermazione ’ era un atto che il neofita compieva al momento del suo battesimo; e i termini ' ravvedimento ’, ‘ rigenerazione ’, ' conversione ' erano usati, non a significare tanti atti distinti della grazia di Dio e dello Spirita Santo, ma tanti modi diversi di considerare il medesimo fatto della trasformazione radicale avvenuta nel pensiero, nel cuore, nella condotta del credente.Ravvedimento ’ significava il mutamento avvenuto nel suo pensiero; ‘ rigenerazione ’, il germe di vita nuova che lo Spirito gli avea portato nel cuore; * conversione ’, il nuovo orientamento della sua condotta. I tre termini consideravano così la vita nuova del credente da tre punti di vista differenti (4). E a un altro fatto giova qui dar risalto. Il termine * rigenerazione che nel secolo apostolico e anche dopo, nel secondo secolo, fu sempre usato come equivalente degli altri due, ‘ ravvedimento ' e. ' conversione ’, cominciò di buon’ora ad essere usato come equivalente di ‘ battesimo ’. Cioè, parlando del battesimo, invece di dire ' l’abluzione (simbolo) della nuova nascita ’ (5),. si cominciò a dire ' la’ nuova nascita ’ o ' la rigenerazione ’; onde non è da maravigliarsi se l’equivalenza dei termini finisse poi col portare alla confusione delle còse, e col trasformare addirittura il battesimo simbolico nella ‘ rigenerazione battesimale ’.
Ma non divaghiamo. — Il neofita, dico, appena battezzato, diventava membro della Chiesa, e partecipava senz'altro alla eucaristia, che allora era elemento integrale del servizio religioso. I credenti * erano perseveranti nell’attendere all’insegnamento degli apostoli, nella' comunione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere ’ (6). Non solo, ma, in commovente ricordanza del Maestro e dell'ultimo
(i) Rom. 6, 4.
(2) Il carceriere di Filippi, per esempio, fu battezzato da San Paolo c dà Sila (Atti '<>, 33); Cnspo. Gaio, Stefana e la sua famiglia furono battezzati da San Paolo (I Co-y*nzi. « ’4’ * ^l 2 3 4 5 6*0P° f’1 battezzato da Filippo, che era un diacono e un evangelista
(Atti 8, 36-38; cfr. 6, 5; 21, 8); Saulo di Tarso, da Anania, oh'cra un semplice * discepolo (Atti 9, io. 18) o, come diremmo oggi, un semplice ' laico ’.
(3) Atti 16. 30, 31. A questo proposito è importante il passo. Atti 8.37. che manca nei Mss. piùantichi ma contiene un dato tradizionale di gran valore. L’Etiopo avea chiesto a Filippo di battezzarlo. Filippo disse: Se credi di lutto cuore, è possibile E l eunuco rispose: Credo che Gesù Cristo è il figliuol di Dio.. E Filippo lo battezzò.
(4) Le interminabili controversie; pur troppo a noi familiari, circa le distinzioni ira ravvedimento, rigenerazione e conversione, e circa il posto da assegnare a questi* tre fatti nell ordine dogmatico, sarebbero state incomprensibili, non soltanto nel secolo apostolico, ma, anche più tardi, a Giustino martire .e a Clemente d’Alessandria.
(5) Dto 3, 5.
(6) Atti 2. 42.
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suo pasto coi discepoli, i credenti 1 2 3 4 spezzavano il pane ’ anche 4 nelle loro case ’ (i). La sera, finito il pasto familiare, il. padre, sacerdote spirituale del santuario domestico, 4 spezzava il pane ’ Con la sua famiglinola. Anche la chiesa di Corinto celebrava la 4 Cena del Signore ’ (2) alla fine di un pasto serale; e lo stesso era solito fare San Paolo; come, risu Ita dalla menzione della sua sosta a Troas durante il suo ultimo viaggio (3). Questi pasti familiari e questi pasti de’ fratelli, che si concludevano con lo 4 spezzare il pane ’, erano la ideale santificazione ¿’un atto della vita sociale mediante un rito religioso. Ma anche il secolo apostolico dovea sperimentare, e presto, quanto sia difficile tenere la vita sociale in contatto intimo con un grande ideale religioso; ché gli eccessi, i disordini de’ cristiani di Corinto non tardarono a profanare la celebrazione eucaristica, e a dimostrare impossibile questa sua connessione coi pasti in comune.
♦ ♦ *
Quello che avvenne dipoi, eccolo detto .sommariamente.
Nell’età patristica, ogni città aveva, come regola generale, un battistero, separato daH'edifizio della chiesa. Il battesimo si api ministrava una volta all’anno: fra Pasqua e Pentecoste, e lo amministrava soltanto il presidente della comunità, il vescovo, o il capo presbitero, come lo si chiamava dopo il primo secolo. L’ora de’ battesimi, la mezzanotte. 11 battistero aveva due camere: una interna e l’altra esterna. Nella esterna, i battezzandi, spogliati fino alla camicia, vólti a ponente, tendeano le mani in atto di sfida verso lo Spirito delle tenebre, ed esclamavano: 4 Io rinunzio a te, o Sàtana, a tutte le tue opere, a tutte le tue pompe? ’ Poi, volgendosi ad oriente, ripetevano il Credo, nella forma breve d’allora. Detto il Credo, s’inoltravano nella camera interna. Quivi era la vasca, e presso la vasca il diacono, se i battezzandi erano uomini; la diaconessa, se erano donne. I neofiti si toglievano la camicia, e si tenevano in piedi davanti al vescovo, che faceva a ciascuno le domande, alle quali ognuno rispondeva a voce alta, distinta, confermando la propria fede. Seguiva l’immersione nell’acqua della vasca. Prima dell’immersione, i neofiti erano unti d’olio da capo appiè ; dopo il battesimo l’unzione si ripeteva, almeno parzialmente. Poi eran vestiti d’indumenti candidi, e, come simbolo de’ sentimenti che la fratellanza nutriva per loro, ricevevano il 4 bacio della pace ’ e si offriva loro un po’ di miele e di latte. Dopo questo, recitavano per la prima volta il 4 Padre nostro ’ (4). Per .ben tredici secoli il battesimo mantenne la sua forma, d’immer-, sione; vale a dire’ la forma originale della istituzione, espressa dal termine stesso 4 battezzare ’; poi, cominciò ad essere amministrato per aspersione.
Questo, per la forma; quanto alla sostanza, varie idee nuove cominciarono ad apparire molto per tempo, e non tardarono a farsi strada nell’ambiente cristiano: l’idea che il battesimo fosse un qualcosa di magico che operava per virtù intrinseca,
(1) Atti 2, 46.
(2) 1 Cor. n, 20.
(3) Atti 20, 7, 11.
(4) Bingham, Antiquities; Smith, Dictionarv of Christian Antiquities.
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indipendentemente dalle disposizioni interiori di chi lo ricevere dalle qualità morali di chi lo amministrava; l’idea che purificasse l’uomo da tutti quanti i peccati accumulati per anni ed anni, anche se amministrato in punto di morte; l’idea che nessuno potesse esser salvato, se non l’avesse ricevuto: idea che non tardò a generare quest'altrà, che n’era la naturale conseguenza: che, cioè, non solo tutti i pagani, ma anche tutti i patriarchi, tutti i santi dell’Antico Testamento e i bombirti morti prima d’esser batt^zati, fossero irrimediabilmente condannati alla perdizione eterna. — E fu questa l’idea che menò al battesimo de’ bambini. Nel secolo apostolico e nei tre secoli successivi, il battesimo era stato di adulti; i casi di battesimi di bambini, se pur se ne dettero, non furono che rarissimi; dopo il quinto, troviamo il battesimo de’ bambini già d’uso generale. E si capisce. Guastata l'idea primitiva della istituzione e reso il battesimo un atto necessario per esser salvati, e potente a salvare in modo, dirò così, meccanico, era naturale che lo si amministrasse ài bambini, i quali, sacrati com’erano a certa perdizione, potevano così esser salvati facilmente, per non dire, magicamente.
E il battesimo de’ bambini si trasse dietro tre altre novità: lo spostamento della ' confermazione ’, che cessò d’esser parte integrale del battesimo, un atto cioè che si compieva nel momento stesso in cui il neofito riceveva il battesimo, e fu rimandato più tardi, quando il bambino fosse giunto all'età di ragione; la istituzione dei ‘ compari ', che si potrebbe chiamare la istituzione della ' fede per procura ’ (i); e un mutamento concernente le persone chiamate ad amministrare il battesimo. E qui assistiamo a una parabola storica interessantissima.' Nel secolo apostolico, chi battezzava poteva essere, come s'è visto, un apostolo, un diacono, un evangelista o addirittura un semplice fedele. Nei primi secoli dopo l'apostolico, invece, il battezzatore era sempre il vescovo, ossia il presbitero, o il presidente dei presbiteri. Poi, quando l’episcopato s’andò man mano separando dal presbiterato e Je attribuzioni che un tempo erano state di molti si vennero così accentrando in pochi, siccome Xidea della necessità del battesimo per esser salvati si faceva rapidamente strada in mezzo a una popolazione cristiana che cresceva di continuo, e i pochi battezzatori non bastavan più alla bisogna; la facoltà di amministrare il battesimo fu estesa prima ai presbiteri, poi ai diaconi, poi ai laici, e finalmente anche alle donne, oltrepassando così gli stessi limiti della larghezza de’ tempi apostolici.
Né miglior fortuna s’ebbe l’eucaristia. Già nel secolo apostolico, come abbiamo notato a suo luogo, s’era cominciata a far sentire la necessità di separarla dal pasto familiare o sociale. Nei secoli successivi, la necessità di questa separazione si fece più imperiosa che mai. Le due cose rimasero unite per del tempo, ma con questa differenza: che il pasto si faceva subito prima' o subito dopo la celebrazione eucaristica. Poi la distribuzione del pane e del vino, che prima era fatta dal padre di famiglia al pasto serale quotidiano o dai fedeli tra loro quando si radunavano, venne affidata unicamente ai ministri, e col secondo secolo cessò d’esser quotidiana e diventò domenicale. In seguito, il pasto assunse il nome speciale di agape, e fu di. (i) Da principio i bambini furon tenuti a battesimo dai genitori; l'uso dei ‘compari ’ venne poi assai più’ tardi.
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stinto dalla eucaristia; la stessa narrazione apostolica della ‘Cena del Signore' fu considerata come descrizione del pasto del Maestro coi discepoli, distinto dalla celebrazione eucaristica; finalmente, il pasto fu addirittura condannato- da uopi ini come Sant’Agostino e Sant’Ambrogio, e, nel quinto secolo, quella ch’era stata forma primitiva, originale, della istituzione, fu condannata come profana dai Concili di Cartagine e di Laodicea.
Dell’antica celebrazione serale della eucaristia si hanno tracce fino al quinto secolo; ma, come regola, cessò nel secondo, quando la celebrazione fu trasportata alle prime ore del mattino.
L’eucaristia del secolo apostolico era, com’è indicato dal nome stesso, un sacrifizio spirituale di ' azioni di grazie E il senso simbolico della istituzione primitiva non andò mai perduto, e rimase affermato in frasi scultorie come queste di Sant’Ignazio: ' il corpo di Cristo è la fede '; * il sangue di Cristo, è la carità ’, e come quest’altra di Sant’Agostino: ‘ Crede et manducasti ’. Nondimeno, la tendenza a dare alla istituzione antica una interpretazione materiale appare fino dai primissimi tempi. Essa risale a Giustino martire, e si riscontra in vari fatti: nel sacro rispetto di cui, nei primi cinque secoli, troviamo circondati il pane ed il vino; nella insistenza con la quale si venne man mano ritenendo il digiuno come condizione indispensabile alla partecipazione alla eucaristia, e nel fatto della Comunione data ai bambini: pratica che, se non prima’, cominciò con la introduzione del loro battesimo, e per la,stessa ragione per la quale questo battesimo fu introdotto. Ma l’età classica della irruzione di questo concetto materiale nella Chiesa cominciò con la fine del quarto secolo; vale a dire, con la irruzione nella Chiesa delle popolazioni barbare più o meno convertite al cristianesimo. A coteste popolazioni, abituate ai sacrifizi cruenti de’ loro tempi, è dovuta, in modo tutto speciale, l’idea della trasformazione del pane e del vino della eucaristia in vero corpo e vero sangue di Gesù. Idea che, vaga, incerta, mal definita da principio, verso il 55O\prese forma concreta negli scritti di Gregorio Magno, e divenne dottrina della Chiesa, per quanto non ufficiale e non formulata in modo definitivo. Chi formulò la vera e propria transustanziazione fu Pascasi© Radberto, verso 1’830; e col quarto Concilio Laterano, nel 1215, la formula diventò articolo di fede obbligatorio. Intanto, man mano che questo concetto nuovo, tutto materiale dell’antica istituzione, s’andava così consolidando e affermando, il presbiterato antico, e si capisce che così dovesse avvenire, s’andò trasformando in un vero e proprio sacerdozio, e l’antica * mensa ’ sparì per lasciare il suo luogo all" altare ’. Finalmente, nel 600, Gregorio Magno unificò g. le regole e le forme della celebrazione eucaristica che prima avean variato da chiesa a chiesa, creò la Liturgia unica, e nel 1562 il Concilio di Trento fissò definitivamente la dottrina del sacrifizio delia Messa (1).
(La fine al prossimo fascicolo).
Fra Masseo da Pratoverde.
(1) Secondo la qual dottrina, la Messa è il sacrifizio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo offerto sugli altari sotto le specie del pane e de! vino, in memoria del sacrifizio della Croce. Ed è sostanzialmente il medesimo sacrifizio della Cróce, in quanto lo stesso Gesù Cristo, che si è offerto sopra la Croce, è quello che si offre sugli altari, per mano dei sacerdoti suoi ministri.
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VASO E VASELLAIO1’1 il
Guai a chi disputa coi suo Creatore, perch'egli è un vaso tra altri vasi di terra; c l’argilla direbbe a colui che la plasma: < Che cosa fai ? ».
Isaia 45/9x Guai a chi disputa col suo creatore! » Quest’ammonizione severa in cui la creatura è paragonata all'argilla e il creatore all’artista, all’operaio, . al vasellaio può essere, a seconda che là si consideri, una fonte di pazienza, di fiducia infinita e una fonte di scoraggiamento. Male intesa, essa genera l’errore, l’amarezza; fomenta in noi la rivolta; oppure conduce al mutismo, alla disperazione.
È un'immagine familiare nella Scrittura quella dell’argilla lavorata da una mano. È quella tolta ad imprestito dalla povertà umana per raffigurarsi la divina azione creatrice. Si legge nella prima pagina. della Sacra Scrittura: L’uomo è un’opera divina, nella quale l’argilla è impastata dal soffio di Dio. Bisogna ricordarselo -sèmpre. La nostra doppia origine, la nostra natura contradittoria, il nostro destino fatto di ciò che passa e,di ciò che permane, tutta la commovente bellezza della nostra vita sta in quello. L'argilla deve aver fiducia in colui che la plasma, allorquando egli è il grande operaio
(•) Discorso pronunzialo da C. Wagner a Parigi. nel 1916-17.
dei fiori, delle anime, dei* mondi. Io qui parlo ai credenti, a coloro che lo sono davvero e a coloro che vorrebbero esserlo e che sono disposti a pensare che sull’argilla delle cose materiali — attraverso il creato e attraverso ciò che in esso v’è di pesante, d’informe, di esterno — larverà, s’affatica, lotta uno spirito che ha uno scopo e che è diretto verso tale scopo imperturbabilmente. L’argilla, nella sua ignoranza, nella sua passività, deve pensare che se è formata, impastata dal vasellaio, anche attraverso gli stadi intermedi è l’oggetto della sua chiaroveggente sollecitudine. Il buon operaio ama il suo lavoro. Dio, l’immortale operaio di cui siamo il lavoro, ama l'opera sua. Egli vi s’interessa con tutti i tesori della sua divinità! Siamo l’opera di Dio, non solo noi stessi, ciascuno nella propria individualità, ma noi, come umanità, nell’insieme della nostra storia tormentosa. Siamo l’opera di Dio. È inutile di preoccuparci troppo della nostra piccolezza. 'A motivo di Dio e della sua volontà a nostro riguardo, noi siamo grandi. Un immenso-avvenire s’elabora in noi. L’opera dello scultore o del vasellaio attraversa degli stadi preparatori, che rappresentano tavolta una bruttezza urtante, sconcertante. Noi pure attraversiamo degli stadi intermedi, incerti, dei periodi d’abbandono informe; ma dobbiamo aVerc fiducia. Bisogna aspettare che da queste preparazioni si manifesti il lavoro, poi il ’ capolavoro. La creatura umana e la storia
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sono impegnate in certi periodi torbidi, tormentati, oscuri, che somigliano al disordine piuttosto che all’ordine, al caos piuttosto che all'armonia. Se, in quel momento, l’argilla dicesse: «Sono brutta, perchè mi hai cosi fatta? » — se l'uomo, m- quegli stadi intermedi, preparatori, che sembrano un andar tastoni, si sollevasse contro il suo creatore, si abbandonasse ad uno spirito di contestazione; — se l'umanità, nel suo insieme, dicesse: «Non v’è sulla mia via Che disordine e caos; meglio sarebbe valso il non avere giammai incominciato •; ciò rappresenterebbe irriverenza, incredulità, mancanza di fiducia verso Colui che dirige ogni cosa, ed un modo di perdere noi stessi.
Alla base di ogni destino — qualunque esso sia — delle piante, degli animali, dei fanciulli, degli uomini . coscienti — sta qualcosa di fondamentale che è la fiducia: oscura, ma formidabile, che nulla giammai ha potuto scrollare. Essa è quella che caratterizza l’evoluzione universale nella sua calma impressionante in cui i più Srandi cataclismi si assettano e si riorinano. Essa è quella che, attraverso la storia umana,, nonostante tutto ciò che l’umanità ha sofferto, nonostante tutte gli ostacoli incontrati, tutti gl'indietreggià-menti subiti, nonostante tutti gli sconvolgimenti esterni, fa sentire il filo d’oro d’uria volontà che prosegue e riappare dopo eser-si eclissata.
Questa fiducia latente, caratteristica, •d’ogni vita sicura, è il segno particolare che imprime il suo stampo sulla vita credente. I.a Fede, è la fiducia. Ignavo, non so; ma v'è Qualcuno che sa: così dice il credente. Che Dio sappia ciò che ignoriamo, Ch’Egli veda attraverso le tenebre opache dove talvolta siamo costretti a trascinarci in ginocchio, a trascinarci nel nostro sangue, nella nostra miseria, Ch’Egli'scorga l'altra riva, la riva dove finisce la notte, ecco ciò che bisogna mantenere e ricordare. Questa è*a forza, questa è la molla sulla quale occorre appoggiarsi sempre. Osservate i credenti della Bibbia in mezzo alle loro prove. La Scrittura è piena di persone che sono meste eppure compenetrate di gioia. Uno dei credenti d’un’epoca particolarmente disgraziata e dalla quale ci arrivano tanti echi di fiducia profonda, ha cantato un giorno in un Salmo: <■ Purché Tu mi resti! Spariscano il cielo e. la terra,
siano consumati il mio corpo e l'anima mia, purché Tu mi resti, poiché Tu sei la mia rocca! ».
Ecco il fondo del cuore dei credenti. Nessuno perisa che il contestare cori Dio sia cosa lecita o desiderabile. La felicità di possedere un Dio non deve condurre a contestare con Lui. Ma da questa filiale disposizione di spirito a quella che alle volte s'è voluta raccomandare, e magari imporre servendosi della parola del nostro testo, v’è una grande distanza, v’è un abisso. Dirò sempre a ogni uomo: « Cura il tuo Dio, percnè, se sci credente, tutta la tua vita, la tua gioia e la tua disgrazia dipenderanno dal Dio che tu hai ». Abbiamo fiducia in Dio, fiducia assoluta, é, per parte mia, potrei dirlo, sicuro di poterlo dire ugualmente per parte di tutti i veri credènti: Possiamo .chiudere gli occhi, perchè Dio veglia! Possiamo morire, perchè Dio è vivente! Ciò a noi basta. Ma ciò non è più vero, se Dio è sordo, cieco, o anche capriccioso; s’egli è quel vecchio despota orientale, assolutista, davanti ài quale la creatura deve taccrb, come il cane davanti al cacciatore, come lo schiavo dinanzi alla frusta. Ciò non sarebbe più religione. Sarebbe meglio che il cielo fosse vuoto piuttostochè assidervi quel tiranno rosso di sangue, cieco, senza cuore e che calpesta la sua creatura come il vignaiuolo, ai tempi della vendemmia calpesta i grappoli e li pigia.
Purtroppo, quest’imagine del despota orientale, impassibile, bello, felice, ma il cui trono e il cui potere sono eretti sopra rovine, sul delitto, sul mutismo dei popoli asserviti, quest’imagine è stata alla volte seduta sopra il trono di Dio, e di quel dio non ne vogliamo sapere. L’argilla nostra non riconosce in lui il proprio vasellaio.
Esiste, scolpita dalla mano del vasellaio immortale, sopra ogni argilla uscitq dalle sue mani, una firma. Esiste, depositata in ogni anima ch’è un riflesso del suo amore e del suo sole di giustizia, esiste una ispirazione prima, una conoscenza del diritto dei deboli. Giobbe, miserabile, spogliato, malato, schiacciato sotto le disgrazie è grande, molto grande. Perchè?
A tutti — compresi i suoi amici che discutono — quegli amici cavillatori venuti a discorrergli d'un Dio che, certamente, lo castiga, e i quali gli dicono: « SI, tu hai una buona coscienza,- ma v’è certamente in qualche luogo un angolo malvagio ed oscuro; ti si crederebbe giusto, ti si crederebbe buono, ma Colui che è.seduto
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al di là delle stelle sapeva che vi sono delle impurità nel tuo cuore; se tu non avessi Siccato, non saresti infelice »; ad essi tùtu iobbe, schiacciato, esposto alla tentazione, di soccombere sotto il peso immane davanti agli occhi penetranti dei cattivi consolatori, Giobbe dice allora — ed in questo egli è grande — dice riguardo al Dio nel quale crede: « Quand’anche Egli mi uccidesse, crederci in Lui! »
Ciò è sublime. Vuoi dire: ■ Se perisco miseramente, il che è probabile, il che ò una disgrazia, di certo, sebbene non ci comprenda nulla, una cosa mi resta, sicura: Egli mi ama. Ho fiducia in Lui. Quand’anche mi succedessero tutte le disgrazie, avrei ancora fiducia in Lui e non gliele attribuirei! » Quando Giobbe ha pronunciato quelle parole: « L’Eterno l’ha dato, l’Eterno l'ha ripreso », egli ha voluto dire: Dia Egli, o riprenda: è Lui. Egli sa ciò che ignoro. Egli è giusto, buono; io* infelice Gli appartengo come io felice Gli appartenevo, c ciò d l’essenziale; ciò anzi è tutto ».
Giobbe non attribuisce a Dio il capriccio, l’arbitrio. Nei Libri sacri sonvi parole che scaturiscono dagli angoli oscuri e malvagi dei cuori. Li si trova l’umanità dipinta sotto la sua forma più schifosa: in altre pagine essa irradia nella sua forma più sublime. Anche Dio è stato dipinto sotto queste due forme: confonderle sarebbe confondere il giorno e la notte, il male col bene.
Vi sono pagine in cui Dio6'è rappresentato come un particolare dalla fronte dura, dall’anima egoista e soggetta a far delle parzialità. Egli dichiara: Così m'è piaciuto di fare; non hai nulla da dire, faccio esattamente ciò che voglio. Quale cattivo despota, quale bruto che divora le sue vittime terrebbe un linguaggio diverso? Questi non è più un Dio, è un idolo impastato con fango e con carne, nel senso più orrendo di queste due espressioni.
Giobbe è grande, l’anima umana, in quanto possiede di divino, è grande davanti a questa concezione mostruosa della divinità che negherebbe il diritto della creatura e per ciò stesso insulterebbe il Creatore. Ma un solo frammento d’argilla in cui il vero, il grande, il solo adorabile vasellaio ha impresso il suo marchio, ci aiuterebbe a ritrovare la sua divina figura.
In che modo potrebbesi dire al povero vaso d’argilla: • Non parlare, sarebbe inutile! ». Si son visti dei pittori e degli scultori ritornare nel loro studio alcune ore dopo aver lavorato e, rivedendo l’opera loro, provarne una specie di rabbia, come se quel lavoro li accusasse. Ciò, a dir vero, è il caso non solo per l’artista, ma altresì per ogni uomo che lavora.
L'opera parla da sè. La cattiva pagina scritta dal cattivo scolaro proclama la sua pigrizia, e il male compiuto dall'uomo manifesta il suo delitto. Dunque, quando anche la nostra bocca fosse muta, le nostre disgrazie, la nostra mestizia griderebbero a Dio. < Il sangue sparso, come dice la Scrittura, grida verso il cielo ». Nessun atto d’accusa mette maggiormente in rilievo e proclama più fortemente il delitto degli incendiari e degli uccisori, che un cadavere di bambino. Tacere davanti a Dio non è necessariamente un atteggiamento rispettoso. Possono esservi mormorii. lamenti e rimproveri in quel silenzio.
• • •
Un atteggiamento di vittima immolata sarebbe dessa un modo d’onorar Dio oppure di bestemmiarlo? E quale risorsa rappresenta un Dio di cui ci si ■sentirebbe la vittima! Un padre è egli onorato dal figlio che assume in sua presenza l’atteggiamento d’un fanciullo martire, d’un povero perseguitato? Un Padrone può egli sopportare la vista di servitori i quali, quando impartisce degli ordini, sembrano stare nelle mani di qualche capo-ciurma e lavorano col sentimento d’essere oppressi? V’è una forma di sottomissione che ferisce, un’obbedienza che costituisce un'ingiuria per colui che cpmanda.
Figli di Dio, che potremmo noi trovare di più offensivo pel Padre nostro che dire, o sólamente pensare nell’intimo nostro, quando siamo infelici, flagellati dalla vita: « Non contesteremo con lui, Egli è tanto più grande di noi! La nostra parte è meschina; venuti al mondo con una costituzione gracile, con ogni sorta di tare, con un'intelligenza limitata, vediamo accanto a nói gente che possiede doni splendidi, qualità magnificile nel campo materiale e morale. Ma rassegnamoci. accettiamo. Dio fa ciò che vuole; egli fa gli uni ricchi, gli altri poveri. Oggi il vasellaio fabbrica coll’argilla un uomo ammalato, domani ci si diletta a trarne un uomo
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sano. Ciò per dimostrare che può fare ciò che vuole.. L’argilla è alla sua mercè! »
Quale triste religione quella che ci farebbe in questo modo serbare la nostra pena per noi soli! Quale divinità matrigna è presupposta da una simile religione, e come Iddio deve soffrire d'essere servito con tali'sentimenti. i quali non sono altro che un’accusa muta, ricacciata in fondo ai nostro essere, e ci divorano nel nostro meschino isolamento! Pensieri tetri, pensieri tragici ci assalgono davanti alla disgrazia cui è rifiutato pettino il diritto al lamento.
Al disopra delle nebbie della terra e dell’oscurità delle coscienze, ‘è un grande Accusato. Verso di lui si stringono i pu-S;ni, salgono le bestemmie, sono proferite e grida di rivolta: e contro lui eziandio sale e testimonia in silenzio il mutismo delle vittime che non vogliono reclamare, sapendolo troppo grande. Quell’accusato non è altro che lo stesso Iddio, vittima crocifissa di cui l’uomo è il carnefice! Ma s’egli è ferito da certe grida immeritate o empie, ciò che maggiormente lo tortura è il silenzio, l’accusa muta di coloro che si credono » suoi figliuoli diseredati. Il vero Dio dice alla creatura: « Parlami », come un padre dice al suo figliolo: « Parlami, dimmi la tua pena, aprimi l’anima tua. La tua pena è la mia pena, il tuo dolore è il mio dolore ». Sappi questo, figlio mio: Dio non affligge volentieri i figlioli degli uomini. Accanto a ciò che puoi chiamare una prova — e occorrono prove, come occorre una disciplina — accanto al dolore che vorresti evitare e che non si può evitare, perchè è il creatore stesso della bellezza morale; accanto a ciò, figlio mio, v’è un dolore ch’è per me una bestemmia; vi sono miserie di cui non bisogna dire che io ho voluto le tare fisiche .e morali» che io ho voluto non solo le imperfezioni, ma le iniquità sociali. Non bisogna dire che io ho voluto la guerra, e quésta guerra nel modo in cui la si combatte oggi. No, no: tutto questo è l’opera mia sfigurata, nella quale soffro il martirio.
Tutti i mutilati della terra, qualunque essi sieno, tutti i disgraziati che lo sono per nascita, a chi lo devono essi? Se noi sapessimo districare la trama oscura delle cause, vedremmo spesso che quanto è chiamato « un peso imposto da Dio » è uno schiaffo sul volto del Creatore!
Per questo, il grido che si sprigiona dal povero vaso d’argilla tormentato e tortu
rato, quel grido che, alle volte, sembra più forte delle forze umane, è Dio che lo manda attraverso la nostra miseria, è Dio che si lamenta attraverso tutti i mutilati, attraverso tutti i fanciulli che portano la pena della sudiceria dei padri, attraverso tutte le vittime, chi si sieno, attraverso tutto ciò che è dilaniato, agonizzante! Giammai farete tacere la sua voce. Voi impedirete al sole d’alzarsi piuttosto che d’impedire questo grido delle coscienze!
Ecco l’altro aspetto di questa parola. Fratelli miei, qui (i) si predica l'umanità, si predica Dio e si predica la religióne; ma si ha l’impressione che molti sono vittime de la loro religione. Per questo una massa di gente s’è amputata del suo Dio, come si amputerebbe un membro ammalato, o è fuggita lungi dalla sua faccia, come si fugge lontano dalla casa dove un padre vi maltratta. Certo un’amputazione può essere una liberazione e, in certi 'Casi, si può anche ammettere che il figlio il quale abbandona un tetto inospitale, o l’orfano, il quale perde dei malvagi genitori, ha una vita semplificata.. S’egli aveva dei genitori indegni, che lo tormentavano. Sii 'davano cattivi esempi, il fuggire o rimanere orfano rappresenta pel fanciullo una liberazione. Così pure è talvolta una liberazione il diventare ateo. Si aveva un Dio che vi divorava, che vi rodeva come una cangrena; un Dio che vi opprimeva e che ci si strascicava dietro come a catena. Diremo nói per questo che la situazione normale dell’umanità è quella dell’orfano o che la vera vita, la vita grande e giuliva, è la vita sènza Dio?
Fratelli miei, un po’ di buon senso: vai meglio avere un Padre, un buon Padre, un Padre al quale si possa parlare, verso il quale si possa all’occorrenza gri dare, nella notte in cui siamo.
Voi che piangete, voi che siete colpiti nella vostra carne, nella vostra coscienza, voi che state davanti al Creatore come una povera argilla che non si regge più da sè, stessa, come quel Vaso infranto cantato da un nostro poeta con dei versi d’una bellezza immortale, voi che state davanti a
(x) Cioè nel tempio dell’ Étoile, la chiesa di Carlo Wagner.
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Dio neH’atteggiamento di coloro che hanno molto sofferto, non negate, non nascondete il vostro dolore, non vergognatevi delle vostre lacrime, non crediate che costituisca un’ingiuria, un delitto per un Padre che ci ama nelle notti di veglia e di sofferenza, il gridare il vostro dolore. Nelle tenebre in cui siete avete bisogno di sapere che, quando singhiozzate, qualcuno vi ode e che il Padre è vicino!
Parlagli, povera argilla, parla al tuo creatore. Ei t’ha fatto dire dai migliòri fra coloro Ch’Egli ha mandati sulla terra' per interpretare la sua volontà: « Grida verso di me ed io t'ascolterò, ti dirò cose grandi e nascoste che tu non conosci ». Parlagli, egli ha bisogno che tu gli parli. Come lo cerchi, ei ti cerca. Egli aspetta da te un segno, un atto di tenerezza, di fiducia che tu solo puoi dargli e che sia/ fer chi t’ama d’un amore immortale, espressione del tuo tesoro interno, libero, personale. * ,
Ecco, fratelli miei, in che modo bisogna intenderla questa parola che si riferisce all’argilla e al vasellaio; ecco come l’ha intesa il Crocifisso del Golgota, ch’ò davvero l’immagine della più misera argilla, torturata e infranta sopra un legno infame. Quell’innocente condannato, quel maestro abbandonato dai discepoli, quel giusto abbeverato di amarezza, nella sua desolazione, togliendo ad imprestito un vecchio grido dell’umanità dolorante non aveva egli detto: Dio mio\ Dio mioì Perchè mi hai abbandonato? Dio gli ha egli rinfacciato come un delitto quel grido in cui si riassume tutta l’angoscia dei secoli? — No. Giammai fu vicino ad ui\a persona più che non sia stato vicino a quel dannato del Golgota. Lo teneva nelle sue braccia; lo carezzava col suo sguardo; lo circondava col suo spirito; creava, soffrendo, colle ombre della suà notte, quella grande luce ch’è' diventata, per tutto ciò che soffre, geme, muore, la Pietà redentrice, la Carità consolatrice, la Tenerezza illimitata, la Speranza invincibile. Egli compieva, nel seno della fornace, il più meraviglioso di tutti i capolavori che il doloroso e sublime genio acH’eterno vasellaio non abbia mai tratto dall’argiÙà umana.
Fratelli, la mia preghiera per voi è che, rientrando in casa vòstra, ricominciando a tracciare il vostro solco con fatica, con dolore e con fede, raccogliendo il vostro coraggio per voi stessi e per gli altri, vi ricordiate di aver udito, oggi, non fosse
che una sola parola, un solo grido in cui il divino vasellaio dice alla nostra povera argilla: Io l’amo, spera in mel
Così sia.
Carlo Wagner.
SPIGOLATURE
La Commissione Imperiare Inglese pei sepolcri dei caduti in guerra ha approvato la proposta di Rudyard Kipling tendente a fare scrivere sul monumento centrale di ciascun cimitero di guerra, sia britannico che straniero, la semplice frase con cui termina l’omaggio che l’Ecclesiaste del Vecchio Testamento rende agli uomini famosi: « // loro nome vivrà nell’eternità ».
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«...Si osserva da taluno che con i monopoli [di Stato] vi saranno dei danneggiati e si discute che qualche industriale avrà dei danni. Signori, chi ha discusso, chi si è preoccupato dei nostri poveri contadini che andavano a morire?... » (Ministro Nitti, Camera dei Deputati, 29 nov. 1918).
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11 grande poeta democratico americano Walt Whitman scriveva cinquanta anni or sono:
«Vedo con l’America non soltanto la Nazione della Libertà, ma tutte le Nazioni che si preparano;
«Vedo apparizioni terribili e terribili scom-. parse, nuove alleanze, razze solidali ;
<»
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«Vedo una nuova forza irresistibile avanzarsi sulla scena del moiylo;
«Vedo la libertà completamente armata, .vittoriosa, altera, incedere con la Legge dall’un lato e la Pace dall’altra.
«A qual catastrofe della storia andiamo noi, con tanta rapidità, incontro?
« Vedo muoversi milioni d’uomini in rapide marce e contromarcie.
«Vedo le frontiere e i limiti segnati dalle vecchie aristocrazie, frantumarsi.
« Vedo divelti i termini posti dai re d’Europa;
« E già da questo giorno vedo il Popolo che pianta, cancellati tutti gli altri, i termini suoi !
« Non mai la media degli uomini, e lo spirito loro fu più energico e più simile a Dio.
«Che susurri son questi che corrono tra voi, o Nazioni, frusciando sotto i mari?
« S’affratellan fórse tutti i popoli? Sta per diventare un solo il cuoreMi tutto il mondo?
« L’Umanità sta forse per formare una famiglia sola?
«Tremate, orsù, voi tiranni! Impallidite o corone splendenti !
« La Terra abborda pervicace un’èra nuova, forse una divina guerra universale.
«E nessuno sa quel che fra breve avverrà, tanto meravigliósi sono i prodigi che riem- ' piono i giorni e le notti ».
[Dall’articolo del prof. Dino Provenzale La-' vagne e palinsesti, pubblicato nel fascicolo di agosto 1918 della rivista 11 Nuovo Palio}-.
« v. Due’ forme d’anima umana: anime-la-- vagna ed anime-palinsesto.
«Le prime, ad ogni colpo di spugna e ad ogni spruzzata ritornano lucide, fresche, atte a ricevere nuòve impronte, nuovi 'numeri e nuove figure. Le altre... oh su di esse può il monaco medievale coprire canti profani con salmodie liturgiche, può l’erudito, con sapienti operazioni chimiche, cancellare la più recente scrittura per far risuscitare l’antica, ma tanto lavorio non rimane senza traccia: qua una macchia oscura, più in là una ferita, logorio dappertutto.
* E come nessuno può scegliere il corpo che gli viene assegnato nascendo, così a nessuno è dato di scegliersi la sostanza dell’anima».
<s>
[Da una lettera « A un soldato reduce dalla guerra», scritta dal prof. Teodoro Longo e
che viene diffusa largamente- dal Comitato Nazionale delle Associazioni Cristiane della Gioventù] :
«...Se stretto dai pericoli, se in cospetto della morte, tu hai avuto della vita un concetto più profondo e più vero: se hai fatto * l’esperienza delle grandi realtà spirituali, che la vita giornaliera, volgare, molte volte ci nasconde; se hai sentito il valore dell’anima tua, e l'esistenza d'un Dio che ci ha creati e che ci chiama a sè attraverso la fornace della sofferenza, — oh! custodisci come un tesoro queste sacre esperienze. Non rigettarle, per ritornare a una vita terra terra, senza fiamma d’ideale, senza contatti coll'infinito. La tua vita, pur aprendosi- ad ogni beila, nobile gioia terrena, accolga pure in sè l’ombra del gran mistero che da ogni parte ci avvolge, e che soltanto là luce dell'amor di Dio può vincere.
« Tu hai lasciato, o nobile soldato, la lotta sanguinosa del campo di battaglia, e ritorni alle opere feconde della pace. Ivi ti attèndono nuovi compiti.
« Per poco che tu ti guardi (¡’attorno vedrai cose che ti affliggeranno e ti innoveranno a sdegno. Vedrai cìiè il fronte interno è stato spesso'troppo inferiore al fronte dell’esercito che, con sforzi eroici, arrestava il torrente dell’invasione nemica. Vedrai il lusso sfacciato, l’amore dei divertimenti mostrarsi coir tranquilla incoscienza, come se nulla la guerra avesse insegnato a certi uomini, a certe donne. Scorgerai forse anche i rimpianti malcelati di chi vede cessati i lauti guadagni che traeva dalla guerra. E sentirai il malessere irrequieto che pervade gli strali della società, il brontolio sordo delle masse, .che sembra foriero di nuovi rivolgimenti e cataclismi. Non giova dissimularlo; tutto non è bello nè rassicurante in qiìejta alba di pace, che succede alla guerra.
O soldato, la guerra sui campi di battaglia è finita, e speriamo per sempre. Ma la pace vera, duratura, è tuttavia un bene dà conquistare. 11 mondo è in uno stato di desolazione che mette sgomento, è un cumulo di rovine. Si tratta di ricostruire dalle fondamenta, di edificare la società su basi più solide di quelle d’un tempo. Noi desideriamo e aspettiamo la Città della Giustizia e della Fraternità umana. Questa grande òpera richiede il concorso di tutti gli uomini di buona volontà; e tu sarai tra questi.
« Nei duri anni della vita al campò ed in trincea, tu ti sei piegato, forse riluttante dapprima, a una ferrea disciplina; hai imparato a subordinare ogni tuo atto a un disegno più
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vasto, ad essere pronto anche al supremo sacrifizio per il bene di tutti.
«Queste virtù di disciplina, di ubbidienza, di volontà, di sacrifizio occorrono anche, occorrono anzitutto in questo dopo guerra, che si presenta così irto di problemi e di difficoltà. Tu sei stato soldato valoroso della guerra, sii altresì un combattente convinto per l’opera della pace. Non scoraggi ni se vedi intorno a te egoismo, ignavia, ricerca di guadagni e di godimenti. Non cedere alla corrente dei peggiori; sii invece un esempio pei tuoi compagni, e che essi trovino in te una guida, un incitamento a compiere il bene... ».
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[Dal foglio popolare quindicinale 4« Risposta di Torino (30 nov. 191S)];
« Chi non avverte in si, in questi giorni, fremiti di vita nuova;
« Chi non sente il bisogno di migliorare se stesso, di far uso più saggio delle proprie energie, di dedicarsi ad opere 'che giovino a molti;
« Chi non apre l’animo alla fiducia nella fatale se pur faticosa ascensione della società umana;
« Chi non si commove al pensiero che l’individuo umano, soddisfatti quelli che sono i bisogni materiali ed elementari, ha la possibilità di una vita spirituale sempre più intensa, reale, che si accresce continuamente verso la sua perfezione,
« Quel tale
« è incapace di comprendere il valore delle giornate che oggi viviamo;
ancora schiavo del proprio egoismo di bassa lega, qualunque sia la sua posizione sociale;
e. si dimostra inferiore nella scala della umana evoluzione; ed, infine,
« nega a se stesso la gioia di soddisfazioni più pure e più profonde'di quelle vol garmente conosciute».
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(Dal medesimo foglio popolare]:
«Quelli che non vedono la vittoria sono i vincitori.
« Non siamo noi che abbiam fermato il nemico.
• «Sono i loro corpi abbattuti che lo hanno spaventato.
« Un popolo che sa morire, fa paura.
« Morendo, ci hanno salvati ».
« Italiano che leggi, non dire mai che non ti è morto nessuno: sono morti anche per te, chiunque tu sia. .
« Questo lavoro assicurato è dono dei nìOrti; il tuo focolare tranquillo, regalo loro.
« Uomo che leggi, prendi il lutto, chiunque tu sia.
« Questa fiducia rinata nella bontà viene da loro.
« Sono i martiri di una patria migliore e di una umanità migliore.
« Come è buono questo pensiero ora !
« Che non siamo stati noi i colpevoli, i provocatori; che il nemico stesso li chiamava boni laliani perchè più che a uccidere eran pronti a perdonare e morire.
« Non hanno parlato; e tu non parlare.
« Hanno operato soltanto, e tu opera.
« Non hanno contato, e tu non contare.
« Non hanno^ndietreggiato davanti al dovere mortale; e tu chi sei che indietreggi davanti al dovere felice?»
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CRONACHE
POLITICA VATICANA E AZIONE CATTOLICA
UN DISEGNO DISTRUTTO
La vittoria militare e politica dell’Intesa e dell'America ha capovolto istantanea-mente l’indirizzo politico seguito dal Vati; cano, dall’ascesa al soglio pontificio di Giacomo della Chiesa all’ ottobre del 1918.
La proposta di armistizio partita dall’ini ziodcfi’ot tobredagl’Imperi centrali,mettendo inpiena luce la sconfitta militare ed il rivolgimentopolitico che la resistenza dell’Intesa aveva imposto ai suoi nemici, rivelava altresì ai suoi stessi autori la vacuità ed i pericoli di una politica, perseguita per cinque anni con un’ostinazione sempre crescente, orientata verso lo sbocco di una vittoria degl’imperi Centrali, e, in dannata ipotesi, verso una pace di compromesso, dalla quale l’Intesa’e l’America sarebbero uscite in una condizione di inferiorità.
Le « immense cose » delle quali l’universo fu protagonista e spettatore ad un tempo, non potevano non avere profonde ripercussioni anche in quel piccolo mondo ove risiede un’autorità universale: e ad essa non poteva sfuggire — come non sfuggì — l’eco di quei popoli che, raggiunta la vittoria attraverso sacrifici morali e materiali incommensurabili, rivolgevano all’alta sede religiosa — cui avevano fatto appello invano le cause più nobili, più giuste, durante il loro lungo martirio—. un rimprovero profondo e diffuso negli animi, più che espresso nelle voci, al quale partecipava cosi il miscredente « nemico », come il credente amico del pastore, nemico però del potere politico che il pastore si attribuiva ed esercitava. Chi ha avvicinato le « anime » doloranti durante il periodo guerresco, così nella zona del fuoco come in quella vicina o arretrata, conosce le intime tragedie di molti credenti, il loro sdegno per l’azione politica religiosa della Seae Apostolica che
non corrispondeva alle loro convinzioni, per la sua inazione in opere in cui l’apostolato avrebbe potuto raggi ungere, effetti altissimi.
Dissolto l’impero austro-ungarico per virtù delle armi italiane e della politica di liberazione dei popoli oppressi, presso a cedere quello germanico sotto i colpi degli eserciti alleati e la corrosione morale delle note wilsoniane,’cadevano contemporaneamente l’architettura della pace quale era stata innalzata nei palazzi vaticani e nelle nunziature pontificie. Benedetto XV vedeva, ancora una volta, sovrapporsi al « Principe della Pace » —- esaltato fino ad allora dai Governi e dalla stampa degli Imperi centrali — il Professore di Pin-centow, capo della più potente repubblica, che raccoglieva nelle sue mani forti e soavi la maggior sómma di forza morale per scagliarla in mezzo ai popoli nemici che se ne imbevevano anch'essi. Il Pontefice Romano veniva d’un tratto dimenticato nei due campi, isolato fra i suoi progetti che nessuno accoglieva con favore, tutto intento a studiare il modo di riproporsi allo spirito dei popoli, vicini e lontani, sommersi dal susseguirsi di avvenimenti così travolgenti.
RISPOSTA AI “ NEMICI „
Si ebbero così quei documenti che portano la data dell’8 novembre e del i° dicembre 1918, i quali dovevano segnare l’inizio di una nuova direzione della politica vaticana, sia nei rapporti dell’Italia, come in quelli internazionali.
Il primo documento è la lettera diretta dal Pontefice al cardinale Pietro Gasparri, suo segretario di Stato; essa ebbe per cura dei giornali amici della Segreteria di Stato, una eccezionale diffusione, anche a mezzo di foglietti volanti, con l’intestazione: « Il
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Papa condivide il giubilo dell'Italia. Un documento pontificio sulle rivendicazioni nazionali »; l’intento ammonitore delia larga pubblicazione è evidente: la figura del Pontefice « neutralista * doveva essere associata senza ritardo alla esultanza generale, ed i dubbi sorti subitamente repressi. La stampa già condannata come « modernizzante » sotto il pontificato di Pio X ed ora in pieno favore, sentiva sopra tutti il danno che all’azione cattolica ventura sarebbe venuto dalla mancanza di un atto che assicurasse in un momento storico così decisivo per le sorti nazionali, una partecipazione della più alta autorità cattolica al trionfo dell’Italia. E la lettera di Benedetto XV agitò come una bandiera.
Essa diceva:
« Dopo gli ultimi fortunati successi delle armi italiane, i nemici di questa Sede Apostolica, fermi nel loro proposito di sfruttare a suo danno tanto i tristi quanto i lieti avvenimenti, hanno procurato e procurano di eccitare contro di essa l’opinione pubblica italiana esultante per l’ottenuta vittoria quasi che il Sommo Pontefice ne fosse invece in cuor suo dispiacente.
o Ella, Signor Cardinale, ben conosce per quotidiana consuetudine i nostri sentimenti come altresì quale sia la prassi e la dottrina della Chiesa in simili circostanze^ Nella lettera del primo agosto 1917 ai capi delle diverse Potenze belligeranti Noi facemmo voti, ripetuti poi anche in altre occasioni, perchè le questioni territoriali fra l'Austria e l’Italia ricevessero soluzione conforme alle giuste aspirazioni dei. popoli, e recentemente abbiamo date istruzioni al nostro Nunzio in Vienna di porsi in amichevoli rapporti con le diverse nazionalità dell’impero austro-ungarico che ora si sono costituite in Stati indipendenti. Gli è che la Chiesa, società perfetta, che ha per unico fine la santificazione degli uomini di ogni tempo e di ogni paese, come si adatta alle diverse forme di governo, cosi accetta senza veruna difficoltà le legittime variazioni territoriali e politiche dei popoli.
c Crediamo che se questi nostri giudizi ed apprezzamenti fossero più generalmente conosciuti, nessuna persona assennata vorrebbe insistere nell’attribuirci un rammarico che non ha fondamento.
■ Non possiamo per altro negare che una nube turba ancora la serenità dell'animo Nostro, perchè non sono cessate dovunque le ostilità, ed il fragore delle armi cagiona
ancora in più luoghi e preoccupazioni e timori. Ma sperando che la lieta aurora di pace spuntata anche sul Nostro diletto paese, non tardi oramai a rallegrare gli altri popoli belligeranti, Noi pregustiamo le dolcezze di quel giorno, non più lontano, in cui la carità tornerà a regnare fra gli uomini, e la universale concordia stringerà le Nazioni in lega feconda di bene ».
APOLOGETICA*POLmCA
La grandezza dell’ora non avea saputo dare alla parola del Pontefice quella solennità che era da attendersi da chi parla dalla cattedra di Roma; il politico non avea la capacità di sottrarsi all’influenza delle dispute, e polemizzava con i « nemici della Sede Apostolica »; anzi, proprio per rispondere ad essi, egli scriveva al suo segretario. Da questa indole prevalentemente polemica, è caratterizzata tutta l’opera di Benedetto XV. Lettore assiduo, lavoratore instancabile, temperamento tenace, egli non ha saputo superare gl’impulsi di una mediocrità di pensieri messa a servigio di fantastici piani; sdegnoso della collaborazione altrui, attua le sue idee evitando non solo un qualsiasi controllo, ma anche la conoscenza preliminare delle sue opere da parte dei suoi collaboratori; scrittore di scarsa ispirazione, i suoi documenti sono fra i più poveri di quanti ne ha prodotti la guerra. Così che la stampa cattolica, ampliando il significato degli atti pontifici usa attribuire ad essi quel calore che vi difetta, collocandoli in un quadro storico che il Pontefice mostra di ignorare. Talché illustrando il... giubilo del Pontefice, il Corriere d’Italia del io novembre 1918 poteva scrivere:
« Il cuore del Papa batte all’unisono con il cuore dell’Italia, nel momento in cui l’antica madre stringe al cuore le figlie testé ricongiunte all’antica famiglia risplendente pei secoli di tanta fede e di tanta civiltà. Noi lo sapevamo, noi cattolici per i quali il cuore del Papa non ha segreti. Ma è bene che il Papa stesso lo abbia proclamato alto e forte, in faccia agli scettici e ai maligni che con tanto accanimento si studiano di sorprenderlo in fallo.
< La Patria italiana non è stata mai tanto « una d’armi, di lingua, d’altare » come in questi giorni inobliabili della sua storia. E in questa unione noi sappiamo che v’è anche il Pontefice Sommo di quell'altare che
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CRONACHE
alla Patria nostra — dal silenzio delle catacombe al fragore del Carroccio — ha dato le glorie più pure ».
MESSAGGI E PREGHIERE
Intanto ad altre porte batteva la diplomazia vaticana: uno dei suoi strumenti più abili, mons. Bonaventura Corretti, segretario della Congregazione degli affari Ecclesiastici straordinari, inviato in missione dal Pontefice in Europa e in America, si incontrava col Presidente degli Stati Uniti a Parigi, e a lui recava l’adesione del Pontefice al progetto della Società delle Nazioni, e consegnava un memoriale, in cui su questo e su altri argomenti connessi, era espresso il pensiero e i desiderata del Vaticano. Mons. Cerretti prendeva anche gli accordi per la visita che il Presidente Wilson avrebbe fatto a Benedetto XV durante il suo soggiorno a Roma. Al colloquio che i duo personaggi avrebbero avuto si annetteva un’importanza mondiale: la preparazione di esso nella pubblica opinione dell’Europa e dell’America era fatta coir grande cura.
Alla vigilia dell'arrivo di Wilson in Europa, il Papa avea intanto emanata una enciclica (i®dicembre 1918) sul Congresso della Pace, nella quale si prometteva l’adesione dei cattolici alle decisioni che la Conferenza avrebbe prese, e si facevano voti per una pace wilsoniana « giusta e duratura ».
L’Enciclica diceva:
« Fra poco i delegati delle varie nazioni si aduneranno a solenne congresso per dare al mondo una pace giusta e duratura: a-vranno pertanto a prendere deliberazioni sì gravi e complesse che simili non furono mai prese da umana assemblea.
■ Perciò non è a dire quanto abbiano bisogno di essere supremamente illuminati Serchè possano ben assolvere il loro man-ato. E poiché si tratta di decisioni che interessano sommamente il bene di tutta l’umanità, senza dubbio i cattolici, che debbono per coscienza favorir l’ordine e il progresso civile, hanno il dovere di invocare su coloro che parteciperanno alla Conferenza della pace la divina assistenza. Tal dovere vogliamo che sia ricordato a tutti i cattolici. Pertanto, o Venerabili Fratelli, affinchè frutto dell’imminente Congresso sia quel gran dono del cielo, che è una vera pace fondata sui principi cristiani della giustizia, ad implorare su di esso i lumi del
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Padre celeste, sarà premura vostra indire in ciascuna parrocchia delle vostre diocesi pubbliche preghiere in quella forma che stimerete opportuna. Quanto a Noi rappresentando, benché indegnamente, Gesù Cristo Re della pace, adopereremo tutta l’influenza del Nostro apostolico ministero perchè le decisioni che saranno prese a perpetuare nel. mondo la tranquillità dell’ordine e la concordia, siano ovunque dai cattolici volentieri accettate e fedelmente eseguite ».
Queste ed altre assicurazioni dava, in nome del Papa, mons. Cerretti, oltre che a Wilson, agli uomini politici dell’Intesa che avvicinava in Europa. La diplomazia vaticana non poteva restare inoperosa mentre tutte le Cancellerie lavoravano a preparare progetti, relazioni, documenti.
POTENZA MORALE O POLITICA?
Il Pontificato romano attraversa, infatti, uno dei periodi più difficili e decisivi per la su$ politica. Si tratta di stabilire in una formula giuridicamente decisiva se la autorità del Vaticano può estendersi al mondo delia politica, entrare nel concerto delle potenze; se la potenza spirituale del capo della Chiesa cattolica può trasformarsi in potenza politica e partecipare alla formazione del nuovo ordinamento mondiale quale risulterà dal congresso.
Il problema può essere posto oggettivamente. indipendentemente dall’esame dell’atteggiamento seguito dal Vaticano durante. la guerra, e dalla questione nazionale italiana dei rapporti tra Stato e Chiesa che una legge fissò ed a cui lo Stato ha .voluto essere fedele anche a costo di evidenti menomazioni della sua sovranità. Il Vaticano naturalménte, non si è nascosto la difficoltà del problema, ma il suo sforzo tende a superarlo attraverso tentativi di varia natura. È evidente l’indirizzo del Vaticano di appoggiarsi a Wilson, superando le potenze europee con l’accettazione della Società delle Nazioni. Ma quale contributo il Papato può recare alla nuova lega dei popoli, esso che rappresenta moralmente soltanto una parte di essi? E questi popoli non avranno sufficiente forza morale Sr determinare da loro stessi le proprie rettive ? I,’ intervento del Papato recherebbe sicuri vantaggi, o non piuttosto ragioni di dissenso, ai nuovi problemi da risolvere? Questi sarebbero vera-
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mente connessi allo stabilimento‘di una E ace duratura e giusta? Esclusa la possiilità di una partecipazione del Papato alla conferenza, l'azione della diplomazia vaticana si esplica in un’altra direzione, quella d’indurre le potenze che formeranno la Società delle Nazioni ad accettare l’arbitrato del Papa nelle controversie internazionali. Pur essendo estraneo al Congresso, il Papato assumerebbe così una funzione preminente e potrebbe porre la questione della sua sovranità chiedendo cioè quelle garanzie internazionali alle quali aspira da lungo tempo annullando la legge italiana delle guarentigie.
TENTATIVI DI CONCILIAZIONE
Questa legge è stata esaltata anche di recente per la sua resistenza durante il periodo bellico; ma non sembra a noi che essa abbia salvaguardato appieno i diritti e gli interessi dello Stato: basta ricordare il caso di mons. Gerlach, il quale poteva includere nel corriere diplomatico vaticano le sue lettere (ed il contenuto di esse può desumersi dal fatto che egli è stato condannato dai tribunali italiani all’ergastolo per spionaggio). D’altra parte anche la Chiesa non si è ritenuta sufficientemente protetta dalla legge, sia per l’allontanamento, avvenuto per loro iniziativa, dei ministri di Stati nemici dell’Italia accreditati presso il Papa; sia per il ricupero da parte del Governo italiano del palazzo Venezia dove aveva sede l’Ambasciata d'Austria-Ungheria presso il Vaticano, come per incidenti di minor rilievo.
Anzi, è ormai noto che trattative ufficiose si svolgono da tempo fra la Segreteria di Stato del Pontefice ed il barone Monti, direttore generale del Fondo culto, per trovare una soluzione rispondente ai nuòvi rapporti internazionali tra lo Stato e la Chiesa in Italia. Mons. Cerretti ha l’incarico di conoscere anche il pensiero dei cardinali stranieri su tale complessa questione.
IL NUOVO PARTITO CATTOLICO
Mentre la diplomazia vaticana lavora ed il Pontefice rivolge una parte delle sue cure all'opera di beneficenza sociale pel « dopoguerra » — com’ebbe a dire Benedetto XV m un ricevimento dei rappresentanti della nobiltà romana (la-così-detta a aristocrazia
nera ■); i cattolici italiani si preparano aneli'essi ad un’azione più viva e larga sul terreno della politica nazionale.
L’avvenimento ha ima notevole importanza e avrà ripercussioni sensibiliA tal uopo essi si sono costituiti in partito politico, indipendente dal Vaticano, ma formato da cattolici che accettino la dottrina della Chiesa. È il tentativo che, iniziato da Romolo Murri sotto il pontificato di Pio X, falli per la tenace opposizione del Pontefice, e che oggi, dopo una lunga esperienza di 'prove che va dalle « Unioni popolari » al « Patto Gentiioni » è accettato e approvato — non ufficialmente, s’intende —- da Benedetto XV. Il capo di esso è ancora un sacerdote: Luigi Sturzo, vice-presidente dell’Associazione dei Comuni Italiani, pro-sindaco di Caltagirone. Uomo di esuberante e creatrice attività, scrittore acuto, oratore attraente, egli ha una larga preparazione nello studio dei problemi sociali e politici. Una sua raccolta di conferenze: Sintesi sociali, apparsa per cura e con una prefazione del Murri, del quale egli fu amico e collaboratore, si legge ancora con interesse. Temperamento equilibrato, a Don Sturzo non manca la capacità di dirigere un grande partito. Ma risponderà la massa? Credo che anch’egli non saprebbe dare una risposta a questa domanda. Per altro, la nascita del nuovo partito avviene non senza perturbazioni. Intorno a Don Sturzo sono il conte Grosoli, il conte Santucci, l'on. Longinotti, l’on. Ber-tini, e non manca l’adesione del ministro Meda; ma ad esso non si avvicinano gli on. Ciriani, democristiano indipendente, e gli onorevoli Micheli e Miglioli, che seguono un indirizzo a tendenza sindacalista. Inoltre, è difficile dire se l’aconfessionalità esteriore del partito cattolico che si chiama « Partito popolare italiano » sia per giovare, nel senso voluto dai promotori, cioè di dare àd esso una larga base chiamandovi coloro che, pur essendo praticamente cattolici, rifuggivano fino ad oggi da una organizzazione politica clericale. Molto dipenderà dal modo in cui verrà esplicato il programma del nuovo partito, che è stato pubblicato domenica 19 gennaio. Ma di esso, come di altri avvenimenti recenti, tratteremo nel venturo fascicolo.
Gennaio 1919.
G. Quadrotta.
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WILSON E BENEDETTO XV (X propotito di due articoli di Mario Mi/firoli)
Tra gli articoli pubblicati dalla stampa quotidiana di Roma, in occasione dell’arrivo del Presidente Wilson, ci sembrano degni di note e di commenti i due scritti da Mario Missiroli ne II .Tempo del 3 e del gennaio. Nel primo di codesti articoli, il Missiroli giustamente afferma che « il viaggio di Wilson non è soltanto una cerimonia, che deve commemorare la vittoria dei popoli alleati..’, è e deve essere la -certezza, l’assicurazione che le lotte fratricide; che dilaniarono il mondo, straziando ogni senso di umanità ed ogni giustizia, sono scomparse per sempre; che il nemico vero e più insidioso, che dorme in noi e che l’istinto irragionevole può destare in ogni istante della nostra vita, è debellato, è morto per sempre ».
Accennando quindi ai discorsi del grande Presidènte che per quattro anni ha parlato al mondo intero ed ha finito con l’essere ascoltato con venerazione da tutti i popoli, amici o nemici, il Missiroli continua: « Non sonò idee nuove, quelle di Wilson; sono, anzi, idee semplici, idee comuni. Ma riposano in quseto la loro grandezza e la loro forza invincibile. Se le riguardate al lume della filosofia e della critica possono anche apparire come idee superate o come luoghi comuni... Donde deriva allora là loro energia inaudita? perché le medesime idee, affermate dagli altri capi dell'Intesa, lasciano l’animo indifferente e il
cuore vuoto, mentre, dette da Wilson, sollevano le coscienze, dominano le volontà e soggiogano le materie? Perchè questo figlio di puritani, che si raccoglie nella preghiera prima di assolvere i gravi doveri
del suo ufficio, è ascoltato e temuto, riverito e seguito?...
...La sua enorme superiorità non va ricercata in un pensiero nuovo, in una diversa e inattesa concezione della vita • della storia; ma nell’animo, nel tono, nel modo col quale le verità eterne sono ridestate nella coscienza universale;.,
... La parola di Wilson assegnò alla guerra una ragione e la ritrovò nella coscienza umana, nella sua verità semplice e immediata. Prima di lui, la guerra era ancora un episodio, ik più antico e il più triste della secolare schiavitù; dopo di lui diventò liberazione, • olocausto volontario della vita alla vita... Allora veramente, e solo allora, la guerra divenne universale e si nobilitò in un pensiero religioso: solo allora l'umanità si mosse lenta, ma sicura, ministra e signora di sè, certa del trionfo, perchè certa di una giustizia, che adunava e sollevava tutte le forze dello spirito contro la materia ».
Fin qui non si potrebbe non essere d'accordo nelle considerazioni del Missiroli: ma egli continua tentando di mettere il Presidente Wilson fuori della fede cristiana evangèlica positiva: « Quésta guerra ha dimostrato che le antiche negazioni pessimistiche — egli, scrive — proprie di tutte le religioni rivelate, sono, purtroppo insufficienti a vietare il male ed a superarlo; che le pregiudiziali evangeliche, che ripongono Dio fuori del mondo e la giustizia oltre la storia, non possono più contenere lo spirito dei tempi nuovi, che cerca una nuova fede... ».
Ma questa guerra ha molto meglio dimostrato che, per vincere il male e tentare di farne riparazione, era necessario che sorgesse un uomo spiritualmente possente, Wilson, il quale è quel che è precisamente
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perchè è plasmato e permeato fino al midollo, di quella fede cristiana evangelica che ripone Dio anche « fuori del mondo ». e la giustizia anche a oltre la storia ».Nella visita che il Presidente fece a noi evange lici in Roma, subito dopo essere stato dal papa, ci disse queste testuali parole: «-Se non avessi avuto fede nella provvidenza di Dio non avrei potuto affrontare il grave compito che mi sono assunto ». E le sue manifestazioni di fede nella religione cristiana « rivelata ■ non si contano: lo stesso Missiroli ricorda nel suo articolo che questo figlio di puritani « si raccoglie nella preghiera prima di assolvere i gravi doveri del suo ufficio ».
È fede evangelica viva e positiva codesta e non si comprende come il Missiroli — che pure esalta la gigantesca forza spirituale rappresentata da Wilson — senta il bisogno poi di gettare da canto, come roba insufficiente e superata, la sorgente donde Wilson ha attinto incontestabilmente tale sua potenza.
Lo stesso giornale II Tempo nelle Note Valicane del 4 gennaio cosi scriveva della religiosità di Wilson: « il presidente Wilson porta la religiosità cristiana piantata alle radici più profonde del suo essere spirituale. La lunga permanenza, come professore prima, come rettore poi, all’Uni-versità di Princeton, una delle poche università americane che hanno conservato gelosamente il loro originario carattere confessionale, ed è fervorosissima nel suo fictismo presbiteriano, ha fuso in Wilson istinto religioso con la cultura e le aspirazioni nazionali ».
Ed è « pessimista • la fede cristiana « rivelata »? Sì, ma il suo pessimismo può definirsi attivo, secondo l’espressione di Benedetto Croce che — recensendo il volume di Mario Mariani: « Il ritorno di Macchiavelli • — ebbe a scrivere: « ...io non conosco, filosoficamente parlando, altro verace ottimismo che il pessimismo attivo: che è cosa affatto diversa dal pessimismo contemplativo degli oziosi e gaudenti, buddisti, schopenaueriani e simile genia, che infesta i paesi latini ». (La Critica del 20, XI, 916). Il pessimismo cristiano è un pessimismo attivo, in quanto, dal male immediato che lo circonda, si protende verso il meglio costantemente: * Ma una cosa fo — scrive l’Apostolo — dimenticando le cose che sono dietro, e distendendomi alle cose che son davanti, proseguo i! corso verso il segno, a! palio
della superna vocazione di Dio, in Cristo Gesù » (Filippesi III, 14). Siffatta specie di .pessimismo, che, ben dice il Croce, è « verace ottimismo » è il solo — la storia lo ha dimostrato — che sappia suscitare i giganti dello spirito nei periodi di grandi rinnovamenti storici, dagli Apostoli ai Riformatori, a Mazzini, a Wilson.
La condanna che il Missiroli pronunzia contro tutte le religioni rivelate appare giusta soltanto se la si applica alle cristallizzazioni politico-ecclesiastiche di cui la Chiesa cattolica è un caso tipico. Ma le Chiese cristiane indipendenti, alle quali appartiene l'avvenire e che oggi fioriscono segnatamente in America, racchiudono ancora nel lóro seno l’indistruttibile lievito cristiano a cui l'umanità deve i suoi migliori rinnovamenti: Woodrow Wilson è un portato dello spirito invincibile che le anima.
Implicitamente il Missiroli testimonia a favore di quanto noi affermiamo, nel suo secondo articolo (Il Tempo del 5 gennaio) « Ogg» — egli scive — il cattolicismo rappresenta agli Stati Uniti un organismo Sotente non solo per il numero elevato ei suoi aderenti, ma anche per la vastissima azione spiegata nei campi della cultura e della beneficenza ». E perchè, è lecito domandare, in Europa la Chiesa cattolica non ha meritato una lode consimile? È un fatto innegabile che in Europa, e S>rincipalmente in Italia, il cattolicismo è orto come organizzazione politica, ma non come propulsore intellettuale e spirituale. Che anzi, sotto questi aspetti, rappresenta piuttosto una negazione: non è ceffo nel campo cattolico che in Europa trovi incoraggiamento la libertà di cultura o la libertà dello spirito!
Se dunque in America il cattolicismo • è diverso, il merito va allo spirito protestante-puritano che è alla base della costituzione politica e dell’anima religiosa americana. Tale spirito ha fatto sentire la sua azione anche sul cattolicismo americano, vivificandolo.
In Vaticano invece codesto spirito non è sentito in nessuna maniera; da qui Patteggiamento errato da capo a fondo assunto dal Vaticano e dal papa e messo in altissimo rilievo dalla chiara e diritta posizione presa da Wilson. Nella visita del Presidente al Papa — sulla quale il Missiroli ricama sofismi — il mondo non
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NOTE E COMMENTI
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ha veduto che rincontro tra il vincitore principale di questa guerra, Wilson, ed il vinto per eccellenza, il Papa. Del resto è quanto lo stesso Missiroli afferma: «J1 Papa fu il primo e più gravemente colpito dalla guerra, dal momento che le idee,' di cui egli resta pur sempre uno dei massimi interpreti, non valsero a scongiurare il flagello fratricida ». E, aggiungiamo noi, quel che è peggio, non valsero ad indicare la via di uscita e di liberazione. La ricerca di attenuanti pel fallimento della politica di Benedetto aV è faticosa e in nessun modo persuasiva: «il Papa fu logico — scrive il Missiroli — quando, condannando la guerra in sé, si rifiutò di graduare le colpe dei singoli belligeranti, che espiavano il comune traviamento dei supremi principi della fede e della morale cristiana... ». Logico siffatto atteggiamento? Forse, ma di quella logica che ispirò al padre Dante la nota rampogna:
Ed egli a mot a Questo misero modo Tengon l’animo triste di coloro Che yisser senza infamia ¿"lenza lodo. Mischiate sono a quel cattliro' cord Degli angeli che non furon ribelli. Nè fur fedeli a Dio, ma per sè foro.
Incontanente intesi e certo fui, - Che quest’era la setta dei cattivi.
A. Dio spiacenti od ai nemici sui
• Diversamente dal Papa — continua il Missiroli — Wilson ha deciso la guerra con una forza armata, che il capo della cristianità cattolica non poteva mettere in moto; diversamente dal Papa, ha potuto inserire la sua azione immensa nella realtà di questa storia vivente, che deve chiudere per sempre una tradizione ed aprire un’èra nuova; ma come il ¡Papa ha sentito che solo nobilitando la coscienza individuale, solo rinnovando l’essenza stessa della concezione delia vita, è possibile concludere la guerra con la restaurazione di una pace che assicuri contro chiunque il rinnovarsi dei delitti dell’orgoglio ».
Ma su che cosa poggiano codesti paralleli? Non certo sull’azione pontificia di questi anni di guerra, la quale rivela una unica preoccupazione: il desiderio di riafferrare l’antico potere, almeno nella forma attenuata, della internazionalizzazione della legge delle guarentigie.
Nella sua prima enciclicaflÌenedetto XV
si affrettò a proclamare la necessità del Sotere temporale quale « presidio della li-erta apostolica ». Su questa base sviluppò la sua azione politica durante la guerra che, per giudizio degli stessi cattolici liberi di ogni nazione, fu politica germanofila.
I tentativi papali a favore di una pace di transazioni suscitarono ogni volta unanimi cori di proteste poiché avrebbero condotto non ad una pace giusta (alla pace cristiana di cui il Presidente Wilson parlò agli evangelici di Roma nella visita che fece loro), ma alla deprecata pace tedesca. II taciturno e cauto ministro degli esteri italiano, qn. Sennino, fu indotto a definire « d'ispirazione germanica » l'invocazione inopportuna alla cessazione dell’« inutile -strage» fatta poco prima di Caporetto.
Verso l’Italia il Papa manifestò in ogni occasione un malanimo astioso che non è possibile porre nel dimenticatoio. Tali sentimenti lo distanziano infinitamente dalla cristiana serenità di Wilson, sempre’ equo verso tutti, compresi i nemici. Come non ricordare l’intervista del Papa col Subblicista cattolico Latapie? in essa enedetto XV, poco dopo la nostra dichiarazione di guerra, si lagnava ingiustamente delle autorità italiane (di quelle autorità che, nella loro estrema larghezza, permisero che si verificasse il casó G'erlak!) e si mostrava preoccupato di sapersi tra un popolo che, con giudizio che il tempo doveva dimostrare assolutamente temerario, il pontefice definì: « focolare in 'perpetuo fermento * e • il più mobile della terra! ».
E come non ricordare le rivelazióni della giornalista cattolica belga Irme Reisac, che pubblicò le parole udite dalle labbra del segretario di Stato, cardinale Gasparri, il quale, parlando con alcune personalità francesi, tentava seminare zizzania tra l’Italia e la Francia? * Avete mai pensato agli appetiti di Un’Italia vittoriosa? — disse il cardinale — E perchè distruggere l’Austria? per darla a chi? Rifletta la Francia e si metta d'accordo con noi ». Quando si tentò di smentire la Reisac, questa sporse querela giurando sul suo onore di avere asserito la verità, c
E come non ricordare infine la cattiva Srotesta vaticana contro l'Italia, allorché nostro Governo prese possesso del palazzo Venezia? Lo sdegno di tutti gl’italiani per siffatta ingiustificata protesta trovò nel ministro Bissolati un eloquente interprete: nel discorso tenuto ad Ancona
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BILYCHNIS
nell'ottobre 1916, in commemorazione di Cesare Battisti. Ton. Bissolati frustò a sangue i politicanti del Vaticano che « maledicono alla guerra, ma non alla guerra germanica ed austriaca che ha devastato mezza Europa..., ma maledicono alla guerra italiana sol perchè è rivolta contro il loro sgherro fedele ».
Allorché si ripensa a tutta l'attività vaticana durante la guerra, di cui noi abbiamo rievocato soltanto alcuni episodi, non può che giudicarsi una profanazione il tentativo a cui assistiamo di voler porre su di uno stesso piano il grande cristiano Woodrow Wilson, ed il piccolo capo della chiesa cattolica. Benedetto XV.
Quando Mario Missiroli scriveva: « Diversamente dal Papa, Wilson ha deciso la guerra con una forza armata che il capo della cristianità cattolica non poteva mettere in moto » avrebbe dovuto domandarsi: — ina se il pontefice avesse- di-fi» sposto di úna forza armata, l’avrebbe impiegata in vista degli scopi indicati da Wilson ? — ed allora forse sarebbe rimasto perplesso, molto perplesso.
Quando si vuole riavvicinare, l’òpera del Presidente Wilsop a quella del Pontefice non si può sfuggire alla seguente considerazione: Woodrow Wilson presiede ai destini di una tra le più potenti nazioni del mondo, ma non per questa sua qualità si è imposto ai popoli, sibbene per la sua potente e diritta personalità spirituale. Benedetto XV è capo della più potente organizzazione religiosa ed è ritenuto da milioni e milioni d'individui la «più alta autorità morale », ma, pur essendo in una posizione tanto favorevole, non ha saputo pronunziare la paiola che la coscienza universale invocava.
Wilson e Benedetto XV sono due personificazioni della presente immane crisi: il primo è il Vincitore, il secondo è il Vinto.
Aristarco Fascilo.
OSSERVAZIONI SULLE « PREVISIONI „ DI QUI QUONDAM
Si presenta a voi una donna, qui quondam, e... per difender le donne. Non vi spaventale, per carità ! Non vogliate scrutare (lutto di noi v’ispira limore e disdegno) se io sia, fra le innumeri, una uscita «dalle vecchie e fetide tane, rincicciolita, immascolinata », ecc., od una fra le rare... passabili, secondo le ur
genze sociali, secondò il pensièro di voi e dèi vostri compagni.
Eccomi: senza riflessi di quanto voi giudicate peccato femminile; senza stigmate di quanto io giudico peccato maschile: sorella, cioè, di voi e delle vostre nemiche; e sicura, fra voi e loro, perchè vibrante dello spirito di Cristo.
È dovere, oggi in ¡specie, conoscerci scambievolmente, mirando a giustizia; tanto più che in questo incalzar della vita verso una epoca superiore, consacrala dal trionfo di sacri diritti' dei pòpoli, la pace deve acquietare dispute insane; condurre, finalmente !, un migliore assetto fra uomo e donna, perchè l’altro, delle genti, sia di lunga e degna durata. Voi non sapete, qui quondam, che nell’ombra è una nobile milizia di madri,-di spose, di sorelle, di amiche le quali furono alimento, con la Fede e l’Amore, ai soldati in sacrificio? Molti di essi chiamarono il sacrificio aureola alla vita per la custode tenerezza rinvigorente delle lontane.,-. È fra le rincic-ciolite, immascolinate, ecc., quante semplici e diritte, afforzanti e consolanti', dagli uffici, agli ospedali, agli asili,-dalle povere stanze ammalate, al lavoro per camice, corpetti, abiti, fascie; dai trams alle cucine popolari, alle ferrovie. Perchè volete fermarvi alla superfìcie del nostro- cammino; e perchè, dinanzi alle snervate, alle imbellettate, alle flirtanti, alle vendute, nòn esaminate le bassezze maschili, non considerate traverso la storia, dalle origini ad oggi, dai simboli della creazióne, dalle religioni mitiche alle più pure monoteistiche, ciò che la femina significò rispetto al maschio, la donna rispetto all’uomo?
Delicata e soave, ella risentì tragicamente, più del compagno, come la materia è in lotta con lo spirilo, non tanto secondo quanto noi chiamiamo natura, ma in modo distinto traverso il bene ed il male, l’egoismo e l’altruismo, il finito e l’infinito; cioè: fra In coscienza e il senso e la ragione, per cui l’uomo è destinato a superar la natura. La donna; nell’alto grado d’intuito, di castità, di pazienza, quasi a specchio delle gravi risoluzioni dell’altro, del suo imperio, della morsa del sesso, fatta, con vigile dolcezza inesauribile, a calmare, epurare, liberar le gemme dallé scorie, è stata incompresa, martoriata, avvilita, perchè ritenuta debole, ov’è di originale virtù: tenera e mite. Osservate una coppia di colombi. Io prendo ad esempio creature fra le più dolci. Vedrete il maschio, maggiore di forma, incedere e tubare più insistentemente e risolutamente della compagna, beccarla, gonfiarsi intorno a lei, che rimane calma e dimessa. Io direi rasse-
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NOTE E COMMENTI 57
gnata. L’uomo — amara ironia! — quanto spesso è di sessualità e di egoismo più animale: egli chiamato ad essere con l’altra tramite fra la Natura e Dio!.
Se la legge di Cristo eleva voi uomini, e poi in unità, perchè non riconoscere i difetti e i valori reciproci, ricapitolando i gradi di ascesa e di discesa, servendoci degli uni e degli altri per giungere a decisioni nobilitanti? Budda si stacca da Hosàdara, giudice di sè e di lei, perchè l’egoismo si tramuti in vita purificata, purificatrice per essi e per il prossimo. Adamo ed Èva rimangono uniti per tramandare di generazione in generazione il dolore della colpa, la nostalgia dell’Assoluta Bontà che li creò e da cui si staccarono per tutto intenderne il valore traverso la fame e la sete di ei, e riconquistarla per divenirne figliuoli ed artefici. Cristo n’è sublime dimostrazione. Monaca ed Agostino, Francesco e Clara, Dante e Beatrice, Caterina da Siena e Nicolò Tuldo, Giovanna d’Arco e l’esercito ardente con essa, Michelangelo e Vittoria Colonna, le Donne dei Risorgimento nostro, che dei figli saranno le fiaccole e spesso le ali, Roberto ed Elisabetta Browning, sono i vari e magnifici tocchi pel capolavoro, a cui può e deve giungere dalla famiglia alla società storica- e spirituale; dalla Fede al Mistero, all’Arte; dalla realtà alla Idealità, che debbono esser l’una nell’altra questa nostra virtù diversa non per ritenersi avversa, ma una in Cristo Gesù.
Qui quondam, facciamo che la parola di Napoleone, nel Codice fra i più... civili ed evoluti del modo, da cui emergiamo come da bufera: « La /emme est no tre proprie tè; nous ne sommes pas la sienne car elle nous donne des en/ants et l’homme ne lui en donne pas. Elle est dono sa propriètè, comme l'arbre à fruits est celle du jardinier » sia tolta dalla radice ! Che cosa esigere dalla creatura che la superbia dell’uomo vuol male intendere, rinnegando il volere di Dio? Le colpe cui troppo spesso la costringeste sieno in voi stigmate con cui Dio chiama ad aprire gli occhi ed il cuore, o innumeri qui quondam!... Su, su a rinnovarci! Voi e noi. Madri di Serra, di Pietro Bartoletti, di Vaientini, di Sauro,
di Cesarmi, di Raggio, di Borsi; spose di Battisti, di Sauro, di Begen, di Slataper; amiche di profondo ed eletto sentire, raccoglietevi a invocar giustizia fra i sessi e le anime, perchè la vita sia degna dei vostri e prosegua con nobile pace la nobile guerra! Educazione e istruzione in Chiese e Scuole di eterna giovinezza, preparazione fisica, morale e culturale al punto sacro di sposa e di madre e ad ogni altra via della vita. Le leggi dimostrino alla pace degna elevazione con la chiusura delle infami case intollerabili vergognosamente tollerate, le quali dobbiamo voler che sieno di condanna a chiunque tenti ancora dimostrarne necessità.
Chi disse: Finché vi saranno fra nói lati schiave noi non saremo completamente libere: saremo sempre impedite, nei nostri sforzi per conquistare quel posto e quell’influenza a cui abbiamo diritto, dal peso morto di questa cosa maledetta che è fra noi. Chi ebbe questo grido, veda oggi la massa cosciente e compatta delle sorelle ad esigere attenzione e risposta. Giuseppina Butler (1828-1906) cui dobbiamo la lotta contro la prostituzione e l’abolizione — in Inghilterra — degli Atti parlamentari, che regolamentavano questa orribile piaga sociale, Lucy Bartlett-Re, di cui in Italia si sono tradotti due fra i volumi più interessanti (1): analisi e sintesi traverso la storia, la morale, le religioni, le abitudini (gli ambienti, quindi, e le leggi) della vita qual’è e quale dovrebbe* e deve essere per le generazioni venture; queste elette, cui molte anime italiane risposero e rispondono, ma troppo a bassa voce fino ad ora, abbiano da noi esempio di attività intensa e fiduciosa.
Sursum corda! ci gridan le tombe degli offerti alia patria ed al mondo. Sursum corda! risponderemo noi lavorando.
Vittoria Fabrizi de’ Biani.
(x) il regno che viene, .Libreria della Voce, Fi* renze, 1917.
Il femminismo nella luce dello spirito, Soc. tip.
L. da Vinci, Città di Castello, 1918.
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CRONACA BIBLICA
VII.
ANTICHITÀ EBRAICHE
Le principali istituzioni .sociali degli antichi Ebrei sono bene descritte nel volume intitolato « La legislazione sociale dei Semiti primitivi» (The Social Legislativi of thè Primitive Semites. Londra, Milford, 1915): presentato dall’autore, che è uno studioso americano, il dr. Enrico Schaef-fer, all’università di Pennsylvania come Sio per conseguire il dottorato. Il o del volume non ha rigorosa precisione: i popoli semitici di cui si tratta non sono che tre, cioè, gli Ebrei, i Babilonesi e gli Arabi; nè la trattazione si restringe all’epoca in cui tali popoli comunemente si chiamano «primitivi», poiché‘si esamina la civiltà sociale degli Ebrei anche nell’età postesi!ica, come pure quella dei Babilonesi nei tempi del Nuovo Impero. Inoltre, ^l’indagine propriamente e precipuamente concerne le istituzioni degli Ebrei; quelle dei Babilonesi e degli Arabi sono additate brevemente per via di confronto; il quale non può essere trascurato da chi voglia avere della civiltà israelitica una notizia scientifica. L’A. nel congetturare le origini e nel delineare la evoluzione delle ▼arie istituzioni sociali del popolo d'Israele, segue la moderna critica, rappresentata dal Wellhausen e Robertson Smith. Naturalmente, come l’A. stesso avverte, non poche notizie, anziché direttamente dalle fonti semitiche, sono state
desunte da opere -autorevoli. Ma buona parte del lavoro è originale; ed in complesso ha pregio di chiarezza e di ordine, così che la lettura ne è insieme istruttiva e piacevole.
Degno di nota il volumetto su «l’ai-chcologia della Terra Santa» (The Ar-chaeology of thè Holy Land. Londra, Macmillan, 1916; pp. 383 in 8°), autore il noto palestinologo P. Handcock, addetto al Museo Britannico. Contiene una notizia delle arti, usanze e costumanze degli abi-abitanti di Palestina dall’età primitiva fino a quella romana. Nelle pagine introduttive l’A. delinca le fasi della civiltà palestinese. La prima è quella degli abitatori non semiti, dell'età della pietra: erano trogloditi, di cui rimangono tracce nelle caverne del Libano (età paleolitica) e in quelle di Gezer (età neolitica). Tali abitatori lasciarono il posto a gente di stirpe semitica, che ivi giunse forse nella seconda metà del terzo millennio a. C., introducendo l’uso degli utensili metallici; benché quelli di pietra abbiano continuato a servire ancora per un millennio nella vita domestica palestinese. Nella stòria della civiltà semitica in Palestina l’A. distingue cinque età: 1* dall’inizio alla dodicesima Dinastia egiziana; 2* da questa fino al secolo quindicesimo; 3* la seconda metà del secolo millennio a. C.; 4® dal 1000 al 550 a. C., che è il periodo propriamente israelitico; 5® dal 550 fino alla conquista romana, che è il periodo ellenistico. 1 Semiti, dice l’A., non manifestano genio inventivo, ma
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notevole capacità di assimilazione; e in fatti la loro vita storica in Palestina, per quanto ci è dato di congetturarla archeolo-Eicamente, non ha un'impronta originale, ensì quella, avvicendata, delle genti con le quali ivi ebbero contatto. Premesso questo schema, l’A. raccoglie; in otto capitoli, interessanti notizie circa le precipue manifestazioni della civiltà semitica in Palestina: non, sono notizie peregrine, nè compiute, nè certe sempre; nondimeno costituiscono un compendio pregevole dell'archeologia di Terrasanta.
IL PROCESSO DI GESÙ
Le questioni della critica storica circa « il processo di Gesù • sono esaminate in un volumetto (The Prosecution of Jesus, Princeton, University Press, 1916; pp. VIII-- 302 in 8°) da Riccardo Husband, professore di letteratura classica in una scuola nordamericana. A suo avviso, il processo di Gesù, di cui egli pone la data 3 aprile (venerdì) 33 dqp’èra volgare, sarebbe stato fatto propriamente davanti al gran Sinedrio; il quale avrebbe tosto rimesso le risultanze al procuratore romano, per la ratifica della sentenza di morte. Il gran Sinedrio normalmente avrebbe avuto ed esercitato le funzioni di tribunale sottoposto all'autorità del procuratore romano; ed avrebbe sostanzialmente eseguita la procedura rabbinica consuetudinaria. La congettura, non nuova, che il gran Sinedrio avesse le funzioni di un tribunale penale sottoposto al procuratore romano per la conferma delle sentenze capitali, è illustrata dal prof. H., per via analogica, con la testimonianza dei papiri ellenistici. Poiché dai papiri egiziani risulta che il governatore romano della provincia di Egitto si giovava per l’amministrazione giudiziaria di funzionari delegati, riservando al suo tribunale o giudizio i casi più gravi, si arguisce la stessa cosa pei* le altre provincie romane; e quindi anche per la Giudea; dove i membri del Sinedrio avrebbero così avuto la figura giuridica di magistrati delegati dall’autorità romana. Se non’ che, i magistrati subalterni nella provincia di Egitto erano non indigeni ma romani; e i membri del Sinedrio, per lo contrario, non erano hè potevano essere stranieri a Gerusalemme. Questa obiezione, però, non ha gran peso. Più grave è l'obiezione che nasce dal racconto evangelico; giacché quanto vi si narra circa il processo di Gesù con
trasta con ciò che, dalla Misnà. sappiamo intorno alla procedura legale, prescritta al Sinedrio come tribunale criminale. Ma il prof. H. ne esce rigettando la storicità di quei particolari che non armonizzano con la sua ipotesi; a favore della quale ha saputo sfruttare i papiri egiziani pubblicati dal Mitteis e dal winckeln: in ciò sta il pregio precipuo del suo lavoro.
Che il racconto del processo di Gesù nei sinottici sia poco coerente, non si può negare. I risultati sconcertanti della critica testuale della narrazione evangelica si possono vedere, ad esempio, in un dotto articolo acutissimo del prof. Burton Scott, pubblicato in The American Journal oj Theology (voi. XIX, pp. 430-452; an. 1915). Insemina, il processo di Gesù come fatto storico è un intrico di difficoltà agli occhi dei critici. A questo proposito ci sia lecito aggiungere che il favore con cui in Italia venne accolto, ed è tuttavia accetto, il libro del Rosadi, pubblicato un quindici anni fa, è prova della scarsa coltura religiosa del pubblico italiano. Però, tra le lodi dei Subblicisti incompetenti, ricordiamo la otta critica che ne fece il prof. Chajes, in alcune « note » pubblicate nel 1904 sulla Rivista Israelitica.
A trattare la questione storica del processo di Gesù non basta l’aver dinanzi i testi evangelici e l’aver qualche conoscenza della giurisprudenza romana; bisogna saper leggere criticamente i vangeli, conoscere direttamente la Misnà, nonché le testimonianze storiche rivelatrici dell’ambiente sociale giudaico.
CIRCA IL NOME « SIGNORE »
Già fu menzionato in questa cronaca (Bilychnis, marzo 1916) il libro intitolato « Kyrios-Christos • (Gottinga, 1913) di Guglielmo *Bousset, professore di teologia all'università di Gottinga. Giova ricordare la tesi fondamentale di questa opera, ormai famosa tra i cultori della critica neotestamentaria, accennando alla controversia suscitata in Germania e altrove.
Il B. ivi propone e con erudizione copiosa propugna una teoria che è nuova, sotto un aspetto, per l’origine storica della dottrina cristiana sulla divinità di Gesù Cristo; collegandola con la genesi e il significato del nome greco Kyrios, «Signore», dato a Gesù nell’età apostolica. Congettura che Gesù abbia ricevuto un tal nome da' suoi seguaci per la prima volta parecchi anni
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dopo la creduta Resurrezione e in seno di comunità cristiane sorte fuori di Palestina, ossia tra uomini e in luoghi di civiltà ellenistica. Alla loro mentalità greca, cui doveva giungere sconosciuto ed enigmatico il nome ebraico di Messia, spontaneamente occorse quello di Kyrios per celebrare e invocare Gesù Risorto. Questo era un titolo di culto usitato nella religione ellenistica, cioè nel sincretismo religioso del mondo greco-orientale. Documenti e iscrizioni attestano che davasi ritualmente ai numi greci Zeus, Apollo e Dioniso; ai numi egiziani Iside, Osiride e Serapide; alle divinità frigo Cibele e Attide, nonché al dio persiano Mithra. Inoltre,risulta che i pagani veneravano con quel nome gl'imperatori. da Augusto in poi; nonché gli eroi divinizzati. Esso religiosamente significa • Signore » in senso di nume o divo; cioè indicava ed esaltava l’essere venerato come partecipe in maniera misteriosa della potenza e della natura divina. E quindi opportuno si porgeva alla mente dei neocristiani convertiti dal paganesimo per celebrare il culto di Gesù Risorto: nel loro animo sentivano inconsciamente il bisogno di congiungere la nuova religione con quella da cui uscivano; e a soddisfarvi prestavasi bene quel nome familiare e sacro. Verisi-milmentc. i primi a venerare come « Signore » il Risorto furono i cristiani di Antiochia; e probabilmente ivi san Paolo prese il pio esempio e lo propagò: così che poi giunse alla comunità cristiana di Gerusalemme, e fu seguito. Che la comunità cristiana palestinese nei primi anni di sua vita non usasse di dare a Gesù’ quel titolo. si arguisce da ciò che a Gesù non è mai attribuito in quello strato della narrazione evangelica reputato il più antico, cioè, di origine palestinese. Quindi un tale strato della tradizióne evangelica, sostanzialmente rappresentato dal vangelo di Marco e dal documento aramaico penetrato in Matteo e in Luca (la fonte dei Logia), riflette il pensiero cristiano nella fase iniziale, cioè ancora giudaica: Gesù è il fi-Sliuolo dell’uomo, il Messia. L'altro strato ella .narrazione sinottica, dove comparisce il nome Kyrios dato a Gesù, risponde alla seconda fase del pensiero cristiano, cioè quella ellenistica: Gesù è un dio. La terza fase è quella della teologia ulteriore che approfondisce speculativamente l'idea divi-■izzatrice ellenistica, e culmina nella definizione del Concilio di Nicea (an. 315): Gesù è Dio. A nonna di questa teoria.
dunque, il dogma cristologico sarebbe germogliato dal fervore religioso de’ primi cristiani in suolo pagano, dove era cosa ordinaria la divinizzazione dei personaggi venerati; e il nome di 'culto Kyrios ne sarebbe stato il germe, nonché il veicolo sto-, rico.
A favore di questa teoria il prof. B., dopo la pubblicazione del volume menzionato, ha pubblicato un articolo nella Zeitschrift für Neutestamentliche Wissenschaft (voi. XV, an. 1914, pp. 141,-162). Ivi egli esamina gli Aiti per ciò che concerne l’uso fattovi dal nome Kyrios; e cerca di provare che non sono provenienti da fonte Kilestinese quei passi dov’esso comparisce.
d esèmpio, i passi XI, 19-30; XII, 25; XIII: XIV, nei quali più volte ricorre, a giudizio del B. sono di provenienza antiochena. In altri luoghi, aventi un colorito palestinese, il nome controverso si vuole interpolato. In generale, posto che Luea sia il redattore degli Atti, si può attribuire alla sua penna, anziché alle fonti utilizzate da lui, il nome Kyrios: Luca era appunto ellenista, e probabilmente antiocheno. Di tal guisa il B., che non fa gran conto delle congetture del prof. Harnack circa le fonti degli Atti, dall’uso che vi si fa del nome Kvrios trae nuovo argomento a sostegno della teoria predetta, assumendo quasi come criterio di esame ciò che proprio è in questione.
Ma anche l’esame della tradizione sinottica, da lui fatto in quel suo libro famoso, lascia qualche cosa a de iderare; a giudizio di alcuni critici. Il prof. Wernle, ad esempio, ha pubblicato uno studio, intitolato « Gesù e Paolo », (in Zeitschrift für Theologie and Kirche; vói. XXV, an. 1915. pp- 1-92) per confutare, ih alcuni punti, là critica evangelica del Bousset. E simile confutazione gli fu pure indirizzata dal prof. Althaus con uno studio, intitolato « Nostro Signóre Gesù », (in Neue Kirchliche Zeitschrift; voi. XXVI, an. 1915. PP- 439'457 e 5X3'545)- Sì l’uno che l’altro criticò si studiarono di mostrare l'eccessivo arbitrio del B. nel trattare l’argomentò negativo fondato sull’esame linguistico dei vangeli sinòttici. Il Wernle, che è più vivace nel tono e meno accurato dell'Althaus nell'argomentare, osserva che non è possibile una discussione scientifica della questione se, come gli sembra venga fatto dal B., si esaminano i passi evangelici dove si legge Kyrios con il preconcetto ben f.èrmo che non provino nulla per la
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possibilità della provenienza palestinese. 11 prof. Althaus si contenterebbe dell’ammissione che Kyrios, in qualche passo almeno, sia preso come immediata traduzione dell’aramaico mar, esprimente soggezione rispettosa da parte di discepolo o di servo: da tale significato areligioso i seguaci di Gesù sarebbero poi passati a quello teologico, nell’età apostolica, senza la suggestione pagana ellenistica: il che certo non basta per l’ortodossia.
Alle osservazioni di questi due critici suoi connazionali, il prof. Bousset volle rispondere in un opuscolo intitolato < Gesù il Signore» (Jesus der Herr. Gottinga, 1916). Si lamenta che i suoi critici abbiano preso in considerazione solamente la questione biblica del suo lavoro, la quale non va separata dalle altre che la lumeggiano: la verosimiglianza scientifica della teoria circa la provenienza ellenistica del nome Kyrios e la sua portata nell’evoluzione teològica del pensiero cristiano antico, resulta dal complesso degli argomenti recati, costituenti un tutto criticamente inscindibile. Egli mantiene le conclusioni adottate nella sua opera; modificando soltanto qualche punto secondario; per esempio, concedendo al W ernie la probabile origine palestinese della frase « Figlio di Dio »; ma persistendo a negare che fosse un titolo messianico nel Giudaismo precristiano.
Questa difesa che il B. fece della sua opera ha trovato poi, a sua vòlta, degli oppositori; tra i quali G. Vos, prof, di teologia all’Università di Princeton. In un dotto studio intitolato « la controversia su Kyrios Christos» (in The Princeton Theolo-■gical Review,yo\. XV., an. 1917, pp. 21-89) ha cercato di scoprire la debolezza dell’ar-5omento negativo, cioè biblico, che il iousset fa valere nell’opera e nell’opuscolo. Non ci è possibile sunteggiare la critica minuta e sottile del prof. Vos; basterà l’aver detto ch’egli, a nostro avviso, nel miglior modo, senza usare parole grosse che contrassegnano il polemista incompetente, ha tentato di mostrare la possibilità critica, sul terreno linguistico, dell’origine palestinese di Kyrios, dato a Gesù nei vangeli con significato messianico e quindi essenzialmente religioso.
Però vi sonò studiosi che accettano la teroria del Bousset. Ad esempio, il dr. Kirsopp Lake, prete della Chiesa d'Inghilterra e professore di antica letteratura all’Università Harvardiana, vi ha dato adesione; come si può vedere leggendo un
suo articolo sulla « teologia degli Atti degli Apostoli » (in The American Journal ' of Theology; voi. XIX,. an. 1915, pp. 489-508); quantunque non vi sia espressamente citata l’opera del professore di Gottinga. Anche il prof. Morgan, insegnante di teologia a Kingston (Canadá), si giova delle conclusioni del Bousset studiando la religione di san. Paolo in un libro, molto discusso, che menzioneremo.
Tra i teologi di Germania, la teoria sopra esposta ha trovato anche fautori. Il prof. Hcitimiller in un articolo su « Gesù e Paolo » '(in Zeitschrift für Theologie und Kirche; voi. XXV, àn 1915, pp. 156-179) non cela la sua propensione ad accettare le conclusioni del Bousset, anzi, vuole rammentare che qualcuna di esse fu da lui per il primo stabilita (in Zeitschrift für die Neutestamentliche Wissenschaft: voi. XIII, an. 1912, pp. 320 ss). Così pure il pastore Köhler, il quale in un articolo su • Kirios Gesù nei vangeli • (in Theologische Studien und Kritiken; voi LXXXVIII. an. 19x5, pp. 171-490), avverte di essere arrivato prima ella pubblicazione dell’opera del Bousset alle conclusioni principali in essa proposte e propugnate. Adunque il famoso professore di Gottinga trova già i « profeti » della sua dottrina.
IL PRIMATO DI GIUDA?
Nell’autorevole periodico londinese Journal of Theologicat Studie $ (ottobre 1916, Ìp. 32-34) il rev. A. Wright, professore eli’Università di Cambridge, propose la questione del primato di Giuda Iscariota tra i dodici apostoli. Vero ò che gli evangeli sinottici enumerando i Dodici (Marco 3,16s. Matteo 10,2s. Luca 6,14s) concordemente menzionano Giuda per ultimo: ma ciò si può attribuire unicamente al fatto che la narrazione doveva trattare così l’apostolo resosi indegno per aver tradito il Maestro. Infatti, nei tre elenchi Sinottici non si nomina Giuda senza aggiungere ch’egli tradì Gesù. Che, avanti il tradimento. Giuda non occupasse proprio l’ultimo posto tra i Dodici pare cosa probabile: non era egli il tesoriere ? Anzi, a giudizio del prof. Wright, si può congetturare da una frase di Marco che Giuda avesse il primo posto tra i Dodici. La frase s’incontra nel v. ro del cap. X4, dove a Giuda si oppone: ó d; Twv 3w¿íxa, l’uno dei Dodici. L’articolo il conferisce a uno, nel greco dell’età .ellenistica, anche il valore di numerale ordina-
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tivo; del che si hanno esempi nei papiri e nelle iscrizioni. E quindi l'uno sembra ivi significare il primo dei Dodici. Il prof. W. adduce pure brevi osservazioni esegetiche a sostegno dell’ipotetico primato di Giuda, ma il fondamento lo scorge nella citata frase di Marco. Questa opinione del prof.W. divenne tosto argomento di controversia in \ arie riviste teologiche del mondo anglo-sassone; tra cui, ad esempio, quella londinese intitolata The Expositor..
Ivi il prof. A. T. Robertson, della Scuola battista di Louisville (S. U. A.), partecipò alla discussione con un articolo (aprile 1917; pp 278-286). Egli non contesta la lezione di quella frase di Marco, comunemente accettata nelle edizioni critiche (anche in quella notissima del Nestle): l’articolo il davanti a uno gli sembra bastevolmente attestato: poiché trovasi in mss. autorevolissimi, quali il Sinaitico, il Vaticano e il Cantabrigense, nonché in altri della famiglia cosidetta neutra. Inoltre consente con il prof. W. che la . frase greca in questione si possa tradurre • il primo dei Dodici »; però soggiunge che grammaticalmente è anche lecito attribuirle un significato enfatico: « quel tale ». Se convenga scegliere il primo o il secondo, é questione da risolvere guardando al contesto. Esaminati i punti principali della narrazione evangelica dove si Sarla dei Dodici, il prof. R. conchiude icendo che « i fatti evangelici non comportano una decisione ». Certo è che i Dodici spesso disputavano a chi di loro dovesse toccare il primo posto nello sperato regno messianico. Pietro godeva di una certa preferenza da parte del Maestro, ma la dignità di capo degli Apostoli non pare che Sii fosse attribuita vivente Gesù. Il prof.
L non parla neppure di sfuggita del testo di Matteo (i6,i8j dove Gesù dice di fondare la chiesa su Pietro: tutti gli studiosi (eccetto gli alunni delle scuole cattoliche romane) sanno che si tratta di un testo interpolato. Che Giuda perchè tesoriere tenesse abitualmente il posto di capo dei Dodici, non si può affermare; • ma se Giuda ebbe mai il primato, tanto più grave fu la sua caduta finale ».
Nelle stesso periodico (luglio 1917. pp. 1-16) il prof. Harris volle esprimere in proposito la sua opinione. La quale è che x° la frase di Marco in questione abbisogna di migliore prova per essere accettata definitivamente; 20 se poi fosse genuina, probabilmente si erra traducendola
il primo; 30 però l’antica tradizione ecclesiastica orientale attribuisce a Giuda non l’ultimo posto (forse il terzo, ovvero il sesto) tra i Dodici avanti il suo fallo; nella letteratura patristica s’incontra l’opinione che il Signore, nell’ultima cena, abbia lavato i piedi a Giuda prima che a Pietro; e ciò potrebbe implicare priorità di rango avuta fino allora da quello su questo.
Il prof. VVright nella medesima rivista (novembre 1917. PP- 397-4°°) ritornò sulla questione da lui proposta. Si compiace che il prof. Harris dalla sua copiosa erudizione abbia tratto fuori qualcosa che giovi all’ipotesi circa il primato di Giuda: sé con la tradizione orientale gli si concede il sesto posto, si è già a metà strada! Per ciò che riguarda la critica testuale, egli replica che se non ha citato le varianti però le conosceva; e mantiene come più probabile la lezione adottata perchè meno ovvia e perchè urtante con la tradizione ecclesiastica, le quali due cose sono due canoni famigliar! ai critici nello stabilire in casi dubbi la lezione genuina del testo biblico. Il prof. W. prende nota anche delle osservazioni del prof. Robertson, ribattendone qualcuna. In sostanza il prof. W. non intende che proporre un’ipotesi probabile; la quale sarebbe maravigliosamente conforme al detto evangelico: il f»rimozp. e. Giuda) sarà l’ultimo; e l’ultimo p. e. Pietro) sarà il primo nel regno messianico, cioè, nella chiesa cristiana che lo realizza.
LA BIBBIA E IL NUOVO CODICE DI DIRITTO CANONICO
A titolo d'informazione notiamo che il « Codice di diritto canonico » (Roma; Tipografia Vaticana, 1917) promulgato da Benedetto XV, si o_ccupa della Bibbia in quattro canoni. Nel can. 1385 si vieta, an-cha a’ laici, di pubblicare per le stampe scritti comunque concernenti la Bibbia senza la previa censura ecclesiastica. Nel can. 1391 si proibisce di pubblicare versioni della Bibbia in lingua volgare, se non siano approvate dalla Sede Apostolica, stampate sotto la sorveglianza episcopale, corredate di note desunte preci-, puamente dai SS. Padri e da scritti di dotti cattolici. Le edizioni dei testi originali nonché delle vetuste versioni della Scrittura sono dichiarate, nel can. 1399, come proibite ipso iure; e uguagliate alle pubblicazioni propugnanti l’empietà! Fi-
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nalmente, nel can. 2318 si commina la pena di scomunica, incorsa ipso facto e riservata in maniera speciale al papa, per gli autori e gli editori che, senza la debita licenza ecclesiastica, stampino i libri della Scrittura, e note o commentari su la medesima. Come ognun vede, i moderni canonisti del Vaticano tutelano rigorosamente i diritti non della Bibbia, ma della teologia medievale. Hanno cancellato anche una disposizione di Leone XIII (papa modernista?) che concedeva agli studiosi cattolici il libero uso delle edizioni e traduzioni della Bibbia curate e pubblicate da dotti acattolici. Se non che, come il privilegio di esenzione dal servizio militare, solennemente' riaffermato nel can. 21, non tolse Si ai « chierici » di dover fare la guerra;
è da credere che i .canoni proibitivi non impediranno sempre alla scienza biblica di farsi strada, anche nella Chiesa romana.
SAN FRANCESCO E LA .BIBBIA
Sia lungi da noi l’intenzione di foggiare un san Francesco di Assisi studioso della Bibbia alla maniera dei teologi scolastici del suo tempo; ma neppure dobbiamo raffigurarlo come affatto digiuno di cognizioni in proposito. * San Bonaventura, suo biografo, afferma ch’égli nelle lettere
sacre gradatamente s’istruì, non solo . pregando, ma anche leggendo; e che come irradiato da suprema luce penetrava il senso della Scrittura. Quindi non è cosa superflua per la biografia scientifica del Santo umbro il tentare di studiarne il pensiero religioso anche alla luce della sua coltura biblica. E con piacere vediamo questo tentativo genialmente incominciato da Paolo Sabatier nell’ultima edizione della sua vecchia, ma sempre popolarissima biografìa di san Francesco (Vie de S. François d’Assise. Edition de guerre. Parigi, Fisch-bacher, 1918).Le circostanze gli hanno imposto di tralasciare in questa edizione l'introduzione, l’esame critico dèlie fonti e le note; donde il titolo di « edizione da guerra ». Però essa ha un nuovo capitolo sull’indulgenza della Porziuncula, raggiunta di passi biblici a principio dei singoli capitoli, e una bella prefazione (pp. VII-XXIV) dove il Sabatier parla appunto della coltura biblica presumibile in san Francesco. La scienza moderna ci obbliga spesso a separarci, con mestizia e rispetto, dal pensiero teologico medievale a cui la mente di Frate Francesco dovette essere partecipe; ma non dall’ideale religioso del suo spirito mistico, interprete verace e. luminoso del Vangelo eterno.
. • ........ r. e p.
RELIGIONI DEL MONDO CLASSICO
VI.
1. L’origine semitica del nome Adone è contestata da P. Kretsckmer in Glotta (VII, pag. 29) (1): essendo attestata la forma Adwvt? con lo spirito aspro, si trae la conclusione che il nome è formato dalla radice à3wv [quindi per il significato, a mio modo di vedere, da riferirsi ad 4v3dvw, xSovi (dor. àS^à) e cioè « il piacente, il diletto, il gradito » se non di più].
(x) La rivista delle riviste tedesche che trovasi nel presente bollettino è stata fatta sulla Ra>uc de Philologie, nel cui fascicolo di ottobre 1917, pubblicato in ritardo, è stato dato uno spoglio delle riviste stesse (19x5-1916) per quel che riguar2. Sotto il titolo di Amentet A. S. Knight (Longmans, Green e C., London, 1915) offre un prezioso contributo di carattere sopratutto pratico allo studio degli dei, degli amuleti e degli scarabei degli antichi Egiziani. Il volume, edito signorilmente c con la chiarezza di tipi e di illustrazioni che è propria degli editori inglesi, è intitolato Amentet. perchè la maggior parte degli dei risiedevano in esso e per esso passava il defunto quando veniva da l’antichità classica,, fatto a cura di due collaboratori della Revue in Svizzera. Ciò permette anche a noi di colmare la lacuna, sebbene per alcuni articoli non sarà male ritornare quando si avrà la possibilità di prenderne diretta conoscenza.
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in loro contatto ed egli invocava i poteri degli amuleti che erano così strettamente connessi con le divinità. L’A. vuole in tal modo offrire ai collezionisti di antichità egiziane, ai lettori di storia e di archeologia egiziana il mezzo di conoscere in compendio le cose più note sugli dei e sugli amuleti. L’opera è divisa in 4 parti; la prima .dèlie quali riguarda gli dei degli Egiziani, la seconda gli animali sacri, la terza gli amuleti, la quarta gli scarabei. Ognuna delle parti è preceduta da una brevissima introduzione generale che dà ragguagli sul contenuto, il quale poi segue raccolto in ordine alfabetico e per lo più illustrato da una o più nitide figurine che servono a fissare graficamente la spiegazione del testo.
Nell’introduzione alla lista degli dei dopo un breve accenno al periodo animistico e monoteistico-panteistico della religione egizia, il K. si intrattiene più lun-. gamente sulle credenze egiziane nell'al di là e sulla preparazione del cadavere, la formazione della mummia ed il suo corredo di amuleti, formule e yià dicendo, se-Ìjuendo il Maspero, ed anzi riportandone e parole e naturalmente citandolo. Due note un po’ più lunghe sono destinate ai collezionisti: sulla materia degli oggetti (dei e amuleti) che si trovano nelle tombe, sulla loro provenienza e sulle loro falsificazioni.
Una brevissima introduzione alla II parte collega il culto degli animali sacri al feticismo o al totemismo, secondo le località, seguendo l’opera del Petrie, che è pure usata nell’introduzione agli amuleti, classificati secondo le proposte formulate dallo stesso studioso.
Sugli scarabei l’A. dà pure alcune brevi informazioni, facendole seguire' dalla lista degli scarabei reali, ordinati secondo le. dinastie e accompagnati da tavole illustrative e seguiti da qualche nota, sugli scarabei fenici, greci ed etruschi.
L’opera si chiude con un indice analitico, molto utile. In complesso un’opera di com-pi:azione, senza pretese, ma che può rendere qualche servizio anche agli studiosi, non assolutamente specialisti della materia, sopratutto per la sua chiarezza e la sua nitidezza.
3. Q. Immisch in Gioita (VI, n. 3) fa delle interessanti osservazioni linguistiche sull’anima considerata come farfalla. Questa sarebbe la farfalla di notte che si nasconde sotto le foglie (Virg., JEn. 6.284). L’A. indica
i monumenti nei quali si trova rappresentata l’anima sotto le forme di farfalla, quindi stabilisce tra l’appellativo greco <pa).Xai'«a1 imparentato a quello di %akXó;, e quello di Xtixaws affine a Xvxo.-, una eguaglianza che gli permette di sostenere il simbolismo della farfalla, uscente dalla crisalide (Xvxawa è il femminile di Xvxo;, lupo, quindi ©akXatva sarebbe il femminile di «ax>.6;, phallus. Confesso che non vedo chiaramente la connessione tra la falèna e il fallo almeno in modo scientifico!].Altre osservazioni 1' Immisch fa su oxxvs; corpo e anima e farfalla di notte e forse con.qualcosa di simile in latino, ove Kiilio significa anche tenda (anche qui connessione non mi è chiara. Del resto neppur la citazione àeW Eneide mi pare possa appropriarsi al tema. Il sunto quindi che riproduciamo può servire di promemoria, perchè lo studio dell’1., che appare importante, non è altrettanto ben compendiato).
4. Interessante quanto piacevole è la lettura dell’importante lavoro della Strong sull’ Apoteosi e la vita dell’al di là (Apo-theosis and after life. London, Constable e C. 1915). col quale vengono studiate in tre lezioni alcune fasi delrarte e della religione nell'impero romano.
Ne daremo un breve ragguaglio perchè i lettori possano conoscere all’incirca quali argomen ti vi sono trattati e possano quindi, volendo, ricorrervi.
In una buona traduzione FA. informa- i suoi lettori sullo stato attuale degli studi romani e sulle tendenze loro sopratutto nel campo artistico, nel quale anch’essa prende posizione con la nuova tendenza ormai dominante — e si badi bene come si potrà vedere anche dal mio ultimo Bollettino (V, 14), che la tesi non è affatto nè nazionalistica, come potrebbero insinuare degl’imbecilli viventi in quell’enorme moltitudine che si dice delle persone colte, nè tanto meno nuova, almeno in gran parte — con la nuova tendenza cioè che pone un’arte romana provinciale che si sottrae delle influenze orientali nel suo insieme, pur serbando caratteri individuali nelle varie regioni in cui appare, arte che prepara quindi il terreno all’arte medievale nelle sue forme più tipiche, come la bizantina e la romanica, che trovano già nell’impero alcuni germi singolari del loro futuro sviluppo.
Preparato così il terreno, la S. esamina in una prima lezione quale efficacia eser-
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citò l’apoteosi imperiale sull'arte antica e studia per ciò la centralizzazione dei disegno nell’arte greca, ellenistica, romana e medievale, imperniando il suo esame sull’idea dell’apoteosi e della deificazione e considerandone i periodi più significativi da Augusto c Giustiniano. Importanti sono i risultati che l’A. ci offre, per l’appunto mettendo in evidenza il carattere monoteistico che va assumendo la religione romana dal tempo di Traiano in poi, come è provato dal centralizzarsi delle figure divine o di quelle imperiali che ne tengono il posto e che preparano la centralizzazione nell’arte cristiana della divinità e in primo' luògo del Cristo che verrà a prendere il posto deU’impcratore.
La seconda e la terza lezione ànno per argomenti il simbolismo della vita dell’al di là su recenti pietre sepolcrali romane. Esse costituiscono la parte più interessante dell'opera e la più ricca in comparazioni e notizie e quindi la più feconda di risultati. La maggior parte della prima delle due è riservata per l’appunto allo studio delle concezioni sull’al di là dei Greci, tanto europei che asiatici, alla loro espressione artistica sepolcrale ed all'origine delle raffigurazioni artistiche sulle tombe. Per queste l’A., seguendo il nostro Della Seta che à tentato di dimostrare il carattere magico dell’arte, con molte osservazioni veramente degne di nota, se anche non sempre molto convincenti, attribuisce alle rappresentazioni artistiche sepolcrali origine magica e da questo punto di vista naturalmente esamina le opere notevoli che ci rimangono presso i popoli studiati. Quindi la Strong passa a considerare le credenze sull’oltretomba e le relative raffigurazioni dell’arte sepolcrale dei Romani e ne discute tutto il simbolismo, concludendo con una riabilitazione, direi cosi del monumento di Igei, in cui essa vede accomunate con le scene della vita del defunto le rappresentazioni simboliche delle sue opinioni religiose, invece dell'impronta di ignorante volgarità che in esso à voluto vedervi il Jullian.
[Questa seconda parte del lavoro della Strong è quella che evidentemente la-scerà più increduli i lettori su alcune delle sue interpretazioni del simbolismo sepolcrale. sopra tutto di monumenti recentemente scoperti o recentemente studiati. Io stesso, che pur sono disposto ad ammettere le più strane spiegazioni di simboli che in un campo come questo consapevolmente
o inconsapevolmente ànno una sicura derivazione, esito molto prima di accettare quelle che alla Strong sembrano evidenti prove di credenze non tanto lontanissime, perpetuatesi per li rami incoscienti di varie generazioni e forse di vari popoli, quanto, quel che è più grave, contemporanee o quasi, del defunto. Per esempio la spiegazione del presunto simbolismo del bassorilievo sepolcrale di Amiterno nessuno potrà convincermi sia veramente felice. Altri, simboli che l’A. ritiene sicuramente allusivi alla risurrezione mi sembrano dubbi, ma tali da meritare in ogni modo un più- attento esame.
Nè d’altra parte io potrei qui senza l’aiuto di’riproduzioni artistiche discutere le opinioni dell’A., che non nego essere talvolta veramente suggestive. Quello che mi piace notare come..,, pregiudiziale — è mia forma mentis il vedere nelle concezioni singole degli A., se non mi quadrano, il lato sintetico'che urta contro quello che* si forma sotto il loro impulso o si è già formato nella mia mente — è. che in primo luogo si deve andar cauti nel trarre dal presunto simbolismo artistico conclusioni spirituali sopratutto contemporanee dell’opera d’arte. In secondo luogo occorre non dimenticare quanta notevole parte del presunto simbolismo artistico derivi da spontanee intenzioni di rappresentazione grafica senza allusioni profonde a profónde e gravi credenze o per lo meno da superficiali e lievi motivi superstiziosi.
Ciò sìa detto con buona pace dell’A. e anche di me medesimo che in parte ò commesso e in parte sto perpetrando un delitto di interpretazione di simbolismo artistico sepolcrale in un grande edificio dell’impero!...
Del resto queste ed altre osservazioni che possono farsi all’opera della Strong non diminuiscono per nulla il merito che essa à di aver posto in luce notevoli manifestazioni artistico-religiose dell’impero che erano state trascurate — ad alcune di esse darà forse maggior valore il mio lavoro che è sotto • i torchi • per questa rivista, su Giove ed Ercole — e quello di aver raccolto, anche nella parte più incerta e più discutibile dell'opera stessa , una così copiosa e così interessante serie di simbolica sepolcrale da rendere il suo contributo,agli studi religiosi, fatti sotto il punto di vista dell’arte/veramente prezioso].
Il volume*è*cdito con il consueto buon
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gusto delle edizioni inglesi e corredato di 32 tavole molto ben riuscite e pregevoli come documenti artistici.
5. Secondo I. Tolkiehn nel Berlin. Phi-lolog. Wochenschrift. (1915 n. 47) l’ipotesi del Rossbach che Anna sorella di Didone sia originariamente identica alla dea car- , tagincse Didone-Ellssa riceve una conferma dal Commentario d’Eustazio su Dionigi il Periegeta.
6. Da notare per lo studio delle divinità secondo gli Epicurei nelle Abh. d. kòn. Preuss. Akademie d. Wissenschafl (Phil. historie1. 1916. n. 7) la pubblicazione del testo greco con commentario del I libro di Filodemo sugli dei, fatta da H. Diels. Nella breve serie di frammenti della scuola epicurea sull' essenza degli dei, questi frammenti del rsp* sgfflv di Filodemo sono importantissimi, anche se l’A. non abbia potuto servirzi a causa della guerra di quanto è venuto fuori dai papiri d’Er-colano. La composizione dell'opera dovrebbe porsi verso la fine del 44 a. C.
Della conoscenza che gli Epicurei avevano degli dei si occupa pure R. Philipp-son in Hermes (1916, n. 4, pag. 568 segg.). Secondo Epicuro gli dei si conoscono per la Btavota (— mens, Lucr.) e il Xóys; (= ratio, Lucr.) L’origine della conoscenza loro sta in alcune tìBwXa che appaiono all'uomo specialmente nel sonno e che ànno determinato la nozione della divinità. Così la conoscenza si à per la Stàvo-.a, ma la conoscenza della loro natura si à Esr mezzo del >.¿70«. Si vedano Ezio e iogene Laerzio i cui passi l'A. commenta ed interpreta. Epicuro crede quindi non solo che gli dei esistano, ma che siano eterni e felici. Gli atomi che li compongono sono unità composte di parti strettamente unite che non lasciano possibilità a intervalli vuoti: per ciò la divinità è una e perfetta. Infine il Ph. chiarisce facilmente Cíe., de nal. deor. I, 49. appoggiandosi sulla, già premessa distinzione tra Slavata e XÓ705.
Un frammento poi di Epicuro sul rispetto agli dei sarebbe secondo H. Diels in Sitzungsber. d. Rbm. Preuss. Akad. d. Wissenschafl (anno 1916, pag. 886 segg.) 3uello contenuto in Pap. Oxyr. II, 30 segg. e ne dovrebbe-porre la data alla fine del 11 sec. o al principio del 1 a. Cr. Sembra lo si debba attribuire ad Epicuro stesso, tanto pare potervisi riconoscere lo stilè, sotto la sua forma più popolare e il suo pensiero. (Il frammento che già l’editore
attribuiva 'con qualche dubbio ad Epicuro 5<«v o «eoi óoiótxto;) contiene la discussione dell’idea popolare della religione e specialmente della paura degli dei che è severamente criticata dallo scrittóre].
7. W. Warde Fowler, uno dei più geniali e de.i più felici ricercatori di storia religiosa romana, à pubblicato qualche tempo fa (Macmillan e C., Londra 1914) un'altra di quelle sue interessanti opere che ànno per argomento la ricostruzione della vita sociale e- sopratutto religiosa del periodo storico che va dalla fine della repubblica all’inizio dell’impero. Le sei lettere in essa raccolte tendono a mettere in luce quali sulla divinità fossero le idee romane nell’ultimo sec. a. l’E. V. (Roman Ideas 0/ deity in thè tasi cenlury before thè Christan Era).
Con le parole stesse dell’A. riferiremo lo svolgimento della ricerca e le sue conclusioni. « Mi son domandato — egli ‘dice (pag. 158 segg.) — quale contributo l'antica religione romana avesse portato all’idea della divinità e ne ho trovato qualche traccia nella spiritualità del culto domestico, specialmente del genio, e nellaten-denza vèrso il monoteismo nel culto di Giove come, dio del cielo. O’ riflettuto !|uindi sul senso dei poteri cosmici come orze divine, il sole e i-principi dell’astro-logia, la fortuna nelle sue varie accezioni di divinità, natura (ordine naturale delle cose) o semplice cieca sorte. Poscia sono passato alla più importante delle tendenze religiose di quest’età, alla tendenza di considerare l'uomo come capace di divenire dio e all’esemplificazione di tale tendenza nel culto dell'imperatore, il quale ricostituisce l’antica connessione tra la religione e lo Stato. Infine ò seguito nella letteratura la degradazione dell’antico politeismo attraverso la soppressione delle divinità romane per opera dell’uso convenzionale e simbolico dei'loro nomi.
0 Qual risultato abbiamo noi ricavato da tutta questa ricerca? A prima vista i suoi risultati sembrano abbastanza miseri e in senso teologico ciò è indubbiamente vero. Ma per poco che noi consideriamo la cosa, troveremo che qualche cosa era stato acquisito per ^l'umanità dalla maniera di concepire il divino degli italici, anche" in Quella triste età che fu l’ultimo secolo a. C.; qualche cosa di solido e pratico, se paragonato con il sempre mutevole caleidoscopio della fantastica speculazione ed allegoria che sopravvive
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per confonderci nella letteratura grecoegiziana di questa età e della successiva.
« In primo luogo, la sempre verde idea delle divinità tutrici della famiglia, specialmente nelle regioni rurali dell’Italia, conserva vivo >1 senso di una segreta relazione dell’uomo e della divinità nelle vere radici della vita sociale, giorno per giorno, attraverso la buona e la cattiva sorte. Pure nell'idea del Genio noi vediamo un altro punto di segreto contatto tra l’umano c il divino, ancor una volta in associazione con l’ordinamento della società e col governo della famiglia; nessuno dubita che in quest’età siano smarrite la loro antica forza e significazione, cionondimeno se ne apprezza l'ispirazione di non poche istituzioni sociali c governative con una specie di vigore spirituale non privo di reale valore. Poscia, ancora, noi abbiamo veduto quanto il potere che si manifesta nell’universo e, in quel.tempo, pure in modo specialissimo nelle meraviglie dell’impero romano, possa esser rappresentato sotto il nome di Giove il quale sembrava raccogliere sincretisticamente i vari antichi numi.na in una divinità simile a quella degli stoici, una divinità di legge e di ordine, un essere divino, qualunque potesse essere il suo nome — una concezione, forse, di maggior valore per l'umanità, in ultima analisi, dei selvaggi culti, individualistici, di Cibele, Iside o Mitra.
« Ancor una volta, il culto dell’uomo al potere, così stravagante nella metà orientale dell'impero e più in là, non usciva dai suoi limiti in Italia e in Roma grazie al carattere pratico e non teologico della originale idea religiosa. Esso era nelle mani del Governo, limitato, per quanto era possibile, all'uomo che era stato al potere, e col tacito presupposto che la morte aveva sviluppato il germe della divinità —, il Genio — che era stato con lui durante le vita. Un culto passionale per l’uomo vivente, la devotio per esempio, al nume dell'imperatore regnante, è l’eccezione, non là regola.
« Finalmente* l’ultima degradazione in quest’età delle pseudo-olimpiche divinità, come noi possiamo ora chiamarle, fu certamente un grande guadagno per l'umanità, perchè esse ànno adesso perduto interamente quell'ispirazione che altre volte ebbero. Non più a lungo rispettate realmente, esse trovarono un rifugio nella letteratura o fecero posto nel mondo della
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vita e del pensiero a nuove e più nobili idee».
Non farò notare all'intelligente c colto lettore l’importanza di queste conclusioni: mi limiterò ad assicurarlo che nelle pagine che le precedono quanto il W. F. dice è ampiamente c luminosamente svolto ed affermato. Naturalmente che tutto sia pur matematicamente dimostrato sarebbe puerilità il dirlo; certo è ben lumeggiato, discusso e • saggiato 0 per cosi dire sulla cote di altri studi, di altri usi e di altre idee che non sian le classiche pure e sem-Ìlici, nel cui giro la mentalità ristretta c > spirito ignorante di molti dei nostri ricercatori Storici rimangono circoscritti. Interessante indubbiamente e fondamentale il cap. I sulle ^divinità domestiche: per me però è capitale il II gn Giove e la tendenza al monoteismo. iMettore troverà in uno studio mio che prossimamente si pubblicherà in questa rivista molte delle opinioni del Fowler per altra via e per altro periodo dimostrate e svolte. Discutibile forse, ma certamente degna della maggior considerazione, l’affermazione del-l-’A. che il monoteismo precede l’animismo, affermazione che studi altrui per altri popoli permettono al F. di rendere plausibilissima (pag. 30 segg.). Non meno im-Sortanti le considerazioni sul culto del ole anteriormente all'introduzione dei culti orientali (pag. 55 segg.). Felici le pagine sulla Fortuna e sulle varie forme del suo culto (pag. 61 segg.). Capitale è Sure il cap. IV sullo sviluppo dell’idea ella deificazione dell’uomo che il F. ritiene « a naturai process of thè Roman mind » (pag. 92), che si riconnette all’opinione del Frazer sulla italicità della credenza nella divinità del re. Non meno interessante il cap. V sulla deificazione di Cesare, la cui conclusione se non è perfettamente nuova è per lo meno molto ben presentata e resa persuasiva: il culto imperiale non è la fede in una divinità, ma in qualche cosa che può essere considerato come tale, cioè, con applicazione del principio identico adoperato per il Genio, la Fortuna, la Virtus e simili, per qualche cosa che personifica la forza permanente delle istituzioni imperiali, lo spirito vitale dell’impero in tutte le sue manifestazioni (Lebcnsgeist di Domaszewski).
In complesso adunque un’opera ottima ed utile, chiara e veramente ricostruttiva. in modo da lasciare nell’animo il desiderio vivo di leggere presto un’altra simile.
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8. Nel voi. 34 (1914-1915) delle Indogermanische Forschungen W. Schwering esamina il valore ed il significato di divus e deus. 11 primo non è un aggettivo, sebbene alcuni modi di usarlo lo farebbero credere: diva parens ad esempio non è che l’equivalente di dea water. Divus diviene aggettivo con Costantino quando la religione cristiana interdice l’uso di chiamare l'imperatore dio, ma permette che lo si appelli divino, ossia partecipe della divinità. La differenza tra i due concetti di divus è data dal v. 52 dell’Jnfitrione [prol. ed. Palmer, v. 53-57] e da Sen. Apoc. 95: « uti divus Claudius ex hac die deus sit ». Il termine divus indica il dio come individuo, personalità. Il termine deus designa la razza, la specijAdegli dei. [Il testo dice anche qui diviiif ma mi sembra evidente l’errore del compilatore e correggo].
Già la rinascenza carolingia avrebbe riconosciuto che l’aggettivo divus, a, um non esisteva.
9. Sebbene con ritardo, piacerai segnalare anche ai lettori di questo bollettino l’opera di W. Ridgeway sul « drama e le dance dramatìche dei popoli non-europei con speciale riferimento all’origine della tragedia antica e con un’appendice sulla origine della commedia greca » (Cambrigde University Press, 1915). Nè deve apparire strano ai lettori ch’io richiami qui la loro attenzione su di una simile opera, quando essi riflettano alle pur tradizionali origini religiose del drama greco. Dalle quali qui il R. si allontana per aver sostenuto sin dal 1910 nella sua Origin of Tragedy una tesi del tutto differente. Il drama greco cioè, non si sarebbe sviluppato nel culto della divinità tracica Dioniso, ma avrebbe tratto l’origine dai culti indigeni del morto specialmente di quello di capi come Adrasto l’antico predorico e preacheo re di Sicione. Il luogo di Erodoto, anzi (v. 67), in cui si parla di'lui e della maniera in cui era onorato è dal R. dichiarato di primaria importanza per le « danze tragiche » greche. Difatti in Sicione il culto di Dioniso sarebbe stato importato da distene e sarebbe stato sovrapposto al culto dell’antico re. Del resto se pur potesse dimostrarsi che la tragedia trasse la sua origine dal culto di Dioniso, non sarebbe, per ciò, resa impossibile la dimostrazione della tesi del R. per il fatto che dai greci Dioniso era considerato come un eroe, cioè come un uomo trasformato in santo.
Dati questi precedenti, è facile compren
dere come la recente opera del R. non sia se non un seguito o per meglio dire uno sviluppo di un breve capitolo della sua opera precedentemente citata, nella quale in appoggio alla sua tesi aveva portato alcune prove tratte dalle rappresentazioni drammatiche in uso nelle regioni asiàtiche. Ora per completar ciò l'A., dopo un capitolo d'introduzione in cui discute sulla propria tesi dell’origine della tragedia e sulle critiche fattegli, passa in; rivista lo svolgimento del drama nell’Asia occidentale, nell'antico Egitto, nell’Indostan in Giava, nella Birmania, nel Cambogia, in Cina, nel Giappone ed in fine ne’ paesi dell’oceano Indiano e Pacifico, nell’Australia, nell’Africa ed in America.
Secondo il mio modo di vedere, già espresso più volte ne’ miei precedenti lavori od in recensioni, quest'applicazione del metodo antropologico agli studi classici è l’unico mezzo che ci consente di uscire dal chiuso e mefitico cerchio delle discussioni piccine e meschine al grande ed arioso cielo degli usi e costumi di tutti i popoli confrontati, studiati, esaminati gli uni di fronte agli altri. Non posso quindi non dividere a priori le idee del R. ed essere propenso ad accettare la tesi da lui proposta come molto migliore, per lo meno, di quelle che finora ànno tenuto il campo de’ nostri studi. Indubbiamente essa presenta ancora dei punti deboli e può incontrare delle difficoltà, ma viceversa sono numerose le difficoltà che, accettandole, si risolvono. Una sopratutto di carattere, starei per dire, popolare mi piace segnalare ai lettori: quella cioè dell’uso della maschera che nella maggior parte degli studiosi del teatro greco, à trovato se non soluzioni risibili, certo molto stiracchiate e forzate. Ora se si ammette l’uso suffragato dallo studio della massima parte dei popoli, della danza in onore del morto, se si accetta la spiegazione che essa serve a rappresentarci il morto che si incarna nel danzatore e poi nell’attore, se si pensa ai mimi latini, alle imagines romane ed ai funerali romani che raccoglievano gli antenati del morto in una forma tipica di drammatizzazione della vita del defunto, e via dicendo, non si potrà più nè domandare qual fosse l'origine della maschera e la sua ragion d’èssere, nè dubitare sulla necessità della suà applicazione nel teatro classico.
Ma questo non è che uno de’ minori, forse, risultati della ricerca del R. Altri
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DALLA STAMPA
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interessantissimi emergeranno ai lettori dalla lettura, del resto attraentissima, del-l’operiudcl dotto studioso inglese, la quale è illustrata per di più da 92 nitide figure, che ci portano a contatto della vita drammatica e de’ mezzi drammatici adoperati dai popoli studiati, con una vivezza tale che il confronto e lo studio con il drama greco è più che mai facile.c dilettevole.
Non posso quindi non raccomandare la lettura di questo importante lavoro del R. agli studiosi di religione: oltre che’per la materia che ne forma l'oggetto. che è nella tradizione sinora seguita e nella tesi stessa dell’A., eminentemente religiosa, per l’intelligente e ricca raccolta di materiali che vi Si trova — e che un prezioso indice alfabetico analitico rende facile alla consultazione — essi vi troveranno una non povera miniera di dati ed elementi che interessano notevolmente i nostri studi.
Giovanni Costa.
[Nota d. Red; - Rimandiamo al prossimo fascicolo «1 resto di questo ricco bollettino del nostro valoroso collaboratore dott. Costa, comprendente i nn. xo-22. che trattano dei seguenti soggetti: iMfrum - Ma^ia latina - Il nome di Martire - Misteri ellenistici - Mitra - Orfismo - Porfiro •' contro i Crstiani,, — Prometeo - Sacrificio israelitico è fenicio - eoe.).
Come possono aiutarci i nostri lettori :
i* Inviando subito l’importo del loro abbonamento pel 1919.
2* Procurandoci almeno un nuovo abbonalo (cui invieremo in dono il bel volume Verso la Fede).
30 Inviandoci indirizzi di possibili abbonati ai quali manderemo copie di saggio.
4° Spedendoci copia del giornale della città o della provincia in cui sia un articolo, un pensiero,, una notizia da rilevare. Tutti i nostri lettori possono così collaborare nelle rubriche « Spigolature » - « Dalla stampa # - « Notiziario ». I più assidui e solerti riceveranno un premio in libri.
DALLA STAMPA
Terremo memoria, in questa parte, del » Rivista, degli articoli più importanti — per valore morale e spirituale — che verranno pubblicati nei giornali quotidiani e settimanali d’Italia. Chiediamo ai nostri lettori di tutte le provincie, da Trento a Trapani, di divenire nostri collaboratori per queste pagine, che dovranno essere come un'eco di ciò che l'anima italiana pensa e sente dinanzi agli avvenimenti ed ai problemi odierni.
Nel giornale che siete soliti leggere, specialmente quello della vostra provincia, troverete di quando in quando un buon articolo, una bella idea, o anche una critica o una proposta degne d’essere rilevate : bene, segnate quel che vi sembra notevole, e spediteci il foglio.
I più solerti riceveranno un premio in libri.
[Red.]
WILSON IN ITALIA
[Il Secolo, 5 gennaio 1919 - - Il benvenuto • di Alfredo Galletti]
,« ...Wilson si levò allora di là dai mari e ci parlò; e le sue parole ci rasserenarono. Egli parlava nel nome di un popolo giovane, audace, pratico, ben fermo coi piedi e coll'anima nella realtà e nel lavoro. Su di lui non pesavano nè tradizioni rettqriche, nè servili eredità di adattamento e di menzogna; e ci ripeteva le nostre stesse idee, affermava gli stessi principi che avevamo appreso dai maggiori,. agitava in alto le
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stesse speranze. Non dunque le idee erano vecchie, rugose, ritinte, ma vecchi o precocemente invecchiati erano gli animi e gli intelletti di coloro che tra noi facevano schermo e maschera di esse alla loro meschinità. E infatti quelle idee e quelle dottrine avevano sulle labbra e.nei discorsi del Presidente Woodrow Wilson un accento nuovo, un fremito, un impeto, una fiamma che le faceva così diverse da quelle pur tanto simili in vista, che sostenevano la zoppicante rettorica dei nostri politicanti. Lo spirito nuovo le trasformava, le ringiovaniva: uno spirito di sincerità profonda, al cui tocco le flaccide frasi da comizio ridiventavano il convincimento e l’idea per cui si deve soffrire e morire».
« Quell’uomo credeva nelle sue parole e il suo popolo credeva con lui, che la parola deve divenire azione e che tutta la dignità è la forza dello spirito umano è nell’armonia che noi possiamo e dobbiamo porre tra i nostri atti e i nostri discorsi.
« ...Ben venga Wilson e dica egli al nostro vecchio popolo coll’autorità di chi parla dall'alto e vien di lontano, armato di sincerità e di convinzione, le parole- risve-gliatrici: — Ti hanno insegnato a dubitare di te stesso e della verità? Ti hanno detto che le parole e le idee sono su, alto alto, iridescenti e illusorie come le nuvole del tramonto e che giù basso basso, stanno le azioni abbaianti dietro l'utile materiale, sì che tu invano, per consolarti di tante miserie, sollevi di tratto in tratto gli occhi verso le evanescenti chimere? Non credere agli ingannatori. Tutte le possibilità- sono in te, sono nelle profonde energie del tuo spirito, e tutte puoi realizzarle, purché tu lo voglia... »
(Corriere della Sera, 2 gennaio 1919 -c Saluto a Wilson »).
• ...Ma c'era ancora qualche cosa di confuso e di ambiguo in questa crisi della guerra, quando voi vi levaste e parlaste, signor Presidente, quando i vostri messaggi accompagnarono attraverso le insidie dell'oceano le navi cariche di giovani americani pronti a farne testimonianza con la vita. E non furono parole d’una nuova lingua, ma furono come il canto del poeta che rivela pienamente agli uomini ciò che essi sono nella loro esistenza più profonda, come la voce chiara e sicura che si fa, parlando, sempre più chiara e più sicura e più calda e più avvincente. Tutti gli uomini di buona volontà e di buona fede salutarono
l’interprete più limpido. Davanti all’esperanto di Hindenburg il linguaggio universale di Wilson definì l’abisso fra due concezioni e due potenze ». *
a Noi non dimentichiamo ciò, signor Presidente. Se. volessimo, non potremmo, poiché voi non avete soltanto dato alla libera Europa pericolante il soccorso materiale che l’ha salvata, voi le avete anche riconosciuto una coscienza che poteva smarrirsi; e il riconoscimento le sta ora davanti come un omaggio severo, come un’aspettazione ammonitrice. Il passato che non vuol cedere e che esce dall’ombra nel tumulto d’ebrezza dei giorni di vittoria vi conosce e vi teme. L'avvenire, che ha raccolto l'atto di fede dalle labbra dei morenti e che porta come un deposito sacro le speranze degli orfani — simboli delle generazioni che saliranno con formidabili diritti — l’avvenire vi viene incontro e vi ama... ».
[Il Messaggero, 4 gennaio 1919 - « Il problema morale »].
« Il problema morale della pace è sostanzialmente uno: indirizzare lealmente, tenacemente, sinceramente tutti i propri sforzi ad ottenere che i termini pratici della pace coincidano fin dove è possibile con quelli che furono i termini ideali della guerra: dove questa assoluta identificazione non sia attuabile, cercare alméno che i due termini quanto più è possibile si accostino: e in ogni caso non dimenticare, nè per ebbrezza di vittoria, né per colpe dei vinti, nè per suggestione di folle, alcuno dei principi che furono banditi come ragione della guerra, che. ne costituirono il contenuto ideale, e che furon quasi il vangelo in nome del quale furon chiesti ai popoli gli spaventosi sacrifici che la guerra ha costato».
e Wilson personifica appunto, nell’ora solenne in cui il mondo si appresta a conoscere le leggi della sua nuova vita, l’onestà di questo sforzo tenace perchè la vittoria non spezzi la continuità morale di un programma che ebbe un significato altissimo, Ì>erchè fu proclamato contro, e nonostante a disfatta, che quell’altissimo significato deve mantenere oggi dopo — direi quasi nonostante — il trionfo.
« Ora è proprio qui, in questo suo atteggiamento d’immutabile fede ad ogni parola del suo, del nostro credo di guerra, in questa sua serena imperturbabilità di fronte a tutte le forze, che ieri dal campo ne; mico sperassero di impietosirlo, che oggi dal campo alleato tentassero di deviarlo, è
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in questo appunto che sta la grandezza della figura di Wilson, in questo la ragione della sua immensa popolarità che ne fa quasi il primo cittadino del mondo, in questo il contenuto politico della sua posizione attuale... •.
(L’Epoca. 5 gennaio 1919 «Credere ed agire »1.
« Roma ha udito ieri, al Parlamento, alla Reggia, al Campidoglio una voce nuova annunciare, con parola d’una robusta e gentile franchezza, delle alte verità. Wilson ha parlato al Re come alla Nazione, alla Stampa come alla Città, con quella sua energica ed ideale fede nell’av-venire, con quel suo religioso ottimismo, E»ieno di volontà, sulle sorti che gii uomini ¡beri devono sapersi creare, che sono la ragione stessa della sua vita, che sono, per valerci d’una vecchia parola .europea, il contenuto essenziale di tutta la sua politica.
« I discorsi di Wilson in Roma non si prestano ai commenti abituali. Ciò che vi è di bontà e di cortesia vi è espresso con un così limpido e commovente sentimento e con una cosi schietta e forte spontaneità che devono essere letti nel testo e meditati più col sentimento che con la fredda ragione: fiori di un’anima pura che hanno da rimanere intatti perchè conservino tutto il loro profumo e la loro fresca grazia.
« Quanto al contenuto politico dei discorsi del Presidente, le sue parole hanno confermato, con una insistenza non certo casuale, come parlando a nome del popolo di America al popolo d’Italia, egli abbia tenuto a fare intendere ben chiaro che l’esito stupendo della guerra non ha affatto mutato nella sua sostanza — ma ha confermato — l’intenzione rivoluzionaria che ha spinto la democrazia americana ad intervenire al nostro fianco nella lotta.
« Noi possiamo affermare con certezza che nulla in Italia si attendeva con mag-Siore ansietà come questa conferma. Wilson eve averlo inteso nella stessa atmosfera di affetto che respira in queste sue giornate italiane ».
(il Tempo, 4 gennaio 1919. • La nuova libertà •].
«La nuova democrazia, o, come preferisce chiamarla Wilson, la nuova libertà, non ha temuto il confronto con la secolare gloria di Roma e da Roma ha bandito
ancora una volta la sua nuova parola. Se è vero che. da Roma si parla solo in nome di un’idea universale, nessuna idea può vantare una più vasta universalità di quella di cui Wilson si è fatto profeta ed apostolo.
«Egli ha mosso un grande popolo su le vie della storia mondiale e ha deciso, secondo giustizia, la più tragica delle guerre, ha dato a tutti i combattenti la ragione della vita e della morte ed ha distrutto per sempre la menzogna di un vecchio mondo,, che s'illudeva di perpetuare la dominazione di una forza irragionevole. Egli ha detronizzato imperatori e re, perchè ha promosso una radicale rivoluzione bielle coscienze, e perchè i fini della guerra diventarono, nell’ànima degli uomini, dei sicuri atti di fede. A lui si deve lo spirito nuovo e santo di questa incredibile rivoluzione, che. prima ancora di rovesciare antichi ed iniqui ordinamenti, si propone di restaurare nelle coscienze un nuovo concetto della vita, ridonando all’anima stessa la perduta verginità.
« Questo è il senso dei discorsi pronunziati ieri da Wilson: questo c non altro. Egli ammonì che solo la forza morale riuscì a decidere le sorti della guerra; quella forza morale, che invano è derisa dagli adoratori della forza, che, prescindendo da ogni idealità, è solo arbitrio, epperò ingiustizia; e non a caso egli ricordò che la vittoria sarebbe stata nulla, se non avesse instaurato un ordine di cose veramente nuovo, che rendesse omaggio a quei principi, che salvarono l’umanità nei giorni tristi della sciagura e del terrore... ».
(Il Marzocco del i° dicembre 19T8. « Wilson in Europa •' di Aldo Sor^niJ.
« ...Che cosa diventano, dinanzi a queste possibilità, le titubanze e le critiche dei. vari partiti americani? Noi crediamo che l’Europa e l’America con uno stesso animo cordiale, possano salutare l’evento di Svesto viaggio del Presidente in Europa e i questa presenza del Presidente alla Conferenza dove si formuleranno i diritti e i doveri della nuova Europa, con tranquillità. non solo, ma con letizia. La venuta di quest’uomo può valere, nel momento delle grandi sanzioni mondiali, assai più della venuta d’un esercito di diplomatici.
« Ma non si tratta, com’è ben chiaro, di pura e semplice diplomazia. Wilson è riuscito ad impersonare mirabilmente lo
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esempio d’una umanità nuova il cui avvento è stato assicurato dal buon esito della guerra. Verso di lui si rivolgono i popoli dolenti che ambiscono di risanare le proprie ferite, le classi nuove che vo-vogliono assidersi in più stabili e più libere consociazioni umane, e tutti coloro.che non gliono che la guerra sia stata combattuta invano da coloro che sono morti. Nessuna guerra terminò mai lasciando illuminarsi dinanzi agli occhi del genere umano una figura su cui si appuntassero, come in Wilson, sguardi tanto pieni d’amore e di riconoscenza, di aspettazione e di fiducia. La storia darà un giorno sul Presidente „Wilson il giudizio definitivo; ma quale esso abbia a riuscire, non potrà dimenticati che il cuore di cinque continenti fu con lui nel giorno della strage e nel giorno della vittoria e che ogni paese finì con il riconoscersi e con l’affidarsi in lui... ».
(La Tribuna: 3 gennaio 1919. « II pensiero di Wilson », di Arnaldo Cervesato]. • Il pensiero idealista — quello che, nei tempi moderni, ravvisa in Giuseppe Mazzini il suo asceta e il suo sovrano assertore — è oggi su gli altari...
« Non è permesso oggi chiamare retorica l’ideale., Poiché il premio della vittoria appare immateriale al tutto, e ricco solo dell’infinita perfettibilità che da tale irreale risultato deriva e trascende;
« E questo il premio di cui tutto un popolo intero, quello degli Stati Uniti, oggi si appaga. Non l’ha detto Wilson nella sua « Storia degli Stati Uniti • quando parla della doppia corrente di uomini di cui la grande Unione è composta?" Da un lato i venturieri alla ricerca dei tesori, i minatori dei campi dell’oro, i trafficanti dei colossali sfruttamenti, il regno dell’avidità senza confini. Dall’altro gli umili e fervidi pellegrini della libertà che al suolo vergine ed aspro chiedevano solo rifugio contro l’oppressione politica e religiosa, difesa per i loro minacciati ideali e, nella prateria, una capanna da cui alzare sicuri gli occhi al cielo e far nascere la spiga e la rosa. Ma essi i poveri e i perseguitati, sbarcati duecento ottanta anni fa dal piccolo veliero il Fiore di maggio, giunsero — è questo il privilegio dell’idea — a dettare le leggi politiche e morali della nuova nazione.
« Delle due correnti della antica emigrazione americana Wilson deriva direttamente dalla seconda: degli esuli religiosi.
e ne prosegue l’energico, anche se non necessariamente coronato di martirio, senso di apostolato. _ • Italie sue origini puritane già si delinea là' sua fisionomia di pensatore e. di uomo di governo... ». •
.« Nel 1910 sarà governatore di New Jersey, uno dei 48 Stati dell’unione; nel 1912 candidato alla Presidenza. Ma la vita pubblica non ha nulla da dirgli di nuovo, che non sia il suo còmoito preciso. L’uomo è lì già plasmato dalia sua disciplina interiore e dalla sua cultura: maturo a dominare gli avvenimenti.
Così, ecco gli Stati Uniti davanti ai suoi occhi in un totale panorama. Non forse determinatamente, aveva egli ascesa la vetta della Storia per dominarlo in guisa totale?
Ecco i primi venturieri» votati alla cupida azione; poi ecco i primi pellegrini sacri al culto della libertà e della preghiera; e poi, nei secoli, le grandi immigrazioni: fiotto confuso degli uni e degli altri...
Le fila si intrecciano e paiono confondersi in modo quasi inestricabile; tutte le energie che affluiscono (già compresse nei loro luoghi d’origine) si aprono con forza al contatto del suolo novello — ove da fonti di giovinezza paiono sgorgare anche i grandi fiumi irrigatori. Dalle loro nuove armonie e dall’aspro lavoro si origina la grande potente formidabile ricchezza.
Ecco l’inquietante problema: chi dominerà ormai: il denaro 0 Videa? E « dove » è l’idea degli umili, dei fervidi e degni fondatori dell’unione? Non forse essa si oscura, si perde tra i meandri dorati del nuovo fasto diffuso? La vita intera di studio del pensatore Wilson non si pone — in fondo — altra domanda; e tutte le sue indagini sono solo dirette a scernere la vera risposta nella complessa vicenda dei fatti. E con gioia che egli lo annuncia (e anzitutto a sé): «La grande Idea dei fondatori dell'Unione, anche quando sembrava obliata, scomparsa, travolta, ha sinora finito sempre per superare le contrarie avventure ». Egli si è fatto storico per avere il modo di non perderla mai di vista. È in questo senso che egli potè dire di « aver scritto la storia del suo paese per impararla » —- per imparai- a conoscerne e ravvisare — a ogni punto e sotto ogni apparenza — la linea vitale, la linea ideale di essa.
Così, in ultima analisi, la nuova libertà
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wilsoniana, si risolve nell’antica originaria libertà degli emigranti -spirituali », che fondarono la libertà spirituale e sociale dell’unione e furono, scrive il Car-lyle, «veramente il principio e l’anima dell’America... ».
«...Nella superba visionewilsoniana, l’oro accumulato deve servire a edificare templi della bontà e della giustizia, a dare assetto di formidabile e magnifica realtà al fervido sogno dei pellegrini dell’ideale... Ecco la magica operazione dell’idea: la nuova alchimia, la trasmutazione dell’oro in sole... ».
(Corriere d'Italia, 3 gennaio 19x9. • La figura del Presidente • di A. L.J.
« ...È che Woodrow Wilson non è soltanto un pensatore ma un uomo giusto. Credevamo che la giustizia fosse scomparsa dal mondo, ed ecco sorgere una- figura che ce la ricorda, quasi impersonandola. In uno stile conciso, lucido, equilibratissimo, senza sforzi dottrinari, senza disquisizioni, Wilson per ogni caso ha la sua risposta rapida, ordinata, equa. Vede le questioni con una limpidità d’occhio cristallina, con un’acutezza lincea, le imposta nei loro termini precisi e le dirime in modo da rendere impossibile che vengano risollevate. Un pensiero siffatto si risolve in azione. Ma in un'azione ideale che, traducendosi in realtà, ha più forza e più potenza di qualsiasi azione materiale...
«...Woodrow Wilson, di origini scozzesi (1 avo era uno scozzese autèntico è suo padre nacque a Belfast), figlio_d’un pastore evangelico, ha ereditato quella profonda concezione di giustizia, quella sincèra coscienza democratica, quella fòrte fede cristiana che furono il retaggio della sua famiglia...
«...Spirito profondamente religioso, Wilson porta il suo bel senso democratico anche nelle pratiche di pietà cristiana. Non appena eletto alla Presidenza, l’alta società di Washington si aspettava di vederlo in una delle grandi chiese presbiteriane frequentate dai milionari. Invece egli si recò ih un’umile chiesuòla di un su-hurbio remoto, di cui pochi sospettavano. .resistenza. La folla, alla prima doménica successiva all’elezione presidenziale, passò lunghe ore di vana attesa, davanti al magnifico tempio di New York Avenùe, ove soleva recarsi Taft e, prima di lui, Roosevelt. Ma Wilson era una buona diecina di miglia distante: e quando egli tornò
alla Casa Bianca, un segretario, giungendo | tutto trafelato dal signorile tempio della New York Avenue, gli disse che il pubblico lo reclamava. « Andate a dirgli — gli ordinò Wilson, con gesto degno di Cincinnato — che il Presidente degli Stati Uniti vuol essere uguale al più umile dei citta' dihi, anche quando va a pregare il Signore ».
« Wilson è, dunque, uno Spiritò'religioso senza ostentazioni e senza vanità. Egli non ha mancato mai nella sua vita di assistere ogni domenica agli uffici divini, e, prima di prendere qualsiasi decisione im- \ portante, suole raccogliersi nella pre- < ghiera. Allora nessuno lo può avvicinare. । Un senatore suo amico, che doveva discorrergli d’un affare urgente, giunto mentre Wilson era appunto nella saletta precedente allo studio, e che gli serve da oratorio, dovette andarsene senza potergli parlare, e disse; poi, ai colleglli, di aver
, veduto il Presidente mentre stava di- , scorrendo con l’Eterno.
« Dopo questi mistici colloqui, Wilson prende le sue decisioni, anche negli affari Siù gravi, senza consultare mai nessuno, osi sono venute al mondo le varie note i alla Germania, prima e dopo l’intervento americano... ».
(Il Corriere d'Italia, 4 gennaio 1919. « Il cittadino che prega », di Egilberto Martire).
« ...Wilson è un cristiano del nuovo mondo: è un figlio schiètto della più giovane famiglia di .« quella grande razza umana che da diciannove secoli riempie . il nostro Occidente delle sue grida di dolore e di fede ». Del lungo travaglio fecondo che ebbe ad affaticare, a dilaniare, ad esaltare questa razza millenaria, egli non porta in sè, nel suo spirito limpido e rettilineo che le essenze, e le essenze religiose, innanzi tutto.
« Iljiuovo mondo nacque da un dramma di fedei in ogni sua vicenda restò e resta abbeverato: e Wilson, nella squisita genuinità del suo temperamento è, nel significato meno eroico e più storico del termine, un « uomo rappresentativo » —-la formula è americana — di questo mondo nuovo. Non è nè un giurista, nè un filosofo, nè un teologo, nè un uomo politico — cioè, un tecnico della politica —-è semplicemente uno splenditi man dell'America del Nord del 1919: «ambiente, momento, razza ■: nei popoli che non hanno ricchezza di tradizione, di coltura, di
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storia, i canoni dell’esegesi positivistica spiegano l’uomo. È l’America d'oggi innanzi tutto religiosa c cristiana: e Wilson, uomo rappresentativo di un mondo assetato delr Invisibile è il credente, il cittadino credente.
• Ecco che egli bandisce al mondo in guerra un messaggio di concordia civile, ecco che, riuscite vane le speranze di un componimento arbitrale, mette la Spada a servizio del Diritto, getta nella lotta il peso di cento milioni di cittadini: e dà, intanto, all'opera sua rapida, febbrile, battuta nell'oro e nell’ acciaio, il ritmo di una preghiera e di un inno.
« Il vecchio mondo accoglie con diffidenza. prima, con. effusione d’entusiasmo poi, i messaggi e gl’ incitamenti di lui. Questo congiungersi della più esperta « praticità ■ con la più consumata spiritualità cristiana, ci stupisce e ci appaga: presi nel vortice di una discordia divampata nel nostro cuore, vacillanti nel pensiero e nell’azione, costretti nei vincoli infidi della critica, in un’ora in cui la Suerra impone il dovere della fede asso-uta noi trovammo nell’America di Wilson quanto ci parve di non poter più ritrovare in noi medesimi, trovammo il « cittadino credente ». Gli accenti di fede che ci venivano d’oltre mare, seppero piegare anche i più indocili fra noi al rispetto e, talvolta, allo sgomento del « divino »: la preghiera che troppo spesso avevamo relegata fra le mura del tempio o confinata nel cosidetto sacrario della coscienza, ci echeggiava, invece, di laggiù, frammista al rombìo delle officine e al canto degl’inni guerreschi.
« ...E quando l’America di Wilson scese in campo all’avanguardia della nostra guerra, questa preghiera ardente divampante dalla bolgia divorante della Città moderna ci avvampò tutta l’anima e ci riscosse potentemente, quasi brutalmente, da una vecchia viltà: come? noi che avevamo cura si scrupolosa, noi sovrani, noi legislatori, noi pezzenti, di non nominare Iddio, pur nelle ore più drammatiche della Patria; noi che del nome santo avevamo fatto segno di odio e di divisione civile, noi sentivamo che di laggiù un popolo civile — che della ' civiltà più recente provava la maggiore esperienza — un popolo democratico — che della democrazia realizzava le più ardite approssimazioni — un popolo forte — tutto muscoli e tutto acciaio — pregava a gran
voce per la vittoria, per la Patria, per l’Intesa...
«...Wilson è un credente attivo: per tradizione,' per temperamento, per studi, egli si c rivelato singolarmente Vuomo rappresentativo dell’anima americana in un momento decisivo della sua storia in cui essa fa appello a tutte le sue energie migliori, a tutta la sua ■ vocazione » religiosa. Wilson, figlio di un pastore presbiteriano di origine scozzese-irlandese,. non appartiene alla « Chiesa » di suo padre, ma ad una delle « denominazioni », schiettamente americane, del presbiterianismo...
« ...Nella sua vita interiore Wilson ha serbato e sviluppata attitudini apostoliche, sì che la sua attività e. il suo programma politico non potrebbero essere pienamente compresi ove non si tenesse contò di questo suo stato d’animo essenzialmente religioso. Egli chiama la fede cristiana ad investire potentemente tutta la vita del l’anima, non solo, ma tutta la vita della società... ».
LIBRI E OPUSCOLI
@ Pubblicazioni pervenute alla Redazione dal dicembre 1918:
Prof. Michelangelo Billia: L’Italia non rinunzia a Fiume. Estratto, Roma, 1918.
***: A proposito dì Chiese e di Cristianesimo (senza indicazioni di tempo e luogo).
Dott. Giuseppe Ursino: L’idea religiosa c lo Stalo. Roma, 1918. Pag. 31, L. 1,50.
Carlotta Giulio: Il Manzoni e il Pauriel (Dal primo viaggio del Manzoni a Parigi alla discesa in Italia del Fauriel). Torino, Bocca, 1918. Pagine 61.
Dino Provenza! : Lavagne e palinsesti. (E-stratto). Pagine 15.
Cecilia Dentice di Accadia: Scleiermacher. Sandron, Ed., Palermo, 1918. Pag. 250. L. 7.
Ettore Cai legavi : Il pensiero religioso nell'età dei Severi. Estratto, Firenze, 1918.
Camillo Trivero: ¿a virtù e il coraggio, (Saggio di filosofia morale). Estratto. Pag. 51.
Arturo Farinelli: Michelangelo e Dante e altri brevi saggi. Torino, Bocca Ed., 1918. Pag. 455- L. io.
Biblioteca dell’Eroica: Le pupille nell'ombra. Novelle di Simbad. Genova, Grovetto Ed. Pag. 441. L. 3,50.
Agostino Gemelli: Principio di nazionalità e amor di patria nella dottrina cattolica. Torino, 19iS. Pag. 103. L. 1,20.
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NOTIZIARIO
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NOTIZIARIO
DANTE
0 Nel 1921 l’Italia celebrerà il VI centenario della morte di Dante.
SCOMPARSI
0 II 29 novembre 1918 è morto a Roma il senatore Raffaele De Cesare. Nato a Spi-nazzola (Bari) nel 1S45. Brillante uomo politico e scrittore. Studioso attento e diligente della politica ecclesiastica, fu fautore d’una conciliazione fra Stato e Chiesa. Da ricordare i suoi libri: // conclave di Leone XIII ed il futuro conclave. Roma e lo Sialo papale, La fine di un Regno.
0 11 2 dicembre 1918 si è spento a Parigi il poeta Edmond Rostand, il celebre autore di Cyrano de Bergeràc, della Samaritane e di Chanleclair. Cosi termina Alfonso Mon-giardini un articolò pubblicato su L’Epoca del 4 dicembre scorso intorno al poeta:
« Edmondo Rostand è morto. Nop la sua poesia. Non il suo idealismo. Le sue creature hanno combattuto e vinto. La società futura- avrà le loro idee, i loro sentimenti.
« La Samaritana ha percorso nelle ore tragiche del dubbio, le città, -le campagne, le trincee, i campi di battaglia gridando: ' Amate, amate gli uomini e sappiate morire per loro amore.’ Cyrano è stato in Champagne e sul Grappa, sul Piave e a Verdun dicendo ai soldati: 'Sorridete davanti alla morte! Andate uno contro cento! Se la sofferenza vi opprime, cantate le canzoni del nostro paese! Finché avete drizzato fieramente il vostro pennacchio sul cappello, nulla “è perduto! ’
«E Chanteclair ha detto e dice e dirà, ai cittadini: ‘ Abbiate fede in voi stessi e nella Luce;, co' vostro canto farete sorgere il
0 II 1® gennaio è deceduto in Roma Davide Lubin, il noto ideatore e quindi direttore dell’istituto Internazionale di Agricoltura, costituito nella nostra capitale il 7 giugno 1905 per diretto interessamento del Re d’Italia.
SCIENZE
0 Un Comitato che ha per presidenti d’onore l’on. Orlando, il sindaco di Roma ed il sen. Rufiìni, ha aperto una grande sottoscrizione di mezzo milione per la fondazione di un Istituto di Sciènze Italo-Americano in Roma. Ecco una parte dell’appello rivolto dai Comitato agli Italiani:
«Il popolo degli Stati Uniti d’America, che per molli anni ha con fraterno affetto accolti i nostri emigrati, ha dato modo ad essi di prosperare lavorando, diede all’Italia, per la nostra guerra, prove indimenticabili della sua fede.
*$< Noi vogliamo ricambiare tanta amicizia. E non con un semplice dono, ma con .una offèrta che perpetui questi legami dei cuori, con un pegno .di alta civiltà: il nostro pegno, quello della scienza'.
«Un Comitato è sorto e ha stabilito donare col concorso di tutto il popolo italiano, alla grande America un Istituto di Scienze in Roma. Da questo monumentò vivo della nostra unione uscirà luce fulgida per l’avvenire del mondo».
0 Con decreto luogotenenziale del 27 ottobre u. s. pubblicato dalla Gazzella ufficiale. si è fondato in Roma un Istituto Nazionale di archeologia e storia dell’arte, composto di 30 soci ordinari e di 30 soci corrispondenti divisi-in due sezioni: l’archeologica e la storia artistica.
Gli ordinari sono nominati per la prima volta, direttamente dal Ministro della istruzione.
L’Istituto deve tenere adunanze generali e dirige propri periodici, le une e gli altri in materia archeologica e storico artistica; provvede alla compilazione delie « Notizie degli scavi di antichità» comunicate alla R. Accademia dei Lincei; dirige le operazioni dei concorsi alle borse di studio delle Scuole di archeologia e storia dell’arte della R. Università di Roma e di quelle di .archeologia di Atene.
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È da augurarsi che questo nuovo Istituto italiano possa presto sostituire gloriosamente il noto Istituto Archeologico Imperiale germanico sul Campidoglio, al quale gli studiosi italiani dovettero ricorrere sino a ieri per i loro studi e particolarmente pel sussidio dei libri della ricca Biblioteca.
ARTE
0 II i® gennaio è stata riaperta presso Tivoli (Roma) la chiesa di S. Silvestro, essendosi compiuti i lavori di restauro e di ricupero degli importantissimi affreschi nascosti sotto le sue modeste pareti imbiancate. Detti lavori furono iniziati dieci anni or sono e furono condotti avanti con somma diligenza dal cav. Pietro De Prai. Si tratta d’un insigne monumento cristiano dell’ arte romana del iooo o del noo.
Nella conca dell'abside si ammira un affresco pregevolissimo che raffigura Cristo in mezzo ai due apostoli Pietro e Paolo fiancheggiati da due svelti ed eleganti palmizi. In un primo settore più in basso è riapparsa tutta una serie magnifica d’agnellini che da Gerusalemme e da Betlemme s’incamminano verso l’Agnello divino che si trova nel centro in mezzo ai fiori.
In altra parte è riapparsa la Madonna col Bambino su di un trono gemmato attorniato dai profeti che pronunziano le loro profezie. Ed ecco la nota leggenda di San Silvestro e l’imperatore Costantino: L’imperatore appare afietto da lebbra; incontra sul cocchio le madri piangenti, un gruppo di fanciulli legati e un carnefice pronto per la strage; quindi il battesimo di Costantino, la disputa di San Silvestro con un gruppo di ebrei, il miracolo del toro, e da ultimo il santo che lega il drago velenoso.
Sul frontone dell’arco appare la scena apocalittica di Cristo fra sette candelabri ed i simboli degli evangelisti e dei 24 seniori con calici.
0 II 14 gennaio l’illustre professore di storia dell’arte dell’università di Roma A. Venturi tenne al « Lyceum » una bellissima conferenza sullo scultore dalmata del 1400, Francesco Laurana.
«...Da Zara a Sebenico, da Sebenico -a Traù, dove l’arte romanica segnò la immanenza della stirpe nella cattedrale; da Traù a Spalato, dove tra i ruderi di Diocleziano occhieggia il gotico fiorito della laguna veneta; da Spalato a Ragusa, dove Michelozzo, seguace di Donatello, architettò il Palazzo dei Priori, è tutto un echeggiar di vita italiana,
che ha nell’arte il suo labaro eterno. E su dàlie tombe squarciate, profanate da Salona, dai ruderi romani, dai valli costrutti a difesa contro i barbari, dal Palazzo di Diocleziano, ospite della città medioevale e moderna di Spalato, sin da quando il patrizio Severo vi raccolse i Salonitani perseguitati dai Croati, riappare Roma in maestà, mentre da castelli, torri, porte cittadine, logge comunali, il leone alato di San Marco, sopra le divine carte del-l’Evangelo, rugge il giuramento della Dalmazia italiana.
« Nessun segno di civiltà in Dalmazia senza il suggello italiano; nessuna tradizione, nessuna gloria, nessuna espressione di vita ove non sorrida Italia. Ricordiamolo oggi che dobbiamo da Roma stendere le nostre braccia ai fratelli sfregiati dai vinti; da questa Roma, ove riposano, nell’oratorio di S. Venanzio in Laterano, le reliquie dei martiri salonitani, che l’abate Marino raccolse nel sacro cimitero cristiano di Manastirine, per soddisfare alla pietà del pontefice Giovanni IV, dalmata, quando la sua tèrra era presa d’assalto dai feroci Croati. Noi, pure sentendo il sacro valore di quelle reliquie, non possiamo contentarci di adorare, perchè non a reliquia italiana è ridotta la Dalmazia, ma il nobile paese, con tutte le sue forze, con tutto il suo spirito, con tutte le sue manifestazioni antiche e nuove, è Italia viva. Questo dico, perchè volendo oggi parlare di una delle più pure glorie di Dalmazia, del genio dello scultore Francesco Laurana, non si creda noi adoratori di reliquie, amatori di vecchie e morte cose. Si farebbe gran torto, perchè noi dicendo del più classico degli scultori italiani del 400, intendiamo mostrare come la virtù, sempre perenne di nostra gente, nel secolo di Jacopo della Quercia e di Donatello, abbia dato in Dalmazia frutti che ne spiegano la natura, la origine, l’organica struttura, la grandezza così schiettamente italiana, classica 11011 per riflessione dell’antico, ma per forze ingenite, profonde, continue... ».
NEL MONDO CATTOLICO
0 All’aprirsi del 1919, il Collegio dei Cardinali si presenta composto di 60 mèmbri, ò meglio di 62,se: vogliamo includervi i due riservati in petto. I cappelli vacanti, pertanto sono otto.
Nell’anno decorso sono morti quattro cardinali: il Cardinal Martinelli, creato da Leone XIII; i Cardinali Farley e Serafini, creati da Pio X, ed il Card. Tonti, creato da Benedetto XV. .
L’attuale Sacro Collegio,« composto dun-
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que di 60 cardinali, dei quali 31 italiani e 29 stranieri.
Iu Curia, ossia in Roma, risiedono 24 cardinali, 19 italiani e 5 stranieri.
g La S. Congregazione dell’indice ha condannato il volumetto del sac. prof. Ernesto Buonaiuti, 5. Agostino, pubblicato nel 1917 nella ‘ collezione « Profili » edita dall’editore. Formiggini (prezzo L. 1,50) e di cui Bilych-nis pubblicò, nel fascicolo di settembre di quello stesso anno, un’ampia recensione dovuta alla penna del nostro collaboratore dottore F. Muttinelli.
Dell’opera del Buonaiuti quale docente di storia del cristianesimo si' è occupata nello scorso anno la Civiltà Cattolica pubblicando in varie puntate un lungo scritto dal titolo: « Errori vecchi nella ‘ Storia del Cristianesimo ’ del prof. Buonaiuti » (vedi fascicoli del 6 aprile 1918 e segg.).
F. Borgongini Duca ha pubblicato un fascicoletto di 16 pagine (Libr. Spithover. Roma, 1919-L. 1) in cui fa la critica dei due scritti del Buonaiuti: Il profilo di «S. Agostino» e «La genesi della dottrina agostiniana intorno al peccato originale». Non occorre dire che nel mondo clericale romano y’è chi si dà gran premura nel diffondere largamente il detto opuscolo.
g Da una corrispondenza particolare in data 8 gennaio da Fiume all’/Àra Nazionale apprendasi che il sindaco di quella città, riprendendo una vecchia -pratica già sollevata anni or sono nel Parlamento ungherese per la separazione di Fiume dal vescovado di Segna, ha scritto al Pontefice una lettera nella quale espone la triste situazione religiosa della città e domanda che questa venga tolta dalla dipendenza dell’ordinariato vescovile croato di Segna per essere ricongiunta a una diocesi italiana, possibilmente a quella della vicina isola di Veglia.
g II Corriere d’Italia del 15 gennaio annunzia che nel prossimo Congresso dei professori medi federati che avrà luogo a Pisa, si tratterà della riduzione delle scuole medie di Stato e, di conseguenza, della libertà di insegnamento. 11 giornale commenta:
« E la prima volta che si importante questione viene posta con spirito di serena imparzialità ed attenzione, in un Congresso di insegnanti governativi. Ed è sperabile che -essi scevri da quell’agnostico e settario dogmatismo e da certe prevenzioni aprioristiche che' impediscono la verità del giudizio e racchiudono la mente nell’angusta cerchia delle proprie opinioni, giudicate infallibili, giun
gano a conclusioni che bene avviino la libertà della scuola.
« Che cosa è d’altra parte questa libertà di insegnamento se non la invidiabile conquista di popoli democratici ed eminentemente civili quali l’inglese e l’americano, ed il premio di lunghe lotte sostenute dall’eroico Belgio contro i nemici interni dei proprio pensiero ?
« Ormai, dato il fallimento della scuola media statale, la libertà d’insegnamento si impone, e cominciano a trovarsi su essa d’accordo gli stessi insegnanti e gli uomini di diversa fede politica».
g II Corriere d’Italia annunzia che verso la fine di gennaio verrà iniziata la pubblicazione di un grande settimanale democratico cristiano: « Il Domani Sociale ». Sarà, pare, il portavoce del nuovo partito cattolico costituitosi sotto il nome di Parlilo Popolare Italiano.
g Nel Corriere d’Italia uno scrittore che si firma 1.t. a proposito della visita del Presidente Wilson al Papa afferma che i cattolici degli Stali Uniti sono venticinque milioni, me'ntre si sa che, anche attenendosi alle statistiche cattoliche più larghe, non superano i diciotto milioni ; a meno che non si voglia includere nella popolazione degli Stati Uniti anche quella non certo americana delle Isole Filippine.
WILSON
g L’editore Treves di Milano ha raccolto un volume intitolato: Il Presidente Wilson, le pagine « nelle quali Francesco Raffini venne chiarendo, e sui giornali e in pubbliche conferenze, la formazione del programma wilso-niano e la necessità che per il bene di tutti i popoli esso venga adottato. Riunite in un insieme organico, queste pagine sparse sono il più lucido commento al grande fatto storico costituito dalla partecipazione degli Stati Uniti al conflitto europeo ed ai fini ideali propugnati dal loro capo»/ Prezzo L. 2,50.
La Libreria della « Voce » molto opportunamente ha raccolto in un volumetto di 135 pàgine (prezzo L. 2.) i Messaggi dettati dal Presidente Wilson dal gennaio 1917 al febbraio 1918 sul soggetto della guerra e della pace.
g Nel pomeriggio di sabato 4 gennaio i rappresentanti delie Chiese evangeliche italiane ed estere erano raccolti nel presbiterio della chiesa americana di S. Paolo in via Nazionale, quando, salutato dalle acclamazioni della moltitudine che gremiva le adiacenze,
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il Presidente Wilson giunse ad onorarli della sua visita. Affabile, sorridente, strinse loro ad uno ad uno la mano, e poi, stando ritto in mezzo a loro, espresse il proprio compiacimento per aver avuto modo di compiere questa, visita. Avendogli uno dei fratelli espressa l’ammirazione e la riconoscenza degli evangelici per la grande opera da lui compiuta pel bene dei popoli, rispose che non avrebbe potuto portare il peso delle sue enormi responsabilità se non avesse avuto fede nella divina provvidenza. Ed avendo un altro fratèllo invocato la benedizione di Dio su di lui, prontamente rispose: « Ho bisogno delle vostre preghiere* e soggiunse: « Ci sono pró-'blemi così schiaccianti da affrontare per la cui soluzione appare assolutamente insufficiente la sapienza umana e pei quali occorre affidarsi alla sapienza divina ».
Rilevò quindi con frasi molto efficaci l’alto significato della generale corrispondenza che presso tutti i popoli ha incontrata l’enunciazione da lui fatta dei grandi principi morali, affermando esser questo il fatto più maravi-glioso dei nostri tempi; il rifiorire cioè d’un così puro e generale dealismo proprio quando più assillanti sono le preoccupazioni per le necessità materiali della vita, ed aggiunse che una delle realtà che più l’hanno commosso durante il periodo della guerra è stata quella offerta dal popolo italiano il quale, pur soffrendo più di tutti gli altri popoli per la deficienza del pane, ha accolto con così vivo, generale e costante entusiasmo i grandi-principi morali e per il loro trionfo ha voluto resistere ad oltranza nella tremenda lotta. Volle quindi accentuare il tono di spiccata cordialità ed intimità della sua visita narrando alcuni ricordi personali, tra cui l’episodio umoristico d'un’avventura toccatagli un giorno in cui, andato in chiesa con gli abiti del proprio albergatore, essendo i suoi zuppi di pioggia, venne preso per un mendicante.
Essendo poi la conversazione caduta sul soggetto della pace, osservò con tono deciso: « Quello che importa non è solamente di arrivare a far la pace; ma imporla soprattutto che sia una pace cristiana ; ed avendo uno dei presenti formulato il voto che gli avvenimenti dei nostri giorni valgano ad affrettare la realizzazione dell'unità della Chiesa, il Presidente rispose: «Sì, certo», ed aggiunse: «...la vera unità! la vera anilà! » Intendendo evidentemente di desiderare non una unità religiosa'Ottenuta mediante l’organizzazione esteriore; bensì quella basata sull’unità dello spirito, dei cuori, delle anime.
Accomiatandosi, strinse di nuo|*o molto
cordialmente la mano a tutti, rivolgendo parole d’incoraggiamento a perseverare nel lavoro religioso per il bene reale del nostro paese.
NEL MONDO EVANGELICO
0 La Chiesa protestante luterana degli Stati Uniti d’America, che ha speso , in un anno (19x7) 4 milioni di lire italiane in opere di assistenza pei soldati americani combattenti in Francia a Ranco degli eserciti della Intesa, conta 2 milioni e mezzo di comunicanti ed ha dato all’esercito americano 250.000 uomini.
Questa chiesa, che si mantiene completamente con mezzi propri, ha contribuito durante il 1917 ben 117 milioni e mezzo di lire italiane per le spese del culto e per opere di beneficenza.
0 II ritorno dell’Alsazia-Lorena alla Francia avrà un effetto considerevole per il pro.-testantesimo francese. E cioè: un aumento di parecchie migliaia di correligionari, un contingente finanziario importante, una penetrazione dello spirito d’oltre-Vosgi così ponderato, metodico e fedele, il ricupero d’un focolare teologico universitario a Strasburgo, una estensione della base di tutte le opere di evangelizzazione e di missione...
Questi vantaggi del protestantesimo francese saranno tali sopra tutto per la Chiesa Evangelica luterana di Francia, upa Chiesa piena di -forza spirituale, di vita religiosa, di senso pratico. Poiché — contrariamente alte scioccherie sciorinate negli ultimi tempi dall’ignoranza di gente che si arroga il diritto di tener cattedra... (di carta!) nei giornali e di formare la pubblica opinione *— esiste anche in Francia una Chiesa'Luterana; Sicuro! Perchè il luteranesimi— una delle sfaccettature culminanti del principio protestante — ha carattere di universalità come lo ha il principio protestante stesso. E la Chiesa luterana non è una comunità nazionale, ma ecumenica che si compone di molte Chiese nazionali autocefale, cioè assolutamente autonome per il loro governo, la loro amministrazione, ecc-, ma in comunione ecclesiastica pienissima tra loro. È alla. Chiesa Luterana di Francia che appartiene appunto uno dei più grandi teologi contemporanei, il professor Ménégoz, capo-scuola di quel fideismo, il quale (inteso secondo la mente del Maestro e noii secondo quella di numerosi discepoli che chi scrive queste righe si onora di aver combattuto con costanza ed energia) è una teologia luminosa, sviluppo modèrno e
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perfettamente logico di un germe possente contenuto nella teologia di Lutero...
[Da Zxi Luce di Firenze, 19 die. 1918].
0 Dal principio della guerra fino a tutto il 1917 la Società Biblica Britannica e Forestiera, che ha sede in Roma a piazza Venezia, ha distribuito in Italia quasi mezzo milione di volumi, e forse la metà di questi
sono andati' fra i soldati.
11 numero dei volumi posti in circolazione in Italia in quel periodo è stato di 6577 Bibbie, 19.235 Testamenti e 96.344 piccoli volumi contenenti ognuno almeno uno dei libri che compongono la fibbia. Il totale è 122.156 copie : tremila di più che nell’anno precedente.
La Società Biblica non propaga alcun credo, nè protestante nè cattolico: essa non mira a far proseliti. Essa si fonda solamente sul diritto umano, innegabile, che ha ognuno di leggere la Parola di Dio nella propria lingua.’ Si tiene lungi da ogni controversia ecclesiastica o teologica.
È una Società largamente cristiana. .Non pochi preti della Chiesa Romana comperano le Scritture, incoraggiano i colportori, incitano il popolo a comperarle e leggerle. Ma non manca talora un’opposizione violenta di coloro che insinuano che le' edizioni della Società Biblica sono monche, interpolate, guaste e falsificate; che i suoi libri sono velenosi, sovversivi della società civile, rovinosi alla mente, e così via. Di tutto questo la So. cietà non si cura e prosegue sempre la sua opera, convinta che la verità prevarrà.
0 II Comitato Centrale della Federazione mondiale degli studenti cristiani ha diramato l’appello per l’osservanza del giorno universale di preghiera per gli studenti, fissato pel 23 febbraio prossimo.
L’appello accenna ad alcuni motivi di ringraziamento, tra cui i seguenti: che le organizzazioni che fanno capo alla Federazione non hanno sofferto a causa della guerra, che anzi .parecchie di esse si sono in questi tempi rafforzate ed estese; che si manifesta tra gli studenti nel mondo là disposizione a riconoscere àmpiamente l’imperativa necessità di ricercare nell'insegnamento di Gesù Cristo la soluzione dei problemi sociali, nazionali ed internazionali. Tra gli oggetti di intercessione l’appello accenna ai seguenti: perchè gli studenti della Federazione posseggano una fede intera in Gesù Cristo quale Signore della vita umana, individuale e collettiva, e con questa fede essi possano intraprendere una più ampia opera evàngelistica nel mondo; perchè la sapienza divina li soyvenga nello sforzo di rendersi idonei alle mutate condizioni in questo periodo di ricostruzione e di affrontare ie mille nuove opportunità che si offrono dinanzi ai loro passi.
La Federazione suddetta comprende anche un ramo, italiano, di cui è organo la piccola ma molto interessante rivista Fede e Vita diretta da Ugo Janni, via Roma, San Remo.
FEMMINISMO
0 Al « Lyceum » di Roma Gino Calza Redolo ha parlato delle donne inglesi nella loro attività di guerra è nelle recènti elezioni 'politiché:
Egli descrisse le sue impressioni nel visitare i campi delle W. A. N. S. ove la vita di lavoro si svolgeva con un ordine ed una rapidità perfetti, senza inciampi burocratici, nè pesanteria di provvedimenti.
Questa presenza di 30.000 donne nel bel centro di un esercito non è stata fonte d’inconveniente alcuno. La generalessa durante tre anni di guerra ha dovutorimandare solo tre donne per la loro cattiva condotta. Tutto .questo è ammirevole e Lloyd George nella sua alta sapienza politica ha compreso tutto il valore femminile che non doveva essere trascurato nella considerazióne degli elementi della vittoria. Per avvalorare il frutto di questa vittoria ha compreso.che era necessario compensare tutti coloro che ad essa avevano contribuito.
Cosi, improvvisamente, nella vecchia Inghilterra conservativa è stato concesso il diritto.di voto a 7 milioni di donne; I risultati che le recenti elezioni inglesi hanno dato, se sembrano a priori una sconfitta femminile, perchè una sola donna è riuscita eletta deputata, hanno invece in realtà una notevole importanza. La donna impreparata alla improvvisa concessione, si è preoccupata particolarmente di far riuscir coloro che dànno migliore affidamento a che il frutto della vittoria non verrà perduto.
0 II «Lyceum» di Roma ha pubblicato in un volume dal titolo: « La donna ed il suo nuovo cammino » le conferenze promosse dalla sua Sezione Insegnamento durante il 1918.
Un altro recente volume sul femminismo è quello della signora Re-Bartlett: « Il femminismo nella luce dello spirito».
PERIODICI
0 Dopo un’interruzione di parecchi mesi, il Coenoblum ha ripreso col mese di gennaio di questo 1919 le sue pubblicazioni. I nostri
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BILYCHNIS
lettori potranno ricevere un fascicolo di saggio, domandandolo anche con un semplice biglietto da visita alla Direzione della Rivista Lugano (Svizzera).
In attesa di poter rispondere diretta-mente a tutti i collaboratori e lettori che mi hanno espresso la loro simpatia nel mio dolore, desidero qui rivolgere loro una parola di sincera riconoscenza, assicurandoli che il sentirmi circondato da sì affettuosa corona d'amicizia è per me di grande incoraggiamento e conforto.
Con questa benedizione della vostra solidarietà nella mia sofferenza, amici miei, riprendo — con rinnovato proposito di azione — il mio lavoro alla Rivista. Gli amici collaboratori e lettori avranno scusato le lacune, i ritardi ed i silenzi dei due ultimi anni: il servizio militare assorbiva quasi tutto il mìo tempo, mentre mi aveva portato via validissimi aiuti, disperdendo per la zona di guerra e di operazioni parecchi fedeli collaboratori.. I quali 'óra ritornano, e sono lieto di risalutarli amici devoti della Rivista. E ne vengono di nuovi, attratti dalle sue due fiamme, che, accese nel 1912, non furono mai lasciate spegnersi, anche attraverso le difficoltà della guerra, e che ora si vuole da noi tutti che ardano luce e calore.
E arderanno, attraverso i nostri pensieri e le anime nostre per la grandezza del pensiero e dell’anima italiana.
Ecco la lampada, amici; versiamovi dalle nostre riserve l'olio grasso e puro perché le sue fiamme ardano'. L. P.
• • •
Abbiamo già in cartella per i prossimi numeri molto materiale interessante e possiamo contare su una estesa e variata collaborazione da parte di vecchi e di nuovi amici. Non facciamo promesse. Il programma che ci siamo tracciati per quest’anno è bello, pratico, suggestivo. Non ne parliamo. Lo attueremo.
Quanto all’aspetto esteriore della Rivista... è un fatto, che non è più quello d’una volta, quando Bilychnis era additata come la più bella rivista di studio, per l’arte e la cura con cui era composta in tipografia. Abbiamo intenzione di riportarla alla gloria di ieri; ma non potrà subito svestirsi dell’abito di guerra. Bisognerà tollerarla così, com’è stata in questi ultimi mesi ancora per qualche tèmpo. Perchè, assolutamente, non intendiamo passare più sotto le forche caudine dello strozzinaggio dei cartai...
Bilychnis esce quindi ancora in tenuta di guerra. E sia, per la guerra ai vampiri insaziabili di certa industria cosi detta nazionale.
• • «
La Rivista entra nel suo oliavo anno di esistenza, non ingloriosa, nè mai interrotta. Questo fascicolo inizia il volume tredicesimo. GY Indici del .dodicesimo volume (2® sem. 1918) saranno spediti agli abbonati unitamente al fascicolo di febbraio ch’è già a buon punto.
Stiamo riorganizzando il servizio di Libreria ed attendiamo alla compilazione di un piccolo catalogo dei libri indispensabili a chi intenda occuparsi di studi religiosi e delle più vitali quistioni che s’impongono all'anima moderna.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma - Tipografia dell'Unione Editrice, Via Federico Ceri, 45
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in deposito presso ia Libreria Editrice “Bilychnis" Via Crescenzio 2, Roma
NOVITÀ
MARIA BERSANO BEGEY
Vita e pensiero
di Andrea Towlañshi
(1799-1878)
Milano. 1918. Pag. 468. - L. 6.
"... In questo libro M. B. B. ha fissato, con mirabile maestria, le linee del pensiero e la fisonomía della vita di Andrea Towianski : l'idea e l'opera sono fermate per sempre in queste pagine, ricche d'intelletto e d'informazione, nate e cresciute nell'ambiente che serba ancor vivida la vibrazione dell'uomo. E un libro che resterà fondamentale intomo all'argomento...11 '... La storia dell'avvenire riconoscerà al Maestro polacco un posto eminente in quella profonda elaborazione religiosa che riempie la prima metà del secolo decimonono...' "... A queste pagine ricorreranno molti spiriti bisognosi di certezza e di forza, molte anime anelanti alla luce della conoscenza e ai riposo del bene...' Giovanni Amendola.
GLI SLAVI
di A. MlCKIEWICZ ... poiché in questo conflitto gli slavi stanno dalla parte della civiltà latina, è necessario che i latini conoscano i loro alleati... Nessuno in questa materia ha maggiore autorità del grande poeta slavo...
Sommario: Il Messianismo La tradizione - L'idea del dovere - Della proprietà -L'ideale della repubblica di Polonia - L'antipatia della chiesa per lo Spirito Nuovo -L’importanza della tradizione slava - Che cosa i la parola - Misteri della parola, ecc.
Pag. 180. Prezzo l. 3.
POEMI FRANCESCANI di A. M. D. G. L. 4.25 ... L'Autore ha una sola pretesa : di offrirci un Francesco dei * Fioretti '.
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In questo volumetto V. CENTO raccoglie scritti che nel periodico La nostra scuola agitarono e discussero largamente il problema della rinnovazione nazionale della scuola italiana. - Vi si trovano gli scritti di Anile, Cento, Ferretti, Modugno, Muro. Prezzolini, Terzaglia, Sanno, Varisco. Vidari, Vitali e Volpe.
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guanti soggetti: Intorno al Divenire ed all'Assoluto nel sistema Hegeliano (Raffaele Mariano) - Idee intórno all'immortalità dell'anima (F. De Sarlo) - La questione di autorità in materia di fede (E. Comba) - Il peccato (G. Arbanasich) - Di un concetto moderno del dogma (G. Luzzi) - È possibile il miracolo? (V. Tummolo) -Il Cristianesimo e la dignità umana (A. Crespi).
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