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ECO
DELLE miXT VALDESI
Lpstt.
Bibllotsaa Valleso
(Torino)
TOTHT T“'!
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno XC — Num. 25 Una copia Lire 30 ABBONAMENTI l P®' l’interno / L. 1.800 per l’estero Eco e La Luce-. L. 2.000 per l’interno L. 2.800 per l’estero Spediz. abb. posule - I Gruppo I TORRE PELLICE - 17 Unugno i960 Cambio d’indirizzo tir# SO |_^^mmin. Claudiana Torre Pellice - C.C.P. 2 175
1" , , —1 K 1 A
Venez à moi..
Si celui qui prononce ces mots: ® Venez, vous tous qui travmïlez
et êtes chargés » est lui-même plongé dans les faveurs du monde: sOnté,
beauté, richesse, puissance, considération etc., la parole, le spécifique
chrétien sont pris en vain.
Les hommes veulent bien entendre ces mots dans de telles cdnditions; puisque celui qui les prononce a cet extérieur, pensent-ils, il vaut
la peine de prêter l’oreille; peut-être serons-nous aussi secourus comme
lui. Mais le spécifique chrétien est toujours flanqué d’ién triste Nota-bene.
C’est Christ qui dit ces mots, et non ce Christ qu’un fantastique nonsens représente dans la chrétienté; c’est un homme persécuté, insulté. soigneusement évité, un homme dont il faut dire: Ecce homo: voici
l’homme.
Dans ces conditions personne ne veut entendre ces mots; on a peur
de celui qui les prononce et l’pn pense: veut-il consoler, est-il fou — 'ne
l’écoutez jamais; peut-être veut-il que l’auditeur devienne d’abord aiissi
misérable avant que n’arrive la consolation...
Vous tous.
Christ sait en effet que tous devraient suivre, qu’il est le mmtre de
tous; et c’est pourquoi il dit: vous tous, bien qu’il sache que peu seulement viéndront.
Nul homme ne pourrait tenir ce langage divin s’il savent d’avemee
la même chose; il y aurait dans son invitation un élément polémique
centre l’humanité, car il éprouverait une souffrdnce en voyant si peu de
gens venir.
Mais Dieu, qui est « la Vérité » ne peut que s’adresser à tous-même
s'il n’y en a qu’un seul pour se rendre à l’invitation, et même s’il n’y a
personne, et qu’il le sache d’avdnce. Il ne peut parler de lui-même et de
la vérité autrement qu’en la rapportant à tous.
S. Kierkegaard.
(Fragments du Journal)
Alla ricerca della verità
Echi di un congresso ecclesiastico
Quanto sia pieno di insidie il cammino dei cercatori di verità, è ben noto a chi non si lascia assordare dal
frastuono delle graMi orchestre propagandistiche. Non alludo, ben s’intende, alla ricerca della VERITÀ’
ma a quella della verità col v minuscolo, alla verità spicciola : quella che
cerchiamo vanamente nei resoconti di
una Conferenza internazionale, o di
un dibattito parlamentare.
Per esempio la nostra stampa ha
introdotto nel linguaggio quotidiano
l’espressione « Chiesa del silenzio »;
suscitatrice ed evocatrice di suggestive immagini: la Chiesa delle catacombe, dei martiri. Oltre « cortina »
la Chiesa non vive che nell’ombra e
nel silenzio, nella preghiera e nell’attesa. A puro e semplice titolo di documentazione, vogliamo qui segnalare: Pax vobis: una preziosa raccolta
di documenti (tradotti in lingxia italiana) pubblicata a Praga in occasione del Natale 1959. Il sottotitolo è:
Discorsi ed immagini dal congresso
Un appello fraterno
per f lavori sin od all
Fra non molto, se già non lo stanno facendo, gli uomini designati dall’ultimo Sinodo per esaminare l’opera
della nostra Amministrazione si metteranno al lavoro. L’importanza della loro fatica nella nostra prassi sinodale è indiscutibile. Spetta a loro
di dare inizio ai lavori dell’Assemblea
con la lettura di una « Contro rela^ zione » e se sapranno impegnare be' ne il suo interesse resteranno sui loro banchi fin quasi al termine delle
sedute. Con redini invisibili es^ disoiplineranno gran parte delle discussioni sinodali e, forse, riusciranno anche a dare qualche orientamento nuo.
vo alla vita futura della Chiesa.
L’attività della C. E. (chiamilo
così per comodità la Commissione
d’esame), è essenzialmente critica e
giudicatrice. Un anno in cui essa non
aveva mosso alcun appunto alla Aniministrazione s’udì una protesta in
Sinodo : « Una C. E. deve per principio e per definizione trovare qualcosa
da criticare neH’op»era deU’amministrazione, altrimenti viene meno al
suo mandato ». Le seguenti C. E. non
si sono più fatte ripetere una simile
raccomandazione ed un sinodo, recem
temente, per potenziarle, ne ha anticipato di un anno la nomina, avocaiAdola alla sua sessione plenaria mmtre che, prima, essa era effettuata da
una piccola rappresentanza sinodale
presente a Torre Pellice un quindici
giorni prima della sessione a cm doveva riferire.
Non giudicato'“
Non sappiamo oerò fino a ohe punto la finalità critica e giudicatrice, della C. E. sia di ispirazione evangelica
e scritturale. Gesù ha ordinato cinamente: «Non giudicate», e U nostro
credo afferma ohe Egli viene per giudicare i vivi ed i morti... Poi^ibile che
il giudicare di una C. E. sia eccezionalmente un giudicare lecito mentre
che tutti gli altri non lo sono?
Non vogliamo con questo mandare
in vacanza la nostra cara C. E. ma
semplicemente proporle un orientamento più rigorosamente evangelio.
Sempre meno essa dovrà fare o dir
nulla che la faccia anche lontanamente assomigliare a una commissio
ne di sindaci o di revisori dei conti
di tale spettabile istituto bancario o
di queiraltra famosa e grande società
produttrice di carne in scatola...
Il suo nome, anche se suona
come è, dovrebbe indicare sqprattui>
to un gruppo di amici che si
nano per prender conoscenza del lavoro dei loro colleghi, con rispetto e
con amore, incoraggiandone gli aspet.
ti positivi e cercando soccorso per
quelli negativi. La C. E. dovrebbe soprattutto studiarsi di fare assomigliare i sinodi a quella adunata di Gesù
con i suoi discepoli nella quale essi
gli riferivano quel che avevano fatto
ed Egli esclamava giubilando: «Io
mirava Satana cader dal cielo a guisa di folgore! ».
La nostra C. E. dovrebbe esser tale
soprattutto in senso positivo proponendciii di incrementare ogni sforzo
fatto per servire il Signore per modo
che l’esaminando ne sia incoraggiato
e fortificato e ne tragga nuovo entu
siasmo. Mai dovrebbe avvenire che
una C. E. produca delusione e scoraggiamento. Dall’esame fraterno essa
sarebbe allora passata a quel giudizio che non è più di sua competenza.
Bastano di gran lunga i motivi di sco.
raggiamento che son fuori della Ghie
sa senza che ancora i servitori del Signore vengano a trovar dei motivi di
tristezza è” di rallegramento qui dove
solo dovTcbbero attingere motivi di
nuovo fervore.
Per principio e per defimzione la
C. E. deve diventare uno strume-nto
per mezzo del quale le vocazioni si ritemprano e si rinnovano.
Tutta ia Chiesa
Man mano che passano gli armi i
nostri sinodi orientano sempre più il
loro interesse verso quel settore centrale della chiesa nel quale si esercitano le funzioni amministrative.
Tempo addietro trovavano anche la
possibilità di scendere verso la periferia e nei dettagli delle singole comunità. Trenta o quarant’anrù or sono si dava ancora la lettura integra^
le in smodo di qualche relazione di
cliiAsa estratta a sorte... Oggi Invece
è di moda il concetto che vi debban
trovar posto soltanto più gli argomenti di interesse generale che saranno
dibattuti in Sinodo con splendida
magniloquenza e porteranno alla votazione unanime di altisonanti e ben
torniti orduii del giorno... Importanti
senza dubbio, imiwrtantissimi, ma
che portati domani nelle assemblee
di chiesa, nei ranghi veri e vivi delle
ccmimità, stenterarmo assai a trovar
re qualche rispondenza effettiva.
Non vogliamo dire che le C. E. siano responsabili di questo stato di cose Se anche esse hanno aderito alla
« moda attuale » è soprattutto per motivo di forza maggiore, è perchè non
potevano non unpegnarsi dinanzi ai
problemi loro prospettati come i più
importanti della Chiesa.
Vorremmo però impetrare dalle
nuove C. E. una radicale virata di
bordo. Non è vero e non è evangelico
che i problemi amministrativi siano
i problemi più importanti per la Ghie
sa o per il sinodo. I problemi della
Chiesa sono quelli del progresso del
Regno di Dioi... E già sento l’amiCD
leguleio gridarmi : « Ma i problemi
amministrativi servono pure la causa
del Regno di Dio, lo stesso come l’attività delle retrovie alimenta e sostiene la prima linea in guerra... ».
Lo ammetto senz’altro, ma io vorrei domandare alla C. E. di portarci
un po’ più in prima linea.
Sorvoli un poco la C. E. su tutto
quell’apparato accademico che appe
santisce i nostri sinodi contrariamente a quel che avviene in quaài tutti
gli altri sinodi protestanti, indugi
meno a ripsitere - quanto già è detto
nella relazione della Tavola stessa si
preoccupi im po’ meno di pesare sulla bilancia il modo come il Moderatore e i sopraintendenti hanno speso
tutti i minuti della loro annata e ci
mostri invece come quel tal trasferimento saggiamente ordinato dalla
Amministrazione ha fatto fare un
progresso al Regno di Dio, come in
quell’altro posto invece le diflìooltà si
sono accanite contro ad un operaio e
neppure l’aiuto della Amministrazione ha potuto sujjerare gli ostacoli.
Insomma, la C. E. dell’operato della
Tavola, deve attraverso alla Tavola
raggiungere tutta quanta la Chiesa
fino alla più remota periferia, sapendo che dinanzi a Dio non c’è più im
portante o meno importante e, forse,
la C E. si preoccupi un po’ meno di
dare l’incoraggiamento della lode a
coloro che già godono del conforto di
un successo umano e incoraggi di più
invece, coloro che — forse per causa
della loro intransigente fedeltà -soffrono dell’insuccesso...
Si studi la C. E. di portare nella nostra aula sinodale una atmosfera più
somigliante a quella delle catacombe
di Roma o a quella delle nostre vette
alpine che non a quella disinvolta
del gran mondo moderno e insegni
alle nostre assemblate esultanti a battere le mani come si usa a Massello e
a Colleferro piuttosto di come si è
udito a Montecitorio.
Ma tutto quanto abbia m detto non
è che una umile e fraterna preghiera.
Ne tenga la C. E. il conto che vuole
e che può.
Enrico Geymet
prenatalizio dei sacerdoti cattolici cecoslovacchi per la pace.
Sono settanta pagine riccamente illustrate (con fotografie di prelati, sacerdoti, funzioni religiose) che contengono gli atti di un congresso di
millecinquecento « delegati di tutte le
diocesi, dei decanati e vicariati con
vescovi e vicari capitolari » convenuti
a Praga, alla vigilia di Natale per celebrare il quindicesimo anno dalla liberazione e il decennale del movimento cattolico per la pace.
Questi documenti suscitano un’impressione per lo meno sconcertante,
perchè il congresso non si svolge nelle... catacombe, ma a Praga, la capitale, in un’ampia sala della Casa dei
Sokol! Ed i 1500 sacerdoti cattolici
non ascoltano soltanto, ma parlano,
discutono, applaudono.
Ascoltano le fanfare di introduzione, il corale di S. Venceslao eseguito
dal quartetto di corni da caccia del
Teatro Nazionale, un’esecuzione solenne dell’opera « Jakobi » di Dvorak al teatro Smetana.
Parlano (direi) molto! E questi discorsi sono sconcertanti, come tutto
il resto! Il vicepresidente del Comitato dei sacerdoti cattolici cecoslovacchi per la pace, dott. Josef Lukacovic
(che è anche ministro del governo regionale slovacco) esalta, nel suo discorso di apertura, il nuovo ordine
sociale. Ora domina il tono lirico :
« Il piccolo coltivatore di uno scarso
podere, che strappava i cardi con le
mani callose e si guadagnava, esausto dalla dura fatica, il suo pezzo di
pane modesto e spesso conteso al padrone, è divenuto un comproprietario,
un pianificatore e un realizzatore della grande produzione agricola ».
Ora trionfa l’inno statistico : « Dal
1945 ad oggi sono state costruite 128
huove grandi fabbriche e 178 sono
state ricostruite... Il numero dei singoli edifìci industriali costruiti dai nostri operai edili, dalla Liberazione ad
oggi ammonta a circa 6.000 ».
E quest’analisi della trasformazione sociale parzialmente attuata, ma
da completarsi ancora, è il tema dominante del Congresso. I 1500 sacerdoti cattolici si sentono direttamente
impegnati in questa missione; non è
soltanto un retorico tono apologetico,
ma una esplicita condanna del mondo capitalistico sfruttatore ed una
presa di posizione nelle file dei costruttori di un nuovo mondo, fondato
sul progresso e sul socialismo!
Nel suo rapporto al Congresso un
sacerdote, il ministro della Sanità
dott. Josef Plojhar, proclama ad alta
voce : « Noi, sacerdoti cattolici cecoslovacchi, fin dagli inizi del nostro
movimento e del nostro lavoro, siamo stati consci di tale verità, di tale
realtà, e crediamo che questo sia nella migliore delle armonie con il nostro carattere sacerdotale, con la nostra appartenenza alla Chiesa Cattolica Romana, in qualità di assertori
entusiasti ma anche éntusiasti edificatori di una nuova epoca detl’umanità ».
Un altro sacerdote polacco afferma
(a Praga) : « L’umanesimo della fede
cattolica ed i suoi principi morali impongono a noi sacerdoti l’obbligo di
sostenere quelle forze sociali che vedono nell’ordinamento socialista la
via per risolvere i problemi più scottanti che stanno di fronte a tutto l’attuale mondo civile. Sono esistiti ed
esistono ancora delle tendenze di sposare il cattolicesimo con il conservatorismo sociale, cdn la regressione sociale e con programmi politici reazio
nari. Tendenze di questo tipo non
harmo nulla in comune con i principi
della religione cattolica, sottopongono
però a dura prova l autorità della
Chiesa, che appoggia l’attività politica ispirata da sostenitori evidenti o
nascosti del vecchio regime sociale ».
Questo congresso e questa pubblicazione hanno provocato un’aspra
rampogna deH’Osservatore Romano,
che nel numerp del 28 Maggio ha consacrato due severissime colonne ad
una condanna senza appello di tutta
la situazione dei « Cattolici in Cecoslovacchia ». Vi si denunzia « il grado
di servitù imposto alla Chiesa in Cecoslovacchia »; l’impepio dei sacerdoti nella edificazione di un nuovo ordine sociale è denunziato come deviazionismo ereticale in funzione dei piani quinquennali di impostazione e
glorificazione dei senza Dio.
E’ indubbiamente molto difficile
rendersi conto della situazione, poiché sappiamo tutti, per esperienza,
che in un regime totalitario tutte le
forze vengono inquadrate e sfruttate
razinalmente.
Non abbiamo dimenticato i cortei
di sacerdoti premiati per l’impegno
nella "battaglia del grano »1 ~E non
ignoriamo la spontaneità di certi telegrammi sinodali. Però, la Chiesa vive!
E certa amarezza e violenza di critica non ha forse la sua origine proprio
nella constatazione che questa Chiesa è, in qualche modo, impegnata nella testimonianza cristiana, nello sforzo di tradurre nella vita quotidiana
il messaggio dell’Evangelo?
E poiché per comprendere bisogna
conoscere, ricordiamo pure che in
questa circostanza il Consiglio Ecumenico delle Chiese Cecoslovacche ha
approvato una mozione che dice, fra
l’altro : « Nous constato>ns continuellement que notre gouvernement remplit
des tâches sociales importantes pour
le bien des travailleurs, qu’il lutte
pour la paix, défend les intérêts de
société et offre à l’individu, dans le
cadre de la société, de larges possibilités de satisfaire ses justes exigences, i.
La société sans classes, but du socialisme, est proche de la conception
chrétienne d’u'ne société sainte ».
Cl.
Notizie
in breve
I 100.000 aderenti del movimento pentecostale in Italia sono stati uffiicialmente riconosciuti dal governo italiano sotto il
nome di « Assemblee di Dio » in Italia :
il loro nuovo statuto legale dà loro il diritto di possedere terreni e immobili.
II milionario e filantropo americano
John D. Rockefeller Jr., recentemente deceduto, ha fatto beneficiare dei suoi doni
numerose istituzioni cristiane, fra cui l’Istituto ecumenico di Bossey, lo studio del
Consiglio ecumenico sulla rapida evoluzione sociale, e il Consiglio mondiale delle UCDG.
In Finlandia tutti i candidati alla patente di guida ricevono un testo redatto dalla
Conferenza dei vescovi della Chiesa (luterana) di Finlandia, che raccomanda loro
la prudenza sulla strada.
Il Consiglio missionario norvegese ha
chiesto alle 21 Chiese e organizzazioni
missionarie che ne fanno parte di « inter-:
cedere perchè i nostri fratelli e sorelle
nell’Unione sudafricana possano vivere liberi e in condizioni che rispettino la dignità umana ».
In un’intervista accordata al giornale
cristiano ’Dagen’ Ragnar Eàlenmann, ministro dei culti di Svezia, ha dichiarato
che i futuri vescovi della Chiesa di Svezia
dovranno d’ora in poi accettare di consacrare delle donne al santo ministero.
2
pag. 2
L’ECO DELLE TALLI VALDESI
10 giugno 1960 — N. 25
Le ministère ilu Pasteur Morel en Urunuay
^ r*
Cììj
III. - Encore sur la brèche,'malgré tout!
La situation de M.r Morel était inquiétante, les colons n’ayant pas rempli les promesses faites pour ses honoraires. Il dut en arriver à travailler lui-même et ses filles un champ
qui lui avait été donné par la Société de colonisation. Cela ne suflisai;
cependant pas au maintien de sa famille. C’est alors qu’il décida de mettre un tarif à ceux qui demandaient
ses services (baptêmes, mariages notamment) et ne contribuaient pas
aux frais de culte.
Il écrivit à la Table en la priant
d’en venir à une décision sur sa position. Serait-il encore le Pasteur de
la colonie? En enverrait-eile un autre? Il se déclarait disposé à travailler jusqu’à l’arrivée de celui-ci, mais
à la condition que ses honoraires lui
seraient régulièrement remis. Entretemps qu’en était-il de M.r Pendleton? Cet homme qui avait rendu de
si grands services aux colons, dont
l’Eglise Vaudoise lui avait donné
maintes preuves de lui en savoir gré,
perdait, peu à peu, son crédit face
aux colons, face à la Table et face
au Directoire de la Société.
Le Synode del 1864 regrettait qu’il
n’eût pas rendu compte des so-mmes
collectées, avec son autorisation, pour
la colonie, et le déchargea de tout
mandat ultérieur.
M.r Pendleton disposait alors de
plus de 18 mille francs (or), desquels
12 mille 500 étaient destinés à l’érection du temple. U arriva à Montevideo au début du mois d’août 1867. Mo
rel tâcha inutilement d’en arriver à
un accord avec lui. L’aumônier britannique voulait agir pour son propre compte. Il appela son fidèle ami
Baridon et se présenta au Gouvernement de l’Uruguay, demandant l’autorisation de construire un temple a
la Colonie du Rosario, dans un champ
de sa propriété. Ce n’était donc pas
à La Paz, ni dans le centre de la colonie, mais — comme nous l’avons dit
plus haut — dans la partie Ouest.
Baridon avait travaillé beaucoup en
conseillant aux colons de se transformer dans une congrégation anglaise!
Le Directeur de la colonie — Ruperto de las Carreras — ayant eu connaissance des projets de M.r Pendleton, se rendit auprès des Autorités
du Gouvernement de Montevideo
leur déclara que dans les Archives
d’Etat étaient dépœés les statuts de
la Société de Colonisation, le plan
du village de La Paz, que la décision
des colons d’y construire un temple
là même avait été ratifiée par le Gou
vemement, que M.r Pendleton avait
eu mandat par l’Eglise Vaudoise de
collecter pour les colons, qu’il n’était
pas maître de cet argent. Il demanda
et obtint que l’autorisation accordéà M.r Pendleton de construire un
temple fut révoquée.
Les Uruguayens sont généralement
nobles et généreux, mais si l’on croit
les jouer, ils passent du plaisant au
sévère! Ruperto de las Carreras prépara im coup de scène à M.r Pendle
ton. Le jour même fixé pour la cérémonie du placement de la pierre angulaire de son temple. M.r Pendleton fut sommé de se présenter per
sonnellement devant les Autorités locales de Colla (ville de Rosario). Ruperto de las Carrera l’attendait! Il
lui communiqua la révocation décré
tée par le Gouvernement et réclama
l’argent collecté pour la colonie. A
la suite de cette défaite aussi théâtrale qu’imprévue et honteirse, Pendleton retourna immédiatement à
Montevideo, s’embarqua pour l’Europe en gardant l’argent dont il était
dépositaire. Dans une lettre expédiée
de Rio de Janeiro, il déchargea son
indignation sur Morel, l'accusant de
être le coupable de son échec. Le Pas
teur Morel, las de ses abus, lui répondit p>ar une véhémente apostrophe!
La visite de Pendleton avait quand
même contribué à rallumer les discor.
des, au moment où Morel obtenait
une paix relative et q;ue l’église se
réorganisait. Les oppositeurs de Morel s’en prirent nouvellement à lui!
Au début de 1868 la colonie se trou
va exposée à perdre son indépendance. Le Directeur de la colonie, par
un réglement approuvé par le Gouvernement, voulait avoir ime ingérence absolue sur celle-ci. La Commision aurait dû pourvoir aussi à
l’Eglise le Pasteur, le temple et fournir au Consistoire les fonds nécessaires à la conservation des locaux. En
acceptant ce réglement l’église perdait son indépendance, le choix du
Pasteur aurait été subordormé à la
autorité civile, qui pouvait être dans
les mains des catholiques!
Les Vaudois dressés par des siècles de persécutions, comprirent le
(Îaftger qui menaçait la jeune colonie!
Alors les discordes disparurent comme par enchantement; les colons se
unirent et chargèrent le Consistoire
de repousser le réglement. Morel —
fidèle à son poste — lutta comme toujours dans l’intérêt de la colonie. Les
colons étaient contents d’avoir en lui
im défenseur intrépide et sûr. Ils
eurent cause gagnée! Plus tard seule
ment le Directeur manifesta à Morel
que « certains colons » n’avaient pas
été" étrangers à la rédaction du ré
glement que l’on avait tâché d’imposer à la colonie.
Cependant la lutte endurée par
Morel ne touchait pas encore à son
terme!
Pendleton ne’démordait pas! Par
le moyen de son représentant Baridon, U fit signer un document par
plu.sieurs colons pour obtenir du Gouvernement la permission de construire une chapelle, pour son propre
compte, sa-ns que les colons eussent à
débourser un centime!
Cette nouvelle tentative de se mêler indûment des affaires de l’église,
poussa Morel à entreprendre la construction du temple de La Paz. Ce désir longuement caressé, allait finalement se traduire en réalité. C’est émouvant de constater l’enthousiasme
de Morel pour la construction de ce
temple, malgré son état de santé, les
contrastes èndurés et la précariété de
sa situation!
La pose de la première pierre* donna lieu à une cérémonie très solennelle en présence des autorités. Les
journaux de la capitale en parlèrent
d’une façon très flatteuse. C’était un
deis premieis temples prote-stants de
l’Uruguay!
A rentrée de l’hiver, les travaux du
temple furent, suspendus; les murs
n’avaient rejoint que trois mètres de
hauteur, ce qui empêcha da faire le
toit, qui les aurait protégés des pluiet
hivernales. En outre la récolte du blé
assez médiocre, cette année là ne per.
inettait pas aux colons de disposer de
l’argent, et le parti de l’opposition se
faisait un devoir de contrecarrer l’oeuvre entreprise.
Morel avait maintes fois manifesté
le désir de faire un voyage aux Vallées. pour donner à la Table un rap
port circonstancié sur toutes les af
faires de la colonie, et aussi pour renouveler ses torces physiques et morales, très épuisées. Des raisons de
santé et financières s’y opposant, oe
voyage, hélas, ne se réalisa jamais!
Par contre Morél insistait auprès de
la Table pour qu’elle envoyât im délégué à la colonie. Un ami fidèle et
bienfaiteur des Vaudois, favorisa ce
désir. Pendant le Synode du mois de
mai 1869, le Rév. R. W. Stewart, s’of
frit généreusement pour financer ce
voyage. Ce fut le Modérateur en per
sonne — M.r Jea« Pierre Lantaret —
qui prit la responsabilité de cette mis.
sion si délicate!
Le 2 août il arrivait à la colonie, et
logeait chez M.r J. Barthélemy Griot.
Il Se dédia immédiatement à sa tâ
che, en étudiant la situation et en
chpTchant une solution aux difficultés. Il rendit aussi visite à M.r Morel. Il eut de la peine à le reconnaître — écrit-il — les souffrances et les
préoccupations l’ayant vieilli et usé.
Le Temple de La Paz
Da Roma a OuÊx, via Balsona
Undici giorni dopo la celebrazione
della Pentecoste, i Cattolici celebrano il Corpus Domini.
Strano destino quello della Chiesa
cristiana! La Pentecoste vede tutti i
Cristiani uniti nella stessa fede e nella stessa speranza: lo Spirito Santo,
il Consolatore promesso, è sceso a
dar vita alla testimonianza della prima comunità; e continuerà a consolàre, attraverso i secoli.
E undici giorni dopo, la divisione
si afferma, netta, senza pietà; la Chiesa romana è mobilitata in massa per
la celebrazione del Corpus Domini,
per la glorificazione del « Corpo del
Signore », deH’ostia consacrata, della
transustanziazione.
« Tutti sanno come la Chiesa Romana interpreti in senso letterale le
parole di (3esù Cristo: ’’Questo è il
mio corpo” e ’’Questo è il mio sangue”, ed insegni come dogma di fede
la transustanziazione: la conversione
di tutta la sostanza del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù
Cristo, conversione operata dal sacerdote con le parole della consacrazione, rimanendo del pane e del vino
soltanto gli accidenti. Questo è il modo della presenza reale di Cristo nella Eucaristia ».
deve esporsi pubblicamente al popolo
per essere adorata... ».
* * ♦
Tutti conoscono l’importanza fondamentale di questo sacramento per
la Chiesa Romana e la formidabile
costruzione sacramentale e gerarchica di cui costituisce il fondamento.
Così pure è a tutti noto come a questo sacramento si debba, da parte dei
Cattolici, un culto di venerazione.
Così pure è a tutti noto che dopo
la consacrazione « l’ostia viene conservata nel Tabernacolo degli altari,
oggetto di adorazione dei fedeli ». Il
Concilio di Trento, che ha formulato
le basi della dottrina cattolica per i
secoli futuri, scaglia le sue maledizioni (anatemi) contro coloro che osano affermare che non bisogna « venerare con particolare cerimonia festiva
nè portarsi solennemente in processione l’ostia consacrata, o che non
Quello che non tutti conoscono, è
l’origine di questa festa. Dal volume
Cristianesimo e Cattolicesimo Romano di Ernesto Comba, al quale siamo debitori delle precedenti citazioni, apprendiamo quanto segue.
« La festa del sacramento dell’Eucaristia, detta del Corpus Domini, fu
istituita dal papa Urbano IV nell’anno 1264, una cinquantina d’anni dopo la proclamazione del dogma della
transustanziazione. Ed ecco come.
Prima di diventare papa. Urbano IV
aveva conosciuto una monaca agostiniana per nome Giuliana, che con
certe pie donne pretendeva di aver
avuto delle visioni di Gesù Cristo
che sollecitava con insistenza l’istituzione di una festa distinta in onore
della Eucaristia.
Tale festa era già stata approvata
da un gruppo di teologi e già fissata
per le Fiandre il quinto giorno dopo
l’ottava di Pentecoste.
A spingere in modo definitivo Urbano IV fu il miracolo di Bolsena.
Si raccontò che un prete boemo,
poco convinto della transustanziazione avesse visto, mentre celebrava la
messa a Bolsena,. l’ostia, che teneva
in mano, sanguinare abbondantemente, onde si era convertito al nuovo
dogma ».
E tutta la storia del Corpus Domini (del Corpo del Signore - dell’ostia
consacrata) è una storia di miracoli:
da Bolsena a Oulx.
♦ ♦ ♦
vano ad impegnare le truppe francesi
e creare grattacapi ai comandctnti dì
esse. I Valdesi si divisero in diversi
gruppi, ognuno dei quali aveva il
compito di far man bassa d’ogni ricchezza nel rispettivo settore. Di frugare nella Parrocchia di Oulx fu dato
incarico ad uno dei capi più baldanzosi ed in vista, vi quale, presi con sè
alcuni fidi, si diresse verso la Chiesa ».
Ora eccoci nella Chiesa : « Sopra
l’altare ardevdno alcune candele che
illuminavano sinistramente la scena.
Con piglio deciso il valdese s’avvicinò al tabernacolo e tentò d’aprirlo
per impossessarsi dei calici d’oro che
vi erano contenuti; ma la porticina,
seppure di legno ormai vecchio, oppose una resistènza insospettata ».
Il nostro valdese, allora « prese il
moschetto, lo puntò contro quella serratura e premette il grilletto. Lo sparo rimbombò cupamente sotto le volte e la porticina si spalancò sbattendo
violentemente. Davanti ai profanatori alcuni calici preziosi brillarono alla
luce delle candele. Il capo còn un
sogghigno avanzò d’un passo per impadronirsi dei preziosi oggetti, ma,
mentre tendeva la mano, una saetta
scaturì dal tabernacolo colpendolo al
capo e facendolo cadere fulminato ».
Ancora « recenteménte erano visibili
le lamine di ferro che otturavano gli
squarci prodotti dai colpi di moschetto ». La saetta o freccia misteriosa
purtroppo non è conservata.
Di questo squarcio di epica prosa
siamo debitori al settimanale « indipendente delle Valli di Susa e Cenischia: 11 Moschettiere» (n. 16, 14
aprile 1960).
Poiché abbiamo ricordato quello
di Bolsena, reso immortale da un papa e da un pittore, ci sia concesso di
ricordare quello più... provinciale di
Oulx.
Siamo nel 1704 e sono di scena i
Valdesi.
Dunque « una notte afosa d’estate,
nel 1704, i Valdesi mossero in gran
numero per assalire Oulx, in una delle ormai famose scorrerie che mira
Confessiamo che ci è molto diffìcile di riconoscere nella Chiesa del Corpus Domini, la Chiesa di Pentecoste;
lo Spirito che soffia liberamente, nella sottigliezza teologica della sostanza e degli accidenti.
« Affinchè siano uno... » : il segno
dell’unione e della comunione è segno della lacerazione.
lector.
II respirait avec beaucoup de difficulté.
La visite du Modérateur ne dura
que neuf jours — le temps dont U
disposait poiur repartir avec le même
.bateau — i)endant lesquels il déploya
une activité très intense. Il convoqua
deux assemblées d’EgUse, tâchant de
résoudre la question la plus importante à l’ordre du jour: le temple de
la colonie. On en arriva à un compromis accepté par l’assemblée: le
temple commencé à La Paz serait
achevé, le bloc paroissial (temple cure, école, etc.) serait construit dans
un endroit pius central, plus accessible à la majorité des ccions. L’ordre
à suivre pour la construction des édifices serait établi par les membres de
l’assemblée. Les frais inhérents seraient couverts par les contributions
des colons, par celle que l’on espérait
encore de Mr Pendleton et l’aide pro
mise par le Modérateur.
Quant à Morel, le Modérateur con
corda avec lui, qu’il resterait en char
ge jusqu’au mois d’août 1870. Entretemps il demanderait son éméritation, et après l’arrivée d’im autre
Pasteur il rentrerait définitivement
aux Vallées, si on lui en fournirait
les moyens!
En parlant de Morel dans son
« Journal », le Modérateur disait no
tamment : « ...c’est au service de l’E
glise Vaudoise qu’il a dépensé et ruiné cette santé, jadis si fiorissante.
Les colons lui rendent le témoignage
d’avoir été pendant plusieurs années,
non seulement leur pasteur, mais aus.
si leur défenseur intrépide et leur
avocat zélé, soit auprès das autorités,
soit auprès du Directoire, ou des directeurs de la Société. Il ne s’est pas
enrichi, car s’il est abandonné à ses
seules ressources, c’est à peine s’il
pourra ramener sa famille avec lui ».
En mai 1870 le Synode concéda la
éméritation à M.r Morel.
(à suivre)
Emile Ganz
Fête des mères
Dans les informations paroissia.*es d’un ¿’louimal Ide province on
peut lire: 29 mai: Fête des Mères,
avant d’arriver à 5 juin: Pentecôte. Cette proximité laisse rêveur...
Qu’est-ce en somme, que cette
Fête des Mères? Est-ce l’antique
vénération de la maternité qui revient sous une forme moderne?
Est-ce une façon sentimentale d’encourager à la fécondité? Ou seulement une propagande habile des
marchands de foulards, de bibelots
et d’azalées? — On peut se le demander.
Mais ce qui est certain, c’est que
ce n’est pas une fête chrétienne.
Ni dans son origine, ni dans son
contenu, cette fête nouvellement
entrée dans les calendriers, ne doit
rien à l’Ecriture Sainte.
Honorer lès mères? Certes! Mais
c’est à chacun d’honorer et d’aimer
sa propre mère et l’anniversaire de
celle-ci n’est-il pas une date plus
personelle pour manifester reconnaissance et affection?
Et surtout que vient faire cette
Fête dans l’Eglise?
Peu de pasteurs (aucun j’espère)
n’aura l’idée de prêcher le 29 mai
sur la maternité ou d’encenser les
mères en une sorte de sermon
païen. Mais il devient d’usage d’y
faire cependant une allusion soit
dans la prédication, soit dans la
liturgie.
Et je demande: pourquoi? No»!
est la fête de la naissance de JésusChrist, venu sauver tous les hommes. — Au Vendredi-Saint, il fut
crucifié pour le salut du monde.
— A Pâques il est ressu-scité pour
tous. — A Pentecôte l’Esprit-Saint
crée l’Eglise ouverte à tous. — Les
fctes chrétiennes sont pour tous.
L’introducion d’une « Fête des Mères » ne concernant ni les pères, ni
les enfants, ni les solitaires, a un
caractère d’exclusivité qui la distingue immédiatement des fêtes
chrétiennes.
Faire allusion à celte Fête des
Mères dans le culte, c’est peut-être
verser une armertume insupportable
au coeur de tel qui fut abandonné
]var sa mère, ou de telle autre qui
n’a jamais été mère, ou de telle encore qu’une mère très aimée vient
de laisser solitaire en ce monde.
Je vois beaucoup de raisons pour
refuser de faire entrer dans l’Eglise
cette fête laïque. Qui en voit pour
l’y faire entrer? G. B.
(Le Clirisliani.sme au XX.me .siècle)
3
N. 25 — 17 giugno 1960
L’ECO DELLE VALLI VALDESI
pag.
Pierre Odin di Angrogna
Chi era costui? - Da sempiice soidato a maggiore - Fedeio fino aiia morte
Pierre Odin. figlio del Comendabile
Daniele Odin, segretario comunale di
-Angrogna nel 1651, era nato nel 1635
agli Odins, la borgata a due passi dal
castagneto di Chanforan, à 5 minuti
dalla vetusta Ghieisa d’ia tana. Era il
primogenito di quattro fratelli e di
quattro sorelle. Ereditò dal padre una
grande quantità di proprietà, e ne acquistò diverse altre, che erano appartenute a famiglie valdesi scomparse
all’epoca della peste, che coprì di lutto le Valli. 11 registro del catasto del
1674, conservato tuttora nel municipio di Angrogna, e compilato con pazienza certosina dal notaio Tolosano,
di Torre Pellice (anche con fregi a colori), contiene l’elenco completo dei
beni di Monsieur Pierre in quell’anno. Era indubbiamente uno dei più
cospicui proprietari del vallone, con
Stefano Bertin, altro personaggio importante della storia d’Angrogna, che
ne aveva sposato la sorella Giovanna.
Nel 1659 Pierre Odin sposò Maddalena Buffa, figlia di Lorenzo e di
Margherita Rivoire, che gli portò in
dote 200 lire. Maddalena morì nel
1675, lasciandogli cinque orfanelli:
Daniele, Jean, Marie, Lorenzo e Margherita. Pierre si risposò, poco tempo
dopo, con Margherita Bertot, che gli
portò in dote, oltre alle 200 lire tradizionali, una vigna sotto Rocciama
. neod. Essendo nata nel 1656, era più
giovane di Pierre di 21 anno.
A queU’epoca, il Consiglio del Comune di Angrogna era composto di
un certo numero di membri, con a
capo due sindaci, l’uno eletto al di
qua e l’altro al di là del Vëngie, il
torrente che geograficamente ed etnograficamente divide il territorio angrognino in due parti distinte, risalenti
ad una antica divisione operata dai
Conti di Lusema.
La parte alta {d’iai dar Vëngie) era
la signoria di Mombrone — intitolata a quel bieco castellano di Mombrone, che murò viva una valdese nel suo
maniero — mentre la parte bassa
{d’çai dar Vëngie) era la signoria di
Nizza e Campiglione. Nel 1676 era
sindaco della parte alta Pierre Odin,
mentre il suo cognato Stefano Bertin
lo era per la parte bassa. Entrarono
in funzione il 2 febbraio, giorno della
Candelora. Fin dal 1682 Pierre fu pure anziano del suo quartiere.
* * *
Le vicende che condussero, nella
storia valdese, alla « débàcle » del
1686, portarono alla famiglia Odin,
come a innumerevoli altre famiglie,
immani lotte, dolori e lutti. I figli Daniele, Lorenzo e Margherita, neppure
maggiorenni, perirono, certo per i patimenti sofferti. Gli altri due figli, Jean
nato nel 1663 (aveva 23 anni) e Marie, nata nel 1668 (aveva 18 anni) seguirono il padre che, abbandonata
ogni cosa, partiva per l’esilio. Era
con loro la seconda moglie di Pierre,
e un figlioletto avuto da questa, Bartolomeo, nato nel 1680.
Lo storico Giovanni Jalla scriveva
nel 1927: « nous ne savons rien de lui
pendant les trois années d’exil ». La
compilazione dei rolli dei rifugiati vaidesi in Svizzera (elenchi destinati alla
registrazione delle sovvenzioni in denaro che gli elvetici somministravano
generosamente agli esuli), recentemente ripresa e completata, dopo Charles
Eynard, dal prof. Augusto ArmandHugon, ha permesso di seguire le peregrinazioni della famiglia Odin in
territorio elvetico.
Pierre Odin, sempre accompagnato
dalla moglie e dal figliuolo Bartolomeo, al quale s’era aggiunto, nel 1688,
probabilmente a Berna, un pargoletto,
Antonio, era giunto a Rolle il 16 marzo 1687. Tra quell’anno e l’anno successivo li troviamo stabiliti a Berna;
nell’ottobre del 1688 si trasferiscono
a Schaffhausen; tra quell’anno ed il
successivo ancora a Zurigo, che lasciano, per destinazione ignota, nell’aprile del 1689, Jean Odin, suo figlio, era
il 5 luglio 1687 a Neuchâtel; nell’ot
nel gruppo degli Angrognini (e non
sono pochi), comandati da tre giovani
capitani, Lorenzo Buffa, Stefano Frache e Michele Bertin, quest’ultimo nipote del nostro Pierre.
Ma la considerazione di cui Pierre
godeva, e le prove di valore che aveva senza dubbio date nel corso della
grande impresa, valsero a Pierre Odin
un riconoscimento particolare. Il 2
settembre 1689, il giorno dopo il giuramento di Sibaud, quando fu creato
il grado di maggiore per porgere un
valido aiuto a Turel e ad Arnaud nell’alto comando delle operazioni, la fiducia dei capi cadde su Pierre Odin,
anziché su uno dei 19 capitani. Al
fianco di Arnaud, Pierre Odin divenne così uno dei comandanti. Durante
l’assedio della Balsiglia, ne controfirmava le missive ufficiali; e lo accompagnò, insieme coniFriquet, al castello di Moncalieri, dàvanti al Duca di
Savoia, per consegnargli il corriere
ducale che era stato fatto prigioniero
sul colle del Sestriére, e per udire le
tobre 1688 raggiungeva a Schaffhausen i genitori, dove rimaneva fino al
1689.
Marie Odin, sua figlia, seguiva il
padre nelle sue peregrinazioni in terra d’esilio. Sposata nel 1694 a Davide
Catre, con 1.000 lire di dote, morrà
ad Angrogna, nel 1717, in età di 49
anni.
Finalmente, dopo tre anni, per quella gente più contenta di farsi ammazzare in patria che di star bene fuori,
sorge il sole del Rimpatrio, della gloriosa riconquista delle Valli! Pierre
Odin, accompagnato dal figlio Jean,
è in prima linea tra coloro che accorrono, a Prangins, sulle sponde del Lago Lemano, all’appello di Enrico Arnaud. Semplici combattenti, militano
Í lettori ci scrivono
Caro <1 Eco »,
Poiché il pastore Cipriano Tourn ha
sollevalo un interessante problema giuridico-morale nella lettera che hai pubblicalo lo scorso numero, permetti ad un
laico di sollevarne un altro. Fra i compili della Conferenza Distrettuale vi è
quello della elezione dei deputati al Sinodo.
L’art. 56 dei nostri regolamenti organici
dice : « La Conferenza sceglie tra i membri elettori del Distretto i propri deputali al Sinodo e altrettanti supplenti » (eccezion fatta per il distretto Rioplatense).
Confesso che questa formulazione mi
lascia molto perplesso per gli abusi a cut
esso si presta e per la svalutazione della
Conferenza stessa che essa può provocare.
E’ ovvio infatti (se il buon senso non è
una opinione) che soltanto un membro
della Conferenza, che ne abbia seguito
i lavori, è in grado di rappresentarla ex
informata conscientia al Sinodo. Purtroppo da qualche tempo si è generalizzato
l’uso (abuso) di scegliere i delegali della
Conferenza al Sinodo fra i membri elettori del distretto, indipendentemente dalla loro partecipazione alla Conferenza. La
lettera (ed il regolamento) è salva; ma
anche in questo caso sarebbe forse bene
di ricordare che la lettera uccide (a prescindere dal fatto che è doloroso di dover
constatare che una Conferenza che ha trovato il modo di sedere due giorni, non
riesce ad esprimére dal suo seno 1 suoi
rappresentanti al Sinodo). Quidam.
pre interesse a conoscere l’opinione dei
suoi lettori.
Trovo molto interessante il tentativo
dell’Eco di fornire quella informazione
politica obiettiva così rara nella nostra
stampa, e apprezzo la ricerca di imparzialità dei trafiletli sui « 7 giorni »: ma credo più discutibile e difficile dare anche
giudizi e interpretazioni, che, senza il necessario apparato di competenti, informazioni, redazione ecc. rischiano di ricalcare
quelli della « Stampa », giornale piuttosto
di parte. Mi riferisco airarticoletto di
commento sul fallimento della conferenza
al vertice, « Doccia scozzese », pubblicato
al posto d’onore del numero del 20 maggio, e che mi sembra, mi perdoni la franchezza, molto superficiale e sicuro nelle
prime frasi e ironico un po’ a buon mercato nella chiusa: l’accenno aH’imporlanza della preghiera ed alla fiducia in Dio
perde valore se unito ad una facile polemica degna di certa stampa parrocchiale
cattolica.
Colgo l’occasione per segnalarle che
Tarticoletto di Art Buchwald del numero
del 27 maggio era già apparso alcune settimane or sono sul « Giorno », quotidiano
milanese, che ne riproduce regolarmente i
servizi.
Spero che mi perdonerà questa franca
critica, che dimostra, spero, con quanto
interesse io legga il suo giornale.
Cordialmente Giorgio Rochat.
Milano, 5-V1-60.
Caro Direttore,
seguo con interesse il suo lavoro sull’Eco
e se mi permetto un assunto, è perchè pen.so che chi dirige un giornale abbia sem
Siamo sempre grati ai nostri lettori che
con il loro contributo e, al caso, con le
loro critiche collaborano al nostro sforzo
(e sforzo soltanto rimane) di informazione obiettiva.
belle promesse di Vittorio Amedeo
(promesse che al sòlito non dovevano
esser a lungo mantenute).
« « 4<
Mentre la guerra continuava, stavolta contro la Francia, Odin e i suoi
tornarono ad Angrogna. Nel 1694,
Pierre, nella sua qualità di anziano,
era deputato della sua comunità al
Sinodo; ma il suo grado di maggiore,
riconosciutogli dal Duca, lo esponeva
ad altri richiami, per la difesa del
territorio. Era la fine di giugno del
1704. Da quattro ahni la pace di Rysick, stipulata nel 1697, era turbata dalla guerra per la successione al trono
di Spagna, lunga e sanguinosa. Il generale La Feuillade si attestava in vai
San Martino, a San Germano e Pramollo. Il territorio di Angrogna era
direttamente minacciato. Il primo luglio le truppe francesi vollero traversare Angrogna per scendere in Val
Luserna. Il maggiore Odin, non sordo
all’appello del suo sovrano, riunì insieme tutti gli uomini armati che potè
trovare, e si attestò sul Ballo della
Vaccera, oggi Castelet, posizione strategica ben nota a chi nel 1655, nel
1663 e nel 1686 aveva difeso coi denti e con le unghie la propria terra!
Le forze francesi erano soverchianti.
Alla testa dei suoi, il maggiore Pierre
Odin compiè prodigi di valore. Infine,
egli ricevette una gravissima ferita al
capo. Subito assistito, con l’aiuto del
chirurgo Goanta, fu trasportato a casa sua, agli Odins, dove accorse il
pastore Lorenzo Malanot. Poiché egli
peggiorava rapidamente, volle dettare
il suo testamento al pastore, in assenza del notaro, davanti a parecchi testimoni, fra cui il capitano Lorenzo
Buffa.
Era la sera del 2 luglio 1704, suonavano le otto. Il morente è adagiato
su un po’ di fieno, nella cucina che
dà sul rustico balcone. Pierre Odin
devolve alla Borsa dei poveri un legato di 16 lire, pronuncia ancora il
nome di Maddalena, la prima moglie,
e spira circondato dai figli, Jean, Marie, Bartolomeo e Antonio. Non aveva 70 anni. La casata di Pierre, nella
borgata degli Odins, sarà continuata
da Bartolomeo.
T. Balma e A. Sappè
PASTERNAK
E’ morto Pasternak : i giornali hanno narrato che il
previsto servizio funebre ortodosso è
stato tralasciato, ma
che sulla sua fossa
aperta un giovane
studente ha proclamato la propria fede nella vita eterna: e i giovani presenti hanno applaudito. L’idea di questa dichiarazione di
fede espressa durante un rito funebre
laico mi è piaciuta e
corrisponde a quel
poco che ho creduto
di comprendere del
messaggio di Pasternak.
Quello che dirò
non vuole avere un
valore critico ma,
come ha detto un
francese, i pastori
quando parlano di
letteratura ne devono parlare da pastori, senza pretese
Boris Pasternak
Dot
di critica letteraria. Dunque, ho letto il
tor Zivago » (e qualcos’altro) cercandovi, come predicatore evangelico,
un messaggio spirituale: e son stato impressionato dal fatto che questo
messaggio era largamente un messaggio cristiano. A dire il vero non me
lo aspettavo; credevo che con Gorki fosse cominciata un’altra epoca
della letteratura russa, un’epoca diversa da quella degli scrittori-profeti
del secolo scorso. Invece ho dovuto accorgermi che la grande linea iniziata da Tolstoj e Dostoevskij aveva un continuatore, e di grande valore. Che il libro sia un capolavoro è chiaro come il sole: è un libro che
si impone subito, e con autorità. Certo siamo lontani dalla profondità
dei « Karamazof », ed anche dalla sapienza pittorica di « Guerra e
Pace »; ma abbiamo, pure, dinanzi a noi un potentissimo affresco della
massima e fondamentale rivoluzione del nostro secolo.
Per chi ammira la grande letteratura dell’età di Lenin (Gorki, Maiakovski. Babel ecc.) l’attuale letteratura russa è un po’ deludente : non
si sente più l’unghia del leone, ma il manto del conformismo staliniano.
Invece Pasternak, il solitario e impopolare Pasternak, ha una parola da
dire, e la dice con vigore e senza paura.
Non è vero che questo libro sia anticomunista (1), ma semmai,
a-comunista: esso guarda la rivoluzione non dal punto di vista del suo
significato politico (accettato^ del r^to d.a Pasternak, còme .dimostra la
sua volontà di restare in Russia), ma dal punto di vista della sorte dell’uomo singolo in mezzo a tali rivolgimenti, Visti sotto quest’angolo visuale, gli avvenimenti rivoluzionari diventano qualcosa come dei colossali cataclismi naturali, ben ambientati nell’immensa pianura nevosa
della Russia e della Siberia, sostanzialmente incomprensibili per l’uomo
medio. Eppure solo il destino di questo uomo può veramente toccare il
nostro cuore: il modesto dottor Zivago, con la sua origine piccoloborghese con le sue pene ed i suoi peccati, è un uomo vero. Non una
astrazione storicizzante (« l’uomo sovietico degli anni rivoluzionari »),
ma un uomo vivo ed autentico. Non c’è da stupirsi perciò che questa
visione deH’uomo finisca per sfociare in un’indefinibile ma indubbia
atmosfera di religiosità : così il libro si apre con discussioni (molto « ortodosse ») sull’immortalità. Così il protagonista in un momento di gioia
rompe in una preghiera.
In un momento di entusiasmo mi è successo di chiamare questo libro
un « libro cristiano » : un mio autorevole amico ha combattuto questa
mia definizione, e voglio ben ammettere che essa sia unilaterale {non
infondata). Tuttavia mi si permetta di citare qualche verso delle « poesie
di J. Zivago » che concludono il volume, e ne costituiscono, a parer
mio, la chiave : nella poesia « Miracolo », l’autore narra il fatto del fico
seccato (Matteo 21: 18-22) e poi così conclude:
Per il legno passò il fremito della maledizione
come la scintilla del lampo nel parafulmine.
E il fico fu ridotto in cenere.
Avessero avuto allora un attimo di libertà
le foglie, i rami, le radici e il tronco,
le leggi della natura sarebbero potute intervenire.
Ma un miracolo è un miracolo e il miracolo è dio.
Quando siamo smarriti, allora, in preda alla confusione,
fulmineo ci raggiunge di sorpresa.
Nella poesia « L’orto del Getzemani », egli narra la sera dell’arresto
di Gesù, e poi gli mette in bocca queste parole:
Ma il libro della vita è giunto alla pagina
più preziosa di ogni cosa sacra.
Ora deve compiersi ciò che fu scritto,
lascia dunque che si compia Amen.
Il corso dei secoli, lo vedi, è come una parabola
e può prender fuoco in piena corsa.
In nome della sua terribile grandezza
scénderò nella bara tra volontari tormenti.
Scenderò nella bara e il terzo giorno risorgerò,
e, come le zattere discendono i fiumi,
in giudizio, da me, come chiatte in carovana,
affluiranno i secoli dall'oscurità.
Con queste parole termina il libro: non so cosa diranno i critici,
ma io le ho prese per una confessione di fede.
Giorgio Bouchard.
(1) Secondo una notizia pubblicala l'anno scorso sull’Express, Krusciov avrebbe letto il libro durante una vacanza, e, rendendosi conto dell’onore che un
tal libro fa alla Russia, avrebbe dato una solenne lavata di capo al dirigente
delFassociazione degli scrittori sovietici, stratega della campagna anli-Pasternak.
4
par 4
L’ECO DELLE VALLI VALDESI
10 giugno 1960 — N. 21
(]onve|iio dei dipendenti della (]. I.O.V.
Eccellente idea quella del Pastore
Umberto Bert, Presidente della Commissione Istituti Ospitalieri Valdesi,
di organizzare un incontro fraterno
di tutto il personale che presta servizio ned nostri Istituti Ospitalieri.
Si trattava di offrire un po’ di sva
go e distensione a quanti attendono
ad un lavoro spesso ingrato e faticoso anche perchè essi sono ridotti ad
un numero insufiBciente. Si trattava
pure d’offrir loro una buona occasione di conoscersi a vicenda, onde ottenere im maggiore collegamento fra
gli Istituti, im opportuno senso di solidarietà, una reciproca simpatia. Altro scopo: far comprendere sempre
meglio U vero significato del servizio
prestato nei nostri Istituti, il oarattC'
re partìooiare del compito ohe può
e deve sempre di più essere considerato come un vero e proprio ministerio, affidato loro dalia Chiesa.
Il Convegno doveva quindi avere
un carattere ad un tempo religioso e
ricreativo. Ora è con gioia che possiamo dire che tutto s’è svolto molto
bene, e siamo convinti ohe i partecipanti ne hanno ricevuto un grande
beneficio fisico, morale e spirituale si
sono sentiti incoraggiati nella ripresa del loro lavoro.
Il Convegno ha avuto luogo in due
giornate. Natiuralmente non si jjoteva aliontanar© dagli Istituti tutto il
personale anche per una sola giornata. E quindi fu stabilito che da ogni
Istituto andasse al Convegno la metà del personale, e l’indomani l’altra
metà.
L’incontro ha avuto luogo il 9 e il
10 giugno, a Frali. Non occorre parlare ai lettori delle bellezze del vallone
di Frali, e neppure della grandiosità
di Agape dove Taocoglienza è sempre
cordiale e generosa. Son cose a tutti
note.
Ma diamo uno sguardo al programma eh« s’è svolto in quelle due memorabili giornate. Al mattino breve
culto Utuigico presieduto da due cappellani; il 9, Fastore G. Bertinatti, e
U 10, Fastore Franco Sommani. Foi,
tre studi. 1® Fast. Aldo Comba su il
servizào cristiano nella Sacra Scrittura; 2® F^t. Umberto Bert su il servizio cristiano nei nostri Istituti ; 3®
Fast. TuUio Vinay su il servizio cristiano ad Agape.
Studi molto interessanti ed utilissimi. tramezzati naturalmente da benefiche pause...
In margine a tali studi, si sono
espressi vari concetti e vari auguri.
A esemiùo s’è notato con piacere
che in questi ultimi tempi la Chiesa
sembra volersi interessare maggiormente ai nostri Istituti, e s’è augurar
to che si progredisca in tal senso. La
Chiesa e gl’istituti si avvicinino sempre di più. E’ stata poi espressa la
vivissima riconoscenza verso le ormai
tante signorine svizzere venute in
questi anni a dare im volontario servizio. Ne abbiamo anche attualmente. Ed anche la « Chiesa dei FrateUi »
od « Assemblea » è stata rappresentata presso il Rifuso, da alcune sorelle
volontarie, di cui una è tuttora prò
sente. Ma si ha bisogno di molti aiuti. Ben venga il « Diaconato » o servizio volontario.
Con piacere abbiamo udito la parola di alcuni appartenenti al nostro
personale. Farola libera a tutti, proprio come in famiglia
Durante il Convegno, due passi dell’Evangelo sono stati riiwtutamente
citati : 1® passo : « In verità vi dico
che in quanto l’avete fatto ad imo di
questi miei minimi fratelli, l’avete
fatto a me» (Matteo 25: 40); 2® passo: «Il Figliuol deiruomo non è venuto per esser servito ma per servire» (Matteo 20 : 28).
I iiartecipanti sono stati una cinquantina.
II pomeriggio del 10 è stato assai
diverso dal pKwneriggio del 9. Anzitutto perchè abbiamo voluto fare anche noi una bella salita in seggiovia.
Era divertente, sì, ma fu anche ima
grande delusione. Si chiama la seggiovia dei Tredici Laghi. Ma chissà
quando essa vi arriverà ai Tredici Laghi!
Altra differenza fra le due giornate
è stata, prima di partire, la celebrazione della Santa Cena, presieduta
dal Fast. Vinay.
Siamo stati contenti di vedere i
progressi che sta facendo la costruzione del nuovo Tempio. Auguriamo
ai cari fratelli di Frali che l’edificio
sia presto compiuto, e diventi per loro un istrumento di efiScace testimonianza cristiana.
Esprimiamo la nostra riconoscenza
per l’aocoglienza fraterna dei Fastori Vinay, Comba e Girardet con le
loro gentili consorti, e di tutto il personale di Agape.
Il Signore suggelli con la sua benedizione le buone impressioni che ha
prodotto in noi questo così opportuno incontro fraterno.
G. Bertinatti
Attenzione !
Incredibile, ma vero! Ci sono ancora dei lettori che non hanno pagato il loro abbonamento ! Li esortiamo cordialmente a compiere questo loro pìccolo dovere, che ha un grande valore per l'Amministrazione
del giornale. Servitevi del C. C. P. 2/17557 intestato alla Claudiana.
Sarà accolto con riconoscenza un dono per la stampa.
TOPONI
=- delle
MI
Valli Valdesi
la Ciapera: case fra gli Appiotti e
Pralafera: luogo ove abbondano i
ciottoli. Nome già esistente al principio del 6(X), come quello della
Briulera. 1636, alle Chiapere; 1660,
alli Appiotti. ossia Chiapere, ossia
Massetti: 1716, alla Chiapperà.
la Ciapcrassa: case poco discoste dalle precedenti, in territorio di San
Giovanni. Feggioratlvo del precedente.
li Clarbunie: villaggio nella valle omonima, già vai Guiociarda, sopra
Rumana, ove confluiscono i valloni della Gianna e del Fis. Nome di
fam. sparsoi in tutta la valle del
Fenice, col significato originario di
di T. G. Pons
«carbonaio». Cfr. carta di V. Grosso, 1640: Carbonier.
la Ciarbunira: villaggio nella comba
del Rospart, sulla s. del vallone. Località ove si cuoce il carbone. 1614,
ai Carbonili.
lì Ciardussin : villaggio dell’Inverso
di Villar Perosa. Il nome Chiardosino Si trova in vai S. Martino, fin
dal 1570 ; diminuitivo di « ciardusso », la « carlina acaulis » di cui par.
la il Léger, vantandone le virtù terapeutiche.
lu Cìarmis: villaggio dei Villar, sulla
s. del Rospart. ai piedi della montagna, con scuola di quartiere sita
là ove sorgeva, secoli fa, un tempio.
Dal b. lat. calinis, luogo pianeggiante e capanna p»er ripararvi gli armenti durante le ore calde. Chialmizzo, Chialmis fu anche nome di
fam. oggi spento, ma registrato nel
1594. 1611, ruata dii Chalmizo. Cfr.
carta di V. Grosso, 1640: Chiahnizzo.
lu Ciàtel: case sopra un ripiano che
domina, da .sud, il villaggio di Bai
siglia. a Massello. Castello, luogo
simile a castello, usato come castello.
id.: case nel vallone di Salza, a mezzacosta, sul versante soleggiato della valle.
Ciaudet: foresto di Angrogna, a sud
di Suiran e a nord di Enchioccia.
Luogo caldo, riparato, soleggiato.
Ciaurenc: villaggio di Pramollo-, di
fronte ai Micialet, ma daH’altro lato del vallone : luogo bene esposto,
riparato e perciò piuttosto caldo.
la Ciaiivia: villaggio che s’incontra
su la strada che da Pradeltomo
conduce al Saben, verso l’Infemet.
Forse derivato da nome «ciauvia»,
che significa cornacchia e che ha
dato il nome di fam. Chiavia, ad
Angrogna nel 1594-1674, matta della Chiauvia.
Ciavignàl: case presso il Teinau. sopra i Tupiun, su Villar Pellioe.
lu Ciavun d’villa: villaggio del Villar,
oltre il Cassarot; ii capo, il principio. l’estremità della Villa, indizio
sicuro che il capoluogo del Villar
era un tempo assai esteso. 1611, cavione di VUla.
làs Ciénaviara: due gmppi di case
deirinverso Pinasca, verso il confine con S. Germano. Canapaia, località ove si coltiva la canapa. Trovasi pure una Ohenevière in vai di
Susa, presso Salabertrand.
lu Ciéstèl: villaggio sulla strada che
dal Cmèl porta aMalpertiis, in quel
di Bobbio. Sul roccione, in alto, le
rovine del castello dei conti Billour, donde il nome. 1613, del Castello.
Ciocei: casolare ai piedi della regione di Culmian, nel territorio di
Massello. Dal b. lat. «calceatus»
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fundus luogo pestato, calpestato;
perchè ivi conferisce buona parte
del fieno prodotto nei prati alpini
di Culmian.
làs CiuliSra; foresto di Massello, sotto làs Cota. Località coltivata a cavoli, ove prosperano i cavoli.
id. : case a Faetto, sotto la Tiriéro.
Chiavulla: villaggio del comune di
Torre, ad ooc. del TagUaretto, sul
costone che scende dal Cugn. Pro
hábilmente da un nome dì fam. o
soprannome, scomparso. 1660. Ohiavola; 1668, Stefano Oddolo, alias
Ohiavola. G. Jalla cita un Chiaboula Michele, uno dei credendari della Torre, nel 1581.
Chiò dar lup: foresto su la Sea, in
territorio di Torre Pellice.
Chiò la rossa: case sul sentiero che
da Sèrre Malan scende al ponte di
Barfé, sull’Angrogna.
Chiò Rivet: case in territorio della
Torre, oltre la Vigna: ove «rivet»
può avere il significato di piccolo
mscello-, od anche provenire dal nome di fam. Riveto, che si trova in
un doc. del 1351, citato da P. Rivoire a p. 62 del suo studio sul
« Bull. S.H.V. », N. 11. 1635, a ChiOrivetto. 1716, al Chioto Rivetto.
Chiò la sèlla: alpe dei Villar, ai piedi
del Frioland.
lu Chiot: villaggio in fondo alla valle di Angrogna, su uno sperone che
scende dall’Infemet e non lungi
dal Saben: il primo sulla d. ed il
secondo sulla s. dei torrente. Chiot,
nella vai Pellice, dot, nella vai S.
Martino, hanno U significato di
chiuso, di ovile in luogo irianeggiante, su un ripiano, dot è anche
nome di fam. già diffuso in quel di
Riclaretto. (
id.; case di Torre, sopra i Ricat, dopo
Riucrò. 1716. il Chiotto, al Chioto.
lu Chiot d’I’aiga: case con mulino
sul torrente Angrogna (sinistra), a
monte del Sèrre. Nel 1686 il mulino
apparteneva al máchese Enrico
Manfredi d’Angrogna, ed era stato
distrutto con quello di Pradeltorno. perchè non se ne potessero servirle i Valdesi in guerra col Duca.
1674. al Chiotto dell’acqua.
Chiotigliard : case del Villar, prima
di arrivare alla terrazza ove si trovano làs Ucciuira. 1614, a Chiotigliardo.
lu Chiutas: foresto del Villar, nel vallone del Rospart. Accrescitivo del
termine «chiot».
li Chiutin : foresti aH’Inverso della
Torre, sotto Piamprà. Diminutivo
di «chiot».
lu Clodàmian: foresto ad un quarto
d’ora da Balsiglia, su la strada che
conduce al Lausun e poi al colle
del Fis. « Chiuso dal piccolo appezzamento » : chè il termine « mian »
significa «prato o campo mediano», cioè fra due strade, due torrenti, due muri.
lu Clodàzors: foresto di Maniglia,
sopra il Buciet, nella parte occidentale del comune. Significa il « chiuso di Zors», nome di fam. che si
trova ancora al principio del 700.
lìs Clos d’amunt e d’aval: Villaggio
sul limite fra Riclaretto e Faetto,
il primo, un 200 m. più ad or. dell’altro. entrambi sulla strada provinciale proveniente da Pomaretto.
Dal b. lat. «clausum», cioè luoghi
coltivati chiusi da siepi, da muri
ra fossati. Chiotti porta già la car
ta di V. GIO.SSO, del 1640.
Collegio Valdese
GINNASIO E LICEO
Promossi alla K“ Ginnasio: Bein Elena;
Ca vazzani Guido ; Collino Federico ; Gönnet Osvaldo; Peyronel Guido; Pomi Liliana; Riva Danilo; Taglierò Mariella.
Promossi alla //« Liceo : Aime Eliana ;
Astrologo Sergio; Balma Gian Andrea;
Davit Fioria; Malhieu Giorgio; Nicolosi
Carlo; Perro Claudia.
Promossi alla III« Liceo : Abate Sergio ;
Calzi Silvano; Coisson Franca; Comba
Pier Valdo; Miohelin Lausarot Paola; Pegone Agostino.
SCUOLA MEDIA
Promossi alla II« S. M. : Antico Maurizia ; Armand-Hugon Marco ; Baarle Grazia; Bert Marcella; Bettica Maria Grazia;
Bonjour Daniele; Coisson Vera; Coucourde Ettore ; De Cusatis Enrico ; Gabriele
Giampietro; Manini Enrico; Miceli Angelo; Michialino Carla; Modonese Claudia; Modoni Vellida; Pizzardi Malvina;
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Reggio Calabria 5.000 — R-amollo (2®
vers.) 5.000 — S. Secondo 10.000 — Palermo 20.000 — Zurigo 19.880 — Villar
Pellice 10.500 — Villasecca 5.000 — Biella
(2® vere.) 2.300 — Ivrea 13.640 — Carema
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— Roma, via IV Novembre 85.390.
E rnorfo a 71 anni
Toyohiko Kagawa
Toyohiko Kagawa sì è convertito al
cristianesimo a 15 anni, e cinque anni più tardi cominciava la sua attività di evangelista, nei bassifondi di
Kobè, dove trascorse molti anni censurandosi totalmente ai più miseriabili. Più tardi, do^ rapidi studi al
Princeton Theological Seminary, negli Stati Uniti, tornò in Giappone per
lavorare in comunità rurali assai povere, come pure in regioni minerarie
e fra i pescatori, fondando chiese,
istituendo giardini d’infanzia e scuole d’evangelizzazione. Cristiano pieno
d’ardore e pacifista convinto, si lanciò in diversi movimenti sociali, di
cui prese spesso la guida. La sua natura straordinariamente ricca di « mi.
stico scientifico » — come diceva egli
stesso — univa ai doni del poeta
quelli di un autore cui si devono 180
lavori su questioni religiose, sociali,
scientifiche e altre ancora. S.OE.P.I.
Per la modifica della legge contro il
suicidio.
(Londra) — Geoffrey Fisher, arci
vescovo di Canterbury, ha chiesto,
con l’appoggio di un comitato, chi
il suicidio non sia più trattato come
un delitto ma come l’atto di un malato. I mancati suicidi non devono
dunque essere considerati alla stregua di criminali ma di malati, che
vanno curati. (S.OE.P.I.)
AVVISI ECONOMICI
Scarinci Enrico ; Schiavo Ivana ; Tourn
Silvio.
Promossi alla III« S. Af. : Badarìotti Fiorella; Buzzi Giovanni; Gambi Gloria;
Gardiol Ernesto; Legger Franca; Losano
Ottavio ; Malan Guido ; Manfredi Fausto ;
Monnet Ornella; Peyrot Wanda; Poet
Margherita; Pons Guido; Treves Mario;
Valente Doris; Speziale Paolo.
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Aime Gisella; Anrico Fernanda; Baiotto
Ivar; Baridon Luisa; Bein Myriam; Benech Speranza; Corongi Giovanni; Cotta
Morandini Giovanni; De Bettini Cristiana; Fontana Claudio; Fraclie Serenella;
Grosso Gianpiero; Jourdan Enrico; Molinari Marco; Nicolosi Guido; Poet Giorgio; Raimondo Walter; Raviol Enzo; Revel Erica; Rivoira Luigi; Rostan Daniele;
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Redattore : Gino Conte
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